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Jana Cern .

IN CULO OGGI NO.


e/o, Roma 1992.

Traduzione dal ceco di Alessio Cobianchi.


In appendice testi su Jana Cern
e “Beatnik a Praga” di Peppe Mauro Notturna.

Titolo originale: "Clarissa a jiné texty".


Copyright ¸ 1990 by Concordia nakladatelstvi & vydavatelstvi.

INDICE.

Prefazione.

Clarissa.
Ricordi di Janina.
Nel giardino del padre mio.
Lettera.

APPENDICE.
La lira nera.
Ricordo di Jana.
A proposito di "Clarissa".
Nota dell'editore ceco Concordia.
Bibliografia di Jana Cern .
Beatnik a Praga.

***

"The great artist of the future


will go underground"
Duchamp.

PREFAZIONE.

Probabilmente poche persone hanno avuto sin dalla più tenera infanzia una vita dura come Honza Krejcarov (1).
Meriterebbe certamente un biografo e una monografia, e una trasposizione cinematografica della sua vita avrebbe
sicuramente successo commerciale. Tuttavia è probabile che tutto ciò non si realizzi mai, giacché come tante altre
persone degne di ammirazione non si è lasciata dietro che frammenti minimi (trascurando ciò che ha scritto per puro
guadagno). Eppure per la generazione che esordiva sul finire degli anni Quaranta fu un personaggio magnetico - per
alcuni in senso positivo, per altri in senso negativo. Tra coloro che la accolsero come un fenomeno positivo per poi
non dimenticarla mai più ci sono sia Vladim¡r Boudn¡k che Karel Hynek e ovviamente Ivo Vodsed' lek e io. Visto che
siamo rimasti soltanto in due, dovremmo forse prendere in considerazione l'idea di raccogliere i ricordi e i
pettegolezzi a noi noti - prima che possa impossessarsene l'agiografia (giacché Honza in età avanzata si era fatta
battezzare e da allora è stata sinceramente cattolica). Ai frammenti della sua opera si potrebbero forse aggiungere non
solo i "Texty z terapie" (Testi dalla terapia) ma anche la corrispondenza, se ci si mette a cercarla subito e
intensamente: potrebbe aggiungere molti tratti che mancano nei materiali parziali a nostra disposizione, come il suo
patologico bisogno di mentire, con il quale pareva sublimare l'opera non scritta. E' morta troppo presto, a
cinquantadue anni, in un incidente stradale, prima che a noi o a lei fosse venuto in mente di scrivere delle memorie.
Ciò che di più notevole è rimasto - a parte l'impagabile esperienza del rapporto personale - è comunque legato alla
breve raccolta di poesie il cui titolo - che è una citazione da una canzone popolare francese - doveva ricordare l'incesto
col padre. Si tratta della raccolta che qui pubblichiamo insieme all'unico altro frammento di prosa conservatosi,
risalente agli anni della giovinezza, rimasto finora sconosciuto anche a molti suoi amici. "Clarissa" è uno scritto
biografico che parla di una situazione del tutto sconvolgente nella realtà, in particolare nelle condizioni storiche del
periodo a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta; la descrive con una specie di distacco nostalgico-erotico la cui
profonda poeticità, benché disturbata da una certa carenza di elaborazione formale, rimane una costante del testo. La
carenza di elaborazione formale è dovuta al fatto che il testo si è sviluppato (o si andava sviluppando) nelle condizioni
di vita incredibilmente difficili di una persona totalmente emarginata che senza casa, senza tessere alimentari, senza
lavoro e senza un soldo in tasca, viveva tra un breve soggiorno in carcere e l'altro pernottando in fogne o soffitte (o
eventualmente in qualche letto in cambio dei dovuti favori). E' significativa però anche la dimensione quasi filosofica
del testo che esprime non solo il sogno di un paria, ma anche la straordinaria reazione di un intellettuale di sinistra di
fronte al fiorire dello stalinismo in Boemia. La difesa della libertà dell'individuo da posizioni dichiaratamente
decadenti (qui tuttavia mediate soprattutto dallo studio indiretto del marchese De Sade) riapparve da allora più di una
volta in epoca stalinista e verrà riaffermata senz'altro sempre più spesso nel presente e nel prossimo futuro (2).

Egon Bondy
8 aprile 1990.

CLARISSA.

Premetto che questo libro è nato dalla nostalgia, o - se volete - dalla noia, che del resto è la stessa cosa, dal malumore
e dal capriccio, dall'insoddisfazione e dalla masturbazione. Ne avevo abbastanza di guardare la crescente perfezione
delle mie unghie, sognando le pose in cui accogliere gli amici borghesi.
Ciò detto sarebbe uno sbaglio pensare che si tratti di un libro esistenzialista - altra definizione inammissibile. Se i miei
sogni e desideri erotici per l'assenza di un amante sono giunti così lontano che viene scritto questo libro, non c'è in
questo niente di esistenzialista, la cosa è del tutto logica e riguarda la psicoanalisi, piuttosto che vuote acrobazie
sartriane di ozi insensati - anche in caso affermassimo che l'origine sia la stessa.

1.

Se diamo briglia sciolta alla nostra fantasia, dobbiamo ammettere che lo stile raffinato della decadenza, proprio
solamente - o soprattutto - della borghesia, richiede un notevole onere finanziario. Questo significa che già in partenza
tutti i nostri sogni sono sorretti da una quantità tale di mezzi che possono venir sottaciuti con discrezione, ma significa
pure che ci sono due strade per le quali si può evitare la mediocrità borghese. Una è la strada della perversione
rivoluzionaria, sicuramente interessante da un punto di vista (esclusivamente) scientifico; la seconda è la strada della
borghesia, i cui strumenti permettono di vivere tutte le disgrazie della sensitività in modo estetico, della borghesia alla
quale la morte viene con le unghie laccate e che il meteorismo per educazione evita. Il suo vomitare è languido e
avviene tra tappeti persiani e la sua defecazione può essere descritta per ore e ore giacché i suoi escrementi si
depositano in un vaso di porcellana decorata o di cristallo dorato. Confesso che, a parte qualche settimana di eclissi
della ragione, non mi è mai venuto in mente di scegliere strada diversa dalla seconda. Nel miglior spirito progressista
di cui sono capace, certo, e sottolineando al tempo stesso che tutti i miei tentativi di procacciarmi un sostegno
materiale sufficiente per la realizzazione della mia poesia sottilmente perversa erano determinati contemporaneamente
anche da un bisogno di assurdità totale. La tragedia stava nel fatto che per fare la rivoluzione ho le unghie troppo
lunghe e per realizzare sogni borghesi ho molte inclinazioni ma poco talento. Penso che se fossi nata nel ruolo di
Maria Antonietta avrei accelerato la rivoluzione francese di qualche anno. Come figlia di una giornalista progressista
e di un architetto surrealista posso solamente fregarmene di tutto ciò che ha anche solo odore di rivoluzione.

2.
Clarissa - poiché questo è il nome che mi perseguita già da molti mesi - è diventata piano piano un essere reale.
Coperta dalle pustole di alcuni miei pessimi testi, si è ripulita l'epidermide con i miei sogni sulla perversione erotica di
un amante di alcuni anni più giovane di me. La peluria del suo sesso è diventata una matura foresta, appiccicaticcia
ancora del sangue di una deflorazione precoce, permette ai bambini l'ingresso in luoghi altrimenti severamente vietati.
Clarissa, lasciandosi trasportare dal corpo del suo amante-bambino, bambino-amante, è diventata una creatura
fantomatica i cui segni di bellezza immaginaria confinano con una routine sessuale. Del resto il suo amante va preso
mortalmente sul serio - è infatti ancora un ragazzo - e, per il momento, non permette a Clarissa di ricordarglielo
troppo. Si vergogna della propria giovinezza e della goffaggine con la quale le tocca le spalle, ancora inconsapevole
del fatto che sono splendide. Del resto per ora non ama Clarissa, ama solo il proprio amore per lei, la ama
semplicemente in quanto lei è ciò che Picasso chiama “segno di donna”, è la sola cosa conoscibile per lui. Ce ne vorrà
ancora prima che conosca Clarissa e che si innamori del suo corpo e delle sue agili dita, dalle quali, intanto, si lascia
eccitare. Alla fin fine si vergogna anche della sua incapacità a eccitarsi e recita alla sua amante nel letto, notte dopo
notte, una commedia di tempestosi orgasmi.
Clarissa invece si è abbandonata a lui senza riserve e senza la solita freddezza. Lui è troppo giovane per non
affascinare, troppo fresco per non essere inebriante. Clarissa, all'epoca del resto preda dell'alcol, si inebria molto
facilmente del membro, le cui erezioni fanno intuire i primi turbamenti.
Battista - poiché così dentro di sé lo chiama - tenta di toccare i suoi seni con aria di uomo vissuto e il suo desiderio di
violentare arriva a fare di lui un amante attivo, lasciando che Clarissa compia la sua volontà - costringendola a
violentarlo di nuovo a sua volta.

3.

Quando dico che scelgo la via della supremazia borghese, pur avendo delle convinzioni progressiste, prendo questa
mia affermazione terribilmente sul serio e le spezzerei volentieri in anticipo, o almeno a posteriori, la punta di
sarcasmo alla Dal¡.
Significa infatti che niente mi fa più ribrezzo dell'insensata umanità dei fuoriusciti e dell'essenza di rinnegato della
Seconda internazionale, e che è possibile - almeno per me - vivere solo in sogno e il rapporto con la realtà mi spaventa
e riempie questo sogno di una sensazione di terrore, di paura e di spavento.
Il rapporto con la realtà, la famosa formula magica delle persone la cui attività sessuale si esaurisce in coiti col
preservativo e il cui intelletto riesce a contenere grossi dizionari enciclopedici e il diritto romano, persone che vi
chiedono della vostra salute solo se avete tossito o starnutito davanti a loro e il cui desiderio di poesia si esaurisce “al
di fuori della realtà”, cioè nel loro “privato”. Insomma persone che hanno riservato alla poesia una parte del proprio
tempo e se escono da Praga per una gita a Hradec Kr lové, ci arrivano per davvero, anche qualora si siano messi in
viaggio con l'amante o con un volume di versi.
Le odio, mi ripugnano queste persone risolute, che hanno riservato alla poesia una parte del proprio tempo, come a
qualsiasi altro hobby, per le quali quella pappetta diluita, senza sorprese, che spacciano per poesia, si limita alla
versificazione e all'incontro fortuito con una prostituta di notte, quando tornano dai locali notturni.
Le odio quanto le zollette di zucchero bagnate sull'orlo dei piattini del caffè, e a loro non chiedo mai che cosa hanno
sognato.

4.

Per poter comprendere Clarissa e Battista dobbiamo tornare un po' indietro, all'epoca in cui Battista, il cui inconscio si
rivolta contro Clarissa con tutta la forza dei suoi diciotto anni, parte con lei e con il suo quasi amante, amico di lui, per
uno di quei viaggi pittoreschi che Clarissa intraprendeva dopo il crollo dei suoi sogni sul presente surrealista.
Battista parte convinto che il suo amico sia veramente l'amante di Clarissa, o almeno credendosi abbastanza forte da
convincere se stesso di tale improbabile fatto. E' un viaggio straordinario e né Clarissa né Battista tentano di spogliarlo
del suo aspetto pittoresco. Al presunto amante è del resto riservato un ruolo molto importante - il ruolo di legittima
difesa di entrambe le parti. Giacché Battista tenta tra l'altro di rafforzare il proprio carattere o almeno di affermarlo nel
confronto con questo amico, i cui foruncoli e il cui triste naso destano in Clarissa una sincera repulsione. E' un viaggio
i cui giorni sono riempiti dall'attesa delle sere nelle stanze in comune e le cui notti sono segnate da splendide - benché
mai realizzate - fantasie sull'infilarsi nel letto, sui baci. Infatti questo è il passo più audace e in seguito non c'è mai più
bisogno di tanto coraggio come nell'attimo in cui vogliamo per la prima volta baciare la nostra amante. E' un viaggio
durante il quale Clarissa e Battista con la loro appendice pittoresca vengono a trovarsi in situazioni analoghe a quelle
di Al¡ nel paese delle meraviglie e di Hermina, amica del Lupo della steppa. E questa appendice che si chiama amico
dell'amante e amante dell'amante, finisce in maniera ingloriosa come il ghiro che fu alla fine infilato nella teiera, nel
momento in cui nel grembo di Clarissa cade una rosa di plastica, sotto la luna elettrica della periferia della città
interna. Nel momento in cui Battista prende la decisione di sfruttare la prima occasione che si offrirà e baciare
Clarissa.

5.

Può esserci qualcosa di più triste dell'attimo in cui baciate il vostro amante? E' sciocco e insensato, banale e magico,
ma è soprattutto terribilmente triste.
Il primo bacio dato a un nuovo amante ha sempre avuto per me il sapore dei baci di mio padre quando mia madre non
era a casa. E' incestuoso e sembra non avrà sviluppi. E' sempre la ripetizione della sensazione vissuta quando il mio
primo amante ha intriso del sangue della mia deflorazione un fazzoletto bianco e io molto stupita, un po' dispiaciuta,
pur provando un certo orgoglio - gli ho chiesto: “Allora non sono più vergine?”. E lui con lo stesso dispiacere ma ben
altro orgoglio mi ha risposto: “No, adesso sei la mia amante”. Poi siamo restati entrambi tristi a lungo e ci
consolavamo dicendo che stavamo molto bene e che ci amavamo molto.

6.

La prima notte che Clarissa e Battista passarono insieme significò per entrambi una certa svolta.
Nella mansarda di Clarissa, in uno di quei locali di periferia poetici per la vista che si godeva e prosaici per il
riscaldamento centralizzato, nel periodo in cui Clarissa aveva già staccato dalle pareti tutti i quadri nel presentimento
di una prossima fine di quella cameretta, che lasciava in un disordine inimmaginabile, in questo periodo e in presenza
di Battista e dell'amante il cui amore era necessariamente toccante e non ricambiato, Clarissa invitò Battista, dandogli
cerimoniosamente del voi, a distendersi accanto a lei sul letto. E Battista, che altre volte era così imbarazzato e
prudente in presenza dell'amante, accettò l'offerta soltanto con quel poco di resistenza che gli garantiva di essere
sedotto e con quella dose di disponibilità che gli garantiva che tale seduzione avveniva per sua volontà.
Mai si era trovato, finora, in una situazione la cui pittoresca stravaganza fosse così ovvia, e la cui ovvietà promettesse
tanta stravaganza pittoresca.
Siccome si coricarono al buio, Clarissa poté sorridere al proprio amante senza che lui capisse che sorrideva di lui. Del
resto continuava a non sentirsi sicura, visto che il carattere ambiguo di Battista non garantiva neanche quel bacio di
cui lei era convinta.

