Sei sulla pagina 1di 30

consumi di Lusso ed economia mondo.

iL regno di napoLi neL xViii secoLo


aLida cLemente

Résumé : L’article souligne la relation entre la diffusion de la consommation de


produits de luxe à Naples au xviiie siècle, l’intégration des marchés internationaux
et les tentatives politiques d’établir des manufactures régionales de substitution.
Le goût exotique du nouveau luxe, responsable selon les économistes locaux de
la faiblesse de l’économie napolitaine – en raison de sa dépendance croissante aux
importations –, est testé sur un échantillon d’inventaires après décès. Cette source,
largement utilisée dans les recherches historiques sur la culture matérielle dans la
période moderne, contient parfois des informations sur les deux luxes, « importé »
et « autochtone », re étant les styles étrangers des biens, et souligne à un micro-
niveau les effets de cette mondialisation croissante sur le goût et sur le marché des
produits de luxe, que la politique centrale a tenté sans succès de contenir.

napoLi città deL Lusso


Nel 1734 Napoli diviene la capitale di un Regno autonomo, dopo
oltre due secoli di viceregno spagnolo prima, austriaco poi. Per la prima
volta è sede di una corte sovrana1 che, secondo un modello di governo

1
Durante il viceregno spagnolo Napoli è una “capitale senza re” : ciò non esclude che vi
fosse una corte vicereale, e che le pratiche ostentative fossero altrettanto diffuse. Tuttavia
la presenza del monarca e lo status di regno autonomo accentuano enormemente il ruolo
simbolico della corte. Si veda su questi argomenti berengo M., L’Europa delle città.
Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed Età moderna, Torino : Einaudi,
1999, p. 33 e segg. Per un pro lo recente sulla Napoli capitale nell’età del viceregno
si veda Muto G., “Le tante città di una capitale : Napoli nella prima età moderna”,

67
aliDa clemente

già sperimentato in Europa, utilizza il fasto, l’ostentazione e la gran-


diosità come instrumenta regni. In questo “paradigma” di sovranità2
il lusso del re e della corte costituiscono non soltanto un mezzo simbolico
di espressione di potere e grandezza, ma uno strumento effettivo di
controllo sociale. Lo stimolo al consumo vistoso irretisce la nobiltà
tradizionalmente refrattaria all’accettazione della potestà sovrana in
un gioco ostentativo che la annienta politicamente e nanziariamente3.
La profusione di lussi e liberalità funge da congegno di disciplinamento
e redistribuzione per un popolo numeroso e facile alla commozione
collettiva. La città, modi cata nella sua struttura urbanistica e impre-
ziosita di nuovi edi ci carichi di simbolismo politico4, diviene il teatro
di una rappresentazione sociale di status e ruoli, vecchi e nuovi, legit-
timati da un potere sovrano che si vuole assoluto, ergendosi per la prima
volta sopra quella dialettica dei ceti che ha caratterizzato la storia sociale
urbana degli ultimi secoli5.
L’assurgere di Napoli a capitale indipendente e della sua nobiltà a
ceto cortese può essere stata una delle ragioni dell’esplosione del lusso
che ricorre nelle testimonianze coeve. Tanto degli osservatori autoctoni,
che lo associano alla sproporzione di risorse tra la capitale e le province6,

“Storia Urbana”, n. 123, 2009, p. 19-54. Per un quadro storico generale della Napoli
borbonica si veda chiosi Elvira, Il Regno dal 1734 al 1799, in galasso Giuseppe, romeo
Rosario (dir.), Storia del Mezzogiorno, vol. IV, Napoli & Roma : Ed. del Sole, 1986,
p. 373-467. E ancora il classico colletta Pietro, Storia del Reame di Napoli, Torino :
UTET, 1975, p. 918. galasso Giuseppe, allum Percy (dir.), Intervista sulla storia di
Napoli, Roma & Bari : Laterza, 1978, p. 293. galasso Giuseppe, romeo Rosario (dir.),
Storia del Mezzogiorno, 15 volumes. coniglio Giuseppe, I Borboni di Napoli, Milano :
Corbaccio, 1999, p. 478.
2
L’esempio supremo di questo modello di esercizio del potere assoluto è sicuramente la
Francia di Luigi XIV. In merito si veda il classico MANDROU Robert, Luigi XIV e il suo
tempo, Torino : Sei, 1990, p. 587. Sul ruolo dei rituali e della pompa nella costruzione
del potere monarchico si veda la breve ma densa rassegna di BURKE Peter, La storia
culturale, Bologna : Il Mulino, 2006, p. 111-114.
3
Sul legame tra consumi di lusso e mobilità sociale discendente insisteva un classico
della storiogra a sociale europea come stone Lawrence, La crisi dell’aristocrazia.
L’Inghilterra da Elisabetta a Cromwell, Torino : Einaudi, 1972, 925 p.
4
Sulle trasformazioni urbanistiche di Napoli si veda De seta Cesare, Napoli, Roma
& Bari : Laterza, 1999, p. 319.
5
musi A., “Stato e strati cazioni sociali nel Regno di Napoli”, in L’Italia dei viceré.
Integrazione e resistenza nel sistema imperiale spagnolo, Cava de’ Tirreni : Avagliano,
2000.
6
Si veda venturi Franco, Napoli capitale nel pensiero dei riformatori illuministi,
in AA.VV., « Storia di Napoli », vol. VIII, Napoli : ESI, 1971, p. 3-73. Di un incremento
del consumo di lusso nella capitale si ha notizia già dalla ne del Seicento, in corrispon-
denza con il processo di forte mobilità ascendente del cosiddetto “ceto civile”. In merito,
galasso Giueppe, “Ai tempi del Vico : fra il tramonto del viceregno e l’avvento di Carlo

