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L'italiano è una lingua romanza, cioè una lingua derivata dal latino, appartenente
alla famiglia delle lingue indoeuropee. L'indoeuropeo è una lingua virtuale: essa
cioè non è storicamente verificata, ma è stata ricostruita retrospettivamente a
partire da diverse lingue, sia moderne sia antiche. Si immagina che un gruppo di
tribù, dislocate tra Europa e Asia tra il IV e il III millennio a.C. e parlanti
dialetti affini, si sia sparso attraverso diverse migrazioni, assorbendo le parlate
dei popoli conquistati.[1]
Verso la fine del II millennio a.C., una delle popolazioni indoeuropee, che parlava
il dialetto destinato a diventare la lingua latina, si installò nella penisola
italiana.[2]
La guerra sociale (88 a.C.), che vede i Romani sconfiggere le popolazioni italiche,
segna il declino dell'etrusco e delle lingue osco-umbre.[2] Bruno Migliorini nota
che, a quanto sembra, dell'etrusco "nessuna iscrizione sia posteriore all'era
cristiana"[4]: pare, comunque, che l'imperatore Claudio (I secolo d.C.), nei suoi
studi di etrusco, si avvalesse di parlanti e che la lingua fosse dunque ancora
viva. È poi probabile che l'etrusco sia persistito come lingua cultuale fino al IV
secolo d.C. e che gli Etrusci haruspices che accompagnavano gli eserciti di
Giuliano consultassero libri ancora scritti in etrusco.[4]
Importanti fondamenti del cambiamento del latino parlato sono due fatti
storici[11]:
«verumtamen quid tibi ego videor in epistolis? Nonne plebeio sermone agere tecum?»
(Lettere familiari, IX, 21)
quel plebeio sermone non va certo inteso come "latino volgare": Cicerone intende
solo "alla buona"[13][14].
Il latino aveva dieci vocali: le stesse cinque vocali dell'alfabeto latino moderno
potevano essere articolate brevi o lunghe (la quantità vocalica era distintiva)[16]
e "con ogni probabilità quello fra i caratteri dell'accento che aveva valore
distintivo era l'altezza musicale"[17]. Così, ad esempio, vĕnit (con la e breve)
voleva dire "viene", mentre vēnit (con la e lunga) voleva dire "venne". Allo stesso
modo sŏlum voleva dire "suolo", mentre sōlum voleva dire "solo" o "solamente,
soltanto". Questo sistema a lungo andare venne meno e nel vocalismo latino finì per
essere determinante non più la quantità, ma il timbro (o qualità), cioè se la
vocale era chiusa o aperta, mentre al posto dell'altezza musicale l'accento si fa
intensivo[17]. Il sistema più diffuso in Romània era costituito da sette vocali: i,
é, è, a, ò, ó, u, dove è rappresenta la e aperta ([ɛ]), é la e chiusa ([e]).[16]
Vocali toniche: il dittongamento
è → iè
ò → uò
Come accennato, il fenomeno si presenta solo in caso di sillaba aperta e non nel
caso di sillaba implicata (cioè terminante come consonante). Così[18]:
fŏ-cus → fuoco
cŏr-pus → corpo
é → i
ó → u
Quanto ai dittonghi del latino classico[21] (ae, oe, au), una tipica tendenza del
latino parlato (che si riflette nelle lingue romanze) era quella di monottongarli:
ae → e aperta
maestus → mesto
laetus → lieto
oe (peraltro raro) → e
poena → pena
au → o
paucu(m) → poco
causa(m) → cosa
auru(m) → oro
Epentesi
baptĭsmus → battesimo
vĭdua → vedova
Sincope
Si registrano anche casi di aferesi (*illei → lei, dove illei è una parola
"ricostruita", cioè non riscontrata nelle fonti, ma ipotizzata retrospettivamente)
e di apocope (bonĭtatem → bontade → bontà)[19].
