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Domenico Accorinti
a Mario Gandini
Nel recensire su Classical Review del 2009 la bella edizione del carteggio
Rostovtzeff–Cumont, pubblicata nel 2007 e frutto di una cooperazione
internazionale, Richard Gordon ha notato opportunamente in apertura:
These exchanges can be used to illuminate the network of personal relationships that
sustained the world of Altertumswissenschaft in the first half of the last century,
before that role was taken over by the rise of the academic conference and, more
recently, the internet (Gordon 2009, 286).
E, non diversamente da lui, quel maestro indiscusso della Wissenschaftsgeschichte,
che risponde al nome di William M. Calder III, discutendo su Gnomon, sempre
nel medesimo anno, della coeva edizione delle lettere di A. E. Housman curata
dallo scozzese Archie Burnett, ha esordito in questi termini:
I have repeatedly urged publication of the letters of great modern classical scholars.
Those of Mommsen and of Wilamowitz alone justify the task. Before the
telephone, scholars stated candidly in letters to trusted friends views they would
never express in print. Once fifty or more years have passed these personal
communications become historical documents (Calder 2009, 366).
Bene, sono ormai passati cinquant’anni dalla morte di Raffaele Pettazzoni
(1883 – 1959), il fondatore della cosiddetta scuola romana di storia delle
* L’articolo riproduce, con qualche aggiunta e modifica, il testo della relazione tenuta alla
9th EASR Conference and IAHR Special Conference La religione nella storia della cultura
europea – Religion in the History of European Culture, 14 – 17 September 2009, University
of Messina, Department for the Study of Late Antiquity, Middle Ages and Humanism.
La citazione francese del titolo tratta da una lettera di Herbert J. Rose a Raffaele
Pettazzoni datata 7 febbraio 1946 (ho apportato alcune correzioni al testo originale
[“notre but principale, je crois, c’est de faire un livre le plus parfait que soit possible dans
l’tat actuelle de nos tudes”]). A John Scheid, che ha letto con attenzione il testo,
trovandosi spesso (una volta tanto…) d’accordo con Rose, “che peraltro non un gran
razionalista nello studio delle religioni” (email, 27. 05. 2010), desidero qui esprimere la
mia gratitudine.
religioni, e poco pi dalla lettera che il suo amico e coetaneo Herbert Jennings
Rose (1883 – 1961), quel geniale studioso canadese che insegn greco all’Uni-
versit di St Andrews dal 1927 al 1953 e ci ha lasciato una messe sterminata di
contributi, solo in parte noti, sul folklore e la religione antica,1 gli scriveva il 23
dicembre 1958, l’ultima di un intenso carteggio (ben 218 lettere) tra i due,
iniziato nel dicembre 1927, del quale sto preparando l’edizione per la collana
Texts and Sources in the History of Religions di Brill.
Queste lettere che Pettazzoni si scambi con Rose, l’autore della traduzione
inglese di due suoi libri, gli Essays on the History of Religions, una raccolta di vari
saggi di storia delle religioni, gi pubblicati su riviste italiane e straniere, e The
All-Knowing God, l’editio minor del volume einaudiano L’onniscienza di Dio
(Pettazzoni 1955),2 sono dunque da considerare a ragione, come altri carteggi
eruditi, e per il corpus pettazzoniano mi limito qui a citare solo la corrispondenza
con Mircea Eliade edita da Natale Spineto,3 dei documenti storici che fanno
luce sulle vicende private e pubbliche di studiosi che ancora affidavano alla carta
– per fortuna verrebbe da dire, temendo dell’ignoto destino che sortiranno le
email “scientifiche” cui ci siamo ormai da tempo convertiti – il diario quasi
quotidiano della loro esistenza.4 E le corrispondenze scientifiche sono in molti
casi davvero uno specchio dell’animo umano se talvolta possono anche servire,
come ha mostrato Guy G. Stroumsa nell’introduzione alla sua edizione delle
lettere di Morton Smith e Gershom Scholem, a provare l’onest intellettuale di
uno studioso, nella fattispecie quella di Smith, autore della discussa scoperta nel
1958, tra i libri del monastero palestinese di Mar Saba, di una lettera di
Clemente di Alessandria che menzionava un vangelo segreto di Marco.5
Al carteggio Pettazzoni–Rose, conservato negli archivi della biblioteca
comunale “Giulio Cesare Croce” di San Giovanni in Persiceto (Bologna) sotto le
vigili cure di Mario Gandini, il responsabile del fondo Pettazzoni,6 ho gi
1 Una rivalutazione di questo studioso, anche alla luce di interessanti materiali inediti,
contenuta nel mio articolo “Herbert Jennings Rose (1883 – 1961): The Scholar and his
Correspondents”, in corso di pubblicazione su ICS 34, che rielabora il testo della
relazione presentata il 5 aprile 2009 a The Classical Association Annual Conference 2009
held jointly with The Classical Association of Scotland and hosted by the Department of
Classics, University of Glasgow.
2 Cf., rispettivamente, Pettazzoni 1954 e Pettazzoni 1956.
3 Spineto 1994.
4 L’importanza dei carteggi scientifici il tema dei contributi raccolti in Bonnet–Krings
2008.
5 Cf. Stroumsa 2008, XIII–XXI. Sull’edizione del carteggio Smith–Scholem in corso di
stampa la mia recensione su Gnomon.
6 Vd. Gandini 2003a. La monumentale biografia di Pettazzoni, pubblicata da Mario
Gandini fra il 1989 e il 2009 su Strada maestra, ora disponibile online su
www.raffaelepettazzoni.it, dove si trover altro materiale che riguarda il grande storico
delle religioni.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 123
7 Accorinti 2009.
8 Alludo a quanto si legge nella Premessa di Bianchi 1979, 9: “Repetita iuvant. Dunque il
lettore non si meravigli se in questi saggi si ritorna talora, ma con diverse visuali, sugli
stessi argomenti e, qualche volta, con le stesse formulazioni. A mio avviso c’ oggi il
bisogno di formulazioni rigorose dei problemi e delle proposte di soluzione; – e quando
si ritiene di averne data qualcuna con il minor numero di parole e con la massima
possibile pertinenza di termini non bene variarla per amore di novit”.
9 Il numero tra parentesi si riferisce all’ordine progressivo delle lettere cos come da me
registrato nell’inventario del carteggio (Accorinti 2009, 191 – 5), dove da correggere la
successione delle lettere 23 – 32 che riporta erroneamente come posteriore al 12. 03.
1937, attribuendole il n8 23, la minuta senza data di Pettazzoni che precede invece
cronologicamente la lettera di Rose del 9 maggio 1938, grazie alla quale siamo in grado
di datarla con certezza al 3 maggio 1938.
10 Preferisco citare Pettazzoni 1956 usando entrambe le maiuscole in All-Knowing, come
appare sul libro pubblicato da Methuen, nonostante nel carteggio prevalga l’ortografia
All-knowing. Per l’oscillazione nella grafia cf. E. O. James, rec. a Pettazzoni 1956, Folklore
68 (1957), 306 – 7 e Id., “Professor Raffaele Pettazzoni”, ibid. 71 (1960), 132.
chiedeva a Rose di essere con lui indulgente se avesse trovato in quelle parti del
suo libro alcune argomentazioni, ad esempio su Janus, divergenti dalle sue, e lo
pregava di inquadrarle nel contesto complessivo della sua opera:
Mon cher ami et Confrre,
je vous enverrai demain deux autres chapitres de mon livre. Ils sont ddis aux
religions des peuples classiques. Votre jugement me sera particulirement prcieux.