68
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

quanto degli stranieri che, attratti dalla nuova meta del Grand Tour, colgono
immediatamente, non senza cedere talvolta a rappresentazioni stereotipe7,
la peculiarità del costume partenopeo. Ne emerge la sua accentuata
propensione alla teatralità e all’eccesso, così negli atteggiamenti come
nelle forme del vestire, del mostrarsi e del circolare nello scenario urbano8.
Al di là della matrice antropologica o politica della propensione al
lusso dei ceti alti e medio alti partenopei, l’incremento del consumo
di lusso nel corso del Settecento sembra avere evidenti fondamenta di
tipo economico. Intanto, per unanime riconoscimento della storiogra a
modernista, Napoli è venuta affermandosi progressivamente, tra Cinque
e Settecento, come grande centro di consumo9 per effetto della deindus-
trializzazione prodotta dalla crisi del Seicento10.
Le tendenze secolari di prezzi e salari accompagnano e giusti cano
l’aumento dei consumi di lusso : nel corso del Settecento si assiste a
una divaricazione crescente dei redditi. All’incremento della popo-
lazione fa fronte una diminuzione della produttività marginale del
lavoro agricolo. Ciò, insieme alla pressione della domanda, fa lievitare
i prezzi delle derrate ingrossando sul lungo periodo, in particolare dopo
la carestia del 1763, la rendita fondiaria11. La congestione urbana gon a
gli af tti e la rendita immobiliare. Nell’insieme i redditi alti e medio alti,

di Borbone”, in galasso Giuseppe, Napoli capitale identità politica e identità cittadina :


studi e ricerche 1266-1860, Napoli : Electa, 2003, p. 351.
7
Sul legame tra letteratura di viaggio e produzione di stereotipi si veda calaresu
Melissa, “From the street to stereotype : urban space, travel and the picturesque in late
Eighteenth century Naples”, “Italian studies”, n. 62/2, 2007, p. 189-203.
8
La letteratura settecentesca di viaggio è davvero sterminata. Per una panoramica
generale sull’Italia si veda venturi Franco, L’Italia fuori d’Italia, in AA.VV., Storia
d’Italia, vol. III, Dal primo Settecento all’Unità, Torino : Einaudi, 1973, p. 987-1119. Per
un quadro dei costumi napoletani si veda bouvier R., Vita napoletana nel xviii secolo,
Cappelli, 1960.
9
galasso Giuseppe, Napoli capitale : identità politica e identità cittadina. Studi
e ricerche 1266-1860, Napoli : Electa, 2003, p. 127 : “La sua funzione di mercato di
consumo prevale su quella di grande centro produttivo”.
10
Sulla crisi del Seicento si vedano in generale malanima Paolo, La ne del primato,
Milano : Bruno Mondadori, 1998, 249 p. aymarD Maurice, “La fragilità di un’economia
avanzata”, in romano Ruggiero (a cura di), Storia dell’economia italiana, vol. II, L’età
moderna : verso la crisi, Torino : Einaudi, 1991.
11
benaiteau Michèle, La rendita feudale nel Regno di Napoli attraverso i relevi :
il Principato Ultra (1550-1806), in Società e storia, vol. 9, 1980, p. 561-611. Sulla
distribuzione della ricchezza De rosa Luigi, Studi sugli arrendamenti nel Regno di
Napoli. Aspetti della distribuzione della ricchezza mobiliare nel Mezzogiorno continentale
(1649-1806), Napoli, 2005 (prima ed. 1958). In generale sulle dinamiche quantitative di
lungo periodo malanima Paolo, “Measuring the italian economy 1300-1861”, in “Rivista
di storia economica”, n. XIX, 3, n.s., 2003.

69
aliDa clemente

costituiti appunto da rendita agraria, immobiliare e pro tti, aumentano


visibilmente a fronte di una riduzione dei salari nominali e reali. Sul
fronte dei prezzi, mentre quelli dei beni primari aumentano, quelli dei
beni durevoli diminuiscono12. La gran parte dei proprietari terrieri risiede
in città : Napoli è la “città emporio” che fornisce molteplici occasioni
di spesa alla rendita di origine rurale, a quella immobiliare e ai pro tti
commerciali. È, inoltre, la porta d’accesso al mercato del Regno, verso
il quale attraverso le ere vengono distribuiti i prodotti e i manufatti
d’importazione13.
Il quadro è in de nitiva quello di una grande città che concentra
una fetta consistente delle risorse del Regno e ne utilizza buona parte
in investimenti di prestigio strumentali al consolidamento di un ordine
sociale ben preciso, caratterizzato da una crescente divaricazione delle
ricchezze e da una relativa mobilità all’interno dei suoi strati superiori14.

iL Lusso “cattiVo” dei napoLetani : esotismo ed esterofiLia


Il particolare gusto per le merci esotiche occupa notoriamente un
posto importante nella costruzione del nuovo consumatore europeo.
Il commercio con l’Oriente, esploso nel Seicento grazie soprattutto alla
East India Company, si accompagna alla percezione delle merci orientali
(tessuti, porcellana, bevande) come beni di lusso, di un nuovo lusso
meno attento alla intrinseca preziosità e più sensibile ai mutevoli signi-
cati sociali degli oggetti15.
Napoli non è esente dalla fascinazione esercitata dall’Oriente. Anzi,
qui alla seduzione dell’esotico si aggiunge quella genericamente eser-
citata dai prodotti stranieri16, in particolare quelli provenienti dalle

12
romano Ruggiero, “Prezzi, salari e servizi a Napoli nel secolo xviii”, Napoli dal vice-
regno al regno, Torino : Einaudi, 1976.
13
In particolare la Fiera di Salerno, istituita nel xiii secolo, riveste ancora una grande
importanza come momento di redistribuzione dei prodotti di importazione. sinno A.,
La Fiera di Salerno, Salerno, 1958.
14
Sulla complementarietà e i legami tra la nobiltà urbana e il vertice del ceto mercantile
si veda macry Paolo, Mercato e società nel Regno di Napoli. Commercio del grano e
politica economica nel Settecento, Napoli : Guida, 1974, p. 340 e segg.
15
berg Maxine, “Asian Luxuries and the Making of the European Consumer Revolu-
tion”, in berg M., eger E. (eds.), Luxury in the Eighteenth century. Debates, Desires and
Delectable Goods, Basingstoke : Palgrave Macmillan, 2003, p. 207-218.
16
Dell’estero lia del consumatore napoletano si può avere un saggio dalla lettura
degli avvisi commerciali, le prime forme di pubblicità che compaiono sulle gazzette
locali, dove spesso gli annunci fanno riferimento, in maniera più o meno surrettizia,
alle origini estere del prodotto, che ne aumentano evidentemente la capacità attrattiva,
l’illusione di ef cacia e il valore agli occhi dei potenziali consumatori. Così il liquore che

70
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

nazioni nordeuropee che divulgano i lussi orientali ma esportano anche,


in misura progressivamente crescente, i prodotti delle loro manifatture.
Se l’esotismo è una tendenza europea, l’estero lia è un fenomeno tutto
napoletano. Di questo internazionalismo estetico17 dei napoletani si
fanno censori molti osservatori coevi, siano essi i moralisti detrattori
del lusso, siano i riformatori progressisti ; gli uni in nome della preser-
vazione di un vecchio lusso “rispettoso” delle gerarchie sociali, gli altri
nel timore che il nuovo lusso abbia conseguenze deleterie sull’economia
del Regno18.
Proprio nel primo scritto sul lusso che Broggia19 redige in risposta
al celebre saggio di Melon, la condanna morale si intreccia all’affer-
mazione della dannosità del lusso per l’economia politica. L’esempio
per contrapposizione, che ricorrerà spesso nel seguito del dibattito di
Olanda ed Inghilterra, invita all’adozione di politiche che scoraggino il
lusso interno e favoriscano l’esportazione. Il moralista Ciaraldi20, gene-
ralizzando l’esempio del Regno, postula che il lusso noccia non solo ai
singoli rendendoli viziosi, ma ancor più alle nazioni, poiché le fa debitrici
delle nazioni estere.

uccide i cimici è prodotto da un virtuoso francese di passaggio in città (“Avvisi”, n. 22,


