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La Filologia Omerica Antica e La Storia Del Testo Omerico: Franco Montanari
La Filologia Omerica Antica e La Storia Del Testo Omerico: Franco Montanari
FRANCO MONTANARI
1
Villoison (1788), Wolf (1795); cfr. Canfora (1999), Nagy (1999), Rossi (1999).
2
Schmidt (2002: 159-161).
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him. So the literary and rhetorical theories of the scholia [...] have been collected
and classified".
I progressi della seconda metà del XX secolo proseguono in modo assai
rilevante in questa parte iniziale del XXI secolo. Il primo punto isolato da
Schmidt è quello che ci riguarda in questo momento. Negli ultimi anni, la dis-
cussione intorno al metodo adottato dagli Alessandrini nello studiare il testo e
fare una 'edizione' di Omero è stata particolarmente vivace a proposito della
vera natura delle lezioni attribuite dalla documentazione erudita a grammatici di
primo piano come Zenodoto, Aristofane di Bisanzio e Aristarco: congetture ope
ingenii e basate solo su criteri soggettivi, varianti derivate dalla collazione di
copie e dunque risultato di una scelta, oppure una mistione e compresenza di
entrambe le procedure? Questo punto rimane controverso e in verità si tratta del
nodo centrale e assolutamente cruciale per tutte le questioni connesse.
Mi sono occupato di questa problematica in alcune occasioni, ricordando e
sottolineando in primo luogo il fatto che si tratta di un problema di metodo e di
princìpi, non di quantità né di qualità dei risultati. Io credo che gli Alessandrini
conseguirono la consapevolezza del fatto che un testo letterario è caratterizzato
da una storia della trasmissione, durante la quale può avere subito alterazioni di
vario genere e in vari punti, per cui il testo corretto deve essere recuperato e
restaurato o per congettura oppure scegliendo la lezione migliore fra quelle
offerte da una tradizione testuale non univoca. L'idea del riconoscimento di un
danno prodottosi nel corso del tempo, ponendo il problema del testo autentico e
della necessità di allestire metodi e strumenti intellettuali e culturali per riparar-
lo, rivela che si è stabilita l'unità organica fra interpretazione dei testi e critica
testuale e che una conquista del pensiero è stata acquisita (indipendentemente
dal tipo di risultati raggiunti).3
Negli ultimi anni il dibattito si è ulteriormente arricchito anche in seguito alle
reazioni, in senso positivo o negativo, suscitate dalle opinioni sostenute da M. L.
West,4 che segue (anche se per lo più tacitamente) una linea di svalutazione
della filologia alessandrina risalente a M. van der Valk e ripresa più recente-
3
Montanari (1998α) e (2000α), Rengakos (2002α) e (2002¿>), Montanari (2002α) e (2002Ö).
4
M. L. West (1998-2000), (2001α) e (2001&) (e West 2002); alla sua edizione dell'///ade sono
state dedicate ampie recensioni critiche da Nagy (2000) e Nardelli (200lfc), ai quali risponde M.
L. West (2001¿>); cfr. anche Janko (2000).
La filologia omerica antica e la storia del testo omerico 129
5
Si vedano le opere citate nella bibliografia; sugli interventi di van Thiel (1992) e (1997) cfr.
Montanari (1998a), Schmidt (1997) e (2002), Führer-Schmidt (2001); del lungo lavoro di Nar-
delli (2001α) vedi soprattutto pp. 57-70.
6
Rengakos (2002b), con tutti i riferimenti. Rengakos presenta anche valide osservazioni sulle
caratteristiche del testo usato come base da Zenodoto per il suo lavoro di diorthosis, in par-
ticolare sul fatto che si trattasse di un testo rapsodico ionico, sulla sua 'eccentricità' e sulla sua
'brevità': osservazioni che mi inducono a ripensare le posizioni che esprimevo in Montanari
(2002α: 123, 133-134).
7
Cfr. Montanari (1998α) e (2002α: 121-123).
' Cfr. Haslam (1997: 63-69), S. West (1967).
9
Cfr. Rengakos (1993), Rengakos (2002α), con il giusto riconoscimento al valore dell'opera di
Nickau (1977).
10
Cfr. Rengakos (2002è), Nagy (2003), infra.
" Nagy (2003).
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abbondantemente questo metodo per il suo lavoro sul testo omerico e non sia
stato Didimo a introdurlo.
Mi pare difficile rinunciare all'idea di fondo che ne consegue, quella che è di
fatto l'idea tradizionale da Wolf in poi:12 la filologia degli Alessandrini, almeno
nel caso di Omero, comprendeva insieme sia l'intervento congetturale sia la
selezione fra varianti provenienti da collazione di manoscritti, che era praticata
già da Zenodoto e certo in misura considerevole da Aristofane e Aristarco. Il
fatto che spesso non si possa dire se una lezione è una congettura o una variante
(cioè che non sappiamo quale sia il procedimento adottato in ogni singolo caso e
per quali ragioni) è un difetto della nostra informazione, che non mette in dis-
cussione la sostanza del metodo e le sue implicazioni intellettuali e culturali.
Non è stato Didimo il primo a confrontare fra loro manoscritti e precedenti edi-
zioni di Omero, a raccogliere ed accostare varianti testuali, come sostiene West:
Didimo è stato un grande erudito, che ha portato alla sua massima espansione un
metodo già consolidato, ma egli dipende essenzialmente da Aristarco per le
posizioni che esprime e per molti dei materiali che adduce (ai quali aggiunge,
con il proprio gusto di raccoglitore, la considerazione dei lavori dei numerosi
grammatici postaristarchei, che arricchiscono il quadro e il dibattito della
filologia dell'ultima età alessandrina fino alla sua epoca).
A me sembra che questo dibattito abbia un aspetto di artificialità, che
bisogna focalizzare e superare. Una osservazione attenta rivela che nessuno
degli studiosi recentemente coinvolti nel dibattito nega totalmente che i filologi
alessandrini utilizzassero la collazione di esemplari (copie anonime oppure
edizioni con una indicazione di provenienza o di paternità13), nessuno si pone in
una posizione così radicale. R. Janko non esclude affatto che gli Alessandrini
procedessero talvolta sulla base di 'manuscript evidence' da loro consultata.14
12
Cfr. M. L. West (2001α: 36): "It is time to challenge this assumption, inherited from Wolf, that
collation of different copies was a normal and essential part of what Aristarchus and his
predecessors did". La reazione è stata ispirata soprattutto dalle idee di M. van der Valk, a partire
dalla seconda metà degli anni Sessanta (van der Valk 1963-64).
13
Mi riferisco alle edizioni delle città o a quelle riferibili a una precisa persona (Antimaco, Riano,
Zenodoto, Aristofane di Bisanzio, eccetera).
14
Cfr. per esempio Janko (1992: 22-23): "It was the task of Zenodotus of Ephesus to extract order
from the chaos of MSS collected in the Museum. He evidently concluded that the then very
numerous longer MSS were inferior: S. West, in her study of the extant Ptolemaic papyri, rightly
agrees [...] His caution was salutary, given the abundance of interpolated texts; he certainly had
MS authority for some omissions"; per Aristarco, Janko (1992: 27) e (2002: 659): "This [scil. the
seemingly unequivocal statement in schol. A to II. 9.222] certainly implies that Aristarchus did
check manuscripts for variant readings". Mi sembra interessante che Janko (1998α: 206) (in
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fondo alla seconda colonna), ricordando van der Valk come efficace sostenitore del fatto che gli
Alessandrini introducevano congetture nelle loro 'edizioni', sente il bisogno di precisare: "He
[sc/Z. van der Valk] did not of course believe that all Alexandrian readings are conjectures".
Questo significa ritenere che anche van der Valk non fosse così radicale da negare del tutto
l'esistenza di lezioni provenienti da "manuscript evidence".
13
Questo è l'assunto di base nella sua visione della storia del testo in età alessandrina, ma in M. L.
West (2001α: 36) si legge una sfumatura non marginale: "In fact the first scholars known to have
cited manuscript authority for various readings are Aristarchus' contemporaries Callistratus and
Crates. Didymus is the first known to have compiled anything in the nature of a 'critical appara-
tus'". Dunque due contemporanei di Aristarco: il suo rivale in serrati dibattiti (Cratete di Mallo)
e un allievo di Aristofane di Bisanzio (Callistrato); cfr. M. L. West (2001α: 37) e Montanari
(2001α: 134).
16
West (2001α: 37 η. 19); la testimonianza di questo scolio è da ritenersi inequivocabile e irrefuta-
bile (cfr. Janko 2002: 659, Rengakos 2002¿>, Nagy 2003: 489-491), ma anche altri sono stati
addotti ed analizzati ed è inutile ripetere qui cose già dette e facilmente reperibili nella biblio-
grafia citata. A quanto pare. West non riesce a mantenere saldamente la sua posizione radicale.
17
Cfr. Montanari (2002α: 134).
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18
In termini di giusto e sbagliato, di testo originale/autentico e testo corrotto/falso: esattamente
come vogliono gli intendimenti di Janko e West nei confronti del testo omerico.
19
Rengakos (2002α: 155 η. 22, ma cfr. anche la successiva n. 23).