Vous y trouverez exposes des opinions qui peut-Þtre ne sont pas les vtres (p. ex. au
sujet de Janus). Je fais appel votre indulgence, en vous priant de bien vouloir
considrer mes argumentations dans le cadre d’ensemble de mon ouvrage.
Il presentimento di Pettazzoni era pi che fondato perch, a distanza di un mese
esatto, il 3 giugno 1938, Rose, che aveva gi tradotto “assez librement” i due
capitoli sulle religioni del mondo classico, scriveva all’amico una lettera (n8 34)
nella quale, dopo alcuni ragguagli su secondari interventi di carattere redazio-
nale da lui apportati al manoscritto, abdicava al ruolo ufficiale di traduttore per
assumere quello del critico rigoroso e demolire l’interpretazione “celeste” che
l’autore aveva dato a tre figure del mito: Argo, Ecate e, last but not least, Janus.
Secondo Rose, nel caso di Argo pamºptgr, Pettazzoni sarebbe giunto a una
conclusione viziata da una non distributio medii, che potremmo esemplificare in
questo modo:
1) Tutti gli di celesti hanno molteplici occhi;
2) Argo ha molteplici occhi;
igitur
3) Argo una divinit celeste
Per quanto riguarda invece Ecate e Janus, il carattere ctonio e non celeste di
queste figure mitologiche risulterebbe con evidenza proprio da alcune citazioni
che, pur presenti nelle note dell’autore, non sono state da questi utilizzate o lo
sono state in maniera impropria. Per Ecate, ad esempio, la testimonianza di
Apollod. ap. Ath. 325 a (244 F 109), )pokkºdyqor d³ 1m to?r peq· He_m t0
:j²t, vgs· h¼eshai tq¸ckgm di± tμm toO amºlator oQjeiºtgta7 tq¸loqvor c±q B
heºr, che parla dell’offerta di un pesce (tq¸ckg, “triglia”) alla dea, basterebbe a
provare l’origine non celeste di Ecate, in quanto i pesci si sacrificavano soltanto
alle divinit ctonie; per Janus, invece, i theologoumena di Varrone o di
grammatici pi tardi (egli allude ad autori come Macrobio e Giovanni Lido),
che implicano una interpretazione cosmica del dio, sono una specie di
mythological trash per Rose11 ed egli rimane fermamente convinto che il ruolo
11 Non diverso il giudizio di Capdeville 1973, 396 – 7, vd. inoltre Simon 1990, 618: “Die
Tatsache etwa, daß Macrobius I. mit dem Sonnengott gleichsetzt, entspricht sptantikem
Denken und sollte nicht dazu fhren, I. als ursprnglichen Lichtgott zu erklren”;
Thraede 1994, 1270 – 1. Secondo Thomas 1987, 295 n. 20 non invece prudente
scartare a priori le interpretazioni simboliche di Janus che troviamo in Macrobio e nei
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 125
dans la generalis inuocatio des dieux, il ne faut pas oublier que Vesta en occupe le
dernier rang; faut-il donc croire que cette grande desse tait la moins vnre de
toutes le [sic] divinits romaines?16 Si, au contraire, on laisse a [sic] Ianus sa poste de
numen des portes (non pas des portes de ville, que personne, en latin, n’appellait
[sic] jamais ianuae) il est trs facile d’en dduire le reste de ses fonctions et d’en
suivre le dveloppement historique.17 On commence par Ianus, parceque [sic], pour
entrer, il faut passer par la porte; et ainsi de suite. On n’a qu’a [sic] lire le bel livre
d’A. van Gennep, Les rites de passage, pour apprendre combien sont importants les
seuils tant rels que mtaphoriques dans les crmonies du monde entier.18 Et Ianus
quadrifrons, rien de plus naturel que d’attribuer quatre visages un numen qui
surveille les transitiones peruiae et par consquent les carrefours.
Vous concevez, cher confrre, que c’est parceque [sic] je trouve excllent [sic] la
plupart de votre livre que je m’en permets une critique si rigoureuse. J’attends avec
interÞt les autres chapitres.
La risposta a Rose contenuta in una lunga minuta di Pettazzoni del 12 giugno
1938 (n8 35), fitta di correzioni, cancellature e aggiunte interlineari,19 nella
quale egli ringrazia l’amico delle sue osservazioni critiche che accetta in parte,
riconoscendo di essersi forse lasciato influenzare un po’ troppo da un approccio
sistematico al tema da lui trattato nel libro. Che ben venga, dunque, scrive
all’inizio Pettazzoni, “le monitus du critique rigoureux”, ma in seguito, nel
replicare punto per punto alle perplessit sollevate da Rose nella precedente
lettera, vediamo come egli, nella sostanza, non modifichi le sue teorie “celesti”.
Cominciando proprio da Janus, l’ultima delle figure mitologiche a essere
discussa da Rose, Pettazzoni sente che la bicefalia lo proietta in un ambito
diverso da quello assegnatogli dalla religione romana, anche se, pronto a parare
l’obiezione dell’amico, sa bene che “avec du sentiment on ne fait pas de la
science”. Egli inoltre mostra di non credere alla derivazione etimologica di Janus
da ianua e si appella, pace Rose, proprio alla testimonianza di Varrone (L. L. 7,
26 – 7) relativa all’invocazione divum deo del Carmen Saliare, un dato, secondo
Pettazzoni, non privo di importanza. Nel caso di Argo, anche se non pu essere
di Janus come “numen des portes” (vd. infra). Per la testimonianza di Varrone cf. la
sezione dedicata a Janus nelle Antiquitates rerum divinarum (frr. 230 – 4 Cardauns).
16 Cf. Cic., Nat. deor. 2, 67. Sui destinatari della praefatio sacrorum vd. Scheid 1990, 330.
17 Su Janus vd. Rose 1926, 47 – 8, “In the Forum there stood an old gateway, probably
never used for any practical purposes, for it does not appear ever to have been on the line
of the city walls, and known as the ianus. Ianus was also the name of the god of gates,
from whom the first month of the year is still named, January. It is not true to say that he
lived in the gate, or that the gate was his temple or even his image; he was the gate itself ”
(l’affermazione finale [“he was the gate itself ”] da leggere alla luce di quella teoria
predeistica del numen–mana di cui Rose fu sostenitore e che fu aspramente criticata da
Dumzil 1966, 33 – 45, vd. infra n. 45), aggiungendo sia la sua recensione all’edizione
dei Fasti di Frazer (JRS 19, 1929, 237) sia la sua voce “Janus” nell’OCD 2.
18 A. van Gennep, Les rites de passage, Paris, mile Nourry, 1909.
19 Nella trascrizione ho preferito mantenere la prima redazione, omettendo – salvo i casi in
cui lo richieda la costruzione della frase – le aggiunte interlineari.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 127
provato che sia stato un dio, egli continua a pensare che sia una personificazione
del cielo stellato sulla base dell’analogia con Zeus Larisaios venerato ad Argo.
Quanto poi a Ecate, Pettazzoni, se concorda con Rose sul fatto che essa fosse
anche una divinit ctonia, ritiene per che nell’Inno omerico a Demetra sia da
identificare con la Luna e questo depone, a suo avviso, per una origine astrale.20
Che cosa dunque Pettazzoni, dopo la “critique si rigoureuse” di Rose, era
disposto a modificare in quei capitoli? A leggere questa sua minuta, che
contiene alla fine anche un accenno alla contestata teoria roscheriana di Hermes
Windgott cui Rose aveva fatto riferimento nella precedente lettera, egli avrebbe
soltanto riformulato le sue idee in maniera meno assertiva, rimandando per
questa revisione a un altro momento:
Cher ami et confrre,
je vous remercie beaucoup de tout ce que vous avez fait pour complter et amliorer
mon travail. Je vous remercie aussi de votre critique, et je l’accepte en partie. Il se
peut que l’esprit systmatique m’ait entra
n parfois un peu trop loin: c’est alors que
le monitus du critique rigoureux est particulirement salutaire.
Pour Janus la donne capitale – dans le cadre de mon ouvrage – est la
bicphalie. Je sens que par cette monstruosit Janus sort du cadre tabli de la religion
romaine, et qu’il appartient un milieu diffrent. Vous direz qu’avec du sentiment
on ne fait pas de la science. Mais Varron est l, qui assigne Janus aux trusques.21
D’accord que Varron reprsente dj la spculation thologique. Mais il y a lieu
sparer dans Varron ce qui est sa propre opinion personnelle spculative de ce qu’il
dit en se rclamant de la tradition (‘trusque’). Le quadrifrons de Falrii [sic] a aussi
t mis en question; mais tout au plus on pourra douter qu’il tait rellement un
Janus, – ce qui, pour le problme en question, a une importance secondaire.22
L’tymologie est obscure. Je vois que Altheim, dans son rcent volume de Methuen,
p. 194,23 n’admets [sic] pas non plus que la ianua ait donn origine Janus (sauf
faire de Janus un “nomen actionis”, comme s’il signifiait “the ‘going’ [!!] (old Indian
yana [!!!])”24 ce qui nous ramne l’tymologie des anciens, Janus ab eundo, avec la
mÞme valeur, je crois, quepVenus a veniendo !!!! Ce n’est pas dire, naturellement, que
l’tymologie de Janus de div- soit satisfaisante. Le Carmen Saliare avec son divum
deo garde, pour moi, son importance.25
20 Per Ecate e il suo ruolo marginale nell’Inno omerico a Demetra vd. F. Cssola, Inni
omerici, [Milano], Fondazione Lorenzo Valla–Arnoldo Mondadori Editore, 19884, 469 –
70.
21 Cf. Varr., Ant. rer. div., fr. 201 Cardauns. Per il rapporto tra Janus e la divinit etrusca
Culsans vd. Simon 1989.
22 Su Janus Quadrifrons cf. Pettazzoni 1955 – 6, 85; Turcan 1981, 385 – 7; Thraede 1994.
23 Il libro di F. Altheim a cui allude Pettazzoni A History of Roman Religion, translated by
H. Mattingly, London, Methuen, 1938 (vd. la rec. di C. Bailey, CR 52, 1938, 235 – 6).
24 Cf. Schilling 1987.
25 Sull’etimologia di Janus vd. Pettazzoni 1956, 167: “… [some] have tried to make Janus,
even linguistically, a doublet of Juppiter, in other words a form of the sky-god himself,
whose name, Dianus, from the root DIV, ‘to shine’, would be merely a dialectical form of
Diouis, as in Greek Zen is alongside of Zeus. The etimology is unsound, and so the whole
Quant Argos, il n’est pas possible de prouver qu’il ait t un dieu, c’est--dire
qu’il ait reÅu un culte (le hros Argos tant autre chose); mais l’analogie de Zeus
‘Larisaios’? 3 yeux Argos est intressant; et en tous [sic] cas je ne saurais pourtant
renoncer voir dans Argos une personnification du ciel toil (Io, la vache, tant
ventuellement la lune, c’est dire le croissant cornes).
Quant Hkat, je suis naturellement d’accorde [sic] qu’elle tait aussi une
divinit chthonienne; c’est dans la nature mÞme d’une desse lunaire (et, par l,
nocturne). Dans l’hymne homrique Dmter, cependant, je suis persuad qu’elle
est la lune; si elle tait catachthonienne, elle ne verrait ce qui se passe sur la surface
de la terre pas mÞme la nuit. – Et l’on ne comprendrait qu’elle ait t remplace en
Ovide par la Hlike [sic], la constellation de l’Ourse, si elle n’tait dj une divinit
astrale.
En somme, je suis dispos, si vous y consentez, remanier ces parties de faÅon
leur donner une expression moins assvrative, et plus hypothtique, toujours en
rapport aux ides centrales de mon travail. Je voudrais, cependant, renvoyer cette
revision [sic] un autre moment pour ne pas interrompre mon travail actuel. […]
Je vous dois encore une reponse [sic] quelques questions particulires. Je ne
suis pas dispos accepter la thorie de Roscher de ‘Hermes als Windgott’.26 […]
Excusez-moi, je vous en prie, de cette longue lettre; et croyez toujours mes
sentiments amicaux.
La lettera successiva di Rose del 17 giugno 1938 (n8 36), nella quale il
“traduttore-critico” dimostra di apprezzare l’intenzione di Pettazzoni di correg-
gere in parte alcuni paragrafi del suo “beau livre”, fornisce un’altra prova del
fecondo dialogo a distanza fra i due studiosi, che continuano a restare divisi sul
carattere celeste di Janus, postulato da Pettazzoni e rifiutato da Rose, il quale, a
proposito dell’immagine a due teste, non nega che essa sia appartenuta in
origine a un dio celeste, ma, come nel caso dell’iconografia di Maria Vergine con
il bambino, influenzata dall’Isis lactans egiziana,27 probabile che l’immagine di
edifice falls, but the problem remains open, and calls for a different solution”. Per il
Carmen Saliare cf. ibid., 167 e 173 n. 46: “diuom deo, perhaps also diuom parentem, in
the hymn of the Salii, Varro, de ling. Lat. vii, 26, cf. Macrob., Sat. i, 9, 14 – 15 (patrem
quasi deorum deum)”. Vd. inoltre H. H. Scullard, Festivals and Ceremonies of the Roman
Republic, London, Thames and Hudson, 1981, 61: “Janus’ power was emphasized in the
hymn of the Salii, where he is called ‘god of gods’ (divom deus), while to some in Ovid’s
time he had become a sky- or cosmic god”.
26 Gag 1979, 27 – 9, discutendo di Borea bifrons (cf. 140 – 2) come possibile modello di
Janus, riferisce (27) la notizia del lessico di Roscher secondo cui anche Janus era un dio
del vento (cf. ALGRM, s.v. “Boreas”, 809: “[…] Ianus, der ohne Zweifel auch ein
Windgott war”), e in nota (43) menziona l’autore della voce, A. Rapp, ma erroneamente
rimanda per la citazione alla RE.
27 Sul parallelo Maria/Isis lactans vd. V. Bartoletti, “La Madonna con il Bambino in un
papiro copto di Antinoe”, in Studi in onore di Luisa Banti, Roma, “L’Erma” di
Bretschneider, 1965, 29 – 31; V. Tran Tam Tinh (avec la collaboration de Y. Labrecque),
Isis lactans. Corpus des monuments grco-romains d’Isis allaitant Harpocrate, Leiden, Brill,
1973; F. Dunand, Isis, mre des dieux, Paris, Errance, 2000, 161 – 8; T. F. Mathews–N.
Muller, Isis and Mary in early icons, in M. Vassilaki (ed.), Images of the Mother of God.
Perceptions of the Theotokos in Byzantium, Aldershot, Ashgate, 2004, 3 – 11; E. S.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 129
un dio celeste onniveggente sia stata trasferita per analogia a un’altra divinit
che, in quanto numen della porta, vedeva davanti e di dietro. Dello stesso tenore
sono le riserve da lui mosse a Pettazzoni per l’interpretazione di Apollo come dio
solare, un’invenzione questa, com’ noto, del V sec. a.C., mentre Rose rimane
convinto che gli epiteti Nomios e Lykeios siano di per s sufficienti a spiegare la
natura originaria del dio.28 Da qui, nuovamente, il suo consiglio di modificare
un poco il testo in quei passaggi:
Cher ami et confrre,
Je suis trs content que ma critique vous fera modifier quelque peu certaines [sic]
paragraphes de votre beau livre. […] Pour l’iconographie de Ianus, je suis d’accorde
[sic] qu’originairement la tÞte deux visages a appartenu un dieu cleste; mais on
sait comme il a toujours t facile de transfrer les attributs d’un dieu un autre qui
lui ressemble quelque peu; combien y a-t-il d’images de la Sainte Vierge inspirs
[sic] par ceux d’Isis, pour example [sic]? L’image d’une mre s’est appliqu [sic] a
[sic] une autre mre, quoique Marie ne soit ni gyptienne ni purement
mythologique; ainsi, selon moi, l’image d’un dieu qui voit tout, parce qu’il est
cleste, a trs bien pu Þtre adopt [sic] pour en representer [sic] un autre qui voyait
devant et derrire parce qu’il est le numen de la porte.
Deux ou trois fois aussi, vous avez parl d’Apollon comme dieu solaire. Il est
vrai qu’Apollon-Hlios fut une divinit des plus populaires l’poque grco-
romaine, et mÞme avant cette poque; mais au 5ime sicle av. J.-C. la doctrine de
l’identit des deux tait encore sotrique, voir le frag. 781, 11 (Nauck2)
d’Euripide.29 Ne vaudrait-il pas mieux de modifier un peu le texte de votre livres
[sic] ces endroits? Pour moi, il est presque certain que la nature originaire de ce
dieu s’explique par ses pithtes de Nomios at [sic] Lykeios; qu’il tait un dieu des
pasteurs, puissant les protger, eux et leurs troupeaux, contre les loups.
Bolman, The enigmatic Coptic Galaktotrophousa and the cult of the Virgin Mary in Egypt,
ibid., 13 – 22.
28 Vd. Rose in OCD 2, s.v. “Apollo”: “It was conjectured as early as the fifth century B.C.
(Euripides, fr. 781, 11 – 13 Nauck; Aesch., ap. [Eratosth.], Catast. 24 is uncertain) that
Apollo was the Sun, and this theory prevailed in Hellenistic and imperial times and was
for a while revived by modern scholars. It lacks, however, any real evidence (see Farnell,
136 ff.). It is more likely that the god’s origins are to be sought in his titles of Nomios
and Lykeios” (82). Sulla natura solare di Apollo come una invenzione del V sec. a.C. vd.
H. S. Versnel, Inconsistencies in Greek and Roman Religion II: Transition and Reversal in
Myth and Ritual, Leiden, Brill, 19942, 292 n. 9; F. Graf, Apollo, London–New York,
Routledge, 2009, 121 – 3. Per gli epiteti di Apollo Nomios e Lukeios vd. M. P. Nilsson,
Geschichte der griechischen Religion, I, Mnchen, Beck, 19674, 536 – 8.
29 Vd. TrGF 5.2, fr. 781, 11 – 3 con Kannicht ad loc.: § jakkivecc³r Nk¸, ¦r l4 !p¾kesar j
ja· tºmd47 )pºkkym d4 1m bqoto?r aqh_r jak0, j fstir t± sic_mt4 amºlat4 oWde dailºmym.
30 Gandini 2003c, 192 riferisce che Pettazzoni, nell’ottobre o novembre 1939, ricevette un
catalogo da Blackwell che conteneva “A select list of forthcoming and recently published
books”, dove, a p. 3, fra i libri di materia antropologica, appariva The Omniscience of God
tradotto da Rose: “This work, which contains new and interesting views, by a most
distinguished foreign anthropologist whose work has not yet appeared in translation, will
arouse excitement and controversy amongst anthropologists, theologians and folklorists”.
31 Rose 1949.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 131
quanto egli ritiene che n Janus n Jana siano da mettere in relazione con l’inizio
di fenomeni celesti quali le fasi lunari:
I am glad you liked my Marett lecture, but my conclusions concerning Iana Luna
are just the opposite of yours, namely that neither Ianus nor Iana has any kind,
which on occasion may include the beginnings of celestial phenomena, such as the
phases of the moon.32
Di Janus, successivamente, Pettazzoni parla in una lettera del 12 febbraio 1952
(n8 114), anticipando a Rose l’invio del X capitolo del suo libro dedicato
all’antica Roma. A leggerla, sembra quasi che Pettazzoni voglia giustificarsi agli
occhi del traduttore-critico per la sua interpretazione di Janus come un dio
solare – diversa quindi da quella di Cook e Frazer – in rapporto con il tempo e il
calendario romano. Pettazzoni ha l’onest, gli va riconosciuto, di ammettere che
la dimostrazione della sua tesi non inconfutabile, ma ritiene, tuttavia, di aver
fornito alcuni argomenti degni di essere tenuti in conto. E, sul finire, si appella
ancora al giudizio autorevole di Rose:
Je vous enverrai dans deux jours le manuscrit de mon Chapitre X ‘Ancient Rome’. Il
s’agit de Jupiter et de Janus.33 Ma thse sur Janus, vous la connaissez; il s’agit pour
moi non pas d’un dieu du ciel la Cook <ou vel et> Frazer, mais d’un dieu solaire,
en rapport avec le calendrier. Je ne prtands [sic] aucunement d’avoir [sic] donn la
dmonstration absolue de cette thse; je crois cependant que les quelques indices
que j’ai signal<s> mritent d’Þtre pris en considration. Je suis anxieux d’avoir
votre opinion sur cette matire qui touche de si prs votre comptence.34
32 L’interpretazione di Janus come un dio lunare rifiutata da Schilling 1960, 101. Per la
scarsamente attendibile etimologia proposta da Nigidio Figulo e riportata da Macrobio,
Sat. 1, 9, 8 (Pronuntiavit Nigidius Apollinem Ianum esse Dianamque Ianam, adposita D
littera, quae saepe I litterae causa decoris adponitur: reditur, redhibetur, redintegratur et
similia), vd. Capdeville 1973, 400 – 1 e Turcan 1981, 400, il quale osserva anche che,
nell’inno VI di Proclo, Janus associato a Ecate, cf. van den Berg 2001, 262 – 4 (comm. a
hymn. 6, 3 ]ame pqop²toq).
33 Il capitolo X in Pettazzoni 1956 (163 – 77) diviso in tre paragrafi (“Juppiter”, “Semo
Sancus”, “Janus”), cf. Pettazzoni 1955 (240 – 58).
34 Cf. Pettazzoni 1956, 167: “… [some] have tried to make Janus, even linguistically, a
doublet of Juppiter, in other words a form of the sky-god himself, whose name, Dianus,
from the root DIV, ‘to shine’, would be merely a dialectical form of Diouis, as in Greek
Zen is alongside of Zeus. The etymology is unsound, and so the whole edifice falls; but
the problem remains open, and calls for a different solution. Janus’ priority in time,
which is so hard to derive from a spatial complex centring around either the ianus or the
ianua, appears in a new light if we deduce it from Janus as a god of time. A god of time
Janus is, in fact, a god of the day, the month and the year, of the first hour of the day
[…], of the first day of the month, the kalends, the first month of the year, Ianuarius
[…], and also of all the other months, his sanctuary containing twelve altars”. Cook e
Frazer sono citati da Pettazzoni 1956, 173 n. 41: “A. B. Cook, Zeus ii (Cambridge 1925),
p. 338 sqq.; Sir J. G. Frazer, G. B. 3 ii (London 1911), p. 382 sqq., Fasti of Ovid (London
1929), ii, p. 93 sqq., Aftermath (London 1936), 192, quoting Max Mller”. Per la figura
Chi penserebbe di trovare nel carteggio ancora un’altra replica di Rose alla tesi di
Pettazzoni sulla natura solare di Janus, sbaglierebbe. Egli si limita in un primo
tempo, nella risposta del 24 febbraio 1952 (n8 115), a comunicare all’amico di
aver ricevuto il capitolo “Ancient Rome” e di avere iniziato a tradurlo:
Cher ami et collgue,
Cette fois, rien que deux lignes pour vous faire savoir que le chapitre sur Ancient
Rome est arriv en bon tat, et que j’en ai commenc la traduction.
