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L'eredità latina

La distribuzione delle parlate nell'Italia pre-romana


Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua latina
§ Storia.

L'italiano è una lingua romanza, cioè una lingua derivata dal latino, appartenente
alla famiglia delle lingue indoeuropee. L'indoeuropeo è una lingua virtuale: essa
cioè non è storicamente verificata, ma è stata ricostruita retrospettivamente a
partire da diverse lingue, sia moderne sia antiche. Si immagina che un gruppo di
tribù, dislocate tra Europa e Asia tra il IV e il III millennio a.C. e parlanti
dialetti affini, si sia sparso attraverso diverse migrazioni, assorbendo le parlate
dei popoli conquistati.[1]

Verso la fine del II millennio a.C., una delle popolazioni indoeuropee, che parlava
il dialetto destinato a diventare la lingua latina, si installò nella penisola
italiana.[2]

Secondo l'idea tradizionale, quindi, in età classica il latino si impose sulle


lingue delle popolazioni con cui i Romani si imbatterono nella penisola italiana.
[3] Se tra il III e il II secolo a.C. la penisola italiana è ancora costellata da
diverse parlate, al tempo di Augusto esse sono ridotte a "vernacoli di scarsa
importanza"[4].

Il ligure, già profondamente compromesso dall'impatto con le lingue celtiche, viene


definitivamente dissolto dall'avanzare del latino[4].

La guerra sociale (88 a.C.), che vede i Romani sconfiggere le popolazioni italiche,
segna il declino dell'etrusco e delle lingue osco-umbre.[2] Bruno Migliorini nota
che, a quanto sembra, dell'etrusco "nessuna iscrizione sia posteriore all'era
cristiana"[4]: pare, comunque, che l'imperatore Claudio (I secolo d.C.), nei suoi
studi di etrusco, si avvalesse di parlanti e che la lingua fosse dunque ancora
viva. È poi probabile che l'etrusco sia persistito come lingua cultuale fino al IV
secolo d.C. e che gli Etrusci haruspices che accompagnavano gli eserciti di
Giuliano consultassero libri ancora scritti in etrusco.[4]

Il celtico potrebbe essere sopravvissuto in Gallia (e in particolare nelle Alpi


elvetiche) fino al V secolo d.C. e forse oltre.[5]

La persistenza del greco in Calabria e Puglia in età imperiale rimane questione


controversa: probabilmente fu il prestigio culturale della lingua e il fatto che
fosse lingua ufficiale della parte orientale dell'Impero ad aver tenuta accesa una
qualche resistenza, fino al rinnovamento bizantino.[5]
Il ruolo del latino parlato
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Latino
volgare.

Per definire il rapporto tra latino e italiano è molto importante delineare lo


sviluppo del latino parlato, con le sue variazioni diatopiche (da luogo a luogo) e
diastratiche (secondo la stratificazione delle classi sociali), in particolare a
partire dall'età imperiale.

Il latino parlato correntemente dal popolo non corrispondeva al latino classico,


modello letterario codificato da alcuni autori tra il I secolo a.C. e il I secolo
d.C. e poi oggetto di studio in epoca moderna. Il cosiddetto latino volgare si
presentava in diverse forme, con forti variazioni diatopiche: da esso sorsero le
diverse lingue neolatine. Il latino volgare era, in quanto lingua parlata, di gran
lunga più sensibile al cambiamento di quanto non fosse il latino della tradizione
letteraria.[6] Ciò nonostante esso conservava molti tratti che avevano accompagnato
la lingua latina fin dalla sua fase arcaica. Ad esempio, la caduta della -m finale
(il fenomeno che ha condotto dall'accusativo fontem all'italiano fonte) si registra
già in iscrizioni arcaiche e, per quanto censurato, finì per affermarsi nel Basso
Impero: in poesia, peraltro, la -m finale seguita da parola iniziante con a- non
veniva pronunciata.[7][8] Per quel che riguarda le variazioni diastratiche, già le
fonti classiche danno conto di quelle dell'epoca: si parla di sermo plebeius,
militaris, rusticus, provincialis[9].

