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Ermanno Detti

Il piacere
di leggere
Come apprendere
il «gusto» della lettura

ilpepeverde.it
Percorsi di fantasia
Ai miei figli Paolo e Laura
Ermanno Detti

IL PIACERE
DI LEGGERE
Nuova edizione
rivista e aggiornata

Edizione e-book

ilpepeverde.it
I edizione in e-book: settembre 2013
edizioni ilpepeverde.it
© 2013 Ermanno Detti

ilpepeverde.it

ISBN 978 88 00000000


Indice

7 Introduzione alla nuova edizione


Sono passati più di 25 anni

13 Premessa

17 I. La lettura sensuale

1. Gli analfabeti alfabetizzati; p. 18 – 2. Cos'è il piacere della lettu-


ra: la parola alla letteratura; p. 23 – 3. La lettura sensuale; p. 33 –
4. I livelli della lettura sensuale; p. 36.

39 II. La lettura nella pratica educativa

1. I meriti della scuola; p. 39 – 2. Le responsabilità della scuola (e


di altri); p. 41 – 2.1. Le fasi dell'apprendimento della lettura; p. 41
– 2.2. Prima e dopo l'apprendimento. Verso un nuovo sistema for-
mativo; p. 45 – 3. Il problema della comprensione del testo; p. 48 –
3.1. Le analisi testuali nella pratica educativa; p. 53 – 3.2. Due
momenti educativi: il lavoro e il piacere; p. 57 – 4. Elogio del pia-
cere; p. 60 – 5. Il libro di lettura nella scuola media; p. 65 – 5.1. Il
libro di testo per studiare e gli altri libri per leggere. Le biblioteche;
p. 70 – 6. I Promessi Sposi, il libro più letto nella scuola: da vietare
ai minori di 18 anni; p. 76.
81 IV. Si può insegnare il piacere di leggere?
1. Cosa perde chi non legge; p. 81 – 2. L’importanza dell'immagi-
ne nella lettura sensuale; p. 82 – 3. Luigi Albertini e l’immagine per
attrarre e divertire. Dal «Corriere della sera» al «Corriere dei
Piccoli»; p. 86 – 3.1. Fumetti riadattati e favole malvagie; p. 93 –
3.2. Nella zona franca c’è perfino Marmittone; p. 96 – 3.3. La rico-
struzione e la perdita del progetto; p. 98 – 4. La letturatura popo-
lare; p. 101 – 4.1. Calamity Jane e Pecos Bill; p. 103 – 4.2. Le pub-
blicazioni a dispense; p. 106 – 5. Attenzione al testo scritto. È pos-
sibile definire la bellezza di un’opera?; p. 109 – 6. Se lettori non si
nasce, come ci si diventa?; p. 113 – 6.1. I risultati di un’indagine; p.
115 – 6.2. Testimonianze; p. 116 – 6.3. Il progetto di Bagni di
Gavorrano. Il piacere di leggere e la scuola; p. 118.

121 Conclusioni
127 Bibliografia essenziale
Introduzione alla nuova edizione
Sono passati più di 25 anni

Sì, più di 25 anni. Il piacere di leggere fu infatti pubblicato nel


1987, ma le idee erano nate prima e le avevo già confrontate in
convegni e incontri in varie sedi.
Era stato per la verità un confronto un po’ timido e contra-
stato. È significativo il modo in cui questo libro nacque. A metà
degli anni Ottanta un’associazione professionale di insegnanti
tenne un convegno sulla lettura e io ero presente tra il pubblico.
I relatori parlarono di schede didattiche, di tecniche per la com-
prensione del testo, di smontaggi e di rimontaggi linguistici, al-
l’epoca tanto di moda. Alcuni docenti di liceo intervennero con
comunicazioni che volevano essere nuove: come difendersi dal
fatto che i loro ragazzi leggessero le spy story, i cosiddetti neri,
tipo 007. In verità fui sorpreso, perché conoscevo quali erano le
letture dei ragazzi e sapevo che qualcuno – ma solo qualcuno, in
genere tra i più bravi – si dilettava di paraletteratura. Gli altri leg-
gevano poco di extrascolastico, nella migliore delle ipotesi qual-
che romanzo classico, qualche rotocalco, qualche fumetto.
Gli interventi di quei docenti trovarono invece consensi nel
pubblico. Presi allora la parola per esporre le mie idee, per dire
che non vedevo cosa ci fosse di male nella lettura delle spy story.
Citai i drammatici dati sulla lettura in Italia, dissi che c’era da ac-
cendere un cero a qualche santo se un ragazzo su cento si dilet-
tava con la lettura di spy story, avanzai qualche timido dubbio
sulla validità delle schede didattiche e degli esercizi di compren-
8 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

sione specie se estesi al libro di narrativa. Mi fu possibile a stento


finire l’intervento, le mie idee furono considerate provocazioni e
contestate mentre le esponevo.
La convinzione di essere nel giusto provocò in me una reazione
che fu anche uno stimolo formidabile: dopo pochi giorni pre-
sentavo a Sergio Piccioni, direttore editoriale della Nuova Italia,
il progetto per un nuovo libro. Piccioni ne fu entusiasta, mi sti-
molò a metterlo a punto e a scriverlo con rapidità. Avevo pro-
posto come titolo La lettura sensuale, ma al momento di andare
in stampa mi venne proposto Il piacere di leggere perché di più
facile comunicazione. «Meglio essere chiari, chiamare le cose
con il loro nome e soprattutto non spaventare», mi disse Piccioni.
E soggiunse Francesco Golzio, anche lui dirigente Nuova Italia
entusiasta del libro: «Già l’unione di parole come piacere e lettura
destano risentimenti nel mondo della scuola. Lo sai che Pinocchio
fu, agli inizi del Novecento, proibito per la sua gaia natura?».
In Nuova Italia si sapeva comprendere con straordinaria in-
telligenza e sensibilità gli umori del momento. Alla sua uscita il
libro trovò parecchie voci critiche specie tra gli educatori. Però
aprì un dibattito. A Bologna affrontai un’assemblea di insegnanti
indignati per quello che avevo scritto sui Promessi Sposi. Allora
era il romanzo più letto nei vari ordini di scuola e io lo avevo «vie-
tato ai minori di anni 18». Ci misi un po’ a far capire l’ironia sot-
tesa al divieto. Spiegai che la questione del piacere di leggere non
riguarda solo i ragazzi, che I Promessi Sposi può essere meglio
letto e compreso in età adulta e soprattutto che non avevo mai di-
sprezzato o censurato alcun libro, anzi avevo passato buona
parte della vita a battermi contro le censure. Non so se riuscii a
convincere tutti, ma certo alla fine ci furono interventi di con-
senso che sottolinearono la novità dell’idea.
Sul fronte della pedagogia pochi furono d’accordo. Sulla ri-
vista «La scuola se», diretta da Franco Frabboni, ci fu perfino un
confronto di opinioni di pedagogisti e molte furono le voci dis-
senzienti, ricordo che quella più feroce fu quella di… Beh, la-
sciamo perdere (Frabboni invece fu sempre favorevole). Infine al-
cuni sostennero la presenza di una contraddizione tra i due
INTRODUZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE 9

momenti proposti nel libro, la lettura come piacere e la lettura


come impegno e come studio. Comunque a onor del vero le cri-
tiche furono formulate sempre con garbo.
D’altra parte vennero i consensi di pubblico e di vendite.
Specialmente ai bibliotecari e agli scrittori per ragazzi il libro piac-
que, molti insegnanti e genitori mi scrissero lettere di consenso.
Nel giro di qualche anno lo scenario cambiò; fui chiamato a
convegni e ad incontri nelle biblioteche e nelle scuole in quasi
tutta Italia. Non partecipai a tutti, anche perché per timidezza e
per tendenze personali non amo molto i pubblici incontri. Ne ri-
cordo qui uno solo, perché fu uno dei primi, I promessi lettori, pr-
ganizzato da Pino Assandri e realizzato nel 1989 dall’Irrsae Valle
d’Aosta (gli atti furono pubblicati con lo stesso titolo a cura di
Marisa Cavalli). Nell’appassionato dibattito durato tre giorni
parteciparono tra gli altri, per discutere del piacere di leggere, stu-
diosi come Mario Ambel, Muriel Augry, Pino Assandri, Giorgio
Bini, Ugo Cardinale, Rossana De Angelis, Antonella Donzelli, Ni-
cole Dupré, Chiara Ferraris, Speranza Gaglio, Jaqueline Ker-
gueno, Maria Chiara Lavorato, Marino Livolsi, Giulio Lughi, Ra-
chele Marcello, Elena Mutti, Carlo Pasero, Rita Pugliese,
Gabriella Ravizza, Fernando Rotondo, Ludovico Terzi, nonché
scrittori come Marcello Argilli, Giuseppe Bufalari, Teresa Buon-
giorno, Nicole Schneegans. Aprii il Convegno e sostenni con forza
la tesi che la scuola insegna a leggere ma non si preoccupa del pia-
cere di leggere, per cui non si formano lettori stabili, tant’è che
gli adulti di fatto apprendono a leggere ma non ne fanno uso nella
vita e nel tempo libero. Ribadii con decisione che alla scuola com-
peteva ovviamente anche il compito di insegnare. Ma perfino la
fatica dello studio poteva essere piacevole, a condizione che essa
fosse compensata dalla soddisfazione di una conoscenza «inte-
ressante» o comunque dal «successo intellettuale». Naturalmente
avevo in mente le tesi dello psicologo americano Bruno Bet-
telheim che, tradotto anche in Italia, proprio in quegli anni an-
dava sostenendo che la scuola deve evitare il testo «vuoto» e che
ogni frase letta deve compensare, per contenuto o per informa-
zione, la fatica di essere letta.
10 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Ricordo che nelle conclusioni del convegno Ugo Cardinale si


poneva alcuni, almeno per allora, fondamentali problemi: «Ma il
percorso del piacere può essere oggetto di un itinerario di edu-
cazione?», «Si può o non si può insegnare la lettura sensuale di
Gian dei Brughi di calviniana memoria?», «Compete alla scuola
invadere il campo del tempo libero come propone Detti?». «In
una strategia alternativa, che posto lasciare alla lettura del testo
di narrativa?». A tutte queste domande Cardinale non rispon-
deva, lasciava il convegno «un’opera aperta». Però rischiava, di-
cendo tra il serio e l’ironico: «Se leggere è bello, occorre pubbli-
cizzare questa scoperta. Perché non pubblicizzare nuovi riti
collettivi per i giovani, più allettanti della moda dei fast food?».
Da quel convegno non fui più solo. L’espressione «piacere di
leggere» è stata usata in convegni, incontri, nei titoli dei giornali,
al punto che è stato dimenticato anche l’autore. Naturalmente
non mi dispiace. Tra molti insegnanti tuttavia rimase sempre un
po’ di timore a parlare di piacere e di sensualità del testo, almeno
fino a quando non giunse, nel 1993 quindi sette anni dopo,
Come un romanzo di Daniel Pennac (gli italiani si sa sono un po’
esterofili).

Oggi ripresentando, dopo molte ristampe e due edizioni, que-


sta nuova edizione per e-book avverto tutta la validità e l’attua-
lità dei contenuti del libro, anche se essa nasce in un clima cul-
turale radicalmente cambiato sia nel campo della lettura degli
adulti che in quella dei ragazzi. Per la verità i lettori adulti di li-
bri sono rimasti stabili, anzi dalle ultime indagini Istat risultano
addirittura scesi di qualche punto; per quanto riguarda i lettori
forti, cioè quelli che leggono più di dieci libri all’anno, sembra che
essi siano una percentuale che sta tutta nelle dita di una mano, né
vi sono segnali di sviluppi, anzi con la crisi si parla di diminu-
zione… La tendenza potrebbe risultare curiosa, perché invece la
lotta contro l’analfabetismo di base in Italia, come in altri paesi
industrializzati, risulta in gran parte vinta (sotto questo aspetto la
scuola ha fatto passi da gigante nella seconda metà del secolo
scorso). Sono in notevole aumento invece le donne lettrici.
INTRODUZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE 11

Tuttavia oggi si vanno profilando dati nuovi. Gli adulti poco


alfabetizzati fino a qualche tempo fa chiedevano più alfabetizza-
zione, basti ricordare la nota battaglia per le 150 ore e il successo
di quella istituzione nata addirittura da una battaglia dei lavora-
tori. Oggi, al contrario, solo coloro che raggiungono un certo li-
vello culturale chiedono altra cultura. E per lo più sono donne.
Ce lo dicono con chiarezza sia alcune indagini, sia alcuni moni-
toraggi ministeriali sui Centri territoriali di educazione degli
adulti. In pratica ad iscriversi ai corsi di educazione per gli adulti
sono soprattutto i diplomati o i laureati e coloro che hanno un im-
piego; la richiesta riguarda soprattutto lo studio delle lingue e l’al-
fabetizzazione informatica, discipline che richiedono una certa
formazione culturale di base. Ma anche gli altri corsi – come arte,
musica, fotografia, lingua italiana, ecc. – sono richiesti soprattutto
da chi ha già buone basi culturali, mentre è evidente che po-
trebbero essere affrontati anche da chi ha titoli e livelli di studio
più bassi. Anzi, forse quest’ultimi ne avrebbero più bisogno, ma
non ne avvertono l’esigenza.
Insomma la tendenza è che i più deboli culturalmente non
chiedono cultura, non chiedono niente, sono i più istruiti a chie-
derne di più. Ci sono eccezioni, ma sembrano persone che vo-
gliono colmare lo svantaggio scolastico per motivi di inserimento
sociale, come gli immigrati, i disoccupati, i giovani drop-out. Si
è pertanto conclusa la fase dell’educazione degli adulti così come
l’abbiamo storicamente intesa per oltre cento anni. Perché que-
sta nuova tendenza? È probabile che la moderna informazione e
le agiatezze del consumismo soddisfino le deprivazioni culturali
o che comunque facciano in modo che l’individuo non ne avverta
la pesantezza.
Tutto questo ha una stretta attinenza con la lettura. I nuovi
mezzi di comunicazione di massa e certe trasmissioni popolari
(pensiamo alle telenovelas o agli spettacoli d’intrattenimento) sod-
disfano alcuni bisogni di evasione, in passato soddisfatti dalla let-
teratura popolare. È vero che ci sono molti casi in cui nemmeno
un laureato è buon lettore. Ma il tracollo più evidente è nei ceti
culturalmente più deboli. Non a caso negli ultimi anni sono in di-
12 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

minuzione le letture più «leggere», come quelle del fumetto, del


fotoromanzo, del romanzo rosa che un tempo nutrivano anche
persone che sapevano leggere appena.
Il libro, il buon libro, è invece ancora, malgrado la crisi, con-
siderato un bene di consumo. E non pare risentire dello sviluppo
delle moderne tecnologie. Intanto in Italia si va sempre più
diffondendo il libro di letteratura straniera, con una certa predi-
lezione per quella anglosassone, ma non manca l’attenzione per
i buoni scrittori italiani che talvolta si avventurano anche nei mo-
derni generi narrativi (il giallo, in particolare).

Una nuova situazione si è venuta, in generale, a determinare


con la diffusione del computer, della rete, dei videogiochi, degli
e-book. Nascono nuovi interessi nei ragazzi, mentre si modifica
l’uso del tempo libero, le stesse conoscenze, le modalità di acce-
dere all’informazione. Ma il libro di carta convive, semplice-
mente, a fianco al libro elettronico. Per questi motivi abbiamo
scelto di ripubblicare quella proposta in formato e-book.
Premessa

Questo libro è una proposta molto semplice: creare nei gio-


vani il gusto della lettura in maniera tale che esso duri tutta la
vita. Potevano, allora, bastare due righe per scrivere un libro del
genere? No, perché se la proposta è semplice meno semplice è
la strada per realizzarla.
Un libro simile non poteva che essere molto pratico. E lo è.
Ma esso si basa su alcune idee che qui è necessario premettere.
Una delle idee fondamentali la dobbiamo a Italo Calvino. È
l’idea della lettura sensuale, della lettura capace di assorbire
tutti i nostri sensi e di estraniarci quindi da tutte le altre cose
sensibili. Nel primo capitolo si evidenzierà questo aspetto pre-
sente nella produzione del nostro scrittore. Anticipiamo qui
quanto egli ha scritto nel suo libro, Sotto il sole giaguaro1, per-
ché è una sorta di premessa a tutte le sue idee. È un libro impor-
tante, vi troviamo addirittura i sensi a base dell’evento narrati-
vo. Il gusto, l’olfatto e l’udito soltanto: purtroppo gli altri due
Calvino non ha potuto mai trasformarli e astrarli in «esercizi»
fantastici, gliel’ha impedito la morte.
Discutendo con un amico, abbiamo perfino ipotizzato che
nei racconti del suo ultimo libro Calvino avesse, consapevol-
mente o meno, trovato un rapporto fra genere letterario e senso.
E molte cose tornavano. Il primo racconto, basato sull’olfatto,

1 Italo Calvino, Sotto il sole giaguaro, Milano, Garzanti, 1986.


14 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

contiene allusioni al genere «rosa» o più in generale al racconto


amoroso. E difatti è la storia di un uomo innamorato che
insegue un ideale di donna della quale conosce solo il profumo.
A pensarci bene il profumo rimanda ad una serie di associazioni
mentali che si collegano con estrema facilità: viene da pensare
alla rosa, al genere «rosa» quindi; in Francia, non a caso, i
romanzi «rosa» si chiamano «libri-saponetta»; i vecchi calenda-
rietti da barbiere con tante donnine in costume, una volta dis-
tribuiti dai barbieri alla propria clientela, erano profumatissimi
e legati con un nastrino colorato… Anche negli altri brevi episo-
di del racconto di Calvino, nei quali dal profumo si passa al cat-
tivo odore, rimangono sempre presenti rapporti amorosi certo
più sensuali, alla fine mortali.
Nel racconto sul secondo senso, quello sul gusto, Calvino
descrive le vicende di una coppia in viaggio di piacere fra le
meraviglie del Messico. Ecco allora che il gusto può corrispon-
dere al genere narrativo più coinvolgente, più «gustoso» e
«primitivo», quello del viaggio, della scoperta di mondi esotici
e sconosciuti, al genere avventuroso insomma. In effetti un viag-
gio di piacere è un po’ come la degustazione del cibo: chi man-
gia per gusto è sempre alla ricerca di una sensazione nuova, alla
scoperta di un nuovo sapore, di una nuova cucina…
Nel racconto sull’udito si raccontano le ansie, le paure, il ter-
rore di un re che, immobilizzato nel suo trono, non può far altro
che ascoltare i rumori attorno a lui ed attribuire ad essi i più
angosciosi significati, far scaturire da essi le più spasmodiche
attese. Qui sembra trasparire un’allusione al genere «nero» e
alla «narrativa di suspence». Viene in mente Cornell Woorlich,
con i suoi «romanzi-morsa», ove il lettore è trascinato, insieme
al protagonista, in vortici senza fondo, in «vortici neri» insom-
ma. E del resto nel racconto vi è anche un esplicito riferimento
al vortice dell’orecchio (paragonato a quello della conchiglia)
nel quale i suoni si «avvitano», si disperdono e si trasformano.
Se le nostre ipotesi siano o meno giuste non è facile saperlo.
Certo, se Calvino ci avesse potuto donare anche i racconti sugli
altri sensi tutto sarebbe stato più chiaro. Non avremmo avuto
PREMESSA 15

più dubbi, se nel racconto sulla vista vi fossero state allusioni al


genere poliziesco, allo spionaggio, al «giallo» insomma; e nel
racconto sul tatto al romanzo di azione, di guerra, di cappa e
spada.
Ma, al di là di tutto ciò, resta il fatto che Calvino ci ha con-
fermato che i sensi hanno a che fare con la letteratura e con il
gusto della lettura. Da profondo conoscitore dei racconti più
remoti (si tenga presente che è l’autore della raccolta delle Fiabe
italiane), Calvino ha saputo indicarci una strada con precisione:
fra i tanti bisogni, remotissimi, dell’uomo, vi è anche quello di
godere di racconti; la letteratura è quindi indispensabile alla
vita, come nutrirsi, vedere, udire, sentire.

La seconda idea su cui si basa questo libro è più esplicita-


mente pedagogica. È l’idea che nell’educazione giochino un
ruolo fondamentale anche elementi non razionali, come le
emozioni, i sentimenti e, più di tutti, il piacere. Siamo insomma
convinti che alla formazione dei giovani debbano concorrere
(sempre di più) elementi intellettuali, ma, insieme ad essi, anche
aspetti completamente opposti a quelli tradizionali del sacrificio
e dell’impegno. O meglio, anche sacrificio ed impegno possono
avere il loro valore, quando non diventino tormento, ma, al con-
trario, fonte di soddisfazione per aver perseguito un obiettivo,
per aver appreso o conquistato qualcosa di interessante. Così,
per quanto riguarda il nostro campo, si tratta non di insegnare
solo a leggere, ma anche di creare le condizioni affinché si formi
il piacere di leggere.
L’idea di rivalutare aspetti emotivi e piacevoli non è, anche
in questo caso, nostra. Da tempo pedagogisti e studiosi avvedu-
ti hanno evidenziato la nocività di una crescita avvenuta nel-
l’ombra del sacrificio, della sofferenza. Scrive al proposito
Umberto Eco: «La scuola come gioco, piacere, divertimento. In
cui non solo si impara, ma si fa quello che gli scrittori di tutti i
tempi hanno fatto, si capiscono le potenze bifide, esplosive del
linguaggio; e col linguaggio si esplorano i meandri della coscien-
za». Eco, qui, parla di scuola: noi crediamo che il discorso valga
16 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

per tutta la vita di un bambino o di un giovane, visto che a scuo-


la non si vive sempre e, ormai, non si impara tutto.
Ci sembra già di udire le repliche: «Ma come, dire questo
oggi quando i ragazzi hanno tutto, non conoscono miseria, pri-
vazioni…». Sì, queste cose vanno dette proprio oggi. In passato
privazioni e impegno avevano una giustificazione concreta, nel
senso che obiettivamente certe cose non si potevano avere e
quindi dare. Oggi non c’è nessuno più patetico di un genitore
che vuol vietare al figlio qualcosa non perché manca obiettiva-
mente, ma perché pensa che gli faccia bene soffrire un po’. C’è
il rischio, se non quasi la certezza, che il ragazzo comprenda il
meccanismo... Le conseguenze sono facilmente immaginabili. Il
peggio è poi se un simile atteggiamento viene assunto come
modello e come comportamento di vita: non dare per principio
ciò che invece possediamo in quantità.
Tronchiamo subito con queste assurde sciocche divagazioni.
L’idea di cui stiamo parlando vuol dire ben altro. Vuol dire
creare le condizioni affinché i giovani crescano sanamente e ser-
enamente, responsabili anche nelle attività che richiedono
impegno, e che si creino le condizioni per rispondere non
soltanto, come purtroppo avviene, ai bisogni più superficiali,
ma anche a quelli più profondi e importanti, come nel nostro
caso il piacere di leggere.

2 Umberto Eco, La bustina di Minerva, in «L’Espresso» del 23-2-1985.


L’intervento è ora riportato nella presentazione del volume di Ersilia Zamponi,
I draghi locopei, Torino, Einaudi, 1986.
I. La lettura sensuale

Di lettura si discute molto: ne discutono studiosi, ricercatori,


scrittori, pedagogisti, giornalisti, insegnanti. I toni, le
impostazioni, i livelli sono, come è naturale, diversi. Ci sono
comunque due aspetti particolarmente interessanti. Il primo
riguarda i canali attraverso cui si sviluppa il dibattito: si va dai
convegni, ai saggi, ai giornali e alle riviste, e questo indica la
volontà di rendere di pubblico dominio una questione che è di
pubblico interesse. Come dire: della lettura debbono discutere
tutti, perché è questione di tutti.
Il secondo aspetto riguarda una specie di ritornello, su cui
vorremmo soffermarci: è il ritornello del «gusto della lettura».
Nel 1986 anche in un tema della maturità si parlò di «gusto
della lettura» e molti restarono sorpresi, dato che il Ministero
della Pubblica Istruzione non aveva mai mostrato interesse per
il problema, anzi si è sempre preoccupato che il divertimento
distogliesse dalla serietà degli studi. Questa idea che tutto ciò
che sa allegria distolga dalla serietà degli studi ha origine
antichissime. È noto che perfino Pinocchio, a pochi anni dalla
sua pubblicazione (nel 1883), fu proibito nelle scuole da una
Commissione ministeriale, insieme ad altri libri, perché scritti:
«… in stile così gaio, e non di rado umoristicamente frivolo, da
togliere ogni serietà all’insegnamento»3. Difficile trovare uno

3 Per una prima visione generale della storia della lettura si rimanda comun-
que al testo Guglielmo Cavallo, Roger Charter (a cura di), Storia della lettura nel
18 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

studioso che affronti il tema della lettura senza parlare di gusto,


di piacere. Cerchiamo allora di rispondere a due domande: 1)
perché oggi, più che in passato, ci si pone questo problema? 2)
cos’è in definitiva il gusto della lettura?

1. Gli analfabeti alfabetizzati

Gli ignoranti di terzo tipo è il titolo significativo di un breve


articolo di Tullio De Mauro4. Vi si parla di due tipi di analfa-
betismo: il primo è quello strumentale, di chi non sa decifrare né
scrivere una parola; il secondo è quello funzionale, di chi sa leg-
gere ma non sa capire un «semplice articolo di giornale né sa
scrivere una lettera. A questi analfabetismi, classici, se ne
aggiunge un terzo, l’analfabetismo culturale e intellettuale. È il
caso della persona benestante e felice di sé; si tratta in sostanza
di chi sa leggere e scrivere ma non lo fa semplicemente perché
non sente alcun bisogno di farlo, non ne ha esigenza. Raffaele
Simone definisce questa nuova figura post-alfabeta: in sostanza
«una persona che ha conosciuto e usato l’alfabeto per un pezzo
( magari a scuola), e poi, pur non avendolo dimenticato (e quin-
di pur non essendo un analfabeta di ritorno), non ha più moti-
vo di servirsene, né nel leggere né nello scrivere»5. Chi sono,
socialmente in Italia, questi analfabeti culturali o post-alfabeti?
«Qui l’Istat ci aiuta: sono quei gruppi percentualmente consis-
tenti di dirigenti, di benestanti, di laureati che né comprano né
leggono mai (dicesi mai) un libro o un giornale. Medici, avvo-
cati, direttori generali, dirigenti di imprese e – sì – professori.
E (notare) maschi assai più che femmine»6.

mondo occidentale, Laterza, Roma-Bari, 1995, ove autori vari affrontano la que-
stione dall’epoca della Grecia arcaica ai giorni nostri.
4 Tullio De Mauro, Gli ignoranti del terzo tipo, in «L’Espresso» del 23-2-
1986.
5 Raffaele Simone, Quattro ragioni per non leggere, in «Italiano e oltre», n. 2,
marzo aprile 1987.
6 Ibidem.
I. LA LETTURA SENSUALE 19

In un interessante saggio Hans Magnus Enzensberger7, noto


studioso tedesco, sostiene che l’idea di cultura di massa è piut-
tosto recente. Gli Egiziani inveivano contro il dio Ermete per-
ché aveva inventato la scrittura, e gli antichi filosofi greci
nascondevano nel tempio le loro opere affinché il volgo non
potesse vederle; ancora nel secolo scorso un educatore popo-
lare, Johann Rudolph Gottlieb Beyer, poteva scrivere della let-
tura: «Se non ne derivano sempre soltanto sollevazioni o rivo-
luzioni, crea tuttavia gente insoddisfatta e malcontenta, che
sempre vede sotto cattiva luce le imprese del potere legislativo
ed esecutivo e non ama la Costituzione»8. E Georg Heinzmann
scriveva all’epoca di Goethe: «Perché si dovrebbe scrivere e
stampare egregiamente per la specie più corrotta del genere
umano, la quale eternamente vuol essere divertita, adulata,
ingannata?»9.
Ma a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, la parola
d’ordine di lotta all’analfabetismo muove dall’Inghilterra e si
diffonde in tutti i paesi industrializzati. E non a caso tutto ciò
accade in questi paesi: «I filantropi e i sacerdoti della cultura
che favorivano l’alfabetizzazione non erano se non i manovali
dell’industria capitalistica, la quale pretendeva che lo Stato le
mettesse a disposizione manodopera qualificata. Non s’è mai
fatto questioni di Buono, Vero, Bello, questioni di cui parlavano
gli editori patriarcali dell’epoca Biedermeier citati ancor sempre
dai loro successori d’oggi. Non si trattava di spianare loro la
strada alla “cultura dello scritto” e men che meno di liberare
l’uomo dalla sua minorità. Era in gioco tutt’un altro progresso.
Si trattava di addomesticare l’analfabeta, questa “infima classe
umana”, fargli passare la fantasia e la testardaggine e d’ora in
poi sfruttarne non soltanto la forza muscolare e l’abilità arti-
giana, ma anche il cervello»10.

7 Hans Magnus Enzensberger, Il nuovo analfabeta, in «L’Espresso» del 23-


2-1986.
8 Riferito in H. M. Enzensberger, op. cit.
9 Riferito in H. M. Enzensberger, op. cit.
10 H. M. Enzensberger, op. cit.
20 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Una simile esigenza di alfabetizzazione ha dato i suoi frutti.


