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Sesso e morte:

Ferdinando

Il testo, scritto nel 1984 e insignito di numerosi riconoscimenti1


esprime la piena maturità raggiunta dal drammaturgo Ruccello2. Gli in-
tenti che permeano la stesura di questo lavoro sono diversi rispetto alle
opere precedenti (rappresentando quindi un’ulteriore svolta). Se in pas-
sato quest’autore ha inteso fotografare trance de vie, descrivendo, co-
me nel caso de Le cinque rose di Jennifer, uno spaccato di vita ai mar-
gini della metropoli marcato da rovinosa solitudine, con Ferdinando
passa a strutture più complesse, procedendo per metafore dalle quali la-
sciar emergere una visione maggiormente corale della propria cultura,
o meglio dei mutamenti da essa subiti3.

1
Ferdinando vince il premio IDI nel 1985, il Premio IDI migliore novità dell’anno
nel 1986, il Premio Lauro d’Oro alla protagonista Isa Danieli e il Premio Nazionale della
Critica nel 1986.
2
Il testo viene depositato in SIAE il 15 giugno 1984. Lo spettacolo debutta in ante-
prima a San Severo di Foggia il 28 febbraio 1986. Il cast è così composto, Donna Clotilde:
Isa Danieli, Donna Gesualda: Fulvia Carotenuto, Don Catello: Annibale Ruccello, Ferdi-
nando: Pierluigi Cuomo. Regia dello stesso Ruccello. A marzo lo spettacolo viene presenta-
to al Teatro Cilea di Napoli. Ad aprile Ferdinando è riproposto per una sola sera al Teatro
Quirino di Roma. Il testo avrà anche una versione cinematografica, nel 1990 viene realizza-
to Ferdinando uomo d’amore, con la regia di Memè Perlini e protagonista Ida Di Benedet-
to. Mentre nel 1998 Giuseppe Bertolucci cura la regia della riduzione televisiva di Ferdi-
nando (andato poi in onda su Rai Due per “Palcoscenico”).
3
Incentrando il testo così fortemente sul napoletano e sulla sua cultura, Ruccello non

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Se cantar mi fai d’amore...

La storia è ambientata all’indomani dell’Unità d’Italia ed analizza


il disfacimento di una famiglia attraverso la figura di due donne: Donna
Clotilde (Baronessa di Lucanigro) e Donna Gesualda, sua cugina. Dopo
la morte del marito, Clotilde decide di evitare ogni confronto con un
mondo che cambia troppo velocemente, rintanandosi nel proprio letto4.
Gesualda svolge mansioni di dama di compagnia e di serva. In osser-
vanza alle dinamiche contenute nei Kammerspiel strindberghiani, i due
personaggi sono uniti da un sentimento d’amore e odio, di diffidenza e
rancore, ma, allo stesso tempo, di reciproca dipendenza. Il loro aiutarsi
e combattersi è parte di un gioco al massacro che termina solo con il
calare del sipario. Inoltre, la collocazione domestica del testo porta a
compimento un’operazione di progressivo restringimento dell’ambien-
tazione che Ruccello opera fin da Le cinque rose di Jennifer, arrivando
a dare al luogo scelto una dimensione quasi claustrofobica5. In questo
caso, luogo dell’azione è la camera da letto di Clotilde, terreno d’in-
contro/scontro fra i quattro personaggi rappresentati, fortino eretto dalla
nobildonna a difesa della propria identità. Già in questa decisione della
protagonista s’intravedono i primi riferimenti letterari. Tornano in
mente il Pirandello de I Vecchi e i giovani, in cui Don Ippolito Lauren-
tano sceglie di auto esiliarsi in un suo feudo, protetto da un corpo di
guardia di venticinque uomini in divisa borbonica, per non dover vede-