7.

Durò un tempo infinitamente lungo il movimento della mano di Battista verso Clarissa e fu un cammino interminabile
quello che a quel punto aveva percorso. C'erano in esso tutte le future menzogne e le verità passate, c'erano la carezza
e la ferita - ignorava fino all'ultimo momento se avrebbe colpito o accarezzato Clarissa. E forse, se fosse stato sicuro
che Clarissa avrebbe urlato, forse l'avrebbe colpita. Finalmente chiese a Clarissa di prestargli la mano e si chinò su di
lei maldestramente e con le labbra chiuse, come se si volesse difendere. Non era del resto il suo primo bacio e neppure
sarebbe stato il suo primo orgasmo.
In più l'esperienza di Clarissa gli garantiva in anticipo il perdono e la concezione rivoluzionaria che aveva lei del
carattere gli permetteva di difendersi con tutti i mezzi con la scusa che non era il primo a essere attaccato.
Effettivamente non lo era.

8.

Se uso anche troppo spesso la parola ambivalenza è innanzitutto perché non conosco nessun apice che non contenga in
sé - almeno a livello latente - tale strana sensazione.
D'altro canto è dietro lo scudo dell'ambivalenza che commettono tutti i propri delitti quegli individui nevrotici ai quali
il bisogno di mentire impedisce ogni comportamento non criminale. Occorre però rendersi conto che il delitto va
inteso esclusivamente come atto commesso per eccesso di forza - benché venga in genere commesso per debolezza.
Oserei tracciare questo confine con una certa precisione e devo dire che poche cose mi repellono come la debolezza.
La debolezza degli esseri i cui amori e le cui convinzioni politiche hanno bisogno di essere protetti dal marchio della
legge, esseri che lasciano risolvere le divergenze tra le proprie convinzioni e l'opinione stabilita dello stato
dall'intervento di radio e polizia.
La debolezza, che costringe a ingannare gli ingenui e vincere sui forti.
Poiché essa è la sola forza che ha diritto di vincere sulla forza, il solo soggetto che ha il diritto di sopraffare il soggetto
di un altro.

9.

Queste verità ovvie che permettono di muoversi proprio al limite del vulcano e di mantenersi in equilibrio sul suo orlo
affascinante, non erano all'epoca note a Battista.
Sapeva una cosa sola, che doveva sopraffare Clarissa senza rinunciare al piacere di venir sedotto e che non doveva
restare fedele agli ideali che pian piano scopriva menzogneri.
Dopo la notte in cui per la prima volta baciò Clarissa e la baciò solamente - sembrava che tutto cominciasse a crollare.
L'amante era diventato segugio e delatore, la spia della polizia diventava piano piano amante. Crudele metamorfosi.
Non rimaneva che mentire a Clarissa, non rimaneva che consegnare il segreto del primo amplesso come le chiavi del
suo appartamento e i suoi sogni.
A Battista veniva a mancare il terreno sotto i piedi. Non voleva avere niente a che fare con ciò che possiamo chiamare
la mancanza di carattere di Clarissa e la sua amoralità, e per prendere bene le distanze, lasciato il suo grembo andava
dritto al commissariato. Aveva venduto la sua anarchia per un tozzo di onore e il suo onore per un bacio dell'amante.
Sosteneva con Clarissa che lei era la sua prima amante e Clarissa gli credeva. Gli credeva del resto praticamente su
tutto. Gli mentiva solo in quelle cose che ci affascinano e che non riguardano nient'altro che noi stessi e giacché
desiderava che Battista le credesse, lei stessa gli credeva. Credeva al suo distacco da norme morali che lei stessa non
osservava e credeva ai suoi orgasmi.
E durò molte e molte ore, durò giorni e notti nelle quali Battista arrivava e stringeva le spalle di Clarissa rendendosi
conto sempre più che erano belle.
Clarissa infine si decise a un altro dei suoi folli viaggi verso l'ignoto e portò Battista con sé.

10.

“Non ti bacerò, se non ne avrò voglia. Non mi sedurrai”. Povero Battista. Quanto se l'andava a cercare la seduzione. E
com'era infelice quando cedeva. Povero e debole, poiché nemmeno di cedere fu capace. Anche dopo questa resa folle
gli rimasero forze sufficienti per consegnare xxxxx (1) di Clarissa alla propria famiglia e alla polizia.

11.

Al ritorno da questa gita insensata il rapporto tra i due amanti si fece ancora più strano. Battista divenne sospettoso nei
confronti di Clarissa, cercando contemporaneamente e invano di rassicurare se stesso e lei che tutto era perfettamente
in ordine. Con i propri sogni sulla bellezza di lei aveva spinto Clarissa oltre il limite della legge e, pur essendo lui il
delatore, tenta all'ultimo momento di salvare il salvabile. Perché due cose lei non dovrà mai sapere: che ha tentato di
consegnarla alla legge e che prima di lei ha avuto un'amante che non amava. E in questa folle situazione Clarissa ama
sempre più Battista, Battista che non conosce e del quale si è fatta un'immagine che corrisponde molto poco alla
realtà. Clarissa infatti - benché non lo ammetta - ama il carattere di Battista, ama il suo collo e la sua anarchia. Del
resto il collo di Battista è abbastanza seducente da convincere un'amante di tutto il resto. Anche di essere amata, alla
fin fine.

12.
Devo dire che l'amoralità ha per me un valore solo quando è artisticamente perfetta, l'art-pour-1'artista e necessaria.
Dal momento in cui è posta al servizio dell'autodifesa, rientra nella psicologia del profondo e diventa questione
leggermente penosa.

13.

Clarissa e Battista attraversano un nuovo periodo del loro rapporto che del resto cambia ogni ora e al quale la madre di
Battista dà eroicamente un carattere incestuoso.
Intorno a Clarissa si accumulano gli intrighi e le membra di Battista, si avvicendano i locali dove si beve vino e i taxi,
il lusso delle stoffe colorate e delle unghie rosse e dei suicidi... e delle bugie.
In mezzo a tutto ciò - e forse per la prima volta quasi in buona fede - Battista assicura Clarissa del suo amore. Ed
essendo comunque un po' imbarazzato, lo fa su un pezzetto di carta laccata. D'altronde dopo i giorni passati, si sente
troppo insicuro. Continua ad affermare con i suoi amici l'insensatezza del rapporto e la sua inconsistenza.
Clarissa apprende poco a poco gli intrighi del suo amante. Diventa quasi saggia - Battista ha finito per diventarle
abbastanza gradevole.

RICORDI DI JANINA.

Cara Janichka,
quella volta di sera quando mi hai letto queste tue sensazioni non riuscivo a capire così a fondo le tue impressioni, il
mio orizzonte era più ristretto allora, solo oggi riesco a spiegarmi più di una parola scritta dalla tua mano.
Allora non riuscivo a intendere, oggi però ho capito.
"Diario di Janina" (scritto in una pensione)

Cara Janichka,
ti prego, non arrabbiarti, questo triste diario della tua vita, dei tuoi ricordi della tua esperienza delle tue impressioni e
sensazioni, mi sono permessa di leggerlo senza il tuo permesso in questa situazione in cui tanta nostalgia avevo di te
ed ero triste.
La tua amica (firma illeggibile)

NEL GIARDINO DEL PADRE MIO.

Andremo a cavalluccio
come quand'eravamo piccoli
come quand'eravamo grandi

Volare dentro un aeroplano


Volare dentro un letto

Non chiavo volentieri all'aria aperta


non mi riesce di allargare le gambe

E poi mi ci strusciano sopra i bruchi

Su questo modo di chiavare uscirà un


numero speciale dell'edizione della sera
su Lidové noviny ne tratterà un articolo di fondo
che avrà per titolo Fatelo come me
*

La scarpetta di cenerentola calza a pennello

Anche la mia fica


ma solo a qualcuno

Non però a uno solo


a te starebbe senz'altro bene

Le fiche si cuciono su misura


e al sarto gli si dice
Mi ci metta una fodera di seta
e non metta bottoni
tanto la porterò slacciata

Si cuciono quindi così


come la biancheria da uomo

Mi puoi leccare il culo


se la cosa ti arreca piacere

A me del resto pure

E' venuto con i dolci capelli pettinati come un fanciullo


e abbiamo giocato a mamma e papà

Il papa però non era lui


e allora sono andata dal dottore

Fosse stato lui


ci sarei del resto andata lo stesso

Io gli dicevo fanciullo


mentre si muoveva al ritmo della marcia funebre
di una sonata di Chopin

E' stata una cosa allegra

Ma più allegra è stata '


con Alla turca di Mozart
perché era da dietro

Se tu non fossi un buono a nulla


faresti lo stesso

Di mio marito non devi aver paura


è della tua stessa scuola

*
Giocavano tirandosi il glande
e le ghiande

Tiriamoceli anche noi

Ma attenzione
se mi prendi nella fica
partorirei un glande

Poi non avrei più bisogno di te


Sarebbe triste
E le lacrime gocciolerebbero in grembo

In culo oggi no
mi fa male

E poi vorrei prima chiacchierare un po' con te


perché ho stima del tuo intelletto ,

Si può supporre
che sia sufficiente
per chiavare in direzione della stratosfera

21-12-1948

LETTERA.