In seguito, nella lettera del 16 maggio 1952 (n8 118), che accompagna l’invio
dei capitoli “Greece” e “Rome” e del testo della prefazione al libro, Rose si
dichiara ancora disponibile ad accogliere eventuali modifiche di Pettazzoni in
quei capitoli e a rifarne la traduzione:
Cher Ami et Collgue,
Je vous envoie les chapitres (Greece et Rome) et le texte de la prface, mais la
traduction se trouve toute entire chez MM. Methuen et C[ompagn]ie et je n’en ai
pas d’exemplaire. […] Si vous voulez changer quelque chose dans ces chapitres,
faites-le moi savoir au plus tt, je vous en prie; il est toujours temps pour en refaire
la traduction.
Di Janus, per, non si parla pi, neanche un accenno, almeno in queste lettere
del carteggio che possediamo, e il silenzio di Rose, dopo la lettera dell’amico del
12 febbraio 1952, eloquente: egli avr compreso che Pettazzoni non avrebbe
mai abiurato a quella tesi esposta gi nei capitoli inviatigli nell’ormai lontano
maggio 1938, quando lo studioso italiano, prevedendo le critiche di Rose, lo
pregava di considerare i suoi argomenti “dans le cadre d’ensemble” della sua
opera consacrata all’onniscienza divina.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 133
originarie sul carattere celeste di Janus e Argo, dall’altra, nel trattare di Ecate, ha
eliminato – surrettiziamente, oserei dire – una citazione “scomoda”.
Ma procediamo per ordine. Nel caso di Janus, Pettazzoni, dopo aver
riportato la communis opinio che mette in relazione l’aspetto bifronte della
divinit con il suo ruolo di ianitor che sorveglia l’entrata e l’uscita dalla soglia, e
aver osservato che, linguisticamente, non ianus a derivare da ianua, ma ianua
da ianus, prepara l’esposizione della sua teoria “solare” su Janus:
The double face, according to the current opinion, which sees in Janus the deity of
the gate in the form of a ianitor or porter […], reflects simply the god’s original
character and nature, for the gate has materially two sides, one outward and one
inward […]. But is Janus originally and essentially the deity of the ianua? […] We
must take account of a linguistic fact, which is that as a matter of language ianus is
not derived from ianua; ianua derives from ianus and presupposes it. Hence some
scholars although following the lines of the current opinion, have nevertheless
thought it well to correct it by supposing Janus to have been originally the deity, not
of the ianua, but of the ianus, which does not mean a door, but, as Cicero puts it, a
transitio peruia, that is to say a passageway leading in both directions and
surmounted by a cross-beam running from wall to wall between two opposite
structures. […] Apart from these particular architectural developments, the ianus in
its elementary and primitive structure has no fronts. Hence Janus’ two fronts could
not arise from the origin of Janus himself as deity of the ianus. Hence the double
face could not be an original character of the god, but a secondary aspect, related to
the ianua, the house-door, the private transitio peruia of the house, domus
(Pettazzoni 1956, 164 – 5).
Secondo Pettazzoni, infatti, sia il carattere bifrons di Janus che il suo rapporto
con l’inizio di ogni attivit si spiegano pi facilmente pensando all’originaria
natura solare di un dio onniveggente e signore del tempo, da cui si sarebbe
sviluppata solo secondariamente quella nozione che vede in lui la divinit dello
ianus o della ianua:
Thus both the essential and typical aspects of Janus, his double face and his
connection with beginnings, prove to have their roots in the god’s original solar
nature, and not to be developed from his secondary evolution into a god of the
ianua. It is easier to understand the double face as the attribute of Janus as a
sungod, and, as such, all-seeing, and suppose it later transferred to him as guardian
of the door than as belonging to an original deity of the ianus, which in its primitive
form is a structure without faces […]. Similarly, it is easier to understand the
character of Janus as a god of beginnings if we start from him as a sungod and as
such lord of time and of every division of it, year, month or day, than from his
position as deity of the ianus or ianua, which are points in space. […] Janus bears a
different kind of numinosity, that of the beginning, related to a particular moment
which breaks up the continuity of time into its recurrent portions regulated by the
sun (and moon), the sun (or moon) which “passes” through the sky and time
“passes” with it, the days, months and years pass, and every period has its
“beginning” (Pettazzoni 1956, 170 – 1).36
Tale interpretazione dell’originaria natura solare del dio ribadita da Pettazzoni
nella sua breve recensione allo Janus di L. A. MacKay (1956) pubblicata sulla
Revue belge de philologie et d’histoire del 1958, nella quale, pur contestando la tesi
dell’autore di una natura lunare di Janus, osserva tuttavia che il saggio rivela la
necessit di abbandonare l’interpretazione tradizionale del dio:
Uno degli aspetti meno problematici di Janus il suo aspetto di dio del
cominciamento e di ogni principio (pene Janum sunt prima). Questa priorit, che si
riflette nella precedenza data a Janus su gli altri di nelle formule liturgiche […],
difficilmente si spiega con la supposta natura lunare, mentre si intende se Janus il
sole, rappresentando il sole il momento iniziale, aurorale, del mondo. […] In
complesso il tentativo del Sigr. MacKay ha un valore pi negativo che positivo, in
quanto rivela ancora una volta la inconsistenza e la insufficienza della interpreta-
zione tradizionale di Janus come dio della porta. Che Janus sia stato tale, non c’
dubbio; che tale non fosse da principio, e tale sia divenuto soltanto in seguito, oggi
riconosciuto da molti. Ma anche a questo proposito convien dire che la natura
lunare non la pi adatta a spiegare la trasformazione di Janus in dio della porta
(Pettazzoni 1958).37
E, come in un dialogo a distanza con Pettazzoni, ecco invece Rose che,
recensendo lo stesso libro su The Classical Review del 1957, continua a credere
che Janus non possa essere separato da ianua e ianus:
This is the latest effort to disconnect Janus from both ianua and ianus, at least in his
origins. It is unconvincing, but does not lack scholarly ingenuity (Rose 1957, 265).
Va per detto, prima di continuare, che questa interpretazione solare di Janus,
divinit che rimane per taluni aspetti “enigmatica”,38 non ha fatto scuola e Rose,
dunque, aveva visto bene nel criticarla. Cos infatti, qualche anno dopo l’uscita
dei due libri di Pettazzoni, L’onniscienza di Dio e The All-Knowing God, Robert
Schilling, nel suo saggio “Janus. Le dieu introducteur. Le dieu des passages”
36 Pettazzoni 1956, 176 n. 78 (cf. n. 83) cita Rose: “The correct interpretation given by H.
J. Rose in Harv. Theol. Rev. (1949), p. 170 sq., of the formula ante (post) octauo Ianam
Lunam in country speech (Varro de re rust. i, 37, 5) loses none of its force even if we give
Iana Luna, not the sense of ‘Gateway Moon, Moon of Entrance or Beginning’, but one
which sticks closer to the physical act of walking […]”.