manca di lanciare un messaggio polemico a quelle compagnie partenopee che avevano cer-
cato una propria identità utilizzando drammaturghi stranieri. Si pensi, per esempio, al grup-
po teatrale napoletano che in quegli anni riscuoteva larghi consensi, «Falso Movimento».
Le loro produzioni di maggior successo, fino a quel momento, includevano: Il desiderio
preso per la coda da Picasso (1985), Coltelli nel cuore da Brecht (1985), Ritorno ad Alpha-
ville da Godard (1986).
4
La storia si svolge nel palazzo di Clotilde sulla costa napoletana fra Ercolano e Torre
del Greco. Non a caso zona prediletta dai Borbone per le vacanze estive.
5
Matteo Palumbo mette in evidenza «la dilatazione della vita interiore dei personag-
gi» in contrasto con «la limitazione carceraria dei luoghi» nei personaggi femminili di Ruc-
cello: «Per ognuna di esse la casa, più che costruire un contenitore naturalisticamente pre-
sente o un centro di raccordo che collega personaggi distinti per il loro carattere e per i loro
comportamenti, diventa il luogo di un’avventura mentale, in cui ciò che accade realmente
può perfino confondersi con la possibilità o con il timore che accada.» Id., Le «Piccole tra-
gedie minimali» di Annibale Ruccello, in «Nord e Sud», 4, 2000, p. 119.

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Ferdinando

re la nuova realtà politica dell’Italia unitaria6, o Des Esseintes, il prota-


gonista di Controcorrente di Huysmans, ultimo discendente di una ric-
ca famiglia francese che si ritira in una casa fuori Parigi per attuare il
suo progetto esistenziale: vivere fuori dal tempo.
Il quotidiano delle due donne in questo paesino dell’entroterra ve-
suviano è scandito da cure mediche e visite del parroco locale, Don Ca-
tello. Ma gli immobili equilibri della convivenza tra la Baronessa mala-
ta immaginaria, la cugina vergine presunta e il prete opportunista, tra
complicità, sadismi e repressioni, vengono sconvolti dall'irrompere di
un intruso, il giovane e bel nipote Ferdinando. Inviato in quella casa dal
Notaio Trinchera7, il ragazzo sconvolge i tormentati equilibri scorgen-
do la loro condizione di anime accomunate dalle pulsioni del ventre e
del sesso. Metodicamente il ragazzo innesca la miccia di una progres-
siva dissoluzione intrecciando subdolamente legami sessuali con gli al-
tri personaggi. Con ognuno di loro egli mette in pratica tecniche sedut-
tive ad hoc. Inizia con Clotilde, usando il suo profilo efebico/adole-
scenziale8, una notte il ragazzo s’infila nel letto della zia fingendo di
aver paura a dormire solo. Nel secondo tempo appare evidente come la
donna, ormai guarita da ogni presunto male, sia in preda ad una violen-
ta passione per il nipote:

CLOTILDE […] Fatte tuccà! Astregnere! Pezzecà! Voglio essere sicura


ca sì overo e ca nun si’ nu suonno! Fatte mettere ’e mmane
dint’’e cazune! (Toccandogli il membro nei calzoni) Chisto
oì! Chistu ccà! Adda essere sulo d’’o mio! Si saccio ca ’o
daie a quaccherun’ata, t’o taglio! M’’o mangio! N’’straccio

6
Cfr. Luigi Pirandello, Tutti i romanzi. I vecchi e i giovani, Milano, Mondadori, 1941.
7
Si noti che il cognome del personaggio è lo stesso del celebre drammaturgo napole-
tano del Settecento Pietro Trinchera (1702-1755), non a caso anch’egli Notaio (almeno fin
quando non abbandonò la professione per dedicarsi pienamente al teatro).
8
In una didascalia l’autore descrive così il suo personaggio: «È un giovane di circa
sedici anni, di una bellezza apollinea, con lunghi riccioli biondi che gli scendono quasi fin
sulle spalle, un corpo esile e slanciato e un’aria di ingenua tristezza che gli conferisce mag-
gior fascino». Ferdinando, cit., p. 151.