Caro, caro, caro e insomma, ecco,


dunque, per quel che ne so, ho preso in prestito questa macchina per poter assicurare, scrivendo, la base materiale di
sussistenza per i bambini, per noi, insomma per tutti, e adesso invece eccomi qui a scrivere una lettera d'amore - c'è
qualcosa da qualche parte che non funziona - o forse al contrario tutto è in perfetto ordine, solo che poi è una
situazione di merda in un altro senso, e quindi non c'è scelta.
Sento però i Tuoi baci ancora sulle labbra - dirla in modo più banale forse neanche si può, ma è così e io sono già
abbastanza in là con gli anni per non dover evitare le banalità. Abbastanza in là con gli anni e abbastanza innamorata -
perché oltre a tutto ciò di cui abbiamo parlato e che riguarda noi, sono anche innamorata - lo scopro alla mia età con
uno stupore un po' divertito, ma siccome il mondo davvero non è credibile neanche un po', lo prendo come un dato di
fatto. Prendila così anche tu. Se avessi la tendenza a drammatizzare le cose, diventerei fatalista e sarei convinta che in
questo rapporto c'è qualcosa di predestinato, ma fatalista non sono e così mi dico solo che Dio è potente e sia fatta la
sua volontà - soprattutto se corrisponde così perfettamente a ciò che mi fa piacere.
Uno spettatore non partecipe potrebbe dire che se non ci fossimo conosciuti, ci saremmo potuti risparmiare svariate
cose, io però non avrei voluto risparmiarmi neanche una delle nostre situazioni incasinate, neanche le cose cattive - o
apparentemente cattive - mi sarei voluta risparmiare - è anche per questo forse che non mi hanno risparmiato, che Dio
ne sia lodato.
Dici che non mi piace il Tuo sentimentalismo - Ti sbagli di grosso, tesoro, Ti sbagli davvero di grosso. Mi piace molto
e ne ho bisogno, solo che ho avuto bisogno anche di molti anni per poterci credere. Oggi lo voglio, non perché io
abbia scoperto un particolare gusto per il sentimentalismo, ma perché proviene da Te, è semplicemente parte di Te,
parte di noi.
Non ho mai avuto una tendenza particolare a mantenere un atteggiamento ragionevole, forse semplicemente perché
ragionevole non lo sono per niente, o forse dipende dal fatto che provo nei confronti degli atteggiamenti sani e
ragionevoli una ripugnanza quasi fisica. Se e quando nella vita ho combinato qualcosa di cui vergognarmi, sono
sempre state cose che ho combinato per voler essere ragionevole. No grazie, difendetemi dalla peste, dal tifo e dalla
ragionevolezza, ragionevolezza sono i manifesti contro l'alcolismo e gli stati centralisti, ragionevolezza sono i
preservativi e i televisori, ragionevolezza è la poesia sterile che è al servizio di un ideale positivo, risparmiatemi per
carità la ragionevolezza, con la mia vitalità sono in grado di sopportare più di chiunque altro, ma di ragionevolezza
potrei morire entro una settimana della morte più triste che esista, la ragionevolezza liquida dentro di me tutto ciò che
in me abbia un senso, la ragionevolezza mi priva della potenza, di qualsiasi potenza, da quella erotica a quella
intellettuale. Mi si creda quindi quando dico che non la ragionevolezza mi induce a pensare che, se staremo insieme,
sarà così solo in seguito a una riflessione veramente libera. Ma proprio perché non ho neanche un pizzico di questa
oscura qualità, così altamente stimata e riverita in questo mondo irrazionale (è peraltro piuttosto stupefacente come
questo mondo irrazionale si basi sulla propria ragionevolezza), proprio per questo quindi non sono in grado di pormi
alcun limite, non voglio pormelo. Non è parte del mio mondo. Se sento il Tuo bacio, voglio essere baciata ancora e
penso che vada bene così.
In questo periodo sono stata molte volte felice con Te - solo lo sono sempre di più, non è normale, ma continua a
crescere, penso di non essere mai stata così felice come oggi, così felice come passando per la spianata di Letn ,
facendo spese, telefonando dalla posta con la certezza che mi stai aspettando, dopo essere andata via da Holeshovice,
quando non riuscivo a staccarmi da te e sapevo che Tu non riuscivi a staccarti da me, in birreria, dove eravamo andati
con la scusa di una birra e di una limonata, in tram, nel momento in cui mi salutavi con la mano, forse sono matta e
forse sono io questa volta a essere insopportabilmente “sentimentale”, ma non ci posso fare niente, per tutto questo
tempo sono stata follemente e spensieratamente e tranquillamente e splendidamente felice. E lo sono anche adesso
nonostante Tu non sia qui e nonostante che se Tu fossi qui, starei a scrivere la mia novella e Tu staresti seduto di
fronte o accanto o in qualsiasi altro posto, ti occuperesti delle tue cose e sarebbe bene, sarebbe ottimo e sarebbe
veramente un essere a casa, così come mi immagino l'essere a casa e come lo voglio e ne ho bisogno.
Ma nonostante non sia così e nonostante Tu sia da qualche parte spaventosamente via, nonostante ciò sono felice,
soltanto che non sono potuta rientrare a casa e cominciare a trafficare come se niente fosse, giusto per fare qualcosa,
così ho cominciato a scrivere una lettera che non ha nessuno scopo né senso, con la quale non voglio dire nulla né
risolvere nulla, penso proprio di non doverlo spiegare, lo capirai senz'altro e non Ti darà fastidio. Ci troveremo
probabilmente ancora spesso nella situazione di dover decidere qualche cosa, e va bene, non si riesce a evitarlo
neanche nel socialismo. Probabilmente spesso saremo però anche nella situazione in cui faremo le cose solo così, per
la gioia di farle, per una sensazione di felicità o chissà per che diavolo di ragione, insomma proprio così come sto
scrivendo ora. Non puoi sapere quanto sono orgogliosa (è una tendenza che ho sempre avuto, come forse sai), né puoi
sapere come sono infinitamente orgogliosa del fatto di averTi, del fatto che mi ami (perché credo che Tu mi ami) del
fatto che Ti amo io, di come sei e di chi sei. Dico sul serio, Zbynek, molto più sul serio di quel che riesci a
immaginare. Dire che Ti stimo sarebbe sì la verità, ma non tutta la verità, solo un pezzetto. Ma è ancora diverso, è la
sicurezza della Tua irripetibile eccezionalità a essere la fonte del mio orgoglio. Non ammiro il Tuo intelletto, lo
considero ovvio, quello va bene. Ma quello che mi eccita quasi fisicamente è la fantastica miscela di intelletto e
irrazionalità logica fino al delirio, quella poesia filosofica, quella filosofia poetica della quale abbiamo parlato un po'
oggi, la cui portata va molto più lontano, oltre i limiti di ciò di cui abbiamo parlato oggi. Perché in realtà non esistono
le due cose una accanto all'altra - la filosofia e la poesia - in realtà, è dalla loro unione che si forma un terza cosa il cui
valore non è oggi ancora comprensibile. Non c'è errore più grande della tua paura della ciarlataneria, anche se è del
tutto comprensibile. Nasce dal pregiudizio che sostiene che la filosofia è il risultato tedioso dell'erudizione e la poesia
un lavoro diligente atto a costruire il ruolo ereditario della nazione. Né l'una né l'altra cosa corrisponde a verità, la
filosofia erudita è infatti buona in ambito accademico e per i cervelli sterili della gente che in essa cerca la
giustificazione della propria nullità e la poesia laboriosa è una affaticata assurdità per antologie di lettura, una
affaticata assurdità per eccitare le insegnanti di economia domestica che tentano così di addolcire il proprio destino,
peraltro abbastanza amaro.
Posso capire che non è facile liberarsi di questi pregiudizi, ma ciò nonostante vorrei dirTi che liberarTene è un dovere
per Te; altrimenti diventerebbero una palla al piede che Ti inchioderebbe alla schiavitù dell'essere servo, infatti essi
determinano la dipendenza e la relazione con cose con le quali poesia e filosofia non possono avere a che fare. Tali
pregiudizi sono infatti solo a un passo dall'idea che la filosofia deve avere un'utilità e che la poesia deve rendere felici,
a un passo dalla terrificante situazione in cui entrambe perdono il senso che hanno di per sé e si comincia ad
attribuirgli mille sensi differenti, cominciano a inquinarsi di quel servilismo di cui parlo, e che è la peste di questo
secolo e forse di molti secoli del passato. Cominciano a inquinarsi in modo tale che in ultimo perdono definitivamente
qualsiasi senso. Chissà per che diavolo la maggior parte della gente che si occupa di produrre poesia pensa che essa
debba servire a qualcuno o a qualcosa, perché questa gente va a cacciarsi in una situazione assurda a tal punto che
scrive per persone delle quali non gli importa nulla, e alle quali con i soldi guadagnati non offrirebbe neanche un
bicchierino di rum, ma che tuttavia vogliono a tutti i costi rendere felici con i propri elaborati. Grazie a questo stato di
cose, da una parte si guasta la poesia e dall'altra ne vengono guastati con una insistenza degna di miglior causa i
beneficiari, ai quali viene inculcato a forza nella testa che la poesia, creata da uno con il quale non resisterebbero allo
stesso tavolo neanche mezz'ora, questa poesia procurerà loro sensazioni inattese e la felicità stracotta e distillata di una
emozione culturale.
La filosofia finisce anche peggio: se la poesia in questo modo diventa una serva, la filosofia diventa una ragazza di
buona famiglia proletarizzata, la quale si è messa a fare la donna di servizio, cosa che peraltro non sa fare, ma in
compenso ci guadagna un buon profilo quadri.
Da una parte le si richiedono una noia e una indigeribilità tali, che una persona perbene non è in grado di consumarla
senza sentirsi imbarazzata; la può trovare eccitante solo un professore universitario, impegnato a verificare che i soldi
spesi per la sua istruzione non sono stati spesi invano; la cosa è particolarmente esaltante per i ragazzi di famiglia
povera che ce l'hanno fatta, e il tutto sa di commoventi immagini di mamme che mantengono agli studi i figli pieni di
talento lavando mutandoni militari. D'altra parte si vuole dalla filosofia che giustifichi e sopporti tutto il peso
dell'imbecillità umana, sulla sua base vengono costruiti gli Stati e viene utilizzata come scopetta per la pulizia delle
latrine, deve servire da giustificazione per l'arresto di ministri e per l'aumento del prezzo del burro, e lo deve fare con
persone che non sono capaci né disposte a comprendere uno solo dei suoi postulati. Non ne sono capaci perché sono
ignoranti, è un circolo vizioso che genera altri orrori ancora, per esempio la spocchiosa sensazione di superiorità e di
potere di coloro che pensano erroneamente di aver capito qualcosa. Ogni cretino medio, che solo per puro caso non fa
il contabile e non sta conteggiando stipendi per favorire il bene superiore dello Stato, solamente perché possiede un
grammo di cervello, che usa d'altronde esclusivamente per riempire questa testa grandiosa dì sconfinate nozioni - in
parte inutili e in parte per tale testa inutilizzabili - ogni cretino medio del genere ha la fissazione di dover essere lui a
governare il mondo, che diventerebbe subito “un mondo migliore”, basta che gli diate in mano qualche chilo di
letteratura filosofica e vedrete come ve lo combina, il mondo.
Per fortuna Dio è veramente potente e la filosofia è di pessima famiglia, anche se ci si è pur sempre riusciti a fare
parecchio danno.
Sta di fatto che in realtà ogni postulato filosofico ha senso di per se stesso e ogni definizione poetica è un oggetto di
valore che non è necessario valorizzare ulteriormente dandogli un fine. Ed ecco quello che volevo dire: che la vera
ciarlataneria non è quella che eserciti tu, vera ciarlataneria sono le scuole dalle quali escono filosofi laureati, gente con
il brevetto per pensare filosofia - che razza di assurdità mostruosa e disumana è quella di esaminare qualcuno su
quanto sa del contenuto di un numero x di manuali e laurearlo di conseguenza in filosofia, di che razza di follia si
tratta, signoreiddioonnipotente, che ti mozza il fiato e ti costringe in isteriche convulsioni di risa e di spavento
disperato e di paura! Non ha in comune con la filosofia neanche quello che ho io con una casalinga esemplare, è
qualche cosa da cui bisogna isolarsi per principio e totalmente, neanche una delle verità scoperte da costoro può infatti
essere accettata, è stata scoperta in un contesto in cui non può essere vera neanche lo fosse, se riesci a capirmi.
In una delle Tue lettere scrivi che il Tuo lavoro filosofico lo hai svolto in giro per birrerie, in compagnia della mia
fica, nella disperazione, nel cinismo e nell'infamia, dappertutto ma non nelle biblioteche. Non è proprio così, ma lo è
in buona misura, lo è insomma senz'altro, senza badare al fatto se durante quel periodo Tu sia stato qualche volta
anche in biblioteca. Grazie a questo il Tuo lavoro è quello che è, e così è servito anche a fini diversi da quelli
puramente filosofici, il che può essere un punto di partenza su cui è possibile costruire. Non credo e non riuscirò mai a
credere che in filosofia sia possibile raggiungere qualcosa per una via arida, per la via dell'erudizione, per la via del
lustro nozionismo. Per la miseria, cosa c'è di più eccitante della filosofia, chi può combinare qualcosa in filosofia se
avrà da essa escluso questa orgiastica eccitazione, vorrei proprio vederlo. Assomiglia a uno scopare esercitato con
pillole perfettamente disinfettate e non dannose alla salute - solamente che la filosofia non è scevra dall'essere dannosa
alla salute e non è possibile esercitarla in questo modo. LiberaTi per cortesia del trauma che Ti viene dal fatto che la
Tua filosofia non è abbastanza noiosa da diventare ornamento delle biblioteche accademiche, questa è una sua qualità,
non un suo difetto e soprattutto è la sua maggiore speranza, non permettere Ti prego che questa speranza venga
affogata dalle stille di un erudito sudore! Hai ricevuto da Dio dei doni che pochi altri hanno, dove prendi l'impudenza
di considerarli una fonte di complessi e dove prendi il coraggio di volerTene sbarazzare solo per il fatto che qualche
imbecille, di quei doni privo, ha qualcosa che si permette di chiamare opinione, e per giunta un'opinione distinta da Te
- non dalla Tua opinione, ma da Te, mi capisci? Se per ora hai avuto bisogno di produrre la Tua filosofia in giro per
birrerie, ne è risultato che va bene così. Perché allora quel convulso bisogno di fatica e di erudizione? Se questo
bisogno diverrà un giorno davvero spontaneo allora sia, uno dei doni che in parte hai e in parte hai pagato e riscattato
a caro prezzo è proprio questa armonia tra bisogno e senso. Significa che in genere hai sentito il bisogno di fare cose
che hanno senso, anche se nel momento dato è un senso del quale addirittura non sei a conoscenza, ovvero che si
manifesta solo dopo un po' di tempo, qualche volta perfino dopo molto tempo. FidaTi di questo dono, rendine grazie
al Signoreiddio a ogni piè sospinto e non restituirglielo coperto dal vomito degli spasimi e della laboriosità, non per
questo Te lo ha dato. Potrebbe darTi ascolto e levarTelo, io ci andrei piano, fossi in te, con i doni non si gioca
d'azzardo in questo modo, tesoro. Perdonami, non voglio essere né volgare né impertinente, ma senz'altro mi capisci,
sai bene perché lo scrivo e a cosa penso.
Fidati un po' del Buon Dio, lui sa quel che fa, e fidaTi anche un po' di Te stesso, la carenza di consapevolezza dei
propri mezzi e la sottovalutazione delle proprie possibilità è infatti uno dei peccati mortali, veramente e letteralmente
mortali, dei peccati dei quali si muore. Forse anche più che di sopravvalutazione. Devi infatti essere cosciente delle
Tue possibilità, già semplicemente perché Tu possa utilizzarle, perché Tu riesca a farci ciò per cui Ti sono state date.
Sarebbe abbastanza difficile un giorno rendere conto del fatto che Ti sei fatto accecare da una cosa così dubbia come i
complessi. In questo senso infatti la modestia non è una virtù, in questo senso la modestia è nel migliore dei casi una
stupidità, però questo veramente nel migliore dei casi. Ti è stata data una fantasia quasi fantastica - cosa che non si
può sostituire leggendo letteratura più o meno buona - (da qualche parte ho trovato una frase incantevole secondo cui
la fantasia è qualcosa che certa gente non riesce neanche a immaginarsi), una fantasia che Ti dà un vantaggio di
svariate miglia. Una fantasia che è terreno di coltura per la poesia e per la filosofia, e terreno di coltura per ciò che per
ora non so nominare, e cioè per quella cosa che si forma come composto omogeneo di entrambe. La cosa peggiore
sarebbe bardare e imbrigliare questa fantasia con gli assiomi dei dizionari di filosofia. Chiuderla ben bene a chiave in
una stanza perché non Ti disturbi nel lavoro che stai facendo nella stanza accanto. Se c'è una reale e concreta speranza
che Tu maturi un frutto (e c'è), succederà solo se in esso sarai contenuto tutto intero, con i calzini, il rifiuto per le
biblioteche, la barba, la birra, la fantasia, l'intelletto, l'uccello, con tutto quanto. Niente mi eccita più della speranza in
un'opera che nascerà in diretta dipendenza da tutte queste cose, la speranza in un'opera dalla quale niente verrà
eliminato, la speranza in un'opera non censurata, cruda, crudele e mostruosa, ma assoluta. Un'opera che non sarà non
dannosa alla salute, che dopo averla consumata farà vomitare e farà cacare, che dopo averla consumata farà venire allo
stesso tempo un senso di felicità e un senso di terrore, un'opera che non avrà limiti e che non permetterà che limiti le
vengano imposti, mai e da nessuno. E di niente sono così convinta come del fatto che tale frutto lo darai in tutta la sua
dolcezza e convulsione orgasmica. Ma è proprio per questo che non voglio che Tu ne allontani la maturazione con dei
pregiudizi che sono di un altro mondo e non del nostro. Ecco perché scrivo tutto questo, e se posso in qualche modo
aiutare a partorire tale frutto, se posso aiutare con il mio tepore a farlo maturare (e io lo voglio molto), è proprio che
col distacco che ho io posso urlare ad alta voce non appena nella sua perfezione, nella sua assolutezza, compare
un'ombra o un difetto. Nessuna puttanata che potrai fare, nessuna assurdità e nessun delitto che commetterai, è un
difetto. Ma la meschinità lo è, e i complessi e il sottovalutarsi sono meschinità, questo lo sappiamo tutti e due.
Capiscimi bene, tesoro, è tutto indissolubilmente legato, il fatto che Ti amo e voglio venire a letto con Te col fatto che
sono attaccata al Tuo lavoro, difficile dire quanto, nell'eccitazione che mi procuri, è dovuto al Tuo corpo che conosco
così intimamente e quanto a uno qualsiasi dei nostri dibattiti, è davvero difficile dirlo, posso parlare con Te di filosofia
a letto e mi si mette la fica sull'attenti se ne parliamo a tavola, non è proprio possibile separare e astrarre una cosa
dall'altra. Voglio passare con Te ore e ore a chiacchierare per poter venire a letto con Te e voglio scopare con Te per
arrivare a ore e ore di conversazione, voglio, anzi devo sapere che sia l'andare a letto sia le ore passate a chiacchierare
hanno a che vedere col Tuo lavoro, tutto ciò non avrebbe senso se quel legame non fosse così stretto, così forte e così
intrecciato come me lo immagino. Forse un giorno arriveremo al punto che staremo veramente insieme in tutto e per
tutto, e sarà più che felicità, ma scapperò immediatamente non appena si perderà questo unico senso vero e concreto,
scappo via e mi prendo per marito un ingegnere con la Skoda perché a quel punto sarebbe esattamente lo stesso.
E devo sapere sempre tutto di Te, amore mio, ricordaTelo, devo sapere tutto, senza riserve. Non ho bisogno di sapere
che cosa hai fatto che sei stato una settimana via da casa, non devo sapere perché hai fatto tardi a cena e sei arrivato
così sbronzo che Ti hanno dovuto portare a braccia, di questo posso fare benissimo a meno. Devo però sapere che
cos'è che ha portato a tutto ciò e al contrario cos'è che l'ha portato via, devo sapere tutto ciò che è sostanziale. Non
sono hussita e non credo alla veridicità mia come non credo alla Tua, cioè alla veridicità così come è di solito
concepita nella convivenza tra due persone: “Avevi detto che tornavi alle due e sei tornato alle otto e per giunta la
settimana dopo, adesso mi dici immediatamente chi è la puttana che ti ha allontanato dal focolare domestico!”, e lui
dice che non è stata una puttana ma il compagno direttore che aveva l'onomastico e “devi ammettere, tesoro, che non
potevo dirgli di no!”, cosa che lei ammette fino a quando qualcuno non le dice che la puttana aveva i capelli biondi e
le gambe storte, dopodiché segue la scena strappalacrime “come hai potuto!” e la riconciliazione a letto, che ha per
conseguenza da una parte la proliferazione della famiglia e dall'altra una nuova puttana, questa volta coi capelli neri.
Basta così, di questo posso veramente fare a meno.
Devo però sempre sapere che comunichi con me le cose fondamentali fino al limite in cui sono ancora comunicabili, e
forse anche un pezzetto più in là. E non perché io lo voglia, e neanche perché Tu stesso ne senti il bisogno, bensì
perché Ti serve, perché hai la sensazione e la coscienza che un contatto così stretto fa parte di Te, quindi anche del
Tuo lavoro e che è creativo. Devo saperlo per trovare il coraggio di stare con Te, per assicurarmi che ne ho il diritto,
capisci?
Ti amo davvero immensamente - la parola amo è un po' assurda in questo caso perché si tratta di qualcosa di diverso,
mi sento legata a Te con tutto ciò che è proprio della mia persona e questo è ancora diverso dall'amare - ma proprio
perciò nel nostro rapporto sono completamente libera e posso non liquidarlo, ma liquidarne la realizzazione non
appena per mezzo di tale realizzazione dovesse cadere al banale livello delle bestialità matrimoniali, commesse contro
l'animo e il corpo. E proprio per questo sono dotata della sensibilità per distinguere ciò che è buono da ciò che è
cattivo.
Vorrei che Tu avessi di me una sicurezza totale, sai? E anche qui, non l'imbecille sicurezza coniugale, quella non ci
interessa e qualche volta me la rido allegramente dicendomi che c'è da aver paura che proprio quella sicurezza ci
caschi in grembo contro ogni presupposto, non sia mai che un giorno scopriamo divertiti di essere reciprocamente
fedeli fino al midollo soltanto per il fatto che tutto il resto ha perso ogni attrattiva e impallidisce davanti alla
possibilità di possederci a vicenda. Ma non è questo il punto.