17 maggio 1735) o il saponetto di monsù Cancelli è di sicuro effetto nello sbiancare
la pelle femminile perché già provato da numerose dame forastiere (“Avvisi”, n. 35,
7 giugno 1735). Sempre da un forestiero provengono le scatole di pietra agata vendute
presso la bottega di un cristallaro (“Avvisi”, n. 8, 1739).
17
Napoli è una meta privilegiata della circolazione europea delle élites, inoltre l’in uenza
degli stranieri affonda le radici in secoli di avvicendamento al potere di dinastie europee.
Si veda sulla vita mondana della Napoli settecentesca knight Carlo, Hamilton a Napoli :
cultura, svaghi, civiltà di una grande capitale europea, Napoli : Electa, 1990, 215 p.
18
Sul dibattito europeo sul lusso si veda borghero Carlo, La polemica sul lusso nel Set-
tecento francese, Torino : Einaudi, 1974, 240 p. Sul mondo napoletano degli intellettuali
riformisti si veda il classico venturi Franco, Settecento riformatore, vol. I, Da Muratori
a Beccaria, Torino, 1998 (1969).
19
C.A. Broggia, mercante di droghe, frequentatore del circolo di Bartolomeo Intieri e
importante, sebbene contraddittoria, mente riformista del primo decennio borbonico,
concepisce il suo trattato Del Lusso in aperta polemica con Melon. È l’iniziatore del
dibattito napoletano e le sue posizioni in uenzeranno tutto il lone moralista. Sulla sua
gura venturi Franco, Settecento riformatore, vol. I, p. 90-98, Torino, 1998. broggia
C.A., Del lusso, 1754, in De rosa L. e graziani A. (a cura di), C.A. Broggia, il Banco
ed il Monte de’ Pegni. Del Lusso, Napoli : Edizioni La città del sole, 2004. Sull’orienta-
mento degli economisti napoletani si veda De luca Mario, Gli economisti napoletani del
Settecento e la politica dello sviluppo, Napoli : Morano, 1969, 144 p.
20
Dissertazione morale politica sul problema se il lusso sia giovevole, o dannoso alle
civili società, di ciaralDi Domenico, in Napoli, 1769.

71
aliDa clemente

Nel Dialogo loso co intorno al lusso21 il conte Roberti sottolineerà


la sua implicazione come arma commerciale portando l’esempio della
Francia :
« I Franzesi in questo secolo sono stati avvedutissimi nel lucrosissimo
lusso ; e facendo alle lor mode valicar la Manica, e l’Alpi, e i Pirenei
hanno resi tributarj i rivali stessi, e gl’inimici. Non è del tutto un
giuoco il dire che colle cuf e han fabbricate le otte ; e arrolati de
Reggimenti co’ manicotti e co’ ventagli […] »22
Ma per i moralisti l’estero lia è soprattutto uno degli aspetti di quella
eversiva tendenza all’alterazione dei valori morali che è fattore e accele-
ratore della diffusa rincorsa del lusso :
« Se un bell’orologio oltremarino, e una bella tabacchiera oltremontana
da essi si possegga, è quasi come se possedessero due virtù morali. »23
Se sul fronte morale l’argomentazione mercantilistica interviene
spesso come semplice elemento di condanna, essa diviene invece prio-
ritaria negli scritti dei riformatori. I progressisti, per lo più svincolati
dall’ossessione del lusso corruttore e conquistati dalla tesi voltairiana
delle sue positive connessioni sul raf namento dei costumi, sul piano
dei rapporti tra l’economia nazionale e le economie più avanzate
condividono i dubbi dei primi. Per Galiani come per Genovesi vale la
distinzione tra il lusso buono, volto al consumo dei prodotti interni, e il
lusso cattivo, che ha per oggetto i prodotti stranieri24. Veicolo di questa
crescente dipendenza è la moda25, oggetto di sospettosa attenzione non
solo per i conservatori ma anche per le più avanzate menti riformiste.

21
Dialogo loso co intorno al lusso, in Opuscoli quattro sopra il lusso dell’abate
Giambatista Conte Roberti, Bassano, 1785.
22
roberti Giovanni, Dialogo loso co intorno al lusso.
23
Roberti Giovanni, Discorso cristiano contro al lusso, in Opuscoli.
24
E.F. Galiani, prendendo atto della necessità del lusso nel “cammino delle civiltà”,
sostiene tuttavia che per gestirlo occorre fare in modo che esso alimenti “le industrie de’
concittadini, non quelle degli stranieri”. galiani Ferdinando, Della moneta libri Cinque,
libro IV, par. II, Digressione intorno al lusso considerato generalmente, Milano, IV
edizione, 1831, vol. II, p. 121. genovesi Antonio, Lezioni di commercio o sia d’economia
civile, Bassano, 1769. “Il lusso sostenuto per materie esterne principalmente se è
generale, è pernicioso ad ogni corpo civile, se può lungo tempo durare, come quello che
consuma se stesso”, parte I, cap. X, § XXII, p. 140. A seguire, Genovesi dimostra che
se il lusso delle cose straniere è moderato e riguarda pochi, può essere stimolante sullo
sviluppo delle manifatture interne : “Le classi inferiori non potendo far uso delle derrate,
e manifatture esterne, s’industrieranno di aver dell’interne, così buone, o anche migliori
che non sono le forestiere.”, § XXIII, p. 141.
25
In merito, si legga la recente sintesi di belfanti C. Marco, Civiltà della moda, Bologna :
Il Mulino, 2008, 334 p.

72
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

Come mostra la celebre de nizione di Galiani, per la quale essa non è


che una sorta di patologia sociale che devia il corso naturale delle leggi
del valore26, la cui unica spiegazione è la fatale propensione dei popoli ad
imitare i costumi delle “nazioni più dominanti”.
La riserva di Galiani e Genovesi rispetto al consumo di merci straniere
è certo dovuta alla matrice tardomercantilista del loro pensiero27, ancora
dominata, per dirla con I. Hont, dall’ideologia della « gelosia del
commercio »28. Essa affonda le radici nelle reali condizioni economiche
del Regno e nelle peculiarità delle relazioni internazionali, in una fase
in cui il primato commerciale e militare delle nazioni nordeuropee è
dif cilmente contrastabile29. Il problema di fondo risiede nel fatto che
l’Italia, o meglio, la gran parte di essa :
« N’a pas les manufactures qui travaillent le luxe. Elle est donc
obligée de partir son argent à l’Etranger. »30
Giuseppe Palmieri alla ne del secolo risolve la lunga querelle
asserendo :
« Quando ancora i vantaggiosi effetti che si attribuiscono al lusso
fossero meglio fondati, pure non potrebbero aver luogo in questo
Regno. Si premetta un dato che non può negarsi : che gli stranieri
forniscano quasi tutta la materia al nostro lusso, e questo dato sia di
norma e di regola, a cui si riportino e si adattino i divisati effetti. »31
Era forse l’ossessione “puerile”, per dirla con Adam Smith, della
bilancia commerciale all’origine di un paranoico timore dell’intellet-
tualità napoletana per la diffusione della moda straniera ? Era forse
questo timore sovradimensionato rispetto alla realtà ?

26
Così la de nisce Galiani : “Un’affezione del cerebro, propria alle nazioni europee,
per cui si rendono poco pregevoli molte cose, solo perché non giungono nuove.”, galiani
ferdinando, Della moneta.
27
“È certo che oggi, che il mondo è pieno d’abitatori, uno non può arricchire senza che
altri impoverisce […]. Il commercio succhia sangue anche a’ più lontani (popoli, nda),
meno gloriosamente sì, ma con più comodità.” galiani F., Della moneta.
28
hont Istvan, Jealousy of Trade. International Competition and the Nation-State in
Historical Perspective, Cambridge-Massachusetts & London : Harvard University
Press, 2005, 541 p.
29
Su questa lettura del dibattito napoletano sul lusso si veda frascani Paolo, “Il dibattito
sul lusso nella cultura napoletana del Settecento”, Critica storica, vol. XI, 3, n.s., 1974,
p. 397-424.
30
Voyages d’Italie et de Hollande par M. l’Abbé Coyer, Paris, 1775, tomo II, p. 185.
31
Osservazioni sul lusso del marchese Giuseppe Palmieri estratte dalla seconda edizione
della di lui opera Sulla pubblica felicità, Napoli, 1788, in “Scrittori classici italiani di
Economia Politica”, tomo XLIX, Milano, 1816, p. 57.

73
aliDa clemente

aL microscopio
Per veri care la fondatezza delle impressioni degli osservatori coevi,
abbiamo esaminato il patrimonio di beni mobili di un campione32 della
popolazione napoletana settecentesca attraverso gli inventari post mortem33,
schedando i beni dei quali era riportata la provenienza o lo stile, quando
esplicitamente de nito come straniero (cfr. Tab. 1).
Tabella 1. Consistenza e composizione del campione34

campione pre 1750 (1678-1739) campione post 1750 (1750-1808)


Nobili 21 35,5% 15 29,4%
Ceto medio34 31 52,5% 34 66,6%
Chierici 7 11,8% 2 3,9%
Totale 59 100 51 100

32
Gli inventari post mortem della prima parte del secolo sono stati individuati nell’Archivio
Notarile presso l’Archivio di Stato di Napoli – Sezione Militare. ANN, Fondo Notai
Seicento, Notar Ragucci, ff. 508/61, 508/62 ; Notar Servillo, ff. 665/51, 665/52, 665/53,
665/54, 665/55, 665/66. Per la seconda metà del secolo, data l’inaccessibilità dei
documenti notarili, si è fatto ricorso agli inventari post mortem contenuti nei faldoni
dei processi civili, in cause relative a contese su eredità e deduzioni di patrimoni.
In particolare, Archivio di Stato di Napoli (ASN), Processi Antichi, Pandetta corrente,
ff. 5, 111, 284, 323, 92, 179, 419, 561, 790, 743, 148, 428, 174, 653, 884, 238. Ed anche
in ASN, Amministrazione generale dei beni dei rei di stato, f. 288. L’analisi di queste
fonti è organicamente con uita in clemente Alida, Il lusso “cattivo”. Dinamiche del
consumo nella Napoli del Settecento, Roma : Carocci, 2011, 248 p.
33
Per la metodologia di utilizzo di questa fonte si vedano schuurmann A.J., “Gli inventari
post mortem come fonte per lo studio della cultura materiale. Un programma olandese
di ricerca”, Quaderni storici, 43/1980, p. 210-216. riello Giorgio, “Things seen and
unseen. Inventories and the representation of the domestic interior in the early modern
period”, LSE paper, dicembre 2004. De vries Jan, “Between purchasing power and the
world of goods : understanding the household economy in early modern Europe”, in
brewer John and Porter Roy (eds.), Consumption and the world of goods, London &
New York, 1993, p. 102-104. casalilla B.Y., Inventarios post mortem, consumo y niveles
de vida del campesinado del Antiguo regimen. Problemas metodologicos a la luz de la
investigacion internacional. lencina Pérez Xavier, “Los inventarios post-mortem en el
estudio de la cultura material y el consumo. Propuesta metodologica”, vol. X, Siglo xvii,
in torras Jaume e yun Bartolome (dirs.), Consumo, condiciones de vida y comerciali-
zacion. Cataluna y Castilla, siglos xvii-xix, Barcelona, 1999. mazzi M.S., “Gli inventari
dei beni. Storia di oggetti e storia di uomini”, Società e storia, n. 7, 1980, p. 203-214.
34
Il ceto medio è categoria eterogenea al suo interno, nella misura in cui comprende
tanto il ceto professionale (ceto civile, medici e indotto, burocrazia di corte) tanto compo-
nenti del ceto artigiano e mercantile urbano, a sua volta articolato in più livelli, che vanno
dai ricchi mercanti monopolisti legati all’approvvigionamento urbano o al commercio di
import export, ai piccoli commercianti e agli artigiani semplici.

74
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

Tabella 2. Possessori di beni esteri o di stile estero, divisi per ceto sociale
di appartenenza

campione pre 1750 campione post 1750


Nr. inventari con
indicazione di stile 46 78% 41 80,3%
o provenienza
Bor-
Nr. inventari con 15 48,3% Borghesi 30 88,2%
ghesi
indicazione
39 66% Nobili 17 80,9% 41 80,3% Nobili 10 66,6%
di provenienza
estera
Chierici 7 100% Chierici 2 100%
Ceto
12 38,7% 11 21,5% Ceto medio 7 20,5%
Nr. inventari con medio
indicazione 26 44% Nobili 10 47,6% Nobili 4 26,6%
di stile estero – –
Chierici 4 57,1% Chierici 0 –

L’analisi ha evidenziato la presenza, in una consistente componente


di entrambi i campioni, e più accentuata nella seconda metà del
secolo, di beni di importazione o di beni il cui stile è esplicitamente
« straniero » (cfr. Tab. 2). È interessante sottolineare che, nella suddi-
visione interna del campione, la percentuale di esponenti del ceto medio
che possiedono beni di importazione quasi raddoppia nella seconda
metà del secolo, mentre quella dei nobili diminuisce. L’esiguità del
campione ci induce ad essere cauti sulla valutazione di quest’ultimo
dato, mentre quello relativo al ceto medio è abbastanza incisivo per
indicare una tendenza reale. Quanto alla componente clericale, il
possesso di beni d’importazione è una costante sia nella prima che
nella seconda metà del secolo35.
La de nizione di beni di stile estero merita una spiegazione.
Abbiamo classi cato come tali tutti quei beni che riportano la
notazione « all’inglese », « alla francese », ecc., che si suppone non
di provenienza estera, appunto, ma semplicemente di stile straniero e
dunque probabilmente di fattura locale ma imitativa di stili esteri. La
loro presenza è piuttosto indicativa del gusto che non della provenienza
e conferma l’impressione dei contemporanei della diffusa estero lia
dei consumatori napoletani, che converte le produzioni locali in mani-
fatture imitative.

35
In realtà i religiosi rappresentano già nel Seicento un ampio e uniforme bacino di
domanda per le merci di importazione inglese. Si veda Pagano De Divitiis Gigliola,
Il commercio inglese nel Mediterraneo dal ‘500 al ‘700. Corrispondenze consolari e
documentazione britannica tra Napoli e Londra, Napoli : Guida, 1994, p. 21.

75
aliDa clemente

La presenza di questi beni è tuttavia esigua rispetto a quella di beni


di effettiva provenienza estera e perde importanza nella seconda metà
del secolo, in misura vistosa nella componente borghese, rilevando una
progressiva tendenza di ampie fasce sociali a soddisfare il proprio gusto
rivolgendosi direttamente a beni di importazione, di buona qualità ma
meno costosi. Così, se nella prima metà del secolo è facile trovare negli
inventari del ceto medio biancherie e tessuti « all’uso di Fiandra »,
essi scompaiono del tutto nella seconda metà, lasciando il posto alle
originali tele di Fiandra. Quanto alla caratterizzazione, se nella prima
metà del secolo il fascino dello stile spagnolo promana ancora dal
secolo trascorso, nell’arredo, nelle suppellettili e nell’abbigliamento,
scompare quasi del tutto nella seconda metà, per lasciare il posto ad
una dominanza di oggetti all’inglese, alla chinese, alla parigina, alla
turca e all’indiana.
In sintesi, il grado di internazionalizzazione del gusto che emerge da
questo sondaggio è decisamente cospicuo e la moltiplicazione dei beni
di provenienza o di stile estero sembra interessare nel corso del secolo
soprattutto i ceti medi, se è vero che presso quelli elevati era un dato
già all’inizio del secolo, probabilmente risalente al secolo precedente
(cfr. Tab. 3).
Un vero e proprio « incantesimo », lo de nisce Spiriti negli anni
Ottanta del secolo, quello esercitato dai beni d’oltralpe :
« I forestieri sono già riusciti d’introdurre nei nostri paesi un certo
incantesimo per le loro merci, per cui tutto ciò che non vien dalla Senna,
o che non è profumato col carbone di terra inglese, da noi si reputa
come affatto indegno del nostro gusto, e della nostra estimazione. »36

Tabella 3. Media di oggetti esteri posseduti per ceto sociale

pre 1750 post 1750

Nobile 5,2 6,4


Borghese 2 5
Chierico 3,3 3,5

36
sPiriti G., Ri essioni politico-economiche d’un cittadino relative alle due province
di Calabria, Napoli, 1793.

76
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

Tabella 4. Composizione merceologica dei beni di provenienza


estera e di stile estero
Beni di proVenienza estera
Beni di stiLe estero (nr. articoLi)
(nr. articoLi)
Campione Campione Campione
pre 1750 pre 1750 post 1750
Tessuti 124 14 2
Ornamentali 25 16 7
Mobilio 4 19 17
Gioie 1 –
Oggetti d’uso – 8 –

Venendo al dettaglio della composizione merceologica del campione,


emerge la prevedibile presenza dominante dei tessuti (cfr. Tab. 4).
La categoria comprende tanto oggetti di uso domestico come biancheria,
rivestimenti di sedie e sofà, tende e cortine, padiglioni di letti, “apparati”,
quanto abbigliamento. Tra la prima e la seconda metà del secolo cresce
decisamente la seconda componente, quella dei tessuti per l’abbigliamento,
rispetto a quella delle biancherie e degli altri tessuti domestici.

Tabella 5. Dettaglio provenienza tessuti

oggetti non
pre 1750 post 1750
riscontrati
proVenienza dettagLio n r. n r.
negLi inVentati
articoLi articoLi
pre 1750
Tele e vacchette di
Europa Fiandra, tele d’Olanda, 77 126 Tele
nordoccidentale panni, cammellotti e di Germania
rattine di Bruxelles

Mediterraneo, Tela di Persia,


12 25 Lana di Malta
Medioriente lana di Tunisi

Saie e morcatelli di Velo di


Venezia, sete di Firenze, Bologna,
Nord Italia 21 11
saie di Milano, velluto di
panni di Piemonte Genova
Saie e orlette di Francia,
Europa centro
panni di Spagna, 12 8 –
occidentale
tela di Cambraia

India Tele e rasi 3 2 –

Non de nita Forestiero 1 20 –

Panni,
Inghilterra – – 22
londrini, tele.

77
aliDa clemente

Con i tessuti tocchiamo l’aspetto forse più vistoso dell’in uenza della
moda estera (cfr. Tab. 5). La tela di Fiandra domina nettamente tutto
il campo della biancheria domestica, dai “salvietti” e i “moccatori”,
alle lenzuola, ai cuscini. Va precisato che le tele di Olanda e di Fiandra
sono ampiamente diffuse già nella prima metà del secolo e conoscono un
ampliamento a nuove fasce sociali di consumatori nella seconda metà.
Quanto all’abbigliamento, se pure i sarti locali proliferano nel generale
nuovo culto delle apparenze37, è certo che i tessuti che lavorano, che
siano di materiale prezioso e raro o di qualità più comune, alimentano
in questo campo un mercato assai ampio, che va dalla rattina olandese
ai panni d’Inghilterra, al cammellotto di Bruxelles, a raso, seta e taffettà,
“tela indiana”, e soprattutto mussoline. Tornando alla nostra rilevazione
quantitativa, ben più consistente risulta la proporzione di tessuti di
importazione sul totale se, oltre a quelli esplicitamente indicati come
esteri, si aggiungono i nuovi tessuti, estremamente diffusi nella seconda
metà del secolo, presumibilmente d’importazione data la esigua o nulla
presenza di produzioni locali : in particolare le mussoline38, i calancà
(o calicò), la batista, nonché i vari panni come saie, cammellotti, segovie,
scottini e stamine (cfr. Tab. 6).