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Se cantar mi fai d’amore...

e mm’’o stipo! Sulo d’’o mio adda essere! sulo d’’o mio! E
nisciun’ata!9

Con Gesualda, invece, Ferdinando mostra una virilità prorompen-


te, fermo nel suo intento di scansare la concorrenza di Don Catello:

FERDINANDO […] Guardame! E toccame! Nun so’ megl’io ca Don Catel-


lino! […]Guarda ccà! Chesta è carna fresca! Tosta! ’Ncera-
ta! Siente ’o profumo ca tengo! È ’nu profumo ca ’On Ca-
tellino maie e poie maie te putarrà fa sentì! ’O ccapisce?
(La bacia in bocca) Te sapeva vasà accussì ’On Catelli-
no!10 […].

E, infine, mostrando una certa disinvoltura sessuale, il ragazzo rie-


sce a condurre a sé anche il sacerdote al punto che, perso d’amore per
lui, Don Catello cadrà nella trappola mortale delle due donne che, ti-
morose di perdere le attenzioni di Ferdinando, decidono di avvelenare
il prete:

GESUALDA […] (Tendendo un bicchiere al prete) Padre…


CLOTILDE (con il bicchiere in mano) ’On Catellì! Addo’ va!
DON CATELLO (dopo aver bevuto) E vuie nun vevite?

CLOTILDE (strana) Io? E sapite ca pozzo vevere ’o nucillo io?


DON CATELLO (a Gesualda) E voi?... Nemmeno bevete?

9
Fatti toccare! Stringere! Pizzicare! Voglio essere sicura che sei vero e non un sogno!
Fatti mettere le mani nei pantaloni! (Toccandogli il membro nei calzoni) Questo! Questo qua!
Deve essere solo mio! Se vengo a sapere che lo dai a qualcun altro, te lo taglio! Me lo mangio!
Lo strappo via e me lo conservo! Solo mio deve essere! E di nessun altro. Ivi, p. 174.
10
Guardami! E toccami! Non sono meglio io di Don Catellino! […]Guarda qua! Questa
carne fresca! Soda! Di cera! Senti il mio profumo! È un profumo che Don Catellino mai potrà
farti sentire! Lo capisci? (La bacia in bocca) Ti sapeva baciare così Don Catellino! Ivi, p. 170.

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Ferdinando

GESUALDA (dura) A me ’o nucillo me fa n’effetto strano. Me rummane


ncoppo ’o stomeco! Invece ’e me fa diggerì me fa acido…
DON CATELLO (inquieto) Che brinnese strano…

GESUALDA (repentinamente Clotilde si allontana) Nun passarranno


diece minute e sarraie muorto!
DON CATELLO Che ddice?!

GESUALDA ’O nucillo era avvelenato!11

Il gesto si rivela fatale per Clotilde e la cugina poiché il ragazzo


userà l’omicidio per ricattarle e farsi consegnare la cassetta contenente
l’oro (gelosamente nascosta per anni dalla Baronessa) per poi ripartire
e abbandonarle. Se già in Week-end, Ruccello aveva mostrato di voler
sfidare il comune senso del pudore, in questo caso la sua “sfrontatezza”
è tale che, sopraffatto dalla moltitudine di dettagli peccaminosi che affol-
lano i dialoghi, lo spettatore/lettore viene a trovarsi inaspettatamente in
una condizione di forte disagio, quasi fosse al cospetto di storie delle
quali non è bene sapere, ma verso le quali prova un’oscura attrazione12.
Il concertato drammaturgico del testo raccoglie in un unico sviluppo
la metafora storico-sociale, il teatro d’intreccio, la parodia colta13, il
disegno analitico-psicologico e la satira morale. La collocazione storica

