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Metamorfosi sessuali in Ovidio: ricerca di una prospettiva romana sui miti di


transessualità

Thesis · December 2016


DOI: 10.13140/RG.2.2.29700.32643

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Alessandra Scaccuto
Università degli Studi di Siena
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DIPARTIMENTO SCIENZE STORICHE E DEI BENI CULTURALI

Corso di Laurea in Studi Umanistici

Metamorfosi sessuali in Ovidio: ricerca di una prospettiva


romana sui miti di transessualità

Relatore:
Ch.mo Prof. Maurizio Bettini

Alessandra Scaccuto
Matricola n. 049775

Anno Accademico 2015/2016


2
Indice
Introduzione…………………………………………………………………………………….4

Tiresia: il bastone di un cieco come ponte fra mondi diversi………………………………......7

Ermafrodito: la fonte, la ninfa e il destino nel nome…………………………………………...20

Ifi: impossibilità dell’amore tra due donne o travestimento rituale?.......................................37

Ceneo: lo stupro, la metamorfosi, il dileggio, la fenice…………………………………….......51

Conclusioni……………………………………………………………………………………...62

Bibliografia……………………………………………………………………………………...65

3
Introduzione

Questa trattazione ha un forte debito con un lavoro di Simone Viarre, del 1983, il cui oggetto era,
appunto, la menzione dei miti di transessualità da parte di Ovidio nelle Metamorfosi1. L’obiettivo è
stato anzi quello di proseguire la ricerca in esso proposta. Lo studio francese suggeriva uno schema
tripartito per i casi di “changement de sexe2” affrontati nel poema, ossia, rispettivamente,
métamorphoses intermittentes, androginia come caratteristica essenziale di un personaggio e
menzioni scientifiche3. Qui, invece, i passi scelti sono soltanto quelli che Simone Viarre ascrive alla
seconda tipologia. Sono stati approfonditi, quindi, gli episodi di Tiresia, Ermafrodito, Ifi, Ceneo,
personaggi per i quali la condizione sessuale ambigua costituisce un tratto caratterizzante. A
ciascuno di loro è dedicato un capitolo e ciò costituisce un’altra differenza con l’analisi di Viarre.
Per ragioni di spazio, inoltre, agli episodi di métamorphoses intermittentes sono stati dedicati,
invece, solo alcuni brevi cenni all’interno dei vari capitoli. È il caso non solo di Mestra 4 (che, oltre
ad essere trasformata in uomo da Nettuno, è una “trasformista” in generale5), ma anche di tre storie
che coinvolgono delle divinità maschili le quali, per sedurre delle giovani mortali vergini e ritrose,
appaiono loro sotto forma di donne. Si tratta di Giove, che tenta in questo modo di avvicinare
Callisto6, di Apollo, che indirizza le sue brame verso Leucotoe7, e di Vertumno, innamoratosi di
Pomona8. Stesso trattamento cursorio è stato riservato alle “menzioni scientifiche” di casi di
androginia, ossia quelle fatte da Pitagora nel XV libro delle Metamorfosi, concernenti la fonte
Salmacide, la iena e la fenice. Due creature, queste ultime, a cui era associata, come vedremo, la
credenza che voleva possedessero in qualche modo entrambi i sessi.
È necessaria ancora qualche precisazione. Per delineare la condizione dei personaggi di cui
parleremo, sono stati adoperati, oltre al termine di transessualità, anche quelli di androginia e
bisessualità. Androgynie è impiegato da Marie Delcourt, in un’altra opera fondamentale sul tema,
Hermafrodite. Mythes et rites de la Bisexualité dans l’Antiquité classique 9. Quella di bisessualità,
invece (da intendersi non nel significato comunemente attribuito a questa parola, ma impiegandola
per indicare gli individui dotati di entrambi i sessi), è categoria utilizzata da Luc Brisson in Le sexe
incertain. Androgynie et hermaphrodisme dans l’Antiquité gréco-romaine, il terzo studio a cui
questa trattazione deve di più, oltre ai due già menzionati10. Si è preferito non servirsi, poi, della
qualificazione di ermafrodito, per non creare confusione con il personaggio omonimo.
Ma quali erano, invece, i nomi che gli antichi davano agli esseri dalla conformazione sessuale
ambigua? E quale l’atteggiamento nei loro confronti? Interessante in tal senso è una testimonianza

1
S. Viarre, L’androgynie dans les Métamorphoses d’Ovide. À la recherche d’une méthode de lecture, in “Journées
Ovidiennes de Parménie. Actes du Colloque sur Ovide (24-26 juin 1983)”, a cura di J.M. Frécaut-D. Porte, in “Latomus.
Revue d’études latines”, Bruxelles, 1985, pp.229-243.
2
Ivi, p.230.
3
Ibid.
4
Met. VIII, 843-878.
5
“Elle se transformait soit en homme, soit en animal”, Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, a cura di M.
Papathomopoulos, Les Belles Lettres, Paris, 1968, p.109.
6
Met. II, vv.409-465.
7
Met. IV, vv.190-233.
8
Met. XIV, vv. 622-692; 765-771.
9
M. Delcourt, Hermafrodite. Mythes et rites de la Bisexualité dans l’Antiquité classique, Presses Universitaires de
France, Paris, 1958.
10
L. Brisson, Le sexe incertain. Androgynie et hermaphrodisme dans l’Antiquité gréco-romaine, Les Belles Lettres, Paris,
1997.
4
di Plinio: Gignuntur et utriusque sexus quos hermafroditos vocamus, olim androgynos vocatos
(“Nascono anche esseri dotati di entrambi i sessi, che chiamiamo ermafroditi e un tempo erano
chiamati androgini”)11. “Ermafrodito”, in effetti, sembra essere l’appellativo latino, e si ritrova,
oltre che di nuovo in Plinio12, anche in altre fonti, come il comico latino Titinio (III-II a. C.), che lo
impiega come insulto per indicare una presunta effeminatezza: Quasi hermaphroditus fimbriatum
frontem gestas/feminae13. Il corrispondente greco, ἀνδρόγυνος, è allo stesso modo utilizzato per
stigmatizzare la passività sessuale negli uomini. Nel Simposio, narrando il celebre mito degli
androgini, Aristofane dice: νῦν δὲ οὐκ ἔστιν ἀλλ᾽ ἢ ἐν ὀνείδει ὄνομα κείμενον (“ora non è rimasto
che il nome che suona vergogna”)14. Emerge, subito, come la mescolanza tra i sessi sia guardata,
dalle fonti a noi tramandate sul tema (tutte prodotte da uomini), con disprezzo, a causa della
“contaminazione” con il femminile che essa implica. Come vedremo, questo motivo, coerente con i
presupposti di una cultura androcentrica, quali erano sia quella greca sia quella romana, anima
almeno due degli episodi di seguito analizzati: quello di Ermafrodito e quello di Ceneo.
Altro atteggiamento che riscontriamo è un certo senso di ripugnanza e orrore nei confronti degli
esseri che possiedono entrambi i sessi: essi inquietano perché oltrepassano la visione binaria della
differenza sessuale, utile in quanto

“elle permet à un individu d’affirmer son identité, d’organiser le réel en y introduisant des
classifications s’articulant autour d’oppositions dont le couple masculin/féminin semble
constituer le paradigme le plus commun15”.

È per questo motivo che gli ermafroditi sono visti, in antico, come dei prodigi, segno della
collera divina, di cui la comunità si deve liberare, oppure, con un significativo rovesciamento che
sembra attuarsi in un secondo momento, tutt’al contrario, come qualcosa di sensazionale e
sessualmente allettante16. Una fonte utile è costituita da un passaggio di Diodoro Siculo: ἔνιοι δὲ τὰ
τοιαῦτα γένη ταῖς φύσεσιν ἀποφαίνονται τέρατα ὑπάρχειν, καὶ γεννώμενα σπανίως προσημαντικὰ
γίνεσθαι ποτὲ μὲν κακῶν ποτὲ δ᾽ ἀγαθῶν (“Certuni, però, dichiarano che tali creature bisessuali
sono mostruosità, e, nascendo raramente, sono in grado di presagire gli eventi, talvolta quelli cattivi,
talvolta quelli buoni”)17.
A fianco di questa visione, troviamo traccia, però, di un’ulteriore possibilità: il possesso dei due
sessi è spesso un attributo divino, collegato alle idee di immortalità e perennità o implicato in rituali
iniziatici. Esso permette, infatti, il superamento di parametri oppositivi tutti umani18. Questa idea
sarà evidenziata, in particolar modo, nelle sezioni relative a Tiresia e a Ceneo.
Tutti questi aspetti, che possono sembrare a prima vista contraddittori, sono compresenti,
sapientemente amalgamati tra loro, nella trattazione ovidiana dei miti di transessualità. Fin qui ci si
11
VII, 34, Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre VII, a cura di R.Schilling, Les Belles Lettres, Paris, 1977.
12
Ad esempio a XI, 109-110, Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre XI, a cura di A.Ernout e R.Pépin, Belles Lettres,
Paris, 1947.
13
Setina, VII, Comoedia Togata. Fragments, a cura di A. Daviault, Les Belles Lettres, Paris, 1981.
14
189e, Platonis Opera. Tomus II. Tetralogias III-IV continens, a cura di I. Burnet, Oxford University Press, Oxford,
1901. La traduzione, di P. Pucci, è tratta da Platone. Opere complete, Biblioteca Universale Laterza, Roma-Bari, 1998.
15
L. Brisson, op. cit., p.12.
16
Ancora Plinio, VII, 34, vd. capitolo su Tiresia.
17
IV, 6, 5, Diodorus Siculus. XI. Fragments of books XXI-XXXII, a cura di F.R. Walton, The Loeb Classical Library, Harvard
University Press, London-Cambridge Massachusetts, 1957. La traduzione, di G. Cordiano, è tratta da Biblioteca storica.
Libri I-VIII. Mitologia e protostoria dei popoli orientali, dei Greci e dei Romani, a cura di G. Cordiano e M. Zorat,
Rusconi, Milano, 1998.
18
Si veda, appunto, il valore dell’androgino nel Simposio platonico.
5
contenti dell’idea che, senz’altro, l’ambiguità sembra caratterizzare non solo i corpi di questi
individui, ma anche il modo in cui Ovidio ce li presenta (coerentemente con quell’esthétique de
l’ambiguïté che Simone Viarre ravvisa in tutto il poema19) e, infine, il lettore romano poteva
recepirli.

I testi antichi citati, ove non specificato altrimenti, sono stati tradotti da chi scrive.
19
S. Viarre, op. cit., p.243.
6
Tiresia: il bastone di un cieco come ponte fra mondi diversi

Tiresia è senz’altro il personaggio transessuale del mito antico più conosciuto e anche più
fortunato nelle letterature medievale e moderna1. Presente già nei poemi omerici e poi nelle tragedie
come profeta2, la storia del suo cambiamento di sesso è attestata in molti autori, greci e latini, in tre
differenti versioni3. Secondo la prima4, egli incontra due serpenti che si stanno accoppiando, sul
monte Citerone o Cillene5, ne colpisce uno e viene tramutato in donna. Sette anni dopo, ripetutosi
lo stesso episodio, riacquista il suo sesso originario. Occorsa una disputa tra Giove e Giunone su
quale dei due sessi tragga più piacere nel rapporto sessuale, il re degli dei decide di convocare il
profeta, uno dei pochi, sia tra i mortali che tra le divinità, in grado di dirimere la questione. Poiché
Tiresia svela che sono le donne a provare il piacere più grande, Era, infuriata, lo acceca, mentre
Giove, che non può annullare quello che un’altra divinità ha fatto6, gli concede, in compenso, il
dono della profezia. Nella seconda versione del mito, a punire e poi a rimediare è la stessa divinità:
Atena, che Tiresia, senza volerlo, sorprende nuda mentre si fa il bagno nella fonte Ippocrene, sul
monte Elicona7. Nessun mortale può vedere un dio contro la volontà di quest’ultimo: il giovane
Tiresia è perciò accecato, ma, dopo l’intercessione presso Atena della madre Cariclò, tra le ninfe la
più cara alla dea della μῆτις, egli riceve in compenso il dono della profezia, una vita lunga e il

1
Si pensi ad esempio ai versi che gli dedica Dante nel XX Canto dell’Inferno: vv.40-5 “Vedi Tiresia, che mutò
sembiante/quando di maschio femmina divenne,/cangiandosi le membra tutte quante;/e prima, poi, ribatter li
convenne/li duo serpenti avvolti, con la verga,/che rïavesse le maschili penne.” (D. Alighieri, Commedia. Volume
primo. Inferno, commento di A. M. Chiavacci Leonardi, Arnoldo Mondadori Editore, I Meridiani, Milano, 1991). Secoli
dopo, nel 1922, Thomas Stearns Eliot sceglie Tiresia come figura unificante per il suo poema The Waste Land
collocandolo in una moderna unreal city. Press’a poco nello stesso periodo (1928), esce Orlando (Virginia Woolf), il cui
protagonista eponimo subisce una metamorfosi analoga, dandoci idea per la prima volta dei pensieri intimi di Tiresia
(per quanto questi non sia citato esplicitamente) e svelando “le sue sensazioni e gli interrogativi che la metamorfosi e
la nuova condizione di donna sollevano”, E. Di Rocco, op. cit. (vd. sotto), p.350. Sulla fortuna del personaggio di
TIresia, vd. G. Ugolini, Teiresias. Untersuchungen zur Figur des Sehers Teiresias, G. Narr, Tübingen, 1995, Tübingen,
1995, pp.234-247 e anche E. Di Rocco, Io Tiresia. Metamorfosi di un profeta, Editori Riuniti, Roma, 2007.
2
Ad esempio in Odissea XI, vv.90-151 (Homeri Opera. Tomus III. Odysseae Libros I-XII continens, a cura di T.W. Allen,
Oxford University Press, London 1908), in Sofocle, Antigone, vv.988-1090, ed Edipo Re, vv.316-379 e vv.408-462
(Sophocles. I. Oedipus the King. Oedipus at Colonus. Antigone, a cura di F. Storr, The Loeb Classical Library, Harvard
University Press, Cambridge, Massachusetts-London, 1981), in Euripide, Fenicie, vv.849-959, e Baccanti vv.170-209,
266-327 e 358-369 (Euripides. III. Bacchanals. Madness of Hercules. Children of Hercules. Phoenician Maidens.
Suppliants, a cura di A. S. Way, The Loeb Classical Library, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts-
London, 1988).
3
Imprescindibile per l’accurato inventario delle tre versioni e di tutte le loro varianti L. Brisson, Le mythe de Tirésias.
Essai d’analyse structurale, E.J. Brill, Leiden, 1976.
4
Attestata, oltre che in Ovidio (la cui variante è discussa qui), fra gli altri, in Igino, Favole, 75 (Hygin. Fables, a cura di
J.Y. Boriaud, Les Belles Lettres, Paris, 1997), Apollodoro, Biblioteca, III, 6, 7 (Apollodoro, I miti greci (Biblioteca), a cura
di P. Scarpi-M. G. Ciani, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 1996), Fragmenta esiodea, 275
(Hesiodi, Theogonia, Opera et Dies, Scutum, Fragmenta selecta, a cura di R. Merkelbach- M. L. West, Oxford University
Press, 1970), Antonino Liberale, Met. XVII 5 (Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, a cura di M. Papathomopoulos,
Les Belles Lettres, Paris, 1968).
5
Questo dato varia da versione a versione, vd. F. Boemer, Ovidius Naso. Metamorphosen. Buch I-III, Carl Winter-
Universitaetsverlag, Heidelberg, 1969, p.532.
6
Per quanto Ovidio lo definisca pater omnipotens (Met. III, v.336).
7
Attestano questa versione, tra gli altri, Callimaco, Inni, V (Callimachus. Hymns and Epigrams. Lycophron. Aratus, a
cura di A. W. Mair- G. R. Mair, The Loeb Classical Library, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts-London,
1921) e Properzio, Elegie, IV, 9, v.57-8 (Propertius. Elegies, a cura di G.P. Goold, The Loeb Classical Library, Harvard
University Press, Cambridge Massachusetts-London, 1990).
7
mantenimento del senno nell’Ade, una volta morto8. Abbiamo infine la terza versione del mito, più
tarda e probabilmente inventata di sana pianta da Tolomeo Chenno, grammatico e mitologo di I-II
d.C., in base alla quale Tiresia nasce donna e cambia sesso svariate volte, per essere alla fine
trasformato in un topo9.
Nelle Metamorfosi, Ovidio dedica a questo mito una manciata di versi, inserendolo nel suo
personale ciclo tebano, nel III libro del poema10, in cui si pone il problema dell’identità personale:
“con Atteone e Penteo entra in crisi la separazione fra uomo e animale, con Semele quella fra
umano e divino, con Tiresia la distinzione uomo-donna11”. Tiresia è inoltre il primo vate che appare
nelle Metamorfosi12.
Esaminiamo allora la versione ovidiana:

Dumque ea per terras fatali lege geruntur


tutaque bis geniti sunt incunabula Bacchi,
forte Iouem memorant diffusum nectare curas
seposuisse graues uacuaque agitasse remissos
cum Iunone iocos et “maior uestra profecto est
quam quae contigit maribus” dixisse “uoluptas”.
Illa negat. Placuit quae sit sententia docti
quaerere Tiresiae; Venus huic erat utraque nota.
Nam duo magnorum uiridi coeuntia silua
corpora serpentum baculi uiolauerat ictu
deque uiro factus (mirabile!) femina septem
egerat autumnos; octauo rursus eosdem
uidit et “est uestrae si tanta potentia plagae”
dixit “ut auctoris sortem in contraria mutet,
nunc quoque uos feriam”. Percussis anguibus isdem
forma prior rediit genetiuaque uenit imago.
Arbiter hic igitur sumptus de lite iocosa
Dicta Iouis firmat; grauius Saturnia iusto
nec pro materia fertur doluisse suique
iudicis aeterna damnauit lumina nocte.
At pater ominpotens (neque enim licet inrita cuiquam
facta dei fecisse deo) pro lumine adempto
scire futura dedit poenamque leuauit honore.13

“E mentre sulla terra, per decreto del fato, accade ciò


ed è al sicuro la culla di Bacco, generato due volte,
narrano che Giove, rasserenato dal nettare, le gravose
preoccupazioni deponeva e si dedicava a indolenti
svaghi con una Giunone altrettanto spensierata, e «Più grande senza dubbio è il vostro
piacere rispetto a quello che tocca ai maschi», diceva.
Quella dice di no. Si decise di chiedere l’opinione dell’esperto
Tiresia: a questi erano noti i piaceri di entrambi i sessi.
Infatti i corpi di due grandi serpenti che si stavano accoppiando in un verde bosco

8
δωσῶ καὶ βιότω τέρμα πολυχρόνιον./καὶ μόνος, εὖτε θάνῃ, πεπνυμένος ἐν νεκύεσσι/φοιτασεῖ, μεγάλωι τίμιος
Ἁγεσίλᾳ, Callimaco, Inni, V, op. cit., vv.128-130.
9
L. Brisson, op. cit., pp.79-111.
10
L’edizione di riferimento è Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch,
Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 2007.
11
Ivi, p.126.
12
Ivi, p.127.
13
Met. III, vv.316-338.
8
aveva oltraggiato con un colpo di bastone
e, divenuto donna da uomo che era, fatto prodigioso, così sette
autunni trascorse; nell’ottavo, nuovamente quegli stessi serpenti
vide e: “Se si deve al colpo che vi ho inferto un potere tale”
disse “da mutare il sesso di chi ne fu l’autore nel suo opposto,
anche ora vi colpirò”. E dopo che li ebbe percossi,
le fattezze di un tempo fecero ritorno, fece ritorno l’aspetto originario.
Ebbene questi, scelto come arbitro della scherzosa disputa,
conferma le parole di Giove; che la figlia di Saturno più del giusto,
si indispettì si dice, e non in proporzione all’argomento,
e condannò ad una notte eterna gli occhi del giudice.
Ma il padre onnipotente – poiché non è concesso ad alcuno
degli dei annullare l’azione di un altro dio - al posto della vista rapita
gli fece il dono di conoscere il futuro e con questo onore alleggerì il castigo”.

Per quanto Ovidio tragga la storia del Geschlechtswandel, dell’accecamento e del dono della
profezia da una fonte greca, la Melampodia14, il tono della disputa sui piaceri dei due sessi, idillico
e borghese15, è di gusto ellenistico; essa ricorre altre volte in Ovidio e ne troviamo traccia anche in
Properzio16. Franz Boemer definisce audace e singolare la iunctura con cui è sintetizzato il
particolare statuto di Tiresia a livello sessuale: Venus utraque (v.323)17; ancora più specifico il
commento di Alessandro Barchiesi e Giampiero Rosati, secondo cui il nesso “è fuorviante: usato a
proposito di un maschio, per esprimere ciò che un uomo sperimenta, il valore latino normale
dovrebbe essere «piacere sessuale con le donne e con i ragazzi»”18. Dunque non esiste
un’espressione latina in grado di esprimere la condizione di Tiresia, così atopica.
Possiamo vedere, poi, come nella parte relativa alla disputa il tono si faccia più prosaico 19; il
poeta impiega, infatti, termini tratti dal lessico giudiziario, come doctus (v.322), sententia (v.322),
arbiter (v.332), che in realtà vengono intesi anche nella loro accezione quotidiana, ma, man mano
che la narrazione procede, troviamo “words which are increasingly rigid and technical in their
meaning20”, come iudex, damnare, inritus (vv.335-6). Il passaggio dall’uso comune a quello
tecnico-giudiziario di questi termini indica lo scarto che si attua, nel corso dell’episodio, dal playful
mock trial al real judgment and permanent punishment21. In effetti Tiresia, convocato come arbitro
di una controversia nata per gioco, è alla fine processato egli stesso, in un rovesciamento che ha

14
Frg. 275, Pseudo-Esiodo, Hesiodi, Theogonia, Opera et Dies, Scutum, Fragmenta selecta, a cura di R. Merkelbach- M.
L. West, Oxford University Press, 1970. Vd. F. Boemer, op. cit., p.530.
15
F. Boemer, op. cit., p.531.
16
In Ovidio il tema (accompagnato dalla stessa opinione) si ritrova in Ars I, v.281 sgg.: Parcior in nobis nec tamen
furiosa libido;/legitimum finem flamma virilis habet, dove vengono poi elencate delle donne dal desiderio smodato,
come Biblide, Mirra e Pasifae. Altra menzione, ancora nell’Ars, è in I, 341-2 Omnia feminea sunt ista libidine
mota,/acrior est nostra plusque furoris habet, enunciazione che segue l’elenco delle donne libidinose del mito. (Ovidio.
L’arte di amare, a cura di E. Pianezzola, commento di G. Baldo, L. Cristante, E. Pianezzola, Fondazione Lorenzo
Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 1991). Per quanto concerne Properzio, il riferimento è a Elegie, III, 19, vv. 1-4 sgg.
(anche qui come esempi citati ricorrono Pasifae e Mirra): “Obicitur totiens a te mihi nostra libido:/crede mihi, vobis
imperat ista magis./Vos, ubi contempti rupistis frena pudoris,/nescitis captae mentis habere modum”.
17
F. Boemer, op. cit., p.532.
18
Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.174.
19
F. Boemer, op. cit., p. 534.
20
Vd. p.15 di K. Balsley, Between two lives: Tiresias and the law in Ovid's Metamorphoses, in “Dyctinna”, 7, 2010,
pp.13-31.
21
Ibid.
9
degli esiti drammatici per la sua intera vita22. Questo brusco, sorprendente rivolgimento ci permette
di ricavare due corollari preliminari, uno dei quali è indicativo della dialettica dei/uomini che
pervade il poema ovidiano: quello delle metamorfosi è un mondo dove “one’s life can be
overturned by a sudden, unexpected intervention from above23”. Gli dei stravolgono spesso la vita
degli uomini nei modi più inaspettati e sorprendenti e, per quanto Tiresia sia stato chiamato in causa
per emanare una sententia, solo quella degli dei ha effettivamente un valore ultimativo24. È quanto
Karl Galinsky ha sintetizzato con la felice espressione “divine injustice”25. L’altro elemento
permette di delineare già il tratto più importante della figura di Tiresia: egli si caratterizza come un
personaggio che travalica le opposizioni tra i ruoli, cosa che qui avviene in modo brusco, come
brusco è il suo cambiamento di sesso (e il fatto che esso sia, oltretutto, reversibile “destabilizes
notions of fixed gender identity26”).
Giove, divinità garante della giustizia, ha cercato di istituire un processo corretto dal punto di
vista procedurale, ma il risultato ottenuto alla fine è la condanna, ingiusta, di un innocente 27; in
questo si può vedere forse un riferimento polemico all’amministrazione della giustizia in età
augustea28, nonché alle Leges Iuliae (18-17 a. C.), il cui argomento, ossia la morale sessuale, non
era poi così lontano da quello della contesa tra Giove e Giunone, visto che la legislazione augustea
mirava soprattutto a regolare la condotta sessuale femminile29.
Tuttavia per spiegare in modo più profondo la dinamica particolare di questo processo gestito in
modo quanto meno ambiguo da Giunone e Giove, bisogna analizzarlo in relazione al libro del
poema in cui è collocato. Nel III libro delle Metamorfosi, Ovidio racconta una serie di miti
ambientati a Tebe e tutti relativi, tranne due, a Cadmo e ai suoi discendenti 30; sembra possibile
individuare anche un tema unificante e sotterraneo: la trasgressione di alcuni tabù sessuali 31,
attuatasi tramite la visione di cose proibite, in particolare dell’“intimité des femmes, leur
implication dans l’acte sexuel, le désir et le plaisir”32, da parte di diversi personaggi maschili,
eccezion fatta per il caso di Semele33. Il punto di vista di Tiresia, infatti, per quanto il suo sesso vari
nel corso della sua storia, rimane comunque maschile, anche quando vive in prima persona la
femminilità, visto che la sua tranche de vie come donna ha una durata breve (sette anni), se posta in