Evoluzioni fonologiche dal latino all'italiano: il consonantismo
scutum → scudo
lacus → lago
registriamo peraltro
«Gli iotacismi avvengono ogni volta che dopo ti o di alla sillaba segue una vocale,
e per lo più le suddette sillabe si assibilano, quando - s'intende - si trovano in
posizione media, come in meridies.»
(Servio, Don. IV 445 K.[27])
«iustitia cum scribitur, tertia syllaba sic sonat, quasi constet ex tribus litteris
t, z et i.»
(IT)
Per quanto riguarda la prostesi, l'italiano si colloca a metà strada tra alcune
lingue romanze che l'hanno sempre (come il francese e lo spagnolo, che, ad esempio,
hanno rispettivamente étude e estudio per "studio", o épée e espada per "spada") e
il rumeno che non l'ha mai.[29] Forme come istrada o istudio o Isvizzera sono
comunque ormai percepite come desuete dagli italofoni.
Evoluzione dei nessi consonantici
assimilazione regressiva[31]:
lactem → latte
septem → sette
advenire → avvenire
dissimilazione (una delle occorrenze di uno stesso suono, ripetuto in parola a
breve distanza, viene sostituita da altro suono, per evitare quella che viene
percepita come cacofonia):
venenum → veleno
i nessi consonante+l passano a consonante+iod:
plus → più
clamat → chiama
i nessi consonante+l, se posti tra due vocali, registrano il raddoppio della
consonante:
nebula → nebla[32] → nebbia
vetulus → vetlus[32] → veclus[32] → vecchio
Ad un confronto tra il latino classico e quello volgare, si vede che le due lingue
appartengono a tipi linguistici differenti. Il cambio, si può dunque dire, è stato
radicale e si sostanzia dei seguenti tre punti[33]:
Tutte queste frasi latine corrispondono alla italiana Pietro ama Paola: in italiano
non è possibile distinguere il soggetto dall'oggetto se non dalla collocazione
nella frase. Paola ama Pietro avrebbe un significato diverso.
ossa[35] → ossa
brachia → braccia
Il latino classico del I secolo a.C. era una lingua sintetica, sia per la
morfologia nominale che per quella verbale. Un sistema di cinque declinazioni e di
sei casi permetteva di esprimere diverse funzioni sintattiche attraverso singole
parole. Così, alla forma sintetica rosae corrisponde la forma analitica della rosa
in italiano (una lingua analitica). In latino, peraltro, manca l'articolo:
agricolae filia corrisponde all'italiano la figlia del contadino. Nella morfologia
verbale, ad amor corrisponde io sono amato, ad amabar corrisponde io ero amato. Per
la sintassi, ad una costruzione come dico amicum honestum esse, letteralmente 'dico
l'amico onesto essere', corrisponde dico che l'amico è onesto, con un passaggio dal
modo infinito al modo finito e l'inserimento della congiunzione subordinante che.
Il latino volgare, invece, coltivava tratti analitici, che saranno poi ereditati
dalle lingue romanze.[38]
Evoluzioni lessicali dal latino all'italiano
Il lessico delle lingue romanze dipende per la maggior parte dal lessico del latino
classico. Ecco alcuni casi particolarmente notevoli di evoluzione lessicale nel
passaggio dalla lingua latina a quella italiana[39]:
Molte parole appartenenti al lessico elevato del latino classico scompaiono via
via nel latino volgare, lasciando qualche traccia nei toponimi. Ad esempio,
scompaiono amnis, "fiume", e nemus, "bosco", ma perdurano in toponimi come Teramo e
Terni (da inter amnes, "tra due fiumi") o Nemi e Nembro. La stessa espressione
latina per "città" (urbs) sopravvive nel latinismo urbe e nel toponimo Orvieto
(urbs vetus, "città vecchia").