Vorrei Tu fossi sicuro che Ti appartengo senza riserve, che cioè non farei nulla e non penserei nulla che non sia in
qualche modo legata a Te o che ti possa mettere in pericolo. Vorrei - e lo vorrei per la prima volta nella vita - che da
me Tu Ti sentissi al sicuro. Sicuro allo stesso modo come mi sento io vicino a Te, tanto più che non si deve trattare di
una sicurezza impersonale rispetto a chissà che, al mio intelletto o al mio modo di vivere, vorrei che si trattasse di una
sicurezza che riguarda solo Te e c'è solo per Te, la sicurezza di un'inalterabile fiducia e di una inviolabile confidenza.
Lo voglio, come ho già scritto, per la prima volta nella vita, non l'ho mai voluto per nessuno e per tutti questi anni non
ho saputo mai volerlo per Te. Oltre alle cose materiali di cui abbiamo già parlato, considero questa mia incapacità nel
passato come una delle cause dei nostri guai, ci ho pensato molto negli ultimi tempi e penso di non sbagliarmi.
Bisogna saper amare, io l'ho imparato a un prezzo piuttosto alto, non so se bene ma una cosa la so di sicuro, e cioè che
a questo prezzo e durante questo periodo sono riuscita a capire che cos'è in realtà amare qualcuno e che sei il solo
uomo col quale posso avere un rapporto degno di questo nome profanato e banale ma ciononostante preciso e chiaro.
Volevo parlarTene un po' durante la giornata di oggi ma non riuscivo a sputare il rospo, non ho paura della banalità e
non ho timore dei paroloni se sono appropriati, ma ero troppo intensamente presa dal nostro incontro per poter parlare
più di tanto.
Mi è appena venuto in mente che forse tutto ciò è un po' incomprensibile, Tu però probabilmente riuscirai a capirmi.
In qualche modo, solo nei nostri ultimi incontri si sono dissolti i resti di "Stromky" ed è per questo che oggi ci ho fatto
rapidamente cenno. Forse non riesci neppure a immaginarTi quanto fossero sempre presenti da qualche parte, come
distorcessero le parole e deformassero i fatti, anche se ormai da molto tempo, si trattava di qualcosa di diverso da ciò
che fu nel quarantanove. Erano ormai da tempo scomparsi in me, ma rimanevano ancora nel mio rapporto con Te (per
favore, riesco a spiegarmi?), erano presenti nella mancanza di umiltà nei confronti di tale rapporto, odio la parola
“umiltà”, ma in questo caso è la parola adatta. Benché sapessi già quanto dipendo da Te, mi tenevo sempre aperta una
via di fuga, via di fuga che negli ultimi tempi non ho chiuso ma proprio murato. Non puoi immaginare che sospiro di
sollievo ho tirato quando me ne sono resa conto, in realtà non me ne accorgevo finché succedeva così, sai? Me ne
sono resa conto tra l'ultimo nostro incontro e quello di oggi, è uno dei motivi per cui oggi sono stata così bene con Te
e per cui ho potuto essere con Te così immensamente felice, non accanto a Te ma con Te, il che non mi era finora
stato mai possibile per quel che ho appena detto.
Ed è anche uno dei motivi per cui non c'è tensione, non c'è fretta alcuna e il mio “amo” di oggi non è per nulla
impaziente, è privo di paura e di timori; e anche quando penso realmente a stare con Te, non è un pensiero frenetico,
benché sia eccitante al massimo, non è arroccato sulle posizioni del “noi ci amiamo ed è per questo che non abbiamo
bisogno di stare insieme” né sul convulso “noi ci amiamo e per questo dobbiamo stare insieme”, forse è la strada
verso qualcosa in cui non avrei mai sperato, e cioè verso un rapporto nel quale non vengono poste condizioni. Forse è
la strada verso ciò in cui non volevo credere, e cioè verso la situazione in cui due sono più di uno se uno diventano.
Forse sotto l'ammasso di moralismi e di scopate legalizzate come ci vengono presentati dalle religioni di tutte le
epoche e di tutte le razze, forse sotto questo ammasso è nascosta tale possibilità e forse ci è dato e si vuole da noi che
la realizziamo. E' difficile dire quando ed è difficile dire come, ma forse è quello di cui parlavi e che io, gravata da
vecchi errori e peccati, non potevo capire - in questo i cattolici hanno ragione, i peccati offuscano la mente.
Amore mio, non Ti arrabbiare se mi sono messa a scrivere così tanto e se mi inoltro in tanti particolari e dettagli,
dimmi, tesoro, che non sei arrabbiato neanche un po', spero e penso che è bene dire queste cose, anche se le capiresti
ugualmente senza le parole, alla fin fine la lingua è un mezzo di comunicazione ed è a tal fine che è stata inventata. E
queste cose vanno dette in fretta in modo che non ci inciampiamo e che non ci facciano perdere tempo, abbiamo ben
altri problemi.
Sto infinitamente bene, non prevedo minimamente quel che sarà, né ho cognizione di quanto tempo ancora ci separi
dal momento in cui tutto questo porterà i suoi frutti e di quando sarà realizzabile ciò che ci siamo venuti preparando in
tutti questi anni di straordinaria coesistenza, non ho neanche idea di quanti e quali ostacoli potremo ancora incontrare
e con quale difficoltà riusciremo a superarli e liquidarli, ma sto bene e so di sicuro che tutto è perfettamente a posto e
che non succederà nulla di ciò che non deve succedere. PerderTi non Ti posso perdere e Tu non puoi perdere me, per
una cosa del genere non sono ormai sufficienti né la realtà intorno a noi, né quelli che la sbandierano, ormai siamo
così avanti che questa sicurezza l'abbiamo acquisita. Com'è che il tutto succederà non è un nostro problema, non sono
qui per fare il padreterno e mi permetto il lusso di questa leggerezza senza alcuna paura.
Finalmente mi è venuta in mente la parola - scusa se salto così di palo in frasca - si tratta di ingenuità, per la prima
volta nella vita ho un rapporto d'amore ingenuo. E ce l'ho con Te, amore mio, esulterei del fatto ad alta voce e con
grandi grida se non fosse mezzanotte e mezza e se non avessi dei vicini che comprenderebbero a fatica, non avendo né
rapporti ingenui, né Te. (Non ho colpa della loro povertà, ma sarebbero magari dispiaciuti se gliela ricordassi.)
Questo non significa che fino adesso mi sono dedicata a ordire oscure trame contro di Te, neanche un po', e penso sia
ovvio. Ma prima non ho mai avuto il coraggio di affrontarTi disarmata e vulnerabile, prima non ho mai avuto il
coraggio di perdere completamente la mia padronanza, di perdere me stessa per avere Te. Questo prezzo mi sembrava
troppo alto, troppo rischioso. Il fatto che ora ciò sia sparito non è dovuto a una fiducia che prima magari non avevo e
che adesso ho improvvisamente acquisito, nei Tuoi confronti ho esattamente la stessa fiducia e la stessa sfiducia che
avevo in qualunque altro momento, prima. Ho smesso invece di avere paura per me stessa, per il mio io. Come potrei
spiegarTelo perché Tu mi capisca - non sono in alcun modo invulnerabile, anzi, sono più vulnerabile che mai e non
sono neanche un caso clinico di masochismo, e il dolore che in questa situazione mi potresti causare non mi farebbe
quindi particolarmente bene, anzi, al contrario, lo sopporterei molto a fatica. Non che io escluda tale possibilità -
benché non la presupponga, è compresa tra le eventualità di cui occorre tener conto. Ma la situazione per me è tale
che, se dovesse succedere qualcosa di doloroso e penoso, sono pronta ad accettarlo come tutto ciò che ha a che fare
con questo rapporto, come una sua parte integrante che non desidero, ma non voglio sfuggire. Non sento il bisogno di
cautelarmi in anticipo, e non per eccesso di forza, ma perché oggi il mio rapporto con Te è troppo completo per
poterne ritagliare dei pezzi come da un gulasch - questo lo mangio e quello lo sputo via. Troppo completo e quindi
impossibile da non accettare con tutto ciò che comporta.
Dimmi, per favore, che razza di assurdità è il fatto che non sei qui? Che razza di cretinata è il fatto che in questo
momento non Ti posso baciare, che non mi posso stendere accanto a Te, che non Ti posso carezzare, eccitare ed
eccitarmi di Te, che non Ti posso eccitare con la bocca fino all'orgasmo e sentirTi nel ventre e poi ridere insieme a Te
del fatto che la barba Ti puzza a tal punto che il bigliettaio in tram avrà un'erezione quando Ti bucherà il biglietto, che
non Ti posso dare da saccheggiare tutto il mio corpo dalle tette alla fica fino al culo perché Tu Te lo fotta
completamente, e obbligarTi, con la lingua abilmente introdotta nel culo, a venirTene con il volto deturpato in una
smorfia, che non Ti posso sentire dentro di me quasi immobile in una bruciante tenerezza d'amore tesa fino al
sentimento, che non Ti posso schiacciare l'uccello tra le tette e pulirle poi orgogliosamente dallo sperma
appiccicaticcio? Perché, perlamiseria, non c'è la Tua lingua nella mia fica, quando tanto fortemente e con veemenza ce
la voglio, perché non avverto il solletico doloroso dei Tuoi morsi sulla pianta dei piedi, perché non posso mostrarti il
culo in modo che Tu lo sfondi, lo morda, lo picchi e lo cosparga di sperma, perché non posso poi stare distesa accanto
a Te e parlare con Te di qualsiasi cosa - dalla filosofia al sesso degli angeli - con naturale confidenza uno accanto
all'altra e nel frattempo farTi una sega giusto così, per eccesso di vitalità? Perché non mi posso stendere sopra di Te
con la gioia di una tenerezza quasi senza sesso e chiacchierare con Te mentre scopiamo, di cosa abbiamo mangiato a
cena o di che tempo ha fatto? Perché non Ti posso stendere sulla pancia e fotterTi il culo con le mani, con le tette, con
la lingua, inzaccherarTelo con la fica che mi ritrovo bagnata al solo pensiero di pizzicarTelo dolcemente e picchiarlo
fino a farlo diventare rosso come una ragazza minorenne quando in mezzo a un parco inaspettatamente un maniaco le
fa vedere l'uccello? Perché non posso giocare col Tuo buco, leccarne teneramente le pieghe e ficcarci dentro il dito,
spingerci dentro i capezzoli di tutte e due le tette e strusciarmi addosso le Tue due natiche così lentamente che Ti si
rizza l'uccello e Ti si induriscono le palle? Perché poi non Ti posso stendere sulla schiena e mordicchiarTi i capezzoli,
sleccazzarTi l'ombelico e prendere in bocca le due palle una per volta, fino a farti mugolare e scureggiare per
l'eccitazione? Perché adesso, proprio adesso, in questo momento, non posso prendere il Tuo uccello e mettermelo
sotto l'ascella, ciancicarlo con i capelli e tirarne la pelle con le piante dei piedi, stuzzicarlo con i denti e lasciarlo poi di
nuovo ammosciarsi, ficcarmelo in culo e poi tirarlo fuori e ficcarmelo nella fica e poi leccarne via i miei stessi umori?
Perché non posso spompinarTi e portare in bocca lo sperma alla Tua bocca perché Tu lo inghiotta e Ti si blocchi un
attimo in gola per via del suo sapore penetrante, che mi rimane sempre a lungo sulla lingua, sicché qualsiasi cosa
mangio ha il sapore di un prodotto del Tuo uccello, e quando mangio pane e burro il sapore sembra quello di una
scopata? Perché non posso metterli con le spalle a terra e ficcarTi le tette in bocca perché Tu le ciucci con
l'espressione di un lattante, a occhi chiusi e schioccando gustosamente la lingua sul palato? E perché poi non posso
inginocchiarmi sopra di Te con la fica ben irrorata di sangue per l'arrapamento, e lasciarTela leccare e rovistare con le
mani fino a che tutto il corpo ha una contrazione per lo spasmo e Ti piscio in bocca perché tutti i muscoli hanno
ceduto? Perché non posso stuzzicarTi con le tette sulla pianta e tra le dita dei piedi solo così en passant, e però con
precisione fino a quando non Ti incazzi e non mi ficchi l'uccello in bocca con tutte le palle? Perché non Ti posso
mettere le gambe sulle spalle e lasciare che Tu guardi nel mio buco e osservi la mia fica in modo freddo e svergognato
tirandone le labbra e i peli così da vicino che avverto il Tuo respiro e vengo senza neanche bisogno della Tua lingua?
Perché non Ti posso fare un succhiotto al culo e farlo così a lungo che avrai sul letto le convulsioni e morderai coi
denti la coperta così a lungo che Ti si drizzerà l'uccello e poi si ammoscerà senza aver schizzato, che mi allontanerai
con le mani e mi tirerai i capelli e poi ti ficcherò la lingua in culo così a fondo da sentire il sapore della Tua merda e
mi scapperai via col culo per la paura di cacarTi sotto, perché, arrabbiata per questa paura, non Ti posso ficcare un
dito in culo e cavarne un orgasmo che Ti faccia scorrere giù da tutti i buchi tutto quello che c'è dentro? Perché non sei
qui per mettermi a pancia in giù e disegnarmi con le unghie sul culo decorazioni simili a quelle delle uova pasquali
fino a farne zampillare piccole gocce di sangue? Gocce che si trasformerebbero in croste che sentirei sul culo per
molti giorni ancora? Perché non sei qui per farmi un succhiotto nell'incavo della scapola, un succhiotto che mentre lo
fai mi fa irrorare di sangue la fica fino a farla diventare dura come il pane secco, tanto da far rumore mentre scopa?
Perché non sei qui, per rimanere poi disteso accanto a me ad accarezzarmi e dirmi: “sai, ragazza...” con l'espressione
con la quale alle volte me lo dici, con quell'espressione e quel tono che so bene cosa vogliono dirmi, perché non sei
qui per carezzarmi i capelli, per grattarmi un po' per scherzo dietro le orecchie per assicurarmi che se quella
Klimologa abitasse a Praga e non a Brno andresti immediatamente da lei perché questo è proprio un po' troppo per i
Tuoi gusti e, vaffanculo, con una come la Klimologa le cose sarebbero pur sempre un po' più tranquille? Nel profondo
dell'animo ne arrossirei di orgoglio e quasi quasi lo desidererei un po', che insomma Tu la facessi la prova, se le cose
“più tranquille” Ti sarebbero di qualche aiuto e sotto i baffi me la riderei all'idea di come correresti di volata da me e
di come mi salteresti addosso non appena lo avessi tirato fuori, l'uccello, dalla Klimologa, e intanto fumeresti di rabbia
perché le cose “più tranquille” non Ti sono servite, ad altro che ad essere di nuovo qui.
Perché non posso scopare con Te usando tutte le parole volgari e morbose che conosciamo, parole che ti riempiono la
bocca, per poi prenderci con pudore e quasi timidamente, e poi subito dopo cominciare a sghignazzare a tutto spiano
fino a intruppare l'uno nell'altra tra risa convulse con le pance e coi culi? Perché non siamo distesi su un fianco uno
accanto all'altra e non ci lecchiamo a vicenda concentrati ognuno sul proprio orgasmo e sull'orgasmo dell'altro,
arraparti per l'uno più che per l'altro? Perché non sento il Tuo “aspetta” quando ho il Tuo uccello in bocca e perché
non posso deridere questa taccagneria di sperma e di orgasmi e non appena schizzi dimostrarTi che è un risparmio più
che insensato? Perché non posso leccarTi tutto, stanco e quasi ormai impotente, leccarTi e arraparTi durante un
bocchino lungo un'ora, infinito e spossante, che culmina in una convulsione un po' dolorosa piuttosto che orgasmica,
un bocchino che Ti terrà i sensi svegli fino al nervosismo e a tratti vedrai tutto così lucidamente come se nel letto
fosse disteso qualcun altro e a tratti dovrai cedere un po' al mio lavorio arrapante con dei leggeri scatti, un po' per
l'eccitazione, un po' nel tentativo di eccitarTi, fingendola l'eccitazione? E perché poi non mi sveglio accanto a Te e
non ti salgo addosso ancora nel dormiveglia con gli occhi assonnati e non Ti scopo sotto di me grazie a un'erezione
mattutina che non è dovuta solo all'eccitazione, non Ti scopo semidormiente e un po' sorpreso e aggrappato con tutte e
due le mani alle mie tette? Perché non Ti vedo la mattina scendere dal letto e perché non posso lasciarTi scendere
illudendoTi che mi sono riaddormentata, sorprenderTi nudo mentre Ti gratti il culo e tranquillo Ti appresti a vestirTi,
lasciare che Tu Ti metta addosso qualche assurdità come le mutande e i calzini e poi saltarTi addosso, strapparTeli di
dosso e fotterTi per terra con tale veemenza che Ti passa la voglia di bardarli di nuovo, sdraiarmi per terra e carezzare
e arraparmi volgarmente la fica e le tette con le mie stesse mani e masturbarmi davanti a Te fino a che Tu Ti pulisca
fra le mie cosce e sul culo? E poi, arrapato e desideroso, eccitarTi e fare finta che non ho più voglia di scopare,
sollazzarTi l'uccello e spidocchiarTi tra i coglioni, leccarTi un po' e guardare con distacco come Ti si rizza l'uccello,
per un attimo farTi provare tutto, dall'arrapamento fino all'insistenza quasi da mendicante, tirarTi con la stessa
espressione per la barba e per l'uccello e soffiarTi nei coglioni nel modo più arrapante di cui sono capace, fino a farTi
incazzare al punto da sbattermi il culo e ficcarmi l'uccello dove capita, in bocca, tra le tette, al culo, nella fica e
schizzarmi infine tutta da capo a piedi così che non mi resti altro da fare che andare di corsa a lavarmi, ficcarmi sotto
l'acqua corrente e strofinarmi capelli compresi, entrare in bagno dove mi seguiresti e mi leccheresti tutta la fica tanto
da schizzare ancora mentre lo fai?
Perché dopo, nuda, non faccio con Te, nudo, una colazione opulenta e nutriente sventolando le tette sopra il padellino
con le uova, perché non ci consigliamo l'un l'altra su come migliorare ciò che cuciniamo insieme e non mangiamo
comodamente sbracati uno accanto all'altra, non assaporiamo con gusto quanto abbiamo cucinato bene e non puliamo
col pane la padella ognuno da una parte, perché non stiamo poi distesi vicini, sazi e soddisfatti fino a grugnire, non ci
teniamo per mano e non chiacchieriamo, non scopiamo poi di nuovo, questa volta con normalità così assoluta che ci è
quasi estranea, io di sotto con le gambe alzate e Tu sopra di me al ritmo regolare di una posizione angelica nella quale
è possibile baciarsi e l'unica perversione è la perversione delle lingue che si toccano, uno scopare che dura a lungo, ma
non è faticoso e nel quale c'è la vicinanza più palpabile e più grande, uno scopare il cui ritmo è a tratti interrotto dalla
quiete affinché il culmine venga rimandato di un altro istante, e non si tratta di parsimonia e la cosa avviene con
l'accordo naturale di entrambi, uno scopare nel quale ci tocchiamo coi corpi così a lungo fino ad appiccicarci e lo
spazio tra noi due è così esiguo che non riusciamo neanche a infilarci una mano e a carezzarci, uno scopare nel quale
si insinua un po' di convulsione solo poco prima di giungere al vero e proprio culmine.
E perché poi non stiamo distesi vicini con gli occhi fissi al soffitto e quasi senza pensieri, oppure coi pensieri che se
ne vanno da qualche parte lontano da qui, non perché non vogliamo pensare a noi, ma perché si confondono con la
stanchezza del dormiveglia che liquida la censura della veglia. Perché non stiamo appunto così stesi vicini, questo
vorrei proprio saperlo e se qualcuno me lo spiega allora mi fa un piacere, perché io per ora non riesco a spiegarmelo,
visto che sono bagnata e arrapata e Ti voglio, ora subito e immediatamente e probabilmente non sono disponibile a
nessun tipo di spiegazione. Appena mi muovo, qui si sente l'odore della mia fica lontano un miglio e dovrei ascoltare
delle spiegazioni? Ci mancherebbe altro! Potrei menarmi la fica da sola, ma io non voglio menarmi la fica da sola, io
voglio Te e le Tue dita e non le mie, voglio la Tua lingua e il Tuo uccello, e da quel desiderio le mie dita non
riusciranno certo a liberarmi. Non servirebbe a niente arraparmi e sarebbe pure peggio, che già così è tosta.
Domani mattina avrò di nuovo tutto sotto controllo, va bene così, ma continuerà a dispiacermi questa notte, non riesco
a liberarmene, non ho imparato a considerare l'eccitazione come qualcosa che bisogna liquidare nell'astinenza e
scacciare come il diavolo, e un'eccitazione così forte come questa mia di oggi la considero qualcosa che non chiama,
ma proprio urla vendetta perché vuole essere soddisfatta e non fatta oggetto di ascetica astinenza. La capacità di
arraparmi a questo modo, di avvertire in ogni centimetro di pelle il folle desiderio di Te non l'ho certo avuta per poi
scacciarla con una doccia fredda e col digiuno, scusate proprio ma così non è. E se sono le lusinghe del diavolo, allora
non sono affatto delle brutte lusinghe e quel diavolo comincia a essermi abbastanza simpatico.
Solo che non c'entra nessun diavolo, non c'entra niente neanche la perversione, anche se bisogna ammettere che a un
osservatore neutrale così potrebbe sembrare, ma si sbaglierebbe. La cosa in realtà va bene così ed è abbastanza
naturale, innaturale è solo il fatto che Tu non sei qui e che il tutto non avvenga pienamente come è stato descritto, o
forse anche di più. E' abbastanza innaturale sul serio, e a me le cose innaturali non piacciono, l'innaturalezza di questo
tipo non mi è mai servita a niente e temo che non vada a genio neanche a Te. Perché poi dovrebbe andarTi a genio,
può unicamente farTi impazzire, come probabilmente accadrà presto anche a me, e voglio poi vedere cosa diventerò.
E cosa diventi tu. Meno male che al mattino queste idee non sono così insistenti, sicché mi rimane la tenue speranza
che se domattina mi lavo la fica col sapone e me la sciacquo ben bene, potrò andare in giro senza rischio, cosa che
nelle condizioni in cui sono ora potrei fare difficilmente, anche se sarebbe abbastanza divertente osservare il
rigonfiarsi dei pantaloni all'altezza del cavallo e l'arruffarsi scandalizzato di biondine dal peculiare taglio di capelli.
Potrebbe essere perfino divertente, nessuno mi potrebbe fare nulla, mi pare che l'onnipotenza non sia ancora
perseguibile per legge, perlomeno non l'ho ancora sentito dire. L'unica cosa è che mi dispiacerebbe dover spiegare a
una compagnia di soldatini festanti mandati in gita a Praga capitale per visitare le tombe dei re di Boemia che la mia
onnipotenza non li riguarda nonostante gli puzzi in tram sotto il naso. Non mi piace ingiuriare ciò che di più caro ha la
gente, e ingiuriare a una compagnia una serie di teneri uccelli induriti mi metterebbe in difficoltà, perché mi è stata
insegnata una certa discrezione in società, il che è stato un errore. Però non avrei via di uscita, l'unico uccello che non
ho voglia di vituperare e di rifiutare lo possiedi Tu, solo che Te lo sei portato via a Podoli. Portato via armi e bagagli,
e io qui dovrei fare da illustrazione a Valeria, sotto la fica infatti ci potrei tranquillamente scrivere “Sentiva di essere
abbandonata”. Se continua così ce lo scrivo davvero, e lo scrivo anche a Te sotto l'uccello, sempre che io abbia la
voglia e il tempo di scriverci qualcosa sotto, quando lo rivedo.

