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Induismo - Wikipedia 24/01/22, 15:44

Induismo
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L'induismo[1] (o hindūismo[2]; tradizionalmente


denominato Sanātanadharma , in sanscrito devanāgarī
[4]

सनातनधमर्, lett. «legge/religione[5] eterna[6]») è una religione, o


piuttosto un insieme di credi religiosi, tra le più diffuse al
mondo e tra quelle con le origini più antiche. Con oltre un
miliardo e seicento milioni di credenti, nel 2021 l'induismo è
al terzo posto nel mondo come numero di credenti dopo il
cristianesimo e l'islam.[7]

Indice
Etimologia Il simbolo dell'Oṃ, il più sacro mantra
Definizioni di Induismo induista. Questo simbolo ॐ deriva
Definizione secondo la Corte suprema dell'India dall'unione di due caratteri della
devanāgarī: ओ ('o') + ◌ँ ('m' nasale)
Origini, genesi e sviluppo storico dell'Induismo riportati in corsivo. Risultando la
La religione della Civiltà della valle dell'Indo devanāgarī una scrittura non
I Veda, la Religione vedica e il Bramanesimo precedente all'VIII secolo d.C.,
questo simbolo è di gran lunga
Credenze e pratiche comuni nell'Induismo posteriore alla sillaba Oṃ, presente
Varṇa: il sistema castale hindu in testi anteriori almeno al VI secolo
a.C.
Āśrama: gli stadi della vita di un hindu
Dharma: le norme religiose
Ahiṃsā ("assenza del desiderio di uccidere")
Satya ("sincerità", "veridicità")
Puruṣārta: i quattro scopi legittimi della vita di un
hindu
Saṃskāra: le cerimonie della vita
La vita quotidiana di un devoto hindu
Yajña e Pūjā: i sacrifici e le offerte
Vimāna e Mandira: i templi degli hindu
Consacrazione dei templi e delle immagini sacre
I pellegrinaggi
Le festività religiose
La cosmogonia e la cosmologia tradizionale degli
hindu
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La manifestazione (sṛṣṭi) e il dissolvimento


(pralaya): la cosmogonia hindu
Yuga: il tempo cosmico degli hindu
Brahmāṇḍa, l'uovo d'oro di Brahmā: la cosmologia
tradizionale hindu
Il karman e il ciclo delle rinascite (saṃsāra)
La liberazione dal saṃsāra: il mokṣa
L'Induismo nel mondo
Note
Bibliografia disponibile in lingua italiana
Testi storiografici, antropologici e fenomenologici
Dizionari ed enciclopedie
Raccolte di testi religiosi e loro notazioni critiche
Opere sulle filosofie e sulle teologie dell'India
Opere sulle letterature classiche dell'India
Opere monografiche sui rituali dell'India
Manuali di iconografia induista
Testi sulle mitologie indiane
Miscellanea
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

Etimologia
Il termine italiano "Induismo", deriva dal termine anglosassone Hinduism diffuso dagli inglesi
in epoca moderna[11], coniato aggiungendo il suffisso ism al sostantivo hindū, quest'ultimo
termine a sua volta utilizzato, a partire dal XIII secolo, dai turchi di fede musulmana per
indicare coloro che non si convertivano alla loro religione[12][13] nonché, con il termine arabo al-
Hind, occorre nei testi arabi ad indicare l'intero popolo dell'India[14].

Il termine hindū fu in origine prettamente geografico in quanto si fa derivare dall'antica parola


iranica utilizzata, fin dall'epoca Achemenide[15], per indicare il fiume Indo, la regione dei suoi
sette affluenti[16][17] e i suoi abitanti[18], fiume e regione a loro volta denominati in sanscrito
vedico dagli indoari come Sapta Síndhu e Síndhu[19][20] quindi dai Greci[21] e più tardi dai
Romani[22].

Con la dominazione dei musulmani parlanti la lingua persiana, i Moghul, avviata nel XVI secolo,
la regione a est del fiume Indo diventa l'Hindustān (il termine stān nelle varie lingue
indoeuropee, come l'antico persiano, indica un "luogo dove si sta", un "territorio"), e i suoi
abitanti sono chiamati hindū.

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Con la colonizzazione britannica, il termine inglese


Hinduism fu dunque impiegato per indicare un insieme
variabile di fatti culturali e religiosi presenti nel
Subcontinente indiano, e quindi tradotto nelle principali
lingue europee.

Successivamente gli stessi indiani finirono per utilizzare il


termine, di conio anglosassone, Hinduism per indicare la
propria identità nazionale in contrapposizione a quella dei
colonizzatori[23][24]. Anche se il termine hindū compare già
nel XVI secolo in testi religiosi vaiṣṇava in contrapposizione
al termine yavana (musulmano)[25].

I fedeli hindū non indicano, tuttavia, la loro fede religiosa


come "Hinduism" (Induismo), termine che non compare in
alcun vocabolario indiano tradizionale antico o moderno[26] Immagine di Charles Grant (1746-
quanto piuttosto come Sanātanadharma (Ordine, Norma, 1823), presidente della British East
Religione eterna) in quanto i suoi fondamenti non sono India Company e fervente cristiano
frutto dell'esperienza umana ma della rivelazione divina, fin evangelico utilizzò per la prima volta
dallo stesso Veda manifestatosi all'alba dei tempi ai veggenti il termine Hindooism per identificare
detti Ṛṣi. la religione degli hindoo[8].

O ancora lo indicano come Varṇāśramadharma ovvero


come il Dharma che regge ogni essere secondo la sua collocazione (varṇa) assegnandogli un
impegno suo proprio (āśrama) di ordine sociale, religioso e morale[27].

L'"Induismo" viene tradizionalmente indicato anche come Āryadharma, la Religione degli


ārya[28], e Vaidikadharma, la Religione del Veda[29].

Definizioni di Induismo
Il termine "Induismo" è dunque assolutamente recente e fu diffuso da orientalisti occidentali e
da studiosi indiani a partire dal XIX secolo, non solo, la sua stessa natura risente di questo
processo:

«È importante ricordare che la formazione dell'induismo, nella sua accezione corrente,


ha avuto inizio soltanto nel XIX secolo, quando il termine fu usato da riformatori hindu e
dagli orientalisti occidentali.»

(Flood, p. 7)

Il termine è peraltro di difficile definizione poiché si riferisce a numerose tradizioni religiose allo
stesso tempo, senza che vi sia un elemento fondatore accomunante e senza che un'autorità
centrale ne regoli la pratica[30].

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Ciò nonostante, Stefano Piano ritiene che con il termine


"Induismo" si possa indicare "un'intera cultura, una visione
del mondo e della vita, un modo di essere e di comportarsi,
una serie di abitudini quotidiane che si tramandano da
millenni, con scrupolosa tenacia, in seno ad una civiltà
estremamente fedele al proprio passato e nella quale
predomina una concezione religiosa dell'uomo e
dell'universo"[31]. L'induismo, più che una singola religione
in senso stretto, si può considerare una serie di correnti
religiose, devozionali e/o metafisiche e/o teologico-
speculative, modi di comportarsi, abitudini quotidiane
spesso eterogenee, aventi sì un comune nucleo di valori e
credenze religiose, ma differenti tra loro a seconda del modo
in cui interpretano la tradizione e la sua letteratura religiosa,
e a seconda di quale aspetto diviene oggetto di focalizzazione
per le singole correnti[32][10]. Come Heinrich von
Stietencron[33], si può parlare piuttosto di "religioni hindū",
come la vaiṣnava, śaiva o quella śākta, poiché tutti gli
appellativi usati vengono rifiutati dagl'intellettuali indiani di L'ingresso del tempio Paṣupatināth
formazione non occidentale, e specialmente dagli aderenti (Signore delle mandrie) dedicato a
all'ortodossia smārta, in quanto considerano che si Siva a Katmandu. L'ingresso al
riferiscono a diversi aspetti di un'unica realtà spirituale, il tempio è consentito esclusivamente
Sanātanadharma[34]. agli indiani che appartengono a un
varṇa a prescindere dalla loro fede
In tal senso, il francese Alain Daniélou ricorda come per gli religiosa, mentre è severamente
hindū dogmi e credenze costituiscono altrettanti ostacoli proibito a tutti gli altri visitatori anche
allo sviluppo del sapere e della conoscenza della realtà. Gli se professano con rigore una fede
induisti hanno sempre cercato di stabilire un sincretismo di induista
filosofie e religioni per esprimere le varie sfaccettature delle
forze cosmiche.[35] Questo spiega come "la definizione di
Induismo comprenda, in realtà, un insieme variegato di religioni e di visioni del mondo anche
contrastanti"[36], sebbene questi siano espressi restando fedeli per tutta la vita a un ordine socio-
culturale; motivo per il quale un induista non abbandonerà le norme, abitudini e
comportamenti ed il fatto di essere nati in una casta (jāti). Il fattore etnico e culturale è
determinante, in questo senso, affinché una persona si definisca hindū - stando almeno alla più
comune e ortodossa delle formulazioni.

Questa teoria sembrerebbe dimostrata dal fatto che presso i principali santuari dell'Induismo,
ad esempio il Tempio di Kṛṣṇa a Puri (Orissa) o quello di Siva a Katmandu in Nepal[13], santuari
appartenenti a differenti darśana, possono avere ingresso solo gli indiani appartenenti ad un
varṇa, a prescindere dalla loro fede religiosa[37], e non i non-indiani, anche se professanti una
fede 'induista'. Nonostante questo, esistono convertiti di etnie diverse da quella indiana, che
sono inoltre riusciti ad ottenere le iniziazioni per poter officiare nei templi.

Pur non essendo di facile definizione, per comprendere il termine hindū in un contesto di più
ampio significato, avverte Michel Delahoutre:

«Non basta, come una volta si credeva troppo facilmente, conoscere il sanscrito, né
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fidarsi delle tradizioni portate avanti dai brahmani che nel loro insieme sono indicate col
termine brahmanesimo. Ora sono necessari la conoscenza delle lingue moderne e gli
studi sociologici ed etnologici, che si occupano anche dei fenomeni recenti o attuali e
del contatto con l'Occidente. Bisogna tener conto dei fenomeni di adattamento
dell'induismo agli ambienti occidentali con l'apparizione di nuove sette, di nuovi guru o
di nuovi swāmi.»

(Delahoutre)

Quindi l'"Induismo" non è solo una "invenzione"[38] degli


orientalisti occidentali[39] ma anche l'autorappresentazione,
moderna, di elementi già presenti nel passato indiano[40].