11
Ivi, p. 183. Il brindisi è preceduto dalla scrittura di una lettera da parte di Don Catello.
Nella missiva, sotto dettatura di Clotilde, il Parroco scrive : «[…] Sento che le mie colpe sono
un fardello troppo pesante, e non posso ulteriormente sopportarle. Per questo ho deciso, pur fra
mille dubbi e ripensamenti, pur fra mille paure, di compiere ciò che fino a ieri mi sembrava
impossibile». Ivi, p. 182. L’utilizzo di due missive per lo sviluppo della trama (la prima è quel-
la in cui si annuncia l’arrivo di Ferdinando) mostrano la familiarità di Ruccello con la tecnica
delle “pièce bien faite” ideate dal drammaturgo francese Eugène Scribe nel 1825.
12
Si pensi almeno al dialogo fra Gesualda e Don Catello sulle loro pratiche sessuali.
Ferdinando, p. 165-168.
13
Palladini scrive: «[…] A tale modernità strutturale fa da contraltare in Ruccello un
solido, antico impianto di comicità popolare, e l’uso anch’esso noto di sottili strategie lin-
guistiche dove un napoletano ricco e incandescente viene qua e là intervallato, secondo pre-
cipue connotazioni psicologico – narrative, con il latino, il francese e l’italiano.» Id., Canta
Napoli, Napoli Millenaria, «Paese Sera», 14 aprile 1986.

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Se cantar mi fai d’amore...

della trama è elemento cruciale nella dinamica costitutiva della storia.


In seguito all’Unità del paese il mondo della Baronessa, di sua cugina e
del prete è passato dal Regno di Napoli a quello d'Italia, dai Borboni ai
Savoia, una storia è finita e un'altra sta cominciando. Nella descrizione
critica di questo passaggio si condensa il rifiuto verso la decadenza di
una civiltà postunitaria, vista come afasica e vuota.
Il personaggio di Ferdinando esprime il nuovo che incede, l'avven-
to di un presente senza tradizioni, senza passato e senza parole, ma al
cui fascino non ci si può sottrarre. L’autore osserva il passaggio dalla
vecchia classe nobiliare che, sebbene lacerata e corrotta, possedeva una
propria tradizione, ad una borghesia moderna marcatamente avida e
mediocre14. Lo dimostrano le parole con cui Ferdinando, alla fine, rive-
la la sua vera identità:

FERDINANDO Nun ve so’ nipote, nun ve so’ parente, nun ve so’ niente.
So’ figlio ’o nutaro Trinchera, ca lentamente, cu pacienze,
negli anni, sotto i nomi più svariati se ’mpussessato ’e tutte
ll’ipoteche voste, ’e tutte ’e cambiale, e tutte ’e diebbete…
’A primma famiglia burbonica veramente fedele ai Sa-
voia… Pe’ chesto me chiamo Filiberto. P’ammore d’ ’o
rre. No re Burbone ma ’o rrè… Chillo ’e mo’!15

Dinanzi a tanta fredda aggressività, furbizia e spregiudicatezza


messa in campo dalle nuove generazioni, le vecchie non possono che
incassare il colpo e ritirarsi in attesa della morte. Del resto, lungo tutto
l’arco narrativo Ruccello presenta Donna Clotilde quale espressione
piena di una cultura ottocentesca che, coerente con il proprio rifiuto

14
Ruccello definisce la propria generazione: «dell’immagine, che non ha più un pas-
sato alle spalle…non avendo memoria non si ha nemmeno futuro» Luciana Libero, Ferdi-
nando non solo, «Il Mattino», 12 dicembre 1986.
15
Non sono vostro nipote, non vi sono parente, non vi sono niente. Sono figlio del no-
taio Trinchera che lentamente, con pazienza, negli anni, sotto i nomi più svariati si è impos-
sessato di tutte le vostre ipoteche, di tutte le cambiali, di tutti i debiti… La prima famiglia
borbonica veramente fedele ai Savoia…Per questo il mio nome è Filiberto. Per amore verso
il Re. Non il Re Borbone ma il Re…quello che c’è ora. Ferdinando, p. 184.