Nell'evoluzione del latino, si vanno via via preferendo radici legate ad un
registro espressivo e dotate di maggiore trasparenza. Ad esempio, plangere, che
significa "battersi il petto (per il dolore)" finisce per sostituire flere per
indicare il moderno "piangere", mentre edere ("mangiare") viene sostituito da
manducare (letteralmente, "dimenare le mascelle"), via la parola mangier nel
francese antico. In altri casi si utilizzano metafore, come nel caso del
"padiglione", che deriva da papilionem, accusativo di papilio (originariamente
"farfalla"), perché le tende degli accampamenti ricordavano i colori variegati
delle ali di una farfalla. In altri casi ancora si ricorre a metonimie, come per
focus ("focolare" → "fuoco"), bucca ("guancia" → "bocca"), camera ("soffitto a
volta" → "stanza").
Parole di scarso corpo fonico vengono sostituite da parole più corpose: ad
esempio, a res si finisce per preferire causa, con il significato di "cosa"; a
crus, "gamba", si finisce per preferire il greco gamba, con intento scherzoso,
poiché letteralmente è "zampa". Molte altre evoluzioni lessicali hanno per
protagonista l'espressività e la giocosità della lingua colloquiale, in particolare
per le parti del corpo: basti pensare a testa ("vaso di coccio") che sostituisce
via via caput, o a ficatum ("fegato", originariamente "di oca ingrassato con i
fichi") che sostituisce iecur. Questi sviluppi non sono specifici per l'italiano.
In linea con queste due tendenze, abbiamo evoluzioni lessicali che tendono ad
aumentare il corpo fonico e l'espressività affettiva: vengono adottati i
diminutivi, come nel caso di genu → genuculum ("ginocchio") o di agnus → agnellus
("agnello").
Qualcosa di analogo accade con l'adozione per il significato principale di
modificazioni frequentative (per indicare azioni ripetute, come per l'italiano
-eggiare, -ellare), che in latino venivano formate dal tema del supino: così, da
canere ("cantare") si passa a cantare (letteralmente, "canticchiare"); da salire
("saltare") si passa a saltare (letteralmente, "saltellare").
La semantica cristiana ha una significativa influenza sul lessico dei volgari
(ad esempio, orare da "chiedere" finisce per significare "pregare").
Nel caso due parole di significato diverso finiscano per assumere un'omofonia
totale o parziale, i parlanti abbandonano una forma per favorire l'altra: ad
esempio, bellum ("guerra") scompare per influenza della "collisione omofonica" con
bellus ("bello").
Solo una parte del vocabolario latino è giunta direttamente all'italiano (si parla
in questi casi, tanto per l'italiano quanto per le altre lingue romanze, di parole
"di trafila popolare" o "ereditarie"), mentre il grosso è stato recepito per
adozione "colta", scritta, libresca (il che spiega perché in molti casi certe
evoluzioni morfologiche o semantiche costanti nelle parole ereditarie non si
presentino nella "trafila dotta"): questo patrimonio è composto di termini latini
recuperati e ravvivati nell'uso dall'interesse di un letterato e vengono indicati
dai linguisti come "cultismi" o "latinismi".[40]
aqua ("acqua")
arbor ("albero")
asinus ("asino")
bos ("bue")
caelum ("cielo")
canis ("cane")
cervus ("cervo")
digitus ("dito")
filius ("figlio")
homo ("uomo")
manus ("mano")
mater ("madre")
pater ("padre")
pes ("piede")
porcus ("porco")
porta ("porta")
puteus ("pozzo")
rota ("ruota")
terra ("terra")
vacca ("vacca")
altus ("alto")
bonus ("buono")
calidus ("caldo")
frigidus ("freddo")
niger ("nero")
novus ("nuovo")
russus ("rosso")
siccus ("secco")
bibere ("bere")
currĕre ("correre")
dicere ("dire")
dormire ("dormire")
facere ("fare")
habere ("avere")
tenere ("tenere")
bene ("bene")
male ("male")
quando ("quando")
si ("se")
in ("in")
per ("per")
Vi è poi una serie di parole che sono andate sopravvivendo solo nell'area
dell'allora Diocesi italiciana. Di seguito qualche esempio[42]: