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MEDITERRANEO MITI STORIE ARMONIE

SITI REALI IN EUROPA


Una storia del territorio
tra Madrid e Napoli

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI


SUOR ORSOLA
BENINCASA
MEDITERRANEO MITI STORIE ARMONIE
3

I volumi sono editi


in collaborazione con la
fondazione roma – mediterraneo
Redazione
Luciana Trama

Progetto grafico
Sergio Prozzillo e Flavia Soprani

Impaginazione
Imago sas

© Università degli Studi Suor Orsola Benincasa 2014


Tutti i diritti sono riservati

isbn 978-88-96055-53-3

L’Editore si dichiara disponibile a riconoscere eventuali


diritti relativi a immagini di cui non fosse stato
possibile rintracciare gli autori.
SITI REALI IN EUROPA
Una storia del territorio
tra Madrid e Napoli
a cura di
Lucio d’Alessandro
Félix Labrador Arroyo
Pasquale Rossi

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI


SUOR ORSOLA
BENINCASA
SOMMARIO

11 prefazione
Emmanuele F.M. Emanuele
15 presentazione
Lucio d’Alessandro
I Siti Reali tra Madrid e Napoli ovvero le affinità elettive
di una comune storia europea
21 presentación
José Martínez Millán
La Corte como modelo de organización política
33 introdución
Félix Labrador Arroyo, Pasquale Rossi
Entre Reales Sitios de España, “Coronas de delicias”
de los Saboya y residencias napolitanas de los Borbones

Territorio, organizzazione sociale e produzione


41 Lucio d’Alessandro
San Leucio. Un progetto sociale e culturale
63 Fabio Mangone
San Leucio: un caso singolare nell’urbanistica settecentesca

SITI REALI IN SPAGNA


Madrid e dintorni
75 José Eloy Hortal Muñoz
El personal de los Sitios Reales desde los últimos Habsburgo
hasta los primeros Borbones: de la vida en la periferia
a la integración en la Corte
97 Félix Labrador Arroyo
El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV
119 Luis Urteaga, Concepción Camarero
Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII:
el Real Sitio de San Ildefonso y su anexo el Real bosque
de Riofrío (1868-1869)
147 Enrique Castaño Perea
El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII.
Reformas para adecuarlo a la corte de los Borbones

SITI REALI IN ITALIA


Torino e dintorni
173 Andrea Merlotti
Le corte sabauda fra Seicento e Settecento
185 Paolo Cornaglia
La “corona di delizie” dei duchi di Savoia e il nuovo sistema
di residenze del Regno di Sardegna nel Settecento

Napoli e dintorni
203 Pasquale Rossi
Residenze e caccia durante il Regno di Carlo di Borbone
(1734-1759)
223 Salvatore Di Liello
«E tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo
l’arte della caccia»: il paesaggio dei Siti Reali
239 Francesca Castanò
«Un’altra Città nella campagna».
I Siti Reali in Terra di Lavoro da luoghi strategici a spazi
per la produzione

257 Appendice
Resoconti di viaggio nei siti reali napoletani

269 Bibliografia

282 Abbreviazioni

283 Saggi e contributi

Filippo Juvarra
Proyecto de altar
1705-1706
Madrid, Biblioteca Nacional de España
Louis-Michel van Loo
Ritratto di Filippo V di Spagna
1739 circa
Madrid, Museo del Prado
PREFAZIONE

Questa iniziativa editoriale, che si inserisce nella Collana “Me-


diterraneo: miti storie e armonie”, realizzata in virtù della conven-
zione stipulata tra la Fondazione Roma-Mediterraneo e l’Università
degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli – volta a creare una col-
laborazione culturale, civile e scientifica tra le due Istituzioni, aventi
quale comune denominatore una naturale attitudine ed una specifica
sensibilità verso il Mediterraneo – intende diffondere la conoscenza di
uno degli aspetti caratterizzanti della società europea del XVIII seco-
lo. Il sistema delle residenze reali e in particolare quello dei “siti reali”
– espressione nata a Napoli all’inizio dell’età borbonica per definire
quegli insediamenti destinati alle battute di caccia del re – costituisce
il filo conduttore del volume, che ricompone una nuova geografia del
Mediterraneo attraverso il viaggio di architetti, disegnatori e mae-
stranze tra Napoli, Torino e Madrid.
Al centro della scena sono Filippo V, Carlo Emanuele III e
Carlo III di Borbone, che ridefinirono le relazioni artistiche e cul-
turali dell’Europa, e due dei maggiori architetti del Settecento eu-
ropeo, Filippo Juvarra e Luigi Vanvitelli che trasformarono il volto
delle città reali: Torino, città-modello del nuovo Stato sabaudo, Na-
poli con le ville di Portici e Caserta, Madrid con le residenze reali
dell’Alcazar e della Granja di San Ildelfonso.
Del resto, è solo all’interno di una dimensione europea che la so-
cietà di corte con le sue architetture e i suoi piani urbanistici può essere
pienamente compresa. Basti pensare ai progetti di Juvarra per gli ap-
parati delle feste che a Messina nel 1701 celebrarono la proclamazione di
Filippo V, ai modelli italiani importati a Madrid e poi agli intensi scambi
di idee tra la Spagna e l’Italia, tra Madrid e Napoli, Segovia e Caserta.
Siti reali in Europa 12

Ad una settimana dall’incendio che aveva distrutto sotto gli


occhi di Filippo V e Elisabetta Farnese l’Alcazar di Madrid, il re di
Spagna incaricava José Patiño di avviare le pratiche per portare alla
Corona di Madrid “l’architetto che aveva eretto la chiesa patriarcale
del Portogallo, il cui nome si ignora e si sa solo che è siciliano e, che
si trova al servizio del Re di Sardegna”. Nell’aprile del 1735 Filippo
Juvarra era arrivato nel sito reale di Aranjues e di lì in qualità di
Architetto Reale aveva iniziato a progettare la residenza madrilena
sopra l’altopiano di Leganitos, a disegnare il teatro all’italiana che
avrebbe sostituito il popolare Corral de Comedias de Pedro de Ribera
e a restaurare il palazzo della Granja prendendo contatti con i più ri-
nomati pittori italiani, Pannini, Masucci, Locatelli, Conca, Trevisani,
Giaquinto e Solimena.
Alle due residenze di Filippo V sono dedicati il saggio di Enri-
que Castano Perea, che ripercorre la storia del palazzo reale di Ma-
drid, e il contributo di Concepciòn Camarero Bullòn e Luis Urteaga
che invece si occupa del “Real Sitio” di San Ildefonso, il celeberri-
mo palazzo reale della Granja alle spalle delle montagne di Segovia,
amato da Filippo V e Elisabetta Farnese per gli splendidi giardini e
le fontane d’acque a cui fu ispirato il parco della Reggia di Caserta.
Un’ampia parte del volume è dedicata alle residenze di Napo-
li, alle ville vesuviane e ai rapporti dell’architettura partenopea con
quella spagnola. Almeno dal 1442 – data simbolica che segna l’arrivo
di Alfonso D’Aragona a Napoli – fino all’Unità d’Italia, la storia
di Napoli è profondamente segnata dalla cultura e dalla civiltà spa-
gnole in uno scambio continuo di esperienze artistiche attraverso la
presenza di architetti, maestranze e artigiani che si muovono verso la
città partenopea e da essa raggiungono Madrid.
Nel corso del Settecento il rapporto osmotico tra Napoli e la
Spagna divenne, dopo l’assunzione del trono da parte di Carlo di
Borbone e il successivo trasferimento del sovrano napoletano a Ma-
drid nel 1759, ancora più solido e la circolazione di idee e di princi-
pi ancor più profonda. Il suo apice sarà raggiunto nel 1763, quan-
do Carlo III donò all’Accademia di San Fernando la collezione di
disegni di Vanvitelli e delle antichità di Ercolano e a Madrid venne
pubblicata la traduzione del trattato di Andrea Pozzo, già edito a
Vienna nel 1756, che proponeva come modello di palazzo reale quello
vanvitelliano.
Il volume costituisce, pertanto, un importante approfondimen-
to nel panorama degli studi sul Settecento a Napoli e in particolare
Emmanuele F.M. Emanuele Prefazione 13

sui rapporti di Napoli con la Spagna, dopo gli studi pioneristici di


Giancarlo Alisio sulle residenze borboniche (Siti reali dei Borboni.
Aspetti dell’architettura napoletana del Settecento, Roma 1976),
la mostra del 1979 dedicata alla Civiltà del Settecento a Napoli e so-
prattutto la collana di studi diretta da Alfonso Gambardella “Studi
sul Settecento napoletano” che – dopo la pubblicazione dei volumi
monografici su Ferdinando Sanfelice, Ferdinando Fuga e Luigi Van-
vitelli – ha visto nel 2003 l’uscita degli atti del convegno Napoli-Spa-
gna, architettura e città nel XVIII secolo.
Corredata da un’appendice con i documenti e i resoconti di
viaggio sui siti reali partenopei, la sezione del volume riservata a Na-
poli offre un panorama completo delle residenze di Carlo di Borbo-
ne analizzate da Pasquale Rossi e Salvatore Di Liello, soprattutto in
rapporto al tema delle cacce reali che hanno rappresentato per secoli
un aspetto peculiare della vita delle corti europee e degli interventi
vanvitelliani a Caserta, e l’utopia sociale di San Leucio. Tali interven-
ti, com’è noto, investirono l’intero abitato, dal Casino-romitorio alle
seterie, trasformando il piccolo centro presso Caserta in uno straordi-
nario luogo di elaborazione di città illuminista.
A Torino e alla “corona delle delizie” sabaude, infine, sono de-
dicati i saggi di Andrea Merlotti e Paolo Cornaglia che analizzano
i molteplici aspetti della corte sabauda tra Sei e Settecento e il vasto
sistema delle residenze settecentesche del Regno di Sardegna in cui è
nuovamente impegnato Juvarra che, dopo il breve ma proficuo sog-
giorno a Napoli e gli anni romani alla corte di Pietro Ottoboni, tra-
sformò il volto della città e della collina di Torino con i “pensieri” dei
taccuini romani e gli schizzi e i disegni che aveva portato con sé e che
trovarono spazio nella chiesa reale di Superga, in palazzo Madama,
nella villa di Stupinigi e nella Reggia di Venaria Reale.
Un universo, dunque, raffinato e internazionale, che i vari
saggi ricostruiscono puntualmente e nel suo insieme il volume illu-
stra con efficacia.
Emmanuele F.M. Emanuele
Anton Raphael Mengs
Carlo III di Spagna
1761
Madrid, Museo del Prado
I SITI REALI
TRA MADRID E NAPOLI
OVVERO
LE AFFINITÀ ELETTIVE
DI UNA COMUNE
STORIA EUROPEA

L’idea di narrare la vicenda dei Siti Reali dei Borbone


tra Madrid e Napoli può rappresentare un esercizio di rivalu-
tazione critica ma anche il tentativo di offrire una lettura sin-
tetica di un singolare patrimonio architettonico e territoriale
europeo. Si tratta di un tentativo di aprire un nuovo scenario
per una valorizzazione attiva con il coinvolgimento di esperti
e studiosi che hanno indagato sul tema. Una proposta di ag-
giornamento dello stato dell’arte, con addende e nuove acqui-
sizioni archivistiche e iconografiche, che coinvolge ricercatori
spagnoli e italiani che operano in un contesto caratterizzato da
comuni radici culturali.
Un possibile progetto futuro che nasce sulla base di un
accordo di collaborazione scientifica e didattica, siglata nel qua-
dro di un impegno internazionale, tra l’Università Suor Orsola
Benincasa di Napoli e l’Universidad Rey Juan Carlos de Ma-
drid. Una proposta comune di studi e ricerche per offrire una
rinnovata lettura di un tema straordinario che ha appassionato
generazioni di storici e architetti – in una cornice di lavoro che
si immagina aperta ad auspicabili nuovi contributi – da presen-
tare per un futuro prossimo con metodi di lettura multimediali,
acquisizioni e archivi on line, e che può ancora oggi offrire altri
e innovativi spunti di riflessione, di divulgazione e di tutela di
un comune patrimonio europeo.
La “Storia” e le “storie” presenti in questo volume appaio-
no collegate da eventi e aspetti culturali che si snodano sul filo di
comuni relazioni, pervasi da una continua contaminazione in un
momento epocale, definito da Christian Norberg-Schulz, come
il passaggio dall’“esprìt de système all’esprìt systèmatique”.
È la storia dell’Europa e dell’anima latina presenti nella
cultura spagnola e in quella italiana, e in particolar modo in
Siti reali in Europa 16

quella partenopea che ha vissuto secoli di dominazione spa-


gnola. È la presenza nella Napoli del Settecento di un sovrano,
Carlo di Borbone, che dal 1759 ascenderà al trono di Spagna,
caratterizzata da una partecipazione costante alla vita politica
del regno di diplomatici, funzionari e aristocratici castigliani; è
la successiva attività di architetti/ingegneri attivi in ambito na-
poletano che saranno portati a Madrid per intraprendere nuove
e grandi opere tecniche e residenziali. Una osmosi continua che
ha radici culturali antiche e che proprio nel XVIII secolo rag-
giunge l’apice di una massima cooperazione. Un progetto cul-
turale che si perpetua tra Napoli e Madrid caratterizzato da una
comune identità di cui permangono eccezionali tracce docu-
mentarie in migliaia di faldoni custoditi negli archivi statali, su
tutti quello General de Simancas e l’Archivio di Stato di Napoli,
ma anche l’Archivio General de Palacio de Madrid e l’Instituto
Geográfico Nacional di Spagna.
Proporre un quadro di lettura dei Siti Reali di Napoli e
dei suoi dintorni, siano esse residenze ufficiali o luoghi venatori
e di loisir, appare un’impresa piuttosto ardua sia per l’ampiezza
del tema che per la corposa bibliografia esistente. Una storia
che, alla fine dell’Ottocento, inizia a essere tracciata sulla rivista
“Napoli Nobilissima”, tra i cui fondatori è Benedetto Croce, e
che può considerarsi come una sorta di inizio della storiografia
contemporanea sul tema e che sarà rinnovata nella metà del
Novecento con l’opera di Roberto Pane, caposcuola della storio-
grafia architettonica napoletana, nella cui scia sono da citare i
tanti studi di Giancarlo Alisio e di altri autori più volte indicati
nelle note a margine dei testi di questo volume.
Il patrimonio architettonico borbonico sarà a partire da
questo momento, e periodicamente per tutto il Novecento, uno
dei soggetti privilegiati dagli studiosi della scuola napoletana a
testimonianza di un’eredità culturale unica, diffusa su tutto il
territorio campano, che ricalca e ripropone le dinamiche della
storia spagnola, così come si può leggere anche dai contributi
degli studiosi madrileni. Storia, architettura e territorio appa-
iono in un confronto diretto e/o riflesso dallo studio delle resi-
denze reali che corrispondono a dinamiche di sviluppo urbano
che si inquadrano in un contesto europeo più ampio, in perfetta
aderenza con la cultura assolutistica che si sviluppa a partire dal
XVII secolo in poi.
Di fatto dalla nascita del Regno indipendente di Napoli e
di Sicilia (1734) – affidato al giovane don Carlos, già Granduca di
Parma, primogenito di Filippo V e di Elisabetta (Isabel) Farnese,
sovrani di Spagna, nasce una nuova stagione direttamente rife-
rita alla corte di Madrid che ben si adatta ai canoni della politica
Lucio d’Alessandro I Siti Reali tra Madrid e Napoli 17

assolutistica e ai principi sociali e architettonici, già in vigore


nel secolo precedente in tutto il vecchio continente.
Ma Napoli e i suoi dintorni diventeranno con la scoperta
dagli Scavi di Ercolano (1738) e Pompei (1748), con la diffusione
del culto dell’“antico” e della memoria delle Mirabilia, il topos di
un viaggio e di una chiave di conoscenza che si afferma in modo
ineludibile grazie anche alla pubblicistica e alla letteratura coe-
va, determinando e plasmando processi e modelli culturali illu-
ministici in ogni luogo e per tutto l’arco dell’Ottocento.
Con questo volume si propone l’inizio di una ricerca che
tenta di incrociare gli studi di diversi settori disciplinari sul tema
delle residenze di caccia, un tema europeo che, da anni è affron-
tato con passione e competenza dall’“Instituto Universitario de
La Corte en Europa” degli studiosi de la Universidad Autonoma
de Madrid diretto da José Martìnez Millán, ma anche dal Centro
Studi del Consorzio La Venaria Reale che propone periodica-
mente sessioni di studio e convegni internazionali a cui hanno
partecipato studiosi provenienti da tutto il mondo. L’incontro
con queste eccellenze scientifiche consente al nostro Ateneo la
possibilità di una messa in comune di un patrimonio di cono-
scenze e di un riscontro delle fonti documentarie esistenti, inda-
gate e da indagare, per aprire a nuovi e comuni scenari di studio
insieme a colleghi di altre università campane e di Torino.
Indagini e ricerche che nel corso di questi anni hanno
trovato un nuovo vigore grazie al recupero di un’idea culturale
delle comuni matrici europee.
Un modus operandi scientifico sul tema dell’ars venandi
che, sia pur nella frammentazione degli stati europei, costitui-
sce in epoca assolutistica, nella gestione di un regno, una sorta
di codice di civiltà, un “protocollo” politico e sociale della mo-
narchia assoluta, diventando esso stesso un tema della rappre-
sentazione del potere, un idioma riconoscibile e identificativo
della Storia d’Europa.
Elementi e vicende che, come è stato scritto da più parti
e in tanti luoghi, ripropongono un carattere sovranazionale, il
cardine dell’evoluzione di centri che hanno rappresentato in
passato il fulcro della politica estera, la cifra della storia e delle
“storie,” della cultura e dell’immagine artistica delle corti e delle
relative dinamiche di potere.
Il “Sito Reale” è per definizione la residenza ma anche il
contesto urbano con i suoi evidenti elementi di sviluppo eco-
nomico e sociale, la “Caccia” non è solo la passione del sovrano
– educato e abituato all’esercizio della guerra in tempo di pace –,
ma anche la capacità, la competenza e l’attitudine alla gestione
del potere, alla conduzione di un regno. In tal senso le scene di
Siti reali in Europa 18

caccia raffigurate in ogni dove e in ogni luogo europeo, affida-


te al pennello dei più valenti artisti, sono l’esatta istantanea di
un determinato evento storico e/o politico; sono l’equivalente
della foto di gruppo di un summit politico-economico contem-
poraneo che immortala l’evento e che cerca di assicurare una
programmazione congiunta e un futuro migliore ai destini della
popolazione mondiale, il mantenimento ponderato e pacifico di
uno status quo dei destini di uno Stato.
Il “Sito Reale” come luogo del potere ma anche e soprat-
tutto come possibile spazio di sviluppo urbano e architettoni-
co, la “Caccia” come elemento di rappresentazione del potere e
strumento di incontro tra le delegazioni dei sovrani e dell’ari-
stocrazia dei vari stati nazionali.
Un tema comune europeo che rappresenta nel nostro caso
anche un tema di discussione e di confronto possibile tra spe-
cialisti che mirano all’esaltazione di matrici comuni che hanno
avuto nei secoli un immediato riflesso nell’immagine di luoghi,
architetture, opere d’arte, sviluppo urbano e sociale, ma anche
conseguenze nel sistema economico, nella produzione agricola
e manifatturiera, così come è possibile dedurre dalle pagine del-
la letteratura di viaggio e dai resoconti di illustri “viajeros” che
vivono le tappe della cultura italiana.
Tra questi aspetti quello della produzione appare come uno
dei più determinanti, spesso letto in controluce negli studi esi-
stenti, ma collegato allo stesso tempo al recupero degli usi e dei
costumi, alla tradizione alimentare e gastronomica (si pensi ai pro-
dotti di esportazione rurale, dell’industria conserviera e casearia,
etc.), ma anche manifatturiera (porcellana, seta, etc.) che appaiono
sia dalla bibliografia che dai tanti estratti documentari individuati
e custoditi presso le sedi archivistiche della Campania.
I processi di sviluppo e la struttura dei centri minori col-
legati ai Siti Reali continueranno a sussistere per tutto l’Otto-
cento, anche dopo l’Unità d’Italia con la reggenza dei Savoia
mantenendo una continuità d’uso che sarà deformata soltanto
nella metà del Novecento dagli esiti dello sviluppo industriale
italiano e della deregolata crescita edilizia. In tempi recenti il
recupero e il riuso di queste strutture e del territorio, comun-
que trasformato in modo irreversibile per i nuovi processi di
insediamento, ha portato a una giusta politica di valorizzazione
culturale, si pensi alle residenze sabaude, su tutte Venaria Reale,
ma anche alle ville del Miglio d’Oro collegate al palazzo Reale
di Portici, sulla strada che conduce da Napoli agli Scavi di Erco-
lano, tutelate dall’opera della Fondazione Ente Ville Vesuviane,
ma anche a luoghi straordinari come San Leucio, nei pressi del-
la Reggia di Caserta, e Carditello.
Lucio d’Alessandro I Siti Reali tra Madrid e Napoli 19

Aspetti e temi noti che attendono di essere indagati con Antonio Joli
Partida de Carlos de Borbón a España,
maggiore vigore proprio perché riportano alle storie delle “ar- vista desde la dársena
1759
chitetture reali” e dei relativi contesti territoriali, e che oggi Madrid, Museo Nacional del Prado
rappresentano i cosiddetti “Grandi Attrattori”; luoghi di visita
museali di straordinaria bellezza artistica e ambientale, una pos-
sibilità di sviluppo alternativo basata su un’idea fondamentale e
necessaria – come documentano tanti studi di settore – di “turi-
smo culturale”.
Parigi, Madrid, Torino, Napoli sono i topoi rappresentativi
e distintivi di una cultura comune, indicabili sia come sequenza
geografica che cronologica/storica, una sorta di asse europeo
che rappresenta un modello culturale con comuni matrici che,
tra Seicento e Settecento, di riflesso trova esito e raffigurazione
nella cartografia e nell’iconografia storica ma anche nella veico-
lazione e trasmissione affidata alla pubblicistica ufficiale e alle
“stamperie reali”.
Da quanto esposto ne esce rafforzata l’idea di una ricerca
comune che è anche testimonianza di contaminazione, scambio e
spesso osmosi, se solo si considerano luoghi come Madrid e Na-
poli che hanno sequenze e discendenze dinastiche comuni, storia
e cultura secolare di congiunte dominazioni e relazioni diploma-
tiche, di vita sociale e di costume nonché di dinamiche di potere.
Se sinora il “modello francese” appariva come il principa-
le e legittimo focus di confronto – quasi un riferimento esclusi-
Siti reali in Europa 20

vo, così come riportato dalla storiografia sul tema – con questa
proposta di gemellaggio e con la collaborazione, sancita da un
“Acuerdo Internacionales” tra le Università Rey Juan Carlos e
Suor Orsola Benincasa, si pongono le basi per nuove trame di
ricerca con una chiave nitida per evidenti e nuovi esiti di studio.
A tutto questo si aggiungano le possibilità di confronto,
scambio e conoscenza hic et nunc, determinate dalla diffusione
di strumenti multimediali di comunicazione per la creazione e
la configurazione di banche dati (bibliografiche, archivistiche
e iconografiche) di comune e immediata consultazione, anche
e soprattutto grazie alla mobilità europea e alla possibilità di
programmi di ricerca che potranno offrire nuovi e determinan-
ti mezzi per consentire lo sviluppo degli studi scientifici. Sul-
lo sfondo si staglia la proposta di un contenitore, una sorta di
“metadata”, un sito web – consultabile, aggiornabile e di libera
lettura – che determini la struttura di una straordinaria raccolta
documentaria di vario genere e interesse, dove possano conflu-
ire le ricerche di diversi settori disciplinari.
È l’idea di un archivio generale informatizzato (sire), aper-
to a tutti, studiosi e fruitori, sui Siti Reali a testimonianza di una
comune Storia, di una storia Europea.
Sia consentito infine un ringraziamento: la pubblicazio-
ne di un volume impegnativo e di ampio respiro internazionale
come questo si rende possibile quando, studiosi di prestigio
dalle diverse sponde del Mediterraneo, attraverso l’aperto tra-
mite dell’Università Suor Orsola Benincasa, incontrano l’am-
pio e solare orizzonte e, vorrei dire, il coraggio e l’orgoglio della
storia, che caratterizza il Governo della Fondazione Roma Me-
diterraneo e il suo Presidente prof. Emmanuele F.M. Emanue-
le. La collana “Miti Storie Armonie: Mediterraneo”, di cui Siti
reali in Europa rappresenta già il terzo volume – altri sono in
corso di stampa – costituisce così come la traccia visibile e la
trama narrativa di un articolato, eppure semplice, discorso che
unisce antiche istituzioni della società civile europea nel segno
di una comune civiltà, quella viva da sempre sulle sponde del
Mediterraneo.
Lucio d’Alessandro
LA CORTE
COMO MODELO
DE ORGANIZACIÓN POLÍTICA

Durante las últimas décadas, las Cortes de los monarcas 1


Cfr. n. elías, Die höfische
y príncipes europeos de la Edad Moderna se han convertido Gesellschaft. Untersuchungen zur
Soziologie des Königtums und der
en tema preferido de investigación histórica en todo el mundo: höfische Aristokratie mit einer Einleitung:
Soziologie und Geschichtswissenschaft,
la producción literaria, la manera de vestir, la forma de ejercer
Berlin 1969 (en trad. ital. La società di
el poder, las etiquetas, las manifestaciones artísticas, la práctica corte, Bologna, Il Mulino, 1980).
de las buenas costumbres, la oratoria y la educación consti-
tuyen, sin ninguna duda, la parte fundamental de las investi-
gaciones que actualmente se realizan en las Universidades. La
interdisciplinariedad, que permite aplicar este tipo de estudios
humanísticos, tan recomendada hoy por los organismos acadé-
micos y por las instancias políticas europeas, la han convertido
en centro de atención de la Nueva Historia de la Cultura. desde
que el sociólogo Norbert Elias presentase la Corte como centro
del “proceso de civilización” en Occidente. No obstante, estos
análisis se vienen realizando de acuerdo con la centralización
y racionalización del Estado actual, como si la Corte hubiera
sido el origen del Estado, según se deduce de las advertencias
del profesor Elías: «Como en etapas anteriores a la evolución
del Estado, en las que la centralización aún no había alcanza-
do el mismo grado de desarrollo, la corte real del ancien régime
mezclaba todavía la función de la Casa suprema de la familia-in-
divisa real con la del organismo central de la administración
general del Estado, esto es, con la función de reinar» 1.
Por eso, antes de seguir adelante, es preciso señalar que
el éxito del tema de la Corte surgió como respuesta a la insatis-
factoria explicación de la evolución política de la Europa Mo-
derna, que hemos recibido de las principales escuelas históricas.
Estas corrientes para explicar la evolución política, aplicaban
esquemas teóricos, construidos sobre el presupuesto de una
racionalización progresiva e ininterrumpida del poder político,
Siti reali in Europa 22

que (cuando se aplicaban a la realidad) resultaban incapaces


de dar cuenta ordenada del intrincado desarrollo político y de
la complicada estructura sociopolítica que tuvieron las Monar-
quías europeas durante la Edad Moderna. De esta manera, cual-
quier esfuerzo por explicar los orígenes del Estado actual como
una entidad abstracta e impersonal con poder absoluto, aparece
desmentido con la diversidad y juego de poderes diversos, que
compuso la realidad político-social del Antiguo Régimen, lleva
a una serie de contradicciones y a articular la realidad histórica
con conceptos que no encuentran clara correspondencia con
las categorías de “modernidad” y que nos envían a una plura-
lidad de instituciones y de recorridos teóricos y disciplinarios
(por ejemplo, el mundo de la Corte), que existieron en la Edad
Moderna, y que no han sido tenidos en cuenta por los historia-
dores a la hora de explicar la composición política de la época.
Resulta sorprendente que, a pesar de la gran cantidad de
publicaciones sobre la Corte, aún no exista un concepto con-
sensuado e indiscutido para todos los investigadores. Cada una
de las definiciones utilizadas, han sido rebatidas o criticadas
rápidamente por otros estudiosos. Así, la Corte se ha identifica-
do con la “Casa real” (en las crónicas germánicas), con un “espa-
cio político” (sin especificar que tipo de espacio ni concretar
su extensión), con el “lugar donde está el rey” (sin señalar las
características de la Corte ambulante), con la sede de la “admi-
nistración central” de la Monarquía, etc. En su intento de com-
prensión, muchos historiadores han confundido algunas de las
funciones que se desempeñaban en la Corte con la esencia de
la misma; así, para un grupo de historiadores ingleses, la Corte
fue “el lugar de encuentro entre gobernantes y gobernados”, es
decir, consideran que las relaciones de poder no-instituciona-
les resultaban fundamentales en esta organización política; para
otros se caracterizó por una cultura específica, la de las “buenas
costumbres” (diferentes de las rurales); la centralización y ra-
cionalización de la jurisdicción con la articulación del territorio,
etc. Ante tal confusión, los especialistas han tratado de compa-
rar las Cortes de las diversas Monarquías europeas para extraer
elementos comunes y presentar un concepto en el que todos se
muestren de acuerdo.

A la búsqueda de una definición de Corte

Ya, en 1977, A.G. Dickens dirigió un ambicioso y novedoso


libro (The Courts of Europe. Politics, Patronage and Royalty, 1400-
1800, London 1977). En él, comenzaba definiendo cronológica-
José Martínez Millán La corte como modelo de organización política 23

mente el período en que surgió el fenómeno cortesano (siglos 2


Cfr. c. ossola, Il ‘luogo’ della Corte,
XV-XVIII), al mismo tiempo que hacía constar la generalización Le Corti farnesiane di Parma e Piacenza,
1545-1622, a cura di M. Romani, Roma
de este fenómeno en todos los reinos y territorios europeos, por 1978, pp. 39-40.
lo que invitó a distintos profesores para que realizasen sus estu-
dios sobre las distintas Monarquías. Se trataba de presentar un
estudio comparativo, pues justificaba el estudio de las cortes
elegidas, al mismo tiempo que concluía señalando la novedad
que representaba este fenómeno y el carácter interdisciplinar
que se derivaba de tales estudios.
Estos primeros estudios dieron lugar a una serie de in-
vestigaciones que, aunque compartían los resultados consegui-
dos en los primeros estudios, se plantearon de inmediato las
estructuras políticas que definían la Corte y sus relaciones con
las del Estado. Quienes primero se plantearon este medular
problema fueron los especialistas italianos, quienes se encon-
traron abocados a través de sus estudios sobre la Corte, rea-
lizados desde los elementos antropológicos y culturales de la
actuación cortesana. Así, el profesor C. Ossola, tras advertir de
que su investigación suponía tocar uno de los nudos cultura-
les y metodológicos de la Edad Moderna, señalaba los distintos
planos que concurrían en el fenómeno cortesano, «dei rappori
tra struttura e funzione, tra elemento stutturali e implicazioni
soprastrutturali di un fatto storico, tra gestione del potere ed
organizzazione del consenso; e nello stesso tempo della dificoltà,
preliminare, e quasi istituzionale giuridicamente, di “individua-
re” la corte, tra famiglia, signoria, dinastía, tra la legge di palazzo
e le magistratura cittadine, tra feudo e nascente statu moderno,
tra principe e cortigiano-funzionario, tra egemonizzazione ed
epifania dei potere» 2.
En el mismo libro, A. Stegmann definía la Corte con estas
rotundas palabras: “La Corte è una imagine simbolica dello Sta-
to conosciuto e approvato dalla collettività”. Por su parte, los
profesores Ferroni y Quondam completaban esta definición
analizando el fenómeno de la Corte como representación de
poder: «La Corte, dunque, come specifica forma del potere che
si manifesta, si mette in gioco (...) nella representazione di sé
come scena, sulla sua scena, come articolato/continuo manife-
starse di una compresiva ideología della rappresentazione e del
segno», al mismo tiempo que la proponían como tema de inve-
stigación para los historiadores desde el punto de vista cultural
y antropológico. Pocos años después, en las actas de otro con-
greso sobre la Corte, celebrado en Ferrara, los profesores Papa-
gno y Quondam, de nuevo, abordaban la definición de “corte”,
atribuyéndole como elemento constitutivo y esencial de la mis-
ma el concepto de “espacio”, al mismo tiempo que trazaban su
Siti reali in Europa 24
José Martínez Millán La corte como modelo de organización política 25

Diego Velazquez
Philip IV hunting Wild Boar (La Tela Real)
London, The National Gallery
Siti reali in Europa 26

evolución. Con todo, fue Cesare Mozzarelli – tal vez debido a su


propia formación – quien daba el paso definitivo de presentar
a la corte como una organización política propia de una larga
etapa de la historia de Europa, desde el siglo XIII al XIX, cuan-
do proponía identificar la “corte” con el “estado”: «(...) ritengo
di dover parlare della corte non in rapporto al problema delle
origini dell’attuale forma istituzionale statale, bensi in rappor-
to alla questione dei modi del potere e della Politica, superan-
do così sia le impostazioni più antiche (Corte versus Statu) sia
quelle più presentí (corte uguale Stato)» 3.
Sin embargo, no todos los investigadores estuvieron de
acuerdo con esta interpretación y desde el campo de la historia
del derecho, surgió una dura contestación: en 1994, los profe-
sores G. Chittolini, A. Molho y P. Schiera organizaban un nue-
vo congreso (esta vez en Chicago), con título muy significati-
vo 4 que dio por fruto un magnífico libro colectivo, en el que
querían poner en claro los orígenes del “estado”, o por mejor
decir, la genealogía de las estructuras estatales liberales. Sin em-
bargo, a pesar del claro objetivo “estatalista”, los directores de la
obra ya no pudieron excluir que se hablara sobre la “corte”. Por
su parte, el profesor Marcello Fantoni, tambien colaborador de
la misma obra, señalaba que el concepto de corte no se podía
estudiar desde los planteamientos del estado nacional, sino que
en sí mismo era una organización de poder con sus propias
características. En 1998, aparecía un ambicioso estudio tratando
de estudiar los aspectos económicos de la Corte, lo que indica-
ba que el fenómeno de la Corte era algo que no se podía obviar
en las investigaciones históricas 5.
En 1999, John Adamson volvió a proyectar una obra co-
lectiva sobre la Corte en la que se expusieran los logros alcanza-
dos y en la cual, una serie de prestigiosos especialistas, estudia-
ron la Corte. El esquema de la obra recuerda al que propusiera
Dickens en 1977; no obstante, la definición que Adamson uti-
lizaba para la Corte era mucho más amplia: «For in the period
between the Renaissance and the French Revolution, ‘the court’
defined not merely a princely residence – a lavish set of buil-
ding and their pampered occupants – but a far larger matrix
3
of relations, political and economic, religious and artistic, that
c. mozzarelli, Principe, corte e
governo tra ‘500 e ‘700, en Cultura e converged in the ruler’s household» 6.
idèologie dans la gènese de l’État Moderne, Sin duda ninguna, esta vaga definición (que es más una
Roma 1985, p. 370.
4
descripción de las actividades que se realizaban en la Corte)
Cfr. Origini dello stato. Procesi di
formazione statale in Italia fra medievo ed permitía realizar una diversidad de estudios desde la nueva
età moderna, a cura di G. Chittolini, A. historia cultural, corriente metodológica que es la que se está
Molho, P. Schiera, Bologna, Il Mulino,
1994. imponiendo y que no ofrece discrepancias y enfrentamientos
5
Cfr. m. aymard y m.a. romani, La entre historiadores. De esta manera, la Corte aparece como un
Cour comme institution économique, Paris
1998.
6
j. adamson, The Princely Courts of
Europe 1500-1750, London 1999, p. 7.
José Martínez Millán La corte como modelo de organización política 27

centro de poder con una cultura específica, cuyas manifestacio-


nes (en el arte, en la literatura, en el comportamiento social, en
la educación, etc.) son las que se estudian. Buena prueba de ello
son las publicaciones recientemente aparecidas.
En efecto, durante los últimos años, los estudios sobre
la Corte han experimentado un auge espectacular, si bien, la
inmensa mayoría se han proyectado desde el arte y la cultura
en general, aunando esfuerzos desde las distintas materias hu-
manísticas y evitando pronunciarse sobre su definición política;
de ahí, que exista cierta ambigüedad a la hora de definirla y
que se prefiera dar una idea globalizante de la misma, como
hace, por ejemplo, Duindam, quien, en un intento de coordinar
y resumir todas las definiciones, afirma: «En todas las modernas
definiciones están presentes los conceptos de casa real y de go-
bierno». Otros, por el contrario, para darle entidad tangible, la
definen como un “espacio” en el que se desarrolla determinadas
“prácticas sociales” relacionadas con el poder.

La Corte, una organización política


con estructuras específicas

Compartiendo los planteamientos culturales que se han


realizado sobre la Corte y asumiendo como imprescindibles los
estudios que han resultado de ellos, es preciso insistir en la ne-
cesidad de definir el concepto de “Corte”.
En mi opinión, la Corte no se puede entender como un
espacio o “instancia de poder” (organismo central) dentro de un
paradigma estatal actual, sino que fue en sí misma una organi-
zación sociopolítica sobre las que se articularon las Monarquías
europeas desde el siglo XIII al XIX. Dicho modelo político tuvo
su justificación en la filosofía práctica aristotélica, asumida pos-
teriormente por el cristianismo: Aristóteles defendía la forma-
ción natural de la sociedad y de su organización política. En
su libro, La Política, comenzaba afirmando que “El hombre es
un animal social”, de donde deducía que, de manera natural, el
hombre se veía inclinado a formar la familia. Típico del modelo
aristotélico y de su reelaboración a lo largo de los siglos XVI y
XVII fue una visión de la política como salida necesaria de la
tendencia del individuo a una sociabilidad que desde la familia
se extendió, por razones históricas y funcionales, a formas de
convivencia civil y política cada vez más amplias. Si la familia
era la comunidad originaria que se creó para las necesidades
vitales y cotidianas, a la sofisticación de otras necesidades vi-
tales, del ámbito de los bienes de la administración de justicia,
Siti reali in Europa 28

proveyeron otras formas de comunidad civil: la ciudad, el prin-


cipado o el reino. Esta división, si de un lado implicaba el reco-
nocimiento de la prioridad lógica de la esfera doméstica, y con
ello la disciplina “económica” para regularla, de otro indicaba
la superioridad moral de la vida civil y política en cuanto ám-
bito del “bien común” y de la justicia. La filosofía práctica tenía
como fin la subordinación del trato humano a aquellos princi-
pios éticos y a aquellas virtudes que el padre, el ciudadano o el
príncipe, cada uno en el ámbito que le era propio, estaban lla-
mados a encarnar. Es preciso advertir cómo a la reproposición
de este modelo en la Edad medieval, siguió después, en la etapa
humanista y del Renacimiento, la tentativa de articular aque-
lla tradición en relación a los actores sociales bien distintos: el
príncipe, el cardenal, el gentilhombre, el propietario feudal. La
amplia producción de tratados del siglo XVI muestra el esfuer-
zo teórico por volver a proponer las concesiones de la filosofía
práctica frente de la modificación y de la articulación de una
sociedad cada vez más compleja y estratificada.
La articulación político-social, que se deduce de esta defi-
nición, sin duda ninguna, se regía por reglas distintas de aquellas
organizaciones políticas que emanaron de las teorías de T. Hob-
bes y seguidores, que consideraban al hombre como un animal
antisocial (Homo hominis lupus). Ello significaba que la entrada del
hombre en sociedad se tuvo que hacer a través de un acto muy
consciente del individuo y por voluntad propia; dado que nadie
podía confiar en su semejante, fue necesario recurrir al contrato
(contrato social). El filósofo inglés, no solo se mostró contrario a
la teoría aristotélica y a las reglas sociales y políticas que de ella
emanaban, sino que buena parte de su libro, el Leviatán, lo dedi-
có a criticar la jurisdicción de la Iglesia, que se había servido de
la filosofía clásica para organizar su poder y establecer una serie
de reglas jurisdiccionales sin fundamento.
Así pues, en la filosofía práctica de los clásicos se fun-
damentó la organización política del “sistema cortesano” (bien
es cierto que evolucionó a lo largo de los siglos), por lo que
las relaciones personales: los grupos de poder, la costumbre, el
clientelismo y el patronazgo fueron los elementos que articu-
laron la sociedad cortesana (elementos que no son tenidos en
cuenta – o son considerados accidentales – dentro de la orga-
nización política del Estado liberal o de la que dimana del “in-
dividualismo posesivo” hobbesiano). La “familia”, la “dinastía”
y el “príncipe” son los conceptos desde donde se debe iniciar
nuestra investigación para explicar la organización del poder de
las monarquías modernas y la conducta ético-política (así como
los valores) que los príncipes asumieron, tenían una justifica-
José Martínez Millán La corte como modelo de organización política 29

ción distinta de los que se deducen de un estado liberal. Por


consiguiente, las manifestaciones culturales, las redes de poder,
las etiquetas, la educación y las manifestaciones de poder ad-
quieren un poder esencial, pues constituyen la auténtica trama
y configuración de las Monarquías modernas.
Evidentemente, estos fundamentos políticos no dieron
por resultado una organización “estatalista” europea del Anti-
guo Régimen, sino que las monarquías se articularon en tor-
no a un modelo, que podemos denominar, “cortesano”; esto es,
núcleos o instancias de poder en los que residía el “monarca
con su Casa, sus Consejos, tribunales y cortesanos” (definición
que dio Alfonso X el Sabio en la IIª Partida), que no estaban en
el mismo lugar o espacio, sino repartidos por el Reino y que ar-
ticularon su territorio bajo la jurisdicción real, quien gobernaba
como pater familias.

a) la corte y la articulación jurisdiccional del reino


La política europea desde el siglo XIII al XVIII se ca-
racterizó por la visión personal de los príncipes sobre los gober-
nados, por el peso de la nobleza sobre la política y por el influjo
de la Iglesia en definir las normas políticas. Las Monarquías
europeas de la Edad Moderna, a pesar de que a veces pudie-
ron comportarse como “Estados burocráticos e impersonales”,
estaban orientadas hacia la personas del rey, quien concentró
diferentes formas de poder y de recursos materiales entre sus
manos. De esta manera, a través de una distribución selectiva
de favores y mercedes, los monarcas pudieron mantener unas
relaciones de dependencia y perpetuarse en el poder.
Lo que se entiende por “Estado moderno” fue una ficción
de los juristas, quienes contribuyeron a crearlo a través de un
discurso preformativo sobre la res publica. La filoosfía política
que los tratadistas políticos de la época produjeron, no fue des-
criptiva, sino constructiva de su objeto y aquellos estudiosos
que tratan las obras de tales juristas como simples teóricos del
Estado, se incapacitan para comprender la contribución pro-
piamente creativa que el pensamiento jurídico aportó al naci-
miento de las instituciones. Los letrados de la época, a través de
recursos comunes, ofrecieron los medios de pensar realidades
que resultaban impensable y propusieron un arsenal de tecni-
cismos y de modelos de organización y un capital de soluciones
a través de la aplicación normativa en casos precedentes.
La creación de instituciones generales, emanadas de estos
principios, capaces de integrar toda la sociedad con el fin de
gobernarla, esto es, de admitirlas como instancias preeminen-
ciales a las de casa, sector o estamento, fue un proceso largo que
Siti reali in Europa 30

alcanzó buena parte de la Edad Moderna sin que ello conllevara


la supresión de las relaciones personales que venían rigiendo
desde etapas anteriores. Para lograrlo, los monarcas tuvieron
que integrar a todos los grupos sociales del reino dentro de su
jurisdicción, articulando la sociedad a través de una serie de
redes de poder no institucionales. Sin duda ninguna, instancias
de poder como la Corte, la Casa Real o los Consejos y tribunales
de justicia aumentaron su importancia o se transformaron con
el fin de poder llevar a cabo este proceso.
En efecto, a partir de la Baja Edad Media, los monarcas fue-
ron creando una serie de organismos, no solo para cubrir su ser-
vicio personal, sino también para administrar los reinos. Ahora
bien, ante la imposibilidad de poder ejercer su jurisdicción sobre
sus súnditos, dado su número y extensión, los monarcas crearon
organismos en dceterminadas ciudades, a los que se consideró
parte de la Corte real. Tal vez, los más relevantes fueron los relati-
vos a la administración de la justicia (Audiencias y Chancillerias),
función específica del monarca, que se crearon ante la imposi-
bilidad de impartirla personalmente, pero no fueron los únicos.
Los príncipes también mostraron su intereés en el gobierno de
las ciudades a través de la creación de organismos o el nombra-
miento de oficiales (corregimientos y regidores).

b) el control del territorio: los sitios reales


La transformación de la Corte en una organización po-
lítica que articuló todo el Reino también se tradujo en una evo-
lución en el control del territorio, cuya expresión máxima cul-
minó en la realización de los catastros.
El mantenimiento de los Sitios Reales y descanso, así
como los lugares en los que cazaba el rey –una de las formas
de control del territorio- llevó a cabo la creación de un depar-
tamento especializado por el que los soberanos castellanos
estructuraron una red de residencias y palacios en los lugares
de caza y recreo, además de una organización jurisdiccional. De
esta manera, las cacerías dejaron de ser una competencia exclu-
siva del departamento de la Casa Real (montería y volatería) y la
construcción y renovación de los Sitios Reales hizo necesario
la creación de un organismo que coordinase el gobierno de los
mismos: la Junta de Obras y Bosques.
Tradicionalmente se ha considerado que la Junta fue
establecida el 5 de mayo de 1545. Así lo afirmaron los cronistas
que han escrito sobre el tema. No obstante, parece que se inició
en el contexto de reformas de las casas y residencias reales que,
a partir de 1534 se llevaron a cabo. De la organización adminis-
trativa de los Sitios Reales que comenzó, a partir de 1537, no
José Martínez Millán La corte como modelo de organización política 31

consta que contase con unas competencias y funcionamiento 7


AGP, AG, leg. 370.
claros como le han atribuido los tratadistas que escribieron
sobre ella: «La Junta de obras y bosques tuvo principio y, por
costumbre, está asentada desde el año de 1545 a esta parte. Ha
tenido y conservado jurisdicción privativa en todos los casos y
cosas que dependen della: tratamiento de todas las casas, alcáz-
ares y bosques reales, de su administración y gobierno, como
son: alcázar de Toledo, alcázar de Segovia, casas de Balsain y
la Fuenfría, casas rs. de Valladolid, el abrojo y Tordesillas, al-
cázar de Madrid, casas del Pardo y campo, Buen retiro, sitio de
Aranjuez, San Lorenzo el Real, alcázares de Sevilla, con el bo-
sque del Lomo del Grillo, alambra de Granada y soto de Roma-
della, ingenio de moneda de Segovia, caballeriza de Cordoba» 7.
En cuanto a la jurisdicción que tenía en relación con los
Sitios Reales, la Junta, se ocupaba toda actividad «determinada
y cierta [...] para su administración y cobranza, y para hacer las
expensas ordinarias, paga de sueldos, gajes y salarios», sobre lo
cual también dictaba instrucciones. Y de las obras en dichos lu-
gares «por ella [ la Junta ] se hace la planta, traza y condiciones, y
la competente provisión de materiales y dineros». De este modo,
era la propia Junta, y no los oficiales que directamente se encar-
gaban de las obras, la que cuidaba de la provisión de materiales,
compras y pagos, como medio de evitar los frecuentes fraudes y
abusos que podían darse en este ámbito.
Pero además de las propiedades que el monarca directa-
mente ejercía su poder, el control de todo el territorio de los
Reinos, se hizo a través de los catastros, inventarios del suelo
efectuado por la autoridad real con fines diversos, pero espe-
cialmente fiscales. Ciertamente, los monarcas habían extendido
su jurisdicción sobre las relaciones interpersonales, que confor-
maban la Monarquía, pero en segundo lugar lo hicieron sobre
el territorio. Los catastros modelaron las relaciones sociales y
políticas. Los que se realizaron en el siglo XVIII iban dirigidos
a controlar el ámbito local desde la “administración central”, lo
que suponía un elemento desestabilizador de los equilibrios
políticos y sociales del reino. Con todo, la iniciativa del catastro
constituye un cambio cualitativo en el proceso de centralización
y un cambio de las bases tradicionales de los sistemas monár-
quicos europeos (comenzando por los estamentos), anunciando
la aparición de una nueva forma de estructura social, que con-
llevaba el cambio del sistema cortesano al Estado liberal.

José Martínez Millán


Diego Velazquez
Philip IV hunting Wild Boar (La Tela Real), detail
London, The National Gallery
ENTRE REALES SITIOS DE ESPAÑA,
“CORONAS DE DELICIAS”
DE LOS SABOYA Y RESIDENCIAS
NAPOLITANAS
DE LOS BORBONES

El estudio de la corte no puede prescindir de conside-


rar el ambiente urbano o natural en el que ésta se inserta o al
cual ella se contrapone. Tradicionalmente, quienes han presta-
do atención a estos aspectos, con una gran riqueza cuantitativa
y cualitativa, han sido los historiadores del arte o arquitectos,
los cuales han tenido como objeto de análisis la forma urbis, las
rectas viarias, los espacios públicos extra palatinos, los signos
del poder diseminados sobre el “territorio”, los legados entre
los lugares sagrados y el palacio del príncipe, así como los espa-
cios festivos; lo que no se corresponde, hasta los últimos años,
en un igual interés por parte de los historiadores; sobre todo
para los espacios festivos, para los cuales, la arquitectura de los
palacios o los diferentes sitios reales, en sentido amplio, con-
stituyen un aspecto accesorio de la “estatalidad”, más que una
expresión de la magnificencia principesca.
Esto ha hecho que la validez ideológica, la semántica sa-
grada y la evidencia de cómo construir el espacio político hayan
permanecido en una especie de tierra de nadie, por este motivo
en la historiografía sobre tales temas prevalecen las monografías
sobre los Sitios reales desde el punto de vista artístico-histórico.
La pluralidad de modos, de elementos y de léxicos a tra-
vés de los que la ciudad y el territorio, en el conjunto de sus
componentes, o los espacios de poder viene transformada en
un sistema de signos multiforme, polisémico y modulado por
diversos niveles de percepción, redundan en el hecho de la ar-
quitectura y en los lugares y sitios reales de esparcimiento de
los soberanos, digna de ser tenida en cuenta entre las fuentes
fundamentales para el estudio de la política.
Se parte, en esto, del presupuesto que la arquitectura no
puede ser puesta sobre el mismo plano de las artes plásticas y
Siti reali in Europa 34

figurativas, como simple idioma de la representación del poder.


Sus características no hacen un fenómeno bastante más com-
plejo en sentido político, porque es el arte universal que asume
en sí todas las otras, porque constituye la expresión más genu-
inamente pública, explícita y visible imponente de la ideología
política, porque moviliza recursos humanos y financieros de en-
tidad inconmensurablemente más grandes respecto a las otras
artes. Pero toda arquitectura tiene un consenso político por la
correspondencia entre diseño urbano, orden social e idea de
buen gobierno, porque – siendo la actividad por excelencia en
que se sintetiza la magnificencia – a través de ella se mezcla el
interés de virtú de un príncipe.
Las construcciones arquitectónicas, las intervenciones
urbanísticas difusas o circunscritas en el territorio, los proyec-
tos más o menos orgánicos y la ciudad ideal (más o menos tra-
ducida a la práctica), son parte integrante del ejercicio del poder
principesco y no meros fenómenos mecanicistas; son códices
constitutivos de la autoridad y no efímera representación de la
misma. El acto de construir y del actuar político están siempre
íntimamente unidos.
En este sentido, desde la metodología de los estudios de
la Corte, los Sitios Reales de los monarcas europeos cobran un
significado mucho más relevante al hecho puramente artístico
y se sitúan en el contexto de la formación y evolución de las
Monarquías. Estos lugares sirvieron de estancia a los reyes y a
sus cortes ambulantes durante la Edad Media, reconociéndose
la propiedad sobre ellos. En el caso de la Monarquía Hispana,
cuando Carlos V llegó a la Península (1517) se encontró práctica-
mente hecho e integrado en el Patrimonio Real un sistema de
casas reales, con sus edificios y espacios de servicio. En Castilla
estos lugares serían, sobre todo, los Alcázares de Segovia, Madrid,
Toledo y Sevilla, la Alhambra en Granada y los cazaderos de El
Pardo, Valsaín, Aranjuez, Soto de Roma en Granada y el Lomo
del Grullo en Sevilla. Si bien, con el asentamiento de la corte en
Madrid (1561) las visitas a estos lugares se hicieron más esporá-
dicas y algunos de ellos cumplieron unas funciones de comple-
mento a la Corte: lugares de recreo para determinadas estacio-
nes (desde entonces, hasta Isabel II (siglo XIX) los reyes seguían,
como el sol, un curso regular alrederor de estos espacios. Así, a
comienzos de año la corte se desplazaba a El Pardo, donde se
pasaba el invierno, se regresaba a Madrid para la Pascua; después
se iba a Aranjuez a disfrutar de la primavera, en verano iban a
Valsaín – después, tras su incencio, la Granja – , donde salían
en octubre para El Escorial, donde permanecía hasta comienzos
de diciembre, cuando se regresaba a Madrid.), cotos de caza, etc.
F. Labrador Arroyo, P. Rossi Entre Reales Sitios de España 35

Al mismo tiempo, los cambios operados en la corte mofidicaron


el funcionamiento y “lustre” de los Reales Sitios, como resulta
lógico, y tuvieron un claro reflejo en el ceremonial y el estilo ar-
tístico de dichos lugares, para adecuarlos a las nuevas realidades
y necesidades. El siglo XVII fue el siglo del Barroco, en el cual
las estructuras urbanas se fueron adecuando a ser espacios des-
tinados a las Fiestas, en especial en aquellos lugares dónde iba
a estar presente tanto la familia real como los personajes y corte
que les servían.
El siglo XVIII, por su parte, supone un cambio significati-
vo en lo que respecta a los Sitios reales, pues su planteamiento,
como señaló Tovar Martín, se llevó a cabo desde criterios au-
tónomos, desde el valor del límite del espacio natural, desde el
ordenamiento territorial como hecho urbano, desde la relación
dialéctica de ciudad y de campo o desde la ambición culta y
laboriosa de congregar sabiamente las artes en su dimensión y
aparato formal, lo que se observa, por ejemplo, en Aranjuez, El
Pardo o la Casa de Campo. Es en este siglo, además, se terminan
o desarrollan muchos de los grandes conjuntos como La Granja
(fundada en 1720), que sustituyó a Valsaín, Riofrío (antojo de la
reina Isabel de Farnesio) o el Real Sitio de San Fernando de
Henares, así como la construcción del nuevo Palacio Real de
Madrid (obra de Juvarra, Sacchetti y Sabatini), que sucedió al
viejo Alcázar de los Austrias, incenciado en 1734. Asimismo, en
esta centuria, sobre todo con Carlos III, se procedió a desvincu-
lar algunos de los sitios más antiguos y con excaso uso, cedien-
do su uso al ejército, caso del Alcázar de Segovia, o a la iglesia,
como el Alcázar de Toledo.
Los diferentes programas llevados a cabo en los sitios
reales se extienden también al territorio, tanto en aspectos
experimentales agrícolas y hortelanos con preocupación cien-
tífica, como en un experimentalismo arquitectónico urbano de
carácter rústico de gran variedad lingüística, relacionando la ar-
quitectura y la naturaleza con base en la cultura clásica. Llevó,
asimismo, a importantes cambios en la organización agraria y
valor funcional de los espacios aledaños. Así, es difícil enten-
der obras como la Real acequia del Jarama, sin tener presente
que una parte del trazado de la misma pasa por el Real Sitio
del Gózquez, ligado al entramado Escurialense por decisión de
Felipe II, y que buena parte de los productos de esa vega ten-
drían como destino en conjunto de Aranjuez. Importante en la
centuria de las Luces respecto al siglo anterior será también
que algunos de Sitios Reales, como es el caso del Soto de Roma,
quedarán incluidos en un plan de reforma de usos y autofinan-
ciación que diseña e implemente el Secretario de Hacienda,
Siti reali in Europa 36

primero de Felipe V y después de Fernando VI, don Cenón de


Somodevilla, I marqués de la Ensenada.
Los sitios reales, por tanto, nos muestran la evolución de la
organización política de la Monarquía, al tiempo que estructuran
y organizan un gran espacio “cortesano” que polariza territorios
y poblaciones aledañas y transforma y reestructura paisajes. El
siglo siguiente supone la desaparición de algunos de estos luga-
res y la desmembración de su entorno, pero, desde el punto de
vista del investigador, tiene como ventaja que de algunos de ellos
se levanta una cartografía de gran interés escasamente estudiada
y buena parte desconocida que recoge el punto de inflexión en
los usos y paisajes de algunos de esos espacios.
En este sentido, Hortal Muñoz realiza una panorámica de
la evolución del personal de los Sitios reales de Castilla desde
los últimos Habsburgo hasta tiempos de los primeros Borbones,
con el fin de observar a través de esta visión cómo el reinado de
Felipe IV dio inicio a una tendencia que continuaron sus suce-
sores; que era que dichos lugares pasaron de ser la periferia del
sistema de Corte a estar integrados en el mismo, fundamental-
mente, por la relevancia de los mismos (los Sitios Reales); pro-
ceso que debemos insertar en el contexto de las reformas que
iba a sufrir la Monarquía y de la crisis del sistema que integró
y articuló la Monarquía Hispana desde tiempos de Carlos V. El
análisis se detiene en el reinado de Felipe V, cuando el modelo
anterior, comienza a modificarse, si bien no se modificó el tipo
de personal adscrito a estos sitios reales hasta el reinado de Car-
los III, mediante la creación del sistema de Sitios Reales y su
incorporación a la vida cotidiana de los reyes y su Corte a través
de las Jornadas Reales. A continuación, en mi estudio se analiza
la evolución del gremio de la caza de la volatería a lo largo del si-
glo XVII, en un momento de reconfiguración de la corte y de los
sitios reales, de una grave crisis económica y de crisis de identi-
dad, de diseño del modelo de gobierno. La volatería, junto con
la montería, era uno de los departamentos de la casa real encar-
gado de cubrir las necesidades cinegéticas del monarca, cuya ac-
ción se llevaba a cabo en los sitios reales (muchos de los mismos
tuvieron su origen en sus magníficas cualidades cinegéticas).
Por su parte, Castaño Perea presenta en su trabajo las re-
formas arquitectónicas que Felipe V llevó a cabo en el Alcázar
de Madrid desde comienzos de su reinado hasta 1734, fecha del
incendio del viejo alcázar, tras resumir, en la primera parte, las
transformaciones documentadas de dicho lugar desde su ori-
gen como alcazaba árabe hasta ser la sede de la dinastía de los
Habsburgo. En su análisis, describe como Felipe V, en contra de
la visión tradicional, no estaba tan a disgusto con el palacio de
F. Labrador Arroyo, P. Rossi Entre Reales Sitios de España 37

los Austrias y como fue, poco a poco, adecuándolo a su estilo,


creando pequeños lugares y estancias donde pasaba con agrado
buena parte de su tiempo, como son la Pieza de Furias, la refor-
ma de la capilla o el Salón Grande. Por último, en el trabajo de
los profesores Camarero y Urteaga, siguiendo esta aproxima-
ción interdisciplinar de los Sitios Reales (historia, arquitectura
y geografía), a través de una documentaticó inédita, de extraor-
dinario valor geográfico e histórico, analizan el levantamiento
cartográfico del Real Sitio de San Ildefonso – sitio real por an-
tonomasia del primer rey Borbón, Felipe V –, y su anexo el Real
bosque de Riofrío, para conocer su influencia sobre el territorio
aledaño y su evolución geo-histórica desde sus orígenes.

Félix Labrador Arroyo

En Europa, entre España e Italia, a través de las principa-


les capitales europeas como Madrid, Turín y Nápoles: son estas
las etapas de un viaje imaginario propuesto por las páginas del
libro, donde se entrelazan y se desarrollan “historias” notas y
contribuciones renovados de lectura sobre el fenómeno de los
“Reales Sitios”. Entre los temas se distinguen el estudio de la
“corte” como un exemplum del poder y de su representación; la
organización del territorio y de los centros de producción como
lugares de posible desarrollo económico; la historia de las ar-
quitecturas, del encargo y de los artistas; el análisis de las zonas
urbanas y de los originales aspectos productivos; la literatura, la
iconografía histórica y también el análisis del territorio, a veces
irreversiblemente transformado, recuperado/a recuperar y valo-
rizado/a valorizar en el paisaje contemporáneo.
Las “historias” de estas arquitecturas extraordinarias son
revisadas a la luz de modelos y de estudios que ponen el modelo
cortesano al centro de las relaciones de poder y de la definición
de un “esprit de systéme”. Nuevas contribuciones y otras consi-
deraciones marcan, aparecen y se suceden sobre temas que a lo
largo del siglo XX y hasta hoy en dia, han tenido gran éxito de
crítica y amplia producción historiográfica.
La secuencia de los contribuciones – que presentan ra-
sgos caracterizados por similitudes y implicaciones históricas
comunes – imponen la necesidad de estudiar el fenómeno de
las residencias reales y de caza en su conjunto y luego llegar a la
lectura de las transformaciones arquitectónicas como resultado
final de una compleja y general dinámica cultural.
Asì surgen a través de las páginas del libro, leyendo frag-
mentos y mirando a la iconografía, contaminaciones y referen-
Siti reali in Europa 38

cias inmediatas que pertenecen a los rasgos comunes de una


cultura europea dominante entre los siglos XVII y XVIII.
Los palacios del poder, las residencias de caza y las pers-
pectivas de arreglo territorial siguen siendo hoy en día, en
España y en Italia, los lugares peculiares de un patrimonio cul-
tural único.
Nuevos aspectos, por tanto, nacen da la idea de implicar a
académicos de diversas universidades de España y de Italia (Rey
Juan Carlos y Autónoma de Madrid, de Alcalá, Universitat de
Barcelona; Politecnico di Torino y las universidades de Campa-
nia: Federico II, Seconda Università y Suor Orsola Benincasa di
Napoli), con la contribución de instituciones culturales, como el
Consorzio La Venaria Reale di Torino y el Instituto Universitario
de la Corte en Europa – IULCE.
Un intento de comparar tanto las escuelas historiográfi-
cas quanto las “historias” escritas por diferentes disciplinas en
la huella de una rica tradición de investigación académica y de
posibles/futuras estrategias de planificacion.
Por supuesto, este volumen no puede y no quiere ser
exhaustivo sobre un tema que ha cautivado a generaciones de
estudiosos, pero supone representar sic et simpliciter un invito a
una relectura ilustrada que ha sido posible gracias a la generosa
contribución de la Fundación Roma-Mediterraneo que promo-
vió la realización de la idea del estudio.
Una base para la colaboración futura. Un “trabajo en cur-
so” para la investigación (open data source) utilizando los len-
guajes multimediale contemporáneos y la comunicación con-
temporánea, para ser puesto al servicio del conocimiento, para
la valorizaciòn de los sitios y el desarrollo de un turismo cultu-
ral dirigido a un futuro proyecto comun.
Por eso se pasa – después de una sección dedicada al ex-
traordinario sitio de San Leucio por Fernando IV de Borbón,
con ensayos de Lucio d’Alessandro y Fabio Mangone – a los
Reales Sitios de España (con una sección dedicada a los estu-
dios sobre Madrid y sus alrededores ya descrita anteriormente)
a las “Coronas de Delicias” de los Saboya (Turín y alrededores)
analizadas en los ensayos de Andrea Merlotti y Paolo Cornaglia,
y luego a los Sitios Reales de Nápoles y de sus alrededores.
En la sección napolitana se encuentran: la síntesis de las
obras de Carlos de Borbón en Nápoles sobre la cuestión de la
residencia y de la caza y también la representación del paisaje
y la fortuna crítica de la iconografía, propuesta e ilustrada en el
trabajo de Salvatore Di Liello; pero sobre todo la importancia
de las residencias borbònicas como lugares estratégicos desti-
nados a la producción, efectivamente descritos por Francesca
F. Labrador Arroyo, P. Rossi Entre Reales Sitios de España 39

Castanò, que es “trait d’union” con la sección de los estudiosos


españoles. El volumen concluye con un apéndice documental
sintético de informes de viajes recopilados por Matteo Borriello
y una bibliografía de las obras citadas en las notas por todos los
autores, escrita por Luciana Trama.
Dejamos a la curiosidad del Lector la oportunidad de em-
prender un recorrido, de Madrid a Turín y por fin a Nápoles, en
una especie de itinerario imaginario entendido como un “viaje
cultural” temáticos, que es también la propuesta de un “Real
Tour”, que sigua los pasos de los Viajeros que han visitado du-
rante más de dos siglos, los palacios reales y los sitios, viviendo
plenamente “lugares del alma” y “memoria de l’antiguo”.

Pasquale Rossi
Territorio,
organizzazione sociale
e produzione
LUCIO D’ALESSANDRO

SAN LEUCIO
UN PROGETTO SOCIALE
E CULTURALE

«(...) Oltre i padri, e le madri di famiglia, che


travagliano, sono già impiegati nelle manifatture
molti figliuoli, dell’uno e dell’altro sesso (...). Essendo
voi dunque tutti artisti, la Legge che io v’impongo,
è quella di una perfetta uguaglianza.
(...) Questa norma, e queste leggi da osservarsi dagli
abitanti di S. Leucio, che da ora innanzi considerar
si debbono, come una medesima famiglia, son
quelle, che Io quì propongo, e distendo, più in forma
d’istruzione di un Padre a’ suoi figli, che comandi di
un Legislatore a’ suoi sudditi. (…)
Questa è la legge che io Vi do per la buona condotta
di vostra vita. Osservatela, e sarete felici.»

Ferdinando IV di Borbone
1789
1.
La statura marmorea di Ferdinando IV nel
complesso di San Leucio.
(foto di F. Soprani)
Premessa 1
Il presente saggio è una
riedizione, riveduta e aggiornata, di un
contributo già apparso negli Annali
Sull’Origine di S. Leucio e dei suoi progressi tanto è stato dell’Università Suor Orsola Benincasa
nel 2009: l. d’alessandro, L’utopia di un
scritto, indagato e analizzato da diverse angolature, con focus
re tra gestione degli spazi e contraddizione
disciplinari variegati che inevitabilmente si intrecciano nella dei tempi, pp. 69-81.
narrazione di un sito unico che rappresenta in modo emblema-
tico l’“utopia di un re tra gestione degli spazi e contraddizione
dei tempi” 1.
Ma è anche lo straordinario fascino dei Reales Sitios e della
bellezza di un territorio tra le “delizie di Caserta”, la nuova capi-
tale del regno di fondazione carolina, il successivo esperimento
ferdinandeo di fondare una nuova Colonia, ispirata dall’“illumi-
nazione sovrana” nel tentativo di governare lo spirito “rivoluzio-
nario” del tempo, proprio nel 1789.
Sono temi intriganti che tuttora rappresentano un ter-
reno di discussione e di studio, di recupero delle fonti storio-
grafiche, documentarie e iconografiche per le quali sarebbe
necessario istituire e progettare una banca dati aperta sul web,
consultabile e aggiornabile. Un progetto di “Cultural Open
Sources” per archiviare documenti, recuperare ricerche, im-
magini storiche e attuali, e per aprire possibilmente un porta-
le della cultura europea sul tema delle residenze reali e della
caccia come strumento di potere/rappresentazione delle corti
europee, e come momento fondamentale di sviluppo e valoriz-
zazione del territorio.
Un tema comune della cultura europea che è alla base
della collaborazione scientifica e didattica stipulata con l’Uni-
versidad Rey Juan Carlos de Madrid e con gli studiosi spagnoli,
che insieme ad altri ricercatori italiani, hanno contribuito alla
stesura di questo volume.
Il sito reale di San Leucio 44

Aspetti storici e sociologici si coniugano simbolicamente


con la progettazione degli spazi e con le forme delle nuova città
ispirate alle teorie sullo sviluppo urbano in età illuministica.
Il disegno della nuova città ferdinandea – i cui abitanti
dovevano godere degli stessi diritti e doveri – era basato su una
forma circolare, secondo un ideale di eguaglianza in assoluta
aderenza a idee di utopia sociale, già sperimentate in Francia
2. da C. Nicolas Ledoux per le Saline Reali di Arc et Senons nella
Frontespizio di Origine della popolazione di
S. Leucio... di Ferdinando IV Re delle Sicilie, con foresta di Chaux durante il regno di Luigi XV. Il progetto di una
testo a fronte in latino, edizione del 1792, curata da nuova città basata sul lavoro, con condizioni di vita egualitaria
Vincenzo Lupoli, stampata per sovrana autorizzazio-
ne, dalla Tipografia di Michele Migliaccio. per tutti gli abitanti, avviato nel 1771, che però era rimasto co-
munque incompiuto.
La creazione dello “Statuto Leuciano” con il borgo pro-
duttivo ideale voluto dal sovrano si inserisce proprio nel sol-
co di questa esperienza europea e delle nuove idee del tempo
grazie anche alla fortuna critica e alla circolazione dei disegni
degli architetti che, in litografia, avevano avuto una vasta dif-
fusione. Ma allo stesso tempo viene recuperata una tradizione
appartenente ai Borbone spagnoli improntata sullo sviluppo di
centri autosufficienti intorno alle residenze reali, favorendo così
la creazione strutture atte a nuovi processi di occupazione e in-
tegrazione delle classi popolari e alla crescita del territorio.
Un aspetto che si ritrova nella letteratura sul tema e che,
in questo volume, appare in modo ancora più nitido grazie ai
contributi pubblicati dai colleghi spagnoli.
Il progetto di San Leucio, un’“utopia sociale e cultura-
le”, intrapresa nell’ultimo quarto del XVIII secolo, prevedeva

3.
Dettaglio della tavola topografica di Caserta e
dintorni, allegata al volume di Ferdinando Patturelli,
Caserta e San Leucio, Napoli, dalla Reale Stamperia,
1826.
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 45

un impianto urbano di forma tonda con la costruzione di una 2


Si confrontino a titolo di
piazza centrale e con spazi contigui destinati a un teatro e a una bibliografia essenziale: Notizie del bello,
dell’antico e del curioso della città di
chiesa. Tra le strade radiali definite dalle costruzioni continue si Napoli per li Signori Forastieri raccolte
dal canonico Carlo Celano napoletano,
doveva realizzare un tipo edilizio che, secondo il progetto attri-
Napoli 1792, a spese di S. Palermo; f.
buito a Francesco Collecini, era basato su un modello di case a patturelli, Caserta e S. Leucio, Napoli,
1826; g. tescione, Statuti dell’arte della
schiera composto da singole unità abitative. La residenza (a due
seta a Napoli e legislazione della Colonia
piani) era formata da un piano terra (lievemente sottoposto al di S. Leucio, Napoli, siem, 1933; id., S.
Leucio e l’arte della seta nel Mezzogiorno
piano del livello stradale) con annesso giardino nella parte re- d’Italia, Napoli, Montanino, 1961;
trostante e due vani per ciascun livello (inferiore e superiore). In e. battisti, S. Leucio presso Caserta,
recupero di un’utopia, in «Controspazio»,
corrispondenza dell’ingresso dell’abitazione era posto un telaio n.4 (1974), pp. 50-60; aa.vv., S. Leucio.
per la tessitura, lavorazione della seta e la produzione manifat- Archeologia, storia, progetto, Milano,
Il Formichiere 1977; g.c. alisio,
turiera, cui partecipavano tutti gli abitanti della città 2. Urbanistica napoletana del Settecento,
Una città ideale basata sul lavoro, sulla produzione della Bari, Dedalo libri,1979, pp. 41-43. Su
recenti acquisizioni e per l’analisi delle
seta, un virtuoso exemplum che doveva garantire alla comuni- fonti documentarie esistenti presso
tà di “artisti” le stesse condizioni e la stessa qualità della vita l’Archivio della Reggia di Caserta e
altre sedi archivistiche si veda: Alle
nell’osservanza quotidiana della carità cristiana e delle leggi so- origini di Minerva trionfante. Caserta e
vrane promulgate dallo statuto leuciano. l’utopia di S. Leucio. la costruzione dei
Siti Reali borbonici, a cura di i. ascione,
g. cirillo, g.m. piccinelli, con una
prefazione di L. Mascilli Migliorini,
Roma, Ministero per i Beni e le Attività
Sulle “origini e utilità” del sito Culturali. Direzione Generale per gli
Archivi, 2012.
3
Il primo insediamento di San Leucio risale al 1773, quando ferdinando iv di borbone, Origine
della popolazione di San Leucio e suoi
Ferdinando IV, re di Napoli, resosi conto che “le delizie di Ca- progressi fino al giorno d’oggi colle
serta” e della magnifica reggia, voluta dal padre ed edificata dal leggi corrispondenti al buon Governo di
Essa, Napoli, nella Stamperia Reale,
Vanvitelli, troppo somigliavano al rumore della città di Napoli e MDCCLXXXIX, p. III.
della sua vociferante Corte, decise – come egli stesso ricorderà
nel suo opuscolo sulla Origine della popolazione di S. Leucio, pub-
blicato nel 1789 – di scegliere, nella «villa medesima (...) un luogo
più separato, (...) quasi un romitorio» che più lo predispones- 4.
Caserta e dintorni, planimetria allegata al volume di
se «alla meditazione ed al riposo dello spirito» 3. A una siffatta Ferdinando Patturelli, cit., 1826.
Il sito reale di San Leucio 46

esigenza gli parve senz’altro corrispondere il comprensorio di


San Leucio, che era entrato, con tutto il feudo casertano, a far
parte della proprietà della Corona in forza dell’acquisto fattone
nel 1750 dall’augusto genitore Carlo unitamente alla consorte, la
regina Amalia, dalle mani dell’antico feudatario, il conte Miche-
langelo Gaetani d’Acquaviva. Immediatamente confinante con
il parco della reggia vanvitelliana, dal cui fondo vi si accedeva,
quell’area già ospitava l’antico casino del Belvedere, edificato da-
gli Acquaviva secondo la moda delle nobili dimore di campagna
di tradizione rinascimentale, le quali dovevano, tra rovine più o
meno autentiche, boschetti e rigagnoli, unire alla bellezza delle
fabbriche – l’amenità della natura, così da rendere possibile ai
nobili abitatori il non meno nobile otium di tradizione classica.
Prima destinazione del sito fu per Ferdinando quella di
riserva di caccia (a questo fine si provvide anche a murare il
bosco perché la cacciagione non potesse sfuggire) così come
era avvenuto anche per la Reggia sulla collina napoletana di
Capodimonte, e per scopi appunto venatori re Ferdinando fece
dunque costruire un ulteriore apposito casino, adibito (anche) a
dimora rustica sua e della regina Maria Carolina d’Austria. L’e-
dificio cessò, tuttavia, di essere usato come abitazione, allorché
nel 1778 ebbe a morire l’erede al trono, il principino Carlo Tito
di appena tre anni.
5. A partire da quella data, abbandonato lo scenario di ri-
Antico telaio per la tessitura della seta.
(foto di F. Soprani) cordi così tristi, si provvide al restauro, quasi alla riedificazione
(tanto l’intervento fu radicale) dell’edificio degli Acquaviva, se-
condo un generale progetto di Francesco Collecini, che nel 1776
aveva trasformato il sontuoso salone delle feste del casino degli
Acquaviva in Chiesa Parrocchiale intitolata a San Ferdinando re,
facendovi sistemare due lapidi latine, una a memoria dell’antica
edicola di San Leucio, l’altra dedicatoria della Chiesa a San Fer-
dinando. Altre parti della ristrutturazione saranno affidate poi
all’architetto Domenico Brunelli, e successivamente a Giovanni
Patturelli 4, affinché divenisse una consona dimora del Sovrano
che, nonostante la disgrazia, non cessò di amare quei luoghi.
Ferdinando IV nello “Statuto” riferisce di come l’origina-
ria popolazione di cinque o sei individui da lui insediati «per la
custodia del Bosco, e per aver cura del [...] casinetto, delle vigne,
piantazioni, e territorj in esso recinto incorporati» si sia pro-
gressivamente accresciuta fino a raggiungere il numero di 134,
«attesa la favorevole prolificazione prodotta dalla bontà dell’aria,
4
e dalla tranquillità e pace domestica, in cui viveano» 5.
Per le notizie sugli architetti della
fabbrica, ed in particolare sul Patturelli Bontà dell’aria dunque davvero straordinaria se, ben pre-
(1770-1849), si veda b. morello, sto, gli abitanti, dall’originaria mezza dozzina (ma si erano aggre-
L’architetto Giovanni Patturelli e il
Real sito di S. Leucio, Edizioni Saletta gate altre famiglie) avevano ampiamente superato il centinaio, e
dell’Uva, 1992; id., La Cappella Reale
di S. Ferdinando Re al Belvedere di S.
Leucio, San Leucio, 1993.
5
ferdinando iv, op. cit., cap. V.
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 47

nel 1789, allorché il Sovrano istituì formalmente la colonia, pro-


mulgandone altresì le leggi, erano divenuti addirittura 214! Fu
così che Ferdinando, secondo quanto egli stesso racconta, pen-
sò di stabilire nel suo antico casinetto, onde evitare la crescita di
una «pericolosa società di scostumati», «una casa di educazione
pe’ figliuoli dell’uno e dell’altro sesso» 6. L’origine della colonia
si lega dunque all’idea di una scuola: non sembra inutile qui
sottolinearlo, ora che il sito è rinato negli ultimi anni soprattut-
to come insediamento formativo universitario!
Il regale racconto prosegue con la riflessione che la po-
polazione leuciana, benché “ben educata”, non avrebbe potuto,
una volta giunta a maggiore età, far altro che rimanere oziosa,
ovvero abbandonare il sito e, con esso, il Sovrano che tanto si
era prodigato per loro: non sarebbe stato in effetti possibile as-
segnarne al servizio reale che un numero esiguo. Di qui l’idea
di “ridurre quella popolazione” in crescente aumento (eviden-
temente sempre per la favorevole prolificazione prodotta dalla 6.
bontà dell’aria) come «utile allo Stato, utile alle famiglie, ed utile La facciata del casino del Belvedere di San Leucio.

finalmente ad ogn’individuo di esse in particolare».


Nasce così, nel segno dichiarato di una paterna solleci-
6
tudine, ma altresì di un tre volte ribadito principio di utilità, e Ivi, p. V.
7
quindi di economia, l’idea presto realizzata di una fabbrica per Origo Colonie S. Leucii eiusque
ad praesentem diem progressus cum
la produzione specializzata della seta. legibus quae rectam ipsius spectant
Il progetto della nuova città non venne mai realizzato, tut- procurationem Ferdinandi IV Siciliarum
Regis. Versio latina operis auctore
tavia nel 1789 erano cosa compiuta tanto la manifattura quanto Vincentio Lupoli iuris professore,
la Colonia, sicché il re in persona potette accingersi a scrivere theologo civitatis neapolitanae, et regii
cleri esaminatore ad exemplar italici
a suo nome il già ricordato opuscolo sulla Origine della Popo- primum textus, qui alterna heic pagina
lazione di S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi praeponitur, Neapoli MDCCCLXXXIX, e
in addenda all’anno originario la data
corrispondenti al buon governo di essa. del 1792, stampato da Typographio
La stampa dell’opera fu commessa originariamente (in Michaelis Migliacci (Speciali
Augustissimi Regis adprobatione). Nella
stretta segretezza) in soli 150 esemplari iniziali pubblicati dalla prima pagina stampata del volume,
Stamperia Reale. Una pubblicazione regale che, nelle dinami- una sorta di bottello, è riportata la
seguente scritta: «Legislazione di S.
che culturali del tempo – si ricordi il volume Dichiarazione dei Leucio in italiano e latino con delle
note», in apice allo stemma borbonico.
disegni del Reale Palazzo di Caserta alle sacre reali maestà di Carlo
Anche il frontespizio del volume
Re delle Due Sicilie... e di Maria Amalia di Sassonia Reggia di Ca- (in pagina verso) riporta la versione
italiana, mentre la traduzione latina è
serta, curato da Luigi Vanvitelli nel 1756, ancora per i tipi della
in pagina recto.
Stamperia Reale, che aveva garantito una straordinaria fortuna
critica al progetto di quella che era stata indicata come la nuova
capitale del regno napoletano sull’esempio di Versailles – assi-
curò al progetto leuciano un’ampia risonanza.
Infatti le stesse Osservazioni ferdinandee furono riedite
nel 1792, con una traduzione in latino e testo a fronte curato
dall’abate Vincenzo Lupoli, anche vescovo di Telese. Un’impre-
sa editoriale, di grande impatto divulgativo, che come riportano
le fonti fu poi tradotta anche in altre lingue 7.
Il sito reale di San Leucio 48

Dalle indicazioni sovrane riportate nel volume emerge l’i-


dea sociale e innovativa, al passo con i tempi, del borgo e circa
l’“Utilità” (allo Stato, alle famiglie, all’individuo) del nuovo inse-
diamento:

«(…) Utile allo stato, introducendo una manifatturia di sete


grezze, e lavorate di diverse specie finora quì poco, o malamen-
te conosciute, procurando di ridurle alla miglior perfezione
possibile, e tali da poter servir di modello ad altre più grandi.
Utile alle famiglie, alleviandole da’ pesi, che ora soffrono, e
portandole ad uno stato da potersi mantenere con agio, e senza
pianger miserie, come sinora è accaduto in molte delle più nu-
merose ed oziose, togliendosi loro ogni motivo di lusso coll’u-
guaglianza, e semplicità di vestire; e dandosi a’ loro figli fin dalla
fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi, e per tutta la
famiglia, del pane, da potersi mantenere, con comodo e polizia.
Utile finalmente ad ogni individuo, in particolare, perché dal-
la nascita ben educati da’ loro genitori; istruiti in appresso nelle
Scuole Normali, già da qualche tempo con profitto introdotte;
ed in ultimo animati al travaglio dall’esempio de’ loro compagni
e fratelli, e dal lecco del lucro, che quelli ne percepiscono, si
ci avvezzeranno, e talmente si ci affezioneranno, che fuggiranno
l’ozio padre di tutti i vizj; da’ quali infallibilmente ne sarebbero
nati mille sconcerti, lasciando inoperosa tanta gioventù, che ora
siam sicuri di evitare, perché giunti di mano in mano questi bra-
vi, e belli giovinetti, e fanciulle all’età adulta e propria, venendosi
ad accoppiare, aumenterà sempre più questa sana, e robusta Po-
polazione, composta al giorno di oggi di 214 individui.
Oltre i padri, e le madri di famiglia, che travagliano, sono già
impiegati nelle manifatture molti figliuoli dell’uno, e dell’altro
sesso, ed in una famiglia, che ne ha alcuni grandi, bastantemen-
te buoni artefici, il loro lucro giornale va da 10 a 12 carlini. (...)» 8

All’idea presto fece séguito l’attuazione, provvedendosi


ad impiantare una manifattura comprendente tutte le fasi della
lavorazione della seta, dall’allevamento dei bachi e produzione
di bozzoli (attività questa affidata in parte ai contadini di Terra
di lavoro che ricevevano dalla manifattura i semi-bachi) fino alle
varie fasi della filatura della seta greggia, della torcitura, della
tessitura in un’ampia varietà di pregiate trame e, infine, della
tintura. A questo fine non si lesinarono dalla borsa reale mezzi
né per l’acquisto e la realizzazione di macchine, né per fornire
loro energia (si prolungò apposta il grandioso acquedotto caro-
lino che già aveva prodotto quella vera meraviglia architettonica
di classica semplicità vanvitelliana che sono i Ponti della Valle).

