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F.bellomi - Dispensa
F.bellomi - Dispensa
In questo percorso ci occuperemo solo dei modi maggiormente utilizzati nel repertorio
didattica e più vicini alla attuale cultura musicale ed esperienza di ascolto degli studenti
della scuola secondaria.
La sua enorme fortuna nel repertorio didattico è dovuta ad almeno tre fattori:
• è una scala che tutti abbiamo "nelle orecchie", un tempo grazie al repertorio popolare,
oggi grazie al repertorio afro-americano (Jazz, blues, spiritual, rock, ecc.) che ne fa
abbondante uso.
• Conseguentemente è una facile "facile" da intonare e sulla quale ci si può muovere con
una certa disinvoltura senza eccessive preoccupazioni di percorso melodico (quasi
tutte le melodie su questa scala "suonano bene")
• Può essere considerata una scala maggiore o minore "mancante di alcuni suoni" e
quindi adoperata come un materiale preliminare prima di arrivare ad usare tutti i suoni
di una scala tonale.
1
Le scale tonali moderne (scala maggiore e scale minori) possono essere considerate un (piccolo)
sottoinsieme del mondo modale. Un sotto insieme abbastanza delimitato dal punto di vista storico e
geografico ma enormemente importante per noi che ci viviamo dentro.
2
Sulla scala pentafonica è possibile costruire solo pochissimi accordi. Ne consegue che è
maggiormente sfruttata dal punto di vista melodico che dal punto di vista armonico.
L'accompagnamento viene generalmente risolto con pedali o ostinati sulle note "più
importanti" della melodia, cioè quelle alle quali attribuiamo una funzione di Tonica o una
funzione di Dominante.
Ad esempio
Ogni scala pentafonica può essere trasportata e iniziare da uno qualsiasi dei dodici suoni.
Ma esistono anche delle "trasformazioni" della scala pentafonica che si ottengono
attribuendo ad ognuno dei suoi suoni la funzione di tonica.
Ad esempio:
ESERCITAZIONE
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Scala Blues
E' sufficiente aggiungere qualche suono "di passaggio" ad una scala pentafonica minore
per ottenere la cosiddetta "scala blues" sulla quale è estremamente facile improvvisare. La
scala blues è presente in molto repertorio afro-americano (Blues, spirituals, gospel, jazz,
ecc.)
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Modi antichi
Gran parte dei modi usati nel repertorio gregoriano e nella musica antica fino al primo
barocco sono stati usati con delle connotazioni espressive assai chiare e costanti.
Ecco un elenco dei principali modi e dei loro caratteri secondo vari trattatisti.
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ESERCITAZIONE
Scrivere la successione di accordi indicata dai numeri romani, così come indicato
nell'esempio realizzato, in un secondo momento ricavare dagli accordi scritti una linea
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melodica che tocchi i suoni dell'accordo sul battere e utilizzi suoni di volta o di passaggio2
sul levare.
La modalità popolare
Non prendiamo nemmeno in considerazione le scale modali in uso in civiltà musicali assai
diverse da quella occidentale (India, nord-Africa, ecc.) che spesso presentano intervalli
microtonali di difficilissima intonazione (per noi).
Anche limitando alla sola Europa il repertorio delle scale adoperate è assi vasto.
Nel repertorio didattico le scale maggiormente usate sono quelle scale popolari che
coincidono con scale (o parti di) modali antiche.
Dal punto di vista armonico si assiste alla più grande varietà di comportamenti: da
accompagnamenti basati unicamente su pedali di tonica e di dominante (come nella
zampogna e nella cornamusa) a situazioni più libere, a situazioni simili a quelle del mondo
tonale con chiare polarità tonica-dominante, a situazioni "miste" spesso dovute a
elaborazioni colte di materiale popolare (ad esempio i magnifici "For children" per piano di
Bela Bartok).
2
I suoni di Volta o di Passaggio sono altezze estranee all'accordo usato in quel momento che vengono
raggiunti e abbandonati con movimenti melodici per grado congiunto (= 2e maggiori e/o minori)
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armonici casuali, sovrapposizioni di diversi accordi per terze, ecc. Qualche autore (p.es.
Hidemith, Messiaen, ecc. ha teorizzato molto puntigliosamente i propri procedimenti
armonici).
Scrivere un piccolo brano per tre strumenti o a tre voci, basato su una precisa scala
modale antica, curando che le singole melodia siano estremamente cantabili (ogni autore
deve essere in grado di cantarle subito per lettura: altrimenti sono troppo difficili). Il brano,
da scrivere sulla pagina successiva deve essere completo e dettagliato per quanto
riguarda indicazioni agogiche e dinamiche. Dal punto di vista armonico si utilizzi la
massima libertà di combinazioni (anche fortemente dissonanti).
NOME___________________________________________________________
COGNOME_______________________________________________________
DATA____________________________________________________________
CLASSE DI ABILITAZIONE___________________________________________
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Tenendo conto della tabella sopra riportata è possibile costruire delle successioni di
accordi (indicando solo la nota fondamentale con il numero romano) come la seguente:
ESERCITAZIONE
Scrivere almeno tre diverse successioni di accordi usando la tabella sopra riportata per
decidere le sequenze accordali accordo dopo accordo.
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L'indicazione dei rivolti è assai rara ma quando si trova è indicata in questo modo
C/E (oppure Do/Mi) che significa accordo di do maggiore con il mi come nota più grave (=
primo rivolto. Analogamente C/G indica il secondo rivolto (il sol è nel basso)
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Quando invece una melodia si muove prevalentemente per grado congiunto (= intervalli di
tono e di semitono) è necessario individuare quali sono le note importanti dal punto di vista
armonico e quali sono invece "estranee" all'armonia (note di passaggio, di volta, ritardi,
appoggiature, anticipazioni, ecc.). Queste note "ornamentali" di solito, ma non sempre,
sono:
• Sul levare o sui tempi deboli della battuta
• Prese e lasciate per grado congiunto
• Di breve durata
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ESERCITAZIONE
Trovare gli accordi di accompagnamento e indicarli con le sigle convenzionali per la
seguente melodia.
N.B. Cercare sempre, in queste veloci esercitazioni, le soluzioni più ovvie e convenzionali.
Evitare di perdere tempo battendo sentieri armonici tortuosi e complicati (anche se
affascinanti e avventurosi).
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ESERCITAZIONE CONCLUSIVA
L'esempio seguente è il tema e la prima variazione tratte da Lo ballo dell'intorcia di
Antonio Valente. Trova un'altra successione di accordi per otto battute e scrivi su di essi
una melodia e una prima variazione usando l'esempio di Valente come modello (è
possibile adoperare ritmi e comportamenti melodici simili a quelli del modello)
Ecc.
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STRUMENTI A PIASTRE
Il tempo di risonanza degli xilofoni è assai breve (soprattutto nella zona acuta) quindi
vengono adoperati solitamente con durate assai brevi. Scrivere una nota di 4/4 a 60 di
metronomo per lo xilofono non ha senso: la maggior parte della sua durata sarebbe
occupata da silenzio.
Gli strumenti a piastre di metallo hanno tempi di risonanza più lunghi che si allungano man
mano che si scende verso il grave. Dato che solitamente non è possibile smorzare i suoni
bisogna evitare passaggi troppo veloci (soprattutto sui suoni gravi) altrimenti tutte le
altezze si sovrappongono e si accavallano creando una fastidiosa sovrapposizione di
armonie (nessun problema sa si va veloci su un pedale, o sulla stessa armonia).
La scrittura più chiara è quella che utilizza le note tradizionali. La crocetta al posto della
nota rotonda può convenientemente essere usata per indicare solo effetti particolari:
strumento stoppato, percussione col manico del battente, ecc. All'inizio si mette la chiave
neutra perché non vengono indicate altezze precise. Si può scrivere su una sola riga
(come nel secondo esempio) su tre o sull'intero pentagramma posizionando le note sia
sulle righe che negli spazi a seconda delle esigenze. La diversa posizione delle note
potrebbe indicare sia strumenti diversi (ad es. sulla prima riga un tamburo, sulla seconda
un piatto e sulla terza un triangolo) sia la maggior o minore grandezza di più strumenti
della stessa famiglia. In questo caso, di regola, gli strumenti di maggiori dimensioni sono
posizionati sotto e quelli più piccoli (che producono suoni più acuti) sopra. Quando si
usano strumenti con tempi di risonanza molto lunghi è bene scrivere esattamente la durata
del suono senza ricorrere alla cattiva abitudine di mettere una legatura alla pausa, che fa
arrabbiare giustamente tutti i percussionisti.
Raramente ci si spinge nella zona acuta (le cui posizioni sono più difficili rispetto a quelle
della prima ottava).
La Clavietta o Melodica esiste in vari modelli e in varie estensioni. Quella minima è di due
ottave con la stessa grafia del flauto dolce soprano.
Innumerevoli altri strumenti sono adoperati nella scuola: chitarre, tastiere, percussioni più
o meno etniche, ecc. Impossibile dare qui un panorama completo delle loro possibilità. Si
rimanda volentieri alla bibliografia specifica sull'argomento.
Didattica dell’analisi
in "Bollettino del G.A.T.M." (Gruppo Analisi e Teoria Musicale), anni 2000 e 2001, II°
semestre.
(a cura di francesco bellomi)
INTRODUZIONE
Lo scopo del presente capitolo è quello di passare in rassegna i più interessanti articoli
dedicati alle metodologie e alle proposte di insegnamento dell’analisi musicale.