37 Sulla recensione vd. Gandini 2008b, 27, che trascrive anche alcuni appunti di Pettazzoni
datati “Roma, 19.2.958”: “Janus j dio degli inizi, dio inaugurale (come Helios, primo e
padre degli dei in Sofocle) j matutine pater, dio d. principio del giorno. j un dio delle
origini del mondo, un dio aurorale, intimamente connesso con l’avvento del cosmo e la
cessazione del chaos. j cfr. Kernyi, Der gçttliche Kind–Das gçttliche Mdchen”. Per una
variante degli stessi appunti cf. Gandini 2008a, 22, il quale ricorda inoltre (23) che
Pettazzoni non scrisse mai la monografia Janus che sarebbe dovuta apparire, come
promesso a Kernyi, nella collezione “Albae Vigiliae”.
38 Cf. Thomas 1987, 281.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 135
39 Sat. 1, 9, 8 (citato supra, n. 32) e 1, 9, 9 Ianum quidam solem demonstrari volunt et ideo
geminum quasi utriusque ianuae caelestis potentem, qui exoriens aperiat diem, occidens
claudat, cf. Pfligersdorffer 1973, 200, 202 – 4.
40 Cf. Schilling 1960, 101 n. 1.
41 Da segnalare la prudente apertura di G. Dumzil nella sua recensione al volume, cf. RHR
138 (1950), 229: “Pour Janus, M. Brelich pense pouvoir mettre en vidence […] des
traits solaires qui, s’ils se vrifient, seront en effet importants”. A citare Brelich (non solo
Vesta, ma anche Die geheime Schutzgottheit von Rom, Zrich, Rhein-Verlag, 1949) lo
stesso Pettazzoni 1956, 174 n. 51 (cf. Pettazzoni 1955, 249 n. 56). Sull’interpretazione
solare di Janus cf. inoltre Turcan 1981, 376 n. 4.
42 Vd. Pettazzoni 1955 – 6, 89, dove l’autore, rinviando a quanto detto nel suo libro
L’onniscienza di Dio (Pettazzoni 1955), si limita a scrivere: “Le due facce di Giano non
sono le due facce del ianitor come riflesso delle due fronti della ianua. Esse sono una
ingenua espressione iconografica del guardare (nelle due direzioni opposte e quindi,
idealmente,) in tutte le direzioni, come proprio di quegli esseri onniveggenti per
eccellenza che sono gli di solari”. A citare in bibliografia l’articolo (e non il libro) di
Pettazzoni, la cui genesi ricostruita da Gandini 2008a, 21 – 3, sono anche Simon 1990,
619 e Thraede 1994, 1282.
43 Vd. Holland 1961, 281 n. 78 e 283 n. 81. Anche se sorvola sull’interpretazione solare di
Janus, la studiosa osserva a ragione che “The iconography of Janus, being late and
borrowed, is of no importance for his earlier history, but it has attracted more attention
than anything else concerning him and has affected the course of speculation about his
meaning. In some ways the image can be misleading because it tempts us to see
connections with other two-faced or two-headed beings which are numerous in
Mesopotamia and other parts of the ancient world” (281). Importante quanto inoltre si
legge nella gi citata n. 78, a commento del testo sopra riportato: “The continuity of an
eastern tradition over many centuries cannot be denied, but there seems no reason to
apply the name ‘Janus’ to any of the series. The late period when the primitive Italian
daimon assumed such a form makes a direct connection impossible. An anthropomor-
phic god might conceivably develop from the Janus-passage, but hardly vice versa”.
passaggio da un luogo o da uno stato a un altro,44 cos come aveva fatto Rose
(almeno su questo punto i due avversari di sempre erano d’accordo45), che nella
gi citata lettera del 3 giugno 1938 richiamava il classico libro di van Gennep:
La conception bifrons de Janus est sans doute ancienne, rsultant aussi de sa
dfinition: tout passage suppose deux lieux, deux tats, celui qu’on quitte, celui o
l’on pntre. Dans l’Inde, Aditi est dite “ deux visages” en tant qu’elle commence et
finit une crmonie et, de l’antique Babylonie l’Afrique occidentale, des dieux de
fonction comparable portent la mÞme monstruosit expressive. Seul le type
plastique dans lequel s’est ralise cette reprsentation symbolique a d venir
Rome de l’tranger: soit des “Herms doubles” de la Grce, soit de plus loin
(Dumzil 1966, 326).
A sostenere la tradizionale interpretazione di Janus sono inoltre l’articolo di
Grard Capdeville del 1973, “Les pithtes cultuelles de Janus”, e quello di Jean
Gag del 1979, “Sur les origines du culte de Janus”. Nel primo di questi lavori,
Capdeville, passando sotto silenzio sia L’onniscienza di Dio che The All-Knowing
God, giunge alla fine, dopo l’esame dei numerosi epiteti cultuali, a una
equilibrata conclusione, ribadendo l’unitaria funzione che Janus assolve in
quanto dio degli inizi e dei passaggi:
L’examen des pithtes cultuelles de Janus montre donc que le dieu prsidait de
nombreuses activits, plus ou moins importantes, qui lui avaient valu chacune un ou
plusieurs surnoms vocateurs. Mais de la diversit mÞme de ses actions ressort l’unit
de sa fonction: c’est toujours en dieu des commencements et des passages que Janus
intervient (Capdeville 1973, 436).
Nel secondo contributo, Gag, che come Capdeville non menziona Pettazzoni,
rifiuta a sua volta l’ipotesi di un carattere solare di Janus.46 E, per chiudere
questa rapida rassegna critica sulla “fortuna” dell’interpretazione pettazzoniana,47
44 Cf. Capdeville 1973, 414: “En fait, il est probablement maladroit de chercher une
justification matrielle: dieu des passages, dieu des transitions, Janus est double par sa
fonction mÞme d’intermdiaire; ‘porte’ abstraite dans l’espace et dans le temps, le dieu a
deux visages comme la porte a deux faces, ouvrant la fois sur l’intrieur et sur
l’extrieur. C’est donc sa dfinition qui a d produire ce type si particulier de
reprsentation, et non l’inverse”. L’interpretazione di Dumzil discussa da Sabbatucci
1988, 14 – 5 e Briquel 2003, 152 – 3. Su Janus ancora utile consultare Burchett 1918.
45 Mi riferisco alla nozione di mana a cui Dumzil dedica un paragrafo (“La religion
romaine la plus ancienne: numen ou deus?”) del suo libro per stroncare la teoria del
predeismo (Dumzil 1966, 33 – 45), proprio discutendo (34 ss.) del pensiero di Rose che
vi ader a partire da Primitive Culture in Italy (Rose 1926, 44 – 5). Dumzil cita (35) il
successivo Ancient Roman Religion (Rose 1948, 21 – 2) e la palinodia di Rose (presto
dimenticata dall’autore, come commenta Dumzil [43]) in “Numen and Mana”, HThR
44 (1951), 109 – 30.
46 Gag 1979, 31.
47 Una voce fuori dal coro era quella di Ettore Paratore il quale, nella sua recensione a
L’onniscienza di Dio pubblicata su Il Giornale d’Italia, 3 settembre 1955, 3 con il titolo di
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 137
non possiamo non ricordare che anche Dario Sabbatucci, allievo di Pettazzoni,
ha considerato “problematica” l’uranicit di Janus nel suo saggio La religione di
Roma antica (1988).48
Passando ad Argo, il paragrafo “Argos Panoptes, multiple eyes and heads” di
The All-Knowing God,49 che appare notevolmente abbreviato rispetto a quello
dell’edizione italiana,50 mantiene, per la personificazione di Argo = cielo
stellato, l’analogia con il culto di Zeus Larisaios di cui parla Pausania 2, 24, 451 e
che Pettazzoni aveva chiamato in causa nella lettera a Rose del 12 giugno 1938:
Three eyes, two ordinary and a third in the forehead, characterised an ancient idol
(xanon) of Zeus preserved in a temple of Athena on the Larisa, the akropolis or
citadel of the city of Argos. We owe this information to Pausanias, who adds (ii, 24,
4) that the three eyes alluded to the threefold government of Zeus, who in his own
person ruled the sky, as Poseidon the sea, and as Hades the underworld. […] There
has also been found at Argos an altar dating from the third century B.C., which
according to its inscription was dedicated to Zeus Panoptes. It is probable that this
“all-eyed” Zeus is identical with the three-eyed Zeus represented by the xanon
(Pettazzoni 1956, 152).
Quanto a Ecate, ed questo un cambiamento tutt’altro che irrilevante, non
troviamo pi in The All-Knowing God la citazione di Apollod. ap. Ath. 325 a che
si leggeva nel manoscritto inviato molti anni prima a Rose, il quale, nella lettera
del 3 giugno 1938, aveva osservato, come abbiamo visto, che proprio quel passo
confermava il carattere ctonio e non celeste, come credeva Pettazzoni, di Ecate.
Si potrebbe certo pensare che quella citazione, assieme a tante altre, sia
scomparsa a seguito della drastica riduzione delle pagine e, soprattutto, delle
note del manoscritto di The All-Knowing God, gi consigliata da Rose e imposta
poi, come conditio sine qua non per la pubblicazione, dall’editore, il quale si era
“Dio creatore”, considerava il paragrafo dedicato a Giano come “uno degli innumerevoli,
brillanti risultati offertici da un Maestro che onora l’Italia”, cf. Gandini 2007, 204:
“Pettazzoni molto soddisfatto di questa recensione ed lieto che la sua interpretazione
di Giano abbia incontrato il consenso di un maestro nello studio del mondo romano; in
data 4 settembre scrive all’amico Paratore: la lettura dell’articolo lo ha riempito di gioia e
di riconoscenza; lo scritto pieno di comprensione e simpatia, bellissimo per l’armonia
di linee e per l’efficacia di esposizione”. Ad accettare l’interpretazione solare di Janus
anche Nino Scivoletto nella recensione a Pettazzoni 1955 pubblicata su GIF 9 (1956),
82 – 4, vd. Gandini 2008a, 48.
48 Sabbatucci 1988, 15.
49 Pettazzoni 1956, 151 – 2.
50 Pettazzoni 1955, 223 – 32.
51 Tqe?r d³ avhaklo»r 5weim 1p· t`de %m tir tejla¸qoito aqtºm. D¸a c±q 1m oqqam` basi-
ke¼eim, oxtor l³m kºcor joim¹r p²mtym 1st·m !mhq¾pym. dm d³ %qweim vas·m rp¹ c/r, 5stim
5por t_m jl¶qou D¸a amol²fom ja· toOtom7 Fe¼r te jatawhºmior ja· 1paimμ Peqsevºmeia.
AQsw¼kor d³ b Eqvoq¸ymor jake? D¸a ja· t¹m 1m hak²ss,. tqis·m owm bq_mta 1po¸gsem
avhaklo?r fstir dμ Gm b poi¶sar, ûte 1m ta?r tqis· ta?r kecol´mair k¶nesim %qwomta t¹m
aqt¹m toOtom heºm.
ritrovato in tipografia un libro con un numero di parole pi che doppio rispetto
a quanto previsto dal contratto originale.52 Se andiamo per a prendere
L’onniscienza di Dio, il ponderoso volume pubblicato solo un anno prima da
Pettazzoni (1955), e con oltre 200 pagine in pi rispetto alla versione inglese di
The All-Knowing God che, faute de mieux, era dovuta diventare una editio minor
di quella italiana, la citazione di Apollodoro non appare ugualmente, segno
questo – mi sembra innegabile – di una sorta di autocensura operata da
Pettazzoni. Egli ha voluto inoltre, dopo la critica di Rose, abbandonare la sua
ipotesi originaria sul carattere celeste di Ecate, preferendo parlare, nell’edizione
italiana, di una “onniveggenza sui generis” di questa divinit, e alludendo solo di
sfuggita alla sua assimilazione con la Luna:
Come Hermes era endios, cos Hekate era enod
a, e al pari di Hermes era concepita
e rappresentata con tre facce o tre teste o addirittura con tre corpi, come l’Hekate
Epipyrgidia di Alcamene. La policefalia di Hekate, e la conseguente polioftalmia,
dunque indicativa di una onniveggenza, ma di una onniveggenza sui generis, cio,
come nel caso di Hermes, di una onniveggenza apotropaica, estranea al tipico
complesso dell’onniscienza divina applicata alle azioni umane. ð vero che Hekate era
invocata dalle donne nei giuramenti; ma qui forse gioc la sua assimilazione
secondaria con Selene, la Luna, dea delle donne, astro onniveggente […], notturna
rischiaratrice delle strade, triplice nelle sue fasi, ecc. (Pettazzoni 1955, 231 – 2).
Non rinuncia infine Pettazzoni, nel capitolo sulla Grecia, neanche ad accennare
all’identificazione Helios–Apollo53 su cui, come abbiamo visto, si era mostrato
scettico Rose, nonostante questo motivo sia maggiormente sviluppato nel
capitolo XI del suo libro (“The Thracians”).54
52 Si veda la lettera, datata 23 ottobre 1952, di Peter Wait, direttore della Methuen, a
Pettazzoni: “I have got the first cast-off of your book from the printer. It makes 576
pages in the style of the page enclosed. And the lenght is 270,000 words. You will
remember that the original contracted length was to be 120,000”. Cf. inoltre Accorinti
2009, 165 – 6.
53 Pettazzoni 1956, 155 – 6, cf. Pettazzoni 1955, 238.
54 Vd. Pettazzoni 1956, 182, cf. Pettazzoni 1955, 267 – 8.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 139
55 Sul viaggio a Praga di Pettazzoni (20 aprile–5 maggio 1947) vd. Gandini 2005, 157 – 65.
56 Rose si riferisce a G. I. Kazarov, Die Denkmler des thrakischen Reitergottes in Bulgarien,
I–II, Budapest, Institut fr Mnzkunde und Archologie der P. Pzmny-Universitt,
1938.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 141
Prima ancora che arrivasse l’estate, Rose, che com’ noto aveva uno straordinario
talento linguistico,57 aveva gi tradotto il capitolo sugli Slavi, pur in mezzo a un
trasloco che gli aveva creato qualche disagio, come apprendiamo dalla lettera del
26 maggio 1947 (n8 67) che documenta nuovamente il contributo critico che
Rose, nel tradurre il libro di Pettazzoni, ha dato. Egli concorda in generale con
quanto scritto nel capitolo da Pettazzoni, in particolare la sua confutazione del
“silly hypercriticism” di E. Wienecke, che nel suo libro Untersuchungen zur
Religion der Westslaven (1940) aveva negato l’esistenza di immagini policefale nel
paganesimo slavo occidentale,58 ma qualcosa in quel capitolo non lo convince e
Rose non esita a dirlo apertamente a Pettazzoni (“But at one point you are
wholly unconvincing”). Egli, da grande esperto di folklore quale era, osserva che
sbagliato supporre – come vedremo Pettazzoni ha fatto sulla base di un passo
di Erodoto (4, 26) relativo ai riti funebri degli Issedoni – che la doratura del
teschio di un parente morto determini la sua assimilazione a un dio, e la prova
deriva da quanto si conosce sui cacciatori di teste e il culto dei teschi. Non si
pu, per Rose, assolutamente parlare di un dio, ma di “a useful house-spirit”, e
la doratura del teschio non altro che un atto di omaggio al defunto, come
appare anche dalla medesima pratica in uso presso gli Sciti, attestata da Erodoto
(4, 65),59 che non implica alcuna apoteosi:
Having a little more time available than I had expected amid the confusion of my
move out of this house, I have spent it in translating your chapter on the Slavs. For
the most part I find it very plausible, especially your refutation of Wienecke’s silly
hypercriticism. But at one point you are wholly unconvincing. To suppose that
gilding the skull of a dead relative involves making any sort of god, solar or other,
out of him, goes clean against all we know of head-hunters, skull-cult and the like.