Sono le due del pomeriggio, ieri alla fine sono andata a dormire, dopo tutto, stamattina con le migliori intenzioni ho
preso in prestito il rullo per dipingere e portandomelo dietro tornavo a piedi attraverso il ponte per il quale siamo
passati ieri, è stato strano e nostalgico e magico e sciocco e banale e splendido, e adesso mi sono letta che cos'è che ho
scritto ieri, pensavo di non poterlo spedire né trasmetterlo in altro modo perché sarebbe stato terribilmente senza
senso, ma ho scoperto che se Ti scrivessi di nuovo, dovrei riscrivere tutto uguale parola per parola, sicché è tutto
chiaro e va bene così, anzi non va per niente bene, assolutamente e desolatamente, è semplicemente così come deve
essere.
E' di nuovo un giorno qualunque, mi attende un sacco di lavoro, (eh sì il lavoro ha sempre fatto per me, io non capisco
come fa Marx a considerare il lavoro come un'attività costruttiva, forse però glielo rendeva possibile la fabbrica della
moglie, perché altrimenti è del tutto inspiegabile). Mi metto quindi addosso la veste della responsabilità artistica e
professionale (una volta Te la faccio vedere, c'è da ridere parecchio) e finirò di scrivere la novella. Spero di non
scriverci niente che scandalizzi il senso morale della censura, sono in uno stato in cui mi potrebbe capitare abbastanza
facilmente.
Oltre a questo farò andare su e giù per le pareti del mio appartamento una specie di tetro rullo - certo che è incredibile
di quali bizzarre attività è capace l'uomo - per farlo salirò su una scala e assumerò un aspetto così costruttivo che a
vederlo diventeresti impotente sul colpo. Diventeresti impotente e cominceresti a recitare ad alta voce: “Mi devo
sposare?” - non Ti rimarrebbe infatti nient'altro da fare.
Se con lo scrivere non volessi tra le altre cose guadagnarmi da vivere, forse comincerei a scrivere le mie memorie, ho
paura però che potrebbero finire in mano a persone non adatte e allora potrebbe porsi il problema se io sia o meno la
persona giusta per diffondere la cultura nel socialismo e se non sussista il rischio che io porti a compimento la
rivoluzione culturale anzitempo. Decisamente però la cosa mi arraperebbe come poche altre, tanto io penso comunque
che le nostre vite sono un raro esempio di perfetta opera d'arte e che in quanto tali dovrebbero rimanere per le
generazioni future, almeno in una descrizione basilare. A parte questo, oggi mi sono di nuovo resa conto che, sebbene
in molte cose apparentemente differiscano, in realtà le nostre vite sono identiche, ognuna delle due cioè è solo la metà
dell'altra e solo tutte e due insieme danno senso, un senso che oggi e in questo paese non ha pari. C'è stato un periodo
in cui tale eccezionalità mi riempiva di infinito orgoglio e c'è stato anche un periodo in cui mi faceva venire dei
complessi quasi mortali, oggi la considero ovvia e la constato solamente, ma non la cambierei per nulla al mondo.
E mi sono anche resa conto di quanta vitalità ci sia in noi due, non ho in mente ora il fatto che non siamo crollati nei
periodi più duri, penso che non solo li abbiamo superati, ma siamo stati perfino capaci di usarli e di sfruttarli, che
abbiamo saputo assaporarli e sceglierne ciò che c'era di fondamentale, ed è questa la vera vitalità. Il fatto che uno
sopravviva su questo mondo anche nelle circostanze in cui siamo sopravvissuti noi, quello è semplice istinto di
sopravvivenza, anche se qualche volta molto forte e potente. Ma il fatto che grazie a tutto ciò non diventi un cadavere
ambulante, questo è qualcosa di cui ringraziare il Signoreiddio con gratitudine vera e umile, la vita di per. sé non è
affatto un dono, la vita di per sé è un inferno bello e buono, ma questo è più di un dono, questo forse è qualcosa per
cui conosco una sola parola - grazia.
E se c'è qualcosa che mi riempie di ottimismo e di vera speranza - non speranza in qualcosa ma speranza in quanto
tale, speranza nel senso più profondo della parola, quella che mi serve per la salvezza, quella che ogni uomo deve
avere perché è solo nel suo nome che può essere salvato, - allora è la certezza di questa grazia ottenuta per esperienza
empirica, certezza non perché è stata concessa a noi, ma perché esiste di per sé. La certezza che questa grazia esiste
nel cosmo, su questa terra, per questi strani esseri che hanno avuto in dono tutte le qualità divine e hanno avuto in
dono l'incapacità di usarle, per gli esseri che somigliano a Dio e furono creati a sua immagine, per vituperarlo e
glorificarlo senza che nessuno di loro, di noi, degli esseri umani, riesca a immaginarsi neanche vagamente colui al
quale somiglia come si somigliano due gocce d'acqua. Ed è questo il senso della speranza di cui parlo, e cioè che per
mezzo di essa la nostra fantastica cecità diventa qualcosa di diverso da un castigo immeritato e sproporzionato inflitto
per il solo fatto di esistere, e diventa un dolce e delizioso cordone ombelicale con il quale siamo legati a Lui e per il
quale ci dobbiamo arrampicare fino a Lui. Non è detto che l'uomo debba avere la fede, e non può avere le virtù, e da
chi le avrebbe ereditate, non ditemi che Dio è un essere virtuoso, è tutto quello che volete ma non virtuoso, la
perfezione non può certo essere virtuosa! Né la fede né la virtù sono necessarie all'uomo per ottenere la salvezza, sono
fermamente convinta che saremo un giorno sorpresi dal numero di coloro che sono stati perduti dalle proprie azioni
virtuose. Ma deve avere la speranza,, una vera speranza senza tornaconto, sotto qualsivoglia forma, una speranza che
non lo protegge dalla disperazione, che non lo protegge dalla perdita mostruosa di tutti i valori umani, una speranza
che non lo protegge da nulla, neanche dalla maledizione lo protegge, ma che egli un giorno porterà in alto o in basso o
altrove come unico valore che ha con sé. Una speranza che verrà pesata e non sarà leggera, perché il suo peso è più
grande di quello che nella nostra cecità riusciamo a immaginare.
Non a tutti è concesso di riceverla con la sicurezza con la quale l'abbiamo ricevuta noi, per questo parlo di grazia,
veramente non a tutti è concesso.
Se mi dici ancora una volta di scriverTi cinque o sei righe, Ti spacco la faccia senza emozioni sessuali di mezzo,
amore mio, spero che dopo questa lettera la cosa Ti sia chiara. Oppure Ti manderò davvero sei righe e voglio vedere
poi che faccia farai, qualche volta fa bene dare alla gente quel che chiede.
Naturalmente sono già di nuovo le tre, stanotte ho finito alle quattro, tratto il tempo in modo un po' avventuristico.
Non considero però questa lettera una perdita di tempo, la considero addirittura come il miglior modo di impiegare il
tempo di cui in questo momento sono capace. Tra l'altro avrai per un po' qualcosa da leggere, peccato che non potrò
essere presente, la sensazione sarebbe più grande per entrambi. Ti guarderei a tratti il volto e a tratti furtivamente il
sesso, confidando pienamente che la lettura di questo elaborato si manifesti visibilmente su entrambi.
Qualche volta dovremo anche andare a passeggio, cominciano a esserci delle belle giornate e io amo le nostre
passeggiate come poche altre cose, girovagheremo da qualche parte in periferia, rinnoveremo vecchie atmosfere e ne
creeremo di nuove, così come abbiamo sempre fatto nelle nostre passeggiate, le interromperemo con delle soste in
birrerie di periferia dall'aspetto equivoco, Tu con la birra e io con la limonata che non mi piace e che sa di saccarina,
ma che è indissolubilmente legata a queste passeggiate, ci trascineremo sul ciglio polveroso delle strade e dei campi e
torneremo deliziosamente stanchi e felici e io mi farò un segno nel mio calendarietto alla data del prossimo incontro,
per poterne gioire per quattordici giorni e assicurare me stessa che quei quattordici giorni riuscirò a resistere sana e
salva nel corpo e nello spirito e per poter constatare con meraviglia dopo quei quattordici giorni che ho resistito per
davvero.
E faremo dei piani per il futuro, non come si fanno in genere, come li facciamo noi, con una concretezza ingenua e
forse finalmente con la prospettiva di realizzarli, anche se lontanissimo nel tempo.
In mattinata ho telefonato a Oldrich, è ancora all'ospedale sicché non so con che farti contento, e non so neanche
quanto tempo ci rimarrà ancora, perché ho telefonato nel pomeriggio e non ho parlato con la redazione ma solo con la
portiera. Telefonerò lunedì in redazione e mi farò dire in che ospedale è, se non sta proprio molto male tenterei di fare
come abbiamo detto ieri, mentre è ancora in ospedale. Dipende anche da quanto tempo ci resterà ancora, se si parla di
giorni, se invece si parla di settimane, sarebbe bene tentare di fare qualcosa anche nella situazione attuale.
Lunedì mattina - e cioè alle dieci - vado alla casa editrice e quando avrò finito lì, vado anche a dare un'occhiata a Mal
Strana in modo che sappiamo su che cosa contare. Dalla camera per Te mi aspetto non solo dei vantaggi per tutti e due
noi, ma anche e soprattutto un miglioramento del tuo stato psichico, che è tale da non lasciare veramente dubbi
sull'urgenza di tale necessità.
Del risultato della trattativa in casa editrice sono veramente curiosa, anche se è praticamente chiaro e ci vado perfino
abbastanza volentieri, c'è veramente una buona atmosfera e della gente con la quale lavoro volentieri, almeno in
questa categoria di persone. Questo mi facilita un po' le cose, sai, se dovessi lavorare con una banda di giovani
festanti, inquadrati-complessati, finirebbe probabilmente con uno scandalo al quale non sopravviveremmo né loro né
io.
Per ora quindi stammi bene, questa volta sono solo dodici giorni e sarà quindi di due giorni più facile, Ti farai un po'
di lettura e mi cullo perfino nella speranza che sentirai il bisogno di scrivermi qualcosa, sicché anche questo facilita un
po' le cose e dovrebbe andare. Affanculo, dopo tredici anni di rapporto ci comportiamo come gli amanti della Certosa
di Parma, è sì divertente ma è così, e temo che anche da decrepito vecchietto e decrepita vecchietta ne combineremo
ancora più di oggi, i presupposti ci sarebbero tutti. Mi strapperò i capelli bianchi se non Ti vedo oggi, e Tu per la
rabbia ti tirerai la barba bianco neve se mi toccherà partire per un pomeriggio, non ti credere che sto esagerando,
vedrai. E' veramente una bella prospettiva per due intellettuali invecchiati onestamente e con sano cinismo, parleremo
delle guerre atomiche tenendoci la pancia dalle risa per quanto è stato divertente vedere sulla via N rodn¡ scorrere le
budella e se ci toccherà separarci per due ore, ci scorreranno lacrime a fiotti dagli sguardi spenti.
Adesso concediti di corsa il beneficio di una masturbazione, se non lo hai ancora fatto, e questo in parte per poter
andare in giro e in parte per non dover venire a Holeshovice in taxi brandendo l'uccello in mano, e se ne avrai voglia,
durante questi dodici giorni scrivimi cinque o sei righe, amore mio...