Sebbene questo possa essere considerato un settore strategico per la diffusione
dell’analisi e, al tempo stesso, un settore delicatissimo nel quale, in un certo senso, si
gioca con il futuro della disciplina, è sconcertante vedere quale esiguo numero di
pubblicazioni sia specificatamente dedicato alla Didattica dell’Analisi Musicale.
Fortunatamente è possibile prendere in considerazione un certo di pubblicazioni che, pur
non essendo specificatamente dedicate alla didattica dell’analisi musicale, offrono, per la
struttura utilizzata, per lo stile narrativo, per la disposizione del materiale, per il taglio
metodologico scelto, ecc., un ricco campionario di vere e proprie strategie di
insegnamento applicate all’analisi. Manca quasi sempre, è vero, una riflessione
consapevole e articolata sulla didattica dell’analisi. [Riflessione che aveva caratterizzato
un vecchio numero di Analyse Musicale (4° trimestre 1985) con articoli assolutamente
fondamentali da questo punto di vista.] Tuttavia è possibile estrarre da articoli e saggi
pubblicati nelle annate 1998 e 1999, una sorta di griglia classificatoria che permette di
orientarsi fra le strategie e le metodologie didattiche messe in atto, esplicitandone il senso
e gli scopi più o meno sottintesi.
Ecco le principali tipologie:
Il metodo analitico applicato. Generalmente si tratta del caso meno interessante dal punto
di vista didattico ma di quello più rigoroso dal punto di vista della metodologia analitica
utilizzata. L’applicazione di una certa metodologia, generalmente condivisa a livello
accademico, ad un particolare oggetto sonoro produce, in diversi casi, articoli e saggi il cui
unico obiettivo didattico sembra consistere nella riconferma della funzionalità del metodo
analitico stesso. (vedi schede)
MURRAY SCHAFER R., (1998), Educazione al suono –100 esercizi per ascoltare e
produrre suono, Ricordi, Milano.
Molti degli esercizi di percezione proposti nel testo sono in realtà dei veri e propri esercizi
di analisi del suono e del “paesaggio sonoro”. La semplicità dell’approccio e la capacità di
mettere in moto raffinate operazioni percettive con i più semplici mezzi ne fanno un testo
didatticamente straordinario, anche per la possibilità di essere usato nelle più diverse
fasce d’età e di competenza musicale. Dal punto di vista dell’impostazione teorica:
nessuna novità rispetto al celeberrimo Il paesaggio sonoro.
PEROTTI S., (1998), Johannes Brahms – Variazioni e fuga su tema di Händel, op.24 –
Analisi e orchestrazione, Ensemble ‘900 Diastema, Treviso.
Una dettagliata analisi che illustra meticolosamente gli elementi tematici, armonici, ritmici,
strutturali e di coesione del brano, è completata da una sorta di conseguenza creativa: una
orchestrazione (in stile brahmsiano) dello stesso. Una sorta di applicazione pratica, con
intenti chiaramente didattici, di quanto rilevato nella prima parte del volume.
YOUNG S. – GLOVER J., (1998), Music in Early Years, The Falmer Press, London
L’obiettivo del testo è quello di offrire a insegnanti, genitori ed educatori materiali utili per
l’integrazione della musica nell’esperienza quotidiana dei bambini dai tre agli otto anni. In
questo contesto non si parla esplicitamente di didattica dell’analisi ma molte proposte
operative implicano inevitabilmente l’utilizzo, sia pure ad un livello elementare, di concetti
e strategie analitiche. L’attenzione alla centralità del bambino, l’approccio olistico ed
integrato ai vari aspetti del fare musica (analisi compresa), l’invenzione di un corso di
“precomposizione” [pre-composition stage] nel quale il bambino possa esprimere
valutazioni qualitative e analitiche sul suo operato attraverso strategie adeguate, rendono
questo testo un ottimo strumento di lavoro per chi fosse interessato al ruolo dell’analisi
nell’insegnamento musicale fin dalla più tenera età.
GLOVER J. – YOUNG S., (1999), Primary Music: Later Years, Falmer Press, London.
Concepito come una guida per gli insegnanti di musica che operano con bambini dai sette
agli undici anni il testo utilizza in più punti alcune strategie analitiche (ad esempio una
comparazione fra le diverse tecniche vocali utilizzate nei canti bulgari, nel Cantico
dell’estasi di Ildegarda von Bingen, nei dischi di Maria Carey, ecc.) con lo scopo di
sviluppare l’individualità vocale e quindi musicale di ciascun bambino. L’accento è quindi
posto sulla attività creativa e conseguentemente sulla capacità di autovalutazione e di
valutazione degli elaborati musicali. Capacità valutativa che, esercitata attraverso l’ascolto
critico, sviluppa inevitabilmente abilità e strategie anche di tipo analitico. La presenza di
validi suggerimenti operativi collegati ad un piano organico di lavoro, un’ottima bibliografia
e discografia, rendono il libro assolutamente interessante.
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AUH M.S.- WALKER R., (1999), “Compositional Strategies and Musical Creativity When
Composing With Staff Notation Versus Graphic Notations Among Korean Students”,
Bulletin Council for Research in Musich Education, 141, 2-9.
La ricerca esamina diverse strategie creative adoperate da due gruppi di studenti: il primo
invitato a comporre utilizzando la grafia tradizionale, il secondo utilizzando grafie intuitive,
pittoriche, o comunque non tradizionali [Graphic Notation]. Una volta finito il lavoro
compositivo gli autori analizzano attraverso un questionario le modalità operative utilizzate
dai due gruppi. I risultati suggeriscono che l’uso della notazione non tradizionale ha indotto
gli studenti ad utilizzare una maggior quantità di diverse strategie compositive rispetto a
quelli che hanno utilizzato la notazione tradizionale. Anche in questo caso il questionario
utilizzato rivela un vero e proprio strumento analitico di valutazione qualitativa. Quasi mai
nel questionario si chiede esplicitamente il riconoscimento di strutture musicali, tuttavia, le
operazioni mentali di valutazione che gli studenti sono invitati a compiere, presuppongono
la messa in gioco di autentici processi analitici.
L’uso della scrittura diventa in molti casi citati un vero e proprio strumento analitico
elementare, e la strategia utilizzata per questa ricerca è esemplare per chi è interessato
all’insegnamento dell’analisi già a cinque anni.
BAMBERGER J., (1999) "Learning from the Children We Teach", Bulletin Council of
Research in Music Education, 142, 48-74.
Ancora una volta la strategia utilizzata è quella che consiste nel fare inventare ai bambini
la notazione per trascrivere delle sequenze melodiche o delle melodie da suonare con le
campane utilizzate nel metodo Montessori. L’analisi delle notazioni inventate dai bambini
dimostra che essi compiono sul materiale musicale delle vere e proprie operazioni
analitiche (ad esempio segmentando sulla base della struttura ritmica e del profilo
melodico). L’obiettivo della ricerca è quello di verificare se è possibile “aiutare gli studenti a
muoversi naturalmente e tranquillamente in mezzo a livelli di struttura, tipologie di elementi
e modalità di rappresentazione, considerando le figure musicali, i motivi, le azioni da una
parte, e l’altezza gli intervalli le durate dall’altro lato”. Viene illustrato anche un software
che offre ai bambini la possibilità di lavorare sul suono mostrando sulla stessa schermata,
con grafie non tradizionali, i vari aspetti (ritmici, melodici, ecc.) dei loro elaborati, L’unità di
percezione, descrizione e lavoro che ne deriva è considerata un elemento importante nella
strategia educativa. I risultati della ricerca fanno capire che “imparare come guardare ai
nostri postulati [analitici] attraverso gli occhiali dell’invenzione infantile ci insegna a vedere
importanti e profondi aspetti della struttura musicale che potrebbero d’altro lato rimanerci
nascosti”.
RALSTON J., (1999), "The Development of an Instrument to Grade the Difficulty of Vocal
Solo Repertoire", Journal of Research in Music Education, 47\2, 163-173.
Nell’articolo si descrive uno strumento metodologico costruito per misurare la difficoltà
esecutiva di una melodia vocale senza accompagnamento. Gli elementi analizzati e
misurati dallo strumento sono: estensione, tessitura, ritmo, frasi, profilo melodico, funzioni
armoniche e pronuncia. Lo strumento è anche in grado di verificare l’abilità degli
insegnanti di canto nel determinare il grado di difficoltà di una melodia ed è stato testato
con insegnanti con diversi livelli di esperienza. Un caso interessante di procedure
analitiche applicate per uno scopo didattico molto preciso e ben delimitato.
MAWER D., (1999), "Brindging the divide: embedding voice-leading analysis in string
pedagogy and performance", British Journal of Musica Education, 16\2, 181-195.
L’articolo illustra le benefiche ricadute didattiche dell’adozione dell’analisi schenkeriana
(con particolare attenzione all’analisi della struttura melodica) sull’insegnamento dello
strumento musicale. L’attenzione dell’autore è focalizzata sulla pedagogia del violino e
della “performance”. L’utilità di un approccio integrato all’analisi della struttura melodica e
alla pratica strumentale viene dimostrato scientificamente attraverso una vera e propria
ricerca sperimentale che confronta i risultati di un gruppo di studenti partecipanti al training
analitico-compositivo con quelli di un gruppo di controllo. Numerosi grafici analitici
illustrano chiaramente la metodologia utilizzata. Molto interessante, dal punto di vista
didattico, l’idea di innestare la metodologia analitica schenkeriana sulla chironomia e
notazione kodaliana (la urlinie 3 2 1 diventa m r d, l’urlinie 8 7 6 5 4 3 2 1 diventa d’ t l s f
m r d) con lo scopo di esplicitare la struttura melodica e le funzioni tonali in modo
facilmente utilizzabile da tutti gli studenti.
KENNEDY M. A., (1999), "Where does the music came from? A comparison cas-study of
the compositional processes of a high school and a collegiate composer", British Journal
of Musica Education, 16\2, 157-166.
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NIELSEN S.G, (1999) "Learnig strategies in instrumental music pratice", British Journal of
Musica Education, 16\3, 275-291
L’articolo illustra una ricerca svolta su due studenti organisti impegnati a identificare le
strategie di ascolto utilizzate nello studio di un difficile brano per l’esecuzione. I risultati
sono basati sulle informazioni raccolte attraverso verbali redatti sia durante che dopo le
sessioni di studio. Tutte le sessioni sono state anche videoregistrate. I risultati mostrano
come gli studenti utilizzano strategie di ascolto per selezionare e organizzare le
informazioni e per integrarle con la loro esperienza precedente. Lo studio dei
comportamenti utilizzati mostra che essi sono spesso il frutto di saperi implicitamente
analitici: ad esempio nella segmentazione dei frammenti musicali che vengono ripetuti
durante lo studio, oppure nelle modificazioni della struttura ritmica funzionale allo studio
tecnico, ecc. Nessuna precisa metodologia analitica viene richiamata o descritta
nell’articolo ma l’analisi, come strategia integrata ad altre da utilizzarsi nello studio
strumentale, è implicita e si dimostra presente anche nella dimensione più libera e
“intuitiva” del lavoro di studio dei musicisti.
SADAÏ Y., (1999), "Le rationalisme mystique d'Arnold Schoenberg: une relecture du Traité
d'harmonie", Musurgia vol VI n. 3\4, 59-73.
Qualche volta vale la pena di segnalare le perle nere. L’articolo in questione “fa le pulci” al
manuale di armonia di Arnold Schoenberg ripetendo cose e osservazioni che in Italia
erano già state scritte e pubblicate almeno quarant’anni fa. Effettivamente è vero: alcune
prescrizioni del manuale di armonia (raddoppio della fondamentale nella triade sul VII°
grado, attribuzione della funzione di dominante alla settima di sensibile in secondo rivolto,
interpretazione della sesta eccedente, ecc.) sono prive di fondamenti nella letteratura
tonale. L’autore dell’articolo illustra con dovizia di particolari tutte queste prescrizioni o
impostazioni sbagliate e le mette a confronto con le dichiarazioni di intenti di Schoenberg,
là dove si dichiara di rifarsi alle leggi della natura, all’insegnamento dei grandi autori, ecc.
Ne esce un’immagine schizofrenica di Schoenberg, considerato grande compositore (nelle
ultime dieci righe dell’articolo) ma un povero imbecille, degno di “essere spiegato
attraverso discipline che si occupano dello studio della personalità", come autore di questo
trattato, letto e chiosato come se fosse stato pubblicato oggi. Nessuna sensibilità per il
contesto culturale e teorico dell’epoca in questione, per le strategie didattiche generali
adottate e per le mille altre cose non sbagliate e forse geniali che Schoenberg ha scritto
nel suo trattato.
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COHEN J., (1999), "À propos des modéles compositionnels de J. C. Lobe", Musurgia vol
VI n.1, 33-40.
Sarebbe possibile assistere alla nascita di un’opera musicale così come, nello studio di un
pittore, si può assistere alla nascita di una opera grafica? Solo di recente la psicologia
della musica ha cominciato ad indagare il difficile terreno dei processi creativi ed a
osservarli “dal vivo”. Un musicista di tre secoli fa, Johann Christian Lobe (1797-1881), era
già convinto dell’enorme importanza didattica e culturale implicita nell’osservazione e
analisi del processo creativo attraverso gli appunti e le varianti. Nel suo Breviario dei
musicisti (1851) espone, con un linguaggio vagamente filosofico ed iniziatico ma
comprensibilissimo, i principi di questa “attenzione” ai meccanismi della creazione. I
momenti forti del suo approccio sono: Analizzare (osservare e regolamentare), Comporre
(meditare, annotare, organizzare), tutti opportunamente corredati da consigli ed
osservazioni pratiche ai giovani compositori che sono tutte molto sensate e “profumate” di
un senso di autentica poesia. Quasi commovente. Il breve articolo di COHEN racconta
questo piccolo miracolo d’intelligenza e di poesia quasi in punta di piedi.
FLOWERS P. J. (2000), “The Match between Music Excerpts and Written Descriptions by
Fifth and Sixth Graders” Journal of Research in Music Education, 48/3, 262-277
La ricerca vede impegnati quattro gruppi di studenti, due frequentanti il quinto grado e due
frequentanti il sesto grado (equivalenti elle età di 10 e 11 anni circa). A uno dei due gruppi
di ciascun livello vengono impartite per quattro giorni lezioni dove vengono forniti strumenti
utili per una descrizione verbale della musica. Le indicazioni riguardano l’uso di metafore
ed emozioni, elementi di analisi musicale, le descrizione degli elementi temporali.
Nell’esperimento tutti gli studenti coinvolti sono invitati a descrivere a parole per iscritto sei
frammenti musicali molto diversi per stile e carattere. Le descrizioni sono poi analizzate
sotto vari punti di vista e confrontate. I risultati mostrano che non ci sono differenze
statisticamente significative fra le descrizioni fornite da chi ha ricevuto i quattro giorni di
formazione e chi no, tranne per il fatto che i tredicenni istruiti nei quattro giorni menzionano
molti più elementi musicali rispetto ai coetanei che non hanno ricevuto nessuna istruzione.
Infine un gruppo di dieci esperti legge le descrizioni e cerca di abbinarle alle musiche alle
quali si riferiscono, i risultati sono analizzati statisticamente. Nonostante i risultati sembrino
deludenti per quanto riguarda l’utilità di una formazione specifica, i procedimenti analitici
utilizzati dagli studenti per redigere le loro descrizioni risultano estremamente interessanti.
Dopo ciascun incontro preliminare si nota nelle descrizioni dei due gruppi coinvolti un
significativo aumento di attenzione agli aspetti metaforici ed emozionali (I° incontro
preliminare), agli elementi di analisi musicale (II° incontro preliminare) e alla descrizione
della struttura temporale dei brani (III° e IV° incontro). I risultati della ricerca non mostrano
un significativo sviluppo nelle descrizioni fra gli studenti del quinto e del sesto grado.
Inoltre l’analisi delle descrizioni non incoraggia l’idea che un maggior numero di parole
utilizzate descrivano meglio e più accuratamente il brano in questione. Vi è una tendenza
generale ad usare in eccesso i soli termini musicali che si conoscono a discapito di una
efficace differenziazione tra una descrizione e l’altra. L’interesse della ricerca per la
didattica dell’analisi consiste nell’aver focalizzato l’attenzione dei rilievi analitici non solo
sulla tradizionale analisi musicale ma anche, e in modo sistematico, sugli aspetti metaforici
ed emozionali cioè, secondo una citazione proposta dall’autrice, su quella “buona
sostanza che viene spesso gettata via”.
MELLOR L. (2000), “Listenig, language and assessment: the pupil’s prospective”, British
Journal of Music Education, 17/3, 247-263.
L’articolo indaga il linguaggio usato da 154 bambini, dai 9 ai 13 anni, nella valutazione
delle loro proprie composizioni e per quelle dei propri compagni. Uno degli scopi della
ricerca è quello di verificare come i bambini usino le nozioni di altezza, durata, dinamica,
tempo, timbro, testura e struttura definiti dal programma statale inglese (National
Curriculum). Il compito compositivo viene presentato in modo aperto. Per non influenzare
le risposte di ascolto il compito non è svolto in un ordine consequenziale di incontri. Il
punto di partenza è una melodia senza riferimenti extra-musicali. Le attività di
composizione sono organizzate individualmente. Ogni studente ha a disposizione una
tastiera con cuffia. Ai ragazzi viene chiesto di sceglie un proprio timbro da quelli della
tastiera ma di non usare i ritmi e gli accompagnamenti già predisposti nello strumento. Gli
studenti lavorano sui loro brani in tre lezioni di 15 minuti e poi eseguono il loro brano
registrandolo. Per molti studenti questo lavoro compositivo è una esperienza nuova. Infine,
nella settimana conclusiva, gli studenti sono invitati a valutare le proprie composizioni.
Essi ascoltano le registrazioni dei propri pezzi, danno un voto fino a 10 e scrivono le
ragioni della loro valutazione. I risultati vengono catalogati e utilizzati per una analisi sia
quantitativa che qualitativa. L’analisi qualitativa è sviluppata secondo cinque categorie:
elementi musicali, stile, carattere, valutazione della composizione, valutazione
dell’esecuzione. I risultati mostrano che l’uso di un vocabolario tecnico può non mettere in
evidenza la comprensione dei fatti musicali. Viceversa, in assenza di un vocabolario
tecnico, è possibile comunque comunicare il senso della musica attraverso un linguaggio
non tecnico e ricco di metafore. Non mancano riferimenti all’influenza dei rapporti sociali
nelle risposte e un ampia trattazione delle espressioni non tecniche utilizzate dai ragazzi.
Particolarmente interessante per l’autrice il confronto fra le risposte di due gruppi di
ascoltatori. Il primo gruppo individua un ampio numero di percezioni usando un linguaggio
sia tecnico sia emotivo. Il secondo gruppo, che utilizza solo le nozioni tecniche del
National Curriculum: “sembra chiudere le orecchie alla musica e usare le nozioni tecniche
come etichette”.
alcuni schemi grafici realizzati dai ragazzi per illustrare il rapporto fra improvvisazione e
composizione.
DRATWICKI A. (2000), “Une typoloie des «Passages» dans le concerto pour piano
romantique (1800-1849): l’exemple de Johann Nepomuk Hummel (1778-1837)”, Musurgia,
VII/2, 25-40.
L’idea è intrigante, si prendono i “passaggi” cioè gli episodi di transizione nella scrittura
pianistica del concerto per piano e orchestra, in Hummel in particolare. Le osservazioni
analitiche non vanno più in la di una sorta di descrizione dei tratti ricorrenti individuati nei
vari esempi considerati. Didatticamente funzionale l’idea di restringere il campo di ricerca
ad un ambitus volutamente limitato.
TOSCANI C. (2000), “IV Congresso Europeo di Analisi Musicale, intervento alla sessione
di studio: L’analisi in Europa oggi: le diverse tradizioni e le prassi pedagogiche”, Analisi,
XI/31, 25-29.
L’intervento di Toscani alla sessione di studio svoltasi a Rotterdam il 23 ottobre 1999
delinea un quadro sintetico della situazione italiana, afflitta dai mali ben noti nei confronti di
questa disciplina: mancanza di una tradizione didattica consolidata, prevalenza
dell’approccio storico, documentaristico e filologico piuttosto che teorico e analitico,
separatezza dei conservatori rispetto al sistema generale dell’educazione, arretratezza dei
programmi di studio, ecc. Ma viene anche tratteggiata una situazione in positiva
evoluzione: la presenza dei corsi sperimentali, il riconoscimento di “Analisi Musicale” fra i
settori scientifico disciplinari dell’università, ecc. Date le premesse: “L’analisi della musica
molto più che una disciplina dotata di un proprio riconoscimento istituzionale, appare come
uno strumento per ibridazioni metodologiche o per contaminazioni interdisciplinari. […]
[Ma] se questo atteggiamento pragmatico, che collega l’analisi alle esigenze dello storico o
del musicista pratico facendone essenzialmente un sussidio didattico, ha il merito di
divulgare verso il basso i frutti della ricerca analitica, rischia tuttavia in primo luogo di
decontestualizzare gli strumenti dei quali si serve, facendone perdere di vista i presupposti
storici e ideologici che stanno alla base di ogni metodo analitico e di ogni teoria; in
secondo luogo, finisce per negare dignità teorica e autonomia alla disciplina, mettendone
in dubbio il valore scientifico, cioè la capacità di formulare chiare ipotesi di lavoro e
processi di verifica corretti ed espliciti”.
FERRIS D. (2000), “C. P. E. Bach and the art of strange modulation”, Music Theory
Spectrum, 22/1, 60-88.
L’articolo, molto ampio e ricco, focalizza una questione molto circoscritta: il modo molto
personale e talvolta tonalmente strano con cui C.Ph.E. Bach compie delle modulazioni.
L’attenzione è al solo fattore armonico. L’interesse didattico dell’articolo consiste nel modo
di condurre la ricerca, molto attenta alla relazione con la produzione teorica del periodo e
in particolare al modo con qui diversi musicisti-trattatisti (J.Ph. Kirnberger, H. C. Koch e lo
stesso C.Ph.E. Bach) affrontano il problema della modulazione. Dalla ricerca emerge con
chiarezza la volontà di C.Ph.E. Bach di usare la modulazione come una risorsa espressiva
“locale”, piuttosto che come un elemento dell’architettura formale complessiva. Ciò
succede in modo particolarmente evidente proprio nei casi di modulazioni “strane”, cioè
non in linea con i consigli dei trattati e con le abitudini “modulative” della maggior parte dei
compositori dell’epoca.
L’idea di fondo della ricerca è che, nelle musiche del periodo classico, esistano dei
comportamenti armonici significativamente più ricorrenti nelle situazioni cromatiche che si
verificano all’interno della tonalità di mi bemolle maggiore e che invece si verificano in
modo assai meno ricorrente in altre tonalità. I risultati della ricerca, molto minuziosa e
ampia mostrano chiaramente che per i tre compositori esaminati (Haydn, Mozart e
Beethoven) è esattamente così. In particolare l’enarmonia fra si bequadro e do bemolle
risulta essere uno dei mezzi più frequentemente utilizzati. Viene anche analizzato
dettagliatamente lo sviluppo del primo movimento del quartetto di Haydn op. 71 n. 3, che
risulta essere un brano di particolare interessante agli scopi della ricerca.
Pur non affrontando minimamente questioni di didattica dell’analisi, l’articolo offre un
ottimo modello didattico di ricerca, con una efficace delimitazione del campo di ricerca e
una pregevole chiarezza metodologica ed espositiva.
SMYTH D. H. (2000), “Stravinsky as Serialist: The Sketches for Threni”, Music Theory
Spectrum, 22/2, 206-224.