22
K. Balsley, op. cit., p.22.
23
Vd. p.37, C. Segal, Ovid's Metamorphic Bodies: Art, Gender, and Violence in the Metamorphoses, in “Arion” 5, 1998,
pp.9-41. Nello stesso articolo, a p.39, si definisce il corpo “a trope for something else, that is, the instability and
vulnerability of the human condition”.
24
K. Balsley, op. cit., p.23.
25
G. K. Galinsky, Ovid’s Metamorphoses. An Introduction to the Basic Aspects, Basil Blackwell, Oxford, 1975, p.67.
26
p.151 di G. Liveley, Tiresias/Teresa: a "man-made-woman" in Ovid's Metamorphoses 3.318-38, in “Helios” 30(2),
2003, pp.147-162. Questo accade anche per Sitone (Met. IV, 279-280) e Mestra (Met. VIII, 843-878), il cui
cambiamento di sesso è più volte reversibile.
27
K. Balsley, op. cit., p.17.
28
“Jupiter, like augustus, is the omnipotent lawgiver, the man who enforces law while also standing above it”, ivi,
p.22.
29
Ivi, p.24 sgg.
30
Vd. p.99 di J. Fabre-Serris, Le cycle thébain des Métamorphoses: un exemple de mythographie genrée?, in
“EuGeStA”, N 1, 2011, pp.99-120.
31
Vd. anche S. Viarre, L’androgynie dans les Métamorphoses d’Ovide. À la recherche d’une méthode de lecture, op.
cit., p.235.
32
J. Fabre-Serris, op. cit., p.100.
33
In realtà anch’ella, nel suo desiderio di vedere Zeus in tutta la sua potenza divina, sembra farlo più che per ogni altra
ragione per sostituirsi a Giunone in questa prerogativa, secondo J. Fabre Serris, op. cit., p. 105-6. Quindi anche la
sensazione che ella desidera sperimentare in prima persona è, oltre che divina, femminile.
10
relazione al totale della sua lunghissima vita (sette generazioni). Egli è, perciò, “despite his physical
transformation of sex, first and foremost a man34”.
Atteone, nipote di Cadmo, è punito, come Tiresia nella versione callimachea, per aver visto una
dea vergine nuda al bagno, Artemide (Met. III, vv. 138-255). Semele (Met. III, vv.256-309) muore
per aver chiesto, come pignus amoris (v.283) a Giove di congiungersi con lei in tutto il suo
splendore divino, come fa con la sua consorte olimpica; questa richiesta le viene inculcata dalla dea
stessa, che la avvicina fingendosi una vecchia (vv.275-7), in modo da causare la morte della nuova
amante del suo sposo e così vendicarsi. Anche nell’episodio di Tiresia, il quale svela, conoscendolo
a causa della sua esperienza personale, il segreto dell’intimità femminile35, Giunone ci si mostra in
tutta la sua collera. Così come nella vicenda di Semele, anche qui la dea, adirata con Giove, si
vendica sul mortale che è entrato in relazione con lui, poiché, in entrambi i casi, è stato messo in
discussione il suo ruolo di sposa del dio. Nel primo caso perché Semele concepisce un figlio divino
(Bacco), esautorandola di fatto dal suo ruolo di moglie (ossia madre di una discendenza legittima);
nel secondo poiché l’indovino tebano, nel suo svelamento della voluttà femminile, mostra della
donna non il volto di mater familias, cui lei presiede, ma quello di amante, dominio di Venere36.
Inoltre la dea dell’amore, che avrebbe a pieno titolo potuto dare un contributo alla risoluzione della
querelle, non viene affatto interpellata: Giove preferisce chiedere a Tiresia, così “the voice of
another female figure is silenced, and a male figure is invited to speak in her place. […]37”. Tra
l’altro, anche nel presentare l’opinione di Era il narratore ovidiano sembra reticente, “her voice,
however, is effectively silenced (illa negat, 3.322); the form of her denial is unrepresented38”. A
ciò si aggiunga che Giove, conclusasi da poco la tresca con Semele, potrebbe forse proporre questa
iocosa lis a Era col fine di sedurla, dato che il campo semantico di iocare è spesso impiegato per la
creazione di eufemismi sulla sessualità39. Pare difficile, a questo punto, nonostante l’identificazione
empatica che possiamo provare con Tiresia, coinvolto suo malgrado 40, ritenere la collera della dea
gravius iusto.
Sia nell’incontro con i serpenti che nella disputa tra Giunone e Giove, le azioni di Tiresia
ripetono lo stesso schema: abbiamo, infatti, da parte sua, un gesto o un discorso relativo alla
sessualità, che costituisce chiaramente una violenza, fisica (come nel caso dei serpenti coeuntia
colpiti col bastone41) o emotiva (nel rivelare i segreti del piacere femminile); a ciò segue una
punizione, che riguardi il sesso o la vista42. La trasformazione in donna, infatti, può essere letta
34
G. Liveley, op. cit., p.150.
35
J. Fabre-Serris, op. cit., p.118: “la faute de Tirésias est clairement d’avoir fait part à un homme de ce que les
femmes, elles, se gardent bien de divulguer”.
36
K. Balsley, op. cit., p.26. Per il conflitto di ambiti vd. L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.34. In L. Brisson, Le
sexe incertain, op cit., p.106, si sostiene che questa credenza fosse anche un modo per provare la maggiore animalità
delle donne rispetto agli uomini.
37
G. Liveley, op. cit., p.148.
38
Ibid.
39
J.N. Adams, The Latin Sexual Vocabulary, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, Maryland 1982, p.161 e G.
Liveley, op. cit., p.148.
40
G. Liveley, op. cit., p.148.
41
E. Di Rocco, op. cit., p.224: Ovidio usa uiolauerat, perché Tiresia “disturba una delle funzioni fondamentali della
natura, quella che ne assicura la sopravvivenza”; anche la sua trasformazione, coerentemente, può essere considerata
una violazione alle leggi di natura.
42
Vd. J. Fabre-Serris, op. cit., p.106 e anche L. Brisson, Le myhte de Tirésias, op. cit., p.23-8, che tratta di un’altra
azione reiterata, quella di colpire i serpenti, per riappropriarsi della sua genetiva imago. Che il mutamento da uomo a
donna abbia un valore diverso rispetto al suo opposto, è idea sostenuta anche da Simone Viarre, op. cit., p.236. Vd.
anche gli altri capitoli di questa trattazione.
11
come una diminuzione: “le changement du sexe masculin au sexe féminin équivaut à une
mutilation, le changement ultérieur du sexe féminin au sexe masculin doit recevoir une connotation
positive”43.
Vi è, poi, proseguendo la carrellata sul terzo libro delle Metamorfosi, la storia di Narciso ed Eco
(Met. III, vv.344-510). Dopo aver rifiutato le attenzioni della ninfa Eco, il bellissimo figlio di
Liriope, vista la propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua, se ne innamora: egli si vede in
un modo in cui non avrebbe dovuto vedersi, ossia con desiderio, un desiderio che indica come il suo
sentimento amoroso sia ricerca dell’Identico, laddove dovrebbe essere ricerca dell’Altro, ovvero,
essendo la prospettiva di Ovidio maschile, del femminile44. Abbiamo infine il caso di Penteo, che
esprime il suo conato di esperire il femminile vestendosi da donna, per poter partecipare, sotto
mentite spoglie, ai rituali bacchici, a cui per un uomo era proibito assistere45. Dunque Atteone,
Semele, Tiresia, Narciso, Penteo sono tutti puniti, in quanto “mortals who witness the private lives
of others, typically women, are punished in such a way that makes them incapable of ever revealing
what they saw”46. Inoltre c’è da tener presente un ultimo elemento: nel III libro assistiamo anche al
“parto” di Giove, altro esemplare episodio di ambiguità sessuale nel mito antico47.
Lo schema della violazione di una proibizione legata alla visione si può ritrovare anche
nell’episodio posto in apertura del III libro: infatti Cadmo, arrivato in Beozia, entra in un’antica
foresta e lì trova una caverna, dentro la quale vi è una fonte sorvegliata da un caeruleus48 serpens
(v.38), che egli uccide49. Subito dopo,

Dum spatium uictor uicti considerat hostis,


uox subito audita est (neque erat cognoscere promptum
unde, sed audita est): “quid, Agenore nate, peremptum
serpentem spectas? Et tu spectabere serpens”50.

“Mentre il vincitore esamina la stazza del nemico sconfitto,


all’improvviso si sentì una voce (non era facile capire
da dove, ma si sentì): «Perché, figlio di Agenore, l’annientato
serpente osservi attentamente? Anche tu, serpente, verrai guardato».

È interessante notare come la voce misteriosa, oltre a profetizzargli che si tramuterà anch’egli in
serpente, rimproveri Cadmo per il fatto di guardare l’animale, non di averlo ucciso 51; anche qui,
dunque, ritorna l’interdetto visuale. Subito dopo, a Cadmo appare Pallade, che gli ingiunge di
seminare nella terra i denti del serpente, per farne sorgere un nuovo popolo52. Cadmo obbedisce e

43
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.53.
44
J. Fabre-Serris, op. cit., p.117.
45
Ivi, p.110-1.
46
K. Balsley, op. cit., p.26. e J. Fabre-Serris, op. cit., p.116-7.
47
Met. III, vv.310-2. Peraltro il frutto di questo parto è Bacco, dio spesso presentato come sessualmente ambiguo (su
questo tema vd. M. Delcourt, Hermafrodite, op. cit., pp.39-43). Ad esempio, nelle Metamorfosi, egli è descritto come
puer dalla uirginea forma (Met. III, v.607) e si dice che ha “il volto di vergine” (la traduzione è di Ludovica Koch, op.
cit.), virgineum caput est (Met. IV, v.20). Vd. anche Baccanti euripidee, in cui il dio egli è definito τὸν θηλύμορφον
ξένον, “lo straniero dall’aspetto di donna” (v.353).
48
Il particolare del colore del serpente ritorna per caratterizzare il bastone di cui TIresia è dotato. Vd. più oltre in
questa trattazione.
49
Met. III, vv.28-100.
50
Met. III, vv.95-8.
51
J. Fabre-Serris, op. cit., p.102.
52
Met. III, vv.102-110.
12
spargit humi iussos, mortalia semina, dentes53. Poco dopo dalla terra nascono gli Sparti. Uno di loro
è Oudaeos, nonno di Tiresia54. Ecco un nuovo legame tra Tiresia e la figura del serpente, ma essi
sono collegati l’un l’altro soprattutto per altri due aspetti che ci accingiamo ad esaminare: il
possesso dei due sessi e il dono della profezia.
Abbiamo traccia in Aristotele della percezione che gli antichi dovevano avere
dell’accoppiamento dei serpenti: in quel frangente essi, così strettamente allacciati, sembravano un
unico animale, a due teste, doppio, dotato perciò dei due sessi simultaneamente55. Si credeva anche
che vederli in questo modo fosse di cattivo auspicio56, come emerge, per esempio, da un passo di
Plinio il Vecchio:

Gracchorum pater anguibus prehensis in domo, cum responderetur ipsum victurum alterius
sexus interempto: “Immo vero, inquit, meum necate, Cornelia enim iuvenis est et parere
adhuc potest”57.

“Il padre dei Gracchi, che aveva sorpreso in casa due serpenti, poichè gli era stato dato il
responso che sarebbe sopravvissuto se avesse ucciso quello del sesso opposto al suo,
disse: «No, anzi, uccidete quello che ha il mio stesso sesso: Cornelia infatti è giovane e può
ancora partorire»”.

In questa storia, “la vue des deux serpents menace la vie du spectateur”, mentre nel mito di
Tiresia “elle menace son intégrité sexuelle”58. Sembra, dunque, che, nell’immaginario antico, il
serpente fosse percepito come un animale strettamente collegato al tema della sessualità. Ad
esempio, una prova di verginità attestata a Lavinio prevedeva proprio di far entrare una ragazza in
una grotta sorvegliata da un serpente. La fanciulla doveva portare con sé del nutrimento, che
l’animale avrebbe rifiutato qualora non fosse stata veramente illibata 59. Per quanto riguarda più
specificamente i miti di cambiamento di sesso, Simone Viarre individua due tipi di contesto
ricorrenti. Da una parte, troviamo l’elemento acquatico e in particolare la figura di Nettuno (vedi i
casi di Ermafrodito, Mestra e Ceneo60); all’altro polo, invece, si situano la Terra ed il serpente,
appunto, ad essa collegato. Il caso di Tiresia, secondo la studiosa, sarebbe proprio emblematico di
ciò61.
Ai serpenti, oltre che quest’idea di una sessualità doppia, si associavano in antico anche altre
credenze che ci permettono di abbinare questi animali al personaggio di Tiresia:

53
Met. III, v.105.
54
Apollodoro, Biblioteca, III, 6, 7, op. cit.
55
Aristotele, Historia Animalium, V, 4, 540b 1-3 (Aristotle, Historia Animalium. II. Books IV-VI, a cura di A.L. Peck, The
Loeb Classical Library, Harvard University Press, Cambridge Massachusetts-London, 1970).
56
Vd. p.278 di T. Carp, Venus Utraque: A Typology of Seerhood , in “The Classical World” , Vol. 76, 5, 1983, pp. 275-
285.
57
Plinio, Naturalis Historia, VII, 122 (Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre VII, a cura di R.Schilling, Les Belles Lettres,
Paris, 1977).
58
M. Delcourt, op. cit., p.57.
59
Ne parlano Eliano XI, 16 (Aelian. On animals. II. Books VI-XI, a cura di A. F. Scholfield, The Loeb Classical Library,
Harvard University Press, London-Cambridge, Massachusetts, 1971) e Properzio, Elegie, IV, 8, 5 sgg, op. cit.
60
Rispettivamente, Met. IV, 285-388; VIII, 843-878; XII, 169-209. Il tema verrà ripreso nei capitoli seguenti.
61
S. Viarre, op. cit., p.234-5. vd. anche capitolo su Ceneo. Da notare, in ogni caso, come il serpente, spesso posto a
guardia delle fonti, non è estraneo neppure all’elemento acquatico (vd. episodio di Cadmo e L. Brisson, Le mythe de
Tirésias, op. cit., p.48).
13
“Snakes were also thought to be symbolic of ideas such as immortality, perennial youth, and
rejuvenation by virtue of their periodic shedding of the skin. […] Yet another pertinent
association is the belief that snakes were characterized by having superior vision, as
evidenced by the derivation of drácon from dérkesthai”62.

L’idea di immortalità, è associata a quella del possesso di entrambi i sessi in più miti, religiosi e
filosofici, da Platone al Corpus Hermeticum63. Di solito l’androginia intesa in questo senso è un
attributo divino, visto che “in many such traditions the creator or original deity is viewed as
bisexual64”; si parte, quindi, generalmente, da un essere indifferenziato primordiale e poi la
cosmologia procede per differenziazione progressiva65: “Qu’il s’agisse du plan théologique, du plan
anthropologique […] ou du plan cosmologique, le discours mythico-religieux laisse converger
certaines représentations androgyniques vers l’idée d’Origine66”. Questo stato originario è guardato
con nostalgia, come emerge dal mito platonico degli androgini: quando gli esseri erano ancora
sessualmente indistinti, essi erano anche immortali, non potendosi riprodurre, e partecipavano della
categoria della totalità67. Oltre a tutto ciò68, si associa al serpente la caratteristica di una superior
vision e questo lo rende un animale profetico. Si credeva, ad esempio, che un individuo a cui un
serpente avesse leccato le orecchie potesse da quel momento comprendere il linguaggio degli
animali69. Anche la già citata prova di verginità di Lavinio sembra attribuire al serpente una qualche
capacità profetica. Associato a Gaia, ne è l’animale sacro, guardiano delle sue puissances
primordiali: sia Apollo sia Tiresia devono aggredire un serpente per ottenere le facoltà divinatorie70,
possedute dalla Terra (la più antica ispiratrice di oracoli e madre di Themis), custodite da questo
animale, suo fedele71.
Esattamente come il serpente, anche Tiresia è caratterizzato da una straordinaria longevità (come
si diceva, sette generazioni, a cui c’è da aggiungere la prerogativa speciale di conservare il senno
nell’Ade) e dal dono della profezia, che, nella versione ovidiana del mito, gli è concessa da Giove
per compensare la menomazione infertagli da Giunone (scire futura dedit poenamque leuauit
honore, v.338). Nell’altra versione del mito, la presenza di Atena serve allo stesso scopo: è
lampante la relazione tra la privazione della vista fisica e il dono della profezia (che altro non è che
una forma di vista altra); un aspetto bilancia necessariamente l’altro, poiché se la divinazione
“constitue une trasgression de l’ordre normal des choses, doit être compensé par une répression qui
habituellement prend la forme d’une mutilation”72. Se Tiresia è in grado di vedere ciò che al resto
degli uomini è precluso, questa sua dote straordinaria è compensata da un accesso alla realtà

62
T. Carp, op. cit., p.279.
63
M. Delcourt, Hermafrodite, op. cit., Chapitre V e L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., pp.75-102.
64
T. Carp, op. cit., p.280.
65
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., p.55.
66
J. Libis, Le mythe de l’androgyne, Berg International, Paris, 1980, p.93.
67
Platone, Simposio, 189e sgg., Platonis Opera. Tomus II. Tetralogias III-IV continens, a cura di I. Burnet, Oxford
University Press, Oxford, 1901.
68
Ricordiamo che in questo tutto indistinto originario, per Esiodo, la Terra viene prima del Cielo. (Hesiod, Theogony.
Work and Days. Testimonia, a cura di G. W. Most, The Loeb Classical Library, Harvard University Press, Cambridge
Massachusetts-London, 2006). In quanto ctonio, il serpente partecipa delle caratteristiche della terra intesa come
“réservoir universel des puissances vitales”, L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.47.
69
Accade in Apollodoro, Biblioteca, op. cit., I, 9, 11. Vd. anche M. Delcourt, op. cit., p.57.
70
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., cap. IV-Le mediateur.
71
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.47.
72
Ivi, p.32. Dello stesso avviso anche C. García- Gual, Tiresias o el adivino como mediador, in “Emerita”, Vol. 43, 1975,
vd. pp.113 e 123.
14
quotidiana/fenomenica estremamente più limitato; questo lo rende diverso dagli altri uomini che
spesso, infatti, non credono ai suoi vaticini o non li comprendono 73. Sembra che il dono della
profezia si paghi, e anche molto caro74. Dietro questo schema di opposizione, c’è, evidentemente,
l’idea che la conoscenza (e la realtà) si strutturi per dualità opposte 75. La figura del profeta si
caratterizza proprio per il privilegio di trascendere le opposizioni basilari che costruiscono la
percezione antica della realtà76. Tiresia si contraddistingue, perciò, per il suo essere liminare, che
possiamo vedere in negativo (non è un uomo come gli altri, ma non è affatto un dio, è schiacciato ai
margini di entrambe le categorie, gli dei lo accecano, gli uomini lo biasimano77) o, meglio, in
positivo: egli è un mediatore78. La sua particolare condizione compone, infatti, le distanze tra ambiti
diversissimi e opposti fra loro: il mondo degli dei e quello degli uomini, visto che, per le sue facoltà
divinatorie, “el ciego vidente se sitúa en la frontera entre dos mundos 79”; il cielo e la terra, poiché,
legato al serpente, animale ctonio per eccellenza, Tiresia è anche essenzialmente un ornitomante80
(quindi crea un ponte anche tra umano e animale). Egli si pone anche a cavallo delle epoche, dato
che la profezia permette di stabilire una continuità tra passato, presente e futuro.
Infine supera le barriere di tre parametri oppositivi spiccatamente umani: la vita e la morte
(rimanendo presente a se stesso nell’Ade), la vecchiaia e la giovinezza (per la lunghissima esistenza
che vive) e, soprattutto, il maschile e il femminile81. Possiamo perciò affermare, con Luc Brisson,
che egli oltrepassa “les articulations fondamentales de l’armature culturelle de la Gréce ancienne82”.
Emerge allora chiaramente come la figura di Tiresia sia centrale all’interno del III libro delle
Metamorfosi, poiché egli non solo pone in questione la distinzione uomo-donna, ma la sua vicenda
tocca anche gli altri problemi di identità che si pongono nei miti dell’intero libro83.
È utile, a questo punto, richiamare alcune caratteristiche dell’altra versione del mito di Tiresia,
quella che coinvolge Atena. Essa, anche se non menzionata da Ovidio, é collimante con il clima del
III libro delle Metamorfosi: Tiresia, infatti, è punito perché ha visto, anche se involontariamente,
qualcosa che non doveva vedere. “Grande è la tentazione di suggerire che quel che egli vide era più
o meno in relazione con la scoperta della bisessualità84”. Si trattò, infatti, di vedere la dea virile de
virilizzata (poiché nuda) e ciò reintroduce il tema della bisessualità apparentemente assente da
questa versione del mito85. Per Luc Brisson, Atena, in questa versione, equivale ai due serpenti: ella
è posta a guardia di una fonte (come il serpente ucciso da Cadmo), l’Ippocrene86, dove, secondo
Callimaco, Tiresia la sorprende a fare il bagno. Vi è, poi, anche un’altra ragione: nella versione di
73
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.35.
74
M. Delcourt, op. cit., p.58: “L’idée sous-jacente aux nombreuses histoires de devins aveugles, de magiciens
souffrants ou mutilés, c’est que toute supériorité se paie et souvent fort cher”.
75
T. Carp, op. cit., p.283.
76
Ivi, p.284, dove fa notare come “the transcendence of some or all of the basic dualities of human nature is
considered essential to the nature of the prophet in classical and other mythologies. Seers or wisdom figures are
viewed traditionally as extraordinary individuals who have passed beyond the duality of the phenomenal world-the
pairs of opposites apprehended by the rational mind-to a transcendent unity and wholeness “.
77
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.44-5 e C. Garçia-Gual, op. cit., p.132.
78
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., cap. IV: Le mediateur.
79
C. Garçia-Gual, op. cit., p.129.
80
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.21-3.
81
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., p.11-2.
82
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.47.
83
Vd. p.8.
84
N. Loraux, Il femminile e l’uomo greco, Laterza, Roma-Bari 1991, p.232-3.
85
L. Brisson, Le myhte de Tirésias, op. cit., p.34.
86
Ivi, p.66.
15
Apollodoro87, Atena gli da il dono della profezia (in particolare dell’ornitomanzia) purificandogli le
orecchie88, proprio come si credeva facessero i serpenti. Ritorna il legame serpente, bisessualità,
profezia.
Esiste, inoltre, un episodio mitico in cui la trasgressione di un interdetto visuale su un essere
divino provoca un cambiamento di sesso, quello di Siproites, ἃπαξ in tutta la letteratura greca,
raccontato da Antonino Liberale89. Siproites diventa donna dopo aver visto Artemide nuda al bagno;
questa versione del mito ha generato una certa confusione, negli autori successivi, tra il personaggio
di Siproites e quello di Tiresia90. Il tema della trasformazione in donna come punizione risulta,
quindi, qui ancora più palesemente intrecciato con la violazione di tabù visuali. A ciò si aggiunge,
nella storia di Tiresia, l’inizio della visione di un ordine di realtà nuovo.
Quasi correlativo oggettivo di questa condizione di cieco che “vede” un’altra dimensione, il
bastone accompagna Tiresia non solo nell’incontro con i serpenti, ma anche nell’altra versione del
mito, venendogli donato da Atena91. Esso è definito kyanéion92, ossia blu scuro, color di serpente: il
serpente che Cadmo uccide è detto da Ovidio caeruleus. Un altro mediatore che è accompagnato da
un bastone è Hermes, araldo degli dei, il cui ruolo è rappresentato dal caduceo, attorno al quale sono
avvolti, significativamente, due serpenti. Secondo Luc Brisson, il bastone è simbolo della funzione
di mediatore93. Mercurio è il mediatore tra gli dei, così come Tiresia lo è tra dei e uomini;
significativo, allora, è il fatto che, nella iocosa lis che oppone Giove a Giunone, Tiresia, chiamato a
risolvere la disputa tra le due divinità, prenda in qualche modo il posto del suo corrispondente
olimpico94. Altro elemento simbolico della mediazione è la montagna: su un monte Tiresia incontra
i serpenti (Cillene o Citerone, ma Ovidio taglia la testa al toro, collocando semplicemente l’incontro
in una uiridi silua) e Atena (fonte Ippocrene, sul monte Elicona). In base a un’interpretazione (che
senza dubbio ha del generalizzante) essa è stata letta come il “trait d’union naturel entre le ciel et la
terre”95. La figura del profeta, allo stesso tempo uomo e donna, si ritrova, inoltre, anche in altre
culture: si tratta di quello che Marie Delcourt definisce “chamanisme androgyne”96.
Essendo la divinazione “une inversion de la vision physique97”, essa si accompagna spesso
all’ermafroditismo, altro fenomeno percepito dagli antichi come un’inversione dell’ordine
naturale98, un qualcosa di straordinario, un prodigio, che indicava la rottura della pax deorum, e che
rendeva necessari dei riti di purificazione, come la morte per annegamento, pratica che i Romani
trassero dagli Etruschi. Di ciò abbiamo traccia in Livio99:
87
Apollodoro, Biblioteca, op. cit., III, 6, 7.
88
L. Brisson, Le myhte de Tirésias, op. cit., p.50.
89
Antonino Liberale, autore di cui si sa poco, vissuto nell’ètà degli Antonini o dei Severi, racconta nella sua opera 41
storie di metamorfosi. (Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, a cura di M. Papathomopoulos, Les Belles Lettres,
Paris, 1968, XVII). A XVII, egli nomina, in rapida successione, vari miti di cambiamento di sesso. Vd. capitolo su Ifi.
90
L. Brisson, Le myhte de Tirésias, op. cit., p.52.
91
Callimaco, Inni, V, op, cit., v.127.
92
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.54-5.
93
Ivi, pp.57-61.
94
Ivi, p.62.
95
Ivi, p.64-6. Sul tema anche E. Di Rocco, op. cit., p.202: “é il punto in cui cielo e terra si incontrano, la dimora degli
dei e termine della possibilità per l’uomo di salire verso un dio”.
96
M. Delcourt, op. cit., p.59. Sul tema vd. anche C. Garçia-Gual, op. cit., p.128.
97
L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.76.
98
In questi termini parla Ovidio dell’altrimenti ignoto Sitone, che, naturae iure novato, era ora donna ora uomo (Met.
IV, vv.279-280).
99
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., p.26. Per lo stesso tema vd. anche M. Delcourt, op. cit., p.65-68, p.65: “Une
conformation anormale des organes de la géneration parassait aux Anciens la monstruosité par excellence”.
16
Liberatas religione mentes turbauit rursus nuntiatum Frusinone natum infantem esse
quadrimo parem nec magnitudine tam mirandum quam quod is quoque, ut Sinuessae
biennio ante, incertus mas an femina esset natus erat. Id vero haruspices ex Etruria acciti
foedum ac turpe prodigium dicere: extorrem agro Romano, procul terrae contactu, alto
mergendum.Uiuum in arcam condidere prouectumque in mare proiecerunt.100

“Quando le coscienze si erano liberate dagli scrupoli religiosi, di nuovo le turbò l’annuncio
che a Frosinone era nato un bambino che sembrava avere quattro anni; il fatto era
straordinario non tanto per la grandezza del neonato, quanto perché, come era successo
due anni prima a Sinuessa, neanche di questo si capiva se fosse maschio o femmina. Gli
aruspici venuti dall’Etruria dissero che era un prodigio infausto e infamante: bisognava
bandirlo dal territorio di Roma, lontano dal contatto con la terra e affondarlo in alto mare.
Fu posto vivo in una cassa, trascinato via e gettato in mare”.

Anche Plinio il Vecchio fa riferimento a un’epoca in cui la nascita di ermafroditi era vista come il
segno di una contaminazione religiosa, mentre, al tempo in cui egli scrive, gli individui con queste
caratteristiche sono percepiti come degli intrattenimenti, dei mirabilia, da guardare con ammiccante
curiosità:

Gignuntur et utriusque sexus quos hermafroditos vocamus, olim androgynos vocatos et in


prodigiis habitos, nunc vero in deliciis101.

“Nascono anche esseri dotati di entrambi i sessi, che chiamiamo ermafroditi; un tempo
erano definiti androgini e considerati come dei prodigi, ora come delle fonti di piacere”.

Contra mulierum paucis prodigiosa adsimulatio, sicut hermafroditis utriusque sexus, quod
etiam quadripedum generi accidisse Neronis principatu primum arbitror. Ostentabat certe
hermafroditas subiunctas carpento suo equas, in Treverico Galliae agro repertas: ceu plane
visenda res esset principem terrarum insidere portentis102.

“Alcune donne hanno una prodigiosa somiglianza con gli uomini, come gli ermafroditi dai
due sessi, cosa che, credo, per la prima volta, si constatò anche per i quadrupedi sotto il
principato di Nerone. Mostrava, senza dubbio, cavalle ermafrodite aggiogate al suo carro,
trovate nel territorio di Treviri, in Gallia; come se il principe del mondo seduto su un carro
trainato da creature mostruose fosse uno spettacolo ”.

In tutti e tre i passi, ricorrono termini che afferiscono allo stesso campo semantico: mirandum (in
Livio), prodigiis, prodigiosa, portentis (in Plinio). La nascita di ermafroditi suscita meraviglia ed è
questo il motivo per cui Ovidio, poeta del mirum103, inserisce anche le loro storie nelle Metamorfosi.
A differenza, però, degli altri autori antichi che ne parlano, specialmente mitografi ed eruditi, e li
presentano, appunto, come dei mirabilia, egli conferisce loro anche una dignità letteraria, non
limitandosi a descrivere i personaggi caratterizzati dall’androginia in termini di turbato stupore, ma
raccontando “le récit même de leur transformation104” .

100
Livio, Ab urbe condita, XXVII, 37, 5-7 (Tite Live. Histoire romaine. Tome XVII, Livre XXVII, a cura di P. Jal, Les Belles
Lettres, Paris, 1998).
101
Plinio, Naturalis Historia, op. cit., VII, 34.
102
Plinio, Naturalis Historia, XI, 109-110 (Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre XI, a cura di A.Ernout e R.Pépin, Les
Belles Lettres, Paris, 1947).
103
Vd. A. Perutelli, Il fascino ambiguo del miracolo laico, op. cit.
104
S. Viarre, op. cit., p.240. Per la stessa idea vd. anche p.229 e 241-3.
17
Nel XV libro del suo poema, Ovidio descrive (o meglio, fa descrivere a Pitagora, che in quel
momento sta parlando) un altro essere meraviglioso, un animale creduto in possesso, nello stesso
tempo, di entrambi i sessi e di capacità divinatorie, la iena :

Si tamen est aliquid mirae nouitatis in istis,


alternare uices et quae modo femina tergo
passa marem est, nunc esse marem miremur hyaenam.105

“Nondimeno, se c’è qualche elemento di straordinaria novità in questo,


dobbiamo stupirci della iena, che alterna i reciproci ruoli per cui la femmina che da dietro
è stata montata dal maschio, ora è un maschio a sua volta”.

Riguardo alla credenza della bisessualità della iena, abbiamo anche varie attestazioni greche, tra
cui Aristotele (Historia Animalium, VI, 32)106, che la smentisce sostenendo che si diffuse a causa
del fatto che in questo mammifero la coda conferisce ai genitali un aspetto ambiguo. Stesso
approccio scettico-razionalista in Diodoro Siculo (XXXII, 12, 2-3)107. Evidentemente, il tentativo
stesso di razionalizzare sottintende il radicamento di tale credenza. Estremamente interessante è
anche la menzione che ne fa Claudio Eliano (II-III d.C.)108, poiché stabilisce un parallelo tra questo
animale, creduto bisessuato ad anni alterni, e le figure mitiche di Ceneo e Tiresia. Significativi,
sono anche i riferimenti che a questo animale fa Plinio, il quale sostiene anche che la iena possa in
qualche modo riprodurre la voce umana109:

Hyaenis utramque esse naturam et alternis annis mares, alternis feminas fieri, parere sine
mare uulgus credit, Aristoteles negat. […]
Multa praeterea mira traduntur, sed maxime sermonem humanum inter pastorum stabula
adsimulare110.

“La gente crede che le iene abbiano entrambi i sessi e siano un anno maschi, un anno
femmine e che partoriscano senza accoppiarsi, Aristotele lo nega.
In più, si tramandano molti altre cose straordinarie sul loro conto; quella che più colpisce è
la credenza secondo cui esse, nelle dimore dei pastori, imitino la voce umana”.

