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Ma c’è forse qualche cosa di più poetico e di ancora più antico, nel quale possiamo
forse individuare la nostra inclinazione per l’estetica, il nostro andare alla
ricerca di qualcosa che non risponda soltanto a delle esigenze “fisiche”, ma anche
il nostro desiderio di bellezza, di valore, e il nostro bisogno di rappresentare
queste cose.
Un passo importante nella storia della moda è sicuramente rappresentato dalle prime
realizzazioni di tessitura. Sappiamo che i primi telai compaiono nel neolitico
(circa 10000 anni fa) e sono manufatti molto semplici, realizzati con rami o pali
di legno. I fili dell’ordito vengono messi in tensione tramite pesi di pietra o di
terracotta. Ma andiamo per ordine e partiamo dal mondo antico e dalle antiche
civiltà mesopotamiche.
Dal 1500 al 1000 a.C. oltre alla migliore qualità della tessitura e della cucitura,
gli Assiro Babilonesi sviluppano le arti della tintura, della decorazione e del
confezionamento di calzari e calzature: semplici ed aperte per il popolo, chiuse ed
alte per i nobili. Le donne sposate vengono costrette per legge ad indossare il
copricapo, abitudine che rimarrà radicata nei secoli e perdura a tutt’oggi nel
Medio Oriente.
Bisogna raggiungere la civiltà cretese (1700- 1400 a.c.) per cominciare a trovare i
primi segni di “civetteria” nell’abbigliamento femminile: gli abiti sono lunghi ed
affusolati e vengono stretti in vita, le gambe sono coperte da balze. Quando in
Europa nel 1700 si diffonderà lo stile neoclassico, gli abiti femminili si
ispireranno proprio all’abbigliamento arcaico delle donne cretesi.
Con la Grecia nasce una moderna idea di bellezza
Dalla civiltà cretese e da quella di Micene nasce la civiltà dei Greci, un popolo
straordinariamente evoluto, che per primo sviluppa il pensiero logico, la
filosofia, l’idea sociale di democrazia. Si comincia ad intendere l’abito come
rappresentazione di raffinatezza ed eleganza oltre che di uno status sociale.
L’iconografia classica e la cinematografia ci hanno abituati a immaginare i greci
vestiti di bianco. E’ vero, il bianco era molto presente ma sappiamo che i Greci
usarono anche colori brillanti, in particolare il rosso porpora, il turchino, il
verde e l’indaco. Nonostante le possibilità e gli scambi commerciali, gli abiti
greci in epoca classica sono semplici ed essenziali.
Occorre anche tenere conto che, contrariamente agli altri popoli dell’antichità, i
greci non intendono coprire la nudità e nascondere il corpo. Al contrario, esaltano
la bellezza che il vestito non deve nascondere. La tunica maschile dei greci (il
chitone) era senza maniche. Nel periodo ellenistico, grazie ai contatti con la
Persia, la Grecia entra in contatto con la seta. Si può dire che è la civiltà greca
a far nascere un’idea di bellezza (femminile e maschile) diciamo “democratica”,
dove l’abbigliarsi con decoro non è più soltanto appannaggio dei nobili e delle
caste più alte, ma comincia a diffondersi in ampi strati di popolazione.
L’abbigliamento della Grecia classica influenza la storia del fashion
Come ci si vestiva durante l’impero Romano?
La civiltà romana diviene nel corso della storia la più grande e potente e si
afferma gradatamente sugli altri popoli. Tutti questi contatti con genti straniere
influenza nel tempo l’abbigliamento dei Romani che tuttavia si riferiscono sempre
alla Grecia classica come ispirazione per le scelte estetiche.
Sappiamo per certo che i romani indossano una sorta di intimo (gli indumenta) che
per le donne comprende anche una fascia reggi-seno. Gli uomini indossano una o più
tuniche sovrapposte, lunghe fino ai piedi, e sopra una toga, cioè un mantello (in
genere una pezza intera di stoffa) che si porta appoggiato sul braccio.
In epoca romana ogni casa patrizia ha al suo interno uno o più telai per tessitura
e i servi necessari per farla funzionare; sappiamo anche che la tessitura è un vero
e proprio passatempo anche per le donne della nobiltà e quindi possiamo dire che le
matrone romane gareggiano tra loro per realizzare creazioni sempre più accurate.
Sappiamo anche che con l’avvicendarsi degli imperatori si modificano in parte gli
stili di abbigliamento. Infatti dopo la dinastia Giulio-Claudia le vesti si
arricchiscono per poi tornare più semplici e con meno ostentazione durante la
dinastia dei Severi.
A partire dal 230 d.C. l’abbigliamento dei romani risente dell’influsso dei nemici
Barbari. Nonostante i contrasti, alcuni usi stranieri cominciano a prendere piede
nell’impero; nel terzo secolo si verifica un progressivo spostamento della vita
imperiale verso Oriente, a discapito di Roma e delle aree più antiche dell’impero.
Un’economia mercantile maggiormente consolidata e maggior scambi culturali spostano
la capitale a Costantinopoli. A questo si deve aggiungere che Costantino fu il
primo imperatore romano di religione cristiana.
La fine della classicità è un mix di culture
Nel mondo maschile, una sintesi di questo abbigliamento è rappresentata dal saio,
un unico indumento derivato dal sagum romano, dotato di maniche e cappuccio, legato
in vita con una corda, realizzato in lana o in filati grossolani assai pesanti come
la canapa e la tela grezza.
I secoli successivi vedono una lenta trasformazione dei vestimenti, ma fino al 13°
secolo l’abbigliamento resta semplice. Una delle novità più rilevanti è la
diffusione dei bottoni, che sostituiscono le spille, le fibule e i legacci. I
bottoni in qualche forma esistevano già in precedenza, ma l’uso diffuso comincia
intorno al 1100: la prima citazione letteraria che parla di bottoni è nella Chanson
de Roland (12° secolo). Si migliorano ampiamente le tecniche di tintura e di
lavorazione dei tessuti. La ricchezza dell’abbigliamento però deve ancora
raggiungere il suo fulgore: i segni di distinzione delle classi elevate sono
prevalentemente nei complementi come cinture, gioielli, fibbie e collane.
La moda nel Rinascimento
Con il formarsi di una nuova classe borghese ricca, la ricercatezza nel vestire e
l’esigenza femminile di apparire bella in pubblico si diffondono sempre di più. Le
scollature delle donne diventano più ampie, e permettono di mettere in mostra il
décolleté. I corsetti diventano aderenti e mettono in evidenza il corpo.
C’è una vera passione per i capelli biondi o rossi e per la carnagione bianca, che
viene ritenuta un segno di distinzione. Cresce la “civetteria” femminile, mentre
gli uomini sembrano più inclini alla sobrietà. I notabili indossano lunghe toghe
nere (foderate d’inverno). I lignaggi più alti portano il “cremesino” una toga
rossa la cui tintura è ottenuta dal vermiglio della quercia (Kermes vermilio), un
insetto proveniente dall’India. Non mancano preziosi mantelli in tessuti pregiati o
pelliccia e cappelli di fetro di varie fogge.
A partire dal 16° secolo l’abbigliamento europeo tende ad arricchirsi. Sia gli
abiti maschili che quelli femminili vengono forniti di
L’Ottocento vede Parigi come il centro del mondo. Nonostante l’Inghilterra sia la
più grande potenza economica e il più grande impero esistente, Parigi diviene
l’epicentro della vita culturale europea.
Tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Grande Guerra l’Europa vive l’epoca
gloriosa definita Belle Epoque. Trionfa lo stile liberty o Art Nouveau. Per la
prima volta la moda si pone l’obiettivo di mettere in risalto il corpo femminile ed
esprimere la linea “a S”, ovvero il desiderio di evidenziare il seno e il fondo
schiena. I corsetti diventano “anatomici” e accentuano le forme, la vita è sempre
stretta e l’abito viene semplificato, costituito da una gonna lunga e da una giacca
e confezionato “su misura”. Nasce in questo modo il primo “tailleur“. Con il taglio
“su misura” inizia la competizione tra le maison, capaci di confezionare
meravigliosi abiti informali per il tempo libero, la vita all’aria aperta con gonne
alla caviglia e nastri eleganti intorno alla vita, intorno al collo, nel polsino
delle maniche.