Quanto alle direttrici del cambiamento[10], si possono indicare per esempio la


scomparsa dei casi e la nascita degli articoli. Per quanto riguarda gli articoli,
il numerale latino unus, per esempio, che significava anche qualcuno, un tale
divenne articolo indeterminativo (unus indeterminativo è usato anche da Ovidio
nelle Metamorfosi);[senza fonte] alcuni pronomi dimostrativi divennero articoli
determinativi e nuovi dimostrativi vennero formati fondendo i vecchi ille e iste
con eccu(m).[senza fonte] Caddero inoltre le consonanti finali delle parole (es.:
amat diventò ama).

Importanti fondamenti del cambiamento del latino parlato sono due fatti
storici[11]:

il regime personale di Ottaviano Augusto (I secolo a.C.-I secolo d.C.), con le


sue conseguenze sulla struttura sociale della Roma antica
il diffondersi del Cristianesimo, rispetto al quale una data importante è certo
il 313 (anno dell'Editto di Milano, con cui i due augusti Costantino e Licinio
proclamano la libertà religiosa nell'Impero romano), anche se "i privilegi concessi
ai Cristiani segnano solo il libero espandersi di peculiarità prima represse"[11].

Esiste una tradizione aneddotica sulla propensione di Augusto verso i volgarismi,


forse difficile da valutare, ma certamente sintomatica[11]. Quanto al
Cristianesimo, è incalcolabile la sua influenza linguistica: ciò sia per quanto
riguarda il lessico, che viene influenzato da una nuova sensibilità e da un nuovo
armamentario concettuale, sia per quanto riguarda il rivolgimento a livello di
strutture sociali. Il trionfo linguistico del Cristianesimo risale al IV secolo
d.C.: per lungo tempo, la lingua dei cristiani è una sorta di lingua speciale,
utile per rinserrare "legami sociali e religiosi" tra persone della stessa fede o
comunque intente a ragionare sui medesimi (nuovi) concetti.[12]

In questo contesto, è facile constatare che la lingua scritta è più conservativa,


anche se sarebbe erroneo concepire latino parlato e latino scritto come due mondi
separati: l'influenza delle due forme di espressione fu reciproca e forte, e la
stessa lingua parlata dagli analfabeti influì sulla lingua scritta e sorvegliata.
Si può osservare che "la lingua letteraria si costituì attraverso una stilizzazione
del parlato"[13]: ciò accadde ai tempi della Repubblica (convenzionalmente a
partire da Livio Andronico, nel 240 a.C.). Le differenze tra parlato e scritto,
lievi all'inizio, finiranno per essere assai forti, ma prima dell'Impero lo scarto
riguardava più una questione di stile e di registro: non ci troviamo, insomma,
affatto di fronte a due lingue diverse.[13] Quando Cicerone scrive a Papirio Peto:

«verumtamen quid tibi ego videor in epistolis? Nonne plebeio sermone agere tecum?»
(Lettere familiari, IX, 21)

quel plebeio sermone non va certo inteso come "latino volgare": Cicerone intende
solo "alla buona"[13][14].

Le cose, comunque, cambiano in età imperiale: anche se le varietà diatopiche delle


diverse province dell'Impero restano reciprocamente compatibili, si fa sempre più
forte l'influenza del parlato meno colto, il che è particolarmente vero con la
cosiddetta crisi del III secolo, "quando [...] l'ignoranza dilaga"[15]. Anche in
questa fase i grammatici cercano di proteggere la lingua dalla "corruzione", non
solo a Roma, ma anche nelle province. La forza innovativa della lingua parlata,
almeno fino alla crisi del III secolo, obbedisce comunque agli orientamenti accolti
nella capitale o in essa partoriti.[15] Dopo la crisi, invece, il prestigio di Roma
è compromesso: le premesse di questa spinta centrifuga possono essere trovate in
quella nova provincialium superbia di cui si lamenta il senatore Trasea Peto ai
tempi di Nerone (Tacito, Annales, XV, 20). Significative sono, a questo proposito,
le elezioni a imperatore di personaggi come Traiano e Adriano (nati entrambi a
Italica, nei pressi dell'odierna Siviglia) o Antonino Pio e Marco Aurelio (di
origine gallica).[5]
Evoluzioni fonologiche dal latino all'italiano: il vocalismo