The ghost of a kinsman of its own accord and that of an enemy killed in battle or a
raid when properly treated to control its activities, will make a useful house-spirit;
but neither is in any way a god, and the gilding is at most a compliment. Note that
the Scythians treated the skulls of their enemies in exactly the same way, and
certainly there was no apotheosis there!
A queste tre lettere di Rose seguono due di Pettazzoni, datate rispettivamente 28
maggio (n8 68) e 6 giugno 1947 (n8 69). Nella prima delle due lettere,
Pettazzoni, al suo rientro a Roma da Praga,60 ringrazia Rose dell’invio dei tre
capitoli sui Celti, Germani e Traci, ripromettendosi di applicare alle note il
consiglio che l’amico gli aveva dato nella lettera del 16 maggio. Aggiunge poi di
apprezzare molto la critica di Rose riguardo alla sua interpretazione dell’on-
niscienza, e parrebbe qui riferirsi, come ho gi detto, alla lettera del 3 aprile,
condividendo l’obiezione fondamentale che gli era stata avanzata, ossia che, ad
esempio, se il sole onniveggente, non si pu da ci dedurre che ogni figura
onniveggente e policefala abbia una origine solare. Tuttavia non disposto ad
abbandonare, senza prima averla verificata, quella sua teoria:
Mon cher Collgue,
peu de jours de ma rentre, je viens de recevoir votre pli contenant les trois
chapitres avec votre traduction. Je vous en remercie bien vivement, d’autant plus
que je sais combien vous Þtes occup actuellement par vos travaux. Quant mes
notes, je trouve que votre conseil est trs pratique, et je me propose de le suivre la
suite. […] J’apprcie beaucoup votre criticisme au sujet de mon interprtation
solariste ou ouranique de l’omnivoyance. Certes, si le soleil a t conÅu comme
omnivoyant, cela ne signifie pa [sic] que toute figure omnivoyante (polycphale)
soit une figure solaire. Je crois pourtant que c’est l une indication positive qui
mrite d’Þtre vrifie.
Nella seconda, che la risposta alla lettera di Rose del 26 maggio, Pettazzoni
ringrazia l’amico delle sue preziose osservazioni critiche e lo prega di
comunicargliele sempre, ammettendo, riguardo all’uso funebre degli Issedoni,
di essersi espresso “d’une faÅon peu claire”, dal momento che la doratura non
trasformava il morto in un dio ma in uno spirito. Pettazzoni, che ricorda il culto
del sole presso i Massageti, insiste inoltre sul rapporto fra questo spirito e la
natura del dio solare, rimandando a due suoi articoli nei quali aveva affrontato
lo stesso tema:
testo critico di S. M. Medaglia, traduzione di A. Fraschetti, [Milano], Fondazione
Lorenzo Valla–Arnoldo Mondadori Editore, 1993, 286.
60 Vd. supra, n. 55.
Accorinti, Herbert Jennings Rose e il libro sull’onniscienza divina di Raffaele Pettazzoni 143
Andiamo adesso, come avevamo fatto per i capitoli sulle religioni classiche, a
vedere quanto si sarebbe letto a distanza di alcuni anni in The All-Knowing God,
e prendiamo proprio la pagina in cui Pettazzoni tratta del passaggio di Erodoto
4, 26, relativo ai riti funebri degli Issedoni, la cui interpretazione era stata
giudicata del tutto insoddisfacente da Rose nella lettera del 26 maggio 1947.
Pettazzoni, facendo una palinodia della (semi)palinodia della sua lettera del 6
61 Erodoto 1, 216, 4, al quale Pettazzoni si riferisce, narra che i Massageti venerano il sole e
a lui sacrificano dei cavalli: he_m d³ loOmom Fkiom s´bomtai, t` h¼ousi Vppour. mºlor d³
oxtor t/r hus¸gr7 t_m he_m t` taw¸st\ p²mtym t_m hmgt_m t¹ t²wistom dat´omtai (cf. 1,
212, 3 Fkiom 1pºlmul¸ toi t¹m Lassacet´ym despºtgm e Strabone 9, 513), vd. D. Asheri,
in Erodoto, Le Storie. Volume I. Introduzione generale di D. A. Libro I. La Lidia e la
Persia, testo e commento a cura di D. A., traduzione di V. Antelami, [Milano],
Fondazione Lorenzo Valla–Arnoldo Mondadori Editore, 19995, 387.
62 I due articoli in questione sono “The Pagan Origins of the Three-Headed Representation
of the Christian Trinity”, JWI 9 (1946), 135 – 51 (vd. la rec. di C. Cecchelli, Ricerche
Religiose 19, 1948, 168 – 74), e “Osservazioni sul paganesimo degli Slavi occidentali”,
SMSR 19 – 20 (1943 – 6), 157 – 69 (poi ristampato con il titolo “West Slav Paganism” in
Pettazzoni 1954, 151 – 63). La storia della ritardata pubblicazione del primo si pu
leggere in Gandini 2003b, 123: “Tra l’ottobre e il novembre 1937 il nostro storico delle
religioni ha un frequente scambio di lettere con gli studiosi del Warburg Institute. Da
questa corrispondenza apprendiamo che Pettazzoni ha gi concordato con Wind
[Edgard] (l’ha incontrato a Roma nel giugno scorso) la pubblicazione di un articolo nel
primo numero del Journal of the Warburg Institute attualmente in preparazione:
l’articolo, sull’immagine tricefala, sarebbe un capitolo del volume The omniscience of God
che egli sta preparando per l’editore Methuen di Londra; dovrebbe inviare il testo entro il
15 gennaio 1938, il che non gli possibile (lo mander, come vedremo, dopo la guerra, e
sar pubblicato nel 1946)”.
giugno 1947, arriva a concludere, dopo aver citato Erodoto, che “Thus the dead
man came to be assimilated to a god, specifically to the Sun”, sebbene subito
dopo, quasi correggendo il tiro, sottolinei il carattere simbolico di questa
partecipazione del defunto alla essenza luminosa della divinit:
Herodotos tells us (iv, 26), that when one of the Issedones dies, it fell to his son to
celebrate his funeral rites in the following manner. He would cut the corpse in
pieces; the flesh of the body, together with that of numerous sheep contributed by
the relatives, was served up at a great feast and eaten by all those present; but the
head was gilded (jatawqusoOsi) and then adored like a sacred image (%cakla) to
which great offerings were made yearly. Thus the dead man came to be assimilated
to a god, specifically to the Sun, for gold, owing to its warm and bright colour, is
especially the solar metal, and thus the best adapted for making images of the
brightest god of all, the Sun. Let it be noted that this symbolic participation by the
departed in the luminous essence of the god amounts to an expression of
identification of the man with the deity63 […] (Pettazzoni 1956, 249).
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