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Ferdinando

della modernità, non accetta che l’italiano (la lingua dei vincitori) fac-
cia ingresso in casa sua, usando il napoletano quale baluardo a difesa
della propria identità:

CLOTILDE E non parlare italiano! Hai capito! Nun voglio sentì ’o tta-
liano dint’a sta casa…Io e isso c’avimme appiccicate il 13
febbraio del 1861 […] Contemporaneamente all’ammai-
narsi della gloriosa bannera ’e re Bburbone s’ammainaie
pure ll’italiano dint’ ’o core mio…Na lengua stranie-
ra!...Barbara!...E senza sapore, senza storia! ...Na lengua ’e
mmerda! ...Na lengua senza Ddio!16 ...

In fondo questa lingua che ha sconfitto il dialetto risulta certo for-


bita ma libresca ed inespressiva, come dimostrato fin dal primo incon-
tro tra Ferdinando e Donna Clotilde:

FERDINANDO Perdonate zia. A casa avevo tanto sentito parlare di voi che
è come se vi conoscessi da sempre. Il vedervi, perciò, mi fa
quasi rivivere davanti gli occhi le voci dei miei cari… Il
papà… La mamma …17.

È pur vero che lo stesso personaggio, quando rivelerà la sua identi-


tà, smetterà la farsa linguistica dell’italiano per tornare al napoletano.
Gli esempi citati dimostrano come l’interesse linguistico dell’autore si
sia spostato da un napoletano contemporaneo infarcito di barbarismi
moderni ad una lingua antica in cui si rivela una particolare cura filolo-
gica. Il napoletano di Ruccello, tra lessico quotidiano e preziosi voca-
boli ottocenteschi recuperati all'archeologia, ma anche al teatro “bas-

16
E non parlare italiano! Hai capito! Non voglio sentire l’italiano in questa casa… Io
e lui ci siamo divisi il 13 febbraio del 1861 […] Contemporaneamente all’ammainarsi della
gloriosa bandiera del Re Borbone si ammainò anche l’italiano nel mio cuore…Una lingua
straniera!... Barbara!... E senza sapore, senza storia!... Una lingua di merda!... Una lingua
senza Dio!... Ivi, p. 141.
17
Ivi, p. 151.

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Se cantar mi fai d’amore...

so”, non parlato solo istintivamente, è scelto consapevolmente dall'au-


tore come patrimonio di civiltà e d’arte18.
Ferdinando è il testo che dimostra la capacità della drammaturgia
napoletana di confrontarsi con altre culture inglobandole e reinterpre-
tandole. Non a caso il dramma appare disseminato di riferimenti ad al-
tre opere ma, diversamente dal passato, le citazioni non rischiano più di
minare l’originalità del lavoro ruccelliano, risultando perfettamente in-
globate nell’ordito drammaturgico. Lo stesso autore sostiene la necessi-
tà di leggere questo lavoro:

Su due livelli, inseguendo due storie. La prima è quella dei sentimenti,


della realtà, dei personaggi, dell’intreccio narrativo. La seconda è una
storia di citazioni, di scrittura a strati dove confluiscono le più svariate
suggestioni letterarie, pittoriche, cinematografiche, teatrali19.

Il modello teatrale che costituisce la base della costruzione “a stra-


ti” è Pirandello. È, infatti, il drammaturgo di Agrigento a fornire i rife-
rimenti della recita nella recita e della scomposizione testuale, oltre che
del gioco di rifrazione dei personaggi20, ma soprattutto è da Pirandello
che Ruccello prende in prestito l’idea del palcoscenico come luogo do-
ve “mettere sotto processo” le ipocrisie, le vergogne e le falsità della
società contemporanea. Non manca, poi, una citazione del padre nobile
del teatro napoletano moderno: De Filippo. Il terzo e quarto quadro di

18
G. G., L. G., Ruccello una drammaturgia sui corpi, cit., p. 74. L’alta cifra linguisti-
ca del testo colpisce significativamente i recensori in occasione del debutto napoletano dello
spettacolo. Rodolfo Di Giammarco scrive: «[Ferdinando] appartiene a quell’ordine di eventi
che linguisticamente e formalmente dovrebbero fare storia, riaprire capitoli.» Id., Moliere
col Vesuvio tra vecchi gattopardi, «la Repubblica», 9 marzo 1986. Anche Savioli sottolinea
l’importanza della lingua nello spettacolo: «un vernacolo denso di umori, corposo, plastico,
innervato di arcaici fraseggi e di vigore plebeo, vera struttura portante dell’azione e suo
commento polemico» Id., Ferdinando re del dialetto, «L’Unità», 8 marzo 1986.
19
Annibale Ruccello, Presentazione di Ferdinando, a cura di Luciana Libero, op.
cit., p. 84.
20
Basti pensare ad opere quali: I sei personaggi in cerca d’autore, Così è se vi pare,
Enrico IV, etc.

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Ferdinando

Ferdinando si aprono con riferimenti a nenie e recite natalizie che ri-


cordano alcuni momenti di Natale in casa Cupiello. Se nell’ultima par-
te del secondo atto del classico di De Filippo, Luca, Pasquale e Tomma-
sino provano il canto Tu scendi dalle stelle per fare una sorpresa a Con-
cetta21, allo stesso modo in Ferdinando, il ragazzo, Don Catello e Ge-
sualda preparano La cantata per Clotilde22. Ma in particolare si fa riferi-
mento a Masillo Reppone autore della Posillecheata, arduo difensore
della lingua napoletana contro il Toscano, come conferma la battuta in
cui Gesualda legge un passo di quest’opera su invito di Clotilde:

GESUALDA Allora… (Inizia a leggere) “E po’ co sta lengua toscana a-


vite frusciato lo tafanario a miezo munno! Vale cchiù na
parola napoletana chiantuta ca tutte li vocabole da la Cru-
sca! ...”23.

Ci sono poi altri riferimenti letterari. Il testo si apre all’ora del Ve-
spro con le due donne intente a recitare il Rosario. La stessa scena si
trova all’inizio del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. An-
che in quel caso una famiglia di nobili (siciliani) si è riunita per il Ve-
spro24. Ma al di là del singolo episodio si nota una similitudine nel pro-
filo dei due protagonisti. Al pari di Donna Clotilde, il Principe di Salina
non accetta l’Unità d’Italia. Illusoriamente ha creduto di poter fermare
la storia. Nondimeno dinanzi agli inevitabili cambiamenti culturali, di
stile e di cerimoniali imposti dalla classe dominate, egli non può che

21
Eduardo De Filippo, Natale in casa Cupiello, in Teatro, cit., pp. 797-798.
22
Ferdinando si presenta travestito da Arcangelo Gabriele, con la spada sguainata,
proprio nel momento in cui Clotilde e Gesualda avvelenano Don Catello.
23
Allora…(Inizia a leggere) “E poi con questa lingua toscana avete rotto l’anima a
mezzo mondo! Vale più una parola napoletana sentita che tutti i vocaboli della Crusca!...”.
Ferdinando, p. 143.
24
«La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del
Principe aveva ricordato i Misteri Gloriosi e Dolorosi; […] Adesso, taciutasi la voce, tutto
rientrava nell’ordine, nel disordine, consueto». Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gatto-
pardo, Milano, Feltrinelli, 1958, p. 17.

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Se cantar mi fai d’amore...

prender atto della propria sconfitta25. Diversamente, Donna Clotilde si


ostina fino alla fine a non riconoscere l’avvenuto cambiamento trince-
randosi dietro l’uso pervicace della propria lingua.
Altro riferimento è alla Recherche di Proust e, in particolar modo,
al personaggio di Zia Léonie. Le abitudini di vita di Clotilde ricalcano
fedelmente quelle di Léonie che:

[…] dopo la morte del marito […] non aveva voluto lasciare, prima
Combray, poi a Combray la sua casa, poi la sua stanza, infine il suo letto,
e non scendeva più, sempre giacendo in uno stato incerto di dolore, di
debolezza fisica, di malattia, d’idea fissa di devozione26.

La volontaria reclusione non impedisce a Léonie (né a Clotilde)


d’informarsi su quanto avviene al di fuori del perimetro domestico e
commentare i vari accadimenti con la cameriera Françoise. Del resto,
come sentenzia la Baronessa:

[…] ’o ’nciucio, il pettegolezzo,, è un r’ ’e poche cose ca veramente rie-


sceno a te fà campà… A te fà sciatà a te fà piglià interesse a na vita ac-
cussì bbrutta e accussì amara…27.
Completa il quadro dei riferimenti al romanzo di Proust la figura
del prete. Da un lato Don Catello “nu pezzente sagliuto”28, dall’altro il
curato di Combray assiduo frequentatore della casa di Zia Léonie. Seb-
bene Don Catello si differenzi dal personaggio proustiano per l’indole

25
Il Principe preferisce rinunciare al seggio offertogli in Parlamento proponendo, al
suo posto, il nipote Tancredi.
26
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Torino, Einaudi, 2008, p. 38. Inoltre,
anche Clotilde (prima della venuta di Ferdinando), come la Zia Lèonie: «non riceveva nes-
sun altro all’infuori del signor curato», M. Proust, op. cit., p. 53.
27
Il pettegolezzo è una delle poche cose che veramente riescono a farti vivere, a farti re-
spirare ed avere un minimo di interesse verso una vita così brutta e amara. Ferdinando, p. 152.
28
Un povero arricchitosi. Ivi, p. 154.

152
Ferdinando

omosessuale (o bisessuale, visto il suo rapporto con Gesualda)29 che lo


porta ad innamorarsi di Ferdinando, questa tematica non è assente nella
Recherche. La liaison fra il signor di Charlus e Charlie Morel ne è la
conferma. Ma il gioco delle citazioni non finisce ancora e riguarda in
particolar modo il personaggio di Ferdinando i cui riferimenti spaziano
dalla letteratura al teatro, toccando anche il cinema. Lo stordimento
sessuale provocato dalla comparsa di Pepe il romano in casa di Bernar-
da Alba nell’omonimo testo di Garcia Lorca (1936), non è dissimile
dall’inquietudine che porta con sé la comparsa di Ferdinando nella casa
di Donna Clotilde30. Allo stesso modo, al di là di analogie nella trama,
tanto le fattezze fisiche31 quanto la condizione di bisessuale32 accostano
il personaggio a schemi narrativi indagati a metà anni Sessanta in In-
ghilterra da Joe Orton in Entertaining Mr Sloane. Ci sono, poi, i riferi-
menti di carattere cinematografico. Il primo è al film Teorema di Pier
Paolo Pasolini (1968). Nella pellicola del poeta friulano un ricco espo-
nente della borghesia milanese, Paolo, riceve la notizia (attraverso un
telegramma) dell’arrivo di un ospite che sconvolgerà la vita della sua
famiglia. E così sarà, poiché tutti i membri del suo nucleo familiare si
mostreranno molto attratti da lui e ognuno di loro farà l’amore con

29
Anche questa figura mostra delle ascendenze proustiane inglobando due personaggi
della Recherche, Françoise (la domestica) e Eulalie (una protégée povera).
30
Si noti, tuttavia, che Pepe il romano non compare mai in scena.
31
Rivolgendosi a Sloane Kath afferma: You have a skin on you like a princess […] I
like a lad with a smooth body (Hai la pelle di una principessa […] Mi piacciono gli uomini
con corpi così soavi. Id., Entertaining Mr Sloane, cit., p. 77.
32
Pur di non perdere i favori di Ed, Sloane non esita ad offrirsi a lui:
SLOANE Let me live with you. I’d wear my jeans out in your service. Cook for you.
ED I eat out.
SLOANE Bring you your tea in bed.
ED Only women drink tea in bed.
SLOANE You bring me tea in bed, then. Any arrangement you fancy. (SLOANE. La-
sciami vivere con te. Farei di tutto per te. Potrei cucinare per te. ED Mangio fuori. SLOANE.
Portarti il tè a letto. ED Solo le donne bevono il tè a letto. SLOANE. Potresti portarmi tu il tè a
letto, allora. Come preferisci.) Ivi, p. 135.
Tornando al romanzo di Proust, si noti che la condizione di Morel quale “gigolò”
sembra un buon precedente per il giovane Ferdinando. Id., Sodoma e Gomorra. Alla Ricer-
ca del tempo perduto, cit. pp. 1165-1555.

153
Se cantar mi fai d’amore...

l’ospite. L’arrivo di un nuovo telegramma ne motiverà la partenza.


Strutturalmente le due storie sono molto vicine (anche in Ferdinando
una lettera annuncia l’arrivo dell’ospite), ma se nel primo caso il ragaz-
zo acquista i contorni di una figura angelica, portando amore e verità in
un mondo d’individui appartenenti ad un contesto mediocremente bor-
ghese, nel caso di Ferdinando l’ospite, officiante di una cerimonia cupa,
si rivela figura ingannatrice che sfrutta il suo fascino per portare morte e
dolore nella vita degli altri personaggi. Il secondo riferimento è al film di
Visconti Morte a Venezia (1971). L’efebica bellezza di Ferdinando e-
sprime un’estetica non dissimile da quella del giovane protagonista del
romanzo di Mann (da cui il film è tratto), Tadzio. L’estasi amorosa pro-
vata da von Aschenbach verso il ragazzo altro epilogo non produce se
non la morte, al pari di don Catellino con il suo Ferdinando33.

Nel finale torna ancora Pirandello. Dinanzi alla sconfitta, quando


Ferdinando/Filiberto è ormai andato via con la cassetta contenente i
preziosi, Clotilde si lascia andare ad un’ultima riflessione:

CLOTILDE (quasi sorridente) E mo’!... E mo’ ’o colpo p’’a morte ’e


’on Catellino, probabilmente sarrà troppo forte pe’
mme…’A partenza inaspettata ’e Ferdinando… Troppe
emozioni… Probabilmente me sentaraggio n’ata vota deb-
bole… Accussì debbole ca m’avraggia mettere n’ata vota
dint’’o lietto… E forse stavota penzo ca difficilmente
m’aizarraggio cchiù!34

Le parole riecheggiano quelle pronunciate nell’Enrico IV, anche lì,


si torna alla situazione di partenza. Sia Enrico che Clotilde tornano con

33
DON CATELLO […] Ma m’ha ’cciso l’ammor…l’ammore ca te fa perdere ’e sienze e
nun te fa capì cchiù niente! (Mi ha ucciso l’amore…l’amore che ti fa perdere i sensi e non ti
fa capire più nulla!) Ferdinando, p. 183.
34
E desso!... E adesso il colpo per la morte di Don Catellino, probabilmente sarà trop-
po forte per me… La partenza inaspettata di Ferdinando…Troppe emozioni… Probabil-
mente mi sentirò un’altra volta debole… talmente debole che dovrò rimettermi a letto… E
forse stavolta penso che difficilmente mi alzerò più! Ivi, p. 186.

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Ferdinando

più determinazione alla loro condizione di auto reclusione, prima che


l’irruzione di figure esterne ne alterasse la sequenza quotidiana. Dopo
aver ucciso Belcredi, Enrico si rinchiude nell’isolamento della propria
follia, convocando intorno a sé i propri fedeli consiglieri:

ENRICO IV Ora sì… per forza… qua insieme, qua insieme… e per
sempre!35

Ma Ruccello conclude il suo dramma con un felice colpo d’amara


ironia:

CLOTIDLE (Iniziando a ridere) Gesualdì… Gesualdì… Ce pienze…


Nun se chiammava manco Ferdinando!36

35
Id., Enrico IV, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1969, p. 219.
36
Gesualdì… Gesualdì… Ci pensi… Non si chiamava nemmeno Ferdinando! Ferdi-
nando, p. 186.

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