Alla iena si attribuivano, poi, capacità profetiche: si credeva, in particolare, che i suoi occhi, più
penetranti di notte che di giorno (torna il tema dell’inversione della visione fisica), diventassero, al
momento della morte dell’animale, delle pietre in grado di trasmettere facoltà divinatorie agli esseri
umani111. Anch’esso profeta, dotato di due sessi, mediatore tra due mondi (qui umano e animale,
vista la sua capacità di sermonem humanum adsimulare), questo mammifero non può che far
pensare a Tiresia.
L’androginia del profeta tebano, ci pare di poter concludere, non è la caratteristica che più
spicca del personaggio. Essa, infatti, si inquadra, in un sistema più ampio di qualità, che ne fanno un
105
Met. XV, vv.408-410.
106
Aristotle, Historia Animalium. II. Books IV-VI, a cura di A.L. Peck, op. cit.
107
Diodorus Siculus. XI. Fragments of books XXI-XXXII, a cura di F.R. Walton, op. cit. Poche pagine prima, a XXXII, 10, 2
Diodoro racconta favolosi aneddoti di cambiamenti di sesso, cercando di spiegarli come errori della natura. Per
l’analisi di questi passi vd. L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., p.32.
108
I, 25, Aelian. On animals. II. Books VI-XI, a cura di A. F. Scholfield, op. cit.
109
I passi pliniani sono: VIII, 30 (Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre VIII, a cura di A.Ernout, Les Belles Lettres, Paris,
1952), poi XXVIII, 27 (Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre XXVIII, a cura di A.Ernout, Les Belles Lettres, Paris, 1962).
110
VIII, 30.
111
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., p.121-3.
18
mediatore per eccellenza, la cui assoluta poliedricità lo ha reso una figura chiave per la letteratura
occidentale. Dopo più di duemila anni, Tiresia continua ancora, infatti, a farci interrogare, sui suoi
segreti e sui nostri problemi, grazie alla molteplicità sia dei ruoli che svolge nel mito sia dei punti di
vista con cui, mediatore e interprete fra mondi diversi, si lascia interpretare.
.

19
Ermafrodito: la fonte, la ninfa e il destino nel nome

Terzo, per ordine di apparizione, tra gli episodi di cambiamento di sesso che avvengono nelle
Metamorfosi, quello di Ermafrodito (IV, vv.285-3881) è particolarmente interessante e
problematico. A differenza di quelli di Tiresia, di Ceneo o di Ifi, questo mito non ci presenta, infatti,
la storia di un passaggio dal sesso femminile a quello maschile, o viceversa, ma spinge il
superamento delle barriere tra i generi ancora più oltre, poiché l’esito della trasformazione, nel
finale, non è né un uomo né una donna, ma un essere che è contemporaneamente nessuno dei due ed
entrambi (neutrumque et utrumque, come si dice al v.379). Perciò si tratta, in questo caso, di
androginia (o bisessualità) simultanea e non successiva, come per gli altri tre personaggi 2. Nel
narrare tale mito, inoltre, Ovidio travalica gli steccati storicamente e culturalmente costruiti del
genere, come vedremo, anche per un altro aspetto: per la dialettica particolare che si crea tra i due
protagonisti, Salmacide ed Ermafrodito3. Tutto ciò è ottenuto per mezzo di uno stile particolarmente
plastico4 (per il quale, secondo Antonio La Penna, questo si colloca tra i brani qualitativamente più
alti del poema ovidiano5), che conferisce alla parola poetica di Ovidio quasi un potere figurativo6.
In questo contesto, anche il paesaggio, nel caso specifico la fonte che Salmacide
contemporaneamente è e custodisce ha un ruolo fondamentale: la sua acqua, limpida, trasparente e
“translucida”7, funziona, lo vedremo, come uno specchio, il che permette di instaurare nuovi,
complessi livelli di confronto tra i due protagonisti, secondo le dinamiche di quello che è il terzo
personaggio principale della storia, lo sguardo8. Inoltre, l’acqua è elemento che si ritrova più volte
nei miti di cambiamento di sesso (sia Mestra che Ceneo vengono mutate in uomini per azione di
Nettuno9) e sta forse a suggerire la fluidità dell’identità sessuale10.
Poco sopra si è detto che questo è il terzo episodio di transessualità a comparire nel poema
ovidiano. L’episodio di Ermafrodito, narrato da Alcitoe una delle figlie di Minia, che si rifiutano

1
L’edizione cui si fa riferimento qui è Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L.
Koch, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 2007. Le traduzioni, ove non specificato altrimenti, sono
di chi scrive.
2
Vd L. Brisson, Le sexe incertain. Androgynie et hermaphrodisme dans l’Antiquité gréco-romaine, op. cit, p.10.
Androgynie è invece usato da Marie Delcourt, vd. M. Delcourt, Hermafrodite. Mythes et rites de la Bisexualité dans
l’Antiquité, op. cit., p.51.
3
Secondo Charles Segal, tuttavia, l’episodio “reinstates sexual difference by a nightmarish enactement of what
happens when the familiar gender roles are reversed”, C. Segal, Ovid's Metamorphic Bodies: Art, Gender, and Violence
in the Metamorphoses, op. cit., p.21.
4
“Ovidio è certamente fra quelli che meglio hanno assimilato quel gusto [quello della scultura greca dopo Fidia] e
meglio l’hanno espresso con la parola poetica”, p.237 di Antonio La Penna, La parola translucida di Ovidio
(sull’episodio di Ermafrodito, Met. IV 285-388), in “Vichiana. Rassegna di studi filologici e storici”, XII, 1983, pp.235-
243.
5
“Alleggerire e ammorbidire la materia sono procedimenti comuni e facili per l’immaginazione plastica di Ovidio; mai,
però, io credo, egli si è spinto più avanti che in questo episodio”, ivi, p.235-6.
6
In base al concetto di ἐνάργεια , il tentativo del poeta è quello di rendere il più possibile con le parole quello che si
vedrebbe con gli occhi. Vd. A. Perutelli, Il fascino ambiguo del miracolo laico, op. cit. p.XVIII.
7
Vd. il titolo che Antonio La Penna, significativamente, ha attribuito al suo articolo.
8
In questo la storia di Ermafrodito si inserisce a pieno nell’atmosfera del IV libro del poema ovidiano, in cui sono
“centralissimi i temi dell’identità sessuale (Ermafrodito) e dell’esperienza dell’eros, così come quello dello sguardo e
dei pericoli a esso connessi (specialmente Perseo e Medusa)”, Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A.
Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.242.
9
Met., rispettivamente VIII, vv.843-878 e IX, vv.169-209.
10
S. Viarre, L’androgynie dans les Métamorphoses d’Ovide. À la recherche d’une méthode de lecture, op. cit., p.234-5.
Vd. anche capitolo su Ceneo.
20
di aderire ai culti dionisiaci di Tebe e rimangono in casa a filare e tessere, raccontandosi a turno
delle storie11 segue, infatti, una preterizione, in cui ella scarta, accennandovi rapidissimamente,
alcuni miti. Tra questi quello di Sitone: nec loquor ut quondam naturae iure novato/ambiguus fuerit
modo vir, modo femina Sithon (“E non parlerò di come un tempo, mutando le leggi di natura,
l’ambiguo Sitone fosse ora uomo ora donna”).12 Di tale figura mitica, non attestata altrove, non
sappiamo nulla; sembra, però, che la sua trasformazione fosse reversibile e realizzabile quasi a
piacere (per l’uso di modo…modo)13. L’idea che il suo ambiguus statuto a livello sessuale violi in
qualche modo l’ordine naturale14 (naturae iure novato), per quanto cursorio sia il cenno, proietta la
sua ombra sulla storia che seguirà, della quale può essere vista come una rapida anticipazione a
livello tematico.
Dopo questi veloci cenni ad altri miti, Alcitoe annuncia quello che racconterà, scelto tra tutti per
la sua novità (praetereo dulcique animos novitate tenebo, v.284) e da subito presentato in
abbinamento al suo aspetto eziologico:

unde sit infamis, quare male fortibus undis,


Salmacis eneruet tactosque remolliat artus,
discite. Causa latet uis est notissima fontis15.

“Per quale ragione abbia una cattiva fama, perché con le sue acque spossanti
la fonte Salmacide indebolisca molto e infiacchisca le membra di chi vi entri in contatto
apprendetelo. La ragione è nascosta, ma famosissime sono le proprietà della fonte”.

La fonte Salmacide, a prescindere dal suo collegamento con la figura della ninfa omonima16, è
nota agli autori antichi per i particolari poteri che le si attribuivano. Situata vicino ad Alicarnasso, si
credeva rendesse effeminato chi entrasse in contatto con le sue acque devirilizzanti17. In un
frammento di Ennio, il termine Salmacida è utilizzato come sinonimo di effeminato18. Un altro
riferimento è quello di Strabone, il quale, razionalisticamente, imputa la τρυφή (“mollezza”) del
luogo non alla fonte, ma a due fattori sociali, πλοῦτος e ἀκολασία, la ricchezza e la dissolutezza19.
Altro autore latino a parlarci della fonte è Vitruvio, che cerca di fornire, a sua volta, una spiegazione
razionalistica al suo presunto potere effeminante: secondo l’autore del De architectura, esso è
dovuto alla civilizzazione greca, che avrebbe fatto rammollire le popolazioni barbare native, le quali
e duro feroque more commutati in Graecorum consuetudinem et suavitatem sua voluntate
reducebantur20. La testimonianza di Vitruvio è importante anche perché afferma che nelle vicinanze
della fonte si trovava un tempio di Afrodite ed Hermes, i genitori di Ermafrodito:

11
Met. IV, vv.1-4; 32-42.
12
Met. IV, vv.279-80.
13
Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.285-6.
14
Vd. F. Boemer, P. Ovidius Naso. Metamorphosen. Buch IV-V, Carl Winter-Universitaetsverlag, Heidelberg, 1976,
p.106.
15
Met. IV, vv.285-7.
16
La presenza della ninfa non è attestata prima di Ovidio, vd. F. Boemer, op. cit., p.101. Vd. anche Ovidio. Opere. II. Le
Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.930.
17
Vd. L. Brisson, op. cit., p.49-51.
18
Frag. 162, Tragicorum Romanorum Fragmenta. Vol. II. Ennius, a cura di G. Manuwald, Vandenhoeck & Ruprecht,
Goettingen-Oakville, 2012.
19
XIV, 2, 16, The Geography of Strabo in Eight Volumes. VI, a cura di H. L. Jones, The Loeb Classical Library, Harvard
University Press, Cambridge, Massachusetts-London, 1970.
20
II, 8, 11-12, Vitruve. De l’Architecture. Livre II, a cura di L. Callebat-P. Gros, Les Belles Lettres, Paris, 2003.
21
In cornu autem summo dextro Veneris et Mercuri fanum ad ipsum Salmacidis fontem. Is
autem falsa opinione putatur venerio morbo inplicare eos, qui ex eo biberint. […]
Non enim quod dicitur molles et impudicos ex ea aqua fieri, id potest esse, sed et eius fontis
potestas perlucida saporque egregius21.

“Sulla cima del promontorio, a destra, c’è un tempio di Venere e Mercurio proprio nei
pressi della fonte Salmacide. Secondo una credenza falsa, poi, si crede che questa faccia
contrarre una morbosa disposizione venerea a chi ne beva. In verità, quello che si dice, che
si diventi effeminati e lascivi al contatto con quell’acqua, non è possibile, anzi le qualità di
questa fonte sono la limpidezza e il sapore egregio dell’acqua”.

In effetti, Mercurio e Venere (o meglio Hermes e Afrodite), come ci attestano, ad esempio,


Proclo e Plutarco22 erano associati in culti riguardanti le unioni, celebrati ad Atene, Alicarnasso ed
Argo23; probabilmente Ermafrodito, da essi generato24, aveva valenze simili, essendo legato alla
fertilità, sia come divinità della vegetazione — quali spesso sono le divinità androgine25— sia come
protettore delle unioni e delle nascite26: esiste, infatti, un’iscrizione metrica, rinvenuta a Kaplan
Kalesi e risalente al II o I a.C., che presenta Ermafrodito come il fondatore del matrimonio legale 27.
Ad Argo, ad esempio, troviamo tracce di rituali che implicavano l’androginia: le giovani spose
indossavano una falsa barba per entrare nel letto nuziale e si celebravano gli Ὑβριστικά, che
prevedevano uno scambio rituale di abbigliamento28. Esisteva, inoltre, a Cipro, un culto di Afrodite
barbuta, attestato da Macrobio29. Ciò ha permesso di formulare l’ipotesi, meno convincente di
quella che lo vede figlio dei due dei olimpici, che il nome Ermafrodito sia derivato non dai genitori,
ma da “erma di Afrodite”, giacché le erme potevano essere di varie divinità; quindi il nome di tale
figura androgina sarebbe legato alle erme di Afrodite barbuta30.
Lo stesso Ovidio, poi, attesta la diffusione delle credenze relative alla fonte Salmacide,
richiamandola in un verso del XV libro del suo poema, all’interno del discorso di Pitagora, che
elenca una serie di “esempi «scientifici» di trasformazione31”, in un gioco di richiami con quelli
narrati negli altri libri, “in modo da elidere in qualche misura la distinzione tra eziologia mitologica
e filosofia della natura32”: Cui non audita est obscenae Salmacis undae33 (“Chi non ha sentito dire
della fonte Salmacide dall’acqua impura?”).
A tale famigerata fonte, ignaro di tutto, arriva un giorno Ermafrodito:

Mercurio puerum diua Cythereide natum


Naides Idaeis enutriuere sub antris;

21
Ibid.
22
Vd. L. Brisson, op. cit., p.53-4.
23
M. Delcourt, op. cit., p.70.
24
Cfr. M. Delcourt, op. cit., p.69, la quale sostiene che la leggenda che lo fa figlio di Hermes e Afrodite sia nata a
posteriori per spiegarne il nome.
25
Vd. F. Boemer, op. cit., p.102.
26
M. Delcourt, op. cit., p.77.
27
Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.283-4.
28
M. Delcourt, op. cit., p.70.
29
L. Brisson, op. cit., p.51-2.
30
Ibid.
31
Ovidio. Metamorfosi, Volume VI, Libri XIII-XV, a cura di P. Hardie-G. Charini, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo
Mondadori Editore, 2015, p.488.
32
Ibid.
33
Met. XV, v.319.
22
cuius erat facies, in qua materque paterque
cognosci possent; nomen quoque traxit ab illis.
Is tria cum primum fecit quinquennia, montes
deseruit patrios, Idaque altrice relicta
ignotis errare locis, ignota uidere
flumina gaudebat, studio minuente laborem.
Ille etiam Lycias urbes Lyciaeque propinquos
Caras adit. Uidet hic stagnum lucentis ad imum
usque solum lymphae. Non illic canna palustris
nec steriles uluae nec acuta cuspide iunci:
perspicuus liquor est; stagni tamen ultima uiuo
caespite cinguntur semperque uirentibus herbis.34

“Il figlio generato da Mercurio e dalla dea di Citera


allevavano le Naiadi, dentro le grotte dell’Ida.
Dai suoi tratti il padre e la madre
si potevano individuare e da entrambi aveva preso anche il nome.
Non appena egli compì quindici anni, i monti natii
abbandonò e, lasciato l’Ida che lo aveva nutrito,
a vagare per luoghi sconosciuti, a vedere ignoti
fiumi godeva, mentre la curiosità leniva la fatica.
Anche presso le città della Licia e, vicino alla Licia,
della Caria, si recò. Qui vede uno specchio d’acqua limpida
fino al fondo: non c’erano canne di palude
né alghe sterili né giunchi dalla punta aguzza.
L’acqua è trasparente; tuttavia la parte più interna
è circondata da prati rigogliosi ed erbe sempreverdi”.

Ovidio ci presenta il protagonista dell’episodio, senza nominarlo35, ma individuandolo in base ai


suoi genitori, di cui egli risulta essere una fusione non solo a livello onomastico, ma anche fisico,
visto che le sue fattezze li ricordano entrambi. Comunemente, si attribuiva un aspetto androgino ad
Ermafrodito fin dalla sua nascita; ce ne offre testimonianza un passo di Diodoro Siculo:

[Μυθολογοῦσι] καὶ γεννᾶσθαι τὴν τοῦ σώματος φύσιν ἔχοντα μεμιγμένην ἐξ ἀνδρὸς καὶ γυναικός: καὶ τὴν
μὲν εὐπρέπειαν καὶ μαλακότητα τοῦ σώματος ἔχειν γυναικὶ παρεμφερῆ, τὸ δ᾽ ἀρρενωπὸν καὶ δραστικὸν
ἀνδρὸς ἔχειν τὰ δὲ φυσικὰ μόρια συγγεννᾶσθαι τούτῳ καὶ γυναικὸς καὶ ἀνδρός36.

“[Raccontano] che nacque con un fisico il quale era misto di uomo e di donna; e l’avvenenza e la
morbidezza del suo corpo erano somiglianti a quelle della donna, ma aveva la virilità e al capacità di agire
dell’uomo”.

Ovidio, invece, fa dell’aspetto di Ermafrodito l’esito di una trasformazione37. Con i versi 290-1
egli sembra, però, alludere alla versione nota del mito, adottando in questo l’atteggiamento del

34
Met. IV, vv.288-301.
35
Il nome sarà esplicitato solo al v.383, quando l’omen che esso conteneva si è ormai compiuto, vd. p.163 di G.
Nugent, This Sex Which Is Not One: De-Constructing Ovid’s Hermaphrodite, in “Differences: A Journal of Feminist
Cultural Studies”, vol.2, N.1, 1990, pp.160-85 e anche Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A.
Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.937.
36
IV, 6, 5, Diodorus Siculus, op. cit. La traduzione, di G. Cordiano, è tratta da Biblioteca storica, op. cit.
37
Vd. F. Boemer, op. cit., p.103; M. Delcourt, op. cit., p.81. Ovidio è anche l’unico a stabilire, nella storia di
Ermafrodito, un legame esplicito tra l’androginia e l’omosessualità passiva, L. Brisson, op. cit., p.41.
23
poeta alessandrino colto38 e plasmando un orizzonte di attesa che sarà inevitabilmente frustrato:
infatti, se il lettore immagina Ermafrodito con aspetto femminile e genitali maschili, l’aspettativa è
che la ninfa presentata subito dopo si avvicini a lui senza sospetti per poi venire aggredita (come, ad
esempio, nell’episodio di Giove e Callisto39), invece accadrà esattamente il contrario40. Tutto questo
rientra in ciò che Mario Labate definisce come una “studiata strategia dell’inversione e della
sorpresa”, la quale pervade l’intero episodio41.
Da questi primi versi, Ermafrodito si caratterizza come puer voglioso di viaggiare e conoscere:
“Hermaphroditus leaves his home in the Troad to undertake a journey, but his travels have still
more in common with those of Odysseus, for like the Greek hero Hermaphroditus leaves the Troad
to visit unfamiliar cities and places42”. Se fin qui egli ci ricorda Odisseo nel suo approdo all’isola
dei Feaci, pochi versi più oltre il narratore ovidiano, nel suo gioco di inversione e sorpresa, fa
pronunciare alla ninfa Salmacide un μακαρισμός studiatamente simile a quello che l’eroe della
μῆτις rivolge a Nausicaa43:

Tum sic orsa loqui: “Puer o dignissime credi


esse deus, seu tu deus es, potes esse Cupido,
siue es mortalis, qui te genuere, beati,
et frater felix” […]44

“Quindi cominciò a dire così: «O fanciullo che puoi a buon diritto essere creduto
un dio, se sei un dio, potresti essere Amore,
se sei un mortale, beati quelli che ti hanno generato
e fortunato il fratello»”.

I versi omerici che Ovidio richiama sono Odissea, VI, 149-59; la somiglianza è, in particolare,
con: θεός νύ τις ἦ βροτός ἐσσι; (“Sei una dea o una mortale?”) e τρισμάκαρες μὲν σοί γε πατὴρ καὶ
πότνια μήτηρ,/τρισμάκαρες δὲ κασίγνητοι (“Tre volte beati tuo padre e la tua signora madre/ tre
volte beati i fratelli”)45.
Tornando alla descrizione dell’arrivo di Ermafrodito alla fonte, vediamo, innanzitutto, che essa è
descritta come un locus amoenus e, come spesso accade nelle Metamorfosi, ciò prefigura per

38
“Ammiccare al lettore alludendo ad una versione scartata del mito è un tipico gesto di poeta alessandrino”, M.
Labate, Storie di instabilità: L'episodio di Ermafrodito nelle Metamorfosi di Ovidio, op. cit., p.53. Vd. anche Ovidio.
Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.933 e G. K. Galinsky, Ovid’s
Metamorphoses. An Introduction to the Basic Aspects, op. cit., p.2.
39
Met. II, 409-465.
40
P.217 di M. Robinson, Salmacides and Hermafroditus: When two become one, in “Classical Quarterly” XLIX, Oxford
1999, pp.212-223. In base a M. Labate, op. cit., p.53, tuttavia, qualcosa di ciò che accadrà è anticipato dal nome e dalla
bellezza che E. eredita da entrambi i genitori (e probabilmente, quindi, è androgina), i quali funzionerebbero da omen
narrativo.
41
M. Labate, op. cit., p.54.
42
P.217, di A. Keith, Versions of epic masculinity in Ovid’s Metamorphoses, in Ovidian transformations. Essays on
Ovid’s Metamorphoses and its reception, a cura di P. Hardie-A. Barchiesi-S. Hinds, Cambridge Philological Society,
Cambridge, 1999, pp.214-239.
43
Ibid. Vd. anche Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.289; M.
Robinson, op. cit., p.218; G. K. Galinsky, Ovid’s Metamorphoses. An Introduction to the Basic Aspects, op. cit., pp.186-
90.
44
Met. IV, vv.320-3.
45
Rispettivamente secondo emistichio v.149, v.154 e primo emistichio v.155, Homeri Opera. Tomus III. Odysseae
Libros I-XII continens, a cura di T.W. Allen, Oxford University Press, London, 1908.
24
antifrasi, che sta per svolgersi una scena di violenza46. Inoltre vi è un riecheggiamento della
caratterizzazione dello specchio d’acqua a cui giunge Narciso: Fons erat inlimis, nitidis argenteus
undis (“Vi era una fonte limpida, argentea nelle sue acque chiare”) 47. Come per Narciso, catturato
non da una ninfa vogliosa, ma dalla sua immagine riflessa, anche per Ermafrodito sarà fatale
l’incontro con queste acque. Altro episodio emblematico di un puer rapito dalle ninfe è quello di Ila,
la cui storia, nella versione di Properzio, presenta anch’essa il particolare della fonte appartata48. La
fonte, inoltre, già anticipa alcuni tratti della ninfa che a breve si manifesterà, per la trasparenza delle
sue acque: trasparente è la veste di Salmacide (nunc perlucenti circumdata corpus amictu, v.313), la
quale, peraltro, usa la fonte come uno specchio (et, quid se deceat, spectatas consulit undas, v.312)
e i cui occhi, a loro volta, infiammati dalla passione faranno da specchio all’immagine di
Ermafrodito, in una similitudine contenuta nei versi 348-9: non aliter quam cum puro nitidissimus
orbe opposita speculi referitur imagine Phoebus (“Non diversamente da come Febo splendente sul
nitido globo è riflesso dall’immagine inversa di uno specchio”)49. Questa dinamica di
corrispondenza tra la ninfa e la sua fonte è attiva in tutto il passo: “Throughout the episode,
Salmacis is described in diction applicable to both spring and nymph 50”. Tale corrispondenza, poi,
secondo Alison Keith, farebbe sì che, fino al momento in cui Salmacide vede Ermafrodito, la
narrazione ovidiana rispetti le classiche distinzioni di genere, presentandoci l’uno come “mobile
male hero” e l’altra come “immobile female obstacle51”.
Vediamo, allora, la presentazione della ninfa:

Nympha colit, sed nec uenatibus apta, nec arcus


flectere quae soleat nec quae contendere cursu,
solaque Naiadum celeri non nota Dianae.
Saepe suas illi fama est dixisse sorores:
«Salmaci, uel iaculum uel pictas sume pharetras,
et tua cum duris uenatibus otia misce».
Nec iaculum sumit nec pictas illa pharetras,
nec sua cum duris uenatibus otia miscet,
sed modo fonte suo formosos perluit artus,
saepe Cytoriaco deducit pectine crines
et, quid se deceat, spectatas consulit undas;
nunc perlucenti circumdata corpus amictu
mollibus aut foliis aut mollibus incubat herbis;
saepe legit flores. Et tum quoque forte legebat,
cum puerum uidit uisumque optauit habere52.

“Vi abita una ninfa, che però non è abile nella caccia né l’arco
è solita tendere o gareggiare nella corsa
e, unica tra le Naiadi, è sconosciuta a Diana veloce.
È noto che spesso le sue sorelle le dicevano:
«Salmacide, prendi in mano il giavellotto o delle faretre dipinte
e mescola la dura caccia ai tuoi ozi».
46
C. Segal, Ovid's Metamorphic Bodies, op. cit., pp.34-5. Vd. anche Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G.
Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.883.
47
Met. III, v.407.
48
Properzio, Elegie, I, 20, v.23-24: at comes invicti iuvenis processerat ultra/raram sepositi quaerere fontis aquam.
49
Per la corrispondenza tra la ninfa e la fonte vd. A. Keith, op. cit., p.218 e M. Robinson, op. cit., p.221.
50
A. Keith, op. cit., p.217.
51
Ibid.
52
Met. IV, vv.303-316.
25
Ella non prende in mano il giavellotto, né le faretre dipinte
né mescola la dura caccia ai suoi ozi,
ma ora lava nella sua fonte le membra belle,
ora liscia i capelli con un pettine del Citoro
e chiede ai flutti, specchiandosi, cosa le si addice;
ora, il corpo cinto di una veste trasparente,
si stende sulle foglie tenere e sulle tenere erbe.
Spesso raccoglie fiori. E li stava raccogliendo, per caso, anche allora,
quando vide il ragazzo e, vistolo, desiderò averlo”.

Salmacide è subito presentata in negativo, per ciò che non fa e con parole che non è lei a
pronunciare ma le sue sorelle53: ella, infatti, non si dedica alla caccia, occupazione tipica delle
Naiadi, come, invece, fanno le sue sorelle, o altre ninfe presenti nel poema ovidiano, le quali hanno
votato la propria vita alle attività venatorie e si mantengono lontane da ogni contatto con gli uomini.
Esemplari di questa tipologia sono Dafne (I, vv.452-567), Siringa (I, vv.689-712), Callisto (II, 409-
465) e Aretusa (V, vv.572-641). Tutte queste ninfe, peraltro, sono oggetto di violenza, tentata o
riuscita, da parte di divinità maschili. Anche in questo il personaggio di Salmacide si discosta
dall’abituale, dal momento che sarà lei, nei versi seguenti, a tentare di fare violenza all’ingenuo
Ermafrodito54. Vista la sua intraprendenza, peraltro, è stato ipotizzato che la nostra ninfa, così come
è estranea alla caccia, lo sia anche alla condizione verginale55; tuttavia nelle parole di Ovidio non vi
sono evidenze che lo dimostrino56. Altra ninfa seduttrice è Eco, il cui tentativo, però, come quello di
Salmacide, non andrà a buon fine (Met. III, 339-510). La categoria dell’inversione dei ruoli di
genere è di solito utilizzata come chiave interpretativa di questo episodio57: Salmacide vede
Ermafrodito, e, sopraffatta da subitanea passione, vuole subito averlo, atteggiamento che nelle
Metamorfosi è di solito assunto da personaggi maschili58. Accade, ad esempio, nel momento in cui
Tereo vede la cognata Filomela59:

Non secus exarsit conspecta uirgine Tereus


quam si quis canis ignem supponat aristis
aut frondem positasque cremet faenilibus herbas.

“Vista la fanciulla, Tereo s’infiammò non diversamente


da come accade se uno appicca il fuoco alle spighe mature
o brucia il fogliame e le erbe fatte seccare in un fienile”.