Il latino aveva dieci vocali: le stesse cinque vocali dell'alfabeto latino moderno
potevano essere articolate brevi o lunghe (la quantità vocalica era distintiva)[16]
e "con ogni probabilità quello fra i caratteri dell'accento che aveva valore
distintivo era l'altezza musicale"[17]. Così, ad esempio, vĕnit (con la e breve)
voleva dire "viene", mentre vēnit (con la e lunga) voleva dire "venne". Allo stesso
modo sŏlum voleva dire "suolo", mentre sōlum voleva dire "solo" o "solamente,
soltanto". Questo sistema a lungo andare venne meno e nel vocalismo latino finì per
essere determinante non più la quantità, ma il timbro (o qualità), cioè se la
vocale era chiusa o aperta, mentre al posto dell'altezza musicale l'accento si fa
intensivo[17]. Il sistema più diffuso in Romània era costituito da sette vocali: i,
é, è, a, ò, ó, u, dove è rappresenta la e aperta ([ɛ]), é la e chiusa ([e]).[16]
Vocali toniche: il dittongamento

In fiorentino è e ò toniche in sillaba aperta (cioè terminante con vocale)


dittongarono secondo il seguente schema:

è → iè
ò → uò

Come accennato, il fenomeno si presenta solo in caso di sillaba aperta e non nel
caso di sillaba implicata (cioè terminante come consonante). Così[18]:

fŏ-cus → fuoco
cŏr-pus → corpo

Vocali atone: semplificazione

Delle dieci vocali atone (protoniche o postoniche, cioè, rispettivamente, poste


prima o dopo la sillaba accentata) del latino, si passa a cinque[19].
Anafonesi

Toscano è anche il fenomeno dell'anafonesi, cioè la chiusura delle vocali chiuse é


e ó, secondo lo schema:

é → i
ó → u

L'anafonesi avviene in particolari condizioni[18]:

é deve essere seguita


da laterale palatale (la [ʎ] di figli), dal precedente nesso latino -lj-,
per cui famĭlia → faméglia → famiglia
da nasale palatale (la [ɲ] di bagno), dal precedente nesso latino -nj-, per
cui gramĭnea → gramégna → gramigna[20]
dal nesso -ng-, per cui lĭngua → léngua → lingua
dal nesso -nk-, per cui vĭnco → vénco → vinco
ó deve essere seguita
dal gruppo consonantico ng, per cui fŭngus → fóngo → fungo
Evoluzione dei dittonghi latini

Quanto ai dittonghi del latino classico[21] (ae, oe, au), una tipica tendenza del
latino parlato (che si riflette nelle lingue romanze) era quella di monottongarli:

ae → e aperta

A seconda se la sillaba è aperta o implicata, si riproduce quanto detto per


l'anafonesi. Così, ad esempio[21]:

maestus → mesto
laetus → lieto

oe (peraltro raro) → e

poena → pena

au → o

Se già in qualche caso del latino classico si constata il monottongamento (cauda →


coda, con o chiusa), il fenomeno si generalizza nell'alto Medioevo (si passa a o
aperta)[19][22]:

paucu(m) → poco
causa(m) → cosa
auru(m) → oro

Epentesi

Nell'evoluzione dal latino all'italiano si registra in qualche caso l'epentesi,


cioè il formarsi di una vocale o di una consonante intrusa nella parola. Così, ad
esempio[21]:

baptĭsmus → battesimo
vĭdua → vedova

Sincope

Più significativo in questo contesto il fenomeno della sincope, cioè la caduta di


una vocale all'interno di parola. Ciò accade particolarmente nel caso di vocali
intertoniche[23] (poste, cioè, tra sillaba con accento secondario e sillaba
tonica), mentre è più raro in caso di vocali postoniche[24].