La filologia omerica antica e la storia del testo omerico 133
copies, and not those which have now been corrected'. We could hardly hope
for better evidence that emendation had become endemic by Zenodotus' time".20
"We can hardly know whether such conjectures are his own [scil. di Zenodoto],
or derive from the fourth-century lytikoi who proposed solutions to problems
raised by Zoilus and other 'floggers of Homer'; what count is that they are
conjectures, and nearly all bad".21
Se gli Alessandrini, oltre alle proprie, accoglievano anche congetture di loro
predecessori (la pratica di emendare era ormai 'endemica'), da dove potevano
conoscerle se non collazionando copie di Omero a loro disposizione? Questa
teoria, dunque, presuppone la pratica del confronto fra esemplari (che Janko
infatti ammette, come abbiamo visto). Ma allora non si può sfuggire a un passo
ulteriore: quando e come gli Alessandrini potevano sapere che una lezione che
trovavano in un esemplare omerico era una vecchia congettura? Dal punto di
vista di chi collaziona un manoscritto e trova una lezione, questa lezione egli
tratta di fatto come una variante rispetto a un'altra, a meno che non sappia che si
tratta di una emendatio attribuibile a qualcuno di precedente. Anche ammettendo
che tutte o quasi tutte le lezioni scelte dai filologi alessandrini fossero davvero
emendamenti, potevano essi riconoscere vecchie congetture altrui oppure dob-
biamo accettare che le trattassero alla stregua di variae lectiones di una tradi-
zione non univoca22 e che imponeva una scelta?
Siamo portati a riconoscere come del tutto plausibile e probabile, anzi dif-
ficilmente negabile, che il metodo filologico degli Alessandrini comportasse sia
il ricorso all'emendamento congetturale ope ingenti che la scelta fra varianti do-
cumentate grazie al confronto di copie (nelle quali si potevano trovare anche
vecchie congetture). Ripetiamo di nuovo: un problema di metodo, di princìpi e
di atteggiamento intellettuale, non di quantità delle applicazioni o di qualità dei
risultati.
Vorrei ritenere sgombrato il campo dalla questione di quante copie bisogna
utilizzare e quante volte bisogna consultarle perché si possa parlare di pratica
della collazione di esemplari nel lavoro filologico. Certo il problema della
qualità dei risultati appare un poco più pesante e forse fastidioso. Janko dice che
le lezioni di Zenodoto sono "nearly all bad";23 West trova che la lezione di
Aristarco "modo melior videtur, plerumque peior": in nota cita quattro casi di
20
Janko (2002: 659).
21
Janko (1992: 24).
22
E non è questa una difficoltà talvolta anche per gli agguerritissimi filologi moderni?
23
Janko (1992: 24).
134 Franco Montanari
24
M. L. West (1998-2000: vol. I, Praefatio VII).
23
Sull'operato dei filologi alessandrini e sulla qualità dei loro risultati esistono beninteso valuta-
zioni di altro genere.
26
Janko (2002: 661): "As a scholar of Hellenistic poetry, Rengakos' proper concern has been
whether-such readings were pre-Hellenistic, and his work has shown decisively that they
sometimes were. My own concern, as a Homerist, has always been whether such readings are
authentic, as when I wrote 'We can hardly know whether such conjectures are his own [scil. di
Zenodoto], or derive from the fourth-century lytikoi who proposed solutions to problems raised
by Zoilus and other 'floggers of Homer1; what counts is that they are conjectures, and nearly all
bad' [cfr. supra e η. 21], I was then too pessimistic about the limits to our knowledge of pre-
Hellenistic scholarship; but the evidence, whether it derives from the analysis of Homeric dic-
tion, historical linguistics, oral composition, archaeological discovery. Linear B, or the principles
of textual criticism, still demonstrates that most such readings derive from manuscripts [corsivo
mio] which have been 'improved' by scholarly and rhapsodic interpreters, like those against
which Timon is said to have warned Aratus"; cfr. Montanari (1998f>).
27
Cfr. West (20016).
La filologia omerica antica e la storia del testo omerico 135
28
Diversa la prassi editoriale di van Thiel, che sceglie il testo della vulgata dei codici, mostrando
una decisa sfiducia sulla possibilità di risalire in modo plausibile a un testo 'originale'.
136 Franco Montanari
M
Pfeiffer (1968: 214, 231).
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sua attenzione sulla formazione e fissazione precoce di un testo unico dei poemi,
svalutandone le successive modifiche rapsodiche.
Forse il quadro è eccessivamente semplificato e certamente non rende giusti-
zia alle diverse posizioni e alle singole idee degli omeristi, che potranno preci-
sare moltissimi punti e criticare le inopportune imprecisioni. Serve solo per con-
cludere quella che ritengo sia stata la linea essenziale dei ragionamenti svolti fin
qui. Dobbiamo fare ogni sforzo per tenere distinta la valutazione del significato
e dell'importanza storico-culturale della filologia alessandrina nella storia del
pensiero dal ruolo che intendiamo assegnare ai filologi alessandrini nelle nostre
idee sul problema della genesi dei poemi omerici.
Bibliografia