53
G. Nugent, op. cit., p.167.
54
Ivi, p.168.
55
M. Robinson, op. cit., p.218 e G. Nugent, op. cit., p.167.
56
Così La Penna, op. cit., p.238. Un debolissimo appiglio potrebbe essere dato proprio dal fatto che ella si specchi: di
solito, infatti, le vergini del mito sono reticenti al gesto di specchiarsi (è il caso di Atena, perfino prima del giudizio di
Paride, in base a quanto racconta Callimaco in Inni, V). Vd. L. Faranda, Dimore del corpo. Profili dell’identità femminile
nella Grecia classica, Meltemi, Roma, 1997, p.14. In M. Labate, op. cit., p.54, è espresso un commento orientato in
questo senso: si dice, infatti, che Salmacide non ha niente della “purezza virginale che sembra caratterizzare la sua
polla d’acqua”.
57
Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.285; Ovidio. Opere. II.
Le Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.934.
58
Franz Boemer sottolinea come si tratti di un τόπος della poesia d’amore, op. cit., p.114.
59
Met. VI, vv.455-7, Ovidio. Metamorfosi. Volume III. Libri V-VI, a cura di G. Rosati-G.Chiarini, Fondazione Lorenzo
Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 2009.
26
Stesso tipo di amore improvviso è quello provato da Plutone per Proserpina (paene simul uisa
est dilectaque raptaque Diti60). Caso simile, sempre narrato da Ovidio, ma questa volta nei Fasti, è
il “colpo di fulmine”, tanto importante per la storia di Roma, di Marte per Rea Silvia, descritto in
questi termini: Mars videt hanc visamque cupit potiturque cupita61. Siamo vicinissimi, nella
costruzione della frase, al verso che descrive il fulmineo innamoramento di Salmacide. Qui si tratta
di Marte: un dio, maschio, bellicoso e focoso. Salmacide è, quindi, in qualche modo accostabile a
lui, ma nel suo caso il passaggio tra provare il desiderio e attuarlo non è così fulmineo come per il
dio, che immediatamente potitur Rea Silvia. L’unione di Salmacide con il suo oggetto d’amore sarà,
invece, come vedremo, più ritardata, ma dolorosamente eterna.
Subito dopo, però, il narratore ovidiano complica le cose, fornendoci un ritratto di Salmacide,
che, al contrario di quanto affermato finora, la caratterizza come iperfemminile62: la ninfa trascorre
le sue giornate lavandosi nella fonte, specchiandosi, pettinandosi, cercando di apparire bella. In più,
negli attimi immediatamente successivi alla comparsa di Ermafrodito, Salmacide, non si presenta a
lui se non dopo essersi occupata del suo aspetto, nel tentativo di apparirgli attraente:

Nec tamen ante adiit, etsi properabat adire,


quam se composuit, quam circumspexit amictus,
et finxit uultum et meruit formosa uideri63.

“Tuttavia non gli si fece incontro, pur volendolo,


prima di essersi agghindata, aver controllato attentamente le vesti
ed acconciato il viso, procurando di apparire attraente”.

L’idea del corpo come oggetto dello sguardo altrui, che deve piacere ed esiste non in sé ma per
essere percepito (percipi e non esse) è tipicamente associata al corpo femminile64 e fa sì che lo
specchio sia di quest’ultimo una sorta di completamento65, tant’è vero che, in antico, ”l’iconografia
concernente la toletta è l’unico momento in cui sia autorizzata la visione di corpi nudi femminili66”.
Anche nelle Metamorfosi, lo sguardo, di cui il corpo femminile è oggetto, è tendenzialmente
maschile67: è il caso di Pigmalione (X, vv.243-297), giacché “the woman as statue is an object of
stupefying beauty68”; specularmente, in una delle similitudini che descrivono il corpo di
Ermafrodito, visto dalla prospettiva di Salmacide, il paragone è proprio con una scultura (v.354). Il
meccanismo sguardo maschile/oggetto femminile si attua anche, rimanendo all’interno del IV libro,
nel momento dell’incontro di Perseo con Andromeda (vv.673-5), quando l’eroe la vede incatenata
alla roccia: il ruolo di Andromeda si è già compiuto nel suo corpo che attrae, non in quello che può
dire o fare, perché, “once her naked body has attracted Perseus, the action shifts to the male 69”. È
interessante notare come, nel caso di Salmacide, la voglia di soddisfare immediatamente una

60
Met. V, v.395.
61
III, 21, Ovid in six volumes. V. Fasti, a cura di J.G. Frazer, The Loeb Classical Library, Harvard University Press,
Cambridge Massachusetts-London, 1976.
62
Simone Viarre usa la definizione di “femme-femme”, S. Viarre, op. cit., p.237; Luc Brisson parla di “féminité
exacerbée”, op. cit., p.56.
63
Met. IV, vv.317-9.
64
P. Bourdieu, Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano, 1998, p.82.
65
L. Faranda, op. cit., p.12.
66
Ivi, p.13.
67
A. Keith, op. cit., p.218.
68
C. Segal, op. cit., p.21.
69
Ivi, p.20.
27
passione nata al primo sguardo (tendenza, abbiamo visto, dei personaggi maschili del mito) si
combini con la voglia di compiacere lo sguardo dell’altro (tendenza tipicamente femminile):
“Salmacis’ first action is to offer herself to his gaze70”. Un’altra delle occupazioni della ninfa è
quella di raccogliere fiori, lo stesso gesto che compiva Proserpina prima di essere rapita da Plutone
(V, vv.391-394)71; l’atto di raccogliere fiori è, infatti, “a strong suggestion of eroticism in classical
literature and frequently presages a rape72”. In base al fitto gioco di corrispondenze e richiami
intertestuali fin qui visto, sembra possibile affermare che la descrizione dei due protagonisti di
questo episodio non sia animata dalla semplice inversione dei ruoli di genere, ma da una dinamica
più fluida e complessa73, come vedremo nel prosieguo di questa trattazione: “Salmacis, like Tiresias
in the previous book, seems to suggest the fluidity of gender divisions and to question their
rigidity74”. Dopo essersi acconciata, Salmacide approccia, infatti, il puer75 in modo piuttosto diretto,
dicendogli, al termine del già citato μακαρισμός:

“Sed longe cunctis longeque beatior illis,


siqua tibi sponsa est, si quam dignabere taeda.
Haec tibi siue aliqua est, mea sit furtiua uoluptas,
seu nulla est, ego sim, thalamumque ineamus eundem.”
Nais ab his tacuit. Pueri rubor ora notauit
(nescit enim, quid amor), sed et erubuisse decebat.
Hic color aprica pendentibus arbore pomis
aut ebori tincto est, aut sub candore rubenti,
cum frustra resonant aera auxiliaria, lunae.
Poscenti nymphae sine fine sororia saltem
oscula iamque manus ad eburnea colla ferenti
“desinis? an fugio, tecumque” ait “ista relinquo”.
Salmacis extimuit “loca” que “haec tibi libera trado,
hospes” ait, simulatque gradu discedere uerso,
tunc quoque respiciens, fruticumque recondita silua
delituit, flexuque genu submisit. At ille,
ut puer et uacuis ut inobseruatus in herbis,
huc it et hinc illuc, et in adludentibus undis
summa pedum taloque tenus uestigia tingit;
nec mora, temperie blandarum captus aquarum
mollia de tenero uelamina corpore ponit76.

“Ma di gran lunga la più fortunata di tutti è senz’altro


la tua fidanzata, se ce l’hai, se stimerai qualcuna degna delle nozze con te.
Se ne hai una, sia furtivo il mio piacere,
ma se non ce l’hai, possa essere io: corichiamoci nello stesso talamo”.
A quel punto tacque la Naiade: il rossore segnava il volto del ragazzo
(che ignorava cosa fosse l’amore), ma anche arrossire gli donava.

70
A. Keith, op. cit., p.219. Vd. anche, per lo stesso tema visto in chiave più psicanalitica, G. Nugent, op. cit., p.170-2. In
realtà, in II, vv.732 sgg. Mercurio fa qualcosa di analogo nel tentativo di sedurre Erse. Vd. M. Robinson, op. cit., p.218.
71
M. Robinson, op. cit., p.218 e G. Nugent, op. cit., p.168.
72
A. Keith, op. cit., p.217. Vd. anche Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op.
cit., p.933.
73
A. Keith, op. cit., p.221 e M. Robinson, op. cit., p.218.
74
C. Segal, op. cit., p.21.
75
Ermafrodito è caratterizzato come puer, privo di esperienza, ed è chiamato vir, solo per antifrasi quando perde
irrimediabilmente la sua virilità, vd. A. Keith, op. cit., p.220.
76
Met. IV, vv.325-345.
28
Quel colore hanno le mele penzolanti da un albero esposto al sole
o l’avorio tinto o, mentre si arrossa sotto il candore,
quando in vano in aiuto risuonano i bronzi, la luna.
Alla ninfa che chiedeva incessantemente per lo meno baci da fratello
e già portava le mani al collo d’avorio,
dice: “La smetti? Altrimenti scappo da te e lascio questo posto!”.
Salmacide ebbe paura e disse: “Lascio libero, per te, questo luogo,
straniero”. E finse di allontanarsi, volgendogli le spalle,
ma anche allora lo guardava. In un boschetto di cespugli, appartato,
si nascose e si accovacciò. Allora egli,
credendo il prato vuoto e se stesso inosservato,
qua e là vaga, e nelle onde giocose
immerge le punte e le piante dei piedi, fino al calcagno.
E senza indugio, catturato dalla temperatura invitante delle acque,
toglie dal tenero corpo i vestimenti delicati”.

Si aggiunge un nuovo elemento alla caratterizzazione del comportamento intraprendente di


Salmacide: oltre ad aver visto il puer ed essersene subito innamorata, ella gli rivolge, con un
notevole ἀπροσδόκητον77, una proposta quanto mai esplicita, tanto da far arrossire l’inesperto
Ermafrodito, “here, if anywhere in Latin narrative, a female character aspires to the role of the
(mobile, male) hero78”. Ancora una volta Ovidio gioca con l’inversione dei τόποι: a I, 484 è Dafne
ad arrossire, incalzata dalla passione di Apollo. In questo passo assistiamo al fenomeno contrario:
“das Maedchen macht die Liebeserklaerung, der Knabe erroetet79”. Qui la reazione di Ermafrodito
è, infatti, “in response to Salmacis’ appropriation of the active role of erotic pursuit, coded as
masculine80”. Di fronte alla spudoratezza della ninfa, “il figlio di Venere […] mostra, tutto al
contrario, una renitenza virginale all’amore81”. Significative sono anche le analogie impiegate per
descrivere il rossore sul volto del ragazzo: innanzitutto, le mele fatte maturare dal sole, frutto legato
tradizionalmente alla dea dell’amore, cosa che suggerisce ancor di più un’atmosfera di sensualità.
Altro termine di paragone, poi, è la luna, che gli antichi credevano di dover soccorrere, quando si
verificava un’eclissi, facendo risuonare degli strumenti di bronzo82. Ebbene, è interessante notare,
per quanto possa sembrare soltanto una coincidenza casuale, il fatto che Platone, quando descrive
gli androgini, dice che essi derivavano dalla luna83. Peraltro Ovidio sembra tener presente quel
passo del Simposio nella costruzione della sua versione del mito di Ermafrodito, visto che l’origine
della natura particolare di questo essere è ricondotta, eziologicamente, ad una fusione tra due
individui di sesso opposto, il che non può non ricordare il mito narrato da Aristofane nel dialogo
platonico84. La preghiera di Salmacide, secondo Luc Brisson, riecheggia il desiderio espresso dagli
amanti del Simposio85. Il passo ovidiano pare, poi, esserne una sorta di smentita, poiché, come

77
Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.934.
78
A. Keith, op. cit., p218.
79
F. Boemer, op. cit., p.117.
80
A. Keith, op. cit., p.227.
81
M. Labate, op. cit., p.54.
82
Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.290.
83
Platonis Opera. Tomus II. Tetralogias III-IV continens, a cura di I. Burnet, Oxford University Press, Oxford, 1901,
190b, τὸ δὲ ἀμφοτέρων μετέχον τῆς σελήνης, ὃτι καὶ ἠ σελήνη ἀμφοτέρων μετέχει.
84
Il parallelo è ipotizzato, tra gli altri, in M. Robinson, op. cit., p.222-3 e in Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a
cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.285.
85
192d-e. Vd. L. Brisson, op. cit., p.55.
29
vedremo, quella stessa fusione che nel Simposio è presentata in tono edenico, Ovidio la tratteggia a
tinte fosche, mostrandone i risvolti più negativi: l’annichilimento di un’individualità, assorbita
nell’altra (Salmacide), il fastidio di un attaccamento forzato, la diminuzione non voluta della
propria persona (Ermafrodito), l’impossibilità dell’amore a una tale infinitesimale distanza86, la
sterilita di un'unione così costrittiva87.
Salmacide, dopo la proposta, tenta un avvicinamento, toccando il ragazzo e chiedendogli almeno
baci da sorella (v.334-5); anche questa nota ovidiana sulla tipologia dei baci compare in altri episodi
delle Metamorfosi, nei quali un personaggio maschile cerca di sedurre una giovane inesperta: ad
esempio, quando Apollo si presenta a Leucotoe sotto le false sembianze della madre della ragazza,
egli la bacia facendo apparire le sue effusioni adatte a quelle che una madre rivolgerebbe alla
figlia88. Di questo singolare principio di verosimiglianza Giove, invece, spacciandosi per Diana, nel
tentativo di avvicinare Callisto, non si da troppo pensiero, visto che il narratore commenta così: […]
et oscula iungit/nec moderata satis nec sic a uirgine danda89. Analogamente, nell’episodio di
Pomona e Vertumno (in cui quest’ultimo si presenta alla vergine sotto forma di una vecchia), questi
le da dei baci quali una vera anus non le avrebbe mai dato: paucaque laudatae dedit oscula, qualia
numquam/uera dedisset anus […]90.
Al netto rifiuto di Ermafrodito, poi, la ninfa, temendo che il ragazzo scappi, finge di
accontentarlo e di andarsene, ma, in realtà, si nasconde per poter continuare ad osservarlo
indisturbata. A questo punto, credendosi solo, il puer, attratto dalle acque, si spoglia per fare il
bagno; anche qui, Ovidio inserisce il rovesciamento di un τόπος, quello della dea al bagno, spiata da
un mortale, destinato a pagare il fio di questo atto, che sia volontario o meno, con conseguenze
atroci per la sua esistenza (vedi i casi di Tiresia e Atteone, nel III libro) 91. Qui abbiamo, invece, un
dio, spiato, deliberatamente, da una ninfa, che, come vedremo, sarà a sua volta punita. Peraltro,
Ermafrodito è attratto dalle acque della fonte in modo quasi fatale. A partire da questo, Georgia
Nugent sostiene, basandosi sulla coincidenza fonte/ninfa, che il ragazzo, per quanto ne abbia paura
e l’abbia appena respinta92, sia in realtà attirato irresistibilmente da Salmacide e dalla possibilità di
esperire l’Altro, ossia la sessualità93: la studiosa ipotizza (con un eccesso di psicologismo, ma
nondimeno fornendo una chiave di lettura interessante) che, così come Salmacide “devia” il
desiderio di possedere immediatamente il ragazzo in maniera narcisistica (voler piacere), egli lo
incanala nella voglia di immergersi nelle acque della fonte94. Ad ogni modo, non appena vede
Ermafrodito nudo, tale è la reazione di Salmacide:

Tum uero placuit, nudaeque cupidine formae


Salmacis exarsit: flagrant quoque lumina nymphae […]
Uixque moram patitur, uix iam sua gaudia differt,

86
La fusione è definita come “la negazione del desiderio d’amore” in M. Labate, op. cit., p.60.
87
“L’androgyne n’a pas besoin d’un être autre, il semble donc exclure et l’idée de relation, et l’idée de procréation
extrinsèque”, J. Libis, Le mythe de l’androgyne, op. cit., pp.138.
88
Met. IV, v.222.
89
Met. II, vv.430-1.
90
Met. XIV, vv.658-9.
91
Vd. M. Robinson, op. cit., p.219.
92
Infatti, Salmacide, troppo intraprendente, potrebbe esercitare sul puer un’influenza castrante, vd. S. Viarre, op. cit.,
p.237.
93
G. Nugent, op. cit, p.170-2. Così in proposito M. Delcourt, op. cit., p.82: “l’attirance de l’eau, et singulièrement
l’attirance sexuelle d’un eau féminine, appartient au tréfonds des croyances humaines”.
94
G. Nugent, op. cit, p.170-2.
30
iam cupit amplecti, iam se male continet amens.
Ille cauis uelox applauso corpore palmis
desilit in latices, alternaque bracchia ducens
in liquidis translucet aquis, ut eburnea si quis
signa tegat claro uel candida lilia uitro.
“Uicimus et meus est!” exclamat Nais et omni
ueste procul iacta mediis immittitur undis,
pugnantemque tenet luctantiaque oscula carpit,
subiectatque manus inuitaque pectora tangit,
et nunc hac iuueni, nunc circumfunditur illac;
denique nitentem contra elabique uolentem
inplicat, ut serpens, quam regia sustinet ales
sublimemque rapit (pendens caput illa pedesque
adligat et cauda spatiantes inplicat alas),
utue solent hederae longos intexere truncos,
utque sub aequoribus deprensum polypus hostem
continet, ex omni dimissis parte flagellis95.

“Allora davvero le piacque: dal desiderio di quella nuda bellezza


Salmacide fu incendiata, anche gli occhi della ninfa si infiammano,
a stento si trattiene, a stento ormai rimanda il suo godimento,
ormai brama stringerlo, ormai, fuori di sé, a fatica si contiene.
Egli, frizionato il corpo con le cave palme, veloce
si immerge nella fonte e, guidandosi con bracciate alterne,
risplende in mezzo alle limpide acque come se qualcuno una statua d’avorio
o un giglio candido coprisse con un vetro traslucido.
“Abbiamo vinto! È mio!”. Esclama la Naiade e, tutti
gli indumenti lanciando lontano, si getta nel mezzo delle onde
e trattiene quello che si dimena e carpisce baci con la forza.
Gli mette le mani addosso e, lui nolente, gli tocca il petto.
E gli si stringe intorno, ora da un lato, ora dall’altro.
Alla fine al bel giovane, che al contrario vuole sottrarsi,
si abbarbica, come un serpente che l’uccello regale porti nel becco
e trascini in alto, mentre quello, penzolante, la testa e le zampe
le avvolge e con la coda si attorciglia alle ali spiegate,
come l’edera suole abbarbicarsi agli alti tronchi
e come il polpo, negli abissi, la preda che ha catturato
trattiene con i tentacoli che si muovono da ogni parte”.

Nel descrivere l’incontenibile desiderio della ninfa, Ovidio, giocando sapientemente con
l’intertestualità, ancora una volta riferisce a un personaggio femminile sentimenti e gesti che,
abitualmente, nel mito e nella sua stessa opera sono attribuiti a individui di sesso maschile: nel II
libro delle Metamorfosi il desiderio di Giove per Europa è descritto quasi con le stesse parole di
quello di Salmacide: oscula dat manibus; uix iam, uix cetera differt 96. Altro parallelo con un verso
analogo nel poema (ma, naturalmente, con opposti equilibri di genere) interessa l’esclamazione di
Salmacide (“Uicimus et meus est!”, v.356), che esprime la concezione del rapporto amoroso come
una battaglia, τόπος della poesia erotica latina. Ritorna, appunto, nell’episodio di Giove e Callisto:
illa quidem pugnat, sed quem superare puella,/quisue Iouem poterat? — Superum petit aethera

95
Met. IV, vv.346-367.
96
Met. II, v.863.
31
uictor97. Abbiamo un altro riecheggiamento nei Fasti, quando di nuovo si descrive l’episodio di
Giove e Callisto: inuito est pectore passa Iouem98. Dal verso 356, l’azione si fa sempre più
concitata; nella lotta in acqua si raggiunge il culmine dell’erotismo dell’episodio 99 e assistiamo
forse ad una scena inedita o comunque molto rara nel mito antico: lo stupro (o almeno il tentativo
di esso) da parte di una donna nei confronti di un ragazzo inesperto delle cose d’amore.
Significativamente, il giglio, cui Ermafrodito è paragonato al verso 355, è impiegato come simbolo
di verginità nell’Eneide100. L’altro termine di paragone cui il puer è accostato è una statua d’avorio,
particolare per cui Ovidio probabilmente risente della scultura di età ellenistica, dalla quale
Ermafrodito era spesso scelto come soggetto101 e che potrebbe essere connesso, come già abbiamo
accennato, al mito di Pigmalione e, più in generale, alla visione del corpo (in genere, però, si tratta
di quello femminile) come oggetto di desiderio immobile e passivo, passibile di violenza.
Interessante può essere il paragone con un’altra scena di violenza narrata dalle Metamorfosi: la
storia di Alfeo (come Salmacide, personaggio legato all’acqua) e Aretusa (come Ermafrodito,
giovane e vergine)102. Quest’ultima, ninfa dell’Acaia, un giorno, spossata dall’afa, arriva ad un
fiume dalle acque limpide, perspicuas ad humum103. Come Ermafrodito, anche Aretusa non resiste
alla tentazione di fare il bagno, e spogliatasi si immerge:

Accessi primumque pedis uestigia tinxi,


poplite deinde tenus; neque eo contenta recingor
molliaque impono salici uelamina curuae
nudaque mergor aquis, quas dum ferioque trahoque
mille modis labens excussaque bracchia iacto
nescioquod medio sensi sub gurgite murmur104.

“Mi avvicinai e per prima cosa immersi le piante dei piedi


poi fino al ginocchio; e, non contenta, mi svesto
e i delicati vestimenti appendo a un salice ricurvo
e nuda mi tuffo nelle acque e, mentre le colpisco e le smuovo
in mille modi nuotando, immergendo e agitando le braccia,
non so come sentii dal cuore del gorgo un sussurro”.

Il suo spontaneo e ingenuo gesto, però, attira le brame di Alfeo, il fiume in cui si è appena
tuffata; esattamente quello che accade ad Ermafrodito quando tocca le acque della fonte Salmacide.
Di fronte alle avances di Alfeo, Aretusa fugge, dando inizio ad un inseguimento che il narratore
descrive con immagini attinte dal mondo animale: la fanciulla è come una colomba incalzata da un
falco (ut fugere accipitrem penna trepidante columbae/ut solet accipiter trepidas urgere
columbas)105, un’agnella braccata dai lupi (quid mihi tunc animi miserae fuit? Anne quod agnae
est/si qua lupos audit circum stabula alta frementes)106 o una lepre a cui una muta di cani stia dando
la caccia (aut lepori, qui uepre latens hostilia cernit/ora canum nullosque audet dare corpore
97
Met. II, v.436-7. Vd. G. Nugent, op. cit., p.175.
98
II, v.178, vd. anche F. Boemer, op. cit., p.124.
99
Vd. F. Boemer, op. cit., p.105.
100
XII, vv.68-9, vd. Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.291.
101
Vd. M. Delcourt, op. cit., pp.85-101.
102
Met. V, vv.572-642.
103
Met. V, v.588, vd. IV, vv.297-8.
104
Met. V, vv.592-7.
105
Met. V, vv.605-6.
106
Met. V, v.626-7.
32
motus ?)107. Non diversamente, la lotta tra Salmacide ed Ermafrodito è paragonata dapprima a
quella tra un’aquila e un serpente che sia stato d’improvviso sollevato in alto (vv.362-4); notevole è
il fatto che qui, per quanto sia Salmacide ad aver aggredito Ermafrodito, ella è associata al serpente
(che si sta difendendo) e non all’aquila, in una sorta di chiasmo, “forse una spia dell’inversione,
rispetto al genere sessuale, di ruolo attivo e passivo in questo episodio di violenza108”. L’altra
similitudine è stabilita con un polpo che stringe la preda con i suoi tentacoli (vv.366-7); l’immagine
di questo animale è associata alla sensazione della ripugnanza, che aleggerà anche dopo, quando la
trasformazione si sarà compiuta109. Accomunano i due episodi, dunque, le stesse dinamiche
(divinità acquatica che fa violenza ad un personaggio giovane e inesperto) e lo stesso modo di
descriverle (similitudini con meccanismi animali di predazione), con l’unica differenza
dell’inversione dei rapporti di genere.
Come si conclude la lotta acquatica tra Salmacide ed Ermafrodito?

Perstat Atlantiades, sperataque gaudia nymphae


denegat. Illa premit, commissaque corpore toto
sicut inhaerebat, “pugnes licet, inprobe” dixit,
“non tamen effugies. Ita di iubeatis, et istum
nulla dies a me nec me diducat ab isto.”
Uota suos habuere deos: nam mixta duorum
corpora iunguntur, faciesque inducitur illis
una, uelut, siquis conducat cortice ramos,
crescendo iungi pariterque adolescere cernit.
Sic ubi complexu coierunt membra tenaci,
nec duo sunt et forma duplex, nec femina dici
nec puer ut possit: neutrumque et utrumque uidentur.
Ergo ubi se liquidas, quo uir descenderat, undas
semimarem fecisse uidet, mollitaque in illis
membra, manus tendens, sed non iam uoce uirili,
Hermaphroditus ait: “Nato date munera uestro,
et pater et genetrix, amborum nomen habenti:
quisquis in hos fontes uir uenerit, exeat inde
semiuir et tactis subito mollescat in undis.”
Motus uterque parens nati rata uerba biformis
fecit et incesto fontem medicamine tinxit110.”

“Resiste il discendente di Atlante e alla ninfa i piaceri sperati


nega; quella lo stringe e si attacca a lui con tutto il corpo,
e, come si unisce, dice: «Lotta pure, impudente,
tanto non sfuggirai; o dei, decretate così: che questo
neanche per un giorno si stacchi da me, né io da lui».
Gli dei esaudirono le sue preghiere: i due corpi uniti
vengono fusi, e un’unica forma li riveste,
come, se qualcuno innesta dei rami in una scorza,
li vede, mentre crescono, svilupparsi insieme e unirsi,
così, quando le membra si fusero nella salda stretta,
non sono più due, ma una figura duplice che né femmina

107
Met. V, vv.628-9.
108
Ovidio. Metamorfosi. Volume II. Libri III-V, a cura di A. Barchiesi–G. Rosati-L. Koch, op. cit., p.291. Vd. anche G. K.
Galinsky, Ovid’s Metamorphoses. An Introduction to the Basic Aspects, op. cit., pp.186-90.
109
G. Nugent, op. cit., p.175 e A. La Penna, op. cit., p.239,241.
110
Met. IV, vv.368-388.
33
né ragazzo si può dire: sembra nessuno dei due ed entrambi.
Dunque come vede che le chiare acque in cui era sceso maschio
lo hanno reso maschio per metà e che in esse si sono infiacchite le sue
membra, tendendo le mani, con voce non più virile
Ermafrodito dice: “Concedete al vostro figlio,
che ha il nome di entrambi, o padre o madre,
che qualunque uomo che arrivi in questa fonte, ne esca
uomo a metà e diventi effeminato al solo tocco di queste acque”.
Mossi a pietà, entrambi i genitori le parole del figlio dai due sessi valide
resero e versarono nella fonte un liquido contagioso”.

Non riuscendo a concretizzare il suo desiderio, la ninfa rivolge agli dei la preghiera di tenerla per
sempre attaccata al puer; quella della fusione tra gli amanti è istanza tipica della poesia d’amore
latina111, e, abbiamo visto, è riscontrabile già nel Simposio. Ne troviamo traccia in Properzio: […]
quamvis diducere amantes/non queat invitos Iuppiter ipse duos112, il quale adopera diducere, lo
stesso verbo della preghiera di Salmacide. Analogamente, anche in Tibullo ritorna il tema
dell’indivisibilità auspicata dagli innamorati: sed potius valida teneamur uterque catena,/nulla
queat posthac quam soluisse dies113. Anche Lucrezio lo affronta, insistendo, però,
sull’irrealizzabilità in toto di questo desiderio di compenetrazione reciproca, che è quindi presentato
come un conato destinato a non soddisfarsi mai pienamente; in questo i vani e violenti sforzi degli
amanti lucreziani somigliano a quelli di Salmacide114.
Nel mito ovidiano, poi, tutto ciò è portato fino al parossismo dal fatto che il punto di vista non è
come di consueto, quello dell’uomo innamorato: Salmacide, una donna, non può fare suo
Ermafrodito (della mancanza di questa stessa vis si lamenta anche Ifi, nel IX libro del poema115)
contro la volontà di quest’ultimo. “Il misurarsi di due spinte uguali e contrarie crea così una
tensione insolubile, una di quelle crisi senza uscita che nel mondo ovidiano sono immancabile
preludio delle trasformazioni116”. La soddisfazione immediata di una passione così bruciante,
provata per vergini non consenzienti, descritta quasi negli stessi termini, tocca nel poema a divinità
maschili, mentre qui la tensione che si crea sarebbe destinata a rimanere senza sbocchi, se il
meccanismo della metamorfosi non intervenisse a riequilibrare la situazione117. Gli dei, tuttavia,
esaudiscono la preghiera alla lettera e questo rende impossibile, di fatto, la realizzazione del
desiderio di Salmacide118, che viene fusa con Ermafrodito fino a non diventare altro che un attributo
del ragazzo119, annullandone la virilità incipiente e convertendola in mollitia120. La trasformazione,

111
A. La Penna, op. cit., p.241.
112
Elegie ,II, 7 vv. 3-4.
113
IV, 5, vv. 15-16, Tibulle. Elégies, a cura di M. Ponchont, Les Belles Lettres, Paris, 1968.
114
Per esempio, De Rerum Natura, IV, vv.1079-81:“Quod petiere, premunt arte faciuntque dolorem/corporis, et dentes
inlidunt saepe labellis/osculaque adfligunt […]” e IV, 1111-1112: “nec penetrare et abire in corpus corpore toto;/nam
facere interdum velle et certare videntur”, Lucretius. De Rerum Natura, a cura di W.H.D. Rose- M.F. Smith, The Loeb
Classical Library, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts-London, 1975. Per contro in M. Labate, op. cit.,
p.60, si afferma, a proposito della metamorfica realtà del poema ovidiano: “Un mondo così elastico non presenta
certo agli amanti l’invalicabile ostacolo della lucreziana impenetrabilità dei corpi”.
115
Vd. capitolo su Ifi.
116
M. Labate, op. cit., p.55.
117
“La metamorfosi segna dunque spesso il rivolgimento risolutivo, quello che pone fine alla vicenda”, A. Perutelli, Il
fascino ambiguo del miracolo laico, op. cit., p.XXXVIII.
118
M. Labate, op. cit., p.61 e A. La Penna, op. cit., p.242.
119
Vd. G. Nugent, op. cit., p.177.
34
quindi, contemporaneamente sblocca un’impasse e punisce Salmacide, colpevole di aver troppo
agito, pur essendo una donna, per soddisfare le proprie brame amorose121.
L’essere risultante da questa trasformazione ha uno statuto ambiguo: è descritto con
un’immagine, quella dell’innesto, non esiste neppure una parola per definirlo (se non,
significativamente, il nome proprio di chi l’ha appena subita, androgino per antonomasia 122). Dopo
la trasformazione, Ermafrodito cerca di riprendersi un’agency con la maledizione che lancia alla
fonte e che viene puntualmente esaudita123; per quanto l’azione degli dei possa sembrare a questo
punto contraddittoria, essa permette al narratore ovidiano di perseguire due “differenti scopi
narrativi124”, raccontando le origini sia delle peculiarità attribuite alla fonte Salmacide sia della
particolare conformazione sessuale di Ermafrodito. Di quest’ultima, comunque, non abbiamo
delucidazioni precise, dal momento che Ovidio sa che il lettore antico conosce già la fama della
fonte così come la figura di Ermafrodito, e quindi parla degli esiti della metamorfosi in un modo
che rimane comunque allusivo. L’interesse di Ovidio, infatti, non sta nel delineare cosa esattamente
Ermafrodito è diventato dopo la trasformazione, ma nel parlare di quest’ultima, del momento esatto
della transizione del corpo del giovane da uno status all’altro.
In ogni caso, emerge chiaramente come, per Ermafrodito, la “contaminazione” con Salmacide
sia una diminuzione: l’abituale processo di mascolinizzazione125 a cui il puer sarebbe andato
incontro crescendo, da questo momento in poi è per sempre bloccato e la sua condizione rimarrà
quella di “perpetual youth construed as transsexuality126”; senz’altro il nuovo essere suscita
compassione, mentre le acque della fonte, una volta eseguita la preghiera, ne risultano inquinate.
L’effetto della fonte è, infatti, più volte caratterizzato negativamente, ad esempio al verso 287 con
l’aggettivo infamis o con incesto al verso 388127. Ermafrodito, dopo la fusione con Salmacide, è un
individuo depauperato128; al contrario dell’androgino platonico, per il quale il possesso dei due
sessi, rispondendo all’aspirazione umana alla totalità, corrisponde ad uno stato di pienezza129, “la
bisexualité équivaut ici, ainsi qu’on pouvait s’y attendre, non à une richesse, mais à une
privation130”. Alla fine della loro lotta, nessuno dei due contendenti risulta dunque vincitore, “der
Kampf endet unentschieden131”.
In pratica Ermafrodito, pur riassumendo in sé sia il maschile che il femminile, è ora un essere
inferiore rispetto a quello che era prima; una motivazione di ciò potrebbe essere il fatto che, in una
cultura androcentrica come quella romana132, la fusione con una donna non può che comportare una
120
Il termine è qui usato nella sua accezione sessuale e indica l’effeminatezza, vd. F. Boemer, op. cit., p.131 e M.
Robinson, op. cit., p.214.
121
L’aggressività sessuale femminile è pericolosa e può avere esiti mostruosi, vd. C. Segal, op. cit., p.21 e capitolo su
Ifi.
122
Secondo M. Robinson, op. cit., p.220, l’intero episodio è un pretesto per un gioco di parole: il termine
“ermafrodito” è usato in tutti e tre i suoi sensi: androgino, effeminato, nome proprio di una divinità.
123
“Hermaphroditus attempts to reassert his control over the gaze”, A. Keith, op. cit., p.219.
124
M. Labate, op. cit., p.52.
125
Vd. capitolo su Ceneo, nota 56.
126
A. Keith, op. cit., p.239. Vd. anche L. Brisson, op. cit., p.56.
127
F. Boemer, op. cit., p.132.
128
È qualcosa di parziale, un semivir, vd. G. Nugent, op. cit., p.163.
129
Vd. J. Libis, op. cit., p.219.
130
M. Delcourt, op. cit., p.80.
131
F. Boemer, op. cit., p.125.
132
In cui i rapporti di potere sono orientati a livello di genere, vd., tra gli altri, L. Brisson, op. cit., p.41: “être un
homme, c’est tenir un rôle actif, être une femme c’est avoir un rôle passif “; B. J. Brooten, Love Between Women. Early
Christian Responses to Female Homoeroticism, The University of Chicago Press, Chicago-London, 1996, p.2; p.84,86 di
35
perdita per l’individuo di sesso maschile che la dovesse subire, rendendolo qualcosa di
mostruoso133. Sembra, però, di poter concludere che il problema sia soprattutto quello
dell’ambiguità sessuale: non potendosi incasellare né nel maschile né nel femminile, un essere come
Ermafrodito è inquietante e pone problemi, poiché trascende il sistema di opposizioni binarie su cui
il pensiero antico basava la propria costruzione della realtà134. L’androgino, esaltato come simbolo
filosofico, suscita ripugnanza quando si manifesta nella realtà135. Il sogno platonico, una volta
realizzato, si è trasformato in incubo.

K. Ormand, Impossible Lesbians in Ovid’s Metamorphoses, R. Ancona-E. Greene, Gendered Dynamics in Latin Love
Poetry, The John Hopkins University Press, Baltimore, 2005, pp.79-110.
133
Sull’idea della definizione della donna effettuata per sottrazione a partire dall’uomo vd. P. DuBois, Il corpo come
metafora. Rappresentazioni della donna nella Grecia antica, Laterza, Bari 1990, p.45.
134
L. Brisson, op. cit., p.39: “Les êtres dotés des deux sexes ne trouvèrant leur place dans aucune société antique,
parce qu’ils constituaient un écart plus ou moins menaçant par rapport à la norme, qui impliquait entre les sexes une
différenciation biologique claire fondant une différenciation des rôles non seulement dans les relations sexuelles, mais
aussi dans les différents tâches sociales”.
135
“Nous ne pouvons manquer d’être frappés par le contraste qui se manifeste entre l’exaltation des «vertus»
androgyniques, telle qu’elle est proférée dans tout un contexte mythico-religieux et le rejet radical des
hermaphrodites qui surgissent effectivement du sein de la nature”, J. Libis, op. cit., p.173. Per il modo in cui gli
androgini erano percepito dai Romani, vd. capitolo su Tiresia.

36
Ifi: impossibilità dell’amore tra due donne o travestimento rituale?
Nella parte finale del IX libro del poema, ai vv.666-797, il narratore delle Metamorfosi racconta
la storia di un altro cambiamento di sesso, quello di Ifi. L’episodio si svolge a Creta e viene inserito,
fin dai primi versi che lo annunciano, nell’ambito del mirum, perfettamente in linea con quanto
Ovidio fa raccontando le altre trasformazioni del suo poema, senza riservare ai cambiamenti
sessuali dei trattamenti che li facciano percepire come costitutivamente diversi1. Egli dice, infatti,
secondo una formula di transizione quasi cinematografica che gli permette di congedarsi dal
racconto precedente (quello di Biblide):

Fama noui centum Cretaeas forsitan urbes


implesset monstri, si non miracula nuper
Iphide mutata Crete propiora tulisse.

“Le cento città di Creta la notizia dello straordinario


prodigio avrebbe riempito, se poco prima un altro portento
non avesse avuto luogo proprio a Creta: la trasformazione di Ifi2”.

Ecco cosa accade. Il cretese Ligdo, povero ma di nascita libera, intima alla moglie incinta di far
uccidere il bambino che darà alla luce, qualora si tratti di una femmina (“edita forte tuo fuerit si
femina partu/invitus mando; Pietas ignosce, necetur”, v.678). Per quanto il gesto sembri a Ligdo
odioso3, esso è, infatti, reso necessario dalle ristrettezze economiche in cui versa il piccolo nucleo
familiare, poiché una figlia femmina, cui va fornita una dote, risulterebbe per questo motivo troppo
onerosa4 (“onerosior altera sors5 est,/et uires fortuna negat” […], vv.676-7). Nonostante le
suppliche della moglie Teletusa, Ligdo è irremovibile (certa sua est Ligdo sententia […], v.684).
Quando quella è ormai vicina al parto, Iside le appare in sogno, rassicurandola sul fatto che potrà
tenere il bambino, di qualsiasi sesso esso nascerà (“nec dubita, cum te partu Lucina leuarit,/tollere
quid quid erit” [...], vv.698-9). Ella partorisce una bambina e, seguendo felice il comando della dea,
la alleva come fosse maschio, all’insaputa di Ligdo e di tutti, eccezion fatta per la nutrice (vv.705-7:
[…] nata est ignaro femina patre,/iussit ali mater puerum mentita, fidemque/res habuit, neque erat
ficti nisi conscia nutrix). Quando Ifi ha ormai tredici anni, il padre la promette a Iante (Tertius
interea decimo successerat annus,/cum pater, Iphi, tibi flava despondit Ianthen,/inter Phaestiades,
quae laudatissima formae/dote fuit virgo, Dictaeo nata Teleste, vv.714-7), bellissima coetanea di
cui Ifi è innamorata, pur temendo che, anche se la sposerà, non potrà amarla in modo soddisfacente,
non essendo un uomo. Contemporaneamente, Teletusa cerca di rimandare le nozze con svariati
espedienti, temendo che il suo inganno, perpetrato per anni, sia ora svelato (haec Telethusa timens
modo tempora differt,/nunc ficto languore moram trahit […], vv.766-7). Il giorno prima della

1
Vd. capitolo su Tiresia e A. Perutelli, Il fascino ambiguo del miracolo laico, op. cit.. “This narrative is about miracula”,
D. T. Pintabone, Ovid's Iphis and Ianthe: When Girls Won't Be Girls in N. S. Rabinowitz-L. Auanger Among Women:
From the Homosocial to the Homoerotic in the Ancient World, University of Texas Press, Austin, 2002, p.261.
2
Met. IX, vv.666-8, Ovidio. Metamorfosi. Volume IV. Libri VII-IX, a cura di E. J. Keeney-G. Chiarini, Fondazione Lorenzo
Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 2011.
3
“come tutti i personaggi delle Metamorfosi, anch’egli deve agire come la forza suprema ha stabilito per lui”,
Metamorfosi. Volume IV. Libri VII-IX, op. cit., p.470.
4
“il punto è che la donna non sa provvedere a se stessa”, Ovidio. Metamorfosi. Volume IV. Libri VII-IX, op. cit., p.471.
5
Come nell’episodio di Tiresia, (Met. III, v.329), sors è impiegato al posto di sexus, che doveva risultare troppo
prosaico, vd. Ovidio. Metamorfosi. Volume IV. Libri VII-IX, op. cit., p.470 e anche F. Boemer, P. Ovidius Naso.
Metamorphosen. Buch VIII-IX, Carl Winter-Universitaetsverlag, Heidelberg, 1977, p.476.
37
celebrazione delle nozze, ormai non più procrastinabili, ella conduce la figlia al tempio di Iside e
supplica la dea di aiutarle di nuovo, come tredici anni prima (vv.779-781: […] “quod non ego
punior, ecce/consilium munusque tuum est: miserere duarum/auxilioque iuva”. Lacrimae sunt
verba secutae.). L’altare si scuote in segno di assenso (uisa dea est mouisse suas et mouerat
aras, v.782) e, mentre madre e figlia si allontanano dal tempio, Ifi è trasformata in un puer. Può
così finalmente sposare e fare sua Iante, non senza ringraziare pietosamente gli dei con doni ed
un’epigrafe votiva (vv.792-4: […] dant munera templis,/addunt et titulum; titulus breue carmen
habebat:/DONA PUER SOLVIT QVAE FEMINA VOVERAT IPHIS).
Con Ifi, Ovidio dedica uno spazio consistente del suo poema (più di cento versi) ad un episodio
che ci offre un interessante spaccato di come gli antichi percepivano due tematiche su cui,
altrimenti, abbiamo un silenzio pressoché totale nelle fonti. Oltre al cambiamento di sesso, esso
racconta, infatti, la storia di un sentimento omoerotico femminile, fenomeno poco testimoniato
negli autori antichi (soprattutto se prendiamo come termine di paragone lo spazio che essi dedicano,
invece, alle relazioni tra uomini) che, peraltro, quando ne parlano, come vedremo più oltre, lo fanno
quasi sempre in tono denigratorio6. Ovidio sembra comportarsi, perciò, in modo decisamente
atipico, poiché possiamo fin d’ora anticipare presenta sia il personaggio di Ifi che la sua
7
passione “in a sympathetic light ”.
Partiamo dal nome della protagonista, Ifi appunto. Di questo Ovidio dice:

Uota pater soluit nomenque imponit auitum:


Iphis auus fuerat. Gauisa est nomine mater,
quod commune foret nec quemquam falleret illo.

“Il padre adempì al voto e le impose un nome ereditato:


Ifide, come il nonno. La madre se ne rallegrò,
poiché era un nome comune a entrambi i sessi e con quello non ingannava alcuno8”.

Il nome, dunque, assolve a una duplice funzione: essendo lo stesso che aveva il nonno di Ifi,
permette a Lidgo di vivere nella confortante sebbene ingannevole certezza che il sistema patriarcale
sia stato riaffermato9, ed è anche utilizzabile per designare entrambi i sessi, così da attenuare i sensi
di colpa di Teletusa. Ma c’è dell’altro: “sarebbe connesso etimologicamente con ἶφι, «con la forza»,
in latino vis10”, che a sua volta si collega a vir, quello che Ifi non è. Vis indica, infatti, la forza
diretta contro qualcuno, richiamandosi perciò a vir (perché l’uomo è colui che tipicamente da inizio

6
Vasta è la bibliografia sul tema, di cui possiamo citare: p.21 di D. Kamen, Naturalized Desires and the Metamorphosis
of Iphis, in “Helios”, 39 (2012), pp.21-36; p.205 di J. Walker, Before the Name: Ovid's Deformulated Lesbianism, in
“Comparative Literature”, Vol. 58, No. 3, Summer, 2006, pp. 205-222; p.79-80, 83 di K. Ormand, Impossible Lesbians in
Ovid’s Metamorphoses, op. cit.; M. Johnson-T. Ryan, Sexuality in Greek and Roman Society and Literature: a
Sourcebook, Routledge, London-New York, 2005, p.4 e p.111; D. T. Pintabone, Ovid's Iphis and Ianthe: When Girls
Won't Be Girls, op. cit.; E. Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Editori Riuniti, Roma, 1988,
pp.107-114 e 211-9; B. J. Brooten, Love Between Women. Early Christian Responses to Female Homoeroticism, op. cit.,
pp.4-9 et al.
7
D. T. Pintabone, op. cit., p.264. Kirk Ormand (op. cit., p.80) parla, invece, di “considerable empathy”, poiché Ovidio
non esprime alcuna condanna.
8
Met. IX, vv.708-710.
9
“the child is even named patrilineally. In other words, all seems «in order »”, D.T. Pintabone, Ovid's Iphis and Ianthe:
When Girls Won't Be Girls, op. cit., p.262. Vd. anche J. Walker,op. cit., p.214-5.
10
Vd. Ovidio. Metamorfosi. Volume IV. Libri VII-IX, op. cit., p.469 e anche Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G.
Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.1261 .
38
alla violenza) e anche a vires, il potere fisico di esercitare la vis11. Per una specie di ironia della
sorte, il nome di Ifi indica, perciò, tutte le caratteristiche che mancano alla ragazza che lo porta 12. In
un testo che basa una parte del suo fascino sul fatto di non dare mai un nome alla passione della
protagonista, percepita – come vedremo – come contro natura, quindi inconcepibile e perciò
innominabile13, è interessante notare quanta attenzione sia invece rivolta al nome della protagonista,
e anche agli altri nomi propri presenti. In Changing names: the miracle of Iphis in Ovid14, Stephen
Wheeler analizza questa dinamica, dimostrando che il nome di Ifi prefigura il destino del
personaggio, come spesso nelle Metamorfosi accade con i nomi propri greci15. Secondo una prassi
tipicamente ellenistica, Ovidio riprende questa storia da una tradizione già esistente, ma i nomi dei
personaggi sono tutti da lui reinventati autonomamente16. Oltre a Ifi, che, abbiamo detto essere
nome che si ricollega ai concetti di forza e virilità, c’è anche Teletusa, da τελετή, “rito di
iniziazione” (e lei è effettivamente un’iniziata di Iside). Stessa origine ha probabilmente Teleste,
nome del padre di Iante, che a sua volta indica il fiore della viola (da ἲον e ἂνθος). Quest’ultimo
nome anticipa già chi delle due ragazze dovrà trasformarsi in uomo per far sì che il matrimonio si
concretizzi in modo ortodosso: di certo Ifi, “la forza”, non Iante, “il fiore di viola”, destinato ad
essere colto17.
Nel descrivere il sentimento reciproco fra le due ragazze, il narratore ovidiano ne sottolinea le
somiglianze:

Par aetas, par forma fuit, primasque magistris


accepere artes, elementa aetatis, ab isdem.
Hinc amor ambarum tetigit rude pectus et aequum
uulnus utrique dedit. […]

“Pari età, pari bellezza avevano e dagli stessi maestri


appresero i rudimenti delle prime nozioni.
Da qui l’amore toccò di entrambe i cuori inesperti, e uguale
ferita a entrambe inferse18”.

Notevole è l’insistenza sulla somiglianza tra le due fanciulle: “tutto è aequum, par, anche ciò che
non dovrebbe esserlo19”. Come nel mito di Narciso (Met. III, vv.344-510), innamorato della propria
immagine riflessa da uno specchio d’acqua, mutatis mutandis, l’“identità tra il soggetto e l’oggetto
del desiderio20”, rende impossibile l’amore. Qualcosa di analogo accade anche nel caso di
Ermafrodito (Met. IV, 285-388), poiché, proprio quando il desiderio di Salmacide viene esaudito,
ossia la fusione totale con il puer di cui si è innamorata a prima vista, la ninfa è annullata come
11
Vd. p.195 di S. Wheeler, Changing names: the miracle of Iphis in Ovid, in “Phoenix”, LI, 1997, PP. 190-202.
12
Ibid.
13
Vd. J. Walker, Before the Name: Ovid's Deformulated Lesbianism, op. cit. In tutt’altro contesto geografico, storico e
sociale, l’Inghilterra di età vittoriana, la passione omosessuale, questa volta tra uomini, è definita, secondo una
formulazione particolarmente felice, “the love that dare not speak its name” (dal componimento Two Loves di Lord
Alfred Douglas, 1894).
14
S. Wheeler, Changing names: the miracle of Iphis in Ovid, op. cit., p.195.
15
Ivi, p.190.
16
Ivi, p.191. La fonte pare sia Nicandro, di cui abbiamo una fonte di tradizione indiretta in Antonino Liberale, XVII (Les
Métamorphoses, a cura di M. Papathomopoulos, op. cit.). Per i rapporti tra le due versioni vd. oltre.
17
S. Wheeler, op. cit., p.194.
18
Met. IX, vv.718-721.
19
Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, Einaudi, op. cit., p.1266.
20
Ibid.
39
individualità e non può più, quindi, realizzare il suo amore21. Vi è anche un altro caso nelle
Metamorfosi (X, vv.298-502) in cui il narratore trasforma la vicinanza tra due individui
nell’ostacolo principale alla realizzazione dell’amore, quello di Mirra, innamorata di suo padre22.
Ovidio esprime la somiglianza tra Ifi e Iante con vari espedienti retorici 23: la ripetizione
dell’aggettivo par, l’uso di idem per indicare la condivisione degli stessi maestri, il fatto che
l’amore tocchi entrambe (ambarum) nello stesso modo (aequum uulnus). Al v.725 abbiamo poi:
ardetque in uirgine uirgo, poliptoto con cui Ovidio, come fa notare Franz Boemer, ci indica come
l’analogia di caratteri tra Ifi e Iante sia pericolosamente forte: una vergine non può amarne
un’altra24. In realtà, va detto che una differenza tra Ifi e Iante c’è, e non è neanche delle più
irrilevanti: Iante non sa che Ifi è una fanciulla, ma a questo non dedicheremo spazio poiché, nel
passo ovidiano, non vi è approfondimento del punto di vista di Iante, la classica promessa sposa che
attende impaziente ma docile il giorno delle nozze: […] sed erat fiducia dispar./Coniugium
pactaeque exspectat tempora taedae,/quamque uirum putat esse, uirum fore credit Ianthe (vv.721-
3)25.
Se l’amore debba essere tra simili o tra diversi, è una questione che si pone già in Platone26 e
abbiamo visto anche in Ovidio. Di là da tale approccio più squisitamente filosofico alla questione,
il nocciolo del problema qui è però strettamente di natura sessuale27. Ifi è, infatti, fermamente
convinta che, a meno che una tra lei e Iante non si trasformi in un uomo 28, il loro amore non potrà
concretizzarsi. Queste sue angosce sono espresse in un lungo monologo, incastonato al centro
dell’episodio, dal v.726 al v.763, che costituisce un unicum nella letteratura latina per la sua
esplicita dichiarazione di un amore omosessuale femminile29. Perché Ifi pensa che l’amore tra due
donne sia impossibile? Questo giudizio rispecchia il pensiero antico a riguardo? Naturalmente no.
Per quanto parchi di riferimento all’argomento, nonché spesso scettici, quando non derisori, gli
autori greci e latini ci attestano più volte casi di omoerotismo femminile. Nel Simposio platonico,
presentando le tre tipologie degli antenati dell’umanità attuale, Aristofane afferma che, dal taglio di
quelli di sesso unicamente femminile, sono derivate le donne che provano attrazione per altre
donne; cosa che è dunque possibile, al contrario di quel che pensa Ifi, e trae le sue origini addirittura
dai primordi dell’umanità:

21
Vd. capitolo su Ermafrodito.
22
K. Ormand, op. cit., p.92.
23
Vd. Ovidio. Metamorfosi. Volume IV. Libri VII-IX, op. cit., p.477.
24
F. Boemer, op. cit., p.493.
25
K. Ormand, op. cit., p.94. Boemer (op. cit., p.493) fa notare il gioco di parole tra vir inteso come mas e vir inteso
come maritus, al v.723.
26
È il tema del Liside, che, più precisamente, declina la questione in termini di φιλία. Gli interlocutori di Socrate in
questo dialogo sono, proprio come Ifi e Iante, degli adolescenti; sembra di poter trarre la conclusione che la loro età,
ancora fluida, sia la migliore per stabilire di che tipo debbano essere le persone coinvolte da una relazione a due.
27
D. T. Pintabone, op. cit., p.267: “Iphis implies that the problem here is a question of sex”. Ivi, p.264: “Her use of
Veneris to name the trouble-some matter may further suggest that she specifically means the sexual aspect of their
love”. Stesso uso di Venus fa Ovidio anche nell’episodio di Tiresia, Met. III, v.323.
28
Met. IX, vv.743-4. Cosa che ella giudica impossibile, ma che, puntualmente, accadrà. Il cambio di sesso è un evento
così straordinario che può essere voluto/effettuato solo da un dio, da nessun altro, per quanto geniale egli sia (Ifi cita
Dedalo): qui lo realizza Iside, nella storia di Cenis il responsabile è Nettuno; anche quello di Ermafrodito è l’effetto
(indesiderato) di una preghiera (di Salmacide); per quel che riguarda Tiresia, infine, bisogna tener presente che i
serpenti hanno delle puissances divinatoires e sono legati alla Gaia. Vd. Conclusioni.
29
K. Ormand, op. cit., p.90; D. Kamen, op. cit., p.21.; J. Walker, op. cit., p.205-6.
40
ὅσαι δὲ τῶν γυναικῶν γυναικὸς τμῆμά εἰσιν, οὐ πάνυ αὗται τοῖς ἀνδράσι τὸν νοῦν
προσέχουσιν, ἀλλὰ μᾶλλον πρὸς τὰς γυναῖκας τετραμμέναι εἰσί, καὶ αἱ ἑταιρίστριαι ἐκ
τούτου τοῦ γένους γίγνονται.

“Invece quante donne risultano parte di femmina, per nulla pensano agli uomini, ma più
volentieri sono inclinate alle donne, e da questo sesso vengono le tribadi30”.

Platone usa il termine ἑταιρίστριαι, ma la voce più usata in greco è τριβάς, che i Latini
trasformeranno in tribas. Già questo dimostra quale potesse essere l’atteggiamento romano nei
confronti di donne che manifestassero inclinazioni omosessuali: per definirle si utilizza un calco dal
greco, non un nome latino, allo stesso modo in cui Ovidio non nomina il sentimento di Ifi. Infatti:
“Latin authors use tribas as a loanword, which subtly underscores their view of sexual love between
women as a foreign phenomenon, something in which proper Roman matrons would never
engage31”. L’omoerotismo femminile è di solito percepito dagli autori antichi come qualcosa di
disturbante32 ed è presentato come “caricaturale riproduzione dei rapporti eterosessuali”33. Infatti
spesso le tribades dei testi che abbiamo sono donne estremamente mascoline, le cui relazioni sono
tinteggiate come “monstrous, lawless, licentious, unnatural, and shameful34”.
Marziale ci fornisce due significativi esempi di questa concezione35: nel primo (Ep. I, 90) si parla
di Bassa, sposata, che non commette adulterio con amanti uomini, ma si circonda di donne, e la cui
carica erotica somiglia a quello di un uomo: mentiturque virum prodigiosa Venus (v.8). Nell’altro,
abbiamo il personaggio di Filenide (Ep.VII, 67) che:

undenas dolat in die puellas,


harpasto quoque subligata ludit
et flavescit haphe, gravesque draucis
halteras facili rotat lacerto,
et putri lutulenta de palaestra
uncti verbere vapulat magistri:
ne cenat prius aut recumbit ante
quam septem vomuit meros deunces;
ad quos fas sibi tunc putat redire,
cum coloephia sedecim comedit.
Post haec omnia cum libidinatur,
non fellat (putat hoc parvum virile)36.

“Undici ragazze al giorno si lavora,


indossando delle fasce, gioca anche a palla
e, ingiallita di polvere, i manubri pesanti
per gli atleti fa roteare col braccio, senza sforzo
e, infangata, nella palestra putrida,

30
Platone, Simposio, 191e, Platonis Opera. Tomus II. Tetralogias III-IV continens, a cura di I. Burnet, Oxford University
Press, Oxford, 1901. La traduzione, di Piero Pucci, è tratta da Platone, Opere complete, Biblioteca Universale Laterza,
Roma-Bari, 1998.
31
B. J. Brooten, Love Between Women, op. cit., p.5.
32
“Both the Greek and Roman cultures throughout the ages generally looked with distaste upon female-female
relationship”, M. Johnson-T. Ryan, Sexuality in Greek and Roman Society and Literature: a Sourcebook, op. cit., p.111.
33
E. Cantarella, Secondo natura, op. cit., p.218.
34
B. J. Brooten, Love Between Women, op. cit., p.29.
35
Epigrammi I, 90 e VII, 67, Martial, Epigrams in two volumes. I, a cura di W.C.A. Ker, The Loeb Classical Library,
Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts-London, 1919.
36
Ep. VII, 67, vv.3-14.
41
viene ridotta male dal bastone del maestro unto d’olio:
né cena o si sdraia a convito prima
di aver vomitato sette coppe di undici ciati di vino schietto,
alle quali ritiene giusto poter fare ritorno
dopo aver divorato sedici polpette.
Poi, quando è vogliosa,
non lo succhia, credendolo poco virile”.

Da dove proviene l’idea che una donna attratta da altre donne debba per forza scimmiottare un
uomo, sfoggiando una virilità esagerata? La motivazione non pare essere troppo distante da quella
che spinge Ifi a credere impossibile, finché sarà una donna, la concretizzazione dell’amore con
Iante. La sessualità antica era concepita secondo un modello gerarchico che prevedeva la netta
distinzione tra chi ricopriva il ruolo attivo e chi svolgeva quello passivo37 e, trattandosi di una
società androcentrica38, “free, adult male citizens ought never be passive, and women should never
be active. Should they transgress these boundaries, society deemed their behavior «contrary to
nature»39”. L’androcentrismo implica, poi, un altro corollario: il ruolo di attività/passività in un
rapporto sessuale era stabilito in base a un parametro principale, quello della penetrazione40. Tutto
ciò faceva sì che:

“Female homoeroticism presented these authors with a dilemma. If they tried to fit it into a
male model of penetrator and penetrated, they encountered the problem that women do not
have phalluses, which renders irrelevant the distinction between active and passive”41.

La relazione tra donne, dunque, è inconcepibile agli occhi degli antichi, proprio perché, non
essendo strutturata in maniera gerarchica, “non prevede sottomissione, non può simbolizzare
trasmissione di potenza42”. L’imprescindibilità di questa dialettica attività/passività è
significativamente indicata da una delle domande retoriche presenti nel monologo di Ifi. Ella si
chiede, infatti:

“Pronuba quid Iuno, quid ad haec, Hymenaee, uenitis


sacra, quibus qui ducat abest, ubi nubimus ambae?43”

“Perché, Giunone Pronuba, Imeneo, venite a questo


rito in cui manca chi prenda moglie, giacché saremo mogli entrambe?”

Qui Ovidio gioca sulla differente terminologia che il latino impiega per dire che una donna o un
uomo si sposano: nel primo caso si usa nubere (che originariamente significa “velarsi”, “andare
velata a casa dello sposo”44), nel secondo ducere uxorem. Per contro, il sentimento che unisce Ifi e
Iante è caratterizzato, secondo Diane Pintabone, da “mutuality and equality, two ingredients
normally lacking in most of the heteroerotic stories Ovid relates, and more importantly, lacking in
37
K. Ormand, op. cit., p.80-4; B. J. Brooten, op. cit., p.241; J. Walker, op. cit., p.205; D. T. Pintabone, op. cit.,
pp.258,269.
38
P. Bourdieu, Il dominio maschile, op. cit., p.14; L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., p.41.
39
B. J. Brooten, Love Between Women, op. cit., p.2. Vd. Anche K. Ormand, op. cit., p.84,86.
40
K. Ormand, op. cit., p.80-2; J. Walker, op. cit., p.205-7, 212; D. T. Pintabone, op. cit., p.258, 266,268.
41
B. J. Brooten, Love Between Women, op. cit., p.6.
42
E. Cantarella, Secondo natura, op. cit., p.114.
43
Met. IX, vv.762-3.
44
K. Ormand, op. cit., p.95.
42
the Roman sexual ideology, which establishes a hierarchy of sexual activity […] over passivity45”.
Confutando l’idea in base alla quale il ruolo sessuale femminile deve essere quello di “passive,
subordinate recipients of penetration46”, una tale relazione mette in discussione i tradizionali ruoli di
genere47, a causa della sua natura simmetrica. Con la sua insistenza sulle somiglianze fra Ifi e Iante,
il narratore ovidiano sembra alludere anche a questo concetto.
Ecco, poi, come Ifi percepisce la propria passione per Iante:

Uixque tenens lacrimas“quis me manet exitus” inquit,


“cognita quam nulli, quam prodigiosa nouaeque
cura tenet Veneris? Si di mihi parcere uellent,
parcere debuerant; si non, et perdere uellent,
naturale malum saltem et de more dedissent.
Nec uaccam uaccae, nec equas amor urit equarum;
urit oues aries, sequitur sua femina ceruum.
Sic et aues coeunt, interque animalia cuncta
femina femineo correpta cupidine nulla est48.

“Dice, trattenendo a mala pena le lacrime: «Quale fine mi aspetta,


se mi prende l’affanno prodigioso di un amore inaudito,
provato da nessuno? Se gli dei mi volevano risparmiare,
avrebbero dovuto risparmiarmi, altrimenti, se volevano rovinarmi,
mi avessero dato per lo meno un male naturale e consueto.
La vacca non si infiamma per un’altra vacca né la cavalla per un’altra cavalla,
l’ariete fa infiammare le pecore, segue il cervo la femmina della sua specie.
Così anche gli uccelli si accoppiano e di tutti gli animali
non esiste femmina che sia presa dal desiderio per un’altra»”.

È evidente come Ifi giudichi contro natura il proprio sentimento, già a partire dagli aggettivi con
cui lo qualifica: cognitus nulli, prodigiosus, novus (v.727), che si contrappongono a naturalis e de
more (v.730), ma soprattutto dall’enumerazione di exempla di amori tratti dalla natura, tesa a
dimostrare che quelli omosessuali non sono contemplati49. Il narratore stigmatizza l’impossibilità di
questo tipo di relazione nel mondo animale attraverso dei poliptoti (vv.731-4), mentre gli amori
eterosessuali sono espressi, a livello stilistico, dalla figura della variatio (v.732)50. L’idea
dell’innaturalità della sua passione è ribadita più esplicitamente da Ifi qualche verso dopo, quando
elenca gli impedimenti convenzionalmente presenti nelle storie degli innamorati dell’elegia latina 51,
assenti nel suo caso (vv.750-4). Anche il suo amore, tuttavia, per quanto non sia ostacolato né dalla
stretta sorveglianza di un marito, né dalla severità di un padre o dalla durezza di cuore dell’amata,

45
D. T. Pintabone, op. cit., p.279-80. Vd. anche K. Ormand, op. cit., p.92.
46
B. J. Brooten, Love Between Women, op. cit., p.241.
47
Ibid.
48
Met. IX, vv.726-734.
49
In Ars, II, vv.481 sgg., Ovidio offre un catalogo simile, questa volta teso a mostrare il carattere istintuale dell’amore:
“Ales habet quod amet; cum quo sua gaudia iungat,/invenit in media femina piscis aqua./Cerva parem sequitur;
serpens serpente tenetur;/haeret adulterio cum cane nexa canis;/laeta salitur ovis; tauro quoque laeta iuvenca
est;/sustinet immundum sima capella marem;/in furias agitantur equae spatioque remota/per loca dividuos amne
sequuntur equos”. Similmente, in Longo Sofista, IV, 12, 1-2, Gnatone cerca di sedurre Dafni e gli chiede di concedersi a
lui come le capre al montone. Dafni gli risponde con un elenco di accoppiamenti animali volti a dimostrare
l’innaturalità della passione omosessuale (Longus. Pastorales, a cura di J.-R. Vieillefond, Les Belles Lettres, Paris, 1987).
50
Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, op. cit., p.1267. Vd. anche K. Ormand, op. cit., p.90.
51
D. T Pintabone, op. cit., p.266; K. Ormand, op. cit., p.96. Vd. oltre.
43
come quelli dell’elegia, è infelice, perché non uult Natura, potentior omnibus istis,/quae mihi sola
nocet52[…]. Che il modo di intendere la natura da parte della fanciulla vada approfondito53, è
evidente da un paragone che ella fa con una storia d’amore tratta da un altro ambito, quello del
mito. Rimanendo in contesto cretese, Ifi cita, infatti, la famigerata storia di Pasifae, parlandone in
questi termini:

Uellem nulla forem! Ne non tamen omnia Crete


monstra ferat, taurum dilexit filia Solis,
femina nempe marem: meus est furiosior illo,
si uerum profitemur, amor. Tamen illa secuta est
spem Veneris, tamen illa dolis et imagine uaccae
passa bouem est, et erat, qui deciperetur adulter54!

«Vorrei non essere! Tuttavia, perché a Creta tutte


le mostruosità avessero luogo, la figlia del Sole amò un toro:
in realtà, femmina, amava un maschio; è più folle di quello il mio
amore, se vogliamo dire la verità; eppure ella assecondò
la passione, eppure ella, con l’inganno e con il falso aspetto di vacca;
fu presa dal toro e fu l’adultero che venne ingannato!».

La storia di Pasifae è vista come naturale, perché si tratta di un amore eterosessuale, che
conferma “the traditional sexual roles (penetrated female, penetrator male)55”; male, non man,
perché il partner di Pasifae è un toro, ma questo per Ifi, il cui problema è di altra natura, passa in
secondo piano. Così come passa in secondo piano anche il fatto che Pasifae “seduca” il toro con
l’inganno, spacciandosi a sua volta per una vacca e, usurpando, così, un ruolo che è
tradizionalmente maschile, quello di chi stupra assumendo false sembianze. Nelle Metamorfosi
accade spesso, e di solito si tratta di dei56. In ogni caso, però, anche se l’infedele consorte di
Minosse si comporta in modo molto intraprendente per soddisfare il proprio desiderio (cosa che Ifi
non fa e su questo torneremo), ella, tuttavia, agisce da donna a livello sessuale, essendo
“behaviorally active but sexually passive”57. Questo è quello che conta.
Pertanto possiamo concludere che quella che Ifi chiama “natura” vada intesa come “gendered
human nature58”: il paradigma naturale è usato per far apparire come immutabili le strutture sociali
esistenti59, e quindi “nature, far from dictating human conduct, is actually subjected to interpretation
and fashioned by culture into a foundation for its own normative practices 60”. Innaturale è ciò che è
inconcepibile per una data cultura61. In questo caso ad essere condannata non è la relazione

52
Vv.758-9.
53
Peraltro Ovidio, nel suo poema, usa natura in varie accezioni, ma qui sembra parlarne intendendola “as an external
force”, che crea, da e toglie, in base a leggi sue proprie, vd. D. Kamen, op. cit., p.25.
54
Met. IX, vv.735-740.
55
D. T. Pintabone, op. cit., p.269.
56
Vd., ad esempio, Met. II, 409-465 (Giove e Callisto), IV, 190-255 (Apollo e Leucotoe), XIV, 622-692 e 765-771
(Vertumno e Pomona).
57
Ibid. Vd. anche K. Ormand, op. cit., p.54.
58
B. J. Brooten, op. cit., p.280. Vd. anche D. Kamen, op. cit., p.26-7.
59
J. Walker, op. cit., p.210; P. Bourdieu, Il dominio maschile, op. cit.
60
Ivi, p.213.
61
D. Kamen, op. cit., p.26.
44
omoerotica “per se62”, ma la mancanza di asimmetria, per la cultura romana “naturale” nei rapporti
a due63.
Ovidio tratta queste tematiche col suo consueto approccio, multiforme a livello di genere
letterario64, e questa volta anche di genere sessuale. Egli, infatti, fa confluire nella storia di Ifi non
solo le più disparate tipologie letterarie: elegia, commedia nuova (per l’amore contrastato, ma qui
l’unico ostacolo è lo statuto biologico delle due persone innamorate) e tragedia (per l’intervento
risolutivo di un deus ex machina), in un poema che è stato definito come anti-epico65, ma gioca con
gli stereotipi legati ai ruoli di genere, contemporaneamente negandoli e riaffermandoli:

“Ovid, as is common in his works, has it almost all ways: he manages to present both a
positive and a negative portrait of woman-for-woman passion suggesting that it is both
natural and unnatural precisely by simultaneously overturning stereotypes and reinforcing
them. He provides no firm judgment of his own66”.

Ovidio all’inizio mostra le idee che i Romani associavano alla femminilità (Ligdo sostiene che
crescere una femmina sia onerosior), poi le nega (non si accorge, però, che quello che crede un
figlio è in realtà una femmina), per riaffermarle in ultima istanza (quando Ifi è trasformata in puer,
in effetti, cambia fisicamente, diventando più forte)67. Si instaura una dialettica ambigua anche per
quel che riguarda le gerarchie68: con la trasformazione di Ifi in un uomo, infatti, sembrerebbe
riaffermata una visione androcentrica, ma, in realtà, nel corso dell’episodio, i personaggi femminili
sono ben più risolutivi (in particolare Teletusa e Iside)69. Inoltre Teletusa viene meno ai suoi doveri
di moglie, disobbedendo al marito, ma ciò non fa di lei un’empia, poiché obbedisce ad un’autorità
superiore, quella divina70. Tuttavia, è soprattutto nel personaggio di Ifi che si esprime al meglio il
gioco duplice di Ovidio: ella è stata cresciuta come un uomo e tale si percepisce a livello di genere
(e la credono gli altri), ma sa di essere biologicamente donna (altrimenti non si condannerebbe per i
suoi sentimenti71) e, come una donna agisce (ossia non agisce) non facendo nulla perché il suo
desiderio possa essere appagato72. In questo consiste la sua pietas, è per questo che gli dei non la
puniscono73. Nelle Metamorfosi, infatti, le donne che esprimono attivamente i propri desideri
sessuali vengono di solito punite74. È il caso di Biblide75, che a differenza di Ifi, si adopera per
concretizzare il proprio desiderio di unione con il fratello Cauno, usurpando un ruolo

62
K. Ormand, op. cit., p.97.
63
Ibid.
64
“In fact, there is not a genre that he did not utilize”, G. K. Galinsky, op. cit., p.4.
65
D. T. Pintabone, op. cit., p.279. Con tale definizione dissente G. K. Galinsky, op. cit., p.11,15.
66
Ivi, p.259. Vd. anche J. Walker, op. cit., p.208-9, 213; G. K. Galinsky, che parla, per la narrazione ovidiana, di
“avoidance of true moral solution”, op. cit., p.13.
67
Ivi, p.276.
68
Uno dei temi del poema è l’accettazione della gerarchia. Ogni tentativo di sovvertirla è severamente punito, vd. D.
T. Pintabone, op. cit., p.279.
69
J. Walker, op. cit., p.218-9.
70
D. T. Pintabone, op. cit., p.262.
71
definendoli prodigiosa. Curiosa questa nota di Jonathan Walker: “That the first extant appearance of the word
prodigiosa coincides with what Iphis believes to be the first appearance of female same-sex desire is a trick of history
too extraordinary to leave unobserved”, J. Walker, op. cit., p.217.
72
D. T. Pintabone, op. cit., p.276.
73
Nell’episodio, secondo G. K. Galinsky (op. cit., p.86), regna una “atmosphere of piety”.
74
Ivi, pp.270-4. Vd. anche K. Ormand, op. cit., p.84.
75
Met. IX, vv.450-665.
45
tradizionalmente maschile76. Altre donne che subiscono un castigo divino perché troppo
intraprendenti in ambito amoroso sono Semele, che, dopo aver chiesto a Giove di congiungersi a lei
in tutta la sua potenza divina, finisce bruciata; Eco, che diventa una voce, fallito il suo tentativo di
ottenere l’amore di Narciso; Salmacide, assorbita in Ermafrodito, non riuscendo a convincerlo a
concedersi a lei; Mirra, colpevole di incesto con il padre, che sarà tramutata in un albero 77. Tutte
subiscono trasformazioni che stravolgono la loro natura umana78. Inoltre, facendo rimanere Ifi
passiva, Ovidio rompe con la tradizione in base alla quale le tribades perseguono aggressivamente i
loro desideri79.
Al contrario Ifi, in fondo, non infrange mai, nelle azioni, i ruoli di genere costruiti dalla cultura
romana. Solo dopo l’intervento divino il suo amore potrà essere concretizzato, e in quest’ottica la
trasformazione, più che punire, sembra servire a comporre “situazioni di squilibrio”80, (mentre
Biblide è punita con la trasformazione in fontana81). Sembra di poter dire, anzi, che la
trasformazione di Ifi sia una promozione da parte della divinità, come spesso accade quando una
donna è tramutata in uomo82, “in fact, some might argue that she is elevated, according to her
position in a patriarchal structure83”. Inoltre tutto ciò dimostra il carattere relazionale che l’identità
sessuale ha nel poema ovidiano, visto che “the gods do not change her love, they change her sex 84”;
peraltro Ifi, nel suo monologo, suggerisce in questi termini la soluzione, irrealizzabile anche per
l’ingegno di Dedalo, che una tra lei o Iante sia trasformata in uomo:

Ipse licet reuolet ceratis Daedalus alis,


quid faciet? Num me puerum de virgine doctis
artibus efficiet? Num te mutabit, Ianthe?85

«Anche se Dedalo in persona, con le sue ali di cera, facesse ritorno volando,
che potrebbe fare? Potrebbe forse rendermi un ragazzo, da fanciulla che sono, con le sue
esperte arti? Potrebbe forse trasformare te, Iante?»

Ciò mostra come il nocciolo della questione non sia chi delle due fanciulle debba svolgere il
ruolo attivo nel rapporto sessuale, ma che questo rapporto diventi possibile86.
La “passività” di Ifi, fin qui discussa, potrebbe essere motivata anche in termini di aderenza ad
un genere letterario: ella si comporterebbe, infatti, come il giovane innamorato dell’elegia,
annichilito dalla forza della sua passione87. Abbiamo, infatti, a livello tematico-stilistico, varie
tangenze con l’elegia nel monologo di Ifi: innanzitutto i già citati versi in cui ella elenca i possibili
ostacoli alla realizzazione di un amore, quelli topici di questo genere poetico:

[…] non te custodia caro

76
D. T. Pintabone, op. cit., p.270-1.
77
Vd. rispettivamente Met. III, vv.256-309; III, vv.339-510; IV, vv.285-388; X, vv.298-502.
78
D. T. Pintabone, op. cit., p.274.
79
Ivi, p.275.
80
Vd. A. Perutelli, Il fascino ambiguo del miracolo laico, op. cit., p.XXXVII.
81
D. T. Pintabone, op. cit., p.274.
82
Siginificativi sono i casi di Ceneo (Met., XII, 169-209, vd. relativo capitolo) e Mestra (Met. VIII, 843-878).
83
D. T. Pintabone, op. cit., p.279.
84
Ivi, p.271. Vd. anche J. Walker, op. cit., p.217.
85
Vd. vv.742-4.
86
D. T. Pintabone, op . cit., p.271.
87
K. Ormand, op. cit., p.96-7.
46
arcet ab amplexu nec cauti cura mariti,
non patris asperitas, non se negat ipsa roganti88.

“non un guardiano ti trattiene dall’amato


congiungimento, né la sorveglianza di un marito sospettoso,
né la durezza di un padre, e non è nemmeno lei a negarsi a te che la vuoi.”

Abbiamo, poi, l’uso del campo semantico delle fiamme per indicare il desiderio 89 (flammas,
v.725; urit, vv.731-2; ignes, v.746) e il riecheggiamento del carme 76 di Catullo (l’ovidiano quin
animum firmas teque ipsa recolligis, Iphi? ricorda il catulliano quin tu animum offirmas atque istinc
teque reducis?)90. Da stupore simile è colto Perseo non appena vede Andromeda (stupet, IV, v.676).
Ciò lo porta a comportarsi da quello che è stato definito come “the feminized lover of Latin love
elegy91”; infatti “love makes a man weaker, it paralyzes him, and, like a woman, he becomes
immobile and passive92”. Tutto questo, però, invece che ascrivere la condotta della fanciulla ad una
personalità maschile, in realtà sembra servire piuttosto, per Ovidio, a moltiplicare ancor di più i
possibili livelli di lettura dell’episodio.
Tenendo presenti i vari elementi fin qui esaminati, non sembra di poter concludere, come in
realtà è stato fatto, che con la storia di Ifi Ovidio esprima una condanna dell’omosessualità93. Non
possiamo negare che “the story, of course, has a happy ending engineered by the divinely ordained
sex-change, itself a comment on the superiority of heterosexuality over homosexuality and of
marriage over tribadism94”, ma le cose sono più complesse, perché, finché Ifi è stata donna, nè gli
dei nè il narratore hanno condannato il suo sentimento, ma solo Ifi stessa95.
Ovidio prende il mito di Ifi abbiamo detto da una fonte greca, Nicandro (Heteroioumena, II
libro, in cui compariva anche la storia di Biblide96), la cui versione ci è possibile ricostruire grazie
ad Antonino Liberale, XVII97. La storia è piuttosto simile, al di là dei nomi dei personaggi: in luogo
di Ifi abbiamo Λεύκιππος, al posto di Ligdo Λάμπρος, Teletusa è Γαλάτεια, nomi che danno idea di
splendore, in contrasto con la povertà di chi li porta98. Per altro, al nome di Leucippo (Erodoto XV e
Pausania VIII, 20, 2-4) si collega un’altra vicenda che insiste sul cambiamento di sesso, almeno
apparente: il giovane, figlio di Enomao, si veste da fanciulla per sedurre Diana. Scoperto, viene
ucciso dalle ninfe che sempre accompagnano la dea99. Il racconto di Antonino Liberale è molto
interessante anche per un altro aspetto che differisce dalla versione ovidiana del mito: prima di
raccontare la trasformazione di Leucippo, egli elenca altri exempla mitici di tipo analogo. Sfilano
88
Met. IX, vv.750-2.
89
D. T. Pintabone, op. cit., p.265.
90
D. Kamen, op. cit., p.27. I versi citati sono rispettivamente Met. IX, 745 e Catullo, Liber, 76, 11 (Catullus. Tibullus.
Pervigilium Veneris, a cura di F. W. Cornish-J. P. Postgate- J. W. Mackail-G. P. Goold, The Loeb Classical Library,
Harvard University Press, Cambridge Massachusetts-London, 1988).
91
P.163, P. Salzman-Mitchell, The Fixing Gaze. Movement, Image, and Gender in Ovid’s Metamorphoses, in Gendered
Dynamics in Latin Love Poetry, a cura di R. Ancona-E. Greene, The John Hopkins University Press, Baltimore, 2005,
pp.159-176.
92
Ibid.
93
Vd. pp.29-32 di J. F. Makowski, Bisexual Orpheus: Pederasty and Parody in Ovid , in “The Classical Journal” , Vol. 92,
No. 1 (Oct. - Nov., 1996), pp. 25-38.
94
Ivi, p.32.
95
D. T. Pintabone, op. cit., p.279.
96
Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, a cura di M. Papathomopoulos, Les Belles Lettres, Paris, 1968, p.106.
97
Vd. F. Boemer, op. cit., p.469.
98
Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, op. cit., p.106.
99
Sul tema Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, ibid. e M. Delcourt, op. cit., p.9.
47
così sotto i nostri occhi, in rapida carrellata, gli stessi personaggi protagonisti di metamorfosi
sessuali nelle Metamorfosi di Ovidio: Ceneo, Tiresia, (Iper)mestra100. Compare anche Siproites, non
nominato nel poema latino, punito per aver visto Artemide al bagno 101. Antonino Liberale connette,
quindi, queste storie tra loro molto più scopertamente di quanto non faccia Ovidio. La differenza
principale tra le due versioni, sta, però, nel cambiamento di sesso, sia per come è descritto, sia per la
divinità che interviene a realizzarlo (qui Iside, Λητὼ nella versione greca). Così Ovidio:

mater abit templo. Sequitur comes Iphis euntem,


quam solita est, maiore gradu; nec candor in ore
permanet et uires augentur et acrior ipse est
uultus et incomptis breuior mensura capillis,
plusque uigoris adest habuit quam femina. Nam, quae
femina nuper eras, puer es102. […]

“la madre se ne andò dal tempio. Ifide, che l’accompagnava, la segue,


tenendo un passo più lungo del solito; né il candore del volto,
permane, le aumentano le forze, più energico è
l’aspetto e di lunghezza minore sono i capelli, sparsi,
dispone di più forza di quanta ne avesse da femmina. Infatti, tu
che fino a poco fa eri una femmina, sei un ragazzo”.

Liberale, invece:

Ή δὲ Λητὼ συνεχῶς ὀδυρομένην καὶ ἱκετεύουσαν ᾢκτειρε τὴν Γαλάτειαν καὶ μετέβαλε τὴν
φύσιν τῆς παιδὸς εἰς κόρον. Ταύτης ἔτι μέμνηνται τῆς μεταβολῆς Φαίστιοι καὶ θύουσι
Φυτίῃ Λητοῖ, ἣτις ἔφυσεν μήδεα τῇ κόρῃ103 […].

“Letò ebbe pietà di Galatea, che senza tregua la supplicava piangendo, e tramutò la
ragazza in un giovane. Gli abitanti di Festo si ricordano ancora di questa trasformazione e
fanno sacrifici a Letò Phytié, che fece crescere i genitali alla fanciulla”.

Questa seconda fonte dice esplicitamente che la ragazza viene dotata di genitali maschili,
laddove Ovidio descrive cambiamenti più esteriori nel corpo di Ifi (il passo, il candore del volto 104 ,
la forza, il taglio e il modo di portare i capelli). Questo è spiegabile con il fatto che Letò era
venerata proprio per la sua capacità di far crescere i genitali ai ragazzi ed aveva, perciò, un ruolo in
rituali iniziatici di travestitismo, che dovevano sancire la fine della pubertà e l’ingresso nell’età
adulta105. È quello che Liberale spiega poche righe più sotto, aggiungendo, così, una coloritura
eziologica alla storia di Leucippo: infatti, gli abitanti di Festo, in memoria della trasformazione
della ragazza, celebrano la festa degli Ἐκδύσια e hanno l’usanza di far dormire la sposa a fianco di
un’immagine di Leucippo, (probabilmente una statua fallica in vesti femminili, secondo Marie
Delcourt106) prima delle nozze107. Vigeva un uso simile a Roma, dove la promessa sposa, la notte

100
Per i primi due vd. altri capitoli. Per la storia di Mestra vd. nota 80.
101
Vd capitolo su Tiresia.
102
Met. IX, vv.786-791.
103
Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, op. cit., XVII, 6.
104
il candore è “Zeichen weiblicher Schoenheit” (segno di bellezza femminile), secondo F. Boemer, op. cit., p.505.
105
Vd. sia capitolo su Tiresia che su Ceneo. Vd. anche S. Wheeler, op. cit., p.200; J. P. Vernant, Mito e società
nell’antica Grecia, Torino, Einaudi, 1981, pp.29-31.
106
M. Delcourt, Hermafrodite. Mythes et rites de la Bisexualité dans l’Antiquité classique, op. cit., p.10.
48
prima del matrimonio, dormiva accanto a una statua di legno che rappresentava Mutinus Tutunus, il
fallo108. La festa degli Ἐκδύσια, attestataci esclusivamente da Liberale, che fornisce anche,
secondo un gusto tipicamente ellenistico, una paraetimologia del suo nome (Ἐκδύσια: “quando si
sveste il peplo”, ἐπεὶ τὸν πέπλον ἡ παῖς ἐξέδυ)109, era probabilmente una festa annuale, che poteva
concernere sia i ragazzi al momento della pubertà, sia le giovani prima del matrimonio 110. Tramite
lo scambio rituale degli abiti, si attuava, in questi rituali, “la partecipazione momentanea alla natura
dell’altro sesso111”. Nel suo Hermaphrodite, Marie Delcourt parla dei rituali nuziali di Sparta, Argo
e Cos, in cui i mariti si vestivano da donna112. La storia di Ifi potrebbe essere letta, in effetti, anche
in questa chiave, considerandola cioè come eziologica di un rituale di iniziazione maschile in cui un
giovane puer si traveste ritualmente da donna per segnalare il suo passaggio a vir. Secondo Simone
Viarre, ad esempio, il mutamento di sesso di Ifi è descritto come se fosse una pubertà maschile
accelerata113. Spesso, infatti, nelle Metamorfosi, i soggetti che subiscono le trasformazioni sono
“adolescenti, che si trovano in uno stadio della loro identità particolarmente vulnerabile e
precario114”.
È utile soffermarsi sul modo, più raffinato e allusivo rispetto a Liberale 115, in cui Ovidio esprime
l’avvenuto cambiamento di sesso. Innanzitutto la sua scelta di mutare deus ex machina rispetto alla
tradizione greca, non ricade a caso su Iside. Secondo quanto è narrato da Plutarco, Iside, dopo
l’uccisione e lo smembramento del marito Osiride da parte del fratello Seth, ricerca tutte le parti del
corpo di Osiride, per ricomporlo, non riuscendo, però, mai a ritrovarne una: i genitali116: Μόνον δὲ
τῶν μερῶν τοῦ Ὀσίριδος τὴν Ἶσιν οὐχ εὑρεῖν τὸ αἰδοῖον117. Secondo Kirk Ormand, è a questo che
Ovidio allude con l’espressione numquam satis quaesitus Osiris118, impiegata per Osiride, quando
vengono descritte tutte le divinità che accompagnano, senza mai prendere la parola, la dea egizia
nell’apparizione a Teletusa, resa così più impressionante e persuasiva. Iside è pertanto costretta a
fabbricare un membro virile al consorte. Se ci pensiamo niente di troppo dissimile da ciò che fa per
Ifi119. Peraltro il fatto che Iside costruisca per il marito un fallo, che è quindi artificiale e fittizio,
rimanda al carattere costruito dell’identità sessuale e alla maggiore importanza che ha il genere
(livello sociale) rispetto al sesso (livello biologico). Questo spiega bene come mai Ovidio non
insista sui particolari anatomici della trasformazione, ma su quelli che sono ben visibili dall’esterno.

107
Antonino Liberale, XVII, 6.Vd. Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, op. cit., p.110; vd. anche M. Delcourt, op.
cit., p.10 e L. Brisson, op. cit., pp.57-66.
108
M. Delcourt, op. cit., p.10.
109
Antoninus Liberalis. Les Métamorphoses, op. cit., XVII, 6 e p. 109.
110
Ivi, p.110.
111
J. P. Vernant, op. cit., p.31.
112
M. Delcourt, op. cit., p.7.
113
S. Viarre, L’androgynie dans les Métamorphoses d’Ovide. À la recherche d’une méthode de lecture, op. cit., p.233.
114
C. Segal, Il corpo e l’io nelle Metamorfosi di Ovidio, in Ovidio. Metamorfosi. Volume I. Libri I-II,a cura di A. Barchiesi-
L. Koch, Fondazione Lorenzo Valla/Arnaldo Mondadori Editore, 2005 (traduzione di Laura Rossi), p.28. Ifi è quasi
coetanea di Ermafrodito, che ha quindici anni e la cui identità sessuale è analogamente fluida, vd. F. Boemer, op. cit.,
p.489.
115
Al contrario, Marie Delcourt descrive il racconto ovidiano come di cattivo gusto, per “le syncrétisme religieux de
l’alexandrinisme finissant, la complaisance de cette époque pour le goûts équivoques et, infin, la sentimentalité
d’Ovide”, op. cit., p.53.
116
K. Ormand, op. cit., p.100 ; J. Walker, op. cit., p.219 (nota 19).
117
Plutarch’s Moralia. V, a cura di F. C. Babbit, The Loeb Classical Library, Harvard University Press, Cambridge,
Massachusetts-London, 1984, 358b.
118
Met. IX, v.693; K. Ormand, op. cit., p.100.
119
J. Walker, op. cit., nota 19 p.219; K. Ormand, op. cit., p.100.
49
Qualcosa di analogo fa Plinio in un passo in cui racconta di alcuni cambiamenti di sesso, per
dimostrare che essi esistono e non vanno visti come il segno della collera divina, da espiare con
l’uccisione/espulsione dalla comunità degli individui ne subiscono uno. Ecco come parla di uno di
questi casi, quello dell’argivo Aresconte:

“Ex feminis mutari in mares non est fabulosum. […] Licinius Mucianus prodidit visum a
se Argis Arescontem, cui nomen Arescusae fuisse, nupsisse etiam, mox barbam et virilitatem
prouenisse uxoremque duxisse120”.

