Sei sulla pagina 1di 3

IN VIAGGIO CON ERODOTO RIASSUNTO

“Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta.
In realtà comincia molto prima e praticamente non finisce mai, dato che il nastro della memoria continua
a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente
incurabile”.

È il 1956 e Kapuscinsky è un giovane reporter polacco con un grande desiderio, quello di varcare un
confine, non un confine importante, ma un confine qualsiasi, per attraversare quelle linee reali quanto
immaginarie che dividono i popoli. Guardare oltre la Cortina di ferro, spingere lo sguardo più in là. Sono
gli anni immediatamente seguenti alla morte di Stalin, responsabile di un regime totalitario che aveva
provocato un’aspra miseria e imposto una pesante censura, vietando di dare alle cose il loro nome. Sotto
quel regime “si era proibito di dire che i negozi erano vuoti: i negozi erano per definizione sempre pieni
di merce”. Varcare la frontiera: questo il sogno – durato una vita, di quel giovane giornalista, questo il
sogno di Ryszard Kapuściński - perché questo è il suo nome. Le frontiere: non semplicemente, per un
polacco di quei tempi (e in genere per un abitante dell’Est Europa) un puro confine da valicare, tracciato
sulla carta. “Mi chiedevo che cosa si provasse nel varcare una frontiera. Che cosa si sentiva? Che cosa si
pensava? Doveva essere un momento straordinario, emozionante. Cosa c’era dall’altra parte? Senza
dubbio qualcosa di diverso. Ma diverso in che senso? Forse non somigliava a niente di ciò che conoscevo
e per ciò stesso era inconcepibile, inimmaginabile?” Andare oltre confine: non un semplice desiderio ma
un “inesplicabile e pur prepotente bisogno psicologico” per il giovane Kapuściński, il bisogno di varcare
un confine percepito non come protezione ma come chiusura, in un periodo e in contesto ben lontani da
quella libera circolazione di persone e idee, oggi forse - in diversi luoghi del mondo - scontata. Il viaggio,
come insopprimibile e implicita rivendicazione di libertà: interiore, ancor prima che fisica. “Non mi
premevano lo scopo, il traguardo, la meta, ma l’atto in sé di varcare la frontiera”, il viaggio in quanto tale,
il desiderio di conoscere l’oltre. Il desiderio di Kapuściński si realizzerà presto, già l’anno seguente, a tre
anni dalla morte di Stalin, quando iniziava per la Polonia - se pur solo parzialmente - l’inizio del “disgelo”.
Correva l’anno 1956. Viene accontentato dalla sua caporedattrice allo Sztandar Mlodych che lo manda in
India affinché con i suoi reportage favorisca i legami fra i due paesi. Prima di partire gli regala una copia
delle Storie di Erodoto, storico greco del quarto secolo avanti Cristo, un libro tanto difficile da trovare nel
suo paese.

Le Storie di Erodoto sono destinate a trasformarsi per l’autore in un autentico punto di riferimento, dove
cercare tregua dagli avvenimenti del mondo e risposta agli interrogativi che la curiosità incalzante gli
pone di fronte: dove ha inizio la storia? Perchè gli uomini si combattono tra loro? Questo libro pertanto
lo accompagnerà in tutti i suoi viaggi, come un fedele amico che ha sempre qualcosa da insegnare. Gli
tiene compagnia quindi anche durante il suo secondo viaggio in Cina, ma non solo.

Dal Sudan al Congo, in Iran e in Etiopia, mentre vola da Dar es Salaam ad Algeri: Kapuściński è affascinato
dai racconti delle Storie di Erodoto e spesso si ritrova a fantasticare e riflettere sulle vicende passate,
piuttosto che su quelle che sta vivendo in prima persona in giro per il mondo.

Lo scrittore si chiede cosa spinga l’uomo a girare il mondo. La curiosità? Il desiderio di avventura? Il
continuo bisogno di stupirsi? E sottolinea “ Chi perde la capacità di stupirsi è un uomo interiormente
svuotato, ha il cuore bruciato. Chi considera tutto un déjà vu e non riesce a stupirsi di niente, ha perso la
cosa più preziosa, l’amore per la vita.”