È vero che nei paesi del Terzo mondo l’analfabetismo raggiunge
cifre impressionanti; è vero che uno su tre abitanti del nostro
pianeta non sa leggere e scrivere. Ma è anche vero che nei paesi
industrializzati l’analfabetismo è scomparso o, in alcuni come
l’Italia, è in forte diminuzione.
Nel frattempo però, sostiene Enzensberger, è avvenuto qual-
cosa di abominevole.
È avvenuto che – forse proprio perché i popoli hanno
imparato a leggere e a scrivere perché altri lo hanno voluto –
l’analfabeta è ritornato. Ed è un analfabeta particolare, che pos-
siamo chiamare culturale o post-alfabeta. Egli sa leggere e scri-
vere ma non vuol farlo; è possibile anche un suo identikit.
«Se la passa bene perché non soffre per la mancanza di
memoria da cui è affetto; il fatto di non essere caparbio gli
rende la vita più facile; il fatto di non essere capace di concen-
trarsi è da lui apprezzato; il fatto di non sapere e capire che cosa
gli succede gli sembra un vantaggio. Egli è mobile, è capace di
adeguarsi. Dispone di una considerevole capacità di imporsi.
Quindi non c’è motivo di preoccuparsi per lui. Contribuisce al
suo benessere la circostanza che l’analfabeta di ritorno non si
rende assolutamente conto di essere un analfabeta di ritorno. Si
considera bene informato, è in grado di decifrare istruzioni per
l’uso, pictogrammi ed assegni, e si muove in un ambiente
ermeticamente chiuso contro ogni attacco alla sua coscienza. È
impensabile che egli possa fallire a causa del mondo che lo cir-
conda. Il quale mondo ha prodotto e plasmato per garantirsi la
propria sopravvivenza indisturbata.
L’analfabeta di ritorno è il prodotto di una nuova fase del-
l’industrializzazione. Un sistema economico, il cui problema
non è più la produzione ma il consumo, non sa più che fare di
un’armata di rincalzo ben disciplinata. Ha bisogno di consuma-
tori qualificati»11.
Nel saggio dello studioso tedesco si aggiunge che, più di

11 H. M. Enzensberger, op. cit.


I. LA LETTURA SENSUALE 21

recente, la tecnologia avrebbe inventato anche la soluzione, il


medium ideale per gli analfabeti di ritorno: la televisione; essa
deve proprio «alla sua scemenza la circostanza di essere così
attraente, irresistibile e piena di successo»12.
Al di là di certe affermazioni soggettive e discutibili, un
aspetto ci sembra essenziale nel discorso di Enzensberger: la
scolarizzazione non risolve il problema della cultura, né, in ulti-
ma analisi, dell’analfabetismo. Ne sono testimonianza gli anal-
fabeti di ritorno. Più in generale si può cogliere una tendenza
chiara e preoccupante, all’aumento della scolarizzazione, all’au-
mento delle persone alfabetizzate non corrisponde un aumento
delle persone che leggono per abitudine, per piacere, per arricchi-
re la loro vita. Segno che la scuola è riuscita a debellare buona
parte dell’analfabetismo, è riuscita a insegnare la scrittura e la
lettura, ma non il gusto della lettura.
Questa situazione non è nuova e non riguarda solo il nostro
paese. In un libro pubblicato negli Stati Uniti nel 1981 e tradot-
to in Italia nell’anno successivo, Bruno Bettelheim e Karen
Zelan denunciavano questa situazione nel loro paese: «La mag-
gior parte dei bambini impara a leggere presto o tardi, e l’im-
para più o meno bene. Eppure soltanto una minoranza –
benché fortunatamente abbastanza cospicua – adora la lettura,
e in seguito, per tutta la vita, ne trae grandi benefici»13. Il prob-
lema, sostengono i due studiosi, non è l’incapacità di una lettura
strumentale, ma la persistenza di una mancata motivazione alla
lettura: difatti la gente legge solo quando ha necessità pratica,
contingente. «Nella nostra situazione attuale, la maggior parte
degli adulti sanno leggere ma non trovano la lettura di grande
utilità, se non per acquisire informazioni specifiche a cui sono
interessati o come mezzo per ammazzare il tempo con uno
svago banale…»14. La lettura per finalità culturali o per piacere
è straordinariamente pochissimo diffusa.

12 H. M. Enzensberger, op. cit.


13 B. Bettelheim, K. Zelan, Imparare a leggere, Milano, Feltrinelli, 1985, p.42.
14 Ibidem, p.31.
22 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

La responsabilità di questa situazione è, secondo i due stu-


diosi, essenzialmente della scuola e dei metodi d’insegnamento
che tendono a porre l’accento sul valore pratico della lettura,
sulla decifrazione delle parole e sulla comprensione del testo.
«Gli insegnanti zelanti, ansiosi di assicurare una vita migliore
dal punto di vista finanziario ai loro allievi, li sollecitano ad
applicarsi con maggiore assiduità all’apprendimento delle
capacità di lettura per potersi fare strada nel mondo»15.
Si tornerà su questa questione, che in effetti ci ricorda le
citate preoccupazioni di Enzensberger: il leggere o lo scrivere
viene insegnato non per godere della letteratura, ma come stru-
mento funzionale a una società che sappia leggere e che legga
solo quando ha bisogno, cioè per motivi pratici. Le conseguen-
ze sono devastanti. L’analfabeta da una parte è privato della sua
letteratura, quella orale, come le fiabe, le filastrocche, i miti, nati
prima della lingua scritta, dall’altra, attraverso il processo di
alfabetizzazione, viene addestrato sin da bambino ad una let-
tura vuota, fatta di esercizi di decifrazione e di stimoli esterni.
«In anni successivi, un bambino del genere può non
accostarsi ai libri per cercarvi idee, dato che fin dall’inizio essi
non gliene comunicavano nessuna, e tutto quello che importava
all’insegnante era che egli non facesse nessun errore nel
decifrare le parole. Da adulto, poiché la lettura non presenta
difficoltà tecniche per lui, egli può leggere agevolmente i titoli
del giornale, le previsioni del tempo, le pagine sportive o le quo-
tazioni di borsa: cioè può leggere per tenersi informato, ma non
per diletto o per arricchire la sua vita. Il fatto è che una così
completa indifferenza o un atteggiamento del tutto passivo nei
confronti della lettura sembra tipico della maggioranza della
popolazione»16.
È questa situazione, questo fenomeno presente nei paesi più
sviluppati che impone oggi una riflessione seria e approfondita
sul gusto della lettura. Ecco perché molti ne parlano. Si rende

15 Ibidem, p. 53.
16 Ibidem, pp. 51-52.
I. LA LETTURA SENSUALE 23

sempre più necessaria la formazione di giovani non solo alfa-


betizzati e capaci di leggere e comprendere, ma anche dotati di
uno spirito che consenta loro di avere nei confronti della cultura
un atteggiamento positivo, un interesse per tutta la vita. E per
cultura intendiamo non solo la conoscenza tecnica o l’infor-
mazione arida e acritica, ma anche la capacità di capire e di
godere l’arte e la letteratura. Quella di cui paradossalmente, sec-
ondo Enzensberger, gli stessi analfabeti erano sembrati inven-
tori. Scrive, infatti, nel saggio citato, Enzensberger: «Sono stati
gli analfabeti ad inventare la letteratura. Le forme elementari di
questa, dal mito alla rima infantile, dalla fiaba alla canzone,
dalla preghiera all’indovinello, sono tutte più vecchie della scrit-
tura. Senza tradizione orale non esisterebbe la poesia e senza gli
analfabeti non esisterebbero i libri».
Un simile problema riguarda certo in primo luogo i paesi
industrializzati. Ma riguarda anche quelli in via di sviluppo, per-
ché la loro lotta contro l’analfabetismo potrebbe combatterla in
maniera da evitare gli errori commessi dai paesi in cui l’analfa-
betismo è stato debellato.

2. Cos’è il piacere della lettura: la parola alla letteratura

Non è difficile intuire cosa sia il piacere di leggere e meno


difficile è per chi ha provato questo piacere nella vita. Tuttavia
la sua definizione e descrizione non è facile, tant’è vero che essa
ha impegnato letterati e studiosi. Giova rifarsi a quegli scritti,
anche per cercare di vedere le modalità e le condizioni in cui un
simile piacere si realizza.
Cartesio, ad esempio, dava molta importanza alla lettura e la
considerava «come una conversazione con tutti i valentuomini
dei secoli passati»17. Marcel Proust ci riferisce18 che una con-

17René Descartes, Discorso sul metodo, I.


18 Marcel Proust, Giornate di lettura. Vigilie ed esperienza di un poeta,
Milano, Il Saggiatore, 1965, p. 118 e sgg.
24 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

cezione analoga a quella di Cartesio la si ritrova in Ruskin.


Ruskin affermava che la lettura di un libro è una conversazione
con uomini saggi e valenti quanto e forse più di quelli che
incontriamo fuggevolmente nella nostra vita. Ma siamo così
sciocchi che rincorriamo gli amici e le persone importanti di
oggi, mentre dimentichiamo gli amici della nostra biblioteca:
«Noi non possiamo conoscere chi vorremmo – scrive Ruskin
– Possiamo per una fortuna insperata, avere una visione
momentanea di un grande poeta o udire il suono della sua voce;
o rivolgere qualche domanda a uno scienziato, il quale ci
risponderà affabilmente. Possiamo usurpare dieci minuti di col-
loquio nel gabinetto di un ministro; o godere una volta nella vita
del privilegio di attirare lo sguardo di una regina. Eppure,
questi fortunati casi fuggitivi noi li desideriamo e spendiamo i
nostri anni, le nostre passioni e le nostre capacità nella ricerca
di qualcosa di meno importante, mentre, durante questo tempo,
c’è una società che ci è costantemente aperta, ci sono persone
che, quale sia nostra condizione e occupazione, potrebbero
conversare con noi tanto a lungo quanto vorremmo. E tale soci-
età, così numerosa e amabile, e che possiamo far aspettare
intorno a noi l’intera giornata, – re e uomini di Stato che atten-
dono pazientemente non per concedere un’udienza, ma per
ottenerla, – noi non la cerchiamo mai in quelle anticamere
ammobiliate con tanta semplicità che sono gli scaffali delle nos-
tre biblioteche, non ascoltiamo mai una parola di quel che essa
ci potrebbe dire!»19.
Proust non è completamente d’accordo con Ruskin, come
non è completamente d’accordo con Cartesio. La lettura è per
Proust qualcosa di più emotivamente coinvolgente che una con-
versazione. La differenza sta nella maniera di comunicare.
«La lettura, al contrario della conversazione, consiste per
ciascuno di noi nel ricever comunicazione del pensiero di un
altro, ma restando pur sempre solo, ossia continuando a godere

19 John Ruskin, Sesame and the Lilies, the treasures of the Kings, citato in M.
Proust, op. cit., p. 133.
I. LA LETTURA SENSUALE 25

della potenza intellettuale che si possiede nella solitudine e che


la conversazione dissipa immediatamente; continuando a poter
essere ispirato, a rimanere in pieno lavoro fecondo dello spirito
su lui stesso»20.
Ecco, Proust usa proprio la parole godere e la usa in relazione
alla capacità intellettiva che si dispiega dinanzi alla pagina di un
libro quando si è soli, quando tutti i nostri sensi si isolano dal
mondo esterno, cosicché tutte le nostre energie restano, come
dire, in noi e non si disperdono «fuori», come invece avviene
nella conversazione o anche nelle letture «disturbate» dalla pre-
senza di altri. Ma per capire il tipo di coinvolgimento, e in defin-
itiva il piacere derivante dalla lettura, è utile riflettere sulle parti
in cui lo scrittore descrive lo stato d’animo e l’atmosfera in cui
il lettore può immergersi:
«Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiam
vissuti tanto pienamente come quelli che abbiam creduto di
aver trascorsi senza vivere, in compagnia di un libro prediletto.
Tutto quel che (a quanto ci sembrava) li riempiva per gli altri, e
che noi scartavamo come ostacoli volgari a un piacere divino, il
gioco per il quale un amico veniva a cercarci nel punto più
interessante; l’ape o il raggio di sole che ci davan fastidio,
costringendoci ad alzar gli occhi dalla pagina o a cambiar di
posto; le provviste che ci erano state date per l’ora di merenda
e che lasciavamo accanto a noi sul sedile, senza toccarle, men-
tre, sopra il nostro capo, il sole diminuiva di forza nel cielo
azzurro; il pranzo che ci aveva obbligati a rientrare e durante il
quale pensavamo solo a salire subito dopo, in camera, a ter-
minare il capitolo interrotto, tutto questo, di cui la lettura
avrebbe dovuto farci sentire soltanto l’importunità, ne imprime-
va invece in noi un ricordo talmente dolce (e, pel nostro
giudizio attuale, più prezioso di quel che leggevamo allora con
amore) che, ancor oggi, se ci càpita di sfogliare quei libri di un
tempo, li guardiamo come se fossero i soli calendari da noi con-
servati dei giorni che furono, e con la speranza di veder riflesse

20 M. Proust, op. cit., p. 134.


26 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

nelle loro pagine le dimore e gli stagli che più non esistono»21.
Ci sono due aspetti particolarmente interessanti in questo
brano. Il primo riguarda il fastidio derivante da tutto ciò che
può interrompere o distogliere la lettura; anche le cose più
piacevoli, se interrompono e richiamano alla realtà, divengono
odiose e il lettore non desidera altro che permanere in quel tor-
pore, in quel flusso che lo trattenga nel suo mondo al di fuori
del mondo. Il secondo è la testimonianza di quanto possa essere
incidente l’esperienza di una lettura che coinvolga profonda-
mente: a distanza di anni il libro, le pagine – e non, si badi bene,
i significati profondi di un’opera, il contenuto – ci danno un
dolce ricordo di ciò che «eravamo», e quasi ricerchiamo, attra-
verso quelle pagine stesse, le sensazioni e gli stati d’animo più
belli del nostro tempo passato. Questo coinvolgimento emotivo
– e non, ripetiamo, il contenuto del libro che è importante solo
in quanto è coinvolgente – ha certo influenza sulla formazione
della personalità dell’individuo. Che tipo di influenza?
Una risposta possibile a questa domanda la troviamo in
alcune pagine particolarmente «giocose» del Barone rampante
di Italo Calvino. Ci riferiamo alla storia di Gian dei Brughi,
brigante e assassino, capobanda di malviventi, che si lasciò
andare ad una lettura sfrenata di libri. Lettura fatale, perché gli
costò prima la perdita della ferocia indispensabile alla soprav-
vivenza di un brigante, poi della fiducia dei suoi compagni di
macchia ed infine della testa. La storia ebbe inizio quando, per
sua sventura, Gian dei Brughi incontrò Cosimo, il Barone ram-
pante, che da un albero gli calò un libro. All’inizio lo scopo
della lettura era solo quello di avere qualcosa da leggere durante
la giornata, quando il brigante doveva rimanere nascosto, ma
poi avvenne la catastrofe: preso dal piacere della lettura, Gian
dei Brughi non voleva uscire più dal suo rifugio e non aveva più
voglia di far quelle rapine necessarie a lui e alla sua banda. Ma
ecco come Calvino descrive la lettura del brigante:

21 M. Proust, op. cit., p. 118.


I. LA LETTURA SENSUALE 27

«Gian dei Brughi, intanto, sdraiato sul suo giaciglio, gli ispi-
di capelli rossi pieni di foglie secche sulla fronte corrugata, gli
occhi verdi che s’arrossavano nello sforzo della vista, leggeva
leggeva muovendo la mandibola in un compitare furioso, tenen-
do alto un dito umido di saliva per essere pronto a voltare pag-
ina. Alla lettura di Richardson, una disposizione già da tempo
latente nel suo animo lo andava come struggendo: un desiderio
di giornate abitudinarie e casalinghe, di parentele, di sentimen-
ti familiari, di virtù, d’avversione per i malvagi e i viziosi. Tutto
quel che lo circondava non lo interessava più, o lo riempiva di
disgusto. Non usciva più dalla sua tana tranne che per correre
da Cosimo a farsi dare il cambio del volume, specie se era un
romanzo in più tomi ed era rimasto a mezzo della storia. Viveva,
così, isolato, senza rendersi conto della tempesta di risentimen-
ti che covava contro di lui anche tra gli abitanti del bosco un
tempo suoi complici fidati, ma che ora s’erano stancati di avere
tra i piedi un brigante inattivo»22.
Il nostro povero brigante non solo cambia sentimenti e aspi-
razioni, impara anche a distinguere secondo i suoi gusti letter-
ari, diviene un lettore esigente insomma.
«Ma Gian dei Brughi aveva i suoi gusti, non gli si poteva dare
un libro a caso, se no l’indomani tornava da Cosimo a farselo
cambiare. Mio fratello era nell’età in cui si comincia a prendere
piacere alle letture più sostanziose, ma era costretto ad andarci
piano, da quando Gian dei Brughi gli portò indietro Le avven-
ture di Telemaco, avvertendolo che se un’altra volta gli dava un
libro così noioso, lui gli segava l’albero di sotto»23.
Certo, i gusti e i modi di Gian dei Brughi possono essere dis-
cutibili. Ma nel complesso questo brigante che un attimo prima
di morire chiede, quasi come ultima grazia, di conoscere come
finisce il romanzo che stava leggendo, diviene una figura
davvero notevole e insieme un esempio di «lettura popolare»,
appassionata e coinvolgente. Ed è un esempio importante, per-

22 Italo Calvino, Il barone rampante, Torino, Einaudi, 1957, pp. 107-108.


23 Ibidem, p. 106.
28 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

ché il piacere della lettura è, dagli scrittori, in genere legato ad


ambienti molto raffinati: saloni ben arredati, parchi, angolini
accanto a caminetti…24. Calvino invece pone il suo eroe nelle
grotte, nelle capanne, nei rifigi, nei boschi. E anche nelle altre
opere insiste nella ricerca dei luoghi della lettura, ne individua
alcuni più o meno sontuosi. In Se una notte d’inverno un viag-
giatore 25, per esempio, più che la descrizione dello stato d’ani-
mo del lettore, c’è quella dell’ambientazione e della dispo-
sizione, anche fisica del lettore stesso.
Ecco come l’autore descrive il momento in cui un lettore si
accinge a leggere un libro:

Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il


mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto La porta è meglio chiu-
derla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri:
«No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se non ti sento-
no: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno
sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto comincian-
do a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non
dirlo; speriamo che ti lascino in pace.
Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato,
coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltro-
na, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf.
Sull’amaca, se hai un’amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto.
Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capo-
volto, si capisce26.

Calvino torna, spesso con lunghe digressioni, su come il let-


tore deve «organizzarsi» per distaccarsi dal mondo, per lasciar-
si andare in un’oasi immaginaria. E questa «organizzazione»
varia da luogo a luogo. Singolare è ad esempio questo luogo di
lettura:

A cavallo nessuno ha mai pensato di leggere; eppure ora l’idea di leg-

24 Cfr. in particolare le ambientazioni descritte da Proust, op. cit., pp.119 e sgg.


25 Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979.
26 Ibidem, p.3.
I. LA LETTURA SENSUALE 29

gere stando in arcioni, il libro posato sulla criniera del cavallo, maga-
ri appeso alle orecchie del cavallo con un finimento speciale, ti sem-
bra attraente. Coi piedi nelle staffe si dovrebbe stare molto comodi
per leggere; tenere i piedi sollevati è la prima condizione per godere
della lettura27.

Altri luoghi si accavallano nel libro, luoghi non sempre elegan-


ti e raffinati: il treno, la stazione, la campagna, la cucina, la camera
da letto, il letto… Ovunque le indicazioni dell’autore tendono ad
uno scopo: trovare il modo per una lettura piacevole, una lettura
tale che permetta di godere delle pagine stampate.
Calvino è quello che, fra gli autori da noi esaminati, vede con
particolare chiarezza nel libro un oggetto di piacere. È una vera
e proprio libido quella che ne L’avventura di un lettore 28 egli ci
descrive. Amedeo va sulla spiaggia intenzionato a godere della
lettura di un libro. Si sdraia tranquillo e si immerge nella lettura.
Ma una signora avvenente comincia a importunarlo, vuole
attaccar bottone. Ad Amedeo quella signora piace, e parecchio,
ma è combattuto perché non vorrebbe privarsi del piacere che
gli proviene dalle pagine. Tutto il racconto è costruito sull’al-
ternarsi delle pulsioni di Amedeo: ora lasciarsi andare al piacere
del corteggiamento, ora tornare a riprendere il filo della storia
interrotta. E quando uno dei due piaceri prevarrà (è facile
immaginare quale), ci sarà nell’animo del protagonista un
rimpianto, un fastidio per l’interruzione dell’altro piacere.
Di privazione del piacere della lettura parla anche Elias
Canetti, solo che questa privazione gli viene imposta drastica-
mente dalla madre quando, ancora bambino, lo scopre a leggere
segretamente sotto le coperte alla luce di una lampadina tascabile.

Mi portò via il libro per una settimana. La punizione era dura, perché
si trattava di Dickens, l’autore che la mamma mi aveva dato da legge-
re in quel periodo, e mai prima d’allora io avevo letto uno scrittore
con tanta passione. Cominciò con Oliver Twist e Nicholas Nickleby,

27 Ibidem, pp. 3-4.


28 Si tratta di un gustoso racconto de Gli amori difficili, Torino, Einaudi,
1958.
30 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

e specialmente quest’ultimo, che trattava della situazione scolastica


inglese del suo tempo, mi affascinava a tal segno che non riuscivo più
a smettere di leggere. Quando lo ebbi finito, ricominciai subito dac-
capo e lo rilessi tutto, da cima a fondo. Questo accadde tre o quattro
volte, probabilmente anche di più. «Ma lo conosci già», mi diceva la
mamma «non preferiresti leggere un altro libro?». E invece io, quan-
to più lo conoscevo a fondo, tanto più lo rileggevo con piacere. Lei
considerava questo un mio vizio infantile, e lo ricollegava ai primi
libri che mi aveva regalato mio padre: alcuni di questi, pur conoscen-
doli a memoria, li avevo letti e riletti, fino a quaranta volte. Cercò di
togliermi questa cattiva abitudine descrivendomi in maniera molto
attraente il contenuto di nuovi libri, e di Dickens per fortuna ce n’e-
rano moltissimi29.

Canetti riconosce ai genitori il merito di avergli insegnato il


piacere della lettura. Prima il padre con le Mille e una notte,
donategli all’età di sette anni in un’edizione ben illustrata; poi la
madre, che gli leggeva la sera fino a tardi opere di Schiller e
Shakespeare, appassionandosi e appassionandolo. Si tratta di una
testimonianza molto importante, perché lo scrittore rivela come
quelle letture lo avessero coinvolto non tanto per il contenuto
delle letture stesse, quanto per il rapporto profondo che si instau-
rava fra lettrice e uditore. Così la madre si trasfigurava quasi in un
personaggio fantastico di un dramma recitato insieme:

Non credo di aver allora capito le opere che leggevamo insieme.


Certo, molte cose le assimilavo, ma nel mio ricordo lei è rimasta l’u-
nico personaggio, quello che recitavamo insieme era sempre lo stesso
unico dramma. Gli eventi e i conflitti più terribili, che lei non si sfor-
zava affatto di risparmiarmi, si trasfiguravano nelle sue parole, che
all’inizio volevano soltanto spiegare e chiarire, ma poi sfociavano in
un’esaltazione ardente.
Quando, cinque o sei anni più tardi, lessi Shakespeare per conto mio,
questa volta nella traduzione tedesca, tutto mi parve nuovo e mi
meravigliai di averne conservato un ricordo così diverso, simile a un
unico torrente infuocato30.

29 Elias Canetti, La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Milano,


Bompiani, 1985, p. 210.
30 Ibidem, p. 115.
I. LA LETTURA SENSUALE 31

Potremmo continuare con molte altre testimonianze. Ma


forse abbiamo dimostrato quello che volevamo dimostrare,
semplicemente che esiste un piacere molto particolare, quello
della lettura. È un piacere «indotto», nel senso che non è nato
con l’uomo, e nemmeno con la scrittura, tant’è vero che più di
una testimonianza ci assicura che gli antichi leggevano solo ad
alta voce, non conoscevano la lettura silenziosa.
È nato quando l’uomo ha cominciato ad avere una tale dimes-
tichezza con la carta stampata da riuscire a leggere in fretta, come
se quanto andava leggendo gli venisse raccontato da un parlante.
E questo è accaduto in epoca storica avanzata: sappiamo che
Sant’Agostino, parlando di Sant’Ambrogio, lo lodava per la sua
eccezionale capacità di leggere senza muovere le labbra.
Ancora nella seconda metà dell’Ottocento, quando già dove-
va essere chiaro che si legge anche per gusto, doveva esserci
confusione su questo argomento. E a questo proposito ci piace
concludere il paragrafo riferendo di un noto scrittore italiano
che, credendo nel piacere della lettura, pensò di rinvenirlo in un
libro davvero particolare: lo scrittore è Edmondo De Amicis, il
libro il vocabolario.
Di questo tentativo di De Amicis ci informa in un gustoso
saggio Ermanno Cavazzoni31. Nelle Pagine sparse del 1874, De
Amicis racconta della sua appassionante lettura del vocabolario
e la consiglia a tutti. «Lo tiene sul tavolino da notte, come
Teofilo Gautier, e, nelle passeggiate in campagna, lo porta con
sé a fascicoli. Trova nella lettura quello stesso piacere che gli
davano i musei e, nella vertiginosa varietà dei vocaboli, ritrova
la vastità del mondo. Con studiata semplicità paragona le
colonne di stampa alle sale di cento Esposizioni Universali»32. Il
vocabolario è per De Amicis il catalogo esatto dell’universo,
perché contiene tutto dell’universo e perché vi è contenuta la
voce di tutti: analfabeti, fanciulli, scienziati, poeti… Egli giunge
a proporne la lettura in tutte le scuole. «Per il piacere dei sog-
31 L’opera segreta di Edmondo De Amicis, in «Il Verri», n. 20-21, 1980-81,
pp.103-113.
32 Ibidem.
32 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

natori aggiunge che il vocabolario eccita i sensi, producendo


nella mente un piacevole tumulto che continua nel sonno»33.
Passano gli anni. De Amicis probabilmente non porta al ter-
mine la sua lettura, né i suoi consigli vengono raccolti. La let-
tura del vocabolario come piacere non ha funzionato. e così, ne
L’idioma gentile del 1905, lo stesso De Amicis confessa: «Se ti
metti a leggere il vocabolario come un romanzo o una storia,
con l’idea di correrlo tutto d’un fiato, per finirlo il più presto
possibile, e liberarti dalla fatica, non solo ti farai nella mente
una grande confusione, senza cavarne alcun frutto; ma non reg-
gerai a leggerne una decima parte, si capisce, che t’ammazzerà
la noia prima d’arrivarci». Fallimento completo. Il vocabolario
è finalizzato alla lettura informativa ed è difficile trarne piacere.
Per fortuna De Amicis, con le sue storie lacrimevoli ma ben
congegnate e basate su sentimenti abilmente distribuiti del suo
libro Cuore, ha contribuito ad avvicinare alla carta stampata
generazioni intere, riscattando così il suo peccato giovanile34.

33Ibidem.
34C’è stata finalmente in questi ultimi tempi, dopo molte stroncature degli
anni Sessanta e Settante, un’attenzione più pacata sull’opera di De Amicis. Per
una visione generale sul nuovo dibattito cfr. David Baldini, Animo sentimentale
e passione civile, in «VS Valore Scuola», n. 20, 2001. Scrive tra l’altro Baldini nel
citato studio: «Eppure, nonostante tanti e così vistosi limiti, come mai De Amicis
rimane, con Collodi, non solo uno dei nostri autori più noti, in Italia e fuori, ma
anche uno dei più significativi pilastri della nostra letteratura? Tale sua “fortuna”
dipende, a nostro sommesso giudizio, da una serie di ragioni... Egli è un Autore
che, accettando di misurarsi con i complessi processi dell’attualità, osserva con
occhio attento e partecipe gli effetti legati al processo di industrializzazione, rile-
vandone acutamente le devastanti conseguenze. La formazione economica e
sociale dell’Italia in senso industriale, da poco avviata, doveva ingenerare in molti
intellettuali accenti di pietà per quanti, i più poveri e diseredati, avevano comin-
ciato a pagare di persona (basti pensare agli incipienti fenomeni di emigrazio-
ne)... Se dunque lacrimosità vi fu in De Amicis – ed è indubbio che ve ne fu –,
essa trova pure una sua ragion d’essere: nell’Italia immediatamente postunitaria
c’era sicuramente di che piangere. Se poi il sentimentalismo eccedette la misura,
ciò va in parte ascritto ai costumi e alla sensibilità dei tempi, in parte anche allo
sforzo – tanto disperato quanto generoso – di chi volle contrapporre (così acca-
de, ad esempio, con gli “scapigliati” e con il verista G. Verga) un argine d’uma-
nità, sia pure nelle forme di un eccessivo moralismo, a fenomeni ormai debor-
danti, improntati al più puro cinismo ed egoismo di classe».
I. LA LETTURA SENSUALE 33

3. La lettura sensuale

Fra le testimonianze di studiosi contemporanei, ve n’è una


che ci sembra particolarmente significativa. Appartiene a Tullio
De Mauro ed è stata pronunciata ad un convegno sulle bib-
lioteche promosso dalla Provincia di Roma. Ecco questa testi-
monianza:
«Leggere, potere leggere, avere il gusto di leggere, è un pri-
vilegio. È un privilegio della nostra intelligenza, che trova nei
libri l’alimento primo dell’informazione e gli stimoli al confron-
to, alla critica, allo sviluppo. È un privilegio della fantasia, che
attraverso le parole scritte nei secoli si apre il varco verso l’e-
splorazione fantastica dell’immaginario, del mareggiare delle
altre possibilità tra le quali si è costruita l’esperienza reale degli
esseri umani. È un privilegio della nostra vita pratica, perfino
economica: chi ha il gusto di leggere non è mai solo e, con spesa
assai modesta, può intessere i più affascinanti colloqui, assistere
agli spettacoli più fastosi. Non c’è cocktail party, non c’è terraz-
za, non happening, allungando la mano verso un qualsiasi mode-
sto palchetto di biblioteca. Non c’è Palazzo che valga quello
d’Armida, o quell’hegeliano castello del sapere dalle cento e
cento porte, dove suonano solo le quiete voci della conoscenza
e della fantasia. E mentre altre esperienza si consumano nel
ripetersi, nel leggere, invece, come ha detto una volta un poeta,
dieci e dieci volte possiamo tornare sullo stesso testo, ogni volta
riscoprendone un nuovo senso, un più sottile piacere»35.
C’è, in queste parole, la valorizzazione di elementi, per dir
così, primordiali della lettura. Si prendono in considerazione
aspetti profondi, legati ai nostri istinti, alla nostra fantasia, al
nostro intelletto e perfino al nostro naturale bisogno di cono-
scere, di comunicare e di stare con gli altri. Tali aspetti prescin-
dono addirittura dalla comprensione: si può comprendere un

35 Tullio De Mauro, “Il gusto della lettura”, in Paolo Manca (a cura di), Le
biblioteche scolastiche: esperienze e prospettive, Roma, La Nuova Italia
Scientifica, 1981, p. 33.
34 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

testo senza goderne e in qualche caso si può goderne anche


quando non lo si comprende fino in fondo.
Giungiamo così ad un punto centrale del nostro discorso.
Per la formazione del gusto della lettura è necessario provare un
piacere fondamentale e profondo, è necessario passare attraverso
una fase nella quale l’individuo riesca a godere della lettura al
punto da ridesiderare quel piacere nel corso di tutta la vita. È
un’esperienza «semplice», da sola probabilmente non sufficien-
te a formare una solida cultura di base, ma la sola che possa
creare un atteggiamento positivo nei confronti della carta stam-
pata e di conseguenza una voglia di conoscre e aggiornarsi attra-
verso il libro o il giornale. Un simile momento lo definiremmo
della lettura sensuale36.
Per comprendere l’importanza, ed anche i limiti, della lettu-
ra sensuale, occorre cercar di definirla con chiarezza. La lettura
sensuale non è legata ad alcuna età. Essa tuttavia è, soprattutto
nei ragazzi, un momento chiave, propedeutico alla formazione
del piacere per la lettura più generale. È un momento «magico»
in cui il lettore si distacca, almeno in apparenza, dal mondo e
dalle cose che lo circondano, dimentica tutte le sue preoccupa-
zioni per evadere in un mondo fantastico nel quale, talvolta,
resta anche dopo aver terminato la lettura. Una simile lettura la
chiamiamo sensuale perché, malgrado il distacco dal mondo,
investe tutti i sensi del nostro corpo, in alcuni casi tutto il nostro
intelletto, quasi come avviene con l’erotismo. Certamente ci è
capitato di aver avuto a che fare con chi «ha perso i sensi», con
chi ha perso il contatto con il mondo esterno, per portarsi tutto
nel mondo dell’evasione. A volte costui se chiamato non rispon-

36 L’espressione lettura sensuale è stata da altri usata nel contesto di inter-


venti sul gusto o sul piacere della lettura. Noi però la usiamo qui in maniera
nuova, in quanto un simile tipo di lettura diviene la proposta fondamentale dal
punto di vista pedagogico e didattico: una proposta che dovrebbe insomma
avviare a soluzione il problema della diffusione della lettura e della cultura. In
tal senso la lettura sensuale è qui vista in maniera diversa da chi, come ad esem-
pio Roland Barthes (Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1985), ha tracciato i
contorni teorici del piacere della lettura.
I. LA LETTURA SENSUALE 35

de, quasi che perfino il senso dell’udito fosse impegnato nella


lettura e utilizzato nelle pagine del testo. Scrive a tal proposito
Bellenger:

Leggere significa identificarsi con l’amante e con il mistico. Leggere


significa essere un po’ clandestini, abolire il mondo esterno, spostarsi
verso una finzione, aprire le parentesi dell’immaginario. Leggere
significa spesso ammalarsi (nel senso proprio e in quello figurato).
Leggere significa stabilire una relazione attraverso il tatto, la vista, l’u-
dito (le stesse parole risuonano). Si legge con tutto il corpo… Il pia-
cere viene dalla gioia dell’attesa (attesa che spesso si riduce alla
suspence). C’è narrazione, vita, durata. Vi è la certezza di conoscere
il seguito, ma nello stesso tempo assenza di seguito. Il lettore allora
fugge, ma è trascinato avanti. Egli è in balia delle pagine. La sua atte-
sa sarà premiata. La gioia dipende dal numero di pagine ancora da
sfogliare37.