L’autore svolge una accurata ricerca sulla struttura seriale della prima composizione
interamente dodecafonica di Stravinsky. In questo lavoro l’esame degli abbozzi risulta
fondamentale. Anche attraverso numerosi esempi, molto chiari e puntuali, il lettore è
portato gradualmente a rendersi conto del tipo di manipolazione usato da Stravinsky nei
confronti della particolare serie di questo brano. Anche il ruolo predominante di
determinate altezze (il mi bemolle sopra tutto e in misura meno evidente il sol bemolle il la
e il do) è spiegato attraverso le particolarità della serie e delle particolari trasformazioni
scelte da Stravinsky. Infine risulta chiaro come: “Stravinsky manipola il metodo per
comporre con i dodici suoni per creare risultati analoghi a quelli dei centri e delle gerarchie
tonali”. Un ottimo esempio di come, anche con una metodologia molto semplice e
tradizionale, il lettore può essere guidato all’interno dei processi creativi di un grande
musicista con abilità e senza pesantezze. Una vera lezione di stile.
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Ecco un semplice esempio di basso con le indicazioni delle varie funzioni (si vedano
anche le funzioni indicate nel brano basato su una melodia di Kodaly nel capitolo sullo
strumentario didattico.
ACCORDI “SOSTITUTIVI”
La gran parte del jazz e della musica di grande consumo (leggera, rock, pop, ecc.) è
saldamente costruita sui principi del linguaggio tonale, seppure allargato alle scale modali
e con delle libertà rispetto alla convenzioni accademiche (nel jazz è obbligatorio fare le
quinte parallele altrimenti si rischia di andare fuori stile).
Il meccanismo delle funzioni è di solito chiarissimo nella mente di un jazzista o di un
bluesman che improvvisa. (anche se qualche volta non lo conosce dal punto di vista
teorico). Nel tempo è stato elaborato tutto un vocabolario armonico di accordi che,
conservando la stessa funzione dell’accordo di base, possono sostituirlo
convenientemente per ottenere sonorità più gradite o ambigue (molto utili per
improvvisare) o ricercate.
Questi accordi (alcuni dei quali già praticati e descritti nei manuali di basso continuo del
‘700 e scritti per esteso in diverse sonate di Domenico Scarlatti) vengono comunemente
chiamati: accordi sostitutivi.
La seguente tabella illustra solo i più comunemente praticati. Sono tutti accordi che,
sebbene classificati come dissonanti dalla teoria tradizionale, sono usati tranquillamente
come accordi consonanti. Senza nessun obbligo cioè di preparazione o risoluzione.
Alcuni di questi accordi hanno anche cifrature convenzionali ormai entrate nell’uso
riportate sopra il rigo.
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Si tratta in sostanza, nel nostro adattamento a fini didattici, di preparare una griglia già
strutturata dal punto di vista armonico. Ad esempio:
Che poi va riempito con una melodia coerente con gli accordi scritti e sovrapponibile sulle
tre righe.
Ad esempio:
Il canone si può cantare a tre voci con l’ingresso delle voci ogni tre battute. Oppure a due
voci con il ritornello a battuta 6 e una parte che ripete come ostinato di accompagnamento
le battute 7,8,e 9. Infine può essere eseguito come sovrapposizione di tre ostinati di tre
battute.
Realizzare diversi quadrati magici, più o meno collegati dal punto di vista armonico,
consente di avere una “tavolozza” di soluzioni contrappuntistiche facilmente adattabili a
qualsiasi organico vocale e strumentale.
3
In epoca moderna i procedimenti sono accuratamente descritti da Giancarlo Bizzi nei suoi due libri Specchi
invisibili dei suoni, Astrolabio, Roma e Il canone e la fuga, Berbén, Ancona.
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A,B,C,D,E = alunni
C
B D
A
E
docente
SCHEDA DI RILEVAZIONE.
Indicatori
Alunno 1 Alunno 2 Alunno 3 Alunno 4 Alunno 5
ATTIVITA’ A
Precisione della
risposta ritmica
Fedeltà alle
sfumature dinamiche
ATTIVITA’ B
Coordinamento
voce\corpo
Fedeltà alle
sfumature agogiche
ATTIVITA’ C
Precisione, fantasia,
scioltezza
improvvisativa
PUNTEGGIO
COMPLESSIVO
(in decimi 0/10)
ALUNNO 1 _____________________________________________________________
(nome cognome età strumento)
ALUNNO 2______________________________________________________________
ALUNNO 3______________________________________________________________
ALUNNO 4______________________________________________________________
ALUNNO 5______________________________________________________________
41
42
43
44
Quando tutti i candidati si sono fermati la prova si conclude. Se condotta senza interruzioni
la prova per gruppi di 5 bambini dura 15 minuti circa. Se necessario si possono
aggiungere altre prove per valutare meglio aspetti più specifici.