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A. RUIU
ISTITUZIONE DEI CAVALIERI DI S. STEFANO
nenti la storia dei ceti dirigenti e delle istituzioni politiche e parlamentari
d’origine medievale, è stato esaminato il quadro evolutivo della nobiltà ci-
vica senese, dall’epoca della Repubblica comunale all’avvento dell’Impe-
ro napoleonico, attraverso l’approfondita analisi degli assetti socio-eco-
nomici e politico-istituzionali urbano-statuali e l’attenta considerazione
dei processi storici di transizione verso l’Età moderna e contemporanea.
Si è tentato di carpire ed enucleare i segreti del costante adattamento
ANTONIO RUIU
EDIZIONI ETS
In copertina:
Stemma della famiglia Ugurgieri
(ASPi, S. Stefano, 535, ins. 4, cc. n. n.)
EDIZIONI ETS
Pisa 2010
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ANTONIO RUIU
L’ARISTOCRAZIA SENESE:
CLASSE DI REGGIMENTO
DEL SISTEMA CITTADINO
DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
(SECOLI XII-XIX)
CONTRIBUTO METODOLOGICO
E PROSPETTIVE DI RICERCA PER LA STORIA
COMPARATA DEI CETI DIRIGENTI
E DELLE ISTITUZIONI POLITICHE
E PARLAMENTARI
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Pisa 2010
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PREMESSA
INTRODUZIONE
1 R. MOUSNIER, Les hiérarchies sociales de 1450 à nos jours, Paris, Presses Universitaires
de France, 1969, passim. L’opera è disponibile nella traduzione italiana: Le gerarchie sociali,
a cura di E. ROTELLI, Milano, Editrice Vita e Pensiero, 1971.
2 Testo in Bandi e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana, III, n. 17 (questa rac-
colta normativa fu pubblicata a Firenze, presso la stamperia granducale, a partire dal 1747),
e in Legislazione Toscana, a cura di L. CANTINI, Firenze, nella stamperia Albizziniana da S.
Maria in Campo per P. Fantosini e figlio, 1800-1808 (1806), XXVI, pp. 231-241. Conte-
stualmente alla Legge per regolamento della nobiltà e cittadinanza venne emanata la relativa
Istruzione alli deputati sopra la descrizione della nobiltà del Granducato di Toscana, che con-
teneva le norme attuative del nuovo corpo normativo (di qui in poi: Legge e Istruzione).
3 In merito al diritto nobiliare toscano e alla sua formazione, si vedano: D. MARRARA, Ri-
seduti e nobiltà. Profilo storico-istituzionale di un’oligarchia toscana nei secoli XVI-XVIII, Pisa,
Pacini, 1976, pp. 5-60; F. DIAZ, I Lorena in Toscana. La Reggenza, Torino, UTET, s. d. (1987),
pp. 156-170 (ora in F. D IAZ - L. M ASCILLI M IGLIORINI - C. M ANGIO , Il Granducato
di Toscana. I Lorena dalla Reggenza agli anni rivoluzionari, in Storia d’Italia, diretta da
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G. GALASSO, XIII-2, Torino, UTET, 1997, pp. 1-245: 158-172); C. DONATI L’idea di nobiltà in
Italia. Secoli XIV-XVIII, Bari, Laterza, 1988, pp. 315-338; M. VERGA, Da «cittadini» a «nobili».
Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano, Giuffrè,
1990, pp. 241-272; C. PAZZAGLI, Nobiltà civile e sangue blu. Il patriziato volterrano alla fine
dell’età moderna, Firenze, Olschki, 1996, pp. 1-10 e 58-71; M. AGLIETTI, Le tre nobiltà. La legi-
slazione nobiliare del Granducato di Toscana (1750) tra Magistrature Civiche, Ordine di Santo
Stefano e Diplomi del Principe, Pisa, Edizioni ETS, 2000, passim; D. MARRARA, I ceti municipali
nella Toscana del settecento, in AA.VV., Ceti dirigenti municipali in Italia e in Europa in età mo-
derna e contemporanea, Pisa, Edizioni ETS, 2003, pp. 9-17; C. MANGIO, Fra Giulio Rucellai e
la Granduchessa Elisa: sconfitta e persistenza delle nobiltà cittadine, ivi, pp. 177-186.
4 Per un esempio della vitalità intellettuale che precedette l’emanazione della nuova
normativa e delle dispute giuridiche tra i maggiori funzionari granducali, si veda M. ASCHE-
RI, Un momento del dibattito sulla normativa per la nobiltà nel Granducato di Toscana, in
«Initium. Revista Catalana d’Història del Dret» (Associació Catalana d’Història del Dret
“Jaume de Montjuïc”), 1 (1996), Homenatge al prof. J. M. Gay i Escoda, pp. 225-238. Par
d’uopo azzardare la constatazione di una funzione di trait d’union del documento riportato-
vi in appendice, datato 27 marzo 1749, tra il fallimento dell’opera politica di Pompeo Neri
del 1745-48 (che vide messi da parte sia i progetti di riorganizzazione delle magistrature e
del diritto patrio, sia le considerazioni per la riforma in tema di nobiltà, ai quali aveva dedi-
cato la sua più appassionata dedizione) e la promulgazione della Legge del 1750, orchestrata
dal Richecourt.
5 P. NERI, Discorso sopra lo stato antico e moderno della nobiltà di Toscana scritto l’anno
1748, in M. VERGA, Da «cittadini» a «nobili», cit., pp. 403-567. Per un approfondimento sul
pensiero del Neri, si veda D. MARRARA, L’Ordine di Santo Stefano nell’età della Reggenza. Le
riflessioni critiche di Pompeo Neri e la legge sulla nobiltà, in Atti del Convegno «L’Ordine di
S. Stefano nella Toscana dei Lorena» (Pisa, 19-20 maggio 1989), Roma, Ministero per i beni
culturali e ambientali – Ufficio centrale per i beni archivistici, 1992, pp. 48-60. Inoltre, per
un esame del poliedrico profilo biografico-politico di Pompeo Neri, si rimanda a D. MARRA-
RA, Pompeo Neri e la cattedra pisana di «diritto pubblico» nel XVIII secolo, in «Rivista di Sto-
ria del Diritto Italiano», LIX (1986), pp. 173-202, nonché al volume collettaneo: AA.VV.,
Pompeo Neri. Atti del colloquio di studi di Castelfiorentino (6-7 maggio 1988), a cura di A.
FRATOIANNI e M. VERGA, Castelfiorentino, Società Storica della Valdelsa (Tip. Baccini &
Baldi, Firenze), 1992, passim.
6 Giudicato come «una sorta di riuscito compromesso tra la visione gerarchico-feudale
del Richecourt e le aspirazioni oligarchiche delle famiglie senatorie fiorentine». Cfr. C. DO-
NATI, L’idea di nobiltà in Italia, cit., p. 326.
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7 Sulla relazione intercorrente fra la legislazione del 1750 e gli statuti dell’Ordine di
Santo Stefano, si veda D. MARRARA, La nobiltà e l’Ordine di Santo Stefano nella Toscana del
settecento, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», LXIII, 1990, pp. 119-142; IDEM, No-
biltà civica, patriziato e Ordine di Santo Stefano nella Toscana settecentesca, in «Quaderni
Stefaniani», XXII (2003), supplemento, pp. 47-56.
8 A riguardo della conservazione e persistenza delle istituzioni feudali in età medicea,
si vedano: E. FASANO GUARINI, Lo stato mediceo di Cosimo I, Firenze, Sansoni, 1973, pp. 63-
72; G. PANSINI, Per una storia del feudalesimo nel Granducato di Toscana durante il periodo
mediceo, in «Quaderni Storici», 19 (gennaio-aprile 1972), pp. 131-186.
9 Legge, art. I, comma 1°.
10 Per la distinzione concettuale tra nobiltà semplice e patriziato, si veda D. MARRARA,
Nobiltà civica e patriziato. Una distinzione terminologica nel pensiero di alcuni autori italiani
dell’età moderna, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», Classe di Lettere e Fi-
losofia, serie III, X (1980), pp. 219-232; IDEM, Nobiltà civica e patriziato nella Toscana Lore-
nese del Settecento, in I Lorena in Toscana. Convegno internazionale di studi (Firenze, 20-21
novembre 1987), Firenze, Olschki, 1989, pp. 45-54.
11 Legge, art. XI; Istruzione, art. XVII. Si prevedeva la compilazione di due serie di regi-
stri: gli originali, da tenersi a Firenze, nell’«Archivio di Palazzo», e le copie, redatte e sotto-
scritte dal Segretario di Stato, munite del sigillo imperiale, da conservarsi presso gli archivi
pubblici delle rispettive città nobili.
12 Legge, tit. II (Del modo di far la nuova Descrizione), artt. IX e ss.
13 Ivi, art. IX. La legge si preoccupò di costituire una apposita commissione che si oc-
cupasse di eseguire «la pubblica descrizione delle dette due Classi de’ Patrizi, e de’ Nobili
colli dovuti esami, e riscontri delle domande, e recapiti ammissibili secondo la Nostra
Istruzione, […] pubblicata unitamente colli presenti nostri Ordini». Furono deputati af-
finché si facesse «avanti a loro, e colla loro assistenza in Firenze», nell’«Archivio di Palaz-
zo, detto già delle Riformagioni, e riunito in oggi alla Segreteria di Stato», Giovanni Anto-
nio Tornaquinci, Gaetano Antinori, Giulio Rucellai, Filippo Guadagni e Giovanni Fran-
cesco Ricasoli.
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14 Ivi, art. V. Gli ordini cavallereschi di Malta e di Santo Stefano, con i rispettivi statuti,
fornirono al legislatore continui spunti per la stesura della legge: se da un lato il termine fu
tratto dagli ordinamenti della Religione gerosolimitana, dall’altro tutte le famiglie di cui fos-
sero state ricevute le provanze per giustizia dall’Ordine stefaniano sarebbero state dispensa-
te dalla regola in questione (l’alternatività non operava nel caso di ammissione per commen-
da, ove lo strumento di fondazione valeva solamente come titolo per il computo del tempo
necessario alla registrazione). Per l’aggregazione come patrizi in forza dell’ammissione per
giustizia nella Religione stefaniana, si veda il caso della famiglia d’Angelo di Livorno: R.
VANNUCCI, I d’Angelo di Livorno. Una famiglia di mercanti, militari, cavalieri e uomini politi-
ci nella Toscana dei secoli XVII-XIX, in «Quaderni Stefaniani», XXII (2003), supplemento,
pp. 57-105: 72-77. In merito al passaggio dalla nobiltà al patriziato si veda l’esempio della
famiglia Catanti di Pisa: E. ROVINI, La famiglia Catanti (secoli XV-XX), in «Quaderni Stefa-
niani», XXIII (2004), supplemento, pp. 53-108: 81-84 e 101-106.
15 Legge, artt. I, II, III e VI, comma 2°. L’iscrizione in due «classi» distinte doveva effet-
tuarsi solamente nelle sette città nobili «antiche» di Firenze, Siena, Pisa, Pistoia, Arezzo,
Volterra, e Cortona. Nelle altre sette «meno antiche» di San Sepolcro, Montepulciano, Col-
le, San Miniato, Prato, Livorno e Pescia sarebbero stati collocati «indistintamente sotto l’u-
nica Classe della Nobiltà» anche coloro che potessero vantare un titolo risalente di almeno
due secoli; tuttavia, il legislatore si riservava di «graziare a suo tempo benignamente esse an-
cora della distinzione del Patriziato». Sul concetto di città nobile, derivante da diversi ele-
menti, quali, da un lato, l’antichità, celebrità e ricchezza del centro urbano e, dall’altro, la
«perfetta segregazione delle borse» resa possibile dall’abbondanza della popolazione, indi-
spensabile a mantenere la stratificazione sociale, si vedano: P. NERI, Discorso, cit., in M.
VERGA, Da «cittadini» a «nobili», cit., pp. 403-567: 547; D. MARRARA, Riseduti e nobiltà, cit.,
pp. 43-45; IDEM, Livorno città «nobile», in AA.VV., Atti del Convegno «Livorno e il Mediter-
raneo in età medicea» (Livorno, 23-25 settembre 1977), Livorno, Bastogi, 1978, pp. 77-81;
IDEM, La città di Colle Val d’Elsa nel quadro delle «patrie nobili» toscane, in AA.VV., Atti del
Convegno «Architettura e politica in Valdelsa al tempo dei Medici» (Poggibonsi, 3 gennaio
1981), in «Miscellanea storica della Valdelsa», LXXXVIII (1982), pp. 165-175; F. ANGIOLI-
NI, L’Ordine di S. Stefano negli anni della Reggenza (1737-1765): urti e contrasti per l’afferma-
zione del potere lorenese in Toscana, in AA.VV., Atti del Convegno «L’Ordine di S. Stefano
nella Toscana dei Lorena» (Pisa, 19-20 maggio 1989), Roma, Ministero per i beni culturali e
ambientali – Ufficio centrale per i beni archivistici, 1992, pp. 1-47: 22-25; IDEM, I Cavalieri e
il Principe. L’Ordine di S. Stefano e la società toscana in età moderna, Firenze, EDIFIR, 1996,
pp. 178-181; S. SIMONINI, Pescia città nobile. Il motuproprio del 25 luglio 1732 e i suoi riflessi
sull’Ordine di Santo Stefano, in «Quaderni Stefaniani», XVII (1998), supplemento, pp. 89-
103; M. AGLIETTI, Le tre nobiltà, cit., pp. 157-177; A. ZAPPELLI, L’Ordine di Santo Stefano e
le città nobili della Toscana, in «Quaderni Stefaniani», XX (2001), supplemento, pp. 85-101;
EADEM, Le città nobili della Toscana, in AA.VV., Ceti dirigenti municipali, cit., pp. 225-235.
16 Sulla nobiltà civica senese in particolare, si fa riferimento ai seguenti scritti: P. NERI,
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ove «tal descrizione di nobili si faccia distinta in due Classi, alla pri-
ma delle quali diamo il nome di Nobili Patrizj, all’altra quello solo di
Nobili»17. Come appare ben chiaro, le norme in questione si riferi-
vano alle famiglie della nobiltà civica18, che traevano il fondamento
del loro status dal godimento delle supreme magistrature municipa-
li, in forza del diritto ereditario di elettorato passivo alle «maggiori
dignità, e gradi che solo i più nobili Gentiluomini sogliono havere, e
godere»19. In particolare, a Siena, il patriziato, al quale furono
ascritte le famiglie appartenenti al Monte dei Gentiluomini, ebbe
una decisa predominanza numerica, assumendo i connotati di una
vera e propria «tecnocrazia»20.
La Legge, dunque, nel quinto articolo, permetteva esplicitamente
l’accesso in via diretta alla classe patrizia attraverso la dimostrazione
dell’ammissione per giustizia all’Ordine stefaniano, dando per as-
sunto che la dimostrazione dei quattro quarti di nobiltà secondo le
disposizioni degli Statuti potesse sostituire agevolmente, in termini
di tempo, il requisito previsto per l’iscrizione ai cataloghi del patri-
ziato21. Si trattava, senza dubbio, di un riconoscimento formale in
merito al ruolo imprescindibile che le norme e prassi della Religione
in parola avevano consolidato in materia di ricognizione dello status
nobiliare, nonostante le casate dell’antica aristocrazia non avessero
mai attribuito alla croce stefaniana un valore determinativo del loro
prestigio, assegnandole, piuttosto, una funzione confermativa, sep-
pur tutt’altro che irrilevante.
L. BONELLI CONENNA, Un contado per una nobiltà, pp. 171-199); C. ROSSI, La nobiltà e le ma-
gistrature di Siena in un’indagine della Reggenza lorenese, Pisa, Edizioni ETS, 2007.
17 Legge, art. II.
18 Per il concetto di nobiltà civica, si veda D. MARRARA, Le giustificazioni della nobiltà
civica in alcuni autori italiani dei secoli XIV-XVIII, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano»,
LXII (1989), pp. 15-38.
19 Statuti dell’Ordine de’ Cavalieri di Santo Stefano ristampati con l’addizioni in tempo
de’ Serenissimi Cosimo II e Ferdinando II e della Sacra Cesarea Maestà dell’Imperatore Fran-
cesco I Granduchi di Toscana e Gran Maestri, Pisa, nella stamperia di Cristofano Bindi, 1746,
tit. II (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. III (Delle probazioni, che si debbano fare innan-
zi, che alcuno si accetti), p. 95. È palese il legame di interconnessione tra questo complesso
di norme e la Legge per regolamento della nobiltà e cittadinanza (di qui in poi: Statuti).
20 Cfr. M. AGLIETTI, Le tre nobiltà, cit., p. 73.
21 Legge, art. V: «Tralle famiglie Nobili delle respettive antiche Città ordiniamo, che nel-
la classe de’ Patrizj si descrivano tutte le Famiglie Nobili, di cui sono state ricevute le pro-
vanze per giustizia al Nostro Ordine di S. Stefano, e tutte le altre Famiglie Nobili, che in
virtù di qualunque altro requisito enunciato nel §. I. proveranno la continovazione della
propria Nobiltà per lo spazio almeno di anni dugento compiti».
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Granduca. Forme e simboli del potere mediceo fra Cinque e Seicento, Roma, Bulzoni, 1994,
passim; F. ANGIOLINI, I Cavalieri e il Principe. L’Ordine di S. Stefano e la società toscana in
età moderna, cit., passim. Inoltre, per un approccio d’ordine generale, si considerino: F.
CARDINI, L’acciar de’ cavalieri. Studi sulla cavalleria nel mondo toscano e italico (secc. XII-
XV), Firenze, Le Lettere, 1997, passim; J. C. MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini. Guerra,
conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna, Il Mulino, 2004, passim.
23 P. NERI, Discorso, cit., in M. VERGA, Da «cittadini» a «nobili», cit., p. 519.
24 Oltre gli Autori che si sono occupati delle questioni concettuali concernenti la pecu-
liare nobiltà di Toscana, già citati, si vedano: J.-P. LABATUT, Le nobiltà europee, Bologna, Il
Mulino, 1982, pp. 161 ss.; C. DONATI, L’idea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII, cit.,
pp. 151 ss.; J. DEWALD, La nobiltà europea in età moderna, Torino, Einaudi, 2001, passim.
25 A tal proposito, si veda A. RUIU, I cavalieri di Pescia membri dell’Ordine di S. Stefano,
in «Quaderni Stefaniani», XXIX (2010), supplemento, pp. 103-132; (paragrafi: La città no-
bile di Pescia: relazioni funzionali fra stratificazione sociale e ammissibilità all’Ordine di
S. Stefano; Mobilità sociale e cavalierato stefaniano; La distribuzione dei cavalieri di Pescia:
conclusioni).
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liare, per mezzo delle quali si poteva entrare nell’Ordine senza giustificare la nobiltà genero-
sa dei quarti paterni, che nascevano per volontà individuale di soggetti privati attraverso un
vero e proprio «strumento di fondazione», ove si predefinivano le linee di discendenza prin-
cipale e accessorie (solitamente in via di primogenitura maschile) per la trasmissione dell’u-
sufrutto sui beni incommendati, al fine di scongiurare il consolidamento della proprietà in
capo all’Ordine con la conseguente estinzione e l’immediata ricaduta «o al libero magistrale
arbitrio o al così detto ceto di anzianità». L’eventualità per il medesimo soggetto di essere
nominato in diversi contratti di fondazione non trovava alcun ostacolo normativo che vietas-
se la titolarità di più di una commenda di padronato. La residua categoria delle commende
di grazia può essere accomunata alla precedente in quanto chiave d’accesso all’ordine caval-
leresco e a quella d’anzianità in ragione della derivazione da fondi dotali consolidatisi con la
massa patrimoniale stefaniana; (ma l’aspetto più significativo della tipologia in parola con-
cerne il ruolo che venne ad assumere nell’ultima fase di vita dell’Ordine, come si avrà modo
di mostrare più oltre). Per una visione quanto più esaustiva possibile in materia di commen-
de stefaniane, si vedano: D. BARSANTI, Le commende dell’Ordine di S. Stefano attraverso la
cartografia antica, Pisa, ETS Editrice, 1991, passim; IDEM, Introduzione storica sulle commen-
de dell’Ordine di S. Stefano, in «Quaderni Stefaniani», XVI (1997), supplemento, pp. 117-
129; AA.VV., Atti del Convegno «Le commende dell’Ordine di Santo Stefano» (Pisa, 10-11
maggio 1991), Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1997, passim; AA.VV., Atti
del Convegno «La commenda di grazia dell’Ordine di Santo Stefano nell’Ottocento» (Pisa, 9-
10 maggio 2003), Edizioni ETS, 2003, passim. Per l’aspetto prettamente normativo, cfr. Sta-
tuti, cit., tit. XIII (Delle Commende ed amministrazioni), pp. 271-298. Dal punto di vista so-
stanziale, se da un lato la fondazione di commende aveva rappresentato uno strumento di
ascesa sociale (giacché permise alle più cospicue famiglie plebee di diventare nobili senza
passare attraverso i meccanismi delle cooptazioni alla nobiltà civica), dall’altro la concessio-
ne ad personam della grazia magistrale della vestizione aveva posto in luce l’assoluta arbitra-
rietà del Granduca nella attribuzione dello status nobiliare ad un plebeo; si veda, in merito
alle questioni or ora menzionate, F. ANGIOLINI, La nobiltà «imperfetta»: cavalieri e commen-
de di S. Stefano nella Toscana moderna, in AA.VV., Signori, patrizi, cavalieri nell’età moderna,
a cura di M. A. VISCEGLIA, Bari, Laterza, 1992, pp. 146-167.
28 Cfr. M. AGLIETTI, Le tre nobiltà, cit., p. 15, la quale argutamente annota: «La storia
delle classi dirigenti coincide, per almeno quattro secoli (dal XIV secolo alla seconda metà
del Settecento), con quella della nobiltà. Tutti coloro che aspiravano alla gestione del pote-
re, pur provenendo da classi immediatamente inferiori, non misero mai in discussione i
principi distintivi della nobiltà o le loro pretese di esclusività e superiorità, ma piuttosto li
fecero propri secondo quella che Huppert, riferendosi alla situazione francese, ha definito
una vera “abdicazione di classe”». L’ultimo riferimento dell’Autrice è tratto da G. HUPPERT,
Il borghese gentiluomo. Saggio sulla definizione di élite nella Francia del Rinascimento, Bolo-
gna, Il Mulino, 1978, in particolare, pp. 23-31 e 69-86.
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primo sviluppo del Comune di Siena, in «Bullettino Senese di Storia Patria», LI-LIV (Terza
Serie – Anni III-VI) (1944-47), pp. 31-96.
30 Per comprendere il quadro d’insieme che portò i magnati, ascritti al Monte dei Gen-
tiluomini, a perdere le posizioni di privilegio nel magistrato supremo, fino a subire lo smac-
co della mera equiparazione giuridica ai popolari con gli statuti del 1545 (cfr. L’ultimo statu-
to della Repubblica di Siena, a cura di M. ASCHERI, Siena, Accademia Senese degli Intronati,
1993), si vedano: L. DOUGLAS, Storia della Repubblica di Siena, (ristampa anastatica), Roma,
Multigrafica Editrice, 1969, pp. 105-162; A. K. ISAACS, Popolo e Monti nella Siena del Primo
Cinquecento, in «Rivista Storica Italiana», LXXXII (1970), pp. 32-80; D. MARRARA, Studi
giuridici sulla Toscana medicea. Contributo alla storia degli Stati assoluti in Italia, Milano,
Giuffrè, 1965 e 1981, pp. 89-175: 104-105; IDEM, Riseduti e nobiltà, cit., pp. 61-85; infine, di
particolare interesse per i documenti pubblicati (allegati I e II) e per la copiosa bibliografia,
il volume di M. ASCHERI, Siena nel Rinascimento. Istituzioni e sistema politico, Siena, Edizio-
ni Il Leccio, 1985, in particolare, pp. 9-108.
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governo cui risale, e raccoglie poi tutti i discendenti, per linea diretta, dei
membri originali, venendo così a comporsi degli eredi di quella che era la clas-
se di governo in una certa fase della storia della città»31.
31 Cfr. A. K. ISAACS, Popolo e Monti nella Siena del Primo Cinquecento, cit., p. 54. Sul
«regime dei monti» a Siena, cfr. D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit.,
pp. 104-106; R. CANTAGALLI, La guerra di Siena (1552-1559), Siena, Accademia Senese degli
Intronati, 1962, pp. LIX-LXIV; nonché, il classico lavoro di C. PAOLI, I “Monti” o fazioni
nella Repubblica di Siena, in «Nuova Antologia», XXXIV (1891), pp. 401-422.
32 Per un inquadramento delle famiglie magnatizie e delle vicende concernenti il rap-
porto con il governo cittadino, si veda D. MARRARA, I magnati e il governo del Comune di
Siena dallo statuto del 1274 alla fine del XIV secolo, in AA.VV., Studi per Enrico Fiumi, Pisa,
Pacini, 1979, pp. 239-276.
33 Alessandro Lisini, in una lettera pubblicata da C. LUPI, La casa pisana e i suoi annessi
nel medioevo, in «Archivio Storico Italiano», s. V, XXVIII (1901), disp. 3°, pp. 65-96: 80,
nota 3, (continuazione da IDEM, La casa pisana e i suoi annessi nel medioevo, in «Archivio
Storico Italiano», s. V, XXVII (1901), disp. 1°, pp. 264-314), prese a parlare di Siena nel
Duecento: «Questa città (mi scrive il Lisini colla sua solita e solida erudizione) alla fine del
secolo XIII era un insieme di borgate e di castellari, quasi fortezze con torri altissime, mura
merlate e porte proprie. In ciascuno di questi castellari o castellacci, come chiamavansi allo-
ra, predominava qualche famiglia potente, la quale non permetteva d’abitarvi se non a per-
sone che le fossero legate o per parentela o per interesse commerciale. Là dentro, scuderie
per servire le carovane, e là tenevano i propri fondachi pieni di svariate merci come i bazar
orientali, con piazze e logge per i mercati. I poveri, i villani, i fuggiti dalla campagna abitava-
no grotte nei punti scoscesi delle vallate. E che realmente fosse così ne fanno fede gli antichi
statuti, i quali in seguito obbligarono a fare a quei tuguri almeno la facciata di materiale».
34 In merito alle attività bancarie e commerciali dell’antica aristocrazia senese, si veda il
classico lavoro di N. MENGOZZI, Il Monte dei Paschi di Siena e le aziende in esso riunite, Sie-
na, Lazzeri, 1891, 2 voll., passim.
35 Per gli aspetti concernenti la conservazione delle prerogative sociali, economiche e
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19
G. Landi e N. Alessandri, 1854, vol. II, par. II, Discorso sopra la città di Siena e delle varie
guise del suo governo, pp. 669-724: 679.
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39 Istruzione, artt. IV-X. Gli articoli IV, VI e IX prescrivevano le prove documentali or-
dinarie da accludersi all’istanza, laddove gli articoli V, VII, VIII e X indicavano quelle alter-
native ed aggiuntive volte a comprovare lo status nobiliare. In particolare, gli articoli IX e X
si occupavano di risolvere il problema della distinzione tra le famiglie fiorentine antiche e
recenti. Con l’articolo X si creò una vera e propria presunzione di legge: le famiglie magna-
tizie, che non potevano esibire le fedi dei godimenti delle magistrature più antiche a causa
della distruzione degli archivi comunali da parte del popolo, avrebbero potuto portare «in
quella vece l’attestazione di trovarsi i loro antenati descritti tra i Grandi a i Libri delli Statu-
ti, degli ordinamenti di giustizia ec. ed altri Libri publici esistenti originalmente nell’Archi-
vio di Palazzo»; l’iscrizione nei cataloghi redatti ai sensi della legislazione antimagnatizia re-
stituiva così la prova della vetustà del proprio status ai nobili di antica stirpe. Lorenzo Can-
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tini (1765-1839), autorevole editore ed interprete della legislazione granducale emanata nel-
l’età medicea e nei primi decenni del governo lorenese, nel 1806 pubblicò un commento alla
Legge del 31 luglio 1750 in cui sosteneva che definire il patriziato come la nobiltà antica di
duecento anni significava ben poco, giacché il 1550 era una data priva di rilevanza storica. Il
noto giurista e storiografo propose al legislatore di retrodatare l’epoca di chiusura del patri-
ziato alla riforma del 27 aprile 1532, istitutiva del Principato di Alessandro dei Medici, al fi-
ne di identificare detta classe con le famiglie già presenti nel governo del Comune all’epoca
della pienezza della sua giurisdizione, escludendo quelle che fossero state abilitate ai pubbli-
ci uffici a partire dall’avvento del regime principesco, da ritenersi semplicemente nobili a
causa della riduzione ad un ruolo di secondo piano nell’ambito della nuova diarchia. L’in-
troduzione di una datazione fissa avrebbe stabilito un criterio discriminante oggettivo, fina-
lizzato ad impedire che il passaggio dalla nobiltà al patriziato avvenisse in ragione del mero
spostamento del termine mobile in funzione dello scorrere del tempo. La teoria del Cantini
non venne presa in considerazione da alcun sovrano né legislatore, ma fornì uno strumento
utile per focalizzare il succedersi dei periodi storici e per chiarire come parlare di nobiltà ci-
vica con riferimento al Medioevo significasse, in realtà, proiettare nel passato concezioni,
idee ed istituzioni nate successivamente. Cfr. L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., XXVI,
p. 268; D. MARRARA, I magnati e il governo del Comune di Siena, cit., pp. 239-276: 276;
IDEM, Nobiltà civica e patriziato. Una distinzione terminologica nel pensiero di alcuni autori
italiani dell’età moderna, cit., pp. 229-230.
40 D. L. HICKS, The Sienese State in the Renaissance, in From the Renaissance to the
22
scranni dai quali era stata spodestata – o almeno non poté, di qui in
poi, più ostentare, al vertice dell’apparato pubblico cittadino, la su-
premazia per secoli goduta in funzione della mera origine nobiliare
antica delle dinastie –, giacché furono adottate molteplici riforme
volte alla parificazione tra i Monti, ai fini dell’esercizio equilibrato
dei poteri istituzionali. Nell’arco di un cinquantennio, le casate ma-
gnatizie si ritrovarono accomunate alle famiglie popolari, finché,
passando per l’ultimo statuto dell’età repubblicana (1544)42, si ar-
rivò alla legge medicea del 1° febbraio 1561, in forza della quale le
magistrature urbane dovevano essere composte in misura paritetica
dai cittadini distribuiti nei quattro Monti superstiti.
Sullo scorcio del XVI secolo, l’estrazione aristocratica o popolare
dei soggetti abili alla copertura dei maestrati senesi sarebbe divenu-
ta definitivamente indistinta sotto il medesimo status di nobiltà civi-
ca43; così come i principi basilari concernenti la distribuzione omo-
genea dei seggi nelle magistrature collegiali fra i quattro Monti ri-
masti in auge e la rotazione tra i medesimi nei pubblici uffici indivi-
duali (primo fra tutti, il Capitano del Popolo) sarebbero rimasti a
fondamento del diritto pubblico cittadino per tutta l’età medicea e
per buona parte del XVIII secolo: fino, cioè, alle grandi innovazioni
politiche e istituzionali introdotte con le riforme leopoldine.
L’oligarchia senese, pertanto, riuscì a sopravvivere – sia nella sua
tradizionale disciplina giuridica, sia nella concreta continuità storica
delle famiglie di cui era costituita nell’età repubblicana – al muta-
mento del regime politico prodotto dalla conquista medicea (Cosi-
mo I ricevé la resa della città il 17 aprile 1555).
D’altro canto, l’aristocrazia – consolidando, anche in questo caso,
posizioni già acquisite sotto il governo repubblicano – primeggiò al-
tresì nell’esercizio delle arti; vale a dire, in particolare, nella condu-
zione delle manifatture della lana e della seta, di gran lunga le più
considerevoli. Nel periodo del Principato, infatti, ad un’accentuata
decadenza, sotto il profilo strettamente economico, delle attività di
tali corporazioni, ebbe a contrapporsi una singolare sopravvivenza,
ed anzi un decisivo incremento, del loro tradizionale prestigio socia-
le, cui corrispose, inevitabilmente, un accentramento sempre più
42 Si veda il saggio introduttivo a L’ultimo statuto della Repubblica di Siena (1545), a cu-
23
I
I PRODROMI DELLA CONQUISTA DI SIENA
26
1 Sulla spedizione di Clemente VII, si veda A. D’ADDARIO, Il problema senese nella sto-
ria italiana della prima metà del Cinquecento (La guerra di Siena), Firenze, Le Monnier,
1958, pp. 2-4.
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27
PEZZINO, Storia della Toscana, Bari, Laterza, 2001, vol. 3 (Dal 1350 al 1700), pp. 1-27.
3 EADEM, La fondazione del Principato: da Cosimo I a Ferdinando I (1530-1609), in
AA.VV., Storia della civiltà toscana, a cura della medesima E. FASANO GUARINI, Firenze, Le
Monnier, 2003, vol. III (Il Principato mediceo), pp. 3-40.
4 Il racconto, con animo diverso, ma sempre appassionato, è stato fatto da chi ne fu te-
stimone diretto, come Benedetto Varchi (1503-1565, Storia Fiorentina), Jacopo Nardi (1476-
1563, Le Historie della Città di Fiorenza), Filippo de’ Nerli (1485-1556, Commentarj de’ fatti
civili occorsi dentro la città di Firenze dal’ anno 1215 al 1537) e Bernardo Segni (1504-1558,
Storie fiorentine dall’anno 1527 all’anno 1555), che ancora meritano di essere ascoltati.
5 Cfr. Ordinazioni fatte dalla Repubblica Fiorentina insieme con l’Excellentia del Duca
Alexandro de’ Medici dichiarato Capo della Medesima, sotto il dì 27 Aprile 1532 ab Incarna-
tione, in L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. I, pp. 5-38: 32.
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28
6 Ibidem.
7 Ivi, p. 36.
8 Ibidem.
9 Ibidem.
10 Ibidem
11 Ibidem.
12 Ivi, p. 34.
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Alexandro de’ Medici, cit., in L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. I, p. 35.
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30
16 Ibidem.
17 Il Cantini annotò in calce all’editto del 16 ottobre 1537: «Come debbino spiegarsi
questi Atti, e quali diritti dai medesimi desuma l’Impero Germanico, lo lascio alla conclu-
sione dei Lettori. Cominciò da questo tempo [30 settembre 1537] Cosimo ad usare, e rice-
vere il Titolo di Duca e d’Eccellenza, come appunto usava, e riceveva Alessandro de’ Medi-
ci». Cfr. Editto del dì 16 Ottobre 1537 ab Incarnatione col quale si notifica al Pubblico il Di-
ploma di Carlo V a favore del Duca Cosimo, in L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. I,
pp. 145-148: 148.
18 Ivi, p. 145.
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31
19 Cfr. R. GALLUZZI, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici,
anastatica dell’edizione datata 1916), Bari, Gius. Laterza & Figli, 1968, vol. III, parte I, cap.
III (Relazione di messer Vincenzo Fedeli segretario dell’illustrissima Signoria di Venezia torna-
to dal duca di Fiorenza nel 1561), pp. 123-174: 161-162.
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senese nella storia italiana della prima metà del Cinquecento (La guerra di Siena), cit.; R.
CANTAGALLI, La guerra di Siena (1552-1559), cit.
II
TRA STORIA E STORIOGRAFIA:
L’AVVENTO DEL PRINCIPATO MEDICEO
E LE CORRELAZIONI
FRA POLITICA, ISTITUZIONI E STATUS NOBILIARE
1. «SIENA E I GIGANTI»1
1 Lo spunto per il titolo del paragrafo è stato suggerito da M. GATTONI, Siena e i gigan-
ti. Lo scontro franco-spagnolo in Lombardia nelle lettere di Aldello Placidi, oratore senese in
Roma, e la posizione di Siena tra Francia, Spagna e Stato Pontificio, in «Bullettino Senese di
Storia Patria», CIV (1997), pp. 377-402. L’A., in merito all’articolo in questione, scrisse: «Lo
studioso che, volendo porre all’attenzione del dibattito storiografico la Repubblica di Siena
e la sua politica estera all’interno del duello franco-spagnolo culminato nella battaglia di
Marignano, non può sottrarsi dal riassumere, sebbene schematicamente, la situazione politi-
ca italiana nel secondo decennio del XVI secolo», ivi, p. 377. Si rimanda, dunque, allo scrit-
to in parola, accompagnato da una folta appendice documentaria, nonché da un ricco appa-
rato di note critiche e biografiche, per le vicende che coinvolsero Siena ed i suoi domini nel
vortice creato dai conflitti egemonici tra Francia e Venezia da un lato e Spagna e Stato Pon-
tificio dall’altro, poco prima del 1530.
2 Cfr. Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. SEGARIZZI, cit., vol. III,
34
parte I, cap. I (Relazion fatta per Marco Foscari nell’eccellentissimo Conseglio di Pregadi della
legazion del Fiorenza, con qualche cosa adiuncta da lui nel scrivere essa legazione, 1527),
pp. 3-98: 80.
3 Cfr. G. SPINI, Questioni e problemi di metodo per la storia del principato mediceo e de-
gli Stati toscani del Cinquecento, in «Rivista Storica Italiana», LVIII (1941), fasc. I, pp. 66-
93: 80.
4 Cfr. Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. SEGARIZZI, cit., vol. III,
parte I, cap. I (Relazione di messer Vincenzo Fedeli segretario dell’illustrissima Signoria di Ve-
nezia tornato dal duca di Fiorenza nel 1561), pp. 123-174: 130.
5 R. GALLUZZI, Storia del Granducato di Toscana sotto il governo della casa dei Medici,
«studi e ricerche si volgano adesso a illustrare, mettendola nel suo giusto valo-
re, la storia del principato mediceo [...], che fu prima di tutto principato del
Cinquecento, e perciò ed avanti a tutto “stato della casa dei Medici” [...]. Il
regime mediceo in Firenze non fu che il frutto della volontà tenace e spesso
intelligente di papi e di principi della casa di “costituire uno stato” a se stessi
ed ai propri discendenti con ben scarsa coscienza di interpretare le esigenze di
Lumachi, 1910; IDEM, La crisi costituzionale della repubblica fiorentina, Firenze, Seeber,
1912.
7 L. CARCERERI, Cosimo I granduca, Verona, Bettinelli, 1926.
8 Cfr. A. PANELLA, Gli studi medicei in Italia e all’estero, in «Atti del secondo convegno
nazionale di studi sul Rinascimento», Firenze, Centro Nazionale di Studi sul Rinascimento,
1939, pp. 96-110: 96.
36
9 Cfr. G. SPINI, Questioni e problemi di metodo per la storia del principato mediceo e de-
11 Un esempio su tutti: G. A. PECCI, Memorie storico-critiche della città di Siena, che ser-
vono alla vita civile di Pandolfo Petrucci, dal MCCCCLXXX al MDXII, Siena, pubblicate da
V. Pazzini Carli nella stamperia di A. Bindi, 1755; Continuazione delle memorie storico-criti-
che della città di Siena, per le quali vengono descritti quattro altri soggetti della famiglia Pe-
trucci, Alessandro Bichi e tutta la fazzione novesca fino agli anni MDXXVII, Siena, pubblicate
da V. Pazzini Carli nella stamperia di A. Bindi, 1755; Continuazione delle memorie storico-
critiche della città di Siena fino agli anni MDLII, Siena, pubblicate da V. Pazzini Carli nella
stamperia di A. Bindi, 1758; Continuazione delle memorie storico-critiche della città di Siena
fino agli anni MDLIX, Siena, pubblicate da V. Pazzini Carli nella stamperia di A. Bindi,
1760. Attualmente, può reperirsi anche una ristampa anastatica dell’opera in questione, a
cura di M. PAVOLINI ed E. INNOCENTI, con la presentazione di M. ASCHERI, Siena, Cantagal-
li, 1988.
38
12 Per una ricostruzione accorata delle vicende legate alla caduta della Repubblica «che
Cosimo dei Medici [...] con l’aiuto di Carlo V percosse a morte[,] [... uccidendo] anche le
libertà municipali d’Italia», si veda E. SANTINI, Il significato nazionale delle celebrazioni della
caduta della Repubblica di Siena ritiratasi a Montalcino, in «Bullettino Senese di Storia Pa-
tria», LXVI (1959), pp. 36-48. Inoltre, per un giudizio storico-critico sulla figura di Mario
Bandini, ispiratore e capo della secessione di Montalcino, si legga il ricco saggio – imprezio-
sito da un’appendice documentaria con le trascrizioni di alcune missive degli anni 1527,
1528, 1545 e 1546, che vedono il Bandini nella veste di autore o protagonista indiretto – di
R. CANTAGALLI, Mario Bandini, un uomo della oligarchia senese negli ultimi tempi della Re-
pubblica, in «Bullettino Senese di Storia Patria», LXXI (1964), pp. 51-81, il quale scrisse:
«Alla notorietà, alla fama presso i posteri di Mario Bandini, maggiore a quella di tutti gli al-
tri uomini dell’ultima Repubblica Senese, ha giovato senza dubbio una serie di coincidenze
non tutte da ascriversi al suo merito personale: l’essere stato l’ultimo Capitano del Popolo
della Repubblica di Siena prima della dominazione medicea; l’essersi ritirato a Montalcino
con coloro che decisero di continuare colà la resistenza contro l’invasore recando seco i si-
gilli originali e le insegne dell’antico Stato Senese quasi elevati a simbolo dei penati della pa-
tria; l’aver per questo atto subìto da parte medicea confisca dei beni e bando; l’essere, infi-
ne, morto lontano dalla sua città, in esilio. Tutto questo, collocato nella disinvolta e pittore-
sca – che è quanto dire acritica – prospettiva degli agiografi dilettanti di patrie memorie, si
presta ad essere epigrafato con un motto celebrativo di maniera, come sarebbe: “Dilexi ju-
stitiam, odivi iniquitatem propterea morior in exilio!”».
13 Nell’Illustrazione al Bando dell’Arme da non portarsi in Siena del dì 29 luglio 1557 ab
39
Incarnatione, il Cantini narrò: «Cosimo I [...] per causa della guerra aveva contratti de’ Cre-
diti di molta rilevanza con Carlo V [e] non li fu difficile di ottenere in pagamento de’ mede-
simi dal Re Filippo di lui Successore in Feudo di quella Città col suo Stato, e sotto il dì 3 di
Luglio dell’Anno 1557 ne fu stipulato l’Atto di concessione per mezzo di Don Giovanni di
Figueroa Ministro Spagnolo», riportando il testo integrale della infeudazione dello Stato di
Siena a Cosimo I, che sarà confermata dall’Imperatore Ferdinando I il 9 settembre 1560 e
dal suo successore, Massimiliano II, il 6 luglio 1565. Cfr. L. CANTINI, Legislazione toscana,
cit., vol. III, pp. 192-203: 194 e 198.
14 Per un’analisi, quanto più esaustiva possibile, dell’aspetto giuridico-istituzionale rela-
tivo alle vicende storiche che videro nella veste di protagonisti lo Stato di Siena, il Duca di
Firenze e gli Asburgo, nell’arco cronologico compreso tra la costituzione del Vicariato im-
periale (1554) e la conferma del medesimo (1560), si rimanda a D. MARRARA - C. ROSSI, Lo
Stato di Siena tra Impero, Spagna e Principato mediceo (1554-1560). Questioni giuridiche e
istituzionali, in AA.VV., Toscana e Spagna nell’Età moderna e contemporanea, Pisa, Edizioni
ETS, 1998, pp. 5-53.
15 Cfr. A. D’ADDARIO, Il problema senese nella storia italiana della prima metà del Cin-
quecento, cit., passim; IDEM, L’indipendenza senese problema politico italiano ed europeo, in
«Bullettino Senese di Storia Patria», LXVI (1959), pp. 49-78: 77, passim.
16 Per un approccio storiografico in lingua spagnola, si veda V. DE CADENAS Y VICENT,
17 «[I] sanesi con la forma delli soliti offici loro, non li parendo di aver mutato gover-
no, se bene la condizione è mutata del tutto, stanno quieti, poiché dal terror del prencipe si
veggono cessar dal sangue ed esser sicuri delle tirannie de’ loro potenti cittadini [, i quali
...] avidi ed ambiziosi sovra modo delli onori, per farsi padroni dell’entrate pubbliche e per
usurparle a modo loro, sempre contendevano insieme fino al sangue, ammazzandosi e ta-
gliandosi a pezzi [...]. Ma finalmente le loro pazzie [...] li hanno condotti in servitù. Ma
però dicono publicamente che [...] saranno quelli medesimi che sono stati sempre, deside-
rosi di cose nuove. Il che conoscendo il prencipe, li va ponendo il freno, per levargli ogni
ardire e per abbassarli quanto più può». Cfr. Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a
cura di A. SEGARIZZI, cit., vol. III, parte I, cap. III (Relazione di messer Vincenzo Fedeli se-
gretario dell’illustrissima Signoria di Venezia tornato dal duca di Fiorenza nel 1561), pp. 123-
174: 131-132.
41
21 Ibidem.
22 Cfr. D. L. HICKS, Sienese society in the Renaissance, cit., pp. 414-415.
23 Cfr. G. PRUNAI - S. DE’ COLLI, La Balìa dagli inizi del XIII secolo fino alla invasione
francese (1789), in «Bullettino Senese di Storia Patria», LXV (1958), pp. 33-96: 48-49.
24 Il termine deve essere inteso nella sua accezione più comune, concernente la tenden-
E. FASANO GUARINI, Lo stato mediceo di Cosimo I, cit., passim, D. MARRARA, Storia istituzio-
nale della Maremma senese, Siena, Editoriale d’Arte Meini, 1961, pp. 137-201, nonché D.
BARSANTI, La Toscana dai Medici ai Lorena. Vicende politiche e rinnovamento dello Stato, in
«Bollettino della Società Storica Maremmana», vol. 47-48, anno XXV (dicembre 1984),
pp. 11-83.
27 Per un quadro d’insieme del fenomeno in Toscana, si rimanda a G. PANSINI, Per una
storia del feudalesimo nel Granducato di Toscana durante il periodo mediceo, cit. In merito al
territorio senese in particolare, si vedano: I. POLVERINI FOSI, Feudi e nobiltà: i possessi feuda-
li dei Salviati nel senese (secoli XVII-XVIII), in «Bullettino Senese di Storia Patria»,
LXXXII-LXXXIII (1975-1976), pp. 239-273; L. BONELLI CONENNA, Proprietà fondiaria e
rifeudalizzazione nello Stato senese tra il XVI e il XVII secolo, ivi, pp. 405-412.
46
mini nell’Ordine di S. Stefano, in Atti del Convegno «L’Ordine di Stefano e la nobiltà senese»,
(Pisa, 8 maggio 1998), pp. 65-133; E. PANICUCCI, La famiglia Tolomei nell’Ordine di S. Stefa-
no, ivi, pp. 135-171; E. BALDASSERONI, I Pannocchieschi d’Elci. La commenda “Elci prima” e
le presenze del ramo di Carlo di Achille nell’Ordine di Santo Stefano, in «Quaderni Stefania-
ni», XXIV (2005), supplemento, pp. 127-221.
29 Discorso et forma di fare Feudatari nello Stato di Siena, cfr. I. POLVERINI FOSI, Un pro-
«tutta una serie di nuovi uffici, alle dirette dipendenze del Duca (solo dal
30 Cfr. V. RUTENBURG, Storia del Medio Evo italiano nelle opere degli scrittori russi e so-
p. 285. «Per la prima volta, la celebre vicenda del crollo della repubblica e del trionfo del
governo assoluto mediceo è trattata dall’Albertini con moderna metodologia storica e ricca
documentazione», cfr. F. DIAZ, Il Granducato di Toscana – I Medici, Torino, Utet, 1987,
p. 549.
49
Fu, quindi,
«l’illusione di vivere nel prestigio del passato che, re[se] possibile a Cosimo di
tenere legata a sé e sottoposta in pratica l’aristocrazia»33.
Ancora alla fine degli anni ’80, quando il Principato venne assu-
mendo sempre più chiaramente i caratteri di Stato assoluto ed il
coevo pensiero politico ne elaborò la giustificazione teorica34, si po-
teva temere un riaccendersi delle «male cogitazioni»35 nella mente
di coloro che, per secoli, avevano dominato nella vita politica citta-
dina. Ma i giudizi degli osservatori esteri delle questioni di Toscana,
se da una parte alludevano alla creazione di un sistema di spionag-
gio e di sorveglianza, dall’altra mostravano una buona dose di scetti-
cismo dinanzi all’eventualità di rievocazioni nostalgiche da parte
della nobiltà, volte alla riconquista di antichi diritti politici e privile-
gi sociali dell’età repubblicana:
«Li pensieri che debbono avere tutti li principi, che dominano questo Sta-
to, si riducono a due capi: l’uno, di fermar bene le cose sue quanto alli pericoli
interni; l’altro di assicurarle quanto alli pericoli esterni. Internamente può es-
«sanesi [i quali,] con la forma dei soliti offici loro, non li parendo di aver mu-
tato governo, se bene la condizione è mutata del tutto, stanno quieti, poiché
dal terror del prencipe si veggono cessar dal sangue ed esser sicuri dalle tiran-
nie dei loro potenti cittadini»37.
36 Cfr. Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. SEGARIZZI, cit., vol. III,
parte II, cap. VIII (Relazione delle cose di Toscana di Tomaso Contarini ambasciatore del Car-
dinale Granduca, 1588), pp. 37-104: 76-77.
37 Ivi, vol. III, parte I, cap. III (Relazione di messer Vincenzo Fedeli segretario dell’illu-
strissima Signoria di Venezia tornato dal duca di Fiorenza nel 1561), pp. 123-174: 130.
38 Sull’argomento, si veda il ricco saggio, accompagnato da una copiosa bibliografia, di
L. BONELLI CONENNA, Crisi economica e demografica dello Stato senese agli inizi del XVII se-
colo, in AA.VV., Contadini e proprietari nella Toscana moderna (Atti del Convegno di studi in
onore di Giorgio Giorgetti), vol. 1, Dal Medioevo all’Età moderna, Firenze, Leo S. Olschki
Editore, 1979, pp. 495-521.
51
«È ormai un luogo comune che molte delle vecchie nobiltà d’Europa subi-
rono una severa crisi demografica nel sedicesimo, diciassettesimo e diciottesi-
mo secolo [... e] sembrerebbe che alcuni avvenimenti di questi anni siano stati
particolarmente gravi per le vecchie nobiltà della penisola italiana. Non si vuol
dire che queste, come classe, siano state soppiantate nei loro privilegi, di ric-
chezza o di rango, da gente nuova in ascesa da una posizione inferiore alla lo-
ro nella scala sociale o da stranieri entrati nella penisola al seguito di gover-
nanti stranieri. Il fatto è che molte delle vecchie nobiltà italiane decaddero
dall’interno. Questo fu certamente il caso [...] della nobiltà di Siena sotto i
Medici e gli Asburgo-Lorena negli anni che vanno dal 1560 al 1779[, ... nel
corso dei quali vi fu il] declino nel numero e nella qualità di quelli che ne face-
vano parte»40.
«Non solo il Consiglio Generale sceglieva la Signoria e copriva i vari uffici ri-
servati ai nobili senesi, ma i suoi membri monopolizzavano i più importanti uffi-
cura di R. BARZANTI - G. CATONI - M. DE GREGORIO, Siena, Alsaba, 1997, pp. 9-24: 18.
43 Nell’arco temporale 1560-1779, tra le famiglie nobili senesi politicamente più attive,
le quali potevano vantare oltre 50 Capitani del Popolo o membri della Balìa, il gruppo ri-
stretto rappresentato dalla ventina ostentante i cognomi più antichi e prestigiosi concentrò
nelle proprie mani, continuativamente, il dominio oligarchico sulla città. In particolare, ben
sette di esse erano ascritte al Monte dei Gentiluomini: Piccolomini, Pannocchieschi d’Elci,
Spannocchi, Tolomei, Venturi, Bandinelli, Ugurgieri. Cfr. G. R. F. BAKER, Nobiltà in declino,
cit., tabella IV, p. 596. Inoltre, si vedano i seguenti studi sulle famiglie in parola: M. AGLIET-
TI, La famiglia Piccolomini nell’Ordine di S. Stefano, cit.; E. PANICUCCI, La famiglia Tolomei
nell’Ordine di S. Stefano, cit.; E. BALDASSERONI, I Pannocchieschi d’Elci, cit.; A. RUIU, La fa-
miglia Ugurgieri nel patriziato senese e nell’Ordine di S. Stefano, in «Quaderni Stefaniani»,
XXVI (2007), supplemento, pp. 117-208.
53
ci dello stato di Siena sotto i Medici e dopo, il Capitano del Popolo e la Balia»44.
Ecco, allora, che, nel più ampio spettro delle tanto decantate –
ma non meglio identificate – crisi che caratterizzarono le differenti
realtà nobiliari europee su vasta scala in età moderna,
«basi economiche, sociali e politiche della società europea subirono dei cam-
biamenti radicali che si ripercossero sui criteri e sentimenti degli uomini del
tempo. Nel settore della economia le forme tradizionali della produzione agri-
cola, del commercio e dell’industria continuarono a esistere accanto a nuovi
emergenti modi di produzione. [...] I nuovi fenomeni, in contrasto con le vec-
chie strutture, scardinarono una società di “ordini” in cui la presenza delle di-
verse classi sociali non era tuttavia accompagnata da una chiara “coscienza di
classe”»46 –,
cit., p. 18.
54
«la continuità del potere sulle istituzioni cittadine, nei limiti[, ...] nell’ambito e
nelle condizioni dettat[i] dalla realtà delle istituzioni e degli equilibri politici
dello Stato mediceo: in confronto continuo, quindi, con gli indirizzi politici
che volta a volta si affermavano a Firenze. Ed è con questa realtà che il ceto
dirigente senese dovette misurarsi e confrontarsi, cercando altre strade e altri
obiettivi di affermazione politica e sociale»49.
Lavoisier (1743-1794), padre della chimica moderna, nell’anno della rivoluzione francese
(A. L. LAVOISIER, Traité élémentaire de chimie, Paris, Cuchet, 1789), per la quale perse la te-
sta, sotto la ghigliottina, ed è nota come «principio di conservazione della massa»: «niente si
crea nelle operazioni dell’arte ne’ in quelle della natura e si può porre come principio che in
ogni operazione vi è una quantità uguale di materia prima e dopo l’operazione, che la qua-
lità e la quantità dei principi [elementi] è la stessa e che si verificano solo cambiamenti e
modificazioni».
55
«quella senese [che] – sia per essere propria di una città capitale [dello Stato
“nuovo”] sia per essere politicamente più consistente e giuridicamente più au-
tonoma rispetto a quella dell’altra “metropoli” – assumeva una posizione di
primissimo rilievo ed un valore paradigmatico, anche fuori dei confini del
Granducato: era, in una parola, quella che maggiormente si avvicinava al mo-
dello delle più antiche e prestigiose nobiltà cittadine italiane»52.
«la nobiltà più antica (quella ascesa al potere già in età repubblicana) aveva, e
conservò sempre, una posizione di preminenza rispetto alla nobiltà di recente
creazione, in ciò favorita non soltanto dalle disposizioni legislative, dalla quo-
tidiana prassi di governo, dalle dottrine elaborate dai giuristi e dagli scrittori
politici, ma anche da circostanze obiettive. Essa comprendeva, infatti, alcune
grandi famiglie, politicamente molto influenti per la loro presenza plurisecola-
re nella guida della comunità cittadina, ragguardevoli per il numero cospicuo
dei loro componenti, solide per l’entità delle loro rendite patrimoniali»54.
«della formazione di una ristretta oligarchia di fatto nel seno della più ampia
oligarchia di diritto»55.
«L’Arti della lana, seta e lino invigorirle, con quei modi che fussero propo-
sti dalli professori di quell’Arti, e con obbligare i riseduti ad impiegarsi in al-
cune di queste Arti, o colla persona, o con li denari, o col lavoro di Maremma,
soccite di bestiami e razze di cavalli; altrimenti non fossero capaci de’ magi-
strati e governi della città»57.
Non pago, l’autore del Parere per la Città e Stato di Siena rincarò
la dose, consigliando, inoltre, di redistribuire il potere su basi più
ampie, mettendo in discussione il monopolio dell’aristocrazia urba-
na sulla magistratura di maggior rilievo e prestigio – come dimostra-
to più sopra – fin dalla prima metà del secolo decimoquinto, rinver-
dendo l’assetto dei parlamenti d’ancien régime58:
«Se si desse il caso che s’avesse a mutare reggimento [in vista della proba-
bile estinzione della dinastia dei Medici], sarebbe forse bene il ridurre il nu-
mero di Balia a quaranta, cioè dieci ecclesiastici, la metà di preti secolari e l’al-
tra metà di monaci regolari, dieci de’ nobili della Città e dieci de’ principali
del contado, da cavarsi uno per Città e Capitanati dello Stato in elezzione de’
popoli loro, et altri dieci da cavarsi dall’università e corpi dell’artisti civili delle
dieci Arti più numerose e più discrete»59.
56 A. BELLANTI LUCARINI, Parere per la Città e Stato di Siena fatto l’anno 1715, in BCSi,
Manoscritti, A IV 18, cc. 2r-17v. Lo scritto del Lucarini, di grande interesse sotto il profilo
storico-istituzionale, può essere reperito, in una recente edizione critica, nel volume di A.
ZAPPELLI, Alcibiade Bellanti Lucarini (1645-1724). Le vicende familiari, la presenza nell’Ordi-
ne di Santo Stefano e il pensiero politico di un nobile senese, Pisa, Edizioni ETS, 2002,
pp. 146-158.
57 Ivi, cc. 14r-14v, p. 155.
58 Per uno studio autorevole ed esaustivo sulla storia delle istituzioni parlamentari, si
veda A. MARONGIU, Il parlamento in Italia nel Medioevo e nell’Età moderna. Contributo alla
storia delle istituzioni parlamentari dell’Europa occidentale, Milano, Giuffrè, 1962.
59 Cfr. A. BELLANTI LUCARINI, Parere, cit., cc. 16v-17r, in A. ZAPPELLI, Alcibiade Bellan-
«Che i nobili s’impiegassero ne’ lavori della seta e della lana o ne i lavori
della Maremma, e in altre occupazioni che non pregiudicano alla nobiltà, sa-
scritti, C VIII 1, cc. 32r-46v. Lo scritto del Pecci, anch’esso di grande interesse sotto il profi-
lo storico-istituzionale, può essere reperito, in una recente edizione critica, nel volume di C.
ROSSI, Giovanni Antonio Pecci, cit., pp. 263-276.
61 IDEM, Memorie storico-critiche della città di Siena, che servono alla vita civile di Pan-
dolfo Petrucci, dal MCCCCLXXX al MDXII, cit.; Continuazione delle memorie storico-criti-
che della città di Siena, per le quali vengono descritti quattro altri soggetti della famiglia Pe-
trucci, Alessandro Bichi e tutta la fazzione novesca fino agli anni MDXXVII, cit.; Continuazio-
ne delle memorie storico-critiche della città di Siena fino agli anni MDLII, cit.; Continuazione
delle memorie storico-critiche della città di Siena fino agli anni MDLIX, cit. Attualmente, può
reperirsi anche una ristampa anastatica dell’opera in questione, a cura di M. PAVOLINI ed E.
INNOCENTI, con la presentazione di M. ASCHERI, cit.
59
«la legge quattrocentesca era stata posta in essere in un mondo [...] ancorato
alle tradizioni comunali, dove il ceto dirigente non aveva assunto nome e ca-
rattere di nobiltà, e [...] ripristinarne l’osservanza nel XVIII secolo sarebbe
parsa una novità eversiva dei nuovi assetti sociali e politici»63.
«Il corpo dei riseduti s’identificava ormai con un’aristocrazia che viveva, ed
era tenuta a vivere, more nobilium; e gli statuti dell’Ordine di Santo Stefano
esigevano che i pretendenti l’abito per giustizia non avessero esercitato, né
esercitassero, “arte alcuna”»64.
62 Cfr. G. A. PECCI, Annotazioni e aggiunte, cit., cc. 40r-40v, in C. ROSSI, Giovanni An-
«cittadini, tra’ quali si considerano egualmente tanto i più civili che i più infi-
mi abietti manifattori, lo che mai può tornar bene, attesoché i più civili, [...]
dal gregge più vile si vogliono separare»66.
65 Cfr. Statuti, cit., tit. II (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. III (Delle probazioni, che
si debbano fare innanzi, che alcuno si accetti), p. 95. Cfr., inoltre, ivi, tit. XVII (Delle proibi-
zioni e pene), cap. I (Che i Cavalieri non esercitino arti proibite, e vili, nè servano, salvo a
Principi, e gran Personaggi), p. 309. Questo capitolo, che si occupava dell’esercizio di «arti
proibite, e vili», prescriveva che «Nessuna cosa è, né più biasimevole a un Cavaliere, né più
vergognosa, che esercitare alcuna arte proibita dalle leggi, o vile per sé stessa. […] E se alcu-
no sarà d’animo così plebeo, che eserciti personalmente arti vili, ovvero faccia esercizj mec-
canici (di quelli massimamente, che secondo gli Statuti gli averebbono potuto impedire la
grazia dell’Abito, quando si fusse saputo, che esercitati gli avesse prima che fusse fatto Ca-
valiere) incorra ipso facto, in pena della privazione dell’Abito». Ed ancora, sulla definizione
di arti vili e meccaniche e sulla decadenza dallo status nobiliare, correlata al loro esercizio, si
veda D. MARRARA, Riseduti e nobiltà, cit., pp. 53-58.
66 Cfr. G. A. PECCI, Annotazioni e aggiunte, cit., c. 46r, in C. ROSSI, Giovanni Antonio
«si sforzano co’ nobili gareggiare del pari e in nulla a loro cedere nel contegno
e nella disuguaglianza, lo che produce continue amarezze, dissenzioni e emu-
lazioni, da non potersi da’ nobili soffrire, perché superiori nella nascita, nel-
l’antichità delle famiglie loro e resi già distinti per le dignità e gl’onori ottenuti
da loro e dagl’antenati»67;
«a nulla vogliono cedere, onde più ostinate che mai si mantengono le dissen-
zioni e i dissapori, con pregiudizio al quieto vivere e a quella pace che in una
Città suddita si potrebbe indifferentemente godere»68.
67 Ibidem.
68 Ibidem.
69 Ibidem.
62
«In effetti, quando scriveva il Pecci, agli inizi dell’età leopoldina, un gra-
ve colpo era già stato inferto all’integrità dello Stato senese, ormai smembra-
to in due province, delle quali una soltanto, denominata “superiore”, con-
servava l’antica capitale e l’antico ordinamento [...]. Di lì a qualche anno,
poi, il superamento del monopolio politico dell’aristocrazia, nell’ambito dei
governi cittadini, sarebbe stato realizzato non attraverso lo schema medieva-
le di una rappresentanza di “stati”, ma grazie al principio, ispiratore delle
riforme municipali toscane, del collegamento dei diritti politici con la pro-
prietà fondiaria»71.
«Gli aristocratici [...] avevano “sempre il maggior credito nei magistrati co-
munitativi”, e, alleati coi più “grossi proprietari”, abusavano della “loro in-
fluenza” per difendere i propri interessi e per ostacolare una corretta e spedita
70Legge, art. I.
71Cfr. D. MARRARA, Una singolare proposta di rappresentanza di «stati» formulata nel
Settecento toscano, in «Il Pensiero Politico», anno IX (1976), n. 1, pp. 57-69: 69.
63
attuazione delle riforme: chi scriveva, con amarezza, queste parole era lo stes-
so Pietro Leopoldo»72.
72
Cfr. IDEM, Riseduti e nobiltà, cit., p. 208. L’A. fa riferimento a P. LEOPOLDO D’ASBUR-
GO LORENA, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. SALVESTRINI, Firenze, Leo S.
Olschki Editore, 1973, vol. III (Stato Senese e Livorno), p. 415.
73 Ivi, p. 210.
74 Ivi, p. 211.
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III
PARTIZIONI DELLA CITTÀ:
LA GEOGRAFIA SOCIALE SENESE
TRA ARTI, GOVERNO E PROFESSIONI
1 La Lira di Siena corrispondeva all’Estimo fiorentino: la stima delle sostanze degli abi-
tanti della città, che forniva la base per la ripartizione delle imposte. In senso stretto, era la
cifra in lire che determinava le responsabilità fiscali dell’individuo nei confronti del Comu-
ne; in senso lato, era l’insieme delle singole lire che venivano riunite in appositi registri o li-
bri. Ad intervalli variabili i Consigli eleggevano appositi ufficiali – gli «allibratori» –, per
raccogliere le denunzie, o polizze, d’estimo da tutti i capi famiglia della città, per procedere
all’alliramento. Nella denunzia, l’allirando doveva fare un elenco preciso di tutti i suoi beni
mobili ed immobili: «case, possessioni, denari, creditori e debitori, pigioni, fitti, perpetue,
incette, traffichi, bestiame, grano, biade, vini, olii, e qualunque altra cosa la quale in qualun-
que modo havesse o trafficasse o incettasse [...] in qualunque luogo si fusse». Così specifica-
va il bando della Lira del 1548, pubblicato da L. BANCHI, Gli ordinamenti economici dei co-
muni toscani nel Medioevo e segnatamente del comune di Siena, in «Atti della Regia Accade-
mia dei Fisiocratici di Siena», serie III, vol. I, 1864, pp. 37-38; cfr. A. K. ISAACS, Popolo e
Monti, cit., p. 35. Le norme che governavano la compilazione della Lira sono quelle enun-
ciate nel duecentesco Breve dei cittadini che dovevano essere allirati, (1226), (pubblicato nel
Breve degli Officiali del Comune di Siena, compilato nell’anno MCCL al tempo del Podestà
Ubertino di Lando da Piacenza ora primamente edito da L. Banchi, a cura di L. BANCHI, in
«Archivio Storico Italiano», serie III, tomo IV, parte II, anno 1866, pp. 3-57: 45-47: 46; ma
si veda anche l’Avvertimento dell’A., in «Archivio Storico Italiano», serie III, tomo III, parte
II, anno 1866, pp. 3-104: 3-6): l’allirato giurava di denunziare tutti i suoi beni, tra cui anche
i crediti che giudicava inesigibili, «omni cavillatione et fraude remota». Gli unici beni esi-
stenti sono le masserizie, il vino e il grano sufficienti alla famiglia per un anno; ma l’allirato
non dimenticava mai di far notare la difficoltà di recuperare i crediti, i debiti esistenti e pre-
visti, le figlie da maritare e, quindi, le conseguenti doti da costituire, il numero e l’età delle
persone a carico: tutti elementi con cui si poteva sperare di mitigare la durezza degli allibra-
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tori. Cfr. ASSi, Lira, 234-240, Denunzie, passim. Il Celli avverte che l’edizione del Banchi
contiene difetti e inesattezze, rilevati da L. ZDEKAUER, Per una edizione critica del Beve degli
Officiali, in «Bullettino Senese di Storia Patria», X (1903), e ricorda che un’esposizione ed
un commento della compilazione si trovano in L. SBARAGLI, Il Breve degli Ufficiali del Co-
mune di Siena, in «Bullettino Senese di Storia Patria», nuova serie, IV (1935): cfr. R. CELLI,
Studi sui sistemi normativi delle democrazie comunali. Secoli XII~XV. I – Pisa, Siena, Firenze,
G. C. Sansoni Editore, 1976, p. 232, nota 6.
2 Si veda in proposito, per esempio, D. BIZZARRI, Ricerche sul diritto di cittadinanza
nella costituzione comunale, in «Studi Senesi», vol. XXXII, 1916, pp. 19-136; rist. in D. BIZ-
ZARRI, Studi di Storia del Diritto Italiano, Torino, Lattes, 1937, pp. 65-158.
3 Lo studio più autorevole, dal quale si trae spunto, è stato basato soprattutto sulla Li-
ra del 1509, adoperata fino al 1531, maggiormente rappresentativa al fine di cogliere i rap-
porti di forza esistenti tra i vari gruppi di cittadini prima dell’avvento del Principato. Esiste,
inoltre, per la Lira del 1509 una parte delle denunzie utilizzate per la sua compilazione.
Questo corredo di denunzie, che si trova in ASSi Lira, 234-240, Denunzie, sebbene danneg-
giato, è quasi completo per il Terzo di Città, ma molto frammentario per gli altri due. Le de-
nunzie, quasi sempre di mano dell’allirato, non sono numerate, ma raccolte in grossi tomi e
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nel primo Cinquecento, in AA.VV., Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del ’500, vol. I
(Strumenti e veicoli della cultura. Relazioni politiche ed economiche), Firenze, Leo S. Olschki
Editore, 1983, pp. 249-270: 251.
6 Ivi, p. 257, nota 16. Si è argutamente sottolineato – traendo spunto da D. L. HICKS,
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The Sienese State in the Renaissance, cit., in From the Renaissance to the Counter-reforma-
tion. Essays in honour of Garret Mattingly, cit. – come il carattere di coalizione tra Monti
che ebbe il regime di Pandolfo Petrucci – in epoca, si noti, di definitiva riammissione dei
Gentiluomini al pieno godimento dei diritti politici, cioè a dire, alla residenza nella suprema
magistratura e al correlato reinserimento nella Balìa –, fosse caratterizzato dal sodalizio tra i
«grandi» – vale a dire, i più facoltosi –, che escludeva i meno ricchi anche del Monte dei
Nove, dal quale proveniva il medesimo Signore di Siena. Si è fatto, però, anche notare come
i noveschi godessero a quel tempo di un terzo delle cariche: ben più della quarta parte che
sarebbe stata definitivamente stabilita dal provvedimento costituzionale mediceo del 1° feb-
braio 1561.
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69
come già si è avuto modo di evidenziare nel quarto paragrafo del secondo capitolo (Crisi
della nobiltà e diritti politici) –, le quali conservarono intatte le loro caratteristiche, anche
dopo la privazione delle libertà repubblicane. Si confrontino, specialmente: A. K. ISAACS,
Popolo e Monti nella Siena del Primo Cinquecento, cit., passim; G. R. F. BAKER, Nobiltà in de-
clino: il caso di Siena sotto i Medici e gli Asburgo-Lorena, cit., passim; M. VERGA, Riseduti e
popolo, cit., in Storia di Siena. II. Dal Granducato all’Unità, cit., passim.
8 Cfr. A. K. ISAACS, Popolo e Monti nella Siena del primo Cinquecento, cit., pp. 43-44:
«Con un numero di allirati [...] superiore a quello degli altri due terzi, il Terzo di Città ha
quasi il doppio di allirati che possiamo definire ricchissimi».
9 Sessanta nel primo Trecento, furono ridotte a quarantadue in seguito alla peste nera,
cfr. G. A. PECCI, Memorie storico-critiche della città di Siena, che servono alla vita civile di
Pandolfo Petrucci, dal MCCCCLXXX al MDXII, cit., vol. I, p. 141. Per la ricostruzione delle
antiche compagnie, risulta essere di grande utilità, seppur datato, ma, proprio per questo,
certamente rigoroso, il ricco saggio di V. LUSINI, Note storiche sulla topografia di Siena nel
secolo XIII, in «Bullettino senese di storia patria», XXVIII (1921), pp. 239-341.
10 Le contrade odierne sono una differente accezione, vista da un altro angolo visuale,
dei raggruppamenti nelle Compagnie nate in epoca repubblicana, come sostenne il Cecchi-
ni, specificando il concetto di Compagnia: mera divisione riferita alla milizia che si racco-
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glieva dalla contrada quale area più strettamente geografica. Cfr. G. CECCHINI - D. NERI, Il
Palio di Siena, Milano, Electa, 1958, pp. 10-13.
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tenga conto del fatto che, anche quando si sia esperimentata – per inter-
valli più o meno lunghi – un’abolizione, seppur parziale, dei Monti, par-
ticolare attenzione sia stata riservata alla salvaguardia della fiera dignità
dei cittadini di reggimento, i quali continuarono pur sempre ad essere
eletti od estratti in base al Monte di appartenenza, grazie ad accorpa-
menti fittizi o coalizioni temporanee che andavano, sempre e comun-
que, a svuotare di significato ogni riforma, sia che si guardi lontano, alla
legislazione antimagnatizia dugentesca, sia che si accorci lo sguardo al
Cinquecento dominato da Clemente VII, o all’esclusione dei Nove nel
luglio del 1527.
E la sintesi trova fondamento in almeno due elementi davvero signi-
ficativi per decifrare l’origine dell’anima politica, ancora inguaribil-
mente repubblicana, della Siena postmedievale11.
Se si utilizza il paradigma del 1527, ci si rende immediatamente con-
to di come il numero tre, peculiare della suddivisione geografica urba-
na, dominasse anche nella pratica politica, giacché nel terzo decennio
del Cinquecento, fino all’anno in questione, i cinque Monti partecipa-
vano tutti, nominalmente e legittimamente, alla spartizione dei gradi,
anche se i Riformatori e, ancor più, i Dodicini – indubitabilmente i più
deboli – avevano dovuto necessariamente amalgamarsi con i Gentiluo-
mini, talora, ed i Popolari, talaltra, riducendosi a tre – ancora una volta
–, nella sostanza, le compagini politiche in gioco per la gestione del po-
tere (Popolo, Gentiluomini e Riformatori: i medesimi sodali Libertini
prima d’ora strettisi in fazione, per opporsi a Fabio di Pandolfo Pe-
trucci, nel comun desiderio di ripristinare i principi repubblicani, al fi-
ne di riportare in auge una larga partecipazione alle cariche, ordendo
la congiura del settembre 1524). Tuttavia, tale stato di cose cessò con il
ritorno dei Nove, nel gennaio del 1531, allorquando essi andarono a ri-
prendere il loro posto accanto ai due raggruppamenti antitetici per ve-
tustà, pur lasciando immutato il funzionamento dei congegni di gestio-
ne dell’egemonia su base ternaria.
Il secondo ed ultimo appunto deve mettere in risalto come già la
riforma attuata nel 1525, dietro le pressioni di Clemente VII, catalizza-
te dal fiato dell’esercito francese, oltre a non sortire che risultati nomi-
nali, avesse evidenziato, per causa propria, l’approfondirsi delle divi-
sioni tra i gruppi ereditari, in ragione dell’accentuato clima di sospetto
che n’era scaturito.
Appare quindi chiaro come non avrebbero, certo, potuto giovare al
72
12 Cfr. D. MARRARA, L’autonomia dello Stato di Siena nell’età del Principato mediceo, in
pra, si ricordino, oltre il classico lavoro di C. PAOLI, I “Monti” o fazioni nella Repubblica di
Siena, cit., anche i saggi di D. L. HICKS, Sienese society in the Renaissance, cit., e A. K.
ISAACS, Popolo e Monti nella Siena del Primo Cinquecento, cit. Sul «regime dei monti», si ve-
dano: D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit., pp. 104-106; R. CANTAGALLI,
La guerra di Siena (1552-1559), cit., pp. LIX-LXIV.
14 Ostili al Comune e fuori di esso furono le casate degli Aldobrandeschi e dei Pannoc-
chieschi, che nel Cinquecento erano comunque regolarmente ascritte al Monte dei Genti-
luomini. Cfr. G. CECCHINI, Ghino di Tacco, in «Archivio Storico Italiano», CXV (1957), pp.
263-298: 263. Inoltre, per uno studio esaustivo sulla famiglia Pannocchieschi, una delle più
vetuste e rilevanti consorterie senesi, si veda E. BALDASSERONI, I Pannocchieschi d’Elci, cit.
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mente per niente distinguibili dai Grandi tout court, se non per il dato
oggettivo – ben documentato – che non furono esclusi dalle cariche15.
Una volta formatisi i Monti, le famiglie che li componevano, fossero
esse state escluse dalle magistrature cittadine, colpite da bandi e confi-
sche, o rimaste nei gangli del potere, conservando l’originaria posizione
sociale e forza economica, secondo il continuo gioco delle alleanze,
avevano subito un unico destino politico, nonché, spesso, anche econo-
mico, oltre a consolidare, nel frattempo, un comune patrimonio di tra-
dizioni nella pratica del governo e di sodalizi più o meno larvati, per la
più parte catalizzati dall’odio condiviso verso altre fazioni.
L’appartenenza ad un Monte non dipendeva da una libera scelta di
parte, da un atto volontario, secondo principi od interessi, né da un
elemento casuale, come abitare in un terziere piuttosto che in un altro
e partecipare alle cariche secondo le circoscrizioni cittadine. Era, vice-
versa, un fatto che si acquisiva fin dalla nascita, che condizionava la vi-
ta politica, che non si poteva cambiare – se non in casi del tutto ecce-
zionali, come un’adozione, con assunzione, oltre al cognome, anche del
Monte dell’adottante16 –. Ma, nonostante il mentovato dato di fatto,
del tutto insopprimibile, le famiglie di ciascun raggruppamento mante-
nevano compattezza interna, unità d’interessi economici e direttrici po-
litiche condivise e coerenti con le matrici originarie, da cui traevano
l’appartenenza comune, che permasero fulgide sino al primo Cinque-
cento ed oltre, riproducendosi con un patrimonio genetico immutato.
Tradizionalmente, finanche i cittadini di origine feudale, oltre ad es-
sere proprietari fondiari, furono, altresì, mercanti e banchieri – anche
se l’importanza dei senesi nel commercio internazionale si ridusse for-
temente nel Cinquecento, specialmente rispetto ai secoli XIII e XIV –.
Ne derivò che le partecipazioni nelle attività bancarie, detenute dai più
facoltosi17, andassero a sommarsi ai grandi possedimenti agricoli ed
finanze del Comune di Siena. 1287-1355, cit., passim; IDEM, Un comune italiano nel Medioe-
vo. Siena sotto il regime dei Nove, 1287-1355, cit., passim.
16 Cfr. A. RUIU, La famiglia Ugurgieri nel patriziato senese e nell’Ordine di Santo Stefano,
gnifico, Roma, Società Romana di Storia Patria, 1878, passim), ma si trova notizia anche di
altri «banchi», come quelli degli Ugurgieri, degli Spannocchi, dei Venturi, tutte consorterie
annoverate tra i Gentiluomini. Le ultime due, originarie del Monte dei Dodici, vi furono ag-
gregate in età repubblicana; cfr. D. MARRARA, Riseduti e nobiltà, cit., appendice seconda (I
«Monti» di Siena alla vigilia delle riforme leopoldine secondo una testimonianza coeva), pp.
221-223: 222. In merito alle attività bancarie esercitate da senesi, si veda N. MENGOZZI, Il
Monte dei Paschi di Siena e le aziende in esso riunite, cit., passim.
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agli investimenti nelle arti tessili tradizionali – della lana e della seta –,
in quell’intreccio d’interessi che arrivava fino all’appalto delle entrate
pubbliche.
Pare essere, però, fuori discussione che non solo i membri del Mon-
te più antico, ma neanche i cittadini di reggimento di più recente origi-
ne esercitassero mestieri strettamente artigianali, se non i più tapini,
che vendevano pressoché al minuto nelle loro botteghe di speziale o di
merciaio e trovavano ulteriore sostentamento – talvolta di vitale impor-
tanza – grazie all’esercizio dei pubblici uffici, fonte dei proventi di un
decoroso guadagno.
È chiaro, dunque, come l’elemento caratteristico e più importante
dell’ordinamento comunale senese fosse l’esistenza dei Monti, per cui
l’appartenenza ad una delle stirpi ascrittevi dava, in maniera esclusiva,
la possibilità d’aver parte attiva nella vita politica cittadina. Senza l’e-
ventualità di tal genere, la casata che pur rappresentasse, per altri versi,
un’entità storica d’indubbia rilevanza, quale trait d’union tra passato e
presente, sarebbe stata del tutto invisibile.
Insieme agli altri requisiti distintivi delle dinastie ammesse alla ge-
stione della cosa pubblica, uno dei segni caratteristici che contrasse-
gnavano le stirpi di reggimento, agevolmente desumibile dalle fonti in
analisi, può senza dubbio identificarsi con il cognome18, che restava in-
variato per diverse generazioni, andando a designare ed unire anche i
rami più lontani di un medesimo casato, contrariamente ai nuclei fami-
75
19 Cfr. G. A. PECCI, Memorie storico-critiche della città di Siena, cit., vol. I, p. 297.
20 Cfr., per esempio, A. K. CHIANCONE ISAACS, Popolo e Monti nella Siena del primo
Cinquecento, cit., p. 72.
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21 Per una visione critica, quanto più esaustiva possibile, del contesto socio-economico
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rono il loro dominio o la loro influenza su circa metà dell’attuale regione fino al XIV sec.,
che offrivano la possibilità di risalire alle origini così antiche del sistema normativo, di stu-
diare cioè il XII sec., obbiettivi rari quanto importanti, [per il raggiungimento dei quali]
queste città richiedevano un impegno adeguato», (cfr. ivi, pp. XXVII-XXVIII); ma anche la
parte seconda (Siena), pp. 229-363. Inoltre, si vedano le Principali fonti edite citate, p. 365
ss., e, specialmente, le Fonti concernenti direttamente la storia senese, tutte di natura norma-
tiva, pp. 370-371.
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23 Sul ceto magnatizio fiorentino, in merito alla legislazione eversiva ed alla sua effica-
cia, è stato autorevolmente sostenuto come all’inizio del secolo XIV invano «si cercò di por-
re fine alle guerre civili, anche con l’invio di paceri da parte del Papa. [...] Gli artefici mag-
giori [...] ritenevano di poter migliorare la propria posizione, giocando sul contrasto fra
Grandi, e di ottenere una maggiore autonomia per i magistrati popolari, fino ad allora stru-
menti della volontà dei Magnati»; ma si trattava, «ancora e sempre, di conflitti fra potenti
che si contendono la città, di lotte di fazione manovrate, in ugual misura, da Grandi e po-
tenti Popolani. In conclusione, la composizione delle fazioni dimostra, da un lato che i Ma-
gnati non furono esclusi dal potere, ma dall’altro che mai il ceto magnatizio, come tale, pre-
se il sopravvento; erano i singoli Grandi [...] che manovravano a loro piacimento i magistra-
ti, d’accoro con i Popolani più potenti della loro rispettiva fazione. Mai i Magnati, infatti,
divisi in correnti e fazioni, riuscirono a svolgere un’azione unitaria e coordinata contro i Po-
polani grassi. Il monolitismo dei vecchi partiti era venuto meno da tempo, perché Grandi e
Popolani stavano lentamente fondendosi, uniti dalla appartenenza, o dalla opposizione alla
fazione dominante e da comuni interessi economici». Dunque, «dopo gli Ordinamenti di
Giustizia, sembra ovvio non potersi parlare di attuazione della legislazione antimagnatizia,
che si dimostrò incapace d’impedire che pochi Grandi e Popolani si impadronissero del po-
tere», così come, più che «di uno stato fiorentino, si può parlare propriamente di uno stato,
prima dei Bianchi e poi dei Neri, e quindi sempre dei Magnati e dei Popolani loro alleati,
ora dell’una, ora dell’altra fazione», giacché le statuizioni antimagnatizie non costituirono
assolutamente «un valido impedimento per la realizzazione di una egemonìa sulla città da
parte delle compagnie magnatizie, bancarie, industriali, e commerciali, legate da interessi
comuni alle società popolari»; cfr. D. CAVALCA, Il ceto magnatizio a Firenze dopo gli Ordina-
menti di Giustizia, in «Rivista di Storia del Diritto italiano», XL-XLI (1967-1968), pp. 85-
132: 113-115. Per un recente studio sui temi in parola, si veda C. KLAPISH ZUBER, Ritorno
alla politica. I magnati fiorentini 1340-1440, Roma, Viella, 2009, (ed. orig. Rétour à la cité.
Les magnats de Florence, 1340-1440, Paris, Éditions de l’EHESS, 2006).
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ne del sistema corporativo, aveva già evidenziato una disparità di trattamento tra arti mag-
giori e minori (alle prime sarebbero stati riservati 3/4 dei seggi totali nelle magistrature, pur
rappresentando la minoranza: erano sette su quattordici e ricomprendevano un numero no-
tevolmente inferiore di soci, poiché, naturalmente, i piccoli artigiani erano molto più nume-
rosi dei grandi imprenditori) e, per di più, proprio ad esse sarebbero stati accorpati i ma-
gnati che avessero inteso disconoscere le loro origini, pur di partecipare al governo. Quindi,
nella pratica, per l’aggregazione di una nuova famiglia al regimen cittadino occorreva il con-
corso sia della suprema magistratura, per la formale ammissione all’elettorato passivo, sia
del Consiglio del Popolo, per l’elezione effettiva ed il relativo conseguimento dell’idoneità
alla copertura dei seggi. L’ultimo rilievo concerne la trasposizione del complicato ingranag-
gio in oggetto nell’età del Principato. Se, in epoca repubblicana, infatti, la distinzione tra il
momento della concessione dell’elettorato passivo e la concretizzazione del diritto con la
prima elezione rivestiva un’indiscutibile rilevanza giuridica, nel passaggio istituzionale suc-
cessivo essa acquisterà un’importanza di gran lunga più significativa, dal punto di vista emi-
nentemente politico, giacché la suprema autorità sarà personificata dal Principe e, dunque,
a lui verrà riservata la facoltà di conferire il privilegio in parola. Ma al principio di nomina
dall’alto doveva corrispondere, anche in questo caso, un processo di cooptazione dal basso:
cotesto è il segreto dell’autonomia della nobiltà civica, la quale perdurerà nonostante l’av-
vento della monarchia, e ne renderà arduo il consolidamento, confinandone le velleità al-
l’ambito dell’assolutismo postmedievale.
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del secolo XIII, derivarono due distinti sistemi istituzionali, che trova-
rono la giustificazione della partecipazione al governo in due diversi
apparati sociali preponderanti: le Arti, a Firenze, ed i Monti, a Siena,
evolvendo, di lì in poi, in maniera del tutto differente, ma con il mede-
simo risultato: il consolidamento di un ceto dirigente di natura pretta-
mente cittadina.
Ad ogni buon conto, dopo due secoli, Siena conservava ancora il
suo aureo torpore, un po’ per lo strapotere a tutto tondo della classe
dirigente tralatizia25, un po’ per l’incapacità delle classi emergenti d’im-
brigliare in una sola stretta l’ascesa sociale e l’esercizio dei diritti politi-
ci26, tenute sotto scacco, sì, dalla nobiltà civica, sempre più ricca, ma
ancor più da una sorta di accondiscendenza, di timore reverenziale e,
insieme, di riconoscimento del ruolo e della capacità di governo in ca-
po a quei magnates che altro non avean fatto fin dalla copertura dell’uf-
ficio di Console: stare sulla cima della piramide. E l’esempio lampante
è dato innanzitutto dai consorti del Monte dei Gentiluomini, che – si
rimarca, finanche in piena vigenza della legislazione antimagnatizia –
non smisero mai di tirare le fila del potere reale27.
25 Per le famiglie più ragguardevoli del ceto dirigente cittadino, si vedano: G. A. PECCI,
Lettera, cit., in C. ROSSI, Giovanni Antonio Pecci, cit., pp. 151-196; V. PETRONI, Le antiche
famiglie che ressero la Repubblica e lo «Stato sanese», Siena, Cantagalli, 1949, passim.
26 In merito al valore paradigmatico dei mercanti nell’evoluzione istituzionale senese, si
veda M. ASCHERI, Istituzioni politiche, mercanti e mercanzie: qualche considerazione dal caso
di Siena (secoli XIV-XV), in AA.VV., Economia e corporazioni. Il governo degli interessi nella
storia d’Italia dal Medioevo all’Età contemporanea, a cura di C. MOZZARELLI, Milano, Giuf-
frè, 1988, pp. 41-56.
27 L’esame dell’esclusione dei magnati dalle cariche e dagli uffici deve svolgersi in ma-
niera particolareggiata, andando a studiare la costituzione delle città che si ressero con un
regime di popolo e lo portarono alle estreme conseguenze. «Uno studio simile dovrebbe es-
sere condotto sui documenti d’archivio controllando le disposizioni degli statuti e le affer-
mazioni dei cronisti: e solo per pochissime città è stato fatto; possiamo però dire che nelle
molte città di cui abbiamo considerato gli statuti, solo poche tolgono ai magnati tutti i diritti
politici. L’esclusione che pare assoluta in alcuni centri minori è voluta forse più che dal po-
polo, dal signore che non vuole aver vicino a sé pericolosi aspiranti [Faenza, Orvieto] e ri-
mane in vigore quando il signore è spodestato, perché il popolo si guarda bene dal revocare
una simile disposizione [Ascoli]. Nei centri maggiori, la totale esclusione è eccezionale [Ge-
nova, Parma, Padova, Siena (1277 e 1309-10), Udine, Savona, Viterbo, Spoleto] e ben pre-
sto si ritorna sulla deliberazione presa, concedendo ai magnati una partecipazione propor-
zionata». Se, dunque, «l’esclusione dagli uffici colpiva [...] indistintamente tutti coloro che
per nascita appartenevano ad una classe oggetto dell’odio popolare», per converso, come
assodato nei confronti di Siena, la pratica era «meno rigida di quanto si potrebbe credere: i
magnati conservarono sempre un’autorità, un prestigio notevole; incarichi delicati, spedizio-
ni militari, ambascerie, capitanati e podestarie in città vicine ed amiche o nelle città soggette
– salvo eccezioni – vengono loro affidati». Alla prova dei fatti, non può certamente negarsi
come il ruolo eminente nelle questioni di governo che i Gentiluomini conservarono non fos-
se più dovuto meramente «alle particolari condizioni di privilegio della loro classe, ma alle
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loro qualità personali, alle loro possibilità economiche, all’importanza delle tradizioni sociali
e politiche della famiglia» dalla quale traevano le proprie origini e della quale rappresenta-
vano la solidità nell’esercizio dell’autorità carismatica a tutto tondo. Proprio per questa serie
di motivazioni reali, nel «complesso dell’atteggiamento del popolo verso i magnati si può os-
servare un misto di odio e di ammirazione, atteggiamento assai spesso proprio di chi ricono-
sce malvolentieri altri superiore a sé». Cfr. G. FASOLI, Ricerche sulla legislazione antimagnati-
zia nei comuni dell’alta e media Italia, in «Rivista di Storia del Diritto italiano», XVII (1939),
pp. 86-133 e 240-309: 246-247.
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28 Per gli aspetti concernenti la conservazione delle prerogative sociali, economiche e fi-
Siena nei secoli 15 e 16: statuti e documenti, Siena, Tipografia L. Lazzeri, 1881, passim.
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menti, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1894, (rist. an., Bologna, A. Forni, 1977), pp. 58 e
127.
32 Cfr. M. BERENGO, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino, Einaudi,
relata al loro esercizio, si veda D. MARRARA, Riseduti e nobiltà, cit., pp. 53-58.
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IV
PROFILI COSTITUZIONALI
E PRESUPPOSTI GIURIDICI E POLITICI
PER L’AFFERMAZIONE DEL PRINCIPATO
1 J. VICENS VIVES, Estructura administrativa estatal en los siglos XVI y XVII, in Comité
86
no, dall’anno 1527 all’anno 1555. Colla vita di Niccolò Capponi, Gonfaloniere della Repubbli-
ca di Firenze, descritta dal medesimo Segni suo nipote, in Augusta, appresso David Raimondo
Mertz e Gio. Jacopo Majer, 1723.
4 F. DE’ NERLI, (1485-1556), Commentarj de’ fatti civili occorsi dentro la città di Firenze
dal’anno 1215 al 1537 scritti dal Senatore Filippo de’ Nerli gentiluomo fiorentino, in Augusta,
appresso David Raimondo Mertz e Gio. Jacopo Majer, 1728.
5 J. NARDI, (1476-1563), Le Historie della Città di Fiorenza di messer Jacopo Nardi Cit-
tadino Fiorentino. Le quali con tutta quella particolarità che bisogna, contengono quanto dal’
anno 1494 fino al tempo del’ anno 1531 è successo. Con un catalogo de Gonfalonieri di Giusti-
zia, che hanno seduto nel supremo magistrato della Città di Fiorenza. Et nella fine vn discorso
sopra lo stato della magnifica Città di Lione. Nuovamente poste in luce, in Lione, appresso
Theobaldo Ancelin, 1582. IDEM, Le storie della Città di Firenze di messer Jacopo Nardi citta-
din fiorentino. Doue con tutte le particolarità, che si possono disiderare si contiene cio che dal-
l’anno 1494 fino all’anno 1531 è successo. Con la Tavola delle cose Notabili, e co’ Sommari à
ciascun libro. Aggiuntoui vn’istruzione per leggere le Storie ordinatamente, in Firenze, nella
Stamperia di Bartolommeo Sermartelli, 1584.
6 B. VARCHI, (1503-1565), Storia fiorentina di messer Benedetto Varchi. Nella quale prin-
mo fiorentino. Divisa in libri ventidue. Di nuovo mandata in luce. Con li sommarii, e tavola
delle cose più notabili, in Firenze, nella Stamperia de i Giunti, del mese di Settembre 1583.
IDEM, Istoria de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani gentilhuomo fiorentino. Divisa in Libri
Ventidue. Di nuovo mandata in luce. Con li sommarii, e tavola, e le postille in margine delle
cose più notabili, che in esse Istorie si contengono, in Venetia, ad instantia de’ Giunti di Fi-
renze, 1587. L’Adriani è però assai più interessato dei suoi predecessori ai problemi inerenti
il funzionamento degli organi dello Stato, non solo nella città, ma anche nel dominio. Sugli
storici dei primi anni del Principato, cfr. M. LUPO GENTILE, Studi sulla storiografia della
Corte di Cosimo I de’ Medici, (Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, vol. 19), Pisa,
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to8; però, questi osservatori non colsero l’importanza della vita dif-
ferenziata e complessa del dominio, e, nella misura in cui trattarono
degli eventi più ampiamente toscani, essi li racchiusero in un oriz-
zonte che, a seconda del diverso tono che prevalse, si può definire
ancora cittadino o già – per l’appunto – cortigiano, ma, pur sempre,
essenzialmente fiorentino. Il dominio occupò uno spazio assai mag-
giore nella storia settecentesca del Galluzzi9, frutto ed espressione
della nuova «coscienza politica» del periodo lorenese: ma neppure
qui veniva studiato in sé, nelle strutture politico-amministrative, e,
tanto meno, nella sua realtà economico-sociale, bensì come oggetto
di una politica ducale che, differentemente dall’atteggiamento dian-
zi evidenziato, veniva però analizzata e giudicata criticamente.
Le opere più tarde, come quella ottocentesca del Reumont10 o le
meno lontane sintesi del Caggese11 e del Panella12, furono, più stret-
tamente, condotte sul filo degli eventi politici, per arrivare fino
principio della città insino all’anno 1434 nel quale Cosimo de Medici il Vecchio fu restituito al-
la patria. Con vna tauola copiosissima delle cose più notabili [dalle origini al 1574], [ed. in-
completa], in Firenze, nella stamperia di Filippo Giunti, 1600; IDEM, Istorie fiorentine di Sci-
pione Ammirato parte seconda. Con una tauola in fine delle cose più notabili, a cura di Scipio-
ne Ammirato il Giovane (1582-1646), in Firenze nella stamperia nuova d’Amador Massi e
Lorenzo Landi, 1641; IDEM, Istorie fiorentine di Scipione Ammirato Parte Prima Tomo Pri-
mo[-Tomo Secondo] con l’aggiunte di Scipione Ammirato il Giovane [1582-1646], [ed. com-
pleta], in Firenze, per Amador Massi Forlivese, 1647. Sull’Ammirato e la storiografia fioren-
tina della seconda metà del Cinquecento, cfr. E. W. COCHRANE, The end of the Renaissance
in Florence, in «Bibliotèque d’Humanisme et Renaissance», Travaux et Documents, Tome
XXVII, Genève, Librairie Droz S. A., 1965, pp. 7-29; IDEM, A case in point: in the end of
Renaissance in Florence, in The late Italian Renaissance, 1525-1620, a cura dello stesso E. W.
COCHRANE, London, Macmillan, 1970; IDEM, Florence in the forgotten centuries 1527-1800:
a history of Florence and the florentines in the age of the Grand Dukes, Chicago-London, The
University of Chicago Press, 1973; IDEM, Historians and historiography in the Italian Renais-
sance, Chicago-London, The University of Chicago Press, 1981; inoltre, benché non parli
specificamente dell’Ammirato, G. SPINI, I trattatisti dell’arte storica nella Controriforma ita-
liana, in AA. VV., Contributi alla storia del Concilio di Trento e della Controriforma, Firenze,
Vallecchi Editore, 1948, pp. 109-136, (trad. e riedito in The late Italian Renaissance, cit., pp.
91-133).
9 R. GALLUZZI, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa Medici, cit.
10 A. VON REUMONT, Geschichte Toscana’s seit dem Ende des florentinischen Freistaates,
88
quali si ricorda L’Ultimo statuto della Repubblica di Siena «1545», a cura di M. ASCHERI,
cit.), l’opera generale M. ASCHERI, Siena nella storia, Cinisello Balsamo (Milano), Arti Grafi-
che Amilcare Pizzi S. p. A., 2000.
18 D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit.
19 IDEM, Storia istituzionale della Maremma senese, cit.
20 IDEM, Riseduti e nobiltà, cit.
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21 G. SPINI, Questioni e problemi di metodo per la storia del Principato mediceo e degli
Stati toscani del Cinquecento, cit., pp. 76-93. Ma si veda anche il saggio storiografico più re-
cente (IDEM, Bilancio di un trend storiografico, in Potere centrale e strutture periferiche nella
Toscana del ‘500, a cura del medesimo G. SPINI, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1980, pp.
5-25), annotato con una copiosa bibliografia, in cui l’A. descrive il «trend storiografico, che
aveva già cominciato a manifestarsi da alcuni anni e che avrebbe continuato a svilupparsi
anche posteriormente alla ricca vendemmia del 1976», per poi concludere affermando:
«Non c’è mai stato un periodo del passato in cui il principato mediceo dei secc. XVI-XVII
abbia attirato tanto l’interesse degli storici come in quest’ultimo decennio», cfr. ivi, p. 7.
22 Per una recente ricostruzione dei percorsi storiografici concernenti la storia della To-
scana, si rimanda al volume AA.VV., Atti del Convegno «La Toscana in Età moderna. (Secoli
XVI-XVIII). Politica, istituzioni, società: studi recenti e prospettive d ricerca» (Arezzo, 12-13
ottobre 2000), a cura di M. ASCHERI e A. CONTINI, Firenze, Leo Olschki Editore, 2005.
23 Cfr. D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit., p. 89.
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3. Dal 1561, insieme alle norme che regolavano i poteri del Luo-
gotenente o Governatore e degli antichi collegi cittadini (il Conci-
storo, il Consiglio Grande, la Balìa)27 – sopravvissuti, ma ridotti e
trasformati da organi politici in organismi essenzialmente ammini-
strativi –, accanto alle disposizioni che modificavano o confermava-
no la «autorità e giurisdizione» delle antiche magistrature finanzia-
rie centrali dello stato (i Quattro di Biccherna, gli Esecutori di Ga-
bella, i Quattro Maestri del Monte, gli Uffiziali di Mercanzia, ed i
Regolatori) e ne rinnovavano i tradizionali poteri giudiziari entro i
settori di loro competenza, godeva di un ampio spazio la determina-
zione del complesso di organismi specificamente giudiziari ed am-
26 Provvisioni et Ordini particolari delli Capitani, e Podestà dello Stato della Città di Sie-
na con li loro compartimenti così nella cognizione delle Cause Criminali, come civili con la de-
scrizione de’ Salari e Bullettini del 1 Giugno 1571 ab Incarnatione, in L. CANTINI, Legislazio-
ne toscana, cit., vol. VII, pp. 314-362.
27 Il Concistoro, primo magistrato della città (supremus magistratus), che anche nell’età
del Principato conservava l’antica qualifica di suprema magistratura, era composto di sedici
membri: il Capitano del Popolo (Capitaneus Populi), che ne era il capo; gli otto Signori, o
Priori, o Governatori (Domini, o Piores gubernatores difensori civitati Senarum); i tre Gonfa-
lonieri, o Vessilliferi (Vexilliferi magistri), dei terzieri di Città, San Martino e Camollìa; i
quattro Consiglieri del Capitano (Consiliarii Capitanei Populi). I Signori e i Consiglieri, con
mandato bimestrale, continuavano ad essere elettivi; il Capitano del Popolo, con mandato
parimenti bimestrale, e i Gonfalonieri, con mandato semestrale, erano invece di nomina so-
vrana. Venivano definiti «cittadini di reggimento» (cives de regimine, o regentes) i soggetti
investiti del diritto ereditario di elettorato passivo per gli otto seggi della Signoria concisto-
riale; mentre ottenevano la qualifica di «riseduti» coloro che, avendo esercitato tale ufficio
anche una sola volta, divenivano eleggibili per ciascun’altra magistratura. Rientravano nel
novero dei cittadini di reggimento, oltre i riseduti e tutti i loro figli e discendenti per via di
filiazione legittima patrilineare (anche se l’antenato da cui avevano ereditato tale attribuzio-
ne fosse morto da secoli), i cittadini dichiarati «abili a risedere» – in forza di una fictio iuris
che li equiparava alla progenie dei riseduti – con uno speciale provvedimento, emesso dal-
l’autorità di governo. La magistratura politicamente più autorevole era però divenuta la
Balìa, costituita da venti riseduti (nominati dal principe, con carica annuale) e dal Capitano
del Popolo pro tempore, che primeggiava per l’ampiezza delle sue attribuzioni e per l’incisi-
vità delle sue iniziative. Si vedano: G. GIGLI, Diario Sanese, II edizione, cit., II, pp. 669-724
(in particolare, Discorso sopra la città di Siena e delle varie guise del suo antico governo, pp.
699-703); D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit., pp. 89-175; IDEM, Riseduti
e nobiltà, cit., pp. 87-139; G. R. F. BAKER, Nobiltà in declino, cit., pp. 588-591.
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28 Cfr. Reformazione del Governo della Città e Stato di Siena, cit., in L. CANTINI, Legisla-
zione toscana, cit., vol. IV, capp. XV (Dei Capitani dello Stato), pp. 125-128, e XVI (Delli Po-
testà et Vicarii dello Stato), pp.128-129.
29 Ivi, cap. V (Del Capitano di Giustizia), p. 120.
30 Cfr. Provvisioni et Ordini particolari delli Capitani, e Podestà dello Stato della Città di
Siena, cit., in L. CANTINI, Legislazione toscana, cit., vol. VII, pp. 314-362: 319.
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teva che le città, terre e castelli dello stato, «ancor che capitolate, et
in qual si voglia modo privilegiate»31, avessero ad «intromettersi nella
cognitione, o giurisditione delle cause criminali, ne fra qual si voglia
relasso gratia, o assolutione a delinquenti delle pene delle quali saran-
no condennati dai loro Capitani quali elle si sieno»32.
Quindi, si serbavano ad organi comunitativi solo alcune giurisdi-
zioni civili d’appello, rientranti nella generica categoria delle «altre
forme d’appellatione»33, che la nuova legge equiordinava al ricorso
ai capitani dello stato. Ma il sommario e indefinito genus in oggetto
rappresentava una figura gregaria sia nella Reformazione del 1561,
sia nelle Provvisioni di dieci anni più tardi34, del quale entrambe
meramente informavano, limitandosi a rinviare agli antichi capitoli
che ne costituivano il fondamento. Ed a questi, appunto, o agli sta-
tuti locali che ne rispecchiano le clausole giurisdizionali – sottinten-
dendo la vigenza del diritto comune per colmare le eventuali lacu-
ne, finanche della legislazione granducale – bisogna ricorrere, come
per lo Stato vecchio, per colmare detta paradigmatica lacuna35.
31 Cfr. Reformazione del Governo della Città e Stato di Siena, cit., in L. CANTINI, Legisla-
zione toscana, cit., vol. IV, cap. XV (Dei Capitani dello Stato), p. 126.
32 Ibidem.
33 Ivi, p. 127: «Sieno nondimeno Giudici di appellatione et di nullità da tutte le senten-
tie le quali si daranno dai Potestà, et vicari, di quei luoghi i quali saranno sotto i loro capita-
nati dove però non sia provisto per forma de capitoli di Terre capitulate, d’altra forma di ap-
pellatione».
34 Cfr. Provvisioni et Ordini particolari delli Capitani, e Podestà dello Stato della Città di
Siena, cit., in L. CANTINI, Legislazione toscana, cit., vol. VII, pp. 314-362: 321.
35 Nel fondo ASSi, Statuti delle città, terre e castelli dello stato senese, possono reperirsi
ben 156 pezzi. Gli statuti dei Comuni minori e dei Comuni rurali assomigliano a quelli sene-
si, salvo per quel che riguarda la loro mole, che generalmente è assai minore. Tuttavia, quelli
di alcuni Comuni più importanti non sono molto più piccoli, poiché nel periodo della loro
indipendenza debbono essere stati dello stesso volume di quelli senesi. Peraltro, non sono
molti quelli per il periodo anteriore alla sottomissione al Comune di Siena, in conseguenza
della quale essi dovettero subire modificazioni più o meno profonde, ma sostanziali, nella
parte che riguardava il diritto pubblico, la giustizia e la materia finanziaria. Sicuramente, in
origine, negli statuti di Comuni e Comunelli minori, vi deve essere stata una maggiore origi-
nalità, di cui sarebbe sussistita ancora qualche traccia in quelli d’epoca più tarda, per le ma-
terie che rappresentavano una caratteristica locale, o riguardavano particolari attività degli
abitanti. Ma Siena, dopo la sottomissione, procurò di omogeneizzare queste forme di legi-
slazione locale, in modo da armonizzarle con quella della metropoli, e questo processo di li-
vellamento andò progredendo lentamente sino alla fine della Repubblica, favorito dall’ob-
bligo di presentare periodicamente gli statuti stessi ai Regolatori statutari senesi, per l’ap-
provazione e gli eventuali emendamenti. Fra quelli che costituiscono la serie in esame, il più
notevole è, forse, quello della Rocca di Tintinnano, del 1227, che è costituito da un insieme
di norme concordate fra gli uomini di quel castello e il loro signore feudale. Esso rappresen-
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ta uno stadio interessante della storia dei territori rurali, segnando il momento in cui le po-
polazioni dei piccoli castelli del territorio riuscirono ad ottenere il riconoscimento ufficiale
di libertà autonomistiche la cui origine risale, probabilmente, ad un’epoca molto più antica.
Ma l’unico caso, finora noto, in cui sia rimasta la documentazione scritta e completa dei pat-
ti che venivano concordati, e della loro codificazione, concerne l’Abbadia a Isola. È interes-
sante anche lo statuto di Montagutolo, del 1280, redatto interamente in volgare, con
trent’anni d’anticipo rispetto alla prima redazione degli statuti senesi in tal forma. Dunque,
la serie in oggetto consta degli statuti che venivano depositati, prevalentemente, nell’archi-
vio senese dei Regolatori, per il controllo delle copie conservate nei rispettivi archivi comu-
nali, ma include altri statuti locali, pervenutivi per donazioni o acquisti successivi. L’Archi-
vio di Stato, inoltre, ne custodisce alcuni assai importanti, come, per esempio, quelli di Col-
le Valdelsa, che, facendo parte di archivi completi o di fondi di cui costituiscono parte inte-
grante, sono stati mantenuti nella loro sede originaria. Si vedano, inoltre: il saggio introdut-
tivo a L’ultimo statuto della Repubblica di Siena (1545), a cura di M. ASCHERI, cit., pp. V-
XXXVI; G. CHITTOLINI, Statuti e autonomie urbane. Introduzione, in AA. VV., Statuti città
territori in Italia e Germania tra Medioevo ed Età moderna, a cura di G. CHITTOLINI e D.
WILLOWEIT, Bologna, Società editrice il Mulino, 1991, pp. 7-45; E. FASANO GUARINI, Gli
statuti delle città soggette a Firenze tra ’400 e ’500: riforme locali e interventi centrali, ivi, pp.
69-124; M. ASCHERI, Statuti, legislazione e sovranità: il caso di Siena, ivi, pp. 145-194.
36 G. DE’ BICHI, Notizie Istoriche de’ Capitanati della Città e Stato di Siena tratte da’
Pubblici Documenti e da’ più antichi e rinomati Autori, Siena, primi anni del sec. XVIII, in
ASSi, Manoscritti, D 73-79. Più utile per le questioni in esame, una raccolta preparatoria al
lavoro del Bichi: T. MOCENNI, Privilegi, Concessioni immunità Accordi Patti e Capitolazioni
che le città Terre e Castella et altri luoghi sottoposti alla Città di Siena mostran di havere con
di più l’Esenzioni e Franchigie et altre simil cose [...] copiate da T. Mocenni nel mese di agosto
1723 da un libro assai male scritto conceduto dalla Sig.ra Caterina Gaetana Griffoli Piccolomi-
ni vedova del già Signor Francesco Piccolomini all’Ill.mo Sig.r Galgano de’ Bichi, Siena, 1723,
in ASSi, Manoscritti, D 80.
37 G. A. PECCI, Lo Stato di Siena antico e moderno descritto ove sono disposte alfabetica-
mente le città, terre e castella dello Stato Senese e vi si riportano la storia civile, la statistica e le
divise e armi di ciascheduna, Siena, 1758, in ASSi, Manoscritti, D 68-72 (copia in BCSi, B IV 8).
38 E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze, presso l’autore
95
39 Un caso esemplare è rappresentato dalla provvisione del 1° aprile 1564, con la quale
«Sua Eccellenza Illustrissima il Duca di Firenze e Siena» concedeva la grazia a tutti coloro
che avessero riportato condanne nel suo Stato, qualora avessero accettato di andare a rema-
re nelle galere toscane. Se essa può essere considerata certamente interessante dal punto di
vista dei risvolti storici, per l’inquadramento della situazione toscana, europea e mediterra-
nea nella seconda metà del secolo XVI, sotto il profilo più strettamente giuridico rappresen-
ta un provvedimento certamente grave, giacché potevano beneficiarne anche i colpevoli dei
peggiori delitti; il che ne evidenzia il contenuto meramente politico, dominato dalla preva-
lenza della “ragion di Stato” sopra ogni altra considerazione. L’eventualità di qualsiasi dub-
bio sullo scopo politico della grazia è fugata, inoltre, dalla previsione della possibilità di ser-
vire sulle galere per interposta persona. Cfr. la Provvisione e Gratia alli Banditi, Confinati, et
Condennati dello Stato di Sua Eccellenza Illustrissima che la serviranno nelle sue Galere di dì
1 A prile 1564 ab Incarnatione, in L. CANTINI, Legislazione toscana, cit., vol. V, pp. 104-106.
40 Cfr. E. FASANO GUARINI, Lo stato mediceo di Cosimo I, cit., p. 49.
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41 Cfr. Reformazione del Governo della Città e Stato di Siena, cit., in L. CANTINI, Legisla-
zione toscana, cit., vol. IV, cap. XI (Dei quattro Conservadori dello Stato), p. 123.
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nello Stato di Firenze42, allo scopo di costituire, così, una nuova re-
te, di carattere meramente amministrativo, chiara espressione della
tendenza alla limitazione delle autonomie locali ed alla subordina-
zione della vita delle comunità «ai bisogni e agli scopi del governo
centrale»43, che caratterizzò il nuovo assolutismo mediceo; peraltro,
non senza consonanza con processi che si svolgevano (o che si sa-
rebbero svolti con ritmi diversi) anche in altri stati europei44. E l’e-
lemento fondamentale che pone in assoluto risalto il differente te-
nore dell’atteggiamento riformatore e accentratore rispetto allo Sta-
to senese, riposa sul fatto che il nuovo personale che la costituiva e
ne garantiva l’efficienza non aveva più alcun rapporto con la classe
dirigente tradizionale fiorentina45, come si è avuto modo di rappre-
sentare in via introduttiva46.
Si è già notato, a proposito dello Stato di Siena, che, con la Refor-
mazione del 1561, i capitani e i podestà dovevano essere obbligato-
riamente reclutati tra i cittadini senesi abili agli uffici maggiori, che i
primi erano nominati direttamente dal duca mentre i secondi erano
eletti dal Consiglio Grande di Siena e il principio della distribuzio-
ne per Monti vigeva per tutte le magistrature cittadine. Per conver-
so, la classe dirigente fiorentina subì una radicale trasformazione
nuova riforma dello stesso il 26 maggio 1551; altra riforma nel novembre dello stesso anno;
fusione, infine, il 26 febbraio 1560 delle due magistrature dei Cinque Conservatori e degli
Otto di Pratica nell’unico magistrato dei Nove Conservatori della Giurisdizione e del Domi-
nio fiorentino; cfr. E. FASANO GUARINI, Lo stato mediceo di Cosimo I, cit., pp. 50-51.
43 Cfr. A. ANZILOTTI, La costituzione interna dello stato fiorentino sotto Cosimo I, cit.,
p. 69.
44 F. A. HARTUNG - R. MOUSNIER, Quelques problèmes concernant la Monarchie absolue,
Nove provenivano da quello stesso ceto notarile del contado e del distretto da cui si traeva
pure il personale subalterno dell’apparato giurisdizionale: e, tra i notai, essi costituivano, co-
me dimostra il costante ripetersi degli stessi nomi nei decreti di nomina registrati dai Nove,
un gruppo ristretto e specializzato, reclutato in pratica secondo un rapporto di stabile di-
pendenza burocratica, anche se il vecchio principio repubblicano della temporaneità delle
cariche traspariva ancora nella norma per cui di anno in anno ogni cancelliere veniva trasfe-
rito ad una diversa cancelleria».
46 Cfr. D. BARSANTI, La Toscana dai Medici ai Lorena, cit., p. 13.
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47 Cfr. G. B. ADRIANI, Istoria dei suoi tempi, (ed. Venetia, 1587), cit., p. 95.
48 Cfr. P. NERI, Discorso, in M. VERGA, Da «cittadini» a «nobili», cit., pp. 403-567: 499.
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49 Cfr. Reformazione del Governo della Città e Stato di Siena, cit., in L. CANTINI, Legisla-
et Governatore, p. 116; cap. II, Del Capitano del Popolo, Signori Gonfalonieri, et Consiglieri,
p. 117; cap. III, Del Consiglio Grande, p. 117; cap. IV, Degl’Ufficiali di Balia, p. 119; cap. V,
Del Capitano di Giustizia, p. 120; cap. VI, Del Giudice ordinario delle cause civili, dei danni
dati, e dei Pupilli, et Vedove, p. 120; cap. VII, Dei Savi dei Pupilli, p. 121; cap. VIII, Degli
Auditori di Ruota, p. 121; cap. IX, Dei Quattro di Biccherna, esecutori di Gabella, Regolatori,
Quattro Maestri del Monte, e Savij dei Pupilli, p. 122; cap. X, Del Procuratore Fiscale, p. 122;
cap. XI, Dei Quattro Conservadori dello Stato, p. 122; cap. XII, Delle Repudiationi di Here-
dità, p. 123; cap. XIII, Degli Officiali della Mercantia, p. 124; cap. XIV, Del Camarlingo della
Mercantia, p. 125; cap. XV, Dei Capitani dello Stato, p. 125; cap. XVI, Delli Potestà et Vicarii
dello Stato, p. 128. Cfr. Reformazione del Governo della Città e Stato di Siena, cit., in L. CAN-
TINI, Legislazione toscana, cit., vol. IV, pp. 116-132.
51 Cfr. Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. SEGARIZZI, cit., vol. III,
parte I, cap. III (Relazione di messer Vincenzo Fedeli segretario dell’illustrissima Signoria di
Venezia tornato dal duca di Fiorenza nel 1561), pp. 123-174: 130-131.
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(Riforme delli Magistrati, della Città di Siena fatte dalli Magnifici, et Eccellentissimi Signori Vi-
sitatori deputati del Serenissimo Don FERDINANDO Medici Gran-Duca di Toscana Nostro Signo-
re e da Sua Altezza approvate del dì 6 Dicembre 1588 ab Incarnatione) ebbe una portata analo-
ga, ma più limitata e meno significativa. Per un raffronto con la Reformazione del 1561, se ne
può reperire il testo in L. CANTINI, Legislazione toscana, cit., vol. XII, pp. 124-259.
53 Cfr. N. MENGOZZI, Il Monte dei Paschi di Siena e le Aziende in esso riunite, cit., tomo
II, p. 19.
54 Cfr. Illustrazione al Bando dell’Arme da non portarsi in Siena del dì 29 luglio 1557 ab
Incarnatione, in L. CANTINI, Legislazione toscana, cit., vol. III, pp. 192-203: 197.
55 Cfr. A. ZOBI, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, Firenze, L. Molini, 1850-
101
56 Cfr. L. CANTINI, Legislazione toscana, cit., vol. III, pp. 192-203: 194 e 198.
57 Si adotta la terminologia accolta da A. MARONGIU, Storia del diritto italiano. Ordina-
menti e istituti di governo, cit.; in particolare, pp. 225-365: 282-288 e 356-358.
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58 In merito alla storia politica di Cosimo I, si veda il classico lavoro di V. MAFFEI, Dal
titolo di Duca di Firenze e Siena a Granduca di Toscana, Firenze, Bernardo Seeber libraio-
editore, 1905, passim.
59 Esiste una nutrita serie di interpretazioni storiografiche dell’episodio in questione,
sostenute da diversi studiosi, reperibili in alcuni brevi saggi, tra i quali si ricordano: M.
BRACCI, Il popolo senese dall’assedio alla ritirata di Montalcino, in «Bullettino Senese di Sto-
ria Patria», LXVI (1959), pp. 9-28; E. SANTINI, Il significato nazionale delle celebrazioni del-
la caduta della Repubblica di Siena ritiratasi a Montalcino (1555-1559), ivi, pp. 36-48.
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nese, devastato dalla guerra, spopolato, privo dei mezzi adatti ad una sana economia agrico-
la per le distruzioni avvenute nel bestiame e nelle coltivazioni; gli bastò conservare, con i
porti dello Stato dei Presidi, le basi marittime necessarie agli sviluppi della sua incipiente
politica mediterranea». Cfr. A. D’ADDARIO, L’indipendenza senese problema politico italiano
ed europeo, in «Bullettino Senese di Storia Patria», LXVI (1959), pp. 49-78: 77.
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61 Cfr. Illustrazione al Bando del Granduca di Toscana del dì 9 Dicembre 1569 ab Incarna-
tione. Estratto dal Registro delle Deliberazioni pubbliche che si conserva nell’Archivio del Ma-
gistrato Supremo, in L. CANTINI, Legislazione toscana, cit., vol. VII, pp. 125-147:129-142.
62 Ivi, pp. 142-145.
63 Ivi, pp. 145-146.
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64 In merito alla vita dello Strozzi «nel piccolo periodo, che corre dal 1553 al 1555, il
quale però è il più glorioso», poiché «allora egli sperò di vendicare l’onta arrecata alla sua
famiglia da Alessandro de’ Medici, la soggezione della città nativa, combattendo per la li-
bertà dell’invitta Repubblica di Siena», si veda A. COPPINI, Piero Strozzi nell’assedio di Sie-
na, Firenze, Tipografia di M. Ricci & C., 1902, passim.
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65 «Sentiva egli con pena la servitù di Firenze, lo strazio di Siena, l’abiezione di Pisa!
Compiangeva Perugia percossa, Bologna in catene, in una parola immaginava che dovesse
tornare libera Italia tutta, non che la Toscana». Cfr. E. REPETTI, Dizionario geografico fisico
storico della Toscana, cit., vol. II (1835), Lucca, pp. 819-908: 864.
66 Cfr. V. PETRONI, Monte Carlo nella guerra di Siena (1522-1559), in «Bullettino Senese
di Storia Patria», LXXII (1965), (Miscellanea di studi in onore di Giovanni Cecchini, vol.
III), pp. 205-262: 227; ma, per completezza, si veda tutto il saggio in oggetto. Ed ancora,
raccontano le parole del Repetti: «Nel 1556 il Gonfaloniere Martino Bernardini fu per i no-
bili lucchesi quale era stato nel 1297 il doge Pietro Gardenigo per i veneziani. Egli propose
al Senato di convertire in legge la seguente riforma statutaria: “Ammettere alle cariche del
Governo solamente quelle famiglie che allora godevano di tali onori, col diritto di trasferirli al-
la loro discendenza; escluso però da questo diritto chiunque fosse nato in Lucca da padre fore-
stiero, e tutti i figli di persone del contado, salvi quelli tra loro, i quali all’epoca della proposta
riforma partecipavano agli impieghi governativi”. Il progetto piacque agli anziani talmente,
che lo convertirono in quella legge organica della repubblica, la quale, ad esempio del Sena-
to di Roma, chiamossi col nome dell’autore, Legge Martiniana. Cotesta Legge, pubblicata
nel dicembre del 1556, fece schiamazzo tra il popolo, ma furono voci senza effetto. La me-
moria fresca dei mali sofferti per la ribellione degli Straccioni, i pericoli cui erano scampati
per le posteriori congiure, la caduta non antica della repubblica di Firenze, e quella recen-
tissima di Siena, servirono di esempio al popolo lucchese per adattarsi alle circostanze»; cfr.
E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, cit., vol. II (1835), Lucca,
pp. 819-908: 864.
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cosa fosse, ma “le libertà” proprie, negandole ferocemente agli avversari non
appena riuscivano a sopraffarli»67.
67 Cfr. R. CANTAGALLI, Mario Bandini, un uomo della oligarchia senese negli ultimi tempi
109
69 Cfr. IDEM, L’autonomia dello Stato di Siena nell’età del Principato mediceo, cit., p. 4.
70 Si veda in proposito il volume di L. MANNORI, Il sovrano tutore. Pluralismo istituzio-
nale e accentramento amministrativo nel Principato dei Medici (Secc. XVI-XVIII), Milano, A.
Giuffrè Editore, 1994, passim.
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In ogni modo, par esser fuor di dubbio che non si possa accettare
ad alcun titolo l’inclusione della città di Siena e del suo Stato nel più
ampio spettro di una entità statuale regionale unitaria, per una nu-
trita serie di motivazioni, tra le quali spiccano quelle più strettamen-
te connesse con lo studio storico-istituzionale in corso, in buona
parte già esplicate.
71 Cfr. A. MARONGIU, Storia del diritto italiano. Ordinamenti e istituti di governo, cit.,
pp. 239-240.
72 Cfr. D. MARRARA, L’autonomia dello Stato di Siena nell’età del Principato mediceo, cit.,
p. 6. Nel saggio in parola, l’A. richiama, in funzione d’esempio, due atti normativi: Provvi-
sione delli molto Magnifici Sigg. Luogotenente e Consiglieri di S. E. I. che li Banditi Conden-
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nati in pena afflittiva, o confinati, così del Dominio di Fiorenza, come di Siena siano descritti a
un libro particolare, sotto certo modo et forma del dì 14 Ottobre 1569 ab Inc., in L. CANTINI,
Legislazione toscana, cit., vol. VII, pp. 109-111; Provvisione sopra de’ Banditi, e Relegati del
dì 21. Ottobre 1569 ab Inc., ivi, pp. 112-114. Si veda, inoltre, IDEM, Studi giuridici sulla To-
scana medicea, cit., pp. 169-172.
73 Cfr. D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit., p. 144.
74 Ivi, p. 163.
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75 Ivi, p. 167.
76 In merito alle riforme comunitative leopoldine nei confronti dello Stato senese, si ve-
da l’esaustivo saggio di D. MARRARA, La provincia inferiore senese e la sua riforma comunita-
tiva (1765-1787). Profilo storico-istituzionale, in «Rassegna Storica Toscana», XLVIII (luglio-
dicembre 2002), pp. 411-422, passim.
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V
DALLA FINE DELL’ETÀ MEDICEA
ALL’EPILOGO NAPOLEONICO
1 Oltre i riferimenti bibliografici particolari sugli eruditi e storici senesi, forniti nelle
annotazioni alla trattazione in corso, devono sempre tenersi in considerazione, per l’epoca
successiva all’età medicea, le seguenti opere generali: Storia di Siena. II. Dal Granducato al-
l’Unità, a cura di R. BARZANTI - G. CATONI - M. DE GREGORIO, cit.; M. ASCHERI, Siena nella
storia, Cinisello Balsamo (Milano), Arti Grafiche Amilcare Pizzi S.p.A., 2000: in particolare,
il capitolo 2 (L’età dei governi preunitari), pp. 218-233, della parte seconda (Dopo la Repub-
blica: salvaguardia, memoria e innovazione nella civiltà senese), pp. 181-269. Ma si ricorda,
più in generale, la ricchissima sezione riservata alle fonti inedite ed alla bibliografia ragiona-
ta (pp. 277-283), alla quale vivamente si rimanda per il reperimento degli strumenti basilari
per gli studi storici su Siena.
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2 Quando si tratti di corporazioni, è d’uopo tenere a mente come l’Arte della lana co-
115
3 Si è già visto come un’idea di tal fatta fosse emersa nelle elucubrazioni del Pecci, con
116
Bari, Laterza, 1992, pp. XXI-XXXIII; F. DIAZ, I Lorena in Toscana. La Reggenza, Torino,
UTET, 1988, passim. Una riconsiderazione storiografica di ampio respiro, accompagnata da
una ricca nota bibliografica, è stata approntata da M. MIRRI, Dalla storia dei «lumi» e delle
«riforme» alla storia degli «antichi Stati italiani», in AA.VV., Pompeo Neri. Atti del colloquio
di studi di Castelfiorentino (6-7 maggio 1988), a cura di A. FRATOIANNI e M. VERGA, Castel-
fiorentino, Società Storica dela Valdelsa (Tip. Baccini & Baldi, Firenze), 1992, pp. 401-540.
Si noti come il Mirri abbia sottolineato la necessità di esaminare le riforme alla luce delle
«ragioni della “lotta politica” in seno alla classe politica».
6 Testo in L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. XXVI, pp. 141-147.
7 L’Ordine dei cavalieri di Santo Stefano, voluto da Cosimo I, fu autorizzato da Pio IV
con un breve del 1° ottobre 1561. Tale atto pontificio fu inserito nella prima edizione degli
Statuti (Statuti Capitoli et Constitutioni del Ordine de Cavalieri di santo Stephano fondato et
dotato dal illust. et eccell. signor Cosimo Medici duca di Fiorenza et di Siena, in Fiorenza, ap-
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presso L. Torrentino impressor ducale, 1562), come in quelle successive; ma si può reperire
anche in L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. IV, (Bando per la notitia dell’Ordine de’
Cavalieri di S. Stephano eretto et dotato dall’Illustriss. et Eccell. Signore il Sig. Duca di Fioren-
za, e di Siena, con molti privilegj del dì 18. Marzo 1561 ab Inc., pp. 303-327), pp. 304-305.
D’altro canto, l’atto di nascita della Religione in parola può farsi risalire al 15 marzo del
1562, giorno in cui Cosimo I vestì l’abito di Gran Maestro, in Pisa, con un solenne cerimo-
niale (ASFi, Mediceo, 1836, cc. n. n.); mentre i sudditi appresero ufficialmente la notizia tre
giorni più tardi, tramite il Bando per la notitia dell’Ordine de’ Cavalieri di S. Stephano (ASFi,
Mediceo, 491, c. 645; ma si può reperire anche nella raccolta del Cantini, come indicato
dianzi: vol. IV, pp. 303-327).
8 Dal 1562 al 1737, fecero parte dell’Ordine 4438 cavalieri, di cui i sudditi granducali
(3041) costituirono il 68,5%, quelli originari di altri Stati della penisola (1248) il 28% e, in-
fine, quelli di altri paesi europei (149) il 3,5%. Cfr. F. ANGIOLINI, L’Ordine di S. Stefano ne-
gli anni della Reggenza, cit., pp. 1-47: 2, nota 5.
9 F. DIAZ, Agl’inizi della dinastia lorenese in Toscana. I problemi della Reggenza, in
AA.VV., Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, II, Firenze, Olschki, 1980,
pp. 669-701.
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10 ASFi, Reggenza, 12, dispaccio del Richecourt al Granduca, 29 ottobre 1737: Plan de
changemens à faire en Toscane, cc. 135r-137r. Per un’ampia disamina del Plan, si veda N.
RODOLICO, Saggi di storia medievale e moderna, Firenze, Le Monnier, 1963, pp. 362-368
(Emanuele de Richecourt, iniziatore delle riforme lorenesi in Toscana).
11 Si adotta la terminologia accolta da A. MARONGIU, Storia del diritto italiano. Ordina-
119
12 Si ricordi come le commende di padronato fossero istituite, oltre che, spesso, in favore
del medesimo fondatore, a beneficio di altri soggetti che venissero nominati nello strumento
di fondazione, il quale prevedeva – tranne rarissimi casi – la precisa indicazione di una o più
linee successorie, principalmente in favore dei primogeniti maschi, con la garanzia che i beni
costituenti la dote della commenda continuassero ad essere amministrati e gestiti dai titolari e
fossero sottratti sia al normale circuito economico, sia, soprattutto, a qualunque rischio di
alienazione e rivendicazione da parte di creditori. Appare evidente come si trattasse di una
specie peculiare di fedecommessi: la proprietà restava all’Ordine, ma il cedente manteneva
l’usufrutto in veste di commendatore, tramandando i suoi diritti di godimento in capo ai
successori immessi previsionalmente nel contratto di cessione, fino all’esaurimento delle li-
nee predeterminate nel medesimo atto pubblico. Tuttavia, si trattava di un’eventualità mera-
mente teorica, giacché si prevedevano sempre delle linee subordinate ed era, in ogni mo-
mento, possibile cambiare il contenuto contrattuale tramite la supplica degli aventi diritto e
la benevola grazia granducale. Inoltre, non a caso, si è fatto riferimento ad un aspetto giuri-
sdizionale, poiché i commendatori di padronato sottostavano ad una peculiare gerarchia,
culminante nei Balì e Priori, i quali, per aver fondato commende padronali dotate con enor-
mi patrimoni, beneficiavano di una vera e propria giurisdizione sulle commende di grado in-
feriore – rispetto al rango ch’essi detenevano in veste di dignitari locali della Religione – nel-
le circoscrizioni di loro competenza (Baliati e Priorati). Per di più, tali maggiorenti stefaniani
detenevano la potestà privilegiata di conferire una tantum, a titolo vitalizio, le commende di
padronato ricomprese nel distretto di loro pertinenza, qualora ricadessero al «ruolo o ceto
d’anzianità», in maniera del tutto svincolata da criteri legali prestabiliti o prassi consolidate:
se non quella di beneficiare la propria cerchia familiare. Cfr. D. BARSANTI, Introduzione stori-
ca sulle commende dell’Ordine di S. Stefano, in AA.VV., Le commende dell’Ordine di S. Stefano
(Atti del convegno di studi, Pisa 10-11 maggio 1991), Roma, Ministero per i beni culturali e
ambientali – Ufficio centrale per i beni archivistici, 1997, pp. 25-36, passim.
13 Si tratta di tre leggi che comprendevano settori normativi estremamente rilevanti,
non soltanto in tema di nobiltà, quanto, piuttosto, nella più ampia prospettiva di consolida-
mento, attraverso il censimento e il controllo delle tendenze all’accaparramento, alla gelosa
conservazione e, d’altro canto, alla dispersione dei beni prediali, della proprietà fondiaria in
generale, in capo ad un nuovo ceto dei possidenti, che – soprattutto nella susseguente visio-
ne di Pietro Leopoldo – avrebbe dovuto, nel medio periodo, assumere il ruolo che fino allo-
ra pertineva i titolari di uno status politico privilegiato d’origine medievale: 22 giugno 1747,
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Legge sopra i fidecommessi e primogeniture; 21 aprile 1749, Legge sopra i feudi ed i feudatari;
1° ottobre 1750, Legge per regolamento della nobiltà e cittadinanza. Per i testi, nell’ordine, si
consulti L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. XXV, pp. 362-368; vol. XXVI, pp. 141-
147; ivi, pp. 231-241.
14 Si veda, tra gli altri, M. VERGA, Da «cittadini» a «nobili», pp. 45-64 e 75-89.
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15 Per uno sguardo d’insieme del quadro storico nel passaggio dai Medici ai nuovi dina-
sti e una visione schematica, ma esaustiva, dei provvedimenti più rilevanti adottati in epoca
lorenese, comprendente i risvolti – oltre che politici e istituzionali – socio-economici, si ri-
manda a D. BARSANTI, La Toscana dai Medici ai Lorena. Vicende politiche e rinnovamento
dello Stato, cit., passim.
16 G. R. CARLI, Saggio politico ed economico sopra la Toscana nel 1757, in Opere, t. I, Mi-
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17 Legge che proibisce il passaggio de’ Beni nelle Mani Morte del dì 11 Febbraio 1751, in
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18 ASFi, Reggenza, 12, Sessione del Consiglio di Reggenza del 2 novembre 1737.
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19 Si ricordi, per esempio, che la legge costituzionale del 1561 attribuiva chiaramente
agli Ufficiali di Balìa (scelti dal sovrano tra i «riseduti» membri del Consiglio Grande, «per
compartimento e distributione de Monti») la qualifica di «Consiglieri del Luogotenente e
Governator nostro» e conferiva loro sia il compito di coadiuvare quest’ultimo nell’esercizio
di ogni suo potere (difatti, essi potevano «deliberare, et eseguire tutto quello che alla giorna-
ta giudicaranno dover esser di nostro servitio, e a benefitio e quiete di questa Città, e stato
nostro, con consenso sempre e participatione del Governatore»), sia l’«autorità che ogn’ho-
ra che se ne porga loro l’occasione per beneficio della Città eleggere e mandare Ambasciato-
ri per conferirsi al cospetto nostro», e anche la facoltà di «deputar Commissarii per lo Sta-
to». Detti Ufficiali avevano piena cognizione di causa in merito alla rilevanza politica delle
prerogative istituzionali che vennero loro riconosciute al massimo grado della legislazione
statuale con l’avvento della monarchia; erano tanto fieri delle proprie funzioni da esaltare
anche verbalmente il loro magistrato, paragonandolo metaforicamente ad una nave che, «se-
dente al timone il prencipe, o chi di tempo in tempo qua lo rappresenta, indirizza et incami-
na il legno del governo di questa Città» (ASFi, Mediceo, 1909, Fortunio Martini, 16 marzo
1597). Cfr. D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, cit., p. 132.
20 Così recita il titolo d’un noto saggio degli anni Cinquanta: G. PRUNAI - S. DE’ COLLI,
La Balìa dagli inizi del XIII secolo fino alla invasione francese (1789), cit.
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p. 274.
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che «il potere centrale non può conoscere i bisogni dei sudditi, le
esigenze della vita comunitativa e quindi non può sostituire i corpi
delle amministrazioni provinciali nel maneggio di un grande com-
plesso di affari»24.
Tuttavia, né la Reggenza, né Pietro Leopoldo, con l’introduzione
di nuovi apparati pubblici di gestione e controllo del territorio e cri-
teri di rappresentanza al passo con i tempi, furono in grado di spo-
gliare gli ordini nobiliari toscani della loro rilevanza giuridica o dis-
solverli nella più ampia cerchia dei proprietari fondiari, né, tanto
meno, di sradicarne i privilegi. E identico tenore ebbero le argute
osservazioni del sovrano in merito all’aristocrazia senese, da troppo
tempo padrona di quel maneggio d’affari menzionato dianzi perché
potesse risultarne sminuito il credito che ogni altro ceto contribuiva
a perpetuare, in un misto di ammirazione del prestigio sociale e di
timore reverenziale connesso al riconoscimento della capacità di go-
verno in capo a quei consorti che monopolizzavano, nell’equilibrio
dei Monti, le leve del potere reale fin dal XII secolo25. Dunque, con-
trariamente agli auspici eversivi della prima età lorenese, le preroga-
tive socio-politiche aristocratiche conservarono il loro rango ancora
in età leopoldina, altresì ritrovando vigore nella periferia, con il ridi-
mensionamento dei progetti centralistici di rimozione delle sedi-
mentate articolazioni territoriali, in forza delle strenue resistenze lo-
calistiche. Ne derivò, al momento della riforma municipale, la ri-
nuncia preliminare all’adozione di una normativa unica e generale,
per demandare agli editti, secondo le circostanze, la regolamenta-
zione legale individualizzata, comunità per comunità. Di conseguen-
za, le continue contrazioni delle primigenie previsioni programmati-
che, che subirono i contraccolpi del diuturno scontro fra teoria e
prassi, fra modelli teorici e pratica quotidiana, risultarono decisive
per il fallimento della centralizzazione more Richecourt: i ceti diri-
genti oligarchici imperversarono indisturbati, ancora nel XVIII se-
maggior credito nei magistrati comunitativi» di nuova foggia, facendo leva sul prestigio poli-
tico e la lunga esperienza amministrativa, nonché sul sostegno dei «grossi proprietari», in di-
fesa dei propri interessi, a discapito del processo di riforma. Cfr. P. LEOPOLDO D’ASBURGO
LORENA, Relazioni sul governo della Toscana, cit., vol. III, p. 415.
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veda F. ANGIOLINI, L’Ordine di S. Stefano negli anni della Reggenza, cit., passim; IDEM, I Cava-
lieri e il Principe. L’Ordine di S. Stefano e la società toscana in età moderna, cit., pp. 161-198.
27 B. TANUCCI, Epistolario, I (1723-1746), a cura di R. P. COPPINI, L. DEL BIANCO e
R. NIERI, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1980, pp. 137-139 (lettera del giorno 11 ot-
tobre 1746).
28 In una lettera del 20 ottobre 1750, si legge: «Nuova bottega, nuova oppressione, [...]
abolito ogni vestigio dell’antica libertà. Despotismo e schiavitù stabilita. Diviso il popolo,
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scissa la nobiltà [...]. Abuso dei magistrati, spoglio dei già acquistati diritti, legge che contro
la ragione dispone in danno altrui anche il passato. In somma, non pubblica necessità, non
pubblica utilità, non decoro, non piacere del popolo, ma libito, ma superfluo, ma capriccio-
so, ma denaro a cui aneli il governo. Queste sono le bellezze della nuova costituzione». Cfr.
B. TANUCCI, Epistolario, II (1746-1752), a cura di R. P. COPPINI e R. NIERI, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 1983, pp. 593-594.
29 B. TANUCCI, Epistolario, I, cit., pp. 131-133 (lettera del 27 settembre 1746).
30 Ibidem.
31 Per una visione d’insieme sull’attività di ricerca concernente lo statista casentinese,
da cui risulti un chiaro profilo della sua personalità, si veda il volume AA.VV., Bernardo Ta-
nucci nel terzo centenario della nascita, Pisa, Edizioni ETS, 1999, passim.
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verno fin dall’età comunale, permase, nel bene e nel male, il fulcro
delle riforme politiche e istituzionali. Ne derivava che la legittimazio-
ne giuridica sarebbe dovuta discendere dall’alto, ma il corpo sociale,
solidamente stratificato, seppur con le sue fluttuazioni cicliche, e pa-
drone della propria anima politica, non avrebbe reso facile la pla-
smazione legislativa della costituzione materiale, né la violazione della
città reale. Malgrado ciò, l’assestamento in questione avrebbe trovato
realizzazione – seppur parziale e ridimensionata nei risultati – in due
momenti decisivi per l’adeguamento ai tempi degli assetti istituziona-
li, almeno sotto l’aspetto formale, con le riforme leopoldine e la pa-
rentesi napoleonica. Nei fatti, gli spazi di gestione delle prerogative
sociali e politiche derivanti dal tradizionale status nobiliare munici-
pale erano stati, sino a quel momento, occupati legittimamente, dife-
si a spada tratta e rivendicati ad ogni piè sospinto di un nuovo sedi-
cente sovrano, dalle oligarchie dei due Stati del Principato.
Dal canto suo, Siena, ex capitale, fulcro di una nobiltà refrattaria
alle innovazioni, gelosa delle tradizioni cittadine a tutto tondo, fun-
zionali alla perpetuazione delle sue prerogative costituzionali, non
era pronta per una metamorfosi che ne compromettesse gli equilibri
dei diritti quesiti, sia connaturatile, sia verso la prima capitale dello
Stato bicefalo, faticosamente e pervicacemente preservati – pur sul
fertile terreno degli scontri istituzionali generazionali – e transitati
indenni attraverso le epoche degli stravolgimenti italo-europei nei
due secoli precedenti, senza scalfitture, nella sostanza, degli assetti
tralatizi. Fino a quel momento, non era mutata l’essenza dell’anima
politica senese: né riguardo ai soggetti, né, tanto meno, in merito al-
l’origine dello status politico privilegiato detenuto dalla nobiltà di
derivazione municipale repubblicana. Vigeva ancora, mutatis mu-
tandis, l’aureo torpore di una radicata consuetudine sociale e istitu-
zionale, derivante dal congenito immobilismo innovativo nei con-
fronti delle matrici economiche e politiche del secondo Stato tosca-
no, dal quale i detentori del potere reale non avevano alcun’inten-
zione di destarsi, né, tanto meno, nel frattempo, d’attardarsi a so-
gnare d’insinuare pruriginose velleità di governo negli acquiescenti
strati della cittadinanza che stavan lieti in un’aura letargica, supina-
mente sospesi tra mito cittadino (repubblicano e oligarchico) e
realtà storica (monarchica e assolutistica). Pertanto, se in merito allo
stato generale degli apparati socio-politici toscani fu chiaro il lapi-
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settembre 1737.
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35 Gli atti normativi del 18 marzo (Legge con la quale si sottopone la Maremma Sanese
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38 A. ZOBI, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, cit., II, p. 171; A. ANZILOTTI,
Movimenti e contrasti per l’unità italiana, a cura di A. CARACCIOLO, Milano, Giuffrè, 1964,
p. 23; F. VALSECCHI, L’Italia nel Settecento: dal 1714 al 1788, in Storia d’Italia, Milano, Mon-
dadori, 1971, vol. VI, p. 568; A. WANDRUSZKA, Pietro Leopoldo. Un grande riformatore, cit.,
pp. 292-293.
39 D. MARRARA, Riseduti e nobiltà, cit., p. 210.
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40 Si deve riportare alla memoria, fra le novità degne di maggior considerazione, l’istitu-
zione del Deputato civico, che aveva il compito di «far presente direttamente al trono della
R. A. S. l’interesse e vantaggi dell’universale e le ragioni dei suoi concittadini», vigilando, in
particolare, sull’osservanza di «leggi e regolamenti veglianti». Ciò che risalta è l’attribuzione
dell’ufficio, per elezione della Balìa, sempre ad un riseduto, che rilevava alcuni compiti già
appartenuti al collegio cooptante e – cosa ancor più innovativa – veniva posto alle dipen-
denze del sovrano, distaccandosi nettamente dal tessuto delle magistrature cittadine, assu-
mendo le vestigia di un organo burocratico dell’amministrazione granducale. Cfr. Motupro-
prio relativo alla Creazione del Deputato Civico della Città, e Provincia Superiore di Siena del
dì 20 Settembre 1772, in L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. XXX, pp. 293-296.
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ché, fin dalla metà del XV secolo – come si è avuto modo di dimostrare – il ruolo politico di
primo piano apparteneva alla Balìa) era «il depositario, l’espressione istituzionale, il simbolo
vivente [...] dell’unità e della libertà della patria, del suo passato glorioso, delle sue antiche
tradizioni, che sopravvivono, gelosamente custodite, ad onta dei tempi nuovi e della mal tol-
lerata dominazione fiorentina»: in buona sostanza, la sua importanza socio-politica trascen-
deva la somma dei poteri accordatigli dall’ordinamento giuridico. Cfr. D. MARRARA, Studi
giuridici sulla Toscana medicea, cit., pp. 122-123.
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nenti le due professioni menzionate, supportata da una folta appendice documentaria, si ve-
da E. PANICUCCI, Alcune osservazioni sul notariato nel Settecento toscano, in «Ricerche Stori-
che», XXVIII-1 (gennaio-aprile 1998), pp. 23-62.
43 Cfr. D. MARRARA, Riseduti e nobiltà, cit., p. 209.
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44 Si noti come la legge istitutiva della Comunità di Siena (29 agosto 1786) avesse con-
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VI
METODOLOGIA E TECNICHE DELLA RICERCA:
RISORSE, PARADIGMI E PROSPETTIVE
«A ben vedere, infatti, il circuito degli interessi, degli affetti, delle attività
economiche e delle relazioni sociali intraprese all’interno di una struttura pa-
rentale come la famiglia monogamica occidentale, individua un sistema di os-
servazione omogeneo nello spazio e sufficientemente dilatato nel tempo, le cui
vicende riassumono in un ambito compatto e privo di discontinuità diacronica
sia la funzione culturale dell’elaborazione e della trasmissione dei valori domi-
nanti in seno ad una società data, sia anche i modi di legittimazione che ne
di storiografia, Milano, Mondadori, 1996, pp. 372-374. in particolare, l’A. sottolinea sia «gli
enormi passi avanti che gli studi sulla famiglia presi nel loro complesso hanno fatto compiere
alla conoscenza dei meccanismi sociali in età moderna e contemporanea», sia la permanenza
di «molti nodi irrisolti, legati all’ambiguità della nozione stessa di famiglia», giacché, con due
prospettive contrapposte, gli «storici la considerano […] dall’esterno, come una delle istitu-
zioni della vita sociale, in una prospettiva di storia della società; o dall’interno, come un mi-
crocosmo dove l’accento dell’analisi cade sul ruolo delle sue singole componenti e sui loro
rapporti reciproci».
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za di una famiglia nobile pisana attraverso l’Ordine di S. Stefano, Pisa, edizioni ets, 2001,
pp. 7-13: 7-8; iDeM, Crepuscoli granducali. Incontri di esperienza e di cultura giuridica in
Toscana sulle soglie dell’età contemporanea, Pisa, edizioni ets, 2006, pp. 41-42.
4 J. BoDiN, Les six livres de la République, à Paris, Chez iacques du Puis, libraire iuré, à
la samaritaine, 1583, (ristampa anastatica, Aalen, scientia Verlag, 1961): «la famille bien con-
duite, est la vraye image de la republique, & la puissance domestique semble à la puissance
souveraine: aussi est le droit gouvernement de la maison, le vray modelle du gouvernement de
la republique. et tout ainsi que les membres chacun en particulier faisant leur dvoir, tout le
corps se porte bien: aussi les familles estans bien gouvernees, la republique ira bien»; cfr. ivi,
i, cap. ii, p. 11.
5 g. B. ViCo, Principj di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni, in
questa terza impressione dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita,
e notabilmente accresciuta, (1725-1744), in iDeM, Opere, a cura di F. NiColiNi, Milano-Napo-
li, riccardo ricciardi editore, 1953, pp. 365-905: «i matrimoni, […] come tutt’i politici vi
convengono, sono il seminario delle famiglie, come le famiglie lo sono delle repubbliche»
(ivi, p. 374, cpv. 11); «sgorgano, come da un gran fonte più fiumi, l’origine delle città, che
sursero sopra le famiglie non solo de’ figliuoli ma anco de’ famoli (onde si truovarono natural-
mente fondate sopra due comuni: uno di nobili che vi comandassero, altro di plebei ch’ubbi-
dissero; delle quali due parti si compone tutta la polizia, o sia la ragione de’ civili governi); le
quali prime città, sopra le famiglie sol di figliuoli, si dimostra che non potevano, né tali né di
niuna sorta, affatto nascer nel mondo; l’origine degl’imperi pubblici che nacquero dall’unione
degl’imperi privati paterni-sovrani nello stato delle famiglie» (ivi, p. 383, cpv. 25).
6 C. l. De seCoNDAt De MoNtesquieu, Lettres persanes, (1721), 12 (Usbek au même
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8 Non deve certo stupire un arco temporale così ampio, né, tanto meno un’epoca così tar-
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mai assegnato alla croce stefaniana un valore determinativo del loro prestigio, attribuendogli,
piuttosto, una funzione confermativa, seppur tutt’altro che irrilevante, dall’altro, per la parte
più recente del ceto dirigente toscano, affermatasi nel corso dell’età medicea, l’istituzione no-
biliar-cavalleresca venne ad assumere un ruolo costitutivo fondamentale. Per uno studio ap-
profondito sul fenomeno in parola, si veda F. ANgioliNi, I Cavalieri e il Principe. L’Ordine di
S. Stefano e la società toscana in età moderna, cit., passim.
10 Cfr. F. ANgioliNi I Cavalieri e il Principe. L’Ordine di S. Stefano e la società toscana
in età moderna, cit., pp. 145-146; si veda inoltre, più approfonditamente, tutto il cap. Vii
(Strategie familiari e Ordine di S. Stefano), pp. 143-160, corredato, in nota, da una copiosa bi-
bliografia tematica.
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sorterie più eminenti, raggruppate nel Mons Nobilium, sono principalmente: Assi, Concisto-
ro, Attestati di nobiltà e carte annesse; Notizie e documenti provanti la nobiltà. Assi, Partico-
lari famiglie senesi, Documenti. Assi, Manoscritti, A. sestigiANi, Compendio istorico di sa-
nesi nobili per nascita, illustri per attioni, riguardevoli per dignità, raccolto come si dimostra
da diversi autori, che hanno stampato da manuscritti antichi, e moderni, da archivi, da con-
tratti pubblici e da scritture esistenti appresso persone particolari, ii, siena, 1696, A 30/iii;
iDeM Ordini, armi, residenze e memorie di famiglie nobili di Siena, ii, siena, prima metà del
sec. XViii, A 14; C. CittADiNi, Notizie di tutte le fameglie nobili sanesi che sono esistenti nel
presente anno 1713 e precisamente qui raccolte riguardo alla prima memoria che si trova
delle persone di ciascuna d’esse ne’ libri, ne’ contratti, e scritture de’ pubblici archivij d’haver
conseguito l’onori pubblici d’offizij, e cariche nobili della città di Siena, siena, 1713, A 8; A.
FAlorsi, Riseduti nel Concistoro ascritti al Monte dei Gentiluomini, relativi alle famiglie feu-
dali del contado senese esistenti nel 1714, i, siena, 1714, A 64; iDeM, Riseduti in magistrature
della Repubblica di Siena appartenenti alle famiglie originarie ed aggregate al Monte dei
Gentiluomini, estinte ed esistenti nel 1717, siena, 1717, A 61; g. BiChi, Cenni genealogici di
famiglie nobili senesi che hanno assunto altro cognome, siena, 1722, A 60; A. Aurieri, Rac-
colta di notizie delle famiglie nobili di Siena, tratte da cronache di vari autori, siena, prima
metà del sec. XiX, A 20. inoltre, si deve tenere ben presente che, solitamente, le fedi di batte-
simo venivano tratte dall’Archivio della Biccherna (libri dei Battezzati), le fedi di matrimonio
dall’Archivio della gabella dei contratti (libri Ducali), le fedi dei godimenti dall’Archivio del-
le riformagioni (libri dei Leoni).
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3. PROBATIO DIABOLICA
Malavolti e il tommasi, con un pretesto legato alla chiesa «che fu di ragione dei sigg. ugur-
gieri i quali [...] la fabbricarono», prese a parlare della prosapia che traeva origine dagli anti-
chissimi «Conti Belardeschi, [...] venuti in queste parti di Francia, insino dal secolo ottavo»,
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come affermava potersi provare «coll’autorità di antichi, ed autentici strumenti, [...] distesi a
favore d’un antichissima Badia [...] che [...] chiamasi san salvatore della Belardenga»; cfr. g.
gigli, Diario Sanese, ii edizione, cit., vol. i, pp. 366-372: 368.
15 innanzi tutto, l’arco temporale che si estende dall’età longobarda fino alla metà circa
del X secolo conosce soltanto due canali di testimonianze attendibili per continuità ed organi-
cità: le fonti di provenienza aretina, relative ai conflitti di giurisdizione ecclesiastica tra le dio-
cesi di Arezzo e siena, e le carte dell’abbazia di san salvatore del Monte Amiata. in secondo
luogo, gli anni centrali del X secolo trovano accenni sporadici solamente grazie all’arricchi-
mento documentario del secolo Xi, avvenuto per il tramite del capitolo della cattedrale senese
di santa Maria, di due fondazioni suburbane (san Basilio di Camollia e l’ospedale di Pietro
Fastello in Peragna) e tre fondazioni monastiche del medesimo secolo Xi: san salvatore di
Fontebona o della Berardenga, in territorio senese e diocesi aretina, l’abbazia valdelsana di
san salvatore dell’isola e il monastero femminile di sant’Ambrogio e santissima trinità di
Montecellesi (Montecelso). infine, nel terzo e nel quarto decennio del secolo Xii, con l’affer-
mazione dell’organismo comunale cittadino, emerse per la prima volta a siena – come nella
gran parte dell’italia settentrionale e centrale – una documentazione di natura e origine mera-
mente laica, rappresentata da atti di sottomissione ed altre stipulazioni intercorse tra il comune
senese e i signori del territorio, da scritture concernenti il demanio cittadino e la sua ammini-
strazione, da accordi formali di alleanza e di pace, che andava ad integrare ed arricchire l’ap-
parato documentale delle epoche antecedenti, di origine e tradizione prettamente ecclesiastica,
costituito da atti di natura privata, quali compravendite, donazioni e livelli, a cui si aggiunge-
vano i privilegi papali e imperiali, nonché qualche raro atto di giurisdizione. Ma già tra la fine
del secolo Xii e le prime decadi del Duecento, si realizzò un notevole incremento delle fonti e
una grande dilatazione del paesaggio documentario, con il moltiplicarsi delle carte diplomati-
che, non più di natura unicamente ecclesiastica, con la nascita dei registri notarili nel 1221 e,
soprattutto, con l’ampia articolazione di atti comunali di amministrazione e giurisdizione, che
trasformò radicalmente la fisionomia del materiale archivistico senese, conferendole un carat-
tere di eccezionalità rispetto alle coeve città italiane. l’espansione comunale è testimoniata
dalle pergamene conservate presso l’Archivio di stato di siena nei fondi Diplomatico e Rifor-
magioni, nonché nei cartulari del Comune, a principiare da quello promosso nel 1204 dal Po-
destà Bartolomeo renaldini. Cfr. P. CAMMArosANo, La nobiltà del senese dal secolo VIII agli
inizi del secolo XII, in «Bullettino senese di storia patria», lXXXVi (1979), pp. 7-48: 7-10.
16 Ciò non significa che non fossero esistiti anche nei secoli precedenti degli embrionali
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archivi familiari, ma non vi era alcuna custodia continuativa, tale da far pervenire documenti
direttamente dalle raccolte laiche fino ai tempi attuali. i consorti ugurgieri, nel 1212, fondaro-
no nelle adiacenze di san Vigilio – dipendente dall’abbazia della Berardenga – un complesso
edilizio, noto ancora oggi come «Castellare degli ugurgieri», che comprendeva, tra l’altro, una
torre destinata, poco più tardi, a carcere. Ma, cosa più interessante, proprio dal 1212 si venne
anche a formare un archivio privato della famiglia, rimasto integro sino a tutto il secolo XViii
e poi andato disperso. Cfr. P. CAMMArosANo, I Berardenghi nell’età comunale (inizi del secolo
XII ~ metà del secolo XIII), in «studi Medievali», serie iii, Xii (1971), pp. 177-251: 244-245.
17 Cfr. g. gigli, Diario Sanese, ii edizione, cit., vol. i, pp. 366-372: 368.
18 l più tardo dei documenti trascritti è del 10 febbraio 1229.
19 il cartulario è conservato presso la Biblioteca Comunale degli intronati, dove se ne può
reperire anche una copia integrale compilata tra la fine del seicento e gli inizi del settecento.
il codice fu pubblicato tra il 1914 e il 1922 sul Bullettino Senese di Storia Patria (annate
1914-1920 e 1922) con il titolo di «Cartulario della Berardenga»; venne poi ristampato in vo-
lume unico nel 1927. il cartulario comprende seicentodiciassette documenti: due risalenti al
iX secolo, gli altri rogati tra il 1003 e il 1229. Cfr. P. CAMMArosANo, Il territorio della Berar-
denga nei secoli XI-XIII, in A Giuseppe Ermini, spoleto, Centro italiano di studi sull’Alto
Medioevo, 1970, pp. 251-300: 251-252.
20 Assi, Particolari famiglie senesi, 190, bb. n. n. gli atti della controversia, risalenti agli
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anni 1803-1806, contengono un manoscritto anonimo che sosteneva essere appartenuti alla fa-
miglia dei Berardenghi (e, di conseguenza, essere antenati degli ugurgieri in linea retta) i pa-
triarchi d’Antiochia Bernardo ed Alberico (c. 33) e il Papa Alessandro iii (cc. 39v, 41). i Be-
rardenghi sarebbero stati «Conti e Feudatari della Città e stato di siena» (c. 27) ininterrotta-
mente dall’età carolingia sino al Barbarossa che li avrebbe privati del «Feudo di siena» a cau-
sa del suo odio per Papa Alessandro iii. A quanto pare, gli ugurgieri, come molti «grandi» di
siena, erano ossessionati dall’esigenza di dimostrare derivazioni tanto antiche, quanto fanta-
siose. in merito alle origini delle prosapie senesi e all’uso distintivo dei cognomi, cfr. g. A.
PeCCi, Lettera, cit., pp. 3-7, in C. rossi, Giovanni Antonio Pecci, cit., pp. 151-153.
21 il repetti si occupa dei Berardenghi, e delle famiglie presumibilmente discese da essi,
in cinque articoli: Abazia della Berardenga, Abbadia o Badia S. Salvatore, Berardenga, Siena
e nel capitolo Xiii dell’Appendice. in particolare, nell’articolo sui conti della Berardenga, pur
ammettendo, in riferimento all’abbazia della Berardenga, che «dall’anno 882 [881: rogito di
conferma della dotazione e delle norme istituzionali], fino al 1003, epoca della sua riduzione
in Badia, vi resti uno spazio di 121 [122] anni che le scritture, o le memorie del tempo non
hanno ancora riempito», tenta di «riannodare cotesta genealogia» attraverso l’«esposizione di
alcuni strumenti inediti», facendo confluire in un unico ceppo familiare Berardenghi, scialen-
ghi, Cacciaconti, Cacciaguerra, Manenti, spadalunga, spadacorta, «ecc.», qualificando indi-
stintamente con il titolo di conti molti di essi, quando, in realtà, il titolo comitale era decaduto
con la morte del conte Winigis, primo fondatore, nell’anno 867, della badia di san salvatore.
Cfr. e. rePetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, cit., vol. i, Abazia della
Berardenga, Abbadia o Badia S. Salvatore, Berardenga, pp. 6, 31-34 e 297-298; vol. V, Siena,
pp. 294-355: 300-301; Appendice, cap. Xiii (De’ Conti della Berardenga, Scialenga ecc. di
Legge Salica dall’anno 865 fino verso la metà del secolo XIII), pp. 64-67.
22 l. grottANelli, Genealogia e storia degli Ugurgieri Conti della Berardenga, siena,
ignazio gati editore-libraio, 1881. il volume del 1881, specificamente dedicato alla ricostru-
zione delle vicende concernenti la famiglia ugurgieri dall’età carolingia al secolo XiX, è sud-
diviso in sedici parti, ognuna costituita da una tavola genealogica e, quasi per ciascuno dei
soggetti in esse ricompresi, da brevi biografie senza alcun collegamento reciproco. la ricchez-
za delle notizie è resa infruttuosa dalla pressoché completa mancanza di riferimenti alle fonti e
dall’imprecisione nello stabilire le relazioni di parentela, causata dalle forzature adottate al fi-
ne di delineare poco chiari e stranamente ininterrotti legami di discendenza, soprattutto nel-
l’intervallo tra la prima e la seconda fondazione del monastero (881÷1003).
23 l’atto di fondazione del monastero di Fontebona, risalente al febbraio dell’anno 867, è
riprodotto nel cartulario della Berardenga alla carta 53; cfr. P. CAMMArosANo, La famiglia dei
Berardenghi sino agli inizi del secolo XII, in «studi Medievali», serie iii, Xi (1970), pp. 103-
176: 106.
24 Cartulario della Berardenga, c. 2; cfr. P. CAMMArosANo, La famiglia dei Berardenghi,
cit., p. 112.
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25 Ibidem: «volumus recordare et ordinare in ordine monacorum ecclesia nostra cui voca-
bulo est s. salvatori et s. Alexandri, qui ubi id fuit monasterio puellarum qui parentibus nostris
edificaverunt eum, qui est posito in loco et vocabulo Canpi ubi dicit Fontebona super fluvio
Coia, infra comitato senense».
26 Ibidem.
27 Cfr. P. CAMMArosANo, La famiglia dei Berardenghi, cit., p. 126.
28 Ivi, p. 106
29 Ibidem. il conte Winigis ebbe un figlio di nome Berardo, morto al più tardi nel 903
(Assi, Diplomatico, S. Salvatore del Monte Amiata, 903 ago.). uberto Benvoglienti, in una
lettera del luglio 1711, indirizzata all’erudito gregorio Farulli, con le notizie sulla duplice fon-
dazione del monastero della Berardenga, identificava, senza dubbi, Berardo di Winigis con
Berardo i, padre dei fratelli ranieri e Berardo ii che rifondarono nel 1003 il convento. Ma il
lasso di tempo che intercorre tra Berardo di Winigis e Berardo i è evidentemente troppo am-
pio affinché i due possano identificarsi. Altrettanto insoddisfacenti sono i tentativi compiuti
dal repetti e dal grottanelli, nelle opere precitate, per colmare, inserendo una o più persone
tra Berardo di Winigis e Berardo i, quel vuoto di cento anni (903-1003).
30 Assi, Concistoro, 2655, ins. 86, cc. n. n., albero della famiglia ugurgieri nelle carte
delle provanze di nobiltà di giovanni Maria giusti di Colle, 1698. Berardo (i) appare essere
unito in matrimonio con ermingarda di ranieri, nonché nominato nel libro dei contratti del-
l’abbadia san salvatore nel 929. Ma il passo più interessante recita: «da questo [Berardo(i)]
ne nasce ranieri sottoscritto autor de’ signori ugurgieri, e Berardo [ii] dal quale hanno origi-
ne i signori Conti Berardeschi».
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31 un terzo documento, serbato tra le provanze del giusti custodite presso l’Archivio di
stato senese, è stato utilizzato a completamento degli altri scritti o ad integrazione delle noti-
zie generali tratte dalle fonti edite. si tratta del pezzo «Assi, Concistoro, 2655, ins 86, cc. n.
n.», già citato, che contiene l’albero genealogico della famiglia materna, ugurgieri, datato
1698. si è ritenuta più opportuna una utilizzazione ausiliaria poiché, in primo luogo, i riferi-
menti temporali ed alle fonti sono identici a quelli contrassegnati nel medesimo documento di
cui al pezzo «AsPi, S. Stefano, 207, ins. 5, cc. n. n.» e, in secondo luogo, la linea di discen-
denza risulta essere mancante di due componenti l’agnazione: Ciampolo di ugo di ruggiero e
ruggiero di Ciampolo di ugo; infine, l’unico elemento di differenziazione e, allo stesso tem-
po, di interesse, risulta essere l’annotazione delle mogli, per quasi tutti i componenti, anche se
manca ogni traccia della fonte da cui è stata tratta notizia.
32 AsPi, S. Stefano, 207, ins. 5, cc. n. n., «fedi di nobiltà del signor giovanni Maria Nic-
colò del signor Cavalier Alberto giusti di Colle, pretendente alla sagra, et illustrissima reli-
gione di santo stefano Papa e Martire», 23 settembre 1698.
33 g. BiChi, Cenni genealogici di famiglie nobili senesi che hanno assunto altro cogno-
me, siena, 1722, in Assi, Manoscritti, A 60, c. Viiir: «Cognomi di famiglie nobili sanesi, che
si mantengono in essere, sì per adozzione, per arrogazione, come per obbligo di fidecommissi,
ò primogeniture, ò altri simili modi, nelle persone d’altre nobili descendenze di diverso co-
gnome. Con il rapporto di tutte le notizie bisognevoli per far ben intendere tali fatti, tanto nel-
la loro origine, a riguardo delle persone che ne furono autrici: che nell’ esecuzione, rispetto al-
le persone che assunsero i cognomi, e se ne ponerono in possesso le prime. Con l’indicazione
inoltre,delle condizioni, forme, et obblighi più essenziali, e d’ogn’altra circostanza attenente, e
comprobante ciascun fatto. Con l’aggiunzione di più, delle descendenze di quelle
fameglie,che si cambiarono i cognomi, e si confusero in uno, rappresentate di padre in figlio-
lo, in forma d’albero. il tutto ricavato da Archivi Pubblici, e privati. Con pensiero, diligenza,
studio, fadiga, e spesa dell’illustrissimo signor abbate galgano Bichi figliolo del Cavaliere, e
Conte rutilio de’ Bichi Patrizio sanese». Ivi, c. 149r, albero genealogico della famiglia ugur-
gieri.
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sti tomi, «et in specie fino ad Agnolo d’Azzolino», insignito della di-
gnità concistoriale di Priore nel 1481, «havendoli da questo fino alla
signora Eufrasia del signor Angiolo Ugurgieri [...] confrontati con il
registro fatto nelli [...] publici libri esistenti nell’Archivio delle so-
pradette Riformagioni».
L’ordine di discendenza, con l’indicazione, per ciascun soggetto
elencato, dell’anno riferito al primo strumento trascritto nel libro
dei contratti «dell’Abbadia San Salvatore» che documentasse l’esi-
stenza dei membri della stirpe, enumerava: conte Reghinari – conte
Winigi (872) – Berardo (929) – Ranieri (1003)34 – Guinigi (1055 e
1073) – Bernardo (1091) – Ruggiero (1109) – Ugo (1142). Seguiva-
no, ascritti tra i Consoli della città, ancora Ugo di Ruggiero (1183)35
e Ciampolo (1209)36. Bindo di Ruggiero, detto Capoleone, veniva
34 ranieri, uno dei due fratelli che operarono la reconciliatio del 1003, rappresenta lo sti-
pite dal quale principiò il ramo che arriva fino agli ugurgieri.
35 in realtà, vi sono maggiori certezze sulla prima copertura dell’ufficio di Console nel-
l’anno 1188, come sostengono l’Aurieri, il Cittadini e il Falorsi – in riferimento alle cronache
di Agnolo di Mino di tura del grasso –, il sestigiani – che fa affidamento sulle Croniche Ma-
noscritte di gallari di Pietro –, ed il Bichi. Cfr. A. Aurieri, Raccolta di notizie delle famiglie
nobili di Siena, tratte da cronache di vari autori, siena, prima metà del sec. XiX, in Assi,
Manoscritti, A 20, c. 67r; C. CittADiNi, Notizie di tutte le famiglie nobili esistenti nel presente
anno 1713, e precisamente qui raccolte riguardo alla prima memoria che si trova delle perso-
ne di ciascuna d’esse ne’ libri, ne’ contratti, e scritture de’ pubblici archivij d’haver consegui-
to l’onori pubblici d’offizij, e cariche nobili della città di Siena, siena, 1713, in Assi, Mano-
scritti, A 8, c. 45r; A. FAlorsi, Riseduti nel Concistoro ascritti al Monte dei Gentiluomini, re-
lativi alle famiglie feudali del contado senese esistenti nel 1714, i, siena, 1714, in Assi, Ma-
noscritti, A 64, c. Viiir; A. sestigiANi, Ordini, armi, residenze e memorie di famiglie nobili di
Siena, ii, siena, prima metà del secolo XViii, in Assi, Manoscritti, A 14, c. 788r; g. BiChi,
Ms. cit, c. 149r. ugo di ruggiero ebbe per moglie Bella Cara d’uggeri Cadula. Cfr. Assi,
Concistoro, 2655, ins. 86, cc. n. n., albero della famiglia ugurgieri nelle carte delle provanze
di nobiltà di giovanni Maria giusti di Colle. si può ancora aggiungere che l’inurbamento di
detto ugo avvenne ancor prima dell’inserimento nel ceto dominante, alla fine del 1163. Cfr. P.
CAMMArosANo, I Berardenghi nell’età comunale, cit., p. 232.
36 A. FAlorsi, Ms. cit., c. Viiir, dichiara la copertura dell’ufficio tratta da un rogito del
1° gennaio 1208 (1209). identico riferimento temporale indica C. CittADiNi, Ms cit., c. 45r,
ma aggiunge il mandato dell’anno 1199, desunto dalle Istorie Latine di sigismondo tizio.
Concorda con il consolato per il 1199, ricavato dalla medesima fonte, anche g. BiChi, Ms.
cit., c. 149r. A. Aurieri, Ms. cit., c. 67r, si discosta di un anno, al 1210. e, in particolare, A.
sestigiANi, nel Compendio istorico di sanesi nobili per nascita, illustri per attioni, riguar-
devoli per dignità, raccolto come si dimostra da diversi autori, che hanno stampato da ma-
nuscritti antichi, e moderni, da archivi, da contratti pubblici e da scritture esistenti appres-
so persone particolari, ii, siena, 1696, in Assi, Manoscritti, A 30/iii, c. 868r, riporta, ba-
sandosi sul «titio, tomo primo», che «Ciampolo d’ugo di ruggiero fu uno dei Consoli
l’anno 1199 quale aveva grande autorità, poiché s’importavano le monete col nome, e arme
del detto Ciampolo e dell’altri due Consoli suoi compagni». il Cammarosano afferma che
Ciampolo fu tra i consoli senesi del periodo novembre 1209-novembre 1210, vale a dire
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analitica delle linee principiate dai detti Antonio ed ugo, si vedano i capitoli dedicati all’am-
missione di tutti i membri della prosapia al patriziato di siena e quelli concernenti i preten-
denti l’abito della sacra religione di santo stefano, corredati dagli alberi genealogici, conte-
nuti nello studio di A. ruiu, La famiglia Ugurgieri nel patriziato senese e nell’Ordine di S.
Stefano, cit., pp. 151-208.
38 il numero crescente delle adozioni metteva sempre più in luce la grave ed irreversibile
crisi demografica del ceto aristocratico senese. Cfr. g. r. F. BAker, Nobiltà in declino, cit.,
passim; ma, in particolare: pp. 610-613.
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39 g. BiChi, Ms. cit., cc. 137, 139-146, 148 e 149r. Angelo d’emilio Malavolti istituì pri-
mogenitura mascolina sulla progenie delle proprie figlie, con testamento del 29 settembre
1701, rogato da ser Alessandro salvucci, con l’obbligo di assumere armi e cognome, senza
mistura, della famiglia Malavolti. l’eredità passò a salustio di Muzio ugurgieri, primo figlio
maschio di Maria Malavolti. Cfr. Assi, Manoscritti, A 60, c. 149r; AsFi, Deputazione sopra
la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 57, cc. n. n., particolare del testamento di Angelo di emilio
Malavolti, rogato da Alessandro salvucci il 29 settembre 1701, s. d.
40 si noti come le famiglie coinvolte nelle adozioni in questione appartenessero tutte e tre
al patriziato senese. Cfr. M. Aglietti, Le tre nobiltà, cit., appendice, n. 69, p. 269; n. 92,
p. 271; nn. 183-187, p. 276.
41 Angelo di Adriano Fondi e di teresa di Angelo Malavolti vestì l’abito di cavaliere milite
per giustizia il 3 agosto 1718. Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese membri del Sacro Mi-
litare Ordine di S. Stefano Papa e Martire, Pisa, edizioni ets, 1993, n. 392, pp. 388-389.
42 Assi, Concistoro, 2665, c. 475r.
43 Ivi, c. 477r.
44 Ivi, cc. 479r e ss.
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l’interno della nobiltà civica senese, il 20 marzo 1776, preso atto del
nulla osta dei deputati, ammise Angelo Fondi, già Curzio Ugurgieri,
ad esercitare la facoltà richiesta45.
166
del governo di Siena48. Non a caso, per esempio, nelle provanze per
l’ammissione all’Ordine di Santo Stefano, negli articoli dedicati alla
dimostrazione delle sostanze indispensabili al fine di prendere e
conservare dignitosamente il grado di cavaliere, come pure condur-
re una vita di buoni costumi irreprensibile, si specificava quale fosse
la distanza dalla città dei beni immobili: la prossimità al centro ur-
bano rendeva più facili ed efficaci quelle pratiche della vita di rela-
zione comunemente ritenute indispensabili per una condotta more
nobilium. Ne derivava che i due elementi del valore e della rendita
fondiaria, indispensabili per dimostrare facoltà tali da non dover
esercitare arti proibite, contrarie allo status nobiliare, rivestissero
un’importanza prettamente economica, ben distinta dal prestigio
sociale derivante da una proprietà adagiata all’ombra delle mura cit-
tadine49.
Come risulta evidente, i discendenti d’Ugo di Ruggieri facevano
indubitabilmente parte delle prosapie considerate magnatizie, per
via dei requisiti definiti in base ai criteri decantati dai più autorevoli
storici ed eruditi senesi con riferimento all’epoca medievale, eviden-
ziati fin dalle premesse da cui si son prese le mosse e nel corso della
trattazione.
Anche Giovanni Antonio Pecci, nella sua Lettera sull’antica e mo-
derna derivazione delle famiglie nobili di Siena, tra le consorterie
enumerate per il Terzo di San Martino nel primo catalogo, del 1277
(poi riconfermato nel 1337), che le escludeva nominatamente dalla
suprema magistratura concistoriale, ricordò il «casamentum filio-
rum Ugonis Rugerii», per il quale l’intellettuale senese si curò di ag-
giungere in nota, tra le altre notizie, come la famiglia conservasse
ancora il castellare consortile ed avesse «la bella sorte di pruovare la
descendenza retta e sicura fin dal secolo IX per essersi a caso con-
servati i documenti della fondazione e padronato della chiesa e mo-
nastero di San Salvatore della Berardenga che fondò e dotò»50.
***
con il governo cittadino, si veda D. MArrArA, I magnati e il governo del Comune di Siena
dallo statuto del 1274 alla fine del XIV secolo, cit., pp. 239-276.
49 Cfr. D. MArrArA, Riseduti e nobiltà, cit., pp. 113-114.
50 Cfr. g. A. PeCCi, Lettera, cit., p. 9, in C. rossi, Giovanni Antonio Pecci, cit., p. 162.
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51 Cfr. A. FAlorsi, Riseduti nel Concistoro ascritti al Monte dei Gentiluomini, cit., cc.
famiglie originarie ed aggregate al Monte dei Gentiluomini, estinte ed esistenti nel 1717, sie-
na, 1717, in Assi, Manoscritti, A 61, cc. 145-152.
53 l’impulso alla riammissione dei gentiluomini nella suprema magistratura fu dato dal
Papa senese Pio ii, enea silvio Piccolomini, il quale riuscì a far riabilitare la sua casata al go-
dimento degli antichi privilegi; essa seppe mantenerlo, dopo la sua morte (Ancona, 15 agosto
1564), attraverso il passaggio nelle fila dei popolari; cfr. D. MArrArA, Riseduti e nobiltà, cit.,
p. 74, il quale rimanda, per un approfondimento del cinquantennio 1480-1530, alle storie ge-
nerali di siena scritte dal Malavolti e dal Pecci.
54 Cfr. A. FAlorsi, Riseduti in magistrature della Repubblica di Siena appartenenti alle
famiglie originarie ed aggregate al Monte dei Gentiluomini, estinte ed esistenti nel 1717, cit.,
c. 235r.
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55 Per uno schema riassuntivo esaustivo dei personaggi illustri della consorteria, si veda-
no: A. sestigiANi, Ordini, armi residenze e memorie, Ms. cit., cc. 788 ss.; g. gigli, op. cit., i,
pp. 366-372. e, più in generale, si trovano notizie sulla storia della famiglia in o. MAlAVolti,
Dell’historia di Siena, cit., passim; g. toMMAsi, Dell’historie di Siena, cit., passim; i. ugur-
gieri AzzoliNi, Le pompe sanesi, o vero relazione delli huomini e donne illustri di Siena e suo
Stato, cit., passim. tra i letterati e gli eruditi, oltre il prementovato fra’ isidoro ugurgieri Az-
zolini, domenicano, che compilò i due tomi delle Pompe Sanesi, devono essere ricordati Cec-
co di Meo Mellone, autore di molte rime toscane per le quali fu lodato dal Cittadini, stefano,
frate agostiniano, che pubblicò un volume di Orazioni Latine e, infine, ugo, comico eccellen-
te nell’età adolescenziale, il quale studiò filosofia e leggi nelle università di siena, Pisa e Bo-
logna; cfr. i. ugurgieri AzzoliNi, op. cit., i, tit. XViii (Sanesi oratori, poeti, comici, ed acca-
demici), pp. 548, 594, 613. Ma anche nelle vene di orlando Malavolti, autore Dell’Historia di
Siena, scorreva sangue ugurgieri per il quarto della madre Francesca; cfr. ivi, i, tit. XiX (Sa-
nesi historici ed antiquarij), p. 633.
56 Nel 1186, giovanni ugurgieri fu a capo di cinquecento valorosi giovani che si unirono
ai francesi, ai cavalieri templari e di san giovanni nell’assedio di Acri; cfr. g. gigli, op. cit.,
i, p. 371 e i. ugurgieri AzzoliNi, op. cit., ii, tit. XXiX (Sanesi valorosi guerrieri), p. 133. il
nipote giovanni, nel 1260, fu ucciso nella battaglia di Montaperti da Aldobrandino Aldobran-
deschi di Pitigliano e venne seppellito nel Duomo con grandi onori, testimoniati dalla sua sta-
tua a cavallo che, fino al 1554, si ergeva sul suo sepolcro, ove poi rimase soltanto l’iscrizione:
«Joannes ugurgerius decreto publico hic situs est Decepsit Montis Aperti Clade Anno Domini
MCClX»; cfr. g. gigli, op. cit., i, p. 371 e i. ugurgieri AzzoliNi, op. cit., ii, tit. XXiX (Sa-
nesi valorosi guerrieri), p. 136.
57 indossarono la mitra di vescovo: ruggiero di ranieri per la città di Massa nel 1258,
ugo di Aldobrandino a grosseto nel 1260 e orlando di ruggiero di Ciampolo, parimenti epì-
scopo di Massa nel 1291; cfr. A. sestigiANi, Ordini, armi residenze e memorie, cit., cc. 788 ss.
e g. gigli, op. cit., i, p. 370. e ancora, ranieri di Cione, frate agostiniano, fu lettore di teolo-
gia negli anni 1296 e 1305, per poi divenire provinciale del distretto di Pisa e finalmente as-
surgere alla cattedra teologale dell’appena riaperto studio generale di siena; cfr. i. ugurgieri
AzzoliNi, op. cit., i, tit. XiV (Sanesi teologi insigni), p. 364. Francesco d’Altimanno, dell’or-
dine di san Francesco, nel 1343 fu dichiarato inquisitore generale di tutta la toscana da Papa
Clemente Vi; cfr. ivi, i, tit. Xiii (Sanesi inquisitori della santa fede), p. 328. Fra Antimo di ia-
como, nel 1357, ottenne il nuovo privilegio dello studio pubblico da Carlo iV e nel medesimo
atto conseguì, per la stirpe, l’onore di poter inserire l’aquila imperiale nello stemma gentilizio;
cfr. ivi, i, tit. XiV (Sanesi teologi insigni), p. 359. ugo, monaco cistercense, ottenne molti gra-
di e dignità nella sua congregazione, ma, soprattutto, fu tenuto in grandissima considerazione
dalla repubblica di siena, che a quei tempi si serviva dei religiosi per le questioni pubbliche:
nel 1261 fu fatto «tesoriero dell’erario publico», ovvero Camerlengo di Biccherna; cfr. ivi, ii,
tit. XXV (Sanesi che hanno ottenuto il Primato nella Patria), p. 58. inoltre, Mino, frate con-
ventuale, nel 1313, e Agostino, dell’ordine dei servi di Maria, nel 1332, furono proclamati
beati; cfr. A. sestigiANi, Ordini, armi residenze e memorie, cit., cc. 788 ss.
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58 tra i legisti vennero annoverati Niccolò di Cecco, canonico della Metropolitana – amba-
dal senato per riportare la pace, turbata dai tumulti causati dalle fazioni senesi emule del con-
comitante scontro tra guelfi e ghibellini fiorentini; cfr. g. toMMAsi, op. cit., ii, Vi, pp. 40-41.
il cavaliere ruggiero sposò Fazzina di Provenzano salvani, capitano generale dei ghibellini di
siena, dal quale matrimonio nacquero orlando, vescovo di Massa, il cavaliere Bindo detto
Capoleone, e Pietro detto Buffa che capeggiarono i ghibellini senesi; cfr. i. ugurgieri Azzo-
liNi, op. cit., ii, tit. XXXi, (Sanesi cavalieri illustri,), pp. 285, 294, 305. ugo d’Azzolino «bi-
savolo paterno dell’Autore», fu tra i cittadini che sottoscrissero le capitolazioni di Pandolfo
Petrucci e poi confermò quelle del figlio Borghese; cfr. ivi, ii, tit. XXV (Sanesi che hanno ot-
tenuto il Primato nella Patria), p. 58.
60 Presero l’abito equestre per ordini diversi dalla religione di santo stefano (in riferi-
mento alla quale si veda più oltre, nella trattazione sintetica delle ammissioni alla medesima):
ruggiero di ruggierotto, cavaliere templare, precettore della Magione di siena nel 1240;
Francesco di Camillo (1591), Alfonso di Bandino (1614) e Angelo di Filippo (1615), cavalieri
di Malta; cfr. i. ugurgieri AzzoliNi, op. cit., ii, tit. XXiX (Sanesi valorosi guerrieri), p. 137.
61 tra gli ambasciatori fu annoverato ugo di ruggiero, che nel 1227 pacificò i volterrani;
poi, nel 1352, ricciardo di Pepo fu inviato a ludovico di taranto, marito di giovanna, regina
di Napoli, e Niccolò di Cecco fu delegato al Concilio di Costanza l’anno 1415; cfr. g. gigli,
op. cit., i, p. 371.
62 tra le altre, v’è un’ulteriore notizia degna di nota, concernente un possibile ramo sici-
liano della prosapia senese, principiante dal cavaliere ruggiero, il quale, nel 1350 circa,
«schivando le sedizioni della Patria», partì da siena e si portò nel regno di sicilia ove, con
Bona di Mino Montanaini, sua moglie, si fermò in Bivona, nobile terra di quell’isola, e vi
elesse domicilio per edificare a proprie spese un convento ai padri di san Francesco. A tal pro-
posito, l’autore delle Pompe Sanesi riporta un passo attribuito al Wadingo: «Domus Bivonæ in
sicilia suscepit initium construente ruggerio equite senensi, et Bivonensi incola, et sacellum
s. Michaelis iuris Patronatus suæ familiæ construxit. Possessionem accepit F. laurentius Vas-
sallus sub præsidio D. Bonæ senensis illustris fæminæ»; cfr. i. ugurgieri AzzoliNi, op. cit.,
ii, tit. XXXii (Sanesi chiari per magnificenza e generosità), p. 318.
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TAVOLA I
Albero genealogico della famiglia Ugurgieri
LELIO PASQUALE
MUZIO
LELIO
AZZOLINO
171
63 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, inss. 54-58. Cfr. M. Aglietti,
Le tre nobiltà, cit., appendice, nn. 183-187, p. 276. si veda l’albero genealogico della famiglia
ugurgieri con le ammissioni al patriziato senese, risalente allo stipite comune: tavola ii.
64 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 54, cc. n. n., richiesta di
la Deputazione, a siena esse dovevano essere esibite innanzi all’Auditore generale della città,
così come nelle altre città nobili «avanti li rispettivi loro iusdicenti» che, dopo un primo esa-
me dei documenti – da riscontrarsi direttamente sulle fonti pubbliche locali –, avrebbero do-
vuto rimettere «tutto immediatamente alli Deputatati» fiorentini. Cfr. Legge, art. X; Istruzione,
art. Xiii.
66 gli articoli iV, Vi e iX prescrivevano le prove documentali ordinarie da accludersi al-
l’istanza, laddove gli articoli V, Vii, Viii e X indicavano quelle alternative ed aggiuntive volte
a comprovare lo status nobiliare. in particolare, gli articoli iX e X si occupavano di risolvere
il problema della distinzione tra le famiglie fiorentine antiche e recenti. Con l’articolo X si
creò una vera e propria presunzione di legge: le famiglie magnatizie, che non potevano esibire
le fedi dei godimenti delle magistrature più antiche a causa della distruzione degli archivi co-
munali da parte del popolo, avrebbero potuto portare «in quella vece l’attestazione di trovarsi
i loro antenati descritti tra i grandi a i libri delli statuti, degli ordinamenti di giustizia ec. ed
altri libri publici esistenti originalmente nell’Archivio di Palazzo»; l’iscrizione nei cataloghi
redatti ai sensi della legislazione antimagnatizia restituiva, così, la prova della vetustà del pro-
prio status ai nobili di antica stirpe.
67 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 54, cc. n. n., fede attestante
l’autenticità dello stemma gentilizio e la nobiltà delle consorti per il ramo di tommaso ugur-
gieri, contenente una rettifica alla fede di nobiltà, rilasciata da Pietro Bambagini, cancelliere
dell’archivio delle riformagioni di siena, 2 aprile 1751. Fu il cancelliere Bambagini, in data 2
aprile 1751, l’estensore della scrittura attestante l’autenticità dello stemma gentilizio, nonché
la nobiltà delle consorti per il ramo di tommaso ugurgieri, «tutte nobili e discese da nobili fa-
miglie risedute della città di siena», in calce alla quale il funzionario si preoccupò di rettifica-
re l’albero genealogico in cui aveva erroneamente inserito, come primo ascendente, giovanni
anziché ugo e, come primo riseduto della lista, Angelo di giovanni al posto di Angelo di ugo,
membro del magistrato supremo nel 1518.
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tasse attività manuali e non fosse gravato da carichi penali, ambedue cause ostative all’aggre-
gazione in questione che, se fossero sopravvenute alla stessa, avrebbero addirittura causato la
perdita della nobiltà e la conseguente cancellazione dai Libri d’Oro. Cfr. Legge, tit. iV (Della
perdita della nobiltà), artt. XXV-XXXii; Istruzione, art. ii; M. Aglietti, Le tre nobiltà, cit.,
pp. 74-81.
69 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 54, cc. n. n., fede attestante
la vita more nobilium di tommaso ugurgieri e l’autenticità dei documenti, rilasciata da giulio
Franchini taviani, Auditore generale di siena, 13 luglio 1752.
70 Ivi, cc. n. n., fede attestante la nobiltà della famiglia ugurgieri e certificante il godi-
mento dei pubblici onori per il ramo di tommaso, rilasciata da Pietro Bambagini, cancelliere
dell’ archivio delle riformagioni di siena, 26 marzo 1751.
71 Legge, art. Xii. i certificati di nascita verranno introdotti soltanto in età napoleonica.
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nelle copie, tenute in ciascuna città nobile, sia negli originali dei Li-
bri d’Oro, custoditi a Firenze72: ad assolvere l’obbligo di legge fu
Curzio73, figlio secondogenito di Tommaso. La procedura di ammis-
sione, come prevedeva la presentazione delle domande direttamente
alla commissione ad hoc, corredate da documenti «autentici e in
buona forma»74, così implicava, per il buon esito dell’istruttoria, il
parere favorevole del medesimo organo; ma il giudizio positivo, sep-
pur autorevole, non era sufficiente per l’immediata annotazione nei
cataloghi, poiché l’iter poteva perfezionarsi solo subordinatamente
all’autorizzazione emanata con decreto del principe. Il deliberato
granducale del 16 aprile 1753 pose fine al procedimento probatorio
e rese esecutiva l’iscrizione al patriziato senese della famiglia Ugur-
gieri per il ramo di Tommaso di Fausto.
Gli ulteriori quattro inserti, conservati nella filza della famiglia
Ugurgieri, contenevano una documentazione analoga a quella alle-
gata da Tommaso in conformità alla Legge del 1750.
Azzolino di Muzio produsse il fascicolo delle prove con la richie-
sta di iscrizione negli indici del patriziato cittadino – avanzata il 30
settembre 1751 ed accolta con il decreto del 28 maggio 1753 – per
sé e per i propri figli, ben sei, cui andarono ad aggiungersi Salustio e
Giulia, discendenti del primogenito Muzio, aggregati il 21 agosto
178975.
72 Ivi, art. Xiii. l’Auditore generale di siena, come gli altri iusdicenti delle città nobili,
avrebbero dovuto «rimettere in Firenze alla fine d’ogni anno la nota de’ nati fatti [...] scrivere
ne’ registri, colle filze delle fedi del battesimo», per l’aggiornamento periodico degli originali.
73 Nel 1776, Angelo di Adriano Fondi, con testamento del 7 marzo 1763, rogato da ser
Camillo salvucci, istituì suo erede universale Curzio di tommaso ugurgieri, con l’obbligo di
assumere nome, arme e Monte della famiglia Fondi. Cfr. Assi, Concistoro, 2665, c. 475r. Nei
documenti addotti da Curzio ugurgieri per l’iscrizione della sua progenie nei registri del patri-
ziato, appariva la specificazione del radicale cambiamento del suo nome, da Curzio ugurgieri
ad Angelo Fondi.
74 Legge, art. X.
75 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 55, cc. n. n. il fascicolo
conteneva nove documenti, qui di seguito ordinati per data: 22 settembre 1751, fede dei godi-
menti dei pubblici onori, rilasciata da Pietro Bambagini, cancelliere delle riformagioni; 24
settembre 1751, fede dei matrimoni nobili con donne delle famiglie Bandinelli, Malavolti,
sozzifanti, orlandini, rilasciata da Bernardino Castellucci, cancelliere dell’ufficio della gabel-
la dei contratti; 25 settembre 1751, fede di battesimo dei figli di Azzolino: Muzio (20 giugno
1730), lelio (29 aprile 1751), giulia (2 maggio 1743), girolama (13 marzo 1746), olimpia
(9 febbraio 1747), Maria Caterina (27 febbraio 1748), rilasciata da lattanzio Balestri, cancel-
liere della Biccherna; 25 settembre 1751, fede contenente l’attestazione dell’autenticità dello
stemma e della nobiltà delle consorti, nonché l’albero genealogico per il ramo in questione, ri-
lasciata da Pietro Bambagini, cancelliere delle riformagioni; 30 settembre 1751, richiesta di
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ammissione al patriziato senese; 18 luglio 1752, fede attestante la vita more nobilium e l’au-
tenticità dei documenti, rilasciata da giulio Franchini taviani, Auditore generale; 21 agosto
1789, tre fedi presentate da Muzio di Azzolino: due di battesimo, dei figli salustio (25 marzo
1775) e giulia (22 marzo 1779), rilasciate il 10 agosto 1789 da giuseppe Bandiera, cancellie-
re aggiunto della Comunità di siena; la terza del matrimonio di Muzio con gertrude di Nic-
colò Bichi Borghesi, rilasciata l’11 agosto 1789 da giuseppe Ciolfi, parroco di san Pietro in
Banchi, e autenticata il 14 agosto 1789 da Pio innocenzo Palagi, attuario arcivescovile.
76 Per i Malavolti, si veda lo studio di M. MelFA, La famiglia Malavolti di Siena nell’Or-
dine di Santo Stefano, in «quaderni stefaniani», XViii (1999), supplemento, pp. 137-184. in
particolare, vengono analizzate le presenze nella religione di santo stefano di Vinceslao di
Angelo e luigi di Vinceslao Malavolti ugurgieri, discendenti di salustio di Muzio ugurgieri,
membri a pieno titolo della consorteria Malavolti e perciò esclusi dalla presente ricostruzione
delle vicende concernenti la famiglia ugurgieri.
77 Adottato Malavolti nel 1701. Cfr. g. BiChi, Ms. cit., cc. 137, 139-146, 148 e 149r. An-
gelo d’emilio Malavolti istituì primogenitura mascolina sulla progenie delle proprie figlie,
con testamento del 29 settembre 1701, rogato da ser Alessandro salvucci, con l’obbligo di as-
sumere armi e cognome, senza mistura, della famiglia Malavolti. l’eredità passò a salustio di
Muzio ugurgieri, primo figlio maschio di Maria Malavolti. Cfr. ivi, c. 149r. AsFi, Deputazio-
ne sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 57, cc. n. n., particolare del testamento di Angelo di
emilio Malavolti, rogato da Alessandro salvucci il 29 settembre 1701, s. d. si noti come l’in-
serto riguardante l’istanza di salustio Malavolti ugurgieri sia stato incluso nell’analisi giacché
il postulante utilizzò come prova della vetustà del proprio status nobiliare le residenze nei su-
premi maestrati dei propri antenati di casa ugurgieri; mentre non si è tenuto conto delle fedi
di aggregazione dei suoi discendenti.
78 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins.57, cc. n. n. Ai fini della ri-
costruzione delle vicende della consorteria ugurgieri, devono tenersi in considerazione, tra i
documenti contenuti nell’inserto in parola, i seguenti: la richiesta di ammissione al patriziato
di siena, presentata da salustio Malavolti ugurgieri il 30 dicembre 1751; la fede attestante la
nobiltà della famiglia ugurgieri e certificante il godimento dei pubblici onori per il ramo di
Muzio, rilasciata da Pietro Bambagini, cancelliere dell’archivio delle riformagioni, il 15 apri-
le 1751; la fede attestante i matrimoni con donne nobili per il ramo di salustio Malavolti
ugurgieri, estratta dai libri Ducali, rilasciata da Bernardino Castellucci, cancelliere dell’uffi-
cio della gabella dei contratti, il 30 settembre 1751; l’albero genealogico della famiglia ugur-
gieri per il ramo di salustio; il particolare del testamento di Angelo di emilio Malavolti, roga-
to dal notaio Alessandro salvucci il 29 settembre 1701; la fede attestante la vita more nobi-
lium di salustio ugurgieri e l’autenticità dei documenti, rilasciata da giulio Franchini taviani,
Auditore generale, il 18 luglio 1752. A differenza degli altri incartamenti, nell’istanza si indi-
cava, in più, che «lo stato suo presente di detto signor comparente ascenderà a scudi mille, e
più di rendita annuale».
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79 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 56, cc. n. n. lo stato civile
dei postulanti, entrambi celibi, restrinse l’incartamento alla produzione dei documenti stretta-
mente necessari secondo le prescrizioni dell’Istruzione (artt. iV-X): la richiesta, datata 31 di-
cembre 1751; l’albero genealogico e lo stemma, entrambi privi di data, ma presumibilmente
scritti dalla stessa mano che aveva redatto la domanda; la fede dei godimenti dei pubblici ono-
ri, rilasciata e sottoscritta da Pietro Bambagini, cancelliere delle riformagioni, il 9 dicembre
1751; l’attestato dell’Auditore generale giulio Franchini taviani, del 12 agosto 1752.
80 AsFi, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 24, ins. 58, cc. n. n. il contenuto
del fascicolo ricalcava lo schema tralatizio: richiesta di ammissione al patriziato di siena, pre-
sentata da Benedetto ugurgieri, 15 aprile 1752; fede attestante la nobiltà della famiglia ugur-
gieri e certificante il godimento dei pubblici onori per il ramo di Benedetto, rilasciata da Pie-
tro Bambagini, cancelliere dell’ archivio delle riformagioni di siena, 22 settembre 1751; fede
attestante l’autenticità dell’albero genealogico e dello stemma gentilizio della famiglia ugur-
gieri, rilasciata da Pietro Bambagini, cancelliere dell’ archivio delle riformagioni di siena, 11
dicembre 1751; fede di battesimo di Anna di lorenzo di Benedetto ugurgieri, rilasciata da
lattanzio Balestri, cancelliere dell’ufficio della Biccherna di siena, 17 aprile 1752; fede atte-
stante la vita more nobilium di Benedetto ugurgieri e l’autenticità dei documenti, rilasciata da
giulio Franchini taviani, Auditore generale di siena, 20 marzo 1753; fede attestante il matri-
monio di Benedetto di Filippo ugurgieri con isabella di Alfonso Venturi, rilasciata da seba-
stiano Palagi, cancelliere arcivescovile di siena, 3 gennaio 1774.
176
TAVOLA II
Albero genealogico della famiglia Ugurgieri con le ammissioni al patriziato senese, risalente allo stipite comune
WINIGISIO
[…]
RUGGIERI
UGO
[…]
AZZOLINO
ANTONIO UGO
CAMILLO AGNOLO
ANTONIO
ALIBRANDO
CAMILLO LELIO FAUSTO
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81 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 19, pp. 33-34.
82 AsPi, S. Stefano, 575, cc. 32s-32d, 99s, apprensione dell’abito di cavaliere milite per
giustizia, 15 agosto 1569.
83 si tratta del padre di isidoro ugurgieri Azzolini, autore delle Pompe Sanesi, come da
egli stesso affermato nella seconda parte della sua opera sulla storia di siena. Cfr. i. ugurgie-
ri AzzoliNi, op. cit., ii, XXXi (Sanesi cavalieri illustri), p. 305: «Cavalieri di santo stefano.
lXXXi. ugurgieri. ottavio d’Angelo Padre dell’Autore il 15 d’Agosto 1469 [1569]».
84 AsPi, S. Stefano, 21, ins. 4, provanze di ottavio ugurgieri.
85 AsPi, S. Stefano, 1086, ins. 347, c. 902, supplica di ottavio ugurgieri e rescritto: «il
Consiglio informi sua eccellenza illustrissima». sia la supplica che il rescritto mancavano
della data.
86 il Capitolo generale rappresentava la base dell’organizzazione dell’ordine, così come
il gran Maestro il vertice indiscusso. riunito ogni tre anni a Pisa, composto obbligatoriamen-
te da tutti i cavalieri toscani, esplicava principalmente funzioni normative (di riforma degli
statuti), ed elettorali (di nomina, in particolare, delle «dignità capitolari maggiori» o «gran
croci»). All’interno del consesso venivano eletti i sedici «capitolanti» con «piena e libera au-
torità di potere esaminare e deliberare tutte le cose»; ma, affinché le deliberazioni divenissero
esecutive, era necessaria la sanzione del gran Maestro. Appare chiaro come l’assemblea gene-
rale venisse convocata ad pompam, per la solenne cerimonia d’insediamento e per la riunione
conclusiva, sede della pubblicazione delle decisioni assunte dal ristretto organo eletto in seno
ad essa. Per uno studio completo degli ordinamenti e degli organi di governo dell’ordine di
santo stefano, dal 1562 al 1859, e per rintracciare tutti i dignitari, impiegati e funzionari alla
guida dell’ordine nelle varie epoche, grazie alle copiose appendici, è imprescindibile stru-
mento il lavoro di D. BArsANti, Organi di governo, dignitari e impiegati dell’Ordine di S.
Stefano dal 1562 al 1859, Pisa, edizioni ets, 1997; in particolare, cap. i, pp. 1-27. inoltre,
per l’aspetto strettamente normativo connesso al Capitolo generale, cfr. Statuti, cit., tit.Vi
(Del Capitolo Generale), pp. 190-206.
87 AsPi, S. Stefano, 641, ins. 3, cc. 193r-193v, deliberazione del Capitolo generale, 14
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maggio 1565. si ricordi che, in tale secondo Capitolo generale, la deliberazione in questione,
sanzionata da Cosimo i, stabilì che in tutte le località diverse da Pisa e Firenze, sedi rispettiva-
mente del Consiglio dei Dodici e dell’Auditore, il giudice competente per le provanze pubbli-
che sarebbe stato il tribunale Diocesano, nella persona del vicario arcivescovile o vescovile.
la portata di tale norma superava i confini del granducato, colmando l’incertezza che aveva
caratterizzato i primissimi anni di vita dell’ordine, in cui non vigevano regole fisse a riguar-
do; la prassi era quella di rivolgersi al giudice più autorevole della città (a siena, per esempio,
la competenza era posta nelle mani del Capitano di giustizia, che era il supremo giudice pena-
le). Però i problemi non venivano risolti del tutto, poiché , mentre a Pisa e Firenze i processi si
svolgevano dinanzi a due organi interni all’ordine, che avevano piena cognizione degli statu-
ti, della giurisprudenza e della prassi, nelle città fuori dal granducato o addirittura dalla stessa
penisola italiana (in questo primo periodo vi sono molti cavalieri spagnoli), i tribunali aditi
non erano – o potevano non essere – a conoscenza delle norme da applicare. Per questo moti-
vo, la medesima deliberazione del 1565 sancì che in tali località, sprovviste di organi stefania-
ni, dovesse partecipare al processo anche un cavaliere assistente, per affiancare il giudice e
informarlo sulle norme e prassi da applicare, agendo, quindi, come un vero e proprio consi-
gliere. tale figura innovativa, la cui presenza era necessaria a pena di nullità dell’intero pro-
cesso, sarebbe intervenuta, naturalmente, a spese del pretendente, il quale avrebbe dovuto sce-
glierlo nella stessa città, oppure in quella più vicina, ove non esistesse affatto. i requisiti del-
l’ammissione e le relative procedure furono poi compiutamente disciplinati dal testo statutario
e dalle successive addizioni: Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. iii
(Delle probazioni, che si debbano fare innanzi, che alcuno si accetti), pp. 94-104.
88 Ibidem, si deve precisare che la duplicità del processo sarebbe venuta a mancare nelle
località in cui non fossero presenti almeno «sei cavalieri o maggior numero» che potessero
formare l’assemblea dei cavalieri, solitamente i più anziani ed autorevoli. inoltre, si deve tener
presente che la «Consulta» si pronunciava sull’ammissibilità dei quarti basandosi sulla mera
«pubblica voce e fama» della nobiltà della famiglia in generale, a prescindere dal ramo preso
in considerazione (che, per esempio, poteva aver perso la nobiltà per l’esercizio di arti vili e
meccaniche), senza bisogno di alcuna prova concreta relativa ai componenti dell’agnazione,
necessaria a partire dal 1617, in forza delle addizioni prime agli statuti. A siena, la votazione
avveniva a scrutinio segreto, quarto per quarto, attraverso l’ausilio dei lupini bianchi e neri,
espressione, rispettivamente, del voto positivo o negativo.
89 AsPi, S. Stefano, 21, ins. 4, cc. n. n., provanze segrete di ottavio ugurgieri. i capitoli
delle provanze segrete sono composti da tredici articoli enumeranti le domande attraverso le
quali interrogare i testimoni. si tratta dell’indagine sulla nobiltà delle famiglie dei quattro
quarti (ma anche di quelle ad esse legate da vincoli di affinità), sulla legittimità dei matrimoni,
su legittimità di nascita e qualità personali del pretendente, sulla vita more nobilium e sull’or-
todossia religiosa degli uomini e delle donne vissuti e viventi. ovviamente, i testimoni dove-
vano dichiarare che ogni notizia fosse vera «per comune opinione, pubblica voce e fama».
90 Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. iii (Delle probazioni, che si
debbano fare innanzi, che alcuno si accetti), pp. 94-95. si trattava di dimostrare la nobiltà del
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genus: non bastava che il pretendente fosse nobile, ma era necessario che lo fossero anche i
suoi ascendenti. Fino al Capitolo generale del 1728 era sufficiente risalire fino alla quarta ge-
nerazione, vale a dire fino agli abavi; dopodichè sarà indispensabile arrivare fino ai quattro
atavi: AsPi, S. Stefano, 647, ins. 17, partito n. 40. Detta deliberazione capitolare venne trasfu-
sa negli statuti della religione con le addizioni del 1746: Statuti, cit., tit. ii, cap. iii, addizioni
terze, n. 1, p. 102. l’antichità delle famiglie era la caratteristica principale della nobiltà caval-
leresca, ma quale fosse la prova di tale requisito non veniva precisato dagli statuti dell’ordi-
ne, i quali si limitavano a sancire che «Chiunque desidera d’esser ricevuto in Cavaliere […]
bisogna prima, che per privilegi, o per fede autentica di testimonj, o della Comunità di quei
luoghi donde sarà disceso, provi, e verifichi ciascuna dell’infrascritte cose, cioè. Ch’egli stes-
so, Padre, Madre, Avi, ed Avole dal lato Paterno e Materno, sieno discesi da casate nobili, che
habbiano avuto, o veramente sieno stati atti a potere avere, e godere nella Patria loro quelle
maggiori dignità, e gradi che solo i più nobili gentiluomini sogliono avere, e godere; dichia-
rando nominatamente quali gradi e dignità». le norme statutarie, tenendo conto della diversa
provenienza dei pretendenti, facevano un generico riferimento agli usi locali. Da parte dei
candidati toscani, il requisito in questione veniva dimostrato attraverso il godimento delle ma-
gistrature cittadine, ovvero per mezzo della nobiltà civica. Non si esigeva che tutti fossero sta-
ti effettivamente riseduti, era sufficiente che gli antenati «veramente sieno stati atti a potere
avere, e godere […] quelle maggiori dignità». la mancanza del godimento, innanzitutto, do-
veva essere imputabile a fatti non ostativi, vale a dire che non producessero la decadenza dallo
status nobiliare, e, in secondo luogo, se si protraeva per più generazioni, poteva addirittura di-
venire una vera e propria presunzione di decadenza da detta condizione. si deve aggiungere
che se da un lato, in molte località (così come per i magnates nella toscana comunale), il più
antico modo di acquisizione della nobiltà veniva identificato con l’investitura feudale (vanto
di alcune famiglie del granducato, ma soprattutto del regno di Napoli, del regno di sicilia e
del Piemonte), dall’altro si assisteva a processi a dir poco singolari, primi fra tutti quelli degli
aspiranti spagnoli (campione di grande rilevanza) che, in patria, erano considerati nobili gra-
zie alla mera esenzione fiscale. Per quest’ultimo aspetto, si rimanda a M. Aglietti, Le tre no-
biltà, cit., p. 120. tuttavia, fornire le prove della nobiltà degli antenati non era sempre neces-
sario. Nel caso, ad esempio, del fratello di un cavaliere, non si doveva provare alcunché a ri-
guardo (sempre che si trattasse, ovviamente, di fratelli utrinque congiunti), poiché le prove
della nobiltà di tutti e quattro i quarti erano già state acquisite agli atti e sarebbe stato super-
fluo, oltre che dispendioso, sostenere un nuovo processo. Naturalmente, identico ragionamen-
to valeva per il figlio di un cavaliere che doveva preoccuparsi di dimostrare il solito requisito,
ma solo per i quarti materni, e così via per tutti gli altri casi; mentre rimanevano indispensabili
le provanze de vita, et moribus. tutto ciò appariva chiaramente nelle modifiche apportate, sot-
to il gran magistero di Ferdinando ii (granduca dal 1621 al 1670), dalle addizioni seconde,
del 1665: Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. iii (Delle probazioni, che
si debbano fare innanzi, che alcuno si accetti), addizioni seconde, n. 3, p. 101. si deve però
rammentare che, in tutto ciò che riguardava l’ordine di santo stefano, l’ultima parola spetta-
va sempre al gran Maestro al quale era riservata la facoltà di derogare agli statuti: era libero
di accettare un aspirante il cui processo avesse avuto esito negativo, così come, viceversa, di
respingerlo nonostante tutte le carte fossero in regola.
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91 AsPi, S. Stefano, 21, ins. 4, cc. n. n., attestato del Capitano del Popolo e dei Priori del
Comune di siena, sottoscritta dal segretario delle leggi Anton Maria Petrucci, 27 luglio 1569.
«inter ceteras huius civitatis familias, quæ antiquitate ac nobilitate fulgent, quæque omnibus
magistratibus et patriis honoribus, supremisque dignitatibus, et elapsis temporibus illustrate
fuerunt, et ad præsens illustrantur, infrascriptæ quattuor sunt, quæ de ugorogeriis, de Placitis,
de Peccis, et de ugolinis nuncupantur. harum nobilitatem nobis maxime consciam, cum (ad
præces octavii de ugorogeriis concivis nostri) aliis quoque privatis et publicis personis, ac
Principibus omnibus propalare velimus, Nos Capitaneus Populi Prioresque gubernatores qui
pro sua excellentia illustrissima in hac senensi Civitate supremum gerimus magistratum,
præsentium litterarum, serie, universis ac singulis fidem facimus, dictas cognationes ugoroge-
riorum nempe, Placitorum, Pecciorum et ugolinorum, inter primarias huius civitatis haberi,
cunctosque magistratus (qui ceteris nobilioribus impartiri solent) ipsis iure merito ad præsens
deberi, sicuti longissimis elapsis temporibus quam sepe, magna cum laude gesserunt. in quo-
rum omnium perenne testimonium præsentes litteras scribi, pariterque subscriptione, as sigil-
lorum impressione muniri, mandavimus. ex Palatio Publico senensi sexto calendæ augusti
1569. Antonius Maria Petruccius, secretarius».
92 successivamente, nell’epoca di Cosimo ii (gran Maestro dal 15 febbraio 1609 al 28
febbraio 1621), le addizioni prime agli statuti, del 1617, sarebbero andate ad innovare il con-
tenuto delle fedi dei godimenti, da redarsi non più in forma generica, ma analitica: «Non basta
a sua Altezza, che nelle fedi delle Comunità si attesti la nobiltà delle famiglie, […] con dire
generalmente, che hanno goduto dei primi gradi; ma vuole, che vi si specifichi quali sieno i
supremi gradi di quel luogo, e quali, e quanti, e quando le persone di quelle famiglie habbiano
goduto, e da che autorità di scritture, o libri lo cavino». Cfr. Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ri-
cevere i Cavalieri), cap. iii (Delle probazioni, che si debbano fare innanzi, che alcuno si ac-
cetti), addizioni prime, n. 3, p. 100.
93 la fede è rilasciata dal Concistoro, primo magistrato della città, che anche nell’età del
Riseduti e nobiltà, cit., passim; AA.VV., I Libri dei Leoni. La nobiltà di Siena in età medicea
(1557-1737), cit., passim; AA.VV., Atti del Convegno: «L’Ordine di Stefano e la nobiltà sene-
se» (Pisa, 8 maggio 1998), cit., passim.
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95 Cfr. i. ugurgieri AzzoliNi, op. cit., i, XiV (Sanesi teologi insigni), p. 359: «XXXXV.
Fra Antimo di iacomo ugurgieri insigne Maestro della sagra teologia lesse publicamente nel-
l’università di Padova circa gli anni 1350 e 1360 come scrivono il Malavolti, ed il tommasi,
e salì in credito così grande appresso la republica di siena, che nell’anno 1357 il mandò Am-
basciatore a Carlo iiii per ottenere nuovo privilegio dello studio publico; il quale, se ben fu
fondato secoli avanti col tempo, nondimeno o per occasione della peste, o delle guerre era sta-
to serrato. ottenne da sua Maestà il privilegio desederato per l’università, come si legge ne’
suddetti Autori, e nel medesimo privilegio è l’Aquila imperiale per la nostra famiglia degli
ugurgieri».
96 Cfr. l. grottANelli, Genealogia e storia degli Ugurgieri, cit., p. 9. l’Autore, nel de-
scrivere le insegne della famiglia ugurgieri, si soffermò ad evidenziare che «la repubblica se-
nese, meno gelosa delle altre, tollerava si usassero negli stemmi le concessioni onorifiche o
degli imperatori o dei re di Francia o dei papi».
97 Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. ii (Della qualità di coloro,
che devono essere accettati nell’Ordine), pp. 91 e 93. le norme statutarie recitavano: «Non
vogliamo, che nessuno, il quale non sia legittimamente nato possa essere ammesso alla pro-
fessione dell’ordine della nostra religione» e si faceva eccezione soltanto «se già non fusse
figliuolo d’alcun signore di titolo, come sono Duchi, Principi, Marchesi, o Conti di grande
stato; ed i figliuoli illegittimi d’altri signori, ancor che abbiano giurisdizione, e vassalli, deb-
bano mettersi a partito, e passare per il Consiglio della religione». le addizioni seconde, del
1665, precisarono che l’eccezione sarebbe valsa soltanto per i figli illegittimi dei «Principi su-
premi, o del loro sangue».
98 Ivi, p. 95. in realtà, gli statuti della religione, nell’ambito «Delle probazioni, che si deb-
bano fare innanzi, che alcuno si accetti», richiedevano addirittura «Ch’egli stesso, Padre, Ma-
dre, Avi, ed Avole dal lato Paterno, e Materno, […] non habbiano esercitato arte alcuna». Nella
prassi, invece, al fine di impedire il contrasto con le tradizioni municipali italiane e, quindi, di
conciliare gli ideali cavallereschi e le istituzioni nobiliari con la storia del comune italiano, fat-
to essenzialmente da mercanti, si adottò una interpretazione elastica della disposizione, poiché
l’applicazione letterale avrebbe comportato l’esclusione di molte famiglie nobili che proveni-
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vano dai ranghi del popolo medievale e continuavano ad esercitare la mercatura e ad essere im-
pegnate nelle arti. Ivi, tit. XVii (Delle proibizioni e pene), cap. i (Che i Cavalieri non esercitino
arti proibite, e vili, nè servano, salvo a Principi, e gran personaggi), p. 309. questo capitolo,
che si occupava dell’esercizio di «arti proibite, e vili», prescriveva che «Nessuna cosa è, né più
biasimevole a un Cavaliere, né più vergognosa, che esercitare alcuna arte proibita dalle leggi, o
vile per sé stessa. […] e se alcuno sarà d’animo così plebeo, che eserciti personalmente arti vi-
li, ovvero faccia esercizj meccanici (di quelli massimamente, che secondo gli statuti gli avereb-
bono potuto impedire la grazia dell’Abito, quando si fusse saputo, che esercitati gli avesse pri-
ma che fusse fatto Cavaliere) incorra ipso facto, in pena della privazione dell’Abito». inoltre,
sulla definizione di arti vili e meccaniche e sulla decadenza dallo status nobiliare, correlata al
loro esercizio, si veda D. MArrArA, Riseduti e nobiltà, cit., pp. 53-58.
99 Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. ii (Della qualità di coloro,
che devono essere accettati nell’Ordine), pp. 91-94. le qualità personali del pretendente ver-
tevano sulla vita e sui costumi. in particolare, per quanto concerneva l’età, il limite minimo
ordinario di diciotto anni venne subito interpretato come mero compimento del diciassettesi-
mo. le norme statutarie, inoltre, consentivano «che il gran Maestro possa per i suoi domestici
e familiari servigi eleggersi sei giovanetti, i quali più gli parranno, o per Cavalieri Militi, pur-
ché sieno nobili, o per Cavalieri serventi, ai quali non possa porsi obbietto, […] di minore età,
[…] e possa parimente […] dispensare circa l’età per ispeciale privilegio, col far dar l’Abito a
chi non havesse anni diciassette forniti». Ne derivava che, nell’ambito dei candidati ancora in
minore età, si distinguessero, da un lato, i paggi magistrali e, dall’altro, tutti coloro che non
avessero ancora diciassette anni compiuti. le addizioni prime, del 1617, precisarono che il ca-
valiere milite «ascritto al numero de’ sei Paggi» avrebbe goduto di tale privilegio fino al com-
pimento del diciassettesimo anno, momento in cui, immediatamente, gli sarebbe succeduto
uno degli aspiranti nominati in eccedenza (e per ciò stesso dispensati dall’età). le addizioni
seconde, del 1665, specificarono che «i minori di anni sette compliti non possano essere vesti-
titi dell’Abito di Cavaliere Milite», che si trattasse o meno di paggi magistrali, i quali, a nor-
ma delle addizioni terze, «son tenuti a pigliar l’Abito dentro gli anni sette, e mezzo». infine,
tali ultime addizioni, del 1746 (nell’età della reggenza), oltre a limitare il numero di preten-
denti l’abito ancora in minore età (con le stesse modalità prescritte per i paggi magistrali), in-
trodussero, per l’ingresso nell’ordine, accanto alla dispensa del gran Maestro, una condizione
imprescindibile: «detti pretendenti devino, nell’atto di essere accettati, sborsare nella Cassa
del tesoro la somma di scudi cinquecento a titolo di passaggio maggiore»; il che significava
essere ammessi al «Privilegio di godere l’anzianità, per l’aspettativa delle Commende di giu-
stizia, ed altre prerogative della religione, dal giorno del rescritto di loro accettazione». Da
tutto ciò derivava che, in forza dei meccanismi statutari, alcuni cavalieri, «prima dell’anni di-
ciassette», avessero già ottenuto l’abito, dopo «l’opportune provanze di nobiltà», e potessero
essere inclusi nel «ruolo o ceto d’anzianità» una volta fatto «il triennio di loro carovane»,
comprensivo dei sei mesi di «professione»; il tutto «complito prima di terminare gli anni venti
di loro età». in tema di commende sono fondamentali gli studi di D. BArsANti, Le commende
dell’Ordine di S. Stefano attraverso la cartografia antica, cit., in particolare, Introduzione, pp.
7-50; iDeM, Introduzione storica sulle commende dell’Ordine di S. Stefano, cit.; AA.VV., Atti
del Convegno «Le commende dell’Ordine di Santo Stefano», cit. sulla Carovana, istituto tipi-
co dell’ordine di santo stefano: AA.VV., Atti del Convegno «L’istituto della Carovana nel-
l’Ordine di Santo Stefano» (Pisa, 10 maggio 1996), Pisa, edizioni ets, 1996.
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100 in merito alle famiglie più ragguardevoli del ceto dirigente cittadino, si veda: g. A.
PeCCi, Lettera, cit., in C. rossi, Giovanni Antonio Pecci, cit., pp. 151-196.
101 il Consiglio dei Dodici, rinnovato ad ogni Capitolo generale, era l’organo interno che
fungeva da vero centro motore della vita dell’ordine, grazie alla natura permanente e alle fun-
zioni insieme amministrative e giudiziarie. Da un lato si occupava del governo economico e
dell’espletamento delle pratiche per l’ammissione di nuovi cavalieri, dall’altro si preoccupava
del rispetto delle norme statutarie e delle cause in cui assumeva la veste di tribunale supremo
della religione. in proposito, si vedano: D. BArsANti, Organi di governo, cit., cap. i, pp. 1-
27; Statuti, cit., tit. Viii (Del Consiglio, e de’Giudizi), pp. 208-235.
102 AsPi, S. Stefano, 1086, ins. 347, c. 901. informazione del Consiglio e rescritto, 4 ago-
sto 1569.
103 Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. Vi (In che modo i Cavalieri
dell’Ordine di Santo Stefano debbano essere ricevuti alla prima professione dell’Abito di es-
sa), pp. 106 ss. l’apprensione dell’abito era una cerimonia solenne che, normalmente, doveva
tenersi a Pisa, nella chiesa conventuale; ma, con l’autorizzazione del gran Maestro (acquisita
attraverso l’introduzione di una nuova supplica e l’ottenimento di un ulteriore rescritto), era
possibile spostare la celebrazione in patria. Nel corso della funzione religiosa avveniva la ve-
stizione del pretendente per mano di quattro cavalieri, dai quali riceveva, distintamente, l’abi-
to, la spada, lo sprone destro ed il sinistro. l’importanza e prestigio dei quattro personaggi,
derivante dalla celebrità personale e dalla rilevanza della carica ricoperta all’interno dell’ordi-
ne, dava la misura della stima accordata al nuovo cavaliere. Costui, infine, riceveva da tutti i
cavalieri presenti il bacio della pace, simbolico segno di definitivo accoglimento nella reli-
gione stefaniana.
104 Statuti, cit., tit. V (Del Tesoro Comune), cap. iii (Dell’entratura, o ricognizione da do-
versi fare da’ Cavalieri), pp. 167-168. il «passaggio» era una vera e propria tassa di ingresso
nell’ordine. si è già visto il passaggio, cosiddetto, «maggiore», a proposito dei pretendenti in
età minore, a cui si affiancava il passaggio «ordinario»: «Chiunque vorrà l’Abito, ed essere
ammesso nell’ordine nostro, sia tenuto a pagare, se vuole essere Cavaliere Milite, etiam i
Paggi del gran Maestro, ed etiam i Cavalieri Militi sacerdoti, o Benefiziati Nobili, per l’en-
tratura scudi cento venti d’oro, in oro larghi [pari a scudi fiorentini 128.4]; se Cavaliere ser-
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vente, scudi settanta cinque [pari a scudi fiorentini 80.2.10], se Cavaliere Cappellano, o sacer-
dote d’obbedienza, non vogliamo, che paghi cosa alcuna, e nessuno de’ Cavalieri Militi, e ser-
venti debda essere vestito dell’Abito, se prima non harà pagato quanto di sopra […]». Addirit-
tura, sorgeva un’obbligazione in solido «con il principale ricevente» per chiunque «in virtù di
commessione del Consiglio, o del gran Maestro darà l’Abito, a chi non habbia pagato quanto
sopra». il pagamento di detta tassa era indispensabile sia per cominciare a maturare l’anzianità
che, di conseguenza, per concorrere all’assegnazione delle relative commende. Cfr. D. BAr-
sANti, Organi di governo, cit., cap. i, pp. 1-2.
105 AsPi, S. Stefano, 575, cc. 32s-32d, 99s. Apprensione dell’abito, 15 agosto 1569; priva-
zione, 5 agosto 1575; restituzione, 9 giugno 1590. l’elencazione delle tre fasi di apprensione,
privazione e restituzione, deriva da un episodio risalente al 1573, allorquando ottavio fu
«condannato per rissa fatta sulla piazza di siena con Pierantonio da urbino già famiglio del
Bargello di detta città et altro dove concorse moltitudine di popolo et fu bisogno vi corressi il
Priore governatore in persona» e incorse nella pena del «confino di carcere a bene placito se-
renissimo gran Maestro»: AsPi, S. Stefano, 3141, c. 19r, condanna di ottavio ugurgieri per
rissa, 1573. Fuggito di prigione, fu privato dell’abito il 5 agosto 1575, ma «poi in grazia della
città di siena gli fu restituito dal serenissimo gran Duca Ferdinando, lì 9 giugno 1590».
106 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 177, pp. 165-166.
107 AsPi, S. Stefano, 113, ins. 21, provanze di Francesco ugurgieri.
108 AsPi, S. Stefano, 1133, ins. 665, cc. n. n., informazione del Consiglio, s. d., e rescritto,
30 marzo 1638.
109 AsPi, S. Stefano, 113, ins. 21, cc. n. n., fede dei godimenti dei pubblici onori rilasciata
185
110 AsPi, S. Stefano, 582, c. 36v, apprensione dell’abito di cavaliere milite, 31 marzo
1638.
111 AsPi, S. Stefano, 3678, c. 66t, esequie del cavaliere Francesco ugurgieri.
112 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 190, pp. 177-178.
113 AsPi, S. Stefano, 116, ins. 12, provanze di girolamo ugurgieri.
114 Ivi, cc. n. n., fede dei godimenti dei pubblici onori rilasciata da Alessandro rocchegia-
186
115 Ivi, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Dodici, 4 maggio 1639.
116 Ivi, cc. n. n., rescritto, 19 maggio 1639.
117 AsPi, S. Stefano, 582, c. 39v, apprensione dell’abito di cavaliere milite per giustizia,
28 giugno 1639.
118 AsPi, S. Stefano, 3678, c. 133r, esequie del cavaliere girolamo ugurgieri.
119 AsPi, S. Stefano, 535, ins. 4, cc. n. n., fede di battesimo di tullio ugurgieri, rilasciata
187
122 Ivi, cc. n. n., dispaccio del cancelliere Francesco Andreucci ai cavalieri commissari, 22
settembre 1652.
123 Ivi, cc. n. n., fede giurata di due gentiluomini senesi di età grave, addotta per giustifica-
zione della famiglia simoni, redatta dal notaio Vincentio Bartalucci, coadiutore della cancelle-
ria stefaniana senese, 21 settembre 1652.
124 Ivi, cc. n. n., fede dei godimenti dei pubblici onori, rilasciata da Francesco Corazzi,
188
126 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 254, pp. 240-241.
127 AsPi, S. Stefano, 153, ins. 28, cc. n. n., fede di battesimo di lelio ugurgieri, rilasciata
da Niccolò Parigini, bilanciere della Biccherna, 8 gennaio 1668 (1669).
128 Ferdinando ii de’ Medici fu gran Maestro dal 25 marzo 1621 al 23 maggio 1670.
129 AsPi, S. Stefano, 1156, ins. 93, cc. n. n., supplica di lelio ugurgieri, s. d., e rescritto,
14 dicembre 1668.
130 AsPi, S. Stefano, 153, ins. 28, provanze di lelio ugurgieri.
131 AsPi, S. Stefano, 1156, ins. 169, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Dodici, 21
maggio 1669, e rescritto, 15 agosto 1669. la seconda parte del rescritto escludeva l’operati-
vità della prescrizione statutaria, introdotta nel 1617, secondo la quale «il Cavaliere Milite,
che sarà una volta ascritto al numero de’ sei Paggi del serenissimo gran Maestro, goda quel
grado sino a tutto l’Anno diciasettesimo dell’età sua, e non faccia luogo al suo successore fin-
ché non gli abbia compliti»; con l’immediata concessione della grazia di vestire l’abito, si li-
berava istantaneamente un posto di paggio. Cfr. Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Ca-
valieri), cap. ii (Della qualità di coloro, che devono essere accettati nell’Ordine), addizioni
prime, n. 1, p. 92.
132 AsPi, S. Stefano, 3679, c. 76r, esequie del cavaliere lelio ugurgieri.
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133 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 472, pp. 462-463.
134 AsPi, S. Stefano, 378, ins. 25, provanze di Fabio ugurgieri.
135 Ivi, cc. n. n., fede di matrimonio di lorenzo ugurgieri e Petra Piccolomini, genitori del
pretendente, rilasciata da girolamo suardi, parroco della chiesa di san Martino di siena, 3
giugno 1773.
136 Ivi, cc. n. n., fede di battesimo di Fabio ugurgieri, rilasciata da lattanzio Balestri, can-
mini, fratello della madre del pretendente, rilasciata dal cancelliere Antonio Minetti, 7 agosto
1773. il Piccolomini nacque alle otto di quello stesso giorno – 1° febbraio 1719 (1720) –, co-
me appariva nei libri della curia episcopale pientina.
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140 Ivi, cc. n. n., fede di apprensione dell’abito di cavaliere milite per giustizia del fratello
di Petra Piccolomini, madre del pretendente: «A dì 7 giugno 1773. Fede per me infrascritto
Primo Ministro della cancelleria del sacro Militare ordine di santo stefano Papa, e, Martire,
come al giornale d’apprension d’abito [...] esiste la seguente partita, cioè. A dì 6 settembre
1731. il signor Piccolomo giovacchino del signor giovanni Battista Piccolomini di siena fu
vestito dell’abito di Cavaliere milite per giustizia in patria nella chiesa di san Michele Arcan-
gelo abbadia de’ Padri Carmelitani scalzi per mano del molt’illustre signor Cavaliere Balì
Carlo Piccolomini di siena. in quorum. giacinto Viviani del Vescovo, Primo Ministro di Can-
celleria». Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 419, pp. 416-417.
141 Ivi, cc. n. n., provanze di Fabio ugurgieri dinanzi all’assemblea dei cavalieri senesi, ca-
naio 1774.
143 Ivi, cc. n. n., fede di iscrizione nei Libri d’Oro per la famiglia Venturi, 18 gennaio 1774.
144 AsPi, S. Stefano, 1239, ins. 198, cc. n. n., supplica di Fabio ugurgieri, s. d., e rescritto,
1° marzo 1774.
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145 AsPi, S. Stefano, 578, c. 149t, apprensione dell’abito di cavaliere milite per giustizia,
10 marzo 1774.
146 AsPi, S. Stefano, 3680, c. 14t, esequie del cavaliere Fabio ugurgieri.
147 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 486, p. 473. Presumibilmente, Mu-
zio ugurgieri fu beneficiato della commenda di grazia in ragione della nomina a «provvedito-
re delle strade della città e stato di Siena», ottenuta nel 1770. Anche se non deve essere tra-
scurato che «il 25 di agosto del 1750, nell’università di siena, Muzio sostenne diverse tesi di
scienze naturali nel palazzo di s. Vigilio, allora convento dei gesuiti, ed ottenne la laurea dot-
torale». Cfr. l. grottANelli, Genealogia e storia degli Ugurgieri, cit., p. 237.
148 AsPi, S. Stefano, 396, ins. 16, cc. n. n., provanze di Muzio ugurgieri dinanzi al balì
192
delle unità e della tassa prediale, tratti dai pubblici registri dell’erario.
Il 9 aprile dello stesso anno, Muzio di Azzolino Ugurgieri vestì
l’abito di cavaliere milite come collatario di commenda, nella chiesa
delle monache di Santa Margherita di Castelvecchio di Siena, per
mano del cavaliere priore e balì Emilio Piccolomini149.
Il cavaliere Muzio morì un anno e mezzo più tardi, il 21 novem-
bre 1782, e ne furono celebrate le esequie il successivo 3 dicem-
bre150.
***
L’ultimo esponente della nobile famiglia Ugurgieri a vestire l’abi-
to scudocrociato fu Salustio151, battezzato il 25 marzo 1775152, nato
dal matrimonio del cavaliere Muzio con Maria Geltrude del rettore
Niccolò Bichi Borghesi.
Il dossier documentale conteneva una copiosa mole di allegati,
numerati fino al numero trenta, indispensabili a rendere esaustivo il
quadro delineante le complicate provanze dell’istante, per le quali,
come nei casi precedenti, si pone cura nel ricordarne solo alcune
sfumature significative.
Come si evince dalle carte, infatti, l’ammissione dei quattro quarti
venne giustificata attraverso l’ausilio di altrettante ammissioni per
giustizia di pretendenti in qualche modo imparentati con il suppli-
cante in questione ed integrata dalle consuete fedi dei godimenti,
dei matrimoni, dei battesimi e di ammissione al patriziato.
Il giorno di San Valentino del 1795, furono rimesse al Consiglio
della Religione le prove del pretendente e – si noti – quelle «del-
l’ammissione nel sacro insigne Ordine di Santo Stefano di due dei
quarti di questo signore Salustio», vale a dire Sozzifanti e Wyer153.
149 AsPi, S. Stefano, 578, c. 165t, apprensione dell’abito di cavaliere milite per commen-
de di battesimo di salustio giuseppe Pietro Maria ugurgieri, tratta dal registro dei battezzati
nella Pieve di san giovanni Battista, rilasciata dal cancelliere comunitativo Pietro Nenci, 26
novembre 1794; «fu compare il signor giuseppe del già Vincenzo Pazzini Carli».
153 Ivi, cc. n. n., dispaccio del balì Carlo Piccolomini Clementini ai Dodici cavalieri del
Consiglio, 14 febbraio 1795: «rimetto alle signorie loro illustrissime le prove [...] dell’am-
missione nel sacro insigne ordine di santo stefano di due dei quarti di detto signore salustio
[...] a tenore della pregiatissima lettera delle signorie loro illustrissime del dì 1° ottobre dello
scorso anno 1794».
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154 la famiglia Wyer era originaria dell’irlanda. i sozzifanti rappresentavano una delle più
antiche casate di Pistoia e potevano vantare una miriade di cavalieri stefaniani, a principiare
da lorenzo di girolamo, priore di Arezzo, che prese l’abito di cavaliere milite il giorno 8 lu-
glio 1593, in Firenze, per mano di Camillo dal Monte, commendatore maggiore. Cfr. B. CAsi-
Ni, I cavalieri di Pistoia, Prato e Pescia membri del Sacro Militare Ordine di S. Stefano Papa
e Martire, Pisa, edizioni ets, 1997, n. 48, pp. 59-60.
155 si ricordi che a Pistoia, fino al 1749, vigeva lo stile della Natività: il 25 dicembre, festa
di Natale, rappresentava il primo giorno dell’anno, anticipando di 7 giorni sullo stile moderno,
che entrò in vigore dal 1° gennaio 1750. Ne derivava che tutti i documenti segnassero, in
quella settimana, una unità in più nella cifra dell’anno.
156 giovanni Filippo, abavo del pretendente, nato il 26 maggio 1630, vestì l’abito di cava-
liere milite come successore in commenda di suo padronato il 3 maggio 1659, per mano del
balì Camillo rospigliosi. Aurelio, proavo del medesimo supplicante, il 6 aprile 1683, prese
l’abito di cavaliere milite, come successore nella commenda di padronato rinunziatagli da suo
padre, dalle mani del balì lanfredino Cellesi. Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri di Pistoia, Prato e Pe-
scia, cit., n. 212, pp. 180-181, e n. 261, p. 219.
157 le norme statutarie disponevano, quanto al «modo di ricevere i cavalieri», che «i suc-
cessori in commende di lor padronato, rispetto ai quarti materni solamente, siano tenuti [...] a
provare i godimenti dei primi onori delle patrie loro [...]» ed inoltre, in materia di succesione
nelle commende di padronato familiare, come «Non possano i figliuoli, e discendenti di quel-
li, che avranno fondato, o acquistato Commenda con qualsivoglia sorte di riservazione di pa-
dronato, essere vestiti dell’abito, o investiti della Commenda, se non saranno nati per madre,
che sia nobile, secondo che per gli statuti dell’ordine si ricerca, volendo noi, che tali habbia-
no occasione di conservare sempre la nobiltà, che al grado de’ nostri Cavalieri s’aspetta». Cfr.
Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. iii (Delle probazioni, che si debba-
no fare innanzi, che alcuno si accetti), addizioni terze, n. 1, p. 102, e tit. Xiii (Delle Commen-
de, ed Amministrazioni di esse), cap. Xiii (Che i discendenti di fondatori di commende devino
essere nati di madre nobile), addizioni terze, n. 8, pp. 296-297.
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158 AsPi, S. Stefano, 426, ins. 3, cc. n. n., allegato n. 14, fede di apprensione dell’abito da
parte di Francesco Maria sozzifanti il 10 gennaio 1688 (1689), estratta dall’archivista della
cancelleria della religione, tommaso del Buono, 26 [gennaio] 1795: «A dì 10 gennaio 1688
ab incarnatione. [...] fu vestito dell’abito di cavaliere milite per giustizia il dì suddetto in pa-
tria nella chiesa di santa Maria degli Angeli per le mani del signore balì lanfredino Cellesi
[...] et era di anni 19 finiti».
159 Ivi, cc. n. n., allegato n. 13, fede di battesimo di Francesco Maria sozzifanti, rilascia-
Fabbroni, rilasciata dall’archivista della curia ecclesiastica di Pistoia, Francesco Maria ricci,
23 dicembre 1794; in particolare si legge: «dell’impedimento del terzo grado di consanguinità
havendone hauto dispensa da sua santità siccome dal reverendissimo monsignore vicario ge-
nerale riconosciuta, e fattone ordine di poter celebrare tale matrimonio»; il sacramento fu offi-
ciato il 3 febbraio 1660.
161 il 9 marzo 1641 (1642), Baldassarre sozzifanti del priore Francesco Maria, figlio del
priore lorenzo di girolamo, prese l’abito di cavaliere milite, come successore nel priorato di
Arezzo, per mano del balì Paolo Cellesi. un’annotazione recitava: «fece le provanze dopo
aver vestito l’abito e fu dichiarato per giustizia». Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri di Pistoia, Prato e
Pescia, cit., n. 164, pp. 143-144.
162 Francesco Maria del cavaliere Mario, figlio del cavaliere giovanni Battista di Vincen-
zio di Mario, vestì l’abito di cavaliere milite per giustizia, per mano del cavaliere Bartolomeo
gherardi, il 13 luglio 1670. Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri di Pistoia, Prato e Pescia, cit., n. 235,
pp. 197-198.
163 il 10 gennaio 1688 (1689), Francesco Maria del cavaliere giovanni Filippo, figlio del
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cavaliere Aurelio di ottaviano, indossò l’abito di cavaliere milite per giustizia per mano del
balì lanfredino Cellesi. Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri di Pistoia, Prato e Pescia, cit., n. 272, pp.
225-226.
164 AsPi, S. Stefano, 426, ins. 3, cc. n. n., provanze di salustio ugurgieri, allegato n. 17:
copia del decreto di ammissione della famiglia sozzifanti al patriziato di Pistoia, estratta «dal
giornaletto degli ordini, e decreti dei signori Deputati sopra la Deputazione della nobiltà» per
mano del segretario della medesima commissione, luigi gaulardi, il 4 dicembre 1794.
165 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 455, p. 450-451.
166 AsPi, S. Stefano, 426, ins. 3, cc. n. n., provanze di salustio ugurgieri, allegato n. 24,
196
168 AsPi, S. Stefano, 579, ins. 28, c. 10r, apprensione dell’abito di cavaliere milite per giu-
Muzio Maria Malavolti Cav. Sen. Aurelio Cav. F. Maria M. Francesca Mancini Gio. Battista Aurelia Bargagli Gen. Gio. Daniel
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(m. 19/10/1772)
Salustio
(b. 25/3/1775)
(Abbreviazioni: n. = nascita; b. = battesimo; m. = matrimonio; t. = estrazione dalle borse di Gonfaloniere; R. = riseduto nel Concistoro; P. = Priore; C. P. = Capitano del Popolo)
197
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198
199
«quella senese [che] – sia per essere propria di una città capitale [dello Stato
“nuovo”] sia per essere politicamente più consistente e giuridicamente più au-
tonoma rispetto a quella dell’altra “metropoli” – assumeva una posizione di
primissimo rilievo ed un valore paradigmatico, anche fuori dei confini del
Granducato: era, in una parola, quella che maggiormente si avvicinava al mo-
dello delle più antiche e prestigiose nobiltà cittadine italiane»170.
Difatti, la storia dello Stato Nuovo di Siena, «si è avvalsa più volte
[…] degli studi promossi dall’Istituzione», «specialmente in un set-
tore poco illuminato da contributi di ricerca moderni per imposta-
zione e datazione, come quello delle famiglie “di reggimento”, che
dopo aver assunto responsabilità di governo al tempo della Repub-
blica, avevano continuato a far parte della locale classe dirigente an-
che in epoca granducale». I numeri del periodico in oggetto «hanno
infatti proposto resoconti e ricerche genealogiche relativi a famiglie
appartenenti all’aristocrazia [...], saggi sulla legislazione granducale
in materia sociale, biografie di nobili cittadini noti e meno noti, de-
stinati nel loro complesso a costituire un corpus di studi capace di
spandere nuova luce su uno spaccato assolutamente non marginale»
degli assetti socio-economici e politico-istituzionali ed a fornire un
contributo sicuramente utile all’approfondimento di almeno tre se-
coli di storia» degli apparati di gestione del potere e dei ceti dirigen-
ti che ne detennero il monopolio almeno fino alle soglie dell’U-
nità171.
200
si dell’anno 2002, i quali si inseriscono nel solco di ricerche e di riflessioni storiografiche che
sono venute maturando, nel corso di lunghi anni, nel Dipartimento di scienze della Politica
dell’università di Pisa: ricerche e riflessioni di cui sono stati partecipi, non meno dei docenti,
gli allievi del dottorato di ricerca in storia moderna e contemporanea, prima, e di quello in
storia e sociologia della Modernità, successivamente. Nella premessa – identica per i tre vo-
lumi in parola – Danilo Marrara, professore ordinario di storia delle istituzioni Politiche e de-
cano nazionale della medesima disciplina accademica, sostenne come i saggi pubblicati offris-
sero «un significativo contributo alla conoscenza della genesi e dei caratteri della nobiltà civi-
ca, ossia della peculiare configurazione che i ceti dirigenti municipali assunsero assai spesso
nei secoli dell’età moderna: di una nobiltà, come ormai è ben noto, che traeva la propria
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ragion d’essere non da diplomi sovrani né da titoli di stampo feudale, ma dal diritto ereditario
di accesso alle magistrature cittadine», contribuendo «altresì a lumeggiare le vicende che le au-
tonomie locali e i relativi ceti dirigenti vissero in età contemporanea». Cfr. AA.VV., Ceti diri-
genti municipali in Italia e in Europa in età moderna e contemporanea, studi del Dipartimento
di scienze della Politica dell’università di Pisa – 13, Pisa, edizioni ets, 2003; AA.VV., Ceti
dirigenti e poteri locali nell’Italia meridionale (secoli XVI-XX), studi del Dipartimento di
scienze della Politica dell’università di Pisa – 14, Pisa, edizioni ets, 2003; AA.VV., Èlites
municipales et sentiment national dans l’aire de la Méditeranée nord-occidentale, studi del Di-
partimento di scienze della Politica dell’università di Pisa – 15, Pisa, edizioni ets, 2003.
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202
203
XVI-XVII-XVIII), roma, edizioni ricerche, 1967, cap. i (Essenza e valore della storia delle
istituzioni politiche), pp. 3-29.
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TAVOLA IV
Schema disciplinare-metodologico
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177 le citazioni sono tratte dal recente volume collettaneo AA.VV., Atti del Convegno
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internazionale «Istituzioni potere e società. Le relazioni tra Spagna e Toscana per una storia
mediterranea dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano», a cura di M. Aglietti, cit., pp. 8-9.
178 Ibidem.
179 AsPi, S. Stefano, 6-497, Provanze di nobiltà (1562-1859).
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207
stri delle Patrie180, ove i cavalieri sono enumerati in ragione del luo-
go d’origine.
D’altro canto, giacché gli strumenti indispensabili per affrontare
lo studio del campione in parola sono correlati principalmente al-
l’ammissione dei pretendenti l’abito stefaniano, seguendo la pro-
gressione delle tappe formali ineludibili a tal fine, si può agevolmen-
te procedere all’elencazione delle sezioni documentarie interessate.
I registri di Suppliche e Informazioni181 conservano l’incipit della
procedura, ma si devono consultare le mere Informazioni182 per ac-
cedere ad un complesso carteggio concernente le nomine dei com-
missari (scelti fra i cavalieri anziani delle patrie d’origine dei quarti
da cui discendeva il postulante), le istruzioni per l’esame degli in-
cartamenti probanti la nobiltà generosa delle quattro linee ascen-
denti, lo scambio di notificazioni e ragguagli tra gli attori ufficiali
della vicenda, le relazioni al governo centrale. Qualora se ne ritenes-
se opportuna la consultazione, per particolari riscontri richiesti dal-
la migliore decifrabilità delle notizie indicate dianzi, o dalla carenza,
imprecisione e difficile intelligibilità delle medesime, rivestono un
ruolo fondamentale per colmare dette lacune i Copialettere183 e i
Partiti e Deliberazioni del Consiglio184. Non sempre i processi d’im-
missione nei ranghi stefaniani andavano a buon fine, ma finanche di
tali procedimenti sono rimaste le tracce documentali, tra le filze di
Processi di nobiltà reprobate185 e Processi di nobiltà non approvate186.
Per converso, le coordinate essenziali riferite alla vestizione, con
l’indicazione, quanto meno, oltre al nome del novello cavaliere, di
luogo e data della cerimonia pubblica, sono facilmente rintracciabili
nei Giornali d’apprensioni d’abito187. La fondazione di commende,
al fine di conseguire il manto rossocrociato con la procedura subor-
dinata per importanza e pregio all’ammissione per giustizia, consi-
steva nella stesura di un vero e proprio contratto, da cui deriva il
208
209
190 Di fatto, gli esponenti delle stirpi di reggimento conservarono in ogni modo lo splendo-
re degli antenati, con gesta gloriose o con il sangue versato in battaglia, ma anche, e soprattut-
to, attraverso una presenza ragguardevole nelle cariche ecclesiastiche, nelle professioni legali,
negli affari politici e bellici, mantenendo sempre alto il nome della casata, potendo vantare in-
numerevoli personaggi illustri tra gli alti ranghi dei corpi militari e degli ordini cavallereschi,
come nelle rappresentanze diplomatiche. si tratta certamente della caratteristica comune alle
famiglie d’antico lignaggio, della più rilevante, sia nel periodo di vigenza delle legislazioni
antimagnatizie, sia in seguito, fino all’unità ed oltre: si trattava delle prerogative che li aveva-
no resi insostituibili ai vertici degli apparati pubblici, fin dalle origini del Comune cittadino.
191 AsPi, S. Stefano, 647, ins. 17, partito n. 40. Detta deliberazione capitolare venne tra-
sfusa negli statuti della religione con le addizioni del 1746: Statuti, cit., tit. ii, cap. iii, addi-
zioni terze, n. 1, p. 102.
192 Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. iii (Delle probazioni, che si
210
che gli antenati «veramente sieno stati atti a potere avere, e godere
[…] quelle maggiori dignità» – come si è ampiamente riferito, in
merito all’esercizio delle prerogative politiche, per Firenze e Siena
–. Tuttavia, la mancanza del godimento, innanzitutto, doveva essere
imputabile a fatti non ostativi, vale a dire che non producessero la
decadenza dallo status nobiliare, e, in secondo luogo, se si protraeva
per più generazioni, poteva addirittura divenire una vera e propria
presunzione di decadenza da detta condizione. Si deve aggiungere
che se da un lato, in molte località (così come per i magnates nella
Toscana comunale), il più antico modo di acquisizione della nobiltà
veniva identificato con l’investitura feudale (vanto di alcune fami-
glie del Granducato, ma soprattutto del Regno di Napoli, del Regno
di Sicilia e del Piemonte), dall’altro si assisteva a processi a dir poco
singolari, primi fra tutti quelli degli aspiranti spagnoli (campione di
grande rilevanza) che, in patria, erano considerati nobili grazie alla
mera esenzione fiscale193. Si deve però rammentare come, in tutto
ciò che riguardasse l’Ordine di Santo Stefano, l’ultima parola spet-
tasse sempre al Gran Maestro, al quale veniva riservata la facoltà di
derogare agli Statuti: era libero di accettare un aspirante il cui pro-
cesso avesse avuto esito negativo, così come, viceversa, di respinger-
lo nonostante tutte le carte fossero in regola.
Il carattere «nazionale» dell’Ordine di Santo Stefano veniva dun-
que superato in ragione dell’ammissione di pretendenti non toscani,
come risulta efficacemente dalla solida mole di informazioni raccol-
te, per esempio, seppur schematicamente, da Bruno Casini194, per
mezzo delle quali è possibile accedere ad un primo censimento delle
schiatte che poterono fregiarsi nelle loro insegne nobiliari della cro-
ce rossa in campo bianco e, soprattutto, all’indicazione delle coordi-
193 Per quest’ultimo aspetto, si rimanda a M. Aglietti, Le tre nobiltà, cit., pp. 115-121.
194 in particolare, si vedano i due volumi dedicati agli aspiranti cavalieri provenienti da al-
tri stati italiani: B. CAsiNi, I cavalieri degli Stati italiani membri del Sacro Militare Ordine di
S. Stefano Papa e Martire. Volume I, Pisa, edizioni ets, 1998; iDeM, I cavalieri degli Stati
italiani membri del Sacro Militare Ordine di S. Stefano Papa e Martire. Volume II, Pisa, edi-
zioni ets, 2001. Ma anche: iDeM, I cavalieri portoghesi membri del Sacro Militare Ordine di
S. Stefano Papa e Martire, in AA.VV., Toscana e Portogallo, Pisa, edizioni ets, 1994, pp.
133-190; iDeM, I cavalieri spagnoli membri del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano nel se-
colo XVI, in AA.VV., Toscana e Spagna nel secolo XVI, Pisa, edizioni ets, 1996, pp. 123-
187; iDeM, I cavalieri spagnoli membri del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano nei secoli
XVII-XIX, in AA.VV., Toscana e Spagna nell’età moderna e contemporanea, Pisa, edizioni
ets, 1998, pp. 147-190.
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211
195 A. ruiu, La famiglia Giusti nell’Ordine di S. Stefano, in AA.VV., Atti del Convegno
«Colle Val d’Elsa e l’Ordine di Santo Stefano. Istituzioni, economia, società», a cura di D. MAr-
rArA, cit., pp. 131-164; iDeM, I cavalieri di Pescia membri dell’Ordine di S. Stefano, in «qua-
derni stefaniani», XXiX (2010), supplemento, pp. 103-132; (paragrafi: La città nobile di Pe-
scia: relazioni funzionali fra stratificazione sociale e ammissibilità all’Ordine di S. Stefano; Mo-
bilità sociale e cavalierato stefaniano; La distribuzione dei cavalieri di Pescia: conclusioni).
196 A. ruiu, L’État de Sienne de la République communale à la Monarchie absolue «po-
di D. BArsANti, Pisa, edizioni ets, 2009, pp. 305-328; iDeM, Tuscan civic nobility and re-
search perspectives. Family historiography and archive sources: methodology and resources
for the comparative history of political and parliamentary institutions, in AA.VV., Conference
Minutes - 59th international Commission for the history of representative and Parliamentary
institutions, a cura dell’iChrPi in collaborazione con il Dipartimento di storia dell’università
di sassari, pp. 45-57, in corso di stampa (ottobre 2010).
198 A. ruiu, I Colloredo nelle carte dell’Ordine di Santo Stefano, in I Colloredo e l’Ordine
di Santo Stefano, Pisa, edizioni ets, 2009, pp. 17-36; iDeM, La famiglia Sproni fra Comunità
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212
nobiltà, appendice, n. 14, p. 314. tutte le notizie necessarie per lo svolgimento del sottopara-
grafo sono state tratte dalle carte conservate presso l’Archivio di stato di Firenze, nell’inserto
cucito nella filza indicata, del tutto mancante di una numerazione per carte o pagine.
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XIII copia autentica del «diploma di Conte del Sacro Palazzo, e ca-
valiere dello Speron d’Oro conceduto l’anno 1546 ad Alberto,
e Pier Francesco Giusti, e loro descendenti»;
XIV copia autentica «d’altro diploma del Serenissimo Cosimo I del-
l’anno 1555 d’essere gli autori del comparente ammessi a tutti
gli onori, ed ufizi della città di Firenze per essere stati prescelti
à tale onore dal pubblico, e Generale Consiglio di Colle»;
XV copia autentica «d’altro diploma fatto l’anno 1588 agli autori
del comparente dal Senato Romano dell’ammissione della loro
famiglia, e descendenza alla cittadinanza, e patriziato romano».
Il decreto del 25 luglio 1757 rese esecutivo il parere favorevole
espresso dal Commissario della città di Volterra in merito all’inseri-
mento nei libri d’oro della Famiglia Giusti.
I Giusti furono il casato colligiano che poté vantare il maggior nu-
mero di cavalieri di S. Stefano, ben nove, dei quali si fornirà un pro-
filo schematico, al fine di ripercorrere le vicende della famiglia nel-
l’ambito della Religione stefaniana, con particolare attenzione alla
fondazione della commenda ed alle dinamiche ad essa concernenti.
200 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 610, pp. 522-523. AsPi, S. Stefa-
no, 25, ins. 24, provanze di giovan Battista d’Alberto giusti. Dal fascicolo delle provanze, le
cui carte sono prive di numerazione, sono tratte tutte le notizie concernenti il cavaliere in pa-
rola; le informazioni rinvenute per mezzo di altre fonti documentali saranno specificamente
annotate con la relativa segnatura archivistica; il medesimo criterio è stato adottato per la ste-
sura di tutti i capitoli concernenti le presenze nella religione stefaniana.
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201 AsPi, S. Stefano, 1088, ins. 286, c. 839, supplica di Alberto giusti, s. d., e 1° rescritto,
30 giugno 1571.
202 Ibidem.
203 AsPi, S. Stefano, 25, ins. 24, cc. n. n., verbale dell’assemblea fiorentina, con il giudizio
217
205 Ivi, cc. n. n., missiva del balì al Consiglio dei Dodici, 1° settembre 1571.
206 AsPi, S. Stefano, 1088, ins. 286, c. 839, supplica di Alberto giusti, s. d., e 2° rescritto,
s. d.
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218
207 AsPi, S. Stefano, 25, ins. 24, cc. n. n., fede dei godimenti dei pubblici onori della città
di Firenze, s. d.
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208 Ivi, cc. n. n., fede dei godimenti dei pubblici onori della terra di Colle, 21 agosto 1571.
209 AsPi, S. Stefano, 1088, ins. 286, c. 838, informazione del Consiglio, 20 settembre
1571, e rescritto, s. d.
210 AsPi, S. Stefano, 575, n. 378, c. 39s, apprensione dell’abito di cavaliere milite per giu-
settembre 1571.
212 AsPi, S. Stefano, 3542, ins. 46, stato della commenda di padronato, 20 settembre 1571.
213 AsPi, S. Stefano, 3678, c. 43r, esequie del cavaliere giovanni Battista giusti, 8 agosto
1631.
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214 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 616, pp. 527-528. AsPi, S. Stefa-
Maestro, s. d.
216 Ibidem, rescritto, 5 aprile 1617.
217 AsPi, S. Stefano, 87, ins. 37, provanze di nobiltà di Alberto di giovanni Battista giusti.
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218 Ivi, cc. n. n., incipit del processo per provanze, 10 giugno 1617.
219 Ivi, cc. n. n., prove testimoniali, 20 giugno, 3 e 4 luglio.
220 Ivi, cc. n. n., dispaccio del cancelliere Filippo Valentini al Consiglio dei Dodici, 8 lu-
glio 1617.
221 Ivi, cc. n. n., fede dei godimenti dei pubblici onori per le famiglie Acciaiuoli e rinucci-
222
223 AsPi, S. Stefano, 3502, c. 147v, strumento della renunzia fatta dal cavaliere giovanni
223
228 AsPi, S. Stefano, 1128, ins. 345, cc. n. n., supplica di giovanni di giovan Battista giu-
sti al granduca, s. d.
229 Ivi, cc. n. n., rescritto, 17 agosto 1631.
230 AsPi, S. Stefano, 106, ins. 20, cc. n. n., incipit del processo per provanze di giovanni
224
V. Alberto di Giovanni
Il quarto postulante fu Alberto240, nato il 18 aprile 1633 da Gio-
vanni e da Maddalena, figlia di Giorgio Gucci e di Isabella di Gio-
van Battista Miniati, entrambe famiglie nobili antiche di Firenze241.
Questi e il suo zio paterno, Agostino, esposero al Granduca come
la commenda di padronato, vacata per la morte del cavaliere Gio-
234 Ivi, cc. n. n., escussione dei testimoni, 25 e 26 settembre 1631, e autenticazione delle
bre 1631.
236 AsPi, S. Stefano, 1128, ins. 345, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Xii al gran-
1659.
240 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 622, pp. 532-533. AsPi, S. Stefa-
no, 144, ins. 54, provanze d’Alberto di giovanni di giovan Battista giusti.
241 AsPi, S. Stefano, 144, ins. 54, cc. n. n., fede di battesimo d’Alberto di giovanni di
giovanni Battista giusti, nato il 18 aprile 1633, rilasciata dal cancelliere dell’arte dei merca-
tanti, Marco Ducci, 26 novembre 1659.
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225
242 AsPi, S. Stefano, 1150, ins. 138, cc. n. n., supplica d’Alberto di giovanni di giovanni
religione, alla presenza dei testimoni «Pietro … pisano» e «Domenico lazzesi servente d’offi-
tio della detta religione», portava la data del 9 gennaio 1659 (1660).
244 Ivi, cc. n. n., incipit del processo per provanze d’Alberto di giovanni giusti, 6 aprile 1660.
245 Ivi, cc. n. n., fede dei godimenti dei pubblici onori per le famiglie fiorentine gucci e
1660.
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226
248 AsPi, S. Stefano, 1150, ins. 138, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Xii al gran
no, 207, ins. 5, provanze di giovanni d’Alberto di giovanni di giovan Battista giusti.
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253AsPi, S. Stefano, 207, ins. 5, cc. n. n., supplica di giovanni d’Alberto giusti, s. d.
254AsPi, S. Stefano, 1176, ins. 212, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Xii al gran
Maestro, 11 marzo 1697 (1698).
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255 Ibidem.
256 Ibidem.
257 Ibidem, rescritto, 26 marzo 1698.
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258 AsPi, S. Stefano, 207, ins. 5, cc. n. n., incipit del processo per provanze, Firenze, 9 set-
tembre 1698.
259 Ivi, cc. n. n., escussione dei testimoni, 11 e 12 settembre 1698.
260 Ivi, cc. n. n., autenticazione delle prove testimoniali, 12 settembre 1698.
261 Ivi, cc. n. n., incipit del processo per provanze, siena, 29 ottobre 1698.
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ottobre 1698.
265 Ivi, cc. n. n., incipit del processo per provanze, Colle, 27 novembre 1698.
266 Ivi, cc. n. n., escussione dei testimoni, 27 novembre 1698.
267 Ivi, cc. n. n., dispaccio del cavaliere assistente, che accompagna il plico processuale, 30
novembre 1698.
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268 Ivi, cc. n. n., deliberazione del Consiglio dei Xii per l’elezione dei commissari, 16 di-
cembre 1698.
269 AsPi, S. Stefano, 1176, ins. 212, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Xii al gran
232
mento fino al cavaliere Alberto nel 1675 che fu padre del pretenden-
te, il di cuj proavo Giovanni Battista fin l’anno 1571 fu insignito di
quest’abito come primo investito della commenda di suo padronato.
Si raccoglie anco la nobiltà di questa famiglia dai parentadi cospicuj
fatti in Firenze, e Siena, dall’aver avuto un paggio d’onore del Sere-
nissimo Gran Duca Ferdinando II di gloriosa memoria zio magno
del supplicante, e da Monsignor Alessandro Giusti zio massimo del
medesimo, che fu Auditore della Rota Romana in particolare stima à
i sommi Pontifici, et à Serenissimi Papi di quel tempo, et finalmente,
che questa famiglia si puol’ considerare anco nobil Volterrana. Quel-
li della famiglia Gucci di Firenze, 4to dell’ava paterna risederono nel
Supremo Magistrato degli eccelsi Priori di Libertà nella Repubblica
fiorentina n° dodici volte, e sempre per la maggiore, et una volta ot-
tennero il sommo grado, e dignità di Gonfaloniere di Giustizia per
due mesi per volta ... [secondo] il solito; il qual Gonfaloniere fu
Guccio nel 1368 novembre e dicembre tritavo dell’ava materna del
supplicante. La qual famiglia gode ancora la prerogativa di portare
nello stemmate gentilizio il titolo della libertà, e questa famiglia è
passata altra volta per giustizia nel 1660 in persona del cavaliere Al-
berto padre del supplicante. Della famiglia Ugurgieri di Siena dalla
quale trae origine la madre del medesimo supplicante, tralasciando
come sin dall’anno 872 si trova fatta menzione di questa famiglia in
più atti più atti pubblici principiando in persona di un tal Uvinigi
Conte di Conte Reghinari, e poi successivamente d’altri e nel 1183
Ugo di Ruggiero fu uno dei tre annui Consoli, che allora si facevano
nella città, dell’anno 1481 fu Governatore della medesima Agnolo
d’Azzolino Ugurgieri atavo della madre del supplicante, e doppo
successivamente senza alcuno interrompimento fino ad Angelo di
Fabio fratello cugino di Alessandro 7mo, che godé nel 1637, che fu
padre di Eufrasia madre del medesimo supplicante. Della famiglia
Guidotti di Colle dalla quale trae origine il pretendente per il 4to del-
l’ava materna, appare, che gli uomini di essa da più di tre secoli in
qua hanno goduto i primi gradi, et onorj della lor patria, principian-
do da messer Bartolomeo d’Agostino, che fu de’ Priorj nel 1375, e
poi successivamente altri senza interrompimento di tempo fino in
Luc’Antonio, che risedé de i Priorj l’anno 1621 padre dell’ava mater-
na del supplicante ricavandosi ancora da più fedi estratte da i libri
publici di detta città di Colle, che il sopranominato Agostino fosse fi-
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270 Ibidem.
271 Ibidem.
272 Ibidem, rescritto, 3 giugno 1699.
273 AsPi, S. Stefano, 1176, ins. 223, cc. n. n., supplica di giovanni d’Alberto giusti, s. d.
274 Ibidem, rescritto, 7 ottobre 1699.
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275 AsPi, S. Stefano, 207, ins. 5, cc. n. n., copertina dell’inserto concernente le provanze di
cembre 1709.
278 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 626, pp. 537-537. AsPi, S. Stefa-
no, 208, ins. 36, provanze di Alessandro d’Alberto di giovanni di giovan Battista giusti.
279 AsPi, S. Stefano, 208, ins. 36, cc. n. n., fede di battesimo di Alessandro d’Alberto giu-
sti, rilasciata il 9 novembre 1699; la firma e la qualifica dell’ufficiale redigente non sono leg-
gibili.
280 Ivi, cc. n. n., supplica di Alessandro d’Alberto giusti, s. d., e rescritto, 2 ottobre 1699:
«il Consiglio della religione vegga le sue Provanze, et informi. giovanni Panciatichi 2 otto-
bre 1699».
281 Ivi, cc. n. n., incipit del processo per provanze, 19 dicembre 1699.
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282 Ivi, cc. n. n., escussione dei testimoni, 19 gennaio e 6 febbraio 1699 (1700).
283 Ivi, cc. n. n., autenticazione delle prove testimoniali, 6 febbraio 1699 (1700).
284 Ivi, cc. n. n., deliberazione del Consiglio dei Xii per la nomina dei commissari, 9 feb-
236
gennaio 1754.
290 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri dello Stato senese, cit., n. 633, p. 543. AsPi, S. Stefano, 286,
ins. 23, provanze di Agostino Antonio d’Alberto di giovanni di giovan Battista giusti.
291 AsPi, S. Stefano, 286, ins. 23, cc. n. n., fede di battesimo di Agostino Antonio d’Alber-
to, rilasciata da Paolo Bettini, attuario della curia episcopale di Colle, 2 dicembre 1731.
292 AsPi, S. Stefano, 1198, ins. 129, cc. n. n., supplica di Alessandro d’Alberto giusti, s. d.
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4 maggio 1699, in calce alla quale fu apposto il rescritto: «Diasegli l’abito di Cavaliere milite
con obbligo di navigare. giovanni Panciatichi 3 giugno 1699», stilata dal cancelliere Jacopo
Francesco raimondo Mugnai, s. d.
296 Ivi, cc. n. n., incipit del processo per provanze, 12 gennaio 1731 (1732).
297 Ivi, cc. n. n., escussione dei testimoni, 16 gennaio e 1° febbraio 1731 (1732).
298 Ivi, cc. n. n., autenticazione delle prove testimoniali, 1° e 2 febbraio 1731 (1732).
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299 AsPi, S. Stefano, 1198, ins. 129, cc. n. n., supplica di Alessandro d’Alberto giusti, s.
d.; annotazione successiva: «a [dì] 25 detto [gennaio]. Fu stipulato l’instrumento della detta
renunzia, per rogito di ser Jacopo Francesco raimondo Mugnai».
300 AsPi, S. Stefano, 286, ins. 23, cc. n. n., deliberazione del Consiglio dei Xii per l’ele-
239
no, 286, ins. 24, provanze d’Alberto Filippo Maria Bernardino Baldassarre d’Alessandro
d’Alberto di giovanni di giovan Battista giusti.
306 AsPi, S. Stefano, 1198, ins. 114, cc. n. n., supplica di Alessandro d’Alberto giusti, s. d.
307 Ibidem, rescritto, 7 dicembre 1731: «si contenta sua Altezza reale che detto Alberto
figlio del supplicante possa valersi per le prove di nobiltà de’ suoi quarti materni delle già fat-
te dal cavaliere Antonio rinieri di lui zio materno in forza di sola provazione, e non di cosa
giudicata, con che la riproduca avanti il tribunale del Consiglio dell’ordine, acciò sieno vedu-
te coll’altre, che dovrà fare di sua vita, e costumi, e facoltà, e di poi il detto Consiglio informi.
il gran Duca di toscana. giovanni Panciatichi 7 dicembre 1731».
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308 AsPi, S. Stefano, 286, ins. 24, cc. n. n., incipit del processo per provanze, 12 gennaio
1731 (1732).
309 AsPi, S. Stefano, 286, ins. 24, cc. n. n., fede di battesimo di Alberto Filippo Maria Ber-
nardino Baldassarre del cavaliere Alessandro del fu Alberto giusti, rilasciata da Paolo Bettini,
attuario della curia episcopale di Colle, 27 giugno 1731.
310 Ivi, cc. n. n., capitoli delle provanze, 12 gennaio 1731 (1732).
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311 Ivi, cc. n. n., escussione dei testimoni, 16 gennaio e 1° febbraio 1731 (1732).
312 Ivi, cc. n. n., autenticazione delle prove testimoniali, 1° e 2 febbraio 1731 (1732).
313 Ivi, cc. n. n., copia per estratto dell’informazione dei Xii cavalieri del Consiglio, datata
10 marzo 1710 (1711), in calce alla quale fu apposto il rescritto: «Diasegli l’abito di Cavaliere
milite con obbligo di navigare, dispensandolo sua Altezza reale dalla minore età. giovanni
Panciatichi 10 aprile 1711», stilata dal cancelliere Jacopo Francesco raimondo Mugnai, s. d.
314 AsPi, S. Stefano, 1198, ins. 142, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Xii al gran
242
315 Ibidem.
316 AsPi, S. Stefano, 286, ins. 24, cc. n. n., deliberazione del Consiglio dei Xii per l’ele-
zione dei commissari, 6 febbraio 1731 (1732).
317 AsPi, S. Stefano, 1198, ins. 142, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Xii al gran
pretendente, rilasciata da Francesco luca Brogiotti, cancelliere della curia vescovile di Colle,
27 settembre 1773.
323 Ivi, cc. n. n., fede di battesimo di Alberto giovanni giusti, rilasciata da Francesco luca
243
16 febbraio 1699 (1700), in calce alla quale fu apposto il rescritto: «Diasegli l’abito di Cava-
liere milite con obbligo di navigare, dispensandolo sua Altezza dalla minor età. giovanni
Panciatichi 23 febbraio 1699 [1700]», stilata da giacinto Viviani del Vescovo, primo ministro
di cancelleria, il 22 dicembre 1773.
328 Ivi, cc. n. n., fedi di nascita e battesimo del padre Agostino Antonio (4 giugno 1684), e
della madre orsola Maria sabolini (6 aprile 1734), rilasciate da Francesco luca Brogiotti,
cancelliere della curia vescovile di Colle, 27 settembre 1773.
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329 Ivi, cc. n. n., quattro fedi dei godimenti dei pubblici onori per la famiglia sabolini, rila-
da Pietro Mortani, cancelliere della Comunità di Colle, 25 settembre 1773; fede dei godimenti
per la famiglia Bardi copiata per estratto da simone Fabbrini, ministro nell’archivio di Palaz-
zo della città di Pisa, 21 giugno 1774.
331 Ivi, cc. n. n., attestati d’iscrizione al registro della nobiltà di Colle per le famiglie sabo-
245
332 Ivi, cc. n. n., fede d’estimo, rilasciata dal cancelliere della Comunità, Pietro Mortani,
24 gennaio 1774.
333 Ivi, cc. n. n., incipit del processo per provanze, 17 marzo 1774.
334 Ivi, cc. n. n., escussione dei testimoni, 29 marzo 1774.
335 Ivi, cc. n. n., autenticazione delle prove testimoniali, 29 marzo 1774.
336 Ivi, cc. n. n., dispaccio del cavaliere assistente, Decio Portigiani, al Consiglio dei Xii, 4
aprile 1774.
337 Ivi, cc. n. n., dispaccio del vicario vescovile, Nicola Apolloni, che accompagna il plico
246
Nel dispaccio del 10 maggio, stilato dal vicario vescovile Apolloni, in-
dirizzato ai cavalieri del Consiglio, per l’appunto, si legge: «essendo io
stato commissionato dal signore Alberto Giusti […] di far procedere
ad una formale visita, e perizia dell’annuo frutto del podere di Mon-
tecchio, sottoposto alla commmenda Giusti per mezzo degl’istessi te-
stimoni esaminati sopra il capitolato delle provanze, ed essendosi da
questi stata fatta, e commessa a due periti fattori intendenti, e pratichi
di campagna, la medesima nelle forme solite recognita acclusa tra-
smetto […], acciò sia inserita nel suo processetto»339. Difatti, il 2
maggio, i periti incaricati dai testimoni, su impulso del detto delegato
episcopale, a sua volta – si ripete – sollecitato dal Giusti, recatisi «per-
sonalmente alla villa di Montecchio, per […] visitare il podere, e sue
terre adiacenti» ed «avendo adunque quelle vedute, osservate, esami-
nate, e ben considerate tutte quante», affermarono: «a tenore della
nostra perizia, giudichiamo un anno per l’altro siano d’una rendita as-
sai maggiore di scudi cento». La fede da cui risultava lo stato della
commenda, stilata il giorno 5 seguente, fu giurata e sottoscritta dai
periti, Domenico Pacini (58 anni, «agente del monastero di S. Pietro
di Colle») e Michele Maccantelli (64 anni, «agente del monastero di
S. Caterina parimente di Colle»), nonché ratificata dai testimoni già
intervenuti nella fase processuale vera e propria, Francesco Tolosani e
Giuseppe Tommasi. Quattro giorni più tardi, il 9 maggio, i medesimi
signori comparvero tutti innanzi al cancelliere Brogiotti il quale, dopo
aver interrogato personalmente i due tecnici, autenticò la fede pre-
mentovata340.
Il 28 giugno 1774 i cavalieri del Consiglio formularono l’informa-
zione per il Gran Maestro, dalla quale appariva, in sintesi, tutta la
procedura delle provanze sostenute dal candidato, accompagnata
dalla descrizione degli elementi salienti desunti dai documenti più
rappresentativi. In particolare, si evidenziava, riguardo al requisito
delle sostanze, come il pretendente, «oltre diversi altri assegnamen-
ti», possedesse «più beni stabili descritti all’estimo per la massa di
339 Ivi, cc. n. n., dispaccio del cancelliere vescovile di Colle, Francesco luca Brogiotti, al
sottoscritta dai periti e ratificata dai testimoni della fase processuale; 9 maggio 1774, autenti-
cazione della fede predetta, per ufficio del cancelliere vescovile, il notaio Francesco luca
Brogiotti.
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341 AsPi, S. Stefano, 1239, ins. 284, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Xii al gran
vembre 1807.
345 un ramo dei Waldsee di svevia si era trapiantato in italia nell’anno 1025 dando origine
249
347 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri degli Stati italiani, cit., volume i, nn. 145-147, pp. 127-
128; iDeM, I cavalieri degli Stati italiani, cit., volume ii, nn. 922-928, pp. 89-93 e n. 1499,
pp. 492-493.
348 in merito alla prosapia e al suo maniero è stato già pubblicato un pregevole volume: g.
250
350 AsPi, S. Stefano, 61, ins. 29, cc. n. n., provanze di Fabrizio di Fabio Colloredo: lettera
maggio 1565. Cfr. Statuti, cit., tit. ii (Del modo di ricevere i Cavalieri), cap. iii (Delle proba-
zioni, che si debbano fare innanzi, che alcuno si accetti), pp. 94-104.
353 AsPi, S. Stefano, 61, ins. 29, cc. n. n., provanze di Fabrizio di Fabio Colloredo: lettera
commissionale del Consiglio dei Dodici, 20 dicembre 1594, stilata dal vicecancelliere della
religione stefano Berti, riportata nell’incipit del processo di nobiltà.
354 Ivi, cc. n. n., provanze di Fabrizio di Fabio Colloredo: deposizioni testimoniali sull’au-
251
355 AsPi, S. Stefano, 1013, c. 140r, informazione del Consiglio dei Dodici al gran Mae-
26 marzo 1595.
357 AsPi, S. Stefano, 3678, c. 74v, esequie del cavaliere Fabrizio Colloredo, 6 marzo 1644
(1645).
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358 si noti come dal plico di documenti in parola siano state ricavate le notizie salienti e i
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255
359 AsPi, S. Stefano, 3678, c. 74v, esequie del cavaliere Fabrizio Colloredo, 6 marzo 1644
(1645).
360 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri degli Stati italiani, cit., volume ii, n. 922, p. 89. AsPi, S. Ste-
256
364 Ivi, cc. n. n., provanze di Fabio di Nicolò Colloredo: capitoli testimoniali, 22 marzo
1644 (1645).
365 Ivi, cc. n. n., provanze di Fabio di Nicolò Colloredo: deposizioni testimoniali, 27 e 28
marzo 1645.
366 AsPi, S. Stefano, 1140, ins. 306, cc. n. n., informazione del Consiglio dei Dodici, 4
12 aprile 1645.
368 Cfr. B. CAsiNi, I cavalieri degli Stati italiani, cit., volume ii, n. 923, pp. 89-90.
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369 AsPi, S. Stefano, 1029, cc. 187rv-188r, informazione del Consiglio dei Dodici al gran
marzo 1659.
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