Una tale lettura nutre, educa quello che comunemente viene


definito immaginario, una sfera che assume consistenza proprio
grazie al piacere dell’evasione fantastica. Non vorremmo scan-
dalizzare con l’uso della parola «evasione» perché, è sempre
Bellenger a parlare, se la lettura vive nell’immaginario, «la si fa
scendere nella realtà a comando, per gioco, per mimetismo, tra-
sformazione, proiezione… essa rinforza, conforta, consolida.
Offre una sicurezza maggiore. E infine spesso la lettura fa da
compenso a qualcosa»38. Si tratta insomma di un’evasione dalla
realtà nell’immaginario, dal quale l’individuo torna circolar-
mente alla realtà, arricchito dal rifluire in essa di questa benefi-
ca esperienza.
Ma quello che più importa è che chi ha provato questo pia-
cere sarà un potenziale lettore, sarà insomma colui che nella vita
non leggerà solo per informarsi ma anche per ricercare «l’ango-
scia» della lettura. I molti che non leggono, pur possedendo gli
strumenti per farlo, non sono evidentemente mai passati attra-
verso questa fase.

37 Lionel Bellenger, Saper leggere, Roma, Editori Riuniti, 1980, pp. 23-24.
38 Ibidem.
36 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

4. I livelli della lettura sensuale

La lettura sensuale così come l’abbiamo fin qui descritta


riguarda il libro, la carta stampata. Siccome per lettura sensuale
si intende la partecipazione emotiva e appassionata ad un rac-
conto o ad un’esposizione, è chiaro, ed è noto, che un simile
coinvolgimento si può avere anche con altri mezzi, come il
teatro, il cinema, la musica, la televisione e – c’è chi lo sostiene
– la partita di calcio. Ma qui vogliamo trattare la questione
soprattutto dal punto di vista della carta stampata (dal libro al
giornale, dalla rivista al fumetto).
Nella lettura sensuale esistono vari livelli.

Il primo livello è quello in cui la nostra attenzione è incen-


trata soprattutto sulla storia (se si tratta di un racconto), sull’in-
formazione (se si tratta di un saggio, di un giornale, ecc) o sulle
sensazioni (se si tratta di poesia). È, quella di questo primo liv-
ello, forse la lettura «più sensuale», nel senso che è quella che
per prima ci porta in «luoghi» inesplorati e, appunto come in
un viaggio, ci colpisce e ci coinvolge per la meraviglia di cose
nuove, mai viste.

Il secondo livello è quello della rilettura nella quale cerchi-


amo di rivivere le prime sensazioni. Sappiamo già quello che
troveremo nelle pagine che andremo a sfogliare ma la «nostal-
gia» del primo piacere ci sollecita. Mentre rileggiamo non solo
approfondiamo e notiamo particolari non notati la prima volta,
ma ricerchiamo dentro di noi di rivivere le prime sensazioni e
riusciamo a riviverle in una maniera molto particolare perché
contemporaneamente più sfumata ma anche più intensa: la nos-
talgia stessa è un piacere. Va aggiunto che la rilettura ci dà
anche il piacere derivante dall’iterazione, dalla rassicurante
certezza di ripercorrere sentieri difficili ma noti e quindi
prevedibili, è un po’ il piacere del bambino che gode nel rias-
coltare la fiaba e che, per questo, non vuole variazioni di sorta.
I. LA LETTURA SENSUALE 37

Il terzo livello è quello della lettura «distaccata», critica.


Anche questa lettura può essere appassionante e quindi sen-
suale. E qui occorre uscire, per meglio spiegarci, dalla lettura
del libro. L’esempio più calzante è quello del teatro. Quando
andiamo a vedere un’opera classica, la cui storia è nota e
conosciuta magari anche per averla vista più volte, la nostra
attenzione si sposta su altri elementi: la recitazione degli attori,
la scenografia, la regia, gli adattamenti, il gioco delle luci. È una
«lettura» che tende all’analisi o, per usare una parola di moda,
alla decodifica degli elementi; tale analisi è una specie di gioco
intellettuale, che si intreccia naturalmente con lo sviluppo della
rappresentazione di cui fruiamo.

Nella lettura della carta stampata può avvenire più o meno


quello che avviene in questo caso a teatro. Esiste una lettura di cui
si gode non solo del contenuto, ma anche del linguaggio, delle
capacità comunicative dello scrittore, della immersione nei
«giochi» del testo (allusioni, rinvii, ecc.), dell’immagine che
accompagna la parola scritta e dell’eventuale equilibrio fra parola
e immagine (nel fumetto, ad esempio, questo equilibrio è fonda-
mentale), delle battute e delle arguzie, e così via. Si potrebbero
fare innumerevoli esempi a questo proposito. Si pensi soltanto alla
lettura della Divina Commedia e al piacere che deriva dalla rilet-
tura sempre più attenta di questo o quel passo dopo che siamo
riusciti ad individuare i sottili e complessi giochi allegorici del
poeta e, nello stesso tempo, ad individuare il contesto storico che
fa da «cornice» all’episodio. Altri esempi possono essere la lettura
di una parodia, la visione di un film costruito partendo da un’-
opera letteraria oppure costruito con allusioni ad opere letterarie
o ad altri film: si pensi al film di Woody Allen o anche alle
numerose opere cinematografiche che riprendono da film come
Casablanca, Via col vento o dalle innumerevoli trovate di Totò. Vi
è – per fare un ulteriore esempio – un fumetto, Ken Parker, nel
quale le avventure collocate nella cornice western sono quasi un
pretesto per stimolare il lettore a riflettere, spesso in chiave ironi-
ca, su problemi attuali (razzismo, minoranze etniche, religiose,
38 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

prostituzione, questione femminile, ecc.) e su alcune tematiche


culturali più scottanti. Ebbene la lettura di questo fumetto è
piacevole di per se stessa (le storie sono in genere molto belle) ma
si prova un piacere più grande quando si riesce a seguire il «gioco»
degli autori, l’ironia che si sprigiona dai dialoghi e dai disegni. Va
precisato che questo livello di lettura varia con la cultura generale
del lettore e con le sue capacità di analisi; molte volte un simile
lavoro comporta anche impegno e fatica, ma non è detto che ciò
che è faticoso non possa generare soddisfazione e quindi piacere.
Vi è infine un corollario molto importante che deriva dalla let-
tura sensuale. Se una lettura è stata davvero appassionante e coin-
volgente, il lettore è portato a riflettere e ad esprimersi su quanto
ha letto. In altre parole, così come la lettura è comunicazione fra il
lettore e l’autore, così il racconto di quanto si è letto è la comuni-
cazione fra il lettore e gli altri. È stato scritto da più parti che una
lettura avvincente stimola la scrittura, che la scrittura stessa oggi è
considerata un piacere39. Crediamo che sia così, anzi a nostro avvi-
so la lettura stimola anche il dialogo, il racconto. Chi ha letto e gus-
tato una bella storia è naturalmente portato a raccontarla oral-
mente e qualche volta anche per iscritto. I piaceri in questi casi si
sommano: a quello della lettura di un bel romanzo o di un bel sag-
gio si aggiunge quello della rievocazione, della narrazione, quasi
per rivivere lo stesso piacere insieme ad altri nel momento in cui
ad altri lo comunichiamo.
Questo momento può trovare anche applicazioni didattiche
interessanti. Abbiamo visto in una scuola elementare di Torino40
bambini che raccontavano ai compagni le proprie letture e questi
racconti creavano un’atmosfera di interesse attorno a questo e a
quel libro: la biblioteca di classe, così, si «animava» e tutti i bam-
bini erano stimolati a leggere.

39 Cfr. a tal proposito l’interessante intervento di Raffaele Simone, Scrivere


ma non leggere, in «Italiano e oltre», n. 1, gennaio-febbraio 1987.
40 È la scuola «Nino Costa», nelle sezioni sperimentali a tempo pieno coor-
dinate da Daria Ridolfi.
II. La lettura nella pratica educativa

1. I meriti della scuola

«I bambini non leggono perché vanno a scuola»41. «Si sa che la


scuola non dà il gusto della lettura»42. Sono espressioni veramente
pronunciate, come si può vedere in nota, e contengono verità.
Tuttavia esse, anche per la schematicità con cui sono riferite, con-
tengono inesattezze. Perché la scuola ha parecchi meriti proprio
nel campo della diffusione della lettura.
Il primo merito è indubbiamente quello di aver permesso che
milioni di individui uscissero dall’analfabetismo. Lo ha fatto male,
si dirà. Sì, ma è sempre meglio che niente, perché il niente è vuoto,
oscurità, tenebre, arretratezza e, naturalmente, analfabetismo.
Il secondo merito della scuola è quello di aver saputo fornire –
nel migliore dei casi e certo non a tutti – un sapere organico, una
rete culturale, un contesto generale. E non vi sono dubbi che la
formazione di individui con una cultura sistematica abbia favorito
anche la lettura. Vedremo in seguito che perfino le capacità di
comprensione di un testo dipendono, più che dalle capacità tec-
niche di decifrazione, dalla cultura generale dell’individuo.

41 G. Cavallini, Libri e bambini sotto l’albero, in «Corriere della Sera», 9-12-


1978.
42 M. L’Abbate Widmann, “Problemi tecnici, organizzativi e funzionali della
biblioteca pubblica giovanile”, in AA.VV., La biblioteca per ragazzi nel mondo,
Genova 1979, p. 43.
40 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Questi due meriti sono davvero incontestabili e unanimamente


riconosciuti, tant’è vero che anche i più feroci critici del sistema
scolastico indirizzano i propri figli verso i tipi di scuole che for-
niscono una cultura organica, sperimentata, curricolarmente com-
patta. Parliamo naturalmente in primo luogo dei licei.
Certo, la scuola tradizionale avviava a leggere e a scrivere con
metodi finalizzati all’apprendimento dei meccanismi e trascurava
di stimolare gli allievi a leggere e a scrivere per gusto. Insomma
dava gli strumenti ma non formava letterati. Ma non ce n’era
bisogno. A frequentare la scuola erano in genere i ragazzi «di
buone famiglie», nelle quali gli stimoli culturali erano così forti
che letterati lo si diventava lo stesso. Questo, e risulta dalle
ricerche, avviene del resto anche oggi. «I bambini che hanno
acquisito un grande interesse per la lettura in famiglia, – scrivono
Bettelheim e Zelan – trovano molto facile leggere a scuola; di essi
è composta la stragrande maggioranza di coloro che diventeran-
no poi buoni lettori… Una delle differenze principali fra i bam-
bini che imparano da soli a leggere in famiglia e quelli che
imparano soltanto a scuola è che quelli del primo gruppo impara-
no a leggere da testi che li affascinano, quelli del secondo impara-
no a leggere mediante esercizi di decifrazione e di riconoscimen-
to di parole da testi privi di contenuto significante, che sviliscono
l’intelligenza del bambino»43.
Qui i due studiosi statunitensi sostengono che i metodi di
avviamento alla lettura praticati nella scuola non vanno bene
comunque, nemmeno per i bambini di buona famiglia. Forse
hanno ragione, ma ad ogni modo è chiaro che per quei bambi-
ni qualche guasto è facilmente riparabile. I guai più grossi sono
per gli altri.
Due sono gli aspetti che hanno messo in crisi la vecchia scuo-
la. Il primo è la scolarizzazione di massa. Il secondo riguarda le
trasformazioni dei mezzi di comunicazione. Come si è detto, la
scuola forniva un apparato culturale generale, una rete di punti
di riferimento utili per comprendere e per orientarsi nella vita.

43 Bruno Bettelheim, Karen Zelan, Imparare a leggere, cit., pp 20-21.


II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 41

È accaduto che di fronte all’invasione di molteplici infor-


mazioni, quell’apparato culturale non era più sufficiente, non
riusciva più a fare da contesto e da punto di riferimento.
Si aggiunga che la scuola va perdendo la sua egemonia for-
mativa: c’è chi sostiene che oggi un ragazzo apprende solo per
un terzo dalla scuola, il resto gli proviene dai mezzi di comuni-
cazione di massa, dalla società, dalla famiglia44.
Sarebbe stato necessario che la scuola si fosse adeguata rapi-
damente ai nuovi tempi, avesse mutato profondamente la sua
cultura, costruito nuovi curricoli formativi, aggiornato a tal fine
il suo personale. Avesse, in altre parole, costruito una nuova
rete culturale capace di fare da punto di riferimento e da con-
testo alla nuova realtà del mondo e della vita.
Ma qui entriamo nel campo delle responsabilità.

2. Le responsabilità della scuola (e di altri)

Parlare delle responsabilità della scuola è certamente molto


facile: esistono infiniti riferimenti, una vera e propria letteratu-
ra, e poi la realtà è sotto gli occhi di tutti. Quello che ci sembra
importante però, ai fini del nostro discorso, è vedere come le
responsabilità della scuola si intreccino con quelle di altri e
come certi anacronismi possano essere superati attraverso una
revisione dell’intero sistema formativo (e quindi sul piano della
pratica educativa).

2.1. Le fasi dell’apprendimento della lettura

La maggior parte degli studi sulle cause della scarsa diffu-


sione della lettura si sofferma sulla fase dell’apprendimento,
precisamente sui primi mesi della scuola elementare. In effetti si
tratta di una fase delicata, anche se, come si vedrà, è stato un

44 Cfr. Carlo Pagliarini, Un ragazzo apprende solo per un terzo dalla scuola, in
«Albero a elica», settembre 1985.
42 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

errore trascurare momenti successivi, come ad esempio quello


dell’adolescenza. Uno studioso che ha particolarmente appro-
fondito i problemi dell’apprendimento della lettura è Bruno
Bettelheim. Le sue ricerche riguardano soprattutto la situazione
degli stati Uniti, ma per parecchi aspetti i risultati interessano
anche l’Italia45.
Lo studioso sostiene che leggere con facilità richiede indub-
biamente l’acquisizione di certe abilità, in primo luogo della
capacità di decifrare le parole e di conoscere il loro significato.
Il bambino si rende conto di certe necessità ed accetta di buon
grado di sottoporsi agli esercizi richiesti per acquisirle. Anzi,
egli può provare anche, per un primo periodo, un certo gusto
ad imparare a decifrare le parole. Ma egli «sa anche che, di per
se stesse e da sole, queste capacità valgono poco o nulla, a pre-
scindere dal loro valore didattico. E non sarà interessato ad
acquisirle se riceve l’impressione di essere tenuto a farle proprie
come fini a se stesse. Ecco perché molto dipende da ciò cui
viene data importanza da parte dell’insegnante, della scuola e
del libro di testo. Fin dall’inizio, il bambino deve venir persua-
so che l’acquisizione di queste capacità è soltanto un mezzo per
raggiungere un obiettivo, e che l’unica cosa importante è che
egli diventi “letterato”: cioè in grado di poter apprezzare la let-
teratura e trarre beneficio da quanto essa può offrire»46.
Purtroppo le cose vanno molto diversamente. Osserviamo i
bambini che imparano a leggere. Mentre da adulti la lettura
diviene per molti un passatempo, per il bambino che impara a
leggere la lettura è in genere così noiosa che il tempo deve sem-
brargli non passare mai. «Niente è più noioso del dover passare
il proprio tempo e concentrare la propria energia mentale su

45 Le ricerche di Bettelheim sono state pubblicate in numerose riviste ame-


ricane (cfr. ad esempio The decision to fail, in «The school review», 69, 1961 o
Janet and Mark and the new illiteracy: reading and the emotions, in «Encounter»,
43, 5, 1974); sono state poi raccolte in volume e, in parte, in Italia si possono tro-
vare nelle opere di Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Milano, Feltrinelli,
1987, e B. Bettelheim, K. Zelan, op. cit.
46 Bruno Bettelheim, Imparare a leggere, cit., p. 18.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 43

cose come fonemi, identificazione a prima vista, decifrazione di


parole e lettura di combinazioni senza senso e faticose ripe-
tizioni di parole. E tutto ciò quando il bambino potrebbe imp-
iegare piacevolmente lo stesso tempo leggendo una storia
davvero avvincente!»47.
Il bambino, almeno dopo aver superato il momento della
decifrazione, si aspetta di trovare nei libri qualcosa di interes-
sante da leggere; si aspetta insomma che la lettura divenga inter-
essante perché utile a qualcosa. Invece il dramma è – sostiene
ancora Bettelheim – che i libri di testo non offrono questa
opportunità, anzi, anche se ben illustrati e graficamente allet-
tanti, hanno testi poco stimolanti e semplici da «offendere» l’in-
telligenza del bambino.
Bettelheim si chiede come sia possibile che i libri di testo si pre-
sentino con caratteristiche così poco appetibili e giunge alla con-
clusione che questo dipende dal fatto che il libro è un prodotto
commerciale, è costruito per essere venduto il più possibile. E sic-
come a fare la scelta non è il bambino ma gli adulti (in Italia, come
è noto, l’insegnante, negli Stati Uniti invece un organismo, il
Consiglio scolastico), avviene che i libri adottati sono quelli più
asettici, quelli che si mantengono sulle generali per non «offend-
ere» questa o quella associazione, questa o quella corrente ideo-
logica o religiosa, questa o quella parte politica.
Proprio perché un editore ha l’obiettivo di vendere il proprio
libro nel maggior numero di scuole nel paese, egli «non può
rischiare che si muovano delle obiezioni al contenuto di un parti-
colare libro di lettura; quindi qualsiasi cosa possa essere criticata
dev’essere eliminata. Il risultato è che, nel tentativo di piacere a
tutti, questi libri finiscono col non piacere a nessuno. Eppure,
dato che sono completamente vuoti, i loro contenuti non
offendono nessuno fuorché i bambini che devono leggerli»48.
Sotto questo aspetto la situazione in Italia è diversa. Il fatto
che a scegliere il libro di testo siano gli insegnanti, comporta che

47 Ibidem, p. 30.
48 Ibidem, p. 28.
44 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

l’editore debba tener conto delle variegate tendenze presenti


all’interno della categoria. Senza contare che nel nostro paese è
stata fatta una vera e propria battaglia contro le «stupidità» con-
tenute nei libri di testo e oggi la qualità generale della pro-
duzione è migliorata. Tuttavia la tendenza alla asetticità, alla
produzione «pulita» è presente specie nell’ultima produzione e
si ammanta di una vera e propria ideologia (giusta in linea di
principio, ma negativa in questo caso specifico): quella del recu-
pero delle qualità professionali del docente. Di rispondere ai
gusti del bambino in genere neanche si parla.
Non si può non essere d’accordo sull’importanza della for-
mazione professionale degli insegnanti. Ma gli editori non deb-
bono intendere per professionalità solo l’acquisizione di certi stru-
menti tecnici. Ai fini dell’insegnamento della lettura, ci sembra
essenziale raccogliere queste importanti indicazioni di Bettelheim:

«Noi insegneremmo a leggere in modo molto diverso se vedessimo la


lettura come l’iniziazione di un novizio a un nuovo mondo di esperien-
za, l’acquisizione di un’arte arcana, che dissuggellerà segreti in prece-
denza nascosti, aprirà la porta alla conquista della saggezza e permetterà
di condividere sublimi capolavori poetici. Quando l’apprendimento
della lettura è visto non semplicemente come il modo migliore ma come
l’unico per essere trasportato in un mondo precedentemente ignoto,
allora il fascino inconscio che il bambino prova per eventi immaginari e
poteri magici può sostenere i suoi sforzi coscienti per decifrare le paro-
le, dandogli forza per affrontare il difficile compito d’imparare a legge-
re e a diventare una persona letterata. La nostra tesi è che l’apprendi-
mento, in particolare l’apprendimento della lettura, deve dare al bambi-
no la sensazione che grazie ad esso nuovi mondi saranno aperti alla sua
mente e alla sua immaginazione. E questo non risulterebbe difficile se
insegnassimo a leggere in modo diverso. Il vedere come un bambino si
distacca dal mondo che lo circonda e dimentica tutte le sue preoccupa-
zioni quando legge una storia che l’affascina, e come vive nel mondo fan-
tastico di questa storia anche molto tempo dopo aver finito di leggerla,
mostra con quanta facilità i bambini sono conquistati dai libri, sempre
che siano libri giusti» 49.

49 Ibidem, pp. 54-55.


II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 45

Si tratta davvero di indicazioni fondamentali, da raccogliere


e da tradurre in pratica educativa. Vorremmo tuttavia osservare
che c’è, in tutto questo, un aspetto non proprio chiaro: perché
Bettelheim quando parla di lettura nella scuola, continua a
riferirsi esclusivamente ai libri di testo? Non sarebbe più logico
pensare che al libro di testo possono essere affiancati altri libri
più accattivanti, privi di note e fastidiosi apparati didattici,
capaci di portare il bambino in mondi immaginari, insomma
libri con caratteristiche che il libro di testo, essendo pur sempre
un manuale, difficilmente può contenere? Ma su questo torner-
emo nei successivi paragrafi.

2.2. Prima e dopo l’apprendimento. Verso un nuovo


sistema formativo

Se il momento dell’apprendimento è delicato, certamente


non tutto si esaurisce lì. Molti hanno insistito sul valore di un
rapporto del bambino col libro fin dalla primissima infanzia:
libri naturalmente illustrati, con funzione di giocattolo, libri che
gli adulti dovrebbero leggere al bambino che capirebbe così,
prima ancora di imparare a leggere, l’importanza comunicativa
del libro.
Su questi momenti prescolastici Francesco Tonucci scrive:

«Molti bambini non vedono mai un vero libro nelle loro case e quel-
la dell’incontro coi libri è pure un’esperienza necessaria. Anche in
questo caso dovrà intervenire la scuola organizzando i suoi spazi e le
sue attività, sperando che anche la critica riesca ad organizzare un ser-
vizio di biblioteche adeguato alle esigenze dei cittadini. Nell’aula di
scuola materna è importante che ci sia un angolo… Ci saranno i libri
di sole immagini che faranno capire al bambino come si apre e si sfo-
glia un libro, ci saranno libri con immagini e parole che richiedono
l’aiuto dell’adulto, ma che permettono anche le prime associazioni fra
parola e immagine, ci saranno libri scritti che l’adulto leggerà ai bam-
bini»50.

50 Francesco Tonucci, Il libro: istruzioni per non leggere, in «Riforma della


scuola», n. 7-8, luglio-agosto 1986.
46 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Tonucci si sofferma poi sul ruolo della scuola dell’infanzia e


della scuola più in generale e le assegna anche il compito di
recuperare le carenze della famiglia. E fra queste c’è anche quel-
la di leggere ai bambini:

È sempre più difficile trovare tempo per stare con i figli e ancor più
per leggere loro qualcosa. La televisione ha certo una grande respon-
sabilità per essersi appropriata di tutto il poco tempo che genitori e
figli restano insieme, altre responsabilità le hanno la stanchezza, i
tempi di lavoro, la poca abitudine alla lettura. D’altra parte ascoltare
un adulto che legge, seguire le immagini fantastiche che le sue parole
suscitano, riprendere giorno dopo giorno il filo dell’avventura, dei
luoghi, dei personaggi che quelle pagine contengono e assicurano
(anche alla prossima lettura saranno esattamente gli stessi), è una
esperienza importante e probabilmente fondamentale per tutti i bam-
bini che domani vorranno saper leggere, se per leggere deve signifi-
care necessità e piacere di leggere. Siccome non tutti i bambini hanno
genitori capaci di garantire loro questa esperienza primaria, è neces-
sario che la scuola si faccia carico del problema51.

Queste indicazioni sono così preziose e rispondenti al vero


che ognuno può con facilità verificarle. Ed è anche vero quanto
si afferma rispetto alla famiglia: essa, anche nei casi in cui esiste
nella sua struttura più solida, non sempre riesce da sola ad
assolvere questo elementare e fondamentale compito. Tuttavia
questa realtà non può essere accettata acriticamente. Se la
famiglia, o forse è più esatto dire la casa e gli adulti, visto che la
famiglia tradizionale è in via di grosse trasformazioni, non
assolvono al loro compito, bisognerà che si assumano le loro
responsabilità e in particolare che si cerchi di modificare ciò che
non va. Né ci sembra del tutto opportuno scaricare completa-
mente sulla scuola tutta la responsabilità formativa, assolvendo
le responsabilità familiari.
Questo discorso non piacerà probabilmente a molte persone
di idee progressiste. Ma cerchiamo di intenderci. Se riconosci-

51 Ibidem.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 47

amo – e tutti lo riconosciamo – che la casa è un luogo indis-


pensabile per l’esistenza dell’uomo e del bambino, è un luogo in
cui si vivono molte ore della nostra vita, bisognerà che questa
casa contenga tutto ciò che riteniamo necessario. «Molti bam-
bini non vedono mai un vero libro nelle loro case», dice
Tonucci. Male. È una carenza talmente grave che difficilmente
scuola e biblioteche pubbliche riusciranno a colmare. D’altra
parte se sarà solo è sempre la scuola a fare cultura, la sua opera
apparirà, come spesso appare, fuori dal mondo.
Questo vale anche per i momenti successivi all’apprendimento
della lettura. Purtroppo di ciò che accadrà dopo che un ragazzo ha
imparato a leggere pochissimi si sono interessati. Eppure abbiamo
visto ragazzi di 14-16 anni, privi di ogni gusto della lettura, appas-
sionarsi improvvisamente ai libri, rimuovendo evidentemente
esperienze negative precedenti. Naturalmente questo avviene in
particolari contesti stimolanti: frequenza di scuole con biblioteche
funzionanti, nascita di rapporti amicali del soggetto con ragazzi
appassionati alla lettura, ecc. Però avviene. Il piacere di leggere
non si forma dunque necessariamente nella fase dell’infanzia. Se
per esempio dopo la fase di apprendimento, sia pure buona, non
si crea attorno all’individuo un ambiente stimolante, gli stimoli
culturali iniziali possono disperdersi.
Da più parti oggi si parla (lo ripetono ormai i programmi di
ogni ordine di scuola) di formazione culturale come un proces-
so di sviluppo che dura tutta la vita. Se questo è vero, bisognerà
preoccuparsi di studiare anche quello che, nel corso della vita di
un individuo, può accadere sul piano culturale. E siccome non
sono ipotizzabili (né auspicabili) interventi «pedagogici» in
ogni angolo della società e a tutte le età, bisognerà individuare
fuori dalla scuola gli strumenti ed i soggetti utili al nostro obi-
ettivo. Pensiamo in primo luogo ad un diverso funzionamento
delle biblioteche, ma anche degli Enti locali, delle associazioni
culturali, delle librerie, delle edicole, delle agenzie di dis-
tribuzione libraria. E pensiamo ad una diversa qualità della vita
che permetta un’utilizzazione più serena e piacevole e meno dis-
persiva del tempo libero.
48 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Le gravi responsabilità della scuola, dunque, si intrecciano


con quelle altrettanto gravi di altre agenzie formative, con con-
vivenze e coperture reciproche che hanno come sottofondo un
disinteresse verso il tema della lettura. Di fronte a queste accuse
la risposta più comune è che il piacere della lettura non si può
insegnare. È vero? Lo vedremo più avanti. È comunque certo
che si possono creare le condizioni perché il piacere della let-
tura si sviluppi oppure, come sta avvenendo, si disperda52.
In definitiva si tratta di andare verso un nuovo sistema for-
mativo, nel quale all’agenzia scolastica si affianchino una serie
di altre agenzie formative: la famiglia, gli Enti locali, le associ-
azioni, le biblioteche, una editoria rinnovata nelle scelte e nella
distribuzione53.

3. Il problema della comprensione del testo

La questione della comprensione del testo non è di oggi. Fin


dagli inizi del Novecento sul problema sono state realizzate
ricerche, soprattutto in campo psicologico, finalizzate allo stu-
dio dei processi e delle difficoltà di comprensione della lettura di
un testo. Tali ricerche sono continuate fino ad oggi anche se
dagli inizi degli anni Sessanta, in particolare con gli studi di G.
Mialaret, si è avuta una svolta profonda. È impossibile riferire
qui le molteplici tesi emerse sull’argomento54, più proficuo ci

52 Sulle opportunità educative che l’extrascuola può offrire all’individuo, sia


in fase scolare che post-scolare, si veda il volume di Carlo Pagliarini, Le risorse
educative dell’ambiente, Cosenza, Pellegrini, 1986.
53 Su un nuovo sistema formativo così concepito esiste già una consistente
bibliografia. Ci limitiamo qui a segnalare: Francesco De Bartolomeis, Scuola e
territorio. Verso un sistema educativo allargato, Firenze, La Nuova Italia, 1983;
Franco Frabboni, Gian Luigi Zucchini, L’ambiente come alfabeto, Firenze, La
Nuova Italia, 1985; Società civile ed istituzioni formative, Atti del seminario del
sindacato scuola Cgil, Castellammare di Stabia, Ediesse, 1985.
54 Si rimanda pertanto alle indicazioni di F. Boschi, Psicologia della lettura,
Firenze, Giunti Barbera, 1977 od anche alla sintesi proposta da U. Cardinale, G.
Giachino, La lettura, Bologna, Zanichelli, 1981, p.130 sgg.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 49

sembra invece prendere in esame alcuni risultati dei più recenti


studi.
Uno degli studiosi più profondamente convinti che il nodo
principale della lettura sia quello della comprensione è Lucia
Lumbelli. In un suo volume, Capire le storie 55, scritto in col-
laborazione con Maria Salvadori, la ricercatrice polemizza con
tutti coloro che, occupandosi di lettura, non hanno considera-
to che esistono, a livello individuale, vari gradi di capacità e
comprensione; la polemica investe anche Gianni Rodari che,
secondo la studiosa, si accontentava di «provare» le proprie sto-
rie su intere classi, senza poi verificare fino in fondo quanti
alunni avessero compreso il significato essenziale dei testi e fino
a qual punto. Occorre invece, secondo la Lumbelli, risalire ai
processi mentali attraverso i quali un soggetto comprende e
interiorizza un testo, capire quale parte di un testo è stata con-
testualizzata e quale no, ecc., se si vogliono ottenere risultati
anche nel campo pedagogico. In alcuni saggi la Lumbelli56
riferisce di una serie di ricerche sul campo, dalle quali emer-
gono vere e proprie «categorie di difficoltà della compren-
sione». Tali categorie chiariscono i meccanismi del rapporto
esistente tra la stesura di una testo e la fruizione del testo stesso
e risultano utili proprio nel campo pedagogico: utili a scrivere
un testo in maniera adeguata al destinatario, alla scelta da parte
di un insegnante di un libro adatto agli allievi, all’uso del libro
stesso nella scuola, all’intervento dell’insegnante per eliminare
eventuali ostacoli di comunicazione o acquisizione culturale.
Un altro ricercatore attento ai problemi della difficoltà della
lettura è Cesare Cornoldi57. Egli individua una serie di «nodi

55 Lucia Lumbelli, Maria Salvadori, Capire le storie, Milano, Emme Edizioni,


1977.
56 Cfr. i saggi pubblicati sulla «Riforma della scuola»: Per la diagnosi della
comprensibilità (n. 5, maggio 1984); Effetti paradossali dell’intenzione di farsi
capire (n. 9-10, settembre-ottobre 1984); Comprensione del testo (n. 11, novem-
bre 1986).
57 Riferiamo qui di seguito una bibliografia essenziale dell’autore sull’argo-
mento: C. Cornoldi, G. Tampieri (a cura di), Le prime fasi dell’apprendimento
della lettura, Pordenone, Erip, 1979; Cesare Cornoldi, Un modello psicologico
50 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

operativi» su cui incentrare la ricerca e l’intervento pedagogico.


Fra questi nodi Cornoldi indica le prime fasi dell’apprendimen-
to, lo sviluppo di tale capacità, la motivazione e l’interesse per
la lettura che dovrebbero permanere oltre la fine degli studi, le
caratteristiche del testo scritto, ecc.
Come si vede in Italia anche in questi studi più recenti il
problema della scarsa diffusione della lettura è ricondotto all’in-
terno di quello, ritenuto più generale, delle abilità strumentali.
È certo che la capacità di comprensione di un testo ha la sua
importanza e che il problema della diffusione della lettura – è lo
stesso Cornoldi a rilevarlo – non è distaccato da quella stessa
capacità. La lettura di un testo incomprensibile e non adatto al
livello del lettore non può generare piacere perché passa sulla
testa del lettore stesso e genera in lui un senso di frustrazione,
in quanto il lavoro di «decifrazione» non viene adeguatamente
compensato.
Ma il problema a questo punto diviene quello di capire se
davvero la comprensione di un testo è legata soltanto alle capac-
ità tecniche di decifrazione dell’individuo. Recenti studi di carat-
tere psicologico hanno dato a questo problema una precisa
risposta: la capacità di comprensione di un testo non è diretta-
mente proporzionale alla capacità visiva di decifrazione, cioè alle
capacità tecniche, percettivo-motorie, di saper riconoscere le let-
tere e saperle assemblare in parole, ma è direttamente pro-
porzionale all’acquisizione concettuale del contesto all’interno del
quale il testo si inserisce. Va aggiunto che una formazione cultur-
ale generale influisce positivamente anche sulle capacità tecniche
di lettura (ma non avviene il contrario). Certo le capacità tecniche
(la conoscenza delle lettere e della lingua ad esempio) hanno
un’importanza, rappresentano le competenze di base del lettore,

per l’interpretazione della lettura e dei deficit presenti in soggetti dislessici, Latina,
Acta Phoniatrica, 1979, n. 1, 2; Modelli della memoria, Firenze, Giunti, 1978; Le
abilità di lettura. I nodi della ricerca e l’intervento pedagogico, in «Psicologia con-
temporanea», n. 63, maggio-giugno 1984; Comprensione di un testo letterario
con apparato didattico: il punto di vista psicologico, in A. M. Bernardinis (a cura
di), Narrare e leggere nella scuola media, Teramo, Lisciani e Giunti, 1984-85.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 51

ma questi ha bisogno di altre informazioni più generali e profonde


per ben comprendere un testo.
Queste conclusioni sono scaturite da molteplici ricerche
della psicologia sperimentale di laboratorio ed hanno dato tutte
lo stesso risultato. Scrive a questo proposito Cornoldi:

È necessario un certo tipo di contesto al soggetto… Potrei dare ulte-


riori conferme, anche in base a ricerche che abbiamo fatto noi, del
ruolo del contesto nella comprensione di un messaggio linguistico;
una ricerca classica è quella di dare a un soggetto, da leggere, un
brano con titolo e un brano senza titolo (anche Bransford ha fatto
ricerche molto interessanti su questo argomento). Se si va poi a vede-
re che cosa ricorda dei due brani un soggetto, si troverà che il brano
col titolo è ricordato molto meglio. Perché classicamente il titolo dà
un contesto58.

Emilia Ferreiro e Anna Teberosky spiegano dettagliatamente


i meccanismi psicofisici attraverso i quali avviene la lettura:

L’occhio non lavora se non a salti; ogni fissazione dura approssimati-


vamente 250 millesecondi, poi realizza un salto di circa 10/12 lettere
(o spazi equivalenti), e si ferma un’altra volta per un’altra fissazione.
Ci sono, dunque, ritorni all’indietro, salti più importanti alla fine di
una riga, ecc. In ogni fissazione si identificano 4 o 5 item diversi: se lo
stimolo visivo consiste in lettere presentate a caso, saranno 4 o 5 let-
tere diverse; se lo stimolo consiste in parole scritte, possono essere
identificate il doppio delle lettere di prima (2 parole, all’incirca 10 let-
tere); se le parole sono organizzate sintatticamente (cioè costituisco-
no una proposizione scritta), possiamo identificare il doppio delle let-
tere identificate precedentemente (intorno alle 4 parole, vale a dire
circa 20 lettere). Quello che «si vede» dipende, quindi, dal livello di
organizzazione dello stimolo. Però, in realtà, non è che l’occhio veda più
cose, ma è la capacità di integrazione dell’informazione che aumenta in
concomitanza con l’organizzazione dello stimolo59.

58 Cesare Cornoldi, Comprensione di un testo letterario con apparato didatti-


co: il punto di vista psicologico, cit., p. 41.
59 Emilia Ferreiro, Anna Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel
bambino, presentazione di Clotilde Pontecorvo e Grazia Noce, prefazione di
Hermine Sinclair, Firenze, Giunti-Barbera, 1985, p. 326. Il corsivo è nostro.
52 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Le due ricercatrici giungono, attraverso le loro ricerche, alla


dimostrazione di quanto psicologi ed educatori avevano già in
passato intuito: l’apprendimento della lettura e della scrittura
non è un apprendimento del meccanismo, o almeno non è
soltanto quello, ma è, molto più profondamente, un’acqui-
sizione concettuale.
È una formazione culturale generale che influisce positiva-
mente sulle capacità tecniche di lettura e non viceversa. Anzi,
avvertono le due ricercatrici facendo riferimento ai loro studi
sull’apprendimento della lettura, insistere sui meccanismi e
sulla sistematicità dei particolari può portare a risultati negativi:

Nell’analisi dei nostri risultati abbiamo visto la notevole differenza tra


i bambini in via di scolarizzazione, introdotti alla lettura attraverso lo
stretto corridoio della decifrazione, e quelli che hanno organizzato il
loro proprio metodo di apprendimento al di fuori di ogni sistematiz-
zazione scolastica. I primi mostrano due tipi di comportamento che
non abbiamo mai riscontrato nei secondi: da un lato, la cieca fiducia
nella decifrazione come unica via di accesso al testo; dall’altro, l’im-
possibilità di utilizzare la propria conoscenza sintattica come guida
per decidere dell’esattezza del decifrato. La decifrazione come unica
strada di accesso al testo conduce i bambini alla sua stessa caricatura:
quei bambini che decifrano – che cioè verbalizzano le marche gra-
fiche o che, secondo un’espressione molto indovinata, «producono
un rumore con la bocca in funzione dei segni che vedono con gli
occhi» – senza però comprendere assolutamente nulla. Come
qualunque docente o psicopedagogista sa, la non comprensione del
testo può coesistere con una decifrazione corretta60.

È opportuno precisare che queste osservazioni riguardano


alunni «in via di scolarizzazione», alunni quindi che hanno
superato il momento iniziale di apprendimento.
Naturalmente (e lo si è visto da quanto riferito da Cornoldi)
il problema rimane anche a livelli di scolarizzazione più avanza-
ta: il possesso di una cultura generale, che serva da contesto, è

60 E. Ferreiro, A. Teberosky, op. cit., pp. 328-329.


II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 53

sempre la base di fondo per la comprensione di un testo. E qui


ci vengono in mente subito schiere di insegnanti, i quali ogni
volta che si parla di lettura tirano fuori l’eterna questione della
comprensione: i ragazzi non capiscono le singole frasi, non
conoscono i significati delle parole, non sono assolutamente
capaci di comprendere le allusioni ironiche di uno scrittore…
Insomma non sanno leggere, non capiscono quello che leggono.
È più che credibile che questo sia vero. In un mondo come il
nostro, in cui l’informazione è frantumata e ridondante, difficil-
mente un giovane riesce a costruirsi dei punti di riferimento
«contestuali», e quindi è possibile che i ragazzi abbiano diffi-
coltà, proprio per questo, a comprendere quello che leggono.
Se un insegnante di filosofia o di lettere legge per la prima volta,
insieme ai suoi alunni, uno scritto, poniamo di Rousseau, rius-
cirà a capirlo meglio dei ragazzi non solo per le sue maggiori
capacità linguistiche, ma anche perché conosce la storia del
Settecento, l’Illuminismo ed il pensiero di Rousseau più in gen-
erale. Lo stesso discorso potrebbe farsi per un autore contem-
poraneo o per una notizia di un giornale (se si legge una notizia
di cronaca di cui si conoscono alcuni precedenti generali il testo
risulta più comprensibile).
Nessuna difficoltà a credere agli insegnanti: i ragazzi hanno
difficoltà a comprendere i testi che leggono. Purtroppo di
fronte a questa situazione gli stessi insegnanti propongono un
intervento sbagliato: l’analisi del testo, la spiegazione dei termi-
ni, lo studio della struttura della frase. Esercizio questo che ha,
per altri aspetti, i suoi pregi e i suoi valori, ma che certo non
risolve il problema di fondo della comprensione, che è legata
alla formazione di una rete culturale e ad una solida cultura per-
sonale di base.

3.1. Le analisi testuali nella pratica educativa

La tanta attenzione posta al problema della comprensione


della lettura ha avuto i suoi effetti nel campo educativo ed edi-
toriale. Ormai quasi tutte le pubblicazioni destinate alla scuola,
54 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

dai libri di testo alle pubblicazioni e alle riviste didattiche, con-


tengono schede di analisi del testo o di riflessione sulla lettura,
esercitazioni linguistiche, proposte di smontaggio della strut-
tura o dell’intreccio… È nata quasi una moda che ha coinvolto
perfino gli insegnanti più impegnati. Il Movimento di
Cooperazione Educativa ha in buona parte seguito questo ori-
entamento con la concretizzazione di esperienze e pubbli-
cazioni61, e lo stesso è avvenuto nel Cidi62. Si parla insomma da
più parti di «lettura comprensiva e critica» come di «perno e
scopo di una autentica pedagogia democratica»63.
Se si accetta la proposta della lettura sensuale si dovrà
rivedere questo orientamento. Di fatto, tutto ciò che la scuola fa
leggere è finalizzato alla formazione e all’istruzione, per essa
non esistono, o ignora che esistono, momenti di lettura fine a se
stessa, non curricolari e non valutabili immediatamente. Gli
alunni finiscono così col leggere poco e sempre in maniera final-
izzata. Fino a qualche tempo fa momenti di lettura spontanea
erano apertamente condannati da insegnanti e genitori; ancora
oggi avviene, sebbene più raramente, che un bambino sia rim-
proverato perché legge fumetti invece di letture scolastiche con-
siderate serie. Permane insomma la concezione che le letture
extrascolastiche siano una perdita di tempo. Occorrerà invece
che la scuola preveda, anche attraverso l’uso di biblioteche di
classe, di istituto o di quartiere, una simile lettura extracurrico-
lare ed extrascolastica.
Una questione importante è che le letture proposte ai ragazzi
sia nell’attività didattica sia in quella extracurricolare siano
adeguate ai livelli di età. È molto frequente l’errore di inseg-
nanti (ma anche di genitori, di studiosi e di ricercatori!) di pro-
porre agli scolari testi che per un adulto potrebbero essere

61 Cfr. AA.VV., La lettura come comprensione, Milano, Emme Edizioni,


1983.
62 Cfr. gli articoli sulla lettura e sulla letteratura apparsi in «Insegnare», la
rivista mensile del Cidi. Si veda in particolare Lidia De Federicis, La letteratura
nel processo formativo, in «Insegnare», n. 11-12, novembre-dicembre 1986.
63 U. Cardinale, G. Giachino, op. cit., p. 20.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 55

chiarissimi, mentre per un ragazzo possono presentare diffi-


coltà. Interessante a tal proposito quanto riferito da Umberto
Eco in una «Bustina di Minerva»64. Un’insegnante gli ha scritto
preoccupata perché, avendo provato a far riassumere ai ragazzi
di scuola media alcune sue «Bustine», aveva scoperto che gli
alunni travisavano o non comprendevano il testi, specie laddove
apparivano osservazioni ironiche. Questa lamentela è così
comune nelle nostre scuole, che naturalmente non può aver
stupito nessuno fra coloro che con la scuola hanno a che fare
qualcosa.
Eco dà una risposta serena e tranquilla:

«È normale – egli dice –. Esiste una vasta letteratura su quel-


la figura di discorso detta ironia (vedetevi per esempio i libri
recenti di Marina Mizzau, Feltrinelli, e Guido Almansi,
Garzanti) ed è opinione accreditata che, affinché l’ironia abbia
successo, sia chi parla che chi ascolta debbano condividere un
sottofondo di informazioni e di giudizi. Per questo il discordo
ironico, quando non sia accompagnato da segnali espliciti (che
spesso ne rovinano l’effetto) rischia sempre il travisamento.
Inoltre ogni giornale seleziona un certo pubblico,
«L’Espresso» si rivolge a un lettore adulto di cultura medio-
alta, e può risultare troppo allusivo a un ragazzo delle medie»65.
È ovvio che di fronte ad una simile situazione la soluzione
migliore è quella di spiegare ai ragazzi il testo e, già che ci siamo,
anche l’uso letterario dell’ironia. Altre esercitazioni ancora pro-
pone Eco: riscrivere testi, riassumerli in tempi prestabiliti e con
consegna precise. Esercizi importanti che «insegnano a pensare
e a disciplinare l’eloquenza».
Rispetto alla lettura sensuale, però, proprio perché avviene al
di fuori della verifica diretta dell’insegnante, è bene che il libro
sia adeguato alle reali capacità del ragazzo: un testo, anche se è
un capolavoro, rischia di apparire noioso e quindi per niente

64 È la rubrica che Eco tiene settimanalmente su «L’Espresso».


65 Umberto Eco, Usi possibili dell’ironia, in «L’Espresso» del 13-4-1986.
56 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

godibile se non è sufficientemente comprensibile per il lettore.


Un ulteriore problema che a questo punto vorremmo porci è
quanto e fino a qual punto una spiegazione, sia pure puntuale e
rigorosa dell’insegnante, sia utile alla comprensione generale di
ogni testo. In altre parole la spiegazione di un testo fornisce
strumenti-chiave per meglio comprendere altri testi?
Siamo convinti che la spiegazione di un testo sia utile, in
quanto essa contribuisce alla comprensione di quel testo.
Crediamo invece che una simile attività incida minimamente
rispetto all’ampliamento delle potenzialità di comprensione di
altri testi. È, a nostro avviso, la lettura sensuale l’intervento più
adeguato: per far crescere nei ragazzi la capacità della com-
prensione di un testo occorre in primo luogo una grande dimes-
tichezza con i testi. E tale dimestichezza si acquisisce con la let-
tura stessa. È col leggere, e con il rileggere con gusto uno stes-
so libro (cosa che i bambini fanno spesso senza imposizioni),
che si acquista familiarità coi vari modi di dire, con le allusioni,
con i sottintesi, con l’ironia, con i significati presenti nelle
pieghe e in filigrana in un testo. Tutte le ricerche di cui abbiamo
parlato, poi, hanno indubbiamente le loro ragioni. Nei fatti è
avvenuto però che esse, anche attraverso una cattiva divul-
gazione che passa attraverso i libri di testo e le riviste didattiche,
hanno comportato che l’attenzione degli insegnanti si concen-
trasse tutta sulla comprensione e sulla decodifica del testo. Il
risultato sono state le sovrabbondanti schede di comprensione
che invadono ormai non solo le antologie (ove un esercizio di
comprensione appare più che legittimo), ma anche i libri di let-
teratura. Questo avviene nelle edizioni scolastiche: spesso le
schede didattiche sono perfino poste al termine di ogni capito-
lo. Così i ragazzi leggono con il terrore di dover poi compilare
le schede. Tutti protesi e attenti a questa finalità, non possono
conoscere il gusto di leggere, inseguono i particolari e non le
vicende! La proposta della lettura sensuale vuole evitare questo
scempio. E soprattutto vuole che venga attuato quello che perfi-
no i programmi prescrivono: il libro di lettura ha lo scopo di
formare nei giovani il gusto per la carta stampata.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 57

3.2. Due momenti educativi: il lavoro e il piacere


Ci rendiamo conto dei rischi impliciti alla proposta formula-
ta al termine del paragrafo precedente. La conseguenza
potrebbe essere una lettura abbandonata a se stessa e, per quan-
to riguarda l’intervento educativo, la perdita della sistematicità
e della formazione di una struttura culturale di base.
È il caso di precisare che la lettura sensuale non è una lettura
anarchica66. Al contrario, la lettura anarchica è quella dei lettori
adulti di oggi, formati proprio dal vecchio sistema scolastico,
che ha fornito le capacità strumentali ma non la passione per la
lettura. Abbiamo così, nella nostra società, persone che non leg-
gono o leggono in maniera sciatta e disordinata sulla base degli
interessi più disparati: giornali sportivi se si è interessati allo
sport, manuali di vario genere (sempre legati ad interessi con-
tingenti), rotocalchi scandalistici per soddisfare le più superfi-
ciali curiosità. La lettura sensuale forma invece persone esigen-
ti e raffinate, che ricercano letture capaci di dire qualcosa di
nuovo, di intelligente.
Ma torniamo alla scuola. La lettura sensuale non è alternati-
va agli esercizi di analisi di un testo, è soltanto aggiuntiva,
sebbene a nostro avviso sia fondamentale per la formazione di
lettori.
La nostra avversione per l’analisi testuale non è pregiudiziale
(sappiamo benissimo che la grammatica è utile, che è uno stru-
mento), né la lettura sensuale vuol sostituirsi ad essa. Quello che
si vuol denunciare è l’illusione, purtroppo diffusissima, che
attraverso l’analisi testuale si risolvano tutti i problemi della

66 Della lettura anarchica ci dà un quadro piuttosto chiaro Edoardo


Sanguineti: «Direi che la lettura anarchica è in realtà la lettura più condiziona-
ta, più subordinata e subalterna che esista. Vuol dire che io non controllo il mio
modo di leggere e quindi mi muovo in modo istintuale. Qui vale lo stesso ragio-
namento dello psicanalista. Posso rifiutare di controllare tutte le mie azioni, allo-
ra mi muoverò alla cieca e passivamente su moduli di comportamenti istintuali
che ho derivato dagli altri. La lettura anarchica è una lettura servile…».
(Carmine De Luca, Perché non ho scritto un manuale. A colloquio con Edoardo
Sanguineti, in «Riforma della scuola», n. 6, 1984).
58 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

comprensione del testo e più in generale i problemi della diffu-


sione della lettura. Bisogna invece aver coscienza che l’analisi
testuale è semplicemente un esercizio grammaticale, certo
nuovo e più efficace rispetto ai metodi tradizionali (anche se
purtroppo nelle nostre scuole è spesso banalizzato e distorto).
Ma resta pur sempre un esercizio e la scuola deve andare oltre
questa sua funzione. Noi vediamo nella lettura sensuale anche
un’opportunità fondamentale per far sì che la scuola esca dal
chiuso.
Qualcuno potrebbe scandalizzarsi di un simile dualismo: da
una parte la lettura come lavoro, come studio, come analisi,
come impegno, dall’altra la lettura come piacere, come svago. E
per giunta a questi due momenti vengono riconosciute equiv-
alenti valenze educative. Per fortuna da più parti oggi si
riconosce questo dualismo (apparente come si vedrà più avanti)
come un aspetto positivo. Riferendosi al libro di narrativa nella
scuola media, scrive lo stesso Cornoldi:

Noi siamo favorevoli, in certi casi, all’uso di schede che richiedono


esercizi linguistici ben precisi e impegnativi; assegniamo invece alla
lettura del libro nella scuola media il compito di creare buone abitu-
dini e interessi per il libro. Crediamo in altre parole che sia opportu-
no promuovere una flessibilità nel lettore, per cui talvolta egli affron-
ti il testo in base a certi obiettivi e talvolta in base ad altri, e che sia
pericoloso imporre sempre rigide consegne67.

Su questo tema c’è stato un dibattito, nato nell’epoca in cui


anche in Italia si stava diffondendo la logotecnocrazia, ovvero
le proposte di analisi testuali da introdurre nell’insegnamento
(siamo attorno alla metà degli anni Settanta). A sollevarlo
erano stati studiosi d’oltralpe, fra i quali vi era Hans Magnus
Enzensberger, sostenitore della tesi che la letteratura non è
necessaria all’esistenza e pertanto tutti hanno il diritto di igno-
rarla (e da questo, in definitiva, nasce il fascino per la lettura).
La diffusione dell’interpretazione del testo è, per

67 Cesare Cornoldi, op. cit., p. 46.


II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 59

Enzensberger, un atto non solo inopportuno, ma anche autori-


tario, utile solo per produrre sottomissione e resistenza negli
allievi. La lettura è, al contrario, un atto anarchico e i logotec-
nocrati uccidono questo atto.
La tesi di Enzensberger varcò le Alpi e un suo saggio sull’ar-
gomento fu pubblicato in Italia nel 1977 68. In esso lo studioso
tedesco racconta di aver trovato il suo macellaio furente perché
sua figlia aveva preso un brutto voto nell’interpretazione di una
poesia. E la poesia di cui si chiedevano smontaggi e analisi tes-
tuali era nientemeno che dell’ignaro Enzensberger al quale il
macellaio rifilò una bistecca dura come una suola.
È soprattutto a questo saggio che Cesare Cases si riallaccia in
un godibile articolo69, nel quale mette a confronto la tesi dello
studioso tedesco con quello di un’introduzione di Giovanni
Pozzi ad un lavoro dal titolo significativo: Analisi testuali per
l’insegnamento 70. Cases definisce «prodotto terrificante» l’in-
troduzione di Pozzi, anzi per l’esattezza «prodotto più terrifi-
cante di tutti»; ma anche la lettura anarchica di Enzensberger,
con la quale per molti aspetti concorda, non lo convince.
«Dobbiamo allora descolarizzare i poeti, aprire le prigioni e
restaurare la lettura anarchica? – si chiede Cases – No, perché
l’anarchia non esiste, i logotecnocrati sono solo una piccola
parte, e non certo la più pericolosa, dei tecnocrati, e i prigion-
ieri liberati dall’abbandonarsi a letture anarchiche non leg-
gerebbero un bel niente. La figlia del macellaio non deve essere
costretta a interpretare poesie di Enzensberger? Forse, ma per-
ché dovrebbe essere costretta ignorarle? Enzensberger sembra
oggi deprecare «chi vive nell’illusione che la lirica sia un’arte
sovversiva di straordinaria forza dirompente». Non lo sarà, però
è difficile trovare qualcosa di più sovversivo da sostituirle. Per

68 Hans Magnus Enzensberger, Una modesta proposta per difendere la gio-


ventù dalle opere di poesia, in «Tintenfish», n. 11, 1977; traduzione italiana di
Alfonso Berardinelli, in «Quaderni piacentini», n. 67-68, giugno 1978.
69 Cesare Cases, Il poeta, il logotecnocrate e la figlia del macellaio, in Cesare
Acutis (a cura di), Insegnare letteratura, Parma, Pratiche Editrice, 1979.
70 A cura del Seminario di italiano a Friburgo (Svizzera), Padova, 1986.
60 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

quanto rovinata e burocratizzata dall’insegnante, per quanto


divenuta strumento di selezione e bocciature, perché la poesia
di Enzensberger non potrebbe aver sollevato nella figlia del
macellaio qualche dubbio sul suo ambiente di bottegai, cui
Enzensberger la vuole implacabilemte riconsegnare onde sal-
vare la bontà delle sue bistecche?»71.
La conclusione, a questo punto, è semplice, più che evidente,
diremmo quasi naturale: «Condividere l’avversione di
Enzensberger per i logotecnocrati non significa rinunciare a
insegnare letteratura» 72.

4. Elogio del piacere

Ridere è salute, il corpo ride e lo spirito se la gode, ripete


Vezio Melegari in un manualetto destinato ai giovani lettori 73.
Che il riso faccia buon sangue è luogo comune, che il riso e più
in generale il piacere faccia bene alla salute è sostenuto da
recenti studi psicologici ad alcuni dei quali lo stesso Melegari
fa riferimento. Dei valori formativi del ridere tratta anche
Fernando Rotondo in un recente scritto: «Sorriso e riso provo-
cano una feconda rottura degli schemi consolidati, con-
sentono l’adozione di altri e più produttivi punti di vista
rispetto alla realtà, favoriscono la creazione di personalità
autonome e indipendenti, promuovono l’elaborazione di
nuove soluzioni per i problemi della vita»74. Né il riso è estra-
71Cesare Cases, op. cit., pp. 46-47.
72Ibidem, p. 47. Va aggiunto che Enzensberger è nel frattempo passato dalle
parole ai fatti: per sua iniziativa, a partire dal gennaio ‘85, una nuova collana,
finalizzata ad una lettura «sensuale», è comparsa nelle librerie tedesche con il
titolo significativo di «Altra Biblioteca» (cfr. E. D’Erme, Il libro è sensuale.
Enzensberger: ecco la nuova collana, in «Il Manifesto», del 16-2-1985).
73 Vezio Melegari, Manuale dell’umorismo, Milano, Mondadori, 1986.
74 Fernando Rotondo, Da Franti a Lavinia, un certo sorriso, in Emilia
Fancelli, Eros Miari (a cura di), Ridere, sorridere, leggere. La difficile arte dell’u-
morismo nel libro per ragazzi, Firenze, Idest, 2000, p. 27.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 61

neo alla lettura, anzi «ogni libro che fa sorridere o ridere è un


invito a leggerne altri»75.
La questione che qui vogliamo affrontare in sostanza è: si
può parlare anche di valenza pedagogica del piacere?
Se fosse sì, il dualismo fra lettura come studio o analisi o
ricerca e lettura come piacere troverebbe una ricomposizione:
come per poter godere della lettura di un testo è necessario
possedere alcuni strumenti cognitivi, così il godimento della
lettura di un testo sarebbe anche strumento per acquisire
inconsciamente nuove cognizioni.
La pedagogia si è davvero poco inoltrata in questo campo.
Il sacrificio, l’impegno, il lavoro, la fatica sono stati visti sem-
pre come gli unici canali formativi. Come si può pensare che
il piacere, che fa parte di un momento più inconscio che con-
scio della nostra attività psichica, possa avere una funzione
formativa?
C’è un pedagogista che da qualche anno sta rivalutando i
valori dell’attività inconscia dell’individuo: è Francesco De
Bartolomeis. Per abbozzare questa nuova linea, lo studioso si
riallaccia a riflessioni che risalgono agli inizi del Novecento, in
particolare a quelle di Henri Pioncaré che, riferendosi ad un
episodio personale, così scriveva:

Da quindici giorni mi sforzo di dimostrare che non poteva esistere


alcuna funzione analoga a quelle che in seguito chiamai funzioni fuch-
siane. Io allora ero molto ignorante. Ogni giorno mi sedevo al tavolo
di lavoro, e vi passavo una o due ore, provavo un gran numero di
combinazioni e non arrivavo ad alcun risultato. Una sera, contraria-
mente alle mie abitudini, presi un caffè nero, e non riuscivo ad addor-
mentarmi: le idee sorgevano in folla; le sentivo come se si urtassero,
fino a quando due di esse si agganciarono, per così dire, e formarono
una combinazione stabile. Il mattino, io avevo stabilito l’esistenza di
una classe di funzioni fuchsiane, quelle che derivano dalla serie iper-
geometrica: non avevo da fare altro che redigere i risultati, cosa che
mi prese solo qualche ora… Si potrebbe dire che il lavoro cosciente è

75 Ibidem, p. 29.
62 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

stato più fruttuoso perché è stato interrotto e che il riposo ha resti-


tuito alla mente forza e freschezza. Ma è più probabile che il lavoro
sia stato riempito da un lavoro incosciente76.

A commento di queste note del ricercatore francese, De


Bartolomeis osserva: «Ci si applica a un problema, ci si riposa o
si fa dell’altro, si ritorna al lavoro con gli strumenti della rifles-
sione e si conseguono risultati che nella prima fase non riusci-
vano ad emergere: così può essere all’incirca descritto il proces-
so d’invenzione, a patto che sia chiaro che quello ritenuto ripo-
so o assoluta distrazione del compito in realtà è riempito da
lavoro inconscio77. Si delinea in tal modo un vero e proprio iti-
nerario dei processi del conoscere: una prima fase del pensiero
conscio, una seconda di pensiero inconscio, una terza di elabo-
razione conscia che utilizza ciò che è stato elaborato nella
seconda fase.
Non si pensa certo che un lavoro inconscio sia di per sé
fecondo, senza lo sforzo, l’impegno e l’attività del lavoro
cosciente. Ma il rapporto fra l’attività cosciente e non cosciente
esiste in ogni individuo. E non vi è dubbio che se i momenti di
attività inconsci sono sereni, piacevoli o addirittura eccitanti
(Poincaré è eccitato dal caffè nero e le sue idee si affollano
disordinate e tumultuose), la «produzione» conseguente è supe-
riore a quella invece derivante da un’attività inconscia disturba-
ta dal dolore o dall’angoscia.
Tornando alla questione della lettura, è ovvio che il leggere
per studiare, per capire e conoscere ha un valore; ma il leggere
esclusivamente in maniera finalizzata finisce per farci perdere
una molteplicità di altri aspetti che un testo può possedere.
«Dire che si può apprezzare un libro o un film solo se diventa
oggetto di ricerca è una insopportabile pedanteria che certa-
mente impedisce il godimento del libro o del film – prosegue
De Bartolomeis –. Lo si apprezza innanzitutto immergendosi in

76 Henri Poincaré, Science et méthode, Paris, Flammarion, 1908, p. 49; cita-


to in Francesco De Bartolomeis, Produrre a scuola, Milano, Feltrinelli, 1983.
77 Francesco De Bartolomeis, op. cit., p.39.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 63

esso. Come nell’amicizia, nell’amore, nei rapporti con la natura,


con gli ideali. C’è una concentrazione non in contrasto con l’im-
mediatezza delle emozioni, le quali non oscurano l’intelletto ma
lo spingono a rapide e a molto personalizzate sintesi di signifi-
cati. Sono sollecitate le capacità intuitive, si prova l’emozione di
partecipare a esperienze importanti, si rivelano valori»78.
Tutto ciò non vuol dire che non si possa, poi, andare oltre i
contenuti, la trama, i momenti emotivi per capire anche i mezzi
o la «filosofia» che sta dietro un libro o dietro un film.
L’importanza del piacere è oggi evidenziata anche tra le
valenze educative del gioco. Il gioco si è in genere sostenuto, è
importantissimo per un bambino (e per un individuo più in
generale), perché attraverso l’attività ludica egli si prepara ad
affrontare, anche praticamente, la realtà della vita. Il gioco
insomma risulterebbe positivo perché in un certo senso sarebbe
un modo per acquisire strumenti e conoscenze utili alla vita.
Non vi è dubbio che questo sia vero. Ma vi è un altro aspetto
del gioco: quello legato al piacere che il giocare stesso compor-
ta. «Non esiste gioco che affondi le sue radici nel principio del
piacere e per esso nel vasto mondo emotivo» 79, scrive senza esi-
tazioni uno psichiatra. È questo piacere a generare nell’indivi-
duo le capacità di affrontare nella vita le varie difficoltà, com-
prese quelle che possono derivare dall’aggressione di una malat-
tia: «L’uomo che ha giocato ha elaborato per tutta la vita anti-
corpi generali e specifici, come quando ha superato le note
malattie dell’infanzia, per cui il suo stato di salute è molto più
collaudato e più protetto contro quelle avversità della vita di
carattere biologico, psicologico o sociale»80.
Non si tratta solo della salute. Se un individuo non ha gioca-
to, se non conosce il piacere, rischia di rendere arida e priva di
significato tutta la sua esistenza: identità, autonomia, creatività,
gioia, tristezza sono elementi di consapevolezza della condizio-

78 Ibidem, p.30.
79 Plinio Cilento, Chi non gioca muore, in «Albero a elica», n. 5, maggio
1986.
80 Ibidem.
64 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

ne umana. «E non ci si può sottrarre al dubbio che tra la folla


anonima e triste che riempie strade e piazze cittadine l’assenza
di un sorriso o di una luce negli occhi non sia da attribuirsi a
questo terreno ludico incolto per diseducazione e per grave
disattenzione di tutti»81.
In un mondo come il nostro, proiettato verso una meccaniz-
zazione sempre più sofisticata, questo recupero degli aspetti più
emotivi non appare affatto anacronistico. C’è, per fortuna,
anche chi se ne preoccupa. In un volume, dai toni forse un tan-
tino apocalittici ma comunque non privi di concreti riferimenti
alla realtà, si parla di «eclissi del piacere», e della progressiva
restaurazione di comportamenti e valori tradizionali. Le cause
di questo pericolo che sovrasterebbe la nostra società andreb-
bero fra l’altro ricercate in una perdita delle emozioni, in uno
spegnersi, all’interno di una società computerizzata, dei più
profondi sentimenti umani82. Ritorno al romanticismo? Non
proprio. Se mai rivalutazione del piacere anche come momento
di evasione, in alternativa ad altri tipi di evasione, come ad
esempio quella senza scampo del mondo della droga.

5. Il libro di lettura nella scuola media

«Se si vogliono prove documentali della scarsa consider-


azione che si ha delle capacità intellettive dei ragazzi, basta leg-
gere le note introduttive ai libri di narrativa per la scuola media.
C’è da rimanere sbalorditi: libri, che istituzionalmente dovreb-
bero invogliare a leggere […], si rivelano i peggiori nemici della
lettura. Un esempio particolarmente significativo. “Gli avveni-
menti storici citati… nel racconto hanno subito un’inevitabile
semplificazione per esigenze di chiarezza e comprensione”. Lo
scrive nella nota introduttiva al volumetto di narrativa La sfida

81
Ibidem.
82
Il volume, che contiene anche un interessante prefazione di Valerio Riva,
è di Massimo Di Forti, La società post-erotica. L’eclisse del piacere nell’età con-
temporanea, Roma, Armando Editore, 1986.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 65

di Aldo (Milano, Fabbri 1985) l’autrice Marina Migliavacca. Il


libro è adottato in una seconda media romana. La Migliavacca
è una signora che di letture e di strategie di comunicazione con
i ragazzi pare se ne debba intendere. Ha prodotto per la Fabbri
un paio di “romanzi” su “Lady Oscar” celebre personaggio di
cartoni animati giapponesi, e dirige, sempre per lo stesso grup-
po editoriale, un giornale periodico per ragazzine.
La logica di “nota alla lettura” è evidente. “Chiarezza” e
“comprensione” sono direttamente proporzionali alla “sempli-
ficazione”, e questa è dunque “inevitabile”. Come a dire: se si
vuole essere in sintonia con le capacità di comprensione del
ragazzo, è necessario decapitare il discorso delle sue
“inevitabili” complessità e offrirglielo in surrogato. Un modo
come un altro per dire che i nostri preadolescenti sono scemi,
non capiscono. La stessa logica governa tanta divulgazione per
adulti. Con la differenza che quando ci si rivolge ai grandi il
compito di stimolare e abituare alla lettura è molto meno pres-
sante e, forse, doveroso».

Così scrive Carmine De Luca nell’introduzione ad un dossier


sulla narrativa nella scuola media pubblicato su «Riforma della
scuola»83.
È molto probabile che le osservazioni di De Luca possano
essere considerate cause profonde del fallimento dell’intro-
duzione del libro di narrativa nella scuola media. Il libro di nar-
rativa da affiancare agli altri libri di testo, come è noto, venne
introdotto nei programmi per la scuola media del 1962 con la
finalità di presentare ai ragazzi un’opera narrativa moderna
(italiana o straniera, purché ben tradotta) completa, e quindi
sotto certi aspetti proporre una esperienza di lettura diversa da
quella realizzata attraverso le letture delle antologie, costituite
da «brandelli» di opere.
Con le intenzioni programmatiche del 1977 e 1979 l’obbligo
di adottare un libro di narrativa fu esteso a tutte e tre le classi di
83 Carmine De Luca, L’irresistibile ascesa dei Promessi Sposi, in «Riforma
della scuola», n. 2, 1986.
66 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

scuola media. Ma oggi da più parti si parla di fallimento di quel-


l’operazione.
Scrive a tal proposito Roberto Denti:

Credo che sia indispensabile renderci conto che il libro di narrativa in


questi ultimi venti anni ha completamente mancato gli scopi per cui
era stato proposto. […] Una indagine svolta a Milano nel 1976-77 ha
dimostrato che l’80% dei genitori non riconosceva il titolo del libro
di narrativa imposto dalla scuola ai propri figli. Soltanto il 3% del
rimanente 20% aveva letto il libro in questione. Molte mamme e
qualche papà sono invece chiamati al lavoro per scrivere i riassunti
dei capitoli che settimanalmente i ragazzi devono dimostrare di aver
letto. Questo sistema del riassunto scritto è una tradizione che perse-
guita gli studenti da quando esiste la scuola dell’obbligo. Eppure nes-
suno si sognerebbe di imporre a un allievo di conservatorio di musi-
ca di studiare un preludio di Chopin e di ripeterlo poi sinteticamente
con note sue84.

«Se si esce dalle scuole medie ancora capaci di leggere –


scrive Faeti – è un miracolo, perché i ragazzi hanno voglie
strane, strane famiglie, ove accadono strani accadimenti»85.
E si potrebbe continuare con testimonianze di simili valu-
tazioni quasi unanimi. Ma per scendere ancora nelle cause (e
quindi per giungere a possibili indicazioni) ci sembra fonda-
mentale rifarsi ai dati del già citato libro di Anna Maria
Bernardinis, Narrare e leggere nella scuola media.
L’autrice – oltre a valutare che i libri che l’editoria offre alla
scuola sono un prodotto talmente «poco appetibile o indigeri-
bile, da spiegare e, forse ampiamente giustificare il rigetto da
parte dei preadolescenti scolarizzati, non tanto di un singolo
libro, quanto della lettura come attività spontanea, elettiva» 86 –
ci fornisce una serie di tabelle e di dati dai quali è possibile

84 Roberto Denti, Come far leggere i bambini, Roma, Editori Riuniti, 1982, p.
125.
85 Antonio Faeti, Testo e illustrazione: un binomio superato per il lettore delle
scuole medie?, in Anna Maria Bernardinis, Narrare e leggere nella scuola media.
Valutazione e orientamenti, Teramo, Lisciani e Giunti, 1984-85, p.75.
86 A. M. Bernardini, op. cit., p. 16.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 67

capire quanto è accaduto in seguito alla proposta di introdurre


il libro di letteratura nella scuola media. È accaduto qualcosa
davvero poco edificante: le case editrici hanno confezionato
numerosissime collane apposite di libri destinati ad essere
introdotti nella scuola. Così, se si voleva introdurre come libro
di narrativa poniamo Il sergente della neve, di Mario Rigoni
Stern, non si introduceva l’opera originale, quella regolarmente
in commercio, ma l’opera pubblicata nell’apposita collana
denominata «Letteratura per la scuola media», opportuna-
mente rivista, riaggiustata, in molti casi censurata, arricchita con
note a pié pagina e, per finire, con tanti questionati e schede di
verifica.
Insomma la scuola non poteva (e non voleva) ancora una
volta accedere direttamente al mondo, in questo caso al mondo
del mercato, ma si rivolgeva ad un prodotto mediato, con-
fezionato appositamente per lei, ad un libro di narrativa sì, ma
in qualche modo trasformato in libro di testo. La dicitura del
tipo «Collana per la scuola media», sembrava garantire schiere
di insegnanti dagli inquinamenti della realtà del mondo.
Dal citato libro della Bernardinis apprendiamo che nel 1983
i libri di narrativa confezionati per la scuola media erano 590 e
le collane, distribuiti e fra i vari editori, erano 32; 16 collane
erano cessate o sospese. Alcuni libri sono stati scritti da autori
contemporanei appositamente per la scuola e si tratta di opere
in genere mal riuscite: oltre a trattarsi di scrittori improvvisati,
il difetto principale è quello di forzature per inserire all’interno
della narrazione elementi culturali (riferimenti storici o
geografici, costumi di popoli, ecc.). Come dire: ti do la possibil-
ità di leggere un romanzo, ma in questo romanzo troverai tante
belle nozioni, come quelle che trovi nei libri di testo. È la vec-
chia formula delle letture istruttive ed educative di ottocentesca
memoria.
Ma la maggior parte dei titoli destinati alle collane scolas-
tiche sono la «ricottura» di opere pubblicate in altre collane.
Cosa si intende per ricottura? Un vero e proprio riciclaggio,
come si è già detto, con interventi sempre pesanti che stravol-
68 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

gono l’opera originale. Su questo fenomeno si è scritto molto in


questi ultimi tempi, ma non sembra che le critiche abbiano sor-
tito qualche effetto.
Le case editrici continuano per la loro strada e la scuola a
rispondere positivamente alle proposte editoriali. Vediamo in
dettaglio come viene trattato un libro di narrativa classica quan-
do viene introdotto nelle collane scolastiche.

Il primo trattamento è quello delle note a pié pagina, di una


introduzione generale all’opera (vita dell’autore; passi critici sul-
l’opera, ecc.), di commenti ai vari capitoli; insomma vi è l’intro-
duzione di una serie di elementi estremamente cognitivi, in modo
che l’opera non possa apparire all’insegnante che deve adottarla
come una lettura piacevole soltanto, ma anche come un mezzo
attraverso cui l’allievo apprenderà, scoprirà, imparerà.

Il secondo trattamento riguarda l’apparato didattico. Si tratta


di schede di lavoro, in genere poste al termine di un capitolo o
di un paragrafo. L’alunno deve riempirle, rispondendo a
domande, ritornando sul testo per riflettere su questa o quella
espressione, su questo o quel vocabolo. L’uso di queste schede
si è diffuso a macchia d’olio, è diventata la disperazione di
numerosi ragazzi (nonché di genitori) ed ha sostituito quello del
vecchio e tanto criticato riassunto. Giova riferire a tal proposi-
to un interessante intervento di Fernando Rotondo. Egli com-
incia col raccontare di una donna che alla fermata dell’autobus
gli offre un giornalino dei testimoni di Geova. Il giornalino, con
stupore del nostro, contiene alla fine di ogni capitoletto un
riquadro con tante domande di verifica, come quelle delle
antologie scolastiche o dei libri di narrativa per la scuola.
«Tutto mi sarei aspettato – scrive Rotondo – ma non che la let-
tura di questo tipo di schede coinvolgesse anche quel grande
mistero che sono le religioni». Purtroppo questo trattamento è
riservato anche alle opere di narrativa migliori. Osserva ancora
Rotondo: «Non mi va giù che nella collana di narrativa per la
scuola elementare – dal nome bellissimo: Topo di biblioteca –
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 69

venga pubblicato anche Tante storie per giocare di Rodari…


dove testo da una parte e, dall’altra, note, verifiche della com-
prensione del testo, approfondimenti e suggerimenti di lavoro,
schede di informazione documentazione si suddividono equa-
mente le pagine al 50%… Così, complici gli insegnanti che
adottano questi libri di narrativa per la scuola media, si allevano
non-lettori, ragazzi che odieranno la lettura e i libri per tutta la
vita. È una politica editoriale miope, priva di intelligenza eco-
nomica oltre che culturale»87.

Il terzo trattamento riguarda i riadattamenti che si traducono


in genere in veri e propri interventi censori. Infatti in cosa con-
siste il riadattamento? Non tanto nella sostituzione di parole più
difficili in più semplici (altrimenti a che servirebbero le note?),
quanto nell’eliminare tutte quelle espressioni o quegli episodi
che in qualche modo possono disturbare l’insegnante o, meglio,
un certo tipo di insegnante. Sono stati fatti dei veri e propri
studi su questo88. Ma giova riferire alcuni interventi concreti.
Nella collana per la scuola media della casa editrice Einaudi, nel
romanzo di Primo Levi, La tregua, sono state eliminate le
seguenti frasi: «Fece una breve pausa e soggiunse: – Hai bisog-
no di una donna? – … No, non aveva bisogno di una donna o
per lo meno non in quel senso». «… ora esitava a uscire incon-
tro alla collera del suo padrone». Si tratta, come è facile capire,
di frasi eliminate per riferimenti al sesso o a condizioni di rap-
porti economico-sociali89.
In altri casi le trasformazioni sono relative a certe espressioni
che in qualche modo riguardano la religione. Parole come
«bestemmiare», «perdio», «diavolo», ecc., vengono eliminate o
sostituite con altre. Ne riportiamo un esempio tratto da Il ser-

87 Fernando Rotondo, Non c’è più religione, in «LG Argomenti», n. 5-6,


1984.
88 Fra questi studi ricordiamo: Roberto Denti, op. cit., pp. 126-128; Marino
Cassini, Ancora sul libro di narrativa nella scuola media, in «LG Argomenti», n.,
1983; Roberto Denti, Due censure, in «LG Argomenti», n. 6, 1984.
89 Queste censure sono riferite al sopracitato articolo di Marino Cassini.
70 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

gente della neve di Mario Rigoni Stern. Nell’ edizione origi-


nale90 era scritto: «Antonelli bestemmia, Tourn si liscia i baffi,
Meschini mugola», mentre nella collana «Letteratura per la
scuola media» troviamo: «Antonelli è allegro, Tourn si liscia i
baffi, Meschini mugola» 91. Altre volte il verbo «bestemmiare»
è sostituito con «imprecare», «urlare», «brontolare».
Questi interventi sono molto gravi, in primo luogo perché
rompono l’equilibrio di un’opera d’arte e poi perché tendono a
mantenere la scuola relegata in un limbo asettico e lontano dal
mondo. Rispetto al piacere della lettura, ci sembra ovvio che
tutto vada nella direzione opposta. L’abbiamo già detto: schede
di analisi o note a pié pagina non ci disturbano in un libro di
testo, in un manuale che, senza equivoci, è esplicitamente desti-
nato all’esercitazione. Ma il libro di lettura nella scuola media
era stato introdotto proprio per formare il gusto di leggere un’-
opera completa. La confusione d’idee e la ricerca di facili
guadagni ha rovinato un’occasione interessante.
Con i nuovi programmi della scuola elementare, gli editori
hanno preparato collane di libri di narrativa, corredate di note
e di schede, anche per questo ordine di scuola. Così anche
Pinocchio è diventato uno smilzo libretto, con tanto di apparati
didattici, ma privo delle belle illustrazioni e dell’eleganza del
libro destinato alle librerie.
Sulla questione torneremo più avanti.

5.1. Il libro di testo per studiare e gli altri libri per


leggere. Le biblioteche

La quasi totalità dei cittadini italiani avrà sentito parlare,


negli anni Settanta, della questione dei libri di testo. Le
posizioni erano molto variegate: si andava dalla proposta di
abolizione alla denuncia delle stupidità in essi contenute, fino
90Einaudi, collana «Nuovi coralli», 1962, p.82.
91Einaudi, collana «Letteratura per la scuola media», 1965, p. 97. Per que-
sta e le altre censure su Il sergente della neve cfr. Roberto Denti, Come far leg-
gere i bambini, cit., pp. 126-128.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 71

alla difesa più accanita (c’era chi sosteneva che in fondo il libro
di testo è l’unico libro che entra nelle famiglie italiane).
Una delle tante accuse al libro di testo era proprio quella di
disabituare alla lettura. Il libro di testo, si diceva, unico per tutti
gli scolari di una classe, è pur sempre un manuale e come tale
non stimola la lettura, non forma il gusto di leggere. È certa-
mente meglio avere tanti libri a disposizione, in modo che il
processo di formazione culturale avvenga attraverso un proces-
so di costruzione scaturiente da informazioni diverse reperibili
attraverso tanti libri.
Sull’onda di quel dibattito si giunse, nel 1977, alla legge 517,
attraverso la quale si consentiva agli insegnanti di rifiutare
l’adozione del libro di testo e, con il denaro corrispondente, di
acquistare altri libri.
Da questa convinzione nacquero esperienze anche interes-
santi92. Alcune classi, e in certi casi intere scuole, non adot-
tarono il libro di testo e costituirono, come strumento alternati-
vo, le biblioteche di classe. Nel giro di qualche anno, però, la
stragrande maggioranza di quelle iniziative si esaurì: il libro di
testo tornò al suo posto e le biblioteche di classe scomparvero.
Cos’è che non aveva funzionato? La risposta potrebbe essere
molto articolata e potrebbero essere individuate molteplici
responsabilità. Ma, ridotta all’osso, la risposta può anche
suonare così: il libro di testo è uno strumento indispensabile per
la formazione del ragazzo e la biblioteca di classe non è uno
strumento idoneo per sostituirlo.
C’è però una seconda domanda: perché con il ritorno del
libro di testo le biblioteche di classe scomparvero? Possibile che
un libro-manuale unico per tutti, sia davvero uno strumento
sufficiente? O non è legittimo pensare che l’errore fondamen-

92 Ci sono anche numerose pubblicazioni che testimoniano queste esperien-


ze. Ricordiamo fra le altre: Mario Lodi, Il mondo, Firenze, Manzuoli Editore,
1977 8e poi Bari, Laterza 1979); Francesco Tonucci, Silvia Caravita, Ermanno
Detti, Valutare per conoscere, Bologna, Il Mulino, 1983. Altre esperienze è pos-
sibile ritrovarle nella rubrica Voci dalla scuola della rivista «Riforma della scuo-
la», tenuta da chi scrive.
72 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

tale sia stato quello di aver concepito l’istituzione di biblioteche


di classe come strumento alternativo al libro di testo anziché
come strumento aggiuntivo?
A chiarire la questione ha contribuito una pubblicazione nella
quale due pedagogisti, Antonio Faeti e Franco Frabboni,
affrontano il problema della lettura all’interno di un progetto for-
mativo generale che contempla sia la scuola che l’extrascuola.

Nell’agenzia scolastica – vi si scrive – la trasmissione culturale passa


per il solo «rubinetto» del manuale. Il libro di testo è tuttora monar-
ca assoluto dell’istruzione ufficiale – canonica apollinea inossidabile –
di cui è sentinella fedele la scuola: veicolo e testimone – insieme – di
inattualità storica, pedanteria linguistica, polverosità scientifica.
Espressione, dunque, di un sapere dal «fiato-corto», con traguardi e
fortune di marca esclusivamente commerciale (il successo e/o insuc-
cesso è decretato dall’adozione e dalla sua conferma). Questo per dire
che la filosofia della conoscenza impacchettata nel «manuale» diffi-
cilmente sintonizza con la teoria della cultura di cui è titolare la bib-
lioteca: terreno di incontro di linguaggi e punti di vista epistemologi-
ci, camera di risonanza dei fronti più attuali e avanzati della ricerca e
della scoperta storica-linguistica-scientifica93.

Così, mentre nella scuola il libro di testo rimane l’unico vei-


colo attraverso il quale passano le conoscenze dell’allievo, cosa
avviene nel campo extrascolastico? Avviene che la trasmissione
culturale scorre quasi interamente per il «rubinetto dei media
sociali (soprattutto quelli elettrici)»94. Il circolo, a questo punto,
si chiude: da una parte il libro di testo, unico strumento di cul-
tura e conoscenze scolastiche, preconfezionato e strutturato più
o meno organicamente, dall’altra i media sociali, unidirezionali,
disorganici per indurre ad un consumo occasionale e massiccio.
Non esiste allora una terza strada, capace di rompere questo
accerchiamento che non lascia, né a scuola né fuori, spazi alla
creatività, all’inventiva, al protagonismo dell’individuo? È la

93 Antonio Faeti, Franco Frabboni, Il lettore ostinato, Firenze, La Nuova


Italia, 1983, pp. 3-4.
94 Ibidem, p. 4.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 73

biblioteca – sostengono i due pedagogisti – la strada da percor-


rere. La biblioteca in generale, scolastica (di classe o di istituto
a seconda delle esigenze reali) e non scolastica, davvero funzio-
nante, aperta e accessibile con facilità ai cittadini. E al termine
di questa proposta si aggiunge perentoriamente:

Attenzione, però. Non chiamando la biblioteca a travestirsi da killer,


da giustiziere implacabile del libro di testo e del media sociale (non
ne avrebbe neppure la forza), ma piuttosto investendola del ruolo di
interlocutore autorevole nei processi di inculturazione di massa per-
ché dotata dei muscoli culturali necessari per piegare il «manuale»
verso il libro di base e il «media sociale» (standardizzato e imposto) in
media personale (sfaccettato e liberamente fruito).
Conclusione. Va postulato con la forza il ritorno di una pedagogia
della lettura col compito di respingere la cultura dell’obbligo che per-
corre oggi i circuiti scolastici e il loisir di territorio. In termini di polit-
ica culturale, questo significa reclamare una programmata espansione
delle biblioteche scolastiche e non, perché in grado di ergersi da con-
tromedium (di demistificazione e disintossicazione ideologica) nei
confronti dell’istruzione mummificata nei «manuali» e delle strutture
narrative, stancamente iterative, dei fotogrammi dei fumetti e dei seri-
als televisivi95.

Qui la proposta appare chiara. Due sono, in conclusione, gli


aspetti di fondo:

1) la lettura di altri libri, la cui fruizione può avvenire attra-


verso lo strumento-biblioteca, appare complementare al
libro di testo e agli altri media;

2) la lettura è questione che riguarda sia la scuola sia l’ex-


trascuola.

Sembra che qui la questione del libro di testo abbia trova-


to, finalmente, un chiarimento. Così come è assurdo che la

95 Ibidem, p. 5.
74 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

scuola continui a mantenere il libro di testo come unico stru-


mento di formazione, è stato assurdo l’aver creduto di poter
sostituire il libro di testo con altri libri e la biblioteca di classe.
Il libro di testo e gli altri libri debbono essere considerati nelle
loro diverse finalità: per lo studio sistematico il primo, per la
lettura di carattere personale i secondi.
Purtroppo tutto questo la scuola sembra non averlo ancora
capito: difatti quando accetta che un libro di narrativa entri
nella scuola, lo vuole «trattato» con note e apparati didattici.
In altre parole si sente tranquilla solo se trasforma tutto, libro
di narrativa compreso, in un manuale scolastico.
Restano due osservazioni conclusive. La prima riguarda il
libro di testo. Qual è, in definitiva, il valore di questo stru-
mento? Evidentemente quello di dare una formazione culturale
generale, in altre parole un contesto a cui far riferimento. Chi
scrive può riferire anche un’esperienza personale. Avendo
interrotto gli studi a quattordici anni, tutta l’adolescenza era
stata alimentata con una lettura disordinata di vari generi let-
terari, classici della letteratura non esclusi. Ebbene, con il
ritorno a scuola e quindi allo studio della storia della letter-
atura, quelle letture assunsero una fisionomia nuova: le varie
opere lette in passato disordinatamente e senza riferimento
(ma certo con gusto) andavano a collocarsi al loro posto come
i tasselli di un mosaico.
La seconda osservazione riguarda la biblioteca. È indubbio
che la sciagurata situazione di abbandono delle biblioteche in
Italia, a tutti fin troppo nota, abbia un peso sulla poco diffu-
sione della lettura. Tuttavia forse proprio a causa della poca
abitudine dei cittadini a fruire delle biblioteche, dalle ultime
rilevazioni statistiche è risultato che la maggior parte dei let-
tori italiani preferisce acquistare e tenere per sé il libro,
anziché ricorrere alla biblioteca e questo per due motivi: il
primo, psicologico, riguarda il piacere della scoperta: in altre
parole un libro usato da altri priva della soddisfazione che
ogni oggetto nuovo offre. Il secondo, strumentale, riguarda i
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 75

ritmi di lettura: il vincolo della restituzione obbligata è con-


siderato un elemento di disturbo96.
Con tutto questo non si vuol certo dire – e sarebbe molto
grave se una simile realtà divenisse un alibi per chi dovrebbe
preoccuparsi di più dell’istituzione di biblioteche – che tutto
il consumo del libro deve percorrere solo la strada del con-
sumo privato e individuale. Probabilmente anche in questo
caso una strada non esclude l’altra: la biblioteca come stru-
mento di consultazione e di prestito e l’acquisto in libreria per
il possesso privato del libro possono essere due modi diversi
per leggere. E molto, probabilmente tutto dipende dal tipo del
libro e dal significato che ogni individuo attribuisce ad un’-
opera.
Non è il caso, qui, di insistere sulla questione delle bib-
lioteche scolastiche o non scolastiche. Esiste peraltro sul tema
una vasta bibliografia. Rispetto alla questione specifica della let-
tura sensuale la biblioteca può esercitare un ruolo importante a
due condizioni. La prima è che essa esista e che sia facilmente
accessibile. Sembra un’affermazione assurda, ma è lo stato di
abbandono delle nostre biblioteche che ha dell’assurdo. La sec-
onda condizione è che la biblioteca sia «seducente». Anche in
questo caso l’affermazione sembrerà meno assurda a chi
conosca la tristezza ed il pesante odore di polvere inumidita
delle nostre biblioteche scolastiche. È la biblioteca «monumen-
to-museo». Lo studente che vi si avvicina è ricacciato violente-
mente indietro, ogni desiderio di avventura con il libro si
smorza e si dilegua e si dissolve.
Naturalmente l’alternativa è la «biblioteca-documento» che
sappia rivelare al lettore tutte le arti di seduzione, che sappia
essere «mosaico delle presenze più diverse. Se bene interroga-
ta essa stimola montaggi della più varia natura; magari intri-
cati, ma – occorre dire – tanto più affascinanti, in quanto

96 Quest’atteggiamento è risultato da un’indagine riferita da Pierangelo Peri,


“Dentro la lettura: perché e come si legge”, in Mario Livolsi, Almeno un libro.
Gli italiani che (non) leggono, Firenze, La Nuova Italia, 1986, p. 57.
76 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

approdano, purché si abbiano timone e bussola in mano, alle


epifanie più inaspettate e arricchenti, a scioglimenti finali grat-
ificanti»97.

6. I Promessi Sposi, il libro più letto dalla scuola:


da vietare ai minori di 18 anni

Se ci rivolgiamo ad uno studente di scuola superiore e gli


chiediamo dei Promessi Sposi possiamo rilevare due elementi: il
primo che già conosce l’opera, il secondo che la lettura di quel-
l’opera non l’ha affatto interessato. Eppure so tratta di un’opera
di elevato e di indubbio valore letterario.
Chi scrive per anni ha insegnato nelle scuole superiori e si è
sempre stupito che un simile capolavoro letterario venisse così
poco apprezzato dai giovani. Alcuni alunni, in genere i più
bravi, riuscivano anche ad attribuire qualche valore alla lettura
di quell’opera: «Qualche parte è interessante»; «Mi ha fatto
conoscere la storia del Seicento»; «Manzoni è bravo nelle
descrizioni»; «Manzoni sa descrivere lo stato d’animo dei per-
sonaggi». Tutto qui. Mai nessuno ha dichiarato che si è trattato
di una lettura avvincente e piacevole, né di una lettura impeg-
nativa e interessante. Eppure I Promessi Sposi è l’unica opera
narrativa che per anni sia stata esplicitamente prescritta nel
biennio della scuola superiore.
Vediamo di capire, anche sulla base di quanto viene in
genere riferito dai ragazzi, quali motivi rendono così poco
piacevole la lettura di questa opera. Ovviamente le consider-

97 Carmine De Luca, Tendenziosa, disponibile, seducente, in «Riforma della


scuola», n. 11, 1981. Sulle biblioteche scolastiche e la loro organizzazione citia-
mo alcuni interventi o volumi che ci sembrano, ai fini del nostro discorso, par-
ticolarmente interessanti: Marino Cassini, C’è anche la biblioteca, in Il libro per
ragazzi, Rimini, Maggioli Editore, 1985; Ruggero Y. Quintavalle, Maria Remildi,
Scuola e biblioteca, Brescia, La Scuola Editrice, 1984; Romano Vecchiet (a cura
di), Biblioteche e ragazzi, Milano, Editrice Bibliografica, 1985; Romeo Brambilla,
Alessandro Meloni (a cura di), Biblioteche e scuola, Milano, Editrice
Bibliografica, 1986.
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 77

azioni che seguono sono di natura esclusivamente pedagogica e


prescindono da ogni giudizio sul valore artistico e culturale del-
l’opera, sul quale ovviamente siamo tutti d’accordo.

1) Una delle fondamentali lamentele dei ragazzi è quella di


essere costretti a leggere ripetutamente I Promessi Sposi nei vari
ordini di scuola. In altre parole i ragazzi quando giungono alle
scuole superiori l’hanno già letta, tutta o in parte, nella scuola
media e in certi casi anche nella scuola elementare. Questa
affermazione stupefacente dei ragazzi trova conferma in alcuni
studi e indagini: si tratta insomma di una situazione nazionale.
Il primo di questi studi è stato condotto da Carlo Fini, agente di
un editore scolastico, nelle scuole del Piemonte e della Val
d’Aosta98. L’obiettivo di Fini era quello di vedere che genere di
libri di narrativa venisse adottato nella scuola media. Il risulta-
to è stato che in seconda e terza media il primato spetta ai
Promessi Sposi. Ad analogo risultato è giunta un’inchiesta sulla
lettura nelle scuole di Genova promossa da Pino Boero e
Marino Cassini del Centro Studi di Letteratura Giovanile di
quella stessa città: il primo posto spetta ancora a Manzoni99.

2) I Promessi Sposi è un’opera troppo lontana dalla sensibil-


ità dei giovani. Non tanto perché ambientata nei Seicento, né
perché scritta nell’Ottocento, quanto perché Manzoni presenta
situazioni narrative e personaggi rispondenti più al modo di
sentire degli adulti che dei ragazzi. Vediamo separatamente i
due aspetti:

a) La narrazione. È lenta, inframmezzata da lunghissime e

98 I dati di questa ricerca sono riferiti nell’articolo di Carmine De Luca,


L’irresistibile ascesa dei Prmessi Sposi, in «Riforma della scuola», n. 2, 1986.
Sempre nello stesso numero di questa rivista vi sono sull’argomento interventi
di Fernando Rotondo, Undicesimo: ricordati di amare Manzoni e di Giorgio Bini,
Guidati al Gattopardo.
99 Su questa ricerca, che è stata condotta in 50 scuole di Genova, si veda
Pino Boero, L’ultimo successo l’ha scritto Manzoni, in «L’Unità» del 14-4-83.
78 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

frequenti digressioni storiche o «filosofiche», priva di sus-


pence e di battute di spirito capaci di far sorridere un ragazzo.
Tutte caratteristiche esattamente opposte a quelle richieste
alla narrativa per ragazzi.

b) I personaggi. Difficilmente possono favorire i processi di


identificazione, fondamentali per coinvolgere emotivamente i
ragazzi nella lettura. Il caso più emblematico è Lucia: nessuna
ragazza può identificarsi in lei, assumerla come eroina, come
modello. Gli unici personaggi più vicini sono certo la Monaca
di Monza e l’Innominato, per la loro complessità, tortuosità,
«tenebrosità»; e difatti i ragazzi, agli episodi che vedono questi
personaggi protagonisti, sono un po’ più interessati come risul-
tano interessati ad alcuni episodi più avventurosi. Ma si tratta di
brevi passi che non compensano adeguatamente l’impostazione
del resto dell’opera.

3) I Promessi Sposi è un’opera troppo lunga rispetto ai nor-


mali ritmi della scuola. Nei bienni di alcune scuole superiori
(negli Istituti Tecnici, ad esempio), la lettura viene articolata in
due anni. Una simile diluizione genera nei ragazzi disorienta-
mento, difficoltà oggettiva a seguire il filo della narrazione, a
operare confronti; ne consegue l’impossibilità una visione
«compatta» e organica dell’opera. D’altra parte laddove l’opera
viene letta in un anno, la lettura monopolizza le ore di lettere.
In ambedue i casi la lettura dei Promessi Sposi nella scuola risul-
ta pesante e dispersiva e noiosa. Molti insegnanti, per superare
l’inconveniente, o saltano alcuni capitoli o non terminano la let-
tura dell’opera. Così, tanta fatica non serve neanche a dare la
soddisfazione di aver letto un libro per intero.

4) Il linguaggio dei Promessi Sposi non è adatto ai ragazzi.


Non lo era per i giovani dell’Ottocento e certo ancor di meno lo
è per quelli d’oggi. Può sembrare un paradosso che l’opera che
tanto ha contribuito alla soluzione del problema della lingua
italiana sia linguisticamente inadatta ai giovani. Nessun para-
II. LA LETTURA NELLA PRATICA EDUCATIVA 79

dosso invece: chi l’ha detto che ogni capolavoro sia proponibile
a tutte le età? Veniamo al concreto. Manzoni usa periodi lunghi,
articolati, ricchi di subordinate. L’ipotassi è dominante nelle
sue proposizioni. Frequenti sono anche le allusioni culturali e
l’ironia è in genere molto sofisticata. Al contrario, la narrativa
per ragazzi richiede un periodare breve, sciolto, sbrigliato. La
paratassi è dominante nello stile degli scrittori per ragazzi (basta
leggere Collodi che non ha scritto certo Pinocchio ai giorni nos-
tri) e gli aspetti ironici e allusivi non debbono essere tali da pas-
sare completamente al di sopra della testa dei lettori.

5) Le idee morali e religiose di Manzoni, ossessivamente


ripetute, disturbano la sensibilità dei giovani di oggi. Molti
ragazzi lo dicono esplicitamente. In genere, si badi bene, i ragazzi
di oggi non contestano le idee del Manzoni (lo facevano qualche
decennio fa), contestano che egli interrompa la narrazione per
esplicitarle continuamente e le ponga come verità e come stile di
comportamento. Evidentemente i ragazzi sono abituati alla nar-
rativa contemporanea (di cui fruiscono molto attraverso il cinema
e la Tv) ove la «morale» o il pensiero dell’autore sono di regola
intessuti all’interno della trama narrativa.

6) I Promessi Sposi è usato nelle scuole come manuale, tant’è


vero che, da sempre, su esso vengono fatti svolgere riassunti,
temi, compiti in classe, esercizi di grammatica e, recentemente,
schede di comprensione e di verifica. Molti criticano questi
metodi ed hanno le loro ragioni. Ma probabilmente gli inseg-
nanti usano il libro nell’unico modo in cui è possibile usarlo,
cioè come un manuale su cui esercitarsi. Poiché è inadatto a
svolgere la funzione di opera narrativa, al libro è stata trovata
una funzione diversa. Certo gli insegnanti non si pongono il
problema dell’assurdità di avere come manuale un romanzo
dell’Ottocento e di proporre così un unico modello; né si
chiedono se non sia importante la lettura di libri finalizzati alla
formazione del gusto della lettura.
Alcuni insegnanti hanno però cercato metodi di lettura alter-
80 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

nativi ai tradizionali. Il metodo risultato più efficace è certo


quello della lettura a voce alta da parte dell’insegnante: si forma
con questo metodo, quasi un «momento magico», per cui alcu-
ni passi dei Promessi Sposi possono risultar piacevoli. Ma,
mutatis mutandis, tutte le questioni di fondo restano. E in par-
ticolare restano queste domande: perché fra i tanti romanzi, ital-
iani e stranieri, classici o contemporanei, I Promessi Sposi deb-
bono essere letti, anche più volte, da tutti i ragazzi? Perché
tanta attenzione per I Promessi Sposi mentre non ci si preoccu-
pa affatto di far conoscere altre opere narrative classiche o con-
temporanee? Quali confusioni, quali distorsioni mentali pos-
sono generare queste assurdità? Non sarà forse per le idee
morali e cattoliche, tanto palesi nei Promessi Sposi, che molti
(Ministri della Pubblica Istruzione compresi) insistono su
quest’opera? È difficile rispondere. È forse per questo che l’u-
nica soluzione che ci viene alla mente è quella di vietare la let-
tura dei Promessi Sposi ai minori di anni 18. A un’età più matu-
ra l’opera sarebbe meglio compresa e apprezzata per il suo
indubbio valore letterario.
III. Si può insegnare il piacere di leggere?

1. Cosa perde chi non legge


Per quasi i tre quarti della popolazione italiana si può dire che non
leggere o non saper leggere si traduce nella perdita o, forse meglio,
nella mancanza di un immaginario personale o collettivo. Un imma-
ginario che è da intendere come il luogo della fantasia, della capacità-
possibilità di vedere o anche sognare altro da quello che si vede e vive
nella realtà di tutti i giorni, nella costrizione di ruoli sociali. Il luogo
dove le fantasia individuali si saldano con gli archetipi collettivi del
proprio gruppo di appartenenza e della sua cultura. Dove si può pen-
sare al diverso e al possibile. Dove si accumula, come in una riserva
sempre più ricca, quanto si è pensato e sognato. Dove si traggono la
forza e le capacità per vivere come si vorrebbe e o si penserebbe pos-
sibile e non come altri suggeriscono. La riserva della fantasia creatri-
ce: dove si elaborano progetti, si costruiscono sogni e speranze, si
capisce come debbono o possono essere vissuti quei sentimenti che
sorgono magari all’improvviso e senza che la situazione lo lasciasse
prevedere.
Il luogo dove possono realizzarsi tutte le proiezioni del sé reale o idea-
le di ogni uomo. Dove il rimosso individuale si salda con quello col-
lettivo e ridiventa possibilità di essere e sentirsi diversi. Un mondo
popolato da personaggi, luoghi e situazioni che rassicurano, con la
loro presenza simbolica ma viva, che il diverso può esistere o è già esi-
stito, magari in altre forme e sembianze.
La crisi dell’immaginario nella gran parte dei lettori è lo specchio e la
conseguenza della crisi di molti autori. Di quelli che non sono più
82 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

capaci di rileggere – loro per primi – la realtà che vivono e che osser-
vano. Di quegli autori che neppure uno spettacolo straordinario
magnifico (con il mitico anno 2000) di una diversa ma intrigante orga-
nizzazione sociale riesce a rendere più creativi100.

Ricchezza di fantasia, autonomia, capacità di progettare, di


penetrare la realtà delle cose per trasformarle se necessario, di
agire tenendo presenti le esigenze proprie ed altrui: queste
alcune delle qualità che chi non legge rischia di perdere. Se
davvero la lettura è tanto importante, la questione a questo
punto diviene quello di cosa fare. È un’impresa non facile, per-
ché se si può insegnare a leggere e a scrivere, non abbiamo una
tradizione che ci indichi se si può insegnare o meno a leggere
con piacere. Anzi, si può anche avanzare il dubbio se sia obbi-
ettivamente possibile insegnare a leggere con gusto.
Risponderemo alla domanda se è possibile o meno «trasmet-
tere» il piacere di leggere nel 5° paragrafo di questo stesso capi-
tolo. Prima è necessario vedere due aspetti, collegati alla nostra
questione. Il primo riguarda l’immagine e la sua funzione per
stimolare la lettura. Il secondo cerca di capire attraverso quali
canali è nato e si è alimentato nella storia il piacere della lettura
a livello popolare.

2. L’importanza dell’immagine nella lettura sensuale

Immagine e lettura. Una questione difficile, perché, trattan-


dosi di materia piuttosto nuova e priva di precisi canoni di rifer-
imento, qualunque cosa si dica si rischia di aver ragione e di
aver torto. Occorre trovare alcuni punti fermi. Vediamo.
Guardiamo un libro per ragazzi ben illustrato e poniamoci la
domanda: senza immagini sarebbe altrettanto piacevole
sfogliarlo e in definitiva leggerlo? No, evidentemente.
Tuttavia non abbiamo risposto alla questione fondamentale:

100 Marino Livolsi, op. cit., pp. 20-21.


III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 83

qual è, in definitiva, il ruolo dell’immagine? Perché l’immagine


ci avvince, ci coinvolge tanto?
Molti hanno sostenuto che l’immagine disabitua alla lettura
impegnativa, quella più pesante e difficile, del libro. Le cose
sono un po’ più complicate. L’immagine non è certo semplicis-
tica, altrimenti, come tutte le cose semplicistiche, ci
annoierebbe. Però è più avvincente della parola. Perché è più
avvincente? Proprio perché, come si è detto, ha la capacità di
comunicare particolari e «contorni» che la parola non
potrebbe. In particolare, nell’opera narrativa, l’immagine dà
concretezza, contorni, fisionomia ai personaggi, ai luoghi, alle
azioni, il che consente al lettore di seguire la vicenda con una
maggiore tensione emotiva, di immergersi meglio nel mondo
fantastico. L’immagine svolge così anche un’altra funzione,
quella di creare un contesto generale all’interno del quale si col-
loca il discorso o il racconto scritto.
Questa funzione di contestualizzare un evento è molto chiara
nei giornali e nei rotocalchi. Se accanto ad un articolo cogliamo
l’immagine di modelli di vestiti, comprendiamo subito, prima
ancora di leggere il titolo o il testo, che lì si sta trattando di
moda; se vediamo la foto di un incidente stradale o il grafico
con le indicazioni meteorologiche del tempo comprendiamo
subito qual è l’argomento.
Saremmo molto cauti pertanto ad addossare all’immagine
responsabilità rispetto alla poca diffusione della lettura. Anzi,
specie nella letteratura popolare e nella narrativa per ragazzi,
l’immagine ha svolto e svolge una funzione di promozione alla
lettura101. Pensiamo ad esempio alle immagini dei feuilletons o
dei romanzi d’avventura, ove spessissimo le scene rappresentate
costituiscono una suspence, una situazione difficile, a volte vio-
lenta, che invoglia a cercare nel testo scritto la soluzione della

101 Sulla funzione dell’illustrazione nelle opere narrative e sull’importanza


che l’immagine ha per la formazione dell’immaginario cfr. Antonio Faeti,
Guardare le figure, Torino, Einaudi, 1972, che ripercorre la storia dell’illustra-
zione dalla fine dell’Ottocento agli anni Quaranta.
84 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

stessa scena. È quando testo e immagine si integrano così pro-


fondamente che si può parlare di situazione ottimale: l’immag-
ine funge, per dir così, da momento spettacolare e quindi
aumenta il coinvolgimento nella lettura del testo.
Nel secolo XX l’immagine è andata assumendo un’impor-
tanza sempre nuova, sia nel campo dell’illustrazione del libro,
sia in quello dei nuovi mezzi di comunicazione, dal cinema ai
videogiochi. Gianna Marrone vede questa realtà, questo trionfo
dell’immagine con occhi del tutto disincantati, come una sorta
di naturale rivincita che può essere compresa proprio se la con-
sideriamo nella sua elementare essenzialità. Scrive testualmente:
«Il potere dell’immagine, il linguaggio più antico del mondo,
che permise anche agli uomini primitivi di comunicare tra loro
e con i posteri, sta riacquistando i suoi diritti in una civiltà in cui
l’iconografia e le tecnologie audiovisive hanno permesso di
estendere l’informazione senza limiti di tempo e di spazio»102.
Anche per quanto riguarda la narrativa per ragazzi Gianna
Marrone coglie un aspetto essenziale dell’immagine, sostenendo
che l’illustrazione svolge un ruolo fondamentale, «sia perché
permette al bambino di avvicinarsi al libro ancora prima di
saper leggere, sia perché rende il rapporto con la lettura più
piacevole e distensivo. Il bambino si avvicina con grande spon-
taneità a tutto ciò che è molto illustrato e molto colorato, è
attratto dal movimento delle linee disegnate che permettono un
dialogo comunicativo più diretto e immediato rispetto a quello
offerto dalle linee statiche della parola scritta»103.
Quanto questo sia vero possiamo verificarlo nel fumetto,
dove l’immagine rende più dinamica perfino la parola scritta. Il
fumetto difatti è un mezzo di comunicazione che affascina il
ragazzo, lo cattura e lo rapisce facendolo «cadere» dentro le
vignette. Sotto questo aspetto il fumetto è un formidabile stru-
mento propedeutico alla formazione del piacere di leggere e alla

102 Gianna Marrone, Leggere a fumetti, Edizioni Seam, Roma, 1999, pp. 19-
20.
103 G. Marrone, Op. cit., p. 20.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 85

formazione del gusto estetico. Perfino la parola scritta deve


avere una sua eleganza se vuole stare al fianco dell’immagine,
per questo nel fumetto la parola non può essere stampata, ma
deve essere scritta a mano (si potrebbe quasi dire disegnata) da
professionisti. Inoltre la parola scritta deve scorrere rapida, non
essere sovrabbondante per non appesantire la vignetta, anzi
deve essere essenziale e non utilizzata se non necessaria. La
parola costituisce soprattutto il dialogo che è, insieme all’im-
magine, il motore narrativo della vicenda. Si deve tendere
insomma a cercare un equilibrio tra immagine e parola, e quan-
do si riesce a trovare questo equilibrio il fumetto risulta un for-
midabile strumento per la formazione del gusto per la carta
stampata.
Nel fumetto, nel cinema (specie in quello americano degli
ultimi anni), nella televisione e nei videogiochi la capacità spet-
tacolare dell’immagine è usata moltissimo. Si può essere anche
critici, nel caso in cui si tenda a puntare sulla spettacolarità e a
sminuire i contenuti, anzi questo è un abuso e un cattivo uso
dell’immagine da cui occorre guardarsi, perché può portare lo
spettatore a momenti di eccitazione a cui seguono momenti di
disattenzione e di «memorizzazione iconografica». Tuttavia
quando la spettacolarità ha la funzione di far partecipare con
maggiore coinvolgimento lo spettatore, di far vivere insomma
più pienamente uno spettacolo, di certo svolge una funzione
positiva. Ciò accade anche nei film dei grandi artisti che spesso
tendono al coinvolgimento emotivo dello spettatore: un merito
di Charlie Chaplin non è quello di riuscire, proprio attraverso
la sua «gestualità espressiva», a far ridere e piangere insieme? E
gli attuali effetti speciali non hanno una funzione analoga?
Le emozioni, certo, sono un aspetto molto delicato. La loro
assenza porta però all’indifferenza e alla freddezza, il che equiv-
ale all’abbrutimento e alla perdita di umanità. Per questo credi-
amo che sia meglio una telenovela che, pur nella sua a volte
grossolana banalità di contenuto, riesce a far partecipare, direm-
mo quasi a far impegnare, milioni di persone, che una trasmissione
banale, sciocca, ripetitiva, capace solo di annoiare e «telesmemo-
86 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

rizzare». L’indifferenza è certo il peggiore dei mali dell’uomo e


l’immagine, se ben usata, può aiutarci a combatterla.
Nei paragrafi che seguono affronteremo, a mo’ di esemplifi-
cazione, l’uso dell’immagine in due strumenti diversi che hanno
attraversato con la loro storia quasi tutto il secolo XX. Il primo
è il «Corriere dei Piccoli», uno dei più interessanti riferimenti
concreti di un uso equilibrato dell’immagine; il secondo è la let-
teratura popolare che ha usato l’immagine come chiave per far
leggere con gusto milioni di persone.

3. Luigi Albertini e l’immagine per attrarre e per divertire:


dalla «Domenica del Corriere» al «Corriere dei Piccoli»

Percorrere sia pure a grandi linee la storia del «Corriere dei


Piccoli», che va dal 1908 alla metà degli anni Novanta, è anche
tracciare un pezzo di storia dell’uso dell’immagine in Italia. È la
storia dell’idea che riguarda la ricerca di un equilibrio tra imma-
gine e parola, un equilibrio che muta nel tempo e col mutare
delle situazioni, ma sempre basato su alcuni principi molto
saldi. Lo stesso possiamo dire per la «Domenica del Corriere»,
con la differenza che questa testata era destinata a un pubblico
adulto (Figura 1).
Il progetto che sta dietro a queste testate fu voluto da Luigi
Albertini, giovane e intelligente liberale che praticamente resse
il «Corriere della Sera» dalla fine dell’Ottocento al 1925 e seppe
contornarsi di collaboratori dalla mentalità illuminata. Non
nacque come progetto a se stante, ma all’interno di un disegno
editoriale più generale che è utile spiegare.
Il «Corriere dei Piccoli» (Figura 2) è figlio diretto del
«Corriere della Sera», tanto è vero che esso uscì per la prima
volta come supplemento. Uscì come allegato al giornale, anche
se si rivolgeva ai «piccoli» senza alcuna ambiguità.
Il giovane Luigi Albertini aveva viaggiato e studiato nei paesi
industrializzati e, soprattutto in Inghilterra, aveva conosciuto
con quali mezzi la stampa riusciva a raggiungere un vasto pub-
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 87

Fig. 1. La prima pagina della «Domenica del Corriere», illustrazione di


Achille Beltrame. Alla bellezza e alla suggestione delle immagini di coperti-
na fu affidata la fortuna di questo settimanale, ideato e voluto da Luigi
Albertini dal 1899.
88 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Fig. 2. La prima pagina del «Corriere dei Piccoli», illustrazione di Antonio


Rubino. Fin dalla sua fondazione (1908) il giornalino aveva ben otto pagine
a colori vivacissimi che allietavano i bambini dell’epoca.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 89

blico. Deciso ad investire sulla politica editoriale del


«Corriere», vinse ogni resistenza interna e impose il suo disegno
basato su due pilastri: creazione di supplementi «popolari» con
un uso attento delle immagini a colori. Era evidente l’aumento
dei costi ma essi dovevano essere ben ricompensati dalle più
alte tirature.
Nel 1899, dietro le insistenze di Albertini, era nata la
«Domenica del Corriere», che con le sue copertine disegnate da
Achille Beltrame aveva rapidamente conquistato molti nuovi
lettori. Nel 1901 aveva creato la «Lettura», rivista raffinata che
anticipò il gusto delle terze pagine del Novecento.
Successivamente fonderà il «Romanzo mensile», narrativa dai
toni popolari ma di una qualità superiore alle «Dime novels»
(Figura 3), la famose dispense di poche pagine che, tradotte
dagli Stati Uniti in tutta Europa, stavano ottenendo larghi con-
sensi anche in Italia.
La tendenza era di allargare il pubblico, mantenendosi a un
livello di divulgazione più elevata di quella della letteratura
popolare degli altri paesi europei. In pratica si voleva allargare
gli orizzonti della politica del «Corriere della Sera», fino alla
fine dell’Ottocento rivolto esclusivamente all’alta borghesia, per
coinvolgere i ceti emergenti.
Albertini aveva dato l’incarico di progettare anche un perio-
dico femminile che però non era riuscito a realizzare, mentre
invece superò ogni ostacolo per il «Corriere dei Piccoli». E gli
ostacoli ci furono: un periodico per ragazzi può sembrare facile
ma al momento della realizzazione è sempre molto difficile. Era
stato infatti affidato il progetto di un giornalino destinato all’in-
fanzia a Paola Lombroso, figlia del noto antropologo, con la
quale però i rapporti si ruppero al momento della concretizza-
zione, tanto che sembrava che ormai anche questa idea finisse
in soffitta.
Alla fine tuttavia il progetto venne rivisto e la direzione fu
affidata a Silvio Spaventa Filippi, di idee liberali e già direttore
del «Romanzo mensile».
Il «Corriere dei Piccoli» nacque alla fine di queste vicende
90 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Fig. 3. L’immagine svolge una funzione di stimolo alla lettura. Nel feuille-
ton, nel romanzo per ragazzi e nella letteratura popolare l’illustrazione rap-
presenta spesso una situazione difficile, a volte violenta, che invoglia a cer-
care nel testo scritto la soluzione della scena.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 91

con un’impostazione del tutto rispondente alle idee di Albertini


e del tutto diversa da quella degli altri giornalini dell’epoca.
Pensiamo non solo al glorioso «Giornale dei bambini», che dal
1881 aveva pubblicato Pinocchio, ma anche ai più recenti, come
il «Novellino» di Yambo o «Il giornalino della Domenica» di
Vamba. Gli altri giornalini avevano come punto di vista quello
della scuola, quindi un impianto didascalico e moraleggiante;
pubblicavano soprattutto fiabe, filastrocche, lezioni di cucina o
di lavoro a maglia per le bambine, storielline educative sulle
marachelle puntualmente punite per i maschietti. Il giornalino
più trasgressivo e aperto era stato fino ad allora «Il Giornalino
della Domenica», creato da Vamba nel 1906, ma si trattava di
trasgressioni ancora goliardiche e di sapore provinciale.
Il «Corriere dei Piccoli» puntò invece a due aspetti del tutto
nuovi. Prima di tutto fece del divertimento uno dei canoni di
fondo. L’intento di divertire era esplicitato nell’editoriale non
firmato del primo numero del «Corriere dei Piccoli».
Rivolgendosi agli stessi bambini, si diceva del nuovo giornalino:
«Pensate che è venuto al mondo con una sola speranza: quella
di piacervi». In secondo luogo puntò ai valori civili più alti, che
guardassero non solo all’italietta e alla sua provincia, ma sapes-
sero innalzarsi con un’apertura più ampia sopra il contesto
europeo e mondiale.
L’uno e l’altro aspetto risultano in genere così intrecciati che i
valori etico-sociali, se mai debbano essere esplicitati – e lo saran-
no, ma soprattutto nei momenti più particolari, come nei casi di
guerra – debbono passare attraverso l’allegria, la fantasiosità del
disegno, la ricchezza del colore. Nessun impegno civile deve
comunque interrompere la risata. Anzi il ridere è così importante
che viene istituita la notissima «Palestra dei lettori», un’intera
pagina dedicata alle barzellette inviate dai ragazzi o dai loro geni-
tori e compensate in denaro. Insomma il nuovo giornalino deve
prima di tutto divertire e divertendo educare alla lettura, al gusto
del bello, all’iniziativa, formare i piccoli a divenire, da grandi, non
solo buoni cittadini ma anche intelligenti lettori di un grande quo-
tidiano, com’era il «Corriere della Sera».
92 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Albertini non si interessava di ragazzi né sapeva niente di


pedagogia, ma aveva almeno un’idea molto chiara: il nuovo
giornalino era figlio di un grande quotidiano, era destinato al
tempo libero e non alla scuola. Di conseguenza via ogni intento
pedagogico, via ogni ammiccamento alla scuola, elementi già
straripanti in tutta la narrativa per l’infanzia.
Si spiega così un fatto, che poi fu la fortuna dell’iniziativa: sul
«Corriere dei Piccoli»: non furono chiamati a collaborare al
giornalino gli scrittori per ragazzi dell’epoca e le stesse fila-
strocche delle pagine a colori vennero affidate invece agli illu-
stratori comico-umoristici, i più trasgressivi e anche i meno sog-
getti al controllo ossessivo della censura pedagogica. Difatti
all’epoca non si era compresa a pieno la portata comunicativa
dell’immagine, i censori sfogavano le loro ire sui testi e gli illu-
stratori godevano ancora del beneficio dell’emarginazione.
Altre pagine a colori furono invece riempite con l’importazione
dei fumetti americani, ridisegnati o ridotti dagli illustratori ita-
liani.
Anche per la narrativa, che pure era presente nelle pagine
non a colori, Albertini non volle almeno inizialmente scrittori
italiani, ma si affidò senza tentennamenti alle traduzioni stra-
niere (nel primo anno c’è perfino una fiaba a puntate di
Alessandro Dumas) e all’inventiva dei suoi giornalisti. Fin dai
primi numeri, venne pubblicato a puntate un capolavoro inedi-
to della narrativa per ragazzi, Le avventure di Fiammiferino,
fiaba appassionante e ricca di cultura orientale scritta tra un
piroscafo e l’altro da Luigi Barzini, il primo grande redattore
viaggiante italiano che per il «Corriere della Sera» fu autore dei
più straordinari reportage di inizi Novecento dalla Cina e dal
Giappone.
Questa impostazione resterà fissa nei decenni, passerà perfi-
no attraverso la prima guerra mondiale o il fascismo quando le
idee e i «valori», sposati dal «Corriere della Sera» e ricaduti sul
«Corriere dei Piccoli», si tinsero talvolta di retorica nazionali-
stica e si fecero parecchio discutibili.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 93

3.1. Fumetti riadattati e favole malvagie

In concreto, le sedici pagine dei primi numeri del Corrierino


erano così articolate. Quattro pagine a colori, due delle quali
erano traduzioni di fumetti americani. Per la verità non si trat-
tava di traduzioni vere e proprie, ma di rifacimenti che ancora
oggi offendono la sensibilità dei filologi del fumetto. I comics in
America erano destinati agli adulti e occupavano un’intera tavo-
la di giornale con numerose vignette; qui vengono riadattati, in
parte ridisegnati, i balloons cancellati, mentre sotto le vignette,
in genere ridotte a sei o a otto, scorrono le filastrocche. Oggi gli
studiosi di mezzi di comunicazione più rigorosi precisano che il
fumetto arriva in Italia non nel 1908 con il «Corriere dei
Piccoli», ma solo agli inizi degli anni Trenta, quando sia i fumet-
ti tradotti che quelli italiani contengono le parole dentro le
vignette, loro naturale destinazione. A distanza di tempo si può
però anche riconoscere che quella era per l’epoca la scelta
migliore, perché l’Italia, con la sua tradizione umanistica che
pone la parola al centro di tutto, non poteva accettare di vede-
re intere frasi ridotte ad «ancelle» dell’immagine come avviene
nel fumetto. Si pensi che all’epoca aperto nemico e avversario
dei fumetti, così come li aveva concepiti l’America, era niente-
meno una delle persone più aperte alle istanze europee, noto e
raffinato illustratore sui generis che si riallacciava addirittura al
liberty inglese di Aubrey Beardsley: parliamo di Antonio
Rubino, chiamato alla progettazione del primo numero del
«Corriere dei Piccoli» e disegnatore della originale testata.
Le altre due pagine a colori erano affidate, come detto, non
all’estro di grandi autori per ragazzi, incapaci di uscire da deter-
minati schemi, ma alla capacità inventiva dei più importanti illu-
stratori dell’epoca, fra i quali i più assidui nei primi anni furono
Antonio Rubino e Attilio Mussino, il noto illustratore di
Pinocchio. In seguito, visto che la formula funzionava, verran-
no chiamati altri illustratori, come Sergio Tofano, Giovanni
Manca, Carlo Bisi, Bruno Angoletta. Sono gli illustratori più
geniali del primo Novecento. Ad essi era affidato il compito sia
94 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

di creare graficamente i personaggi, sia di inventare la breve sto-


riella e la nota filastrocca che scorreva sotto le vignette.
Insomma si chiedeva agli illustratori di misurarsi con una storia
breve, prestabilita in otto o sei vignette, e di studiare, accanto al
ritmo delle immagini anche il ritmo della filastrocca di regola
scandita in ottonari. C’era, è vero, un lavoro redazionale che
rivedeva le filastrocche e le riportava nei giusti canoni nel caso
in cui l’illustratore avesse avuto difficoltà, ma l’invenzione del
soggetto era affidato alla fantasia del disegnatore e di regola la
storia era prima disegnata poi narrata.
Le altre dodici pagine? Anche queste hanno una struttura
che si differenzi dagli altri giornalini. Accanto alle novelle e ai
racconti inediti o alle brevi poesie, molti sono i servizi di divul-
gazione scientifica, molto lo spazio dedicato al varietà, alla
cronaca, alla corrispondenza con i lettori. Nessun insegnamen-
to educativo diretto, niente lezioni di cucina, di maglia, di taglio
o di cucito. Anche queste pagine sono illustrate, in genere in
bianco e nero, con immagini sempre funzionali al testo ovvero
utile per la comprensione oltre che per abbellire il testo.
Il «Corriere dei Piccoli» si mantenne per decenni all’interno
di canoni rigorosamente laici. Attilio Mussino creò nel 1909
uno strano personaggio, il maestro Satanasso, che faceva scuola
a una banda di demonietti rossi, con tanto di coda, capaci di
organizzare gli scherzi più terribili al loro insegnante. Il person-
aggio comparve solo per un paio di volte, poi fu soppresso. È
probabile che ci sia stato un intervento censorio, ma se ci fu di
certo esso riguardava in primo luogo il fatto che la storiellina
parlava di scuola.
Claudio Carabba insiste, studiando la politica del «Corriere
dei Piccoli», sulla presenza di «favole malvagie»104. In effetti le
favole del «Corriere dei Piccoli» non sono mai favole edulco-
rate, che ricercavano il lieto fine a ogni costo. Quelle tradotte
dai fumetti americani non lo erano, ovviamente, perché si trat-

104 Claudio Carabba, Corrierino Corrierona. La politica illustrata del Corriere


della Sera, Baldini & Castoldi, Milano, 1998.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 95

tava di storie pubblicate su quotidiani e contenevano, anche se


in parte questo aspetto era stemperato, il sarcasmo e la satira di
un comics destinato a un pubblico adulto. Quelle degli autori
italiani non lo erano quasi per lo stesso motivo: si trattava di
illustratori satirico-umoristi o di vignettisti per adulti, i quali
avevano difficoltà ad aucontrollarsi.
Un forte controllo su se stesso lo esercitava soprattutto
Antonio Rubino, il quale aveva notoriamente due anime, una
più contenuta, che riservava per quando scriveva per i ragazzi,
e una invece malvagia, addirittura contorta, che si scatenava
non appena lo strumento lo permetteva. Un po’ come era stato
il suo ispiratore, Aubrey Beardsley, che amava sia il bello più
perfetto e raffinato sia il mostruoso più orrorifico. È noto a tal
proposito un evento. Durante la prima guerra mondiale, pre-
cisamente verso la fine del 1917, il capo dell’Ufficio della Terza
Armata, con l’approvazione del Duca d’Aosta, affidò al sottote-
nente Antonio Rubino e altri noti illustratori dell’epoca (Enrico
Sacchetti e Umberto Brunelleschi) il compito di redigere una
rivista per sollevare il morale dei soldati in trincea. Di questa
rivista uscirono solo 24 numeri, ma furono sufficienti per rive-
lare la seconda anima di Rubino, quella priva di freni inibitori.
In pratica il segno di Rubino ricerca il mostruoso, il deforme,
mentre le vicende che la sua mente immagina divengono più
pesanti di quelle diffuse nelle caserme, fino a rivelare la perver-
sione del gusto per il macabro. Nota è la storia, pubblicata nella
«Tradotta», dell’italiano che si lascia incantare da una tedesca
e la conduce all’altare; ma la «bella» sposa, la sera del matrimo-
nio, si toglie parrucca, seno finto, gamba di legno, occhio di
vetro, ecc, per rivelare il mostro che si nasconde dietro le belle
apparenze.
È straordinario invece l’autocontrollo di Rubino nel
«Corriere dei Piccoli», dove, perfino durante la prima guerra
mondiale, mantiene il suo aspetto giocoso. Lo stupido generale
Bombarda, nostro nemico, è puntualmente gabbato dagli ital-
iani, mentre Italino, eroico ragazzetto che Rubino creò verso la
fine del 1915, si limita a combinare scherzi, anche se un po’
96 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

pesanti, agli austriaci. Per la verità anche Schizzo, l’eroe italiano


già usato da Attilio Mussino, le imprese eroiche le sogna dopo
essersi addormentato mentre legge il «Corriere della Sera». Per
esempio, quando legge dell’impresa di D’Annunzio su Trieste,
si addormenta e sogna anche lui di volare con un aereo su
Trieste, di bombardare e di fare marameo alle truppe di Cecco
Beppe. Insomma durante il primo conflitto mondiale «Il
Corriere dei Piccoli» si politicizzò, narrò di soldati e di trincee,
comparvero qua e là brutte foto di militari in bianco e nero, ci
fu un po’ di retorica nazionalista, ma malgrado la violenza della
guerra complessivamente non perse una delle due istanze di
fondo, quella del divertimento.

3. 2. Nella zona franca del fascismo c’è perfino Marmittone

Silvio Spaventa Filippi tenne la direzione del «Corriere dei


Piccoli» fino alla morte, avvenuta nel novembre del 1931. Era
riuscito a barcamenarsi all’interno del regime fascista e anche della
politica del «Corriere della Sera», divenuta forzamente filogover-
nativa dal 1925, quando, finita la libertà di stampa, Luigi Albertini
era stato costretto dal fascismo a lasciare la direzione del giornale.
«Lascio il »Corriere« con amarezza ma a testa alta» aveva detto
Albertini al Paese. Spaventa Filippi riuscì d’altra parte non solo a
restare al suo posto ma anche fare in modo che le pagine del gior-
nalino non venissero invase da eroi in camicia nera.
Il suo successore, Franco Bianchi, giornalista e già collabora-
tore corrierino (aveva l’incarico di trasformare i fumetti ameri-
cani nelle famose filastrocche), rimase fedele alla linea del suo
predecessore, ma non riuscì ad arginare le sempre più pesanti
pressioni politiche. Così audaci Balilla e italici legionari, a par-
tire dalla metà degli anni Trenta, comparvero nelle pagine col-
orate, spesso anche in copertina. Ricordiamo tra questi eroi
fascisti Romolino e Romoletto che combattevano arditamente
contro gli incivili negri d’Abissinia.
Si tratta, per questo aspetto, di uno dei momenti meno glo-
riosi del nostro corrierino, che nel complesso però mantenne la
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 97

sua struttura. Difatti queste pagine erano una sorta di tributo da


pagare all’ideologia e alla propaganda fascista. Le altre parti del
giornalino restavano invece inalterate, erano «zona franca»:
traduzione di fumetti americani, novelle, servizi, le solite storie
di Bonaventura (anzi quelle di questo periodo sono particolar-
mente riuscite), insomma tutto più o meno come sempre.
Proprio negli anni Trenta al «Corriere dei Piccoli» vennero
chiamati nuovi illustratori che crearono nuovi straordinari per-
sonaggi passati alla storia. Il primo personaggio, di cui ancora
oggi si parla, è Marmittone, creato da Bruno Angoletta.
Marmittone è il soldatino che, in pieno regime fascista, appare
come un antieroe: difatti malgrado i suoi sforzi finisce sempre e
puntualmente in prigione. Angoletta, che aveva scritto le già
citate avventure di Romolino e Romoletto, si prende con
Marmittone una sorta di rivincita e crea un eroe debole, che fa
tenerezza; le stesse filastrocche raggiungono spesso livelli di alta
poesia che mescola insieme al disegno semplice e un po’ decò.
Il secondo personaggio è Sor Pampurio, di Carlo Bisi, l’in-
quieto borghese, mai contento, anzi così «arciscontento che
cambia sempre appartamento». Certo, Sor Pampurio è un
reazionario, licenzia la servetta, è cattivo e inflessibile con i suoi
subalterni, ma è evidente che è proprio questo suo continuo
bisogno di cambiare tutto rivela la sua poca serenità, la sua
nevrosi, che ci ricorda, per certi aspetti, quella di una grande
opera del 1929, Gli indifferenti di Alberto Moravia.
Il terzo personaggio creato da Giovanni Manca è Pier
Lambicchi, l’inventore della celebre arcivernice che dà vita a
qualsiasi immagine disegnata. Così animali preistorici o person-
aggi del passato (da Giulio Cesare a Napoleone) possono
tornare nel nostro presente dando origine a una serie di straor-
dinarie avventure. L’aspetto più interessante di Manca è il suo
segno caricaturale, gustosissimo, tanto che anche i suoi person-
aggi successivi, quelli che allietarono i ragazzi del dopoguerra
come Tamarindo, il Marchese e Sor Cipolla, resteranno nella
mente e nel cuore dei lettori per il loro aspetto di eterni sbadati
e svagati vagabondi.
98 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

3. 3. La ricostruzione e la perdita del progetto

Franco Bianchi lasciò la direzione dei «Corriere dei Piccoli»


nel 1944. Fu ripreso in mano saldamente soltanto nel maggio
del 1945 da Arnaldo Sartori che lo tenne fino al 1952. Sono gli
anni della ricostruzione, degli entusiasmi e dei condoni. Sartori,
persona dotata di notevole intuito, ruppe subito i legami con il
passato e pubblicò in prima pagina una storiella in cui un ragaz-
zo è in festa insieme ai partigiani.
Ma, passato il momento, Sartori accantonò i «valori», si
preoccupò di recuperare la prima idea della tradizione e puntò
decisamente al divertimento. Furono i grandi illustratori,
come Tofano, Bisi, Manca, Rubino che segnarono sul
«Corriere dei Piccoli» la continuità tra il passato e il dopo-
guerra. Nel 1945 i personaggi furono cambiati, Bisi inventò
Luccichino che aveva come amico il saggio elefantino
Farfarello, Manca creò Tamarindo, Rubino una miriade di
nuovi personaggi: i tempi erano così mutati che c’era bisogno
di una svolta, di un profondo rinnovamento, così tutti cam-
biarono anche i loro personaggi. Solo Bonaventura restò al suo
posto ancora per anni, con il suo sorriso, la sua redingote
rossa, il suo bassotto. Tofano gli aveva nel frattempo aggiunto
come spalla il figlioletto Pizzirì, monello candido, capace di
creare i guai più naturali (come scivolare e cadere dentro una
vasca), ma, al pari del padre, fortunatissimo. Negli anni
Cinquanta Bonaventura comincia anche a capitalizzare, tanto
che molto spesso la nota filastrocca iniziava così: «Il signor
Bonaventura / ricco ormai da far paura…».
Frattanto Sartori aveva preso una decisione storica: ben tre
pagine del «Corriere dei Piccoli» furono dedicate al fumetto
vero e proprio. Fumetto rigorosamente italiano, con soggetti
italiani e illustratori italiani, come Nadir Quinto, Ugo Matania,
Domenico Natoli (Nat), mentre il fumetto americano veniva
ancora tradotto con la consueta formula delle brevi filastrocche
sotto le vignette. Proprio mentre anche in Italia il fumetto veni-
va condannato perché, si diceva, disabitua alla lettura, incita alla
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 99

violenza e alla delinquenza, crea turbe sessuali, sul corrierino


Sartori ebbe il coraggio di dar via libera alle più belle storie a
fumetti, alcune delle quali ambientate in paesi esotici come
l’India, la Cina o il Far West. In alcuni casi i soggetti erano
ripresi dalla letteratura (Riccardo Cuor di Leone, Turandot,
Mille e una notte, La Corte dei miracoli), ma l’aspetto più inte-
ressante è che ancora una volta vennero chiamati a realizzare
quelle storie non i disegnatori di fumetti ma i più grandi illu-
stratori; il risultato fu che quelle tavole sono ancora oggi da con-
siderare una perla nella storia dell’illustrazione italiana.
Sartori si adoperò affinché l’ideologia si attenuasse fino a scom-
parire dalle pagine del giornalino. Sul «Corriere della Sera» e sulla
«Domenica del Corriere» ci si occupava di monarchia e di repub-
blica, di ingresso nella Nato, delle elezioni-scontro del 1948, delle
lotte a volte violente tra operai e polizia o tra comunisti e cattoli-
ci. Tutti aspetti che trovavano cassa di risonanza in altri giornali-
ni, come «Il Vittorioso», di tendenza cattolica e «Il Pioniere», di
tendenza comunista. I ragazzi che leggevano il «Corriere dei
Piccoli» furono lasciati fuori da tutto questo, potevano immerger-
si nelle pagine colorate del «Corriere dei Piccoli», nei racconti a
puntate, nei fumetti, nella pagina delle barzellette, nelle fiabe,
nelle filastrocche, nei giochi.
Dal 1952 al 1961 alla direzione del Corrierino salì Giovanni
Mosca, uno degli umoristi più noti degli anni Trenta, che aveva
lavorato al «Bertoldo» (l’aveva diretto dal 1936) e al
«Marc’Aurelio». Mosca si trovò al timone del giornalino in un
momento difficile, perché è in questi anni che giunse la tv. Ma
egli non seppe adeguarsi alla nuova realtà, guardava indietro, al
passato in un momento invece in cui bisognava guardare avan-
ti, tentare nuovi progetti e nuove strade; bisognava evitare di
lasciarsi irretire dalle mode che dai teleschermo già ammiccava-
no ai giovani, ma nemmeno contrapporsi ad esse. Mosca non
era però uomo capace di pensare al nuovo o di confrontarsi con
esso: ridimensionò la presenza del fumetto, inserì storie lunghe
e noiose o cariche di una particolare ironia che «volava» troppo
in alto e passava sulla testa dei piccoli lettori.
100 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Il «Corriere dei Piccoli» iniziò da allora non proprio il decli-


no, ma la perdita di una linea, di un progetto. Quando Mosca
lasciò la direzione il giornalino era allo sbando. Il successore,
Guglielmo Zucconi, fece ricorso perfino all’intransigenza mora-
le ma inutilmente; il diavolo non poteva essere più nemmeno
nominato nelle esclamazioni nelle pagine del «Corrierino», ma
questo non apportò miglioramenti sostanziali.
Si potrebbe dire che la storia del «Corriere dei Piccoli» fini-
sce qui, forse perché il progetto di Albertini, realizzato da
Spaventa Filippi, era semplicemente esaurito e bisognava crear-
ne un altro o rivederlo. Invece questo non ci fu. La soluzione
che negli anni successivi risultò vincente fu la pubblicazione
degli stessi fumetti che andavano in onda in tv, da quelli di
Hanna & Barbera ai più recenti Puffi. Ma così il giornalino non
era più autonomo, era alle dipendenze di un più potente mezzo
di comunicazione di massa, la tv, anzi era la sua cassa di riso-
nanza. Pertanto non poteva più costituire un’alternativa o un
via parallela.
Negli ultimi trent’anni tuttavia il «Corriere dei Piccoli» ha
avuto un ruolo (la sua chiusura ufficiale è avvenuta nel 1994),
perché ha pubblicato anche storie di rinnovamento di grandi
scrittori italiani, da Gianni Rodari e Mino Milani. Ma proprio
l’ingresso di scrittori per ragazzi stupisce, fa capire la contrad-
dizione, la violazione del progetto rigoroso originario, il proce-
dere a tentoni.
Le iniziative interessanti degli ultimi trent’anni si contano sulle
dita e riguardano, guarda caso, soprattutto l’opera degli illustrato-
ri. Ricordiamo ad esempio la Pimpa di Altan che è poi divenuta
un giornalino autonomo. Ma forse il capolavoro di quest’ultimi
trent’anni è costituito dalle tavole di Grazia Nidasio che, con i suoi
personaggi, fra i quali ricordiamo la simpaticissima Stefi, presenta
un fumetto allegro e spassoso ma che in qualche modo abbia alle
base elementi culturali consistenti. Era la vecchia formula di
Albertini che dava ancora i suoi frutti.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 101

4. La letteratura popolare

Il problema è il seguente: se leggere è un piacere, esiste una


richiesta popolare? Il popolo ha mostrato interesse alla lettura?
Se la risposta non fosse affermativa, rischieremmo di mettere il
carro davanti ai buoi.
Ma la risposta è affermativa, basta pensare alla vasta pro-
duzione di letteratura popolare degli ultimi secoli e all’uso che
di essa è stato fatto. Il romanzo d’appendice veniva pubblicato
sui giornali per aumentare le vendite; alla stessa maniera
nacque, alla fine dell’Ottocento, il fumetto negli Stati Uniti e il
successo fu enorme, i quotidiani aumentarono le loro vendite di
dieci volte!
Del resto non c’è da stupirsi. L’esigenza di raccontare la tro-
viamo in tutta la storia dell’uomo, anzi si perde nella preistoria.
Dalle fiabe ad Omero, dalle favole esopiche al Satyricon, fino
alla nascita del romanzo storico e moderno. La comunicazione
orale è stata, anche fino ai tempi abbastanza recenti, un canale
importantissimo nella narrazione; ad essa si affiancò la scrittura
che non la sostituì però definitivamente anche a causa della
scarsa diffusione dell’alfabetizzazione. Con i mass media, acces-
sibili a tutti, la narrazione orale tradizionale è invece quasi
definitivamente scomparsa.
In generale, specie alla lettura della narrativa e delle poesia,
si è sempre riconosciuta la capacità di generare piacere oltre che
cultura. Il genere e il livello letterario variava spesso con il livel-
lo culturale del destinatario.
Fra i ceti meno colti, ma alfabetizzati, si diffuse particolar-
mente il feuilleton ottocentesco; i primi fumetti in America
erano letti anche da semianalfabeti, tant’è vero che i testi erano
scritti in linguaggio particolare, un miscuglio fra inglese e
tedesco, per permettere un po’ a tutti gli emigrati europei di
comprenderli.
Non sempre tuttavia vi è questa meccanica corrispondenza
fra livelli letterari dei prodotti e livelli culturali dei lettori.
Anche i ceti sociali più elevati e più colti hanno mostrato di
102 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

apprezzare i prodotti della paraletteratura come relax e in defini-


tiva come piacere. Recentemente c’è anche chi si è chiesto se è
possibile che avvenga il contrario, se cioè della lettura di opere
popolari si possa maturare la capacità di accedere ad opere della
letteratura classica. È difficile rispondere, anche perché i livelli let-
terari non sono rigidamente classificabili, tra il romanzo rosa del-
l’edicola ed il Decamerone esiste una vasta gamma di opere inter-
medie a loro volta di vario livello. E comunque non si può dimen-
ticare che laddove la cultura generale è stimolante si hanno casi
straordinari di avvicinamento ad opere letterarie di alto livello
anche da parte di persone poco alfabetizzate. È il caso dei conta-
dini toscani che conoscevano a memoria interi passi della Divina
Commedia o dell’ Orlando furioso.
Con l’avvento dei nuovi media, la cultura è cambiata, gli stimoli
sono diminuiti o si sono appiattiti e questi personaggi sono scom-
parsi. Oggi prevale il cd-rom, ma il fascino della carta stampata
resta, anche se le trasformazioni sono evidenti. E quella che è stata
spazzata via è proprio la letteratura popolare.
La diffusione della cultura popolare aveva motivazioni pro-
fonde, legate agli stimoli culturali di una società forte e vivace ma
premediale. Talvolta gli interessi erano molto ampi, bastava saper
leggere per avvicinarsi alla carta stampata. Esistevano pochi mezzi
capaci di veicolare messaggi e le colorate ed illustrate stampe
popolari esercitavano un forte fascino. D’altra parte è facile capire
che chi ha limitati strumenti culturali difficilmente può accedere
ad opere letterarie di alto livello e se lo fa rischia di prendere
abbagli 105. Ma il problema è più complesso, occorre cercar di
capire qual è la funzione della produzione della letteratura popo-
lare; e, nel nostro caso, qual è la sua funzione pedagogica.

105 Su questa questione si veda Giuseppe Zaccaria, Il romanzo d’appendice,


Torino, Paravia, 1977 ed anche AA.VV., La paraletteratura, il melodramma, il
romanzo popolare, il fotoromanzo, il romanzo poliziesco, il fumetto, Napoli,
Liguori Editore, 1977. Quest’ultima opera tende ad evidenziare gli aspetti ideo-
logici contenuti nella letteratura popolare.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 103

4. 1. Calamity Jane e Pecos Bill


«Nella versione fumettistica che ce la esibì negli anni
Cinquanta al fianco dell’eroe Pecos Bill, Calamity Jane (Figura
4 e 5) appare stupendamente acconciata, elegante nel rozzo
indumento cow-boy, con dei boccoli alla Rossella O’Hara;
biondi però, alla Marilyn Monroe, dotata di telepatiche nonché
medianiche virtù mentre quell’angelo di Pecos Bill da paradisi
di purezza piomba sulle spalle del male e lo sconfigge: coadiu-
vato, si capisce, dalla platinata Calamity. E così via secondo le
dizioni di relatori che non l’hanno mai vista, dove l’unicità
peculiare di un destino umano lascia il campo al pittoresco delle
sue esagerazioni; dove una vita, certo intrisa di leggende, e mag-
ari fittizia, trascolora, in quel West oscuramente storico, fino ad
assottigliarsi in remoti bisbigli e incomprensibili augh».

Così Katia Bagnoli scrive nell’introduzione al diario-cor-


rispondenza di Calamity Jane106. Si tratta di un breve libretto in
cui la nota eroina del West emerge in tutta la sua realtà più
cruda e più amara: è la vita di una donna di frontiera, figlia di
una prostituta, prostituta più volte lei stessa, morta alcolizzata
dopo una vita dedicata, a fianco di pionieri e di soldati, alla col-
onizzazione del West; di una donna sensibile, piena di angosce
e insicurezze, tenerissima nei confronti della figlia cui tutto il
diario è dedicato.
L’ironia, venata di risentimento, con cui Katia Bagnoli intro-
duce i lettori al breve libretto-diario ha le sue giustificazioni.
L’immagine edulcorata che il fumetto – ma ancor prima il cine-
ma – ci ha dato di Calamity Jane, non è certo quella reale.
Eppure chi scrive ha letto questo ed altri studi su Calamity Jane,
e li ha letti con appassionato interesse, per un solo e unico moti-
vo: saper di più di un personaggio mitico, agile e snello, abile e

106 Calamity Jane, Lettere alla figlia 1877-1902, Feltrinelli, Milano, 1981, p.
6. L’opera fu tradotta per la prima volta in Italia nel 1979 dalle Edizioni delle
donne.
104 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Fig. 4. Una foto di Calamity Jane.


TESTATINA 105

Fig. 5. Calamity Jane nella versione fumettista in «Pecos Bill».


106 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

redento, che aveva conosciuto da ragazzo nelle pagine colorate


di uno degli albi più ricchi – era edito da Mondadori! –, quel-
lo di Pecos Bill, appunto 107. E c’è da chiedersi: se un libro su
Calamity Jane può venir tradotto al di fuori degli Stati Uniti e
ristampato più volte, il merito non è forse anche di quei media
(fumetto e cinema in questo caso) che del personaggio hanno
dato una versione tutt’altro che reale?
Uno studio sul valore formativo dei processi di identifi-
cazione e del piacere che scaturisce da una fruizione appassion-
ata di una storia è ancora in gran parte da fare, anche se gli psi-
canalisti vedono in tali processi la base per la formazione di una
personalità sicura e versatile insieme. Da un punto di vista ped-
agogico non si può non riconoscere che quando un genere nar-
rativo trasfigura la realtà in meraviglie fantastiche, si crea nel-
l’individuo una aspettativa passionale, un interesse profondo.
Chi insegna non può non aver notato nei propri allievi un inter-
esse particolare quando si parla, sia pure a livello di manuale
scolastico, di Nerone, Colombo, Napoleone, Cesare, Garibaldi
o di altri personaggi divenuti mitici attraverso la letteratura o
più semplicemente attraverso il cinema o i fumetti.

4. 2. Le pubblicazioni a dispense

Quali sono i canali attraverso i quali il popolo ha formato e


alimentato questa «aspettativa passionale»? Romanzi, racconti,
aneddoti e più recentemente cinema, televisione e fumetto.
Rispetto alla carta stampata, i quotidiani, le riviste, i rotocalchi
hanno avuto un ruolo privilegiato. Seguono gli almanacchi, i
vecchi lunari tanto diffusi nelle campagne, i manuali pratici, i
ricettari, gli spettacolari albi delle figurine, i fotoromanzi, ecc.

107 L’albo, ristampato e ripreso successivamente da numerose case editrici,


uscì per la prima volta nel 1949. I testi erano di Giodo Martina ed i disegni di
Paparella, De Vita, Battaglia, D’Ami, ecc. Ebbe un successo senza precedenti.
Clamity Jane, donna bella e audace, combatteva contro i malviventi quasi per
riscattare il suo oscuro passato. Pecos Bill comunque finirà per spostare la dolce
e purissima Sue, abbandonando Calamity al suo destino.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 107

C’è stato infine uno strumento di cui ancora oggi si fa uso, ma


in maniera molto diversa: quello delle dispense. Si trattava di
pubblicazioni a puntate, di romanzi popolari, di dispense gen-
eralmente distribuite a scadenza settimanale. Questa formula si
diffuse a partire dalla seconda metà dell’Ottocento ed è tra-
montata definitivamente negli anni Sessanta. I generi erano
diversi, ma prevalevano il western, il poliziesco, il feuilleton e il
rosa. Buffalo Bill (Figura 6), Nick Carter, Petrosino, Lord Lister,
Kansas Jack sono i titoli di alcune di quelle pubblicazioni. Ma
anche i romanzi come Il conte di Montecristo o I miserabili sono
stati ripetutamente pubblicati a dispense108.
Questa formula risultava alquanto azzeccata, «in quanto –
spiega Italo Pileri – permetteva una maggiore penetrazione
presso il grosso pubblico e nei ceti meno abbienti, dato il basso
costo della dispensa rispetto al libro. Due altri vantaggi da non
sottovalutare, uno monetario e l’altro psicologico, vertevano
sulla possibilità di diluire settimanalmente le spese di acquisto
dell’intera raccolta e di tenere il lettore legato nel tempo ai vari
personaggi e/o racconti pubblicati a puntate» 109.
Le dispense raggiunsero una forte diffusione nel decennio
1929/39: evidentemente durante quegli anni grigi di autarchia
fascista queste letture erano l’unico strumento per approdare a
mondi diversi, desiderati e irraggiungibili, mitici e affascinanti.
Ma anche nel dopoguerra il sistema continuò a funzionare e ci
fu, specie negli anni Cinquanta, un vero e proprio boom del
romanzo rosa-avventuroso basato sul sentimentalismo e il
lacrimevole. Indichiamo alcuni titoli significativi: Scacciata nella

108 Si potrebbe aggiungere che opere come la Divina Commedia e la


Gerusalemme Liberata, ripubblicate a dispense con ricche illustrazioni fino a
qualche anno fa. Fra le case editrici, quella che diede il primo impulso a questa
forma di pubblicazione fu fin dall’Ottocento la Sonzogno di Milano; altre
importanti furono la Treves di Milano e la Speirani di Torino. Molto significati-
va l’opera della casa editrice Nerbini di Firenze che, a partire dagli inizi del
Novecento, pubblicò numerose dispense, fino a sfociare, nel 1934, nella pub-
blicazione de «L’Avventuroso», il primo vero fumetto in Italia.
109 Italo Pileri, Un figlio delle dispense d’epoca, in «Quadernicinema», sup-
plemento al n. 11 di «Bollettinocinema», novembre 1983.
108 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

sera delle nozze (Figura 7), Gelosia di principessa, Il peccato di


Evelina, Amore e rimpianto, Principessa senza nome, Lidia figlia
del popolo, La madre ignota, Il principe bandito110.
Quello che è interessante è che alcune case editrici usavano
anche canali alternatici all’edicola. Oltre all’abbonamento, le
dispense venivano vendute porta per porta e quando il lettore
aveva completato il romanzo o collezionato un certo numero di
fascicoli aveva diritto a regali. Ad esempio nei romanzi rosa-
avventurosi il premio consisteva in oggetti per il corredo
domestico (lenzuola, coperte, tovaglie, servizi da tavola, ecc.).
Così molte fanciulle, mentre si nutrivano di storie appassionate
e si struggevano per le avversità contro cui lottavano le loro
eroine , si preparavano anche materialmente a divenire spose
modello. Ma giova riportare per intero una formulazione di
quelle offerte, tratta da una dispensa degli anni Cinquanta:

La Casa editrice milanese, La Madonnina di Milano (nome derivante


dalla statua eretta sulla più alta guglia del Duomo di Milano), è la più
antica e specializzata in pubblicazioni settimanali a dispense portate a
domicilio, in abbonamento, e con ricchi premi-regali finali. In quasi
30 anni (meno questi ultimi di guerra) sono stati distribuiti in tutta
Italia centinaia di migliaia di oggetti regali e in centinaia di migliaia di
Famiglie italiane se ne ha sempre il ricordo e la nostalgia, e magari tut-
tora l’esistenza di stupende sveglie e sveglie-mobiletto, di orologi, di
regolatori, di servizi da caffè e frutta in porcellana, di servizi da tavo-
la Richard Ginori, tovaglie, lenzuola, tappeti da tavola, penne stilo-
grafiche, ingrandimenti, coperte da letto, gruppi di alluminio per
cucina, tagli di stoffa per uomo e donna, ecc., che noi regalavamo del
tutto o con qualche minimo supplemento. Ebbene, tutti questi van-
taggi vengono ora ripetuti per tutti coloro che si abbonano a questa
collana di romanzi 111.

