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Pietro Mascagni:"Lodoletta"
Composta da Mascagni nei difficili anni della Grande Guerra, che aveva strappato al suo
affetto i due figli, Dino, prigioniero in Ungheria, e Domenico, esposto ai rischi e all’esistenza
precaria del fronte, Lodoletta è un’opera giudicata quasi unanimemente come la
manifestazione del disimpegno politico del compositore che aveva maturato un certo disgusto
per gli eventi bellici. Quasi profeticamente aveva affermato, infatti, a proposito della guerra e
dell’impegno nazionalistico in arte: “Coloro che si accingono a scrivere opere di soggetto
patriottico commettono un errore. Ho l’impressione, esatta, precisa, che a guerra finita sarà tale
o tanto il disgusto che la immane carneficina avrà suscitato in noi che nessuno vorrà più
sentirne neppur parlare sotto qualsiasi aspetto”.
Effettivamente il soggetto di Lodoletta, che tratta delle vicissitudini di una tenera fanciulla
sedicenne vissuta in un imprecisato paesino olandese dell’Ottocento, è agli antipodi dei
risvolti patriottici e nazionalistici caratteristici della produzione di quel periodo. La scelta del
soggetto, tratto dal romanzo Due zoccoletti della scrittrice inglese Luisa de la Ramée,
meglio conosciuta con lo pseudonimo Ouida, aveva rischiato di diventare un vero e proprio
casus belli con Giacomo Puccini che vantava una priorità su di esso e che aveva
sarcasticamente commentato: “Ormai sono abituato ai doppioni, le due Manon, le due Bohème,
i… quattro Zoccoletti”. Nonostante Mascagni avesse affermato che non era sua intenzione
rubare il soggetto di un’opera ad un suo collega, rispondendo, così, lealmente, alla recondita
accusa di Puccini di averglielo soffiato, la situazione fu lontana dal chiarirsi immediatamente,
anche perché molto più complessa di quanto appariva superficialmente per una questione di
diritti d’autore sulle opere della scrittrice inglese. Morta a Viareggio nel 1908 in uno stato di
profonda povertà, Ouida era rimasta insolvente nei confronti dei suoi creditori i quali avevano
cercato di rivalersi facendo vendere all’asta, dal tribunale della città toscana, i diritti d’autore
delle opere della donna. Ad assicurarseli, nel 1915, era stato Ricordi il quale intendeva far
mettere in musica questo soggetto a Puccini, che, impegnato in quel momento nella
composizione del Tabarro, non aveva la possibilità di lavorare a un’altra opera. Caddero,
quindi, tutte le difficoltà perché Mascagni potesse mettere in musica questo soggetto su libretto
di Giovacchino Forzano. Nonostante le preoccupazioni e l’atmosfera triste della guerra, il
compositore sembrava ispirato e, come confessato da lui stesso il 9 dicembre 1916, scriveva
con così fluida vena che talvolta anticipava sul lavoro del libretto. In pieno conflitto mondiale,
l’opera andò in scena il 30 aprile 1917 al Costanzi di Roma sotto la direzione del
compositore e con Rosina Storchio (Lodoletta), Ida De Filippis (La Vanard), Luigia Pieroni
(Maud) e Cleofe Braghini (pazza), Giuseppe Campioni (Flammen) e Ettore Bonzi
(voce/portalettere), Enrico Molinari (Giannotto) e Leone Paci (Franz), Augusto Dadò
(Antonio). Il successo sia di pubblico che di critica fu quasi unanime; unica voce fuori dal coro fu
quella di Bastianelli che, contraddicendo il giudizio espresso su «Il Corriere della Sera» dove si
parlava di ricchezza di fantasia, accusò l’opera di presentare poche novità e di apparire
piuttosto convenzionale.
L’opera
Atto primo (Tramonto di primavera)
In un paesino olandese della seconda metà dell’Ottocento si stanno festeggiando i 16 anni di
Lodoletta, una giovane fanciulla che vive in una povera capanna insieme al padre Antonio.
Introdotti da un birichino clarinetto, alcuni fanciulli entrano in scena contribuendo al clima di

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festa ai cui preparativi attendono le comari. Un melos romantico contraddistingue, invece,


l’intervento di Giannotto innamorato di Lodoletta alla quale consegna un regalo da parte della
madre. Solo Antonio non può porgere il suo dono alla figlia alla quale avrebbe voluto regalare
due zoccoletti e, mentre i bimbi, su invito dell’uomo, stanno ripassando la canzoncina in onore
di Lodoletta, una sonagliera annuncia l’arrivo di Flammen che, come si apprende dal colloquio
con il suo amico Franz, è un pittore parigino in esilio e incallito dongiovanni. L’atmosfera allegra
muta improvvisamente quando entra in scena una donna, chiamata la Pazza, che ha perduto il
figlio in mare e, per nulla rassegnata alla sua morte, vive nella vana attesa che egli possa un
giorno ritornare. Il suo patetico canto suscita una forma di solidarietà nelle comari, ma non in
Franz che appare disgustato dall’ambiente paesano nel quale è venuto a trovarsi. Intanto
Flammen vorrebbe acquistare un quadro della Madonna appena visto in un tabernacolo e che,
alla fine, riesce ad ottenere in prestito da Antonio al prezzo di una moneta d’oro, a patto che
l’uomo, una volta copiato il dipinto, che avrebbe preso di notte quando Lodoletta si sarebbe
addormentata, lo riponga nel tabernacolo. Sul clima di festa, però, sembra incombere la
tragedia soprattutto nelle parole di Antonio il quale, correndo in paese per acquistare i due
zoccoletti, afferma che porta male fare mercato con le immagini dei propri santi. Giunge
Lodoletta che si presenta in tutta la sua innocenza (Comari) creando un’atmosfera infantile, alla
cui costruzione contribuisce anche il coro delle voci bianche impegnato in una Serenata della
fate. Di ritorno dal paese, Antonio offre il suo regalo a Lodoletta, affermando, nel contempo, che
la natura sembra averle fatto un suo particolare dono facendo fiorire il pesco. La ragazza gli
chiede, allora, di cogliere i rami fioriti e, mentre il padre si avvia verso il pesco, giunge Giannotto
che strappa alla ragazza la promessa di fare visita a sua madre. Il carattere bozzettistico
dell’atto ha un brusco momento di arresto quando, mentre proseguono i festeggiamenti,
Antonio cade dall’albero morendo sul colpo; il coro del paese, da parte sua, insinua che a
causare la disgrazia sia stata la vendita del quadro della Madonna che, però, è ancora al suo
posto. Un malinconico tema caratterizza questo momento dell’opera, nel quale si susseguono
le offerte, sempre rifiutate da Lodoletta, delle comari, prima, e di Giannotto, poi, di ospitarla a
casa loro. Del tutto ignaro della tragedia appena consumata, giunge Flammen per prendere il
dipinto della Madonna secondo i patti, ma, scorgendo Lodoletta che piange, le chiede il motivo
della sua tristezza. La ragazza racconta la tragedia avvenuta poco prima, aggiungendo, in una
pagina estremamente accorata, nella quale sembra spogliarsi anche vocalmente di
quell’infantile innocenza che fino a quel momento l’aveva contraddistinta, che Antonio non era
suo padre biologico, ma un uomo che l’aveva trovata in una cesta di fiori sul lago e l’aveva
presa con sé. Sinceramente scosso, Flammen con accenti teneri e lirici (Bimba, non piangere)
cerca di consolare Lodoletta e di ripristinare quel mondo infantile che sembra essere stato
irrimediabilmente perduto dalla ragazza, la quale, affranta dal dolore e stanca per le violente
emozioni patite, si addormenta tra le braccia di Flammen. Questi la contempla teneramente,
mentre la natura, con un plenilunio rappresentato da una musica tenera e in pianissimo, sembra
assumere una forma conciliante.
Atto secondo (Un’alba di novembre)
Ambientato nella stessa scena dell’atto primo che, però, adesso si colora delle tonalità cupe
dell’autunno, il secondo atto condivide con il precedente un certo carattere bozzettistico,
immediatamente visibile nel susseguirsi di singoli quadri abilmente disegnati dal compositore e
dal librettista. Dopo una breve introduzione dai colori timbrici autunnali, Lodoletta contempla il
ritratto che il pittore sta facendo di lei, mentre un fresco coro di olandesine, ornato da idilliche
campane, intona un semplice canto dedicato al mese di novembre. Annunciati da una musica

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dispettosa entrano in scena i bimbi che intendono disturbare il lavoro del pittore per il quale non
provano alcuna simpatia. Mentre Flammen è intento a completare il ritratto, Lodoletta è triste,
perché turbata dall’amore per il pittore, dal timore di perderlo e nello stesso tempo dalla gelosia
indotta dal pensiero che l’uomo a Parigi potesse avere un’altra donna. Alla fine la ragazza,
dopo aver strappato all’uomo la promessa che non sarebbe mai partito per Parigi, sorride in un
empito di passione consentendo al pittore di finire il suo ritratto. Una dolcissima e romantica
melodia sembra disegnare i sentimenti della fanciulla intenta ad ammirare il suo ritratto ormai
completato, ma questo momento di felicità è del tutto effimero, in quanto un bambino recapita a
Flammen una lettera con la grazia. Il pittore, con fare furtivo, cerca di prevenire i suoi amici che,
nel caso in cui fossero giunti a festeggiarlo, avrebbero potuto rivelare tutto a Lodoletta. Poco
dopo sulla scena ritornano i bambini dando vita ad un quadro infantile, infranto dalle comari che
li sottraggono alla donna ormai tacciata di essere una poco di buono, in quanto legata
sentimentalmente al pittore. Giannotto cerca di manifestare il suo amore a Lodoletta (Lo vedi
Lodoletta) rimproverandola per non aver accettato il suo amore puro che le avrebbe dato una
dignità diversa. Lodoletta, da parte sua, afferma che non ha nulla di cui vergognarsi, nonostante
soffra per il comportamento degli abitanti del villaggio e per il sorriso dei bambini a lei negato. Di
ritorno Flammen, sinceramente innamorato, manifesta la sua volontà di restare in quel paese,
non dando alcuna importanza alla gloria che avrebbe potuto conseguire tornando a Parigi.
Trovando Lodoletta piangente e turbata dal discorso di Giannotto, cerca di ridestare l’amore
attraverso accenti appassionati (Ah! Lodoletta, questo grande frenmito!), ma la ragazza lo
respinge chiedendogli di andar via. All’ennesimo tentativo dell’uomo di avventarsi su di lei,
Lodoletta chiude con violenza la porta della stanza in faccia a Flammen il quale, resosi conto
dell’insano gesto che stava per compiere, decide di fuggire.
Atto terzo (L’ultima notte dell’anno a Parigi)
Nel terzo atto la scena si sposta a Parigi, dove, nei pressi della villa di Flammen, si sta
festeggiando il capodanno. Il clima di festa, al quale contribuisce un elegante valzer i cui suoni
si diffondono dalle stanze della villa, sembra non coinvolgere Flammen che, uscito dalla sua
abitazione insieme con Franz, non solo rimpiange la vita trascorsa con Lodoletta, ma soprattutto
manifesta il suo rimorso per averla abbandonata sola e senza un aiuto. Nel colloquio-duetto con
Franz si apprende che quest’ultimo, su invito del pittore, era andato a cercarla nel suo paese
senza averla trovata. Franz pensa che Lodoletta si sia già consolata, ma Flammen non
condivide questa convinzione e in una pagina malinconica (Se Franz dicesse il vero) esprime
tutto il suo tormento. Un tema brillante annuncia l’arrivo della brigata che, dopo aver canzonato
Flammen, scompare, mentre giunge Lodoletta che finalmente ha trovato la casa del suo amato
pittore dopo un lungo peregrinare (Ah! il suo nome) speranzosa che Flammen la stia
attendendo. Avvicinatasi alla casa dove scorge, attraverso l’uscio aperto, la festa allegra che si
sta svolgendo, prorompe in un grido di dolore al quale la donna non regge e, presaga della
prossima morte, invoca, quasi in preda al delirio in una pagina altamente drammatica, i bimbi
del suo villaggio (Bimbi del mio villaggio) affinché possano provvedere alla sua sepoltura nel
cimitero presso il laghetto. La donna muore, dedicando il suo ultimo pensiero all’uomo amato,
mentre i 12 rintocchi della campana annunciano che è mezzanotte. Flammen, che non si è fatto
coinvolgere dagli amici nei festeggiamenti, rientrando in casa, calpesta inavvertitamente gli
zoccoletti che Lodoletta aveva perduto. Dopo aver visto il corpo inerme della donna, si getta su
di essa, desiderando di morire con lei.

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