... ho letto di nuovo quel che ho scritto e mi sono spaventata, ma non aggiungerò più nulla a chiarimento, forse posso
dire solo che ciò che sta qui nero su bianco contiene ovviamente tutto, quindi anche il fare l'amore più tenero e più
banale, il tenersi dolcemente per la mano e carezzarsi i capelli e che so io cosa si fa e si pratica nei casi di banale
innamoramento. Tienilo a mente e ricordalo, perché Tu non abbia dalla mia lettera l'impressione che si tratti del
bisogno di realizzare chissà quali emozioni, in particolare neuropatologico-sessuali, anche se c'è anche quello, ma in
un modo stranamente non patologico, piuttosto innamorato. Ma questo forse lo capisci tutto senza commento e se non
lo capisci allora non serve a un cazzo e neanche il commento serve a niente, sicché Te lo dovrò spiegare poi nella vita
pratica, amore mio.
Speriamo di essere presto insieme, che questo Tuo vegetare sotto il tetto coniugale davvero non serve a nient'altro se
non a solleticare il senso della responsabilità - non ci fosse stato mio padre, sarei probabilmente anche io molto più
progressista. Così come stanno le cose lascio fare a Te, ma non tirarla troppo per le lunghe, è vero che abbiamo ancora
una grande forza che ci è data dal pensiero filosofico, che abbiamo molto tempo e molta certezza, perché ci amiamo
molto e non dobbiamo avere fretta in nulla, però, porca miseria, siamo pure persone, non “solo” persone, come si
suole dire, proprio al contrario, persone in tutto e per tutto, anche con una cosa enorme come è un amore di questo
genere, e allora forse dovremmo anche occuparcene un po' e non giocarci d'azzardo come con un innamoramento
senza valore e senza senso tipo quello di cui soffrono coloro che sono “solo” persone.
Ciao.
Honza

***

APPENDICE.

LA LIRA NERA.

Mi sembra di ricordare che Honza Krejcarov facesse parte del gruppo della scuola surrealista di Karel Teige, il suo
ultimo anno... l'ho dunque conosciuta solo più tardi al mio Argine dell'Eternità (1) insieme a Egon Bondy,
Vodsed' lek, Sekal e Medek e naturalmente Vladimir Boudn¡k che a quei tempi d'oro abitava al numero ventiquattro,
all'Argine. Egon Bondy superò il surrealismo con il realismo totale, tradusse per quel suo gruppo Christian
Morgenstern.
... Honza aveva dei bellissimi occhi grandi, aveva perfino dei figli, che a volte portava con sé, a volte affidava a Egon
Bondy che era allora all'apice delle sue forze, sprizzava e distribuiva il suo humour totalmente realista e anche tutto
quello che era riuscito a leggere... e lui era un lettore non solo di filosofia, non solo di tutti i romanzi, ma anche di ciò
che nel mondo cominciava ad avvenire ed avveniva. E Honza scriveva anche lei delle poesie ma era crittogamica,
come se sapesse cosa l'aspettava. Se la Achmatova dice di se stessa che è un cigno nero, Honza era un cigno bianco
con un'ala ferita, ma con degli splendidi, grandi e tristi occhi e con il cuore di una poetessa maledetta. In una
compagnia rumorosa rimaneva seduta come una perla sul fondo di un precipizio, con l'occhio spostato fissava lo
sguardo lì dove lo volgevano i saggi rabbini che erano sopravvissuti a svariati pogrom... poi dopo due anni smisero di
venire da noi all'Argine dell'Eternità non solo i poeti e i pittori, ma anche Honza... Scomparvero come un fiumiciattolo
sotterraneo e riemergevano qui e là, Bondy alla Plov rna una volta ogni tre anni, e Honza, mi è scomparsa per molto
tempo... e sapevo che la rivista “Divoké v¡no” aveva pubblicato il suo testo "Zpr va o mém otci" ("Rapporto su mio
padre"). Honza si proiettava nella figura della figlia di Franz Kafka, forse lo era pure, ma soprattutto aveva scritto un
libro che mi aveva impressionato, perché era scritto col principio creativo maschile... e poi successe ciò che si portava
dentro già da ragazza, andò in galera e quando tornò riemerse di nuovo come un fiumiciattolo sotterraneo all'Argine
dell'Eternità, io ero già sposato e così qualche volta tenevamo Honza a casa, era ridotta male, ma mai al fondo delle
sue forze, quei suoi occhi guardavano sempre in alto anche se la sua maledizione di poetessa e di persona saltava agli
occhi... Era come se su di lei fosse risuscitata la frase di Joyce... L'arte è una vecchia troia che divora i suoi figli...
Questo in effetti accadde, ma Honza non si arrese, e così mia moglie e io l'aiutavamo, fummo persino onorati dal fatto
di aver avuto nella vita la fortuna di poterle offrire ciò di cui aveva immediato bisogno... E' perciò, per la sua vita e le
sue poesie e i suoi testi che Honza è una poetessa maledetta e Praga deve essere orgogliosa che il suo Destino, il
destino di Honza Krejcarov , è legato al cuore dell'Europa, a Praga.

4.5.90, Kersko
Bohumil Hrabal

RICORDO DI JANA.