Definizione secondo la Corte suprema


dell'India Shyama Charan Lahiri (1828-1895)
maestro di yoga del XIX secolo. Da
Nel 1966 la Corte suprema dell'India, esprimendosi sul caso notare lo yajñopavīta, il cordoncino
Shastri Vagnapurushdasji et al. contro Muldas composto da tre fili di cotone bianco
uniti indossati sopra la spalla
Bhundardas definì normativamente la qualifica di hindu, e
sinistra[9], i quali lo indicano come un
quindi di induismo, con i seguenti sette punti[41]:
bramino
1. l'accettazione rispettosa dei Veda come la più alta
autorità riguardo agli argomenti religiosi e filosofici, e
l'accettazione rispettosa dei Veda da parte dei pensatori
e filosofi induisti come base unica della filosofia induista;
2. lo spirito di tolleranza e di buona volontà per
comprendere e apprezzare il punto di vista
dell'interlocutore, basato sulla rivelazione che la verità
possiede molteplici apparenze;
3. l'accettazione, da parte di ciascuno dei sei sistemi di
filosofia induista, di un ritmo dell'esistenza cosmica che
conosce periodi di creazione, di conservazione e di
La sede, a Nuova Delhi della Corte
distruzione, periodi, o yuga che si succedono senza fine;
suprema dell'India
4. l'accettazione da parte di tutti i sistemi filosofici induisti
della fede nella rinascita e preesistenza degli esseri;
5. il riconoscimento del fatto che i mezzi o i modi di raggiungere la salvezza sono molteplici;
6. la comprensione della verità che, per quanto grande possa essere il numero delle divinità
da adorare, si può essere induisti e non credere che sia necessario adorare le Murti
(rappresentazioni) delle divinità;
7. a differenza di altre religioni o fedi, la religione induista non è legata a un insieme definito di
concetti filosofici.

Origini, genesi e sviluppo storico dell'Induismo

La religione della Civiltà della valle dell'Indo


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La generalità degli studiosi considera il Vedismo, la religione dei Veda


praticata dagli indoari, all'origine di quello che noi oggi indichiamo
come "Induismo"[42].

Questa civiltà ha origine nel Neolitico (7000 a.C.), si è sviluppata a


partire dal 3300 a.C.-2500 a.C. ed è tramontata intorno al 1800-1500
a.C.[43] Fu una civiltà agricola e urbanizzata molto sviluppata, con
legami commerciali con la Mesopotamia, che ha lasciato delle
importanti vestigia e delle opere d'arte. Sono documentati diversi
elementi di eredità linguistica e iconografica tra la Civiltà della valle
L'area della Civiltà della dell'Indo e la cultura dravidica dell'India meridionale[44][45].
valle dell'Indo. Si ritiene
che questa civiltà si sia La grande quantità di figurine rappresentanti la fertilità femminile
sviluppata intorno al ritrovate indicano un culto ad una "dea madre", che potrebbe essere
2500 a.C. tramontando all'origine del culto della Dea propria dell'Induismo successivo[46]. Le
intorno al 1800 a.C.; immagini di statuette prediligono rappresentare la divinità femminile
elementi della sua in forma umana e quella maschile sotto forma animale (soprattutto
cultura religiosa sono poi toro, bufalo d'acqua e zebù).
riverberati nell'Induismo
Le Civiltà della valle dell'Indo decadde improvvisamente intorno al
XIX secolo a.C. a causa, sembrerebbe, di
mutamenti climatici come le siccità o le
inondazioni. Ciononostante a Mohenjo-daro
sono stati rinvenuti scheletri di vittime di
una morte violenta, caduti lì dove sono stati
ritrovati, secondo Mortimer Wheeler[47] ciò
testimonierebbe, comunque, l'invasione Gli scavi archeologici a
degli indoari. Nel 1500 a.C., l'arrivo dei Mohenjo-daro
conquistatori indoari nell'area del Punjab,
sempre per Thomas J. Hopkins e Alf
Hiltebeitel,[46] fece sì che tale cultura religiosa venisse ereditata solo
dalle culture dravidiche dell'India meridionale, sopravvivendo al Nord
Statuetta della Dea della
Civiltà della valle
ma limitata a piccole comunità rurali e riemergendo nel periodo tardo
dell'Indo rinvenuta a e post vedico.
Mehrgarh risalente al
3000 a.C. (Museo
Guimet di Parigi) I Veda, la Religione vedica e il Bramanesimo
Il periodo "vedico" (vedismo) è considerato tale dall'ingresso degli Arii
nell'India settentrionale fino alla invasione da parte di questi della piana del Gange, VIII secolo
a.C., e la costituzione di prime entità statuali nonché alla compilazione delle parti in prosa dei
Veda, i Brāhmaṇa, e delle Upaniṣad, i commentari redatti a partire dall'VIII secolo a.C. e per
questo denominati come Vedānta (fine dei Veda)[48]. La religione vedica corrisponde a quella
raccolta di testi, il Veda, tramandata oralmente per secoli da scuole brahmaniche (dette sākhā)
prima di essere messa per iscritto in epoca moderna[49][50][51]. Successivamente gli indoari si
spostarono verso Sud e verso Est in un processo di conquista che non fu mai terminato,
essendoci tutt'oggi vasti territori dell'India meridionale ed orientale dove ancora si parlano
dialetti dravidici e munda[52].

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Il periodo successivo al "vedismo", a partire dall'VIII secolo a.C. fino a primi secoli della nostra
Era, gli storici delle religioni lo denominano come Brahmanesimo, mentre quello successivo a
questo e fino ai giorni nostri viene indicato come Induismo[48].

Il passaggio dal "vedismo" al bramanesimo corrisponde alla progressiva sostituzione delle figure
sacerdotali coinvolte nei riti sacrificali. Se nel primo Veda, il Ṛgveda, l'officiante delle libagioni
è lo hotṛ (corrispondente allo zaotar dell'Avestā), accompagnato da altre figure sacerdotali
minori, con il passare dei secoli e con l'elaborazione dottrinale all'interno degli stessi Veda,
sopraggiunge la figura dello udgātṛ il cantore delle melodie del Sāmaveda, sostituito poi
anch'esso come figura sacerdotale primaria dallo adhvaryu, il mormorante i mantra relativi
allo Yajurveda e, infine con il brahmanesimo, dal brāhmaṇa, l'ultimo dei sacerdoti che
sovrintendeva alla correttezza del rito, riparando a qualsiasi errore, e detentore dell'ultimo
Veda, lo Atharvaveda[53].

Credenze e pratiche comuni nell'Induismo


La nozione più pertinente che caratterizza e riassume la vita
religiosa di un hindu è quella che richiama il nome
tradizionale di varṇāśramadharma[54] considerato esso
stesso sinonimo di "religione induista"[27].

Varṇa: il sistema castale hindu


Il nome varṇāśramadharma si compone innanzitutto del
termine varṇa che in sanscrito significa "colore" ed indica
l'appartenenza ad una determinata "casta"[55] (detta anche
jāti), perché ad ognuna di queste caste viene assegnato un
colore simbolico[56].

I brāhmaṇa (italianizzato in "brahmano") sono coloro che


svolgono le funzioni sacerdotali o eminentemente religiose, i
kṣatriya sono coloro che svolgono le funzioni guerriere o
politico-amministrative (potere temporale, kṣatra), i vaiśya
sono coloro che svolgono le attività lavorative agricole,
l'allevamento del bestiame o il commercio, i śūdra, l'ultima
casta, sono rise portatrici di "disgrazia". Così le donne di
casta brāhmaṇa debbono necessariamente unirsi con
uomini della loro stessa casta, se disgraziatamente, ad
esempio, si uniscono a degli śūdra i loro figli saranno dei
caṇdāla, infimi tra i fuoricasta. La proliferazione delle jāti è
motivata dalla presenza del kaliyuga e condannata fin dalla
Un bramino Nambūṭiri (Kerala)
Bhagavadgītā come provocatrice dello stesso:[57] durante il rito dello agnicayana.

Oltre agli hindu inseriti nel sistema castale vi è infatti il


numeroso gruppo degli avarṇa (privi di colore, i "fuori casta"), gli "intoccabili" (niḥspṛśya).
L'appartenenza ad un varṇa non indica un'attività professionale, né tanto meno individua un

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gruppo di persone che svolge attività simili (śreṇi) esso indica piuttosto il ruolo e il compito
religioso in cui è collocato un individuo fin dalla sua nascita secondo la tradizione vedica.

Āśrama: gli stadi della vita di un


hindu
Il "percorso" esistenziale e religioso dei quattro stadi della
vita di un hindu inerisce esclusivamente, almeno nelle sue
formulazioni tradizionali, agli appartenenti di sesso
maschile delle caste cosiddette ārya (ovvero ai primi tre
varṇa), essendo rigidamente esclusi da tale percorso sia gli
Brahmācarin vaiṣṇava presso un
śūdra (e a maggior ragione i "fuori casta") sia le donne, a
gurukula a Tanjore nel 1909. Il segno
qualsiasi casta queste ultime appartengano. Tali stadi sono
che corre dalla fronte lungo il naso
propugnati dalla letteratura Smṛti, in particolar modo dai
corrisponde al tilaka ed è un marchio
cosiddetti Dharmaśāstra, e sono conformi alla suddivisione che li identifica come appartenenti al
in quattro parti della Śruti. loro sampradāya, esso è composto
da argilla bianca detta gopīcandana
Brahmācarya: è lo stadio del giovane studente religioso, proveniente dalla città di Dvārakā
il brahmācarin che deve avviarsi e completare lo studio (Dwarka), e rappresenta i due piedi
del Veda presso un maestro (guru), praticando una di Kṛṣṇa (le linee parallele) che
rigida castità. Si accede a questo stadio e alla relativa terminano con una foglia di Tulasī
vita religiosa con il rito, fondamentale, dello upanayana. (Ocimum tenuiflorum) pianta sacra al
Gārhasthya: il fanciullo ormai divenuto uomo rientra dio e a lui offerta. I devoti al dio
nella normale vita familiare per prepararsi al matrimonio disegnano dodici tilaka sul proprio
ed essere colui che "sta in casa" (gṛastha) compiendo i corpo prima di avviare le attività
riti propri del capofamiglia, ma anche godendo delle devozionali quotidiane
legittime soddisfazioni mondane. Questa fase della vita
è molto importante per l'intera società hindu perché,
come ricorda la stessa Manusmṛti[58], tutti gli uomini che vivono negli altri stadi della vita
dipendono da coloro che vivono in questo.
Vānaprastha: in questa condizione, un capofamiglia ormai invecchiato ha ancora dei precisi
doveri rituali, ma si approssima alla condizione totalmente ascetica successiva rinunciando
ai piaceri mondani, vivendo in uno stato di povertà, meditando sul Veda e praticando lo
yoga e l'ascesi (tapas).
Saṃnyāsa (rinuncia al mondo): «Dopo aver trascorso il terzo quarto della propria vita nella
selva, durante il quarto egli abbandonerà gli attaccamenti e diverrà un asceta errante»[59].
Quindi come "asceta errante" (yati) privo di qualsiasi possesso, di casa o di focolare, vivrà
solo di elemosine.