Qualcuno potrebbe porsi la questione dei contenuti di quei


romanzi e della loro influenza sui lettori. Analisi in tal senso non

110 Le case editrici erano La Madonnina, La Favorita, La Atlantide, tutte di


Milano; in qualche caso l’indicazione della casa editrice era assente.
111 La citazione è tratta dalla prima dispensa del romanzo Gelosia di princi-
pessa, senza indicazione di data, ma certamente dei primi anni ‘50.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 109

mancano112, ma a noi qui premeva sottolineare un altro aspetto:


il divario fra una scuola che si limitava – e si limita – a dare gli
strumenti per leggere e le altre strade, attraverso le quali grup-
pi consistenti di popolazione hanno alimentato il gusto della let-
tura, soddisfacendo un bisogno profondo e naturale.
In pratica la forte diffusione di quella letteratura testimonia
che il piacere di leggere esiste da tempo anche se esso si realiz-
zava lontano dalle aule scolastiche. Le nuove tecnologie e i
nuovi mezzi di comunicazione hanno profondamente modifica-
to proprio gli interessi popolari. Con il computer e il cd-rom la
letteratura popolare, almeno quella più semplice, è passata alle
telenovelas; altre forme di intrattenimento hanno insomma sos-
tituito quelle letture, anche se il gusto per la carta stampata non
solo resta ma sembra essere in espansione.

5. Attenzione al testo scritto. È possibile definire la


bellezza di un’opera?

Con tutta l’attenzione che oggi viene posta all’immagine di


un libro si finisce spesso col dimenticare il testo. È ovvio che un
libro è bello quando è illustrato bene e quando il testo contiene
una storia bella e ben scritta. Ma parole come «bello» e «bene»
esprimono concezioni troppo generali. Vago è anche il concet-
to di buon rapporto tra immagine e testo, occorre trovare alcu-
ni riferimenti più precisi.
Prima di tutto bisogna tener presente che ai ragazzi interes-
sa molto che la storia sia ben congegnata, che contenga una
buona dose di sentimenti di grandi umanità, che parli alle loro
giovani menti, che rispecchi i loro sogni e li sorprenda con colpi

112 Fra le varie opere ricordiamo Pino Boero, L’illusione impossibile, Le serie
B: autori contemporanei di letteratura giovanile, Genova, La Quercia Edizioni,
1980 (si segnala in particolare il capitolo “Annamaria Feretti: il fascino indiscre-
to della borghesia”) e il libro di Antonio Faeti, Dacci questo veleno!, Milano,
emme Edizioni, 1980, sull’influenza che una storia ha sul lettore cfr. Ermanno
Detti, Il fumetto fra cultura e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1984, pp. 63-78.
110 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Fig. 6. Fascicolo d’epoca, romanzo di avventura di inizio secolo XX, ven-


duto nelle edicole a puntate.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 111

Fig. 7. Fascicolo d’epoca, romanzo sentimentale degli anni Cinquanta diffu-


so anche a porta a porta.
112 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

di scena, insomma che li tenga sospesi ma plachi anche le loro


ansie. Un libro molto bene illustrato ma che non contenga ele-
menti del genere è molto deludente. Forse sotto questo aspetto
si può parlare di buon rapporto tra testo e immagine: bisogne-
rebbe che l’immagine preannunciasse il tipo di testo o almeno
fosse coerente ad esso (Figura 8), in modo che agevolasse la
scelte ed evitasse sorprese.
Ma la tendenza non è questa. Con tutte le ricerche sugli
effetti speciali del cinema e della tv, con gli studi tecnici sulla
spettacolarità, c’è oggi un aspetto che viene trascurato, la bel-
lezza della storia. L’evento narrato deve essere straordinario e
capace di toccare i sentimenti più profondi, le corde più riposte
dell’anima. Altrimenti perché raccontarlo? Su questo i formali-
sti russi hanno speso una parola definitiva: merita di essere nar-
rato solo un evento straordinario, strano, nuovo, impensato, che
pare impossibile, il resto è noia ordinaria, immeritevole di sali-
re anche la più semplice collina dell’arte.
Ora dimostrare se una storia è bella o no è difficile per ovvi
motivi. Ma non è impossibile, ce lo dicono anche gli studiosi di
estetica. Restando però nel concreto, possiamo dire che prima di
tutto una storia è bella quando, seppure raccontata male, resta
bella. È questa una definizione che può apparire curiosa, ma è dif-
ficile trovarne altre persuasive. Pensiamo all’Odissea, a Giulietta e
Romeo, a Notre dame de Paris, a fiabe come Mille e una notte, ad
alcuni passi della Divina Commedia. Sono storie così belle di per
sé che ci vuole un impegno particolare per rovinarle. Sia che ven-
gano raccontate in pochi minuti, trasformate in un brutto film o
sceneggiate e disegnate frettolosamente per un fumetto è difficile
che perdano tutto. Le vicissitudini di Ulisse, il suo peregrinare, la
sua umana curiosità, i suoi amori passionali e i suoi incanti, il suo
ardire nel combattere contro gli uomini e contro i mostri mettono
in moto immediatamente la fantasia, ci stupiscono e ci affascina-
no, toccano corde profonde del nostro animo. E noi ci lasciamo
andare in quel mondo di magia che sappiamo essere irreale ma
sentiamo che ci fa bene, che ci quieta le ansie più profonde.
Sarebbe auspicabile che a raccontarci l’Odissea fosse Omero, ma
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 113

anche se ci venisse raccontata non proprio benissimo in un film


(come peraltro è stato fatto), saremmo costretti a dire alla fine:
«Però è una bella storia».
Insomma una storia contiene un’essenza, un quid, una sua uni-
versalità che la rendono valida di per se stessa. Il modo poi di rac-
contarla la impreziosisce o la deturpa ma l’essenza di per se stessa
rimane.
I gusti dei ragazzi sono diversi e, d’altra parte, dei gusti non si
discute. Ma in generale ai ragazzi non piacciono le storie che nar-
rano eventi quotidiani, preferiscono il meraviglioso, l’avventura, il
misterioso; amano inoltre le storie che li facciano ridere a condi-
zione però che quelle storie contengano una struttura che dia il
senso di una grande serietà dell’evento narrato. Non leggono per
imparare di storia o di geografia o di diritti umani, leggono per il
gusto di seguire una bella vicenda ricca di elementi di grande uma-
nità.
Credo che questo peraltro sia giusto. Se un lettore vuol sape-
re di geografia o di storia si legge un saggio o un manuale, non va
certo a cercarsi nozioni in un romanzo o in un racconto.
Resta come scrivere una storia. I giovani adorano gli effetti spe-
ciali e la spettacolarità ma se essi non sono inseriti in una storia
bella e suggestiva non li interessano. Adorano anche i libri bene
illustrati. Ma se vogliono divertirsi con gli effetti speciali preferi-
scono passare un po’ di tempo in una sala di giochi virtuali.

6. Se lettori non si nasce come ci si diventa?

Partiamo dall’assunto che il piacere della lettura non si può


insegnare, nel senso che non si può dire a chicchessia: «Leggi
con gusto, leggi che è bello»; né si può dire: «A leggere con
gusto si fa così». Rodari, anzi, aveva denunciato nove modi
attraverso i quali gli adulti riescono a far odiare la lettura ai
bambini e questi modi erano appunto tentativi di insegnamen-
to autoritario, come ad esempio «Leggi» o, peggio ancora,
«Leggi un libro invece di guardare la Tv o di leggere i fumetti».
114 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

Fig. 8. Un fumetto di qualità di Nadir Quinto su un soggetto liberamente


ispirato alle Mille e una notte. Si noti l’equilibrio tra immagine e testo: all’o-
niricità del disegno (cavallo che vola su mari e città) corrisponde un lin-
guaggio da sogno («Bagdad dalle cupole d’oro e dai minareti bianchi…»).
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 115

Gravissimo, sempre secondo Rodari, trasformare il libro in stru-


mento di tortura con imposizioni del tipo: «Fai l’analisi logica,
scopistica, testuale, strutturale, ecc.» 113.
Allora che fare? Una strada c’è: creare le stesse condizioni
che hanno permesso ai lettori di diventare lettori. Certo non è
una strada semplice: i dati ci hanno dimostrato che i più forti
lettori si trovano anche in una condizione socio-economica
favorevole. Tuttavia sappiamo che tali condizioni non sono
determinanti in assoluto, che il gusto della lettura è diffuso
anche nei ceti popolari. Ci sono dunque alcune basi per auspi-
care che il piacere di leggere si formi e si sviluppi.
Ci agevolano il compito recenti ricerche, che ci hanno forni-
to dati su come si diventa lettori.

6. 1. I risultati di un’indagine

Un’indagine per capire come si diventa lettori è stata compi-


uta attraverso una serie di interviste non direttive rivolte a let-
tori di libri. Per la precisione, sono state effettuate 64 interviste
in profondità a persone che hanno dichiarato di leggere da 3 a
8 libri l’anno, di classe sociale media, distribuite equamente per
sesso ed età e per area geografica (si sono privilegiati però i
medi e i grandi centri) 114. Vediamo in sintesi quali sono stati i
risultati:
1) unanime è stata la dichiarazione che il libro è una fonte di
piacere, ma tale piacere non è una scoperta che si fa da adulti.
«Il lettore di libri è tale perché ha maturato un buon rapporto
con l’oggetto-libro, perché ne ha compreso la forza comunicati-
va, ha elaborato la capacità di decodificare e di trasferire sul
piano emozionale la parola scritta» 115.

113 Questo intervento di Rodari, Nove modi per far odiare la lettura ai bam-
bini, è stato pubblicato nel «Giornale dei genitori», n. 10, 1966 e ristampato nel
n. 58-59, 1980, della stessa rivista.
114 I risultati dell’indagine sono riferiti da Pierangelo Peri, Dentro la lettura:
perché e come si legge, in Marino Livolsi, op.cit., pp. 50-63.
115 Ibidem, p. 51.
116 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

2) In questo processo di avvicinamento al libro la scuola ha


giocato un forte ruolo. Molti intervistati hanno però dichiarato
di aver scoperto il gusto di leggere fuori dalla scuola e un po’
come una rivolta ad essa; anzi in molti casi si parla di riscoper-
ta in età più avanzata di opere che la scuola di base aveva fatto
odiare.
3) Nei racconti degli intervistati, fondamentale è stata l’in-
fluenza dell’ambiente sociale e familiare. Le persone cresciute
in famiglie dove il libro era presente, dove la lettura faceva parte
dell’attività dei suoi membri, sono state positivamente influen-
zate ed hanno imparato a godere della lettura per imitazione e
sollecitazione (molti libri in casa, adulti che leggevano, riceve-
vano libri in dono, ecc.).
4) Per i lettori provenienti da ceti sociali più bassi, ove l’am-
biente familiare e sociale non offriva stimoli (anzi, in certi casi si
è dichiarato che da parte dei familiari le letture non stretta-
mente scolastiche e quindi non strumentali venivano viste come
perdita di tempo), la scoperta del gusto della lettura è avvenuta
attraverso il contatto con qualche insegnante particolarmente
colto o con qualche amico, i quali hanno saputo far compren-
dere e «sentire» la loro tensione nei confronti della lettura.

6.2. Testimonianze

Accade talvolta che riviste o giornali si rivolgano a personal-


ità della cultura o della pedagogia per sapere quale libro del-
l’infanzia ricordano di più o quale libro, nella loro vita, è risul-
tato particolarmente appassionante. Un’inchiesta analoga,
interessante anche se limitata, è stata realizzata dalla rivista
«Riforma della scuola» che ha chiesto a personalità di diversi
settori culturali come e cosa leggevano da ragazzi. Riferiamo
queste testimonianze perché da esse emergono alcuni elementi
fondamentali utili per farci comprendere il «quid» che è stato
determinante per far scattare la molla del gusto per il libro e la
carta stampata. Enzo Golino parla di «sbornia» dell’avventura
e cita Salgari, Verne, e Dumas (e di questo autore due romanzi
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 117

particolarmente «forti» di tono: I tre moschettieri e Il Conte di


Montecristo). Cita poi le opere di Freud e di queste afferma:
«Ne fui illuminato e sconvolto, la lettura mi lasciò esausto e
svuotato, ma ne ebbi in dote una piccola armatura speculativa
che non mi ha più abbandonato» 116.
Franco Frabboni, un pedagogista certo intelligente ed aper-
to ma per nulla incline allo spontaneismo e tutto proteso verso
il cognitivo e il sistematico, cita lo stesso Salgari ed anche i
fumetti di Gordon, Mandrake e Pecos Bill. Ma quello che più ci
interessa per il nostro discorso sono alcune sue espressioni, che
testimoniano il suo ingresso nel mondo della lettura sensuale,
come «febbre della lettura» o come «culto per mondi vissuti
sull’orlo della realtà e del sogno» 117.
Di Salgari e Verne, ma anche di fiabe, di poemi come
l’Odissea e l’Orlando Furioso parla anche un altro pedagogista,
Mario Alighiero Manacorda, che così rievoca queste letture
«disordinate»: «Libri, sogni e realtà si intrecciavano, mi educa-
vano ai mali sociali e al bello dell’arte fra mille contraddizioni.
Finché anni dopo Boccaccio non m’insegnò a guardare più ser-
enamente la vita» 118.
E per concludere questa rassegna, riferiamo di una interes-
sante testimonianza della giornalista Elisabetta Bonucci. Le sue
prime letture sono molto eterogenee, particolarmente disordi-
nate, perché legate ai libri che riusciva a reperire durante lo sfol-
lamento. Da Pinocchio ai Vangeli, da Dumas a London, dalla
«Biblioteca dei miei ragazzi» delle edizioni Salani a Kafka, da
«Tarzan» a «Grand Hotel» e «Bolero»… Ma proprio da queste
letture così diverse la Bonucci trae questa conclusione : «Mi
rimase il gusto di leggere anche più volte i libri che mi piace-
vano, abitudine che abbandonai – ma ogni tanto ci ricasco –
solo verso i sedici anni. Niente fumetti: non li capivo! Ma tanti
film, anche quelli visti una due tre volte di seguito. A sedici anni

116 Enzo Golino, Poi lessi Freud, in «Riforma della Scuola», n. 7-8, 1986.
117 Franco Frabboni, I miei eroi di carta e di celluloide, ibidem.
118 Mario Alighiero Manacorda, Boccaccio mi chiarì le idee, ibidem.
118 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

cominciai a leggere sistematicamente i quotidiani: «l’Unità» e


«Il Messaggero». Da quel momento in poi le mie letture diven-
tarono meno caotiche ma, devo dire, molto molto più distrat-
te»119.
Ancora una volta emerge che a formare il gusto della lettura
sono condizioni particolari. E queste condizioni si concretiz-
zano di regola fuori dall’istituzione scolastica.

6. 3. Il progetto di Bagni di Gavorrano. Il piacere di


leggere e la scuola

Nella precedente edizione di questo volume riportavamo


alcune esperienze realizzate in scuole, in biblioteche, in
ludoteche, ecc. Erano i primi tentativi di grande importanza,
erano i risultati dei primi pionieri di tante e tante attività di pro-
mozione della lettura che poi si sono sviluppate su tutto il terri-
torio nazionale: lettura ad alta voce, animazione teatrale di un
testo, costituzione di biblioteche di classe, prime esperienze di
lettura nel tempo libero.
Oggi quelle esperienze sono ancora valide, ma lontane nel
tempo. Per questo abbiamo pensato di sostituirle con la seg-
nalazione di un progetto di grande portata, realizzato da alcune
scuole di Bagni di Gavorrano in provincia di Grosseto. Da quel
progetto è nato un libro, al quale naturalmente rimandiamo,
scritto da un’insegnante120.
Tutto è cominciato da un problema: è possibile insegnare il
piacere di leggere? No, non è possibile. È possibile però met-
tere in atto anche nelle scuola tutta una serie di strategie che lo
rendano possibile. Così si inizia uno studio sui luoghi, sui tempi,
sul ruolo di mezzi di comunicazione. I ragazzi vengono avvici-
nati al libro portandoli direttamente in libreria oppure portan-
do i libri in classe, discutendo sui loro gusti, facendo in modo
che i ragazzi parlino tra loro dei libri più belli che hanno letto.

119 Elisabetta Bonucci, Letti e riletti, ibidem.


120 Barbara Benigni, Che horror… mi piace leggere, Seam, Roma, 1999.
III. SI PUÒ INSEGNARE IL PIACERE DI LEGGERE? 119

Fin dalle prime battute emerge un dato, il genere preferito dai


ragazzi è l’horror. Sorpresa tra qualche genitore e tra qualche
insegnante, scatta la tentazione di intervenire per correggere.
Però la scuola tiene duro, il principio è di lasciare leggere lib-
eramente i ragazzi secondo i loro gusti, per cui si stabilisce che
non fa niente se le tendenze dei ragazzi non coincidono con le
aspettative degli adulti.
Si giunge così ad alcune attività. Che a scuola si possono fare,
purché scelte e condivise dai giovani. E le attività sono lettura
libera individuale, lettura come ascolto, libro autoprodotto,
giornalino scolastico... E si passa dal piacere di leggere al
piacere di scrivere con una naturale semplicità in alcuni casi, in
altri si sperimentano altre strade.
Il libro di Barbara Benigni è importante perché dimostra che
le scuole possono svolgere attività sulla lettura, ma al principio
deve esserci il rispetto per i ragazzi e per le loro scelte.
Altrimenti non può esserci piacere di leggere. In altre parole la
attività debbono riuscire a coniugarsi con la libertà. Non è
facile, ma nemmeno impossibile121.

121 Sulle attività che possono essere svolte a scuola senza «didatticizzare»
ovvero senza rovinare con schede e questionari il gusto della lettura, rimandia-
mo anche al più recente studio di Paola Zannoner, Come si costruisce un percor-
so di lettura, Mondadori, Milano, 2000.
Conclusioni

Ci limitiamo ad un riepilogo generale e schematico di alcuni


punti-chiave del discorso.

1) Fra i vari modi di leggere un testo ve n’è uno particolare,


quello finalizzato esclusivamente al piacere. Questo tipo di let-
tura è soprattutto legato alla letteratura, perché è nel racconto
che ci si immerge in un mondo «artificiale», al quale partecipi-
amo come in un gioco di simulazione. Tuttavia anche un testo
non narrativo, da quello poetico al saggio, può interessarci e
quindi coinvolgerci emotivamente.
Questo tipo di lettura, che definiamo sensuale, ha valenze
pedagogiche. Prima di tutto perché solo chi alla lettura si appas-
siona diverrà lettore abituale e anche dopo la scuola si avvicin-
erà abitualmente alla carta stampata per trovare in essa infor-
mazioni e piacere insieme; in secondo luogo perché è attraver-
so un frequente e consueto rapporto con la carta stampata che
si acquisisce la capacità di penetrare e di capire profondamente
i significati più complessi di un testo.

2) In Italia, ma anche in altri paesi occidentali ove l’analfa-


betismo sta per essere debellato, si profila il rischio di avere
uomini alfabetizzati ma non lettori (le statistiche e le inchieste
già indicano con molta chiarezza questa tendenza che significa
anche analfabetismo di ritorno). Le responsabilità sono certo in
122 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

primo luogo della scuola, che insegna a leggere ma non il


piacere di leggere. Ma vi sono responsabilità che vanno oltre la
scuola.
Tali responsabilità vanno individuate nelle altre «agenzie
educative»: nella famiglia, ove nella stragrande maggioranza dei
casi la spesa dei libri sta all’ultimo posto e le letture non scolas-
tiche sono considerate come perdita di tempo; nelle istituzioni
pubbliche, ove manca la sensibilità alla diffusione della cultura,
vedi in primo luogo la scarsa diffusione delle biblioteche e il
poco impegno degli amministratori nella gestione di quelle
esistenti; nell’editoria che tende all’immediato tornaconto; nelle
stesse associazioni, ove si tende a sensibilizzare su altre ques-
tioni (pure importanti, come quella ecologica o nucleare), ma
non vi è, nemmeno in associazioni giovanili importanti come
l’Agesci o l’Arci Ragazzi, una vera e propria sensibilità alla ques-
tione della lettura; nelle stesse organizzazioni di distribuzione e
di vendita (in Italia abbiamo molte cartolibrerie, ove si vendono
prodotti spesso mediocri, e pochissime librerie); negli stessi
mass media; nelle biblioteche, ancora troppo poche e solo in
alcune realtà sensibili e veramente impegnate.
Ne deriva che sulla questione della lettura, come del resto su
tutte le altre questioni educative, bisognerà andare oltre l’at-
tuale sistema formativo, incentrato, almeno in teoria, tutto sulla
scuola e pensare a un nuovo sistema che veda impegnate tutte
le «agenzie educative» dalla scuola stessa alla famiglia, all’edito-
ria, alle associazioni, agli Enti locali, alle istituzioni, alle bib-
lioteche, ecc. Rispetto alla scuola, c’è da aggiungere che il suo
scarso interesse per la questione è il segno di una chiusura, di
un’assenza di preoccupazione di ciò che avviene fuori (e oltre)
di essa. Se la scuola fosse collegata al mondo e alla società, non
potrebbe ignorare la questione dell’uso che i propri studenti
faranno degli strumenti che essa stessa fornisce.

3) Si è diffusa nella scuola, e sulle ali di istanze di rinnova-


mento, una nuova metodologia, basata sull’analisi del testo.
Oggi questa situazione appare in fase di superamento, tant’è
CONCLUSIONI 123

vero che le collane specificamente destinate alla scuola sono in


forte diminuzione. Ma l’analisi testuale è ancora largamente
praticata.
Non abbiamo pregiudizi. Tuttavia è nostra convinzione che
quelle metodologie abbiano una valenza educativa per quanto
riguarda l’acquisizione di utili strumenti, grammaticali e sintattici,
ma che per formare il gusto della lettura occorrano altre strade e
altri strumenti «aggiuntivi» ai momenti di studio vero e proprio.
In particolare la stessa scuola dovrebbe prevedere momenti desti-
nati allo studio curricolare (per l’acquisizione di strumenti e per la
formazione di una cultura generale, di un «contesto») e momenti
extracurricolari di lettura piacevole, da praticarsi a scuola o anche
a casa su libri che le strutture scolastiche dovrebbero mettere a
disposizione dei ragazzi (in primo luogo attraverso le biblioteche
di classe, di istituto, dell’ente locale).

4) Fino ad oggi le esperienze didattiche, nelle quali si è cer-


cato di porre la lettura al centro dell’attività scolastica, hanno
seguito la strada di sostituire il libro di testo con altri libri. Sono
tentativi ai quali occorre guardare con interesse, anche se molti
hanno mostrato di incontrare notevoli difficoltà. La nostra
opinione è che si debbano rivedere anche le istanza su cui si
sono basate quelle esperienze; in particolare che si vada sì alla
costituzione di biblioteche di classe e di istituto, davvero fun-
zionanti (e in questi casi lo erano), ma senza la pregiudiziale
eliminazione del libro di testo. L’assurdo del libro di testo non
è nella sua esistenza, quanto nel fatto che esso costituisca l’uni-
co strumento didattico su cui si basa la nostra scuola. Libri di
testo più tanti altri libri è la nostra semplice proposta.

5) I dati statistici delle più recenti indagini rivelano una situ-


azione piuttosto drammatica in Italia. Abbiamo lettori abituali
di libri che si aggirano attorno al 20% e un 20% che non legge
affatto (tranne il telefonino e l’elenco telefonico). L’altro 60%
si dedica ad una lettura «anarchica»: legge disordinatamente
quello che in genere offre il mercato.
124 ERMANNO DETTI - IL PIACERE DI LEGGERE

6) Si può insegnare il piacere di leggere? No, in assoluto. Si


possono creare però le condizioni affinché il piacere di leggere
nasca e si sviluppi. Nel quarto capitolo abbiamo indicato, attra-
verso risultati di indagini, di testimonianze, di esperienze,
alcune di queste condizioni. Vogliamo riproporre, qui, come
ulteriore indicazione, alcuni «luoghi-strumento», quattro per
l’esattezza, che possono creare le condizioni per lo sviluppo del
piacere della lettura.

Il primo «luogo» è costituito dalle biblioteche scolastiche.


Un primo passo è che queste biblioteche siano aperte e pronte
ad accogliere i giovani e per questo ci vuole del personale addet-
to e disponibile a favorire un approccio con il libro. Tale
disponibilità naturalmente deve intrecciarsi con quella dei
docenti, ai quali va richiesto, specie per la scuola dell’obbligo,
un impegno alle istituzioni delle ormai mitiche biblioteche di
classe, l’unica struttura capace di permettere un rapporto con-
tinuativo con tanti libri.

Il secondo «luogo» è l’apparato biblioteche pubbliche, sulla


cui deficienza si è tanto parlato e pertanto evitiamo di insistervi
ancora. In alcune realtà del centro-nord molte di queste bib-
lioteche hanno tuttavia negli ultimi anni intrapreso una
molteplicità di iniziative che hanno vivacizzato il panorama cul-
turale del nostro Paese. Iniziative sul piacere di leggere, un
nuovo rapporto dei lettori con il libro, la ricerca di una collab-
orazione con la scuola, la nascita di premi letterari, incontri con
l’autore, ecc. Sono esperienze da guardare con grande interesse.

Il terzo «luogo» è l’editoria e tutto l’apparato distributivo del


libro. È un argomento molto delicato e complesso perché di
fronte alla richiesta di libri da parte dei ragazzi le risposte sono
state parecchio articolate: da una parte l’incredulità, dall’altro la
ricerca di un guadagno facile, da un’altra parte ancora una pro-
duzione editoriale eccessivamente raffinata nel campo dell’im-
magine. Alcune cose sembrano tuttavia consolidate, come
CONCLUSIONI 125

dover rispondere sempre più alle esigenze dei ragazzi e di con-


seguenza, cercare una produzione ben fatta, senza esagerare
con cd-rom o altri strumenti multimediali che i ragazzi ben dis-
tinguono dal libro. Positiva ci sembra anche la caduta dell’edi-
toria scolastica più deteriore.

Il quarto e l’ultimo «luogo» è la famiglia o se vogliamo la


casa. Non mancano, certo, case con migliaia di libri. Ma a livel-
lo di massa il libro per ragazzi non è ancora diffuso quanto
dovrebbe. Il giorno in cui si penserà a costituire una libreria-
biblioteca per il bambino fin dalla sua nascita sarà un giorno
davvero rivoluzionario.

Una lettura sensuale non può prescindere dal consumo indi-


viduale del libro, un consumo consistente nell’avere il volume a
disposizione, per rivederlo e rileggerlo nei momenti desiderati.
È noto che il successo della televisione deriva in buona parte
dall’avere questo strumento comodamente a disposizione.
Un’ultima considerazione riguarda la possibilità concreta
che certe proposte trovino adeguata rispondenza. Crediamo
che per questo occorra in primo luogo modificare certe vecchie
concezioni. Quanti sarebbero d’accordo che anche la libido può
influire positivamente sulla formazione della coscienza?
Per questo la proposta della lettura sensuale, in apparenza
scontata, non è facilmente accettabile dalla nostra mentalità,
ove per lungo tempo ha albergato il concetto di sacrificio inte-
so come valore assoluto, fondamentale anche sotto il profilo for-
mativo, e il piacere è stato considerato la negazione di quel val-
ore. C’è sempre il rischio degli estremismi, che si passi ad
atteggiamenti contrari. L’impegno e il piacere possono tran-
quillamente convivere. È il loro equilibrio che è difficile.

Nel tempo sono state condotte numerose ricerche sul piacere


di leggere e sulla formazione dei lettori in Italia e nel mondo (tra
queste ricordiamo quelle di Miria Savioli, ricercatrice Istat, che
ormai da anni pubblica i risultati delle più recenti indagini sul
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«Pepeverde). Nel Piacere di leggere sostenevamo nel 1987 che il


gusto per la lettura non si può insegnare, ma si possono creare
le condizioni affinché si possa sviluppare. Siamo ancora dello
stesso parere, però oggi ci sentiamo di poter aggiungere alcuni
dati scaturiti nel frattempo dalla ricerca e dall’esperienza.
Possiamo dirlo con certezza, il piacere di leggere non nasce dal
nulla, ma da una molteplicità di fattori che hanno basi socio-
logiche, pedagogiche e strategiche. Si sa che nella vita avrà la
possibilità di diventare buon lettore:

– Chi ha un più alto livello di istruzione e di capacità di lettura.


– Chi ha avuto genitori o adulti che gli hanno letto ad alta voce libri
fin dalla prima infanzia.
– Chi ha avuto la possibilità di prendere fin dalla nascita confidenza
con i libri e ha potuto costituire una sua piccola biblioteca in casa.
– Chi ha respirato in famiglia un’atmosfera ricca di stimoli (possesso
di libri, genitori che leggono, attenzione agli eventi culturali, ecc.).
– Chi ha avuto una scuola che non si è preoccupata solo di presenta-
re la lettura come dovere ma anche come piacere.
– Chi vive una vita partecipata e attiva (nell’associazionismo giovani-
le, per esempio) e sviluppa comportamenti di consumo diversificati
verso gli altri media, i cosiddetti «nemici» del libro: dalla tv, al com-
puter, al telefonino, ai fumetti, ai videogiochi.

Questi fattori possono essere ridotti ai tre «luoghi» già citati:


1) Le istituzioni formative, dalla scuola all’università;
2) La casa e la famiglia;
3) Il mondo dei consumi culturali (dalla biblioteca alla libreria,
dalla tv al computer).

Al primo posto resta la scuola e le altre istituzioni formative


anche se nella formazione del bambino la famiglia viene prima.
Ora se il piacere di leggere non si può insegnare secondo le
metodologie tradizionali, si possono tener presenti questi fattori
e questi «luoghi» e intervenire (o non intervenire) di con-
seguenza.
Bibliografia essenziale

La presenta bibliografia è molto limitata ed è relativa solo ad alcune


più significative opere in volume effettivamente consultate. Riguarda:
1) la questione del piacere di leggere; 2) Il rapporto tra parola e imma-
gini (di quest’ultime anche quelle dei nuovi mezzi di comunicazione); 3)
La letteratura per ragazzi; 4) La letteratura popolare per adulti. Non è
stata suddivisa perché alcune opere riguardano spesso più argomenti.
Alcuni studi appartengono ad alcuni decenni fa, ma si è preferito inse-
rirli egualmente perché sono fondamentali per comprendere l’evoluzio-
ne del problema del piacere di leggere.

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