Nel dicembre del 1948 mi telefonò Egon Bondy dicendomi di venire subito allo Slavia. Era seduto nel caffè deserto
insieme a una giovare spettinata, vestita con un maglione ciancicato e con dei calzoni da uomo (cosa a quell'epoca del
tutto incomprensibile). Era la leggermente strabica Jana Krejcarov .
Honza, una donna molto intelligente, aveva il dono non comune di convincere tutti coloro con cui parlava. I suoi piani
erano sempre così belli, ma soprattutto irrealizzabili. Era incomprensibilmente poco pratica e viveva in genere in una
miseria sociale inimmaginabile. Ovviamente del tutto inutilmente... Portò al nostro piccolo cenacolo un nuovo modo
di vedere non solo l'arte moderna, ma praticamente tutti i valori. Richiamò la nostra attenzione su Dal¡, soprattutto sul
suo principio della mistificazione e dell'offesa. Il suo modo di raccontare era magico. La sua capacità di indurre in
errore geniale. Anche alle menzogne più evidenti credevamo senza limiti. La sua vita dimostrava disperazione e gioia
allo stesso tempo. Abbiamo imparato a ferirci dolorosamente a vicenda. Sedevamo nudi intorno a un tavolo e
giocavamo alla verità. Le domande erano veramente crudeli, e le risposte sempre vere. Ci aprivamo la porta
dell'inferno e del paradiso contemporaneamente. Senza la minima traccia di cinismo. La frase di Crevel “il cinismo
per il cinismo è cinismo contro la verità” era viva in noi. Non dovevamo rammentarcela...

Ivo Vodsed' lek

A PROPOSITO DI "CLARISSA".

Che Jana Krejcarov mi abbia affidato a un certo punto del 1951 il manoscritto di "Clarissa" dipendeva probabilmente
dalla speranza che lo copiassi per la collana P lnoc, anche se d'altra parte era proprio ciò che non voleva.
Comprensibilmente i suoi pensieri più intimi dovevano e allo stesso tempo non potevano essere resi pubblici. Forse
era anche un attacco premeditato nei miei confronti. Sta di fatto che con un'ingenuità incredibile ho copiato il testo e
l'ho portato pochi giorni dopo insieme ad altri testi della collana. P lnoc a M. Medek. Una copia di ogni esemplare
pubblicato veniva conservata a casa sua. Ci ritrovammo in parecchi allora: Egon, Bondy, Dagmara e K., il compagno
di Jana del momento. Lei non c'era. La sera stessa mi telefonò dicendomi che se non le avessi reso la mattina dopo
tutte e quattro le copie compreso il manoscritto, sarebbe andata dalla polizia. Non capisco che cosa avrebbe voluto
denunciare, sarebbe però bastato, probabilmente, che ci indicasse come centro trotzkista. Sta di fatto che a quell'epoca
per sicurezza prima si arrestava e poi si verificava la colpa. Non rimaneva che acconsentire alle richieste di Jana.
Prima che facesse giorno copiai e nascosi l'intero manoscritto. Il capitolo 9 testimonia che la sua vita era
profondamente coerente e al tempo stesso contraddittoria con ciò che scriveva. Le sue minacce non divennero mai
realtà. Dalla mia copia del manoscritto che avevo nascosto ora ho ricopiato di nuovo "Clarissa". Senza alcun
aggiustamento linguistico.
Ho parlato con Jana per l'ultima volta qualche settimana prima della sua morte, agli inizi degli anni Ottanta. Abbiamo
avuto una serie di lunghe e bellissime conversazioni. Sono sicuro che non avrebbe oggi nessuna obiezione alla
pubblicazione.
Ho copiato anche l'ultima pagina, o forse erano due lettere allegate - non ricordo più. Erano incantevoli, perché con
esse il sogno si trasforma in realtà e la realtà diventa sogno.
Quindi Jana “ti prego non arrabbiarti, senza il tuo permesso...”.

Praga, 5 marzo 1990


Ivo Vodsed' lek

NOTA DELL'EDITORE CECO CONCORDIA.

La scelta di questi testi quasi sconosciuti getta un'altra luce sull'immagine di Honza Krejcarov , diversa da quella che
ne danno i lavori da lei pubblicati ufficialmente. Ed è proprio questo tono, inedito nei registri della poesia ceca, che
caratterizza meglio il suo mondo interiore e che ha avvinto e affascinato molti altri autori di quel periodo. “Tutte le
altre cose, soprattutto quelle che ha pubblicato, furono scritte da Honza espressamente e coscientemente solo per i
soldi, e per questo tentavano quanto più servilmente possibile di venire incontro al gusto dell'epoca, cosa che tra l'altro
le riuscì. Solo alcune, come gli schizzi sul soggiorno in carcere pubblicati sulla rivista Divoké vino alla fine degli anni
Sessanta, sono scritte senza tenere di vista il puro guadagno” (E. Bondy, 1982).
"Clarissa" è stato riprodotto sulla base della prima edizione apparsa nella collana samizdat P lnoc del 1951, il
frammento di raccolta "Nel giardino del padre mio", scritto nel 1948, è tratto dalla copia dattiloscritta di Frantishek
J£zek, la lettera senza data (è all'incirca dell'anno 1962) viene dall'archivio del PhDr. Zbynek Fiser, CSc.
I testi di E. Bondy e B. Hrabal sono stati scritti per questa edizione.
II testo di I. Vodsed' lek è un frammento del suo saggio "Urbondy", contenuto nell'antologia pubblicata per il
sessantesimo compleanno di E. Bondy (Prazsk Imaginace, 1989). E' stato utilizzato con il permesso dell'autore.

BIBLIOGRAFIA DI JANA CERNA'.


Libri pubblicati:
"Hrdinstvi je povinné" [L'eroismo è obbligatorio] (1964).
"Nebyly to moje deti" [Non erano figli miei], (1966, Nashe Vojsko).
"Adres t Milena Jesensk " (1969, Klub Mlad poezie, redakee Divokého vina). Il libro è uscito in tedesco col titolo
"Milena Jesensk ", Neue Kritik, Frankfurt 1985. In italiano: "Vita di Milena", Garzanti, Milano 1986.

Pubblicazioni su periodici:
"Klice" [Le chiavi], (1957, Kvéty).
"Jak jsme meli Ishtv nka" [Come abbiamo avuto Istv nek], (1959, Svet v obrazech).
"N mét na pov¡dku" [Soggetto per un racconto], (1960, Svét v obrazech).
"Hrichy pro Ber nka" [Peccati per l'Agnello], (1964, Kulturn¡ tvorba).
"Radost" [La gioia], (1964, Hlas revoluce).
"Takov ps¡ historiez [Una storia da cani], (1968, Svét v obrazech).

Sette racconti pubblicati sulla rivista Divoké vino (1968).

pubblicazioni in samizdat:
"Clarissa" (1951, collana P lnoc).
"V zahr dce otce mého" [Nel giardino del padre mio], (1987, Revolver revue).

opere postume:
"Jak jsem jednou byla kr sn " [Quella volta che fui bella], (1978, manoscritto, firmato J. Ladmanov ).

BEATNIK A PRAGA.

Il cadavere di Rudolf Sl nsky, segretario generale del Partito Comunista Cecoslovacco, penzolava dalla forca issata
dai suoi compagni, e in giro per Praga c'era gente apparentemente non turbata dal fatto, ma che anzi pareva
disinteressarsene per occuparsi piuttosto di sperimentazioni artistiche, erotiche ed esistenziali.
E' il mistero non ancora chiarito dei “bui anni Cinquanta” nei paesi dell'est, un mistero su cui si sta cercando di far
luce col favore della nuova situazione politica, ma per il quale non sarà facile trovare una soluzione. Furono
veramente “bui” quegli anni? Sul serio la società rimase annichilita, senza fiatare, senza pensare, senza creare, sotto i
colpi della polizia politica e del terrore ideologico? Tutto, proprio tutto, fu realmente appiattito sulla dimensione
politica, senza spazio residuo per altre dimensioni umane: quella artistica, quella erotica, quella religiosa, quella
gastronomica...? “In culo oggi no / mi fa male / E poi vorrei prima chiacchierare un po' con te / perché ho stima del
tuo intelletto...”. “Non chiavo volentieri all'aria aperta / non mi riesce di allargare le gambe”. Così scriveva in quegli
anni a Praga Jana Cern , e aggiungeva: “Premetto che questo libro è nato dalla nostalgia, o - se volete - dalla noia, che
del resto è la stessa cosa, dal malumore e dal capriccio, dall'insoddisfazione e da molteplici masturbazioni. Ne avevo
abbastanza di guardare la crescente perfezione delle mie unghie, sognando le pose in cui accogliere gli amici borghesi.
Ciò detto sarebbe uno sbaglio pensare che si tratti di un libro esistenzialista - altra definizione inammissibile. Se i miei
sogni e desideri erotici per l'assenza di un amante sono giunti così lontano che viene scritto questo libro, non c'è in
questo niente di esistenzialista, la cosa è del tutto logica e riguarda la psicoanalisi, piuttosto che vuote acrobazie
sartriane - anche in caso affermassimo che l'origine sia la stessa”.
In quegli anni di terrore e d'integralismo politico, a Praga una donna (pur non potendo pubblicare) scriveva di
esistenzialismo e psicoanalisi, di sesso e di desideri femminili. E non scriveva nell'isolamento, ma oltre a scrivere
metteva in pratica le sue idee anticonformiste. Assieme a lei c'era un gruppetto di persone, Egon Bondy, Ivo
Vodsed' lek, Bohumil Hrabal, Vladimir Boudn¡k, che discutevano quotidianamente di queste cose, vivevano alla
giornata grazie a lavori saltuari, abitavano quasi tutti nello stesso quartiere di Liben alla periferia di Praga, scrivevano,
conducevano una esistenza da bohémien, pubblicavano testi proibiti in una collana samizdat che si chiamava P lnoc
[Mezzanotte] molto prima che si affermasse il samizdat politico, conducevano esperimenti artistici ed esistenziali...
Questo gruppo di persone, benché ristretto nel numero e non organizzato formalmente, aveva anche una influenza, pur
se minima, sull'intera società e sulla vita culturale boema, e un'influenza ben maggiore ebbe in seguito, quando il
gruppo non esisteva più, sulle generazioni degli anni Settanta e Ottanta, un'influenza esercitata attraverso canali
segreti e ancora in parte da scoprire, ma un'influenza certa, tanto che queste persone sono oggi a Praga delle leggende
e certamente dei punti di riferimento insostituibili per una gioventù che si cerca tra le rovine e la confusione del
presente. E' sufficiente ricordare l'esempio di Egon Bondy (pseudonimo di Zbynek Fisher), il destinatario della lettera
di Jana Cern , vero mito vivente in Cecoslovacchia (dove proprio ora si sta pubblicando la sua monumentale storia
della filosofia), “grande vecchio” dell'underground ceco, massimo specialista di filosofie orientali, autore di noti libri
di ontologia (sotto il nome di Zbynek Fisher), ma anche autore dei testi delle canzoni dei Plastic People, il gruppo
rock simbolo della ribellione giovanile negli anni Settanta (Havel stesso ricorda in "Interrogatorio a distanza" come
proprio dall'arresto dei membri di quel gruppo nacque il movimento dissidente Charta 77). Ebbene Egon Bondy è un
uomo che ha attraversato i quasi cinquant'anni del dopoguerra portando il testimone della ribellione anticonformista,
dalle esperienze underground a cavallo tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta fino alla protesta rock degli anni
Settanta e Ottanta.
Ma anche Hrabal, ovviamente, è un'altra prova vivente dell'influenza esercitata da quelle personalità sulla società
cecoslovacca, Hrabal con i milioni di copie dei suoi libri dalla ironia corrosiva letti in questi quarant'anni dai suoi
connazionali. E Jana Cern , naturalmente, la cui influenza intellettuale deve ancora dispiegarsi appieno, con le sue
intuizioni, la sua consapevolezza femminile, il coraggio, le provocazioni, la storia personale e familiare emblematica.
Quindi proprio nei bui anni Cinquanta (e già sul finire dei Quaranta) nascono molti dei fermenti più. creativi del
dopoguerra ceco. Quello che stupisce in questo piccolo ma vivace movimento underground sono le analogie con la
beat generation americana. Come quella nasce e si sviluppa in pieno maccartismo, in un periodo cioè di riflusso
politico, di paura, sospetto e persecuzioni negli ambienti intellettuali, così l'underground praghese (che tale si
autodefinisce fin da allora) conosce il suo momento più creativo proprio negli anni del terrore staliniano, dal 1949 ai
primi anni Cinquanta. E ciò che accomuna i due “movimenti” è proprio il rifiuto di queste situazioni iperpoliticizzate,
con i loro fanatismi e cacce alle streghe, e l'esaltazione invece proprio dell'apoliticità, la ricerca per l'arte e per la vita
privata di uno spazio autonomo dalla politica. E ancora si tratta di due “movimenti” artistici ed esistenziali che
coltivano la sperimentazione e l'eccesso. Si leggano le impressionanti parole di Jana Cern contro la ragionevolezza
che mortifica lo slancio vitale (p.p. 38-39); il suo invito anti-accademico a unire poesia e filosofia, vita e letteratura,
sesso e arte (p. 42 e segg.); la sua continua polemica anti-borghese, a partire dalle pagine di "Clarissa" dove si affaccia
timidamente la consapevolezza di un suo compito rivoluzionario nella vita privata, fino alle “tirate” contro la coppia
tradizionale e la famiglia (borghese o socialista che sia) dove rivendica apertamente a sé e al suo amante un ruolo
attivo nella guerra contro le convenzioni, alla ricerca del “nuovo” a partire dai rapporti interpersonali, sentimentali e
sessuali.
Non si tratta di compiute elaborazioni teoriche, né di un movimento strutturato, ma piuttosto di spinte alla
sperimentazione in più direzioni, perseguite comunque con coerenza. Mentre per Jana Cern l'impegno innovativo
sembra concentrarsi sui cambiamenti da apportare alla sfera privata, ai costumi, alla morale, per Egon Bondy lo sforzo
sarà volto soprattutto a far accettare una concezione anti-accademica della filosofia (in primo luogo a se stesso, come
documentano le pagine della lettera in cui Jana lo esorta ad abbandonare i complessi che gli derivano - dice lei - dal
produrre filosofia non nelle biblioteche o all'università ma in birreria e a letto con lei). Hrabal dal canto suo fa i primi
passi, istigato da Bondy, dal surrealismo in direzione del “realismo totale”, passi che lo faranno approdare poi alle
acciaierie di Kladno, dove lavorerà per alcuni anni e dove rimarrà ferito in un incidente di lavoro, un'esperienza da cui
nasceranno, tra gli altri, i racconti di "Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare", Einaudi, 1968.
E sempre Hrabal ricorda quegli anni in alcuni suoi libri: nel "Tenero barbaro" rievoca la sua amicizia “scapigliata”
con Vladimir Boudn¡k, mentre nel recente "Uragano di novembre" racconta di quando Ufi Kol r, artista e animatore
del “Gruppo 42” (altro importante movimento culturale ceco nato nel 1942), introduceva nei loro circoli le prime
traduzioni di autori americani come Faulkner, Hemingway e Lardner, e le sue teorie artistiche e i suoi collage, i
confrontage, i raportage (da non confondere con i reportage)... E negli stessi anni e negli stessi ambienti Vladimir
Boudn¡k, artista grafico e operaio, inventava l'esplosionalismo, mentre Ivo Vodsed' lek cominciava a scrivere le prime
poesie di un'opera poetica mai pubblicata (cinque volumi di opere verranno pubblicati quest'anno).
Grande fermento e grande diversità, quindi, non riducibili a un qualche omogeneo movimento e comunque
sicuramente contraddittorio rispetto al luogo comune degli anni bui in cui non cresceva un filo d'erba.