Dharma: le norme religiose


Originariamente la nozione di Dharma implicava l'armonia necessaria all'universo affinché esso
mantenga la sua coerenza ed il suo ordine[60]. Il mantenimento di tale ordine del Cosmo non
poteva che riflettersi nel destino dell'individuo che se ne faceva portatore, ovvero nel suo
karman, ne consegue che progressivamente i due termini vengono a collegarsi fino a che, nel II

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secolo a.C. Il termine dharma viene quindi a significare per


l'individuo l'insieme degli obblighi che deve soddisfare per
vivere nell'ordine naturale, e quindi per inserirsi nella
società[61].

Oltre questo varṇāśramadharma (anche svadharma) che


inerisce al dovere dell'individuo considerato il suo posto
sociale e la sua età ovvero la sua specificità (viśeṣ), vi sono
altri aspetti, più generali, che riguardano tutti gli hindu a
prescindere dalla loro casta e dal loro momento di vita e
sono quelli elencati, ad esempio, nello Arthaśāstra (I,3,13),
nel Manusmṛti o nell'ancora più completo Vāmana Puraṇa
che si possono esemplificare nelle regole del tipo "non
uccidere", "non mentire", "mantenere la purezza", ecc. Tale
Dharma, detto sādhāraṇadharma, si esprime soprattutto
per mezzo di alcune importanti dottrine, considerate alla Bhaktisiddhānta Sarasvatī Ṭhākura
base dello stesso Dharma, tra queste l'ahiṃsā (lett. "assenza (1874-1936) guru e saṃnyāsin del
del desiderio di uccidere") e la Satya ("sincerità", lignaggio del sampradāya kṛṣṇaita
"veridicità"). fondato da Caitanya nel XV secolo. Il
segno che corre dalla fronte lungo il
naso corrisponde al tilaka ed è un
Ahiṃsā ("assenza del desiderio di uccidere") marchio che lo identifica come
appartenente al suo sampradāya
Ahiṃsā, intesa in ambito occidentale e moderno come "non
violenza"[62], è innanzitutto, a partire dal 500 a.C., visto
come un mezzo per evitare di subire nell'aldilà la stessa sorte
che si è fatta subire in vita agli altri[63]. In seguito, col
cambiamento della dottrina, il concetto arriverà ad
includere le nozioni di compassione e solidarietà per tutti gli
esseri viventi.

Nel XX secolo Gandhi (1869-1948) utilizzò largamente la


nozione di ahiṃsā che «in certa misura, reinterpretò»[64]
essendo peraltro, e per sua stessa ammissione, influenzato
su questo dal laico giainista Raychandbhai Ravajibhai Mehta
(1861-1907)[64]. Secondo Gandhi, l'ahiṃsā è la condizione
della "Verità" identificabile con Dio stesso. L'ahiṃsā,
fondata per Gandhi su un continuo autocontrollo, deve
quindi essere associata alla castità, alla povertà e all'empatia
nei confronti di tutti gli esseri viventi.

Satya ("sincerità", "veridicità")


Mohandas Karamchand Gandhi
(1869-1948), pensatore e politico
Puruṣārta: i quattro scopi legittimi della vita di indiano.

un hindu

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Collegata alla duplice nozione del varṇāśramadharma, è la nozione dei " quattro scopi legittimi
della vita" (puruṣārta) composti dai tre legittimi obiettivi
"mondani" (trivarga) e uno, mokṣa, che li trascende tutti.

Artha: ricchezza materiale, successo, benessere, potere,


anche politico; in tal senso il manuale del "buon
governo" l'Arthaśāstra attribuito al ministro di
Candragupta Maurya, Kauṭila.
Kāma: piacere, soddisfazione dei desideri, anche
sessuali; in tal senso i manuali del sesso, i Kāmasūtra
tra cui quello di Vātsyāyana.
Dharma: giustizia, etica, ordine, valori, anche religiosi;
questo scopo deve inglobare e guidare i due precedenti
di modo che essi non sconfinino nell'illegittimità
fornendogli quella necessaria armonia con la legge e Una delle sculture erotiche del
l'ordine dell'intero universo; in tal senso le opere che complesso monumentale di
vanno sotto il nome di Dharmasūtra e Dharmaśāstra. Khajuraho (Madhya Pradesh, India).
L'erotismo ha un posto preciso tra i
Mokṣa: (o mukti), la libertà assoluta, ovvero il fine ultimo
legittimi scopi della vita (indicato
di ogni esistenza hindu e di ogni esistenza in genere e
come kāmārtha) di un gṛastha. Su di
consiste nella liberazione dalle catene del nascere-
esso vi è una raccolta di letteratura
morire (saṃsāra, lett. "scorrere insieme") obiettivo ultimo
religiosa denominata Kāmaśāstra,
dell'ultimo stadio della vita, il saṃnyāsa; in tal senso i
nella quale sono conservati i trattati
sūtra propri delle differenti Darśana .
brahmanici detti Kāmasūtra a cui
avevano accesso anche le donne. La
legittima soddisfazione sessuale non
Saṃskāra: le cerimonie della vita è riservata solo al capo famiglia, ma
anche alle sue spose. Essa deve
quindi risultare reciproca:
La vita quotidiana di un devoto hindu «Stabile prosperità e buona
sorte sorridono
Come già premesso precedentemente, le descrizioni dei
incessantemente alla
comportamenti religiosi che seguiranno ineriscono famiglia in cui il marito è
principalmente, se non esclusivamente, ai maschi delle tre soddisfatto dalla moglie e la
prime caste, gli ārya , risultando esclusi, dalle pratiche qui moglie è soddisfatta dal
descritte, sia gli śūdra che le donne, a qualsivoglia casta marito. Infatti se la donna
queste ultime appartengano. Pur originando da tradizioni non risplende, non potrà far
antiche queste pratiche, anche se modificate, possono avere gioire l'uomo. E senza la
un ruolo per gli hindu di oggi[54]. gioia dell'uomo non vi sarà
alcuna progenie.»
Il capofamiglia (snātaka) deve svegliarsi all'aurora, prima (Manusmṛti III, 60. Traduzione di
che il sole sorga, e prima di rivolgersi a chicchessia deve Federico Squarcini e Daniele
pronunciare il nome della sua divinità (iṣṭa devatā). Cuneo in Il trattato di Manu sulla
Successivamente si guarda il palmo delle mani, come segno norma. Torino, Einaudi, 2010, pp.
di buon augurio, e sempre per compiere un gesto di buon 51-2)
auspicio deve toccare con la mano la terra. Quindi, di fronte
all'altare familiare, deve pronunciare dei mantra, riflettendo L'amore è tuttavia il dovere proprio di
una donna (svadharma)
su come, durante la giornata, potrà rispettare il Dharma (le
segnatamente indicato come
norme religiose ed etiche) svolgendo le incombenze
strīdharma (dovere della donna)[65]
riguardanti la sua attività (artha, nel senso di ricchezza).
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Le norme igieniche e di purezza posseggono un valore molto


importante per gli hindu e per questo sono rigidamente codificate, a cominciare dal bagno
quotidiano che deve essere eseguito con la recitazione di mantra appositi.

Durante le abluzioni nel fiume spesso viene praticato il rito detto tarpaṇa, consistente nel
raccogliere dell'acqua fluviale con i palmi delle mani unite, riversandola mormorando dei
mantra, questo allo scopo di rispettare sia le divinità che i 'padri' ( pitṛ, gli antenati).

Dopo le abluzioni del mattino, l'hindu appone sul suo corpo, e sul suo volto, i tilaka, ovvero i
contrassegni del proprio sampradāya. (comunità, confessione, religiosa), necessari poiché
grazie all'apposizione di questi segni i riti quotidiani daranno frutto.

Segue la preghiera del mattino indicata come saṃdhyā, consistente anche nella recitazione, per
diverse volte, dei versi del Gāyatrī, il primo mantra che l'hindu ha imparato a memoria durante
il suo brahmācarya:

(SA) (IT)

«tat saviturvareṇyaṃ «Meditiamo sullo splendore eccelso del


bhargho devasya dhīmahi divino Sole (Vivificante), possa Egli
dhiyo yo naḥ pracodayāt» illuminare le nostre menti»

(Ṛgveda III,62,10)

Segue l'eventuale pūjā (adorazione) che consiste nell'adorazione per mezzo di luci fatte
ondeggiare, incenso bruciato e prostrazioni nei confronti della divinità prescelta, queste
adorazioni si differenziano a seconda del sampradāya dell'officiante, anche queste, tuttavia,
vanno meticolosamente eseguite secondo un ordine prestabilito.

L'adorazione nei confronti della divinità è l'adempimento del primo dei "cinque debiti"
(pañcāṛṇa) che un uomo contrae al momento della sua nascita:

1. il debito verso i deva che si ripaga per mezzo dell'adorazione e dei sacrifici;
2. il debito nei confronti dei ṛṣi, gli antichi saggi, che si ripaga per mezzo dello studio durante il
brahmācarya;
3. il debito verso i pitṛ, gli antenati, che si ripaga per mezzo della procreazione della prole, e
nei confronti dei propri maestri che si ripaga per mezzo delle donazioni;
4. il debito verso l'umanità che si ripaga per mezzo del dovere dell'ospitalità;
5. il debito nei confronti di tutti gli esseri che si ripaga offrendo agli animali gli avanzi dei pasti.