Erodoto è l’esatto contrario. Nomade infaticabile, sempre in movimento, sempre concentrato, sempre
pieno di idee, di ipotesi e di progetti. Sempre in viaggio. Le rare volte in cui sta a casa (ma dov’è la sua
casa?) è perché è appena tornato da una spedizione, oppure perché sta per intraprenderne un’altra. Per
lui il viaggio è uno sforzo, un’indagine tesa a conoscere tutto: la vita, il mondo, se stesso. Ha fissa in
mente la mappa del mondo, una mappa che è lui stesso a creare, modificare, completare. E’ un mondo
quello di Erodoto dove accade continuamente qualcosa: gli egiziani costruiscono le piramidi, gli sciti
vanno alla caccia grossa, i fenici rapiscono le donne e Feretime, regina di Cirene, fa una brutta morte…

Kapuschinsky è convinto che il viaggiatore “del futuro non si preoccupa: il domani è semplicemente un
altro oggi. Lo interessa il passato che scompare: ha paura che ne svanisca la memoria e che vada
perduto.”

“ Ciò che ci rende uomini e ci distingue dagli animali è la nostra capacità di narrare storie e miti:
condividere storie e leggende rafforza il senso della comunità , l’unica condizione nella quale l’uomo può
vivere. Mancano ancora duemila anni alla comparsa dell’individualismo, dell’egocentrismo e del dottor
Freud. Per il momento, la sera la gente si riunisce in grandi tavolate davanti al fuoco o sotto un albero,
meglio se in vicinanza del mare, per mangiare, bere vino e chiacchierare. Alle chiacchiere si intrecciano
racconti e storie d’ogni genere. …. Una dopo l’altra, le serate si accumulano e se il viandante ha buona
memoria (e quella di Erodoto doveva essere prodigiosa) mette insieme un patrimonio di storie. Questa
fu una delle fonti alle quali attinse il nostro greco. La seconda fu ciò che vedeva. La terza, ciò che
pensava. “

Kapuscinski è scrittore fluente e mai autocompiacente, fedele ai vecchi dettami di quel giornalismo per il
quale si scrive ciò che si vede e non ciò che si legge nelle agenzie di stampa. L’autore narra i rischi e i
pericoli corsi, gli incontri fortuiti e i dialoghi tra persone che non parlano la stessa lingua, le sue emozioni
in presa diretta. Ne esce un mondo che non è mai una semplice catena di eventi ma un magma emotivo
di passioni che ogni uomo vive a suo modo. Il lettore viene portato da Kapuscinski nelle zone più
soffocanti del pianeta, facendogli dono dei propri dubbi e imbarazzi, delle proprie incomprensioni e
paure di fronte a ciò che non conosce ma che si presenta come l’unica realtà di quel momento.

Il dialogo con le Storie di Erodoto serve a Kapuscinski per universalizzare le sue esperienze e le sue
domande. Emerge così l’anima del viandante che si specchia in eserciti in disfatta, accampamenti in festa,
imperatori sul rogo. Una storia fatta di guerre e rivoluzioni, ma anche di incontri, di volti, di scoperte,
cercati con insaziabile curiosità e incrollabile fiducia nel prossimo, perchè “è solo a questo tipo di
persone che gli estranei svelano i propri segreti”.

E le descrizioni di Kapuscinski sono quelle di chi ha viaggiato senza le cinture di sicurezza dei viaggi tutto
compreso e diventano figure dell’anima di ogni uomo disposto ad incontrare il mondo.

Così, anche il lettore è interrogato sullo stato di salute del suo sguardo sulla realtà. Non c’è lettura
migliore per smentire il villaggio globale con cui spesso ci riempiamo la bocca. Se solo si esce dal mondo
bidimensionale raccontato alle poltrone davanti ai televisori, tutto è diversità. Quella diversità che rende
il mondo difficile, ma capace di stupire .

Potrebbero piacerti anche