I linguisti hanno registrato che "l'italiano centrale e meridionale è, insieme col


romeno, meno soggetto alla sincope che lo spagnolo, e questo a sua volta meno che
il francese"[25]. Interessanti sono anche casi con esiti diversi: dal latino tegŭla
provengono tanto tegghia (→ teglia) e tegola; addirittura triplice è l'esito di
fabŭla (→ fola, fiaba e favola). Migliorini ritiene probabile che le diverse forme
possano aver convissuto per secoli: una più tradizionalista, priva di sincope, ed
una più "plebea", con sincope.[25]

Si registrano anche casi di aferesi (*illei → lei, dove illei è una parola
"ricostruita", cioè non riscontrata nelle fonti, ma ipotizzata retrospettivamente)
e di apocope (bonĭtatem → bontade → bontà)[19].
Evoluzioni fonologiche dal latino all'italiano: il consonantismo

Per quanto riguarda il consonantismo, si registra, come accennato, la caduta delle


consonanti finali (di cui -m è un caso precoce) e, in alcuni casi, la
sonorizzazione delle sorde intervocaliche p, t e k, secondo questo schema:
p → b (e, successivamente, v, per spirantizzazione)
t → d
k → g

La sonorizzazione occorre anche per s intervocalica (più precisamente fricativa


alveolare sorda intervocalica), solo che il fatto non è registrato graficamente
(infatti, la s di rosa è sonora, la s di casa è sorda).

Questi fenomeni di sonorizzazione non sono, come accennato, sistematici in


italiano. Se, infatti, abbiamo

scutum → scudo
lacus → lago

registriamo peraltro

amicus → amico (ma confronta lo spagnolo amigo)


petra → pietra (ma confronta lo spagnolo piedra)
apĕrtus → aperto (ma confronta lo spagnolo abierto)

La t in finale di parola non lascia quasi traccia in italiano: al più, in alcuni


dialetti, mantiene l'antico valore flessionale (in area lucana e calabrese, come in
mi piàciti: nella stessa area si mantiene s in finale di parola, che già in età
repubblicana aveva patito un andamento oscillante).[26]

Una testimonianza di Servio indica che al principio del V secolo si tende a


pronunciare assibilate le t e le d davanti a vocale.
(LA)

«Iotacismi sunt, quotiens post ti aut di syllabam sequitur vocalis, et plerumque


supradictae syllabae in sibilum transeunt, tunc scilicet quando medium locum
tenent, ut in meridies.»
(IT)

«Gli iotacismi avvengono ogni volta che dopo ti o di alla sillaba segue una vocale,
e per lo più le suddette sillabe si assibilano, quando - s'intende - si trovano in
posizione media, come in meridies.»
(Servio, Don. IV 445 K.[27])

Sempre a proposito di t è importante una testimonianza del grammatico Papirio:


(LA)

«iustitia cum scribitur, tertia syllaba sic sonat, quasi constet ex tribus litteris
t, z et i.»
(IT)

«quando si scrive iustitia, la terza sillaba si pronuncia così, come se fosse


formata dalle tre lettere t, z e i.»
(Papirio, ap. Leil, Gramm. Lat., VII, 216[28])

Quanto all'aspirata h, si assiste ad una sparizione. Che si tratti di una tendenza


rustica è forse indicato dal fatto che il fenomeno si ravvisa innanzitutto in
parole come olus e anser. Lo sforzo dei grammatici per tenere in vita la h è
testimoniato da diverse iscrizioni, da due prescrizioni della Appendix Probi,
nonché da un passo delle Confessioni di Agostino di Ippona (I.18). È invece antica
la tendenza a indebolirla quando al centro di parola (prehendo → prendo; nihil →
nil).[26]
Esistono poi dei fenomeni di rafforzamento consonantico, testimoniati dalla
Appendix Probi: le prescrizioni camera non cammara e aqua non acqua indicano che è
già in atto una tendenza che si consolida con la lingua italiana, cioè appunto il
rafforzamento, sia nel caso di consonanti postoniche in parole proparossitone, sia
nel caso di u semiconsonante.[29]