Yajña e Pūjā: i sacrifici e le offerte

Vimāna e Mandira: i templi degli hindu

Consacrazione dei templi e delle immagini sacre

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I pellegrinaggi

Le festività religiose

Il termine sanscrito più antico con cui si indica una festa


religiosa è samāja (समाज, inteso come "riunione"). Altri
termini usati sono: utsava (उत्सव; ne sottolinea la gioiosità),
mahotsava (महोत्सव; sempre inerente alla gioiosità), mahas
(महस्; ne indica la magnificenza), vrata (व्रत; ne indica
l'osservanza dei riti e dei precetti religiosi), parvan (पवर्न्; ne
indica il giorno fausto rispetto al tradizionale calendario
lunare, questo detto pañcāṅga, पञ्चाङ्ग). Challakere Virabhadraswamy
Rathostava, la processione festiva
La presenza di feste religiose nella cultura hindu, ha origine del tempio principale della città di
remote ed è testimoniata già da allusioni presenti nel Challakere (il tempio del dio
Ṛgveda, confermata dalla più tarda letteratura buddhista e Virabhadra), nel distretto di
da testi appartenenti alla Smṛti, nonché testimoniata da Chitradurga (India). Il carro su cui è
issato il dio (in questo caso
fonti epigrafiche queste risalenti fin dal III secolo a.C.[66].
Virabhadra, emanazione di Śiva)
L'anno liturgico dell'Induismo prevede numerose feste intende rappresentarne la struttura
templare
religiose. Tranne quella detta dello Makara-saṃkrānti (in
devanāgarī: मकरसंक्रािन्त), tutte le altre feste religiose non sono
legate all'anno solare ma sono mobili e
corrispondono al calendario lunare di dodici
mesi, che termina, a seconda delle regioni, o
con un giorno di luna nuova (amanta) o con
quello di luna piena (pūrṇimānta)[67][68].

Il Makara-saṃkrānti intende festeggiare il


passaggio del sole nel segno del capricorno
(makara) e corrisponde alle medesime origini
delle nostre feste di Natale/Capodanno[67]. In
I tre carri che costituiscono la processione detta dello
questa circostanza avviene il bagno di
rathayātrā (रथयात्रा, "processione del carro") nella città
purificazione nel Gange detto Gaṅgā-sāgara- di Puri (Oṛiśā). Questa festa, celebrata nel mese di
melā che si compie alle foci del fiume, presso Aṣāḍha (corrispondente al nostro giugno-luglio),
l'isola di Sāgara. all'avvio della stagione del monsone estivo, intende
celebrare Viṣṇu Jagannātha (Viṣṇu "Signore
A partire dal periodo dei Gupta (IV-V sec. d.C.), dell'universo") nel suo triplice aspetto divino: Kṛṣṇa, il
periodo in cui si osserva la diffusione di templi fratello Balabhadra e la sorella Subadhrā
e santuari per tutta l'India, si diffondono le
feste templari spesso dette rathotsava (रथोत्सव;
"festa del carro") per via della diffusa pratica di issare su un carro in legno, fabbricato e
adornato in modo da riprodurre la struttura del vimāna (िवमान; il "tempio"), l'immagine del dio
a cui il tempio è dedicato.

La più nota festa rathotsava è quella celebrata nella città di Puri capoluogo dello stato indiano
di Oṛiśā. Questa festa, detta semplicemente rathayātrā (रथयात्रा, "processione del carro"), viene
celebrata in onore di Viṣṇu Jagannātha (Viṣṇu "Signore dell'universo") nel mese di Aṣāḍha

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(corrispondente al nostro giugno-luglio), all'avvio della stagione del monsone estivo.

Le feste sono numerose e sono legate alla celebrazione di un dio. Generalmente sono precedute
dal digiuno, hanno il loro centro nella processione con la statua del dio posta su un carro
adornato o su un trono. Tra le principali feste si possono ricordare:

la festa di Holi: è celebrata in primavera e i passanti vengono aspersi con acqua;


la festa delle nove notti: è celebrata in onore della dea Kālī, sposa di Śiva. Per nove giorni
si fabbricano statuette di Kālī, che il decimo giorno vengono immerse nel fiume più vicino;
la festa di Divalī: si svolge fra settembre e ottobre. Le case e i templi vengono ornati di
festoni con migliaia di lampade;
la grande notte di Śiva: è celebrata fra gennaio e febbraio in onore di Śiva.

La cosmogonia e la cosmologia tradizionale degli hindu

La manifestazione (sṛṣṭi) e il dissolvimento (pralaya): la cosmogonia hindu

La descrizione hindu del processo di genesi


dell'universo, pur avendo origini vediche, si è definita
con la letteratura raccolta nella Smṛti in particolar
modo in quella puraņica.

L'universo secondo gli indù è una realtà destinata a


scomparire o meglio ad entrare in un periodo di
latenza, di non manifestazione (avyakta) da cui
riemergerà con una nuova emanazione (detta anche
sarga). Tutto questo accade da sempre e per sempre
accadrà. Colui che provoca ciò possiede l'appellativo di
Rappresentazione moderna del mito
Bhagavat (Colui che è divino, che è degno di
cosmogonico di Nārāyaṇa. La divinità di
adorazione, l'Essere supremo eterno e inconcepibile) o
Nārāyaṇa è presente nel Śatapatha
anche di Svayambhu (Esiste da se stesso), e la compie
Brāhmaṇa[69] dove è indicato come il
al solo fine del gioco (līlā)[70]. Puruṣa supremo, l'essere primordiale
cosmico origine di tutte le cose.
Il processo di emanazione si avvia con la fuoriuscita
delle acque[71] dove egli pone il proprio sperma[72]
generando l'uovo/embrione d'oro (hiraṇyagharbhaḥ)[73]. Il non generato, il Bhagavat, prende
al suo interno la forma di Brahmā che ricalca, secondo Mario Piantelli[72] i più antichi
hiraṇyagharbhaḥ e Prajāpati[74].

Dopo essere rimasto per un secolo nell'uovo d'oro, Brahmā lo rompe fuoriuscendone, creando
quindi nella parte superiore dell'uovo il mondo celeste, nella parte inferiore la terra e in mezzo
lo spazio, l'etere. Tutto l'universo coincide con l'uovo di Brahmā (Brahmāṇḍa).

Con l'universo Brahmā genera i deva, il tempo, gli astri e i pianeti, le terre con i monti, gli
oceani, i fiumi, ma anche delle potenze impersonali come l'Ascesi (tapas), la Parola (vāc), il
Desiderio (kāma), gli opposti (caldo-freddo, Dharma-Adharma, ecc.). E come il Puruṣa del

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Veda genera l'umanità ripartendola nelle quattro funzioni corrispondenti ai Varṇa. Questa
"letizia" con cui Brahmā genera i mondi, mal si pone con le esigenze di svalutazione degli stessi
promosse, ad esempio, dall'ascetismo śivaita[76].

Terminata la genesi dei mondi, e terminati i cicli della loro manifestazione, il fuoco di Śiva
distrugge ogni cosa e Brahmā riassorbe tutto entro di sé, addormentandosi e quindi
scomparendo.

Yuga: il tempo cosmico degli hindu

Il tempo cosmico degli hindu è ciclico. Questo significa che le ere cosmiche si succedono senza
soluzione di continuità, se non quella rappresentata dal periodo di latenza (saṃhṛti) in cui tutto
il cosmo è riassorbito nella notte cosmica pronto a riemergere con una nuova emanazione da
parte di Brahmā.

Brahmāṇḍa, l'uovo d'oro di Brahmā: la cosmologia tradizionale hindu

Nel Veda il Cosmo è diviso in tre regioni distinte:

svar: il cielo;
bhuvaḥ: l'aria;
bhūr: la terra.

Le opere successive, come i Brāhmaṇa o le Upaniṣad, non si


discostano significativamente dalla cosmografica vedica e
occorre arrivare ai Purāṇa per avere una cosmologia hindu
per come la conosciamo oggi.

L'emanazione del cosmo da parte di Brahmā corrisponde al


suo uovo d'oro (Brahmāṇḍa) esso è costituito da differenti
mondi.

Nel Viṣṇu Purāṇa la Terra, ovvero la nostra dimensione L'albero della mela rosa (Syzygium
"orizzontale", è presentata come un disco piatto che si jambolanum) che dà il nome
allarga, progressivamente raddoppiando, in sette cerchi all'"isola" che compone la nostra
("isole", dvīpa) concentrici. Questi sette cerchi sono separati terra, Jambudvīpa, situata a sud del
tra loro da altrettanti cerchi di eguale dimensione occupati Monte Meru. Tale nome è dovuto al
dagli oceani composti rispettivamente di: acqua salata (il fatto che alle pendici meridionali del
Lavaṇoda, con una larghezza di 100 000 yojana[78]), succo gigantesco Monte Meru (alto tra i
di zucchero di canna (lo Ikṣura, largo 200 000 yojana), vino 470 000 e i 940 000 km) si ergono
(il Suroda, largo 400 000 yojana), ghi (il Gṛthoda, largo dei giganteschi alberi di questa
800 000 yojana), cagliata (il Dadhyoda, largo 1 600 000 specie che danno frutti grandi come
yojana), latte (lo Kṣīroda, largo 3 200 000 yojana) e acqua elefanti[77]
dolce (lo Svādūdaka, largo 6 400 000 yojana).

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L' "isola" più interna, detta Jambudvīpa (lett. Isola dell'"albero della mela rosa", Syzygium
jambolanum), che possiede un diametro di 100 000 yojana, contiene al suo centro il monte
Meru, la cui altezza è pari a 84 000 - yojana ovvero una misura compresa tra i 470 000 - e i
940 000 km ed il suo vertice sprofonda negli inferi fino al fondo dell'uovo d'oro[79]. Le altre
"isole", composte da anelli e intervallate dagli oceani (sempre anelli di uguali dimensioni),
procedendo verso l'esterno sono: Plakṣdvīpa (larga 200 000 yojana), Śālmaladvīpa (larga
400 000 yojana), Kuśadvīpa (larga 800 000 yojana), Krauñcadvīpa (larga 1 600 000 yojana),
Śākadvīpa (larga 3 200 000 yojana), e infine l'ultima isola, Puṣkaradvīpa (larga 6 400 000
yojana).

Jambudvīpa è suddivisa da catene montuose che corrono parallelamente da est verso ovest,
costituendo nove regioni (varṣa): a nord si situa la regione Uttarakuru; al centro, partendo da
est verso ovest, vi sono le regioni Ketumāla, Ilvarṭa e Bhādrāśya; a sud di queste le regioni
Harivarṣa, Kimpuruṣa e Bhārata, ancora più a sud si situano le regioni Hiranmaya e
Ramyaka.

La regione di Bhārata è la terra degli hindu (l'Āryavārta, la "Terra di mezzo", Madhyadeśa) ed


è l'unica terra identificata come karmabhūmi (terra di azione) ovvero la terra dove chi compie le
azioni è soggetto al karman; ne consegue che solo chi vive nella regione Bhārata può realizzare
il mokṣa (la liberazione spirituale, obiettivo ultimo di un hindu).

La Stella del Nord (Dhruva) è immobile sul monte Meru e le altre stelle le girano attorno,
insieme alle stelle situati sopra la Terra si collocano i corpi celesti, come il Sole e la Luna,
trainati da carri.