“I mutamenti di sesso da donna a uomo non sono favole. Licinio Muciano ha raccontato di
aver visto con i suoi occhi ad Argo un certo Aresconte, che prima si chiamava Arescusa e
aveva perfino avuto un marito; poco dopo le era venuta fuori la barba e altri segni della
virilità e prese moglie”.

Molto interessante è questa descrizione: il passaggio da donna a uomo è individuato da pochi tratti
essenziali, come il nome, i caratteri sessuali secondari (la barba), l’essere parte attiva o parte passiva
nel contrarre matrimonio (sottolineata dalla fondamentale opposizione tra nubere e uxorem ducere,
esattamente come fa Ovidio al v.763). Significativo è il nesso barbam et virilitatem provenisse: per
indicare che Aresconte ora è un uomo, Plinio non descrive i particolari anatomici che nel modo più
lampante potrebbero manifestarlo, ma si ferma all’aspetto esteriore, proprio come Ovidio. Entrambi
gli autori, però, hanno usato le parole giuste per rendere l’idea dell’avvenuto mutamento di sesso al
lettore romano (virilitas nel caso di Plinio, uires augentur e plus uigoris adest dice Ovidio,
rispettivamente al v.788 e 791), se è valido quanto propone Stephen Wheeler. Vires, infatti,
connesso a vir e quindi a virilitas121, indicherebbe, nel caso specifico, la potenza sessuale
maschile122. Sarebbe come una sorta di eufemismo, dunque, per indicare il fatto che ora Ifi possiede
i genitali maschili. Anche in questo senso, allora, possono essere intese, in un gioco di richiami e
anticipazioni, le vires che la sorte nega alle neonate femmine (uires fortuna negat, v.677)123. Tale
ipotesi è corroborata dal fatto che, una volta trasformata in puer, Ifi potitur sua Ianthe124,ossia fa
sua Iante – cosa di cui prima disperava (v.753: nec tamen est potienda tibi) – in senso sessuale,
visto che il verbo potior è spesso usato in questa accezione in latino, così come fruor, che troviamo
al verso 724: Iphis amat, qua posse frui desperat125.
La presenza di Iside e l’uso insistente di termini come vires e vigor, ci confermano, quindi, che il
cambiamento di sesso è avvenuto, ma il modo in cui Ovidio lo descrive ci fa capire che la questione
non è tutta lì: “The story has never been concerned with female deviance. It has focused on
masculinity (or its lack) from the start126”. Quello che conta è che Ifi abbia acquisito tutte le
caratteristiche del genere maschile127: la virilità, nelle “public societies” quale era quella romana128,
è un fatto non solo di sessualità, ma anche (e soprattutto) di genere, ed ha delle sue proprie

120
VII, 36, Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre VII, a cura di R.Schilling, Les Belles Lettres, Paris, 1977.
121
Vd. sopra.
122
S. Wheeler, op. cit., p.199.
123
Ivi, p.196.
124
Met. IX, v.797.
125
Per quest’analisi linguistica vd. S. Wheeler, op. cit., p.198; J. N. Adams, The Latin Sexual Vocabulary, op. cit., pp.188
e 198 ; F. Boemer, op. cit., p.507.
126
K. Ormand, op. cit., p.99.
127
Ivi, p.89.
128
M. Johnson-T. Ryan, Sexuality in Greek and Roman Society and Literature: a Sourcebook, op. cit., p.61.
50
caratteristiche anche a livello di canone di bellezza: “it remained a constant that adult males were
idealised as beautiful in accordante with their embodiment of an intense masculinity129”. Secondo
Franz Boemer, il vigor è l’ideale di bellezza eroico130. Possiamo, quindi, concludere che l’essere
uomo, condizione tanto agognata e infine ottenuta da Ifi, è, in ultima istanza, “not a biological fact
but a hard-won social position that had to be continually bolstered and reinforced 131”. Dopo aver
superato un lacerante conflitto di identità sessuale, Ifi, alla fine, per sua fortuna, ce l’ha fatta.

129
Ivi, p.39.
130
F. Boemer, op. cit., p.506.
131
K. Ormand, op. cit., p.99.
51
Ceneo: lo stupro, la metamorfosi, il dileggio, la fenice
L’ultimo caso di cambiamento di sesso non intermittente raccontato nel poema ovidiano è quello
di Cenis, per quanto secondo l’Eneide ella riprenda negli Inferi il suo sesso originario (iuvenis
quondam, nunc femina Caeneus/ rursus et in veterem fato revoluta figuram)1. La sua storia è narrata
nel XII libro delle Metamorfosi2, da Nestore: nell’accampamento acheo, dopo la recente,
straordinaria vittoria di Achille su Cigno, i guerrieri si scambiano racconti, il cui argomento è il
valore (uirtusque loquendi/materia est3). Il XII libro del poema ovidiano, infatti, “explicitly
thematizes virtus and the prestige men win from their exploits on the battlefield, the twin focus of
Homeric epic4”. Nestore menziona il tessalo Ceneo come guerriero invulnerabile della sua
generazione e ciò gli da modo di parlare del suo straordinario cambiamento di sesso: quoque id
mirum magis esset in illo, femina natus erat5. Figlia del tessalo Elato, re dei Lapiti, la bellissima
Cenis, dopo aver rifiutato una folta schiera di pretendenti, subisce violenza da parte di Nettuno, il
quale poi, per ricompensarla del dono di sé fattogli — suo malgrado — dalla fanciulla, le promette
di esaudire un suo desiderio, qualsiasi esso sia. Cenis chiede di poter essere trasformata in uomo,
dono che il dio del mare concede anche ad un’altra sua amante mortale, Mestra 6. In tal modo ella
non subirà più in futuro nulla di simile:

Aequorei uim passa dei est (ita fama ferebat);


utque nouae Veneris Neptunus gaudia cepit,
“sint uota tua licet“ dixit “secura repulsae:
elige quid uoueas!”(eadem hoc quoque fama ferebat).
“magnum” Caenis ait “facit haec iniuria uotum,
tale pati iam posse nihil. da femina ne sim:
omnia praestiteris.”[…]7

“Subì violenza per mano del dio del mare. Così riportavano le voci.
E non appena Nettuno ebbe colto le gioie del nuovo amore,
disse: «I tuoi desideri non potranno subire un rifiuto.
Scegli cosa vuoi» (Le stesse voci riportavano anche questo)
Cenis disse: «L’oltraggio che ho appena subito rende grande la mia preghiera:

1
Eneide, VI, vv.448-9, Virgilio. Eneide. Volume III (Libri V-VI), a cura di E.Paratore-L.Canali, Fondazione Lorenzo
Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 1979. Interessante è il commento di Servio a questo versi: Caenis virgo fuit, quae a
Neptuno pro stupri praemio meruit sexus mutationem. Fuit etiam invulnerabilis. Qui pugnando pro Lapithis contra
Centauros crebris ictibus fustium paulatim fixus in terra est, post mortem tamen in sexum rediit. Hoc autem dicto
ostendit Platonicum illud vel Aristotelicum, animas per metempsỳchosis sexum plerumque mutare (Servius.
Commentaire sur l’énéide de Virgile. Livre VI, a cura di E. Jeunet-Mancy, Les Belles Lettres, Paris, 2012), poichè collega
il ritorno al sesso originario alla metempsicosi ; anche in Luciano emerge l’idea secondo cui la metempsicosi possa
implicare anche il cambiamento di sesso: Luciano, Gallus, 19 (Luciani Opera. Tomus I. Libelli 1-25, a cura di M.D.
Macleod, Oxford University Press, London 1908). In questo passo, dialogando con Micillo, il gallo racconta che tra le
varie reincarnazioni, oltre che Pitagora, fu anche Aspasia. Vengono fatti i nomi di Tiresia e Ceneo, come exempla del
fatto che una tale metamorofosi è possibile. Al mutare del sesso è associato un ironico ribaltamento del ruolo di
genere, particolarmente evidente nella menzione delle azioni di cardatura e filatura: il tessile è settore per eccellenza
femminile, come si vedrà anche nell’episodio di Cenis.
2
Ai vv. 169-209; 470-531.
3
Metamorfosi, XII, vv. 159-60. Questa e le altre citazioni dal XII libro sono tratte da Ovidio. Metamorfosi, Volume V,
Libri X-XII, a cura di D.J. Reed-G. Chiarini, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 2013.
4
A. Keith, Versions of epic masculinity in Ovid’s Metamorphoses, op. cit., p.230.
5
vv.174-5, “ciò che era anche più straordinario in lui è che era nato femmina”.
6
Met. VIII, 843-878.
7
Met. XII, vv. 197-203.
52
che io non possa più patirne di simili, fa’ che io non sia più donna,
mi avrai concesso tutto»”.

Non solo Nettuno accoglie tale voto, ma fa di più, rendendola un guerriero invulnerabile in
battaglia8. Questo episodio contiene molti elementi interessanti per la nostra analisi. Innanzitutto, il
tono con cui Nestore, narratore di secondo grado, lo annuncia, ossia presentandolo come un mirum,
che l’uditorio accoglie con curiosità entusiasta — colpito com’è dalla monstri nouitate9, dal
carattere straordinario del prodigio — si inserisce a pieno nell’orizzonte mentale del poema. Infatti,
“la presenza delle parole chiave mirum e monstrum non lascia dubbi: si tratta dell’enunciazione
della poetica delle Metamorfosi”10. Inserito nell’infinita varietà della sequela travolgente di
trasformazioni che costituiscono l’oggetto e il vero protagonista del poema, in cui la natura vede
costantemente infrangersi la sua regolarità a causa dell’intervento degli dei — intervento da cui
scaturisce un’estrema vulnerabilità per l’essere umano11 — il cambiamento di sesso è una delle
svariate possibilità ed è trattato alla stregua di tutti gli altri potenziali mutamenti. Il carattere
“naturalista” delle descrizioni ovidiane di questo tipo di trasformazione è messo in luce da Simone
Viarre: “Ses androgynes ne sont pas des mostres, même s’il emploie, comme partout ailleurs, des
mots comme mirum, mirari, mirabile, monstrum12”. La trasformazione è spesso descritta con
immagini naturali: quella di Ermafrodito è una sorta di innesto, quella di Ifi sembra semplicemente
una pubertà maschile improvvisa13. Come nelle altre metamorfosi del poema, non è possibile
“dissocier l’aspect humain des personnages de leur aspect merveilleux ou monstreux14”.
La storia di Cenis è, però, così particolare, che Nestore, nonostante la sua memoria si affievolisca
per la tarda età, la ricorda meglio di tutte quelle di cui è stato testimone nel corso della sua vita
giunta ormai al terzo secolo15. Peraltro, essa gli darà modo di raccontare anche della guerra tra
Centauri e Lapiti, che, all’interno del poema ovidiano, costituisce una sorta di doppio della guerra di
Troia: entrambi i conflitti prendono le mosse dal rapimento di una donna da parte di un convitato
traditore dei valori dell’ospitalità, in entrambe compaiono guerrieri invulnerabili (rispettivamente
Cigno e Ceneo)16.
Come spesso accade per i personaggi delle Metamorfosi17, anche il nome di Cenis/Ceneo è un
nome parlante, con due significati possibili18. Il primo è quello che deriva dall’aggettivo καινός,
“nuovo” e che contiene un’allusione alla trasformazione da uomo in donna, che fa di Ceneo un

8
“Tout à travers la mythologie grecque ceux qui ont fait l’amour avec une divinité sortaient, d’une façon ou d’une
autre, de la condition humaine”. G. Devereux, Femme et myhte, Flammarion, Paris, 1982, p.250.
9
Met. XII, v.175.
10
A. Perutelli, Il fascino ambiguo del miracolo laico, op. cit., p.LVI.
11
Quello delle metamorfosi è un mondo dove “one’s life can be overturned by a sudden, unexpected intervention
from above”, C. Segal, Ovid's Metamorphic Bodies: Art, Gender, and Violence in the Metamorphoses, op. cit., p.37.
Nello stesso articolo, a p.39, si definisce il corpo “a trope for something else, that is, the instability and vulnerability of
the human condition”.
12
S. Viarre, L’androgynie dans les Métamorphoses d’Ovide, op. cit., p.233.
13
Ivi, p.243. Per i due episodi vedi rispettivamente Met. IV, vv.285-388 e Met. IX, vv.666-797.
14
Ibid.
15
vv.182-8: Tum senior: “quamuis obstet mihi tarda uetustas/multaque me fugiant primis spectata sub annis,/plura
tamen memini; nec quae magis haereat ulla/pectore res nostro est inter bellique comique/acta tot, ac si quem potuit
spatiosa senectus/spectatorem operum multorum reddere, uixi/annos bis centum; nunc tertia uiuitur aetas”.
16
A. Keith, op. cit., p.235.
17
Su questo aspetto vedi, per esempio, relativamente al mito di Ifi, S.M. Wheeler, Changing names: the miracle of
Iphis in Ovid, op. cit.
18
F. Boemer, P. Ovidius Naso. Metamorphosen. Buch XII-XIII, Carl Winter-Universitaetsverlag, Heidelberg, 1982, p.64.
53
essere per così dire “nuovo” e “singolare”; anche in questo Ovidio sembrerebbe alludere al carattere
prodigioso del personaggio19. Al significato di Ceneo che deriva da καινός, possiamo però
connettere anche un altro valore: quello iniziatico. In questo senso si muove l’analisi di Marie
Delcourt, mostrando il legame tra aspetto iniziatico e invulnerabilità: i riti di passaggio antichi, che
spesso prevedevano uno scambio di abbigliamento maschile/femminile, erano volti a far sì che i
giovani che vi prendevano parte diventassero più forti, al fine di entrare nel novero degli adulti,
dopo aver superato delle prove, poiché “celui qui traverse l'épreuve en sort plus fort et plus
vaillant20“. In effetti, Cenis, dopo l’incontro con Poseidone, ottiene tale invulnerabilità, in battaglia;
qui entra in gioco il secondo possibile significato del suo nome, quello che deriva dal verbo
καίνυμαι (“uccido”), che si connette anche a καινίς (“spada”)21; sul ruolo dell’arma di Ceneo, si
tornerà a parlare più oltre. Ceneo, quindi, sarà uno sterminatore di nemici, che a loro volta non
potranno minimamente scalfirlo con le loro armi. Nel vivo dello scontro tra Centauri e Lapiti
narrato da Nestore agli Achei, egli uccide, infatti, almeno cinque avversari (Met. XII, v.459).
L’invulnerabilità di Ceneo non si limita, però, solo all’ambito bellico: egli è nato donna e il dono
che richiede a Nettuno nasce in primis dalla volontà di non subire più violenza carnale.
L’invulnerabilità è anche impenetrabilità sessuale22. Nettuno fa in modo che ne saucius
ullis/uulneribus fieri ferroue occumbere posset23(“che non potesse essere ferito da alcun colpo né
soccombere alle armi”). Spesso per indicare il rapporto sessuale, il latino e il greco utilizzano il
campo metaforico del ferimento, dello schiacciamento o dell’aggressione armata: si fa, per esempio,
quest’uso del verbo greco τιτρώσκω (“ferisco”) e di alcuni verbi latini, come molo (“macinare”) e
dolo (“bastonare”)24. La storia di Ceneo esemplifica come “the idea of the male body is
impenetrability25”: narrata dopo quella di Cigno, altro eroe invulnerabile per decreto divino, essa
stupisce gli Achei (“these grizzled, macho veterans”), fornendoci contemporaneamente “the
strongest possible negative definition of the female body. It is penetrable, as the male is not (v.166),
is subject to iniuria, outrage (v.202), and to rape26”. Proprio questa è stata la sorte di Cenis, che
Ovidio stigmatizza con l’espressione uim passa dei est27 (v.197). La virilità si può quindi
identificare con “anxiety about maintaining the integrity of the body, keeping its surface areas
intact, and protecting its cavity from painful penetrations”28. Ciò s’inserisce a pieno in un contesto
in cui “être un homme, c’est tenir un rôle actif, être une femme c’est avoir un rôle passif 29”.
Significativa è l’analisi operata da Nicole Loraux sui poemi omerici a proposito di questo tema30;

19
Ovidio. Metamorfosi, Volume V, Libri X-XII, a cura di D.J. Reed-G. Chiarini, op. cit., p.402.
20
Vd p.137 di M. Delcourt, La légende de Kaineus, in “Revue de l'histoire des religions”, Tome 144, n°2, 1953. pp.129-
150.
21
Ivi, p.134 e p.144.
22
Ivi, p.131.
23
Met. XII, vv.206-7.
24
Vd. M. Delcourt, La légende de Kaineus, op. cit., p. 131 e della stessa autrice Hermafrodite, op. cit., p.54. Vd. anche
J.N. Adams, The Latin Sexual Vocabulary, op. cit., pp.19-22 e 145-152.
25
C. Segal, Ovid's Metamorphic Bodies, op. cit., p.23.
26
Ivi, p,24. Sullo stesso tema vd. anche A. Keith, op. cit., p.233, per la distinzione fra “male bodily integrity from the
porous openness that characterizes the female body in the ancient imagination”.
27
patior è il termine tecnico per il ruolo passivo nel rapporto sessuale; Ovidio lo impiega anche per la descrizione del
cambio di sesso nella iena (Met. XV, v.410): sembra che per indicare il passaggio da femminile a maschile la cosa più
immediata sia porre l’accento sul ruolo reciproco di passività/attività. Vd J.N. Adams, op. cit., p.189 e 198.
28
C. Segal, Ovid's Metamorphic Bodies, op. cit., p.25.
29
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit, p.41.
30
N. Loraux, Il femminile e l’uomo greco, op. cit., p.94.
54
nel sostenere la sua tesi in base alla quale l’affermazione della virilità dell’uomo antico passa per la
fagocitazione/assorbimento dell’alterità femminile, ella fa notare la brama guerresca di penetrazione
del corpo dell’avversario nell’epica omerica:

“Citare epicamente il corpo tagliato vuol dire evocarlo penetrato, fatto a pezzi, lacerato.
Penetrato, sempre: le armi affondano nella carne in cui sono conficcate, e, con il reiterato
impiego del verbo πήγνυμι, l’epopea sembra compiacersi di un’esplorazione in profondità
del corpo virile31”.

Questo mostra l’ambivalenza omerica nella descrizione del corpo maschile, caratterizzato da un
“vacillante assetto: vulnerabile/invulnerabile, ferito ma intatto, un attimo dopo trionfante per aver
vinto la debolezza, corpo infrangibile e nel contempo delicato 32”. Peraltro, Ovidio impiega patior
anche per descrivere la resistenza di Ceneo in battaglia (v.171), in un significativo gioco di
corrispondenze: “Caeneus’ masculine invulnerability is contrasted with, and yet constructed upon,
Caenis’ feminine vulnerability to violence33”.
Il passaggio da donna a uomo è per Cenis, senz’altro, un premio, un miglioramento della propria
condizione: quando “une femme devient homme, ce qui équivaut à une promotion34”. Come
vedremo, lo stesso non si può dire del mutamento opposto (vedi i casi di Tiresia 35 ed Ermafrodito36)
e questo è uno degli aspetti più fortemente caratterizzanti del modo in cui Ovidio tratta i miti di
transessualità/bisessualità successiva. Venire tramutati in donna è la pena per chi ha violato una
regola, come ben mostrano sia il mito di Tiresia sia un passo tratto dalle Leggi (XII, 944d), in cui,
discutendo sulla punizione adatta a chi abbandoni in battaglia le armi, ci si augura una
trasformazione opposta rispetto a quella che gli dei hanno concesso a Cenis, la trasformazione in
donna, appunto: “Καινέα τὸν Θετταλὸν ἐκ γυναικὸς μεταβαλόντα εἰς ἀνδρὸς φύσιν37”.
Dato che il corpo femminile è visto attraverso il filtro della penetrabilità, esso è spesso assimilato
nel pensiero antico, a qualcosa di vuoto che va riempito, ma va anche protetto da “riempimenti
illeciti”, quali possono essere, ad esempio, l’adulterio per la donna sposata o la deflorazione di una
vergine. Questi elementi permettono di accostarlo ad uno spazio sacro, che è concepito in modo
analogo, tanto che è stato addirittura ipotizzato un parallelo tra corpo femminile e tempio: “Lo
stesso Partenone è una grande cavità, uno spazio tenuto vuoto e potenziale, come per garantire la
sanità, la purezza, l’intoccabilità della città e della sua prosperità”38.
Altro aspetto significativo da notare è il legame ricorrente tra la presenza di acqua e i miti di
transessualità39: Ermafrodito subisce la sua trasformazione in una fonte, Cenis e Mestra su una
spiaggia, e l’artefice è in questi ultimi due casi Nettuno, dio del mare; il mito di Ceneo, poi, è
collocato nel XII libro del poema, in cui spicca la figura di Achille, figlio della dea marina Teti, che
gli impone un menzognero travestimento da donna per farlo sfuggire alla guerra di Troia40. Nel XV
libro delle Metamorfosi, inoltre, nel discorso di Pitagora, che sta parlando dello straordinario mutare

31
Ibid.
32
Ivi, pp.98-9.
33
A. Keith, op. cit., p.234.
34
M. Delcourt, La légende de Kaineus, op. cit., p.137.
35
Met. III, 316-338.
36
Met. IV, 285-388.
37
Platon. Les Lois (XI-XII). Epinomis, a cura di A.Diès, Les Belles Lettres, Paris, 1956.
38
P. DuBois, Il corpo come metafora: rappresentazioni della donna nella Grecia antica, op. cit., p.140.
39
Vd. S. Viarre, op. cit., p.235.
40
Ivi, p.242.
55
di tutte le cose, le acque sono citate in due lunghe digressioni (vv.270-296; 309-33541), proprio
come exempla di fluida mutevolezza. L’elemento acquatico, pertanto, usato comunemente
nell’immaginario antico come emblema di variabilità42, è impiegato da Ovidio anche a suggerire
fluidità di identità sessuale.
Caratteristica che accomuna il cambiamento di sesso di Cenis a quello di Ermafrodito, è il fatto
che in entrambi i casi esso fa seguito ad una violenza sessuale (o un tentativo di essa, nel caso di
Ermafrodito e Salmacide43) ai danni del protagonista. Lo “stupro” di Salmacide ai danni di
Ermafrodito è descritto in una cospicua quantità di versi, quello, effettivo, di Poseidone su Cenis è
sintetizzato in soli due versi. Per dirla con Segal, nelle descrizioni delle sofferenze corporee
all’interno del poema ovidiano, “where there are simultaneous male and female victims, the male
tend to get more attention44”. Forse, semplicemente, lo stupro perpetrato da un uomo su una donna è
più abituale, anche nelle Metamorfosi, “if the female body in the Metamorphoses is characterized
by its status as a visual object, its passivity, its appropriation by the male libidinal imagination 45”. E
infatti Ovidio ce ne narra tanti, riusciti o solo tentati: a cominciare da quello di Apollo su Dafne (I,
vv.452-567), per continuare con quello di Giove su Ino (I, vv.568-667) o quello tentato
da Pan su Siringa (I, vv.689-712) o da Alfeo su Aretusa (V, vv.572-641) fino al culmine di crudeltà:
quello di Tereo sulla cognata Filomela (VI, vv.412-674). Vi sono anche tre tentativi di seduzione
che abbinano un travestimento ingannevole alla maniera di approccio più violento: quelli di Giove
su Callisto (II, vv.409-465), di Apollo su Leucotoe (IV, vv.190-233) e di Vertumno su Pomona
(XIV, vv. 622-692; 765-771). Interessante notare che, in questi ultimi casi, i tre dei adottano un
travestimento femminile per avvicinarsi ai loro oggetti di desiderio, trattandosi di donne che
praticano una vita casta e si tengono alla larga dagli uomini: Callisto è una vergine, “soldato” di
Diana (miles erat Phoebes v.415), Leucotoe, è ancora giovane e vive nella casa del padre Orcamo,
re achemenide, Pomona si dedica solo ai frutti del suo giardino:

hic amor, hoc studium; Veneris quoque nulla cupido est.


uim tamen agrestum metuens pomaria claudit
intus et accessus prohibet refugitque uiriles46.

“In questo è il suo amore, la sua passione. Non prova alcun desiderio d’amore
temendo l’assalto dei campagnoli, nondimeno, chiude il suo frutteto
dal di dentro e ne impedisce l’accesso, e rifugge gli uomini”.

Dei tre episodi, sicuramente quello che coinvolge Callisto è il più violento: Giove, invaghitosi di
questa ninfa arcade, le si avvicina sotto le false spoglie di Diana. Mentre Callisto racconta a quella
che crede essere la dea cui ha consacrato la sua vita (e con cui scambia dei baci di saluto, poco
simili a quelli che darebbe una dea vergine a una sua seguace 47) la sua giornata di caccia,
41
Ovidio. Metamorfosi, Volume VI, Libri XIII-XV, a cura di P. Hardie-G. Charini, op. cit.
42
Vd. il frammento eracliteo (91 DK) in cui si dice che non si scende mai due volte nello stesso fiume (I Presocratici, a
cura di G. Reale, Bompiani, Milano, 2006). Anche i giuramenti degli amanti in Catullo, inattendibili come inattendibile
è chi li pronuncia, sono scritti sull’acqua (Carme LXX).
43
Il tema sarà affrontato più oltre in questa trattazione.
44
C. Segal, Ovid’s Metamorphic Bodies, op. cit., p.26.
45
Ivi, p.23.
46
Met. XIV, vv.634-6.
47
Met. II, vv.430-1 : […] et oscula iungit/nec moderata satis nec sic a uirgine danda. Qui Ovidio ci presenta di fatto una
scena di effusioni (“non moderate”) tra due donne, motivo che si ripete anche nelle scene di Apollo-Leucotoe (IV,
v.222; e qui Apollo si sta addirittura spacciando per la madre della fanciulla) e Vertumno-Pomona (XIV, vv.658-9);
56
quest’ultima, rivelandosi Giove, le usa violenza, nonostante ella provi a opporsi. Delle tre vergini, è
l’unica a tentare di difendersi e forse proprio per questo Giove “è costretto”, a differenza di Apollo
e Vertumno, a prenderla con la forza:

illa quidem pugnat: sed quem superare puella,


quisue Iouem poterat? 48 […]

“eppure si difende, ma una fanciulla chi può battere?


E chi può avere la meglio su Giove?”

Pomona e Leucotoe, invece, alla fine cedono ai due dei che le insidiano: Pomona perché
folgorata dalla bellezza di Vertumno, non appena questi riprende le sue sembianze49 (aveva assunto,
infatti, quelle di una vecchia), Leucotoe, invece, accetta lo stupro senza fiatare: uicta nitore dei
posita uim passa querela est50. Si noti che Ovidio utilizza qui la stessa espressione che aveva
impiegato per descrivere la violenza su Cenis.
Ritorna più volte, insomma, il legame tra la violenza sessuale (o il tentativo di essa) e il
cambiamento di sesso (o la finzione di questo): il collegamento è dato dal fatto che la dialettica
uomo/donna, fortemente influenzata com’è dai ruoli di genere attribuiti nella cultura antica, fa sì
che solo l’uomo possa perpetrare violenza su una donna, mentre risulta praticamente impossibile il
contrario. Ecco perché se è una donna a tentare la violenza, il suo desiderio assume connotati
maschili (Salmacide51), mentre se si tratta di uomo, quale è il caso più classico, può accadere che la
vittima della violenza chieda di voler diventare uomo a sua volta, poiché ella può subire in futuro
altri stupri. Può accadere, anche, che il dio cerchi di entrare in contatto con la sua futura/presunta
vittima vestendosi egli stesso da donna, per non spaventarla, presentandosi come un suo simile,
visto che la donna è considerata in antico quasi come membro di un’altra specie 52. La relazione con
gli uomini spaventa, dunque, queste vergini: per questo Giove con Callisto “doit revêtir l’aspect
d’Artemis53” e lo stesso accade con Pomona, “que Vertumne n’arrive à séduire qu’en changeant de
sexe et d’âge54”; allo stesso modo, senza dubbio, Cenis “a été «traumatisée» par le viol que lui a fait
subir Poséidon55”.
Tornando ora al XII libro, troviamo, nella descrizione dello scontro tra Centauri e Lapiti, un altro
stralcio indicativo per caratterizzare il personaggio di Ceneo e, soprattutto per inquadrare il modo in
cui un guerriero “transessuale” viene percepito dagli altri guerrieri, i “nati-uomini”56. Ecco come il
centauro Latreo, durante lo scontro, aggredisce verbalmente Ceneo:

scelta stemperata dal fatto che il lettore sa che dietro una delle due donne c’è un dio uomo. Nell’episodio di Ifi la
trasformazione avviene proprio perché non si giunga a tanto, qui vale esattamente il contrario.
48
Met.II, vv.436-7. Anche qui il rapporto sessuale è indicato attraverso il campo metaforico dello scontro in battaglia.
49
Met.XIV, vv.770-1: uimque parat, sed ui non est opus, inque figura/capta dei nymphe est et mutua uulnera sensit.
50
Met.IV, v.233.
51
Vd. capitolo su Ermafrodito.
52
La differenza di genere è pensata “guardando alla differenza, A e B, uomo e donna come a due specie diverse”, P.
DuBois, op. cit., p.30. Sugli stupri perpetrati da dei vestiti da donne vd. pp.97-8. K. Ormand, Impossible Lesbians in
Ovid’s Metamorphoses, op. cit.
53
S. Viarre, op. cit., p.238.
54
Ibid.
55
Ibid.
56
Si tratta, in realtà, di una definizione impropria, se consideriamo la presenza, in molte culture, di riti volti a
mascolinizzare il bambino, che, prima di questi, è percepito come ancora troppo legato al naturale, ossia al femminile:
57
“Et te, Caeni, feram? Nam tu mihi femina semper,
tu mihi Caenis eris. Nec te natalis origo
commonuit, mentemque subit, quo praemia facto
quaque uiri falsam speciem mercede pararis?
quid sis nata uide57, uel quid sis passa, columque,
i, cape cum calathis et stamina pollice torque;
bella relinque uiris58” […].