Per quanto riguarda la prostesi, l'italiano si colloca a metà strada tra alcune
lingue romanze che l'hanno sempre (come il francese e lo spagnolo, che, ad esempio,
hanno rispettivamente étude e estudio per "studio", o épée e espada per "spada") e
il rumeno che non l'ha mai.[29] Forme come istrada o istudio o Isvizzera sono
comunque ormai percepite come desuete dagli italofoni.
Evoluzione dei nessi consonantici

L'evoluzione dei nessi consonantici dal latino all'italiano registra alterazioni di


vario genere[30]:

assimilazione regressiva[31]:
lactem → latte
septem → sette
advenire → avvenire
dissimilazione (una delle occorrenze di uno stesso suono, ripetuto in parola a
breve distanza, viene sostituita da altro suono, per evitare quella che viene
percepita come cacofonia):
venenum → veleno
i nessi consonante+l passano a consonante+iod:
plus → più
clamat → chiama
i nessi consonante+l, se posti tra due vocali, registrano il raddoppio della
consonante:
nebula → nebla[32] → nebbia
vetulus → vetlus[32] → veclus[32] → vecchio

Evoluzioni morfosintattiche dal latino all'italiano

Ad un confronto tra il latino classico e quello volgare, si vede che le due lingue
appartengono a tipi linguistici differenti. Il cambio, si può dunque dire, è stato
radicale e si sostanzia dei seguenti tre punti[33]:

perdita del sistema dei casi, con le sue declinazioni


perdita del neutro
ristrutturazione del sistema verbale

Semplificazione del sistema delle declinazioni

La quarta e la quinta declinazione del latino classico sono le più "deboli" e


scompaiono quasi del tutto[33]:

I vocaboli della quinta confluiscono nella prima (facies → faccia, rabies →


rabbia)
I vocaboli femminili della quarta confluiscono nella prima (nurus → nora[32] →
nuora, socerus → socera → suocera; manus ha invece mantenuto il genere femminile e
l'uscita in -o)

A far sì che si perdesse il sistema di casi e desinenze contribuì la caduta delle


consonanti finali (in particolare -m).[33]

Una conseguenza molto importante di questa evoluzione riguarda la sintassi: mentre


nel latino classico i casi permettevano una grande (anche se non assoluta) libertà
nell'ordine delle parole, nelle lingue romanze la sintassi si irrigidisce.[33] Così
ad esempio:

Petrus Paulam amat (forma non marcata soggetto - oggetto - predicato)


Petrus amat Paulam
Amat Paulam Petrus

Tutte queste frasi latine corrispondono alla italiana Pietro ama Paola: in italiano
non è possibile distinguere il soggetto dall'oggetto se non dalla collocazione
nella frase. Paola ama Pietro avrebbe un significato diverso.

Quanto alle forme, mentre sopravvivono quelle accusative, le altre perdurano


talvolta in forme relittuali[33]. Ad esempio, leo ("leone") ha leonem per
accusativo singolare: con la caduta della -m si giunge alla forma italiana moderna.

Il genitivo e il dativo tendono a essere sostituiti dalle forme analitiche de e ad


rispettivamente.[29]
Scomparsa del neutro

I generi si riducono a due, il maschile e il femminile. Alcune forme relittuali del


neutro si ritrovano in alcuni plurali femminili[34]:

ossa[35] → ossa
brachia → braccia

Per questi plurali in -a esiste talvolta anche un plurale regolare -i con


differente significato: mentre con ossa generalmente si intende in italiano un
gruppo di oggetti considerati organicamente (le ossa del corpo umano), per ossi si
intende una pluralità di oggetti analoghi considerati però individualmente (c'erano
degli ossi di pollo sparsi sul piatto). Altrettanto per braccia: le braccia di una
donna e i bracci di una croce.[34]

In alcuni casi, il plurale neutro in -a è stato percepito come un femminile[34],


determinando forme come:

vela (plurale di velum) → la propulsione a vela


folia (plurale di folium) → la foglia

Ristrutturazione del sistema verbale

Un altro importante filone di trasformazione nell'evoluzione dal latino classico al


latino volgare riguarda il sistema dei verbi[34]:

La seconda e terza coniugazione si fanno via via improduttive.