Jana Cern (alias Honza Krejcarov , confer nota 1 della Prefazione) nacque a Praga il 14 agosto 1928 dalla saggista e
giornalista Milena Jesensk e dall'architetto Jarom¡r Kreicar. Il parto - ricorda uno dei figli di Jana - fu estremamente
difficile e delle sue conseguenze Milena soffrì in seguito per molti anni. “Milena” ricorda ancora il figlio di Jana in
una nota alla biografia che Jana scrisse sulla madre ("Vita di Milena", Garzanti 1986), “impulsiva com'era, amò
ugualmente la sua bambina pur avendo desiderato un figlio maschio. Tuttavia non sopportò a lungo il ruolo di madre
premurosa. Da giornalista ricca di idee, ben presto rivolse le sue attenzioni al lavoro, affidando a una bambinaia
l'educazione della figlia”. Fin dalla prima infanzia, dunque, Jana sperimentò gli effetti di nascere e crescere in una
famiglia progressista con due genitori attivamente impegnati sul fronte culturale e politico. In particolare, la figura
della madre - personalità forte della Praga tra le due guerre - ebbe certamente un'influenza enorme sul carattere e sulle
idee di Jana. Milena Jesensk è infatti mondialmente nota per la sua storia d'amore con Franz Kafka, documentata in
parte dalle famose "Lettere a Milena" dello scrittore praghese e in parte dagli stessi scritti di Milena. Ma in
Cecoslovacchia e nell'Europa centrale in genere è nota anche per la sua attività giornalistica (alcuni suoi reportage e
articoli sono pubblicati anche in italiano nel volume "Tutto è vita", Guanda 1986); per l'impegno politico nel partito
comunista e per gli anni trascorsi nel campo di concentramento di Ravensbr ck, dove morì per gli stenti e i
maltrattamenti e dove fu anche emarginata e isolata dalle sue ex compagne di partito per le sue convinzioni anti-
staliniste (confer il libro di Margarete Buber-Neumann, "Milena, l'amica di Kafka", Adelphi 1986, in cui Margarete,
moglie di Heinz Neumann, dirigente comunista tedesco fatto uccidere da Stalin nel 1937, ricorda come Milena la
difese coraggiosamente dall'ostracismo delle detenute staliniste).
Una donna così forte e vitale non poteva non lasciare un'impronta sulla personalità della figlia e per tutta la propria
esistenza Jana dovette fare i conti con la figura della madre. Durante l'infanzia, fino all'arresto della madre nel 1939
quando la bambina aveva undici anni, Jana seguì la turbinosa esistenza di Milena: la separazione dal secondo marito
nonché padre di Jana, Jarom¡r Krejcar, col quale rimase comunque in buoni rapporti; la nuova unione con il trockista
Evzen Klinger, la difficile lotta per disintossicarsi dalla morfina che aveva iniziato a prendere per un'operazione alla
gamba (Milena, incinta di Jana, era andata a sciare!); gli alti e bassi economici e il vagare di casa in casa; gli
entusiasmi politici e poi le delusioni; le paure per l'approssimarsi della guerra, alimentate dai viaggi nei Sudeti dove
Milena scrive alcuni bei reportage sulla montante marea nazista; la pericolosa attività per salvare molte persone
ricercate dalla Gestapo.
In questi anni Jana, che nel 1939 appena undicenne diffonde la stampa clandestina antifascista nella Praga occupata
dai tedeschi, impara molte cose che poi si ritrovano nei suoi atteggiamenti di donna adulta: un anticonformismo
spesso anche provocatorio; lo sprezzo per il ruolo subalterno della donna (in "Vita di Milena", rievocando la figura
della seconda moglie di suo padre, una donna capricciosa, e lamentosa, Jana scrive: “Da allora in poi sono terrorizzata
da tutte le donnette come il diavolo dall'acqua santa”); un'irrequietezza anche fisica che spinse Jana, come prima sua
madre, a vagare di casa in casa; l'abitudine a cavarsela anche senza un soldo in tasca; il culto del coraggio e
dell'indipendenza; la passione per le idee e le arti. In quegli anni però impara anche a diffidare degli intellettuali e dei
progressisti. Oltre alla madre, anche il padre, Jarom¡r Krejcar, fu un personaggio di spicco dell'epoca, architetto
costruttivista, membro del Devetsil (un importante movimento di rinascita culturale ceco, nato nel 1920 e animato dai
migliori talenti del periodo, come Nezval, Seifert, Vancura, Teige) (1). Jana, dunque, cresciuta negli ambienti
culturalmente più vivaci della Praga tra le due guerre, a contatto con la cultura ceca, tedesca ed ebraica e con quella
internazionale, conservò per tutta la vita un atteggiamento di sfiducia e di ironia nei confronti degli idealismi, delle
astrazioni intellettualistiche e del conformismo, anche di sinistra.
Quando la madre viene arrestata dalla Gestapo, Jana va a stare presso il nonno materno, un personaggio autoritario e
piuttosto ricco con il quale già Milena aveva avuto i suoi problemi. Nel 1945, quando il nonno muore, Jana ha
diciassette anni e si ritrova con un ricco patrimonio che, a detta del figlio Jan Cerny, sperpera nel giro di un anno. E'
l'avvio di un'esistenza nomade e dissipatrice. Nel 1949 si sposa una prima volta, nel 1950 conosce il suo secondo
marito, Milosh Cerny, dal quale avrà tre figli (il marito ne riconobbe anche un quarto pur sapendo che non era suo).
Anche questo matrimonio finisce male e i figli vengono affidati a diversi istituti. Intanto Jana, per mantenersi, passa
da un lavoro all'altro: donna delle pulizie, bigliettaia sul tram, sguattera. (Qui pure si avverte l'ombra della madre:
Milena, quando seguì il primo marito Ernst Pollak a Vienna nei primi anni Venti, si guadagnava da vivere facendo la
facchina alla stazione.) Jana inoltre scrive libri con il solo intento di guadagnare qualcosa, opere senza valore
letterario. “Dopo qualche anno” osserva il figlio Jan Cerny, “ritirò dagli istituti due dei suoi bambini per tenerli con
sé, ma resistette solo per due o tre anni. Noi ci sentivamo amati, lei ci parlava come se fossimo adulti e si aspettava
anche che noi ci comportassimo come tali. Però mancava la continuità nelle piccole cose che sembrerebbero ovvie:
noi bambini rimanevamo abbandonati a noi stessi per giorni interi e poco tempo dopo fummo affidati alla tutela di
nostro padre. All'inizio degli anni Sessanta Jana si sposò un'altra volta ed ebbe un altro bambino. Solo poco tempo
dopo il tribunale affidò il bambino a dei genitori adottivi e Jana venne condannata a un anno di detenzione per
negligenza nella cura dei figli”.
Prima della morte, sopravvenuta il 5 gennaio 1981 in un incidente automobilistico, si sposò per la quarta volta.
Nell'ultimo periodo della sua vita divenne credente (già nella lettera a Zbynek Fisher, alias Egon Bondy, dell'inizio
degli anni Sessanta, si avverte l'affacciarsi di una certa religiosità). Anche qui è difficile non evidenziare un'ennesima
analogia tra le vite di Jana e della madre: pure Milena, infatti, atea convinta nel corso della sua esistenza, divenne
credente nei suoi ultimi anni di vita.
Questi brevi cenni biografici dicono quanto l'esistenza di Jana fu influenzata dalla personalità della madre. Ma
stranamente, se la figura di Milena è circondata da un'aureola di quasi santità, lo stesso non può dirsi della figlia. Ciò
soprattutto da un punto di vista morale, nonostante luci e ombre possano riscontrarsi nelle vite e negli atti di ambedue
le donne. Se infatti su Jana pesa l'infamia di un arresto per abbandono dei figli, cosa dire della tossicodipendenza di
sua madre che mandava la piccola Jana di notte in giro per Praga alla ricerca della morfina? E d'altra parte, se
l'atteggiamento di Milena a Ravensbr ck nei confronti delle altre detenute ci è stato tramandato da più parti come un
raro esempio di solidarietà, cosa dire del coraggio con cui Jana difendeva i propri principi in una società dominata
dalla paura? Fu felice Jana? Visse gioiosamente le proprie somiglianze con la madre? O l'ombra di questa forte
personalità la schiacciò? E' difficile dirlo. Certo, il loro rapporto, prima e dopo la morte di Milena, resta emblematico
dell'intensità e dell'ambivalenza presenti nei rapporti madre-figlia.

All'interno dell'eredità ideale che Jana Cern ha lasciato alle generazioni successive, attraverso le sue azioni ancor
prima che attraverso le opere, ci sono almeno due elementi che meritano di essere considerati: una specie di erotismo
proto-femminista da una parte e la consapevolezza dell'eredità culturale multinazionale di Praga dall'altra.
Per quanto riguarda il primo punto, si potrebbe con qualche forzatura affermare che il verso “Oggi nel culo no” che dà
il titolo al libro sia in qualche modo una metafora del femminismo. Il verso seguente di quella poesia recita infatti: “E
poi vorrei prima chiacchierare un po' con te / perché ho stima del tuo intelletto”, che è un'affermazione, presente in
tutti gli altri testi di questo volume, del rifiuto di sottomettersi al primato maschile a partire dalla sfera sessuale e
anche dell'intenzione di ricercare una sessualità non disgiunta dai sentimenti e dall'attività intellettuale. Nelle poesie
queste esigenze di emancipazione femminile e di valorizzazione della sessualità si vestono di un tono ironico, come
negli scanzonati versi: “Le fiche si cuciono su misura / e al sarto gli si dice / Mi ci metta una fodera di seta / e non
metta bottoni / tanto la porterò slacciata / Si cuciono quindi così / come la biancheria da uomo”. Nella lettera, che è di
oltre dieci anni successiva, c'è ormai piena consapevolezza della “rivoluzione privata” da lei scatenata all'interno del
rapporto di coppia e in genere dei rapporti sentimentali e sessuali. Quello della Cern sembra comunque un
“femminismo” non rivolto contro il maschio ma piuttosto contro l'ordine patriarcale e maschilista, strettamente
correlato con il suo rifiuto anarchico di qualsiasi ordine stabilito. In "Clarissa" (che è del 1951) invece la sua
attenzione pare piuttosto rivolta ai lati oscuri, morbosi e insieme ludici del rapporto sentimentale e sessuale, in
un'ottica - come hanno scritto alcuni critici cechi - sadiana: ambivalenze, sadomasochismo, schermaglie amorose,
tradimento...
Il secondo aspetto dell'eredità di Jana che oggi ci pare attuale è il suo ruolo di trasmissione fino ai nostri giorni del
magnifico patrimonio culturale di Praga, crocevia dei popoli ceco, tedesco, ebraico; incrocio - dice Hrabal nella sua
intervista sull'ironia praghese in appendice a "Treni strettamente sorvegliati", Edizioni e/o 1982 - che è stato un
trauma dal punto di vista sociologico, ma che ha fatto nascere un terreno favorevole alla letteratura e che ha generato
in particolare quel complesso fenomeno definito “ironia praghese”. Jana Cern ha avuto una funzione preziosa nella
trasmissione di quel patrimonio culturale dopo il 1945, quando le sue basi materiali (la convivenza tra cechi, ebrei,
tedeschi) erano state spazzate via dal nazismo. Lei stessa - ricorda Hrabal nel testo incluso in questo volume - si
vedeva come la figlia di Franz Kafka. Naturalmente Jana, nata nel 1928, non aveva mai conosciuto Kafka, morto nel
1924, ma sua madre le aveva lasciato un ricordo indelebile del grande scrittore ebreo-tedesco. E poi tutta la sua
infanzia era trascorsa all'interno di questo straordinario crocevia di culture: la casa dei genitori era frequentata da
artisti e intellettuali cechi, tedeschi ed ebrei, Jana era molto consapevole dell'unicità di questa eredità culturale; anche
il suo libro "Vita di Milena" ha contribuito non solo alla costruzione del mito di Milena, ma anche al rafforzamento
dell'interesse dei suoi connazionali nei confronti del clima culturale praghese tra le due guerre.

giugno 1992
Peppe Mauro Notturna

**

NOTE.
PREFAZIONE.

N. 1. Honza Krejcarov è il nome con cui Jana Cern era conosciuta nell'underground praghese. Non si tratta di uno
pseudonimo: Krejcarov è il cognome da nubile, invece Honza che deriva da Jan è il nomignolo con cui veniva
chiamata.
N. 2. Vedi alcune opere di Ivo Vodsed' lek della metà degli anni Cinquanta, e dopo tutto anche il mio "Diario di una
ragazza" del 1971 e poi ovviamente tutta l'ondata di “neodecadenza” degli anni Ottanta nell'underground ceco. [La
nota è di Egon Bondy.]

CLARISSA.

N. 1. Parola omessa nell'originale.

LA LIRA NERA.

N. 1. All'argine è il nome della strada del quartiere Liben a Praga dove Hrabal ha vissuto e che veniva da lui e dai suoi
amici chiamata all'Argine dell'Eternità.

BEATNIK A PRAGA.

N. 1. Su questo movimento, i personaggi citati e la vita culturale praghese tra le due guerre, confer A. M. Ripellino,
"Storia della poesia ceca contemporanea", Edizioni e/o 1981.

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