la moda durante la belle epoque
La moda della Belle Epoque
E’ in arrivo l’Haute Couture
La fine dalla prima Guerra Mondiale vede una rinascita del gusto del vestire. La
sartoria asseconda un nuovo stile di vita più pratico e più dinamico. La scuola del
Bauhaus influenza la cultura estetica europea che scopre la razionalizzazione e la
sempliicazione armonica come valori. Il modo di vestire si fa più semplice e più
coerente con i cambiamenti in atto.
Forte è anche l’influenza nipponica, che crea in Europa uno stile chiamato
“Japanisme” , ispirato alle decorazioni dell’estremo oriente e creazioni di forme
ispirate al kimono.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale il look femminile cambia in modo
significativo. Le gonne si accorciano e le giovani donne sono dinamiche e spigliate
come i maschi. La moda che viene chiamata “à la garconne” prevede proprio capelli
corti ed abiti di ispirazione maschile. In questo contesto fa la sua comparsa la
prima vera icona della moda, la cui fama e notorietà andranno ben oltre i muri di
un atelier di moda. Gabrielle Chanel detta Coco, sa interpretare più di ogni altro
le esigenze dell’epoca. Crea vestiti eleganti ma comodi, sa coniugare tessuti e
maglierie all’insegna del nuovo stile e crea una griffe che vive ancora oggi.
Vi sono a Parigi altre rilevanti (e per certi versi superiori) maison di haute
couture, come Paquin, Lelong o Vionnet, ma Coco fa di sè un personaggio e sa
utilizzare abilmente anche i mezzi di comunicazione per aumentare la sua notorietà.
Tra gli interpreti del fashion più celebri dell’epoca bisogna ricordare anche Elsa
Schiaparelli che inizia creando abiti sportivi ma estende la sua produzione “colta”
ad abiti da sera e di alta moda collaborando con grandi artisti come Salvador Dalì
e Alberto Giacometti. Viene attribuita alla Schiaparelli l’invenzione del rosa
shocking.
Altri nomi come Lanvin e Jean Patou popolano il firmamento di stelle del fashion
della prima metà del Novecento.
Rivoluzioni e Ribellioni della moda
Mentre in Francia dominano griffes molto celebri come Dior e Balenciaga, buona
parte del jet set preferisce le meno appariscenti ma ancora più raffinate maison
italiane. Non solo le nostre star come Sophia Loren o Gina Lollobrigida, ma anche
regine, primedonne e star del cinema hollywoodiano come Ava Gardner, Jackie
Kennedy, Soraya imperatrice di Persia, Maria Callas, scelgono lo stile italiano.
Tra le firme italiane passate alla storia c’è in primo piano l’Atelier Sorelle
Fontana, ma vi furono moltissime sartorie prestigiose come quella di Emilio
Shuberth, di Emilio Pucci e poi Valentino e Cappucci.
Nel febbraio del 1951 con una grandiosa sfilata di circa 200 modelli di firme
italiane, nasce a Firenze il Made in Italy: un modo tutto italiano dove l’eleganza
coincide con la libertà spigliata. Una garanzia di stile, alta qualità sartoriale
fin nel dettaglio, con tessuti raffinati e tagli impeccabili.
Ma in questo periodo la vita pubblica e le serate danzanti non sono più soltanto
per le classi più agiate. Il boom economico e il crescente benessere portano sempre
più persone a cercare di vestirsi in modo elegante per una vita mondana. Sono gli
anni in cui trionfa il pret-à-porter. Dal 1970 gli stilisti di pret-à-porter
presentano le loro collezioni due volte l’anno come fa l’haute couture, con sfilate
molto glam a Parigi, Milano e a New York, a cui si aggiungono poi anche Londra,
Tokio e Firenze.
la moda nel dopoguerra
Il fashion ritorna nell’Europa del dopoguerra
Alternative al fashion: la moda negli anni ’60 e ’70
Nel 1964 Mary Quant, una giovane stilista britannica, “inventa” la minigonna,
simbolo di disinibizione e libertà senza complessi. A renderla celebre una
parrucchiera di 17 anni: Twiggy (fuscello), che apre la strada alle top model-teen
ager.