Forme sintetiche di passivo (come amor, "sono amato") vengono sostituite da
forme analitiche (amatus sum o sum amatus).
I verbi deponenti scompaiono.
La forma sintetica del futuro (amabo, "amerò") viene sostituita dalla perifrasi
formata dall'infinito e da una forma breve di habeo ("ho"): da amare + ao[32] si
forma amerò.
Prende forma il condizionale, modo che in latino non esisteva. Origina dalla
combinazione di un infinito e di un perfetto di habeo: da amare + hebuit[32] si
forma amerebbe (l'italiano antico possedeva una forma alternativa di condizionale,
formato dall'infinito e dall'imperfetto di habeo: cantare + habebat → cantaria,
canteria.

Altri fenomeni grammaticali

A queste tre modificazioni fondamentali si aggiungano i seguenti fenomeni[36]:


la scomparsa (tranne qualche eccezione) dei comparativi sintetici, sostituiti
dalla forma con plus
la scomparsa della diatesi deponente
la riforma della diatesi passiva, che dalla forma sintetica passa ad una forma
analitica con esse
l'espansione della funzione ausiliare di habere: forme come cognitum habeo,
"tengo per conosciuto", che si vanno espandendo, sono progenitrici delle forme
italiane moderne del tipo "ho conosciuto"
il prevalere della paratassi sulla ipotassi, "com'era da attendersi in un
periodo di civiltà più elementare"[37]

Da una lingua sintetica a una lingua analitica

Il latino classico del I secolo a.C. era una lingua sintetica, sia per la
morfologia nominale che per quella verbale. Un sistema di cinque declinazioni e di
sei casi permetteva di esprimere diverse funzioni sintattiche attraverso singole
parole. Così, alla forma sintetica rosae corrisponde la forma analitica della rosa
in italiano (una lingua analitica). In latino, peraltro, manca l'articolo:
agricolae filia corrisponde all'italiano la figlia del contadino. Nella morfologia
verbale, ad amor corrisponde io sono amato, ad amabar corrisponde io ero amato. Per
la sintassi, ad una costruzione come dico amicum honestum esse, letteralmente 'dico
l'amico onesto essere', corrisponde dico che l'amico è onesto, con un passaggio dal
modo infinito al modo finito e l'inserimento della congiunzione subordinante che.
Il latino volgare, invece, coltivava tratti analitici, che saranno poi ereditati
dalle lingue romanze.[38]
Evoluzioni lessicali dal latino all'italiano

Il lessico delle lingue romanze dipende per la maggior parte dal lessico del latino
classico. Ecco alcuni casi particolarmente notevoli di evoluzione lessicale nel
passaggio dalla lingua latina a quella italiana[39]:

Molte parole appartenenti al lessico elevato del latino classico scompaiono via
via nel latino volgare, lasciando qualche traccia nei toponimi. Ad esempio,
scompaiono amnis, "fiume", e nemus, "bosco", ma perdurano in toponimi come Teramo e
Terni (da inter amnes, "tra due fiumi") o Nemi e Nembro. La stessa espressione
latina per "città" (urbs) sopravvive nel latinismo urbe e nel toponimo Orvieto
(urbs vetus, "città vecchia").
Nell'evoluzione del latino, si vanno via via preferendo radici legate ad un
registro espressivo e dotate di maggiore trasparenza. Ad esempio, plangere, che
significa "battersi il petto (per il dolore)" finisce per sostituire flere per
indicare il moderno "piangere", mentre edere ("mangiare") viene sostituito da
manducare (letteralmente, "dimenare le mascelle"), via la parola mangier nel
francese antico. In altri casi si utilizzano metafore, come nel caso del
"padiglione", che deriva da papilionem, accusativo di papilio (originariamente
"farfalla"), perché le tende degli accampamenti ricordavano i colori variegati
delle ali di una farfalla. In altri casi ancora si ricorre a metonimie, come per
focus ("focolare" → "fuoco"), bucca ("guancia" → "bocca"), camera ("soffitto a
volta" → "stanza").
Parole di scarso corpo fonico vengono sostituite da parole più corpose: ad
esempio, a res si finisce per preferire causa, con il significato di "cosa"; a
crus, "gamba", si finisce per preferire il greco gamba, con intento scherzoso,
poiché letteralmente è "zampa". Molte altre evoluzioni lessicali hanno per
protagonista l'espressività e la giocosità della lingua colloquiale, in particolare
per le parti del corpo: basti pensare a testa ("vaso di coccio") che sostituisce
via via caput, o a ficatum ("fegato", originariamente "di oca ingrassato con i
fichi") che sostituisce iecur. Questi sviluppi non sono specifici per l'italiano.
In linea con queste due tendenze, abbiamo evoluzioni lessicali che tendono ad
aumentare il corpo fonico e l'espressività affettiva: vengono adottati i
diminutivi, come nel caso di genu → genuculum ("ginocchio") o di agnus → agnellus
("agnello").
Qualcosa di analogo accade con l'adozione per il significato principale di
modificazioni frequentative (per indicare azioni ripetute, come per l'italiano
-eggiare, -ellare), che in latino venivano formate dal tema del supino: così, da
canere ("cantare") si passa a cantare (letteralmente, "canticchiare"); da salire
("saltare") si passa a saltare (letteralmente, "saltellare").
La semantica cristiana ha una significativa influenza sul lessico dei volgari
(ad esempio, orare da "chiedere" finisce per significare "pregare").
Nel caso due parole di significato diverso finiscano per assumere un'omofonia
totale o parziale, i parlanti abbandonano una forma per favorire l'altra: ad
esempio, bellum ("guerra") scompare per influenza della "collisione omofonica" con
bellus ("bello").

Parole di trafila popolare

Solo una parte del vocabolario latino è giunta direttamente all'italiano (si parla
in questi casi, tanto per l'italiano quanto per le altre lingue romanze, di parole
"di trafila popolare" o "ereditarie"), mentre il grosso è stato recepito per
adozione "colta", scritta, libresca (il che spiega perché in molti casi certe
evoluzioni morfologiche o semantiche costanti nelle parole ereditarie non si
presentino nella "trafila dotta"): questo patrimonio è composto di termini latini
recuperati e ravvivati nell'uso dall'interesse di un letterato e vengono indicati
dai linguisti come "cultismi" o "latinismi".[40]

L'analisi dell'evoluzione del latino letterario classico tra il I e il V secolo


d.C. deve dunque tenere in conto i molti elementi lessicali che rappresentano una
continuità rispetto al passato. Sono diverse centinaia le parole che si sono
trasmesse pressoché uguali (dai punti di vista fonetico, morfologico e semantico)
dal latino all'italiano, e che quindi saranno state mantenute anche nel latino
parlato.[37] Ecco alcuni esempi di parole sopravvissute in quasi tutta la Romania
(e che quindi si sono trasmesse anche alle altre lingue romanze)[41]:

aqua ("acqua")
arbor ("albero")
asinus ("asino")
bos ("bue")
caelum ("cielo")
canis ("cane")
cervus ("cervo")
digitus ("dito")
filius ("figlio")
homo ("uomo")
manus ("mano")
mater ("madre")
pater ("padre")
pes ("piede")
porcus ("porco")
porta ("porta")
puteus ("pozzo")
rota ("ruota")
terra ("terra")
vacca ("vacca")
altus ("alto")
bonus ("buono")
calidus ("caldo")
frigidus ("freddo")
niger ("nero")
novus ("nuovo")
russus ("rosso")
siccus ("secco")
bibere ("bere")
currĕre ("correre")
dicere ("dire")
dormire ("dormire")
facere ("fare")
habere ("avere")
tenere ("tenere")
bene ("bene")
male ("male")
quando ("quando")
si ("se")
in ("in")
per ("per")

Vi è poi una serie di parole che sono andate sopravvivendo solo nell'area
dell'allora Diocesi italiciana. Di seguito qualche esempio[42]:

catŭlus → cacchio (toscano)


cunŭlae → culla
lentīgo → lentiggine
libellus → livello
mentula → minchia (italiano meridionale) e minchione
notarius → notaio[43]
spacus → spago

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