8
Ivi, pp. VII-IX.
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 49

Né si lesinò per procacciare – almeno all’inizio – la migliore ma- 9


Sul tema cfr. d. grimaldi,
nodopera specializzata, sia pure proveniente da altri Regni (Pie- Osservazioni economiche sopra la
manifattura e commercio delle sete nel
monte, Lombardia, Francia) 9. La fabbrica potè così, ben presto, regno di Napoli, Napoli, Giuseppe
Maria Porcelli, 1780; o. bordiga, Notizie
giungere in produzione riuscendo anche a formare al proprio
storiche sulla bachicoltura e sulla industria
interno un ceto operaio specializzato che lavorava in parte nel- serica nelle province napoletane, Napoli,
Cooperativa Tipografica,1910.
la manifattura e, in parte, a domicilio degli operai producen-
10
b. morello, L’architetto Giovanni
do, come è possibile verificare dai numerosi manufatti tuttora Patturelli..., cit., p. 42.
conservati, materiale serico di altissima qualità. Naturalmente
occorse un sempre maggiore sviluppo edilizio della colonia con
la costruzione della filanda, degli incannatori, dei filatorii (locali
tecnici, ai quali tutti si accedeva – è da notare – direttamente
dall’appartamento del Re) e poi, ancora, di due lunghi casamen-
ti a schiera destinati ad abitazione delle famiglie leuciane. Essi
furono detti quartiere San Carlo e quartiere San Ferdinando (la
fantasia non abbondava). È noto come il Borbone si spingesse
a vagheggiare la realizzazione nella zona, e precisamente «nella
campagna sottoposta al casino Reale» 10, di una «intera ridente e
simmetrica città», chiamata, guarda caso, Ferdinandopoli. La città,
progettata, a quanto pare insieme, dal Sovrano stesso e dall’archi-
tetto Collecini, avrebbe dovuto svilupparsi attorno ad una grande
piazza circolare del diametro di circa 680 palmi (circa 160 metri)
il cui centro era a “perfetto introguardo” con il centro del casino 7.
Reale, in un punto dove avrebbe dovuto collocarsi, come effet- Il cortile del casino del Belvedere di San Leucio.
(foto di F. Soprani)
Il sito reale di San Leucio 50

tivamente fu collocata, una grande statua del Sovrano. Il mito


borbonico, fattosi illuministico, del Re Sole era tutt’altro che tra-
montato. Dal centro della piazza avrebbero dovuto dipartirsi a
guisa di raggi tutte le strade di Ferdinandopoli e con lo stesso
centro venivano circoscritte le altre vie, che le traversavano in
linee di circonferenze. Nella piazza, e precisamente in faccia alla
posizione del real Casino (che si sarebbe tuttavia trovato più in
alto), avrebbe dovuto sorgere la Cattedrale di cui fu realizzato al-
tresì il modello in legno. Di essa si approntò anche la prima pietra,
da porre nelle fondamenta insieme alle monete del Regno, con
scolpita la data del settembre 1798. Le truppe francesi prima, la
Repubblica Napoletana dopo, non permisero che il progetto ve-
nisse portato a termine. La grande storia bussava alle porte dell’i-
sola leuciana e non cesserà di farvi sentire i suoi effetti.

Sulla fortuna critica di un’utopia sociale

Lo studio dello Statuto Leuciano consente riflessioni in-


teressanti che investono vari versanti disciplinari – così come
accennato in premessa –, da cui la straordinaria fortuna criti-
ca di quella che è stata definita come un’utopia sociale. Tra i
vari aspetti di indagine sono da rilevare anche le indicazioni
riguardanti i matrimoni e i legami di vita sociale che gli abitanti
8.
Il complesso del Belvedere di San Leucio.
del sito dovevano osservare secondo i principi ispirati alla vita
(foto di F. Soprani) cristiana; su come gli abitanti della Colonia dovevano vivere e
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 51

mantenere una condotta che preservasse lo spirito della comu- 11


Origo Colonie S. Leucii, op. cit., p. LI.
nità sulla “retta via”. 12
Ivi, pp. LIII-LIV.
È quanto emerge dal capitolo dedicato ai “Doveri Partico-
lari” riferiti proprio alle indicazioni sui “Matrimonj” che dove-
vano garantire una struttura sociale basata sull’istituto cristiano
della famiglia e sulla crescita delle generazioni locali. Tra le in-
dicazioni prescritte, a tal proposito, si legge:

« IV. Essendo lo scopo di questa società, che tutti rimangan


nel luogo; quindi per impegnarli a restare, alle figliuole, che
abbian imparata l’arte, e voglion maritarsi fuori, non sarà dato
altro, che soli ducati 50 per una volta tantum, a dal momento
saranno considerate estere, senza speranza di mai più potervi
tornare.
V. Quando un giovane abitante o artefice, vorrà prender in
moglie una estera, non potrà farlo, se prima quella tal giovane,
ch’egli vuol sposare, non abbia appreso il mestiere in questa,
o in altra manifattura.» 11

In tal senso sono riportate sono anche indicazioni per


l’integrazione sociale della comunità e per preservare le “Origi-
ni della Colonia”:

« VI. E se assolutamente voglia prendere in moglie una


estera, che non abbia arte in mano, dal momento debba uscir
dal luogo, di dove non sarà più considerato come individuo, e
senza speranza di potervi mai più ritornare.
VIII. Essendo lo spirito, e l’anima di questa società l’e-
guaglianza fra gl’individui, che la compongono, abolisco tra
medesimi le Doti, e dichiaro che ciocché da Me sarà per bene-
ficenza somministrato, come di sopra si è detto, in occasione
di matrimonj, sarà solo per premio della buona riuscita, che
gli sposi avran fatta nell’arte, e nel buon costume: beneficenza:
che a loro accorderò col divino ajuto fino alla quarta genera-
zione, dopo di che la dona porterà solo il necessario corredo,
dovendo aver dopo la morte de’ genitori, la parte eguale co’
maschi, come in appresso sarà prescritto.» 12

Ma qual è il senso da dare oggi alle grandi fabbriche, belle


di semplice calce e pietra lavica, sorte nella campagna casertana,
e quale quello da attribuire al complesso di leggi con cui il So-
vrano volle regolarne la vita, aggiungendo ben presto ad esse un
catechismo ragionato dei Doveri verso Dio, verso sè, verso gli altri,
verso il Re, verso lo Stato per uso delle Scuole Normali di San Leu-
cio, un Regolamento interno della fabbrica e perfino un Orario per il
Il sito reale di San Leucio 52

tempo della preghiera, Messa ed esposizione del Santissimo, nonché


alcune preghiere appositamente dettate 13. In tali documenti
sono minutamente indicati non solo gli orari delle funzioni re-
ligiose ma anche quelli in cui, nei diversi mesi dell’anno, «tutti
andranno a pranzo» o «tutti devono porsi al lavoro», ancora in
cui «le figliuole anderanno all’Incannatoio, o, ancora, se dovesse
camminarsi isolatamente o a due e con quale passo, beninteso
senza fermarsi nei corridoi» e quant’altro.
Che cosa fu dunque veramente il monumento complessivo
che continua a guardarci ed incuriosirci, qualche volta a inquie-
tarci, da oltre due secoli? Fu semplicemente, come scrisse Croce,
un “capriccio di sovrano” 14 che costò moltissimo, come spesso
capitava, dei sovrani capricci dei Sovrani assoluti del tempo? Fu
invece un primo tentativo di socialismo, come affermò nel 1909 il
Gori 15 che vi notava soprattutto gli aspetti di proprietà collettiva?
Fu un’ulteriore dimostrazione, non priva di sentori di pastorelleria
arcadica, abbastanza in ritardo sui tempi, dell’assoluto autocrati-
smo sovrano che dimostrava, una volta di più, la sua assolutezza
sospendendo, per un’isola di terra da lui voluta come tale (chiusa
dall’interno all’esterno e dall’esterno all’interno), le stesse leggi
da lui emanate per il resto del Regno (la terraferma) comparendo-
vi non solo e soltanto come Sovrano legislatore ma anche come
padre, come maestro e fonte di felicità. Fu, al contrario, un for-
midabile evento di modernizzazione rispetto agli equilibri sociali
9.
Il bagno di Maria Carolina a San Leucio.
(foto di F. Soprani)

13
Tutto il materiale è pubblicato in
m. battaglini, La fabbrica del Re, Roma,
Edizioni Lavoro, 1983.
14
b. croce, La rivoluzione
napoletana del 1799, Napoli, Bibliopolis,
1998, p. 36.
15
a. gori, Gli albori del socialismo
(1755-1848), Firenze, Lumachì, 1909, p.
22 e segg.
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 53

economici e politici del Regno, ponendosi il problema della for- 16


ferdinando iv, Origine della
mazione e della centralità della classe manifatturiera, fino ad al- popolazione, cit., pp. XXVII-XXVIII.
17
lora marginale e trascurato, e indicando nel concetto di fabbrica Cfr. l. d’alessandro, Potere
e scena barocca, Napoli, La Buona
modernamente organizzata la nuova frontiera dell’economia per Stampa, 1993.
la Capitale e per il Regno stesso, stabilendo, infine, delle regole di 18
Cfr. c. de seta, Napoli tra Barocco
e Neoclassicismo, Napoli, Electa, 2002.
uguaglianza, di autogoverno (l’elezione dei seniori) e delle modali-
tà organizzative all’interno della Colonia assolutamente inusitate
per il resto dei regnicoli.
A mio avviso, il complessivo monumento di pietra (e carta
stampata, considerando il codice leuciano) fu certamente tutte
queste cose assieme.
Costituì una formidabile compresenza di antico e moder-
no, di spirito di uguaglianza e rigido assolutismo monarchico, di
bellezza e amenità dei luoghi naturali e di uso razionale ed eco-
nomico degli stessi, rispondendo in maniera propria ad una do-
manda che ritornerà spesso anche nella cultura moderna: può
mai una fabbrica essere bella? E infatti S. Leucio fu un insieme
di linee rette, proprie di un incombente razionalismo che non
accetta le tortuose vie del barocco, ma anche di linee curve, al
cui centro v’è, sempre, un Re o il suo simulacro. Fu, ancora, una
singolare sommatoria di razionalità e di sentimenti paterni che
non escludevano gli altri, compreso quello d’amore: il matrimo-
nio nei codici leuciani può aversi quando «un giovane avrà in-
clinazione per una giovane e nella scelta non si mischino punto
i Genitori, ma sia libera de’ giovini» 16. Si perviene alla suprema
contraddizione di una fabbrica che non si distingue dalla reale
abitazione, né nel suo aspetto esterno (eppure quanto sforzo
avevano posto i sovrani assoluti nel distinguere le loro proprie
dimore nello spazio e nell’aspetto da ogni altra costruzione) 17, e
neppure al suo interno, giacché, come abbiamo visto, gli appar-
tamenti del sovrano erano direttamente intercomunicanti con
le officine della fabbrica. Uno strano, per molti contraddittorio,
luogo abitato da un Re e dai suoi operai. Non solo una fabbri-
ca, ma anche una fabbrica-reggia: una contraddizione vivente!
Certo vivente perché San Leucio fu operante nelle leggi e nella
frusciante seta che usciva dai suoi telai.

Aspetti e contraddizione dei tempi

In realtà questa contraddizione forse in qualche modo si


può spiegare con un carattere originario – e fondante – di quella
cultura meridionale di cui San Leucio fu espressione. Un au-
torevole storico della città ha definito San Leucio “un’utopia
realizzata” 18.
Il sito reale di San Leucio 54

10.
Le case in linea del quartiere San Carlo nella città di
San Leucio.
(foto di F. Soprani)

Ma cos’è un’utopia e che significa la sua realizzazione?


Secondo Mannheim ogni epoca produce ed accumula
(nei gruppi sociali diversamente situati) quelle idee e quei va-
lori in cui si condensano, per così dire, le tendenze, non ancora
realizzate e soddisfatte, che rappresentano i bisogni di ciascu-
na età. Codesti elementi intellettuali costituiscono col tempo
materiale esplosivo per far saltare in aria l’ordine esistente. La
realtà presente dà dunque origine alle utopie che, a loro volta,
ne rompono i confini per lasciarla quindi libera di sviluppar-
si nella direzione dell’ordine “successivo” 19. La definizione di
Mannheim dell’utopia non come qualcosa di irrealizzabile ma,
al contrario, come di un insieme di idee e di aspirazioni che,
mentre «impedisce alla realtà esistente di tramutarsi in asso-
luta», la concepisce, viceversa, come una delle possibili topie, e
che si caratterizza proprio per la totale o parziale realizzabilità
dell’utopia, ben può accordarsi con la storia di San Leucio.
In effetti la concezione sociologica dell’utopia enuncia-
ta da Mannheim, così fortemente intrisa di dialettica, in questi
termini ne configura i caratteri: a) ogni utopia è posta non in
relazione ad un pensiero statico ma ad un ordine di vita ope-
rante, il topos, ovvero la topia, in relazione cioè a una struttura
economica politica e di pensiero concretamente determinata;
b) l’utopia manifesta sempre una sua capacità di tradursi, più
o meno integralmente, e più o meno rapidamente, in realtà: è,
insomma, secondo la definizione di Lamartine, una “realtà pre-
matura”, ma che poi in qualche misura diventa realtà; c) l’utopia
è propria dei gruppi sociali che si accingono ad emergere.
Quale fu, dunque, l’utopia che si realizzò in San Leucio?

19
c. mannheim, Ideologia e utopia,
trad. it., Bologna, Il Mulino, 1999, p. 218.
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 55

Non certo solo quella dell’Illuminismo in senso stretto di cui 20


a. genovesi, Scritti economici, a
Ferdinando fu tra i più feroci avversari. Neppure vi si può leg- cura di M.L. Perna, vol. II, Napoli,
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
gere il progetto di vita, di interesse di quel ceto forense, così 1984, p. 833.
importante nel Regno. Meno che mai può trattarsi dell’utopia di 21
Ivi, p. 834.
un’aristocrazia al tramonto! Che cosa urgeva, o esplodeva, vera-
mente in San Leucio?
Certo vi è lo statuto ufficiale, quello emanato dal Sovrano,
a dirci che cosa San Leucio dovesse essere; pure vi è, anco-
ra, dell’altro, qualcosa di non dichiarato, in qualche modo non
visibile, che fa emergere un’altra non dichiarata storia, ovvero
l’utopia che voleva farsi storia, proprio appena prima che i due
disegni che si leggono nelle pietre e nella corte di San Leucio
(Assolutismo e Illuminismo) clamorosamente e, forse inevitabil-
mente, si scontrassero. Aveva scritto Antonio Genovesi nell’an-
notazione n. 10 alla Storia del Commercio di John Cary: «molti ci
sono che non vorranno far mai nulla, e ai quali piacerà più la
vita di accattoni che quella nella quale hassi a lavorare, ed altri
non vedranno assai chiaramente quel genere di fatica a cui sia
meglio e per sé e per la società civile impiegarsi» 20. Si trattava
del problema della plebe, dell’accattonaggio, del vagabondaggio,
del governo di una popolazione crescente (specie in una cit-
tà come Napoli) rispetto ai quali era necessario rinunciare alle
vecchie idee di carità («accrescere il peso di quei che lavorano»
dice Genovesi), dando luogo invece ad un assetto sociale nel
quale «convien che tutti, ciascuno a modo suo e secondo il gra-
do che nel corso politico ottiene, s’ingegni a far qualcosa». È il
concetto di divisione del lavoro sociale che avanza, ma è anche
qualcosa di più penetrante e diverso. È una nuova filosofia poli-
tica che non tarda a manifestarsi. Genovesi scrive qualche rigo
più avanti nella stessa opera (che risale al 1757): «S’appartiene al
governo porre a disamina i suoi interessi, e poiché avrà consi-
deratamente messo a calculo il clima, la terra, l’indole degli abi-
tanti, il forte e ‘l debole di ciascuna parte delle sue province, e
conosciuto quali siano quelli mestieri che meglio stiano a’ suoi
popoli, animarvigli con del premio, perché gli uomini da quella
banda si gettino che più rende e che più può fare ricco e poten-
te lo Stato. Siccome, per cagion d’esempio, ed avendo di buone
materie prime delle arti le più necessarie, quali quelle sono che
ci danno i drappi di lana, le stoffe di seta, le tele di bambagia
e di lino e canape, niuno più bello e più utile stabilimento far
potrebbero, e niuna sorgente più ricca per sé e per i suoi popoli
i nostri savi e clementissimi sovrani aprire, quanto sarebbe il
pensare a volger gli uomini da questa parte [...]» 21.
È dunque il governo che deve decidere da quale parte gli
uomini devono andare. Un vero programma di topografia socia-
Il sito reale di San Leucio 56

le già abbastanza chiaro, lucido, in cui sembra anche annunciato


lo stesso disegno di S. Leucio e della sua colonia. Del resto, altri
aveva già provveduto a proclamare il bisogno di un ben diverso
piano urbanistico e di gestione degli spazi urbani non solo ai
fini della bellezza della Capitale ma, soprattutto, a quelli della
disciplina della popolazione.
Così il duca di Noja nella Lettera a un amico del 1750 «non è
da credere che l’ordine e la buona distribuzione delle abitazioni
conduca soltanto alla bellezza delle città, ma anzi ella si diffonde
in tanto grado sul buon governo e sul costume che giustamente
si convien dire il morale delle città dipendere in grandissima
parte dal fisico [...]. Perché, per cagion d’esempio, è manifesto
quanto le vie strette e tortuose possano conferire a rendere un
popolo indocile e riottoso, ed essere veramente così dall’antica
storia e dall’antica maniera di fabbricare apparisce» 22.
Ma come rifare una città immensa, esplosiva, ingoverna-
bile come Napoli? Un’utopia nel senso corrente del termine. Un
luogo impossibile, un non luogo, perfino per il Sovrano delle
Sicilie! Una sola è la via realmente possibile perché l’utopia si
realizzi nella sua accezione di insula felice, ed è l’eterotopia. Un
altro luogo nel quale è possibile – anche avendone rigidamente
recintato i confini – proporre un vero e proprio esperimento
di governo della popolazione intervenendo sui matrimoni, sulla
loro età, sulla gestione della malattia (naturalmente con l’isola-
mento), sul regime della morte e sulla scenografia del suo accom-
pagno nonché del suo lutto, sugli orari di sveglia, di preghiera,
di lavoro, insomma in ogni espressione della vita corporea, e
dell’anima. Poco importa se sia stato Ferdinando in persona o
il massone Antonio Pianelli o il funzionario Domenico Cosmi
a stendere le leggi 23: un autore, tanto più un sovrano, è sempre
espressione di una cultura e ne è sempre, in qualche modo, in-
terprete. Ciò che interessa è che Ferdinando volle offrire, con il
codice leuciano, «una norma per sapere i retti sentieri» e piutto-
sto una forma di istruzione come di un «padre a’ suoi figli» che
non i comandi di un legislatore ai suoi sudditi, costruendo però,
nel contempo, qualcosa di molto diverso da una semplice prova
di più o meno mieloso paternalismo.
Ferdinando si rende ben conto che le leggi emanate sono
non solo qualcosa di diverso dalla legislazione del Regno, ma
22
rappresentano, anche concettualmente, una diversità rispetto
g. carafa, duca di noja, Lettera a
un amico contenente alcune considerazioni all’idea stessa di legislazione che i Sovrani assoluti avevano ge-
sull’utilità e gloria che si trarrebbe da stito fino a quel momento.
una esatta carta topografica della città di
Napoli e del suo contorno, Napoli, 1750, p. Nel codice leuciano, al rapporto di pura soggezione ed al-
16. Sul dibattito settecentesco intorno terità tra Sovrano e sudditi (con il re che preleva beni e corpi per
alla città ed al suo sviluppo sono
sempre da richiamare le fondamentali la guerra ed i sudditi che li producono per proprio conto e, co-
pagine di f. venturi, Settecento
riformatore. Da Muratori a Beccaria,
Torino, Einaudi, 1969.
23
Cfr. m. battaglini, op. cit.
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 57

stretti, li forniscono) si sostituisce un’azione complessa di gover-


no sugli individui/membri di un peculiare gruppo da utilizzarsi
in funzione della produzione di ricchezza, di beni o anche di
riproduzione della specie. Di qui il controllo delle nascite, delle
migrazioni, la regolamentazione dell’accesso ai mestieri ed alle
professioni, la gestione delle condizioni di vita (habitat, moralità,
igiene, sicurezza). Tutti tratti distintivi direttamente connessi alla
pianificazione dello spazio. In questo senso davvero San Leucio
con la sua fabbrica, i suoi casamenti razionali, i suoi regolamenti,
è la città ideale, cioè l’ideale della città governata secondo il nuo-
vo che avanza. Il nuovo è proprio questo segmentare gli spazi e
assegnare i tempi: prima ancora della divisione sociale del lavoro,
si tenta la divisione politica degli spazi e dei tempi.
Di tutto questo – dell’avanzare del grigiore dell’ammini-
strare del regolamentare, e del dividere gli spazi attivando un’al-
tra linea di intervento politica, diversa da quella tradizionale, di-
versa dalle sue leggi ordinarie e dall’ordinario vivere nei suoi
palazzi Ferdinando è, probabilmente, inconsapevole. Per certi
versi il Re è ancora in un precedente diverso tempo, addirittu-
ra in quello che precede la secolarizzazione, ed infatti proprio
mentre organizza un biopotere che si rivolge direttamente ai
corpi, non cessa di proporre l’intervento della Chiesa affinché,
con il governo delle anime e la sua catechesi, assicuri la docilità
della colonia. E non a caso la Chiesa gli venne effettivamente
incontro, tanto che un suo principe, il cardinale Fabrizio Ruffo, 11.
Il cortile del casino del Belvedere.
fu tra i primi governatori della Colonia e poi, con lo stesso prin- (foto di F. Soprani)
Il sito reale di San Leucio 58

cipe, lo aiutò decisamente nella riconquista del Regno dopo la


crisi del ‘99. Ma occorre sempre ricordare che questa è appena
la storia di qualche decennio e di un pover’uomo di Re: ben
sappiamo che la Chiesa ha dalla sua, e ancora davanti a sé, una
variegata storia millenaria ed una vocazione per l’uomo che la
ripone, ogni volta, al di là di ogni storia.

Conclusioni

Abbandoniamo, infine, gli esperimenti della biopolitica


e ritorniamo alla nostra contraddizione. Chi abbia letto l’auto-
biografia di Vico è rimasto certamente colpito dalle mille av-
versità che egli affrontò e dall’enorme fatica, sia pure sorretta
da una formidabile e testarda volontà, di conquistare il proprio
originale luogo nella cultura del suo tempo, in contrasto con il
pensiero emergente proveniente d’Oltralpe, che egli definiva il
“criticismo di Renato Delle Carte” ed il metodo geometrico-logi-
co che proprio da Descartes ebbe, secondo Vico, origine.
Tra i principalissimi elementi fondanti di quella nuova
logica era la trasformazione dell’antico principio di non con-
12. traddizione da principio ontologico quale è nella metafisica ari-
Uno scorcio panoramico: tra architettura nobiliare e stotelica «niente simultaneamente può essere e non essere» a
produttiva nella vallata di San Leucio.
(foto di F. Soprani) principio logico inteso come legge fondamentale del pensiero,
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 59

per cui se alcune cose sono vere, altre sono necessariamente 24


Attingo la citazione dell’anonimo
false, se alcune sono razionali, quelle opposte sono decisamente biografo dal saggio di a. cutolo, Le
memorie autobiografiche di Antonio
irrazionali e, pertanto, da rifiutare. Se alcune asserzioni sono Genovese edite ed illustrate, in «Archivio
Storico delle Provincie Napoletane»,
geometricamente dimostrabili, le indimostrabili entrano nel re-
n.s., anno X (XLIX della coll.), 1926,
gno dell’inutile o della fantasia e dei sentimenti, che sono la fasc. 1-4, p. 266. Peraltro, a parte i
problemi di autenticità della fonte, la
medesima cosa.
notizia, almeno nella parte in cui si
La logica cartesiana, affinata dall’Illuminismo, fu indub- riferisce al discepolato e all’asserita
amicizia, va accolta con ogni cautela
biamente vincente e può definirsi fondatrice della moderna ra- soprattutto perché, come sottolinea
zionalità. Essa celebrò i suoi fasti, e tuttora ne celebra, in molti F. Venturi ( op. cit., p. 527, nota 2),
«rarissime e spesso insignificanti sono
modi, uno di essi, il più simbolicamente forte (voglio dire la le citazioni e i ricordi di Vico nelle
presa della Bastiglia), del tutto contemporaneo al nostro codice opere di Genovesi».
leuciano, è giustamente considerato, per storica convenzione tra
gli storici, evento fondatore della nostra contemporaneità.
Si deve anche aggiungere che gli elementi di terrore che
da quell’evento derivarono trovano certamente le propria ori-
gine nella certezza di una verità monodirezionale incapace di
farsi carico delle contraddizioni che tuttavia a dispetto di ogni
more geometrico erano nella storia, scambiate per semplice so-
pravvivenza del passato, comunque da eliminare, nell’asprezza
della lotta per la razionalità. Al contrario la lezione del Vico,
storico del Regno, carico della consapevolezza dell’infinita sto-
ria degli uomini e delle loro parole, propone una scienza diver-
sa, e nuova, inclusiva al suo metodo di ciò che la critica veniva
scartando: la memoria, la fantasia, la topica, i luoghi comuni,
la retorica, in pratica tutto ciò che ammetteva al suo interno la
contraddizione.
Antonio Genovesi così riferisce nella sua autobiografia
nel 1738 (quando giunse a Napoli da Salerno) «era già un anno
che [...] aveva letto la Scienza Nuova del signor Giambattista
Vico, celebre metafisico filologo critico dei tempi suoi. Il perché
corse ad ascoltarlo [...] ebbe l’onore della sua amicizia» 24. È noto
come vi sia non poco contrasto tra gli storici del pensiero a
proposito dell’influenza del Vico sull’Illuminismo meridionale.
Pure non può negarsi il peso di tutto quel complesso movimen-
to di uomini che seppe entrare, e rimanere, nella storia del pen-
siero dell’umanità riuscendo altresì a vedere significative realiz-
zazioni del proprio pensiero (San Leucio è una di queste) e che
va complessivamente sotto il nome di Riformismo meridionale.
Con ciò volendo significare che non si mirò ad una Rivoluzione,
evento epocale che spezzò (doveva spezzare) il filo della storia
continua modificando totalmente gli equilibri e cancellandone
alcuni attori già principali (il re, l’aristocrazia).
Si mirò invece ad una riforma, cioè a dare nuova forma
agli equilibri esistenti adottando antiche vie per affermare il
nuovo, ingegnandosi per una topologia sociale in cui fosse pos-
Il sito reale di San Leucio 60

13.
Un telaio nell'area museale di San Leucio.
(foto di F. Soprani)

sibile una diversa convivenza, credendo, forse ingenuamente,


che la gestione dello spazio (in uno spazio il re, in un altro, vici-
nissimo, gli operai, in un altro i vagabondi...) rendesse possibile
la convivenza di tempi storici diversi (quello dell’Assolutismo,
quello dell’Illuminismo, quello della biopolitica) destinati, nei
fatti, a scontrarsi: il tempo degli operai avanzava, quello dei re e
dell’aristocrazia si esauriva.
Non poteva bastare, comunque non bastò, una magnifica
gestione degli spazi a rendere possibile una eterotipia che si op-
ponesse allo scontro delle utopie come magnifici sono i luoghi
che furono realizzati perché re ed operai convivessero.
La contraddizione dei tempi prevalse sulla non contraddizio-
ne degli spazi e sulla loro riforma: le armi francesi portarono
anche a Napoli la Rivoluzione e trovarono Ferdinando rifugiato
nel luogo dello spazio in cui si illudeva di sconfiggere i tempi:
era a San Leucio.
Poi Ferdinando IV fuggì anche da lì e, dopo qualche gior-
no, anche a San Leucio sorse l’albero della Rivoluzione, che si
chiamava albero della libertà.

Nuovi incontri tra studiosi e rinnovati interessi di studio


porteranno a ri-letture e a una più adeguata e moderna valoriz-
zazione delle residenze reali e del sito leuciano, dove la tradizio-
ne della lavorazione della seta ancora permane, nei luoghi e nel
paesaggio dove furono allora piantati tanti alberi di gelso, per
realizzare una produzione manifatturiera di eccellenza.
Una tradizione nota ovunque e che, sin dall’Ottocento,
nel secolo dell’età borghese, rappresentava un prodotto di ec-
Lucio d’Alessandro San Leucio. Un progetto sociale e culturale 61

cellenza, esportato e richiesto in tutta Europa ma anche una


testimonianza virtuosa di un singolare esperimento che cercava
di coniugare lo sviluppo del territorio e la crescita sociale di
uno dei tanti Siti Reali fondati in età borbonica.
Ancora oggi la bellezza dei luoghi e la memoria produtti-
va possono rappresentare un segno di continuità e di possibile
sviluppo in virtù di nuovi progetti di interesse culturale.
E proprio partendo dalle Residenze Borboniche, destina-
te a luoghi primari della stratificazione e dell’identità storica
di uno straordinario patrimonio nazionale, intendiamo offrire
il nostro contributo. Si pensi alle testimonianze seriche di stra-
ordinaria lavorazione che sono custodite nella collezione d’arte
della Fondazione Pagliara, che rappresenta una delle tante trac-
ce del patrimonio culturale di Ateneo.
Queste sete preziose, generosamente donate in passato,
possono costituire oggi, dispiegate al vento, l’inizio di una nuo-
va navigazione verso i mari d’Europa per una cultura di integra-
zione e di condivisione.
FABIO MANGONE

SAN LEUCIO:
UN CASO SINGOLARE
NELL’URBANISTICA
SETTECENTESCA
Nella pagina precedente: In questa pagina:
1. 2.
D. Rossi D. Rossi
Pianta del recinto del Real Bosco, e delizie di S. Pianta... ; dettaglio della cascata della Reggia di
Leucio, metà XIX secolo, dettaglio del Real Casino Caserta. Napoli, Biblioteca Nazionale.
del Belvedere e aree limitrofe. Napoli, Biblioteca
Nazionale.
Una vicenda singolare 1
La bibliografia su San Leucio
è davvero ampia e comprende anche
numerosi studi molto qualificati. Tra
L’eccezionalità – e forse si potrebbe dire l’unicità – dell’e- gli altri si segnalano quelli presi in
considerazione per il presente studio:
sperimento di San Leucio 1, nei suoi plurimi contenuti sociali,
Origine della popolazione di S. Leucio e
economici e giuridici per un verso, e urbanistici per altro ver- suoi progressi fino al giorno d’oggi colle
leggi corrispondenti al buon governo di
so ha reso sempre difficile ricondurlo a categorie interpretati-
essa di Ferdinando IV re delle Sicilie,
ve e storiografiche standard. Non si può innanzitutto trascurare Stamperia Reale, Napoli 1789; m. galdi,
Analisi ragionata del Codice ferdinandino
come, al di là dei miti, la vicenda di San Leucio, riguardata sia per la popolazione di San Leucio, Donato
sotto il profilo architettonico-urbanistico sia sotto quelle delle Campo, Napoli 1790; f. patturelli,
Caserta e San Leucio, Reale, Napoli 1826;
funzioni e delle attività contenute, risulti segnata da un suo dive- g. tescione, L’arte della seta a Napoli e la
nire non privo di aggiustamenti di rotta, piuttosto che da un pro- colonia di San Leucio, Siem, Napoli 1932;
j. donsì gentile, Le fonti archivistiche
gramma perseguito senza tentennamenti. Come è noto, il sito di della colonia di San Leucio nell’Archivio
San Leucio – dominato dalla villa rinascimentale della famiglia di Stato di Napoli, in “Notizie
dell’archivio di Stato”, Napoli 1942; g.
Acquaviva – in quanto parte del feudo di Caserta, viene acquisito tescione, San Leucio e l’arte della seta nel
nel 1750 da Casa Reale nell’ambito del programma del trasferi- Mezzogiorno d’Italia, Montanino, Napoli
1961; r. de fusco, f. sbandi, Un centro
mento della capitale e della costruzione di una nuova Reggia. comunitario del Settecento in Campania,
Piacevolezza dei luoghi, feracità della vegetazione e ricchezza di in “Comunità”, 1961; San Leucio: vitalità
d’una tradizione, a cura di R. Plunz, E.
selvaggina lo candidano immediatamente a divenire un sito re- Battisti Et Al., G. Wittenborn, New
ale di caccia, recintato nel 1753. Viene anche costruita una nuo- York, 1973; e. battisti, San Leucio
presso Caserta, in “Controspazio”, n.
va struttura specificamente dedicata alla caccia, detta “casino al 4, 1974; San Leucio: archeologia, storia,
boschetto”. Sembrerebbe che già durante il regno di Carlo, nel progetto, Il formichiere, Milano 1977;
l. mongiello, San Leucio di Caserta:
1758, sia stata introdotta in tono minore, presso questa costru- analisi architettonica, urbanistica e
zione l’attività della produzione serica 2. Di fatto, Ferdinando IV, sociale, Laterza, Bari 1980; m. battaglini,
La fabbrica del Re. La manifattura
succeduto al padre, impianta nel 1775 presso la Vaccheria di San reale di San Leucio tra assolutismo e
Leucio una piccola manifattura di veli. A beneficio della piccola illuminismo, Edizioni Lavoro, Roma
1983; e. battisti, Una città sperimentale
comunità degli abitanti di questo sito reale, tra il 1776 e il 1778 del Settecento: San Leucio, in Utopie per
lo stesso re commissiona lavori per trasformare in chiesa il salo- gli anni ottanta: studi interdisciplinari
sui temi, la storia, i progetti, a cura di
ne delle feste della ex villa degli Acquaviva (definita Palazzo del G. Saccaro Del Buffa e A.O. Lewis,
Belvedere), affidando il relativo incarico a Francesco Collecini, Gangemi, Roma 1986; Lo Bello Vedere di
San Leucio e le Manifatture Reali, a cura
romano di formazione e già collaboratore di Vanvitelli nella Reg- di N. D’Arbitrio e A. Romano, Napoli,
Esi 1988; l. caprio, San Leucio, memorie
storiche ed immagini, Laurenziana,
Il sito reale di San Leucio 66

Napoli 1993; m.c. tartarone, La Colonia gia 3. Sullo sfondo di una tragedia privata, la morte del primoge-
e il Belvedere di San Leucio: lavori
architettonici e decorativi 1765-1805, nito Tito (1778) nel casino del boschetto, l’attenzione del sovrano
Fiorentino, Napoli 1997; si concentra maggiormente sul palazzo del Belvedere, che fino
m.r. pessolano, Ferdinando IV e lo
statuto leuciano, in Profilo storico al 1786 viene ristrutturato per fini prevalentemente residenziali.
dell’utopia nel territorio meridionale Mano a mano nel Re cresce nuovo interesse per un certo tipo di
d’Italia, a cura di M. Coletta, Edizioni
del Grifo, Lecce 1997; a. bagnato, Una sperimentazione economica e sociale: dapprima pensa a istituire,
colonia borbonica tra utopia e assolutismo, nell’ormai abbandonato casino, una scuola per i figli degli abi-
Agra, Roma 1998; r. serraglio,
Francesco Collecini. Architettura del tanti di San Leucio, poi decide di rilanciare l’industria serica, de-
secondo settecento nell’area casertana, cretando di ampliare l’edificio del Belvedere per impiantarvi una
Esi, Napoli 2001; l. d’alessandro,
L’utopia di un re tra gestione degli spazi moderna manifattura con tecniche aggiornate “alla piemontese”.
e contraddizione dei tempi, in “Annali Nel medesimo complesso, ingrandito notevolmente tra il 1786 e
dell’Università degli Studi Suor
Orsola Benincasa”, 2009, [ http:// il 1789 ancora su progetto di Collecini, convivono per un verso
www.unisob.na.it/ateneo/annali/2009_3_ le attività scolastiche, le residenze di maestri e direttori, le sale
vol1_D’Alessandro.pdf ], Caserta e
l’utopia di S. Leucio: la costruzione dei per trattura, filatura e tintura della seta, e per l’altro – al secondo
siti reali borbonici, a cura di I. Ascione, piano – l’appartamento reale che addirittura comunica con le
G. Cirillo e G.M. Piccinelli, Ministero
per i beni e le attività culturali, stanze dei telai. In parallelo non viene trascurato il potenziamen-
Direzione generale per gli Archivi, 2012. to delle attività agricole tradizionali, anche con l’impianto di due
Nell’ambito delle fonti archivistiche
si segnala particolarmente: Archivio vigne, significative tanto per la tipologia di coltura quanto per la
Storico della Reggia di Caserta, disposizione in termini paesistici. Sembra di poter avvertire l’e-
A. Sancio, Platea del Real Sito di San
Leucio, s.d. (ma 1829-30 circa). co della Scienza della legislazione (1780-85) di Gateano Filangieri,
2
g. tescione, L’arte della seta, cit. là dove prescrive che si combinino “i progressi delle arti e delle
3
Su F. Collecini si veda manifatture con quelli dell’agricoltura” 4.
r. serraglio, op. cit.
4
g. filangieri, La Scienza della
Legislazione, Tip. Raimondiana, Napoli
1783.
Fabio Mangone San Leucio: un caso singolare 67

A coronamento di queste iniziative, giunge nel 1789 il sor- 5


Origine della popolazione di S.
prendente codice di leggi atte a regolare la vita di San Leucio, Leucio e suoi progressi…, cit.
6
finalizzato a rendere questa “colonia” una sorta di privilegiata f. patturelli, op. cit.,
7
Archivio Storico della Reggia di
enclave ove sperimentare sistemi giuridici, economici e sociali
Caserta, A. Sancio, Platea del Real Sito
molto avanzati 5. A questo straordinario codice va legato il pro- di San Leucio, cit.
getto di Ferdinandopoli, città di fondazione con schema cen-
trico: di quel piano abbiamo solo notizie indirette attraverso
descrizioni ottocentesche, tra cui una guida di Caserta e San
Leucio 6 del 1826 e una Platea probabilmente di poco successi-
va 7; sull’approfondita interpretazione di queste fonti si è basato
il convincente tentativo di ricostruirne lo schema da parte di
Eugenio Battisti. Alcune risultanze d’archivio, nonché alcune
abitazioni per i lavoranti della seta effettivamente realizzate tra
il 1789 e il 1790 nei quartieri di San Carlo e di San Ferdinando,
mostrano che il piano è stato, almeno in piccola parte, messo in
pratica. Immaginata come una sorta di ampio settore circolare,
con uno “spicchio” mancante corrispondente all’esistente com-
plesso del Belvedere, collocato in posizione sopraelevata ma in-
tegrato al disegno complessivo, la città si sviluppa attorno ad
una piazza circolare posta nel mezzo, dalla quale si diparte una
raggiera di vie che prima di raggiungere le estremità dell’im-
pianto intersecano una strada intermedia anulare. Significati-
vamente su due lati della piazza si fronteggiano la chiesa e il 3.
teatro, mentre al centro dello spazio è collocata una statua del D. Rossi
Pianta... ; dettaglio della città di San Leucio. Napoli,
sovrano. È particolarmente interessante il meccanismo con cui Biblioteca Nazionale.
si immagina possa crescere la città: mentre al re dovrà compete- 4.
re il costo degli edifici pubblici come la cattedrale e il teatro, a Il casino del Belvedere e la città in un disegno della
metà del XIX secolo. Archivio Storico Soprintenden-
concorrere ciascuno per una parte alla realizzazione delle tante za BAAPSAE di Napoli.
Il sito reale di San Leucio 68
8
f. patturelli, op. cit., pp. 85-86. case che costituiscono il grande agglomerato sono i tanti “co-
loni”, beneficiari delle agevolazioni del nuovo statuto: “le altre
abitazioni poi erano tutte costruite da privati a’ quali il re ma-
gnanimamente concedeva la franchigia del suolo per 12 anni e
l’acqua perenne” 8. Gli sconvolgimenti del 1799, l’involuzione
reazionaria di Ferdinando e più in generale della monarchia
Borbonica restaurata, interrompono però un programma così
avanzato, in cui la forma perfetta della città era lo specchio della
perfezione del sistema sociale sperimentato con gli straordinari
statuti concessi alla colonia.

Urbanistica ed esperimenti borbonici

L’esperienza di San Leucio non va però assolutamente


considerata fuori dal suo tempo: assurta a mito, frequentemente
è stata letta privilegiando l’eccezionalità del suo serrato intrec-

5.
La Porta dei Leoni, ingresso alla città di San Leucio.
(foto di F. Soprani)
Fabio Mangone San Leucio: un caso singolare 69

cio tra riforma sociale, esperimento economico e forma urba- 9


g.c. alisio, Urbanistica napoletana
nistica, ma non bisogna sottovalutare gli innumerevoli legami del settecento, Dedalo, Bari 1979.
10
con plurime altre esperienze, precedenti o coeve. La nascita e lo g. carafa, Lettera di Giovanni
Carafa duca di Noja contenente alcune
sviluppo di San Leucio si inscrivono nell’urbanistica in qualche considerazioni sull’utilità e gloria, che si
trarrebbe da una esatta carta topografica
modo “riformata” borbonica del secondo Settecento 9 attuata da
della città di Napoli e del suo contado, II
Carlo prima e da Ferdinando poi, in una visione complessa in ed., Napoli 1770.
11
cui non di rado la capitale si contrappone a luoghi e siti ester- v. ruffo, Saggio sull’abbellimento
di cui è capace la città di Napoli, Michele
ni ad essa. Vi è certamente un nesso tra la constatazione dei Morelli, Napoli 1789.
limiti urbanistici e sociali di Napoli e il programma avviato nel 12
Cfr. g. moricola, L’industria della
1750 da Carlo di costruire a Caserta una nuova capitale di cui la carità. l’Albergo dei poveri nell’economia
e nella società napoletana tra ‘700 e
reggia avrebbe dovuto essere l’indiscusso caposaldo, restando ‘800, Liguori, Napoli 1994; a. guerra,
invece una sorta di grande frammento. Di fatto, la nuova visio- e. molteni, p. nicoloso, Il trionfo della
miseria: gli alberghi dei poveri di Genova,
ne razionale della città e dei suoi problemi stenta a trovare la Palermo e Napoli, Electa, Milano 1995;
sua migliore possibilità di applicazione in una Napoli troppo p. giordano, Ferdinando Fuga a Napoli:
l’Albergo dei poveri, il Cimitero delle 366
compromessa dal caotico sviluppo dei secoli precedenti, e co- fosse, i Granili, Edizioni del Grifo, Lecce
munque priva delle attrezzature necessarie, come pare già al 1997; m. montone, Pauperismo e stato:
real albergo dei poveri. Vita dell’opera
duca di Noja 10 e più tardi sembrerà a Vincenzo Ruffo 11. Nella (Napoli, 1751-1951), La scuola di Pitagora,
congestionata e stratificata capitale sembra impossibile imporre Napoli 2001.
13
una forma urbis compatibile con i moderni criteri di regolarità, “Con minore spesa ed in più
breve tempo, si sarebbe tolta per sempre
razionalità, simmetria, che pure si tenta di introdurre, sebbene ogni povertà dall’abbondantissimo
necessariamente circoscritti al disegno di ambiti ben ristretti, regno di Napoli. È un’esperienza
costante, che per questi ospizi non si
come testimoniano i due successivi interventi del Foro Carolino tolgono i poveri. Ma questo non è affare
e di piazza Mercato, con i quali si intende ovviare alla mancanza dell’architetto ma del buon governo”,
cfr. f. milizia, Memorie degli architetti
di piazze dotate di un vero e proprio disegno geometrico for- antichi e moderni, della Stamperia Reale,
male. Una metropoli i cui problemi sembrano troppo difficili Parma 1781, p. 436.
per essere affrontati e risolti complessivamente, mentre invece
singoli interventi – dove la scala architettonica si avvicina in
termini dimensionali a quella urbanistica – affrontano specifici
temi: un razionale cimitero extra-urbano, quale è quello delle
“366 fosse”, per scongiurare l’insalubrità delle sepolture intra
moenia, un grande ospizio di mendicità per ospitare e control-
lare tutti i poveri del regno. Proprio quest’ultimo, l’Albergo dei
Poveri 12, sembra segnare il divenire dell’urbanistica borbonica:
sorto da uno slancio generoso di Carlo di Borbone, concepito
inizialmente da Ferdinando Fuga come una sterminata fabbrica
dotata di quattro cortili come la Reggia di Caserta, è certamente
l’esito, come si è detto più volte, di un paternalismo illuminato;
ma quegli originari limiti programmatici ben evidenti già nel
1786 a un critico illuminato come Francesco Milizia 13 vengono
superati per iniziativa di Ferdinando IV, dopo il 1799: cosicché,
proprio mentre l’esperienza di San Leucio vede scemare i suoi
contenuti sociali più avanzati, il grande palazzo diventa una
ideale enclave dove residenza e attività lavorative si confronta-
no. Per volontà del sovrano, infatti, alla tradizionale funzione di
dormitorio, la grande struttura progettata da Ferdinando Fuga e
Il sito reale di San Leucio 70

mai completata del tutto comincia ad associare anche quella di


sede di varie attività manifatturiere, anche se non di particolare
pregio, ivi comprese quelle tessili 14.
Per le produzioni eccellenti, il discorso è diverso. Fin dalla
fondazione, nel 1743, della fabbrica nel parco di Capodimonte a
poca distanza dalla Reggia, creatura di Carlo e per molti aspetti
sua peculiare passione, sembra scontato il legame tra residenze
reali e manifatture del lusso. Solamente nel triennio compreso
tra il 1753 e il 1756 funziona invece nella Reggia di Caserta una
manifattura di maiolica. Allorché Ferdinando vorrà far rivivere
la fabbrica di porcellana che il padre Carlo aveva portato con
sé in Spagna, la colloca nel 1772 presso Reggia di Portici per
poi trasferirla di lì a poco nel Palazzo Reale di Napoli 15. D’altra
parte, i siti reali – nati prevalentemente per la caccia – non di
rado comprendono non secondarie attività produttive: valga per
tutti il caso di Carditello, dove pure opera Collecini, che proprio
Ferdinando IV trasforma in azienda agricola specializzata 16.
Ma nel generale quadro entro cui si colloca la vicenda
di San Leucio, non va annoverata solo l’esperienza delle pro-
duzioni di pregio nei siti reali, dove idealmente la manifattura
viene posta al centro dello Stato, bensì anche – come oppor-
tunamente ricorda Mario Battaglini 17 – quella delle colonie,
dove al contrario è una sorta di “enclave” all’interno dello stato
ma lontana dal centro del potere, il luogo ove sperimentare
14
n. d’arbitrio, l. ziviello, Il Reale su piccola scala riforme sociali, giuridiche ed economiche. In-
albergo dei Poveri. Un edificio per le
“arti della città” dentro le mura, Edisa, nanzitutto dovevano essere ben presenti le importanti e recenti
Edizioni Savarese, Napoli 1999. esperienze condotte in Spagna sotto il regno di Carlo, divenuto
15
a. carola perrotti, La porcellana III, sulla base delle teorie di Pedro Rodriguez de Campomanes
della Real Fabbrica Ferdinandea (1781-
1806), Edizioni Banco di Napoli, Napoli e del concreto impegno di Pablo Antonio José Olavides conte
1978. di Pilos: anche nella Sierra Morena e nella Andalusia 18, dopo il
16
g.c. alisio, Siti reali dei Borboni, 1767, si era fatto il tentativo di combinare in forme sociali inno-
Officina, Roma 1976, p. 47.
17
vative agricoltura e produzione tessile e serica. Analogamente,
m. battaglini, op.cit., p. 17.
18
l’impianto urbanistico per quanto possibile regolare, e le abi-
j.r. vàsquez lesmes, La
Illustraciòn y el processo colonizador en tazioni con schema costruttivo e spaziale reiterabile, facevano
la campana cordobesa, Cordoba 1980; m. da contrappunto a specifici ordinamenti giuridici 19. Tuttavia,
garcia cano, La colonizaciòn de Carlos
III en Andalucia. Fuentepalmera 1768- lo stesso Ferdinando aveva – prima di San Leucio – tentato
1835, Cordoba 1982. un esperimento riformista di colonia tanto a Ponza quanto a
19
m. capel, La Carolina, capital Ventotene, ex tenimenti farnesiani. Quello di Ventotene, però,
de las nuevas poblaciones: un ensayo
de reforma socio-economica de España era finalizzato alla “redenzione” di elementi socialmente peri-
en el siglo 18, Instituto de estudios colosi, un episodio sicuramente meno studiato 20 anche perché
giennenses, Jaen 1970; c. sambricio,
Territorio y ciudad en la España de la sostanzialmente fallito. L’intento è di trasferirvi forzosamente i
Illustraciòn,Instituto del Territorio y vagabondi prelevati a Napoli, affinché possano abitare l’isola e
Urbanismo, Madrid, 1991.
20 trarre sussistenza dall’agricoltura, attività sino a quel momento
g. amirante, Las nuevas
plobaciones en tiempo de Carlos III trascurata su gran parte del territorio. È già il primo contin-
e le nuove colonie durante il Regno gente di 100 forzati ad assicurare la ristrutturazione urbanistica
di Ferdinando, in Napoli-Spagna.
Architettura e città nel XVIII secolo,
atti del Convegno, a cura di A.
Gambardella, Esi, Napoli 2003,
pp. 217-234.
Fabio Mangone San Leucio: un caso singolare 71

dell’insediamento, affidata dal 1768 a due illustri tecnici, Anto- 21


p. chorley, Oil, Silk and
nio Winspeare e Francesco Carpi (pure impegnati sul piano di Enlightenment. Economic problems in
XVIII century Naples, Istituto per gli
Ponza), e pure incentrata sulla dualità dei poli rispettivamente studi storici, Napoli 1965; r. caracciolo,
Relazione all’eccellentissimo supremo
civile e religioso, Castello e Chiesa di Santa Candida. Nel 1771
consiglio delle reali finanze intorno la
vengono concesse terre, esenzioni fiscali e strumenti di lavoro a nuova scuola della seta eretta per real
comando nella Villa Sangiovanni ..., s.n.,
chi si reca volontariamente nella colonia. Sullo sfondo del pen-
Napoli 1791.
siero di Jean-Jacques Rousseau, si pensa che sull’isola, fuori
dall’ambiente corrotto della “civiltà” e a contatto con la natura,
anche i soggetti socialmente meno affidabili possono redimersi
del tutto. Anche nel caso di Ventotene, la fase della restaurazio-
ne borbonica – ma questa volta la seconda restaurazione – cor-
risponde a una svolta regressiva: nella fattispecie Ventotene dal
1817 diviene il luogo di esilio per quanti ostacolano il consoli-
damento del Regno borbonico.
Un ulteriore importante esperimento di colonia presso-
ché coevo (1789-90), non privo di affinità con San Leucio e pro-
babilmente ispirato ad esso, di inziativa privata ma presto fre-
giato del titolo di “reale”, è la cosidetta Scuola/Manifattura della
seta, fondata in Calabria a Villa San Giovanni da Roccantonio
Caracciolo 21, e pure fallita nella reazione post-rivoluzionaria.

Utopia o città ideale?


6.
Il concetto di “utopia” è stato reiteratamente chiamato in San Leucio, la facciata principale del casino
del Belvedere.
causa nell’interpretazione di San Leucio: dell’ambiguo etimo, (foto di F. Soprani)
Il sito reale di San Leucio 72

oscillante tra “l’eu-tópos, la regione della felicità e della perfe-


zione (... e ...) l’ou-tópos, la regione che non esiste in nessun
luogo” 22, è sicuramente il primo termine quello più aderente
all’esperimento di Ferdinando IV. Certamente il riferimento
all’utopia sembra poter essere associato in maniera più calzante
per quello che riguarda gli statuti e il progetto economico-so-
ciale – a proposito dei quali sembra ancor più appropriato il
richiamo fatto da Lucio d’Alessandro al principio foucaultiano
della “eterotopia” 23 – mentre più complesso è il discorso per
quello che riguarda l’impianto architettonico di Ferdinandopoli,
che pure ne rappresenta il correlato. Come insieme a Maria Lui-
sa Scalvini ho notato altrove, «l’utopia architettonica o urbana
si colloca nell’ambito di una più generale propensione, propria
7.
E. Battisti dell’età moderna e contemporanea, ad attribuire in misura via
Ricostruzione della città di San Leucio secondo il via maggiore, importanti significati e valori al progetto in sé, an-
progetto di F. Collecini
Tratta da aa . vv ., San Leucio: Archeologia, storia, che quando ideato in totale indipendenza rispetto a qualsivoglia
progetto, Milano, 1977.
committenza. Di utopie in senso stretto, tuttavia, si può parlare
solo quando vengono prefigurate soluzioni che consapevolmen-
te e deliberatamente prescindono da ogni ragionevole ipotesi di
realizzabilità» 24. Non è questo il caso del piano di Ferdinando-
22
b. baczko, Utopia, in Enciclopedia
Einaudi, Torino 1981, vol. 14, p. 870.
poli, così aderente ai desideri del committente da alimentare il
23
Si veda in questo stesso volume il
mito che fosse stato disegnato dal sovrano insieme all’architet-
saggio di Lucio d’Alessandro, San Leucio. to, così attento da assicurare in termini di assoluta concretez-
Un progetto sociale e culturale.
za l’inclusione delle preesistenze, così preciso nel prefigurare
24
Cfr. m.l. scalvini, f. mangone,
Città e architettura, in Istituto Suor
i meccanismo economici per cui i privati avrebbero concorso
Orsola Benincasa, Dall’utopia alla realizzazione, sulla base delle più avanzate esperienze eu-
all’utopismo. Percorsi tematici, a cura di
V. Fortunati, R. Trousson, A. Corrado,
ropee, e in anticipo su altre esperienze del Mezzogiorno, come
Cuen, Napoli 2003, p. 356. Cfr. anche è il caso di Bari 25. Nel prefigurare con realismo le possibilità di
f. mangone, Projets et métaprojets
urbanistiques et architecturaux, in
intervento dei privati – gli addetti alla manifattura che bene-
Histoire transnationale de l’utopie ficiano di un certo benessere garantito dal nuovo sistema so-
littérarie et de l’utopisme, Honoré
Champion éditeur, Parigi 2008. cio-economico – Collecini rende il piano di San Leucio dotato
25
f. mangone, Il borgo murattiano di quei contenuti economici concreti rimasti inesplorati invece
di Bari, in L’architecture de l’Empire nel piano del maestro per Caserta. Piuttosto che di utopia ur-
entre France et Italie, atti del Convegno
internazionale (Ascona, Svizzera, 5-8 bana, è preferibile parlare di “città ideale” 26, nel solco di una
ottobre 2006), a cura di L. Tedeschi, D. lunga tradizione 27: come è noto con questa locuzione si intende
Rabreau, Mendrisio Academy Press,
Mendrisio 2012, pp. 201-208. generalmente un insediamento urbano – non di rado progettato
26
In una chiave critica o solo immaginato, ma talora anche realizzato – il cui disegno
personalissima ma discutibile, che urbanistico, dotato di un’intrinseca coerenza, riflette criteri di
considera le città ideali come utopie
che hanno trovato una loro concreta razionalità oppure peculiari caratteri di scientificità, in relazio-
realizzazione (p. 9), hanno-walter ne anche a una specifica tensione ideale e filosofica. In que-
kruft (Städte in Utopia. Die Idealstadt
vom 15. bis zum 18. Jahrhundert zwischen sto senso, non è affatto azzardato ritenere, come ha già ritenuto
Staatsutopie und Wirklichkeit, Oscar Riccardo Serraglio 28, che Collecini – di formazione romana e
Beck, Monaco 1989) ha ritenuto tuttavia
di di poter includere San Leucio tra le accademica – potesse avere cognizione delle città ideali della
città utopiche. tradizione rinascimentale 29, e da esse trae in prima analisi ispi-
27
Cfr. h. rosenau, The Ideal City. Its razione. In tale prospettiva sembra particolarmente significativo
Architectural Evolution, London 1959.
28
Cfr. r. serraglio, op. cit.
29
La città ideale nel Rinascimento, a
cura di G.C. Sciolla, Utet, Torino 1975.
Fabio Mangone San Leucio: un caso singolare 73

il fatto che – in una occasione così fuori al comune – facesse 30


l. vanvitelli, Dichiarazione dei
rivivere gli schemi centrici e radiali del rinascimento, piuttosto disegni del Reale Palazzo di Caserta alle
sacre reali maesta di Carlo re delle Due
che adottare i correnti sistemi razionali basati su maglia orto- Sicilie…, Stamperia Reale, Napoli 1756.
gonale che caratterizzano in larghissima misura le fondazioni e 31
f. de’ marchi, Della architettura
militare, del capitanio Francesco
rifondazioni seguite al rovinoso sisma del 1783 in Calabria, quali
de’ Marchi... Libri tre. Nelli quali si
Seminara Mileto, Gallina, Palmi, La Carolina, Bagnara, Borgia, descriuono li veri modi, del fortificare,
che si vsa a’ tempi moderni. Con vn breue,
Cortale, Bianco, Filadelfia, e la stessa Reggio Calabria. Nella di- et vtile trattato, nel quale si dimostrano
rezione della “città ideale” radiale si allontana anche da un’altra li modi del fabricar l’Artigliaria, & la
prattica di adoperarla, da quelli che
eterotopia, ovvero dall’impianto ortogonale ideato dal maestro hanno carico di essa, Dall’Oglio, Brescia,
Luigi Vanvitelli per la nuova capitale da costruirsi presso la 1599, III, f 109v e 252v.
Reggia, a noi noto attraverso la straordinaria Dichiarazione dei
disegni... 30 del 1756. Dal maestro, però, mutuò la straordinaria
sensibilità paesistica che in qualche misura rappresenta l’ele-
mento peculiare con cui alla luce di una cultura ormai tardo
settecentesca e di una raffinata estetica del sensismo, viene in-
terpretato peculiarmente il modello della città ideale su schema
radiale circolare. Quelli che erano impianti “chiusi” nelle mura
e introversi, dove a fungere da complemento geometrico e con-
clusione prospettica dello schema radiale erano le fortificazioni
stellari, si trasformano in uno insieme urbano ben delimitato
in termini geometrici ma in qualche misura “aperto”: le strade
della raggiera risultano spalancate su plurimi scenari naturali-
stici e paesistici che ne concludono le prospettive, ivi compreso
il parco reale di Caserta. Peraltro, l’impianto centrico di Ferdi-
nandopoli con “spicchio” mancante, sul lato verso il Belvedere,
richiama insistentemente alcuni disegni del trattato (1599) di
architettura militare 31, edito postumo, di Francesco de’ Marchi
(1504-76), che giova ricordarlo era stato tra l’altro un tecnico al
servizio dei Farnese, e che alcuni dei suoi disegni si conservano
ancora a Napoli fra le “carte farnesiane” ereditate dai Borbone
(e le piante delle isole pontine dovevano essere state “recupera-
te” in questa fase). Quello che negli schemi cinquecenteschi era
un “vuoto” dettato dalle esigenze dell’arte della guerra diventa
un modo per risolvere in felici termini scenografici la irregola-
rità orografica, lasciando al Belvedere, fabbrica e residenza reale
a un tempo, di testimoniare con la sua posizione dominante e
la sua architettura monumentale la specifica funzione di questa
pacifica colonia manifatturiera.
SITI REALI IN SPAGNA

Madrid e dintorni
JOSÉ ELOY HORTAL MUÑOZ

EL PERSONAL
DE LOS SITIOS REALES
DESDE LOS ÚLTIMOS HABSBURGO
HASTA LOS PRIMEROS BORBONES:
DE LA VIDA EN LA PERIFERIA
A LA INTEGRACIÓN
EN LA CORTE
Éste trabajo ha sido posible gracias a la ayuda proveniente del
proyecto de investigación La reconfiguración de los espacios cortesanos:
los Sitios Reales (HAR 2012-37308-C05-02),
del Ministerio Español de Economía y Competitividad
y dirigido por Félix Labrador Arroyo.

1.
Johannes Blaeu
Vista de El Escorial
por (copia del “Séptimo diseño” de Juan de Herrera),
grabado coloreado, 1672, Biblioteca Nacional,
Madrid; tratto da Luis Sancho, The Royal Monastery
of San Lorenzo de El Escorial, Madrid, Patrimonio
Nacional, 2002, pp. 30-31
En la actualidad existen en España un conjunto de pa- 1
Sobre la Corte cómo sistema
lacios y jardines históricos, diseminados por toda su geografía, político, j. martínez millán, La corte
de la Monarquía hispánica, “Studia
denominados “Sitios Reales”. Tales lugares son centros turísti- Histórica, Historia Moderna”, XXVIII
(2006), pp. 17-61.
cos de éxito y han sido objeto de numerosos y excelentes estu-
2
Existen numerosos estudios sobre
dios de investigación por parte de los historiadores del arte. No
la configuración de los Sitios Reales
obstante, apenas si existen trabajos en los que se haya abordado durante la Edad Media, pero podemos
destacar f. chueca goitia, Casas Reales
el sentido de tales palacios y jardines más allá de asignarles una en monasterios y conventos españoles,
función de descanso y divertimiento de los reyes y sus familias. Bilbao, Xarait ediciones, 1982 o m.á.
castillo oreja (ed.), Encuentros sobre
Sin embargo, desde la metodología de los estudios de la Corte, patrimonio. Los alcázares reales, Madrid,
tales lugares cobran un significado mucho más relevante y se Fundación BBVA, 2001. Para los Reyes
Católicos, f. chueca goitia, Los palacios
sitúan en el contexto de la formación y evolución de la organi- de los Reyes Católicos, “Reales Sitios”,
zación política de la Monarquía Hispana. En el presente artículo, CX (cuarto trimestre 1991, Monográfico
Reyes Católicos, Quinto Centenario
vamos a centrarnos en el tipo de personal que trabajó en dichos del Descubrimiento), pp. 37-44 y, sobre
Sitios Reales durante el siglo XVII y principios del XVIII, con todo, r. domínguez casas, Arte y etiqueta
de los Reyes Católicos. Artistas, residencias,
el fin de observar a través del mismo cómo el reinado de Felipe jardines y bosques, Madrid, Editorial
IV dio inicia a una tendencia que continuaron sus sucesores, Alpuerto S.A., 1993, pp. 1-547.
3
cual era que dichos lugares pasaron de ser la periferia del siste- Desarrollado en f. checa cremades
y j.m. morán turina, Las Casas del Rey.
ma de Corte a estar integrados en el mismo 1. Casas de Campo, Cazaderos y Jardines.
Durante la Baja Edad Media, los monarcas de los diversos Siglos XVI y XVII, Madrid, Ediciones
El Viso, 1986; f. checa cremades, Felipe
reinos hispanos fueron utilizando, construyendo y reformando II y la ordenación del territorio en torno
diferentes edificios a lo largo de la geografía de la Península a la Corte, “Archivo Español de Arte”,
t. LVIII, núm. 232 (1985), pp. 392-8 y
Ibérica, con el fin de que les sirvieran de estancia, y con ellos a Las Construcciones del Príncipe Felipe
sus cortes ambulantes, reconociéndose la propiedad sobre el- en vvaa, Ideas y diseño. La Arquitectura.
IV Centenario del Monasterio de El
los y llevándose a cabo numerosas obras con los Reyes Católi- Escorial, Madrid, mopu, 1986, pp. 23-45;
cos como vehículo de expresión de la nueva entidad territorial v. tovar martín, El espacio territorial
madrileño circunscrito a los Sitios Reales
que se iba gestando 2. Del mismo modo, Carlos V inició algunas en el reinado de Felipe II, Madrid,
obras relevantes, pero sería su hijo Felipe II, aún como prín- Ayuntamiento de Madrid e Instituto de
Estudios Madrileños, 1998; l. cervera
cipe, el primer monarca que llevó a cabo un plan constructi- vera, Oficios burocráticos en las obras
vo específico de forma organizada. Para ello, se configuró un reales madrileñas (1540-1563), “Anales
del Instituto de Estudios Madrileños”,
sistema basado en tres pilares 3: creación de la Junta de Obras XVIII (1981), pp. 99-118.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 78

y Bosques 4, órgano que se encargaría de gestionar todo éste


entramado de posesiones, elección de un arquitecto mayor que
dotara de unidad de estilo todas las construcciones reales, cargo
que recayó en Juan Bautista de Toledo 5, y organización jerár-
quica de los oficiales participantes en dichas obras a través de
una serie de instrucciones precisas 6.
Durante los períodos en los que el monarca estaba ausen-
te, estos Sitios Reales estuvieron cuidados, vigilados y guarda-
dos durante el siglo XVI y principios del XVII por un reducido
número de personajes que, en muchos casos, eran familiares
entre sí y que llevaban una cómoda vida por su relevante papel
4
Sobre dicha Junta los trabajos
en el entorno local, pues hay que recordar que eran servidores
de mª.v. garcía morales, Los artistas reales. Únicamente algunos lugares como Aranjuez, debido a
que trabajan para el Rey: la Junta de
Obras y Bosques, “Espacio, Tiempo y
las “fieras” y animales exóticos que poblaban sus jardines, San
Forma. Historia del Arte”, III (1990), Lorenzo de El Escorial, por las continuas visitas de Felipe II y
pp. 123-36 y f.j. díaz gonzález, La Real
Junta de Obras y Bosques en la época de
Felipe III, o Valladolid, debido a la instalación allí de la Corte de
los Austrias, Madrid, Dykinson, 2002. 1601-6, tuvieron “movimiento” de forma continuada.
Desde el punto de vista económico,
veáse, f. labrador arroyo, Gasto y
La situación iba a sufrir un vuelco notable a partir del rei-
financiación de los oficiales y obras nado de Felipe IV, pues estos lugares iban a cobrar mucha mayor
de los Reales Sitios (1612-1635), en j.
martínez millán, m. rivero rodríguez
vida debido a varias circunstancias. La principal, sin duda, fue
y g. versteegen (coords.), La Corte que el monarca decidió incrementar la relevancia de los mismos,
en Europa: Política y religión (siglos
XVI-XVIII), Madrid, Polifemo, 2012, pp.
proceso que debemos insertar en el contexto de las reformas
1969-2019. que iba a sufrir la Monarquía desde el inicio del reinado.
5
Para el proceso hasta la elección Sería el conde-duque de Olivares el principal impulsor
de dicho personaje y los que le
precedieron, j.m. barbeito díez y j. de dicha estrategia, sabedor de la significación que tenían los
ortega vidal, Los artífices de las obras Sitios Reales en la vida local del entorno dónde se situaran,
reales en c. añón feliú y j.l. sancho
gaspar (eds.), Jardín y naturaleza en el pues por herencia familiar era alcaide de los Reales Alcázares
reinado de Felipe II, Aranjuez, Doce de Sevilla y a su gestión directa dedicó varios años. Del mismo
Calles, 1998, pp. 245-73.
6
modo, allí pudo ser consciente del potencial que tenían dichos
Hubo numerosas instrucciones
y podemos citar las de 1549 para el lugares como representación del poder real, pues cuando iban a
Alcázar de Madrid y Palacio de El partir los nuevos virreyes electos hacia América pernoctaban en
Pardo, 1552 para el gobierno de las
obras de Valsaín, 1554 sobre la labor los Reales Alcázares, momento en que se izaba el pendón real y
del mayordomo, pagador y veedor del el edificio funcionaba cómo si el propio monarca se encontra-
Alcázar de Madrid y de El Pardo y
para las obras del Alcázar de Segovia, ra en dicho lugar 7. Distinta relevancia tendrían en su entorno
1556 normas dictadas en Bruselas para local el Alcázar de Toledo, los diversos Reales Sitios de Segovia,
completar la instrucción de 1549, 1563
para el Alcázar de Madrid, Palacio de Aranjuez o la Alhambra, entre otros. En virtud de ello, Olivares
El Pardo, Aranjuez y San Lorenzo de fue consciente de que el control de dichos lugares le serviría
El Escorial, etc. Las enumera y analiza
l. cervera vera, Instrucción de Felipe en gran medida para potenciar su proyecto de gobierno y ex-
II para continuar las obras del Alcázar tenderlo a casi todos los rincones del reino, aprovechando que
de Toledo, “Anales Toledanos”, XXXI
(1994), pp. 137-62. dichos lugares estaban estrechamente vinculados al monarca.
7
Sobre dicho aspecto y la Baste como ejemplo recordar que en Aranjuez estaba prohibido
relevancia del Alcázar de Sevilla en su que habitara nadie que no sirviera al rey en el Real Sitio 8, lo
entorno, a. marín fidalgo, El Alcázar
de Sevilla bajo los Austrias, Sevilla, que aseguraba su fidelidad ante posibles revueltas.
Guadalquivir s. l. ediciones, 1992, 2 vols. Para controlar dichos Sitios Reales, el Valido, en un primer
8
Éste asunto se trata en c. díaz momento, intentó extender sus redes sobre la Junta de Obras
gallegos, El Real Sitio de Aranjuez,
ejemplo de urbanismo barroco en España:
sus calles y plazas, “Reales Sitios”,
LXXXVII (primer trimestre 1986), pp.
29-36.
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 79

y Bosques 9, con la que tuvo numerosas pugnas. Posteriormente, 9


Para ello, consiguió que salieran
Olivares aumentó su influencia sobre el gobierno de diversos de la Junta todos los personajes
procedentes del reinado anterior,
Reales Sitios, con el fin de tener mayores posibilidades de colo- excepto don Fernando Carrillo, y situó
a “hechuras” suyas en la misma (sobre
car a “hechuras” suyas en los oficios relevantes de los mismos, al
dichas pugnas, f.j. díaz gonzález, La
tiempo que se garantizaba el control de la situación durante las Real Junta de Obras y Bosques, cit., pp.
183-200).
visitas reales. Así, por ejemplo, en Aranjuez influyó en el nom-
10
Con anterioridad a éste
bramiento de los gobernadores don Melchor de Alcaraz (1625-8), momento, los ocupantes de las
don Juan de Toledo y Meneses (1628-31), don Diego Fernández alcaidías de dichos Sitios Reales
habían sido personajes de escasa
de Zárate (1632-6, 1637-46) o Sebastián Antonio de Contreras y relevancia cortesana, excepto en casos
Brizuela (1636-7, 1646-54), mientras que en El Pardo situó a los aislados y vinculados a cuestiones
familiares o de cercanía a sus
alcaides y guardamayores marqués de Flores Dávila (1623-31) o posesiones, como fue el duque de
don Diego Ramírez de Haro (1631-45), personajes todos ellos de Lerma (alcaide perpetuo del Alcázar
de Toledo, de la Casa de Campo y de
indudable influencia cortesana y filiación olivarista. las Casas Reales de Valladolid) o de
Un nuevo paso en su estrategia fue el control directo de los marqueses de Mondéjar (en la
Alhambra), así como los condes de
alcaidías de Sitios Reales a través de la obtención de nombra- Chinchón en el Alcázar de Segovia o
mientos en su persona que unir al que ya poseía en los Reales la familia del conde-duque de Olivares
en los Alcázares de Sevilla.
Alcázares de Sevilla 10. El primero fue el del cuarto real de San 11
Dicho título en AHN, Nobleza,
Jerónimo el 27 de julio de 1630 11 – el cual, como sabemos, acabó Olivares, C1, D1, ff. 1 r.-2 r.
convirtiéndose en el famoso Palacio del Buen Retiro, del cual 12
En ahn, Nobleza, Olivares, C1, D1,
fue el primer alcaide a partir del 8 de noviembre de 1633 12 –, así ff. 8r. y 11 r. y en su expediente en agp,
Personal, caja 754/49.
como de La Zarzuela el 16 de febrero de 1636 13 y de Vaciamadrid 13
Dicha posesión se agregó a la
el 29 de julio de 1634 14, lugar que, posteriormente, pasaría a for- del Buen Retiro con Olivares por título
mar parte del patrimonio de su familia desgajado de la posesión de dicha fecha (en agp, Personal, caja
754/49), para unirse en 1662 a la del
real. Evidentemente, y debido a sus múltiples ocupaciones en el Pardo el 12 de octubre de 1662 (en el
entorno del Soberano, no ejercería directamente dichos oficios, mismo expediente).
14
por lo que fue nombrando a una serie de personajes afines para Título en Ibid.
15
dirigir dichos lugares, como fue el caso de su yerno el marqués Sobre su relación con los Reales
Sitios, mª.a. flórez asensio, El Marqués
de Leganés como teniente de alcaide en Vaciamadrid (1636-45) o de Liche: Alcaide del Buen Retiro y
el conde de Puñoenrostro cómo alcaide interino de La Zarzuela “Superintendente” de los Festejos Reales,
“Anales de Historia del Arte”, XX (2010),
(c. s. 1638-c. s. 1646). pp. 145-82.
Tras Olivares, don Luis de Haro fue así mismo conscien-
te de la relevancia de dominar los Sitios Reales y, tras fallecer
el conde-duque en 1645, aunó en sus manos mayor cantidad
de títulos que su predecesor, pues consiguió entre dicho año
y 1650 las alcaidías del Buen Retiro, El Pardo, Valsaín y Reales
Alcázares de Sevilla, así como el oficio de caballerizo mayor
perpetuo de las caballerizas de Córdoba, detentando todas el-
las hasta 1661. En prácticamente todos esos lugares, su hijo
don Gaspar de Haro y Guzmán, VII marqués del Carpio y de
Eliche 15, ejercería como alcaide interino delegado por su pa-
dre y tomaría todas ellas en propiedad tras un breve periodo
de tiempo transcurrido entre 1662 y 1665, en que estuvo en el
destierro por su famoso affaire, en que obtuvieron las alcai-
días el duque de Medina de las Torres (del Buen Retiro) y el
conde de Monterrey (de Valsaín, El Pardo y Zarzuela). Dicha
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 80

2.
Francesco Battaglioli
Vista del Palacio de Aranjuez
1756, Museo Nacional del Prado;
tratto da José Luis Sancho, Guía de visita del Real
Sitio de Aranjuez, Madrid, Patrimonio Nacional,
1997, portada.

tendencia continuaría en reinados posteriores, pues en 1688,


por ejemplo, podemos ver cómo el alcaide de la Casa de Cam-
po y de la Fuente del Sol era el duque de Medinaceli, tam-
bién valido-privado, tras su matrimonio con doña catalina de
Sandoval y Rojas 16. Del mismo modo, la condición social del
gobernador de Aranjuez, cargo que no fue ejercido por ningún
Valido debido a la necesidad de residir allí de forma perma-
nente para poder organizar todas las cuestiones económicas
de tan relevante explotación agrícola y ganadera, se incremen-
taría, y ya con Felipe V nos encontramos cómo el 10 de agosto
de 1706 fue nombrado don Gabriel Ortega Guerrero, marqués
de Valdeguerrero, el cual serviría hasta 1722, dándosele plaza
supernumeraria en el Consejo de Hacienda 17.
16
agp, ap, Casa de Campo, caja 15/9
(aunque viene en la caja 20).
17
agp, ap, Aranjuez, registro 6707.
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 81

Cómo resulta evidente, este interés de los Validos por


controlar los Sitios Reales respondía a una estrategia que
pretendía incrementar la vinculación de los mismos con la
Corte, la cual fue mucho más profunda a partir de Felipe IV.
Dichos lugares alcanzaron un notable esplendor, no sólo a
través de las campañas constructivas que intentaban adaptar
dichos lugares al Barroco, si no también al incremento que
experimentó la nómina de personajes que servían en ellos,
siendo los mismos, en la mayoría de las ocasiones, gentes de
mayor relevancia que en reinados anteriores. Por supuesto,
conviene ser cautos, pues sería necesario estudiar caso por
caso y algunos lugares decayeron, en especial, los vinculados
al duque de Lerma.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 82

Esta realidad la hemos podido conocer a través del vacia-


do sistemático de fuentes que hemos llevado a cabo para una
obra colectiva relativa al reinado de Felipe IV que codirijo jun-
to al profesor Martínez Millán y que verá la luz durante 2014, y
cuya continuidad podemos observar hasta el siglo XVIII. En
la misma, orientada a conocer los componentes de las Casas
Reales, hemos podido comprobar como las noticias relativas a
personajes vinculados a los Sitios Reales se multiplicaban con
respecto a reinados anteriores. Gracias a ello, hemos localizado
a más de 2.000, cuyo número seguro que fue mucho mayor al
haber dificultades de acceso a información referente a varias de
dichas posesiones, en especial el Buen Retiro.
Éste incremento del número de personajes asociados a
Sitios Reales con respecto a reinados anteriores, debemos vin-
18
cularlo al hecho de que la configuración de la Monarquía His-
Para el estudio de dicha
integración, j. martínez millán (dir.), pana que se había gestado en época de Carlos V entró en crisis
La Corte de Carlos V, Madrid, Sociedad durante el reinado de Felipe IV, en especial tras la década de
Estatal para la conmemoración de
los centenarios de Felipe II y Carlos 1640. Por ello, dicho reinado se convirtió en una desesperada
V, 2000, 5 vols.; j. martínez millán y s. e infructuosa búsqueda por modificar lo existente a través de
fernández conti (dirs.), La Monarquía
de Felipe II: la Casa del rey, Madrid, una serie de ajustes y reformas. El principal problema del ago-
Fundación Mapfre-Tavera, 2005, 2 vols. tamiento del sistema lo constituía el hecho de que muchos de
y j. martínez millán y m.ªa. visceglia
(dirs.), La monarquía de Felipe III, los súbditos de la Monarquía ya no conseguían integrarse en
Madrid, Fundación Mapfre-Instituto la misma, quedando sin el paraguas que había representado
de Cultura, 2008, 4 vols.
19 hasta entonces el monarca como pater familias, pues la propia
Tal y cómo sucedió con Pedro
Díaz de Carvajal (agp, Personal, caja constitución de la Monarquía le impedía absorber con éxito a
16763/8 y Registros 11, f. 204 r. y 12, f. los diferentes grupos sociales y reinos, tal y como había hecho
219 r.), principal de Aranjuez (1611-24)
y de Castilla (1612-24), y Fray Pedro antaño la Casa Real 18. Tras comprobar el funcionamiento de las
Moreno (agp, Real Capilla (RC), caja Casas Reales con Felipe IV, nuestra sensación es que el acceso
85, s. f. y Registros 12, ff. 219 r.-v. y 253
v. y 6151, f. 27 v.), principal de Aranjuez a determinados puestos de niveles medios y bajos de la Casa
(1624-5) y de Castilla (1625). Sobre se fue restringiendo cada vez más a personajes vinculados a fa-
los capellanes reales de Felipe iv, j.e.
hortal muñoz, “La espiritualidad en milias de luenga tradición en el servicio real, en especial que
Palacio: los capellanes de Felipe iv” en lo hubieran hecho en las propias Casas Reales, dificultando el
j. martínez millán, m. rivero rodríguez
y g. versteegen (Coords.), La Corte en
Europa: cit., Madrid, Polifemo, 2012, I, Aranjuez y de los cuarteles (1608-29), 24
agp, Personal, caja 1335/9.
pp. 257-304. antes de ser nombrado de Castilla 25
20 (1622-c. s. 1629). agp, ap, Aranjuez, registro 6707.
Nos encontramos varios casos
22 26
cómo los de Jorge de Orea Tineo agp, ap, Aranjuez, registro 6707. Entre ellos, podemos destacar
(agp, Personal, caja 761/39 y Registros 23 los casos de Jusepe Méndez de
12, ff. 253 v.-254 r. y 344 v. y 6151, f. 28 Entre otros, nos encontramos Molina (agp, Personal, caja 666/34 y
v.), principal de Aranjuez (1625-8) y casos cómo los del doctor Lázaro de 37 y Registros 12, f. 634 v., 13, ff. 6 v., 12
de Santiago (1626-32), del licenciado la Fuente (agp, Personal, caja 16931/28 v., 13 r., 79 v. y 80 r. y 14, f. 223 r.; ahn,
Bartolomé Florencio de la Vera Chacón y Registros 11, ff. 535 v.-536 r. y 13, f. 136 Nobleza, Frías, caja 591, docs. 36 y 37
(agp, Personal, caja 1087/3 y Registros r.-v.), médico de Aranjuez (1616-25) y de y caja 592, doc. 96.), que fue alcaide y
13, f. 18 r.-v. y 6151, f. 31 v.), principal Castilla (1625-51), el doctor Bernardo guardamayor de la Real Casa y Bosque
de Aranjuez (1628-30) y de Santiago Serrano de Minaya (agp, Personal, caja de Valsaín para las enfermedades
(1628-c. s. 1634), o del licenciado Juan 995/13 y Registros 12, f. 321 v. y 13, f. 36 (1629-32) y teniente de alcaide de El
Sánchez García (agp, Personal, caja r.; ags, csr, leg. 307, f. 259), médico Pardo (1632-46), antes de ser nombrado
966/3 y Registros 13, ff. 30 v. y 113 r. y de Aranjuez (1628-30) y de la Casa de montero de traílla a pie (1639-46) o
6151, f. 36 r.), principal de Aranjuez Castilla (1630-46), o del licenciado don Juan Bautista Montero (agp, ap), leg.
(1633-8) y de Santiago (1634-8), entre Gabriel Gómez (agp, Personal, caja 627 y Personal, caja 699/16), guarda de
otros. 438/59 y Registros 13, ff. 36 r.-v. y 168 la Casa de Campo hasta que en 1632
r. y 15, ff. 38 v.-39 r.; ags, csr, legs. 307, fue nombrado catarribera (1632-50).
21
Reluz (agp, Personal, cajas 873/50 f. 259. y 308, ff. 79 y 80), que fue de
y 7793/4, RC, caja 85, s. f. y Registros 12, Aranjuez (1630-5) y de Castilla (1630-c. s.
f. 173 v. y 6151, f. 26 r.) fue capellán de 1659).
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 83

acceso a los mismos de aquellos que no tuvieran ése soporte fa-


miliar previo a su interés por ingresar en el séquito del monarca.
A dicha patrimonialización ayudaría el hecho de que a algunos
servidores en activo se les concedió poder pasar sus oficios, no
ya por una vida, sino por dos o más, además de generalizarse
de forma significativa la concesión del puesto para “con quien
casare” alguna de las hijas.
En virtud de ello, y gracias a la presencia de los grandes
patronos cortesanos al frente de los Sitios Reales y al aumento
de su vinculación con la Corte, una de las pocas vías nuevas
que se abrieron para ingresar en la Casa Real a gentes ajenas
a la misma fueron los citados Sitios Reales. Así, los capellanes
principales de Aranjuez pasaron con frecuencia a la Capilla
Real a través de capellanías de Castilla 19, desde mediados del
reinado de Felipe III hasta principios del reinado de Felipe IV,
y de Santiago desde 1625 en adelante 20, e incluso encontramos
el caso del doctor Gaspar Alonso de Reluz, que ingresó en la
Capilla Real sin ser principal 21. Dicha posibilidad aumentaría
en 1663, ya que se aumentó el número de capellanías de dos a
tres, al no ser suficientes para atender a toda la gente que había
en Aranjuez 22. Del mismo modo, muchos médicos del mismo
Real Sitio recibieron el título de médico de la Casa de Castilla
y, tras servir allí durante ocho años, se les permitía pasar a la
Corte 23. Además de estos casos colectivos, tenemos otros par-
ticulares, como, entre otros muchos, Pascual de Alfaro, que de
mozo del guardajoyas y ropa del Buen Retiro pasó en 1645 a ser
mozo de oficio de la tapicería 24, o don Luis Mudarra, portero de
damas de la reina que fue nombrado contador de Aranjuez el 8
de diciembre de 1675 25. Por supuesto, la Caza Real tuvo también
un trasvase muy fluido con los Sitios Reales, pues, además de
vivir muchos de los cazadores en pueblos como Fuencarral o
San Sebastián de los Reyes, cercanos al Pardo, nos encontra-
mos al menos a doce personajes que después de servir en algún
Sitio Real se integraron en la caza de montería o de volatería 26.
Huelga decir que debido a la notable patrimonialización de los
oficios que se producía en los Sitios Reales, la entrada de algu-
no de los servidores de los mismos en la Casa Real aumentaba
enormemente las posibilidades de sus familiares de poder acce-
der al servicio real a través de un oficio en el mismo Sitio Real
o en alguna de las Casas Reales.
Del mismo modo, al estar ya agotadas otras vías de con-
cesión de mercedes, se otorgaron diversos oficios en los Sitios
Reales como premio a algunos de los personajes que ya servían
en la Casa Real, pudiendo compatibilizar ambos en muchas oca-
siones y profundizando así en la citada vinculación Corte-Sitios
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 84
27
En concreto, encontramos once Reales. Con ello, los beneficiarios conseguían un claro medro
casos de capellanes de la Capilla Real a en su presencia social en determinados lugares, por ejemplo, a
los cuales se les otorgó una capellanía
de los Reyes Nuevos, pudiendo poner través de la concesión a religiosos de algunas capellanías como
como ejemplos al doctor Jerónimo de
las de los Reyes Nuevos de Toledo 27 o la de Aranjuez 28, así como
Salcedo (agp, rc, caja 85, s. f. y Registro
6151, f. 25 v.), capellán de Castilla de otros cargos para laicos, como fue el caso de don Eugenio
(1621-41) y de los Reyes Nuevos (1626-41),
de los Ríos, que pasó de ayuda de la panatería (1648-52) a con-
don Diego de Herrera Gutiérrez (agp,
Personal, caja 7799/6 y RC, caja 84, s. f.), serje de El Pardo (1652-c. s. 1674) 29, Alonso Gutiérrez de Gri-
capellán de altar (1640-9) y de los Reyes
Nuevos (1648-53) o don Jacinto March
maldo, ayuda del guardajoyas (1622-45) y guardarropa (1633-45)
de Castellví y Lerma (agp, Personal, que pasó a desempeñar los mismos oficios en el Buen Retiro
caja 7797/5 y Registro 6151, f. 34 v.),
capellán de Aragón (1632-64) y de los
(¿-1645) 30, o don Juan de Castro Villafañe, que junto con los
Reyes Nuevos (¿-1664). El trasvase a cargos de aposentador de la Casa de Borgoña (1607-27) y gen-
la inversa fue también muy fructífero,
pues nos encontramos con tres casos
tilhombre de la casa (1624-51) fue nombrado veedor y contador
que estuvieron primero en los Reyes de las obras del Alcázar de Segovia y Casas Reales de Valsaín
Nuevos y luego pasaron a la Capilla
Real, cómo fueron don Juan de Rojas
y Fuenfría (1635-9), así como guardamayor de la Real Casa y
(agp, Personal, caja 7796/5, rc, caja 85, s. Bosque de Valsaín (1637-9) 31, entre otros muchos. Por supuesto,
f. y Registro 6151, f. 32 v.), de los Reyes
Nuevos hasta que en 1629 pasó a serlo
lo mismo sucedería con los grandes arquitectos, escultores o
de Castilla, don Antonio Fernández del pintores del momento, caso de Sebastián 32 o Antonio de Her-
Campo y Angulo (agp, Personal, caja
7802/13, RC, caja 84, s. f. y Registro
rera Barnuevo 33, Juan Gómez de Mora 34, Alonso Carbonell 35 o
6151, f. 49 r.), de los Reyes Nuevos hasta Diego de Silva Velázquez 36 y no es necesario volver a insistir en
que pasó a ser de Castilla en 1654 o
Calderón de la Barca (agp, Personal, ése trasvase entre la Caza Real y los Sitios Reales, aunque sí en
caja 7804/10, Registros 6145, f. 510 y 6151, el que se produjo con la guarda de archeros de Corps 37.
f. 55 v.) de los Reyes Nuevos hasta que
en 1663 fue nombrado de Castilla. Del mismo modo, dichas posesiones reales se utilizarían
28
Cómo sucedió con el licenciado en numerosas ocasiones para conceder mercedes a personajes
Martín de Ocaña (agp, Personal, caja vinculados a la Casa Real que no conseguían cobrar sus gajes
750/20, rc, caja 121/1 y Registro 13, f. 228
r.), que fue capellán de altar y cantor y quitaciones en la misma y así veían cómo se abrían para ellos
de la capilla española (1625-38), cantor nuevas vías de obtención de ingresos en dinero o en especie. Es
de la Casa de Castilla (1629-38) y
capellán de Aranjuez (1637-8). evidente que la Junta de Obras y Bosques y varios de dichos
29
agp, Personal, caja 882/34 y Sitios Reales pasaron dificultades económicas durante el pe-
Registros 14, f. 324 v. y 15, f. 110 v. riodo cómo el resto de la Monarquía, tal y cómo ha estudiado
30
agp, Personal, caja 491/28. el profesor Labrador Arroyo 38, pero hubo otros que no sólo se
31
Biografía en j. martínez millán autoabastecían, si no que generaban rentas suficientes para de-
y m.ªa. visceglia (dirs.), La Monarquía
de Felipe III, cit., II, pp. 160-1; agp, stinarlas a otras necesidades del monarca como Granada con el
Personal, cajas 463/20 y Registro 13, ff.
169 r., 232 r.-v. y 277 v.
del Alcázar de Madrid (1648-60) (agp, saber, dos alcaides y guardamayores de
32 Personal, caja 16752/23 y Registros 12, la Casa Real de Valsaín, dos conserjes de
Fue ayuda de la furriera y
maestro mayor de las Obras Reales f. 289 v., 13, ff. 38 v., 39 r. y 174 r. y 14, ff. dicha Casa, dos tenientes de alcaide de
del Alcázar de Madrid de 1662-71 (agp, 180 v. y 190 r.). la Casa de Campo, un superintendente
Personal, caja 507/40 y Registro 15, f. 36 de los jardines del mismo Real
Fue pintor de cámara (1623-60),
141 v.). Sitio, dos conserjes de El Pardo, un
ayuda de cámara (1643-6), veedor y
33 guardamayor de los bosques de la
Fue escultor de la furriera (1605- contador de las obras del Alcázar de
Zarzuela, un ebanista en el Alcázar de
46) y aparejador de las Obras Reales de Madrid y Casas Reales de su contorno
Madrid, un veedor y gobernador para
carpintería (1627-45), constando cómo (1647-60), guarda y contador de “la
ausencias y enfermedades de Aranjuez,
reservado en el último oficio de 1645-6 fábrica de la preça o chanada que
un conserje y guardajoyas del Buen
(agp, Personal, caja 506/15 y Registros 14, se esta haciendo sobre la escalera
Retiro y a Damian Goetens, que sirvió
f. 91 r.-v. y 25, f. 48 v.). nueva del Alcázar de Madrid” (1647-
igualmente en el Buen Retiro donde fue,
34 60) y aposentador de palacio (1652-60).
Ayuda de la furriera y maestro sucesivamente, ayuda de guardajoyas
Sobre sus cargos palatinos, f. barrios
trazador de las Obras Reales desde y ropa, ayuda de tapicero, conserje,
pintado, Diego Velázquez: sus oficios
1611 hasta su muerte en 1648 (agp, ag, guardajoyas y ropa y tapicero durante
palatinos, “Reales Sitios”, CXLI (tercer
leg. 649, s. f., Personal, caja 448/6 y los años centrales del siglo XVII. Del
trimestre 1999), pp. 2-17.
Registros 11, ff. 161 r., 414 v.-415 r., 432 v. y mismo modo, el capitán II conde de
37
14, f. 202 r.). Tenemos documentados para Solre fue miembro de la Junta de Obras
35 el siglo XVII un total de catorce y Bosques de 1624-38, siendo, por otra
Fue aparejador mayor de obras
personajes que pasaron a Sitios Reales parte, el único componente no hispano
reales (1627-60), ayuda de la furriera
tras servir en la guarda de Corps; a de la misma durante los reinados
(1634-60) y maestro mayor de las obras
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 85

Soto de Roma 39, Sevilla con el Lomo del Grullo, el particular 3.