“Dovrei tollerare anche te, Cenide? Per me, infatti, sarai sempre una donna,
per me sarai Cenide. Della tua condizione originaria
non ti ricordi? Non ti sovviene come premio di quale atto,
in compenso di cosa ti procurasti queste false sembianze di uomo?
Considera come sei nata o cosa hai dovuto subire; va’, prendi la
conocchia e le ceste, e avvolgi al pollice il filo:
la guerra lasciala agli uomini”.

È evidente come, oltre che per ottemperare alla prassi consueta dell’attacco verbale
all’avversario prima dello scontro59, Latreo impieghi “le sue ingiurie per difendere la mascolinità
dei Centauri, la quale, data la loro natura semi-animale, è potenzialmente in discussione (a seconda
di quanto si identifichi strettamente “umanità” e “mascolinità”)60”: anche i centauri, nella loro
posizione liminare tra uomini e animali, come le donne, costituiscono un “Altro” rispetto all’uomo
(maschio) civilizzato61. Le donne sono, infatti, spesso viste in connessione con la ferinità, come
emerge dai miti che, in culture diverse, raccontano la relazione tra una donna e un animale totemico
o raccontano di bambini allevati da mammiferi di sesso femminile62. Spesso, inoltre, nel mito
antico, la donna è accostata alla terra, quale generatrice spontanea: si pensi al mito di Deucalione e
Pirra63, ad esempio, o alla Teogonia esiodea, in base alla quale, subito dopo Chaos, si ha la Terra
“dai larghi fianchi”64 (e sarà lei a generare il Cielo) o ancora ai vari passi omerici in cui essa è vista
come nutrice65. Ma si tratta di una nutrice caotica e spesso selvaggia: dovrà intervenire l’uomo
agricoltore a disciplinarne l’attività, “la terra è una sorta di ricettacolo promiscuo che riceve tutti i
semi e li nutre tutti66”. Per questo la donna è assimilata anche a tutto ciò che non è civilizzazione,
dall’animale al barbaro67.

“mentre la femminilità è considerata naturale sin dalla nascita, la virilità deve essere dunque costruita”, F. H. Augé La
costruzione dell' essere sessuato, la costruzione sociale del genere e le ambiguità dell'identità sessuale, in
Maschile/femminile. Genere e ruoli nella cultura antica, a cura di M. Bettini, Bari, Laterza 1993, pp.135-7. Sullo stesso
tema vd anche M. Lentano, La prova del sangue. Storie di identità e storie di legittimità nella cultura latina, il Mulino,
Bologna, 2007, p.55-9 e P. Bourdieu, op. cit., pp.34-6.
57
Qui il testo riecheggia molto da vicino il monologo di Ifide (Met. IX, vv.666-797).
58
Met. XII, 470-476.
59
Vd. F. Boemer, op. cit., p.156 e A. Keith, op. cit., p.237.
60
Vd. Ovidio. Metamorfosi, Volume V, Libri X-XII, op. cit., p.431.
61
Ivi, p.400.
62
F. H. Augé, op. cit., p.132 sgg.
63
Met. I, vv.313-415.
64
Teogonia, v.126, Hesiod, Theogony. Work and Days. Testimonia, a cura di G. W. Most, The Loeb Classical Library,
Harvard University Press, Cambridge Massachusetts-London, 2006.
65
Ad esempio, in Iliade III, vv.89, 265; VI, v.213, Homerus, Ilias, Volumen primus, a cura di M. West, B.G. Teubner,
Stuttgart und Leipzig, 1998.
66
P. DuBois, op. cit., p.56.
67
P. DuBois, op. cit., vd. il cap. III- Il campo.
58
Dunque il centauro Latreo qui si sta innanzitutto difendendo68, ma è interessante analizzare come
lo fa, ossia chiamando in causa la più tradizionale divisione dei ruoli di genere: Ceneo è nato donna
e una donna deve occuparsi di ciò che le compete: in primis le attività tessili69, essendo la tela
garante di un “ordine simbolico femminile che sgancia il tempo dell’azione da un tempo produttivo
ed espressivo, per piegare infine il tempo femminile a un’unica, residua progettualità: l’attesa […]
dell’eroe”70. Classico è l’esempio di Penelope, che, disfacendo ogni notte quel che tesse di giorno,
vive in una “condizione ritmica e ciclica71”. La donna del mito, dunque, deve attendere l’eroe, non
esserlo ella stessa, perciò, per quanto Cenis ora sia Ceneo, non verrà mai accettato come guerriero.
La connessione delle biografie Cenis/Ceneo mette insieme guerra e vicende femminili, epica e
catalogo esiodeo72, “contrasto di genere letterario e di genere sessuale73”.
Pierre Bourdieu parla di libido socialmente sessuata (lavorativa e nel costume), che produce
vocazioni aderenti alle reali possibilità: in altri termini un individuo è portato a desiderare, in base a
questa ipotesi, ciò che la cultura di appartenenza considera come adatto al suo genere, senza
rendersi conto di tale condizionamento. È il motivo per cui le vicende delle ninfe cacciatrici hanno
spesso epiloghi rovinosi per queste ultime, come insegna la storia di Callisto: le loro vocazioni non
collimano con quanto la mentalità antica si aspetterebbe da una donna. La differenza biologica
appare, quindi, come una giustificazione naturale della differenza socialmente costruita tra i generi,
essendo il corpo usato come mezzo per affermarla74. Alla sfera femminile si associano azioni di
continuità, che sembrano spontanee, passive (gestazione, lavori domestici), a quella maschile le
azioni di rottura (fecondazione, guerra)75. La virilità, categoria costitutiva di una società
androcentrica quale è quella antica, quale è anche quella degli algerini Cabili che Pierre Bourdieu
studia76, ha il suo simbolo nel fallo, che si riconnette, appunto, alle idee di potenza e di fecondità 77.
Non è un caso, perciò, il fatto che Ceneo, secondo un’altra versione del mito 78, pianti la sua lancia79
nella piazza del mercato e ne imponga l’adorazione, “travolto dalla tracotanza” 80. Quest’arma,
“objet adoré, blessant, pénétrant81” è stata vista come un chiaro simbolo fallico82, e tale

68
Vd. anche le parole di Monico ai vv.498-509.
69
Vd. nota 1 e L. Faranda, Dimore del corpo. Profili dell’identità femminile nella Grecia arcaica, Roma, Meltemi, 1997,
cap. 1- Lo specchio e la tela.
70
L. Faranda, op. cit., p.27.
71
Ivi, p.32.
72
Pseudo-Esiodo, Catalogo, fr 87, Hesiodi, Theogonia, Opera et Dies, Scutum, Fragmenta selecta, a cura di R.
Merkelbach- M. L. West, Oxford University Press, 170.
73
Ovidio. Metamorfosi, Volume V, Libri X-XII, op. cit., p.400.
74
P. Bourdieu, op. cit., p.9-10 e p. 32 sgg.
75
Ivi, p.39-41 e 57-8.
76
e in cui vede intatta la visione “fallo narcisistica” che era alla base delle società mediterranee, anche di quella greca
antica, P. Bourdieu, op. cit., p.14.
77
Ivi, p.21-1.
78
Attestata, ad esempio, in Acusilao (metà VI-inizio V sec. a. C.), Fr. 22, PAP. OX XIII 1611 fr.1 col. II 38, Die fragmente
der Griechischen Historiker. Erster Teil. Nr. 1-63, a cura di F. Jacoby, Leiden, E. J. Brill, 1968.
79
Prima abbiamo parlato dell’arma di Ceneo come di una spada, qui si parla di una lancia ma i due signficati sembrano
interscambiabili, visto che καινίς “doit avoir été une épée entièrement en métal”, M. Delcourt, La légende de Kaineus,
op. cit., p.145.
80
Ovidio. Opere. II. Le Metamorfosi, a cura di G. Paduano-A. Perutelli-G. Galasso, op. cit., p.1409. Sul tema vd. Marie
Delcourt, La légende de Kaineus, op. cit., p.145 e della stessa autrice Hermafrodite, op. cit., p.53.
81
M. Delcourt, La légende de Kaineus, op. cit., p.148.
82
“La lance est un symbole phallique”, M. Delcourt, Hermafrodite, p.54. Vd. anche G. Devereux, op. cit., Chapitre VIII:
Kainis-Kaineus. L’attribution d’un pénis comme dédommagement pour un viol, in particolare p.248. Nello stesso testo,
a p.250 si dice: “la lance est une arme perçante, plutôt que tranchante”.
59
interpretazione si riconnette all’idea del rapporto sessuale come guerra83: “la meilleure défense
contre le risque d’être pénétré est d’être un pénérateur: un homme muni d’un pénis et d’une
lance84”. Ceneo, ex-donna, proprio come i Centauri, semi-uomini, vede continuamente minacciata
la propria virilità, al punto da doverla ostentare in modo così empio da essere punito da Zeus. I
Centauri gli verrebbero inviati proprio per questo.
Ma come si conclude la vicenda di Ceneo? Diverse sono le versioni del suo epilogo, come
Ovidio stesso dice allusivamente85: exitus in dubio est (Met., XII, v.522), per poi decidere di
raccontarcene una che permette alla figura di Ceneo di suggerire ancora, anche nella sua uscita di
scena, quando ormai il passato di fanciulla è stato sepolto sotto un cumulo di combattimenti, il tema
della transessualità. I Centauri, infatti, non potendolo uccidere con le armi, lo schiacciano sotto un
mucchio di alberi; secondo alcuni autori a questo punto l’eroe lapita muore, secondo altri rimane
sepolto vivo, mentre, “seul de toute la tradition86, Ovide termine la carrière de Kaineus par une
épiphanie87”:

“Exitus in dubio est. Alii sub inania corpus


Tartara detrusum siluarum mole ferebant;
abnuit Ampycides medioque ex aggere fuluis
uidit auem pennis liquidas exire sub auras,
quae mihi tum primum, tunc est conspecta supremum.
Hanc ubi lustrantem leni sua castra uolatu
Mopsus et ingenti circum clangore sonantem
aspexit pariterque animo est oculis secutus,
“O salue” dixit, “Lapitheae gloria gentis,
maxime uir quondam, sed auis nunc unica88, Caeneu!89”.

“La fine è incerta. Alcuni riferivano che il suo corpo


fosse stato spinto nel Tartaro inutile sotto il peso degli alberi,
non era d’accordo il figlio di Ampice, [Mopso]che dal mezzo del mucchio
vide uscire un uccello dalle ali fulve, nell’aria tersa,
che anch’io vidi allora per la prima volta, e per l’ultima.
Ramingo, tutto intorno al suo accampamento, con volo lieve
e con grandi strepiti, Mopso
lo vide volare e allo stesso modo che con gli occhi seguendolo con la mente
disse: «Salve, gloria della gente dei Lapiti,
un tempo uomo valoroso, ma ora uccello straordinario, Ceneo»”.

L’avis unica è stata identificata con la fenice, uccello leggendario, che si credeva vivesse in
Etiopia, animale associato alla “bisessualità simultanea”, per dirla con Brisson, poiché in grado di
auto-rigenerarsi90. Interessante è l’interpretazione che di questo animale mitologico è stata data da
Marie Delcourt e Luc Brisson, per i quali il fatto che la fenice possegga due sessi
contemporaneamente ha un valore archetipico, poiché fa riferimento ad un’epoca originaria in cui
83
Vd. sopra, episodio di Giove e Callisto.
84
G. Devereux, op. cit., Chapitre VIII, p.247.
85
“Mit exitus in dubio est macht Ovid eine Konzession an die Ueberlieferung“, F. Boemer, op. cit., p.168.
86
Per quanto, con buone probabilità anch’egli si rifaccia ad una tradizione greca, vd. Ovidio. Metamorfosi, Volume V,
Libri X-XII, op. cit., p.400.
87
M. Delcourt, Hermafrodite, op. cit., p.54.
88
Siamo sempre nel lessico del mirum con unicus.
89
Met. XII, 522-531.
90
M. Delcourt, Hermafrodite, op. cit., p.121-3 e L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., cap. III- L’archetype.
60
tutti gli esseri viventi avevano due sessi e, essendo eterni, non dovevano accoppiarsi per
riprodursi91. L’androginia, dunque, è qui usata come simbolo, con valore anche filosofico e
religioso92, di “une commune aspiration à l’unité, un rêve de régénérescence et de pérennité 93”,
visto che la fenice è il simbolo stesso di una vita che si propaga eternamente e Ceneo è un guerriero
invulnerabile94.
Il mito della fenice, che ha successo specialmente in epoca tardo antica (IV sec. d.C.), ma è
attestato già in Erodoto95, è trattato anche da Ovidio. Egli, infatti, nel XV libro del suo poema96, cita
la fenice, menzionandola tra altri exempla zoologici della variabilità della natura97. Da notare è in
tale elenco anche la presenza della iena, altro animale che in antico si creedeva avesse due sessi98.
Ecco l’incipit della sezione sul leggendario volatile: una est quae reparet seque ipsa
reseminet99ales100.
Vediamo i vari elementi che permettono di accostare la figura di Ceneo a quella della fenice:
oltre all’androginia di entrambi, sia l’eroe lapita che l’uccello mitologico sono in qualche modo
immortali, l’uno perché non può essere ucciso in battaglia, l’altro poiché si rigenera eternamente:
“cette idée ne peut etre dissociée de celle du dépassement de l’opposition mort-vie, car l’identité
personelle du Phénix mort et de son successeur vivant ne fait aucun doute101”. Inoltre, secondo
quanto riportato da Igino, Caeneus Elati filius ipse se interfecit102 e la fine della fenice può essere
assimilata a un suicidio. “Ajoutons que certaines traditions donnent à son père, Koronos, le même
nom qu'à son fils103” ; si crea, perciò, una continuità tra le generazioni che ritroviamo nel mito della
fenice, “identique à son père, identique à son fils104” . Ceneo, poi, è sepolto sotto un mucchio di
alberi, laddove la fenice muore sopra un cumulo di altri vegetali: gli aromi.

Quo simul ac casias et nardi lenis aristas


quassaque cum fulua substrauit cinnama murra,
se super imponit finitque in odoribus aeuum.105

”Lì, appena ha coperto il fondo con uno strato di casia e di spighe del nardo delicato,
insieme a cannella sminuzzata e bionda mirra,
vi si mette sopra e termina la sua vita tra gli aromi”.

91
L. Brisson, ibid. Emblematico su questo tema è il mito platonico degli androgini (Simposio, 189e sgg).
92
Vd M. Delcourt, Hermafrodite, cap.V- Les symboles androgyne dans les mythes philosophiques e L. Brisson, Le sexe
incertain, op. cit., cap.III.
93
M. Delcourt, Hermafrodite, p.104.
94
Ivi, p.63.
95
Storie, II, 37.
96
Met., XV, 392-410.
97
Ovidio. Metamorfosi, Volume V, Libri X-XII, op. cit., p.533: “La fenice è l’eccezione che dimostra la regola nella
metamorfosi”, perché trae la sua origine dal suo stesso corpo, potremmo dire che è ”autometamorfica”.
98
Vd. capitolo su Tiresia.
99
Reseminet è un ἃπαξ, (vd. Ovidio. Metamorfosi, Volume V, Libri X-XII, op. cit., p.534), il che sottolinea il carattere
straordinario di questo essere.
100
Met. XV, v.392 : “esiste un uccello che da solo si rinvigorisce e si riproduce”
101
L. Brisson, Le sexe incertain, op. cit., p.101.
102
Favole, 242.
103
M. Delcourt, La légende de Kaineus, op. cit., p.130. Vd. questa fonte anche per gli altri elementi di contatto qui
citati.
104
Ivi, p.136.
105
Met. XV, vv.398-400.
61
È interessante soffermarsi sul particolare della morte tra gli aromi. In uno dei saggi contenuti in
Mito e società nell’antica Grecia e già apparso nel 1972 come introduzione ad un lavoro di Marcel
Detienne106, Pierre Vernant parla degli aromi come di mediatori tra umano e divino, poiché
“dell’animale sacrificato, agli uomini spetta la carne morta e corruttibile, agli dei il fumo delle ossa
calcinate, la fragranza dei profumi, gli aromi imputrescibili107”. Ora, il ruolo di mediatore è spesso
associato a figure caratterizzate dalla bisessualità, che sia simultanea o successiva: un esempio su
tutti è quello di Tiresia, indovino e profeta e perciò intermediario tra la sfera umana e la sfera
divina108. La fenice è emblematica di ciò: essendo collegata al sole e facendo il suo nido nei punti
più alti, morendo per poi rinascere, “essa sfugge alla condizione mortale, senza tuttavia godere
dell’immortalità degli dei109”.
Che sia l’invulnerabilità di Ceneo o l’eterna autorigenerazione della fenice, un’idea di
immortalità/eternità sembra attraversare come un fil rouge le storie degli essere dotati
(contemporaneamente o successivamente) dei due sessi; lo stesso Tiresia vive una vita lunga sette
generazioni e ottiene di poter conservare la ragione anche nell’Ade. Sembra proprio di poter
concludere, con Marie Delcourt, che la bisessualità, nel mito antico, dovesse avere un valore
positivo, essendo legata “à l’aspiration humaine vers la pérennité110”.

106
J. P. Vernant, Mito e società nell'antica Grecia. Religione greca, religioni antiche, op. cit. Il saggio in questione è Fra
bestie e dei. Dai giardini di Adone alla mitologia degli aromi, che uscì come introduzione a M. Detienne, Les jardins
d’Adonis. La mythologie des aromates en Grèce, Gallimard, Paris, 1972.
107
Ivi, p.141.
108
Vd. capitolo ad esso dedicato in questa trattazione.
109
J. P. Vernant, op. cit., p.160.
110
M. Delcourt, Hermafrodite, op. cit. p.64.
62
Conclusioni
Nel congedare i personaggi che ci hanno accompagnati in questa trattazione, è possibile
delineare alcuni punti generali emersi nel corso dell’analisi delle loro storie. Per cominciare, è
interessante esaminare il modo in cui Ovidio si rapporta ai miti di cambiamento di sesso: come è
stato già più volte osservato, egli li tratta alla stregua di tutti gli altri episodi che racconta, in quanto
essi obbediscono alla stessa logica del mirum che pervade l’intero suo poema1. Il narratore procura,
poi, anche di non farli accostare tra loro nella mente del lettore, disseminandoli in tutto il poema e,
quindi, distanziandoli2 (tranne in un caso, quello dell’episodio di Ermafrodito, preceduto dalla
menzione a Sitone, che, però, è appunto solo una menzione e non un vero e proprio racconto).
Questa distanza che Ovidio pone tra episodi simili, improntata al criterio della varietas e
all’atteggiamento che Karl Galinsky ha felicemente definito come jumpiness3, allontana il suo modo
di raccontare il mito da altre opere con analogo intento. Si pensi, per esempio, alle Metamorfosi di
Antonino Liberale, in cui, al contrario, queste storie di transessualità sono citate tutte insieme,
raggruppate per contiguità tematica. Esattamente il contrario di quanto fa il poeta di Sulmona. Il
poema ovidiano, infatti, risponde, anche a livello di struttura e organizzazione della materia,
all’obiettivo di esprimere la mutevolezza di tutte le cose (mutatas dicere formas)4.
È proprio questo obiettivo che spinge Ovidio a narrare i miti di cambiamento di sesso:

“Se il progetto letterario delle Metamorfosi è appunto quello di mutatas dicere formas,
spetta al poeta di interessarsi a tutte le possibili storie di instabilità, a illustrare cioè come il
mondo tutto (il mondo naturale, il mondo della leggenda, il mondo della storia) sia
attraversato da un irresistibile dinamismo. I corpi cercano stabilità anche a prezzo della
propria identità5”.

Anche l’idea dell’identità sessuale come monolitica, nelle Metamorfosi, al pari delle altre forme
di identità6, viene sgretolata: un essere umano può diventare un animale, una pianta o una roccia7,
così come un uomo può diventare una donna o viceversa. Eppure, questi stessi personaggi che
hanno subito la metamorfosi rimangono in qualche modo se stessi: “The physical characteristics of
the personages are subject to change, but their quintessential substance lives on8”.
Al pari delle altre trasformazioni, poi, anche quelle relative al sesso vengono operate sempre per
intervento divino: nessun altro, per quanto ingegnoso che sia (e Ifi cita il caso di Dedalo9) può
1
Sul tema vd. A. Perutelli, Il fascino ambiguo del miracolo laico, op. cit. È interessante anche notare en passant la
differenza di atteggiamento tra Ovidio e un autore come Plinio: quest’ultimo racconta i casi di cambiamento di sesso
per dimostrare che esso è possibile (non est fabulosum, VII, 36). Ovidio per il motivo opposto, perché sono
meravigliosi e straordinari, come gli altri miti del suo poema. Vd. G. K. Galinsky, op. cit., p.181-2.
2
Su questo punto vd. G. K. Galinsky, op. cit., p.33: “Stories that follow the same basic pattern are carefully spaced out
over the various book of Metamorphoses”.
3
G. K. Galinsky, op. cit., p.12, in cui descrive la concitazione tutta ovidiana della “corsa” da un mito all’altro, basata su
transizioni ogni volta imprevedibili.
4
Ivi, p.62. La famosa espressione compare, significativamente, nel primo verso delle Metamorfosi.
5
M. Labate, Storie di instabilità, op. cit., p.50.
6
“Un poema sulle metamorfosi inevitabilmente ritrae l’identità umana come qualcosa di instabile e incerto, dato che
Ovidio rappresenta le nostre vite e le nostre auto rappresentazioni come soggette a cambiamenti e rovesciamenti
improvvisi e drastici”, C. Segal, Il corpo e l’io nelle Metamorfosi di Ovidio, op. cit., p.18.
7
Per citare soltanto un esempio per ognuno dei tre casi: Callisto è trasformata in orsa (II, vv.401-530), Mirra in un
albero (X, vv.298-502), Niobe in roccia (VI, vv.146-312).
8
G. K. Galinsky, op. cit., p.45.
9
Met. IX, v.742.
63
effettuarle. Nel caso di Ifi, autrice della metamorfosi è Iside, nella storia di Cenis il responsabile è
Nettuno; anche quello di Ermafrodito è l’effetto (indesiderato) di una preghiera agli dei (di
Salmacide). Per quel che riguarda Tiresia, infine, bisogna tener presente che i serpenti hanno delle
puissances particolari dovute al loro legame con Gaia10.
La trasformazione da donna a uomo e il suo opposto non hanno, però, lo stesso peso assiologico:
diventando Ceneo, Cenis ha senza dubbio ottenuto una promozione (Nettuno presenta la
trasformazione come un suo dono, a compensare la violenza che ha perpetrato nei confronti della
fanciulla)11. Anche Ifi, dal canto suo, è trasformata dagli dei in ragione della pietas che sia sua
madre Teletusa sia ella stessa hanno dimostrato. Per contro, la storia di Tiresia mostra chiaramente
come la sua trasformazione in donna sia una punizione per il fatto di aver turbato l’accoppiamento
dei due serpenti. Lo stesso vale per Ermafrodito: per quanto la conformazione raggiunta al termine
della metamorfosi non sia femminile, ma androgina, la sua fusione con una donna è presentata in
termini di diminuzione della sua persona e perdita dell’integrità individuale. Da notare è, allora,
anche il fatto che questi miti sembrano disposti secondo una sorta di percorso ascendente, in base al
quale, le due storie di mutamento di sesso con epilogo felice (ossia trasformazione in uomo) per i
loro protagonisti (Ifi e Ceneo) sono collocate dopo le altre due (rispettivamente IX e XII libro)12.
Anche il paesaggio sembra avere un ruolo in queste metamorfosi e ciò produce un ulteriore
elemento di coerenza con l’opera in cui sono inserite, giacché “the frequency of landscape
descriptions firmly establishes it as another constant amid the flux of the poem 13”. Ad esempio,
notiamo la presenza dell’ambiente acquatico in due dei miti presi in esame: Cenis incontra Nettuno,
dio del mare, mentre passeggia su una spiaggia; Ermafrodito entra in contatto con Salmacide, ninfa
acquatica, nel momento in cui arriva alla fonte che ella custodisce. Come già visto, l’elemento
acquatico può essere letto in diversi modi14, anche come segno di mutevolezza e fluidità, in questi
casi anche in ambito sessuale15.
Fondamentale aspetto che sembra emergere dai quattro episodi visti è, infine, il carattere
relazionale dell’identità sessuale16: il conflitto tra il genere socialmente attribuito in base al sesso e
il genere percepito, sorge, così come la necessità del cambiamento di sesso, ogni volta, in un
personaggio, a seguito della sua relazione con un altro personaggio. Se non ci fosse Iante, Ifi non
proverebbe desideri che giudica contro natura (non uult Natura dice nel suo monologo)17; se
Ermafrodito non comparisse nella sua fonte, Salmacide non si comporterebbe come un molestatore,
assumendo, per certi versi, un comportamento da uomo e il puer, a sua volta, non ne uscirebbe
devirilizzato; se Nettuno, poi, non l’avesse stuprata, Cenis non desidererebbe di essere trasformata
in uomo. Questo schema vale, in parte, anche per la storia di Tiresia: se l’obiettivo non fosse quello
di sapere quale dei due sessi tragga più piacere dal rapporto fisico con l’altro, non vi sarebbe

10
Vd. L. Brisson, Le mythe de Tirésias, op. cit., p.47.
11
“Elige quid uoueas!” le dice a XII, 200.
12
p.242 di S. Viarre, L’androgynie dans les Métamorphoses d’Ovide, op. cit., p.242.
13
G. K. Galinsky, op. cit., p.98.
14
Vd. p.240-1 di A. La Penna, La parola translucida di Ovidio (sull’episodio di Ermafrodito, Met. IV 285-388), op. cit.,
p.240-1.
15
Vd. i già citati exempla acquatici di mutevolezza del XV libro (vv.270-296; 309-335).
16
Per una dimostrazione del carattere relazionale dell’identità in generale, vd. G. Pasqualotto, East & West. Identità e
dialogo interculturale, Marsilio, Venezia, 2003, cap. I-Intercultura e identità.
17
Met. IX, v.758.
64
ragione per Giove di convocare Tiresia18. Dunque le relazioni amorose, con l’altro sesso o con il
proprio, sono il fondamentale banco di prova dell’identità sessuale dei nostri protagonisti. È per
questo motivo che il poema ovidiano ben si presta alla narrazione di miti di transessualità, dal
momento che, come Karl Galinsky afferma, “the main subject of the poem, if one has to specify
one, is love […]. The depiction of love in all its aspects permeates the Metamorphoses19”.
Quest’attenzione alle dinamiche sentimentali, dimostrata anche nel resto della sua produzione20,
permette a Ovidio di esplorare le storie di transessualità con un’attenzione che va ben oltre la
curiosità del mitografo erudito verso esseri strani e mostruosi, mirabilia: egli, infatti, fa di questi
casi oggetto di letteratura21. Della sua letteratura, che, costituita com’e da una vorace mescolanza di
ogni genere possibile, di ogni antecedente possibile, è suscettibile anche delle più svariate
interpretazioni. È il motivo per cui lasciamo questi quattro miti con la consapevolezza che molte
sono ancora le cose da dire, molte le strade da percorrere. .

18
Per altro abbiamo già avuto modo di mostrare come, nel suo caso, il cambiamento di sesso assuma connotazioni
leggermente diverse, inserendosi in un contesto più ampio. Tiresia è un mediatore, che trascende tutte le categorie e
le etichette, anche quelle che possono far comodo, per esigenze di studio, nell’analisi degli altri episodi di
transessualità del poema ovidiano.
19
G. K. Galinsky, op. cit., p.97.
20
Vd. S. Viarre, op. cit., p.243.
21
Ivi, p.243: “Ovide a transmué une telle matière en littérature”.
65
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