Oltre queste isole-oceani, si presenta una catena montuosa indicata come Lokāloka, superata
questa si situa una regione di tenebre composta di elementi non mescolati aria, terra, fuoco e
vento, oltre vi è il limite dell'oscurità, il lokasaṃsthiti, ovvero oltre il guscio (āṇḍakaṭāha)
dell'uovo d'oro di Brahmā: il nulla. L'intera sezione orizzontale del Brahmāṇḍa possiede un
diametro di 500 000 000 di yojana.

Dal punto di vista "verticale" la cosmografia purāṇica eredita quella upaniṣadica dei sette
"regni" (loka) arricchendoli, tuttavia, di precisi contenuti. La serie dei sette "regni" procede con
questa sequenza, partendo dal basso.

Bhūrloka. È il regno dove sono collocate le sette isole (dvipa), ma in questo regno sono
collocati, sotto il livello delle sette isole, anche i sette inferi (pātala) indicati come Atala,
Vitala, Nitala, Gabhastimat, Mahātala, Sutala, e Pātāla. E sotto di essi vi sono ventotto
inferni.
Bhuvaḥloka. È il regno del Sole (Savitṛ) che con il carro compie il suo giro annuale.
Svarloka. È il regno dei corpi celesti: Mercurio (Buddha), Venere (Śukra), Marte (Angārika),
Giove (Bṛhaspati), Saturno (Śani), l'Orsa maggiore (i Saptaṛṣi) e la Stella del Nord (Dhruva).

Questi primi tre "regni" sono indicati come kṛtika (generati), infatti questi tre regni vengono
distrutti alla fine di ogni kalpa[80], ovvero quando inizia la notte di Brahmā, per essere
nuovamente generati al nascere del suo giorno. Gli esseri di questi tre regni vivono i risultati
delle loro azioni (karman) sia sotto forma di godimenti (bhogabhūmi) sia sotto forma di
sofferenze. Occorre ricordare, tuttavia, che solo l'"isola" di Bhārata è karmabhūmi, il luogo
dove si accumulano i risultati per le rinascite future.

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Al di sopra di questi regni si situano: il Mahasloska, che è un regno intermedio in quanto pur
svuotandosi degli esseri non viene distrutto alla fine del karpa; il Janaloka, il Tapasloka e il
Satyaloka indicati come akṛittika (ingenerati) in quanto periscono solo alla fine dell'esistenza
di Brahmā, ovvero durano per un mahā-kalpa[81], sono i mondi dove vive il Deva creatore, nel
loro insieme rappresentano il Brahmāloka (il regno di Brahmā).

Il karman e il ciclo delle rinascite (saṃsāra)


Una delle nozioni religiose più diffuse nelle religioni dell'India, e più in generale in Asia
meridionale, attiene al karman, ovvero a quel principio per cui «il comportamento di una
persona porta irrevocabilmente a un'adeguata ricompensa o punizione, commisurata a tale
comportamento.»:[82]

«Il karman, pilastro di tutto il pensiero e la spiritualità fioriti in India, è l'intuizione del
principio a cui soggiace la realtà e che regola i rapporti che passano tra l'azione, il
sentimento, la parola e il pensiero prodotti dall'uomo che, per un tramite che appartiene
alla sfera dell'"invisibile" (adṛṣṭa), fruttifica in un evento a cui l'uomo stesso soggiace,
essendone il responsabile.»

(Gianluca Magi in Karman, "Enciclopedia filosofica" vol. 6. Milano, Bompiani, 2006, p. 6013)

Karman, nella prima cultura vedica, corrisponde al solo atto religioso correttamente eseguito.
Nel corso dei secoli, tale atto religioso del brahmano si trasforma: dall'avere come obiettivo
l'ottenimento dell'esaudimento delle preghiere da parte degli dei, diventa volto ad ottenere
risultati futuri, anche nella vita successiva alla morte[83].

Con l'avvento della letteratura upaniṣadica il quadro interpretativo cambia. In questo nuovo
quadro storico, il destino dell'uomo è segnato irrimediabilmente dalla sua condotta: da una
parte egli può seguire la "via dei Padri" (piṭryāna) e rinascere in questo mondo, oppure mirare
alla "via degli Dei" (devayāna), a patto che conduca una vita ascetica rinunciando alla
"mondanità"[84]. Seppur le origini delle nozioni di karman e saṃsāra siano tutt'oggi oscure, il
concetto di karman e quello di reincarnazione potrebbero essere entrati a far parte del pensiero
brahmanico attraverso la tradizione degli śramaṇa e della rinuncia[85]. Nelle Upaniṣad, la
personalità e la condizione di un individuo sono dunque determinate dai suoi desideri che lo
conducono a volere, e quindi ad agire, in un determinato modo: l'insieme di queste azioni
producono dei risultati proporzionali alle azioni stesse[86].

I "saggi" delle Upaniṣad sostenevano quindi che non solo il comportamento di un rituale o di un
sacrificio pubblico producesse delle conseguenze future, ma che qualsiasi "azione" umana
possedeva gli stessi esiti in quanto queste "azioni" rappresentavano un riflesso interno del
processo cosmico[87]. In una più tarda Upaniṣad, la Śvetāśvatara Upaniṣad, la dottrina del
karman acquisisce i suoi connotati definitivi, dove è descritto un vero e proprio rapporto di
azione-beneficio, dove le azioni individuali hanno riflessi sull'anima di chi le compie[88]; anima
costretta nel ciclo delle rinascite (saṃsāra) il cui esito finale dipende dal suo karman.

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Il saṃsāra è l'universo condizionato e mutevole, soggetto a nascita e morte, e si oppone, nella


sua natura, al livello trascendente, incondizionato ed eterno, indicato con i termini sanscriti di
mokṣa e nirvāṇa. Non esiste nell'alveo delle religioni dell'India, né nell'Induismo, una dottrina
unica inerente al saṃsāra. Quella più diffusa lo descrive con l'analogia di un bruco che si muove
da un filo d'erba all'altro. Il bruco rappresenta l'ātman dell'individuo, il quale risulta del tutto
non condizionato dal suo karman: è un suo secondo principio indicato con il termine jīva che,
invece, conservando i residui karmici delle esistenze precedenti, ne determina il destino futuro
dopo la morte del corpo secondo quanto descritto dalla predetta Śvetāśvatara Upaniṣad (V,7).

Anche che se il fine ultimo del percorso induista resta la liberazione dalle catene saṃsāriche
(mokṣa), le più diffuse pratiche religiose inerenti a questa costellazione di fedi, quali le
donazioni o la devozione alle divinità, mirano piuttosto ad accumulare dei meriti "karmici" e
quindi a conseguire una vita migliore proprio nel suo ambito.

La liberazione dal saṃsāra: il mokṣa


Il termine sanscrito di genere maschile mokṣa, così come il termine sanscrito femminile avente
il medesimo significato mukti, indicano in questa lingua la "liberazione" dal ciclo di nascita-
morte, dalla sofferente trasmigrazione, propria del saṃsāra. Ambedue i termini originano dal
verbo sanscrito muc avente il significato di "liberarsi".

Come abbiamo visto, la nozione di "liberazione" dal saṃsāra non attiene al "vedismo", ovvero
alla religione antica dell'India, compendiata nei suoi testi religiosi dei Veda e dei Brāhmaṇa, il
quale persegue essenzialmente la bhukti, la felicità terrena, quanto piuttosto origina dai testi
delle Upaniṣad (il termine qui usato è mukti; mentre nella Chāndogya Upaniṣad, VII, 26,2, è il
composto vipramokṣa, dallo stesso significato) e si diffonde nel VI secolo a.C.,
contemporaneamente al buddhismo e al giainismo.

Tale nozione di "liberazione", espressa con termini sempre derivanti dal verbo muc, verrà
successivamente approfondita da importanti testi induisti quali la Bhagavadgītā e il
Manusmṛti .

In ambito delle filosofie yogiche il termine utilizzato per indicare la liberazione è invece
apavarga nel significato di "abbandono", "fuga" dal saṃsāra. Mentre la filosofia sāṃkhya
predilige il termine kaivalya col significato di isolamento del puruṣa liberatosi dalla prakṛti.

Le tradizioni ascetiche predicano la liberazione in vita e non dopo la morte del corpo, nel qual
caso tale raggiungimento viene indicato con il termine jīvanmukta ("liberato in vita").

A partire dai commentari del Brahmasūtra propri della medievale filosofia Vedānta, il termine
più diffuso diviene mokṣa.

Sono differenti le "vie" di "liberazione" dal saṃsāra che il complesso religioso che va sotto il
nome di "Induismo" offre al suo praticante (cfr. ad esempio le darśana), e queste possono
essere approfondite nelle voci delle relative scuole e insegnamenti.

L'Induismo nel mondo

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duismo nel mondo

L'India, Mauritius e il Nepal sono nazioni a maggioranza induista. Il Nepal fino all'avvento della
repubblica è stata l'unica nazione in cui l'Induismo era la religione ufficiale.

L'Asia del Sud Est è diventata in larga parte induista dopo il III secolo, e fece parte dell'Impero
Chola intorno all'XI secolo. Quest'influenza ha lasciato numerose tracce architettoniche, come la
famosa città-tempio di Angkor Vat o tracce culturali come le danze del Bharata Natyam e del
Kathakali.

Di seguito l'elenco della percentuale di praticanti induisti nelle singole nazioni:

1. Nepal 86.5%[89]
2. India 80,5%[90]
3. Mauritius 54%[91]
4. Guyana 28%[92]
5. Figi 27.9%[93]
6. Bhutan 25%[94]
7. Trinidad e Tobago 22.5%
8. Suriname 20%[95]
9. Sri Lanka 15%[96]
10. Bangladesh 9%[97]
11. Qatar 7.2%
12. Riunione (Francia) 6.7%

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13. Malaysia 6.3%[98]


14. Bahrein 6.25%
15. Kuwait 6%
16. Emirati Arabi Uniti 5%
17. Singapore 4%
18. Oman 3%
19. Belize 2.3%
20. Seychelles 2.1%[99]

Note
1. ^ In lingua hindi è reso come Hindudharma, in devanāgarī: िहन्दू धमर्.
2. ^ Sulla grafia da ritenere corretta in italiano per questo termine sono recentemente
intervenuti diversi studiosi italiani della materia. In Filoramo, 2007 è stata adottata la grafia
Hindūismo. In particolar modo, Mario Piantelli ha espresso critiche nei confronti di alcuni
lessicografi, lamentando l'assenza dell'h aspirata nel termine comune italiano. Così Mario
Piantelli alle pp. 6 e 7 della predetta opera: «[...] La stessa cosa è successa da noi, dove è
purtroppo invalso, con l'improvvido avallo dei lessicografi, l'idiotismo Indù [...] L'aspirazione è
conservata per il nostro termine e i suoi derivati in tutte le altre lingue impieganti l'alfabeto
occidentale, incluso il latino del Concilio Vaticano II: ovunque si ha Hindu, salvo che in
francese che adotta Hindou giusta le leggi della peculiare grafia vocalica transalpina. Così
come stanno le cose, la versione italiana di testi stranieri, e viceversa, comporta una
faticosa messa a punto degli indici e della bibliografia per titoli, a tacere delle difficoltà
nell'impiego da parte degli indotti dei "motori di ricerca" del web, ove la parola-chiave italiana
è difforme da quella universalmente impiegata. Vale la pena, per inciso, notare come
l'erronea voce Induismo, a voler essere filologicamente rigorosi, dovrebbe designare una -
inesistente! - "religione" indiana della Luna (Ìndu in lingua sanscrita) [...]».
La grafia Induismo, tuttavia, era ed è ancora oggi diffusa in indologia. Fra gli altri, è utilizzata
da Giorgio Renato Franci, Caterina Conio, Giuliano Boccali, Cinzia Pieruccini, Anna
Dallapiccola e lo stesso Stefano Piano. Da tener presente che l'Unione induista italiana, ente
religioso che intende raccogliere le differenti denominazioni di questa via religiosa, ha
adottato i termini presenti nei lessici di lingua: "induismo" e "indù".
3. ^ Flood, p. 13.
4. ^ È da tenere presente che anche la denominazione Sanātanadharma è frutto dei riformatori
hindū del XIX secolo.[3]
5. ^ Nella lingua hindi, la lingua ufficiale e più diffusa dell'India, il termine occidentale "religione"
viene reso come धमर् (alfabeto devanāgarī) traslitterato in caratteri latini come Dharma e
risultante identico al termine sanscrito.

«È abbastanza difficile trovare un'unica parola nell'area dell'Asia meridionale che


denoti ciò che in italiano è definito "religione", un termine effettivamente piuttosto
vago e dall'ampio raggio semantico. Forse il termine più appropriato potrebbe
essere il sanscrito dharma, traducibile in diversi modi, tutti pertinenti alle idee e alle
pratiche religiose indiane»

(William K. Mahony. Induismo, "Enciclopedia delle Religioni" vol. 9: "Dharma induista". Milano, Jaca
Book, 2006, p. 99)
https://it.wikipedia.org/wiki/Induismo Pagina 19 di 29
Induismo - Wikipedia 24/01/22, 15:44

Book, 2006, p. 99)

Gianluca Magi precisa tuttavia che il termine Dharma

«è più ampio e complesso di quello cristiano di religione e, dall'altro, meno giuridico


delle attuali concezioni occidentali di "dovere" o di "norma", poiché privilegia la
consapevolezza e la libertà piuttosto che il concetto di religio od obbligo»

(in Dharma, "Enciclopedia filosofica" vol. 3. Milano, Bompiani, 2006, p. 2786)

6. ^ Come aggettivo sanātana indica in sanscrito ciò che è "eterno", "primordiale", "immortale",
"perpetuo".
7. ^ Oggi tre abitanti della Terra su 10 sono cristiani. La geografia religiosa nel 2050, su
infodata.ilsole24ore.com. URL consultato il 24 luglio 2021.
8. ^ Asko Parpola, The Roots of Hinduism: The Early Aryans and the Indus Civilization, New
York, Oxford University Press, 2015, p. 3.
9. ^ Manusmṛti II, 44.
10. Delahoutre, p. 911.
11. ^ Probabilmente il primo autore ad utilizzare il termine Hinduism fu Ram Mohan Roy (1772-
1833) nel 1823[10].
12. ^ Piano, 1993, pp. 373-4.
13. Filoramo, 2007, p. 7.
14. ^ Romila Thapar. Interpreting Early India. Delhi, Oxford University Press, 1993, p. 77
15. ^ Nel 515 a.C. l'imperatore achemenide Dario il Grande annette la Valle dell'Indo al suo
impero.
16. ^ Attuale Punjab.
17. ^ Così l'Avestā, precisamente il 18° verso del I fargard dello Yu[va]tdēvdāt:
(AE) (IT)

«pañcadasem asanghãmca «La quindicesima delle buone terre che,


shôithranãmca vahishtem frâthweresem io Ahura Mazdā, ho creato sono stati i
azem ýô ahurô mazdå ýô hapta heñdu, Sette Fiumi (Hapta Hindu). Subito dopo
âat ahe paityârem frâkereñtat angrô è giunto Angra Mainyu, che tutto è
mainyush pouru-mahrkô arathwyâca morte, e con la sua magia ha creato per
daxshta arathwîmca garemâum.» contro creature abnormi nelle donne e
una calura eccessiva.»

(Avestā, Yu[va]tdēvdāt, I,18. Traduzione di Arnaldo Alberti in Avestā. Torino, UTET, 2008)

18. ^ Filoramo, 2007, p. 6.


19. ^ Cfr. ad es. Ṛgveda X,75:
(SA)

«pra su va āpo mahimānamuttamaṃ kārurvocāti sadanevivasvataḥ pra sapta-sapta


tredhā hi cakramuḥ prasṛtvarīṇāmati sindhurojasā»

(Ṛgveda X,75,1)
In sanscrito, il termine sindhu, sostantivo maschile, indica anche, in senso generale, un
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In sanscrito, il termine sindhu, sostantivo maschile, indica anche, in senso generale, un


fiume, un flusso, una corrente o anche una distesa d'acqua (un mare, o un lago), ma, in
particolare il fiume Indo.
20. ^ Il suono /s/ (iniziale e intervocalico) in avestico diventa /h/, e così nell'Avestā Sapta Sindhu
diventa Hapta Hindhu
21. ^ Qui il termine perde, nel greco ionico parlato dalle truppe greche al servizio dell'imperatore
achemenide, l'aspirazione iniziale e diviene Ἰνδός, Índos.
22. ^ Indi, Indōrum, deriv. dal greco.
23. ^ Robert Eric Frykenberg. The Emergency of Modern Hinduism; in Gunther Dietz
Sontheimer e Hermann Kulke (a cura di). Hinduism Reconsidered. Delhi, Manohar, 1991,
pp. 30-1.
24. ^ Il termine hindutva che unisce il termine di origine persiana con il suffisso sanscrito tva, a
indicare la natura, la caratteristica, l'identità degli hindū, fu coniato da V.D. Savarkar (cfr.
V.D. Savarkar, Hindutva. Who is a Hindu? pubblicato nel 1938, ma già fatto uscire nel 1923
sotto pseudonimo).
25. ^ Joseph T. O'Connel. The word "Hindu" in Gaudiya Vaiṣṇava Text. Journal of the American
Oriental Society 1973, XCIII,3, 340-4
26. ^ Michel Delahoutre. Op. cit..
27. Michel Delahoutre. Op. cit., p. 912.
28. ^ Dizionario sanscrito-italiano (direzione scientifica Saverio Sani). Pisa, ETS, 2009.
29. ^ Kaus K. Klostermaier. Induismo. Una introduzione. Fazi, 2004, p. 9.
30. ^ Flood, p. 5.
31. ^ Piano, 1993, p. 374.
32. ^ Piano, 1993, pp. 373-4.
33. ^ Heinrich von Stietencron, Der Hinduismus, in C.H. Beck (a cura di), Beck'sche Reihe
Wissen, vol. 2158, Monaco, 2006.
34. ^ Filoramo, 2007, p. 12.
35. ^ Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, Milano, Rizzoli, 1992, p. 29.
«La mitologia induista riconosce potenzialmente tutti gli dei. Poiché le energie che sono
all'origine della manifestazione costituiscono soltanto aspetti della potenza divina, non può
esserci alcun oggetto, alcun tipo di esistenza che non sia divino per sua stessa natura.».
36. ^ Francesco Sferra, Hinduismo antico, Milano, Mondadori, 2010.
37. ^ La conversione ad una fede religiosa non hindu fa tuttavia perdere la qualifica di hindu.
Cfr. Francesco Sferra. Op. cit., p. XII.
38. ^

«È noto che il termine “hinduismo” è un'invenzione degli europei; con questa parola
(derivata dall'antico iranico hindu, che significa “fiume” [in sanscrito: sindhu] e, per
estensione, “terra del fiume” e “[abitante della] terra del fiume”, con allusione al
fiume per antonomasia, che è l'Indo) essi vollero indicare la “religione degli hindū”,
come se si trattasse di una realtà unitaria:»

(Stefano Piano. Hinduismo: elementi fondamentali caratterizzanti la tradizione hindū. Relazione


presentata al Convegno internazionale Hinduismo e cristianesimo: prospettive per il dialogo
interreligioso Torino, 20-21 novembre 2003)

39. ^ Cfr. al riguardo anche, ad esempio, Wilfred Cantwell Smith. The Meaning and End of
Religion. New York, Macmillan, 1962, p. 65 ma anche Heinrich von Stietencron. Hinduism:
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Religion. New York, Macmillan, 1962, p. 65 ma anche Heinrich von Stietencron. Hinduism:
On the Proper use of A Depective Term in Gunther Dietz Sontheimer e Hermann Kulke (a
cura di). Hinduism Reconsidered. Delhi, Manohar, 1991, pp. 11-27.
40. ^ Flood, pp. 7-8.
41. ^ Qui un'ulteriore sentenza del 1986 che richiama, confermando, la sentenza del 1966 (http:
//www.hinduismtoday.com/modules/smartsection/item.php?itemid=5047) Archiviato (https://w
eb.archive.org/web/20120402212327/http://www.hinduismtoday.com/modules/smartsection/i
tem.php?itemid=5047) il 2 aprile 2012 in Internet Archive..
42. ^

«Secondo la teoria fino a oggi diffusa più largamente, l'induismo è il risultato delle
incursioni di gruppi noti come Arii, giunti intorno al 1500 a.C. nelle pianure
settentrionali dell'India dall'Asia centrale, attraversando i passi montani
dell'Afghanistan»

(Flood, pp. 37-8.)

43. ^ Cfr., a titolo esemplificativo, Mortimer Wheeler. The Indus Civilization: The Cambridge
History of India. Supplementary Volume. Cambridge, Cambridge University Press, 1953.
44. ^ Asko Parpola, Deciphering the Indus Script, Cambridge, Cambridge University Press,
1994.
45. ^

«Si è visto che l'induismo ha origini nelle antiche culture della civiltà della valle
dell'Indo e degli Arii. Per quanto ancora si dibatta su questo tema, esistono prove
consistenti a supporto della tesi che la lingua della civiltà della vallinda fosse
dravidica, diversamente dalla lingua degli Arii vedici, che era indoeuropea.»

(Flood, p. 12)

46. Thomas J. Hopkins e Alf Hiltebeitel, Indus Valley Religion, in Encyclopedia of Religion, vol.
7, Nuova York, Macmillan, 2005 [1987], pp. 4468 e segg..
47. ^ Mortimer Wheeler. The Indus Civilization: The Cambridge History of India. Supplementary
Volume. Cambridge, Cambridge University Press, 1953, p. 92.
48. Mario Piantelli, Hinduismo, a cura di Giovanni Filoramo, Bari, Laterza, pp. 3 e segg..
49. ^ Mircea Eliade in Storia delle credenze e delle idee religiose vol. 1, Milano, Rizzoli, 2006, p.
211 nota come sia un tratto caratteristico della tradizione delle religioni indoeuropee quello di
avvalersi della trasmissione orale e "al momento dell'incontro con le civiltà del Vicino
Oriente, la proibizione di valersi della scrittura.".
50. ^ Gianluca Magi in Hindūismo, "Enciclopedia filosofica" vol. 6. Milano, Bompiani, 2006, p.
5300 trattando della śruti ricorda:

«la cosiddetta śruti, la sapienza rivelata, "ascoltata" direttamente dall'Assoluto dai


mistici veggenti (ṛṣi), intermediari umani che si sono limitati a riceverla e
trasmetterla oralmente, poiché la trasmissione è considerata valida solo se è orale
(mentre i testi scritti sono considerati testi morti che hanno perduto ogni potere
magico).»

51. ^
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Induismo - Wikipedia 24/01/22, 15:44

51. ^

«I testi vedici furono composti e trasmessi oralmente da maestro a discepolo senza


l'uso della scrittura, secondo una linea ininterrotta di trasmissione formalizzata. Ciò
assicurò una trasmissione testuale impeccabile, superiore ai testi classici
appartenenti ad altre culture; questo metodo può essere paragonabile ad una
registrazione su nastro effettuata in epoche comprese tra il 1500 ed il 500 a.C.
circa. È stato così possibile preservare fino al presente non solo le parole ma anche
l'accento tonale da lungo tempo perduto (come nel caso dell'antico greco o
giapponese). Da una parte i Veda sono stati trascritti soltanto durante l'inizio del
secondo millennio d.C., se alcune sezioni come una collezione delle Upaniṣad,
furono forse trascritte soltanto nella metà del primo millennio, alcuni tentativi
precedenti senza successo (vi erano in certe Smṛti delle regole che vietavano di
trascrivere i Veda) furono fatti attorno alla fine del primo millennio a.C. Comunque,
quasi tutte le edizioni stampate si basano su manoscritti tardi, difficilmente più
antichi di 500 anni, piuttosto che sulla superiore tradizione orale ancora esistente.
La recitazione corretta di molti testi continua in alcune aree tradizionali come il
Kerala, il Tamil-Nadu del sud, nella fascia costiera dell'Andhra, Orissa, Kathiawar, a
Poona o a Benares. Nei pochi decenni passati vi è stato il tentativo da parte di
studiosi locali e stranieri di conservare, o almeno di registrare, la tradizione orale.
Ciononostante non esiste ancora, fino ad oggi, alcuna completa registrazione audio
o video di tutte le recensioni vediche (śākhā) e alcuni testi sono andati perduti
persino nel corso dei pochi decenni passati. (Traduzione dall'originale in lingua
inglese).»

(Michael Witzel Vedas and Upaniṣads in The Blackwell Companion to Hinduism (a cura di Gavin
Flood). Oxford, Blackwell Publishing, 2003)

52. ^ Francisco Villar. Gli Indoeuropei. Bologna, il Mulino, 1997, p. 558.


53. ^ Alf Hiltebeitel, Religions of the Brāhmaṇas, in Hinduism, Encyclopedia of Religion, vol.6,
New york, MacMillan, 2004, p. 3991.
54. Klaus K. Klostermaier. Op. cit., p. 35
55. ^ Da rammentarsi, tuttavia, che il termine "casta" origina da identico termine portoghese col
significato in quella lingua di "razza pura" e usato dagli stessi portoghesi nel XVI secolo per
indicare il sistema castale indiano. Il termine è di origine latina, castu, castum, col significato
di "puro".
56. ^ Questo fin dal Mahābhārata cfr. XII,188,5.
57. ^ Da notare che più avanti nel testo è lo stesso Kṛṣṇa a dichiarare che egli è l'autore del
sistema castale:

«Le quattro caste sono state emanate da me, colla varia distinzione dei costituenti e
delle azioni. Io sappi sono l'autore di esse, sebbene imperituro e non autore di
alcunché.»

(Bhagavadgītā, IV 13. Traduzione di Raniero Gnoli)

58. ^ Manusmṛti, III, 77 e anche

«Secondo i dettami dei testi rivelati del Veda, però, tra tutti questi il capofamiglia va
considerato il migliore, in quanto sostiene gli altri tre.»
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considerato il migliore, in quanto sostiene gli altri tre.»

(Manusmṛti VI,89. Traduzione di Federico Squarcini e Daniele Cuneo in Il trattato di Manu sulla norma.
Torino, Einaudi, 2010)

59. ^ Manusmṛti VI,33. Traduzione di Federico Squarcini e Daniele Cuneo in Il trattato di Manu
sulla norma. Torino, Einaudi, 2010
60. ^ Gianluca Magi. Dharma in op. cit.
61. ^ William K. Mahony. Dharma induista. in "Enciclopedia delle Religioni", vol. 9. Milano, Jaca
Book, 2006, p. 99
62. ^ Madeleine Biardeau Op. cit., p. 50
63. ^ Colette Caillat, Ahiṃsā, in Enciclopedia delle religioni, vol. 9. Milano, Jaca Book, 2006, pp.
5-6.
64. Colette Caillat. Op. cit.
65. ^ Cfr., tra gli altri, Madeleine Biardeau. Op. cit., pp. 67-74
66. ^ Su questo cfr. Brijendra Nath Sharma, Festivals of India. New Delhi, Abhinav Publications,
1978, pp. 7 e sgg.
67. Stefano Piano, Lo hindūismo. La prassi religiosa.
68. ^ Filoramo, 2007, p. 235.
69. ^ Śatapatha Brāhmaṇa XIII,6,1
70. ^

«Questo processo non ha fine, né altro scopo, che il gioco (līlā), del Signore.»

(Flood, p. 52)

71. ^ Vedi anche il mito cosmogonico vedico in cui Indra uccide il serpente cosmico Vṛtra
liberando le acque e dando via alla creazione:
(SA) (IT)

«ahannahiṃ parvate śiśriyāṇaṃ «Uccise il serpente che giaceva sulla


tvaṣṭāsmai vajraṃ svaryaṃ tatakṣa montagna, Tvaṣṭṛ gli aveva foggiato il
vāśrā iva dhenavaḥ syandamānā añjaḥ vajra (fulmine) risonante- come le
samudramava jaghmurāpaḥ vacche che muggendo fuggono fuori dal
vṛṣāyamāṇo.avṛṇīta somaṃ recinto, così le acque scesero
trikadrukeṣvapibat sutasya āsāyakaṃ rapidamente verso il mare. Eccitato
maghavādatta vajramahannenaṃ prese il Soma bevendone il succo nelle
prathamajāmahīnām yadindrāhan coppe di triplice legno. Il generoso prese
prathamajāmahīnāmān māyināmamināḥ il vajra, l'arma che si lancia, è colpì il
prota māyāḥ āt sūryaṃ janayan primo tra i serpenti. Quando tu. Indra,
dyāmuṣāsaṃ tādītnāśatruṃ na kilā uccidesti il primo tra i serpenti
vivitse» annientasti anche gli inganni dei
mentitori, generando il sole, il cielo,
l'aurora. Nessuno più ti resistette.»

(Ṛgveda,I,32,2-4)

72. Filoramo, 2007, p. 73.


73. ^
(SA) (IT)
https://it.wikipedia.org/wiki/Induismo Pagina 24 di 29
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(SA) (IT)

«hiraṇyagharbhaḥ samavartatāghre «In principio si sviluppò come un


bhūtasya jātaḥ patirekaāsīt sa dādhāra embrione d'oro. Fin dalla sua nascita
pṛthivīṃ dyāmutemāṃ kasmai l'Uno fu il signore di ciò che era venuto
devāyahaviṣā vidhema» in essere. Egli è diventato il sostenitore
della terra e di questo cielo: al quale mai
altro dio dovremmo noi offrire la nostra
adorazione per mezzo dell'oblazione»

(Ṛgveda, X,121,1. Traduzione di Saverio Sani in Ṛgveda. Venezia, Marsilio, 2000, pp. 68-9)

74. ^ Principio cosmogonico enunciato diffusamente nei Brāhmaṇa


75. ^ Filoramo, 2007, p. 77.
76. ^ Śiva rifiuta l'invito di Brahmā a generare con lui nuovi esseri, motivando questo rifiuto col
fatto che sarebbe disposto solo a generare esseri eterni e felici e non destinati alla morte e
alla sofferenza.[75]
77. Filoramo, 2007, p. 81.
78. ^ Ogni yojana è considerato, secondo le differenti tradizioni, in una misura compresa tra i 6
e i 15 km. Il termine yojana sta per "giogata" ovvero quella distanza lungo la quale il bue può
essere aggiogato,[77]. Tuttavia W. Randolph Kloetzli (1987) e Laurie Louies Patton (2005)
considerando che il termine richiama sia la nozione di yoga che di yuga ne sospettano una
connotazione metafisica. W. Randolph Kloetzli (1987) e Laurie Louise Patton (2005),
Cosmology: Hindu Cosmology, in Encyclopedia of Religion, vol. 3., New York, Macmillan,
2005, p. 2017.
«A yojana is a word that occurs as early as the Rgveda; it has been variously measured
as two, four, five, or nine English miles, although it also has an etymological link to Yoga and
yuga that makes its connotations metaphysical.».
79. ^ Filoramo, 2007.
80. ^ Quindi ogni 12 000 000 anni divini corrispondenti a 4 320 000 000 anni umani.
81. ^ Corrispondente a 470 040 miliardi di anni umani.
82. ^ William K. Mahony, Enciclopedia delle Religioni vol.9. Milano, Jaca Book, 2004, p. 200.
83. ^ Saverio Sani, Ṛgveda, Venezia, Marsilio, 2000, pp. 25 e segg..
84. ^ William K. Mahony. Op. cit., pp. 5095.
85. ^ Flood, pp. 115 e segg.
86. ^ |William K. Mahony. Op. cit. p. 5095
87. ^

«Seeking to understand the Brahmanic notion of the ritual in anthropological rather


than sacerdotal terms, the Upaniṣadic sages taught that all physical and mental
activity was an internal reflection of cosmic processes. Accordingly, they held that
every action, not only those performed in the public ritual, leads to an end»

(William K. Mahony. Op. cit. p. 5095)

88. ^ ''Śvetāśvatara Upaniṣad'', V,7. Traduzione a cura di Carlo Della Casa, in ''Upaniṣad''.
Torino, UTET, 1983, p. 410
89. ^ Nepal, su state.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 28 giugno 2011).

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90. ^ India, su state.gov. URL consultato l'11 novembre 2012 (archiviato il 21 ottobre 2012).
91. ^ Dostert, Pierre Etienne. Africa 1997 (The World Today Series). Harpers Ferry, West
Virginia: Stryker-Post Publications (1997), p. 162.
92. ^ CIA - The World Factbook, su cia.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 28 gennaio
2018).
93. ^ CIA - The World Factbook, su cia.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 2 gennaio 2015).
94. ^ Bhutan, su state.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 19 gennaio 2012).
95. ^ Suriname, su state.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 19 gennaio 2012).
96. ^ Hinduism in Sri Lanka,Sri Lanka Hindu Religious Tour,Sri Lanka Hindu Pilgrimage Tour
Packages, Hindu Pilgrimage Tour to Sri Lanka, Hindu Pilgrimage Travel to Sri Lanka, su
srilankantourism.com. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 16 luglio 2011).
97. ^ Bangladesh, su state.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato dall'url originale il 28 giugno
2011).
98. ^ CIA - The World Factbook, su cia.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 28 gennaio
2018).
99. ^ CIA - The World Factbook, su cia.gov. URL consultato il 16 giugno 2011 (archiviato il 13 febbraio
2008).

Bibliografia disponibile in lingua italiana


Di seguito una bibliografia ragionata dei testi 'dell' e 'sull'Induismo pubblicati in lingua italiana.

Testi storiografici, antropologici e fenomenologici


Mario Piantelli, Carlo Della Casa, Stefano Piano, Hinduismo, a cura di Giovanni Filoramo,
Bari, Laterza, 2007, ISBN 978-88-420-8364-1. Eccellente manuale introduttivo con i
contributi dei migliori indologi italiani.
Gavin Flood, Induismo, Torino, Einaudi, 2006, ISBN 88-06-18252-8.
Max Weber, Sociologia della religione. Induismo e buddismo, Ghibli, 2015
Henri-Charles Puech (a cura di), Jean Varenne, Anne-Marie Esnoul, Storia delle religioni 13.
Religione vedica e induismo, Bari, Laterza, 1978.
Jean Varenne. L'India e il sacro. Una antropologia. In L'uomo indoeuropeo e il sacro.
Milano, Jaca Book, 1991.
Jan Gonda. Le Religioni dell'India: Veda e antico induismo. Milano, Jaca Book, 1981.
Jan Gonda. Le Religioni dell'India: l'induismo recente. Milano, Jaca Book, 1981.
Giorgio Renato Franci. L'induismo. Bologna, il Mulino, 2010.
Giuliano Boccali, Cinzia Pieruccini. Induismo. Milano, Mondadori, 2008.
Stefano Piano. Sanatana-Dharma. Un incontro con l'induismo. Alba, San Paolo, 2006.
Stefano Piano. Lessico elementare dell'induismo. Torino, Magnanelli, 2001.
Mircea Eliade La religione degli indoeuropei: gli dei vedici, in Storia delle credenze e delle
idee religiose, vol. 1. Milano, Rizzoli, 2006.
Mircea Eliade L'India prima di Gautama Buddha: dal sacrificio cosmico alla suprema identità
Ātman-Brahman, in Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. 1. Milano, Rizzoli, 2006.
Mircea Eliade Brahmanesimo e Induismo: le prime tecniche di salvezza, in Storia delle

https://it.wikipedia.org/wiki/Induismo Pagina 26 di 29
Induismo - Wikipedia 24/01/22, 15:44

credenze e delle idee religiose, vol. 2. Milano, Rizzoli, 2006.


Mircea Eliade La sintesi induista: il Mahābhārata e la Bhagavad Gītā, in Storia delle
credenze e delle idee religiose, vol. 2. Milano, Rizzoli, 2006.
Klaus K. Klostermaier. Induismo. Una introduzione. Roma, Fazi, 2004.
Maryla Falk. Il mito psicologico nell'India antica. Milano, Adelphi, 2004.
Madeleine Biardeau. L'Induismo, antropologia di una civiltà. Milano, Mondadori, 1985.
Caterina Conio. L'induismo. Milano, Rizzoli, 1984.
Vasudha Narayanan, Capire l'induismo, Feltrinelli 2007, 2017

Dizionari ed enciclopedie
Dario M. Cosi, Luigi Saibene, Roberto Scagno (a cura di). Induismo, in "Enciclopedia delle
Religioni. Edizione tematica europea" vol. 9. Milano, Jaca Book, 2006. Corrisponde
all'edizione italiana, tematica, dell'edizione 1987 della Encyclopedia of Religion pubblicata
dalla Macmillan di New York su progetto di Mircea Eliade.
Margaret Stutley e James Stutley. Dizionario dell'Induismo. Roma, Ubaldini, 1980.
Anna Dallapiccola. Induismo. Dizionario di storia, cultura, religione. Milano, Mondadori,
2005.
Klaus K. Klostermaier. Piccola enciclopedia dell'Induismo. Roma, Arkeios, 2001.
Michel Delahoutre, Dizionario delle religioni, in Jacques Vidal) (a cura di), Dictionnaire des
Religions, Parigi, Presses universitaires de France, Milano, Mondadori, 2007 [1984].
Stefano Piano, Dizionario delle religioni, a cura di Giovanni Filoramo, Torino, Einaudi, 1993.
Dizionario di Sapienza orientale. Roma, Mediterranee, 1991. È stato redatto da autori,
alcuni di questi accademici, di lingua tedesca.

Raccolte di testi religiosi e loro notazioni critiche


Hinduismo antico su progetto editoriale e introduzione generale di Francesco Sferra,
introduzione ai testi tradotti di Antonio Rigopoulos e traduzioni e note di Carlo Della Casa,
Stefano Piano Mario Piantelli, Raniero Gnoli, Alberto Pelissero, Vincenzo Vergiani, Federico
Squarcini, Philippe Swennen. Contiene una raffinata raccolta proveniente dai Veda, dai
Brāhmaṇa, dalle Upaniṣad, dal Mānavadharmaśāstra (altrimenti noto come Manusmṛti),
dalla Letteratura epica (la Itihāsa, comprendente il Rāmāyaṇa e il Mahābhārata), dalla
Bhagavadgītā e dai Purāṇa. Milano, Mondadori, 2010.
Ṛgveda. Le strofe della sapienza (a cura di Saverio Sani). Venezia, Marsilio, 2000.
Saverio Sani e Chatia Orlandi. Atharvaveda. Inni magici. Milano, TEA, 1997.
Raimon Panikkar, I Veda. Milano, Rizzoli, 2008.
Raimon Panikkar, Gli inni cosmici dei Veda. Milano, Rizzoli, 2004.
Upaniṣad antiche e medie (a cura di Pio Filippani Ronconi). Torino, Bollati Boringhieri, 2007
ISBN 978-88-339-1797-9
Upaniṣad (a cura di Raphael). Milano, Bompiani, 2010. (testo sanscrito a fronte).
Il trattato di Manu sulla norma (a cura di Federico Squarcini e Daniele Cuneo). Torino,
Einuadi, 2010. Eccellente edizione critica integrale del Manusmṛti.
Le Leggi di Manu (a cura di Wendy Doniger, con la collaborazione di Brian K. Smith).

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Milano, Adelphi, 1996. Traduzione integrale del Manusmṛti.

Opere sulle filosofie e sulle teologie dell'India


Alberto Pelissero. Filosofie classiche dell'India. Brescia, Morcelliana, 2014.
Giuseppe Tucci. Storia della filosofia indiana. Bari, Laterza, 2005.
Heinrich Zimmer. Filosofie e religioni dell'India. Milano, Mondadori, 2001.
José Pereira. Manuale delle teologie induiste. Roma, Ubaldini, 1979.
Gandhi, "Le grandi religioni. Induismo, buddismo, cristianesimo, islamismo", Newton
Compton, 2012

Opere sulle letterature classiche dell'India


Giuliano Boccali, Stefano Piano, Saverio Sani. Le letterature dell'India. Torino, UTET, 2000.
Alberto Pelissero. Letterature classiche dell'India. Brescia, Morcelliana, 2007.
Vittore Pisani, Laxman Prasad Mishra. Le letterature dell'India. Milano, Rizzoli, 1993 (1970).

Opere monografiche sui rituali dell'India


Sylvain Lévi. La dottrina del sacrificio nei Brāhmaṇa (con l'aggiunta di tre importanti saggi
critici di Roberto Calasso, Louis Renou e Charles Malamoud). Milano, Adelphi, 2009.
Jan C. Heesterman. Il mondo spezzato del sacrificio. Studio sul rituale nell'India antica.
Milano, Adelphi, 2007
Charles Malamoud. Cuocere il mondo. Rito e pensiero nell'India antica. Milano, Adelphi,
1994.
Charles Malamoud. La danza delle pietre. Milano, Adelphi, 2005.

Manuali di iconografia induista


Eckard Schleberger. Le divinità indiane. Roma, Mediterranee, 1999.

Testi sulle mitologie indiane


Alain Daniélou. Miti e dèi dell'India. Milano, Bur Rizzoli, 2002.

Miscellanea
Il Mahābhārata raccontato da R.K. Narayan. Parma, Ugo Guanda, 2000. È il racconto
moderno dello scrittore indiano Rasipuram Krishnaswami Iyer Narayanaswami (1906-2001)
che sintetizza la grande epica indiana.

Voci correlate
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Bhagavadgītā
Brahmanesimo
Darśana, le sei scuole di interpretazione dei Veda
Religioni indiane
Yajña
Upaniṣad
Veda
Vedismo

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Collegamenti esterni

induismo, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.


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Thesaurus BNCF 2984 (https://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=2984) · LCCN
(EN) sh85060932 (http://id.loc.gov/authorities/subjects/sh85060932) · GND
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