Jusepe Leonardo
caso del Ingenio de la Moneda en Segovia 40, el de San Loren- Palacio Real de El Pardo
s. XVII, Real Monasterio de San Lorenzo de El
zo de El Escorial y todas las posesiones que se le anejaron 41 Escorial; tratto da Felipe II. Un monarca y su época,
y, sobre todo, Aranjuez. Sobre éste último existen excelentes Catálogo de la exposición, Madrid, 1998, p. 211.
estudios tanto sobre la ordenación del territorio 42 como sobre
su viabilidad económica 43, los cuales nos indican que el monar-
41
ca aprovechó lo allí generado para otorgar mercedes, no solo a Sobre sus dehesas, j.a. martínez
bara, Noticias sobre las dehesas del
personajes vinculados a dicha posesión, sino también a otros Monasterio de San Lorenzo del Escorial,
individuos sin relación alguna con Aranjuez. “Anales del Instituto de Estudios
Madrileños”, V (1970), pp. 109-19. Hay
Llegados a éste punto, no debemos olvidar el impacto que numerosos estudios para algunas de
tendría en dichos Sitios Reales la aplicación de una nueva estra- las posesiones de forma individual,
cómo el Quexigal, Gózquez, etc.
tegia que se llevó a cabo durante el reinado de Felipe IV, con el 42
m.ªm. merlos romero, Aranjuez
fin de conseguir tener integrados los reinos tras el colapso de y Felipe II. Idea y forma de un Real Sitio,
las Casas Reales 44. Esta fue la activación plena de un sistema Aranjuez, Concejalía de Educación
y Cultura, 1998 y a. luengo añón,
de previsión social a gran escala sobre personajes y familiares Aranjuez. La construcción de un paisaje.
vinculados directa o indirectamente con las Casas Reales o los Utopía y realidad, Madrid, Instituto de
Estudios Madrileños, csic y Ediciones
Sitios Reales, el cual se había ido pergeñando a lo largo de los Doce Calles, 2008.
reinados anteriores. Evidentemente, éste sistema requería gran- 43
c. magán merchán y j. espinosa
des recursos financieros para funcionar, pero Felipe IV y sus di- romero, La evolución económica de
un Real Sitio: Aranjuez en tiempos de
versos validos fueron conscientes de la urgente necesidad de no Felipe II, “Reales Sitios”, cliii (tercer
dejar a la deriva a todos esos servidores y familiares que durante trimestre 2002), pp. 2-13.
44
generaciones habían servido fielmente al monarca y a sus ante- Sobre éste asunto, mi capítulo
“Una nueva vía de integración de los
cesores y buscaron vías que facilitaran el aprovisionamiento de reinos en la Casa Real: reservados y
fondos para dichas mercedes. pensionistas” en el volumen primero
de j. martínez millán y j.e. hortal
muñoz (dirs.), La Monarquía de Felipe IV:
Habsburgo. Sobre éste asunto, mi libro Roma en el contexto reformador del siglo la Casa del rey, Madrid, Polifemo, 2014.
Las guardas reales de los Austrias hispanos, XVIII, “Anuario de Historia Moderna y
Madrid, Polifemo, 2013, pp. 224-5. Contemporánea”, VII (1980), pp. 233-9.
38 40
f. labrador arroyo, Gasto y Una aproximación a su
financiación de los oficiales cit., III, pp. funcionamiento en v. soto caba, La
1969-2019. primera fábrica de monedas: El Real
39 Ingenio de Segovia, “Espacio, Tiempo y
Aunque sólo existe un estudio
Forma, Serie VII, Historia del Arte”, IV
sobre su viabilidad económica para el
(1991), pp. 95-120.
siglo XVIII, c. viñes millet, El Soto de
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 86

Dicho sistema contemplaba dos figuras, pues debemos di-


ferenciar entre los reservados – que fueron oficiales que sirvie-
ron y luego fueron jubilados por razones de edad, enfermedad,
etc., percibiendo todos o parte de sus gajes, salarios y quitacio-
nes sin necesidad de servir u otra merced pecuniaria o en espe-
cie –, y los pensionarios – que fueron todas aquellas personas
que recibieron una pensión por la Junta de Obras y Bosques,
en función de haberse casado o ser hijo/a o familiar de algún
servidor real –; es decir, la diferencia entre un status u otro lo
daba el servicio previo.
En lo referente a los Reales Sitios, conocemos cerca de
400 casos para las dos categorías del sistema, como podemos ver
en tabla infra, aunque debieron ser muchos más, pues en varios
de ellos tenemos lagunas documentales:

SITIOS REALES 45

Sitio Real Reservados Pensionarios


Junta de Obras y Bosques 0 4
Obras y Bosques Reales 3 9
Alcázar de Madrid 1 19
Alcázar de Toledo 0 8
Aranjuez 35 155
Casa de Campo 12 31
Buen Retiro 0 2
El Pardo 7 23
Granada
Alhambra 0 1
Soto de Roma 0 0
Reales Alcázares de Sevilla 0 0
San Lorenzo de El Escorial 1 4
Segovia 1 8
Alcázar de Segovia 1 2
Fuenfría 0 0
Ingenio de la Moneda 0 15
Valsaín 0 8
Vaciamadrid 0 0
Valladolid 1 19
Zarzuela 0 0
Total 62 307
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 87

Como se puede apreciar, el número de pensionarios fue


mucho mayor que el de los reservados. Ya a finales del reinado de
Felipe II, se había dado inicio a la costumbre de conceder a las
viudas alguna merced tras fallecer el marido, como así indicaba
la propia Junta de Obras y Bosques en memorial del 7 de enero
de 1610 46. La respuesta del monarca fue que “en lo que toca a
la prorrogación por un año lo que parece y en las que piden de
nuevo diga la Junta su parecer”. Cómo vemos, se planteaba la
posibilidad de dejar de conceder merced a las viudas, pero no
fue así y dichas prorrogaciones se continuaron haciendo cada
año y encontramos la misma el 15 de junio de 1612 47, el 29 de
marzo de 1613 48, el 12 de diciembre de 1614 49, el 14 de julio de
1616 50 y así en años sucesivos hasta el reinado siguiente. Dicho
sistema no fue modificado por Felipe V al llegar al trono, pues
siguió concediendo mercedes a viudas, cómo podemos ver en la
cédula del 22 de octubre de 1723 en que se daban 400 ducados
de renta anual por los días de su vida, más médico y botica a la
mujer, doña Ana González de Guzmán, de don Felipe Aguado,
contador y procurador fiscal del Real Sitio de Aranjuez, entre
muchos otros 51. Por su parte, a los criados relacionados con la
Junta de Obras y Bosques y las Obras Reales se les concedía
una ración para mantenerse, además de la merced económica
correspondiente al puesto 52.
A partir del reinado de Felipe IV, podemos considerar
que las pensiones concedidas a las viudas estaban pautadas y
marcadas, tal y como podemos observar en la siguiente tabla 53:

45 52
Tabla de elaboración propia. La fórmula para la prorrogación
La información está tomada era la siguiente, “V. Majestad
principalmente de agp, Registros 11-15, acostumbra a hacer merced por vía de
que son los “Libros donde se asientan limosna a viudas e hijos de los criados
todos los despachos tocantes a obras que sirven a V. Majestad por obras y
y bosques” correspondientes a finales bosques de una ración ordinaria para
del reinado de Felipe III y todo el de sustentarse y ahora se han dado en
Felipe IV, así cómo de las secciones esta Junta memoriales de las pensiones
ag, ap, Personal y otros Registros del siguientes, suplicando a V. Majestad se
mismo archivo. Del mismo modo, sirva de mandarles prorrogar las que
también se ha consultado ags, csr, han gozado (venían 6), 18 de mayo de
legs. 304-14 (decisiones tomadas por la 1635”. Respuesta del rey: “Débeseles
Junta de Obras y Bosques entre 1600 prorrogar por otros dos años más” (ags,
y 1665) y Tribunal Mayor de Cuentas, csr, leg. 309, f. 74).
legs. 1569-72, referente a Sitios Reales 53
Tabla de elaboración propia,
concretos.
datos tomados de las fuentes indicadas
46
ags, csr, leg. 305, f. 112. en la tabla anterior sobre el número de
47 pensionarios y reservados.
Ibid., f. 203.
48
Ibid., f. 260.
49
Ibid., f. 345.
50
Ibid., f. 395.
51
agp, ap, Aranjuez, registro 6707.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 88

SITIO REAL OFICIO MERCED PENSIONARIO/A54


Junta de Obras y Bosques Procurador Dos reales diarios por cuatro años
Escribano Dos reales diarios por el resto de su vida
Secretario Dos reales diarios por dos años
Alguacil fiscal Real y medio diario por el resto de su vida
Obras y Bosques Reales Maestro mayor de las 200 ducados anuales
obras del Alcázar de
Madrid y Casas Reales
de su contorno
Procurador de las obras Dos reales diarios por el resto de su vida 55
del Alcázar de Madrid
y Casas Reales de su
contorno
Aparejador Dos reales diarios por el resto de su vida
Ayuda de aparejador Tres reales diarios por el resto de su vida
mayor del Alcázar de por vía de limosna
Madrid y Casas Reales
de su contorno
Alguacil 700 reales anuales por casa de aposento
Cerrajero 6.000 maravedís anuales por un año
Pizarrero 100 ducados anuales o real y medio diario
Escultor Real y medio al día por dos años
Alcázar de Madrid Sobrestante de las obras Tres reales diarios por su vida
Aparejador de las obras Tres reales diarios por su vida
Aparejador de carpintería Dos reales diarios por dos años
Tenedor de materiales Real diario anual
Maestro de albañilería Tres reales diarios por un año
Pizarrero Real diario por el resto de su vida
por vía de limosna
Portero en la puerta Real y medio por el resto de su vida
del Parque
Superintendente Real y medio diario de por vida
de los Jardines
Jardinero Real diario por tres años 56
Arbolista Real diario de por vida
Guarda del bosquecillo Real diario de por vida
Alcázar de Toledo Veedor y contador Tres reales diarios de por vida
Aparejador Dos reales diarios o real y medio de por vida
Conservador del Ingenio Dos reales diarios de por vida
del Agua
Alguacil de las obras Real y medio por un año
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 89

Aranjuez Gobernador 400 o 600 ducados anuales de por vida


Mayordomo 200 ducados anuales de por vida
Contador 300 ducados anuales de por vida
Pagador Tres reales diarios de por vida
o 200 ducados anuales de por vida
Escribano Tres reales diarios de por vida
o 100 ducados anuales de por vida
Veedor 100 fanegas de trigo y 50
de cebada anuales, además de los gajes o
200 ducados anuales de por vida
Ayuda de veedor Dos reales diarios de por vida
Aparejador 20.000 maravedís anuales, dos reales
diarios o 40 ducados anuales,
todo ello de por vida
Tenedor de materiales Real y medio o dos diarios de por vida
Asentador de la gente Dos reales y medio por cuatro años
que trabaja en Aranjuez o real y medio diario de por vida
Fontanero Dos reales de limosna diarios de por vida
Pizarrero Real diario por tres años
Conserje Tres reales diarios de por vida
o 100 ducados anuales de por vida 57
Alguacil Dos reales diarios de por vida
Médico Tres reales diarios de por vida
Destilador Tres reales diarios de por vida
Ayuda de destilador Real y medio diario de por vida
Barbero y cirujano Real diario de por vida
Boticario Real diario de por vida
Portero Real y medio de por vida
Guarda de los puentes Real y medio diario de por vida
Superintendente Dos reales diarios de por vida
de las huertas
Jardinero Real y medio diario por dos o cuatro años
Arbolista Real diario por cuatro años
y después de por vida
Ayuda de arbolista Real diario de por vida
Yegüero Dos reales diarios de por vida
Mayoral de las cabras Dos reales diarios por tres años
Mayoral de las yeguas Real y medio diario
Mayoral de los camellos Real diario de por vida

54
En los principales oficios, podía se concedieron a Catalina Sarmiento reales diarios, tal y como sucedió con
variar en función de la calidad del 200 maravedís diarios por tres años. las viudas de Alonso de Sosa o Gabriel
personaje que hubiera ejercido el 56 García.
Al final del reinado era ya de por
mismo. 57
vida y, en ocasiones, debido a la pericia Podían ser pagados en trigo,
55
Aunque en un primer momento y servicio del jardinero podían ser dos cebada o maravedís.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 90

Encargado de las Real y medio diario por dos años


chalupas
Guarda principal Tres reales diarios de por vida
o 200 ducados anuales de por vida 58
Sobreguarda de los Dos reales diarios de por vida
bosques
Guarda de los bosques Real diario por tres años por vía de limosna
Ordinario Real diario por dos, tres o cuatro años
y al final del reinado de por vida
Cazador Real diario por cuatro años o dos reales
diarios por dos años
Tirador Medio real diario de por vida
Zorrero Medio real diario de por vida
Conserje de Aceca Dos reales diarios de por vida
Casa de Campo Teniente de alcaide 24 fanegas de trigo y 35 de cebada
por tres años o tres o cuatro reales
diarios de por vida
Maestro fontanero 60.000 maravedís anuales
Alguacil de las obras Dos reales diarios por cuatro años
Portero Real y medio diario por tres años
Jardinero Real diario de por vida
Encañador de las Real diario por cuatro años
fuentes
Estanquero y Real diario de por vida
encargado del regalo
Ayuda de estanquero Real diario de por vida
Arbolista Real diario de por vida
Hortelano Real diario por tres años
El Pardo Alcaide y guardamayor 50.000 maravedís anuales de por vida o
tres reales diarios de por vida más 100
ducados por una vez
Teniente de alcaide Gajes del puesto (125.844 maravedís)
Conserje Cuatro reales o real y medio diario
de por vida
Asentador de la gente Tres reales diarios por dos años
que trabaja en El Pardo
Jardinero Real diario por tres años
Guarda de a caballo Real diario por dos o tres años y al final del
reinado real y medio diario de por vida
Granada Maestro mayor de las Dos reales diarios de por vida
obras de la Alhambra
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 91

San Lorenzo de El Escorial Maestro de obras Real y medio diario de por vida
Aparejador de Dos reales diarios de por vida
carpintería
Pizarrero Real y medio diario de por vida
Jardinero Real diario por tres años
Guardamayor Dos reales diarios de por vida
de los bosques
Segovia Alcázar de Segovia Pizarrero Real y medio por tres años o de por vida
Ingenio de la Moneda Maestro de carpintería Dos reales diarios de por vida
Tenedor de materiales Real diario por su vida y la de sus hijas
Maestro del Ingenio Tres reales diarios de por vida
Ensayador Dos reales diarios por dos años
Fundidor Dos reales diarios de por vida
Tallador Real y medio diario de por vida
Maestro de hacer Real diario de por vida
moneda
Portero Real diario de por vida
Valsaín Guardamayor Tres o cuatro reales diarios de por vida
o 200 ducados anuales de por vida
Conserje Real y medio o dos reales al día de por vida
Valladolid Veedor y contador Tres reales diarios de por vida
Aparejador Tres reales diarios de por vida
Pagador Dos reales diarios de por vida
Tenedor de materiales Dos o cuatro reales diarios de por vida
Oficial de la contaduría Real diario de limosna de por vida
Vidriero y pajarero Dos reales diarios de por vida
Jardinero mayor Real y medio diario de por vida

58
De todos modos, debemos tener en cuenta que al princi- Que a doña Isabel Peinado,
viuda de Juan Martínez de la Higuera,
pio del reinado era necesario prorrogar muchas de las pensio- se le concedieron por sus días y
nes cada dos o tres años, pero a partir de la década de 1640 las también por “los de un hijo tullido de
pies y manos y baldado de la lengua”
concesiones eran ya de por vida e, incluso, fue posible pasar- (agp, ap, Aranjuez, caja 14131).
la a hijos, tal y como sucedió con doña María y doña Claudia 59
agp, Registro 13, f. 105 r.
de Guzmán, hijas del difunto Jorge Manuel, aparejador de las
obras del Alcázar de Toledo, a las cuales el 26 de octubre de 1632
se le hizo merced de dos reales al día por sus vidas, la cual había
tenido su madre Isabel de Villegas hasta su muerte 59. Aún así,
en la mayoría de los casos no se fijaron unos determinados re-
quisitos para adquirir la condición de pensionado y, aunque la
concesión de pensiones debía ser tramitada en primera instan-
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 92
60
agp, ap, Aranjuez, caja 14131. cia por el Bureo o la Junta de Obras y Bosques, estas dependían
61
Ibid. finalmente de la voluntad del propio monarca, lo cual hacía que
62
agp, ap, Aranjuez, registro 6707. los agraciados reforzaran sus lazos de fidelidad con el mismo.
63
ags, csr, leg. 8-1. Como ya indicamos, los recursos de Aranjuez sirvieron
64
Por su parte, en las Obras en numerosas ocasiones para conceder pensiones a personajes
y Bosques Reales únicamente
sin relación alguna con dicho Sitio Real, caso de doña Antonia
encontramos reservados con los
mismos gajes a un ayuda de aparejador de Marquana y Alviz, hija del secretario Francisco Alviz, a la
como Pedro Pérez y a un pizarrero
como Alonso de Requijada y con la
cual por cédula del 1 de julio de 1625 se le situaron 400 ducados
mitad de los mismos, cuatro reales anuales en Aranjuez por su vida 60. De hecho, en algunos mo-
diarios en lugar de los ocho que tenía,
a un aparejador de carpintería como
mentos el monarca llegó a priorizar el pago de las pensiones a
Antonio de Herrera y Barrionuevo. dichas viudas y personajes sobre la realización de las obras de
65
Como así podemos colegir de acondicionamiento necesarias en el Real Sitio 61, y la práctica
la siguiente cita, sita en ahn, Estado,
leg. 1412, s. f., s. d., “Prebienese que en
continuó en reinados posteriores. Así, Diego García (a quien se
treinta y zinco personas y merzedes dice criaron Felipe IV y doña Mariana de Austria) gozó de un
tiene su Magestad mandado satisfazer
de la consignazión del sitio un
real diario en Aranjuez hasta su muerte en 1695 62. También se
quento cuatrocientos y onze mill llevaría a cabo dicha operación en otros Sitios Reales, como en
setezientos y setenta y zinco maravedís,
y haviéndose representado a su
Valladolid en que se pagaron a doña Isabel de Mercado ración y
Magestad lo que con estas merzedes gajes de médico de cámara de su marido doctor Ruiz 63, aunque
se yba grabando la consignazión en
perjuizio de la paga de los criados
en mucha menor medida.
actuales y de su manutención, fue Por lo que respecta a los reservados, la concesión de di-
servido de resolber por su Real decreto
del año de mill seiszientos y nobenta cha merced dependía de cada Sitio Real, siempre teniendo en
y siete, que está sentado en los libros cuenta las lagunas documentales que tenemos sobre algunos
de los ofizios, no se le consultasen
merzedes de por vida para viudas ni de ellos 64. De los datos extraídos podemos colegir que los re-
hijos de criados que falleziesen, si solo servados tuvieron únicamente relevancia en Aranjuez, Casa de
la grazia de aiudas de costa por una
bez correspondientes al grado y mérito Campo y El Pardo, aunque podemos sobrentender que en el
de criado, como se ha practicado Buen Retiro sería también así si pudiéramos completar la infor-
exactamente por los Alcaides desde la
espedidizión del zitado decreto, y en mación 65.
su obserbanzia se les han librado por Sin duda, fue en Aranjuez dónde los reservados adqui-
su Magestad las aiudas de costa por la
presidenzia de Hazienda, haviéndose rirían mayor notoriedad, percibiendo por sus jubilaciones casi
su Magestad servido de ynobarle en siempre su salario habitual sin necesidad de servir. Éste no solo
algunas personas por recompensa de
créditos contra su Real hazienda, de incluía dinero, si no también una cantidad en especie (caíces o
que han echo retrozesión las partes fanegas de trigo y cebada), pudiendo tener también a la jubila-
en cuia virtud gozan las pensiones;
y respecto de que en las de esta
calidad concurren las zircunstanzias en aumento de la Consignazión 70
Con tres reales y medio
de justizia y en todas las demás la aplicando su ymporte para reparos y ordinarios.
piadosa considerazión de ser dotales manutenzión del Sitio”. 71
y limosnas contemplándose yguales 66 La jubilación podía ser con la
Diego Agudo, que mantuvo su mitad de los gajes o completos, que
para promober repetidos clamores
salario de 25.000 maravedís al año más eran de 30.000 maravedís, 36 fanegas
a su Magestad de la resoluzión
20 fanegas de trigo, tres de cebada y de trigo y 36 de cebada anuales. A final
de reformarlas o suspenderlas
cinco reales al día. del reinado, el salario pasó a ser de
maiormente quando de todas se están
67 40.000 maravedís y un caíz de trigo
debiendo más de treinta meses pareze Pedro de Castro, al cual el 24 de
que con la obserbanzia de lo que su enero de 1643 se le jubiló con 30.000 anuales, teniendo dos reales diarios
Magestad tiene resuelto en el zitado maravedís, 24 fanegas de trigo y 36 de como pensión.
decreto, y extinguiéndose el tiempo, cebada al año sin obligación de servir. 72
Cómo podemos ver en agp, ap,
estas mercedes, pensiones y limosnas 68 Aranjuez, registro 6707. Se explica
Como sucedió con Pedro
quedarían a fabor de su Magestad la evolución urbanística de éste
Martínez de Haro, reservado en 1628 y
los dichos un quento cuatrocientos y lugar durante el siglo XVII en c. díaz
que en 1634 decidió dar 200 ducados
onze mill setezientos y setenta y zinco gallegos, El Real Sitio de Aranjuez,
anuales a su mujer y disfrutar él de
maravedíes” tomada de la “Memoria de ejemplo de urbanismo barroco en España:
otros 200, que pasarían a su hijo
los ofizios acrezentados en el Sitio Real sus calles y plazas, “Reales Sitios”,
homónimo al morir en 1636.
de Buen Retiro desde su creación, con LXXXVII (primer trimestre 1986), pp.
69
notizia de los que estubieron unidos Pedro Vasco, que tenía 27.000 29-36.
y de las plazas de hordinarios que se maravedís de salario y 40 fanegas de
podrán suprimir como fuesen bacando trigo y de cebada cada año.
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 93

ción algunas cantidades por una vez. Las reservas abarcarían


todos los estratos del Real Sitio, empezando por los gobernado-
res del mismo, pues Sebastián Antonio de Contreras y Brizuela
fue reservado en 1654. Hubo también dos capellanes reservados
con 180 ducados anuales de pensión, un sacristán (dos reales
diarios), un maestro de obras, un aparejador de las obras 66, un
alguacil 67, dos contadores (con 400 ducados anuales que po-
dían repartir con mujer e hijos 68), dos ayudas de destilador, dos
jardineros, un mayoral de las yeguas, un mayoral de los camel-
los, dos ordinarios, un guarda principal, un sobreguarda 69, un
estanquero, un cazador de los hurones y guarda del mar de On-
tígola 70 y, sobre todo, quince guardas 71.
En la Casa de Campo, por su parte, el oficio más relevante
en el que se concedió la reserva fue en el de teniente de alcaide,
dónde nos encontramos con tres casos en que se les solía dar lo
que percibían durante su ejercicio activo, que era de 20.000 ma-
ravedís anuales, más 5 reales diarios y 24 fanegas de trigo y 35 de
cebada en Aranjuez. Hubo también un capellán, un hortelano,
un estanquero y encargado de llevar el regalo, cuatro jardineros,
un portero y un guarda, percibiendo todos ellos lo mismo que
tenían de salario de forma habitual, excepto los jardineros que
tendrían dos o tres reales diarios de pensión.
Por último, en El Pardo, nos encontramos con siete reser-
vados que fueron dos tenientes de alcaide con 60 fanegas de
trigo y 60 de cebada al año, un guarda principal con 60.000 ma-
ravedís y 40 fanegas de trigo y 40 de cebada anuales, tres guar-
das montados de límites con la mitad de su salario, es decir dos
reales diarios, y un zorrero con dos reales diarios, siendo todas
las cantidades de trigo y de cebada procedentes de Aranjuez.
Estas modificaciones en el personal de estos Reales Si-
tios, como resulta lógico, tuvieron un claro reflejo en el cere-
monial y el estilo artístico de dichos Reales Sitios, con el fin
de adecuarlos a la nuevas realidades y necesidades. Conviene
recordar que el siglo XVII y los principios del XVIII estuvieron
marcados por el Barroco, en el cual las estructuras urbanas se
fueron ajustando para ser espacios destinados a las Fiestas, en
especial en aquellos lugares dónde iba a estar presente tanto
la familia real como los personajes y Corte que les servían. Por
ello, no puede resultarnos extraño que durante el reinado de
Felipe IV aparecieran oficios cómo los de ordinario de las ca-
lles de Aranjuez 72.
Todo ello no debe hacernos creer que la situación fuera
idílica, pues la carestía de dinero fue evidente en varios lugares.
Así, por ejemplo, en 1688 hacía siete años que en la Casa de
Campo no se pagaba a los ordinarios y los jardineros tuvieron
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 94

que ir a la casa del veedor para decirle que querían dejar sus
trabajos y muchos lo hicieron, entregando las llaves de sus vi-
viendas. El mal estado de dicho lugar queda patente por el he-
cho de que los guardas llegaban a extorsionar y robar a los que
pasaban por allí 73.
Del mismo modo, el sistema de personal pergeñado du-
rante el reinado de Felipe IV, mostró carencias con la llegada
de Felipe V al trono y el Cardenal Alberoni ya mencionó la
necesidad de mejorarlo en su proyecto de reforma de las Casas
Reales de 1718:

“No se habla aquí de otras pequeñitas familias que el rey


tiene, como son las del Retiro, Aranjuez y otras Casas de Cam-
po. Como en cada una de estas Casas y contadores hay veedo-
res distintos, jefes separados y sueldos desreglados en la corte,
se produce un servicio irregular y que muchos no tienen qué
hacer y otros, que trabajan, perecen” 74.

Sin embargo, aunque con Felipe V se modificó la forma


de gestionar los Sitios Reales mediante una doble vía (Junta de
Obras y Bosques con menores poderes y encaminada a aspectos
rutinarios y primera secretaría de Estado para los aspectos más
relevantes) 75, no se modificaría el tipo de personal adscrito a los
mismos durante los primeros reinados Borbones. Esta reforma,
que por otro lado fue general para el conjunto de cuestiones re-
lacionadas con los Reales Sitios, no se produciría hasta el reina-
do de Carlos III, mediante la creación del sistema de Sitios Rea-
les y su incorporación a la vida cotidiana de los reyes y su Corte
a través de las Jornadas Reales 76. Para favorecerlas, se produjo
la mejora sustancial de las comunicaciones con el sistema mon-
tañoso del Guadarrama, lo que benefició el traslado a lugares
cómo El Pardo, el Monasterio de San Lorenzo de El Escorial o
73
agp, ap, Casa de Campo, caja los Reales Sitios segovianos. Del mismo modo, se llevó a cabo la
20, expedientes 7 y 8, dónde también construcción de pueblos anejos a ellos cómo los de San Loren-
aparecen informes de contabilidad
y posibles planes de mejora durante zo de El Escorial o El Pardo, así cómo la urbanización completa
dichos años. de Aranjuez, lo que permitía alojar allí de forma estacional a
74
Idea por mayor para una planta en los monarcas y el numeroso séquito que les acompañaba. Así
las Casas Reales por el cardenal Alberoni
en 1718 (agp, ag, leg. 340). mismo, la Ilustración ayudó a que en algunos de estos lugares
75
a. domínguez ortiz, Los primeros se llevaran a cabo experimentos científicos con el fin de mejorar
Borbones españoles y los Reales Sitios, la productividad agrícola, ganadera y cinegética en sitios cómo
en vvaa, El Real Sitio de Aranjuez y el
Arte Cortesano del Siglo XVIII. Catálogo Aranjuez – en especial La Huerta de Picotajo –, La Granja de
de la exposición, Madrid, Patrimonio San Ildefonso, El Escorial o El Soto de Roma. Finalmente, Car-
Nacional, 1987, pp. 11-5.
76 los III eliminaría el título de Maestro Mayor de las Obras Reales,
Explica el proceso y da
bibliografía j.l. sancho gaspar en la cargo con enorme relevancia a finales del siglo XVII y princi-
introducción del libro La arquitectura pios del XVIII cuando estuvo en manos de Ardemans, el cual,
de los sitios reales: catálogo histórico
de los palacios, jardines y patronatos
reales del Patrimonio Nacional, Madrid,
Patrimonio Nacional, Fundación
Tabacalera, 1995.
José Eloy Hortal Muñoz El personal de los Sitios Reales 95
77
b. blasco esquivias, El Maestro
Mayor de Obras Reales en el siglo XVIII,
sus Aparejadores y su Ayuda de trazas, en
vvaa, El Real Sitio de Aranjuez, cit., pp.
271-86.

4.
Jusepe Leonardo
Vista del Palacio de Valsaín
s. XVII, Real Monasterio de San Lorenzo de El
Escorial (en Felipe II. Un monarca y su época,
Catálogo de la exposición, Madrid, 1998, p. 211).

por cierto, fue archero de Corps 77, y consolidó la figura jurídica


de los Reales Patronatos.
Hay numerosos y excelentes trabajos sobre las cuestio-
nes relacionadas con el arte de algunos de los Sitios Reales du-
rante los siglos XVII y XVIII. Sin embargo, consideramos que
dichos trabajos pueden ser complementados y mejor entendi-
dos a través del estudio del funcionamiento de dichos lugares
desde un punto de vista interdisciplinar y aplicando la nueva
metodología de la Corte. De éste modo, consideramos que un
estudio más profundo de los personajes y de la organización,
en especial en lo relativo a asuntos jurisdiccionales, nos dará
más claves para comprender la evolución de la corte hispana
durante su Decadencia con los últimos Habsburgo y la poste-
rior llegada de los Borbones.
FÉLIX LABRADOR ARROYO

EL GREMIO DE LA CAZA
DE VOLATERÍA
EN TIEMPOS DE FELIPE IV
Nella pagina precedente:
1. 2. 3.
Limiti delle aree di caccia intorno al Sito Reale del Topografía Catastral de España. Provincia de Madrid. Topografía Catastral de España. Provincia de Madrid.
Pardo di Madrid; documento di archivio del XVIII Partido Judicial. Colmenar Viejo. Ajuntamento. EL Partido Judicial. Colmenar Viejo. Ajuntamento. EL
secolo. Pardo. Escala 1:20000, a principios del siglo XX. Pardo. Escala 1:2000, a principios del siglo XX.
Madrid, Instituto Geografíco Nacional. Madrid, Instituto Geografíco Nacional.
La volatería era una actividad cinegética que hundía sus
raíces en la presencia árabe en la península Ibérica 1 – si bien,
algunos autores señalan que se introdujo en tiempos de Bea-
triz de Suabia, reina consorte de Castilla y León merced a su
enlace con Fernando III 2 – y que presentaba dos modalidades
distintas. Por un lado, la realizada con aves de vuelo bajo, con-
cretamente con azores, milanos, cernícalos y gavilanes, que era
utilizada para la caza de faisanes, ánsares, perdices, liebres y co-
nejos y, por otro, la practicada con halcones neblí y gerifalte, los
cuales desarrollaban un vuelo más alto y estaban especializados
en animales de mayor porte 3. Este tipo de caza resultaba, por
norma general, mucho menos violenta que la realizada en una
montería, con lo que la corte podía ir acompañada por la reina
1
y su cortejo de damas. Este trabajo se inserta dentro
de las actividades del proyecto de
Su actividad, junto con la montería, como indicó Alfonso investigación La reconfiguración de
X, en su Segunda Partida «ayuda mucho a menguar los pensa- los espacios cortesanos: los Sitios Reales
(HAR 2012-37308-C05-02), financiado
mientos, et la saña, lo que es más menester a rey, que a otro por el mineco y que dirijo.
home; et sin todo aquesto da salud, ca el trabajo que en ella 2
f. vire, La Fauconnerie dans l’Islam
toma, si es con mesura, faze comer et dormir bien, que es la médieval (d’après les manuscrits arabes du
VIII éme an XIV éme siècle), en La Chasse
mayor parte de la vida del home; et el placer que en ella recibe au Moyen Age, Niza, 1980, pp. 189-197.
es otrosi grant alegria como apoderarse de las aves et de las Así como, f. de paula cañas galvez,
La cámara de Juan II : vida privada,
bestias bravas, et fazerles que le obedezcan et le sirvan (...)» 4. ceremonia y lujo en la corte de Castilla
Además, como señaló el humanista italiano Francesco Matazza- a mediados del siglo XV, en a. gambra
gutierrez y f. labrador arroyo (coords.),
ro, a comienzos del siglo XVI, el ejercicio de esta actividad ma- Evolución y estructura de la Casa Real de
nifiesta la riqueza de las personas, pues «la magnificencia de un Castilla, Madrid, 2010, I, pp. 132-136.
3
gran señor ha de verse también en sus caballos, en sus perros, j. torres fontes, El halconero
y los halcones de Juan II de Castilla,
en sus halcones y demás aves, como en sus bufones, sus músicos Murgetana, 15, (1961), pp. 9-20.
y en los animales extraños que posee» 5. 4
Partida Segunda de Alfonso X el
En este sentido, la caza, en sus dos modalidades: volatería Sabio, Granada, 1991, tít. 5, ley 20, pp.
30-40.
y montería, como ha señalado el profesor Rivero Rodríguez, 5
Cit. por j. burkhardt, La cultura
del Renacimiento en Italia, Barcelona,
1971, p. 216.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 100
2. tenía propósitos políticos y de representación, ya que era un
Luoghi di caccia e scorcio del bosco intorno al Sito
Reale del Pardo di Madrid. espacio de encuentro entre el monarca y los miembros más emi-
nentes de la sociedad cortesana y una actividad emblemática y
prestigiosa desde un punto de vista social. Durante la actividad
cinegética se mostraba la jerarquía del poder, la capa superior
de la sociedad se reconocía y se relacionaba y el soberano y los
nobles formaban un único cuerpo, siguiendo un orden interio-
6
Al respecto, m. rivero rodríguez, rizado de prelación y jerarquía, con el objetivo de obtener la an-
“Caza, monarquía y cultura cortesana”, siada pieza, por lo que estar al lado del monarca conllevaba un
en j. martínez millán y s. fernández
conti (dirs.), La Monarquía de Felipe II: importante poder 6. Además, como escribió Martínez de Espinar
la casa del rey, Madrid 2005, vol. I, pp. era la “escuela perfecta de milicia” 7.
350-377.
7 En Castilla los oficiales de la casa real encargados de este
Arte de Ballestería y Montería,
Madrid, 1976, p. 6. tipo de caza, tan importante desde la época medieval, estaban
8
Sobre esta Casa puede verse, a. englobados en el gremio de la caza de la volatería, que era una de
gambra gutiérrez y f. labrador arroyo las secciones que constituía la Casa de Castilla, en donde tam-
(coords.), Evolución y estructura de la
Casa Real de Castilla, Madrid, 2010, 2 bién estaban englobados los oficiales del gremio de la montería 8.
vols y j. salazar y acha, La casa del
rey de Castilla y León en la Edad Media,
Madrid, 2000.
9
Para reinados anteriores deben i.
verse josé martínez millán (dir.), La
corte de Carlos V, Madrid, 2000, vols. I
y II; j. martínez millán y s. fernández El gremio de la volatería lo constituían en tiempos de Feli-
conti (dirs.), La Monarquía de Felipe
II: la casa del rey, Madrid 2005, vol. I,
pe IV un cazador mayor. Como se señalaba en sus instrucciones
9

pp. 350-429; j. martínez millán y m.a. intervenía en los nombramientos de los oficiales, proponiendo
visceglia (dirs.), La Monarquía de Felipe
III: la casa del rey, Madrid, 2008, vol. I,
al monarca una terna de 3 candidatos, aunque en algunos ca-
pp. 811-885. sos él era el encargado de realizar dichos nombramientos, como
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 101

con los mancebos, el secretario, el escribano, que solía ser de 10


ahn. Nobleza, Frías, caja 593, doc.
los del número de la villa de Madrid, o el agente de los negocios, 15.
11
con 40.000 mrs de salario al año. Además, castigaba los delitos, ahn. Nobleza. Frías, c. 141, doc. 3,
fol. 13r-v.
aunque no podía despedir; asimismo disponía las libranzas de 12
Al respecto, i. ezquerra revilla
los oficiales de este gremio y debía de tener todo prevenido para y r. mayoral lópez, La caza real y su
protección: la Junta de Obras y Bosques,
salir a volar a comienzos de octubre. También daba las licencias
en j. martínez millán y mª.a. visceglia
para cazar pajarillos y vencejos y tenía libertad para dar licencia (dirs.), La monarquía de Felipe III: la
casa del rey, Madrid 2008, vol. I, pp. 818-
a los rederos de tener galgos, aunque no se debían de superar 820.
los 4 o 5 para poder volar la liebre. Como jefe de la volatería 13
ahn. Nobleza. Frías, c. 633, doc. 10.
recibía su nombramiento como consejero en la Junta de Obras
y Bosques – lo mismo ocurría con el montero mayor – 10.
Percibía 2.000 ducados al año, librados en la veeduría y
contaduría de la Casa de Castilla, con los que tenía que susten-
tar a su cargo 5 cazadores y 7 mancebos – que podían ser sus
pajes –, todos a caballo. Además, cada dos años, recibía de la
Casa de Castilla 150 ducados para dos vestidos para él y dinero
para 12 vestidos para estos oficiales (5 con calzas y el resto sin
ellas), y del lugar de Carabanchel de Arriba 396 reales, en dine-
ro, en concepto de casa de aposento, y 330 fanegas de cebada
y 140 sacas de paja; mientras que de Carabanchel de Abajo 260
reales en dinero en concepto de casa de aposento, 300 fanegas
de cebada y 123 sacas de paja 11. Pero lo más interesante del car-
go no eran los emolumentos que su ejercicio tenían aparejados,
sino la capacidad de mediación política que éste tenía, ya que
cuando el monarca salía de caza él era la persona que tenía a su
cargo el coche del rey y siempre permanecía a su lado para darle,
en el momento oportuno, el guante y el halcón 12.
A lo largo del siglo XVII ejercieron como cazador mayor
don Manuel Pérez de Guzmán el Bueno, conde de Niebla, entre
el 26 de noviembre de 1599 y 1603, cuando juró como capitán
general de las galeras españolas. Le sucedió el conde de Alba
de Liste, don Antonio Enríquez de Guzmán, que ejerció entre
1604 y el 4 de diciembre de 1610, cuando falleció, y en su lugar
se asentó Pedro de Zúñiga, marqués de Flores Dávila, aunque
sin título. Le siguió don Ruy Gómez de Silva, duque de Pastra-
na, desde el 22 de noviembre de 1612, aunque obtuvo su título
el primero de febrero de 1613. El 23 de abril de 1628 el marqués
de Alcañices fue nombrado cazador mayor dejando su cargo de
montero 13. Le sucedió don Bernardino Fernández de Velasco
y Tovar, Condestable de Castilla, con nombramiento de 22 de
abril de 1644, dejando, como su antecesor, el cargo de montero
mayor, que anteriomente ocupaba. Tras su muerte le sucedió su
hijo don Iñigo Melchor Fernández de Velasco en 1652. En el úl-
timo tercio del siglo ocuparon este cargo el marqués de Heliche
y el nuevo Condestable, don José Fernández de Velasco y Tovar.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 102

Ahora bien, quien realmente dirigió el gremio de la vola-


tería en las décadas centrales del siglo XVII fue don Luis Fer-
nández de Tovar y Velasco, I marqués del Fresno, hermano del
Condestable, con título de gobernador de 15 de diciembre de
1645, ya que don Bernardino fue nombrado Gobernador y Ca-
pitán General de Milán en lugar del marqués de Velada y don
Iñigo, capitán general de la Caballería en Cataluña 14. Esto no
era algo nuevo en la volatería, don Diego de Silva y Portugal, II
marqués de Orani, ejerció como cazador mayor entre el 18 de
marzo de 1623 y 1626, en lugar de su hermano el duque de Pa-
strana, quien tenía el título y que tuvo que ir a Roma como em-
bajador; lo mismo que el conde de Grajal, que desempeñó las
funciones del marqués de Alcañices, entre el 23 de noviembre
de 1636 y julio de 1640 o el marqués de Tarazona, también con el
marqués de Alcañices, pues el conde de Grajal estaba ocupado
en cuidar de la caballeriza 15.
Estaba auxiliado por un teniente del cazador con 500 du-
cados de gajes al año y 100 para un vestido, con la obligación de
tener a su costa un cazador, para el que se le daba un vestido
con calzas, además de dos mancebos, así como casa de aposen-
to, paja y cebada en Carabanchel. El teniente debía de tomar
la orden del cazador mayor y consultar con él los días de caza
y enviar las órdenes a los cazadores de lo que había resuelto
con el cazador mayor. También debía de ver como cazaban los
cazadores y el estado en el que mantenían a sus halcones y si
necesitaban aves, palomas o milanos para que los rederos los
buscasen. Este cargo lo desempeñaba siempre un miembro de
la misma familia desde finales de 1603: los Pernía: Diego, Tristán,
que era sobrino del anterior, y los hijos de éste: Blás y Gaspar;
por este orden 16.
Había también 15 cazadores, con 100.000 mrs. al año, así
como vestuario, paja y cebada para su montura, y casa de apo-
sento en Carabanchel, con la obligación de sustentar a un man-
cebo. (A mediados del siglo XVII aparece un cazador de aleto,
tipo de halcón que venía de las Indias y que estaba especializa-
14
Sobre este personaje, félix do en el vuelo de la perdiz). Así como dos buheros con 40.000
labrador arroyo, La real caza de
volatería durante el gobierno de don Luis mrs, paja, cebada y casa de aposento. Muchos de ellos eran na-
Fernández de Tovar y Velasco, I Marqués turales de Carabanchel, lugar donde se alojaba el gremio de la
del Fresno, en Evolución estructura de la
Casa de Castilla, op. cit. II, pp. 999-1031. volatería desde tiempos de los Reyes Católicos, como veremos.
AHN. Nobleza. Frías, c. 141, doc. 3, fol. En unos consejos que el Condestable dejó a su herma-
13r.
15 no, el 13 de septiembre de 1645, para el buen gobierno de la
ahn. Nobleza. Frías, c. 141, doc. 3,
fol. 83r. Caza de Volatería 17, le manifestaba la importancia que tenía
16
a. peris barrio, Los Pernía: una el hecho de que los cazadores fuesen personas beneméritas,
familia de cazadores reales, en «Revista ya que a su juicio, no había tantas, por lo que le recomendaba
de Folklore», vol. 28b (2008).
17 que se recibiesen a los hijos de los antiguos cazadores, fun-
ahn. Nobleza. Frías, c. 141, doc.
3, fols. 18r-23r. También le dejó unas
instrucciones sobre el gobierno de sus
tierras. Ibídem, c. 632, docs. 15-45 y c.
634, docs. 2-3 y 16-19.
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 103

damentalmente de Carabanchel. En muchos casos, el oficio 18


ahn. Nobleza. Frías, c. 141, doc. 3,
pasaba de padres a hijos o sobrinos. Como ejemplo, señalamos fols. 18r-23r.
19
a Luis de Ávila que sucedió a su padre Andrés como cazador, ahn. Nobleza. Frías, c. 141, doc. 3.

a Pedro Burguete que sucedió a su padre del mismo nombre,


a Matías del Castillo que ocupó el lugar de su progenitor An-
drés del Castillo o a Francisco de Caravantes que recibió título
de cazador de buho en lugar de su padre, del mismo nombre.
Los cazadores no podían recibir ni despedir a sus mancebos
las veces que estos quisiesen, ni podían asentar a sus hijos en
este lugar, por lo que le sugería, para solventar esta situación
irregular, que propusiese al monarca que éste les diese a los
mancebos algún tipo de título.
En estos consejos el Condestable describía a su hermano
las cualidades de cada uno de estos cazadores. Así, señalaba que
Pedro Burguete, el mayor, era el cazador de milano más antiguo,
aunque persona un tanto temerosa de los buhedos en el campo,
si bien era hombre de verdad, puntual y de mucha experiencia,
aunque la condición no era muy apacible; mientras que Luis
de Ávila era un cazador que entendía muy bien su oficio, au-
nque no quería que nadie aprendiese, además, tenía algunos
caprichos en cuanto al gobierno de los halcones por lo que, a
su juicio, merecía que se le respondiese y que tuviese mancebo
fijo, en lo que anda siempre algo remiso. De Juan de Treceño le
indicaba que era buen cazador y cumple con su obligación; de
Diego Barrero que era muy buen cazador, pero que era necesa-
rio que cumpliese con la obligación del mancebo, ya que su hijo
estudiaba y no seguía los pasos de su padre; de Juan de Escobar
también era buen cazador, hombre de bien, apacible y cumplía
en todo con obligación; y así, se describía, uno a uno, todos los
oficiales de la volatería 18.
Un caso a destacar era el de los mancebos, figura que
debía de ayudar a los cazadores para ir aprendiendo los rudi-
mentos de la caza. En un principio no estaban apuntados en los
libros de la Casa de Castilla, lo que provocaba que al terminar
la temporada de caza los cazadores los despidiesen por su ele-
vado coste, lo que a la larga perjudicaba el funcionamiento del
gremio, ya que evitaba formar de manera adecuada a los futu-
ros cazadores. Una muestra de esta situación nos la da la breve
instrucción que el Condestable dejó a su hermano el marqués
del Fresno cuando éste se quedó como gobernador de la vola-
tería. En la misma le indicaba, cuando le informaba sobre los
oficiales que tendría a su cargo, que los cazadores de cuervas
Santiago del Valle y Andrés Crespo o mancebos 19. Ahora bien,
se trató de poner freno a esta situación, ya que los cazadores
mayores no tenían medios para obligar a los cazadores a man-
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 104

tener a sus mancebos, mediante el decreto de 8 de febrero de


1649 y de las instrucciones de 1651, en donde se obligaba a los
cazadores a apuntarles en los libros de la casa de Castilla, con
título del cazador mayor, aunque no percibían gajes algunos;
ya que si no lo hacían los cazadores no percibían sus salarios 20.
Antes de apuntarse el cazador mayor o en su defento, su tenien-
te, debía de comprobar que eran capaces de correr el campo,
socorrer los halcones y ponerse a caballo con el halcón en la
mano sin daño para el animal, así como cruzar hábilmente un
río y andar en la busca de los halcones perdidos. Esta medida
tuvo difícil aplicación, ya que en 1652 todavía no se había hecho,
como se constata a través de una carta del marqués del Fresno
al monarca de 8 de octubre, cuando le sugiere “que se disimule
en lo de sacar los títulos” 21.
También 9 catarriberas – todos a caballo –, los cuales
debían de ser hombres de campo y saber llevar un halcón en la
mano. No había ser de Madrid, salvo si eran labradores, aunque
se prefería a los naturales de Carabanchel. En este número se
incluían al aposentador, trompeta y al herrador. Junto a ellos
estaban un solicitador con 10.000 mrs de gajes, con vestuario y
casa de aposento, con cargo de solicitar los negocios, vestuarios
y pagas de dicha caza; un agente, un escribano, 2 rederos (su
número se aumentó a 4 a mediados de siglo debido a que las
armas de fuego habían dificultado su trabajo), con gajes, paja,
cebada, vestuario y casa de aposento, con cargo de tener en su
casa las palomas necesarias para cuando fuese menester y los
milanos necesarios y el día de caza estar en la casa del cazador
mayor para dar palomas a todos los cazadores y varios rederos
de la tierra. Un capellán con 200 ducados de gajes y su vestuario,
que tenía que confesar y dar los sacramentos a todos los de la
caza (con paja, cebada y casa de aposento en Carabanchel); un
asesor, que solía venir del Consejo Real, elegido de una terna de
tres por el monarca, que ejercía como juez de las causas civiles
y criminales de los oficiales de dicho gremio 22; un alguacil, sin
salario, por lo que por merced real se le agregó en tiempos del
marqués de Alcañices una vara de alguacil de la villa de Madrid;
así como dos halconeros, con sus criados, que recibía sus gajes
20
de la Casa de Castilla, así como halconeros en Italia, Flandes,
ahn. Nobleza, caja 141, doc. 4,
núm. 11-12. Orán y Mazalquivir y Grecia, que se encargaban de comprar los
21
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 4. halcones, donde se solían gastar unos 2.015.584 mrs. al año, Y,
22
El 6 de enero de 1646, tras por último, varios oficios mecánicos, como un abujero, un guan-
consulta vista el 31 de diciembre tero, un sastre, un guarnicionero y un capirotero 23.
pasado, el monarca nombró como
asesor de la caza de volatería al Todos los que tenían gajes y salarios, así como los jubila-
licenciado don Fernando Pizarro, del dos que tuviesen merced real, percibirían dos veces al año sus
Consejo de Castilla, en lugar de doctor
don Pedro de Vega. ahn. Nobleza, Frías, retribuciones, de acuerdo al lugar y al puesto que desempeña-
c 141, doc. 2, fol. 13r.
23
agp. ag, leg. 340. “Relación de la
Casa de Castilla y forma de su gobierno,
hecha por el veedor y contador della”.
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 105

ban, pagados por el pagador de la Casa de Castilla, tras tener el 24


Sobre esta Junta, f. barrios, Los
referendo del secretario de la Junta de Obras y Bosques y del consejos de la Monarquía Hispánica en las
Etiquetas Generales de 1651, en Homenaje
contador de la dicha Casa. al profesor Alfonso García-Gallo, Madrid
1996, II/2, pp. 47-51. El 31 de enero de
1697 el Condestable recibió una orden
de 40 puntos que regulaba su oficio y
funciones. agp. ag. leg. 340.
ii.
25
Madrid, 26 de febrero de 1649.
don Fernando de Soto y Berrio. agp. ag,
A pesar de su importancia, este gremio, como el conjunto leg. 340.
26
de secciones de la Casa real, carecía de unas etiquetas hasta 1651, ags. ag. leg. 340.
cuando se publicaron las primeras etiquetas que se daban para
la Casa del rey en general y para el gremio de la volatería en
particular (el 3 de julio de 1647 concluyeron las reuniones de la
Junta de Gobierno de la Casa de Castilla) 24.

« Por el papel de vuestra excelencia de 25 del corriente, he


visto el decreto de su Majestad de 24 del dicho mes por el que
manda se envíen a sus reales manos las etiquetas del gobierno
de la real caza de volatería. Y lo que sobre esto se me ofrece
avisar a v.e. es que en todos los libros de su Majestad de mi
cargo de la Casa de Castilla no se halla ni parece razón ningu-
na tocante a etiquetas así de este gremio de la volatería como
de los demás gremios de que se compone toda la Real Casa de
Castilla porque el gobierno della consiste en cédulas y títulos
firmados de su Majestad que hablan con el mayordomo mayor
y contador mayor, juntamente, para que los dos libren y hagan
pagar en conformidad dellas y otras materias que se ofrecen
del gobierno y en el de la volatería, como vuestra excelencia
sabe, no hay más instrucción que la que se entrega al cazador
mayor con su título como se entregó a vuestra excelencia fir-
mada de su Majestad y esto es solo lo que vuestra excelencia
puede remitir a sus reales manos por no haber por esta vía
más noticia de la referida desde que se trasladó la volatería
de los libros de Aragón a estos de su Majestad de la real casa
de Castilla, efectuada a postrero del mes de septiembre del
año pasado de mil quinientos y treinta y cuatro por cédula
del Señor Emperador, fecha en Palencia, dicho día, mes y año,
refrendada de Juan Vázquez de Molina, su secretario...» 25.

Antes sólo había una colección de disposiciones e ins-


trucciones y títulos firmados por el monarca y, quitar un en
caso concreto de la volatería, no había más instrucción que
la que se entregaba al cazador mayor con su título desde el
momento que se trasladó la volatería de los libros de la Casa
de Aragón a los de Castilla, por cédula real de finales de sep-
tiembre de 1534; es decir, solo había estilo y costumbre 26. Las
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 106

primeras instrucciones que se dieron a un cazador mayor se


realizaron el 20 de febrero de 1598, cuando Felipe II nombró
a don Antonio de Toledo, conde de Alba de Liste (otras a lo
largo del siglo XVII se dieron el 22 de abril de 1644, 22 de junio
de 1658 y el 31 de enero de 1692. Un análisis de las mismas no
denota cambios sustanciales) 27.

iii.

Los oficiales de este gremio tenían importantes privile-


gios al estar exentos de todos los tributos generales y concejiles
y por tener condiciones especiales para abastecerse de trigo, ce-
bada y alimento junto con sus animales, poder llevar arma, etc;
muchos de los cuales venían de tiempos de Juan I y nacían de
las prerrogativas que en general disfrutaban quienes estaban
“ocupados en el servicio de Vuestra Magestad” (también gozaban
de estas preeeminencias sus mujeres e hijos) y que fueron rati-
ficadas en 1478 mediante pragmática por Fernando el Católico y
por Carlos I y Felipe II 28.
En realidad estas prerrogativas indicaban que el cazador
mayor, – lo mismo que el montero mayor, como oficiales mayo-
res de la casa real –, tenía prerrogativas y jurisdicción sobre los
servidores a su cargo, lo cual hacía que “de facto” la real caza
dispusiera de una especie de fuero privativo.
Estos derechos provocaban enfrentamientos con las auto-
ridades locales por las molestias que su presencia podía ocasio-
nar. A lo largo del siglo XVII, en un contexto de crisis, se trató
de reducir estos privilegios, al igual que los que disfrutaban sus
compañeros del gremio de la montería, y las autoridades locales,
especialmente las de Fuencarral, Carabanchel, Barajas y otros
municipios próximos a Madrid intentaron, en la medida de lo
posible, saltarse estos privilegios, pues en sus términos residían
estos oficiales, lo que ocasionaba no pocos problemas a las arcas
municipales 29. Por ello, los diferentes cazadores mayores pidie-
ron al monarca, en reiteradas ocasiones que se les confirmasen
estos privilegios y se castigase a los que no los cumpliesen.
Tanto Felipe III como Felipe IV remitieron este asunto
a la Junta de Obras y Bosques y al Consejo Real, los cuales
siempre acudían al Archivo General de Simancas en busca de
los citados privilegios 30. La primera resolución favorable a estos
27
oficiales ocurrió con el duque de Pastrana. El 28 de junio de
ags. Registros, libro 9, fols. 309-
310. 1613 se despachó por parte del Consejo Real – estando el mar-
28
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, docs. qués del Valle, el licenciado don Diego Fernando de Alarcón, el
6 y 35. licenciado Pedro de Tapia, el licenciado Martín Fernández Por-
29
ahn. Consejos, leg. 25.543, exp. 9
y leg. 7.124, exp. 4.
30
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc.
36.
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 107

tocarrero, el doctor don Diego López de Salzedo –, una provi- 31


ahn. Nobleza, Frías, c 593,
sión a petición del duque de Pastrana, sobre las preheminecias, doc. 15.
32
prerrogativas, exenciones y libertades del gremio tal y como las agp. ag, leg. 632.

tenían y las disfrutaron sus antecesores en el cargo y que se


remontaban, como hemos visto, a tiempos de Juan I 31.

« Fueren o estubieren en qualquiera de esas dhas. ciuda-


des, villas y lugares les hagaás dar y deis buenas possadas en
que possen ellos y ssu hombres y bestias sin dineros, que las
dichas possadas no sean messones y les deis y hagays dar vian-
das y otros mantenimtos. que menester ubieren a prescios ra-
conables... y les deis y hagayas dar aves para los dhos. alcones
pagando ante dos cosas por cada gallina dos reales y mo. y por
cada patto tres reales y por cada pollo un rreal y por cada par
de palominos mo. real y les dejeis y deis lugar que puedan
cazar en qualesquier montes u deessas y otros qualesquier
lugares aunque los tengays y esten bedados y asimismo les
dejeis y consintays traer armas... y que pasen libremente sin
que pagen portazgo ni diezmos ni servo. ni pontazgo passaje
ni ronda ni castilleria ni otro derecho alguno por qualesquier
puertos y lugares y passos... y los dejeis y consintays tommar
palomas para los dichos alcones en qualesquier partes y luga-
res con rredes y otros armadiyos... con tanto que no sea media
legua ffuera de los dhos. lugares, lo qual mandamos que no
se estienda ni enda en lo que toca a nros. cattariveras porque
aquellos no tienen alcones y no an menester aves para ellos,
salvo para lo del traer de las armas y ser aposentados y pacer
de los prados con sus bestias... Otrosi os mandamos que no
consintays ni deis lugar que rebueolban ruydo algno. con ellos
ni con alguno dellos mas antes los defendais y ampareisellos...
y los dejeis y consintais pacer con sus cavallos y bestias en
los qualesquier prados y pasto o dehessa bedadas... que yo
por la presste. les tomo y recivo a todos ellos so mi guarda
segur y amparo y defendimto. real y si lo hacer y cumplir no
quisieredes o algun ynpedimto. o estorvo en ello pusieredes
mandamos a qualesquier justicias q. con esta nra. carta o con
el dho. su traslado signado commo dho. es fueren pregdos.
que procedan contra tales... lo qual mandamos asi se guarde y
cunpla sin embargo de la tasa antigua y ley que zerca de ello
dipone la ql. para en qto. a esto derogamos, quedando en su
fuerca y rigor para en lo demas y loas unos ni los otros no
fagades en dea al. so pena de nra. mrd. y de diezmill mrs. para
la nra. camara sola qual mandamos a qualquier scribano os la
notifiq. y de testimonio de ello» 32.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 108

En la resolución se indicaba que los oficiales de dicho gre-


mio recibían buena posada, sin ser mesones, así como viandas
y mantenimientos a precios razonables y aves para los halcones,
pagando por cada gallina dos reales y medio y por cada par de
palominos medio real, y les daban lugar para cazar en cualquier
dehesa aunque tuviesen coto privado y que sus caballos pastasen
en cualquier dehesa. Se les permitía traer armas, aunque estuvie-
sen vedadas, a pesar de los privilegios que los lugares o personas
donde estuviesen elininar tuviesen de los reyes pasados. Tampo-
co pagaban portazgo, diezmo ni servicio, pasaje, ronda o casti-
llería o otro derecho alguno por cualquier puerto, paso o camino.
Podían tomar palomas con redes en cualquier lugar, siempre que
fuese media legua fuera de los sitios donde residían, – salvo los
catarriberas, ya que no tenían halcones –. Por último, se señalaba
que las justicias locales tenían el deber de protegerles.
Con todo, los pleitos eran frecuentes. Así, se entabló uno
a comienzos de la década de 1620 por el reparto de la paja y trigo,
del que salió culpable los lugares de Carabanchel por ejecutoría
de autos confirmados por los señores del Consejo a dar al caza-
dor mayor y al gremio de la volatería la paja y cebada que hu-
bieren menester para dichos caballos y mancebos, según carta
de ejecución de 30 de octubre de 1623 33.
Estos privilegios que se dieron al duque de Pastrana fue-
ron confirmados, años después, al marqués de Oraní e impresos
en Madrid, en la imprenta de María Quiñones, en 1636, siendo
cazador mayor el marqués de Alcañices; en lugar de, sin duda
para aumentar su difusión, ante la petición que hizo Felipe Váz-
quez, agente de la volatería, el 12 de junio de 1634 y en un contexto
de enfrentamiento con Carabanchel 34. El marqués de Alcañices
escribió el 20 de febrero de 1636 a don Pedro Fernández de Bae-
za, del Consejo y alcalde de casa y corte y juez de las obras y
bosques reales y caza de volatería, informándole que los cazado-
res y demás miembros del gremio de la volatería estaban exentos,
por privilegios y costumbre, de contribuciones, por justificadas
que éstas fuesen, y que los alcaldes de los Carabancheles habían
apremiado a algunos cazadores para que contribuyan con los re-
partimientos pedía que se pusiese presos a los que solicitaban
esta cosa. El 23 de febrero, el juez de bosques mandó hacer pre-
sos a Sebastián de Urosa y a Alonso de Soto, alcaldes de los Ca-
rabancheles, iniciándose un nuevo pleito 35.
De nuevo, los privilegios se tuvieron que confirmar en
tiempos del Condestable ante la intromisión y falta de acata-
miento de estas libertades y privilegios, llegando incluso los
alcaldes de los Carabancheles a solicitarles el pago de impues-
33
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 6. tos de la corona o concejiles. En este sentido, el Condestable
34
ahn. Consejos, leg. 25.543, exp. 9.
35
ahn. Consejos, leg. 25.543, exp.
12. Probanza a pedimento del lugar de
Carabanchel de Abajo (1637).
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 109

se vio obligado a solicitar al monarca, de nuevo, la confirma- 36


En Madrid, en la casa del
ción de sus privilegios 36. Los cuales le fueron confirmados el 2 Condestable, el 7 de junio de 1643 se
reunieron el condestable y Francisco
de enero de 1644, indicando que los Carabancheles debían de Herranz, procurador de Carabanchel
de Arriba, y Luis de Ávila, vecino de
dar aposento y paja y cebada a 9 reales a los 12 mancebos del
dicho lugar y cazador de la volatería,
cazador mayor que servían con un caballo cada uno, al tenien- en representación de dicho lugar para
tratar el reparto de la casa de aposento,
te del cazador mayor y a sus dos mancebos; al capellán, que
paja y cebada que debían de dar a los
servía con un caballo y a cada cazador y su mancebo, y a cada del gremio. ahn. Nobleza, Frías, c. 593,
doc. 6.
catarribera y buhero, que tenían un caballo, así como a los ju-
37
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 6.
bilados. Asimismo, se tenían que repartir los mantenimientos
38
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 6.
al precio que corrieren en los dichos lugares, y la comida de
39
agp. ag, leg. 340.
los sábados y los corazones para los halcones al precio que se
dan en el matadero de Madrid.
Lo que se hacía era confirmar una situación previa de
tiempos del marqués de Alcañices cuando se pasó escritura, la
de Carabanchel de Abajo ante Cristóbal de la Cuesta, escribano
de la villa de Madrid en 25 de agosto de 1629, y Carabanchel de
Arriba ante Francisco Rodríguez, escribano de Madrid, el 14 de
enero de 1630. El Condestable llegó a otro acuerdo con estos
lugares 37. Con Carabanchel de Arriba que el tiempo que el Con-
destable o su hijo, el conde de Haro, fuesen cazadores mayores
debían aposentar al gremio de la volatería, como hasta aquí se
hacía, según la provisión del Condestable. Por lo cual, a los 6 de
sus mancebos que les tocaba aposentar, les debía de dar por casa
de aposento, ropa y servicio 396 reales al año. A cada cazador
200 reales por casa de aposento y servicio al año y 60 fanegas de
cebada y 22 sacas de paja a 9 reales. A cada catarribera, buhero
y redero y demás personas que servían con caballo se les debía
de dar por casa de aposento y servicio 100 reales y 30 fanegas de
cebada y 11 sacas de paja al precio señalado anteriormente, y 100
reales como casa de aposento al resto de oficiales del gremio que
servían sin caballo. Al aposentador del gremio, que debía de ser
pagado entre los dos lugares, le correspondía del sitio de Arriba
6 ducados (como al de Abajo). Además, el Condestable tenía que
recibir 350 fanegas de cebada y 40 sacas de paja 38.
El rey siempre, como venimos viendo, daba la razón a los
cazadores, justificando su decisión por los buenos servicios que
le hacían, por los grandes gastos que tenían y por la cortedad de
sus salarios. Así, en una real cédula de 24 de mayo de 1649 39 se
indicaba:

«y atendiendo a la cortedad del sueldo que gozan y ser el ga-


sto que tienen muy grande, sirviéndome con dos caballos y sus-
tentando tres halcones (…) tengo por bien y mando, que para
mayor socorro y alivio se les den en los mataderos de las ciu-
dades, villas y lugares donde estuvieren, que se matare carne-
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 110

ro, macho y vaca, los corazones que hubieren menester para el


sustento de los halcones, pagando por cada corazón de vaca 18
maravedíes, por el carnero y macho a cuatro maravedís (…)» 40.

De esta manera, Felipe IV confirmó los privilegios de este


gremio al Condestable a través de un decreto de 26 de mayo de
1649. En el cual, se les declaraba libres de cualquier género de pe-
chos, contribuciones, derramas o repartimientos y se les confir-
maba sus privilegios y prerrogativas, ordenando al cazador mayor
y al asesor que procediesen contra las personas que incumplie-
sen lo establecido (lo mismo se hizo a los de la montería).
Con todo, y como venía ocurriendo desde comienzos de la
centuría, las molestías a estos oficiales no cesaron. Las prehemi-
nencias se volvieron a confirmar el 10 de diciembre de 1659 y el
12 de octubre de 1660 el monarca ordenaba a la Junta de Obras
y Bosques que actuase contra las justicias locales de Castilla la
Vieja, las cuales no dejaban realizar su trabajo a los rederos, a
los que se les solicitaban contribuir en los repartimientos y tri-
butos locales 41.
Además, cada cambio en la estructura del gremio su-
ponía una nueva fricción con los lugares de Carabanchel. Así
ocurrió cuando se creó la figura del cazador de aleto, nom-
brando a Juan de Cuevas. Los Carabencheles se negaban a
pagarle su casa de aposento y la paja y cebada que tenía asig-
nada por dos caballos. También cuando se tuvo que aumentar
el número de rederos, en dos más, obligando a estos lugares a
darles 30 fanegas de cebada y 10 sacas de paja, a la misma tasa
que se les pagaba a sus compañeros, con un caballos 42. Por ello
se entabló, en 1657, un pleito ante don Juan de Morales, asesor,
de la volatería 43.

iv.

El gremio de la caza de volatería se alojaba en los lugares


de Carabanchel, en las proximidades de Madrid, desde tiempo
de los Reyes Católicos, más concretamente desde cédula real de
11 de abril de 1478: «Por hacer vien y merced a vos los Conzejos,
40
f. cos-gayón, Historia Jurídica del é hombres buenos de los Carabancheles, por algunos buenos
Patrimonio Real, Madrid 1881, pp. 102-103.
41
servicios que me habéis fho, e por que ansí mismo mi Voluntad
ags. csr, leg. 314, fols. 118, 119.
42
es que esos lugares sean Aposentamiento de mis Halconeros e
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 10.
43
quiero e mando que en ellos (los Carabancheles) no sean dados
El teniente del cazador mayor
y el agente de la caza señalan que otros huéspedes algunos salvo los dichos mis cazadores, y que
eran plazas muy necesarias y que en entre tanto estos estubieren, no se aposenten otras algunas Jen-
la volatería no había plazas ciertas, y
que la voluntad real la que aumenta o tes de la mi Corte, ni hermandad, ni de otra cualesquier persona
disminuye este número y que al vivir
en los Carabancheles los oficiales de
la volatería gozaban estos lugares de
grandes privilegios. ahn. Nobleza, Frías,
c. 593, doc. 17, núm. 2.
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 111

y que no den ni consientan dar en dichos lugares huéspedes 44


ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 6.
ni que de otra guisa saquen ropa, ni paja, ni trigo, ni zevada, ni 45
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, docs.
otras provisiones algunas, ni hayan de dar ni den Guías, ni Ca- 6 y 35.
46
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 16.
rretas, ni Vestias, e otro si mando al mi gallinero que no saque
47
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 10.
de los dhos lugares, ni de algún vecino y morador de ellos, galli-
nas, ni otras Aves por ningun prezio que sea, salvo las que de su
propia voluntad les dieren....» 44.
Estos lugares se comprometían a dar casa de aposento a
los oficiales del gremio, tanto los nombrados por el monarca
como los nominados por el cazador mayor, así como a los jubila-
dos. Esta casa de aposento consistía en darles casa cómoda don-
de poder mantener los halcones, servicio de balde, ropa de mesa
y de persona, lumbre, luz, sal y agua sin limitación. También,
debían dar cebada y paja para sus caballerizas, siempre según la
tasa oficial, que en tiempos de Felipe IV estaba establecida en 9
reales la fanega de cebada y la saca de paja (Con el paso de los
años se aumentaron algunos de los beneficios de los cazadores,
pues comenzaron a comer los sábados con cargo a las arcas mu-
nicipales y debían de recibir en la carninería de estos lugares
los corazones y despojos para los halcones al precios que se
daban en el matadero de Madrid) 45.
Según el acuerdo suscrito, el lugar de Carabanchel de
Arriba debía de dar a 6 de los 12 mancebos del cazador mayor
– el resto le correspondía a Carabanchel de Abajo – 396 reales
al año por casa de aposento, ropa y servicio, además 200 reales
como casa de aposento y servicio al año a cada cazador, así como
60 fanegas de cebada y 22 sacas de paja; mientras que a los ca-
tarribera, buheros, rederos y demás personas que servían con
caballo 100 reales por casa de aposento y servicio y 30 fanegas
de cebada y 11 sacas de paja, y al resto de oficiales sin caballo a
su costa sólo 100 reales como casa de aposento. (el aposentador
era pagado por partes iguales por los dos lugares) 46.
A cambio, estos lugares, tuvieron una serie de privilegios
y exenciones entre los cuales, podemos destacar, la exención de
alojamiento de tropas, la no concesión de aposento a otros ofi-
ciales de la corte, la no contribución en paja y cebada para la
caballeriza real, no se les obligaba a traer pan cocido a Madrid
o no dar carruajes y bestias para las jornadas a los sitios reales,
que les permitió disfrutar de una significativa riqueza 47, tal y
como se desprende de la documentación remitida por la villa de
Vallecas en tiempos del Condestable de Castilla cuando este lu-
gar se postulaba para alojar a dicho gremio y señalaba: «porque
ha uisto la estrema riqueza a que an llegado con el alojamiento
de la caça los Caramancheles siendo libres por previlexio de
los señores reyes de Castilla de muchas contribuciones, mucho
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 112

más que lo son los catalanes». El 15 de mayo de 1668 los dos lu-
gares declaraban que nunca se les repartió cargas como ocurría
en otros lugares 48.
Este acuerdo fue refrendado por la reina Juana, por cédu-
la hecha en Santa María del Campo de 7 de octubre de 1507, por
Carlos V, el 29 de marzo de 1519 y 31 de enero de 1536, por Felipe
II, el 3 de febrero de 1562, por Felipe III el 19 de marzo de 1600 y
por Felipe IV el 29 de octubre de 1621. (cuando la corte estaba en
Aranjuez este gremio se aposentaba en la villa de Seseña). Ahora
bien, a pesar de todo, los conflictos entre estos lugares de Cara-
banchel y los oficiales de la volatería, como hemos visto, fueron
constantes; motivados, sin duda, por el intento de estos sitios en
hacer contribuir a los oficiales de la caza en los impuestos de
la corona y los concejiles, pues consideraban que los oficiales
menores del gremio debían de contribuir, pues no tenían las
calidades de los halconeros, asimismo, señalaban que muchos
oficiales del gremio eran campesinos ricos del lugar que no ejer-
cían el cargo pero que al tener este título no pechaban, con el
lógico perjuicio para las arcas municipales – la misma disputa se
estableció en el periodo analizado entre el gremio de la caza de
Montería y el lugar de Fuencarral donde residían –.
En estos conflictos, los cazadores mayores amenazaban
con llevar el alojamiento a otros lugares próximos a Madrid;
si bien, nunca se estuvo más cerca como a comienzos de 1651
cuando el Condestable remitió una consulta a la Junta de Obras,
y Bosques en donde éste señalaba la posibilidad de cambiar el
alojamiento desde los Carabancheles a Vallecas, pues había una
persecución por parte de las justicias locales hacía los oficiales
del gremio, a los cuales no se les respetaban sus privilegios. El
Condestable señalaba que desde que entró en el cargo siempre
ha tenido conocimiento de este deseo de cambio y de que la
villa de Vallecas estaba deseosa de recibir a este gremio ya que
como señala: «porque ha uisto la estrema riqueza a que an lle-
gado con el alojamiento de la caça los Caramancheles siendo
libres por previlexio de los señores reyes de Castilla de muchas
contribuciones, mucho más que lo son los catalanes». La Junta,
el 22 de enero, señaló al monarca que no se debía de cambiar
algo que llevaba más de 150 años y que a un pueblo tan gran-
de como Vallecas no sería bueno darle los privilegios que tenía
Carabanchel 49. La villa de Vallecas llegó incluso a ofrecer que
el aposento sería en el propio Madrid, proponiendo la calle de
la Paloma, la zona de Lavapíes o la puerta de Fuencarral – otros
lugares interesados fueron Villaverde y Gétafe – y los cazadores
48 a pesar de que muchos de ellos eran vecinos de los Carabanche-
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 10.
49 les y tenían propiedades estaban dispuestos a perder todo con
El monarca respondió el 6 de
febrero que aceptaba lo señalado por
la Junta. ags. csr, leg. 312, fols. 5, 9. El
monarca pidió que se volviese a ver el
10 de marzo. Ibídem, fol. 6.
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 113

el cambio, además Vallecas quiere poner la paja y cebada a la


tasa como la dan al cazador mayor y a los cazadores catarriberas
y demás oficiales de la caza según lo hacían los Carabancheles.
Con todo, la vinculación de los lugares de Carabanchel y
Seseña con la volatería se mantuvo inalterable a lo largo del si-
glo XVII, negociando cada 10 años el cazador mayor y los repre-
sentantes de dichos lugares los repartos de los siguientes díez
años. El Condestable de Castilla, como cazador mayor, solicitó a
los lugares de Carabanchel que realizasen escritura pública de la
obligación y concierto de tener alojados a la caza de volatería y
darles casa de aposento a los cazadores y paja y cebada para los
caballos. Dichos lugares dieron poderes a Juan Bravo, el lugar de
Carabanchel de Arriba el 29 de agosto de 1661 y, el 28 de agosto
de 1661 los de Carabanchel de Abajo a Pedro de Pontes, procu-
rador general de este lugar. Según esta obligación, Carabanchel
de Arriba debía de pagar, según el acuerdo suscrito entre ambos
lugares el 31 de agosto de 1661, al cazador mayor, a sus mancebos,
a los cazadores y catarriberas y demás oficiales de la volatería el
lugar de Carabanchel de Abajo debería de pagar, aparte de lo
que pagaba, 292 reales de vellón, 142 fanegas de cebada y 47 sacas
de paja más, debido al traslado de algunos vecinos del lugar de
Arriba al de Abajo (Nicasio del Moral, Francisco de Urosa y Diego
de Orgaz en 1659). Este acuerdo duraría 10 años, tras el cual se
volvería a negociar de acuerdo a los vecinos de cada lugar y si
mientras tanto hubiese trasvase de vecinos estos pecharan en el
lugar donde estaban hasta volver a acordar un nuevo reparto.
Otro cambio significativo es que la paga de la casa de apo-
sento se hacía en enero y los dos lugares decidieron que fuese
en San Juan, como se hacía con la paja y cebada que recibían la
caballeriza de la volatería. En este acuerdo también se confirma
que las jubilaciones de los oficiales de la volatería eran pagados
por los lugares donde el oficial residía. Asimismo, se señalaba

3.
ˇ (des.), de N. Gonzales (lit.), Plano del Real
P. Penas
Sitio del Pardo y Viñuélas..., segunda mitad de XIX
siglo. Madrid, Junta General de Estadística.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 114

que la plaza de redero, que era de Juan de Ríos, se debía de


pagar por mitad entre los dos lugares, lo mismo que se haría
con el resto de plazas aumentadas. Por último, se indicaba que
si alguno de los dos lugares no cumplía este acuerdo 50 debía de
pagar una pena de 500 ducados 51.

v.

Los salarios de estos oficiales eran pagados por el pagador


de la Casa de Castilla, tras tener el refrendo del secretario de la
Junta de Obras y Bosques y del contador de la dicha Casa. Este
gremio tenía asignados para su mantenimiento a comienzos del
siglo XVII, 6.750.000 mrs al año, de los que 3.500.000 estaban
consignados en los millones de Madrid y el resto, principalmen-
te, en los de Guadalajara y Toledo – es decir, en rentas bastante
seguras –. Aparte, según una relación de 16 de junio de 1653, se
gastaban al año unos 2.015.584 mrs en los halcones que venía de
Italia, Flandes, etc., y cada dos años 1.732.233 mrs en el vestuario.
Para evitar problemas de falta de dinero con los que ha-
cer frente a cuestiones del día a día del gremio, como la compra
de aves, paja o cebada, pago a rederos, gestiones en Simancas,
etc., desde tiempos del duque de Pastrana el cazador mayor
debía de anticipar muchos de estos gastos de su propio bolsi-
llo, elaborando un libro donde se contabilizaban dichos gastos,
los cuales luego le eran abonados por el pagador de la Casa. A
modo de ejemplo, el Condestable de Castilla, don Bernardino
Fernández de Velasco y Tovar había librado de su propio bolsi-
llo desde el 29 de diciembre de 1643 hasta el 4 de enero de 1645
un total de 55.994 mrs y cuando partió para Milán dejó encarga-
do a su tesorero que se dispusiesen 1.000 ducados anuales para
esta contingencia 52.
Ahora bien, como ocurría con otros departamentos de la
casa real los atrasos en los pagos eran constantes, lo que provo-
caba una enorme deuda con los oficiales, agravada en tiempos
de Felipe IV, cuando el conde-duque de Olivares en su afán por
reducir los gastos de la casa para dedicarlos al mantenimiento
de las guerras, trató de reducir en diferentes ocasiones (1624,
1630 y 1649) el gasto de la casa real. En el caso concreto de los
gremios de la Casa de Castilla las medidas fueron más impor-
tantes, al considerarse la idea no solo de reformarla, como ocu-
rrió en 1631 – si bien en este año se manifestó que los gremios
de la caza debían de quedar como estaban, dada su importancia
– sino incluso de suprimirla, sobre todo en 1644, cuando en la
50 Junta que se convocó para la reforma de la Casa de Castilla, for-
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 31.
51
ahn. Nobleza, Frías, caja 593,
docs. 15, 31-32.
52
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 36.
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 115

mada por el marqués de Palacios, don Fernando de Soto y Be- 53


agp. ag, leg. 340.
rrio y el marqués de Montalbán, desde el 10 de febrero de 1645 53, 54
La Casa de Castilla consumía
se indicó: «que éstos criados cuanto al ejercicio de sus oficios al año 64.000 ducados: 56.000 fijos y
8.000 en extraordinarios y cobranzas.
les ha quedado solo el nombre y se podía excusar su mayor agp. ag, leg. 340.
número reduciéndolos a lo inexcusable como V. Majestad nos lo 55
“Ha parecido a la Junta consultar
a V. Majestad todo lo que toca a esta
manda en su decreto…” 54 indicando, en lo relativo al gremio de
casa por no dilatar el remedio y ahorro
la volatería, que los “gastos extraordinarios montan 6.500 duca- desde luego en ella, sin esperar la
reformación de todos los gremios en
dos un año con otro y respecto de no repetir V. Majestad todos que se necesita de más tiempo. Vuestra
los años esta caza, se podría moderar su extraordinario a 2.000 Majestad resolverá lo que más fuere
servido, Madrid a 6 de mayo 1644”. agp.
ducados y que sin orden particular de V. Majestad no se exceda ag, leg. 340. Ese año se libró para la
dellos» 55 – idea que fue desechada, considerando, que «La re- caza de volatería 5.696.158 mrs.
56
formación de gastos que se pueden excusar en ningún tiempo agp. ag, leg. 340.
57
fue más necesario ni pudo ser más justa que en éste; pero hay j. martínez millán, La articulación
de la monarquía hispana: auge y ocaso de
cosas que no se pueden reformar por resoluciones ni órdenes la casa real de Castilla, en Plus Ultra: die
mías declaradamente, o porque consisten en uso antiguo de mis Welt der Neuzeit: Festschrift für Alfred
Kohler zum 65. Geburtstag/hrsg. von
Casas Reales (...). Son criados que sirven con fidelidad y ellos y Friedrich Edelmayer, Münster 2008. agp.
los demás que queréis reformar viven de los que se les da para ag, leg. 928, s.f.
58
sustentarse y quando se les pague puntualmente es menos de agp. ag, leg. 340.
59
los necesario en este tiempo y así resuelvo que por ahora no “Háseme representado que
podrá tener conveniencia que el
se haga novedad en más de lo que aquí va declarado”. Además, pagador que es o fuere de mi casa de
“los criados de la Casa de Castilla no se pueden consumir por Castilla otorguen ante un escribano
fijo todos los poderes, cesiones y
ser necesarios Volatería, monteros de monte, médicos que sigue demás despachos tocantes al dicho
la Corte y han de residir, aposentadores para lo mismo y tienen oficio y casa y con presupuesto de que
por esta razón no se ha de recrecer
menos gajes que los de Borgoña, escuderos de a pie porteros costa ninguna a mi Real Hacienda, he
de cámara que sirven en palacio, en los consejos y chancillerías resuelto que se haga así y que sea ante
Gabriel Rodríguez de las Cuevas, mi
y otros criados que no los a habido por la casa de Borgoña y escribano real que ha asistido a este
habiéndoseles de dar gajes no se excusa la costa» 56. Si bien fue- ejercicio de algún tiempo a esta parte.
Darásele despacho que le sirva de
ron suprimidos, momentáneamente los cargos de mayordomo título para ello pero sin gajes”. agp. ag,
mayor y de pagador de la Casa de Castilla 57. leg. 340.

Lo que si realizó el conde-duque fue asentar las consi-


gnaciones de este gremio en rentas no seguras. En un princi-
pio éstas estaban asentadas en los millones de Madrid pero se
comenzó a fijar, a partir de 1631 en los millones de Salamanca,
Mérida, Plasencia, Llerena, Cazorla, Cádiz o Badajoz, y en algu-
nas ocasiones en Madrid, lo que perjudicaba el pago regular de
los salarios y mercedes del conjunto de los servidores 58.
Además, eran los propios oficiales los encargados de eje-
cutar el cobro, al suprimir, el 3 de febrero de 1645, el cargo de
pagador de la casa real de Castilla 59, lo que también complicaba
su percepción, como se desprende de una reunión de la Junta
de Gobierno de la Casa de Castilla, de 10 de enero de 1646. En
cumplimiento de lo que el monarca ordenó, a modo de ejemplo,
el pagador de la Casa de Castilla, don Francisco Cotel y Carvajal,
por real cédula de 8 de febrero de 1643, debía de dar cuenta de
los maravedíes que tenía en su poder y cobrado de las libranzas
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 116

que se le habían dado para la paga de la Casa de Castilla. En su


respuesta, de 12 de marzo, indicaba que no había entrado en su
poder ninguna de las cantidades libradas 60.
Asimismo, se limitaban las cuantías a percibir. El 30 de
de octubre de 1645, se fijaban la cantidades necesarias para el
mantenimiento de este gremio en 5.639.839 mrs, con una pérdi-
da de 1.110.167 mrs. De esta manera se había tenido presente el
parecer de la Junta formada para reformar la Casa de Castilla
un año antes y que consideraba que se podían moderar en 2.000
ducados los gastos de dicho gremio. La nueva cantidad se con-
signó en 1645 en Cazorla: 2.341.508 mrs, en Llerena 2.618.571 y
en Badajoz 679.754 (en 1651 se libraron en los millones de Ávila
2.000.000 de mrs y en los de Cuéllar 1.350.000) 61.
A esto, se unía el hecho de que los diferentes jefes de los
gremios de la Casa de Castilla se debían de reunir para prorra-
tear los ingresos existentes y las enfermedades del Condestable
habían originado serios problemas en los oficiales de la vola-
tería. Esta forma tan peculiar de reparto se mantuvo hasta el
mes de agosto de 1653, cuando Felipe IV ordenó la constitución
de una nueva Junta, compuesta por todos sus mayordomos y
por el veedor y contador de la Casa de Castilla 62.
Ahora bien, dentro de los gremios o oficiales de la Casa de
Castilla la volatería era uno de los mejor parados. Así, por ejem-
plo, el 19 de agosto de 1649, el mayordomo mayor indicó que los
maravedíes que se habían librado a la Casa de Castilla sobre los
60
millones de Madrid (4.736.000 mrs) no se debían de aplicar solo
En abril recibió del tesorero
de los millones de Aranda de Duero
al gremio de la volatería, como quería el condestable de Castilla
71.400 mrs en vellón; el 14 de mayo y como alguna vez se había hecho, sino sólo la mitad, quedando
217.600 mrs en moneda de plata,
442.000 en moneda de vellón y 326.400
la otra para los demás gremios, es decir, la montería, capilla, por-
mrs en moneda de plata de los teros, escuderos de a pie, etc. En estos años también se señaló
millones de Cádiz y de Toledo 248.407
mrs. En Junio no cobró nada. En julio que los de la volatería “por tener a su cargo mancebos, caballos
136.000 mrs en vellón en los millones y halcones se les había socorrido con más atención”. Otro dato
de Málaga. En agosto 68.000 mrs de
vellón en los millones de Málaga, que corrobora esta visión, nos lo proporciona una carta de 5 de
337.450 mrs de vellón de Aranda de julio de 1652, en donde el marqués del Fresno escribía al mo-
Duero, 170.000 de Cádiz y 748.000 mrs
de Burgos. En septiembre recibió de narca indicándole que aunque se debía los gajes de los oficiales
los millones de Cádiz 442.000 mrs de de su gremio de 1641 y 1643 aún así “no tiene criados más bien
vellón y 442.000 mrs en los millones
de Burgos. En octubre 68.000 mrs de socorridos respecto de los tiempos” 63.
Burgos, en noviembre otros 340.000 La díficil situación económica de la casa real en general
mrs de esta ciudad y en Madrid para
la capilla y real caza de montería y y de la Casa de Castilla en particular generó imporantes tensio-
volatería 1.116.341 mrs. En diciembre nes entre el cazador mayor y la Junta de Gobierno de la Casa
272.000 en Burgos, 32.814 mrs de vellón
en Plasencia, 68.000 en Cádiz y 661.356 de Castilla, que se constituyó, de nuevo, en agosto de 1653, com-
en Madrid. agp. ag, leg. 5281. puesta por todos sus mayordomos y por el veedor y contador
61
agp. ag, leg. 340. para el gobierno y gestión de la misma, sobre las distribuciones
62
El 29 de octubre de 1653, el y el pago de los salarios, pues para el cazador mayor la Junta
monarca decretó que el veedor y
contador, don Fernando Soto y Berrio, se estaba metiendo en este tema, perjudicando su autoridad y
tuviera igual asiento y voto que los
mayordomos. agp. Administrativa, leg.
340.
63
ahn. Nobleza, Frías, c. 593, doc. 4.
Félix Labrador Arroyo El gremio de la caza de volatería en tiempos de Felipe IV 117

complicando la percepción de los gajes de los oficiales del gre- 64


ahn. Nobleza. Frías, c. 141, doc. 4,
mio y que desde 1644 iba de manera independiente al del resto núms. 77-79.
65
de departamentos de la Casa de Castilla – antes como indicó el agp. ag, leg. 340 y ags. csr, leg.
313, fols. 141-142.
mayordomo mayor, la Casa de Castilla “era un cuerpo solo”, por 66
Instrucción del oficio de
lo que los libramientos y consignaciones se hacían sin distin- contador y veedor de la casa de Castilla
(23 de septiembre de 1656). agp. ag,
ción, ni separación en nombre de toda ella sobre los millones
leg. 340. Con el Condestable, el 10
de Madrid y su provincia hasta que se alteró en 1631 cuando se de diciembre de 1659 se volvieron a
publicar las preeminencias del gremio
mudó de los millones al estanco de la sal, “haviéndose dado de la caza de volatería. Ibídem.
libranzas señaladas a la capilla, volatería y montería.
Por lo ultimo, el 7 de octubre de 1654 el marqués del Fres-
no escribió al monarca señalándole los inconvenientes y el
perjuicio que se seguía en la caza de volatería que la Junta de
Gobierno de la Casa de Castilla tuviese dependencia y autoridad
en las cosas de ella 64. Por lo que, el monarca aceptó separar la
volatería de esta Junta, por cédulas de 14 de abril y 31 de agosto
de 1655, por lo que el cazador mayor era el encargado de hacer
las distribuciones de las cuantías consignadas en colaboración
con el veedor y contador de la Casa de Castilla 65.
En la instrucción que se dio al veedor y contador de la
Casa de Castilla, poco tiempo después, en el punto décimo ca-
torce, se señalaba respecto a este punto:

« Aviendo tenido la Junta del Govierno de la rl cassa de


Castilla muchos devates con el cazador mayor de la rl. caza de
volatería sobre tener parte en las distribuziones de los mrs. de
sus consignaziones y echo a su magd. diferentes consultas de
una y otra parte, fue su magd. servido de resolver por dos zéd-
ulas rs., la una de catorze de abril de 1655 años y la otra en 31
de agosto del dho. año refrendadas entranbas de Franco. Man-
zano, srio. de obras y bosques (...) que los repartimientos de los
mrs. de la dha. rl. caza los hiciese el cazador mayor y el veedor
y contador entraanbos juntos como se a puesto en ejecución
separándolo de la dha. junta y lo mesmo se deve entender y se
a praticado con los demás gremios conprendidos en la rl. cas-
sa de Castilla que tienen jefes como parece por la resolución
de su magd. en consulta de la dha. Junta dle govierno de la rl.
cassa de Castilla que la hizo en 11 de agosto del dho. año de
1655 con lo qual se manifiesta tanvien la calidad de los dhos.
oficios de veedor y contador de la rl. cassa de Castilla pues su
magd. les dio en ello ygual juridizion con los jefes desuniendo
lo de una junta de tanta autoridad»66.
LUIS URTEAGA
CONCEPCIÓN CAMARERO

PLANOS DEL SIGLO XIX


PARA UN REAL SITIO
DEL SIGLO XVIII:
EL REAL SITIO DE SAN ILDEFONSO
Y SU ANEXO
EL REAL BOSQUE DE RIOFRÍO
(1868-1869)
Nella pagina precedente: 2.
1. Fragmento del cuadro de J.M. Van Loo La Familia de
Fachada del Palacio de San Ildefonso; obra del Felipe V, pintado en 1743 (Museo del Prado, Madrid) Luisa Gabriela de Saboya, y su esposa, Bárbara de
arquitecto Juvarra, es una de las piezas maestras En la imagen, además del monarca y su esposa, Braganza; detrás, el cardenal infante don Luis, hijo
del Barroco tardío europeo (foto: autores). Isabel de Farnesio (sentados), aparecen, a la menor de los reyes, y don Felipe, segundo hijo de la
izquierda, el entonces príncipe de Asturias y futuro pareja, Duque de Parma y Piacenza.
Fernando VI, fruto del matrimonio dell rey con, Mª
La cartografía constituye un instrumento fundamental 1
Este trabajo se ha realizado
para conocer los Reales Sitos, su entorno, influencia sobre el en el marco de los proyectos de
investigación CSO2011-29027-C02-01 y
territorio aledaño y evolución 1. No siempre es posible disponer CSO2011-29027-C02-02 financiados por
la Dirección General de Investigación
de una cartografía abundante y de calidad. Ese es el caso San
del Ministerio de Ciencia e Innovación.
Ildefonso, cuya cartografía, aun siendo mucha, al menos la hasta Los autores queremos expresar
nuestra gratitud a Andrés Arístegui,
ahora conocida, no está, ni en cantidad ni en calidad, a la altura
Raúl Bonilla, Francisco Dávila, Esteban
de la abundante iconografía del lugar, ni hace justicia a la impor- Escolano, Carmina Rimón, Jesús
Sastre y Enrique Rojo, del Instituto
tancia y originalidad del propio Real Sitio. En general consiste en Geográfico Nacional, por la ayuda
una serie de representaciones estereotipadas, con diversa escala prestada en la localización de los
fondos cartográficos y documentales
y orientación, que tienen su origen en la planimetría del siglo que constituyen la base de esta
XVIII. Sorprendentemente tales representaciones han manteni- contribución.
2
do una singular vigencia, prolongándose hasta el siglo XX. Hasta Isabel II asciende al trono de
España en 1833, a la muerte de su
donde sabemos, no existe ningún levantamiento preciso y a gran padre, Fernando VII. En 1868, tras la
escala del conjunto del Real Sitio anterior a los trabajos de la revolución de la Gloriosa, abandona
España y se exilia en París. En 1870,
Junta General de Estadística, que aquí nos proponemos estudiar, en dicha ciudad, abdica en su hijo, el
ni mapa alguno que ofrezca la representación del relieve median- futuro Alfonso XII (1857-1885), quien
será proclamado rey en 1875. En 1870
te curvas de nivel. asume la corona española Amadeo de
El levantamiento de la Granja de San Ildefonso forma Saboya (1845-1890), primer duque de
Aosta, con el nombre de Amadeo I,
parte de la serie de trabajos acometidos por la Junta General llamado el Rey Caballero. Abandona
de Estadística (1861-1870) para dar cumplimiento a la ley de de- el trono en febrero de 1873 y vuelve a
Italia, proclamándose la I República
slinde del Patrimonio de la Corona, aprobada el 12 de mayo de española.
1865, en las postrimerías del reinado de Isabel II (1830-1904) 2.
La citada ley ordenaba proceder al levantamiento de los planos
topográficos de todas las fincas y bienes inmuebles pertene-
cientes a la Casa Real, y en particular de las extensas posesio-
nes de los Reales Sitios.
Tras la promulgación de esta disposición, la Administra-
ción General de la Real Casa y Patrimonio solicitó a la Junta de
Estadística que procediese a la formación de los planos. La soli-
citud pudo cumplirse con facilidad y relativa rapidez en lo que
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 122

concierne a los Sitios Reales situados en la provincia de Madrid:


la Casa de Campo, la Real Posesión de la Florida, y los Reales
Sitios de El Pardo-Viñuelas, Aranjuez y San Lorenzo del Esco-
rial. En todos estos casos, la Junta General de Estadística tenía
en marcha un levantamiento catastral, que venía realizándose
desde comienzos de la década de 1860. En cierto sentido, los
planos de los Reales Sitios pueden considerarse simplemente
como un subproducto del levantamiento topográfico-parcelario
que se estaba llevando a cabo en la provincia.
En la provincia de Segovia, en cambio, no se habían em-
prendido operaciones catastrales de ningún género. En conse-
cuencia, los geómetras de la Junta General de Estadística de-
bieron desplazarse a la vertiente septentrional de la sierra de
Guadarrama, y acometer los trabajos de campo desde un buen
principio. El levantamiento de San Ildefonso y su anexo de Rio-
frío constituye una de las operaciones cartográficas peor cono-
cidas entre las llevadas a término por la Junta 3. Sin embargo,
destaca, tanto por el personal implicado, como por el valor de la
2. documentación cartográfica derivada del mismo. Cabe señalar,
Localización de los Sitios Reales en las provincias
de Madrid y Segovia (Fuente: Elaboración propia. por otra parte, que fue uno de los últimos trabajos de la Junta,
Realización cartográfica, Andrés Arístegui). justo antes de su reorganización institucional, y que se inició en
un momento de gran incertidumbre política, en plena agonía
del régimen isabelino.
El presente estudio se organiza del modo siguiente. La
primera parte presenta una descripción geohistórica del Sitio
de San Ildefonso. A continuación, se examina la decisión de
efectuar el levantamiento, en una coyuntura política y económ-
ica particularmente poco propicia. La sección tercera, la más
extensa, analiza el curso de los trabajos de campo, presentando
sucesivamente las operaciones trigonométricas y los trabajos
topográficos en San Ildefonso y Riofrío. Por último, se efectúa
un balance de la documentación conservada actualmente en el
Instituto Geográfico Nacional.

1. El Real Sitio de San Ildefonso: de Casa de Retiro


Real a Real Sitio

3
Las únicas alusiones al mismo Dentro de la red de Reales Sitios que rodean la ciudad
pueden encontrarse en Muro, 2007, y
se basan en un informe elaborado en de Madrid, el de San Ildefonso ocupa un lugar especial. Es el
1869 por Víctor Balaguer, responsable más alejado de la capital, el único situado fuera de la provincia
por entonces de la Dirección General
de Estadística (ver Dirección General de Madrid, el más boscoso y el de relieve más accidentado. Es,
de Estadística, 1870, p. 106). Sobre además, el sitio real por antonomasia del primer rey Borbón,
la labor cartográfica de la Junta de
Estadística en la provincia de Madrid Felipe V (1683-1746), dinastía que se instala en el trono español
puede consultarse muro, nadal y a la muerte sin descendencia del último rey Habsburgo, Carlos
urteaga, 1996; camarero bullón, 2011;
y marín perellón y camarero bullón
(eds.), 2011, obras todas ellas recogidas
en el apartado de bibliografía incluido
en este trabajo.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 123

II (1661-1700). Podría decirse que la Granja de San Ildefonso es 4


j.l. sancho, La arquitectura de
a Felipe V, lo que El Escorial es a Felipe II (1527-1598). los Sitios Reales. Catálogo histórico
de los Palacios, jardines y Patronatos
La posesión real de San Ildefonso tiene su límite oriental Reales del Patrimonio Nacional, Madrid,
Patrimonio Nacional-Fundación
y meridional en la línea de cumbres de la Sierra de Guadarrama,
Tabacalera, 1995, p. 630.
que separa las provincias de Segovia y Madrid, y que alcanza 5
A partir de ese edificio, Felipe
su máxima altura en Peñalara (2.428 m). Desde las cimas de la II ordenó construir un palacio que
Sierra, el terreno desciende abruptamente hasta alcanzar la pla- fue ampliamente utilizado por los
sucesivos monarcas en las temporadas
nicie segoviana, sobre los 1.200 metros de altitud. La vertiente de caza. En 1686 sufrió un aparatoso
septentrional de la Sierra está poblada por densos bosques de incendio y la reparación de los
importantes daños causados fue
robles y pino silvestre, conocidos como los Pinares de Valsaín. dilatándose durante las tres décadas
La superficie del Real Sitio supera las 14.000 hectáreas, de las siguientes. A pesar de su mal estado y
lenta reparación, Felipe V y su esposa
cuales casi un 80% son bosques. lo utilizaron frecuentemente hasta la
El origen del patrimonio de la Corona en la vertiente nor- construcción del cercano palacio de La
Granja de San Ildefonso (j.l. sancho,
te de la Sierra de Guadarrama es previo al establecimiento de La arquitectura... op. cit., pp. 631-633).
la Corte en Madrid en el siglo XVI, bajo el reinado de Felipe II. 6
j.l. sancho, La arquitectura... op.
cit., 1995, pp. 491.
Los bosques de Valsaín, que pertenecían a la ciudad de Segovia,
y a su Junta de Linajes, fueron utilizados como coto de caza por
los reyes de Castilla desde la Edad Media, por ser “muy real
monte de oso, e de puerco en verano, et a las veces en invierno”,
como recoge el Libro de la Montería de Alfonso XI 4. Enrique
III de Castilla hizo construir a fines del siglo XIV un pabellón
de caza en las proximidades del riachuelo de Valsaín, al que se
refieren las fuentes como Real Casa, de la que solo quedan algu-
nas pobres descripciones que coinciden en que tenía una torre 5.
Medio siglo más tarde el rey Enrique IV de Castilla mandó edi-
ficar a tres kilómetros del lugar de Valsaín una casa y una ermita
dedicada a San Ildefonso. En 1477 los Reyes Católicos hicieron
donación de esos bienes a los monjes jerónimos del monasterio
de El Parral (Segovia), quienes lo transformaron en una granja
de recreo. Esta granja constituye el primitivo origen de la pobla-
ción de San Ildefonso, y a ella debe su nombre.
En 1720, tras el incendio del palacete de Valsaín, Felipe V
decidió comprar a la comunidad de frailes jerónimos la granja
y los edificios y terrenos anejos que tenían en San Ildefonso,
para construir en aquel lugar un palacio y sus correspondien-
tes jardines. En 1723 y 1735 se adquirieron terrenos colindantes
que pertenecían a la ciudad de Segovia y a la Noble Junta de
Linajes, para ensanchar el parque, regularizar su perímetro e
incluir en él el estanque o depósito de aguas, llamado “el mar” 6.
El monarca había encontrado en este paraje serrano, alejado
de la Corte, fresco y ameno en verano, bucólico en otoño, duro
en invierno, y lleno de luz, vida y color en primavera, el lugar
que encajaba con sus deseos de sereno retiro. Para estas fechas,
el joven rey, animoso en otro tiempo, había dejado paso a un
hombre, joven todavía, pero sumido en la abulia, la melancolía
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 124

y la postración, que añoraba dejar la Corte y sus afanes y de-


dicar el resto de su vida a la salvación de su alma en la recon-
fortante compañía de su segunda mujer, la italiana Isabel de
Farnesio (1692-1766).
El Real Sitio de San Ildefonso quedó configurado como
un gran rectángulo de 170 hectáreas de superficie, rodeado por
un muro de mampostería de seis km de longitud 7. El recinto
está dividido en tres sectores: en la parte más elevada hay un
extenso bosque, en el que está situado el mencionado lago arti-
ficial que alimenta las fuentes; la parte intermedia es un jardín
de estilo francés, de casi 80 hectáreas de superficie. Finalmente,
en la parte más baja se emplaza el Palacio Real, que marca el
límite entre el espacio del parque y el espacio destinado a cons-
truir alojamientos y servicios.
En un primer momento, el objetivo del monarca es hacer
de San Ildefonso un Real Sitio para su proyectado retiro, dejan-
do los otros dos grandes sitios, Aranjuez y el Escorial, para uso
del futuro rey, su hijo Luis, en quien abdicaría el día de Todos los
7
Véase r. breñosa y Santos de 1723, coincidiendo con la mayoría de edad del joven
j.m. castellarnau, Guía y descripción
del Real Sitio de San Ildefonso, Madrid,
príncipe (1707-1724). En ese contexto, Felipe V concibe su Real
Tipografía de los Sucesores de Sitio como una gran casa principesca en el campo, en la que los
Rivadeneyra, 1884, pp. 36 y ss.
jardines habrían de ser el elemento más fastuoso del conjunto y
8
Véase a. rabanal yus, En torno a
los jardines del Real Sitio de San Ildefonso,
su referente, el palacio francés de Marly 8. A ella se retira tras su
en vv.aa., El entorno de Segovia en abdicación. Sin embargo, la prematura muerte del nuevo rey en
la Historia de la Dinastía de Borbón,
Madrid, Ministerio de Educación,
agosto del año siguiente, fuerza la vuelta del retirado monarca al
Cultura y Deporte, 2004, pp. 55-63. y trono y cambia el sentido del Real Sitio.
j.l. sancho, Los jardines del Real Sitio de
La Granja, en vv.aa., El Real Sitio de La
A partir de 1724, con el retorno al trono Felipe V, San Il-
Granja de San Ildefonso. Retrato y escena defonso ingresa en el sistema de Sitios Reales que la Corte uti-
del Rey, Madrid, Patrimonio Nacional,
2000, pp. 102-125.
lizaba de modo itinerante. Los soberanos solían permanecer en
9
Durante el breve reinado de El Pardo de enero a marzo, en Aranjuez durante la primavera,
Fernando VI (1713-1759, rey desde en San Ildefonso desde julio a comienzos de octubre, y en El
1746), San Ildefonso queda fuera de
la itinerancia de los monarcas. Allí Escorial desde mediados de octubre a diciembre 9. La perma-
se recluye a la reina viuda, Isabel de nencia de la familia real en los Reales Sitios exigía construir
Farnesio, para alejarla de Madrid, a
donde no volverá hasta la muerte de alojamientos permanentes para cortesanos, clérigos, funciona-
su hijastro, con quien nunca mantuvo rios, sirvientes y escoltas. La demanda de servicios dio paso, en
buenas relaciones. En ese momento
regresa a la Corte para esperar la todos los casos, al desarrollo de un pequeño núcleo urbano, en
tan anhelada llegada, desde el trono el cual hubo que permitir la residencia a personas vinculadas
napolitano, de su primogénito, que
ocupará el trono español como Carlos al servicio de la Corte: comerciantes, transportistas y artesanos
III (1716-1788). Con el acceso al trono especializados.
del nuevo rey y la vuelta a Madrid de
la reina viuda se inicia una etapa de En La Granja este proceso se inició en 1721 con la cons-
esplendor para San Ildefonso, que trucción del nuevo palacio y la colegiata anexa, según proyecto
entra de nuevo en la itinerancia
real, siendo durante los dos siglos de Teodoro Ardemans. El palacio sería modificado y ampliado
siguientes el lugar de residencia del pocos años después por Andrea Procaccini y Filippo Juvarra.
monarca y su corte en los meses del
verano. En el reinado de Isabel II Siguió de inmediato la edificación de la Casa de Canónigos,
(1830-1904) entra en una etapa de destinada para residencia del abad y canónigos de la colegiata, y
declive pues, con la construcción del
ferrocarril y la moda de los baños de
mar, la Corte comienza a trasladarse
en el estío primero a San Sebastián y
después a Santander.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 125

la Casa de Oficios, que servía de albergue a la servidumbre del 10


f. velasco medina, Alojamiento de
Palacio Real. En 1738 se construyeron las Caballerizas Reales, al tropas: de los mesones a los cuarteles, en
v. pinto crespo (dir.), El Madrid Militar.
tiempo que se iniciaba la edificación de cuarteles para alojar la I. Ejército y Ciudad (815-1815), Madrid,
Ministerio de Defensa, 2004, pp. 269 y ss.
nutrida escolta de la comitiva real.
11
Depósito de la guerra. Memoria
Cuando el rey se desplazaba a alguno de los Sitios Reales
sobre la organización militar de España
era acompañado por tropas de la Guardia de Corps, la Guardia en 1871, Madrid, Imprenta y Litografía
del Depósito de la Guerra, 1871.
Española y la Guardia Walona. En la Granja se construyó durante
12
Véase j. helguera, La Real
el reinado de Felipe V un gran edificio, que recibió el nombre de Fábrica de Vidrios de San Ildefonso: una
“Casa de Cuarteles”, para dar alojamiento a la Guardia Española y aproximación a su historia económica, en
Vidrio de La Granja, Madrid, 1988, pp.
a la Guardia Walona. Posteriormente, entre 1764 y 1766 se levantó 57-104 y p. pastor rey de viñas, Historia
el cuartel de la Guardia de Corps, según un proyecto del arquitec- de la Real Fábrica de cristales de San
Ildefonso, durante la etapa borbónica
to Juan Esteban 10. El tamaño de las escoltas no dejó crecer con el (1727-1809), Madrid, Universidad
paso del tiempo. A mediados del siglo XIX San Ildefonso contaba Complutense (Tesis doctoral inédita),
1992.
con un total de seis cuarteles, con una capacidad de alojamiento
ordinario para 1.150 hombres y 360 caballos 11.
La demanda de bienes suntuarios que protagonizaba la
Corte atrajo hacia los Reales Sitios a algunas de las grandes
manufacturas del siglo XVIII. El establecimiento, en 1734, de la
Real Fábrica de Vidrios y Espejos, impulsó el crecimiento ur-
bano de San Ildefonso. Inicialmente era un taller de pequeñas
proporciones, en el que se instaló un horno para vidrios planos,
que daba trabajo a unos pocos artesanos. A partir de mediados
del siglo XVIII diversificó su producción y experimentó sucesi-
vas ampliaciones hasta transformarse en una gran fábrica, con
varios hornos, comparable a la francesa de Saint-Gobain 12. La
plantilla se amplió mediante la contratación de maestros vidrie-
ros procedentes de Francia y Alemania. Tras dos incendios suce-
sivos, en 1770 se construyó una nueva fábrica, de 25.000 metros
cuadrados de superficie, justo a las puertas del recinto murado
de la población. Ese edificio sigue siendo en la actualidad el
mayor de la ciudad.
La Real Fábrica de La Granja tenía una localización ven-
tajosa. Empleaba arcillas refractarias procedentes de Brieva, en
la provincia de Segovia, y sulfato de sosa, procedente de Río

3.
Situado en la vertiente norte de la Sierra de
Guadarrama, San Ildefonso disfruta de un estío
fresco y agradable, con una temperatura media en
los meses de verano de en torno a 20 ºC.
Fernando de Brambilla, Vista general del Real Sitio,
tomada desde el camino que va a la casa de Vacas.
La granja de San Ildefonso. 1821 (fragmento).
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 126
4.
Fernando de Brambilla, Vista del estanque, llamado
“el mar”, tomada al norte mirando al mediodía. La
granja de San Ildefonso, 1821 (fragmento).
Aunque además servía como estanque de recreo,
era primordialmente el depósito de agua para las
fuentes, (fragmento).

5.
“El Mar” era y es el estanque general que almacena
el agua para abastecer las fuentes del Real Sitio.
Desde él se alimentaban otros, intermedios entre
el general y las fuentes, que servían para regular la
presión. En algunos casos (los chorros mayores),
las tuberías van directamente del Mar a los
surtidores (foto: autores).

Tirón, provincia de Burgos. Y, sobre todo, consumía cada año


cantidades enormes de leña de pino, procedentes de las cortas
del Pinar de Valsaín 13.
La demanda de combustible de la Real Fábrica de Vidrios
y la necesidad de garantizar su provisión fueron una fuente de
conflictos entre la ciudad de Segovia y la Corona, y a la postre
constituyeron un factor determinante para la definitiva confi-
guración del Real Sitio de San Ildefonso. Hasta mediados del
siglo XVIII la Corona disfrutó de privilegios de caza y pesca en
los montes de Valsaín, pero aquellos bosques siguieron siendo
de propiedad común, permaneciendo los aprovechamientos fo-
restales en manos de la ciudad de Segovia y su Junta de Linajes.
Tras una sucesión de pleitos, en 1761 Carlos III decidió comprar
a la ciudad de Segovia los bosques de Valsaín y Riofrío, por la
fabulosa cifra de 4.450.000 reales.
Tras la compra, la Corona adquirió el pleno dominio
sobre el suelo y el vuelo de los pinares y robledales de Val-
saín y Riofrío, y se estableció la jurisdicción privativa de los
monarcas sobre todo el territorio del coto. La ciudad de Se-
govia logró retener únicamente el disfrute de los pastos y
derechos sobre las leñas muertas. Para la regulación de estas
servidumbres y la custodia y conservación de los bosques, el
15 de octubre de 1761 se expidió una ordenanza para la admi-
nistración de los Reales Pinares 14.
En definitiva, hasta 1760 San Ildefonso fue esencialmente
13
r. breñosa y j.m. castellarnau,
Guía… op. cit., pp. 54-55.
una lujosa residencia palaciega, rodeada de un extenso coto de
14
Real Cédula, Instrucción y
caza. A partir de entonces se transformó en el centro de un gran
Ordenanzas, que su Majestad (Dios le espacio de aprovechamiento forestal, patrimonializado por la
guarde) manda observar, para la Custodia,
Administración, Conservación, y Cría de
Corona. La Real Fábrica de Vidrios aportó el impulso decisivo
los Reales Pinares, y Matas de Robledales para este cambio.
de Valsaín, Pirón, y Riofrío, desde quince
de Octubre de mil setecientos sesenta y uno,
en que se incorporaron a en la Corona,
Madrid, Imprenta de Juan de San
Martín, 1761.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 127

El reinado de Carlos III fue decisivo también para la con- 15


Ferdinando Brambilla (1763-
solidación de San Ildefonso como un verdadero centro urbano. 1832), nacido y formado como pintor
en Italia, entra al servicio del rey de
El monarca impulsó la mejora en los servicios de la ciudad: España en 1791 para participar en la
expedición de las corvetas Descubierta
hizo construir un nuevo cementerio en las afueras de la po-
y Atrevida, dirigida por Alejandro
blación, y también un hospital y un teatro. A su patronazgo Malaespina, que habría de dar la vuelta
al mundo. A él se deben algunas de
se deben asimismo dos grandes edificios, proyectados por el
las mejores vistas de los distintos
arquitecto José Díaz Gamones: la Casa de los Gentileshombres lugares visitados por dicha expedición.
(Véase j.l. sancho, Las vistas de los Sitios
y la monumental Casa de Infantes, levantada para servicio de Reales por Brambilla. La Granja de San
los infantes Gabriel y Antonio. Ildefonso, Madrid, Patrimonio Nacional-
Doce Calles, 2000).

A finales del siglo XVIII San Ildefonso había adquirido


la imagen de una pequeña ciudad bien ordenada, a los pies de
la Sierra de Guadarrama. Esa es la imagen que aparece en el
famoso grabado de Pedro Pérez, de comienzos del siglo XIX, y
la que quedaría perpetuada en la extraordinaria serie de vistas
de Ferdinando Brambilla (1763-1832), pintadas por encargo de
Fernando VII para ser expuestas en la Real Casa del Labrador
de Aranjuez. Una imagen, por cierto, no muy distinta de la que
conserva en la actualidad 15.

Como hemos adelantado, la cartografía de San Ildefonso


resultante de los trabajos de la Junta de Estadística es de ex-
traordinaria calidad y constituye una documentación de gran
valor, no solo para el conocimiento del Real Sitio, sino también
para el conocimiento del proyecto cartográfico acometido, de
las técnicas utilizadas en los levantamientos en la época y los
problemas a que debieron enfrentarse los técnicos de la Junta.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 128
6.
El centro del Real Sitio lo forman el Palacio y la
colegiata anexa. Los ábsides y torres de ésta y
la fachada occidental de aquél dominan el vasto
espacio que da acceso al recinto palacial, en el que
en el siglo XIX se plantaron castaños, pinsapos y
secuoyas.
Fernando de Brambilla, Vista de la entrada del Real
Sitio de San Ildefonso. La granja de San Ildefonso,
1821.

7.
Vista del palacio desde lo alto del eje de la Cascada
Nueva. El diseño del jardín, obra del arquitecto René
Carlier, tenía como referente el palacio francés de
Marly y debió adaptarse a la topografía el terreno
(foto: autores).

2. La génesis del levantamiento cartográfico

El 25 de julio de 1868 José Almirante Torroella, jefe de la


Sección de trabajos catastrales de la Junta General de Estadís-
tica, ordenó emprender el levantamiento del Real Sitio de San
Ildefonso. Se trata de un trabajo de gran ambición, y que difiere
substancialmente de los realizados en relación con las propieda-
des de la Corona en la provincia de Madrid. Tal como se ha indi-
cado, los planos de los Reales Sitios de Madrid pueden conside-
rarse como un subproducto del levantamiento topográfico que
se estaba llevando a cabo en la provincia. En Segovia, en cambio,
no se habían realizado trabajos topográficos previos. Los geóme-
tras de la Junta de Estadística debían desplazarse a casi 100 km
de Madrid y acometer el trabajo de campo desde su inicio.
La orden dictada el 25 de julio de 1868 especificaba que
debía procederse al levantamiento de los planos y a la descrip-
ción científica de todas las posesiones pertenecientes al patri-
monio de la Corona en el Real Sitio de San Ildefonso 16. Para
cumplirla, se suspendieron algunos de los trabajos en curso en
la provincia de Madrid y se destinó el personal liberado a Se-
govia. La partida topográfica enviada a la Sierra de Guadarrama
era de importancia: estaba integrada por doce geómetras, vein-
ticinco parceladores y dieciocho portamiras; en total cincuenta
y cinco empleados, que suponían la cuarta parte de la plantilla
de la Sección de trabajos catastrales de la Junta. Desplazar a
Segovia un contingente como el indicado respondía sin duda a
una empresa que se juzgó urgente y de máxima prioridad.
Ni en el Archivo del Palacio Real, ni tampoco en el del
Instituto Geográfico Nacional, custodio actual de los fondos de
la Junta General de Estadística, hemos podido localizar la docu-
16 mentación que justifique el desplazamiento de las operaciones
Memoria elevada al Excmo. Sr.
Presidente del Consejo de Ministros por la cartográficas hacia Segovia. Sin embargo, juzgamos muy dudo-
Dirección General de Estadística sobre los
trabajos ejecutados por la misma desde 1º de
octubre de 1868, hasta 31 de diciembre de
1869, Madrid, Establecimiento tipográfico
de Manuel Minuesa, 1870, p. 106.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 129

so que la iniciativa pudiese proceder de la propia Junta. El am- 17


Véase, j.i. muro, f. nadal,
bicioso proyecto topográfico-parcelario que venía desarrollánd- l. urteaga, Geografía, estadística y
catastro en España, 1856-1870, Barcelona,
ose en la provincia de Madrid bajo la dirección de Francisco Ediciones del Serbal, 1996, pp. 121 y ss.
Coello había quedado herido de muerte en el verano de 1866. 18
Memoria elevada al Excmo... op.
Tras casi una década de operaciones, se había logrado catastrar cit., p. 103 .

poco más de un tercio de la provincia. El ritmo era muy lento, y


la Junta era incapaz de encontrar el personal y el presupuesto
necesarios para acelerar los trabajos. En mayo de 1866 Francis-
co Coello se vio obligado a tirar la toalla: suspendió los trabajos
topográfico-catastrales que se venían realizando, y ordenó con-
centrar el esfuerzo en un avance catastral. El nuevo plan de ope-
raciones era simple. Se ordenaba determinar los perímetros de
los términos municipales, reconocer los principales accidentes
geográficos y obtener unos croquis de las masas de cultivo.
Francisco Coello ya no iba a dirigir esta nueva etapa. El
10 de junio de 1866 el general Ramón María Narváez llegó por
séptima y última vez a la Presidencia. El gobierno conservador
suprimió de inmediato la Dirección General de Operaciones
Geográficas de la Junta de Estadística, y creó en su lugar una
Sección de Trabajos catastrales con menos competencias y re-
cursos. Coello tuvo que presentar la dimisión y su cargo fue
ocupado por Ángel Clavijo, a quien iban a suceder Eusebio Do-
noso Cortés y José Almirante Torroella. Ninguno de los tres iba
a tener mucho margen de maniobra 17.
Los sucesivos recortes presupuestarios impuestos por
el gobierno impidieron proseguir los trabajos de campo. Ante
esta situación, los responsables de la Sección de trabajos ca-
tastrales intentaron conseguir fuentes alternativas de finan-
ciación para proseguir las operaciones. La solución ensayada
consistió en proponer el levantamiento de planos de distintas
ciudades, allí donde “los Ayuntamientos respectivos facilitasen
los recursos suficientes para sufragar los gastos” 18. De acuerdo
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 130

8. con esta idea, y previa aprobación de los respectivos ayunta-


Plano (minuta), escala 1:500, levantado, en 1868,
por el geómetra de la Junta General de Estadística, mientos, se emprendieron operaciones topográficas en las ciu-
José Pascual, que recoge la planta baja de la Casa
de los Canónigos, y la de la Casa de los Oficios, y
dades de Cartagena, Almería, Granada, Murcia, Soria, Cuenca,
el jardín situado entre ambas. (64 x 44 cm) (IGN, Huete y Toledo. Sin embargo, en abril de 1868 se suspendieron
AT, caja 3).
los levantamientos de Granada y de Murcia, y poco después los
de Almería, Soria, Cuenca y Toledo, sin que en ninguno de los
casos llegasen a completarse las tareas previstas. La sombra de
la crisis económica, muy patente desde 1866, ahogó una tras
otra las iniciativas de la Junta 19.
En aquellas circunstancias resulta difícil concebir que la
19
Hasta donde hoy sabemos,
Junta tomase la iniciativa de desplazar parte de sus efectivos a
los ayuntamientos de todas las Segovia. Sin salir del propio término de Madrid había mucho
ciudades en que se llevaron a cabo los
levantamientos colaboraron a sufragar
trabajo por hacer, y lo más barato era seguir allí: no había que
los gastos de los mismos, aunque pagar dietas, ni alojamiento a los geómetras.
no con excesivo entusiasmo, salvo
Granada, que no solo no contribuyó,
La hipótesis más probable, a nuestro juicio, es que el le-
sino que ignoró absolutamente los vantamiento de San Ildefonso fuese realizado a instancias del
trabajos llevados a cabo en la ciudad.
A pesar de las fechas que recogemos intendente del Real Patrimonio, Carlos Marfori Callejas (1821-
en este trabajo para el cierre de los 1892), que había accedido al cargo el 16 de junio de 1868. Marfori
trabajos en las distintas ciudades
procedentes de fuentes de la Junta, formaba parte del estrecho círculo íntimo que rodeó a Isabel
la realidad es que en algunas se II en los meses postreros de su reinado, y que acabó acom-
mantuvieron, aunque a ritmo más
lento, hasta diciembre de 1868 o inicios pañándola camino del exilio. Según la interpretación de la his-
de 1869. Véase, c. camarero bullón, a. toriadora Isabel Burdiel, desde su cargo de intendente, Marfori
ferrer rodríguez, j.a. nieto calmaesta,
Cartografía parcelaria urbana de podía justificar su presencia diaria en la Corte, además de velar
Granada: levantamientos topográfico- por los intereses económicos de la reina 20.
parcelarios de la Junta General de
Estadística, «CT Catastro», nº 74, (2012), ¿Qué interés podía tener el intendente en el levanta-
pp. 27-58 y c. camarero bullón, m. miento y deslinde del Real Sitio de San Ildefonso? La ley de
j.vidal domínguez, Los levantamientos
topográfico-parcelarios de la Junta 12 de mayo de 1865 sobre deslinde del Patrimonio de la Coro-
General de Estadística en Soria (1867- na establecía taxativamente que San Ildefonso, al igual que los
1869). El plano de la ciudad de 1869, «CT
Catastro», nº 76, (2012), pp. 91-137. otros Reales Sitios, era indivisible e inalienable, y que no podía
20
i. burdiel, Isabel II. Una biografía
(1830-1904), Madrid, Taurus, 2010, p. 806.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 131

ser objeto de desamortización. Sin embargo, la misma dispo- 21


Ley designando los bienes que
sición legal ofrecía dos elementos de interés. En primer lugar, forman el Patrimonio de la Corona,
12 de mayo de 1865, Gaceta de Madrid,
se señalaba que el Rey mantendría el goce de los montes de nº 138, 18 de mayo de 1865. Art. 10 del
Título II.
arbolado, y por tanto podía disponer de sus cortas y aprovecha-
22
Respecto al desorden de las
mientos, ateniéndose al régimen establecido para los montes
finanzas de la familia real puede verse
del Estado. En segundo lugar, se reservaba a la Casa Real, por Burdiel, 2010.
23
espacio de cuarenta años, a contar desde la promulgación de Véase: l. urteaga, La Escuela del
Catastro, en vv.aa., 150 aniversario de
la ley, la facultad de ceder en los Sitios Reales de Aranjuez y la creación de la Comisión de Estadística
San Ildefonso el dominio útil de solares que se destinasen a la General del Reino, Madrid, Instituto
Nacional de Estadística, 2007, pp. 267-
construcción de casas 21. Ambas disposiciones abrían la oportu- 286 y l. urteaga, El profesorado de la
nidad de lograr, con relativa rapidez, unos ingresos extraordi- Escuela del Catastro, «CT Catastro», nº
71 (2011), pp. 29-53.
narios, que las maltrechas finanzas de la familia real necesita-
24
Registros del itinerario del perímetro
ban con urgencia 22. El primer paso para ello era medir y hacer [San Ildefonso]. Se empezó el día 6 de
inventario de los bienes que debían integrar el Patrimonio de agosto de 1868 y se concluyó el 11 del mismo.
San Ildefonso, 12 de agosto de 1868. El
la Corona en San Ildefonso. Nada mejor que un levantamiento Ayudante Enrique Navarro Labordeta.
topográfico-catastral para lograrlo. Instituto Geográfico Nacional, Archivo
topográfico (en adelante ign, at). San
Ildefonso, Caja 1.
25
Registros del itinerario del
3. La ejecución del levantamiento de La Granja de perímetro. Se empezó la operación el día
6 de agosto de 1868 y se concluyó el 12 del
San Ildefonso mismo. San Ildefonso, 12 de agosto de
1868. El Ayudante 2º Tomás Tellería.
ign, at, San Ildefonso, Caja 1.
Un aspecto relevante del levantamiento efectuado en
San Ildefonso es que fue realizado siguiendo los requisitos
y formalidades previstos en el Reglamento general de ope-
raciones topográfico-catastrales aprobado en 1865, que en la
práctica llevaba ya casi dos años en suspenso. De acuerdo
con lo estipulado en este reglamento, los trabajos debían di-
vidirse en seis etapas: 1) reconocimiento del perímetro del
término, 2) señalamiento de límites de las propiedades, 3) 9.
Plano (minuta) de la planta baja de la Fábrica de
operaciones trigonométricas, 4) levantamiento de detalle, 5) cristales del Real Sitio, en el que pueden verse las
trabajos de gabinete, y 6) formación de listas de propietarios distintas dependencias de la misma, levantado en
1868 por Eugenio Quiroga, uno de los geómetras de
y cédulas catastrales. la Junta General de Estadística. Escala 1:500. (44 x
64 cm) (IGN, AT, Caja 3).
Las operaciones arrancaron el 6 de agosto de 1868, ape-
nas dos semanas después de que se hubiese ordenado su inicio.
Dirigieron los trabajos los geómetras Adolfo de Motta Francés
y Ventura Pizcueta Chirivela. El primero se encargó de las ope-
raciones trigonométricas; el segundo actuó como jefe de la bri-
gada encargada del levantamiento de detalle. Adolfo de Motta
era profesor de la Escuela del Catastro, en la que se formaron
la mayor parte de los técnicos enviados a Segovia 23. Ventura
Pizcueta era uno de los geómetras más veteranos y experimen-
tados de la Junta de Estadística.
Entre el 6 y el 12 de agosto se efectuó el reconocimiento
del perímetro del Real Sitio, tarea llevada a término por En-
rique Navarro Labordeta 24 y Tomás Tellería Navarro 25, quienes
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 132
10.
Ente los edificios con que Carlos III dota al Real Sitio
se encuentra un teatro, hoy desaparecido. Es la
manzana nº 13, recogida en este plano (minuta),
levantado por José Migueli, aspirante a parcelador
de la Junta General de Estadística. Escala 1:500.
(44 x 32 cm) (IGN, AT, caja 3).

formaron un croquis perimetral a escala 1:2.000 por medición


de ángulos y distancias, con inclusión de los hitos o mojones
que señalaban los límites. Inmediatamente se inició la fase de
señalamiento de límites de las propiedades. Esta operación re-
sultaba usualmente lenta y compleja, requiriendo la presencia
de la Junta catastral, y de personas prácticas que acompañaban
a los geómetras para informarles de los límites de las fincas y
de sus poseedores. En San Ildefonso esta fase de los trabajos se
vio notablemente simplificada debido a que la mayor parte del
terreno era propiedad de la Corona.
Los trabajos trigonométricos, por el contrario, constituían
una operación mucho más comprometida desde el punto de
vista técnico y, como veremos, requirieron un notable esfuerzo.
La labor trigonométrica incluía la medición directa de una base,
que debía servir para dar escala y orientación al conjunto del
levantamiento, y la observación y cálculo de una red de triángu-
los que cubriese toda la superficie del Real Sitio. También era
imprescindible efectuar los trabajos de nivelación precisos para
dar una cota de referencia al levantamiento.
Esta última operación se había podido resolver con relati-
va sencillez en los levantamientos ejecutados en la provincia de
Madrid. La Junta de Estadística tomaba como referencia para
las nivelaciones la cota del Observatorio Astronómico de Ma-
drid, referida al nivel medio del mar Mediterráneo en Alicante.
A partir de la citada cota se efectuaron itinerarios de nivelación
a los diversos Reales Sitios. En ocasiones, tal como ocurrió en
la Casa de Campo, El Pardo y Aranjuez, pudo aprovecharse el
tendido de las vías férreas para efectuar una nivelación directa.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 133

Naturalmente, esta solución no era factible al norte de la Sierra 26


Nivelación a partir del pórtico
de Guadarrama, donde no existía ninguna vía férrea construida, de la Colegiata de San Ildefonso hasta
el Monasterio del Escorial y viceversa.
ni tampoco abundaban las observaciones altimétricas fiables. Operador: Olegario Álvarez Esteve,
San Ildefonso, agosto de 1868. Dos
Adolfo de Motta optó por una solución arriesgada, quizá
cuadernos mss. ign, at, San Ildefonso,
la única posible. Ordenó a un geómetra de su confianza, Olega- Caja 1.
rio Álvarez Esteve, que efectuase una nivelación directa desde
San Ildefonso hasta el Monasterio del Escorial, cuya cota era
conocida gracias al levantamiento efectuado en aquel Real Si-
tio. La dificultad para construir este itinerario longitudinal es
notable. La distancia lineal entre La Granja de San Ildefonso y
El Escorial ronda los 50 km, y el desnivel es muy considerable:
más de 800 metros. El único recorrido posible exigía ascender,
y luego descender, la Sierra de Guadarrama por el puerto de
Navacerrada. La distancia y el desnivel altimétrico requerían
multiplicar las estaciones, incrementando la dificultad y las po-
sibilidades de error.
Olegario Álvarez acometió la realización de la nivelación
equipado con un nivel Ertel, y efectuó un recorrido de ida y vuel-
ta desde la puerta norte de la Colegiata de San Ildefonso hasta
la puerta principal del Monasterio del Escorial 26. El resultado
obtenido es francamente bueno, teniendo en cuenta la dificul-
tad del empeño. El geómetra estimó una altitud de 1.204,20 m
para la puerta de la Colegiata de San Ildefonso. La nivelación de
precisión efectuada años más tarde por el Instituto Geográfico 11.
y Estadístico asignó al mismo lugar una cota de 1.192,50 m, tal Pedro Pérez
Vista del Real Sitio de La Granja
como consta en la placa de bronce situada en la pared del templo. de San Ildefonso Litografía, ca. 1800.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 134

Una diferencia de tan sólo 11,7 m, que en parte puede ser debida
a que el punto de partida de las observaciones de Olegario Ál-
varez quizás no coincidiese exactamente con el emplazamiento
de la placa fijada por el Instituto Geográfico.
Adolfo de Motta y Camilo Soto Muñiz se encargaron del
emplazamiento de la base. Eligieron para ello un terreno relati-
vamente llano, situado en Hontoria (término municipal de Se-
govia), desde donde era visible el vértice geodésico de Cabeza
de Hierro, situado en la crestería de la Cuerda Larga, que tiene
una altitud de 2.381 m. Cabeza de Hierro es uno de los vértices
de primer orden de la cadena del meridiano de Madrid, y por
entonces era uno de los puntos mejor determinados de toda la
sierra de Guadarrama. El vértice se había reconocido por prime-
ra vez en 1854, y en 1858 se construyó una señal de mampostería
de 3,60 m de diámetro y 6,5 m de altura. En agosto de 1860 se
reconstruyó el pilar, y se hizo estación para observar la cadena
del meridiano de Madrid. Posteriormente, en julio de 1864, se
estacionó en el vértice de nuevo para el cuadrilátero de Vallado-
lid de la red geodésica de primer orden 27.
Adolfo de Motta eligió una base corta, de 419 m, situada
27
Reseña del vértice de Cabeza de en dirección N a S, de modo que una perpendicular levanta-
Hierro. Meridiano de Madrid, ign, Archivo
geodésico. Mecanografiado, 3 pp.
da en su punto medio pasase aproximadamente por Cabeza de
28
Nivelación trigonométrica entre
Hierro, formando el lado de la base con el citado vértice un
Cabeza de Hierro y dos puntos de los triángulo casi isósceles 28. En la observación de la base tomaron
alrededores de Segovia. Adolfo de Motta.
San Ildefonso, 17 de agosto de 1868.
parte el propio Adolfo de Motta y los geómetras Olegario Ál-
Ms., ign, at, San Ildefonso, Caja 1. varez Esteve y Camilo Soto Muñiz, que repitieron de modo in-
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 135

dependiente las mismas observaciones. La medición de la base 29


Término de San Ildefonso.
se hizo con cinta métrica, reiterando ocho veces la operación. Triangulación de detalle. Observaciones
horizontales y azimutales. Cuaderno 1º.
Posteriormente, se hizo estación en los extremos N y S de la Septiembre de 1868. Fernando Álvarez
de la Puerta y Camilo Soto Muñiz. ign,
base con un teodolito Brunner, que apreciaba 10”. Los ángulos
at, San Ildefonso, Caja 1.
formados desde los extremos de la base con Cabeza de Hierro
se observaron dirigiendo doce punterías con las observaciones
horizontales y otras tantas para las cenitales. Con esos datos y la
longitud de la base se calculó el triángulo formado por Cabeza
de Hierro y extremos N y S de la base de Hontoria. Por último se
calculó, mediante nivelación trigonométrica, el desnivel entre el
vértice geodésico y esos mismos puntos.
La observación de la base de Hontoria fue el primer paso
para el desarrollo de la triangulación, que consta de 80 vértices,
con triángulos cuyos lados oscilan entre 1.000 y 2.000 m. To-
maron parte en su observación, ejecutada con Teodolito Brun-
ner, los geómetras Fernando Álvarez de la Puerta y Camilo Soto
Muñiz 29. El resultado de la triangulación quedó plasmado en un
plano a escala 1:20.000, dividido en dos hojas.
Sujeta a dicha triangulación, se formó una red de puntos
secundarios, distantes entre sí menos de 500 m, que sirvieron
12.
de base para la poligonación. Esta operación fue llevada a cabo Croquis orográfico en el que puede verse la línea
por los geómetras Juan Buelta Martínez, José Giralt Torner y el de cumbres de la Sierra de Guadarrama, en la que
destacan la cumbre Cabeza de Hierro, la posición
ya citado Camilo Soto, y tenía como finalidad esencial estable- de Madrid, cuyo observatorio fue la cota tomada por
cer los polígonos de levantamiento, cuyos vértices quedaron los técnicos de la Junta General de Estadística para
las nivelaciones, referida al nivel medio del mar
fijados trigonométricamente. Cada polígono sería objeto de di- Mediterráneo en Alicante. Obsérvese la posición de
los Sitios Reales situados en la provincia de Madrid
bujo independiente en la topografía de detalle. (El Pardo, San Lorenzo del Escorial, Aranjuez).
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 136

Durante el mismo mes de agosto, y al tiempo que esta-


ban en curso las operaciones citadas, se inició el levantamiento
topográfico de detalle. Esta tarea es la que iba a consumir más
esfuerzo y a requerir el concurso de más personal. El objeto del
levantamiento de detalle era producir dos series de mapas: los
polígonos de rústica a escala 1:2.000, con cobertura sobre todo
el Real Sitio, que serían la base para el dibujo posterior de las
Hojas kilométricas, y las minutas del parcelario urbano a escala
13.
Placa de bronce del Instituto Geográfico y 1:500. De las dos series, la más completa, y la que tiene verdade-
Estadístico, situada en la pared de la colegiata
de San Ildefonso, que asigna al lugar la cota de
ro interés para la historia de la cartografía urbana, es la segunda.
1.192,5 metros (foto: autores). En lo sucesivo nos limitaremos a ella.
Uno de los propósitos del levantamiento era obtener una
representación parcelaria muy detallada del núcleo urbano. Cada
una de las manzanas de la población quedó definida por un
polígono de cierre, cuyos vértices se calcularon trigonométricam-
ente, y fue objeto de una representación independiente a escala
1:500, en hojas con un formato de 44 x 32 cm 30. En la minuta
se dibujan cuidadosamente la planta de las casas, numeradas y
acotadas. Al margen, o al dorso de las hojas, se incluye la relación
14.
Nivel de Ertel, instrumento utilizado por los
nominal de propietarios, divididos por calles o manzanas.
geómetras de la Junta General de Estadística en los Los polígonos del parcelario urbano van numerados, y
levantamientos de los Sitios Reales (IGN).
cada una de las minutas ofrece el nombre del geómetra o parce-
lador responsable del levantamiento, con su firma, y la fecha del
mismo. Estos documentos carecen, en cambio, de coordenadas
y de orientación geográfica. La finalidad de las minutas era ser-
vir de base para el dibujo posterior en gabinete del Parcelario
Urbano a escala 1:500, que, como veremos, sí estará provisto de
orientación y coordenadas.
El Reglamento de operaciones topográfico-parcelarias esta-
blecía además la necesidad de representar la planta de todas las
iglesias y edificios importantes, así como los jardines y paseos
públicos. En consecuencia, la serie de minutas del parcelario ur-
bano tiene dos colecciones paralelas, ambas a escala 1:500, una
dedicada a los jardines, y otra a los planos de edificios.
Los jardines se dibujaron por polígonos independientes,
con vértices acotados y determinados por trigonometría. Al igual
que las minutas del parcelario urbano, los planos de jardines ca-
recen de coordenadas y orientación. En ocasiones presentan al
15. margen una leyenda con los elementos representados en el plano.
Teodolito Brunner, instrumento utilizado por los
geómetras de la Junta General de Estadística en los Los edificios singulares se representan aisladamente, o a
levantamientos de los Sitios Reales (IGN). veces compartiendo hoja con una construcción vecina de in-
terés semejante. La planta baja de estos edificios se presenta
delimitada mediante un polígono topográfico. Las plantas su-
periores, de existir, son objeto de dibujo individualizado. La
obtención de los planos de edificios urbanos imponía requeri-
30
Además del formato citado,
algunas de las hojas empleadas en el
parcelario urbano de San Ildefonso
son de 64 x 34 cm.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 137

mientos obvios. Los geómetras no podían limitarse a trabajar en


la vía pública. Debían penetrar en los edificios y tomar medidas,
planta a planta, y habitación por habitación. En el caso de San
Ildefonso, los geómetras efectuaron el levantamiento planta a
planta de los siguientes edificios: la Fábrica de Vidrio, el Cuar-
tel de Caballería, la Casa de Canónigos, la Casa de Infantes y la
Casa de Oficios. No hemos podido localizar los planos relativos
al Palacio Real, que muy probablemente quedó sin levantar.
Ventura Pizcueta Chirivella, responsable del levantamien-
to de detalle, organizó los trabajos del siguiente modo. Durante
el mes de agosto la mayor parte del personal, que no estaba
implicado en las labores trigonométricas, se dedicó a la for-
mación de las minutas del parcelario urbano a escala 1:500. Al
mes siguiente la actividad se desplazó fuera del núcleo urba-
no, centrándose en el levantamiento de los polígonos de rústica
a escala 1:2.000. Llegado el mes de octubre, media docena de
geómetras regresó a San Ildefonso, esta vez para efectuar el le-
vantamiento de los jardines del Palacio. Al mismo tiempo, una
partida muy reducida se desplazó a Valsaín y a la Pradera de
Navalhorno para levantar los planos de los aserraderos, y de las
contadas casas del lugar. El último trabajo de campo que tene-
mos datado lleva la fecha de 23 de octubre de 1868.
Los geómetras de la Junta General de Estadística regre-
saron a Madrid a finales de octubre sin haber concluido su
tarea. El 19 de septiembre de 1868 se había iniciado el proceso
revolucionario que, en poco más de una semana, acabó con-
16.
duciendo al exilio a Isabel II. Los responsables de la Junta Minuta del parcelario urbano del Real Sitio de San
Ildefonso. Parcelario Urbano. Polígono nº 24. Escala
comenzaron a abrigar dudas de que tuviese sentido seguir em- 1:500. El Ayudante Geómetra Quintín Tirado Castillo,
pleando cuantiosos recursos públicos en el levantamiento del 18 de agosto de 1868 (44x32 cm) (IGN, AT, Caja 3).
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 138

Real Sitio. Los nuevos responsables del Ministerio de Hacien-


da tenían aun mayores dudas. Muy pronto iban a ordenar, por
el procedimiento más urgente y expeditivo, la desamortización
de algunos de los inmuebles del Patrimonio Real en San Ilde-
fonso, y de todos los robledales de Valsaín. El jefe de la Sec-
ción de trabajos catastrales, José Almirante Torroella, presentó
su dimisión el 28 de noviembre de 1868. Su sucesor en el cargo,
el ingeniero de montes Francisco García Martino, llegó con
otras prioridades.
Los cartógrafos ya no volvieron a pisar la Granja de San
Ildefonso. Pero en Madrid la rutina del procedimiento carto-
gráfico siguió su curso. Los dibujantes de la Junta iniciaron el
trabajo de gabinete necesario para encajar las minutas de cam-
po en las series cartográficas reglamentarias. Comenzaron por
la colección que estaba más completa: las minutas a escala 1:500.
El resultado de su trabajo es una elegante colección de hojas
del Parcelario Urbano de San Ildefonso, a esa misma escala, que
combinan precisión y belleza [ 19 ].
Las diferencias esenciales entre las minutas y el dibujo
definitivo son cuatro: primero, el Parcelario Urbano se dibuja a
varias tintas sobre papel normalizado y cuadriculado en hojas de
70 x 60 cm, con una mancha de 60 x 40 cm; segundo, todas las
hojas incluyen en su parte superior una cartela que identifica
17. la colección cartográfica y el territorio representado, con deno-
Minuta de los jardines del Real Sito de San Ildefonso,
levantada por el parcelador José Migueli. 14-17 de
minación de la provincia, partido judicial y término municipal;
septiembre de 1868 (IGN, AT, Caja 1). tercero, los planos parcelarios quedan encajados en la red de
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 139

coordenadas planas definida por la Junta General de Estadística, 18.


Minuta de la segunda planta de la Casa de los
a la que quedan referidos mediante un número y una letra; y Infantes, levantada por el ayudante geómetra
cuarto, los planos están orientados al norte geográfico. Llegaron Domingo Ramos, el 30 de agosto de 1868. Escala
1:500 (44 x 32 cm) (IGN, AT, Caja 1). En los meses
a dibujarse 39 hojas del Parcelario urbano de San Ildefonso, que anteriores, Ramos había estado trabajando en el
cubren prácticamente toda la zona edificada y los jardines. El levantamiento de la ciudad de Granada.

mosaico resultante del encaje de esas hojas forma un plano de


casi diez metros cuadrados de superficie [ 20 ].
31
r. breñosa y j.m. castellarnau:
Guía y descripción... op. cit., 1884, p. 287.

4. El Real Bosque de Riofrío

El bosque de Riofrío fue una de las últimas posesiones en


incorporarse al Real Patrimonio de la Corona. Pese a su reduci-
da extensión, de poco más de 600 ha, tiene para nosotros el in-
terés de que la cartografía del lugar se conserva entera. Riofrío
era una dehesa, situada a cinco kilómetros al sur de Segovia, y
trece al oeste de San Ildefonso, perteneciente al mayorazgo del
Marqués de Paredes, que Felipe V tomó en arrendamiento en
1724. De relieve muy suave, era un lugar ideal para la caza mayor.
Estaba poblada de encinas, enebros, fresnos y álamos, y en sus
abundantes pastos se alimentaba una nutrida población de ga-
mos, venados y jabalíes 31.
A la muerte de Felipe V, en 1746, su viuda Isabel de Far-
nesio formó propósito de construir un palacio separado de San
Ildefonso para su exclusiva residencia y la de su hijo menor, el
infante cardenal don Luis (1727-1785). De ahí surgió el proyecto
de transformar el coto de caza en un Real Sitio. Tras lograr una
autorización del rey Fernando VI, preceptiva por tratarse de un
mayorazgo, Isabel de Farnesio compró al Marqués de Paredes la
dehesa en 1751. Paralelamente, el rey entregó a la viuda de Felipe
V la total jurisdicción civil y criminal sobre todo el término. Con
objeto de aumentar la extensión del bosque y regularizar sus
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 140

límites, fueron adquiridas posteriormente, mediante compra o


permuta, varias fincas vecinas. El conjunto del Real Sitio fue
cercado durante el reinado de Carlos IV por una tapia perime-
tral de mampostería 32.
El Palacio de Riofrío, un gran cuadrado de 84 metros de
lado, con una superficie total de 7.076 m², comenzó a constru-
irse en 1752, bajo la dirección del arquitecto Virgilio Rabaglio 33.
Estaba previsto que, además del palacio real, se construyese una
Casa de Oficios, caballerizas, iglesia y monasterio, un teatro y
cuarteles para las guardias. Sin embargo, el programa inicial no
llegó a completarse, edificándose únicamente la residencia pa-
laciega y la Casa de Oficios 34.
Las obras del Palacio de Riofrío concluyeron en 1759,
coincidiendo con la muerte de Fernando VI. Al fallecer sin des-
cendencia, le sucedió en el trono su hermanastro Carlos III,
hijo de Felipe V e Isabel de Farnesio. La llegada de Carlos III a
Madrid cambió los planes de Isabel de Farnesio, que ya no vol-
32
Plano general del Real Sitio y Monte
vió a ocuparse de Riofrío, ni llegó a residir nunca en aquel lugar.
de Riofrío. Nota: En 11 de marzo de Tampoco lo hizo su hijo, el infante don Luis, que prefirió con-
1792 se principió el cercado del Monte
reynando D. Carlos IV. Sin fecha. Escala
struirse un palacio en Boadilla del Monte, a escasos 15 kilóme-
de 5.000 pies castellanos. Aguada en tros de la capital, e instalarse en él. Los sucesores de Carlos III
color sobre cartulina. Mal estado de
conservación. Una hoja de 81 x 55 cm.
emplearon el palacio como pabellón de caza 35.
Archivo del Palacio Real, Sig. 1.671. Con la división municipal ochocentista, el Real Sitio de
33
Sobre la arquitectura del Riofrío quedó como un anejo del ayuntamiento de San Ilde-
Palacio de Riofrío, véase j.l. sancho
y j.r. aparicio, Real Sitio de la Granja
fonso. En consecuencia, su levantamiento topográfico corrió a
de San Ildefonso y Riofrío, Madrid, cargo de la misma brigada enviada a La Granja. El 28 de agosto
Patrimonio Nacional, 2012, pp. 89 y
ss., j.f. hernando cordero, Los diseños
de 1868 Ventura Pizcueta Chirivella, jefe de la brigada, nombró
del sitio real de Riofrío en la colección una sección integrada por José Giralt Torner, Felipe Casares
Rabagglio, en «Reales Sitios: Revista
del Patrimonio Nacional», nº 181, (2009),
Moraleda y Domingo Ramos Rodríguez, para que procediera a
pp. 42-59. efectuar los trabajos de campo. La dirección de los trabajos se
34
j.f. hernando cordero, Las le confió a José Giralt 36.
edificaciones cortesanas del Real Sitio de
Riofrío, en «De Arte», nº 9, (2010), pp. Los trabajos comenzaron por una poligonación obser-
121-138. vada con teodolito Brunner, siguiendo la cerca del Real Sitio.
35
En el palacio de Riofrío pasaron Algunos puntos de esta poligonación se consideraron vértices
largas temporadas Francisco de Asís,
esposo de Isabel II, y Alfonso XII tras de una pequeña triangulación, que quedó enlazada con la de
la muerte de su primera esposa, la conjunto observada por Adolfo de Motta Francés en el Real
reina María de las Mercedes.
36
Sitio de San Ildefonso, con el objeto de pasar el azimut y servir
Memoria descriptiva del Sitio de
Riofrío. José Giralt Torner, Madrid, 4 de comprobación a los ejes de la poligonación 37. El propio José
de febrero de 1869. Ms. IGN, Archivo Giralt se encargó de elegir una base corta, de 181 metros, para
Topográfico. Riofrío, Caja 1.
37
dar escala al levantamiento.
Poligonación de Riofrío.
Observaciones horizontales y azimutales. Para la determinación de las curvas de nivel de cinco
Cuaderno nº 1. Instrumento usado: en cinco metros, se trazaron perfiles en los lugares apropia-
Teodolito de Brunner. Observador J.
Giralt Torner. Septiembre de 1868. ign, dos, utilizando una brújula de Gravet, cerrando polígonos de
at. Riofrío, Caja 1. nivelación que servían de comprobación 38. Como cota de re-
38
Itinerarios y perfiles. Término ferencia se trasladó la cota de la Colegiata de San Ildefonso,
de Riofrío anejo al de San Ildefonso.
Instrumento usado: Brújula de Gravet.
Operadores: Giralt, Casares y Ramos.
Concluido en octubre de 1868. ign, at.
Riofrío, Caja 1.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 141

dejando una señal en el dintel de una de las puertas del palacio. 19.
Parcelario urbano. Topografía Catastral de España.
La planimetría a escala 1:500 se hizo levantando el plano de la Ayuntamiento de San Ildefonso. Parcelario urbano.
Hoja 4 E. Escala 1:500. Ms. hoja de 70 x 60 cm, sin
parte cubierta y descubierta de cada parcela. En el caso del Pa- fechar. La suma de estas hojas da como resultado
lacio y la Casa de Oficios se detallaron los planos de las plantas el mosaico que reproducimos en este trabajo.

bajas y pisos principales. Todos los puntos de la poligonación


y la triangulación se fijaron en los planos por las coordenadas
rectangulares, referidas al meridiano y paralelo de San Ilde-
fonso, y la orientación se obtuvo por la del lado común de la
triangulación de conjunto.
Los trabajos de campo duraron cuarenta días, siendo los
geómetras auxiliados por guardas y peones del Real Sitio re-
tribuidos por el Patrimonio Real. Los trabajos de gabinete se
extendieron durante dos meses, tomando parte en ellos el deli-
neante José Pilar Morales Ramírez y José Giralt Torner. El plano
general del Real Sitio se dibujó a escala 1:10.000, para hacer
más visibles los detalles del terreno. Los planos de poligona-
ción y triangulación se hicieron a escala 1:20.000, indicando a
la izquierda los valores de las coordenadas de cada uno de los
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 142

puntos. El parcelario urbano quedó reflejado en dos hojas a


escala 1:500, dibujadas en negro, y el parcelario rústico en 13
hojas kilométricas a escala 1:2.000.

20.
Mosaico formado por las hojas del Parcelario
urbano de San Ildefonso, dibujadas por la Junta
General de Estadística. Superficie total dibujada:
9,36 metros cuadrados. (Elaboración propia a
partir de los fondos del IGN. Realización técnica del
mosaico, Esteban Escolano).
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 143
21.
Plano director del Real Bosque de Riofrío. Escala
1:1.000 (70 x 60 cm) (IGN, AT, Riofrío, Caja 1).

5. A modo de conclusión

El 9 de marzo de 1869 el servicio de litografía de la Jun-


ta General de Estadística fue suprimido. Los dibujantes y li-
tógrafos fueron declarados cesantes y la tarea de dibujo de los
mapas quedó en suspenso. Pocos meses más tarde el nuevo
presidente de la Junta, el político liberal Víctor Balaguer Ci-
rera, decidió dar el carpetazo definitivo al levantamiento del
Real Sitio de San Ildefonso y sus anejos de Riofrío y Valsaín.
Las prioridades de la institución habían cambiado muy pro-
fundamente y el catastro parcelario estaba a punto de desapa-
recer de la agenda.
Toda la cartografía del Real Sitio, y la documentación
relativa al levantamiento, quedó sepultada en el archivo de la
Junta General de Estadística, para pasar desde allí al Instituto
Geográfico. La cartografía de San Ildefonso que hemos conse-
guido localizar está integrada por los siguientes documentos:
dos hojas correspondientes a la triangulación del término, a
escala 1:20.000; 242 polígonos de rústica a escala 1:2.000; 79
minutas del parcelario urbano a escala 1:500, y 39 hojas del
parcelario urbano a color. En total 363 planos manuscritos.
La de Riofrío, por un plano general a escala 1:10.000, dos pla-
nos de poligonación y triangulación, a escala 1:20.000, cinco
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 144
22.
Isabel de Farnesio mandó construir para sí y
para su hijo menor, Luis, el palacio de Riofrio, de
inspiración italiana. Los planos y el diseño de
este Real Sitio se encargaron al arquitecto Virgilio
Rabagglio (fotos: autores).

minutas de parcelario urbano a escala 1:500, dos hojas del


parcelario urbano a escala 1:500, cuatro polígonos de rústica a
escala 1:2.000, 13 hojas kilométricas a escala 1:2.000 de parce-
lario rústico y un plano director a escala 1:20.000. En total 28
planos manuscritos.
Este fondo documental, de extraordinario valor geográf-
ico e histórico, y que permanece inédito, se conserva actual-
mente en el Archivo topográfico del Instituto Geográfico
23.
Plano de la planta principal del Palacio de Riofrío, Nacional. Los mapas a color del Parcelario urbano están ca-
fechado el 22 de diciembre de 1868. Firmado por
Felipe Casares. Revisado por José Giralt. Escala
talogados y digitalizados. Las minutas y demás dibujos origi-
1:500 (44 x 32 cm), (IGN, AT, Riofrío, Caja 1). nales se encuentran en proceso de catalogación. Hasta donde
conocemos, no existe ninguna fuente cartográfica para el estu-
dio de San Ildefonso y Riofrío que iguale a la planimetría de la
Junta General de Estadística.
L. Urteaga, C. Camarero, Planos del siglo XIX para un Real Sitio del siglo XVIII 145

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ENRIQUE CASTAÑO PEREA

EL ALCÁZAR DE MADRID
EN EL SIGLO XVIII
REFORMAS PARA
ADECUARLO A LA CORTE
DE LOS BORBONES
1.
Vista del Palacio Real de Madrid.
(foto di P. Rossi)
El Alcázar de Madrid, edificación desaparecida en 1734, 1
Carta enviada 1 de febrero de 1703
tuvo una larga vida desde su fundación por los árabes en el en luis xiv, Memorias sobre el arte de
gobernar. Buenos Aires 1947, p. 128.
siglo XIV. Sus transformaciones han sido muy documentadas
desde su origen como alcazaba árabe, su conversión en viejo
caserón medieval hasta cuando se convirtió en la sede de la di-
nastía de los Habsburgo. Es abundante la documentación y los
estudios durante los siglos XVI y XVII, siglos de oro de la cul-
tura española. En cambio en el siglo XVIII, con la llegada de los
borbones a la corona española, parece que el Alcázar sufrió el
mismo abandono que la dinastía Habsburgo, acrecentado por
la desgracia de su desaparición en 1734 y la correspondiente
demolición y levantamiento de un nuevo palacio. El Alcázar no
parecía un edifico cercano al nuevo rey, tal y cómo se puede
entender de la recomendación que Luis XIV hace a su nieto al
hacerse cargo de la corona de España:

« No os encerréis en la molicie vergonzosa de vuestro pa-


lacio, mostraos a vuestros súbditos, escuchad sus demandas,
hacedles justicia» 1.

El Alcázar hasta el momento no había sufrido la com-


petencia de otros sitios reales como sede de la monarquia (si
exceptuamos el breve traslado de la corte a Valladolid de 1601
a 1605), nadie dudaba del valor simbólico del Escorial para los
Austrias pero no se planteó que pudiera ser la sede de la coro-
na; ni el Pardo, ni Aranjuez, ni la Granja, pero en cambio con
la llegada del Felipe de Anjou y sus primeras impresiones del
edificio, el palacio del Buen Retiro tomó protagonismo como
posible sede de la corte, como lo demuestran los proyectos re-
alizados por Robert De Cotte desde Francia para la ampliación
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 150

del Palacio del Buen Retiro. Si este proyecto se hubiera sido


completado habrían eclipsado completamente al Alcazar 2.
En esta circunstancia nos encontramos con el cometido
de revisar desde el punto de vista arquitectónico el devenir del
Alcázar en el siglo XVIII hasta su desaparición.

Antecedentes del Alcázar

2
Para estos proyectos de Robert La fundación del palacio árabe en Madrid se sitúa en-
De Cotte, Primer Arquitecto del Luis tre los años 850 y 886, durante el reinado del emir cordobés
XIV, ver a. bonet correa, Fiesta, poder
y arquitectura aproximación al barroco Muhammad I 3, estableciendose en un conjunto rocoso con la
español, Madrid, 1990. misión de cortar el paso a las tropas castellanas en su camino
3
j.m. barbeito, El Alcázar de Madrid, hacia Toledo 4.
Madrid, coam (1992). Lo sitúa entre
el 850 y el 886, v. gerard, De castillo El Alcázar estaría rodeado de una ciudadela o almuday-
a palacio: el Alcázar de Madrid en el na, donde vivían los guerreros, y que serviría para acoger a la
siglo XVI, Bilbao, Xarait(1984), precisa
más localizándolo en el 875; juliá s., población civil en los conflictos armados, además alojaría una
ringrose d. & segura c., Madrid Historia medina. La población civil estaría formada por los pobladores
de una capital, Madrid, Alianza Editorial
& Fundación Caja de Madrid (1977). Lo originales del asentamiento más los vecinos que posteriormen-
fija en el 873. te al establecimiento de la fortaleza se trasladarían a ella bus-
4
Existe otra teoría sobre el cando protección y con la intención de cubrir las necesidades
asentamiento en Madrid citada por
julia et al, op.cit., p. 22. donde según de abastecimiento de la población militar.
explica Ibn Hayyan en el Muqtabis
Existen pocas alusiones a la ciudad por parte de los cro-
III la fortaleza de Mageritah fue
construida por Mundhir ibn Huray nistas árabes de la época, lo que hace pensar en que no sería
ibn Habil, miembro de la familia
una gran urbe, seguramente ensombrecida por la cercana Tole-
Marca Media que actuaban con
independencia de Córdoba, y que do. Sólo existe una crónica de Al-Himyari quien considera a «su
mantenían buena relación con los
cristianos del norte, a los que unían
castillo como una de las mejores construcciones defensivas de
fuerte vínculos de origen étnico. Al-Andalus ».
Según el Muqtabis III la creación
del asentamiento de Madrid buscaba
La conquista de la ciudad por los reyes cristianos fue en
crear un aliado que colaborara con 1085, cuando el monarca castellano Alfonso VI pactó secreta-
Toledo en la rebeldía hacía Córdoba,
centro de poder. Según esta versión
mente la rendición de Toledo con Alcadir a cambio de la ayuda
habría sido rebelde frente al poder para conquistar el reino taifa de Valencia, hecho este que se pro-
andalusí y sólo habría alcanzado el
rango de ciudad con Abderraman III.
dujo al año siguiente en 1086. Esta conquista pacífica permitió
Existiría una tercera teoría que sería que no se destruyeran las edificaciones y que la mayoría de los
la conjunción de las dos anteriores
otorgando a la primera el asentamiento
vecinos se quedaran viviendo en la ciudad adecuando sus usos
militar y a la segunda años después el y costumbres a los nuevos moradores.
asentamiento civil y su desarrollo.
5
A partir de la conquista de la ciudad, el Alcázar conserva-
Ver saintenoy, pau “Les Arts et
les artistes a la cour de Bruxelles” en
ba el aspecto de castillo poderoso aunque sin demasiada tras-
Academie royale de Belguique, Classe de cendencia en el reino castellano, hasta que los reyes Trastám-
Beaux Arts, Memories, 1934.
6
ara empezaron a ocuparlo y empezaron a realizar las primeras
Esta cita es posterior a 1383
cuando Don León V rey de Armenia transformaciones del edificio.
vino a España a dar gracias al rey de Los primeros reyes cristianos que empezaron a vivir en él
Castilla, Juan I y este le hizo señor de
Madrid (1383-1391), siendo gobernador fueron Pedro I y Enrique III que en el siglo XIV, iniciaron algu-
de la ciudad durante dos años, y al que nas reformas con el fin de hacerlo más confortable y adecuarlo al
se le atribuye la construcción de las
mencionadas torres. estilo de la corte castellana. Con ello la fortaleza fue perdiendo
7
En 1388, en virtud del tratado
de Bayona, Enrique III se casó en la
Catedral de San Antolín de Palencia
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 151

su carácter militar para ir introduciendo elementos palaciegos, con Catalina de Lancáster y fue en el
Alcázar de Madrid donde se hicieron
tal como dicen las crónicas del siglo XIV 5 « el Alcázar en forma las celebraciones.
de palacio, levantando algunas torres que le hermoseasen » 6. El 8
El 10 de marzo de 1419
asentamiento va tomando protagonismo en los reinos de Casti- está documentada una de estas
convocatorias de Cortes a realizar en el
lla por su proximidad con la sierra de Guadarrama, y en especial Alcázar de Madrid.
al Monte del Pardo, por su gran valor cinegético, que atraía a 9
r. mesonero romanos, El Antiguo
los monarcas de la familia Trastámara. Por ello, lo fueron incor- Madrid, 1997(1 ed. 1861). Narra
como Juan II recibió en 1434 a los
porando entre sus sedes favoritas, hasta el punto que Enrique embajadores del Rey de Francia en la
III en 1388 decidió celebrar en el Alcázar los esponsales con su impresionante Sala Rica bajo un dosel
de brocado carmesí acompañado de un
prima Catalina de Inglaterra 7. Años después el mismo Enrique león manso a sus pies.
III tuvo que restaurarlo después de que el edificio sufriera un 10
Cfr. gerard, op. cit., p. 17;
importante incendio. En 1455, Enrique IV también celebró en el bottineau y., Philip V and the Alcazar
at Madrid, Burlington Magazine, tomo,
Alcázar su boda con Juana de Portugal y en el mismo edificio en XCVIII, 1956 pp 68-74. Esta referencia
1462 nació su única hija Juana la Beltraneja. Ya siendo frecuente de terremoto se puede referir al
terremoto de 1466 en Carmona de
en este siglo XV, que en las salas del palacio se reunieran las Magnitud desconocida e intensidad VIII,
Cortes de Castilla y del Concejo 8. o quizás al acaecido en Sevilla en 1464
de Magnitud (6’5). Intensidad IX-X.
Las primeras reformas documentadas del interior del Al- 11
Citado por ruiz tarazona a.,
cázar las realizó Juan II en 1434. La estructura de la edificación (1994) La música en el Alcázar de Madrid
siguió siendo de planta cuadrada con el patio en el centro, pero en “El Real Alcázar de Madrid. Dos
siglos de arquitectura y coleccionismo
se situó una capilla de nave única en la mitad sur del ala este. en la corte de los Reyes de España”.
Además de la Capilla se adecentó la Sala Rica, restaurando la de- Catálogo de exposición. Madrid. pp.353

coración mudéjar original que estaba realizada a base de yeserías


y en los techos. Reparando la estructura de par y nudillo, achafla-
nada, que estaba pintada con colores, blanco, oro y carmín 9.
En 1466 10, Enrique IV también tuvo que acometer algu-
nas obras de restauración después de un terremoto que afectó a
la estructura del edificio.
Durante la guerra de sucesión entre la Reina Isabel y su
sobrina doña Juana la Beltraneja, el Alcázar fue tomado por el
Marqués de Villena, aliado de doña Juana. En 1477 los Reyes
Católicos derrocaron al marqués y se apoderaron del palacio;
estableciéndose durante temporadas largas en el mismo. El cro-
nista de la época Gonzalo Fernández de Oviedo lo reflejo de la
siguiente manera:

«Acuerdome verla {Doña Isabel} en aquel Alcázar de Ma-


drid con el católico rey don Fernando V de tal nombre, su mari-
1.
do, sentados públicamente el tribunal todos los viernes, dando El Alcázar de Madrid en el siglo XV, (Dibujo del
audiencia a chicos e grandes, quantos querían pedir justicia» 11. autor). Este dibujo al igual que los que siguen de
la misma serie, están realizados por el autor sobre
la hipótesis de cómo sería la configuración del
Alcázar en los diferentes siglos, basándose en las
fuentes documentales, se tratan de esquemas de
distribución dimensional, no pudiéndoles atribuir
Carlos V y las primeras obras en el Alcázar valor planimétrica.

En 1536 Carlos V, después de haber tenido encarcelado a 1434–1536


Planta principal:
Francisco I rey de Francia en el mismo, tras la batalla de Pavía, 1 Sala rica 18 Torre del
2 Antecamara homenaje
3 Cuadra 20 Capilla
4 Camara 22 Torre del
7 Chimenea bastimento
de alcobas 24 Torre de la Reina
14 Mirador
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 152

decide ordenar una importante transformación del edificio 12.


Acomete un proyecto de conservación y mantenimiento de to-
das sus palacios, en 1537, nombrando a Luis de Vega 13 y a Alon-
so de Covarrubias como maestros mayores, y responsables de la
dirección de los Sitios Reales, con el cometido de transformar
los Alcázares de Toledo, Sevilla y Madrid 14.
En Madrid las obras ya habían comenzado el año anterior
de estos nombramientos. Se había comenzado regularizando el
patio central, en el que se construyeron nuevos corredores sobre
los existentes sin modificar la estructura, pero añadiendo un nue-
vo estilo renacentista a sus elementos. La cuarta panda del patio
donde se encontraba la escalera y la capilla se convirtió en el eje
2.
Planta principal de Alcázar de Madrid en el siglo XVI.
del nuevo palacio ampliándose toda la edificación hacia el Este
Dibujo del autor a partir del plano de1536: con la creación de un nuevo patio (que se denominaría de la Rei-
1 Sala 14 Estufa na) de proporciones similares al anterior. Con esta transformación
2 Antecamara 18 Torre del
3 Cuadra homenaje el volumen constructivo del Alcázar prácticamente se duplicó.
4 Camara 19 Sala de la Una vez que la obra del patio estaba suficientemente
5 Retrete Emperatriz
6 Paso de su 20 Capilla avanzada, se siguió con la construcción de nuevos aposentos,
Majestad 21 Tribunas
7 Chimenea 22 Dormitorio en 1556 el cuarto de San Gil, en 1558 el cuarto del Cierzo y pos-
de alcobas de la Reina teriormente se realizó una nueva torre de la reina en la misma
8 Sala del principe 23 Cuarto de San Gil
9 Cuarto del cierzo 24 Torre de la reina ubicación de la anterior.
10 Galeria del cierzo

El Alcázar como sede de la capital del reino. Felipe II

A partir de la capitalidad de Madrid en 1561 el Alcázar


toma una nueva dimensión como sede de la Corte. El palacio
además de residencia real ejercía como gran ministerio alber-
gando numerosos servicios del gobierno de la Villa y de la Corte.
La planta baja del patio del rey era donde se alojaban dichas
12
Cédula real de 3 de abril de funciones, siendo un bullir constante de cortesanos y comer-
1536. agp.
13
ciantes, por ello las obras afrontadas por el monarca se encami-
Este nombramiento está dirigido
por Francisco de los Cobos, secretario naron a la adecuación del edificio para albergar todos los esta-
del emperador y verdadero mecenas de mentos precisos, dejando a un lado todas las obras encaminadas
Vega. En esta época estaba dirigiendo
los palacios de Valladolid y de Úbeda, y al embellecimiento del palacio 15.
supervisando el contrato de las obras Las pocas obras de ampliación que se acometieron fueron
del Salvador.
14
la ampliación del apartamento de la Reina, prolongándolo hasta
barbeito, op. cit. p. 3, p. 221
donde hace referencia a las mismas, la torre del bastimento que por entonces pasará a llamarse la
y adjunta un Apéndice I Sobre la torre de la Reina. En 1563-66 Juan Bautista de Toledo amplía el
organización administrativa de las
obra, haciendo una pormenorizada Cuarto de damas y se hace una reforma de diversos apartamen-
y documentada explicación de las tos regios, así como de las escaleras de comunicación entre los
mismas. Más documentación en
cervera l., Carlos V mejora el Alcázar diferentes pisos y apartamentos 16.
Madrileño en 1540 en “Revista de la En 1570 se realizan obras de conservación y de manteni-
biblioteca, Archivo y museo”, 1979.
15 miento de albañilería, armaduras y solados en diversas estancias,
El Rey estableció que no
se enseñaran las obras a ningún como en el zaguán, galerías, renovándose embaldosados y azu-
cortesano hasta que no se hubiese
decidido su reparto para evitar
rencillas y envidias.
16
Ver gerard, op. cit., p. 108.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 153

lejos, limpiándose los techos y muros de las salas mudéjares y 17


Op. cit., p. 109. El reloj de palacio,
de la capilla. La única construcción nueva de este momento es realizado por un cuadrante de mármol
de unos dos metros de ancho, con las
una torre de cinco metros de alto en el extremo norte del ala de cifras talladas en números romanos,
marcando los minutos y que según
la escalera, donde se alojará el reloj 17.
deseo del Rey daba los cuartos y las
Al final de siglo en 1585 se realizó una terraza sobreal- medias.
zada en la fachada oeste sobre el río, para lo cual se construyó 18
Se apunta por distintas fuentes
que Giovani Crescenci tomara
un zócalo que posteriormente se aprovecharía para acoger los parte en el diseño de la fachada
aposentos que utilizará Felipe II cuando la enfermedad de “la nueva del Alcázar tal y como recoge
Beatriz Blasco Esquivias en b. blasco,
gota” no le permitía moverse; estableciendo allí su aposento, un Arquitectos y trazistas. El triunfo del
oratorio privado, e incluso una sala para reunir al Consejo Real. Barroco en la Corte de los Austrias,
Madrid, ceeh, 2013, pp. 169-170.
19
El 23 de septiembre de 1608, la
villa ordenaba que comenzaran las
El Alcázar de los Austrias en el siglo XVII obras del aposento de la reina. Archivo
de Villa Libros de acuerdos t 27 fol.
15. En 1612 se estableció la “junta del
Después de que el Rey en 1605 devolviera la capitalidad a quarto de palacio” permitiendo a la
Villa recaudar el dinero necesario para
Madrid, los responsables de la Villa se comprometieron a reali- las obras.
zar una nueva fachada para el Palacio, más regular y simétrica, y 20
Al tratarse de un plano
a realizar un nuevo cuarto para la reina. cartográfico seguramente se optaría
por regularizar la construcción según
Estas reformas fueron encomendadas a Francisco de el proyecto existente, considerando
Mora como Maestro Mayor y fueron continuadas por su sobrino también el tiempo necesario para la
realización de este tipo de planos.
Juan Gómez de Mora a la muerte de este en 1610 18. Las obras
empezaron en 1608 19 y se fueron prolongando en los años suce-
sivos: en 1609 se hicieron las bóvedas del cuarto de la reina, en
1612 los balcones, y por último entre el año 1613 y 1614 se realizó
una galería en el Cuarto de la Reina.
En 1622 debía estar bastante avanzada la reforma de la
fachada, cuando se decidió proyectar un arco grande en la fa-
chada para facilitar el paso de carruajes. En 1623 con motivo
de la llegada del príncipe de Gales a Madrid la fachada debía
estar bastante acabada, como se puede comprobar en el gra-
bado publicado junto con los anales de Khevenhüler, donde se
representa la llegada del heredero británico a la plaza del Al-
cázar, teniendo de fondo la representación de la fachada. Un 3.
acompañante del príncipe de Richard Wynn describió la plaza Entrada del príncipe de Gales en el Alcázar, Grabado
de los anales de Khevenhuller, 1623, Madrid.
de la siguiente manera: Ayuntamiento de Madrid. Museo de Historia.

« el palacio está construido de piedra, con una hermosí-


sima fachada. El edifico es sobrio y masivo» .

En el grabado se puede comprobar que la fachada estaba


finalizada en su cuerpo bajo y se estaba trabajando en la modifi-
cación de la torre del Sumiller, faltando por acometer las obras
en el cuerpo alto de la torre del Bastimento. No se llegaron a con-
cluir la construcción de dichas torres, que enmarcaban la entrada,
aunque en el plano de Witt de 1622-23 si las reflejen 20. Posterior-
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 154

mente en 1630 durante el reinado de Felipe IV, se demolieron las


dos torres consolidando la imagen horizontal de la fachada.
En este mismo año 1623, con los fondos sobrantes de lo
recaudado para la realización del quarto de palacio, se acometie-
ron otras obras de acondicionamiento, como una galería en las
dependencias del conde duque de Olivares y la transformación
de parte del Jardín de la Priora. Continuándose, asimismo, las
obras en la plaza del Alcázar y en las caballerizas.
Para conocer la evolución de las obras del Alcázar durante
el principio del reinado de Felipe IV, debemos basarnos en el
manuscrito Relación de las cassas que tiene el Rey de España, y de
algunas de ellas se an echo traças, que se an de ver con esta relacion
4. escrito « en Madrid a 17 de junio de 1626 Juan Gomez de Mora»
Planta Principal del Alcázar en el siglo XVII. Dibujo perteneciente a la Biblioteca Vaticana (sign. Barb. Lat.4372)
del autor a partir del plano de Juan Gómez de Mora
conocido como Codice Barberini 21. En este documento Juan
1626 Gómez de Mora hace una breve memoria de cada una las casas
1 Sala 19 Sala grande
2 Antecamara 20 Capilla reales, acompañadas de planos de las mismas 22.
3 Cuadra 21 Salas de las furias En 1629 se realizaron la ampliación de las dependencias de
4 Camara 22 Dormitorio
5 Retrete de la Reina la Reina hacia el Este, para situar un oratorio privado para la reina
7 Alcobilla 23 Cuarto de la Reina
16 Torre dorada II 24 Torre de la Reina
Isabel de Borbón, así mismo durante estos años se reformaron y
17 Galeria repararon los corredores de los patios que en algunos casos se
18 Torre del
homenaje habían desplomado, siendo necesaria una reforma en un principio
del Patio de la reina para continuar posteriormente con el del Rey.
Tras un largo abandono de la actividad constructiva en el
Alcázar debido a la construcción del Palacio del Buen Retiro, a
partir del año 1639, Felipe IV volvió a dedicarse al Alcázar, orde-
nando una operación general de remozamiento de sus interio-
21
Durante su estancia en la res que afectó a la casi totalidad de los aposentos.
academia de España en Roma el
profesor Iñiguez Laínez rescató de los
A partir de la demolición de la Torre del Sumiller se había
fondos de la biblioteca Vaticana este generado un gran espacio en la planta principal que se aprove-
códice que pertenece al relato que
Juan Gómez de Mora, acompañado con chó para construir en 1645 la pieza Ochavada, además de la esca-
diversos planos, hizo de las casas reales lera que comunicara los diferentes pisos del Alcázar en la zona
de la Corte de Madrid, tras recorrer la
gran mayoría de ellas acompañando al de las dependencias reales 23. El responsable de la realización y
cardenal Barberini tras su estancia en seguimiento de estas obras fue Diego de Silva y Velázquez en su
Madrid para el bautizo de un hijo de
los monarcas. iñiguez f., Casas reales y cargo de aposentador de palacio 24.
jardines de Felipe II, csic, Madrid 1952. Con Carlos II se remató la fachada, finalizando los tra-
22
Junto al Alcázar de Madrid se bajos que habían quedado parados durante más de cuarenta
describen: los Alcázares de Segovia
y Toledo; los palacios del Pardo y años, reordenándose definitivamente la plaza de palacio con la
Aranjuez y la Casa de la Panadería en construcción de nuevas cocheras.
la Plaza Mayor de Madrid. También,
pero ya sin planos, se refiere a la Casa En 1680 bajo la dirección de Joseph del Olmo se comienza a
de Campo, Azeca, Campillo, Monasterio, reformar la capilla, sustituyendo la antigua estructura de cubierta,
Vaciamadrid, Valsaín y Casa de la nieve
en la Fuenfría. decorada por mocárabes, por una esbelta cúpula encamonada de
23
El primer tramo de esta escalera mayor altura y presencia, decorada con frescos de Luca Giordano.
queda reflejada en el cuadro de Las Esta cúpula de mayor dimensión que el antiguo artesona-
Meninas de Velázquez, ubicado en
el cuarto del príncipe bajo la pieza do necesitó, para descargar los empujes de la misma, ocupar el
Ochavada.
24
Juan Gómez de Mora no vio con
buenos ojos la reforma planteada por
Velázquez y existieron enfrentamientos
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 155

corredor situado tras el altar entre la escalera y la capilla. Dejan- entre ellos, ya que el anciano maestro
de obras, veía con preocupación la
do, por tanto, la escalera sin deambulatorio lo que obligaba para demolición de los gruesos muros
pasar del corredor de un patio al otro a bajar a la primera mese- heredados de la alcazaba musulmana,
frente al espíritu más innovador del
ta para luego subir a la opuesta. pintor. Ver a. bonet correa, (1960)
La cúpula descansaría sobre arcos torales, los dos latera- Velázquez, arquitecto y decorador, Archivo
español del Arte 1960, pp 215-249.
les embebidos en las paredes, apoyados en pilastras con mol- 25
a. palomino, Museo pictórico y
duras doradas. En las paredes, de la nave entre el presbiterio y escala óptica, Madrid, 1947 (1º ed. 1797).
el cancel, se harían bajo la cornisa cuatro marcos de talla, dos 26
En 1697 estaba realizando los
en cada pared, orlados con ocho tarjetas, para enmarcar unos frescos del Salón de Baile {Casón} del
Palacio del Buen Retiro. Y durante
lienzos expresamente encargados a Luca Giordano al igual que los diez años que estuvo en la corte
la cúpula donde pintó la historia de Salomón, y en las pechinas de Madrid realizó los frescos de la
sacristía de la catedral de Toledo y
se representarían unas figuras alegóricas sobre la Ley Divina. otras intervenciones en El Escorial.
Palomino narra en relación a la obra de la cúpula 25: 27
Maria Jesús Muñoz González
hace una descripción exhaustiva sobre
los avatares de dicho altar desde que
«Con la fábrica de su célebre templo (lo qual espresó con se diseñó para el Convento de las
singular gracia y primor) trabajando allí operarios, maniobras Dominicas de Loeches por encargo
del Marqués de Carpio y se empezó
con gran propiedad, y la fábrica como, que está a medio hacer» a construir en Nápoles con Pórfido
y bronce. A la muerte del marqués
cuando todavía no se había acabado el
Luca Giordano fue traído por Carlos II en 1692, dada su Altar, se organiza el inventario de los
fama obtenida como pintor al fresco, para que decorara con esa bienes y la testamentaría para cubrir
las deudas del Marqués , después de
técnica los interiores de diversas bóvedas de edificios de la cor- diversas vicisitudes el Altar junto con
otros ornamentos se adjudican al rey,
te de Madrid, El Escorial y Toledo 26.
para la Capilla del Alcázar de Madrid.
La ampliación motivada por la instalación de la cúpula m.j. muñoz gonzález, La Capilla del Real
Alcázar de Madrid y un altar de pórfido,
se aprovechó para colocar un nuevo retablo de Pórfido en el
en Reales Sitios nº 164, Madrid 2005,
altar mayor, retirando el cuadro de Rafael que había presidido pp. 50-69.
28
la capilla los últimos años. Al retablo de Pórfido 27 se le reservó barbeito, op. Cit., p. 199.
el espacio central de la capilla, que se estaba transformando
con una decoración a la italiana, Luca Giordano además de la
cúpula realiza algunos oleos para la parte baja de la cornisa. Re-
alizando dos de ellos antes de retornar a Italia y terminando el
resto después de su regreso en 1703 junto a su discípulo Solime-
na. Todas estas obras acabadas a principios del siglo XVIII.
Durante los años 1690 también se acometieron reformas
de reordenamiento de las dependencias y de los terrados.

Felipe V y el Alcázar

La llegada de Felipe V a la corona española supuso un


cambio importante, no sólo como cambio de dinastía, sino en la
manera de entender la corte y los espacios palaciegos. Bien es
sabida las dificultades que tuvo Felipe V, a su llegada a España,
para hacerse con la vida palaciega, por los que son numerosas
las referencias del poco agrado que le produjo el Alcazar madri-
leño como sede de su corona 28. Esto supuso el que compartiera
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 156

su residencia con el palacio del Buen Retiro, y que tras el incen-


dio del Alcazar, en 1734, decidió demoler las ruinas para hacer
un Palacio de nueva planta y con estilo muy diferenciado.
No obstante profundizando más en las fuentes, se puede
descubrir que Felipe V y la Reina no estaban tan a disgusto con
el palacio y fueron poco a poco adecuándolo a su estilo, creando
pequeños lugares y estancias donde pasaban con agrado bue-
na parte de su tiempo, como son la Pieza de Furias, o el Salón
Grande junto a la pieza ochavada. En esta transformación tuvo
un papel primordial Madame de Ursinos, Camarera Mayor de
la reina, que junto con el diplomático Jean Orry asumieron el
papel de “contratistas” reales encargándose de adecuar muchas
de las estancias a un gusto más versallesco.
Las obras realizadas por Felipe V fueron encaminadas a libe-
rar estancias y conseguir espacios con mayor amplitud y esplendor
más a gusto con su educación proveniente de la corte francesa.
La aportación más significativa del rey Borbón fue la reali-
zación entre 1709-1711 del Grande Salón Nuevo, y la finalización de
las obras de reforma de la Capilla que había comenzado Carlos II.

Las primeras reformas del Alcázar realizadas


por los borbones. 1705

Al morir Joseph del Olmo, Teodoro Ardemans, pintor de


cámara, fue nombrado Maestro Mayor el 30 de Mayo de 1702. Al
asumir el cargo se encontró con una estructura organizativa de
contratistas y artesanos muy continuista con el estilo de Carlos
II, además de una importante reducción de recursos, ya que en
1701, Felipe V redujo drásticamente los gastos en cargos y oficios
para sufragar los gastos de la guerra de sucesión.
Las primeras obras que Ardemans debió asumir fueron la
terminación de la Capilla Real empezada por Joseph del Olmo,
además de otras obras sin ningún interés artístico y creativo, como

5.
Pallota. F. 1704. Aspecto del palacio quando el 4
de Marzo Felipe V salió a la campaña de Portugal.
Ayuntamiento de Madrid. Museo de Historia.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 157

eran obras de acondicionamiento y de mantenimiento del palacio. 29


bottineau y., El arte cortesano en
Entre las más destacadas estaba la adecuación de unos locales la España de Felipe V 1700-1746, Madrid
1986 (1º ed. Bourdeaux 1962 L’art de
para la nueva guardia de corps en la plaza de palacio, realizado en cour dans l’Espagne de Philippe V,
1700-1746,), p. 300.
1705 29. En este año Teodoro Ardemans además hizo un magnifico
30
Orthographia del Real Alcázar
plano de la planta principal del Alcázar que nos sirve para enten-
por Teodoro Ardemans {1705} Archivo:
der la evolución de la edificación tras estas modificaciones 30. Cabinet des Estampes de la
Bibliothèque Nationale de Paris con
La reina Maria Luisa de Saboya se encargó de hacer el signatura GE. AA. 2055. Es un plano
seguimiento de las obras de modificación de la capilla durante muy publicado que representa la
planta principal del Alcázar junto con
las primeras ausencias del rey por su viaje a Italia. El 7 de ene- los jardines que lo rodean. Se trata
ro de 1701 se da cuenta de la llegada del altar de pórfido 31 y de de un plano bastante completo de la
planta principal, la plaza de Palacio
un desembolso de las arcas reales de 1500 reales para acometer con las caballerizas y de los jardines de
el montaje. Tras diferencias entre los maestros napolitanos y alrededor de la edificación. El plano
está orientado al Norte y tiene una
los españoles, por cuestiones de hacienda; el altar queda insta- leyenda que lo complementa.
lado a finales de 1701, Estas obras para la instalación del altar 31
De Phelipe Papis Maestro sobre
y otras de adorno quedan especificadas en el documento de estante Gaetano Saco Fran.co Buchini
Aniel Bulluermini oficiales que han
obligaciones otorgado al Maestro de obras Joseph del Olmo traído a su cargo el retablo remitido de
encargado del mismo 32. Nápoles para la Real capilla en muñoz,
op. cit., p. 59.
«En la Villa de Madrid a doze dias del mes de octubre del 32
Obligación dada por Joseph del
año mil y setecientos y uno ante mi el escribano y testigos Don Olmo para concluir las obras, el 12 de
octubre de 1701. apm, prot 3975 fol. 488
Joseph del Olmo, de la Furriera de su Majestad, Maestro de las Citado en v. tovar martín, Arquitectura
Obras reales vezino desa villa de Madrid. (…) madrileña del siglo XVII: (datos para su
estudio), Madrid, Instituto de Estudios
Con que haga la obligación de concluir toda la fábrica y obra madrileños, 1983, p. 643.
de la Real Capilla explicada en el pliego que dio a Su Majestad y
con las calidades y condiciones que a capitulado. Y poniéndolo
en execución el dh Don Joseph del Olmo otroque se obliga a
hazer y concluir en toda forma y perfección en la Real Capilla
de Palacio y alcazar de SM desta Corte la obra siguiente:
Que a de sacar y hazer fundamentos de fábrica de ladrillo y
hieso para sentar el retablo de porfido y sus gradas. Y a de hazer
una escalera que suba desde la sacristía a la Capilla y a de sentar
suelo de madera en la sacristía en la parte que está maltratado
y así mismo hacer cielo raso y artesonado en la dh Sacristía
y solar el pavimento della y blanquearla y hazer las divisiones
para la escalera y a de acavar las dos hornazinas de la capilla
haciendo los adornos que les faltan y dorar los dhs adornos y
acabar de bajar los dorados de todas las fajas y muros y rectos
de las pilastras de los arcos torales y hazer cuatro marcos de tal-
la con ocho tarjetas en cada uno que sobresalgan en los quatro
angulos yntermedios para los quatro lienzos que se an de sentar
en la capilla desde el arco toral asta el cancel dos en cada lado.
Y se an de dorar dhs marcos y sus adornos de oro limpio y
asentarlos en quatro lienzos de Jordan en la quatro boquillas
de los arcos torales y sobre ellos quatro perfiles dorados que
se an de hazer y sentar en todas sus lineas.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 158

Y así mismo tres puertas para las tres ventanas entradas


que tiene la Real Capilla moldadas a dos azes que se an de
imitar a caoba o palo santo y dorar todos los perfiles dellos por
dentro y fuera, y hazer y sentar todos los herrajes.
Y un cancel moldado ymitando caoba o palo santo que
corresponda a las puertas dorandole todos sus perfiles sen-
tandose cristales en todos sus claros y dorando todas las divi-
siones de los cristales y varillas.
Y los cristales an de ser de los que SM tiene en Palacio en
poder del Aposentador y en este canzel se an de hazer las dos
puertas de las dos salidas por las dos tribunas de los dos lados
de las medias, cada una con sus errajes y debajo de ellas se an
6.
de dejar dos medias puertas con sus errajes la una para que
Planta Principal del Alcázar en 1705. Dibujo del
autor a partir del plano de Teodoro Ardemans. salga la Reina Nuestra Señora a las procesiones y la otra para
la entrada de los capellanes que dizen misa en los oratorios.
Y en la tribuna de SMs en el medio della se a de dejar un
claro con sus cristales que se pueda correr quando SMs gustaren.
Y todo este canzel y ventanas bajas y alta a de quedar con la
perfección de dorado y imitado que arriba se expresa.
Y en caso que no se siente el solado de embutidos de
mármoles que estaba dispuesto para esta real Capilla se a de
hazer un balcón de hierro para la tribuna de los músicos y se a
de dorar y sentar como el que esta sentado en la tribuna de las
damas y dh tribuna se ha de solar de baldosa y sentar la madera
que en este suelo faltare, y en lo que se alargue la dh tribuna.
Y se a de hazer la obra que se ofreciere en las divisiones y
suelo de las tribunas de SMs y de las Damas. Que todas la costa
que tubiere toda la obra explicada asta su conclusión lo a de an-
ticipar y suplir el dh Don Joseph del Olmo de su propio caudal
pagando los materiales y a los artífices»

Como se comprueba en este escrito en este momento tam-


bién se aprovechó para rehacer las puertas y ventanas de la ca-
pilla, así como la carpintería del cancel. Toda la carpintería de
madera era imitando caoba y palo santo y con los filos dorados.
A partir de la instalación del altar, la capilla siguió estan-
do en obras, y consta que en mayo de 1702 hubo que desalojar la
misma y pasar a un salón los atributos de la capilla para poder
continuar con los arreglos. El Patriarca de la Indias, capellán
de la Capilla Real será el encargado de aportar el dinero para
continuar los arreglos e instalación de nuevos adornos, además
de nuevas cortinas para las ventanas y para el dosel del Rey. En
esta fecha se tomó la decisión de solar y chapar de jaspes la
capilla pero esta costosa reforma no se pudo realizar finalmente,
33
El maestro marmolista Juan completándose el solado de ladrillo 33.
Sánchez Barba, reclama en julio de
1702 que se le pague lo que se dejó
a deber porque parece que había
empezado con el chapado de Jaspe
cuando se decidió no continuar.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 159

Una vez que esta fase de reformas finalizó y se volvió a uti- 34


Disposiciones del Cardenal 18 de
lizar la capilla, surgió una nueva preocupación por las pinturas mayo de 1702. muñoz, op. cit., p. 60.
35
que había hecho Giordano, dado el deterioro que les producía Estos arreglos de la capilla
realizados por José del Olmo, no se
el humo y el incienso de las celebraciones 34. liquidaron en su momento y aún en
1715, quince años después se les debían
todavía a sus herederos, una cantidad
« Y el perjuicio que recibe la pintura de la real capilla por
que ascendía a 61.452 maravedíes.
estar sin resguardo las ventanas, han resuelto se pongan cor- 36
muñoz, op. cit., p. 60.
tinas y también que las vidrieras se abran y se cierren como 37
agp Real capilla 1134.
estaban en lo antiguo» .

Al respecto, el Mayordomo Mayor, el Marqués de Villa-


franca, escribió:

« ... son necesarios 4080 reales para la obra de las venta-


nas, según ordena el señor cardenal a que me ha parecido se
añada el poner redes en las ventanas para impedir la entrada
de pájaros y golondrinas» .

También se dispondrán las cortinas en las ventanas y se recla-


maran garruchas para manejarlas. Advirtiéndose en unas cartas que
estos elementos se le habían pedido que los instalase Don José del
Olmo, éste no lo había hecho 35. El 5 de febrero de 1703 el Mayordo-
mo Mayor, marqués de Villafranca, comunicó a este respecto;

« Habiéndome informado Teodoro Ardemans, maestro


mayor de las obras reales que la Real Capilla de Palacio había
hecho algun sentimiento dí orden luego al veedor de las obras
para que junto con los maestros Phelipe Sánchez y Sebastián
de Pineda, y los dos aparejadores de las obras reales viesen y
reconociesen la capilla» 36.

Se hizo una inspección de la Capilla, igual que en 1701


cuando se iba a colocar el altar, y como entonces se emitió un
informe en el que se describían los daños sufridos por la capilla,
por lo que se volvió a recomendar el traslado de la Capilla al
Salón para acometer las reformas 37.
El altar se lució en el bautizo del infante Don Luís el 8 de
diciembre de 1707 tal y como se describe:

«Es el altar, y retablo enteram.te de porfido con basas, ca-


piteles, cornisas, frontes, figuras y demas adornos de bronze
dorado de molidos, rematado con una preciosa cruz de oro La-
pislazuli, a Qn orla un trono de rayos. nubes y serafines dora-
dos demolidos, obra del zelebre arquitecto el cavallero Vermino.
Esta colocada en su zentro una Imagen de nuestra señora con
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 160

su hijo sacratissimo en los brazos, pintura origin.l de Pablo Ve-


rones, a Q.n orig.lm guarneze un marco de bronze dorado y de
molidos, sobrepuesto de Agathas, de varios y crecidos tamaños,
y a esta ciñen dorados y entretexidos festones de bronze» 38.

Una vez terminada la instalación del altar y de las siguien-


tes reformas decorativas, fue la cúpula la que empezó a crear
problemas estructurales, ya que aparecieron grietas en los mu-
ros y a resentirse la misma cúpula, lo que obligó a retomar las
obras de conservación. La cúpula era una estructura de gran
altura, apoyada sobre los antiguos muros ideados para sopor-
tar el viejo artesonado mudéjar. Al cambiar una estructura de
madera autoportante apoyada, por una nueva de mayor altu-
ra y que ejercía empujes laterales a los muros que lo soportan,
provocó importantes daños estructurales a los que hubo que
reforzar y reparar. Ya señala Bottineau 39 que hubo que situar un
andamio en el muro norte para reparar las grietas que provo-
caba la cúpula, y que dicho andamio estuvo instalado durante
ocho años, entre los años 1704 y 1712. Para estas reparaciones de
la cúpula y de los muros se destinaron 3000 ducados.
A pesar de las deficiencias estructurales consta que la cúpu-
la se mantuvo en pie hasta el incendio de la nochebuena de 1734,
necesitando exclusivamente reparaciones de mantenimiento.
Para la decoración de la cúpula se encargó a Luca Giorda-
no la realización de una serie de pinturas dedicadas a la historia
de Salomón, (una orden real del 10 de septiembre de 1703 en-
cargaba a Ubilla al marqués de Villena, virrey de Nápoles, que
pidiera al artista la terminación de los cuadros) el pintor murió
el 12 de enero de 1705 por lo que no pudo acabar todo el trabajo
encargándose su discípulo Solimena de terminar las pinturas.
A pesar de esta modificación de la Capilla que ocupó
parte del principio de siglo, el Alcázar seguía teniendo de-
masiadas reminiscencias del régimen anterior. Generando el
rechazo ya conocido del Rey hacia las estancias del Alcázar,
no tanto a la reina, que el 5 julio de 1702 escribía a Madame
Royale « Os diré que la ciudad y también mi palacio me han
parecido mucho más bellos de lo que imaginaba » 40 y seguía
« voy hermosear un poco mi palacio, es decir aquello que pue-
da hacerse sin grandes gastos ».
Para ello se apoyó de su camarera Mayor, Madame de Ur-
sinos que se esforzó en adecuar las estancias a los orígenes ver-
sallescos de los monarcas y de su entorno. Buscando potenciar
el esplendor del monarca y la comodidad del Palacio.
Las transformaciones realizadas en estos primeros mo-
mentos se fueron realizando en función de las necesidades y
38
muñoz, op. cit., p. 61.
39
bottineau, Philip... op. cit., p. 42.
40
bottineau, El Arte... op. cit., p. 249.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 161

oportunidades. Las zonas de servicio se aumentaron en detri- 41


Beatriz Blasco Esquivias recoge
mento de algunas de las célebres salas del Alcázar. Cerca del en su tesis doctoral sobre Teodoro
Ardemans un pormenorizado desarrollo
cuarto de la Reina se adecuaron aposentos para las damas y a los de estas actuaciones, describiendo
las obras a realizar y considerando su
mozos de guardarropa que se les alojó en la galería del cierzo) 41.
financiación, muchas de las siguientes
En 1702 se puso un nuevo suelo en la Sala de Furias 42. En referencias corresponden a dicho
texto. b. blasco, Teodoro Ardemans y su
esta pieza habían decidido los jóvenes monarcas establecer su
entorno en el cambio de siglo (1661-1726).
dormitorio, al estar situada cerca del cuarto de la Reina, donde Aspectos de la Arquitectura y el Urbanismo
madrileños de Felipe II a Carlos III, Tesis
podía tener cerca a la Camarera Mayor y su sequito, y lejos de doctoral Universidad complutense de
espacios más lóbregos y militares como eran el antiguo quarto del Madrid 1990.
42
rey. La pieza de Furias y su entorno se convertirían en el centro Denominada así porque había
alojado una serie de cuadros de Tiziano
de la vida privada de los Monarcas. La alcoba de los monarcas se que la reina María de Hungría había
abrirá con dos puertas grandes hacia el corredor de la Galería de encargado en 1548-49, en la que el
denominador común era el castigo ante
la Reina, por donde la sala se ventilaba e iluminaba, con una puer- un hecho delictivo conocidos como Las
ta hacia la antecámara junto al Salón de Comedia y con un pasadi- Furias. De los cuales sólo pudo realizar
dos: Tizio y Sísifo pero que se colgaron
zo realizado en el grueso muro de la antigua torre de Bastimento en esta estancia.
que conectaba con las estancias de la reina. La antigua conexión 43
agp sa, leg 712. Recogido en
con la Sala de los Espejos se clausuró para evitar el paso. berbetio, op. cit., p. 204.
44
El 27 de julio de 1702 la reina ordena que «que la pieza que agp sa, leg 712. En este artículo
Juan Luna recoge el inventario de las
llaman de la Furias se suele toda de azulejos», a partir de un dibujo pinturas trasladados por orden del
de solado realizado por Teodoro de Ardemans, utilizando diferen- Marques de Villafranca a las estancias
de la Reina. j. luna, Las pinturas del
tes colores de los habituales, y que se describen de la siguiente cuarto de la reina Maria Luisa Gabriela
manera «las baldosas deben ser blancas, negras y azules y negras» de Saboya en el Alcázar de Madrid 1703
en “Anales del Instituto de Estudios
y «las florecillas de los medios, amarillas», y «se adbierte que los madrileños XV”, 1978, pp. 187-206.
azules han de ser claros muy hermosos y celestes y los negros tam-
bién han de ser muy oscuros y los blancos muy blanco y derecha-
mente pintados y todos los colores con grande igualdad» 43.
Una vez solada, esta sala se completó montando cristales
en dos puertas e instalando un espejo sobre la chimenea. En
abril de ese mismo año el marqués de Villafranca nos informa
que se habían hecho doce cornucopias de madera tallada y do-
rada y dos pies para escritorios y « Para completar el aderezo de
la estancia se da orden que de las pinturas que hay en el cuarto
bajo de Palacio se den las que fueran necesarias para el adorno
del cuarto nuevo y que concurran a escogerlas Francisco Igna-
cio Ruíz y el maestro mayor » 44. Eligiéndose para este fin obras
de Rubens y Jordán entre otros.
En 1703 las obras se dedicaron a adecuar las salas alrede-
dor de esta Pieza de las Furias, y la galería meridional del patio
de la reina, donde se habilitaron gabinetes para servicio de la
soberana y de su sequito. Esta galería del patio se dividió con
tabiques para alojar una antecámara para la reina frente a la
puerta de la Sala de Furias y un gabinete para Mme. de Ursinos.
En el ángulo sureste del patio, junto a la capilla, se encontra-
ba un pequeño cuarto adjudicado a la Camarera Mayor, donde
los monarcas pasaban mucho de su tiempo privado. Todas estas
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 162

estancias se adecentaron con diferentes obras menores, consi-


stentes en limpieza, dorados, realización de chimeneas, coloca-
ción de vidrios, solado de estancias, en definitiva trabajos de
mantenimiento y decoración según el nuevo estilo, realizado sin
grades obras de albañilería, sino con maderas, dorados y yesos.

Segundas reformas, recogidas en el nuevo plano


de Ardemans de 1709 45

A finales de 1705 los reyes deciden trasladar su dormitorio


de la Pieza de las Furias a la alcoba adyacente junto al Salón Do-
rado, que se había utilizado como antecámara, y que en el plano
45
Sección sur-occidental del plano
de 1705 figuraba como Pieza nueva de los Gabinetes y que ya en el
del piso principal del antiguo Alcázar
de Madrid con indicación de la alcoba plano de 1709 figura como Dormitorio de Sus Magestades. Este tra-
donde murió el Rey D. Carlos II de
slado convertía la Sala de Furias en la estancia privada de los mo-
Teodoro Ardemans {1709} Archivo:
Patrimonio nacional. Archivo General narcas donde convivían con su séquito y con la Camarera mayor.
de Palacio signatura de la relación
de planos nº 214. Descripción: Plano
Es decir, el centro neurálgico de la vida privada de los monarcas.
del piso principal en la zona oeste, Para adecuar el entorno de la nueva alcoba para los mo-
representando las estancias alrededor
del patio del Rey y la capilla. Es un
narcas, el Salón Dorado se recortó creando una nueva cámara de
plano orientado al oeste. Fecha: No uso privativo de los monarcas denominada Pieza del Cancel que
figura atribuible a 1709. En 1989 Karin
Helwig Konnerth, publica y analiza
separaba la alcoba de los monarcas de la Sala de Comedias y que
este plano del Archivo de palacio, y además permitía el acceso de una manera privada de los monar-
tras un completo análisis publicado
en Archivo español del arte la autora
cas a la capilla sin ser vistos. Hay que tener en cuenta que la salida
termina asegurando que este plano fue a Capilla de monarca según la etiqueta borgoñona exigía un am-
realizado por Teodoro Ardemans en
1709 y que es el plano que utilizó Justi
plio recorrido por diferentes las estancias, y el acceso principal a
para realizar una copia. Esta copia la capilla no era por el cancel sino por las puertas del patio 46.
fue publicada con una monografía de
Velázquez en 1888, siendo por tanto el
El Salón de Comedias también se recortó por el extremo
primer plano conocido de la planta del opuesto, con la creación de una nueva pieza que se denominó
Alcázar. k. helwig konnerth, (1989) “Un
plano del siglo XVIII del Alcázar de vestuario de las comedias, dando la sensación de que esté gran
Madrid” en Archivo español del Arte nº espacio interior oscuro, sólo iluminado por una fila de venta-
245, pp. 35-46.
46
nas por encima del corredor del patio, perdía representatividad,
Ver a. rodríguez villa, Etiquetas
de la Casa de Austria, Madrid 1913, quedándose como lugar para el teatro y la comedias, cobrando
(Primera edición de 1875 en la protagonismo el nuevo Salón de los Grandes, anexo a éste pero
Revista Europea) donde se describe
el recorrido Planta de la Capilla de situado ya a poniente con los balcones a la plaza de palacio.
palacio quando su magestad sale En el plano también se puede comprobar como el corre-
en publico a missa o víspera. Se
podría entender que la este ritual del dor del patio del rey colindante con la sala de comedias se cierra,
protocolo de los Austrias se hubiese y se instalan unas necesarias (come se denominaban al retrete)
abandonado a partir de la llegada de
los borbones pero no parece cierto en la esquina del mismo con la Capilla seguramente para dar
cuando el Rey Felipe V encargó a servicio a los monarcas.
Joseph Espina y Navarro la realización
de una copia de las etiquetas para Las obras del nuevo dormitorio de los monarcas se sitúan
su uso en 1731, conservadas en la en la primavera de 1706 47, pero debemos tener en cuenta que
Biblioteca Nacional de España ms. 9147.
47 este año a causa de un episodio de la guerra de sucesión el rey
Teodoro Ardemans formó las
nóminas para realizar estas obras se vio obligado a abandonar la ciudad, y el palacio fue ocupado
entre los meses de abril y agosto de por los seguidores del archiduque Carlos, lo que retrasaría sin
1706, según recoge Beatriz Blasco,
se trabajó con entusiasmo incluso
los domingos para acortar el salón
de Comedias. b. blasco, Teodoro
Ardemans... op. cit., p.560.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 163

duda las obras. La ocupación no fue muy prolongada porque 48


Beatriz Blasco recoge el informe
en octubre de ese año, Ardemans realizó un informe de los des- completo enviado por Ardemans al
rey a través de del Condestable y el
perfectos que había sufrido el Alcázar durante la ocupación. El Superintendente. Ibidem, p. 560.
informe describía que no se habían producido muchos daños 49
Todas estas referencias en agp
libros de Acuerdos de las Juntas de
y que fundamentalmente habían sido destrozos en puertas, y
obras y Bosques, reg 37. Recogido en b.
algunos balazos en determinadas estancias 48. blasco, Teodoro Ardemans... op. cit., p.
568.
A partir de la salida del enemigo del palacio, se retomaron
50
Ibidem, pp. 569.
las obras de estas alcobas con un carácter meramente decorati-
51
bottineau y., El arte… op. cit.,
vos para ennoblecer la zona privada. En marzo de 1706 la reina p. 303. Yves Bottineau recoge que
ordenó que se le dieran de la munición del Retiro los azulejos cómo fueron seis albañiles, cuatro
carpinteros, dos soladores, un
necesarios para su cuarto “de los que tuvieran sueltos y senta- fontanero y veintiún peones los que se
dos en ese Real Palacio, en el cuarto que llaman Reina Madre” encargaron de esta obra para la que se
invirtió 11.482 reales y 25 maravedíes.
En noviembre al regreso de los monarcas a Madrid ordenaron
que se entregaran “tres columnillas de mármol, que están en la
munición de ese real sitio y han de servir para una chimenea
en el cuarto de la reina”. También se dispuso de la entrega de
cuadros del Buen Retiro como los de la historia de Salomón
pintados por Jordán y los cuatro tiempos de Maratti 49. En este
momento también se aprovecharon para confiscar bienes a los
desleales tras la ocupación, ordenando que se entregaran a Ar-
demans todos los cristales y espejos “que hubiera en las casas
que fueron de Don juan Enríquez de Cabrera”50.
En el plano conservado en AGP atribuido a Ardemans
de 1709 se recogen muchas de las modificaciones realizadas en-
tre 1706 y alguna nueva como una nueva comunicación entre el
Salón de los Espejos y la Sala de Furias, una vez que ésta ya no
era la alcoba real, y dicha cámara había clausurado la comunica-
ción con el Salón de Espejos, se debió abrir un paso para mejo-
rar la comunicación entre las crujías de fachada y las interiores. 6.
Teodoro Ardemans 1709. Sección sur-occidental
Es en estos años cuando se acomete las obras en el Salón del plano del piso principal del Alcázar de Madrid
de los Grandes, liberándolas de las alcobas que lo dividían y que AGP. Madrid.

en el plano están representadas con línea discontinua donde se


adivina su futura desaparición y que figuran con la leyenda al-
coba y dos piezas que acompañan donde murió el Sr Carlos segundo.
Según las cuentas del pagador este trabajo se realizó desde el
7 de septiembre al 9 de octubre de 1709. En tan poco tiempo,
se entiende que sólo se procedería al derribo de las estancias
para liberar el espacio 51. Años después René Carlier sería el en-
cargado de completar la reforma de la sala. En el mismo plano,
otra leyenda, señala tres estancias en el ala de poniente, con un
tratamiento gráfico similar, que indican su provisionalidad con
una leyenda que dice piezas que eran de la Antigua guarda Ropa.
De SM que muestra parte de lo que serán las siguientes obras.
Basadas en ampliar las cámaras retirando los elementos que las
dividían en espacios tortuosos característicos del viejo Alcázar.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 164

En este momento hay que introducir dos personajes que


luego tendrían importante influencia en la arquitectura palacie-
ga Robert De Cotte y René Carlier. En 1708 se le pidió a Robert
De Cotte Primer Arquitecto del rey de Francia que diseñara
una ampliación del palacio del Buen Retiro al gusto francés. El
proyecto fue realizado por el arquitecto en París pero no llega-
ron a enviarse los planos a Madrid por las dificultades creadas
por la guerra de sucesión entre 1708-1709. Esta peticiones de-
muestran la dependencia con los supuestos artísticos franceses,
que se refuerzan con el hecho de que los planos del Alcazar que
disponemos para esta investigación eran copias enviadas a París
para que los arquitectos de la corte de Versailles realizaran pro-
puestas de modificación a la francesa de los espacios del Alcázar.
Años después, en 1712, Robert De Cotte, junto con unas
propuestas decorativas para el Alcázar, envío a la corte una se-
gunda propuesta para el palacio del Buen Retiro, esta vez enviada
junto con un ayudante suyo, René Carlier, que finalmente se hizo
un hueco dentro de la corte y del que hablaremos más adelante.

Las reformas hasta 1711, el plano de Antoine du Verger 52

52
Plano de Antoine Du Verger 1711.
Para seguir conociendo la transformación del Alcázar en-
Archivo: Bibliothèque Nationale de tre 1709-1714 podemos basarnos en el plano y en las secciones
Paris, signatura Vb 147, leyenda Hd
135b Descripción: Plano de la planta
realizadas por Antoine Du Verger fechadas en 1711.
principal orientada sur Fecha: 1711 Antoine du Verger era un diplomático francés aficionado
Técnica: Tinta sobre papel Firma: no
tiene Escala: no tiene Publicación:
a la pintura y a la arquitectura, y parece que bastante competen-
En 1955 Yves Bottineau publica este te en ambas artes, como demuestra que en 1705 realizó un retra-
plano de la planta principal del
Alcázar aunque atribuyéndoselo a
to de Felipe V y Maria Luisa de Saboya, seguramente motivado
René Carlier, (que llego a Madrid en por su origen francés y el rechazo que todavía en esa época los
1712) En un estudio posterior de 1976
Yves Bottineau rectifica y lo atribuye monarcas tenían hacia los pintores españoles. Y parece ser que
definitivamente a Antoine de Verger la misma desconfianza hacia los arquitectos, llevó el marqués
datándolo en 1711.
53
de Bonnac, embajador francés de Luis XIV, a encargarle a este
Ver la correspondencia cruzada
entre Madame de Ursinos y los arquitecto aficionado la realización de este plano y las secciones
monarcas españoles y franceses donde que le acompañaban, con intención de enviarlo a Francia para
alaban los cabios realizados y la “buena
apariencia en vez de los pequeños y mostrar al Rey francés los cambios y avances conseguidos en
espantosos pasadizos que antes había” el palacio 53 y para que el primer arquitecto Robert De Cotte
Mme. de Ursinos a Mme. de Martinon
28 de noviembre de 1711 en bottineau, pudiera sugerir nuevas intervenciones en el palacio 54.
op. cit., p. 303. En octubre de 1711 se decidió enviar al diplomático a la
54
Finalmente estos planos corte para revisar las obras del Buen Retiro y comprobar la con-
quedaron conservados en el gabinete
de estampas del arquitecto francés, fortabilidad y el embellecimiento de los Sitios Reales. El 2 de
conservándose en ese archivo en la noviembre el embajador tras su visita al Alcazar le indica al Mo-
Biblioteca Nacional de Paris.
55 narca que le enviara unos planos del Alcázar con explicación
Ver y. bottineau, El Arte.., op.cit,
pp. 314-315. En este mismo libro se de las obras que se están haciendo. Dichos planos se realizaron
recogen en la página 692-693 las en noviembre de 1711 y fueron enviados el 29 de diciembre 55.
explications completas de A. De
Verger al plano y a las secciones. Ver
también y.botiineau, Antoine du Verger
et L’Alcazar de Madrid, en “Gazzete de
Beaux Arts”, 1976, pp.178-180.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 165

Posteriormente Antoine du Verger en 1713 fue nombrado cónsul 56


Ver barbeito, El Arte… op. cit., pp.
de Francia en Lisboa y abandonó la corte madrileña. 210-211, donde analiza los planos y las
imágenes del Alcázar desde el exterior
En otoño de 1711 madame de Ursinos estaba dirigiendo las de Houasse y del viaje de Cosme de
Medici y las diferencias entre los
reformas de la galería occidental del patio del rey, despejando de
planos existentes, concluye Barbeito
tabiques las salas y dejándolas en estancias amplias, y diáfanas como que “alguna de las representaciones
es imprecisa o fue alterada con
se puede comprobar en la sección B de este conjunto de planos.
posterioridad”.
En la planta también se puede comprobar como el salón
de comedias se había modificado, generando un eje monumen-
tal desde la cámara de las Furias hasta la fachada de poniente,
sustituyendo la anterior sala dedicada al vestuario de las come-
dias por una cámara del rey. En la descripción del plano que
dejó Antoine du Verger se indica que este eje acaba con una
fuente en unos de los torreones que miraban al rio Manzanares,
la demolición de esta torre no queda claro cuándo y cómo se
hizo porque las representaciones son un tanto contradictorias
en cuanto a los planos y los cuadros que lo representan 56.
La descripción que hace Antoine du Verger de este eje,
denominado D, corresponde con la idea de generar espacios
abiertos y con perspectivas.

« Corte de las cámaras y de un Salón marcado en el plano


con RSTYZ y de una de las antecámaras marcada con una
G y también de un paso a la pequeña terraza donde hay una
fuente que remata esta bella perspectiva, en las piezas colga-
ban ricas tapicerías y en el Gran Salón están los hechos de los
apóstoles pintados por Rafael» .

En esta sección podemos ver representadas los doseles de


las camas de los monarcas aunque la cámara del rey (R) parece
que era más representativa que real, ya que estaba situada en
un paso y los monarcas seguían compartiendo la alcoba de la
reina (Y). En cualquier caso se puede comprobar la Pieza de las
Furias (Z) con la decoración que se había hecho años antes y la
nueva pieza del Cancel (T).
Otra sección significativa es la nombrada como C, que sirve
para ver los salones más representativos de la corte hacia el exte-
rior; el Salón de Espejos (I), la Sala Ochavada (K) y el Salón de los
Grandes (L) todos ellos representados en un corte hacia la fachada
principal. En el Salón de los Grandes seguían todavía las obras de
acondicionamiento ya que todavía no había completado su deco-
ración y que se prolongó, como veremos después hasta 1719.
El Salón Ochavado está ricamente representado, con co-
lumnas, nichos con estatuas y ricas molduras que contrasta con
el resto de la representación de todas las estancias. El estilo
de la corte española se basaba en generar paños limpios que
7.
Antoine Du Verger 1711. Plano de la planta principal
del Alcazar de Madrid. Bibliothèque Nationale du
France. Paris.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 166

pudieran alojar tapices y cuadros, y que permitieran la decora-


ción de los salones y su transformación según circunstancias, o
incluso ciclos estacionales. No así el modelo de Versalles, donde
la escultura y los elementos decorativos adquirían un carácter
más orgánico y estructural entremezclándose la decoración con
los paramentos, incidiendo en la configuración espacial y con-
structiva de las salas. El salón ochavado podría ser un ejemplo
de este estilo heredado de Francia.
Este estilo constructivo era una de las principales preocu-
paciones de la princesa de Ursinos que dedicaba mucho de sus
esfuerzos en transformar los paños a base de escayolas, espejos
con sus tremós, e importantes chimeneas con molduras doradas.
El Salón de los Espejos muestra los tres balcones del eje
8. de la fachada desde donde los reyes se mostraban en público y
Antoine du Verger, 1711. Alcazar de Madrid. Sección asistían a las representaciones que en la plaza se celebraban. En
B. BNF. Paris.
el grabado de Pallota [ 5 ] se puede ver al rey Felipe V asománd-
9. ose a la plaza desde esta posición. En este salón, asimismo, se
Antoine du Verger, 1711. Alcazar de Madrid. Sección
D. BNF. Paris dispuso un trono al final de esta enfilada para enfatizar con im-
portantes perspectivas las recepciones del monarca, poco fre-
10.
Antoine du Verger, 1711. Alcazar de Madrid. Sección cuente en la dinastía anterior.
C. BNF. Paris. Otra sección, denominada con la letra E, corresponde al
Cuarto de la Reina representando los balcones que daban a fa-
chada, es una continuación de la sección C con la que podríamos
entender el trasdós completo de dicha fachada. Está representada
la sala del toilet y acabando en el muro grueso que pertenecía a la
torre de la Reina. Esta zona había sido reformada años anteriores.
Por último la sección A 57 corresponde a la sala de guar-
dias F ya las dos antecámaras situadas en el ala norte del patio
del Rey, se puede comprobar que es un corte sin ventanas y que
las alturas de todas las crujías son similares en todo al palacio.
El hecho más destacable es la representación de las chimeneas
tanto de frente como en sección.
Es significativo que entre los planos que se envían al
monarca francés como demostración de la transformación
del Alcázar se aporten estas secciones longitudinales parciales
poco frecuentes en los usos arquitectónicos. Lo que significa el
interés por trasmitir a la corte de Versalles cómo los espacios
compartimentados, característicos de los Austria, iban desapa-
reciendo y se empezaban a conseguir palacios abiertos con im-
portantes enfiladas, muy del gusto de la dinastía francesa. Para
reforzar ese efecto se modificaron las puertas de ingreso en las
57
habitaciones, de tal manera que pudieran formarse grandes sa-
Sección A. Corte de la Sala de
guardas y las dos siguientes hasta la lones según este modelo francés descrito 58.
esquina, la primera marcad en le plan En estos años Teodoro Ardemans como responsable de
con E y las otras dos con G.
58 las obras de mantenimiento de palacio, estaba inmerso en la
j.m.moran turina, El palacio como
laberinto y las transformaciones de Felipe
V en el Alcázar de Madrid, en “Anales
del Instituto de Estudios Madrileños”,
XVIII 1981 pp. 251-264, pp. 261.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 167

reparación de la galería de poniente sobre el río Manzanares. 59


Puede ampliarse esta
Este ala que era el más antiguo del Alcázar y que a lo largo información en blasco, Teodoro
Ardemans… op.cit., pp. 585-591.
del tiempo menos transformaciones había recibido mantenía 60
bottineau, El Arte… op.cit., p. 305.
su estructura de fortaleza medieval con los torreones defen- 61
La reina quiso prohibir
sivos sobre la cornisa. En 1707 Ardemans, preocupado por el determinadas piezas del atuendo
femenino que se arrastraban y
estado de la edificación, advertía al Monarca que además de las
levantaban polvo al caminar.
obras de decoración interior había que acometer la reparación
estructural de esta zona del palacio. Tras la insistencia del ma-
estro mayor, el monarca accede y aportó los fondos necesarios,
por lo que se debieron acometer las obras, ya que no se vuelve a
saber de ellas hasta 1711 que se están finalizando por lo que Mme.
de Ursinos interviene para sugerir la distribución de las estan-
cias, muy probablemente las recogidas en el plano de Verger.
La realización de estas obras necesarias para la consolidación
estructural del ala retrasó una vez la conclusión del salón de los
Grandes que retomará Teodoro Ardemans en 1713 59.

René Carlier 1712-13 y las influencias francesas.


Plano del Parquet

Como ya se ha indicado anteriormente, René Carlier llegó


a España en febrero de 1712 como enviado del primer arqui-
tecto francés Robert De Cotte, en principio venía como mae-
stro Mayor de las obras del Buen Retiro para transformar los
jardines al estilo versallesco. La llegada de Carlier no fue de-
masiado bien recibida por los maestros de la corte provocando
un enfrentamiento con Teodoro Ardemans, Maestro Mayor y re-
sponsable de todas las obras relacionadas con los Sitios Reales.
Parece ser que a partir de la marcha de Antoine du Verger a Lis-
boa, Carlier asumió más protagonismo en las obras del palacio,
y apartó a Ardemans de las obras de corte decorativo relegando
al maestro mayor a las reparaciones de palacio.
Mientas Carlier trabajaba en el buen Retiro Mme. de Ur-
sinos le encargó, para estancias del Alcázar, la realización del re-
vestimiento de paredes en madera y el diseño de cuatro nuevas
chimeneas. Estos diseños, una vez realizados, la princesa deci-
dió enviarlos para la aprobación del Primer Arquitecto francés,
Robert De Cotte, el 22 de junio de 1712. Una vez más desde Fran-
cia se pretendía tutelar el estilo de la Corte española 60.
En este momento también se decide sustituir el embaldo-
sado de las estancias con entarimados de madera de sensación
mucho más cálida. Las estancias del Alcázar estaban soladas con
ladrillo, en general mal cocido que generaba mucho polvo, y que
no agradaba a la reina 61. Por lo que Carlier se encargó de este
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 168

cometido intentando, en un principio, proveerse de maderas en


España. Después de una primera búsqueda las maderas encon-
tradas no eran de su agrado ya que sólo se utilizaba el pino y el
abeto. Por lo que decide traerlas de Francia, para ello realiza un
plano, conocido como el plano del parquet 62, que envía a París
para que allí se hiciera el despiece y la compra de la madera ne-
cesaria para dicho solado. Este plano parcial recoge las estancias
principales de la primera planta del ala meridional y es un plano
de mayor rigor técnico que los anteriores, ya que además de estar
11.
acotado y muestra algunas modificaciones descritas anterior-
Plano del Parqué 1712-1713 Archivo: Robert De mente pero con elementos estructurales reales, no simplemente
Cotte; conservado en el Cabinet des Estampes de
la BNF. Paris. representativos como en los planos de Ardemans o Verger. Las
divisiones realizadas de la Sala de Comedia ahora se representan
como tabiques con el grosor razonable y no como muros de los
planos anteriores, o la conexión entre la Sala de Furias y el Quar-
to de la Reina tiene trazas constructivamente más razonables.
Asimismo en este plano se puede comprobar como el
cancel de la capilla seguía dividido en tres partes tal y como se
hizo en tiempos de Gómez de Mora y que la representación un
tanto menos rigurosa del plano de Verger, había hecho suponer
que se había unificado en un único espacio.

Secciones de Robert De Cotte

Siguiendo con la dependencia de los arquitectos de la Cor-


te de Versailles antes indicada, a principios de 1713 Carlier soli-
citaba un encargo de muebles al Primer Arquitecto, que fueron
realizados por André-Charles Boulle a partir de los dibujos de
Robert De Cotte. Se trataban de una cómoda y un escritorio de
62
Plano del Parqué 1712-1713 madera de Indias «con sus adornos de bronce con oro molido» 63.
Archivo: Robert De Cotte; conservado
en el Cabinet des Estampes de También se realizaron dibujos desde Francia para la pieza ocha-
la Bibliotèque Nationale de Paris vada, dando constancia de ello una carta de De Cotte, del 17 de
con signatura Vd 29 y Vb 147 t.1
Descripción: Este es un pequeño plano noviembre de1713 donde el arquitecto indica que ha encargado
que representa una pequeña parte de al señor Guesnon «la carpintería de los Tremós, de los altos de la
la sección sur de la planta principal.
Fecha: 1712 Técnica: Tinta sobre plano. chimenea, y del entarimado de la pieza ochavada, todo por 5000,
Firma: No tiene. Escala: No tiene. las esculturas de madera de Dugoulon ascenderán a 6000 l...».
Publicación: ORSO Steven 1986 Philip
IV and de Decoration of the Alcazar of Otras obras de la Pieza de las Furias las conocemos por
Madrid Princenton 1986 publica el la correspondencia entre De Cotte y Carlier, desde Francia se
denominado “plano del parqué” citado
previamente por bottineau, Philip. habían enviado unos dibujos y Carlier informaba sobre el avan-
63
bnf Cab des Est. Hd 135b, 1019-42. ce de las obras y de las dificultades que estaba teniendo 64.
En bottineau, El Arte… op.cit. p. 306 Se conservan unos dibujos de De Cotte correspondientes
André-Charels Boulle era un famoso
ebanista de la corte de Luis XIV. a secciones decorativas de la Sala del Himeneo (antigua sala
64
En particular un desajuste de de Comedias) y de las Cámaras de la Reina y del Rey. Dichos
la puerta del corredor con la puerta dibujos representan unas decoraciones, a base de molduras,
del dormitorio de la Reina que recoge
Pierre Marcel en p. marcel, Inventaire
des papiers manuscrits du cabinet de
Robert De Cotte et de Jules Robert De
Cotte, Paris 1906.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 169

espejos con grandes tremós y esculturas, todas ellas realizadas 65


bottineau, El Arte… op.cit., pp.
para el mayor embellecimiento de las estancias reales, donde se 306.
66
alojarían las chimeneas diseñadas por Carlier 65. Estos proyec- Ibidem, pp. 313-314 (44b).
67
Ibidem, p. 448.
tos no llegaron a completarse, ni los dibujos llegaron a Madrid
68
René Carlier que a su llegada
ya que tras la muerte de la Reina se trastocaron muchos de los
a la corte en 1712 tuvo una posición
planes que madame de Ursinos había esbozado. difícil por su dependencia de Robert
De Cotte y de Mme. de Ursinos, y su
También en 1713 hubo un planteamiento más ambicioso de relación complicada con Ardemans.
ampliar el Alcázar con motivo del aumento de la familia real. Para En cambio tras la llegada de la nueva
reina se asentó como arquitecto del
ello se pretendía construir en la plaza de palacio a partir de la corte calificado como “arquitecto
torre cuadrada, ocupando el espacio cedido a la guardia de corps mayor del retiro”. Aunque su delicada
salud le maltrató y le retiró al Escorial
junto a la entrada de Palacio 66. Finalmente, esta ampliación no se a cuidarse antes de morir en 1722.
aprobó y no consta quien era el responsable y autor del proyecto. Habiéndose integrado en la corte del
rey con el matrimonio de sus hijas
con allegados al monarca. v. tovar, La
capilla de Palacio del Pardo, en “Reales
Sitios”, nº 59 (1979), p. 32.
1714-1734 el fin del Alcazar

La llegada de una nueva reina de origen italiano supuso


la caída en desgracia de la Camarera Mayor Princesa de Ursinos
que fue expulsada del país definitivamente el 25 de diciembre
de 1714, este hecho supuso un importante cambio en las de-
cisiones sobre las obras a realizar dentro del Alcázar. Aun así
se mantuvo un estilo próximo a las influencias que venían de
Versailles. Un testimonio visual de ello está recogido en cuadros
de la vida cortesana de la época, particularmente en los famosos
retratos de la familia de Felipe V realizado por Jean Ranc en
1723 y el de Louis-Michel van Loo veinte años después. En estos
cuadros se sitúan a la familia real en unos espacios, que aunque
no se ajustan a unas estancias reconocidas dentro del Alcázar,
sí que están decoradas y ambientadas muy al estilo francés de
la época. Están representados bronces, cortinajes y mobiliario
de un estilo importado de la corte de Versailles, fabricado en
Madrid conforme al estilo francés, como demuestran algunas
partidas de cargos.
Bottineau recoge como en 1717 se talló y se labró, a “la
francesa”, un conjunto de sillas de nogal, forradas de seda para
el Alcázar. En este mismo año se hizo una mesa de nogal para
que Felipe V pudiera comer en la cama, forrada de terciopelo
color carmesí reforzada con galón de oro 67.
El estilo del Alcázar por tanto seguía siendo deudor del
gusto francés, aunque la mano de obra fuera local y se admitie-
ran elementos decorativos de influencia italiana y española
En 1716 el rey encargó a René Carlier, de nuevo, el rea-
condicionamiento de la Pieza de Furias y la Cámara de la reina
situada anexa la anterior 68. La orden fue dictada el 15 de julio
de 1716 con el siguiente cometido « hacer uso de los biombos de
12.
Decoración interior de la sala del Himeneo. Robert
De Cotte 1712-13 BNF Paris.
Siti reali in Spagna. Madrid e dintorni 170

la china y de las Alhajas procedentes de la sucesión del difunto


señor delfín » 69. Junto a este mobiliario también se debían utili-
zar unos espejos y bronces de chimenea que habían sido traídos
de Francia seguramente de la época de Mme. de Ursinos y que
todavía no habían sido ubicados. Las obras en la Cámara de la
Reina consistieron en la instalación de una chimenea tallada
en Madera. El diseño correspondía a Carlier aunque el maestro
carpintero que lo ejecutó fue Miguel Esteban. Posteriormente
13. para la decoración con bronces y el remate de un marco oval,
Decoración interior de. Robert De Cotte 1712-13
BNF Paris.
para un cuadro, se contó con la participación del platero Anto-
nio Fernández Cantero 70.
En la relación de obras de 1716 se explica que la Pieza de
las Furias hay “óvalos y redondeles” que deben ser cerrados con
pinturas, para lo que Carlier solicita permiso para utilizar aquel-
las pinturas que no tenían ubicación entre las dependencias del
Alcázar y el Buen Retiro. Lo que se le concede y procede a bu-
scar entre los inventarios reales posibles obras a utilizar. Como
complemento a las pinturas, propuso el pintar varias partes de
la sala en monocromata en armonía con los biombos. Se había
decidido el utilizar los biombos dividiéndolos en parte para
ubicarlos en diversas partes de la sala, aunque Carlier prefería
14. mantenerlos enteros, por lo que proponía:
Decoración interior del paño norte del quarto de
la reina. Robert De Cotte 1712-13 BNF Paris. «poner en su lugar espejitos unos tras otros, cuyas junturas
se cubrirían de ornamentos de escultura en forma de repisas
doradas, sobre las que se colocaran vasos, bronces y otras
alhajas» 71.

Tal y como tenía Luis XIV su cristalería en el gabinete del


consejo y en la galería pequeña de Versailles 72.
La pintura monocroma de los paños se completó, pero
los espejos traídos de Francia no se pudieron montar, ya que
69
Queda recogida mucha de eran demasiado grandes, por lo que se sustituyeron por cuadros
la documentación referente a esta hasta que los espejos se cortaron y se enmarcaron conveniente-
etapa de René Carlier en la Corte en
el expediente recogido en Archivo mente, completándose la reforma antes de 1721 73.
Histórico Nacional sección Estado Esta obra tuvo diversas dificultades unas económicas, por
signatura 2669 en este caso p. 143).
70
una dudosa gestión de dos partidas de 200 doblones de plata
(ah Sección estado 2669, 138).
71
dados por el Monarca, y por otra por las quejas de Teodoro Ar-
(ah Sección estado 2669, 143).
72
demans respecto a la capacidad del arquitecto francés para la
Ver a este respecto blasco,
Teodoro... op. cit., pp. 610-177. gestión de las obras que se recoge en una carta enviada el 3 de
73
Se pierde la pista de los biombos, enero de 1717 a Grimaldo, secretario de estado, donde Ardemans
aunque en La Granja se utilizaron escribía que Carlier no sabía dirigir a los obreros.
estas piezas decorativas, aunque no
parece que fueran los mismos. Otra de las obras que continuaron en estos años fue la
74
9 de octubre de 1709 se transformación del Salón de los Grandes que se había inter-
paralizaron las obras y el 26 de enero rumpido en 1709 74 y que no se pudo continuar hasta que se
de 1715 Ardemans en su ya descrita
disputa con Carlier, escribía seguía
criticando a su homólogo francés
indicando “más pierde que gana en
estar así”.
Enrique Castaño Perea El Alcázar de Madrid en el siglo XVIII 171

consiguió una provisión económica en 1717, reanudándose en- 75


l. saint-simon, Memorias: (Saint-
tonces la obra y continuándose hasta finales de 1719. En estos Simon en España Memorias, junio de
1721-abril de 1722), Universidad de
años se reemplazaron las carpinterías de techo, ventanas y puer- Alicante 2008 (1ª ed. 1879), p. 239.
tas. Se doraron de nuevo los marcos de los cuadros, quedando 76
Consta que en marzo de 1723
Jean Ranc ya estaba ejerciendo en
un salón deslumbrante y espléndido, tal y como el embajador
Madrid y posteriormente se instaló
Saint-Simon describió tras su participación en un baile en no- como pintor de cámara en la galería
del Cierzo del Alcázar, aunque lo
viembre de 1721: “el salón que es vasto y está adornado de modo corriente era alojar a los pintores en la
soberbio con bronces, mármoles dorados y pinturas 75. Casa del tesoro, este hecho fue clave
posteriormente en el momento del
Estas serían las últimas obras importantes que se realiza- incendio.
ron en el Alcázar. Justo antes del incendio sólo quedan docu- 77
Juan Román, Maestro Mayor que
mentados algunas obras de decoración de los aposentos reales había sido nombrado el 11 de junio de
1727 y que ocupaba el cargo el año del
que fueron ideadas por el pintor francés Jean Ranc 76 y con la incendio.
ejecución de las fábricas por el Maestro Mayor, Juan Román 77. 78
Según descripción de Felix De
El pintor de cámara se encargó de rehacer la decoración, Salabert recogida por barbeito, op. cit,
p. 218.
las cornisas y los frescos en la antigua Torre Dorada y en la Ga- 79
Estos datos se conservan en el
lería de Poniente donde demolieron las particiones realizadas expediente de Jean Ranc del Archivo
por Ardemans para hacer un cuarto nuevo, « adornados de ricos Generla de Palacio, Madrid, con el
título: Memoria de la obra que yo Dn
espejos charoles y pinturas de gran precio » 78. Para ello mandó Juan Ranc, Pintor de Cámara, he asistido
comprar doce candelabros de pared de madera sobredorada, y se ha executado con mi dirección en la
Galería de Poniente de Palacio.
espejos y telas 79.
Jean Ranc tuvo un papel clave durante los momentos fi-
nales del Alcázar ya que se le acusó de que el foco del incendio
había surgido de sus aposentos por un descuido de sus ayudan-
tes. Hecho este poco probable ya que el incendió se propagó por
las alas de poniente y mediodía del edificio, y las dependencias
de Ranc estaban situados en la galería del Cierzo y no sufrieron
del incendio. Pero el carácter vanidoso del pintor y su origen
francés habían generado muchas enemistades en la Corte, por
lo que aprovechando la singularidad de que su estudio estaba
situado dentro del Alcazar se dirigieron hacia él las iras tras
el desgraciado incendio. Posteriormente Jean Ranc, buscando
recuperar parte de su prestigio solicitó encargarse de hacer los
inventarios de pinturas y obras de arte rescatadas tras el incen-
dio, como así se le concedió.
En definitiva el Alcázar, durante el siglo XVIII antes de
su incendio, se había ido transformando en un palacio más del
gusto europeo. Consiguiendo liberarse de sus tortuosas salas,
creando grandes recorridos de salas contiguas, con accesos que
una vez abiertos permitirían el recorrerlas descubriendo una
nueva decoración mucho más del gusto de los nuevos borbones.
Aunque toda esta transformación no fue suficiente para que Fe-
lipe V apostara por su conservación el tras el incendio de la
nochebuena de 1734.
SITI REALI IN ITALIA

Torino e dintorni
ANDREA MERLOTTI

LA CORTE SABAUDA
FRA SEICENTO E SETTECENTO
1.
La Cappella palatina (detta poi di Sant’Uberto) della
Reggia di Venaria, particolare della volta.

Le foto della Reggia di Venaria sono di proprietà


del Consorzio di valorizzazione culturale La Venaria
reale, che si ringrazia per averne concesso la
riproduzione.
Da tempo, almeno da alcuni decenni, la storiografia af- 1
Un bilancio della storiografia
fronta la storia delle corti attraverso una visuale comparativa 1. degli ultimi decenni sulle corti
europee è tracciato nei saggi raccolti in
L’interesse per i cerimoniali e i rituali legati alle pratiche e alle The court in Europe, atti del convegno
(Reggia di Versailles, 24–26 settembre
manifestazioni del potere trova una naturale collocazione in un
2009), a cura di M. Fantoni, Roma,
panorama ampio: le corti furono, infatti, luogo preminente di Bulzoni, 2012.
confronto e comunicazione 2. Si tratta d’un approccio che, pe- 2
Le corti come luogo di
comunicazione. Gli Asburgo e l’Italia
raltro, non ha ancora interessato, se non in rari casi, le corti (secoli XVI-XIX). Höfe als Orte der
italiane del Settecento. Gli studi sulle corti di Savoia, Lorena e Kommunikation. Die Habsburger und
Italien (16. Bis 19. Jh.), atti del convegno
Borbone (per limitarmi qui alle tre di maggior rilevanza) 3 hanno internazionale Trento, Fondazione
proceduto per lo più ciascuno sul proprio binario. Questo ha Bruno Kessler, 8-10 novembre 2007, a
cura di M. Bellabarba e J.P. Niederkorn,
finito per non dare il giusto rilievo sia agli elementi specifici di Bologna-Berlin, il Mulino / Dunker &
ogni singola corte sia a quelli comuni. Al contrario, si è spesso Humblot, 2010.
3
insistito sulle derivazioni delle pratiche di questa o quella corte Sulla corte lorenese si vedano:
La corte in Archivio. Apparati, cultura,
italiana da modelli esteri, in specie quello francese, ma anche arti e spettacoli alla corte lorenese di
quello imperiale. Toscana, catalogo della mostra (Firenze,
Archivio di Stato, 15 dicembre 1997- 15
In realtà, un semplice esame delle corti di Torino, Firenze marzo 1998), a cura di A. Contini e
e Napoli permette di cogliere la presenza in esse di pratiche e P. Marchi, Livorno, Sillabe, 1997; a.
contini, Concezione della sovranità e
riti assenti in quella francese. Inoltre, in nessuna di tali corti si vita di corte in età leopoldina (1765-1790),
assisteva ad un abbandono della capitale da parte della corte, in La corte di Toscana dai Medici ai
Lorena, atti delle giornate di studio
come in Francia a favore di Versailles, ma esisteva, invece, un (Firenze, 15-16 dicembre 1997), a cura
sistema di residenze intorno alla capitale, in cui la corte trascor- di A. Bellinazzi e A. Contini, Roma,
Ministero per i beni e le attività
reva anche oltre la metà dell’anno, senza che questo mettesse in culturali, 2002, pp. 129-220; o. gori,
discussione il ruolo della città ove era il palazzo reale (o gran- Una corte dimezzata. La reggia di Pietro
Leopoldo, in Vivere a Pitti. Una reggia
ducale). Una maggior comprensione dei sistemi delle residenze dai Medici ai Savoia, a cura di S. Bertelli
esistenti attorno a Torino, Firenze e Napoli non potrà, quindi, e R. Pasta, Firenze, Olschki, 2003, pp.
291-337. Si veda, inoltre, a. contini, La
non giovarsi da una ricerca comparativa sulle rispettive corti. reggenza lorenese fra Firenze e Vienna.
Le vicende della corte sabauda in età moderna mostrano Logiche dinastiche, uomini e governo
(1737-1766), Firenze, Olschki, 2002.
bene la sua capacità di recepire i costumi di altre grandi corti Sulla corte borbonica la bibliografia è
europee, adattandoli alle proprie necessità. Nonostante una lun- ancora assai esigua: rimando qui solo
all’importante e recente e. papagna,
ga tradizione storiografica abbia individuato nella corte torinese La corte di Carlo III di Borbone il re
« proprio e nazionale », Napoli, Guida,
2011. Sulla corte sabauda nel XVIII
secolo si vedano i saggi raccolti in Le
strategie dell’apparenza. Cerimoniali,
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 176

politica e società alla corte dei Savoia una sorta di clone di quella francese, in realtà in essa conviveva-
in età moderna, a cura di P. Bianchi e
A. Merlotti, Torino, Zamorani, 2010; no tradizioni differenti. Per comprenderne i caratteri fondanti,
in La caccia nello Stato sabaudo, t. I, comunque, va considerato anche il ruolo che, nei secoli prece-
Caccia e cultura, a cura di P. Bianchi
e P. Passerin d’Entréves, Torino, denti, era stato esercitato dai Savoia nel teatro della penisola
Zamorani, 2010 e in La festa teatrale nel italiana, originario fulcro della diffusione della cultura curiale 4.
Settecento. Dalla corte di Vienna alle corti
d’Italia, atti del convegno (Reggia di Fra Quattro e Cinquecento il Ducato di Savoia si era configura-
Venaria, 13 novembre 2009), a cura di A. to, infatti, in modo alquanto lontano dai paradigmi italiani, pur
Colturato e A. Merlotti, Lucca, lim, 2011
nonché La reggia di Venaria e i Savoia. non mancando certo in esso contatti con gli Stati della peni-
Arti, magnificenza e storia di una corte sola, attraverso la rete degli uomini che frequentavano la corte
europea, catalogo della mostra (Reggia
di Venaria, 12 ottobre 2007 – 30 marzo savoiarda. Urbino, Firenze, Mantova, Ferrara avevano offerto la
2008), a cura di E. Castelnuovo e altri, sintesi più riuscita di sistemi di governo conquistati con la forza,
Torino, Allemandi, 2007, 2 voll., e Feste
barocche. Cerimonie e spettacoli alla l’astuzia e il potere del denaro, creando apparati tanto ricchi
corte dei Savoia tra Cinque e Settecento, culturalmente quanto spesso gonfiati artificiosamente. Un caso
a cura di C. Arnaldi di Balme, F.
Varallo, catalogo della mostra (Torino, a sé era rappresentato da Roma, centro ecumenico della cri-
Palazzo Madama), Cinisello Balsamo, stianità e insieme capitale di uno Stato temporale ben radicato
Silvana, 2009. Mi sia permesso, inoltre,
rinviare anche ad a. merlotti, Una negli equilibri della penisola. Ancora differente la situazione a
corte itinerante. Tempi e luoghi della corte Chambéry e poi a Torino, le sedi della corte scelte in progres-
sabauda da Vittorio Amedeo II a Carlo
Alberto (1713-1831), in Architettura e città sione di tempo dai Savoia: città poste in posizioni geografiche
negli Stati sabaudi, a cura di E. Piccoli
e F. De Pieri, Macerata, Quodlibet, 2012,
pp. 59-83.
Andrea Merlotti La corte sabauda fra Seicento e Settecento 177

delicate (entrambe a lungo città di confine) e caratterizzate da 4


Su questo vastissimo tema
un modesto profilo demografico, eppure sedi di un’autorità po- segnalo almeno Il Rinascimento italiano
e l’Europa, I, Storia e storiografia, a cura
litica dinamica. Le deboli strutture statali italiane avevano, in di M. Fantoni, Vicenza, Colla, 2003.
genere, alimentato fra i cortigiani condizioni d’insicurezza per- Sulla corte sabauda nel Medioevo si
vedano a. barbero, Il ducato di Savoia.
sonale, esacerbando la ricerca di protezione e un forte spirito di Amministrazione e corte di uno stato
concorrenza. Nei domini dei Savoia i modelli politici erano però franco-italiano, Roma, Laterza, 2006;
Corti e città. Arti del Quattrocento nelle
stati altri: in essi era sopravvissuto, in particolare, l’esempio del- Alpi Occidentali, catalogo della mostra
(Torino, 7 febbraio – 14 maggio 2006)
la Borgogna e l’eredità della sua cultura cavalleresca: quell’« au-
a cura di E. Castelnuovo e E. Pagella,
tunno del Medio Evo » che era invece tramontato nel resto degli Milano, Electa, 2006.
Stati italiani. In gran parte della penisola l’abilità di condot-
tieri e uomini di governo aveva mirato a concreti e immediati
risultati politici, mentre i maggiori artisti dettavano all’Europa
nuove regole di gusto, di poetica e di estetica. Nessun fascino
legato all’età d’oro del Rinascimento italiano circondò la corte
sabauda, né si trattò d’una semplice trasfusione della tradizione
borgognona.
Le vicende e la fortuna della corte torinese vanno collo-
cate nella lunga durata: in una continuità articolata e compre-
2.
Maestro Piemontese
La Reggia e il borgo di Venaria intorno al 1675
così come realizzati da Amedeo di Castellamonte,
collezione privata.
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 178
5
a. merlotti, La corte sabauda fra sa nell’intero arco dell’antico regime 5. A inizio Cinquecento la
Cinque e Seicento, in La reggia di Venaria corte sabauda aveva già alle spalle una storia plurisecolare 6 e
e i Savoia, cit., pp. 91-102.
6 ciò fu sempre ben presente al sistema dinastico europeo. Certo
a. barbero, Il ducato di Savoia, cit.;
l.c. gentile, Riti ed emblemi. Processi di una drammatica cesura era stata prodotta nel Ducato dall’occu-
rappresentazione del potere principesco in
pazione francese (1536-1559), ma anche in quei frangenti la vita
area subalpina (XIII-XVI secc.), Torino,
Zamorani, 2008; L’affermarsi della della corte non s’era interrotta. Emanuele Filiberto, grazie ai
corte sabauda. Dinastie, poteri, elités in
Piemonte e Savoia fra tardo medioevo e
lunghi anni trascorsi al servizio di Carlo V, aveva adottato sim-
prima età moderna, a cura di P. Bianchi boli e pratiche del mondo imperiale, che avrebbero costituito
e L.C. Gentile, Torino, Zamorani, 2006.
un fortunato filone della propaganda sabauda lungo tutto l’an-
7
Su questo tema si veda il classico
g. tabacco, Lo stato sabaudo nel Sacro
tico regime. Il duca aveva avviato, cioè, un’operazione storiogra-
Romano Impero, Torino, Paravia, 1939, a. fica e artistica sulla tradizione che faceva discendere i Savoia da
merlotti, I Savoia. Una dinastia europea
in Italia, in I Savoia. I secoli d’oro d’una
un ramo degli antichi imperatori sassoni: un dato politico ri-
dinastia europea, a cura di W. Barberis, conosciuto, che aveva una precisa corrispondenza nel fatto che
Torino, Einaudi, 2007, pp. 87-133 (in
part. pp. 89-192) ed ora i saggi raccolti
il Ducato di Savoia fosse l’unico Stato italiano a fare parte del
in Stato sabaudo e Sacro Romano Impero, corpo germanico del Sacro Romano Impero 7. Proprio questa
atti del convegno (Reggia di Venaria,
21–23 novembre 2012), a cura di M.
antichità permetteva ai Savoia, ben prima dell’ascesa al titolo
Bellabarba e A. Merlotti, Bologna, il regio nel 1713, di sviluppare una politica matrimoniale pari a
Mulino, in corso di stampa.
8
quella delle grandi case reali europee (e ben differente da quel-
a. merlotti, Politique dynastique
et alliances matrimoniales de la Maison
la delle dinastie italiane) 8.
de Savoie au XVIIe siècle, in «Femmes Stabilitasi a Torino dal 1563, la corte di Emanuele Filiber-
d’influences? Les Bourbons, les Habsbourg
et leurs alliances matrimoniales en Italie et to acquistò presto un forte credito agli occhi degli osservatori
dans l’Empire au XVIIe siécle», a cura di stranieri. Molti nobili italiani si trasferirono allora non casual-
Y.-M. Bercé, «XVIIe siècle», LXI (2009),
f. 2, pp. 239-255; id., La courte enfance de mente al servizio dei Savoia: veneti della Terraferma, aristo-
la duchesse de Bourgogne (1685-1696), in cratici romani ed esponenti di antiche famiglie, in particolare
Marie-Adelaide de Savoie: Duchesse de
Bourgogne, enfant terrible de Versailles, parmensi e piacentine, che mal tolleravano di servire dinastie
in «Etudes sur le XVIIe siècle», a cura della penisola meno antiche, se non recenti 9. L’uso politico del
di F. Preyat, 2013; p. bianchi, Politica
matrimoniale e rituali fra Cinque e sistema degli onori rappresentato dagli ordini cavallereschi di
Settecento, in Le strategie dell’apparenza San Maurizio e Lazzaro e della Santissima Annunziata contri-
cit., pp. 39-72.
9
buì a catalizzare questa variegata presenza nobiliare alla corte
Sulla corte di Emanuele
Filiberto si vedano c. stango, La corte torinese 11. Dalla fine del Cinquecento al XVII secolo la politica
di Emanuele Filiberto: organizzazione dinastica e diplomatica sabauda in area italiana fu spesa, d'al-
e gruppi sociali, «Bollettino storico
bibliografico subalpino», LXXXV tro canto, in gran parte in dispute per la precedenza, nelle quali
(1987), pp. 445-502 e p. merlin, Emanuele i Savoia ebbero buon gioco ostentando soprattutto l'antichità e
Filiberto. Un principe tra il Piemonte e
l’Europa, Torino, sei, 1995. la continuità del loro potere 11.
10
a. merlotti, Un sistema degli onori
europeo per Casa Savoia? I primi anni
dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro
(1573-1604), «Rivista storica italiana»,
CXIV (2002), f. 3, pp. 477-514; id., Le
ambizioni del duca di Savoia. La dimensione
europea degli ordini cavallereschi sabaudi
fra Cinque e Seicento, in Guerra y Sociedad
en la Monarquía Hispánica. Política,
Estrategia y Cultura en la Europa Moderna
(1500-1700), a cura di E. García Hernan e
D. Maffi, Madrid, Laberinto, 2006, 2 voll.,
vol. II, pp. 661-689.
11
f. angiolini, Medici e Savoia.
Contese per la precedenza e rivalità di

3.
Il complesso seicentesco della Reggia di Diana
visto dal Parco Basso.
Andrea Merlotti La corte sabauda fra Seicento e Settecento 179

Gli anni Trenta del Seicento furono un momento di svol- rango in età moderna, in L’affermarsi
della corte sabauda, cit., pp. 435-479;
ta, protagonista della quale fu Cristina di Borbone (1606-1663), t. osborne, The surrogate war between
la figlia di Enrico IV che nel 1620 aveva sposato il principe di the Savoys and the Medici: sovereignty
and precedence in early modern Italy,
Piemonte Vittorio Amedeo (1587-1637). Dal suo arrivo essa ave- «International History Review», 29,
va creato attorno a sé una corte francese che contrastava sin 2007, pp. 1-21; m.a.visceglia, Il Papato
nella contesa dei Savoia per il titolo
dalla foggia dei vestiti e dai gusti artistici con lo stile spagnolo, regio, in Casa Savoia e curia romana,
che imperava in Piemonte da oltre un sessantennio. Il Palazzo atti del convegno (Reggia di Venaria
– Università La Sapienza, 20–22
del Valentino divenne la sua sede principale e tale rimase an- settembre 2011), a cura di J.F.Chauvard,
che dopo che nel 1630 divenne duchessa, in seguito alla morte A. Merlotti, M.A.Visceglia, Roma, Ecole
francaise de Rome, in corso di stampa.
improvvisa del suocero. Nel 1634 Cristina convinse il marito ad 12
Cfr. r. oresko, The House of
assumere il titolo regio, fondandolo sulle pretese che i Savo- Savoy in search of a royal crown in
ia avanzavano su Cipro (dove avevano regnato, pur brevemente, the seventeenth century, in Royal and
Republican Sovereignty in Early Modern
nel Quattrocento) 12. La corte adottò allora un nuovo stile, più Europe, a cura di R. Oresko, G.C. Gibbs,
adatto al rango regale, prendendo a modello la corte di Luigi H.M. Scott, Cambridge, Cambridge
University Press, 1997, pp. 272-350.
XIII, fratello della duchessa. In questo processo centrale fu la
vittoria di Cristina nella guerra civile (1638-42) che la vide con-
trapposta al cardinal Maurizio ed al principe Tomaso di Cari-
gnano, suoi cognati, filospagnoli. Se dal punto di vista politico
lo Stato sabaudo divenne allora un satellite della Francia di Lui-
gi XIV, sul terreno curiale la reggente diede alla corte ducale un
tono assolutamente francese, abolendo quasi tutte le vestigia di
cerimonie imperiali e spagnole. Il salone centrale del Castello
del Valentino fu dedicato al tema delle relazioni dinastiche fra
Capetingi e Savoia, di cui il matrimonio di Cristina era solo l’ul-
timo episodio. Non è un caso, quindi, che quando un ventennio
più tardi il figlio Carlo Emanuele II cercò di assumere il potere
(che Cristina continuava a tenere strettamente) egli volle che il
salone centrale di Palazzo Reale, allora in costruzione, raccon- 4.
tasse le origini sassoni della dinastia. Nello stesso tempo, il duca Il complesso della Reggia di Venaria nel Settecento,
dopo gli interventi di Michelangelo Garove, Filippo
affidò ad Amedeo di Castellamonte la costruzione della Reg- Juvarra e Benedetto Alfieri, vista dal Gran Parterre
Juvarriano. Si notino i due padiglioni garoviani, fra
gia di Venaria, esaltazione insieme sia del suo potere sovrano cui è compresa la Galleria grande di Juvarra. Sulla
destra sono visibili la Cappella Palatina (detta poi di
Sant’Uberto) ed il complesso della Scuderia grande
e della Citroniera juvarriana, unite al padiglione
garoviano di ponente dal sistema delle gallerie
alfieriane.
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 180

5.
La Galleria grande della Reggia di Venaria (1718),
realizzata su progetto di Filippo Juvarra.

sia della nuova classe dirigente che si proponeva per assumere


direttamente il potere, giudicando ormai terminata l’epoca di
Cristina. Non a caso il salone di Venaria raffigurava non la storia
della dinastia, ma il suo presente, allo scopo di proclamare il
ruolo del duca e del suo entourage.
Alla morte della madre, Carlo Emanuele II prese final-
mente il potere, ma la situazione politica non era favorevole alla
rottura dell’alleanza con la Francia. La moglie del duca era Ma-
ria Giovanna Battista di Savoia Nemours, altra principessa edu-
13 cata in Francia, destinata a rimanere fedele al modello curiale
Sul passaggio dall’epoca di
Cristina a quella di Carlo Emanuele II d’oltralpe 13. Ancora alla fine del Seicento il francese Maximi-
si veda ora a. merlotti, «Multis melior
pax una triumphis». Lo Stato sabaudo
lien Misson poteva distinguere Torino dalle altre città d’Italia
all’inizio del ducato di Carlo Emanuele proprio per i tratti europei della sua corte: « La ville de Turin...
II, in L’oratorio della Compagnia di
San Paolo a Torino. Il restauro del ciclo
est un lieux fort agreable... et les manieres libres et sociables
pittorico nelle collezioni Intesa Sanpaolo, que nous y trouvant nous en font respirer l’air avec d’autant
Torino, Allemandi, 2014, pp. 21-26. Su
Maria Giovanna Battista cfr. i. massabò
plus de plaisir que nous ne faison que d’échapper des sauvages
ricci – a. merlotti, In attesa del duca: coûtumes du reste de l’Italie, ou nous avons vû plus de statues
reggenza e principi del sangue nella
Torino di Maria Giovanna Battista, in
que d’hommes ». « On vit a Turin à peu près comme en France...
Torino 1675-1699. Strategie e conflitti del et la cour du duc est... une des plus leste d’Europe» 14.
Barocco, a cura di G. Romano, Torino,
CRT, 1993, pp. 121-174: r. oresko, Maria
Fu Vittorio Amedeo II, preso il potere nel 1684, a cam-
Giovanna Battista of Savoy Nemours biare progressivamente molte pratiche nella vita di corte 15. Di
(1644-1724). Daughter, Consort and
Regent of Savoy, in Queenship in Europe
grande importanza fu l’introduzione della cerimonia del bacia-
1660-1815, a cura di C. Campbell Orr, mano, tipica delle corti imperiale e spagnola, e assente, invece,
Cambridge, Cambridge University
Press, 2006, pp. 16-55. in Francia. Il sovrano fece di questo rituale un’autentica espres-
14
m. misson, Voyage d’Italie, sione del giuramento di fedeltà. Dal 1685 al 1848 il baciamano
Amsterdam-Paris, 1691, vol. 3, p. 170. divenne, infatti, il principale rito della corte torinese. Oltre che
15
a. merlotti, La corte di Vittorio al re, la nobiltà era chiamata a omaggiare del bacio della mano
Amedeo II dal ducato al regno, in
Couronne Royale. 300e anniversaire de anche i principi e le principesse, mentre le dame di corte dove-
l’accessione de la Maison de Savoie au
trône royal de Sicile, atti del convegno
(Annecy, 12-13 aprile 2013), a cura di
L. Perrillat, Annecy, Académie
Salésienne, 2013, pp. 151-167.
Andrea Merlotti La corte sabauda fra Seicento e Settecento 181

vano baciare la mano della regina o della principessa ereditaria, 16


a. merlotti, Una «muta fedeltà»:
quando la prima era assente. I baciamano si susseguivano alla le cerimonie di baciamano fra Sei e
Ottocento, in Le strategie dell’apparenza
corte sabauda fra Natale e Capodanno, ma avevano luogo anche cit., pp. 93-132.
in occasione delle ascese al trono, dei matrimoni o dei funerali 17
m.a. visceglia, La città rituale.
Roma e le sue cerimonie in età moderna,
dei sovrani o di principi ereditari 16.
Roma, Viella, 2 002.
Anche le corti borboniche di Parma e di Napoli, sorte fra
anni Trenta e Quaranta, avevano ripreso in gran parte il bacia-
mano presente nel cerimoniale spagnolo. Alla corte madrilena
si trattava della cerimonia per eccellenza, sicché Carlo di Bor-
bone, che si era formato in Spagna, una volta giunto sul trono di
Napoli, portò tale esperienza nella sua nuova corte. La comparsa
del rito del baciamano a Firenze e a Milano è invece, più tarda,
risalendo agli anni Sessanta e Settanta e legandosi alle figure
del granduca Pietro Leopoldo e dell’arciduca Ferdinando: in
queste corti era intervenuta la mediazione del cerimoniale vien-
nese. Va ricordato, fra l’altro, che a Firenze fu proprio un bacia-
mano a segnare l’arrivo di Pietro Leopoldo il 13 settembre 1765.
Tornando al caso torinese, altra importante riforma negli
organigrammi curiali fu, a partire dal regno di Vittorio Ame-
deo II, l’eliminazione di quella pluralità di corti che aveva ca-
ratterizzato i secoli precedenti. Il sovrano ruppe la secolare
tradizione che prevedeva corti autonome per moglie e figli, co-
stituendo per loro solo degli « stati », cioè un piccolo numero di
cortigiani e servitori.
Durante il lungo regno di Carlo Emanuele III (1730-1773)
Torino si differenziò sempre più dal modello francese, condivi-
dendo di fatto con Napoli il ruolo di sole corti italiane in grado 6.
di reggere il confronto europeo, parallelamente al progressivo La Cappella palatina (detta poi di Sant’Uberto)
della Reggia di Venaria (1716-18), opera di Filippo
declino dell’esemplarità della curia romana 17. Juvarra .
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 182

7. A colpire gli osservatori stranieri fu soprattutto il tono


La Citroniera della Reggia di Venaria (1722-27),
opera di Filippo Juvarra. familiare della vita della corte sabauda. Sino alla metà del Set-
tecento l’allontanamento della corte di Torino dal modello fran-
cese portò i viaggiatori d’Oltralpe a giudicarla negativamente,
ma in seguito, dagli anni Sessanta, proprio per questa stessa
18
Sull’immagine di Torino città ragione, essa fu individuata come un modello positivo da con-
di corte nei viaggiatori fra Sei e
Settecento cfr. a. merlotti, Corte e
trapporre all’ostentata opulenza di Versailles 18. Un esempio di
città in una capitale dell’assolutismo. tale processo è dato dal pranzo pubblico del sovrano. Come ha
L’immagine di Torino nella letteratura
del Settecento, in La città nel Settecento. mostrato Oresko, già Vittorio Amedeo II aveva abolito tale pra-
Saperi e forme di rappresentazione, atti tica, almeno dal 1714 19. Col passare degli anni, il tono familiare
del convegno annuale della Società
italiana di studi sul XVIII secolo della corte sabauda durante i pranzi era divenuto un elemen-
(Reggia di Venaria, 27–29 maggio 2010), to positivo agli occhi di coloro che stigmatizzavano il lusso e il
a cura di M. Formica, A. Merlotti e
A.M. Rao, Roma, Edizioni di Storia e distacco dal regno della corte francese. Nelle Observations sur
Letteratura, in corso di stampa. l’Italie et les Italiens, per esempio, apparse nel 1764, il magistrato
19
r. oresko, Banquets princiers à e storico francese Pierre Jean Grosley (1718-1785) scriveva: «Le
la cour de Turin sous le regne de Victor-
Amédée II, 1675-1739, in Tables royales et roi et la famille royale ne mangent point en public; on ne les
festines de cour en Europe, 1661-1789, atti voit ensemble qu’aux offices de la Chapelle. Toute cette famille,
del convegno (Versailles, 25-26 febbraio
1994), a cura di C. Arminjon e B. Saule, y compris la princesse de Savoie, a un air de gaieté, de santé,
Paris, La documentation française, d’union et de contentement que n’ont pas toutes le familles,
2004, pp. 53-82.
20
même particullieres » 20. Testimonianza ancor più interessante è
p.g. grosley, Nouveaux memoirès
ou observations sur l’Italie et sur les offerta dal Voyage de la Raison en Europe del marchese e abate
italiens per deux gentilshommes suédois, Luigi Antonio Caraccioli (1721-1803) 21. In quest’opera l’autore,
Londra, Jean Nourse, 1764, vol. 1, p. 68.
21 un napoletano diventato francese d’adozione, immaginava che
l.a. caraccioli, Voyage de la
Raison en Europe, par l’auteur des Lettres
récreatives et morales, Compiegne-Paris,
Bertrand – Saillant & Nyon, 1772, pp.
291-292.
Andrea Merlotti La corte sabauda fra Seicento e Settecento 183

la Ragione, assunte le sembianze del giovane Lucidor, compisse 22


e. mignoni, Pietro Leopoldo. Un
nel 1769 un viaggio in Europa. Fra le città toccate era anche sovrano tra pubblico e privato, in Gli
appartamenti reali di Palazzo Pitti. Una
Torino, rimanendo colpito dalla scelta del sovrano sabaudo di reggia per tre dinastie: Medici, Lorena,
Savoia tra Granducato e Regno d’Italia,
non mangiare in pubblico: « Lucidor s’attendoit à voir le monar-
a cura di M. Chiarini e S. Padovani,
que manger en public, selon l’usage établi chez les souverains; Firenze, Centro Di, 1993, p. 86, n. 3.
mais le roi de Sardaigne se concentre dans son auguste famille 23
Cfr. a. merlotti, Il pranzo «en
famille»: pubblico e privato alla corte
et ne communique qu’au besoin... Moins il y a de personnes
sabauda del Settecento, in La tavola di
autour des souveraines moins il y a d’interets et de cabales ». Va corte fra Cinque e Settecento, atti del
convegno (Reggia di Venaria, 4-5 dicembre
notato che le scelte dei Savoia erano, anche in questo caso, in 2009), a cura di A. Merlotti, Roma,
consonanza con quelle di altri sovrani italiani, che prendeva- Bulzoni, 2013, pp. 287-314
24
no sempre più le distanze da Versailles guardando al modello a. merlotti, Una corte itinerante, cit.
della corte di Vienna, per molti di loro naturale elemento di
confronto. Negli stessi anni anche Pietro Leopoldo sceglieva a
Firenze la formula dei pranzi « en famille », ma aperti al pubblico.
Fu quanto accadde durante il suo primo viaggio a Livorno, nel
maggio 1766, quando il granduca e la moglie pranzarono « in
privato, con la loro compagnia solita », consentendo « alla gen-
te più distinta, negozianti, cittadini e forestieri, di assistere alla
loro tavola» 22.
Negli ultimi decenni del Settecento, corrispondenti gros-
somodo al regno di Vittorio Amedeo III (1773-1796), vi furono
importanti cambiamenti nel cerimoniale di corte, riconducibili
all’azione di Maria Antonia Ferdinanda di Borbone Spagna, ul-
tima figlia di Filippo V ed Elisabetta Farnese (e quindi sorella
sia di Carlo III sia di Ferdinando di Parma), sposa dal 1750 del
sovrano sabaudo.
Fu Maria Antonia Ferdinanda, per esempio, a chiedere al
marito di adottare al Castello di Moncalieri, che avevano eletto a
propria residenza, un nuovo cerimoniale del pranzo, che permet-
tesse nuovamente agli ospiti di assistervi 23. Ma soprattutto, fu per
sua volontà che Vittorio Amedeo III scelse di trascorrere lontano
da Torino la maggior parte dell’anno. Sino ad allora, infatti, i suoi
predecessori pur trascorrendo molti mesi a Rivoli e, soprattutto, a
Venaria, facevano continuamente ritorno a Torino per il disbrigo
degli affari di Stato. Dal 1773, invece, sovrani e corte si allontana-
rono dalla capitale anche sette mesi l’anno. Da allora, infatti, la
corte restava in città da Natale a Pasqua; poco dopo, si portava a
Venaria, dove restava poco sino al 24 giugno, quando rientrava a
Torino per la festa di San Giovanni Battista; dall’inizio di luglio
sino alla vigilia di Natale si trasferiva a Moncalieri 24.
Vissuta in Spagna sino a ventuno anni, la formazione di
Maria Antonia Ferdinanda era avvenuta in una corte che, per
tradizione, trascorreva a Madrid solo l’inverno e si trasferiva
nelle stagioni successive nelle residenze di Aranjuez (in prima-
vera), di Sant Ildefonso o La Granja (in estate) e dell’Escorial
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 184

(in autunno). Non il modello francese, ma piuttosto quello spa-


gnolo sembrerebbe quindi esser stato elemento di confronto e
d’esempio per il calendario della corte sabauda di fine Sette-
cento. Una pratica, poi, che andrebbe confrontata con quella
napoletana, dove nonostante la centralità assunta da Caserta,
residenze come Carditello e Portici furono ampiamente usate
sino alla conquista francese e oltre.
Se per le corti italiane del Settecento sia possibile o meno
parlare d’un sistema comune, al di là delle certo importanti dif-
ferenze esistenti, è questione che deve esser ancora affrontata.
In ogni caso, ciò si potrà fare solo attraverso un approccio com-
paratistico che non può non avere nelle corti di Torino e Napoli
(e nei loro circuiti di residenze) il principale oggetto d’analisi.

8.
Il Rondo di Benedetto Alfieri (1751) con le statue
delle Quattro Stagioni opera di Simone Martinez
(1741-52).
PAOLO CORNAGLIA

LA “CORONA DI DELIZIE”
DEI DUCHI DI SAVOIA E
IL NUOVO SISTEMA DI RESIDENZE
DEL REGNO DI SARDEGNA
NEL SETTECENTO
1.
Anonimo, Carta delle Cacce, s.d. ma 1765 circa Madama Reale, Villa della Regina), dinastiche
(Archivio di Stato di Torino, Carte topografiche (Moncalieri, Rivoli), di caccia (Venaria Reale,
e disegni, Carte Topografiche Segrete, 15 A VI Stupinigi).
rosso), dettaglio. Il territorio raffigurato nel rilievo
topografico include la maggior parte delle residenze,
ovvero quelle fluviali (Valentino, Mirafiori, con
l’eccezione del Regio Parco), collinari (Vigna di
Con l’elezione di Torino a capitale del ducato nel 1563, 1
Sul tema delle residenze della
Emanuele Filiberto avvia un processo che, integrato e arricchi- corte di Torino si vedano : v. comoli,
Torino, Roma-Bari, Laterza, 1983,
to nel tempo, costituisce un vero e proprio ‘Dna’ per Torino e il g. gritella, Juvarra. L’architettura,
Modena, Panini, 1990, c. roggero
suo territorio. I progetti del duca si rivelano realmente fondati-
bardelli, m.g. vinardi, v. defabiani,
vi per molti aspetti che caratterizzeranno in futuro la capitale 1. Ville Sabaude, Milano, Rusconi 1990,
p. cornaglia, 1563-1798 Tre secoli di
Si tratta di scelte in alcuni casi dal profilo evidente e concre-
architettura di corte, in Venaria Reale e i
to, come la costruzione della cittadella, o di scelte localizzative Savoia, catalogo della mostra (Venaria
Reale, ottobre 2007 – marzo 2008), a
strategiche, come quella della sede ducale. Importantissima è la cura di Enrico Castelnuovo et alii,
politica fondiaria legata alla progressiva costruzione di un siste- Torino, Allemandi, 2007, pp. 117-184, Le
residenze sabaude, a cura di C. Roggero
ma di residenze intorno a Torino. Non solo, quindi, interventi e e A. Vanelli, Torino, Allemandi, 2009,
progetti per un singolo edificio ma un progetto complessivo di Michelangelo Garove. 1648-1713, un
architetto per Vittorio Amedeo II, a cura
“corona di delizie”, in primo luogo basato su di una accorta po- di P. Cornaglia, Roma, Campisano,
litica di acquisizione di edifici esistenti e soprattutto di terreni. 2010, Benedetto Alfieri. 1699-1767,
architetto di Carlo Emanuele III, a cura
Si pongono così le basi per un processo che vedrà il suo apo- di P. Cornaglia, E. Kieven, C. Roggero,
geo nel corso del XVII e del XVIII secolo, ma che non sarebbe Roma, Campisano, 2012; Filippo Juvarra
1678-1736, architetto dei Savoia, atti
giunto a quello splendore senza queste scelte lungimiranti. Ai del convegno internazionale (Torino,
primissimi anni successivi alla “invenzione” della capitale cor- Venaria Reale, 13-16 novembre 2011), vol.
I, a cura di P. Cornaglia, A. Merlotti, C.
risponde una campagna di acquisti di terreni: nel 1564 l’area Roggero, in corso di stampa.
del Valentino e i possedimenti di Altessano (in seguito deno-
minata Venaria Reale), nel 1567 l’area del Regio Parco e quella
di Stupinigi, nel 1574 il feudo di Lucento. Se in alcuni casi è
immediato l’intervento, in altri solo nei secoli successivi si ve-
drà la costruzione di una residenza: è il caso di Venaria Reale o
della Palazzina di caccia di Stupinigi. Si crea così una sorta di
demanio ducale, che si traduce non tanto in termini di sicurezza
militare quanto in controllo del territorio e, cosa non seconda-
ria, delle sue acque. È quindi un disegno ampio, che fonda la
possibilità di creare – come intorno ad altre capitali – un circui-
to di residenze destinate alla caccia e al loisir. Al di là delle ville
nobiliari e cardinalizie, certo importanti e ricche, e delle resi-
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 188
2
a. di castellamonte, La Venaria denze extraurbane delle corti italiane, spesso limitate a pochi
Reale Palazzo di Piacere e di Caccia […], esempi benché rilevanti, l’unico importante sistema italiano di
Torino, Zapata, 1674 [ma 1679].
residenze intorno a una capitale, in quel momento, era offerto
dalle ville medicee, attivato sin dalla fine del XIV secolo: un
sistema rappresentato nella sua interezza a fine secolo, nelle fa-
mose lunette di Giusto Utens. Emanuele Filiberto pone quindi
le basi per un processo che vedrà la sua prima rappresentazione
in quanto sistema nel XVII secolo, nelle incisioni del Theatrum
Sabaudiae e nelle vedute pittoriche coeve ma che affonda le sue
radici e la sua potenzialità proprio nell’opera del duca.
L’immagine di “corona di delizie” compare ufficialmente
nella Venaria Reale Palazzo di Piacere e di Caccia, volume pubbli-
cato da Amedeo di Castellamonte in merito al grande comples-
so realizzato come residenza venatoria per Carlo Emanuele II,
edito a Torino nel 1679 2. L’insieme delle residenze viene visto
come un cerchio ideale in cui ogni edificio è punto di un per-
corso anulare, un itinerario in cui esisteva un “vuoto” nel settore
nord-ovest, colmato appunto con la costruzione della Venaria
Reale. La storiografia del ‘900 ha inquadrato questi complessi in
base alla localizzazione (più prossima alla città nelle prime fasi)
e alla funzione: tra fine ‘500 e pieno ‘600 sorgono le residenze
2.
Giovanni Antonio Belmond, su disegno di Ignazio di fiume come Mirafiori (dal 1583), il Regio Parco (1602, Ascanio
Agliandi, Veduta della Vigna di S.M. la Regina con Vitozzi), il Valentino (1620, Carlo di Castellamonte), le vigne colli-
l'illuminazione, da La sontuosa illuminazione [...],
Torino 1737. nari come la Vigna del Cardinal Maurizio (1615, Vitozzi), la Vigna
Paolo Cornaglia La “corona di delizie” dei duchi di Savoia 189

di Madama Reale (1648, Andrea Costaguta), i castelli dinastici, 3


Ibidem, pp. 85-86.
ovvero preesistenze medievali sabaude trasformate come Rivoli 4
Biblioteque Nationale de France,
(1602, Vitozzi) e Moncalieri (1647, Costaguta) e, infine, residenze Paris (BNF), Cabinet des Estampes,
Papiers relatifs aux travaux de Robert de
di caccia come Venaria Reale (1660). La realizzazione di queste Cotte, 542-700, microfilm, Hd 135d, ms.
602, 48 rosso.
fabbriche, oltre a soddisfare esigenze funzionali e costituire cia-
scuna l’emblema di uno specifico committente, davano corpo a
una delle virtù ducali più importanti, la Magnificenza. Amedeo
di Castellamonte, nel volume su Venaria Reale, così caratterizza
l’atteggiamento del suo duca, Carlo Emanuele II: «Possiede sen-
za dubbio l’Alt. S.R. quelle due Regie Virtù Fortezza e Magni-
ficenza, e non potendo esercitare la prima, che ha per oggetto
il Valore, e questo la Guerra […] [esercita] la seconda, cioè la
Magnificenza in quella parte, che ha per fine l’Eternità, l’Utilità
& il Decoro, & che hà per oggetto le Fabbriche, quali con la
mole loro rendono immortale il Nome degli Edificatori, con la
construttione, utilità ai Popoli, e con la proporzione, e Simetria,
ornamento e dcoro alle Città» 3. Tutto ciò a fine Seicento, in uno
Stato guidato da Vittorio Amedeo II e orientato verso il traguar-
do del paesaggio a regno, non bastava più.

«Aujourdhuy qu’on a changé‚ de gôut, et qu’on change de


sistème, il me semble, qu’il faudroit quelque chose de plus
vaste, et de plus majestueux» 4

La frase tratta da una lettera del conte di Sales, più volte


ripresa dalla storiografia, illumina con precisione il contesto in
cui prende corpo il progetto di Michelangelo Garove per una
rinnovata Venaria Reale. Il suo intervento nella residenza di
caccia, dal 1700, ha un effetto dirompente. È grazie alla nuova
riplasmazione della residenza e dei giardini che il complesso as-
sume nuove coordinate, chiare ed evidenti nonostante la man-
cata conclusione dei cantieri. La residenza di caccia seicentesca
viene investita da una nuova concezione. Tutto viene ritenuto
ormai piccolo, fuori moda, poco utile: i progetti di Garove cerca-
no di soddisfare le ambizioni di un duca che diventerà re, Vitto-
rio Amedeo II. Un nuovo cerimoniale necessita di nuovi spazi, e
un nuovo disegno territoriale. L’architetto non viene incaricato
di rinnovare soltanto Venaria Reale ma anche la residenza dina-
stica di Rivoli. Venaria e Rivoli, nelle intenzioni di Vittorio Ame-
deo II, dovevano diventare i due poli emergenti della pregressa
“corona di delizie”. I riferimenti culturali e architettonici in quel
momento erano costituiti dalla Francia di Luigi XIV.
Questo primato è sancito dall’invio a Parigi dei progetti
di Garove per Venaria Reale, per una revisione nell’agence di
Jules Hardouin Mansart, Primo Architetto, e Robert de Cotte.
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 190

Questo episodio e i progetti predisposti da De Cotte per Rivoli,


vanno inquadrati in un contesto europeo in cui una “maniera
grande” prende corpo. L’influenza di una reggia monumentale
come quella di Versailles, sede dal 1682 della corte, e le congiun-
ture politiche che vedono elevarsi il profilo degli stati scatenano
un processo in cui le dinamiche che si registrano in Piemonte
sono solo un esempio. In ogni stato assistiamo ad una sorta di
competizione architettonica non dichiarata: nel 1696 Fischer
von Erlach apre il cantiere di Schönbrunn, nel 1698 a Berlino
Schlüter inizia a realizzare lo Schloss, nel 1700 l’architetto Enri-
co Zuccalli presenta al duca di Baviera Max Emanuel i progetti
per un enorme ingrandimento del castello di Schleissheim.
Se i progetti di Garove per Venaria prevedevano un vero
e proprio château alla francese, nel caso di Rivoli si raddoppiava
l’edificio esistente, ma si insisteva soprattutto sul legame con la
capitale mediante un lunghissimo viale alberato di 13 km, segno
indelebile nel territorio e nella sua immagine ancora visibile
nell’attuale – seppur mutato – contesto. Il grande sforzo eco-
nomico e gli enormi cantieri subiscono una prima interruzione
con l’assedio della città nel 1706, per poi riprendere e bloccarsi
con la morte dell’architetto nel 1713. Il momento è strategico:
con il trattato di Utrecht il ducato di Savoia aveva raggiunto lo
status di regno e un nuovo profilo architettonico era quanto
mai necessario. In questo quadro ipersensibile s’inserisce una
nuova figura.

L’architettura del Regno: Filippo Juvarra

Carico delle esperienze romane e della formazione nello


studio di Carlo Fontana, crocevia di architetti europei, Juvarra è
nominato Primo Architetto nel 1714: da subito Vittorio Amedeo
II costringe il suo nuovo architetto a un tour de force progettuale.
I cantieri aperti sono numerosi e impegnativi e testimoniano il
grande disegno del sovrano: il complesso di Venaria (dal 1716)
come la più grande residenza extraurbana, il castello di Rivo-
li (dal 1716), la chiesa di Superga (dal 1717) come testimonian-
za imperitura della vittoria del 1706, pensata come antipolo del
castello, lungo un asse visivo che ingloba il viale già tracciato e
prosegue la prospettiva raggiungendo una estensione di 19 km.
A ciò si aggiunge, in Torino, la nuova facciata di Palazzo Madama
per Giovanna Battista di Savoia Nemours, madre del re (1718).
Cantieri plurimi e contemporanei, bisognosi di finanziamen-
ti, portati avanti con tempi lunghi che costringevano la corte
– come già nel Seicento – a confrontarsi con il non-finito, l’in-
Paolo Cornaglia La “corona di delizie” dei duchi di Savoia 191
5
Ch. l. de montesquieu, Viaggio
in Italia, a cura di G. Macchia
e M. Colesanti, Roma-Bari, Laterza,
1990, p. 31.

compiuto. Montesquieu, a Torino nel 1722, rileva le potenzialità


di Rivoli ma anche lo stato ancora irresoluto della fabbrica, e lo
stesso principe ereditario afferma: « Abbiamo case dappertutto,
ma nessuna è finita » 5.
L’impronta forte della concezione di Juvarra emerge
però soprattutto a scala territoriale, nei progetti che saldano in
un solo disegno l’architettura, la decorazione, il rapporto con
il paesaggio e la capitale. È in questo contesto che nascono i
completamenti a Venaria Reale, la nuova struttura venatoria di
Stupinigi, la chiesa di Superga in relazione con il castello di
Rivoli. L’intervento a Venaria è probabilmente una delle prime
richieste di Vittorio Amedeo II al nuovo architetto regio, se il
catalogo del Sacchetti assegna già al 1714 alcuni pensieri per la
decorazione della galleria. Juvarra ingloba il già monumentale
progetto in corso di esecuzione in un disegno che sposta verso
il borgo e verso sud i limiti del complesso, ideando una nuova
piazza antistante il palazzo – generata dalla presenza della nuova
cappella di corte dedicata a Sant’Uberto (dal 1716) – e un siste-
ma di edifici di servizio (scuderia e citroniera) quasi senza pari
in Europa (dal 1722). Ciò che il duca aveva richiesto al Garove,
ovvero “qualcosa di più maestoso”, viene effettivamente otte-
nuto da Juvarra, in un contesto di riferimenti e matrici che non
riguardano più la Francia, ma, soprattutto, la cultura architetto-
nica romana in cui si è formato.
A Rivoli Juvarra eredita – come a Venaria Reale – un can-
tiere già aperto. Nelle nuove coordinate, l’enfasi monumenta-
le che investe l’edificio, le rampe d’accesso che affondano le
3.
Torino, Villa della Regina, veduta del giardino
all’italiana, con impianto seicentesco e Belvedere
juvarriano.
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 192

radici nei ricordi romani del Campidoglio, la pervicacia nel


rappresentare in grandi tele l’immagine del palazzo (le quattro
facciate, il salone e lo scalone, affidate tra il 1720 e il 1723 ai
pittori Locatelli, Pannini, Ricci, Michela), disegnano un profilo
che hanno indotto la critica a individuare in questa costruzione
il massimo sogno di grandezza di Vittorio Amedeo II: una reg-
gia extraurbana, non una semplice residenza temporanea. In
realtà, in tutta Europa, come si è detto, il modello di Versailles
agisce come riferimento architettonico di scala, pur risultando
meno cogente dal punto di vista funzionale. Certo i progetti
di Vanvitelli per Caserta prevedono all’interno del palazzo an-
che i ministeri, la residenza di Ludwigsburg per alcuni decenni
sarà alternativa al palazzo di Stoccarda e il ruolo di Potsdam
relega lo Schloss di Berlino a residenza invernale saltuaria, ma
in generale nessuna residenza europea raggiunge e mantiene
definitivamente il ruolo di Versailles. Juvarra ingloba le ope-
re già realizzate da Garove, raddoppiando poi specularmente
tutta la composizione in relazione a un centro di eccezionali
qualità scenografiche. Il corpo di fabbrica viene attraversato da
un grande atrio a due livelli, che sul lato nord – d’ingresso – si
apre in due scaloni simmetrici, come in Palazzo Madama ma
raddoppiati in elevazione. Al di sopra si colloca il grande vano
del salone, che emerge volumetricamente conferendo alla zona
centrale della facciata sud, ove è presente l’ordine, un ruolo
di primo piano. L’impianto complessivo del castello, l’artico-
lazione delle terrazze e lo sviluppo del corpo centrale sembra-
no suggerire – come accade per altre opere di Juvarra – un
legame con le realizzazioni architettoniche centro-europee. È
Paolo Cornaglia La “corona di delizie” dei duchi di Savoia 193

infatti stimolante il confronto con il castello – oggi distrutto 6


Tessin. Nicodemus Tessin the Younger
– di Landskron (Boemia), progettato da Domenico Martinelli Royal Architect and Visionary, a cura
di M. Snickare, Nationalmuseum,
nel 1698 per la famiglia Liechtenstein. Anche Martinelli aveva Stockholm, 2002; C. Keisch, Das
Grosse Silberbuffet aus dem Rittersaal des
insegnato presso l’Accademia di San Luca in Roma, dal 1683
Berliners Schloss, Kunstgewerbmuseum,
al 1689 e poi di nuovo dopo il 1705, negli anni in cui era pre- Berlin, 1997.
sente Juvarra. Ma altri due edifici sono importanti riferimenti
per Rivoli: il Palazzo Reale di Stoccolma (1692, 1697, Nicodemus
Tessin il giovane) 6 e il già citato Schloss di Berlino. Entrambi,
come a Rivoli, presentano il livello degli appartamenti di parata
al secondo piano. Questa disposizione, nel castello piemontese,
è in parte legata alla struttura della preesistenza, ma non è un
caso che i maggiori e più recenti palazzi reali europei siano un
modello per quello che potrebbe essere inteso come la nuova
“reggia” dei Savoia, in un contesto politico in cui non è più la
Francia a essere un riferimento. È al secondo piano del castello
di Rivoli che Juvarra colloca l’enorme salone d’ingresso, rag-
giunto da un monumentale doppio scalone che – ed è il secon-
do riferimento a Berlino – sembra essere modellato su quello
dello Schloss degli Hohenzollern. L’ingresso agli appartamenti
di parata berlinesi avveniva attraverso il Portale VI, con due
scaloni gemelli che conducevano al primo piano e da questo
due rampe rivolte al cortile portavano alla grande sala degli
Svizzeri, ingresso del secondo livello dove si apriva l’enfilade 4.
[Disegnatore piemontese], Taglio e Profilo in Lungo
di parata. Purtroppo non si è conservata la pianta prevista da delle Gallerie [...], s.d. ma ultimo quarto XVIII secolo
Juvarra per il secondo piano del castello di Rivoli, il cuore della (Archivio di Stato di Torino, Palazzi Reali, Album
Appartamenti Venaria Reale). Questo disegno,
rappresentazione del potere attraverso lo spazio e l’architettura, come i due successivi, presenta il complesso di
ma resta la veduta pittorica del salone a illustrare – il profilo Venaria Reale nella massima espansione raggiunta
nel secondo Settecento con gli ampliamenti di
monumentale previsto. Sia il palazzo di Stoccolma sia quello Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri.
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 194

7
e. dahlberg, Suecia antiqua et di Berlino sono da subito noti in Europa grazie al collaudato
hodierna, 1698-1715. mezzo delle incisioni: il primo compare in quelle realizzate nel
8
p. decker, Fürstliche Baumeister, 1697-1702 da Willem Swidde e Jan van den Aveele per la Suecia
Oder Architectura Civilis, Augsburg,
Jeremias Wolff, 1711. antiqua et hodierna di Erik Dahlberg (1698-1715) 7, il secondo in
quelle realizzate da Peter Schenck (1700) e Paul Decker (1703). Il
nome di quest’ultimo, architetto, non compare a caso: Decker
pubblica ad Augusta nel 1711 il suo grande volume Fürstliche
Baumeister 8 dedicato al tema della residenza dei principi: por-
tali con colonne trabeate caratterizzano i corpi di fabbrica de-
stinati a rappresentare la sovranità (tavv. 4, 5) e doppi scaloni
come quelli dello Schloss di Berlino e di Rivoli conducono al
salone d’ingresso (tavv. 2, 3). Non appare come secondario il
fatto che i temi decorativi proposti per alcuni soffitti (tavv. 18,
23) prevedano un intreccio di temi alla Berain e grottesche: è
esattamente la scelta seguita a Rivoli dal pittore Filippo Minei
sotto la regia di Juvarra. I lavori avviati nel 1716 si bloccano
5.
[Disegnatore piemontese], Veduta esterna della di fatto già nel 1721, concentrando gli sforzi su Venaria Reale.
Piccol Galleria per la quale si passa dal Palazzo alle
Scuderie, Prospetto della Citroniera verso il parco
a Ponente [...], s.d. ma ultimo quarto XVIII secolo
(Archivio di Stato di Torino, Palazzi Reali, Album
Appartamenti Venaria Reale).
Paolo Cornaglia La “corona di delizie” dei duchi di Savoia 195

All’eccezionale serie di vedute e al grande modello ligneo è così


affidato il compito di testimoniare l’idea grandiosa di Vittorio
Amedeo e del suo architetto.
La Reale Chiesa di Superga viene invece realizzata quasi
in ogni sua parte aprendo il cantiere nel 1717. Pur non essendo
una residenza, l’edificio non può essere slegato dal sistema delle
architetture poste a presidiare il territorio intorno alla capitale.
La chiesa celebra di fatto le speranze realizzate di Vittorio Ame-
deo di vedere il piccolo ducato ereditato dal padre trasformato
in caparbio regno europeo, definendo – grazie alla sua posizione
collinare – un nuovo landmark nel paesaggio della capitale, sulla
scia della preminenza di numerosi edifici religiosi centro-euro-
pei come Melk. Il complesso prevede inoltre un convento e un
palazzo reale, nonché le sedi reali ultime, le tombe dinastiche.
Il capolavoro di Juvarra, la palazzina di caccia di Stupinigi,
è una sorta di ultimo atto del fruttuoso legame fra l’architetto
e il suo primo e vero committente, Vittorio Amedeo II. Il Regio
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 196

6. Biglietto con cui si dà avvio ai cantieri è del 1729. L’anno succes-


[Disegnatore piemontese], Profilo dell’Elevazione
interna della Citroniera à Mezzogiorno [...], s.d. ma sivo il re abdicherà a favore dell’erede, il principe di Piemonte
ultimo quarto XVIII secolo (Archivio di Stato di Torino,
Palazzi Reali, Album Appartamenti Venaria Reale).
Carlo Emanuele. C’è però il tempo, in questo scorcio di regno,
di lanciare un nuovo progetto dalle fortissime valenze territoriali,
meno esteso in lunghezza di quello che legava il castello di Rivoli
e la chiesa di Superga, ma aperto a 360° nei prati e nei boschi di
caccia, ridisegnando il profilo delle residenze nel quadrante sud
della “corona di delizie”. Nasce l’idea di una nuova struttura, con
un programma chiaro: servizi per la caccia e un padiglione reale,
con salone e due appartamenti. Juvarra concepisce lo schema del
complesso inserito in uno tracciato territoriale eccezionale, fatto
di percorsi alberati e visuali: il salone è al centro di una croce di
Sant’Andrea da cui si dipartono due rotte di caccia dirette a est e
a ovest, al centro, verso sud, la grande rotta Reale asse di simme-
tria dei boschi di caccia, proseguita poi verso nord in collegamen-
to con la città. Architettura, spazi interni e territorio si coniugano
in un solo disegno: nei due appartamenti reali l’enfilade centrale
di porte consente di vedere, attraverso le aperture, la prosecu-
zione dei viali sullo stesso asse, mentre il salone è una struttura
“aperta”, forata da grandi finestroni che consentono all’asse nord-
sud di passare all’interno e garantire visuali profonde nelle due
direzioni. La radialità, il gioco centrifugo delle prospettive, reggo-
no le forme curve del disegno architettonico: il salone ellittico, il
giardino circolare bordato da filari di pioppi cipressini, la grande
esedra d’ingresso che prosegue le due file di cascine affrontate
lungo il viale d’accesso e abbraccia il complesso. L’invenzione
complessiva di Juvarra si pone a valle di numerose esperienze e
progetti precedenti legati al loisir e alle funzioni venatorie motrici
dei tracciamenti radiali del territorio riconosciute dalla storiogra-
fia, a cui va aggiunto il padiglione di Bouchefort (1705, Germain
Paolo Cornaglia La “corona di delizie” dei duchi di Savoia 197

Boffrand). Sarà il salone ad essere tra le prime cose compiute: gli


affreschi di Domenico e Giuseppe Valeriani (quest’ultimo attivo
poi alla corte di San Pietroburgo) sono infatti eseguiti entro il
1732. Juvarra svolge qui, come altrove, il ruolo di grande regista
complessivo, autore di un’opera d’arte totale che lega, secondo la
prassi del Barocco, architettura, pittura, scultura e mestieri pre-
ziosi, rivolgendosi a un’élite internazionale che vede gli stessi ar-
tefici impegnati in corti diverse. È quanto succederà anche a lui,
chiamato dal re di Spagna nel 1735 per progettare la nuova reggia
di Madrid (poi realizzata dal collaboratore Sacchetti), dove morirà
nel 1736 lasciando vacante la carica di Primo Architetto a Torino.

Un lungo epilogo

Carlo Emanuele III, re dal 1730, si avvale solo per pochi


anni dell’architetto in cui il padre aveva individuato le capa-
cità – in un quadro dinamico di riforme e trasformazioni – di
dare volto al nuovo Stato. I più di quarant’anni di regno del
nuovo sovrano, in campo architettonico, sono il teatro della sta-
bilità e della raffinatezza. Un quadro certo, affidato per quasi
trent’anni allo stesso architetto di corte successore di Juvarra
dal 1739, Benedetto Alfieri, consente l’articolazione e l’affina-
mento dell’atelier progettuale, il completamento e la messa a
regime di quanto impostato dal predecessore e rimasto spesso
allo stato embrionale o comunque incompleto. Se il castello di
Rivoli rimarrà fino a tardo Settecento immoto, addirittura cava
di materiale per altri cantieri, le altre grandi residenze verranno
7.
completate e in alcuni casi ingrandite (è il caso di Venaria Reale [Disegnatore piemontese], Facciata della Citroniera à
e Stupinigi), in un quadro attento alla distribuzione e al comfort. Mezzogiorno e dell’Appartamento de’ Pagi [...], s.d. ma
ultimo quarto XVIII secolo (Archivio di Stato di Torino,
Nessuna nuova residenza viene costruita ex-novo, l’unico gran- Palazzi Reali, Album Appartamenti Venaria Reale).
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 198

8.
Mario Ludovico Quarini, Salone del Reale Palazzo
di Stupiniggi apparato per il Ballo, in occasione del
matrimonio di Maria Teresa di Savoia con Carlo d’Artois,
1773 (Biblioteca Reale di Torino, Storia Patria 960).
Paolo Cornaglia La “corona di delizie” dei duchi di Savoia 199
9.
Michel Benard, Progetto per il giardino alla francese
del castello di Agliè, s.d. ma 1766 ca. (Archivio di Stato
di Torino, Archivio Duchi di Genova, Tipi e Disegni, cart.
1, fasc. 3, n. 9).

de cantiere è quello legato alla trasformazione ed ampliamento


del castello di Agliè, già grandiosa dimora dei San Martino pas-
sata alla corona nel 1766 e destinata al figlio cadetto di Carlo
Emanuele III ed Elisabetta di Lorena, il duca del Chiablese. Ar-
tefice del raffinato progetto, a valle delle esperienze di Juvarra e
di Alfieri, che morirà proprio nel 1767, è Ignazio Renato Birago
di Borgaro. La sua attività si intreccia nel ridisegno dei giardini
e del parco con quella di Michel Benard, Direttore dei Reali
Giardini dal 1739, appositamente chiamato da Parigi per questo
scopo. Il complesso della fontana dei Fiumi viene realizzato fra
il 1767 e il 1773: nel 1769 Birago di Borgaro accompagna alla
visita del cantiere l’architetto Luigi Vanvitelli, a Torino dopo le
soste a Milano e Brescia. Benard affianca l’opera di Alfieri nelle
residenze, progettando i giardini di Stupinigi (1740), solo impo-
stati nel perimetro da Juvarra, quelli di Moncalieri (1761) e quelli,
come si è detto, di Agliè (1768), portando agli estremi esiti la sta-
gione del grande giardino alla francese. Con il regno di Vittorio
Amedeo III (1773-1796) l’attenzione è ormai rivolta all’architet-
tura d’interni, sapientemente realizzata sui modelli “alla greca”
francesi e quelli del “buon gusto” lombardo di Albertolli dagli
architetti Giuseppe Battista Piacenza e Carlo Randoni. Gli stessi
architetti passeranno al servizio di Napoleone dopo la conquista
e l’annessione alla Francia. La grande stagione delle residenze
di corte, un progetto concepito sin dal 1563 e portato all’apogeo
negli anni di Vittorio Amedeo II e Filippo Juvarra si chiude con
l’Ancien Régime, per poi riaprirsi, ma in differente cornice e se-
condo nuove funzioni di caccia e villeggiatura, con la Restaura-
zione. La grande armatura territoriale di fulcri e assialità, ovvero
Siti reali in Italia. Torino e dintorni 200
Paolo Cornaglia La “corona di delizie” dei duchi di Savoia 201

il complesso sistema radiale di residenze unite da viali al corpo


della capitale, è però rimasto intatto sino ad oggi, costituendo
un forte elemento identitario del territorio.

10.
Mario Ludovico Quarini, Elevazione del Pinacolo, o
Casino di Trigliaggio nel Giardino del Castello di
Moncaglieri, s.d. ma 1785 (Archivio Storico del
Comune di Torino, Collezione Simeom, D 1491).

11.
Mario Ludovico Quarini, Plaffone del casino a
Trigliaggio nel Giardino di Moncalieri / Scala per
ascendere dal Gran Cortile di Moncalieri al Giardino,
s.d. ma 1785 circa (ASCT, Collezione Simeom,
D 1492)
Napoli e dintorni
PASQUALE ROSSI

RESIDENZE E CACCIA
DURANTE IL REGNO
DI CARLO DI BORBONE
(1734-1759)
1.
G. Carafa, Duca di Noja
Mappa Topografica della Città di Napoli
e de’ suoi contorni...
1750-75; tav. 26, dalla "Veduta scenografica a
ponente...", dettaglio della Reggia di Capodimonte
(n. III) sulla collina.
Premessa 1
g.c. alisio, Urbanistica napoletana
del Settecento, Bari, Dedalo libri, 1979,
p. 14.
«Con l’avvento di Carlo si erano, dunque, create le pre- 2
Cfr. g.c. alisio, Sviluppo urbano e
messe socio-politiche per un’effettiva ristrutturazione della cit- struttura della città, in Storia di Napoli,
vol. VIII, Napoli, sen, 1971, pp. 313-366;
tà e per una generale trasformazione edilizia (...) », la presenza
c. de seta, Le città nella storia d’Italia.
del nuovo sovrano portò a « un più vivo contatto con i maggiori Napoli, Roma-Bari, Laterza, 1981,
passim.
centri europei, il diffondersi dell’illuminismo e di una cultura
ispirata ai modelli francesi », determinando « un generale risve-
glio dal provincialismo del periodo vicereale. (…) » 1. È quanto
scrive Giancarlo Alisio a proposito dell’inizio del Regno indi-
pendente di Napoli e di Sicilia stabilito, a partire dal 1734, per
le condizioni politiche europee e ottenuto con pervicacia per
volere di Filippo V e di Elisabetta (Isabel) Farnese.
Di fatto – come emerge dalla storiografia 2 – è possibile
leggere due fasi del regno di Carlo: la prima, caratterizzata da
un naturale tutoraggio della Casa Reale spagnola che si manife-
sta con un controllo diretto dell’apparato diplomatico/politico
(basti citare la presenza di José Joaquín de Montealegre, Mar-
chese di Salas, fino al 1746); e una seconda caratterizzata da una
maggiore apertura verso politiche e progetti di stampo europeo,
con altri diplomatici e collaboratori, e con la presenza di noti ar-
chitetti provenienti dall’ambiente romano come Luigi Vanvitelli
e Ferdinando Fuga, dove si riconosce un salto di qualità voluto
proprio dal sovrano, con i grandi progetti della Reggia di Caserta
(la nuova capitale) e dell’Albergo dei Poveri (un’utopia sociale).
Nel contesto di questo comune lavoro con i colleghi spa-
gnoli la figura di Carlo di Borbone, sovrano napoletano fino al
1759, e poi a seguire, come Carlo III, re di Spagna sino al 1788,
risulta piuttosto emblematica e rappresentativa. Ci porta natu-
ralmente a proporre prevedibili osservazioni sull’affinità e sulla
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 206

2. similitudine di contesti culturali, sociali e architettonici; su una


G. Carafa, Duca di Noja
Mappa Topografica della Città di Napoli scontata continuità di intenti e su una costante osmosi vissuta
e de’ suoi contorni... tra i due paesi.
1750-75; tav. 4, dettaglio della Reggia
di Capodimonte e dei dintorni. Aspetti che si riflettono sulle politiche di sviluppo urba-
no e sull’architettura ma anche e soprattutto sulle tradizioni e
la cultura del periodo. Tra queste l’esercizio della Caccia 3, di
3 cui è nota la passione del giovane sovrano, ma che è da ricon-
Cfr. La caccia al tempo dei Borbone,
a cura di L. Mascilli Migliorini,
Firenze, Vallecchi,1994, ma anche:
durre a partire dal Seicento – come appare in modo chiaro da
p. grandizio, g. gallucci, I Borbone tanti studi sul tema 4 – alle dinamiche di potere e alle relazioni
e la caccia, in Un elefante a corte.
Allevamenti cacce ed esotismi alla Reggia
delle Corti d’Europa, a un modello di organizzazione e di con-
di Caserta, Napoli, Fausto Fiorentino, trollo del territorio, piuttosto che a un “capriccio” reale, come
1992. Sul tema si confrontino in
generale anche gli studi di Giuseppe
talvolta si ritrova in alcune pagine della critica partenopea,
Galasso, in particolare Il Mezzogiorno dove si rimarca l’aspetto controverso delle difficoltà sociali ed
nella storia d’Italia, Firenze, Le
Monnier, 1977 e Il Mezzogiorno
economiche della città di Napoli, già dal XVI secolo una delle
borbonico e napoleonico. 1734-1815, più popolose d’Europa.
Torino, utet, 2007.
4
Cfr. La caccia nello stato Stato
sabaudo. I Caccia e cultura (secc. XVI-
XVIII), a cura di P. Bianchi, P. Passerin
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 207

Ne consegue che l’insediamento dei Siti Reali sul territo- d’Entréves, Torino, Silvio Zamorani
Editore, 2010. In questo volume si
rio, sia pure in prima battuta privilegiato dall’esercizio dell’ars vedano in particolare i saggi di: a.
venandi, comunque rappresenta un modello di sviluppo urbano merlotti, Il gran cacciatore di Savoia
nel XVIII secolo, pp. 79-96; p. cornaglia,
i cui più chiari esempi sono alcuni luoghi primari come Parigi, Architetture equestri: la Cavallerizza di
Madrid, Torino ma anche tante altre capitali europee. Palazzo Reale e le scuderie di Venaria,
pp. 97-112. E ancora, La caccia nello
Per le architetture volute da Carlo come Reales Sitios si stato Stato sabaudo. II Pratiche e spazi
tratta di varie residenze aristocratiche già sparse sul territorio (secc. XVI-XIX), a cura di P. Bianchi,
P. Passerin d’Entréves, Torino, Silvio
tra i due grandi sistemi vulcanici del golfo napoletano. Zamorani Editore, 2011.
Dai Campi Flegrei 5 all’area vesuviana – dove si verifiche- 5
Cfr. s. di liello, Il paesaggio dei
rà uno straordinario impulso costruttivo e progettuale per la Campi Flegrei tra metafora e realtà,
Napoli, Electa Napoli, 2005 ; I Campi
scoperta degli Scavi e la seguente fondazione dell’Accademia e Flegrei, a cura di G.C. Alisio, Sorrento,
del Museo Ercolanense – con la costruzione del nuovo palazzo Di Mauro, 1995.

reale (“il casino da costruirsi in Portici, 1741”) su un progetto


definitivo di Antonio Canevari, che recupera preesistenze esi-
stenti in loco e un lavoro già avviato. Nello stesso periodo viene
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 208

completato il progetto di Capodimonte (1735-38), su disegno di


Giovanni Antonio Medrano (estromesso da Portici), con la rea-
lizzazione del bosco progettato da Ferdinando Sanfelice (1741).
A conferma di quanto esposto si osservi che il Palacio
Real de Riofrío a San Ildelfonso (Segovia) – voluto da Elisa-
betta Farnese, regina madre, iniziato nel 1751, e rimasto incom-
piuto insieme all’idea di un annesso impianto urbanistico con
un relativo parco – presenta chiare analogie con Capodimon-
te, sia per l’ipotesi di insediamento nel sito che per i caratteri
architettonici, determinando una sorta di continuità ideale e
culturale e perseguendo la teoria tra “artificio e natura” di im-
postazione illuministica.
Così come appare utile osservare che il programma co-
3.
Reggia di Capodimonte, Napoli, dettaglio angolare
struttivo di insediamenti nel territorio della capitale napoletana
della facciata sul lato meridionale. corrisponde a una logica di insediamenti già determinata per
tutto il XVII secolo sul territorio spagnolo. Un modello di svi-
luppo e allo stesso tempo un sistema di controllo territoriale
(basti citare i Sitíos nei pressi di Madrid, ma anche Segovia, To-
ledo, etc.), impostato sulla mobilità della corte e sull’esigenza di
sviluppare centri abitati, destinati anche alla produzione agrico-
la e alimentare, che era determinato da luoghi-satellite intorno
alla capitale spagnola.
Un sistema di residenze stagionali dove l’esercizio della
caccia rappresenta il cerimoniale di corte ma anche una possibi-
lità di sviluppo, di controllo e gestione del territorio. Un modello
adottato per le influenze reali spagnoli anche dalla corte sabau-
da nel XVIII secolo e che viene evidentemente proposto per
le naturali ascendenze culturali e familiari durante il regno di
4. Carlo di Borbone nella capitale napoletana e nei suoi dintorni.
La Reggia di Capodimonte sull'omonima collina
della città di Napoli. Nel breve contesto di questo saggio sono riportati alcuni
5. di questi elementi di continuità, di contaminazione culturale
Palazzo Reale di Capodimonte, dettaglio della tra Madrid e Napoli. Aspetti e temi che meritano ulteriori ap-
facciata settentrionale
profondimenti anche per l’individuazione di altre tracce docu-
mentarie e per una ri-lettura che definisca, alla luce di nuove
acquisizioni, comuni indirizzi di ricerca.

Una breve storia della storiografia contemporanea

L’interesse per i Siti Reali dei Borbone nella storiografia


contemporanea risale ai primi saggi di Nicola del Pezzo pubbli-
cati periodicamente per la prima serie della rivista Napoli Nobilis-
sima, diretta da Benedetto Croce, alla fine dell’Ottocento. Il pro-
cesso di rivalutazione critica delle Residenze Borboniche – alla
pari dell’interesse coevo per i monumenti di storia patria napo-
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 209

letana, determinato in un momento di grande attenzione per la 6


Notizie del bello, dell’antico e
definizione del concetto di conservazione e salvaguardia – segue, del curioso che contengono le Reali
Ville di Portici, Resina, lo scavamento
dopo circa un secolo, la ristampa a cura di Salvatore Palermo del- di Pompejano, Capodimonte, Cardito,
Caserta, e S. Leucio, che servono di
la “Guida” del Celano relativa alle “Notizie del bello dell’antico e
continuazione all’opera del canonico
del curioso” dedicate a “Le Reali Ville” del 1792 6. Carlo Celano, a spese di Salvatore
Palermo, Napoli 1792.
Nei saggi di del Pezzo – supportati da documenti inediti, de-
7
n. del pezzo, Siti Reali: la Favorita,
scrizioni dei siti e resoconti dei viaggiatori – sono analizzate la Reg- in «Napoli Nobilissima», 2 (1893), pp.
gia di Portici (1896), gli Astroni (1897) e Capodimonte (1902) 7. Un 161-164, 189-192; Siti Reali: Il palazzo
Reale di Portici, in «Napoli Nobilissima»,
riferimento bibliografico per gli storici dell’architettura della scuo- 5 (1896), pp. 161-167; 183-188; Siti Reali:
la napoleana, guidata da Roberto Pane, è certamente il volume del i Campi Flegrei e gli Astroni, in «Napoli
Nobilissima», 6 (1897), pp. 119-122, 149-
1959 sulle Ville Vesuviane del Settecento, un volume a più mani che 153, 170-173;. Siti Reali: Capodimonte,
annovera tra gli autori: Giancarlo Alisio, Paolo Di Monda, Lucio in «Napoli Nobilissima», 11 (1902), pp.
65-67, 170-173, 188-192.
Santoro e Arnaldo Venditti 8. Nella prefazione al libro si eviden-
8
r. pane, g.c. alisio, p. di monda, l.
zia l’importanza della conoscenza di un patrimonio architettonico santoro e a. venditti, Ville Vesuviane del
diffuso lungo la “Regia Strada delle Calabrie” ma soprattutto dello Settecento, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1959. Sulla scuola napoletana
“stato di conservazione” di tante residenze aristocratiche sorte in di storia dell’architettura si veda
seguito alla costruzione della Reggia di Portici (collocata alle pen- g. menna, La storia dell’architettura
tra orientamenti didattici e indirizzi di
dici del Vesuvio) e alla scoperta degli Scavi di Ercolano. ricerca, in La Facoltà di Architettura
Infatti è principalmente il tema della “memoria dell’an- dell’Ateneo fridericiano di Napoli 1928-
2008, a cura di B. Gravagnuolo et al.,
tico” a determinare il nuovo sito reale ed è a partire dalla pri- Napoli, Clean Edizioni, 2008, pp. 184-193.
ma metà del Settecento che si intrecciano e si sovrappongono 9
Cfr. g.c. alisio, Vedute napoletane
i temi della cultura illuministica, strumento di conoscenza ma della collezione Alisio, Napoli, Electa,
2002; Napoli 1804. I siti reali, la città, i
anche rappresentazione stessa del “mondo nuovo”. casali nelle piante di Luigi Marchese,
La divulgazione del sapere e delle opere attraverso la cir- catalogo mostra, Napoli, Electa Napoli,
1990; Capodimonte da Reggia a Museo, a
cuitazione dei libri, delle stampe, della cartografia scientifica e cura di M. Lucà Dazio e U. Bile, Napoli,
dell’iconografia (incisioni, dipinti e gouaches) 9, che talvolta rap- Elio de Rosa Editore, 1994; La Reggia di
Portici nelle collezioni d’arte tra Settecento
presenta emblematici eventi storici – le scene di caccia su tutto, e Ottocento, a cura di L. Martorelli,
o anche ameni e straordinari paesaggi che sono la proposizione Napoli, Elio de Rosa Editore, 1998.
10
divulgativa di incantevoli scenari naturali –, sono pure un fo- Cfr. c. de seta, L’Italia del Grand
Tour a Montaigne a Goethe, Napoli,
togramma e uno strumento di comunicazione, un elemento da Electa Napoli, 1996; idem, Napoli tra
collezione, un “ricordo dell’evento”, un volano eccezionale di Barocco e Illuminismo, Electa Napoli,

trasmissione culturale. E così tra le rovine dell’antica Roma e


la scoperta di civiltà sepolte (Ercolano prima e Pompei dopo)
nasce il mito del “Grand Tour”, la necessità di un “Viaggio” alla
scoperta delle radici e della comune cultura europea 10.
In tal senso Napoli e i suoi dintorni rappresentano, pro-
prio a partire da quest’epoca, uno straordinario universo che
diventa unicum per la presenza del Vesuvio, suggestiva ed evo-
cativa, incisiva e dominante da un punto di vista paesaggistico,
tanto decantato dalla letteratura anche nel secolo successivo, un
topos della cultura europea.
E la Reggia di Portici rappresenta, pur nella sua semplici-
tà architettonica, da leggere certamente in una dinamica visiva
e di contesto urbano, il fulcro di un vasto territorio che già pre-
sentava pregevoli episodi architettonici su tutta l’area vesuviana.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 210

Napoli 2002; idem, Il fascino del’Italia Nel volume sulle Ville Vesuviane Roberto Pane, a distan-
nell’età moderna, dal Rinascimento al
Grand Tour, Milano, Raffaello Cortina za di vent’anni dalla pubblicazione sull’architettura barocca
Ed., 2011. Per il Grand Tour nel XIX napoletana 11, si interroga proprio sulla necessità di tutelare e
secolo si veda anche f. mangone, Viaggi
a Sud. Gli architetti nordici e l’Italia 1850- valorizzare un territorio e un patrimonio architettonico dall’in-
1925, Napoli, Electa Napoli, 2002. curia e dalle trasformazioni in atto e che seguiranno durante
11
r. pane, Architettura dell’età gli anni del “boom economico” del Novecento; un momento
barocca in Napoli, Napoli, epsa editrice
politecnica, 1939. storico deregolato, che porterà alla definizione di una conurba-
zione che presenta tuttora una smisurata densità abitativa. Alla
frenetica e abusata attività edilizia si aggiungerà, nel dopoguer-
ra, anche l’improvvida e irreversibile realizzazione della linea
ferroviaria statale che, seguendo la linea di costa, conduce in
Calabria – una necessità sviluppo per le aree depresse – che,
ancora oggi, rappresenta, per lunghi tratti di costa, una assoluta
alterazione dello skyline naturale e ambientale tirrenico.
Nel 1976 Giancarlo Alisio pubblica i Siti Reali dei Borboni
per i tipi di Officina Edizioni, trattando per la prima volta in
modo sistematico gli edifici per la caccia realizzati per volere di
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 211

re Carlo e poi di Ferdinando IV. Procida, Castellammare, Car- 12


g.c. alisio, Siti reali dei Borboni.
ditello, Persano sono i luoghi prescelti non tralasciando aspetti Aspetti del’architettura napoletana del
Settecento, Roma, Officina edizioni,
dell’architettura napoletana del Settecento che saranno ribaditi 1976.
in altre pubblicazioni 12. 13
Cfr. Architettura e urbanistica
dell’età borbonica: le opere dello stato,
Ma ritornando a Portici e alla strada costiera per Napoli
i luoghi dell’industria, a cura di A.
bisogna sottolineare che da San Giovanni a Teduccio a Torre del Buccaro, G. Matacena, Napoli, Electa
Napoli, 2004.
Greco e nell’entroterra vesuviano in questo periodo oltre alle
ville si affermano anche piccoli centri abitati, attuali comuni
dell’hinterland napoletano. Questo patrimonio simbolico del-
la cultura tardobarocca sopravvive nell’Ottocento, allo svilup-
po industriale voluto da Ferdinando II di Borbone (1830-59), e
recupera vigore durante il periodo eclettico, vivendo però note
decadenti nella seconda metà del Novecento 13.
Il luogo è definito dalla letteratura come il “Miglio d’Oro”,
già noto in età aragonese, aspirazione residenziale dell’aristo-
crazia settecentesca napoletana. A questo percorso Roberto Di
Stefano e Aldo Trione, nel 1979, dedicano un “itinerario fotogra-

6.
G. Carafa, Duca di Noja
Mappa Topografica della Città di Napoli e de’ suoi
contorni..., 1750-75; tav. 28, dettaglio della Reggia
di Portici e dei dintorni.

7.
La Reggia di Portici in uno studio sulla "successione
degli assi dinamici percepibili dal centro del cortile";
tratto da G.C. Alisio, Urbanistica napoletana del
Settecento, Bari 1979.
In linea con i progetti di altre residenze reali
europee, caratterizzate da assi dinamici e scorci
all’infinito, il "Casino Reale" di Portici presenta una
corte d’onore che è anche una piazza pubblica di
passaggio, ispirata alle places royales francesi.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 212
8.
Place Vendome a Parigi, progetto di J.H. Mansart,
XVII secolo. Tratta da P. Sica, Storia dell’urbanistica,
Bari 1977.

9.
Reggia di Portici; la piazza pubblica sull’antica
"Strada delle Calabrie" (attuale via Reggia di Portici).

14
Il Miglio d’Oro. Itinerario
fotografico attraverso le ville vesuviane, fico”, affidato a Pino Grimaldi, che rappresenta un nuovo atto di
foto di P. Grimaldi, testi R. Di Stefano
e A. Trione, Il Laboratorio Edizioni,
denuncia sullo stato delle Ville Vesuviane sottolineando lo stato
Napoli 1979. di “deterioramento accelerato” 14.
15
c. de seta, l. di mauro, m. perone, Un anno dopo Cesare de Seta con Leonardo di Mauro e
Ville Vesuviane. Campania 1, Milano,
Rusconi Editore, 1980.
Maria Perone pubblicano il volume Ville Vesuviane (1980) per
16
u. cardarelli, p. romanello, a.
Rusconi Editore; uno studio ricco di documentazione grafica,
venditti, Ville Vesuviane. Progetto per un con rilievi, foto e documenti riguardanti oltre 130 ville e resi-
patrimonio settecentesco di urbanistica e
architettura, Napoli, Electa Napoli, 1988.
denze aristocratiche, tra le quali Villa d’Elboeuf, Villa Campolie-
17
Dal sito della Fondazione Ente
to, la Reggia di Portici, etc., che rappresentano un diffuso patri-
per Ville Vesuviane (www.villevesuviane. monio edilizio, in alcuni casi diventate delle banali e degradate
net): « Con il fine di conservare e
salvaguardare il cospicuo patrimonio residenze condominiali, e che, un tempo erano invece nobili
architettonico ed ambientale delle architetture, di loisir e di caccia, annesse anche ad aree di pesca
Ville Vesuviane del XVIII secolo, la
Legge dello Stato n. 578 istituiva e di rinomata produzione agricola grazie alle fertili terre del vi-
il 29 Luglio 1971 l’Ente per le Ville cino vulcano 15.
Vesuviane, Consorzio tra lo Stato, la
Regione Campania, la Provincia di Nel 1988 per i tipi di Electa Napoli viene pubblicato da
Napoli ed i Comuni Vesuviani. Nel Urbano Cardarelli, Paolo Romanello e Arnaldo Venditti ancora
1976 con l’emissione del Decreto
Ministeriale di vincolo inizia di fatto un altro volume sulle “Ville Vesuviane”, stavolta con il sottotitolo
il lungo lavoro dell’Ente a tutela dei Progetto per un patrimonio settecentesco di urbanistica e archi-
122 immobili monumentali compresi
nei territori dei Comuni di Napoli, S. tettura, dove oltre a una analisi storica e morfologica dei luoghi si
Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano intravedono idee progettuali per la riqualificazione della zona 16.
e Torre del Greco.(…) Con D.M. 16
luglio 2009 veniva approvato lo
Statuto della Fondazione Ente Ville
Vesuviane che sostanzialmente cambia
la forma giuridica ma non gli scopi ».
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 213

Un momento di analisi che compendia le iniziative cul- 18


Cfr. Civiltà del Settecento a Napoli
turali e di recupero promosse dall’Ente per le Ville Vesuviane, 1734-1799, con una presentazione di
Raffaello Causa, Firenze, Centro-
istituito con una Legge dello Stato (n. 578) del 9 luglio 1971, ora Di, 1980; Civiltà del Seicento a Napoli,
Napoli, Electa Napoli, 1984; Civiltà
divenuta Fondazione e presieduta da Giuseppe Galasso 17. Nel
dell’Ottocento, 3 voll., Napoli, Electa
corso di circa quarant’anni si è provveduto a un’opera di riqua- Napoli, 1977; La fortuna di Paestum e la
memoria moderna del dorico 1750-1830, a
lificazione di numerose ville che, dopo accurati restauri, sono
cura di J. Raspi Serra e G. Simoncini, 2
state destinate a usi culturali, aperte al pubblico, e affidate alla voll., Firenze, Centro-Di, 1986.
19
gestione agli enti locali. Cfr. Napoli-Spagna. Architettura
e città nel XVIII secolo, a cura di A.
In questa breve nota storiografica – tracciata in modo sin- Gambardella, atti del convegno, Napoli,
tetico per ricostruire le significative tappe degli studi sui Siti Edizioni Scientifiche Italiane, 2001;
a. gambardella, Dalla “Casa di re”:
Reali – non possono sfuggire a una necessaria menzione i ca- una nuova dimensione internazionale
taloghi di straordinarie mostre e iniziative culturali intrapresi a per l’architettura e il territorio, in Casa
di re. La Reggia di Caserta fra storia e
partire dagli anni Ottanta. Si tratta dei grandi eventi espositivi tutela, a cura di R. Cioffi e G. Petrenga,
che hanno contribuito a nuove acquisizioni e a una diffusione catalogo della mostra Casa di re. Un
secolo di storia alla Reggia di Caserta
culturale della “Civiltà napoletana dal Seicento all’Otttocento” 1752-1860, Skira, Milano-Ginevra, 2005
e della “fortuna di Paestum”, dove nei saggi di tanti studiosi e anche Napoli e il Settecento, Atti del
Convegno Internazionale di studi a
coinvolti si ritrovano preziosi contributi 18. cura di A. Gambardella (Napoli 25-26
Ma anche gli studi sull’architettura e sul territorio della ottobre 1999), Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli, 2001.
Terra di Lavoro con la realizzazione di convegni internazionali 20
Sulla Reggia di Portici e dintorni
e mostre documentarie curate da Alfonso Gambardella e dagli si segnalano: d. mazzoleni, s. mazzoleni,
studiosi della Seconda Università di Napoli 19. L’Orto botanico di Portici, Cercola (NA),
Soncino editrice, 1990; v. fraticelli,
In questa breve nota sulla storiografia riferita soprattutto Il giardino napoletano. Settecento e
ai siti reali minori sono da menzionare anche altri studi sulle Ottocento, Napoli, Electa Napoli, 1994;
f. barbera, La scelta strategica del Real
architetture e i relativi centri storici, il rapporto tra architetti Sito di Portici, Portici, Comune, 2000;
e committenza, la stratificazione dei luoghi e il progetto del c. fidora, s. attanasio, Ville e delizie
vesuviane del ’700. Passeggiata da Napoli
paesaggio e delle aree verdi; aspetti e indagini che riguarda- a Torre del Greco, con una prefazione
no le residenze borboniche e i dintorni che sono stati trattati di P. Craveri, Napoli, Grimaldi, 2004;
Il Real Sito di Portici, a cura di M.L.
dal Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Iconografia Eu- Margiotta, Napoli, Paparo Edizioni,
ropea dell’Univeristà di Napoli Federico II diretto da Alfredo 2008. Per altri aspetti sull’architettura
e l’iconografia ai tempi dei Borbone cfr.
Buccaro 20. a. buccaro, g. kjuč arianc, p. miltenov,
Antonio Rinaldi. Architetto vanvitelliano
a San Pietroburgo, Milano, Electa, 2003;
Iconografia delle città in Campania:
Napoli e i centri della provincia, a cura
di C. de Seta e A. Buccaro, Napoli,
Electa Napoli, 2007; Iconografia delle
città in Campania: le province di Avellino,
Benevento, Caserta, Salerno, a cura
di C. de Seta e A. Buccaro, Napoli,
Electa Napoli, 2006; m. visone, Tra
natura e artificio. L’affermazione del
giardino paesaggistico a Napoli durante
il Decennio Francese, Napoli 2006; Alle
origini di Minerva Trionfante. Caserta
e l’utopia di S. Leucio. La costruzione
dei Siti Reali borbonici, a cura di I.
Ascione, G. Cirillo, G.M. Piccinelli,
Roma, Ministero per i Beni e le Attività
Culturali. Direzione Generale per gli
Archivi, 2012; m.a. noto, Dal Principe
al Re. Lo “stato” di Caserta da feudo a
Villa Reale (secc. XVI-XVIII), Roma,
Ministero per i Beni e le Attività
Culturali. Direzione Generale per gli
Archivi, 2012.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 214

Le residenze di Carlo: architettura e territorio

Al primo periodo di Carlo di Borbone – databile sino al


1750 circa e relativo alla incisiva presenza di funzionari e diplo-
matici spagnoli che indirizzavano la politica del giovane sovra-
no e il governo del regno – corrispondono alcune grandi opere
urbane e architettoniche. Tra queste sono: la ristrutturazione
del secentesco Palazzo Reale; la costruzione del Real Teatro San
Carlo (1738), poi ricostruito nel primo decennio dell’Ottocento;
la nuova sistemazione della via Marina con l’area del porto, la
Dogana e l’Immacolatella (1748-50); e infine i Siti Reali di Capo-
dimonte (1738-1742) e di Portici (1741), nuove residenze di corte
destinate all’attività venatoria.
A tal proposito si ricorda che i primi siti di “sovrana resi-
denza” furono l’isola di Procida (1735), espropriata alla famiglia
d’Avalos e poi, nei Campi Flegrei, gli Astroni e le aree dei laghi
del Fusaro e Agnano 21.
Luoghi che in quanto “Siti Reali” potevano corrisponde-
re a possibili aree di futuro sviluppo dei borghi limitrofi; aree
21
Cfr. m. barba, s. di liello, p. collocate ai margini della capitale partenopea che, secondo assi
rossi, Storia di Procida, Territorio,
spazi urbani , tipologia edilizia, Napoli,
e direttrici che potevano consentire uno sviluppo “stagionale”
Electa Napoli, 1994; e ancora s. di secondo un sistema che era stato sperimentato già in Spagna
liello, Giovan battista Cavagna.
Un architetto pittore fra classicismo
ma anche proporre l’idea di una “corona di delizie” sul modello
e sintetismo tridentino, Napoli, di quelle costruite nello stato sabaudo. Con una naturale abitu-
Fridericiana, 2012.
22
dine alla mobilità determinata dalle stagioni e da dinamiche di
Sul tema è utile riportare una
bibliografia essenziale del gruppo di
rotazione residenziale gestite intorno alla capitale. Da Madrid a
ricerca dell’Insituto Universitario de luoghi e centri (La Granja a Segovia, Aranjuez nei pressi di To-
la Corte en Europa – iulce, diretto da
josè martinéz millan: La corte de Felipe
ledo, Pardo vicino Madrid, ma anche Moncloa, Aceca, Vaciama-
II, Madrid, Alianza Editorial, 1994; drid, etc.) che consentivano un controllo territoriale e un pos-
Felipe II (1527-1598). La configuración
de la Monarquía Hispana, Valladolid, sibile sviluppo economico e sociale delle città coinvolte e che
Junta de Castilla y León, 1998; La corte apparivano caratterizzate da specifiche fasi produttive (agricole
de Carlos V, 5 voll., Madrid, Sociedad
Estatal para la Commemoración de e/o di allevamenti di bestiame, di manifattura, etc.), in grado di
los Centenarios de Felipe II y Carlos poter garantire la vita economica della popolazione collocata
V, 2000; La Monarquía de Felipe II. La
Casa el rey, 2 voll., Madrid, Fundación nei dintorni dei Reales Sitios. E ancora, la gestione della poli-
Mapfre-Tevera, 2005; La Monarquía tica dei luoghi e del territorio nonché del cerimoniale spagno-
de Felipe III. La Casa del rey, 2 voll.,
Madrid, Fundación Mapfre, 2008. E lo corrispondeva a una precisa determinazione gerarchica che
ancora, jose martinez millan, ma.p.m. partiva dal Re e si svolgeva secondo una precisa articolazione
lourenço, Las relaciones discretas entre
las Monarquías hispana y portoguesa. Las come dimostrano vari studi dei colleghi ricercatori spagnoli 22.
Casas de las Rinas (siglos XV-XIX), vol. E nel progetto di ampliamento napoletano secondo una
I, Madrid 2008, pp. 9-231; F. Labrador
Arroyo, A. López Álvarez, Luyo y direttrice settentrionale (Capodimonte collegata con i casali di
representación en la Monarquía de los Miano, Secondigliano, etc.) e una orientale (Portici e dintorni
Austrias: la configuración del ceremonial
de la Caballeriza de la reinas, 1570-1600, sull’asse costiero) sembra proprio di ripercorrere l’impostazio-
in «UNED, Espacio, Tiempo y forma», ne di sviluppo adottata dalla casa borbonica spagnola, esito di
serie IV, Historia Moderna, vol. 23
(2010), pp. 19-39; f. labrador arroyo, modelli culturali sperimentati in altre capitali d’Europa. Con
Gasto y financiación de los oficiales y un particolare riferimento alle dinamiche di insediamento spe-
obras de los Reales Sitios (1612-1635), in La
Corte en Europa: Política y religión (siglos
XVI-XVIII), a cura di J. Martínez Millán,
M. Rivero Rodríguez y G. Versteegen,
Madrid, Polifemo, 2012, pp. 1969-2019.
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 215

rimentate con la “corona di delizie reali” programmata dal duca


Emanuele Filiberto (a partire dal 1563) nel Regno di Sardegna;
un tema di sviluppo del territorio caratterizzato da centri del
potere e dai relativi borghi annessi alle residenze reali.
Le residenze napoletane sembrano anche avere una ca-
ratteristica connotazione funzionale per ciascun Sito; si pensi
alla Fabbrica di Porcellana stabilita in Capodimonte, dismessa
nel 1759 da Carlo che porterà in Spagna il cosiddetto e leggen-
dario “segreto” produttivo. Ma anche alla residenza di Carditello
e Calvi, progetto di Francesco Collecini per Ferdinando IV, dove
emerge la produzione agricola e lo sviluppo dell’industria ca-
searia (formaggi e mozzarelle) grazie all’allevamento di bufale;
una produzione documentata anche nella residenza di Persano,
dove viene impiantato un allevamento di cavalli di razza, nelle
vicinanze della campagna salernitana dove sono anche gli scavi
di Paestum; le peschiere e i vivai nei Campi Flegrei e nel porto
del Granatello a Portici. A San Leucio, dove l’idea di un’utopia
sociale porterà al progetto di una nuova città e allo stabilimento
delle “Reali Seterie”, i cui prodotti pregiati saranno esportati in
tutta Europa per tutto l’Ottocento e nel secolo successivo.

10.
Reggia di Portici, scorcio della scala che conduce al
piano nobile.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 216

È quanto emerge, sinora sotto traccia, dalla bibliografia


esistente, è quanto si ritrova dallo studio delle fonti documenta-
rie custodite presso gli archivi napoletani e della Campania.
Da un’indagine preventiva delle fonti documentarie di
“Casa Amministrativa Reale” custodite presso l’Archivio di Stato
di Napoli – da cui mancano importanti estratti di storia nazio-
nale distrutti, durante la seconda guerra mondiale, dai nazisti
tedeschi in fuga – continuano a sussistere fonti e documenti
che potrebbero essere ancora foriere di utili aggiornamenti e
di tracce inedite 23. Così come del resto potrebbe essere più che
interessante il confronto dei carteggi esistenti presso l’Archivo
General de Simancas, da dove sono già emersi inediti apparati
per la storia della città di Napoli e dei suoi dintorni.
Nello studio dei Siti Reali al tempo di Carlo di Borbone
un caso particolare è rappresentato dalla Reggia di Portici sia
per la peculiare ubicazione del palazzo, posta a cavallo di una
strada di “pubblico passaggio” sia per l’ubicazione in un scena-
rio ambientale di raro e suggestivo fascino. “Tra il Vesuvio e il
Golfo” sarà la residenza privilegiata dal sovrano per la presenza
degli Scavi di Ercolano, un “patrimonio dell’umanità”, il luogo
simbolo del culto dell’“antico”, la sede di una fucina di studi
– sono tanti gli estratti documentari che riportano le vicende
sul recupero dei papiri ercolanesi e degli straordinari reperti
emersi dagli scavi – dove sarà allestito il Museo Ercolanense 24.
Come già noto per la costruzione della Reggia si incon-
trarono difficoltà progettuali per l’adattamento del nuovo com-
plesso alle preesistenze edilizie presenti in loco. E il progetto
finale rappresenta l’esito di un compromesso equilibrato tra le
parti ex novo e il riuso delle strutture esistenti. Affidato inizial-
mente a Giovanni Antonio Medrano, artefice di Capodimonte
e del Teatro San Carlo, insieme all’imprenditore Angelo Cara-
sale, che però saranno estromessi in seguito a oscure vicende
di appalti poco trasparenti 25, il progetto di Portici sarà nel 1741
23
Per una ricognizione degli uno dei maggiori desiderata del sovrano così come appare dal-
inventari esistenti in sala studio, con la penna di Joaquìm de Montealegre, duca di Salas, che ver-
possibili nuove tracce, si vedano
presso ASNa (Archivio di Stato di ga il documento relativo al “Regolamento per il R. Casino da
Napoli) i volumi relativi al fondo Casa costruirsi in Portici”.
Amministrativa Reale, Maggiordomia
Maggiore, nn. 548, 554-558; i volumi Dal carteggio, dell’agosto del 1741, emerge il definitivo af-
indicati contengono note in addenda fidamento dell’opera ad Antonio Canevari con la collaborazione,
curate dal dott. Fausto Di Mattia, che
si ringrazia insieme al dott. Gaetano in seconda, dell’ingegnere camerale Biagio de Lellis e il control-
Damiano, per i preziosi suggerimenti lo dei lavori affidato all’Intendente Giovanni Bernardo Voschi.
e le indicazioni per la ricerca.
24
Una rigida struttura gerarchica che prevede modalità di
Cfr. Herculanense Museum.
Laboratorio sull’antico nella Reggia pagamento certe attraverso gli uffici indicati; tempi e controlli
di Portici, a cura di R. Cantilena e A. regolari, attraverso “scandagli” (stati di avanzamento dei lavori)
Porzio, Napoli, Electa Napoli, 2009.
25 quotidiani che documentano il lavoro di tutti i preposti all’opera.
c. de seta, m. perone, La Reggia
di Portici, in Il patrimonio architettonico
dell’Ateneo Fridericiano, a cura di A.
Fratta, Napoli, Arte Tipografica Editrice,
2004, pp. 391 e segg.
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 217

Una dinamica di controllo rigida, certa e ordinata “pro- 26


ASNa, Archivio di Stato
prio da Sua Maestà”, per accelerare e completare i lavori, con di Napoli (d’ora innanzi ASNa),
Maggiordomia Maggiore e
una rigida suddivisione dei tecnici e delle relative mansioni. Si Soprintendenza generale di Casa Reale,
Archivio amministrativo terzo inventario –
prevedono anche altri due architetti aiutanti Giovanni Antonio
Stanza 170, vol. 5, anno 1741. Si veda
Giuliani e Antonio dell’Elmo, nominati all’uopo per il controllo documento riportato in appendice.
dei lavori e il trasporto dei materiali da costruzione, cioè « barca-
te di pietre dolci che si conducono » a Portici provenienti dalle
cave della collina di Posillipo, « della pozzolana di fuoco, della
manipolazione della calcina ». Per questo controllo gli architet-
ti preposti «debbano farne un distinto rapporto a S.E. il Sig.r
Duca di Salas, affinche S.M. con tal mezzo venghi puntualm.te
informato di ciò, che giornalm.te si va adelantando nella fabrica
del detto Casino » 26.
Ma a Portici oltre ai lavori per il restauro e il recupero dei
reperti provenienti dagli Scavi di Ercolano si pone grande atten-
zione alla costruzione e manutenzione della Regia Peschiera del
Granatello, il porto di riferimento della cittadina ma anche sede
di un vivaio e di una tonnara che viene inizialmente dismessa alla
partenza di Carlo ma che, dopo qualche anno dopo, per volere
di Ferdinando IV, sorge più florida. Il bacino portuale diventerà
11.
nel 1839 anche il terminale della prima stazione ferroviaria nella Pianta Geometrica della Peschiera e Bagno Reale al
penisola italiana, voluta da Ferdinando II di Borbone insieme Granatello, nella qual pianta vi è indicata la nuova
Rampa a costruirsi onde accedere con le carrozze
alla costruzione del vicino opificio industriale di Pietrarsa, oggi dallo Stradone innanzi al Casamento Elbeuf fino
allo Spiazzo precedente il detto Bagno
Museo Ferroviario Nazionale. Ma il Sito di Portici è anche sede di metà XIX secolo, Archivio Storico della
una “Real Fabbrica de’ Nastri” dove si svolgono anche lavorazio- Soprintendenza BAPSAE di Napoli.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 218

ni di seta. Aspetti e temi che risultano documentati nei carteggi


dell’Amministrazione di “Casa Reale” per tutta la prima metà
dell’Ottocento così come risultano anche dai disegni di progetti
di manutenzione e ristrutturazione di alcune zone (“Peschiera e
Bagno Reale al Granatello” e il “suolo delle Mortelle”) 27.
Dalle fonti documentarie e dalla mole dei carteggi esi-
stenti per tutte le residenze, i siti e i territori sparsi nel Regno
delle Due Sicilie si determina ancora con maggiore convinzione
l’idea di quanto il sistema diffuso di sviluppo del territorio che
intendeva riproporre un dinamica già sperimentata in Spagna
nel secolo precedente proprio con l’istituzione dei Reales Sitios.
Del resto la documentazione e l’istituzione amministrativa dei
siti era proprio determinata, come noto, da una struttura bu-
rocratica e amministrativa che, secondo una naturale gerarchia,
era governata all’apice dal sovrano di turno. E nelle corrispon-
denze di archivio si ritrovano informazioni e notizie che riguar-
dano anche siti minori (Volla, Torre del Greco), i cui possedi-
menti erano legati a Casini e a territori destinati alla caccia, che
avevano regolarmente bisogno di controllo e manutenzione 28.
La zona nel XIX secolo è una meta privilegiata dell’aristocra-
zia così come riporta Giovan Battista Ferrari nella sua guida: «(...)
La dolcezza del clima, la bellezza della situazione ed il soggiorno
della Corte han reso Portici il centro delle Villeggiature de’ Napoli-
tani. Nell’ottobre, particolarmente né di festivi, la strada da Napoli
a Portici presenta un continuato passaggio di carrozze e di persone
a piedi. Tutto il lusso di Napoli è trasportato durante quel mese.
(...) Gli appartamenti reali sono messi con grande magnificenza, e
varii pavimenti sono di musaici antichi. Eran prima qui raccolti gli
oggetti più preziosi trovati a Pompei e ad Ercolano (...)» 29.
Non mancano nei documenti d’archivio le sintetiche let-
tere di accompagnamento redatte in lingua spagnola, così come
da prassi e da consolidata tradizione delle note ministeriali/di-
plomatiche relative alla citata prima fase del Regno napoletano.
Fonti cartografiche e carteggi, redatti in italiano e in spagnolo,
27
che costituiscono un patrimonio documentario che sarebbe utile
Cfr. ASNa, Archivio di Stato
di Napoli, Maggiordomia Maggiore offrire e riproporre in rete, al pubblico e agli studiosi interessati.
e Soprintendenza generale di Casa La continuità culturale sull’asse Madrid-Napoli ha anche
Reale, Archivio amministrativo terzo
inventario – Stanza 170, vol. 1529. I altri riflessi nell’esercizio del confronto delle architetture e dei
disegni dell’Archivio Storico della relativi caratteri figurativi.
Soprintendenza bapsae di Napoli che
di seguito sono pubblicati sono stati In questo contesto, come già indicato, è opportuno ricorda-
esposti a Palazzo Reale in una Mostra re l’esempio del Palacio Real de Riofrío a San Ildelfonso, nei pres-
documentaria “Siti Reali dei Borbone”,
a cura di Paolo Mascilli Migliorini, Sala si di Segovia – voluto da Elisabetta (Isabel) Farnese, con un annes-
Dorica, 5–27 gennaio 2011. so bosco di circa 625 ettari, attribuito al progetto dall’architetto
28
Cfr. ASNa, Archivio di Stato italiano Virginio Rabagli – che sembra la riproposizione spagno-
di Napoli, Maggiordomia Maggiore e
Soprintendenza generale di Casa Reale, la della Reggia di Capodimonte napoletana. Le due architetture
Archivio amministrativo terzo inventario –
Stanza 170, vol. 1528.
29
g.m. galanti, Napoli e contorni,
Napoli, Borel e Comp., 1829, pp. 319-320.
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 219

hanno in comune dei prospetti caratterizzati da simili cromatismi 30


A titolo essenziale e rimandando
(gradazioni di grigio e rosso), con teorie di finestre che si sviluppa- alle bibliografie ivi contenute cfr. c. de
seta, Luigi Vanvitelli, Napoli, Electa
no su tre piani, bugne angolari e avancorpi aggettanti e balaustra Napoli, 1998; Vanvitelli e la sua cerchia,
a cura di C. de Seta, Napoli, Electa
di coronamento superiore con elementi decorativi regolari.
Napoli, 2000.
Ma è il caso di citare anche l’ampliamento del Palacio Real
de Madrid (1760-64) di Francesco Sabatini, genero di Luigi Van-
vitelli, i cui caratteri architettonici sono certamente paragonabili
alla Reggia di Caserta (1750-73), anche e soprattutto per volere di
Carlo III, lo stesso committente delle due straordinarie fabbri-
che. Una ulteriore dimostrazione della contaminazione culturale
e della assoluta continuità/contiguità progettuale tra Napoli e Ma-
drid, molto più incisiva e chiara di quanto spesso non emerga.
Nel breve contesto di questo saggio riferito ai “Palazzi
del Re” – in cui risultano soltanto evidenziati alcuni aspetti che
meriterebbero ulteriori approfondimenti e una specifica/siste-
matica ricerca –, è stata volutamente tralasciata la nota storia
della Reggia di Caserta e del suo territorio, l’idea di una “nuova
capitale” intrapresa a partire dal 1750, in un momento di grande
apertura politica e con la presenza di architetti come Luigi Van-
vitelli e Ferdinando Fuga, a cui sarà affidato l’utopico progetto
dell’Albergo dei Poveri, entrambi provenienti dall’ambiente ro-
mano. Una storia già scritta, nelle sue varie sfaccettature, la cui
sola bibliografia potrebbe riempire le pagine intere di un volu-
me 30. Un progetto, che gode sin dall’inizio di una straordinaria
fortuna critica, rimasto però incompiuto per la partenza di Car-
lo di Borbone (1759) che regnerà poi in Spagna, riportando tutta
l’esperienza vissuta, per oltre un ventennio, da sovrano dell’area
napoletana e del mezzogiorno della penisola italiana.
Da questi aspetti e dai vari temi collegati alle storie e alle
architetture, alle trasformazioni del territorio e del paesaggio
urbano può nascere un progetto di ricerca (aperto agli studiosi
interessati e alla rete), un trait d’union di una comune cultura
nella storia europea.

12.
A. Piediferro
Pianta Topografica del suolo detto delle Mortelle
di Regia pertinenza al Granatello, 1859, Archivio
Storico della Soprintendenza BAPSAE di Napoli.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 220

appendice documentaria

Archivio di Stato di Napoli (ASNa), Maggiordomia Maggiore e


Soprintendenza generale di Casa Reale, Archivio amministrativo terzo
inventario – Stanza 170, vol. 5, anno 1741.

“Regolamento per il R. Casino da costruirsi in Portici a. 1741”

«Regolamento, che si stima doversi tenere nella formazione del


nuovo Real Casino, che dovrà fabbricarsi in amministrazione nella
Regal villa di Portici per conto proprio di S.M.
Principalmente tutta l’intiera fabrica del detto Regal Casino
dovrà essere diretta, ed ordinata dall’Ingegnere Direttore D. Antonio
Canevale [Canevari].
2do. La Sopraintendenza della detta Opera, in quanto a materiali,
operarj, e perfezione de’ lavori, dovrà correre a carico dell’Intendente
D. Gio. Bern.do Voschi, che si trova presentem.te in d.a Villa di Portici
con altre incombenze del Real Servizio.
3°. Dovrà ordinarsi all’Ingegniere Camerale D. Biaggio de Lellis,
che almeno due volte la Settimana si conferisca in d.a Villa, ed unitam.
te coll’Ingegniere Direttore riconoschino le fabriche, che si van facendo,
pigliandone un scandaglio, per quanto più si potrà, esatto, ed infine
d’ogni Settimana, debbano farne un distinto rapporto a S.E. il Sig.r
Duca di Salas, affinche S.M. con tal mezzo venghi puntualm.te informato
di ciò, che giornalm.te si va adelantando nella fabrica del detto Casino.
4°. Li Ministri destinati da S.M. per accudire, e sopraintendere
sino alla total perfezione di d.a fabrica, che sono il Presidente Conte
Coppola, ed il Fiscale D. Fran.co Orlando dovranno una volta la
settimana portarsi di persona in detta Real Villa di Portici, e riconoscer
li lavori, che si son fatti e si van facendo in detta nuova fabbrica (...).
5°. Che debba destinarsi uno de’ Razionali della Regia Camera,
che sotto l’ordine de sud.i due Ministri debba tener conto, e raggione
così della Summa che dovranno impiegarsi per il sud.o effetto, (...) a
qual effetto si propone il Razion.le D. Michele Lipari, uno de’ razionali
del Tribunale della R.a Camera, persona abilissima per detto affare.
6°. Si dovranno apprezzare li Bassi, che sono accanto il muro
del Giardino di Caramanico, principiando dal nuovo Ponte in giù
verso il Barraccone di legname, affinché possa chiudersi il passaggio
della Strada pubblica (...).
7mo. Si dovranno destinare due Giovani Ingegnieri, per assistere,
ed in vigilare alla consegna de’ materiali, ed alla manipolazione della
Calcina, con doverne tenere conto, e raggione l’istessi dovranno
ogni settimana tener pronte le note di tutto ciò (...) a qual effetto si
propongono la persona di Gio. Ant.o Giuliani eletto presentemente
Ingegniere per grazia fattali da S.M. di cui se ne hanno tutti gli ottimi
riscontri, e quella di D. Ant.o dell’Elmo proposta, ed approvata
dall’Ingegniere Direttore D. Antonio Canevale a S.E. il Sig.r Duca di
Salas; alli quali due soggetti per loro mantenimento, ed assistenza si
stima di poterli situare Docati trenta il mese p. ciascheduno, sempreché
il suddetto dell’Elmo sia decorato del grado d’Ingegnere (...).
8°. Dovranno similm.te detti Ingegneri tener conto del numero
delle giornate delli maestri, ed operarj che travaglieranno in ciaschedun
giorno, o’ almeno due volte il dì farne la rassegna,, o sia passare la mostra,
con sottoscriverne le note giornali. Dovranno tener conto delle Barcate
Pasquale Rossi Residenze e caccia durante il regno di Carlo di Borbone (1734-1759) 221

di pietre dolci, che si conducono da Posilipo, e dal Granatello colle some.


Dovranno tener conto a parte della quantità delle Some all’uso del Paese,
della pozzolana di fuoco, come ancora della quantità di Coffe del lapillo
anche di fuoco, e del numero delle Some che lo trasportano; come pure
dovranno tener ragione della quantità delle some di pietre dure della
Reg.a Corte, che si trasportano, con designarsi dà che luogo (...).
9°. Si crede ancora necessario, che in detta opera debbano
destinarsi due soprastanti, a quali debba situarseli il saldo di Ducati
dodici per ciascheduno il mese insino a tanto durerà e si compirà
l’opera sud.a al qual effetto si propongono le persone di D. Michele
Morales, e D. Giuseppe Buoncompagni, che a tenore degli informi
avuti dall’Ingegnere Dn. Biaggio de Lellis, par che siano li più periti di
quelli, che attualmente stanno applicati a servire nella direzione delle
altre fabbriche di detta Real Villa di Portici, l’incombenza de’ quali sarà
di dover invigilare a far travagliare tutti gli operarij nella forma debita,
e nello stesso tempo assistere, acciò tutti li materiali si trasportino, e
vadano nel luogo opportuno della fabbrica (...).
E per ultimo per aversi una sufficiente cautela in tutte le spese,
che occorreranno farsi per la fabbrica accennata, il danaro, che sarà
designato per tal effetto, avrà da ponersi in potere dal Tesoriere di Marina
D. Tomaso Trabucco, il quale dovrà tenerne conto a parte, e spenderlo a
tenore degli ordini, che si daranno da E. il Sig.r Duca di Salas.
E per li pagamenti così di giornalieri, come di materiali, trasporti, ed
ogn’altro, che occorrerà per servigio di d.a fabbrica, dovranno formarsene
le note rispettivam.te con tutta distinzione, circa la qualità, e quantità
de’ med.i con sottoscriversi dagl’Ingegneri assistenti, e dall’Ingegnere
Camerale D. Biaggio de Lellis col visto buono dell’ Ingegnere Direttore
Camerale, e dall’Intendente Voschi, e con quello dell’ sud.i due Ministri
Coppola, ed Orlando, le quali cautele, accompagnate con Consulta degli
istessi accennati due Ministri si passeranno sotto l’occhio del sud.o Ecc.
mo Sig.r Duca di Salas (...).
Napoli 17 agosto 1741
Il Marchese di Salas»

Il documento è accompagnato da una nota redatta in lingua


spagnola in cui è scritto:

«Para la fabrica del nuevo real Palacio, que hà rascelto el Rey


se fabrica enesa real villa de Portici, se hà servido S.M. aprobar el
adjunto regolam.to firmado de mi mano, que de real ord.n paso alas
de V.E.,afui quese entore de su contenido, y por su parte de’ entero
complim.to enso quese và cumbe,y se declara en el mismo regolam.to
Prevengo a V.E. que la real voluta del S.M. es quela fabrica
principiar precisam.te el proximo Lunes21 del corriente mes, y
que V. E. deve his dando cuenta de todo lo que, hirà accurriendo, y
ssè hàde llevar razon distinta de la franguicia alla cal, y se los mas
materiales sugetos à gavelas, ya que se trata de obra real que se hace
por administacion tambien prevengo à V.E. que alos dos Ingegnerios
Canavale que se contienen nel Capitulo 7° del Reg. les hà concedido
S.M. treinta Duc al sueldo al mes à cada uno desde el dia que principie
la fabrica, por todo el tiempo que duvarà, sin que parecan pretende
otra cosa, y menos de abitacion, pues el mismo se hànde pagar. Dro
ord. A V.E. Ms.Ss. como desse.
Napoles 18 Agosto 1741»
Nella pagina seguente:
13.
Antonio Joli
La corte borbonica alla Reggia di Capodimonte,
dettaglio.
SALVATORE DI LIELLO

«E TUTTO DOVEVA ESSERE


FEDELMENTE RAPPRESENTATO
SECONDO L’ARTE DELLA CACCIA »:
IL PAESAGGIO DEI SITI REALI
1.
Jacob Philipp Hackert
Ciclo delle Quattro Stagioni. Inverno.
Più volte gli studi sul pittore lorenese Georges De La Tour 1
Cfr. p. chonè, Georges de La Tour.
(1593-1652) ritornano sulla sua smisurata passione per la caccia Un peintre lorrain au XVIIIe siècle,
Tournai, Casterman, 1996; si veda
e sul suo inarrestabile desiderio di affermazione sociale 1. Di anche il catalogo on line della mostra
Georges de La Tour a Milano, Milano,
umili natali, presto nobilitati dal matrimonio con l’aristocratica
novembre 2011 – gennaio 2012.
Diana Le Nerf, riuscì a trasferirsi a Parigi nel 1638 affermandosi 2
Fra i molti titoli sull’argomento si
presto come pittore del Re. Numerosi atti giudiziari a suo cari- veda p. galloni, Il cervo e il lupo. Caccia
e cultura nobiliare nel medioevo, Roma,
co confermano un’indole violenta, sempre pronta a difendere i Laterza, 1993.
privilegi nobiliari come, fra gli altri, allevare un gran numero di
cani – levrieri e spaniel, riportano gli scritti – per cacciare le-
pri, sconfinando nelle proprietà altrui, incurante dei danni alle
coltivazioni. La pratica della caccia rappresentava del resto una
preziosa opportunità per ostentare l’appartenenza a una casta
privilegiata attenta a emulare i costumi dell’aristocrazia europea.
Antico, intramontabile privilegio della nobiltà, ma anche dram-
matizzazione ludica dell’arte della guerra, la pratica della caccia,
fin dal medioevo evocava valori simbolici sull’esercizio del potere
e sul diritto esclusivo di proprietà sul territorio 2. Anche quando
l’assolutismo delle monarchie europee sancisce il passaggio dalla
società feudale ai fasti della società di corte, la caccia aggiorna i
propri significati senza perdere mai valore: da rimando ancestrale
al dominio e alla difesa del proprio territorio, diventa cerimoniale,
rappresentazione rituale, dimostrazione di discendenza da una
stirpe guerriera di remote origini di cui si conserva intatta l’eredi-
tà. Una rigida disciplina ne caratterizza il protocollo al quale nes-
sun nobile chiamato al potere può sottrarsi: precise ed ineludibili
gerarchie, regole di comportamenti, protocolli e privilegi.
Se la Francia del De La Tour era quella del Grand Siècle,
quando l’arte e le conquiste di guerra diventano la più persua-
siva fra le metafore del potere, alimentando l’esprit de système, di
grande attualità era ancora il tema della caccia quando nel Set-
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 226

2. tecento la dinastia dei Borbone vagheggiava di elevare Napoli


Francesco Celebrano
Ferdinando IV alla caccia al cinghiale. e il suo regno ai fasti dell’assolutismo, tentando di contrastare
quella miseria e precarietà politica del lungo governo vicereale.
Ben nota è del resto la passione venatoria dei sovrani borbonici:
lo ricorda una vasta letteratura e anche l’abate Giuseppe Gora-
ni nelle sue Mémoires secrets pubblicate a Parigi nel 1794, dove
racconta alcuni aneddoti legati al soggiorno napoletano del re
di Svezia Gustavo III 3 accolto, nel gennaio del 1784, da Ferdi-
nando IV di Borbone, « con segni inesprimibili di cordialità e di
giubilo» 4. Attento a cogliere i comportamenti sfuggiti al rigore
del cerimoniale, il Gorani annota che quando il re di Svezia
manifestò al Borbone il desiderio di visitare i templi di Paestum,
3
Per il viaggio in Italia del
Ferdinando, più interessato ad invitare Gustavo a una campa-
sovrano svedese e in generale sui gna di caccia a Caserta, rispose seccato « Che mi fa un tempio
rapporti tra Svezia e regno di Napoli
si veda in particolare p. simonelli, antico in più o in meno? » 5. Ma ancora prima di Ferdinando, suo
Napoli e l’Europa, in Napoli e la Svezia padre Carlo avrebbe preferito una battuta di caccia a un’erudita
in età gustaviana, catalogo della
mostra, Archivio di Stato di Napoli, promenade fra le vestigia greche. Dal 1734, nel più ampio quadro
2–30 dicembre 1985, Napoli, Arte della generale riorganizzazione territoriale del regno, grande
Tipografica, 1985, pp. XXVIII e 12.
4
impulso fu destinato ai Siti Reali, come fu denominata l’ammi-
Ivi, p. XXVII.
5
nistrazione delle proprietà acquisite dalla corona e destinate a
Ivi, p. 12.
6
riserve reali di caccia 6. Alterando gli antichi assetti dei suoli col-
Sull’argomento si vedano, in
particolare, g. alisio, Siti Reali dei tivi, provocando l’impoverimento dell’agricoltura nelle località
Borboni, Roma, Officina Edizioni, 1976; sottoposte al vincolo venatorio, i luoghi destinati alle cacce reali
Id., I siti Reali, in Civiltà del ‘700 a
Napoli 1734-1799, 2 voll., Napoli, Electa furono tutti trasformati per creare o ricreare un habitat naturale
Napoli, 1979-1980, vol. I, pp. 72-85; l. favorevole allo sviluppo della selvaggina. E immersi in questi
mascilli migliorini, a cura di, La Caccia
al tempo dei Borbone, Firenze, Vallecchi, ambienti selvatici, autentici o ricreati che fossero, di boschi, col-
1994; s. di liello, I Siti Reali come ‘segni’ line, fiumi e laghi, la presenza delle dimore per la caccia: l’unico
della presenza dei sovrani, in a. buccaro,
g. matacena, Architettura e urbanistica
dell’età borbonica. Le opere dello Stato,
i luoghi dell’industria, Napoli, Electa
Napoli, 2004, pp. 117-123.
Salvatore Di Liello « E tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo l’arte della caccia » 227

coltissimo artificio disegnato da valenti architetti come simbolo 7


g. alisio, Siti Reali... cit.
della capacità del potere di controllare il disordine della Natura, 8
Per gli studi sui Siti Reali cfr.
magnificando l’assolutismo. n. del pezzo, Siti Reali: gli Astroni, in
«Napoli nobilissima», vol. VI, 1897, fasc.
Molti studi, quelli di Giancarlo Alisio 7 in primis, hanno XI; w. krönig, Il Padiglione borbonico
al Fusaro e le “Quattro Stagioni” di
aggiornato lo storia dei Siti Reali nei dintorni della capitale. Ad
F. Hackert, in «Napoli nobilissima»,
ovest di Napoli, oltre l’isola di Procida, furono riservati alle cac- fasc. I-II, 1968; g. alisio, Il sito reale di
Persano, in «Napoli nobilissima», fasc.
ce reali il bosco degli Astroni, Agnano, Licola e il lago Patria. Più VI, 1973, pp. 205-216; Id., Siti Reali…cit.;
a nord l’amministrazione dei Siti Reali fu estesa a Venafro, Car- Id., I siti Reali, in Civiltà del ‘700… cit.;
s. di liello, Il Settecento: il sito reale
dito, Carditello, Torre Guevara, Maddaloni, la selva Omodei di dei Borbone, in m. barba, s. di liello, p.
Caiazzo, S. Arcangelo di Caserta ed alla collina di Capodimonte, rossi, Storia di Procida. Territori, spazi
urbani, tipologia edilizia, Napoli, Electa
alle porte della capitale. L’attività venatoria interessò anche Por- Napoli, 1994, pp. 122-136; g. brancaccio,
tici, la collina del Quisisana in prossimità di Castellammare e, I siti reali, in l. mascilli migliorini, op.
cit., pp. 19-45; per l’organizzazione delle
nel lontano Principato Ultra, la località di Persano 8. cacce reali si veda anche g. rosati, Le
L’organizzazione di una campagna venatoria, pur non cacce Reali nelle Provincie Napoletane,
Napoli, Compositori, 1871.
perdendo mai i connotati di un sano svago in grado di forti- 9
m. schipa, Il regno di Napoli al
ficare il corpo e la mente del sovrano, rientrava in un attento tempo di Carlo di Borbone, Napoli ,
protocollo, simbolico rimando al diritto reale di proprietà del Società Editrice Dante Alighieri, 1923,
vol. I, libro I, p. 289.
territorio esclusivamente riservato alle delizie del re. Tutti gli 10
l. giustiniani, Dizionario
invitati erano obbligati a conoscere e a osservare un preciso ce- geografico-ragionato del Regno di Napoli,
rimoniale di comportamenti attentamente rispettato dai nobili 13 voll., Napoli, Manfredi e De Bonis,
1797-1816, vol. VII, Napoli, Manfredi,
e da un cospicuo personale formato da guardaboschi, guardia- 1804, pp. 324 sgg.
caccia, balestrieri e mozzi. Nei Siti Reali il re e la sua corte si 11
Nel lago Fusaro, collegato al
spostavano nei diversi periodi dell’anno seguendo i movimenti mare, il re Ferdinando aveva ordinato
di realizzare anche un allevamento di
della cacciagione: nell’inverno si era a Caserta per poi trasfe- ostriche che in pochi anni ebbe un
rirsi a Torre di Guevara e Bovino, per una ventina di giorni, e grande successo. Si veda in proposito
w. krönig, op. cit., p. 4.
successivamente a Venafro 9. In periodo pasquale si tornava a
Napoli; a maggio e a settembre, come conferma Giustiniani 10,
ci si recava a Procida per la campagna dei fagiani e, quindi, a
3.
Portici per la caccia alle pernici di Ottaiano. In autunno si era Claude Joseph Vernet
nell’area flegrea per le folaghe del lago Fusaro 11. Carlo di Borbone a caccia di folaghe sul lago di Licola.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 228

Vicini o lontani dalla capitale, i paesaggi dei Siti Reali fu-


rono tutti celebrati dal vedutismo settecentesco che, filiazione
del paesaggismo cinquecentesco fissato dalle scuole fiamminghe,
continuava ad alimentarsi aggiornandosi sulle idee di Antico e
Natura rilette dal pensiero illuminista. E l’importanza attribuita
dai sovrani alla rappresentazione iconografica della Caccia – i
luoghi, le architetture, le battute venatorie – è confermata dalla
presenza immancabile di dipinti di caccia nelle quadrerie del-
le residenze reali, come accadeva in tutte le corti europee. La
retorica dei paesaggi della Caccia veniva ad alimentarsi sempre
di nuovi luoghi, anche nelle più periferiche contrade del regno.
Anzi, gli orizzonti delle vedute erano talmente dilatati come se,
immediatamente all’esterno della capitale, iniziasse un’unica
grande riserva di caccia estesa all’intero regno.
A voler descrivere l’iconografia dei Siti Reali ci si trova
davanti a un variegato corpus di rappresentazioni di cui i celebri
dipinti hackertiani non sono che un capitolo, per quanto quel-
lo principale. Almeno durante il Settecento, raramente il tema
Salvatore Di Liello « E tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo l’arte della caccia » 229

4.
Jacob Philipp Hackert
Caccia al cinghiale di Ferdinando IV.

della caccia fra gli artisti presenti nel regno di Napoli ispirò rap-
presentazioni popolari come quelle ritratte dagli artisti olande-
si attivi a Roma durante il Seicento. Il soggetto venatorio nel
regno borbonico appare infatti sempre orientato a celebrare
gli aspetti aristocratici della caccia nel contesto della natura e
quasi mai l’enfasi della rappresentazione cede ad altri grandi
temi come l’antico, pur segnato, com’è ben noto, da grandissima
fortuna. Come se nelle vedute venatorie ci fosse spazio solo per
l’azione della caccia e anche tutti gli altri elementi chiamati a
costruire il paesaggio – alberi, colline, architetture – sembrano
alimentare l’enfasi della scena. Oltre al vedutismo pittorico sul
quale ritorneremo più avanti, almeno altri due capitoli distinti
compendiano l’iconografia dei Siti Reali, ossia le arti decorative
e la cartografia. Riguardo al primo ci limitiamo a rilevare la ri-
correnza delle vedute dei Siti Reali – soprattutto le Real tenute
di Carditello, Astroni, Fusaro – in molte maioliche, ceramiche,
servizi da tavola, inserti decorativi negli elementi di arredo o
anche in bassorilievi come quelli eseguiti da Giovan Francesco
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 230

5. Pieri, l’artista chiamato a Napoli da Firenze nel 1737 da Carlo di


Jacob Philipp Hackert Borbone. Specialista in ceroplastica, eseguì i due bassorilievi in
Veduta di Persano.
cera colorata raffiguranti, rispettivamente, Ferdinando a caccia
nelle riserve Cupamarzia, presso Venafro, e Procida, entrambi
connotati da una vivace vis narrativa 12.
La produzione cartografica comprende invece le Piante
delle Reali Caccette, incise o disegnate per localizzare le tenute
e mappare minutamente luoghi spesso lontani dalle città e, in
molti casi, mai rilevati prima 13. L’articolata dislocazione del-
le riserve di caccia sul territorio, con particolare riferimento
alle proprietà reali a nord di Napoli, evidenziò presto anche
l’urgenza di un’opportuna cartografia per illustrare i collega-
menti con la capitale e le altre città del regno. Se infatti per le
proprietà reali nei Campi Flegrei e nell’area vesuviana ci si po-
teva avvalere di un’ampia e aggiornata produzione cartografica,
12
Per i i bassorilievi cfr. All’ombra
del Vesuvio. Napoli nella veduta europea
non era altrettanto facile reperire rappresentazioni dei territori
dal Quattrocento all’Ottocento, catalogo di Venafro, Persano, Calvi o Carditello. La lacuna fu colmata
della mostra, Napoli, Electa Napoli,
1990, p. 312; anche s. di liello, Il
durante il regno di Ferdinando IV quando, nel 1784, la corte
Settecento: il sito reale… cit., p. 128. commissionò al celebre geografo regio Giovanni Antonio Rizzi
13
Si vedano i rilievi delle tenute Zannoni, autore pochi anni più tardi della famosa pianta della
degli Astroni, di Venafro, del Quisisana
di Castellammare, di Carditello, e di città di Napoli (1790), la Carta Topografica delle Reali Cacce di
Persano pubblicate da g. alisio, Siti Terra di Lavoro, e loro adiacenze. La pianta 14 manoscritta, costi-
Reali... cit., passim.
14
tuisce un prezioso esempio di rilievo tematico in cui risultano
Cfr. v. valerio, Per una diversa
storia della cartografia, «Rassegna evidenziate soprattutto le proprietà reali, le riserve di caccia e
ANIAI», a. III, n. 4, 1980, pp. 16-19; dello l’impianto stradale. In un campo visivo compreso fra i rilievi
stesso autore cfr. anche la scheda della
carta in Cartografia napoletana dal 1781 montuosi del Matese e Venafro a nord e l’agro aversano a sud,
al 1799. Il Regno, Napoli, la Terra di Bari, la carta ritrae gran parte della Terra di Lavoro solcata dal Vol-
catalogo della mostra a cura di g. alisio
e v. valerio, Napoli, Prismi, 1983, p. turno e punteggiata dalle proprietà reali quali Reali Fagianerie,
122 e s.; Id. Società, Uomini e Istituzioni.
Cartografia nel Mezzogiorno d’Italia,
Firenze, Istituto Geografico Militare,
1993, pp. 143 sgg; s. di liello, I Siti Reali
come ‘segni’... cit., pp. 120-123.
Salvatore Di Liello « E tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo l’arte della caccia » 231

Difesa di Carditello, R.le Caccia del Boschetto e tutti gli altri siti 15
Cfr. v. cardone, Nisida, Napoli,
reali presenti nel territorio. A marcare il tema del rilievo è il Electa Napoli, 1992, p. 88; s. di liello,
Il paesaggio aperto alla metafora:
disegno di Alessandro D’Anna a corredo del cartiglio dove, in i Campi flegrei, in «Eden. Rivista
dell’architettura nel paesaggio», n. 2,
un’ambientazione campestre, cacciatori e cani si riposano al
1993, p. 95; Id. s. di liello, Il paesaggio
termine di una battuta. Per i Siti Reali più vicini a Napoli non dei Campi Flegrei. Realtà e metafora,
Napoli, Electa Napoli, 2005; Id., I
fu necessario approntare una cartografia ad hoc, dal momento
Campi Flegrei nella cultura figurativa
che le Reali Cacce di Capodimonte, Astroni e Portici rientravano europea dell’età moderna, in c. de
seta, a. buccaro, Iconografia delle città
nel vasto campo visivo della pianta del duca di Noja (1750-75). in Campania. Napoli e i centri della
Per le altre riserve immediatamente esterne al rilievo del Carafa provincia, Napoli, Electa Napoli, 2006,
pp. 190-192.
era invece possibile riferirsi alla Carte du golfe de Pouzzoles avec
16
v. valerio, in Cartografia... cit.,
une partie des Champs Phlégréens dans la Terre de Labour, redatta pp. 166 sgg.
dai De La Vega nel 1778 15, ma anche alla carta dei Contorni 17
Si segnalano in particolare gli
di Napoli prodotta dalla collaborazione fra Gennaro Bartoli e studi su Hackert a partire da p. chiarini,
a cura di, Il paesaggio secondo natura.
Gennaro Galiani, e più tardi anche della Topografia dell’Agro Jacob Philipp Hackert e la sua cerchia,
Puteolano incisa dal Rizzi Zannoni nel 1793 16. catalogo mostra Roma 14 luglio – 30
settembre 1994, Roma, Artemide
Più dei rilievi topografici, sono le ariose scene di caccia ri- Edizioni, 1994 e Th. Weidner, a cura
prese dagli artisti a lasciar trasparire l’idea di paesaggio deline- di, Jacob Philipp Hackert.Paesaggi del
Regno, catalogo mostra 25 ottobre 1997
atasi nello specchio dell’illuminismo. Rimandando per la pun- – 10 gennaio 1998, Roma, Artemide
tuale analisi di queste vedute agli ultimi studi sui protagonisti Edizioni, 1997; fra gli studi più recenti,
cfr. c. de seta, Hackert, catalogo di
del vedutismo napoletano, che continuano ad aggiornare il ca- Claudia Nordhoff, Napoli, Electa
talogo delle opere proponendone aggiornate letture critiche 17, Napoli, 2005; Id., a cura di, Jacob
Philipp Hackert. La linea analitica della
limiterei queste brevi note ad alcune considerazioni sull’idea pittura di paesaggio in Europa, catalogo
di paesaggio evocata da questo vedutismo venatorio. La natura mostra 14 dicembre 2007 – 13 aprile
2008, Napoli, Electa Napoli, 2007.
‘intelligente’ è il filo rosso di queste rappresentazioni: ormai sot-
tratta alle iperboli visive del paesaggio-maestà scenica dei fiam-

6.
Jacob Philipp Hackert
Caccia alle folaghe sul lago Fusaro,
dettaglio.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 232

7. minghi e all’enfasi antiquaria o mitologica, essa appare in tutta


Jacob Philipp Hackert
Caccia alle folaghe sul lago di Fusaro, la sua realtà oggettiva dove si ‘compie’ l’azione venatoria. Vedute
dettaglio.
di caccia come quelle firmate da Michele Foschini, Francesco
Celebrano, Alessandro d’Anna, Jacob Philipp Hackert, Pietro
Fabris, Claude Joseph Vernet e giungendo a Johann Christian
Clausen Dahl che riprese il casino di Quisisana a Castellam-
mare in un’ambientazione già romantica 18: composizioni dove i
paesaggi si dilatano oltremodo e la rappresentazione, per quan-
to incentrata sull’azione della caccia, si distende verso radure,
boschi o irte montagne che scolorano sfumate su lontanissimi
orizzonti: è l’idea di paesaggio dei savants dove l’accezione di
‘monumentale’ tocca ogni elemento della natura. Laghi, monta-
gne, ponti, alberi e coste, ritratti con straordinaria attendibilità
topografica, rendono riconoscibili ciascuno dei Siti Reali e ali-
mentano la metafora del sovrano guerriero e cacciatore. Questi,
al centro dell’azione, controlla e possiede la natura nella sua to-
talità, anche oltre quegli orizzonti lontanissimi, rendendo ‘finito’
18
Per i dipinti del Foschini e del
Dahl cfr. g. alisio, Siti Reali... cit. fig.1
l’infinito: un paesaggio inteso non più come un distante, oscuro
e fig. 21; per quelli del Celebrano e altrove, ma uno spazio controllato dall’assolutismo. Se questo
del d’Anna, si veda n. spinosa, Pittura
napoletana del Settecento. Dal Rococò al
è il leitmotiv delle vedute di caccia dei siti borbonici, molteplici
Classicismo, Napoli, Electa Napoli, 1987, appaiono le sue declinazioni nelle opere di ciascun artista.
p. 93, figg. 86-87 e pp. 153 e 398; per la
veduta del casino reale di Carditello
Vaghi, ad esempio, i paesaggi di Francesco Celebrano (1729-
firmata dal D’Anna nel 1797 (fig.8) cfr. 1814): nelle due rappresentazioni della caccia al cinghiale, rispetti-
g. alisio, Siti Reali... cit. p. 27 e f. capano,
in c. de seta, a. buccaro, Iconografia...
cit., p. 238; per i dipinti di Hackert cfr.
nota precedente; per il dipinto del
Vernet, cfr. All’ombra... cit, p. 428.
Salvatore Di Liello « E tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo l’arte della caccia » 233

vamente dedicati a Maria Carolina e a Ferdinando IV [ 2 ], l’artista 19


Cfr. All’ombra... cit., p. 385.
privilegia l’azione venatoria, rinunciando alla riconoscibilità dei 20
Ivi, p. 428.
luoghi 19. Una moltitudine di nobili in giamberga e a cavallo si
affiancano al sovrano mentre battitori, servi e cani si lanciano alla
cattura dei cinghiali sotto lo sguardo compiaciuto del re. Il pae-
saggio del Celebrano, seppur così ampio e arioso, appare tuttavia
taciuto, limitato a una generica radura delimitata da alberi che
lasciano immaginare i margini di un bosco senza alcuna presen-
za naturale o costruita capace di individuare il luogo. Simili le
ambientazioni allestite da Michele Foschini (1711-1770) nelle sue
numerose scene di caccia dove il paesaggio non è identificabile.
Con gli apporti degli artisti stranieri e dell’illuminismo
ultramontano l’immagine del paesaggio del regno, riflesso nel-
lo specchio dei numerosi voyages pittoresques, rivela invece una
precisa intenzione documentaria in cui luoghi e oggetti, depu-
rati da ogni segno letterario, appaiono ricompresi da una logica
scientifica che trova nel pittoresco, nell’idea di una natura attra-
ente per la sua varietà, la più diretta espressione. Un paesaggio
che, rispetto al Celebrano e al Foschini, viene anticipato nella
straordinaria veduta di Claude Joseph Vernet [ 3 ] nel celebre
dipinto, databile a poco prima del 1746 e dedicato a Carlo di
Borbone ritratto a caccia di folaghe sul lago di Licola, uno dei
Siti Reali più vicini alla capitale. Un dipinto «permeato di sen-
sibilità preromantica» – come rilevava Raffaello Causa 20 – con
quella eccezionale gamma dei timbri di luce, dallo scuro come
una tempesta alla piena luce sullo sfondo, che drammatizzano la 8.
Jacob Philipp Hackert
scena aumentandone la profondità prospettica verso l’acropoli Caccia di Ferdinando IV nel cratere degli Astroni.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 234

di Cuma e Ischia stagliata sull’orizzonte. Ma qui andrebbe evi-


denziata la peculiarità principale delle vedute venatorie e ossia
come la raffigurazione della caccia fissava una nuova identità
dei luoghi raffigurati o addirittura, come nel caso delle tenute
reali più lontane dalla capitale, riusciva a riscriverne la storia.
Più tardi anche Pietro Fabris viene incaricato da Ferdi-
nando IV per ritrarre un’affollata caccia al cinghiale ambientata
in una fossa craterica, probabilmente gli Astroni [ 10 ], tenuta
di caccia fin dall’età aragonese ora arricchita di una residen-
9.
Alessandro d’Anna
za costruita su una preesistente torre 21. Ma se il luogo corri-
Veduta del Real Casino di Carditello. sponde al celebre vulcano spento, nella caccia al cinghiale del
Fabris non v’è traccia alcuna di quell’attenta rappresentazione
della consistenza geologica così caratterizzante le due tavole à
la gouache raffigurante lo stesso luogo firmate sempre dal Fa-
bris per i Campi Phlegraei di William Hamilton (1776) dove il
paesaggio è vincolato allo scritto vulcanologico per raffigurare,
seguendo il testo, «Materie vulcaniche distaccate, mischiate a
strati regolari do grandi ceneri, di pietre pomici di frammenti
di lava e altre materie vetrificate» 22. Nella caccia di Ferdinando
le asperità della natura – irti costoni tufacei, fitte selve di alberi
o tronchi rinsecchiti – vengono mitigate nella loro rude selvati-
chezza dalla folla di servi, cani, battitori e nobili che circondano
il sovrano elegantemente in posa su un cavallo bianco e intento
a distribuire ordini ai cerimonieri della battuta. E così il paesag-
gio aspro e selvatico del cratere attraverso la caccia, simbolica
azione di possesso del territorio da parte del sovrano, appare
mitigato dall’arte attraverso cui la natura ostile diventa un luogo
deliciae principis controllato dal cerimoniale della caccia.
Ma come si anticipava, la più alta celebrazione del pa-
esaggio pittoresco attraverso le cacce reali è quella offerta da
Hackert sempre presente nelle battute venatorie di Ferdinan-
do di Borbone, come conferma anche Goethe, nella biografia
dell’artista pubblicata postuma, annotando che il famoso pit-
tore di corte «dovette intervenire insieme al re a tutte le partite
di caccia, per tutto osservare e conoscere, in quanto molte di
esse dovevano essere dipinte» 23. Ben noti i paesaggi con cacce
eseguiti da Hackert su richiesta del sovrano che, esaminando i
suoi quadri quando l’artista era stato invitato nella residenza
reale di Castellammare, aveva riconosciuto in quelle rappresen-
tazioni un’irripetibile occasione di mettere insieme, nello stesso
21
g. alisio, Siti Reali... cit., pp. 34-36. quadro, Natura e Assolutismo, caccia e possedimenti reali. Nel
22
w. hamilton, Campi Phlegraei: 1783, quando l’artista dipinse la celebre Caccia alle folaghe sul
observations on the volcanos of the Two lago Fusaro, l’artista riferiva che il sovrano gli aveva commis-
Sicilies, Napoli, Pietro Fabris editore,
1776. sionato « plusieurs tableaux de chasse » 24. Questi nel 1786, solo
23
j.w. goethe, Phlipp Hackert. tre anni dopo, formavano un repertorio di una dozzina di rap-
La vita, a cura di M. Novelli Radice,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,
1988, p. 64;
24
th. weidner, op. cit., p. 40.
Salvatore Di Liello « E tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo l’arte della caccia » 235

presentazioni dove le ambientazioni cambiano e gli scenari si 25


j. wolfang goethe, Viaggio in
moltiplicano a documentare la gran quantità di tenute reali pre- Italia (1786 – 1788), traduzione di E.
Zaniboni, Milano, Rizzoli, 1991, p. 193.
senti nel regno. I paesaggi sono ampissimi, come quelle vedu- 26
th. weidner, op. cit., pp. 104-105;
te «senza confini sulla terra, sul mare, sul cielo » 25 descritte da c. de seta, a cura di, Jacob Philipp
Hackert. La linea analitica... cit., pp. 180-
Goethe, ma qui l’assenza di confini appare alludere anche alla
181, con scheda bibliografica a p. 248.
retorica di un regno infinito, nello spazio e nel tempo, ben oltre i
pur lontanissimi orizzonti delle vedute. Si veda il monumentale
dipinto della caccia al cinghiale di Ferdinando conservato a Ca-
podimonte del 1785 26: il paesaggio, sbiadito da una luce autun-
nale e ampissimo al punto che neanche i quasi cinque metri di
tela sembrano riuscire a contenere, scolora verso un orizzonte
enormemente dilatato di colline e montagne sullo sfondo. Al
centro di questo spazio illimitato, identificato dagli studi con la
riserva di Carditello, Ferdinando galoppa sul suo cavallo all’in-
seguimento di un cinghiale: è quasi sul punto di colpirlo e una
folla di cacciatori, battitori e nobili assiste trepidante alla sce-
na aspettando il momento in cui il sovrano catturerà la preda.
Ogni elemento, dalla fissità degli alti alberi spogli al concitato
movimento di cavalli e mute di cani, appare complementare alla
figura del re cacciatore che con la sua azione domina un pae-
saggio infinito. L’annotazione topografica è attenta, attentissima,
e indugia su ogni presenza rendendo agilmente riconoscibile
il luogo: la scena delle cacce di Hackert è sempre un paesaggio
reale, ormai depurato da ogni suggestione.
Con i dipinti venatori di Hackert, il racconto del regno
borbonico iniziato dall’illuminismo ultramontano, nello spec- 10
chio degli innumerevoli Grand Tour, si arricchisce dell’iperbole Pietro Fabris
Ferdinando IV alla caccia al cinghiale nel cratere
della caccia che insieme all’antico, alla memoria letteraria, al degli Astroni.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 236

teathrum delle città, ai vulcani, alle coste lambite dal mare, ali-
menta la retorica del paesaggio del sud. E dal momento che
« tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo l’arte
della caccia » 27, il ritratto dei principali siti reali viene fermato in
quadri destinati a decorare le sale delle molteplici dimore reali,
prima fra tutte la reggia di Caserta, la Versailles vagheggiata dai
Borbone, dove anche gli spazi chiusi degli appartamenti repli-
cavano quotidianamente le battute nelle tante tenute di caccia,
compiacendo il sovrano e i suoi ospiti.
Spesso queste stesse residenze rientrarono nelle vedute
ora con grande evidenza come nelle Caccia alle folaghe sul lago
Fusaro, dove il padiglione vanvitelliano a pianta centrale appare
come un’isola riflessa dalle acque lacustri [ 6 ], ora in lonta-
nanza come nella gouache [ 5 ] (1782) dedicata al possedimento
di Persano. Qui l’azione venatoria appare taciuta a vantaggio di
una veduta dalla straordinaria resa paesaggistica dove l’intenso
dialogo con la Natura viene interrotto solo dalla bianca mole del
casino reale (1752-1754), progettato dall’architetto Juan Domingo
Piana su iniziativa di Carlo di Borbone 28. La tenuta di Persano
ritorna anche in altre vedute come quella del Traghetto sul Sele
e il più celebre Inverno (1784) [ 1 ] appartenente al pendant delle
Quattro Stagioni dipinto per decorare la sala centrale del piano
nobile della dimora sul Fusaro. Nell’Inverno, con Persano e il
massiccio innevato degli Alburni sullo sfondo, la battuta vena-
toria è già conclusa: sullo sfondo, ordinati in colonna, rientrano
i battitori e, in primo piano, l’artista mostra, come un trofeo, la
gran quantità di selvaggina che alcuni famigli ordinatamente
trasportano o ammassano separando cervi, cinghiali, volpi e
beccacce. Diversamente dalle altre rappresentazioni hackertia-
ne – oltre a quelli accennati, la Caccia al cinghiale nella tenuta di
Venafro (1786) [ 11 ] o la Caccia di Ferdinando nel cratere degli Astro-
ni [ 8 ] (1786) – qui l’enfasi della cattura lascia il posto alle nobili
dame e cavalieri che si scambiano commenti sui capi abbattuti
adagiati sul terreno, ammirando i risultati della grande caccia.
Ma questa pervicacia dei Borbone a celebrare la caccia e
la puntualità con cui gli artisti assecondavano la passione vena-
toria dei sovrani celavano in realtà l’inarrestabile crisi dell’as-
solutismo fomentata dall’illuminismo e che altrove in Europa,
negli stessi anni, alimentava ideali rivoluzionari. I fasti delle
battute di caccia, magnificati dagli artisti, contrastavano infat-
ti con una realtà ben diversa che non sfuggiva ai cronisti più
illuminati come Giuseppe Gorani, al servizio del governo ri-
voluzionario francese e solo una fra le sempre più numerose
voci critiche contro il governo borbonico. Riguardo alla pas-
sione venatoria di Ferdinando IV, egli non esitava a coglierne
27
j.w. goethe, Philipp Hackert... cit.,
p. 64.
28
g. alisio, Siti Reali... cit., pp. 66-102.
Salvatore Di Liello « E tutto doveva essere fedelmente rappresentato secondo l’arte della caccia » 237

il carattere di abuso considerando le ricadute sulla miseria del 29


È quanto accadeva nel Sito
popolo al quale veniva negata la possibilità di coltivare i suo- Reale di Procida. Quando Carlo di
Borbone divenne il diretto proprietario
li dei siti reali per preservare l’ambiente naturale a vantaggio dell’isola, incrementò il numero
dei fagiani e vi introdusse anche
della selvaggina 29. Continuare a celebrare la caccia costituiva
francolini e camosci; lepri e conigli
ormai un anacronismo tipico dei regni politicamente più arre- popolarono l’isoletta di Vivara, già
non più coltivata. Severissime furono
trati e periferici rispetto all’Europa dell’illuminismo. Quell’Eu-
le restrizioni per il popolo emanate
ropa considerava la Caccia e la ridondanza del suo cerimoniale in numerosi bandi. In continuità
con quanto ordinato nel più antico
un tentativo di resistenza dell’Ancien Régime, poco più di un dei siti reali borbonici, molteplici
anacronistico residuo dell’assolutismo, a Napoli tuttavia ancora provvedimenti, tesi a sostenere gli
esclusivi privilegi reali, furono emanati
così radicato. in tutte le altre riserve di caccia e
fra questi in particolare il cosiddetto
miglio di rispetto che estendeva il
divieto di cacciare anche nei territori
esterni ai siti reali nel raggio appunto
di un miglio. Tale divieto, che poteva
essere imposto anche a villaggi e
centri abitati, fu confermato anche nei
decenni successivi nella legge firmata
da Ferdinando II il 3 ottobre 1836;
Cfr. n. del pezzo, Siti Reali: gli Astroni,
in «Napoli nobilissima», vol. VI, 1897
fasc. XI, p. 172 e s.; cfr. s. di liello, Il
Settecento: il sito reale... cit., p. 122-123;
Id., I Siti Reali come ‘segni’... cit., passim.

11.
Jacob Philipp Hackert
Caccia al cinghiale di Ferdinando IV a Venafro.
FRANCESCA CASTANÒ

«UN’ALTRA CITTÀ NELLA CAMPAGNA »


I SITI REALI IN TERRA DI LAVORO
DA LUOGHI STRATEGICI
A SPAZI PER LA PRODUZIONE

«Costrutte che furono le regali Ville di Portici e


Capo di monte, innammorossi il Re Carlo di questo
bel sito di Caserta e lo giudicò uniforme a tutte le sue
idee: l’amenità delle sue campagne: il preggio del
suo sito sparso di monti, di colli, di valli e di boschi:
la discreta lontananza dalla Capitale in distanza
di sedici miglia: una simile lontananza dal mare,
giacchè le Città interamente marittime rendonsi
tumultuose, ed inquiete, per la gran copia di Gente
di commercio: la vicinanza di Capoa fortezza
rispettabile, che potea in ogni evento dar sicuro asilo
al Sovrano: e finalmente la copiosità ed isquisitezza
della cacciagione, che questi deliziosissimi luoghi
producono, e soprattutto la bontà dell’aria,
perfettissima in tutto, determinarono quel gran Re a
farne acquisto, per piantarvi una casa di delizie» 1.
Nella pagina precedente: In questa pagina:
1. 2.
L. Petrini, Bosco della Real Tenuta di Carditello, G.A. Rizzi Zannoni, Carta Topografica delle Reali
Biblioteca Nazionale di Napoli, dettaglio. cacce di Terra di Lavoro e loro adiacenze, Biblioteca
Nazionale di Napoli, Fondo Carte Geografiche,
b. 29B.62(1.
L’indagine sugli aspetti politici e sulle motivazioni cul- 1
Notizie del bello, dell’antico e del
turali che in età borbonica animano le scelte di carattere eco- curioso che contengono le reali ville
di Portici, Resina, lo scavamento di
nomico avviate da Carlo in Terra di Lavoro e successivamente Pompejano, Capodimonte, Caserta, e
S. Leucio, che servono di continuazione
proseguite dai suoi eredi amplia i termini di lettura del feno-
all’opera del canonico Carlo Celano, a
meno manifatturiero e produttivo nell’intero regno, saldando- spese di Salvatore Palermo, Napoli,
1792, pp. 121-122.
lo alla più vasta costruzione del territorio, in una dimensione
2
Tra i contributi specificamente
extra regionale in stretta relazione con la rete dei siti reali. Se dedicati ai siti reali borbonici – oltre
è tesi condivisa da tempo che la realizzazione dei molti luoghi agli studi di g.c. alisio, Siti reali
dei Borbone. Aspetti dell’architettura
di delizia all’avvento al trono dei Borbone, riservati alle attività napoletana del Settecento, Officina,
di diporto e venatorie della corte, riveli in realtà un disegno Roma, 1976 e id., Siti reali, in Civiltà
del ‘700 a Napoli, 1734-1799, Centro Di,
insediativo ben più complesso, congeniale piuttosto alla ricon- Firenze, 1980, pp. 72-85 – in particolare
quista della terra e a una innovativa strategia di difesa del re- in riferimento alla Terra di Lavoro, si
vedano: g. brancaccio, I Siti reali, in
gno, il raggiungimento di tali obiettivi, che avrebbe imposto in La caccia al tempo dei Borbone, a cura
prima istanza la ridefinizione dei tradizionali assetti proprietari, di L. Mascilli Migliorini, Vallecchi,
Firenze, 1994, pp. 19-45 confluito in id.,
necessitava di nuove forze culturali chiamate a disegnarne le Il governo del territorio nel Mezzogiorno
linee di azione, dalla sfera programmatica a quella esecutiva e moderno, Editrice Itinerari, Lanciano,
1996, pp. 85-116; m.r. iacono, I siti reali e
di un’impalcatura amministrativa atta a recepirle 2. Ne è prova i primati dei Borbone, in Caserta e la sua
il seguito cosmopolita di intellettuali, corpi militari e artisti che Reggia. Il museo dell’opera e del territorio,
Electa, Napoli, 1995, pp, 149-156;
accompagna Carlo di Borbone al trono di Napoli e che favorirà r. ruotolo, Per gli onesti divertimenti del
in ogni campo l’attuazione di macro interventi commisurati alle Re. I Siti Reali Borbonici, in «Campania
Felix», 4 (1996), pp. 25-29; l. sorrentino,
ambizioni sovrane 3. Siti Reali Borbonici in Terra di Lavoro.
Il programma di ammodernamento della capitale si as- Arte e paesaggio nelle aziende agricole dei
Borbone, Editrice Ferraro, Napoli, 1999;
socia, fin dall’esordio carolino, con un decisivo piano di opere r. ruotolo, Per il Re, case, palazzi e asini.
pubbliche che investe i territori limitrofi e in special modo la I Siti Reali Borbonici, in «Campania
Felix», 5 (1996), pp. 22-26; g. brancaccio,
fertile pianura casertana. Muovendo dalla dissoluzione del te- I Siti reali in Terra di Lavoro, in
laio feudale il giovane sovrano, nell’intento di ricostruire una «Rivista Italiana di Studi Napoleonici»,
XXXVII, 2 (2004), pp. 51-63; c. de falco,
cornice di prestigio adeguata alle esigenze di corte, procede al Palazzi reali dei Borbone, estratto da
ridisegno razionale e armonico dei luoghi acquisiti, con il con- L’architettura dei Borbone, a cura di A.
Gambardella, Edizioni Scientifiche
tributo di una nuova coscienza intellettuale che dall’ambiente Italiane, Napoli, 2004; s. di liello, I
napoletano diffonderà nel regno una cultura riformista rivolta Siti reali come ‘segni’ della presenza
dei sovrani, in a. buccaro, g. matacena,
Architettura e urbanistica dell’età
borbonica, le opere dello stato, i luoghi
dell’industria, Electa, Napoli, 2004, pp.
117-123; l. creti, Le ville dei Borbone:
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 242

arte, natura e caccia nei siti reali, Istituto al pensiero europeo 4. All’assolutismo spagnolo, ancora intima-
poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria
dello Stato, Roma, 2008, pp. 53 e ss.; mente connesso al potere religioso e a un controllo molto forte
g. cirillo, I Siti Reali borbonici. Alcuni sull’autonomia sociale, essa privilegerà la linea del pragmatismo
problemi storiografici, in Alle origini di
Minerva trionfante. Caserta e l’utopia di francese protesa alla promozione delle attività produttive 5. Sul-
San Leucio. La costruzione dei Siti Reali la scorta delle speculazioni d’Oltralpe, all’insegna di una ma-
borbonici, a cura di I. Ascione, G. Cirillo
e G.M. Piccinelli, Ministero per i beni e trice “afrancesada”, liberi pensatori, tecnici, esperti in materia
le attività culturali, Direzione generale politica ed economica, ma anche una nuova classe di architetti e
per gli archivi, Roma, 2012, pp. 17-38,
in part. 19-22 e nello stesso volume g. di ingegneri militari delineano i modelli di intervento applicati
rescigno, Caserta e dintorni: bibliografia alla società, imponendosi all’attenzione dell’entrante governo,
ragionata, pp. 522-527.
3 intenzionato a concedere loro la propria protezione. L’influenza
In particolare sulla produzione
architettonica cfr. a. gambardella, del gruppo filo-francese sulla politica di Josè Joaquin de Mon-
Dalla “Casa di re”: una nuova dimensione tealegre, a capo della Segreteria di Stato, si traduce, così, nei
internazionale per l’architettura e il
territorio, in Casa di re. La Reggia di primi anni del nuovo regno, in una serie di riforme tese a get-
Caserta fra storia e tutela, a cura di R. tare solide basi per l’auspicata rinascita economica e per l’in-
Cioffi e G. Petrenga, catalogo della
mostra Casa di re. Un secolo di storia debolimento dell’atavica organizzazione feudale 6. Il ridisegno
alla Reggia di Caserta 1752-1860, Skira, integrale dello stato di Caserta del filoasburgico Michelangelo
Milano-Ginevra, 2005, pp. 101-109;
nell’ambito della mostra la sezione Caetani, culminato poi nell’acquisto del 1750, si colloca in que-
dedicata all’architettura coordinata sta direzione attuando una strategia sovrana che, se da un lato
dal prof. Alfonso Gambardella intese
privilegiare l’esposizione di grafici mira a colpire la nobiltà invisa al potere, non vi è dubbio che
inediti, o poco studiati, raccolti dal dall’altro contempli di creare un nuovo centro irradiante nella
gruppo di ricercatori della Seconda
Università degli studi di Napoli, dando vasta Terra di Lavoro, alternativo a quello consolidatosi intorno
vita a un corpus di disegni di progetti alla capitale partenopea 7.
realizzati nel territorio casertano che
ha aperto nuovi e interessanti filoni di Particolarmente esposta a contrastare eserciti più nume-
ricerca intorno al tema dell’architettura
rosi e meglio armati, la regione casertana esige, inoltre, un’os-
borbonica in Terra di Lavoro.
4 satura difensiva diffusa, fondata sulla bonifica di vaste zone
r. ajello, Carlo di Borbone, Re delle
Due Sicilie, in Carlo di Borbone. Lettere paludose, sulla navigabilità dei corsi d’acqua, su una rete in-
ai sovrani di Spagna (1720-1734), a cura
di I. Ascione, vol. I, Ministero per i
frastrutturale ampia e regolare, proporzionata al passaggio di
beni e le attività culturali, Direzione soldati. Sebbene sia ancora da tracciare l’analisi che inquadra la
generale per gli archivi, Roma, 2001, pp.
13-64; id., Napoli tra Spagna e Francia:
rete dei siti reali sorti intorno a Caserta entro un vero e proprio
problemi politici e culturali, in Arti e piano strategico-militare, – ipotesi peraltro non priva di signi-
civiltà del Settecento, a cura di C. de Seta,
Laterza, Roma-Bari, 1982, pp. 5-30; id.,
ficativi riflessi a un’attenta lettura dell’intero progetto borboni-
Gli «afrancesados» a Napoli nella prima
metà del Settecento. Idee e progetti di e il Settecento, in Ferdinando Fuga. 1699- Italiane, Napoli, 1972, pp. 459-717;
sviluppo, in I Borbone di Napoli i Borbone 1999. Roma, Napoli e Palermo, Atti del f. valsecchi, Il riformismo borbonico in
di Spagna, a cura di M. Di Pinto, vol. I, Convegno Internazionale di studi a cura Italia, Bonacci, Roma, 1990, pp. 79-88.
Guida, Napoli, 1985, pp. 115-192. di A. Gambardella (Napoli 25-26 ottobre 7
g. brancaccio, San Leucio e i Siti
5 1999), Edizioni Scientifiche Italiane, Reali, in Terra di Lavoro. I luoghi della
Ivi, p. 119. Si vedano inoltre d. de
Napoli, 2001, pp. 15-20. storia, a cura di L. Mascilli Migliorini,
marco, Momenti della politica economica
di Carlo e Ferdinando II di Borbone, in 6 Elio Sellino Editore, Avellino, 2009, pp.
Il marchese Montealegre di Salas
Civiltà del ‘700… cit., pp. 23-28; i. zilli, curava gli affari dell’infante Carlo 253-272 e id., I Siti Reali e San Leucio, in
Carlo di Borbone e la rinascita del regno di già prima della conquista del regno, Alle origini di Minerva trionfante..., cit.,
Napoli. Le finanze pubbliche 1434-1742, in insieme al precettore di questi, il conte pp. 323-332, in specie 324. Un quadro
La caccia al tempo dei Borbone, Edizioni di Santo Stefano; nel 1734 ricevette la socio-economico di Caserta e dei casali
Scientifiche Italiane, Napoli, 1990, pp. nomina di Segretario di Stato accanto al momento dell’acquisto da parte
19-49; g. caridi, Essere re e non essere re: al Tanucci, titolare della Segreteria di Carlo di Borbone è tracciato in: g.
Carlo di Borbone a Napoli e le attese deluse di Giustizia. Soltanto in seguito alla rescigno, Caserta: ‘metamorfosi’ di una
1734-1738, Soveria Mannelli, Rubbettino, destituzione del conte di Santo Stefano, città (dagli Acquaviva all’Unità d’Italia),
2006. L’attenzione al modello transalpino, avvenuta nel 1738, Montealegre acquisì in Alle origini di Minerva trionfante...
da parte della classe politica dominante i pieni poteri governativi, fino al 1746 cit., pp. 179-255, in part. 197 e ss.; m.a.
all’avvento di Carlo, non deriva anno in cui gli successe il marchese noto, Dal Principe al Re. Lo “stato” di
esclusivamente da motivazioni di ordine Giovanni Fogliani. Per una rassegna Caserta da feudo a Villa Reale (secc. XVI-
economico, quanto, piuttosto, da una più di questi avvenimenti politici si veda XVIII), Ministero per i beni e le attività
generale inclinazione verso il pensiero r. ajello, La vita politica napoletana culturali, Direzione generale per gli
francese che, già in anni precedenti, sotto Carlo di Borbone. La fondazione e archivi, Roma, 2012, pp. 143-155.
aveva coinvolto gli intellettuali il tempo eroico della dinastia, in Storia di 8
Cfr. p. di caterina, c. lenza, p.g.
napoletani; cfr. a. gambardella, Napoli Napoli, vol. VII, Edizioni Scientifiche montano, San Leucio: un problema di
Francesca Castanò «Un’altra Città nella campagna». I siti reali in Terra di Lavoro 243

co – 8, è, tuttavia, evidente come essi definiscano un sistema per architettura, in «Casabella», 505 (1984),
poli omogenei, incline alla natura dei luoghi, ma essenzialmen- pp. 8-9, in cui gli autori forniscono una
suggestiva lettura in chiave territoriale
te generato dagli assi direzionali della reggia e dell’acquedotto della città vanvitelliana e del sistema,
vanvitelliani, in cui alla staticità delle fortificazioni tradizionali, come osservato dal Belvedere di San
Leucio, formato dalla direttrice degli
pure previste attraverso la costruzione di caserme, di quartieri archi della Valle di Maddaloni a oriente,
per i soldati e piazzeforti, si oppone il dinamismo di un’invisibi- dallo stradone centrale della Reggia
rivolto alla capitale, dal viale principale
le armatura territoriale, caratterizzato da elementi d’acqua e di di Carditello a ovest, dal tracciato
dei Regi Lagni a sud, idealmente
2. convergenti nel culmine della cascata
G.A. Rizzi Zannoni, Pianta topografica della Terra di artificiale nel grande Parco di Caserta.
Lavoro, Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Carte
Geografiche, b. 29B.62(2.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 244

3. terra 9. Quali che siano i moventi insediativi, l’immagine che ne


D. Rossi, Pianta del Real Recinto del Bosco e delizie
di S. Leucio, Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo deriva è quella di una regione, feconda e generosa, investita da
Carte Geografiche, b. 26.10.
una generale razionalizzazione territoriale tesa al rilancio delle
4. attività, possibile solo attraverso una profonda ristrutturazione
San Leucio, il Belvedere e la valle.
del ceto sociale, qui immiserito dalla stagnante gestione feuda-
9
Per l’inquadramento delle
le 10. A tal scopo i programmi delle nascenti strutture deputate
trasformazioni del sistema fortificato alla promozione di nuove attività all’interno del territorio, quali,
nel Regno di Napoli tra Settecento e
Ottocento si rinvia a m.r. pessolano,
a esempio, il Supremo Magistrato di Commercio, già avviano
Napoli e il regno fra antiche fortezze e una serie di iniziative significative mirate alla riorganizzazione
nuove proposte, in Territorio, fortificazione,
città. Difese del Regno di Napoli e della
delle forze produttive e del lavoro, nonché al riassetto dell’agri-
sua capitale in età borbonica, a cura di coltura 11. All’interno del neo istituito Tribunale vengono inse-
G. Amirante e M.R. Pessolano, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 2008, pp.
riti, accanto ai togati, anche nobili e mercanti, del tutto privi di
11-49, in part. 17-29. una preparazione in termini legali, al fine di estendere le com-
10
Analoghe politiche di petenze oltre gli aspetti esclusivamente giudiziari. Molte sono le
colonizzazione economica stavano
interessando anche altri stati stranieri,
idee di riforma che ne conseguono tese a disciplinare la naviga-
in particolare la Francia e la Spagna, zione, incrementare il commercio marittimo, favorire l’ingresso
sebbene con modalità strategiche
divergenti, poi uniformatesi tra loro dei più abili tecnici stranieri, così da convertire il parassitismo
all’arrivo di Carlo in Spagna nel sociale in forza-lavoro 12.
1759; per un generale inquadramento
di questi temi si veda c. sambricio, Ma l’intraprendenza e la modernità del segretariato di
Territorio e immagine urbana nella Montealegre non suscitano immediati consensi e il suo audace
Spagna di Carlo III, in Napoli Spagna.
Architettura e città nel XVIII secolo, Atti attivismo già sul finire della carica nel 1746 appare «come un’av-
del Convegno Internazionale di studi a venturosa imprudenza» 13. Pur non investendo ancora in pieno le
cura di A. Gambardella, (Napoli, 17-18
dicembre 2001), Edizioni Scientifiche realtà regnicole, la sua azione non manca, tuttavia, di porsi quale
Italiane, Napoli, 2003, pp. 213-215. Al esempio concreto del rinnovamento culturale di matrice econo-
decadimento territoriale si aggiunge
in Terra di Lavoro un impressionante mica. Il lavoro, inteso come forza produttiva, e tutte le attività
impoverimento sociale, puntualmente a esso collegate, dallo sviluppo dell’industria alla pianificazione
registrato nelle ricognizioni effettuate
già nel 1734, che esige la riabilitazione del commercio e alla riorganizzazione delle colture, d’ora in poi
urgente proprio delle classi rurali, cfr.
m. schipa, Il Regno di Napoli al tempo
di Carlo di Borbone, vol. II, Società
editrice Dante Alighieri di Albrighi,
Milano, 1923, p 202, cit. in e. sereni,
Francesca Castanò «Un’altra Città nella campagna». I siti reali in Terra di Lavoro 245

si pongono a fondamento delle dissertazione di ordine teorico moltitudine di assistiti in forza-lavoro,


salvando così, attraverso il riscatto
degli intellettuali di spicco, generando una intensa attività divul- sociale, gli uomini dall’ozio e dalla
gativa e teorica intorno a questi argomenti. Sarà il trattato di Pa- povertà e inserendo anche queste
iniziative a carattere essenzialmente
olo Mattia Doria a tracciare le linee fondamentali del cammino caritatevole, in una logica produttiva.
da intraprendere, rilanciando in chiave illuministica la questione Se dal punto di vista architettonico
questo comporta l’adeguamento di una
della produttività, contro il parassitismo. Di formazione filosofi- parte dei locali degli alberghi a spazio
ca, con trascorsi anche in campo matematico, Doria negli ultimi destinato al lavoro, tuttavia, l’esigenza
di rappresentatività e di magnificenza,
anni della sua vita si avvicina alla materia economica, senza ne- quale volontà primaria del principe
gare le sue radici culturali, delineando, piuttosto, quel profilo di in entrambi i casi di Napoli e
Palermo, non porta a considerare gli
intellettuale attento ai problemi di ordine pratico, strettamente ambienti produttivi creati in questi
connessi alla società, che caratterizzerà la seconda fase riformista, enormi contenitori quali esempi
significativi di architetture proto-
esemplificata successivamente dal pensiero di Antonio Genove- industriali, rimanendo sostanzialmente
si 14. Nella sua memoria, il nobile genovese inquadra con acuta caratterizzati dalla sequenza più o
meno ordinata di ambienti di lavoro,
lucidità i problemi del regno, individuando nell’accentramento scandita dall’inserimento di macchine
delle funzioni amministrative, ancora all’interno della sola città, e utensili. Sul caso degli alberghi dei
poveri e sul dibattito scaturito dal
di Napoli, i maggiori disagi di natura economica e proponendo trasformarli in luoghi produttivi si
una riqualificazione del contesto territoriale nel quale, sull’e- veda a. guerra, e. molteni, p. nicoloso,
Il trionfo della miseria. Gli alberghi dei
sempio europeo, bisognava trasferire principalmente le attività poveri di Genova, Palermo e Napoli,
manifatturiere, in particolare quelle tessili 15. Electa, Milano, 1995, pp. 79-223; m.r.
marrone, toscano, Il Real Albergo dei
Poveri di Palermo, Medina, Palermo,
Agricoltura e mondo rurale, in Storia tuttavia, chiamato a far parte degli 1995, pp. 21-36, 89-97; n. d’arbitrio,
d’Italia. I. I caratteri originali, Einaudi, organi isituzionali del nuovo governo, l. ziviello, Il Reale Albergo dei Poveri
Torino, 1972, pp. 133-252, in part. 211-212. in virtù delle spiccate qualità in di Napoli. Un edificio per le “Arti della
11 campo economico; cfr. g. borrelli, città” dentro le Mura, Edisa, Napoli, 1999,
Segretario della nascente
Un illuminato Signore del Settecento pp. 89-95; g.e. rubino, Le fabbriche del
istituzione, la cui presidenza è affidata
napoletano, in «Realtà del Mezzogiorno», sud. Architettura e archeologia del lavoro,
a Francesco Ventura, nipote di Gaetano
6 (1968), p. 507. Sui programmi del seconda edizione ampliata, Giannini,
Argento, è in questi anni il francese
nuovo Tribunale si veda Consulte Napoli, 2004, pp. 267-273.
Anne Jean-Baptiste de Vaucouller,
ed istruzioni del Supremo Magistrato
coadiuvato da un gruppo di nobili 13
r. ajello, Carlo di Borbone... cit.,
del Commercio 1736-1738, Società
genovesi, noti nella capitale per la p. 35.
Napoletana di Storia Patria (d’ora in
particolare propensione agli affari
poi SNSP), Ms. XXI.D.30, cit. in g. de 14
e. vidal, Il pensiero civile di Paolo
di taglio economico. Cfr. r. ajello,
crescenzo, Le industrie del Regno di Mattia Doria negli scritti inediti. Con il
Gli «afrancesados»... cit., p. 183. Tra i
Napoli, Grimaldi, Napoli, 2002, p. 25. testo del manoscritto «Del commercio del
personaggi di spicco della comunità
12 Regno di Napoli», Giuffrè, Milano, 1953.
genovese presente a Napoli in questi È in campo manifatturiero,
anni, insediata nella zona di Porta nelle destinazioni d’uso dei nascenti 15
Cfr. f. ventura, Settecento
Medina, è il duca di Corigliano alberghi dei poveri, a Napoli come a riformatore. Da Muratori a Beccaria,
Agostino Saluzzo che, per quanto Palermo, a farsi strada per la prima Einaudi, Torino, 1969, pp. 42-46. f.
vicino alla corte asburgica, viene, volta la possibilità di trasformare la valsecchi, Il riformismo... cit., pp. 93-95.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 246

5. Nella seconda metà del Settecento si forma e comincia a


Piano topografico della Reale Difesa di Carditello, in
La Real Difesa di Carditello e del Carbone, Biblioteca emergere un nuovo quadro tecnico, professionale e intellet-
Nazionale di Napoli, Sezione Manoscritti e rari, Palat. tuale, coerente alla politica borbonica ed espressione di una
banc. VI.22, tav. 17.
più decisa azione riformatrice, che, nell’arco di un ventennio,
introduce il regno nei dibattiti europei, allinenadosi alle teo-
rie e agli orientamenti emergenti. Il modello transalpino, che
in anni precedenti aveva così fortemente influito sul processo
d’insediamento dei regnanti, viene per la prima volta messo in
discussione. Istintivamente proiettati, piuttosto, dalla parte del
Francesca Castanò «Un’altra Città nella campagna». I siti reali in Terra di Lavoro 247

principe e dello Stato, che non verso i disagi sociali, i nuovi 16


f. galiani, Dialoghi sul commercio
pensatori non ritengono che il liberismo di marca francese, dei grani, Boringhieri, Torino, 1958, pp.
104-105.
importato in Toscana da Pietro Leopoldo, costituisca per il Re-
gno di Napoli un adeguato strumento di rinascita economica.
Sostengono, invece, sulla scorta del sistema assolutista, la re-
golamentazione più rigida delle importazioni, e quindi l’istitu-
zione delle barriere doganali e la liberalizzazione del solo com-
mercio interno. Il trattato di Ferdinando Galiani Della Moneta,
edito anonimo nel 1751 e dedicato al re Carlo, rappresenta il
manifesto tangibile di questo profondo mutamento di indiriz-
zo, che rimette nelle mani del governo, assoluto e illuminato,
ogni azione di controllo sullo sviluppo a carattere finanziario
e sulla concreta possibilità di sostegno artificiale della moneta.
L’abate chietino, in anticipo sulle riflessioni degli economisti
ottocenteschi, saprà cogliere il significato sociale di questa
emergente teoria, preludendo al moderno concetto di produt-
tività che, solo nel secolo successivo troverà la più completa
sistematizzazione. Non più dunque un’indistinta fede verso
una legislazione economica a carattere generale, ma una cono-
scenza diretta delle differenti risorse del regno, a cui fare rife-
rimento per formulare le possibili strategie di intervento, che
proteggano, nei casi necessari, le attività agricole, piuttosto che
promuovere l’indiscriminata industrializzazione del territorio, 6.
sotto l’egida del governo, intendendo per tale, con le parole Piano topografico della Mena che dall’altra porzione
del Parco della Pagliarella con il Parco dietro il
dello stesso Galiani «il diritto prezioso e inalienabile di gover- Casino corre al Parco detto la Falciata, in La Real
nare gli uomini, di comandarli in tempo di guerra, di giudicarli Difesa di Carditello e del Carbone, Biblioteca
Nazionale di Napoli, Sezione Manoscritti e rari, Palat.
in tempo di pace, di sottoporli alle imposte» 16. banc. VI.22, tav. 10.
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 248

7. Il ritorno a una politica accentratrice, al contempo aperta


Piano topografico della Mena che da una porzione
del Bosco grande del Casino con il Parco del Pertuso e illuminata, segnato dal protezionismo propugnato da Galiani,
corre al Parco detto il Quartone, in La Real Difesa ma anche da Antonio Genovesi, non avrebbe, tuttavia, mai avuto
di Carditello e del Carbone, Biblioteca Nazionale di
Napoli, Sezione Manoscritti e rari, Palat. banc. VI.22, pieno consenso senza la fase preparatoria a cui si è accennato,
tav. 12.
che, dalla delusione dei primi riformatori, aveva fatto emerge-
re l’esigenza di una sempre più ampia circolazione di idee, a
17
Sulla cultura a Napoli al tempo
carattere divulgativo, prima che strettamente operativo, dando
di Antonio Genovesi fondamentale priorità al momento formativo e alla educazione in materia eco-
rimane il lavoro di f. venturi,
Settecento… cit., pp. 523-644. Si vedano
nomica 17. Genovesi riconosce come « ogni Stato non sarà giam-
inoltre e. garin, Dal Rinascimento mai ricco, se l’industria non somministra a tutti quelle cose che
all’Illuminismo. Studi e ricerche, Le
lettere, Firenze, 1993, p. 247, apparsa
servono alli bisogni e alle comodità e piaceri della vita », laddove
anche in introduzione a a. genovesi, il termine “industria” nel linguaggio genovesiano è inclusivo sia
Dello stato e delle naturali forze del
Regno di Napoli per rispetto all’arti e
dell’attività produttiva del singolo, che del lavoro collettivo, i
al commercio, La città del sole, Napoli, cui riflessi giungono a definire nuove e positive condizioni di
1999, p. 3.
18
aggregazione sociale 18. L’impulso dato dalle discipline tecni-
a. genovesi, Delle lezioni di
commercio o sia di economia civile con
co-scientifiche alla definizione di un approccio razionale all’uso
elementi del commercio, a cura di M.L. delle risorse del regno si accompagna all’esigenza di conferire
Perna, nella sede dell’Istituto Italiano
per gli studi filosofici, Napoli, 2005, p. 67. alle province maggiori poteri istituzionali, tali da promuovere
19
g. galasso, Napoli capitale, nel territorio gli stessi potenziamenti architettonici, urbanistici
identità politica e identità cittadina. Studi e sociali riservati in anni precedenti alla sola città di Napoli, de-
e ricerche 1266-1860, Electa, Napoli,
1998, p. 237; r. ajello, Il tramonto stituendola dal ruolo di capitale, come auspicato da Doria 19. È
delle «idee chiare e distinte». Note sulla sulla base di tali premesse che nel secondo Settecento anche i
crisi dell’illuminismo negli anni Ottanta
del ‘700, in r. tufano, Michele Torcia: piani insediativi borbonici nati entro l’Ager Campanus acquista-
cultura e politica nel secondo Settecento no un nuovo smalto programmatico 20.
napoletano, Jovene, Napoli, 2000,
pp. XVII-LXVIII. Su questi temi Attraverso una febbrile attività edilizia nei contesti ex-
cfr. inoltre g. maiorini, La reggenza traurbani l’esperienza artistica si innesta sul territorio avviando
borbonica (1759-1767), Giannini, Napoli,
1991, pp. 202-233. un progetto innovativo senza precedenti, in cui l’enfasi celebra-
20
p. caputo, La pianificazione
borbonica in Terra di Lavoro, in San
Leucio, Archeologia, Storia, Progetto, Il
formichiere, Milano, 1977, pp. 80-89. Si
Francesca Castanò «Un’altra Città nella campagna». I siti reali in Terra di Lavoro 249

tiva e aulica, conferita alle molte residenze reali trasformate o negli insediamenti industriali: da Luigi
Vanvitelli a Vincenzo Manieri, pp. 132,
costruite ex-novo nel primo periodo, lascia il posto a interventi 162-163; v. tempone, L’architettura dei
architettonici più sobri e funzionali e a una attenta riorganiz- quartieri militari, pp. 134-136, 163; e.
manzo, Sorvegliare e curare. Dal Ritiro
zazione della morfologia delle fertili campagne della Terra di d’Ercole alle Reali Case dei matti di
Lavoro, che va dalla realizzazione di una capillare rete idrica, Aversa: episodi di architetture sociali in
Terra di Lavoro, pp. 137-139, 163-166.
generata dall’acquedotto carolino, allo sviluppo agrario, dalla 22
j.l. sancho, Los espacios
mappatura dei boschi, alla conversione industriale 21. In questa arquitectónicos para la corte de los
chiave i siti reali, da luoghi di affermazione del potere monar- Borbones: Madrid y los sitios reales, in
Napoli Spagna… cit., pp. 107-114.
chico, si trasformano in complesse strutture a scopi produttivi, 23
I tempi di edificazione dei
non prive – come si è detto – di finalità strategiche e militari, in siti reali, le specifiche funzioni
grado di innescare un processo edilizio di largo raggio, assimi- ad essi date, il clima di diffuso
sperimentalismo rientrano in una
labile a quanto in precedenza era avvenuto intorno alla reggia politica regia di lungo termine entro
di Portici. Inaugurano, inoltre, un modello di corte itinerante, la quale la compilazione delle platee
avvenuta a partire dagli anni Venti
vicino per molti aspetti al nomadismo dei Borbone di Spagna 22, dell’Ottocento da parte del cavaliere
che favorisce la dissoluzione della città capitale in favore di Antonio Sancio assume un valore
particolare, divenendone lo strumento
un’apertura verso l’entroterra, lungo il tracciato ordinatore del di sintesi più efficace ed aggiornato,
nuovo tessuto urbano in via di formazione 23. cfr. l. cirillo, Il Sito Reale di Caserta-S.
Leucio attraverso l’analisi delle platee
vedano inoltre gli studi più recenti di a. volume i grafici della mostra e le del cavalier Sancio:origini, costruzione,
cernigliaro, Un’“area metropolitana” nel relative schede di approfondimento, funzioni, in Alle origini di Minerva
Settecento? La decomposizione del “telaio in particolare di: o. cirillo, La reggia trionfante… cit., pp. 295-322. Le platee
feudale” e la rigenerazione dell’Ager tra Napoli e Capua: la piazza e il “Real del Sancio sono conservate presso
Campanus, in Ager Campanus. Atti Stradone”, pp. 113-115, 153-155; d. jacazzi, l’Archivio della Reggia di Caserta
del Convegno Internazionale La storia La sperimentazione agricola in Terra di (d’ora in poi ARCe) e includono i siti
dell’Ager Campanus, i problemi della Lavoro: i casini del principe ereditario a
limitatio e sua lettura attuale, (San Leucio, Caserta, pp. 124-129, 159-161; ead., Reali 8.
8-9 giugno 2001), Jovene, Napoli, 2002, cacce, demani e territori della corona Piano topografico della Mena che dal Parco dei
pp. 239-246; a. gambardella, Rapporti nel casertano, pp. 129, 160; m.g. pezone, Polledri con il Boschetto di Diana Carbone ed il
osmotici dal vicereame all’autonomia, in Cultura tecnica in Terra di Lavoro: attività Parco detto il Conte corre al Parco detto la Rimessa
Napoli Spagna… cit., pp. 11-18. topografica e idraulica nei disegni di Luigi del Pagliarone della Bufolaria, in La Real Difesa di
21 Bardet di Villanova, Francesco Gasperi e Carditello e del Carbone, Biblioteca Nazionale di
a. gambardella, Dalla “Casa di
Giuseppe Giordano, pp. 130-132, 161-162; Napoli, Sezione Manoscritti e rari, Palat. banc. VI.22,
re”... cit., pp. 105-108 e nello stesso tav. 13.
f. castanò, Lo sfruttamento delle acque
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 250

reali di Caserta e di San Leucio e gli Restano sullo sfondo le attività manifatturiere pioneristicamen-
stati di Valle, Durazzano, Carditello
e Calvi. Documenti della platea dei te insediate nei primi anni di regno all’interno delle residenze
siti di Carditello e Calvi sono in regie per soddisfare le esigenze di corte, dal settore ceramico
Archivio di Stato di Napoli (d’ora in
poi ASNa), Maggiordomia maggiore e a quello tessile, caseario o ancora delle armi, che sin dal loro
Soprintendenza generale di Casa Reale, nascere si presentano come luoghi regolati da un’intensa col-
Archivio amministrativo, Quarto
inventario, ff. 1778 e 1779. laborazione tra i progettisti deputati alla loro realizzazione e i
24
Emblematico in tal senso il caso direttori della fabbrica, per lo più di area fiorentina o sabauda,
della fabbrica di porcellane nel parco chiamati da Carlo a organizzare gli spazi fisici e i cicli produttivi
reale del palazzo di Capodimonte
progettata da Ferdinando Sanfelice delle maestranze 24. Qui la corte aveva avuto modo di esercitare
seguendo le indicazioni e i consigli di un controllo diretto sulle attività lavorative, governando, da un
Livio Vittorio Schepers, chimico, abile
artista, nonché esperto di economia lato, come maggiore beneficiaria dei beni finiti, la diffusione dei
cfr. c. minieri ricci, La Fabbrica della criteri di gusto e delle mode, e dando, dall’altro, un decisivo im-
porcellana di Napoli, Memoria letta
all’Accademia Pontaniana nella pulso al commercio e alla circolazione dei nuovi prodotti, fina-
tornata del 27 gennaio 1878, in «Atti lizzato all’affermazione del proprio prestigio. «È verissimo che
dell’Accademia Pontaniana», Napoli,
XIII (1880), pp. 231-251, in particolare il lusso » scriverà, infatti, Genovesi « ha moltiplicato i bisogni de’
alla pagina 236 l’Autore trascrive sovrani, ma è altresì vero che ha augumentato le sorgenti delle
l’interessante rapporto redatto in
occasione del progetto di Ferdinando rendite pubbliche, l’agricoltura, le manifatture, il commercio e
Sanfelice datato al 20 marzo 1743; si la navigazione » riconoscendo all’industria degli esordi un vero
veda inoltre f. stazzi, Capodimonte,
Gorlich, Milano, 1972, p. 125 e s. e proprio ruolo pionieristico nella rinascita del nuovo regno 25.
musella guida, La Real Fabbrica Il più efficace apporto alla diffusione di tali modelli proviene,
della Porcellana di Capodimonte: la
sperimentazione, la struttura produttiva, invece, dalla politica di Ferdinando IV, successo a Carlo intanto
richiamato al trono di Spagna nel 1759, che progetta di desti-
nare a nuovi usi i numerosi siti e riserve di caccia reale. Senza
9. negarne il valore di luoghi di delizia, Ferdinando in molti di
Piano topografico della Mena che dalla porzione essi accosta alla funzione elettiva e venatoria, quella manifat-
del Bosco grande del Casino con la Casa di Cardito
corre al Parco detto il Largo di Sant’Antonio, in La turiera, come nel caso delle seterie sorte nel parco di San Leu-
Real Difesa di Carditello e del Carbone, Biblioteca
Nazionale di Napoli, Sezione Manoscritti e rari, Palat.
cio, o quella agrario-zootecnica per quanto attiene le aziende di
banc. VI.22, tav. 14. Carditello, le fagianerie di Sarzano e di Caiazzo, le canetterie di
Francesca Castanò «Un’altra Città nella campagna». I siti reali in Terra di Lavoro 251

la commercializzazione del prodotto,


in Manifatture in Campania. Dalla
produzione artigiana alla grande
industria, Guida, Napoli, 1983, pp.
67-71. Una sintesi dell’intervento
sanfeliciano con rinvii anche
alla bibliografia è in g. matacena,
Architettura industriale nel Regno tra
primo e secondo periodo borbonico, in
a. buccaro, g. matacena, Architettura e
urbanistica… cit., pp. 218-219.
25
g. genovesi, Delle lezioni di
commercio… cit., p. 23.
26
Sulla diffusione e lo sviluppo
delle attività produttive in questi
territori si vedano: d. jacazzi, La città
borbonica nell’800: Caserta, l’“altra
capitale”, in Tra il Mediterraneo e
l’Europa. Radici e prospettive della
cultura architettonica, a cura di A.
Gambardella, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli, 2000, pp. 165-
177; r. serraglio, L’acqua carolina
per l’approvvigionamento idrico di
insediamenti produttivi e centri urbani,
in Napoli Spagna… cit., pp. 347-359; d.
jacazzi, Le “delizie” rurali del territorio
casertano nell’album di Pietro Bernasconi,
Caserta 26. I progressi infrastrutturali intanto raggiunti gli con- in Luigi Vanvitelli Millesettecento-
sentono di approntare, in continuità con le intenzioni paterne, Duemila, Atti del Convegno
Internazionale di studi a cura di A.
un progetto integrale di conversione produttiva del territorio Gambardella, (Caserta 14-16 dicembre
il cui centro ideale è ora la città di Caserta. In questo disegno 2000), Saccone, Caserta, 2005, pp. 507-
518; g. torriero nardone, Le architetture
i confini spaziali dei siti reali si dilatano, andando a include- degli svaghi e le architetture produttive, in
re, come avviene a Carditello, le aree boschive limitrofe, con la Casa di Re… cit., pp. 71-73; r. serraglio,
Architetture e territori per sperimentazioni
conseguente ridefinizione degli assetti interni attraverso la re- agrarie, botaniche e zootecniche dal
alizzazione di nuovi assi viari e di continue opere di bonifica, Settecento all’Ottocento, in Ricerche
sull’architettura rurale in Terra di
mentre gli ambiti destinati alla pratica venatoria si restringono, Lavoro, a cura di R. Serraglio, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 2007,
fino a estinguersi del tutto, come nel caso leuciano, alla fine del
pp. 47-74; o. cirillo, Carlo Vanvitelli.
secolo. D’altro canto nei piani delle rendite stimati di anno in Architettura e città nella seconda metà
del Settecento, Alinea, Firenze, 2008,
anno dagli amministratori dei siti reali appare evidente che i bo-
pp. 211-233 con particolare riferimento
schi destinati alla caccia rimangono improduttivi, rispetto alla alle opere di ingegneria idraulica
per i mulini reali eseguite da Carlo
totalità degli spazi invece coltivati o destinati alla lavorazione in continuità con i progetti paterni;
industriale, auspicando talvolta per i primi una messa in coltura v. messana, Architettura e tecnologia
della produzione: i mulini reali, in Carlo
anche parziale, da cui trarre un minimo beneficio in termini Vanvitelli, a cura di B. Gravagnuolo,
economici 27. Guida, Napoli, 2008, pp. 234-267;
s. conti, Siti Reali tra diletto e fattività
Si comprende bene come queste speciali riserve territo- economica, in Città e sedi umane fondate
riali, portatrici di nuove economie, animate da un numero consi- tra realtà e utopia, tomo II a cura di A.
Pellicano, Franco Pancallo, Locri, 2009,
stente di lavoratori, oltre che di specie animali, richiedano un’os- pp. 595-618; f. capano, Caserta. La città
servazione costante da parte dei regnanti, che si registra nella dei Borbone oltre la reggia (1750-2860),
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli,
periodica rendicontazione dell’Intendente, di volta in volta in- 2011, pp. 93-123.
caricato, posto a controllo dell’azienda, ma anche nelle puntuali 27
ASNa, Maggiordomia Maggiore e
campagne di rilevamento finalizzate all’aggiornamento progres- Soprintendenza di Casa Reale, 1784, Reale
Amministrazione di Carditello piano di
sivo dei confini con la misurazione dei fondi reali 28. Espediente rendite e pesi, amministratore Saverio
che investe anche la corona di pertinenze venatorie più distanti, Guarini.
28
Studi recenti hanno posto il tema
venatorio sotto una nuova luce con
10.
l’intento di riflettere sulle pratiche e sul
Pianta della Real Difesa di Carditello, Archivio della
Regia di Caserta, Planimetrie, 5. H.
rapporto con il territorio nel confronto
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 252

11. da Mondragone, a Persano, a Venafro, a Calvi. La Carta Topogra-


Pianta geometrica del Reale Parco di Cardito,
Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Carte fica delle Reali cacce di Terra di Lavoro e loro adiacenze, eseguita da
Geografiche, b. 28. 46.
Giovanni Antonio Rizzi Zannoni nel 1784 riproduce dettagliata-
mente la struttura di tutti questi luoghi, evidenziandone le parti
fra gli Stati italiani, sabaudo, estense, boschive adibite alla caccia, fittamente descritte, da quelle pia-
mediceo e borbonico; in particolare neggianti, prive di interventi cromatici, inquadrando anche nel
a quest’ultimo è dedicato il saggio di
d. cecere, Cacce reali e cacce baronali vasto contesto territoriale il nuovo impianto del palazzo e del
nel Mezzogiorno borbonico, in La caccia parco reale con le direttrici urbane connesse, come concepiti da
nello Stato sabaudo. II. Pratiche e spazi
(secc. XVI-XIX), a cura di P. Bianchi e Luigi Vanvitelli, nonché il percorso delle acque 29. Per realizzarla
P. Passerin d’Entrèves, Silvio Zamorani il geografo padovano si avvale certamente delle precedenti espe-
editore, Torino, 2011, pp. 171-185.
29 rienze di professionisti del ramo militare già attivi nel regno di
Biblioteca Nazionale di Napoli
(d’ora in poi BNN), Fondo Carte Napoli, impegnati nella ricognizione e nell’approfondito rilievo
Geografiche, b. 29B.62(1, G.A. Rizzi dei boschi e delle cacce reali 30.
Zannoni, Carta Topografica delle Reali
cacce di Terra di Lavoro e loro adiacenze Autentici meccanismi di gestione, su queste mappe un
e BNN, Fondo Carte Geografiche, b. corpo scelto di topografi, tavolari e architetti come stava avve-
29B.62(2, Giovanni Antonio Rizzi
Zannoni, Pianta topografica della Terra nendo contestualmente negli stati esteri, addestrato alla precisa
di Lavoro. Per approfondimenti cfr.: riproduzione dei luoghi per finalità belliche, annota le trasfor-
v. valerio, Società, uomini e istituzioni
cartografiche nel Mezzogiorno d’Italia,
Istituto Geografico Militare, Firenze,
1993, pp. 395-397; m.r. iacono, I siti
reali e la rappresentazione del paesaggio
Francesca Castanò «Un’altra Città nella campagna». I siti reali in Terra di Lavoro 253

mazioni di ogni singola riserva reale, ne delimita con esattezza agrario in Terra di Lavoro, in Casa di
Re… cit., pp. 93-98. Si veda inoltre
i confini, registrando con perizia le caratteristiche orografiche f. capano, Caserta per immagini:
e le tipologie vegetali 31. La rappresentazione topografica delle dall’iconografia alla cartografia di una
provincia tra XVIII e XIX secolo, in
reali delizie, trasferita tra le competenze dei corpi militari, co- Iconografia delle città in Campania. Le
stituisce l’espediente più diretto alla comprensione dei piani province di Avellino, Benevento, Caserta,
Salerno, a cura di A. Buccaro, C. de
territoriali in atto, che confermerebbe l’ipotesi di una strategia Seta, Electa, Napoli, 2007, pp. 205-
di controllo ben più complessa, in considerazione anche della 218, in part. 211-212, con rinvii alla
bibliografia.
necessità di vigilare sulla linea di difesa con lo stato della Chie- 30
m.g. pezone, Cultura tecnica
sa, garantita dal mantenere integre le impervie zone montuose in Terra di Lavoro… cit., p. 161; d.
e boschive, piuttosto che da un organico sistema fortificato, che jacazzi, Leggere il territorio: scienza e
interpretazione dell’Ager Campanus, in
di fatto verrà realizzato solo a partire dagli anni Venti dell’Ot- Ricerche sull’architettura rurale… cit., pp.
tocento 32. Le cacce stesse rappresentano il luogo ideale per «i 11-46, in part. 32-36.
31
guerrieri esercizi» 33 del re e dei cavalieri, i campi adatti a speri- a.m. pioletti, Spazi e luoghi
delle cacce reali, in La caccia nello Stato
mentare armi sempre più sofisticate, in cui addestrare animali sabaudo… cit., pp. 37-51.
da combattimento e dove simulare vere e proprie manovre bel- 32
m.r. pessolano, Napoli e il regno…
liche 34. Alla stessa maniera Ferdinando sprona la moltitudine cit., pp. 17-29.
33
di lavoratori coinvolti nelle aziende reali a non abbandonare Notizie del bello… cit., p. 168.
34
le armi, persuadendoli della necessità di difendere se stessi e v. zagari, Armi e armaioli, in
La caccia al tempo… cit., pp. 71-86 e
il regno dai nemici; e attraverso lo statuto saunleuciano «senza g. fiorentino, Cenni sull’armamento
toglier le arti egli forma de’ guerrieri», convinto che il riscat- individuale dell’esercito borbonico 1734-
1860, in Le armi al tempo dei Borbone, a
to sociale, il rispetto di un codice etico e la pratica produttiva cura di S. Abita, Edizioni Scientifiche
costituiscano le premesse indispensabili alla formazione di un Italiane, Napoli, 1998, pp. 89-97.
35
Notizie del bello… cit., p. 204.
esercito di uomini «infiammati per l’amor della patria» 35, più
36
Ferdinando IV. Origine della
affidabile di una milizia regolata.
popolazione di San Leucio e suoi
È qui che attraverso la progressiva trasformazione del rea- progressi fino al giorno d’oggi colle
leggi corrispondenti al buon governo
le sito di caccia, a partire dal 1776, prima in manifattura serica, di essa, Napoli 1789, ristampato in
poi in colonia operaia, si sperimenta con successo la conversio- Statuti dell’arte della seta a Napoli
e legislazione della Colonia di San
ne di una tenuta da diporto, nel maggiore tra i centri di produ- Leucio, a cura di G. Tescione, s.e.,
zione e lavorazione della seta 36. Il nuovo polo manifatturiero Napoli, 1933, p. 99.
37
si trasforma nel manifesto concreto dell’assolutismo illuminato Per approfondimenti e
numerose acquisizioni documentarie
ferdinandeo, assumendo una precisa fisionomia anche nell’or- sul contributo di Francesco Collecini al
ganizzazione spaziale dei luoghi destinanti alla produzione e progetto ferdinandeo cfr.: r. serraglio,
Francesco Collecini: architettura del
del nuovo villaggio operaio, progettati da Francesco Collecini, secondo Settecento nell’area casertana,
sul modello di città ideale suggerito dal re 37. Ponendo in con- Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli,
2001, pp. 51-60 e id., Architettura e
tinua dialettica tra loro il vasto paesaggio con gli spazi costruiti, ambiente nel reale sito di San Leucio, in
l’architetto, formatosi alla scuola di Luigi Vanvitelli, in anticipo Luigi Vanvitelli… cit., pp. 565-576.
38
sui tempi, disegna un impianto urbano nel quale gli edifici e le Nella vasta letteratura di
riferimento sul sito reale di San
strade di nuova creazione si fondono alla componente ambien- Leucio e sulla conversione in centro
tale, in un delicato equilibrio di masse piene e aree verdi 38. La di produzione e in colonia operaia a
partire dal fondamentale studio di g.
posizione eminente del sito, enfatizzata dall’articolazione viaria, tescione, San Leucio e l’arte della seta
gli consente di impostare il corpo principale annesso all’anti- nel Mezzogiorno d’Italia, Montanino
editore, Napoli, 1961, si vedano in
co Belvedere e la filanda dei Cipressi, come un prolungamento particolare: r. de fusco, f. sbandi, Un
del naturale declivio della montagna, ispirato al linguaggio neo- centro comunitario del Settecento in
Campania, in «Comunità», 86 (1961),
classico. All’interno del grande complesso Collecini si misura pp. 56-65; e. battisti, San Leucio
con una varietà di temi edilizi, declinandone la configurazione presso Caserta, recupero di un’utopia,
Siti reali in Italia. Napoli e dintorni 254

in «Controspazio», 4 (1970), pp. 50-70; secondo nuove e più specifiche esigenze funzionali, connesse
g.c. alisio, Siti reali dei Borbone…, cit.,
pp. 47-65; e. battisti, San Leucio sullo al carattere delle diverse costruzioni, dalla residenza reale, alla
sfondo delle ideologie settecentesche, in fabbrica, alle case operaie differenti per dimensioni e linguag-
San Leucio, Archeologia... cit., pp. ;
r.a. genovese, Note sul complesso gio, correlate tra loro attraverso il percorso polidirezionale del
architettonico industriale di San Leucio, parco 39; monumentali, paesisticamente rilevanti, coerenti nella
in «Restauro», 38-39 (1978), pp. 95-109;
l. mongiello, San Leucio di Caserta. disposizione dei nuovi usi interni le prime, più sobrie e celate
Analisi architettonica, urbanistica e sociale, nel contesto le altre.
Laterza, Roma-Bari, 1980; m. battaglini,
La fabbrica del re: l’esperimento di San Un analogo dispositivo applicato anche a Carditello, ope-
Leucio tra paternalismo e illuminismo, ra dello stesso autore, dove la libertà della tipologia inaugurata,
Edizioni Lavoro, Roma, 1983, pp. 9-63;
s. musella guida, Nuove considerazioni a metà tra Casino reale e azienda zootecnica, favorita da una
sulla fabbrica della di San Leucio. maggiore ampiezza di aree verdi, si offre come campo di speri-
L’incremento degli impianti dal 1789 al
1860, in Itinerari storici e artistici in mentazione linguistica in cui l’immagine consolidata dei sim-
Terra di Lavoro, a cura di F. Cortese e boli della regalità e del potere monarchico si accompagna a una
G. Tescione, Athena, Napoli, 1995, pp.
65-95 e nello stesso volume g.e. rubino, visione decisamente più innovativa, derivata dall’integrazione
Riflessioni su Neoclassicismo e Rivoluzione dell’allevamento con l’agricoltura 40. Qui Collecini rinnova la
industriale in Terra di Lavoro, pp. 99-109;
f. pirozzi, L’utopia di Ferdinandopoli in scelta di una composizione aperta e articolata, in stretto rappor-
Profilo storico dell’utopia nel territorio to con il contesto naturale, ricondotta a un corpo centrale do-
meridionale d’Italia, a cura di M.
Coletta, Edizioni del Grifo, Lecce, minante per uso del re, affacciato sulla pista ellittica dei cavalli,
1997, pp. 93-112 e a seguire il saggio e lunghe ali laterali che ne proseguono il fronte, piegate all’e-
di m.r. pessolano, Ferdinando IV e
lo statuto leuciano, pp. 113-120; m.c. stremità, da un lato, a delimitare il circuito di addestramento,
taratarone, La Colonia e il Belvedere di dall’altro, a chiudere la sequenza dei cortili rustici retrostanti ad
San Leucio, Fratelli Fiorentino, Napoli,
1997; f. crippa, b. marello, Il Belvedere uso dei lavoranti. Il Casino principale assume così la funzione
e la Fabbrica, Saletta dell’Uva, San
di vero e proprio filtro tra gli spazi aulici e magniloquenti della
Leucio, 1997; “Lo Bello Vedere” di San
Leucio e le Manifatture Reali, a cura corte e la sconfinata tenuta circostante, sottolineato in facciata
di N D’Arbitrio, A. Romano, Napoli,
dagli androni passanti che invitano a conquistare la dimensio-
1998; g.e. rubino, Le fabbriche… cit.,
pp. 31-51; p. della corte, Caserta: la ne agreste e rurale degli spazi da lavoro 41. A Carditello, inoltre,
Reggia e il Parco, il Belvedere di San
Leucio, l’Acquedotto Carolino, Libreria
gli assi viari che si dipartono dal tempietto al centro del circo
dello Stato, Istituto poligrafico e Zecca equestre, non solo disegnano l’ossatura portante della labirin-
dello Stato, Roma 2005; r. serraglio,
Carditello e San Leucio: da reali cacce
tica radura boschiva al contorno, ma, rinviando idealmente al
a luoghi della produzione, in Casa di sistema assiale concepito intorno alla Reggia casertana, consoli-
Re… cit., pp. 118-120 e 157; a. buccaro,
Dall’utopia sociale alla realtà produttiva.
Documenti per la storia della piazza a cura di A. Gambardella, Edizioni a cura di G. Starrabba, G.B. Rosso e S.
della Seta e dell’edificio della Trattoria a Scientifiche Italiane, Napoli, 2002, pp. Gavotti, s.e., Caserta, 1979; m.r. iacono,
San Leucio, in Architettura nella storia. 98-103 e ead., Reali cacce… cit., pp. 129, La tenuta agricola di Carditello: fonti
Scritti in onore di Alfonso Gambardella, a 160. Si vedano inoltre g.e. rubino, Le archivistiche, in Un Elefante a Corte.
cura di G. Cantone, L. Marcucci ed E. fabbriche… cit., p. 31-51, in part. p. 39 Allevamenti, cacce ed esotismi alla Reggia
Manzo, vol. I, Skira, Milano, 2007, pp. e g. pignatelli, S. Leucio. Il Belvedere, di Caserta, Fausto Fiorentino, Napoli,
461-468. Facoltà di Studi Politici per l’Alta 1992, pp. 33-40; m.r. iacono, f. canestrini,
Formazione europea e mediterranea La Reale tenuta di Carditello, in I giardini
39
Una rappresentazione «Jean Monnet», in Dimore della del “Principe”, Atti del IV Convegno
significativa del sito reale di San conoscenza. Le sedi della Seconda Internazionale Parchi e giardini storici,
Leucio è costituita dalla Pianta del Real Università degli Studi di Napoli, a cura (Racconigi, 22 – 24 settembre 1994),
Recinto del Bosco e delizie di S. Leucio di R. Cioffi e G. Amirante, Edizioni L’artistica, Savigliano, 1994, pp. 394-399;
(BNN, Fondo Carte Geografiche, b. Scientifiche Italiane, Napoli, 2010, pp. l. migliaccio, Rivisitando Carditello.
26.10), redatta da Domenico Rossi, 198-208, in part. p. 208. Nuove acquisizioni archivistiche, in
tavolario dell’Intendenza di Caserta 40 «Bollettino d’informazione. Tutela,
nel 1809, databile agli inizi del XIX Sul sito reale di Carditello
restauro, contributi, iniziative, mostre,
secolo e probabilmente riconducibile relativamente all’azienda agricola in
manifestazioni», 4 (1998), pp. 66-79;
per analogie formali e dettagli essa insediata si vedano: c. severati,
r. ruotolo, L’azienda agricola di Re
rappresentativi a una raccolta di Stupinigi e Carditello: architettura
Nasone. Il Casino Reale di Carditello,
piante più vasta che avrebbe dovuto e paesaggio nell’Italia del ’700, in
in «Campania Felix», 3 (1996), pp. 1-4;
rilevare tutti i possedimenti venatori «L’architettura. Cronache e storia»,
r. serraglio, Francesco Collecini… cit.,
del re in Terra di Lavoro; cfr. d. jacazzi, XVI (1971), pp. 760-764; g.c. alisio, Il
pp. 61-74; r. serraglio, Carditello e San
Cultura cartografica nel Regno borbonico sito reale di Carditello, in «Napoli
Leucio… cit., pp. 121-122, 158; m.r. iacono,
1734-1860, estratto da L’architettura dei nobilissima», XIV, II (1975), pp. 41-54;
Il paesaggio dalle sorgenti a Carditello, in
Borbone di Napoli e delle Due Sicilie, Il “Real Sito” di Carditello. Raccolta di
L’acquedotto carolino, L’Aperia, Caserta,
notizie archeologiche, storiche ed artistiche,
Francesca Castanò «Un’altra Città nella campagna». I siti reali in Terra di Lavoro 255

dano l’ipotesi di un piano regionale decisamente più ampio e 2007, pp. 7-11; p. de felice, Il Real Sito
di Carditello. Un’area da conoscere
articolato 42. e valorizzare, Stampa Editoria “La
Mutati profondamente i rapporti tra città e territorio, la Fiorente”, Maddaloni, 2009.
41
politica urbanistica dei siti reali in Terra di Lavoro, impostata Un’immagine eloquente
dell’impianto ideato da Collecini
secondo criteri unitari e razionali, che ne avrebbero accelera- per il complesso del Casino reale è
to la realizzazione, si inscrive all’interno di un diversificato in- fornita dai modelli lignei realizzati
dall’ebanista Antonio Rosz conservati
sieme di interessi. All’affermazione di una visione riformista in presso l’Archivio Palatino della Reggia
materia economica rivolta allo sviluppo delle attività produttive, di Caserta per la cui lettura, con la
relativa bibliografia, si rimanda a m.
attraverso un diffuso recupero sociale e l’indebolimento del- russo, Nuove acquisizioni sui modelli
le classi proprietarie e oziose, si uniscono le esigenze di cono- architettonici della raccolta vanvitelliana
della Reggia di Caserta, in Luigi
scenza e di difesa dei territori ricondotti al controllo regio, oltre Vanvitelli… cit., pp. 343-352.
alla necessità di mettere in atto un denso programma di “abbel- 42
Le modificazioni e gli
limenti” degni della cornice monarchica, destinati, tuttavia, a ampliamenti del sito reale di
Carditello si leggono attraverso la
incidere radicalmente sulla natura dei luoghi. I programmi di ricca iconografia esistente a partire dai
trasformazione alla scala territoriale, urbana ed edilizia sareb- grafici realizzati nella seconda metà del
Settecento prima delle trasformazioni
bero dunque derivati da un’azione di controllo di ampio respiro, del casino reale: Biblioteca del Museo
in cui i siti reali pur costituendo apparentemente la parte più Campano di Capua, Top. 26, Carditello
4.6, Piano Topografico della reale difesa
eloquente, una volta infranta l’immagine di contesti evasivi per di Carditello, pubblicata in r. serraglio,
i sovrani e la corte, rivelano invece il ruolo di centri irradianti Carditello e San Leucio: da reali cacce
a luoghi della produzione, in Casa di
cruciali, a fronte di un inquadramento critico ben più articolato, Re…, cit., pp. 121 e 158 da collegare
che per quanto già avviato lascia ancora aperti molti spazi di all’album di disegni inediti composto
di una piano topografico generale e
ricerca e di approfondimento. da numerose tavole descrittive delle
singole difese di Carditello conservato
in BNN, Sezione Manoscritti e rari, Palat.
banc. VI.22, La Real Difesa di Carditello
e del Carbone, all’interno della quale vi
è il Piano topografico della Reale Difesa
di Carditello (tav. 17). Tra i grafici che
registrano gli ampliamenti successivi
all’intervento di Collecini, oltre alla
nota Pianta della Real Difesa di
Carditello (ARCe, Planimetrie, 5.H)
si segnalano: BNN, Fondo Carte
Geografiche, b. 28.46, in r. serraglio,
Carditello e San Leucio: da reali cacce
a luoghi della produzione, in Casa di
Re… cit., pp. 121 e 158; BNN, Sezione
Manoscritti e rari, Palat. banc. VI.10, L.
Petrini, Bosco della Real Tenuta di
Carditello, aprile 1889, schedata da
F. Capano in Iconografia delle città in
Campania… cit., p. 239.

12.
L. Petrini, Bosco della Real Tenuta di Carditello,
Biblioteca Nazionale di Napoli, Sezione Manoscritti
e rari, Palat. banc. VI.10.
1.
I.B. Tiesce (disegnatore), Carl Guttenberg (incisore),
Vue des Laves anciennement sorties du Vesuve en
amonceléea sur le bord de la Mer près du Palais de
Portici ; tratto da J.C. Richard de Saint-Non, Voyage
pittoresque ou description de royaumes de Naples
et de Sicilie, Parigi 1781.
APPENDICE

Resoconti di viaggio
nei siti reali napoletani
A cura di Matteo Borriello

Tra il XVIII e il XIX secolo il Grand Tour, che ha come suo


perno la penisola italiana, si configura come un vero e proprio sta-
tus symbol, un momento di necessaria formazione, di conoscenza della
memoria dell’antico e delle radici della cultura occidentale, in un pri-
mo momento ad esclusivo appannaggio dell’aristocrazia, di letterati ed
artisti e solo successivamente esteso alla classe borghese. Nonostante
si tenda a considerare il Grand Tour come un fenomeno tipicamente
settecentesco, non bisogna dimenticare che esso affonda le sue radici
in epoche precedenti, già nel 1615, infatti, il filosofo e viaggiatore ingle- 1
Cfr. c. de seta, L’Italia del Grand
se Francis Bacon stilò all’interno della sua opera “Of Travel” un vero e Tour: da Montaigne a Goethe, Napoli,
proprio vademecum del viaggiatore che sembra essere stato preso alla Electa, 1992, p. 61; per ulteriori
approfondimenti f. bacon, Of Travel, in
lettera dai viaggiatori del secolo successivo 1. The Essay or Counsels, civill and morall
of Francis Lo Verulam, Viscount St. Alban,
In una prima fase l’itinerario dei viaggiatori stranieri compren-
London 1625, citato nella nota 61.
deva solo l’area settentrionale della penisola, identificando in Roma 2
Cfr. c. de seta, op. cit., p. 159.
il limite estremo del “viaggio”; verso la seconda metà del Settecento 3
Sul rapporto tra il Vesuvio e i
tale estremo si dilata sino a superare Napoli, inglobando interamente viaggiatori cfr. p. gasparini, Un viaggio
al Vesuvio: Il Vesuvio visto attraverso diari,
il regno delle Due Sicilie 2. Con il tempo ciò finisce col diventare quasi
lettere e resoconti di viaggiatori, Napoli,
uno schema prestabilito che vede coinvolte le città di Milano, Firenze, Liguori, 1991; g. luongo, Mons Vesuvius.
Sfide e catastrofi tra paura e scienza,
Roma, Gaeta, Napoli, Venezia ed in tale contesto, l’area meridionale si
Napoli, Fiorentino, 1997; All’ombra del
articola secondo un particolare ordine che passa per la città di Napoli, Vesuvio: Napoli nella veduta europea dal
Quattrocento all’Ottocento (catalogo della
le tappe archeologiche di Ercolano, Pompei e Stabia, la scalata al Vesu- mostra), Napoli, Electa Napoli, 1990.
vio 3, il rientro nella capitale e l’esplorazione dell’area flegrea. 4
d.p.a. de alarcon, De Madrid
4
«(…) Ver a Nápoles y después morir (…)» , con tale affermazione a Nápoles, Madrid, Sucesores de
rivadeneyra (s. a.), 1932, vol. II, p. 351.
si apre il percorso intrapreso dai viaggiatori stranieri che una volta arri-
5
h. taine, Voyage en Italie-Naples et
vati a Napoli restano piacevolmente colpiti dalla sua bellezza e dall’ame- Rome, Parigi, Librairie de L. Hachette,
nità dei suoi paesaggi che innescano un vero e proprio senso di sublime: 1866, p. 39.
6
«(…) C’est un autre climat, un autre ciel, presque un autre monde (…)» 5. Cfr. p. villani, Diavoli e Paradiso.
Luci e ombre della Napoli di primo
Di uguale importanza, se non maggiore, è l’interesse antropo- Novecento, in Imago_Urbis. Antico
logico che il popolo napoletano suscita agli occhi dei viaggiatori che, e contemporaneo nel centro storico di
Napoli, a cura di P. Rossi, Napoli,
passeggiando lungo la via Toledo 6 ed addentrandosi negli stretti vicoli Guida, 2011, p. 98.
Appendice 258
2. della città, registrano sui loro taccuini caratteristiche fisiche e morali,
Ghendt (disegnatore), Masilier (incisore), Vue de
l’Astruni; tratto da J.C. Richard de Saint-Non, Voyage il modo di parlare e di gesticolare, la passione per la danza e il canto,
pittoresque ou description de royaumes de Naples aspetti folcloristici che con il tempo contribuiscono a creare un vero e
et de Sicilie, Parigi 1781.
proprio stereotipo che per certi aspetti ancora oggi ci accompagna.
All’interno dell’itinerario sopra descritto, un posto, non sempre
di primo piano, è occupato dai siti reali borbonici che nonostante la
loro particolare inaccessibilità, dovuta alla funzione di residenza reale
privata, che poteva essere visitata solo con permessi speciali 7, suscita-
no sempre un grande fascino agli occhi dei viaggiatori che non manca-
no di registrare, in modo più o meno dettagliato in base agli interessi,
non solo le particolari caratteristiche architettoniche ma anche le vi-
cende storiche connesse al sito visitato. Oltre alle difficoltà di accesso,
l’interesse per i siti reali viene talvolta offuscato dalla maggiore, e a
volte morbosa, curiosità nei confronti delle città “ritrovate” di Erco-
lano, Pompei e Stabia, il loro interesse archeologico sembra porre in
secondo piano tutto quell’insieme di opere d’arte mobili e immobili
presenti sul territorio.
A volte, ad esempio, il sito reale di Portici viene “raccontato” at-
traverso descrizioni di viaggio sommarie e generiche, esso viene con-
siderato come una semplice tappa da superare, insieme ad altri paesi
come Resina e Torre Annunziata, per arrivare ai più interessanti siti
archeologici di Ercolano e Pompei. Tale atteggiamento, in particolare
nel caso della reggia di Portici, è subordinato alla scelta di trasferire i
reperti archeologici del Museo Ercolanense nel palazzo dei Regi Studi 8.
L’interesse per l’antico è dunque essenziale ed accomuna tutti
i viaggiatori, in maggioranza francesi (come non ricordare il Voyage
pittoresque de Naples et de Sicilie di J.C. Richard Abbé de Saint-Non) 9,
inglesi, tedeschi e spagnoli. A differenza degli altri, gli spagnoli pre-
senteranno un diverso approccio nei riguardi del “viaggio” del Grand
Tour, in un primo momento, infatti, non sarà l’interesse culturale a
spingerli fuori dal loro paese ma esigenze, definite da Alfonso Rodri-
guez Ceballos di: «(…) spionaggio tecnologico (…)» 10, e privilegiando
7
g.b. de ferrari, Palazzo Reale di
Portici, in Nuova guida di Napoli, dei
piuttosto itinerari rivolti a Francia, Inghilterra, Olanda e Germania.
contorni di Procida, Ischia e Capri, Napoli,
Giorgio Glass Editore, 1826, p. 407.
8
Cfr. n. meluccio, Le collezioni
del Palazzo Reale di Portici: da Museo
d’Antichità a sede della Facoltà di
Agraria, in La Reggia di Portici nelle
collezoni d’arte tre Sette e Ottocento, a
cura di Luisa Martorelli, Napoli, Elio
de Rosa, 1998.
9
Cfr. c. de seta, L’Italia del Grand
Tour: da Montaigne a Goethe, Napoli,
Electa, 1992, pp. 164-168; per ulteriore
approfondimento cfr. j.c. richard
de saint-non, Voyage pittoresque ou
description de royaumes de Naples et de
Sicilie, Parigi 1781.
10
a. rodriguez ceballos,
Viaggiatori spagnoli in Italia nel
Settecento, in Grand Tour. Viaggi narrati
e dipinti, a cura di C. de Seta, Napoli,
Electa, 2001, p. 44.
Resoconti di viaggio nei siti reali napoletani 259

Inoltre, scarso è il numero dei resoconti di viaggio che, spesso non 11


Idem. L’autore in nota a p. 57,
concepiti per la pubblicazione, restano sotto forma di diari privati . 11 cita i seguenti testi: g. gomez de la
serna, Los viajeros de la Ilustración,
Grazie alle guide e agli appunti di viaggio, siamo in grado di Alianza, Madrid, 1974; m. fabri,
poter comprendere la percezione, da parte dei viaggiatori stranieri, dei Literatura de viajes. Historia literaria de
España en el siglo XVIII, edizione di
diversi siti reali presenti nella regione, cosa li accomuna e cosa li diver- Francisco Aguilar Piñal Trotta, Madrid
sifica. Ciò che attrae maggiormente chi si trova ad ammirare i siti reali è 1996, pp.407-23; p. alvarez de miranda,
Los lobros de viale y las utopías en el siglo
l’amenità del paesaggio, caratterizzato da colline e spianate per i palazzi XVIII español. Historia de la Literatura
di Capodimonte e Caserta, l’imponenza del Vesuvio per la Reggia di Española. Siglo XVIII, edizione di Víctor
García de la Concha, tomo II, Espasa-
Portici, la salubrità dell’aria elogiata non solo negli scritti dei viaggiatori Calpe, Madrid 1995, pp. 682-706.
ma anche dallo stesso sovrano Carlo di Borbone. L’aria del Real Sito di
Portici, ad esempio, è ricordata per le sue particolari caratteristiche di
leggerezza in quanto presenta una certa percentuale di sali, dovuti alla
vicinanza con il mare e di zolfo per la vicinanza del Vesuvio.
Una delle caratteristiche fondamentali, registrata anch’essa ne-
gli appunti di viaggio e che accomuna i diversi siti, è la loro funzio-
ne di riserva privata per l’esercizio delle attività venatorie del sovra-
no e della corte. La caccia, infatti, era la pratica più apprezzata dalla
famiglia dei Borbone, carica di simbologia legata alla potenza e alla
grandezza del sovrano, al modello delle corti europee, a un possibile
sviluppo del territorio.
I resoconti di viaggio ci informano della particolare attenzione
che il sovrano, insieme agli architetti in carica, pone nel concepire
all’interno dei giardini tutta una serie di strutture per rendere più gra-
devole l’esercizio della caccia, sviluppando così un modello compo-
sitivo – a meno di varianti e definizione che comprendono l’arte del
progetto dei giardini nel XVIII secolo – di boschetti, giardini e casini,
per garantire l’auspicata funzione, sia per Capodimonte, che per Porti-
ci che per Caserta, nulla è lasciato al caso.
Le casine, ad esempio, apparentemente sparse all’interno dei
boschetti, avevano il compito di rendere più agevole la pratica venato-
ria, nel caso fosse scoppiato un temporale il re e la sua corte si sareb-
bero potuti riparare attendendo il passare della pioggia senza essere
costretti ad interrompere la battuta di caccia. Sono presenti all’interno
dei giardini anche delle strutture per l’allevamento della cacciagione,
talvolta le “canetterie” o le scuderie e gli allevamenti dei cavalli. Si
doveva mantenere costante la cura e l’allevamento per garantire il pro-
ficuo svolgimento delle attività venatorie all’interno del sito. In tale
contesto Capodimonte è ricordata per il vasto numero di fagiani, in
un primo momento allevati sull’isola di Procida e a Cajazzo (nei pressi
della “nuova capitale”) di animali di piccolo taglio (lepri, conigli, capre,
cervi), esclusi i cinghiali giudicati troppo pericolosi per la vicinanza
con gli abitati e Caserta per le diverse tipologie di uccelli.
Oltre alla caccia viene descritta un’altra attività, la produzione
di latticini all’interno delle piane di Caserta e Cardito, essa è una delle
più rinomate grazie al particolare ambiente salubre per l’allevamento
Appendice 260

del bestiame, che venne spostato dal re Ferdinando da Capodimonte


nei luoghi suddetti 12.
Come detto in precedenza la Reggia di Portici viene di frequen-
te esclusa dalle visite dei viaggiatori e considerata come una tappa da
dover superare per arrivare agli scavi archeologici. Tale condizione è
corroborata dalla particolare posizione del cortile attraversato dalla via
delle Calabrie, a tal proposito Augusto von Kotzebue scrive: «(...) notte
e giorno, passano la posta e altre carrozze; non capisco come si fa a
dormire! (...)» 13. Per la sua particolare vicinanza con gli scavi, però, il
sito assume un interesse di “riflesso” agli occhi dei viaggiatori, che si
soffermano sulla descrizione del Museo Ercolanense aperto dal sovra-
no per raccogliere al suo interno tutti i reperti archeologici di maggior
pregio, che vennero collocati non solo all’interno del museo ma anche
nei diversi ambienti del palazzo borbonico.
Per quanto riguarda la Reggia di Capodimonte vengono messi
in evidenza i problemi statici che rallentarono la sua esecuzione, lo
stato di abbandono subordinato alla perdita d’interesse da parte del
sovrano, che si concentrò sulla nuova fabbrica di Caserta e la sua pri-
mitiva funzione di custodire le antichità della collezione Farnese.
12 Il sito di Caserta è senza dubbio quello che presenta il maggior
Cfr. c. celano, Notizie del bello,
dell’antico e del curioso della città di numero di descrizioni dal punto di vista logistico, architettonico e per
Napoli divise dall’autore in dieci giornate
la decorazione degli interni, infatti, molti viaggiatori sottolineano il
per guida e comodo de’ viaggiatori con
aggiunte del cav. Giovanni Battista fatto che, nonostante la funzione di luogo di diporto, esso presenta una
Chiarini, vol. V, Napoli, Stamperia
grandezza e una maestosità mai visti prima e che non teme il confronto
Floriana, 1856, p. 814.
13 con la reggia francese di Versailles.
n. del pezzo, Siti reali: Il Palazzo
reale di Portici, in «Napoli Nobilissima», Nell’ambito delle descrizioni della reggia di Caserta vanno in-
V (1896), p. 161; per ulteriori
quadrate le informazioni riguardanti la colonia di San Leucio, della
approfondimenti cfr. f. barbera, La
scelta strategica del Real sito di Portici, quale i viaggiatori ricordano la particolare condizione degli artigiani
Portici, Comune, 2000.
che lavoravano al suo interno seguendo le regole dello statuto scritto
14
Cfr. c. celano, op. cit., p. 807.
direttamente dal re Ferdinando IV che amava particolarmente trascor-
15
Sul sito di Persano cfr. g.c.
alisio, Il sito reale di Persano, in «Napoli
rere gli inverni in quel sito 14.
Nobilissima», XII (1973), pp. 205- Quasi totalmente al di fuori dell’itinerario nel sud della peni-
216; per ulteriori approfondimenti
sui siti reali cfr. g.c. alisio, Siti reali
sola, sono i siti reali degli Astroni, Procida e Persano 15. Degli Astro-
dei Borbone: aspetti dell’architettura ni 16 abbiamo solo delle superficiali descrizioni legate alla sua origine
napoletana del Settecento, Roma,
Officina, 1976.
vulcanica nell’ambito dell’esplorazione dell’area flegrea 17 nel quale,
16
Cfr. n. del pezzo, Siti reali: i
così come per Ercolano e Pompei, ci si concentra sulle rilevanze ar-
Campi Flegrei e gli Astroni, in «Napoli cheologiche situate tra Pozzuoli, Cuma e Baia. Una sorte simile tocca
Nobilissima», Napoli, Arte Tipografica,
1897, vol.VI, pp. 119-122. all’isola di Procida della quale si fa riferimento solo nell’ambito delle
17
Sui Campi Flegrei cfr. s. di descrizioni da parte dei viaggiatori che la osservano dai maggiori punti
liello, Il paesaggio dei Campi Flegrei: panoramici della città di Napoli. Il sito contribuisce ad impreziosire la
realtà e metafora, Napoli, Electa, 2005;
Campi Flegrei, a cura di G.C. Alisio, costa con le altre isole di Ischia e Capri, rari sono i riferimenti alla sua
Napoli, Franco Di Mauro Editore, 1995. fortezza (il palazzo d’Avalos) e alla sua funzione di luogo per l’alleva-
18
Sulle isole del golfo di Napoli cfr. mento dei fagiani utilizzati per le cacce reali 18.
g. cantone, b. fiorentino, g. sarnella,
Capri. La città e la terra, Napoli, Dallo studio di tali resoconti di viaggio siamo in grado di com-
Edizioni Scientifiche Italiane, 1982; i. prendere come, nonostante la loro importanza politica, sociale ed arti-
delizia, Ischia: l’identità negata, Napoli,
Edizioni Scientifiche italiane, 1987;
m. barba, s. di liello, p. rossi, Storia di
Procida: territorio, spazi urbani, tipologie
edilizie, Napoli, Electa, 1994.
Resoconti di viaggio nei siti reali napoletani 261

stica, i siti reali borbonici sopportano a fatica il confronto non solo con 19
c. celano, op. cit., p. 300.
gli altri luoghi del Grand Tour, Ercolano e Pompei, ma anche con gli
aspetti più “astratti”della cultura del popolo napoletano. Nonostante
ciò, il viaggiatore non può fare a meno di rimanere affascinato dall’au-
rea di grandezza e maestosità che caratterizza tutti i siti all’interno dei
quali: «(...) par di vedere la forza portentosa dell’arte che costringe la
natura e la fa serva della sua spesse volte strana volontà (...)» 19.
Siamo in grado, inoltre, di percepire in modo più immediato e
diretto le considerazioni e i giudizi, le sensazioni e le “passioni” di una
visita che il “viaggiatore” ripropone nei resoconti. La sintetica rassegna
che segue propone, a campione, alcuni brani tra Astroni (già sito di
caccia in età aragonese, XV secolo), golfo di Napoli e i siti di Capodi-
monte e Portici, voluti ex novo da Carlo di Borbone. Un genere lettera-
rio che trova ampia stampa e diffusione a partire dal XVIII secolo, una
nota campionatura di genere che rappresenta, ancora una volta, un
invito alla lettura dei luoghi.

[ M.B. ]

3.
G. Carafa, Duca di Noja
Mappa Topografica della Città di Napoli
e de’ suoi contorni...
1750-75; dettaglio della tavola 35 con la marina di
Resina (Ercolano) e i resti delle antichità.
Appendice 262

GLI ASTRONI
Jean Claude Richard de Saint-Non, Voyage pittoresque ou descrip-
tion de royaumes de Naples et de Sicilie, Parigi 1781, (ristampa anastatica, Na-
poli, Edizioni Scientifiche Italiane / Società Editrice Napoletana), p. 196.

«(...) La Vue que nous représentons sur cette Planche, est celle
du Crater d’un ancient Volcan, nommé Astruni. Cette Montagne est
située dans les environs de Pouzzole, près de Naples, e fait partie de ce
Canton si renommé e si célèbre de tous les temps par la quantité de
Volcans qui y ont esisté.
C’est à des époques absolument inconnues, e dans les temps les
plus reculès, que ces Volcans se sont formés successivamente; e l’on
peut penser, d’après le fait encore récent de la création subite d’une
Montagne, appellée Monte nuovo, que la plupart des Volcans ont pu
avoir une origine semblabe. Ce dont on ne peut douter, c’est qu’il n’en
ait esisté un grand nombre dans ce Canton, appellé de tous les temps,
e par cette raison, Champs de Feu.
Celui-ci est un des plus considérables par son étendue, puisqu’il
a eviro six mille e plus de circonférence. Dans la Plaine qui est au fond
di Crater, il y a deux Lacs: e comme ils sont aujourd’hui entourés de
bois fort épais, où les Sangliers se plaisent, on a converti ce Volcan en un
Parc, en entourant de murailles la sommitè du Crater, afin d’y renfermer
beaucoup de ces animaux réservés pour la chasse du Roi de Naples (…)».

CAPODIMONTE
Giovan Battista De Ferrari, Palazzo reale di capo di monte, in
Nuova guida di Napoli, dei contorni di Procida, Ischia e Capri, Napoli,
Giorgio Glass Editore, 1826, pp. 247-249.

«(...) Il Re Carlo III, nel 1738, fece edificare questo gran palazzo,
che per la sua bellissima situazione, è il più delizioso fra i Regj edificj.
La costruzione di esso fu affidata all’architetto Medrano di Palermo, il
quale, fra gli altri sbagli, fabbricò sopra un suolo vuotato dagli scavi di
pietre, in guisa che, per reggere l’edificio sull’alto del monte, bisognò
poi costruire in una valle moltissime sostruzioni. In oggi queste opere
sotterranee si vanno a vedere nel luogo detto la Montagna Spaccata.
Questo palazzo, che rimase imperfetto, conteneva i quadri, ed il
museo della Casa Farnese, insieme con molte rarità, acquistate dal Re;
ma tutto è stato trasportato nella Reale Accademia degli Studj.
Vicino, anzi dintorno a questo palazzo, è il parco, ossia la Caccia
Reale, chiamata Bosco di Capo di Monte. È circondato di mura, ed
ha quasi tre miglia d’estensione. Vi si vedono poco dopo l’ingresso
cinque lunghi viali amplissimi, che s’inoltrano nell’interno della fo-
resta, ove s’incrociano con altri viali del lato opposto. Il primo via-
le a settentrione conduce alla Cappella Reale dedicata a S. Gennaro.
Avanzandosi per questo viale medesimo si arriva alla Reale Fagianeria
fiancheggiata dalla casa dei guardiani. In tutti questi viali veggonsi
delle statue, delle cisterne, e delle casette campestri; ma particolar-
mente un bel gabinetto in fondo del bosco, con un parterre ed un
vivajo, destinato a servir di riparo, se durante la caccia sopravviene la
pioggia. Lepri, conigli, ed uccellame di ogni specie rendono la caccia
di Capo di Monte piacevolissima (...)».
Resoconti di viaggio nei siti reali napoletani 263

PORTICI
Achille Gigante, Viaggio da Napoli a Castellammare con 42 vedute
incise all’acqua forte, Napoli, Stamperia dell’Iride, 1845, pp. 29-39.

«(...) Nell’anno 1738 diedesi principio alla fabbrica del Real Palagio,
fondato in gran parte sull’altro del Principe di Elboeuf. Antonio Can-
navari, architetto romano, ebbe l’incarico de’disegni e della direzione di
esso. Se non mostrò molto giudizio, non fu certo sua colpa, ma d’altri; se
difettò di gusto, accusatene i tempi. Esso è di pianta quasi quadrangolare
con un gran cortile nel mezzo per ove passa la pubblica strada.
Si entra in esso per 12 archi, tre per ogni lato, e la facciata prin-
cipale è dalla parte del mare, la quale non manca di grandiosità, e dove
sono pure ampie logge, che rendono in parte sembianze di quelle di
Versailles. Veggonsi in questo palagio molte belle gallerie ornate di otti-
mi quadri antichi e moderni che noi non descriveremo per non riuscire
infiniti. Ci basti sol ricordare all’osservatore il Gabinetto di porcellana
alla chinese col pavimento di mosaico antico, unico forse e singolare in
Europa. E di anticaglie tratte da Ercolano furon già piene queste gal-
lerie, non che un altro edifizio contiguo, in cui venne raccolto quanto
da prima fu rinvenuto in quegli scavi. Fece poi il Re Ferdinando, fatto
miglior consiglio, trasportar il tutto nel Real Museo.
A fianco del Real Palagio, dalla parte che guarda il monte, di-
stendesi un amenissimo boschetto, di circa 400 moggia, ricco di cerri,
di querce, e di altri alberi silvani; né mancano e bei giardini (tra quali è
primo quello delle Rose), e statue, e fontane, e capanne, e kioschi, e ca-
scine e pergolati, che rallegran la vista insieme ed il cuore. È qui pure
una spianata che già serviva al giuoco del pallone, pel quale prendea
molto gusto Re Ferdinando, e s’innalza più lungi un picciolo castello,
addetto un tempo a simulati armeggiamenti. Esso fu costruito nel 1775
con disegno del regio ingegnere Michele Aprea sotto la direzione del
comandante Francesco Vallego.
Vedesi più oltre una graziosa casina, di fabbrica moderna, desti-
nata agli autunnali passatempi, nella quale è una tavola che ad un cenno
imbandisce la più lauta mensa che uom possa imaginare. Non crediate
che questa sia l’opera di una fata, ma sì di un ingegnoso meccanico. Altri
boschetti e giardini son pur dalla parte del mare con quella con quella
stessa varietà di oggetti che dall’altro lato si osservano. Si distendono essi
insino al Granatello e confinano con la regie scuderie, le quali furon fatte
il 1740 con ben inteso disegno dal regio ingegnere Tommaso Saluzzo (...)».

IL GOLFO DI NAPOLI E I SUOI DINTORNI


Federico Moya y Bolivar, Notas de viaje – Nàpoles, in Rivista Eu-
ropea, nn. 235-238-239 (1878).

«(…) Girando la vista de dorecha á izquierda, y partiendo del


cabo de Posilipo que separa el golfo de Possuoli del de Nápoles, para
ir contemplando la linea de riberas que desde tal extremo llegan al
muelle, veriase reducido á detenerla en la compacta masa de edificios
que se agrupan casi al pié de la colina, dilatandose luego eu vasta ex-
tension hasta terminar en la playa de la Marinela, cuya prolougada y
suave curva se pierde ya en otro término embellecido por los pueblos
de Portici, Resina, Torre del greco, Torre Anunziata, enelavados en la
falda del Vesubio (…)».
Appendice 264

«(…) El radiante golfo hace ostentation de su belleza para se-


ducir á sus admiradores, ya agotando en los reflejos de las aguas las
esplendentes magnificencias de la luz, ya cautivando el sentimento con
las artisticas ondulaciones de una costa de grazioso contornos, ya obli-
gando à reposar la vista en las islas de Ischia, Prócida y Capri, que se
tiñen de varios cambiantes.
Inmenso cráter de un apagado volcan, encierra infinitas espe-
cies, desde el cetáceo hasta el infusorio, pululando en sus ámbito nu-
merosos elementos de esuberante vida.
Portici, con sus magnificas casas de compo; Resina, antiguo
puerto de Herculano, que fué com Pompeya y Stabia, sepultada bajo
las lluvias volcanicas de la erupcion en que perecio Plinio el natura-
lista; Torre del Greco y Torre de la Anunziata, vietimas de parecidas
catastrofes, tenacie do siempre, como el fabuloso fénix, de sus cenizas,
al influjo de un suelo poderoso y un cielo riente, nos llevan al pié del
Vesubio, asunto de tantas descripciones, cuya imagen ha reproducido
el arte millones de voces (…)».
«(…) A las nueve de la mañana de un magnífico dia de verano,
tornamos el tren en Nàpoles, y á las diez llegamos á Pompeya, Portici,
Torre del Greco dell’Anunziata, fueron las estaciones que ibamos deja-
ndo atras, á medida que el convoy costeaba las orillas del mar, unas
veces visible por los claros de las constracelones, otros oculto por mu-
rallas y easas que sealzaban formando calles á la via fèrrea (…)».

PORTICI
Leandro Fernández de Moratin, Viaje a Italia, Madrid, Laertes,
1989 (ristampa dell’edizione del 1867), pp. 71-74; 84.

«(…) Siguendo la costa del golfo de Nápoles, entre Oriente y


Sur, se halla, a cosa de legua y media de la ciudad, el Sitio Real de
Portici, al cual se va por un buen camino, con edificios a un lado y otro,
que forman una continuada población (…) y siguiendo el camino, que,
a excepción de muy cortos espacios, puede considerarse como una
calle, se llega a Portici, situada en la falda del Vesubio y a corta distan-
cia del mar. Es muy buena población, llena de casas de placer, con
multitud de jardines deliciosos: la situación es muy agradable, por las
hermosas vistas del mar, la isla de Caprea, situada a la extremidad oc-
cidental de la costa, el golfo y puerto de Nápoles, la ciudad y la hermo-
sa cordillera de Posilipo, que sierra el horizonte por la parte del Norte.
Nada hay que no sea agradable en esta situación, sino la vecindad del
Volcán terrible, que a cada instante amenaza ruinas espantosas, como
se ha verificado tantas veces. Ni las casas de los señores, ni el palacio
del Rey, tienen magnificencia, auque en lo interior son cómodas sus
habitaciones: estos edificios distan mucho de la elegante simplicidad
de las casas de campo inglasas, y del lujo y ornatos arquitectónicos
con que hermoseaban las suyas los franceses dum fata deusque si-
nebant. La habitación de los Reyes está adornada con mucho gusto;
pero nada me pareció mejor que los masaicos antiguos de que están
revestidos los suelos, cosa inapreciable por su singularidad y su pri-
mor, algunas mesas de lava y mármol, y un gabinete de china de la
fábrica de Nápoles, como también algunos bajos relieves antiguos, de
mucho mérito. Debajo de dos pórticos, que estás a los lados del patio
o plaza de Palacio, por donde atraviersa el camino, hay dos bellísimas
Resoconti di viaggio nei siti reali napoletani 265

estatuas equestre, de mármol, sacadas de Herculano, que represen-


tan a Marco Nonio Balbo y a su hijo, del mismo nombre. La actitud
de entrambos es la más sencilla: no producen sorpresa al que las ve,
pero aumentan su placer al paso que las va examinando; fijan por
instantes su atención, y no puede separarse de ellas sin hacerse una
cierta violencia. Éste es el verdadero carácter de las obras más bellas,
sencillez, hermosura y verdad: estos mismos efectos produce un idilio
de Teócrito, comparado con una égloga de Virgilio; una comedia de
Terencio con una del afluente, pomposo y extravagante Calderón; una
figura de Rafael con la Magdalena de Le Brun; la Venus de Médicis
con cualquiera estatua de Bernini. El museo de Portici es tan singular
en su género, que no hay otro que se le parezca. Hay en él una gran
cantidad de inscripciones, columnas, aras, bustos y estatuas de vario
mérito: una de Ciria, mujer de Balbo, el padre, de excelente ejecución
en las ropas; un Augusto, de bronce desnudo, dos cónsules, dos ve-
stales, un fauno dormido, un sátiro ebrio, reclinado sobre un pellejo;
un Mercurio sentado, conocido ya en España entre los modelos de la
Academia de San Ferdinando (…)».

TRA PORTICI E CAPODIMONTE


José de Viera y Clavijo, Diario de viaje desde Madrid a Italia, Te-
nerife 2006, p. 153, 156-159; 163-164; 169.

«(…) Con el pensamiento de hacer nuestra expedición a las


excavaciones famosas de Pompeya y del Herculano, de vere l palacio de
Portici y el singular museo, depósito de las más preciosas antigüedades,
salimos de Nápoles, serían las tres de la madrugada, acompañados de
D. Juan Fernández Alonso. Habiendo pasado algunos lugarejos, llega-
mos al amanecer a Portici, que dista dos leguas de Nápoles, cuyo sitio
real está a las faldas del Vesubio (...)».
«(...) La siesta no fue largo, pues inmediatamente paiamo a vere
l Real Palacio, en cuyo pórtico, antes de subir las escaleras, se admirar
sobre un pedestal, rodeado de una reja de hierro, las dos excelentes
estatuas equestre sacadas del Herculano, la una con su inscripción que
representa a Nonio Balbo y la otra del emperador Vitelio, ambas de
mármol blanco. El palacio es alegre, comodo y aseado, buena capilla,
excelente teatro adornado de ocho estatuas colossale sentadas, extraíd-
as igualmente de Herculano.
Dal palacio paiamo a ver al Museo, que nos franqueó el Sr. Pa-
derno, a cuyo cui dado estaba. Museo el más exquisito y curioso que
posee en el mundo ningún principe, como que se halla depositado en
él todo lo más precioso y más raro que se ha encontrado en las excava-
ciones del Herculano, de Pompeya y de Stabia. Está en los entresuelos
de un edificio contiguo al Real Palacio. En el patio se ve un gran banco
o canapé de piedra que forma un medio círculo de más de quince pies
de diámetro y se dice pertenecía a un cementerio de los sacerdotes
gentiles. Asimismo se ven sembradas por aquel patio mucca buenas
estatuas de mármol y de bronce, aras, columnas, bustos, lápidas, etc.
(...) Últimamente subimos por un bosquecillo hasta la pequeña For-
taleza que hizo construir el Rey, para modelo y escuela de ataques y
defensas de plaza. Es muy pulida. Tiene un alojamiento en el centro,
en cuya sala hay una mesa para diez o doce cubiertos, la cual se pue-
de servir sin criados como por magia o encantamiento. Pide uno pan,
Appendice 266

vino, agua, platos, cubiertos, etc. Pues no tiene más que tirar por el
correspondiente tarugo de madera que está a su lado, a manera de los
registros de un órgano, y al instante se le presenterà subiendo desde
un cuarto bajo aquello que apetece y lo verá salir por un agujero de la
misma mesa, hecho a este fin. Las vivanda y manjares suben y bajan
por el centro de ella, cosa extraña y bien imaginada (...)».
«(...) El día 10 por la mañana fuimos a Capodimonte, sitio y pala-
cio real cerca de Nápoles, en una altura de agradable temperie. El pala-
cio, obra de Carlo III, parece que se ha quedado sin concluir. Son extra-
ordinarias las escaleras, pues siendo dos que suben a diferentes pisos y
voladas en caracol, corre siempre la una en medio de la otra. Las salas
son hermosas y se ven en ellas alhajas curiosísimas de la Casa Farnesia,
que mandó custodiar allí el mismo monarca por ser herencia de su ma-
dre. Hay pinturas de los más famosos autores, del Tiziano, de Rafael, del
Correggio, del Españolete, etc. y entre ellas, muchos excelentes retratos.
Una gran biblioteca, que corre por seis salas con muy buenos estantes.
Vimos un trozo de cristal de roca que pesa mil ochenta onzas;
un espejo ustorio lenticular de mucho diámetro; diferentes géneros,
efectos, utensilios, traídos de la célebre isla de Otaita descubierta en
el mar del sur; mucca antiguallas, vasos etruscos, lámparas, inscripcio-
nes, cabezas, bronces, idolillos, mosaicos egipcios y algunas pinturas
al fresco, sacadas de los baños de Nerón, en la Villa Farnesia de Roma.
Platos, urnas, vasos de diáspero, de marfil, de cristal de roca. Preciosos
camafeos, con especialidad una bella taza de ágata, cuyas figuras repre-
sentan una apoteosis. El monetario es copiosísimo y se halla enrique-
cido de la más completa serie de medallas de cesare y emperadores en
oro, grande y pequeño bronce; medallas griegas de ciudades, colonias,
municipios, familias, etc., familias todo con profusión y colocadas con
una facilidad admirable para su manejo, teniendo cada cajón al lado
los libros impresos que las explica. Pero todas las cosas de este palacio
denotan poco cui dado y abandono.
Depués de comer, nos paseamos por los jardines de este sitio,
donde hay uno botánico; por el bosque, en el cual vimos algunos ja-
balíe, por el paraje donde hay una casa que encierra diversas aves y
animales cuadrúpedos; y nos volvimos a Nápoles al anochecer (...)».
«(...) Fuimos a comer al sitio de Portici (...) Antes de comer, habíam-
os estado largo tiempo en la parte del museo donde se conservan las fa-
mosas pinturas al fresco sacadas del Herculano, cuyo examen habíamos
reservado cuando estuvimos la última vez en Portici. Son seis o siete salas.
Estas pinturas estaban en paredes y las fueron transportado, cortando
el muro y sujetándolo con bastidores de madera. Los mayores quadro
sólo tienen cinco pies de alto. Su collección ofrece un espectáculo muy
agradable por el dibujo, la viveza del colorido (aunque ha ido decayendo
mucho), la gracia de los pavimentos, la propiedad de los pájaros, peces,
animales, frutas, flores, vasos, canastillos, paisecillos, marinas, galeras, tri-
remes, perspectivas, adornos y caudros historiados (…)».

TRA ERCOLANO E POMPEI


Clara Erskine Clement, The city of Parthenope and its Environs,
Boston, Dana Estes and Company publishers, 1894, pp. 282-283.

«(…) The excursion to Herculaneum and Pompeii is far more


interesting when made by carriage than by train. The suburbs to the
Resoconti di viaggio nei siti reali napoletani 267

east of Naples are so thickly populated that the boundary between the
city and S. Giovanni a Teduccio is quite invisible, and when passing to
Portici and Resina nothing indicates the division of these towns. Street
life is seen to great advantage on this drive: macaroni is hung out to
dry on all sides; dirty, ragged children play games with noisy glee; dogs
lie asleep in the sun; men smoke and idly loll about, while the women
have many occupations, and yet find time for plenty of gossip.
At Portici the road runs through the court of the palace built by
Carlo Borbone, in which Murat preferred to live while at Naples, and
thence passes almost immediately into Resina, from which point the
visit to Herculaneum is made.
This is a curiously unpleasant experience, and yet it is more em-
phatically impressive of the horror which destroyed this city and Pompeii
than is the visit to the latter place. This underground darkness, lighted by
smoking torches, where only bits of a villa, temple, or theatre can be seen,
where everything is mutilated and disjointed, and one feels oppressed for
want of air to breathe, is vastly more dreadful than the open streets of the
excavated Pompeii, where one feels the sun and sees the sky.
The blackness and solidity of the tufa, which is only cut out
with great difficulty, is, of itself, more depressing than the ashes and
rubbish which were so much more easily removed from Pompeii. Tra-
dition attributes the foundation of this city to Hercules himself, and
in ancient days Oscans, Etruscans, and Samnites lived here, while in
the prosperous days of Rome it was the site of many patrician villas.
After the earthquake, A.D. 63, and the eruption of 79, other waves of
ashes and lava buried it to a depth varying from forty to one hundred
feet, and it was lost to human knowledge until 1719, when the Prince
d’Elboeuf, in digging a well, came upon parts of the ancient theatre.
There is but little to be seen, as portions of the excavations are
filled up; they extended under Portici and Resina, and threatened to un-
4.
dermine these towns; but the discovery itself and the little that has been Daudet (disegnatore),
done are of vast interest to the world. The bronzes, mural decorations, Dupleris Bertesuse (incisore)
papyri, and especially the portrait statues of the Balbi, now in the Naples Transpors des Antiquités d’Herculanum de Portici
au Palais des Etudes à Naples
Museum, are extremely valuable, and give to the buried city the seeming tratto da J.C. Richard de Saint-Non, Voyage
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a cura di J. Martínez Millán, J.E. Hortal Muñoz,
Madrid, Polifemo.
ABBREVIAZIONI

AHN Archivo Histórico Nacional, Madrid


ASS Archivio Storico Soprintendenza
BAAPSAE, Napoli
AGP, AG Archivo General del Palacio Real de
Madrid, Administración General
AGP Archivo General del Palacio Real, Madrid
AGS Archivo General de Simancas, Valladolid
AGS, CSR Archivo General de Simancas, Casa y Sitios Reales
ASNa Archivio di Stato, Napoli
ASS Archivio Storico della Soprintendenza
BAPSAE, Napoli
BNF Bibliothèque Nationale de France, Parigi
BNN Biblioteca Nazionale, Napoli
CGT Centro de Géstion Catastral y
Cooperación Tributaria, Madrid
IGN Instituto Geográfico Nacional, Madrid
IGN, AT Instituto Geográfico Nacional, Madrid,
Atlas Nacional

Si ringraziano l’arch. Giorgio


Cozzolino, Soprintendente di
BAPSAE di Napoli e provincia e
l’arch. Paolo Mascilli Migliorini,
responsabile dell’Archivio storico
della stessa Soprintendenza, per
la consultazione dei documenti ivi
custoditi.
SAGGI E
CONTRIBUTI

Emmanuele Francesco Maria Emanuele


Professore e avvocato
Presidente della Fondazione Roma – Mediterraneo

Lucio d’Alessandro
Ordinario di sociologia generale
Rettore dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli

José Martínez Millán


Catedrático de historia moderna en la Universidad
Autónoma de Madrid
Director Instituto Universitario de La Corte en Europa, Madrid

Fabio Mangone
Ordinario di storia dell’architettura
Vicedirettore del Dipartimento di Architettura dell’Università
degli Studi Federico II di Napoli
Direttore del Centro Interdipartimentale per l’Archivio del Progetto

Luis Urteaga
Catedrático de geografía humana en la Universitat de Barcelona

Concepción Camarero
Catedrática de geografía en la Universidad Autónoma de Madrid

Félix Labrador Arroyo


Titular de historia moderna en la Universidad
Rey Juan Carlos de Madrid

Enrique Castaño Perea


Titular de arquitectura en la Universidad de Alcalá

Josè Eloy Hortal Muñoz


Profesor de historia moderna en la Universidad Rey Juan Carlos
de Madrid
Saggi e contributi 284

Andrea Merlotti
Responsabile Centro Studi del Consorzio La Venaria Reale
Componente della Commissione scientifica Residenze Reali della
Regione Piemonte

Paolo Cornaglia
Ricercatore di storia dell’architettura del Politecnico di Torino

Pasquale Rossi
Ricercatore di storia dell’architettura dell’Università degli Studi
Suor Orsola Benincasa di Napoli

Salvatore Di Liello
Ricercatore di storia dell’architettura dell’Università degli Studi
Federico II di Napoli

Francesca Castanò
Ricercatore di storia dell’architettura della Seconda Università
di Napoli
Finito di stampare in Napoli nell’aprile 2014
per conto della Imago s.a.s. di Elisabetta Prozzillo
presso la GFC Stampa s.r.l.

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