André Courrèges rivendica il copyright della minigonna ma Mary Quant non alimenta
la polemica affermando che “Le vere creatrici della minigonna sono le ragazze che
si vedono per strada”
Gli anni 80 vedono l’Italia assoluta protagonista delle sfilate di moda su cui il
mondo punta i suoi riflettori. Oltre alle storiche Griffes come quella di
Valentino, Gucci e Capucci arrivano altri grandi protagonisti che riportano il Made
in Italy alla ribalta. Stilisti come Giorgio Armani e Gianni Versace si affermano
in breve tempo come firme di rilevanza internazionale. Ferré, Missoni, Prada,
Trussardi, Moschino, Dolce & Gabbana e molti altri divengono punti di riferimento
mondiale.
Gli anni ottanta appaiono come un ritorno del glam dopo gli anni sregolati della
rivoluzione giovanile. Una nuova generazione di top model si adatta perfettamente
al Made in Italy, all’elegante sobrietà di Armani o al versatile rigore di Versace.
In particolare sei tra loro, denominate le Big Six per quanto furono richieste e
strapagate (Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Kate Moss, Linda Evangelista, Naomi
Campbell e Christy Turlington), acquisiscono una notorietà straordinaria e una
incredibile presenza mediatica.
Come Dior ha influenzato la moda
Lo stile di Dior influenza il fashion design
la moda esclusiva di Mendel
Il fashion esclusivo sopravvive nelle visioni di J. Mendel
Il corpo come vestito: la moda alla fine del XX secolo
la fine del 20 secolo vede la crisi concettuale del sistema moda così come era
concepito. La passione per i marchi e la loro dominanza hanno reso più bassa la
soglia critica e la libertà di scelta dei consumatori. C’è una specie di
“democratizzazione” dello stile che unisce tutti negli stereotipi. Ci sono però
anche aree specifiche di identità giovanili molto differenziate. C’è una specie di
emulazione reciproca tra i personaggi di spicco e il loro pubblico (la rockstar
Madonna ha dichiarato di aver scelto alcuni abbigliamenti copiando le ragazze di
periferia che andavano ai suoi concerti).
la moda negli anni novanta
Gli stili giovanili e stradali fanno moda
Nel contempo la gigantesca industria della moda rivela anche i suoi aspetti
negativi nascosti dietro copertine dorate: lo sfruttamento di manodopera di paesi
meno sviluppati, l’iper-produzione, l’obbligo a un costante aggiornamento di
modelli e tendenze, il deterioramento ambientale, la produzione di tessuti come ad
elevato impatto sull’ecosistema. Ecco in sintesi i temi critici di una cultura
troppo materialistica e basata sull’apparire. Sti sta definendo una nuova idea del
valore. Nascono così le culture del riciclo e del riuso, gli abiti naturali e il
recupero di tecnologie produttive arcaiche e super-sostenibili, stilisti che
ripropongono il “vintage” recuperato. Trionfano gli stili giovanili legati ai mondi
musicali e sportivi. Il concetto di abbigliamento viene esteso anche al corpo, che
è “vestito” con tatuaggi e piercing proprio come un abito da esibire in modo
permanente. Si individuano continuamente voci nuove e spazi creativi in un
panorama sempre più omologato. Tutte le teenager europee indossano minijeans, tutti
i giovani “indossano tatuaggi” e la moda non sembra più ricercare l’individuazione
e la singolarità, ma viene usata come un linguaggio per mostrare appartenenze e
simboli condivisi tra gruppi specifici. Le nuove tecnologie di e-commerce aprono
nuove strade per la commercializzazione all’interno di nicchie di mercato che sono
circuiti di persone che condividono gusti e orientamenti.
La moda di oggi: sostenibili e riciclabile
Con il tatuaggio, il corpo diventa un abito permanente