Tabella 6. Presenza di tessuti presumibilmente di origine estera (numero


articoli) negli inventari post 1750

Calancà
Cammel- Ante-
Batista Mussolina e tela Segovia Stamina Rattina Criscetto Castoro Totale
lotto lascia
stampata

31 80 42 12 2 6 3 2 8 16 202

37
Si veda, a questo proposito, l’interessante saggio di scognamiglio cestaro Sonia,
“La corporazione napoletana dei sarti (1583-1821)”, Archivio storico per le province
napoletane, n. CXXIII, 2005, p. 243-284 (parte I) ; CXXIV, 2006, p. 289-376 (parte II).
38
Dell’unica produzione nazionale di mussoline, localizzata nella provincia di Otranto,
abbiamo notizia da corraDo Vincenzo, Notiziario delle particolari produzioni delle pro-
vince del Regno di Napoli, Napoli, 1816 (II edizione). Sui nuovi tessuti si veda anche
lemire Beverly, “Plasmare la domanda, creare la moda : l’Asia, l’Europa e il commercio
dei cotoni indiani (xiv-xix secc.)”, Quaderni storici, n. 122, 2006, p. 481-508.

78
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

Se si sommano questi tessuti con molta probabilità di importazione


con quelli sicuramente importati si ottiene una somma di 394 articoli, pari
al 28 % del campione complessivo di tessuti schedati (1.410), al quale
sarebbe da aggiungere la grande percentuale di tessuti in seta, dei quali
non è possibile stabilire con certezza la provenienza, ma che si suppone
anch’essi in buona misura d’importazione data la crisi dell’industria
nazionale della seta39.

Tabella 7. Provenienza oggetti (numero articoli)

pre 1750 post 1750

Portogallo (1) Inghilterra (12)


Spagna (1) Forestiero (5)
Mobilio
Indie (1) Indie (2)
Genova (1) Venezia (1)
Indie (8) Inghilterra (8)
Cina (5)
Genova, Firenze, Venezia (5)
India (3)
Spagna (3) Spagna (2)
Ornamentali
Cina (4) Francia (3)
Inghilterra (1) Liguria (1)
Ungheria (2) –
Portogallo (2) –
– Inghilterra (6)
Oggetti di uso quotidiano – Cina (2)
– Sassonia - Austria (2)
Forestiero (1)

39
La crisi dell’industria della seta era iniziata intorno agli anni Trenta del Seicento. Gli
ampi mercati esteri per la seta napoletana, in particolare quelli in cui una autonoma
capacità produttiva si andava costituendo – Inghilterra, Olanda, Fiandre – si contrassero
enormemente. Mentre il primato della produzione e della moda passava a Lione, che
l’avrebbe saldamente detenuto no alla ne del Settecento, nel viceregno si veri cava un
ampio processo di decentramento produttivo e di scadimento qualitativo della produzione
di seta. Sul mercato internazionale Napoli si ritrovava con una posizione ben differente
dal passato : da esportatrice di sete lavorate di pregio a timida esportatrice di sete meno
pregiate verso aree poco progredite (ex impero spagnolo), e massiccia importatrice di
sete lavorate. Si veda, per una sintesi recente, ragosta Rosalba, Napoli città della seta,
Roma : Donzelli, 2009, 248 p.

79
aliDa clemente

Dif cile e dubbia è la rilevazione dei cosiddetti new luxuries, beni


rappresentativi del nuovo gusto del super uo, non necessariamente
con un alto valore intrinseco, in quanto spesso liquidati dai notai come
« galanterie » o « bagatelle varie ». Sono segnalati dei ventagli « della
China » e « di Francia », ombrelli di seta, bastoni in tartaruga, canne
d’India, ebano e osso, oggetti per la nuova cura del corpo, profumiere,
scatole per la polvere di Cipro, ed ancora le tabacchiere, gli oggetti orna-
mentali : tutti o quasi emanano profumo di terra straniera.
Spicca, in questo quadro generale, la progressiva importanza
dell’Inghilterra come esportatrice di manufatti i più vari, oltre che
riesportatrice di beni in larga parte provenienti dall’Oriente (cfr. Tab. 7).
Nell’arredo, ad esempio, ai legni pregiati di importazione iberica (ebano)
si sostituisce spesso legname inglese quando inglese non è il mobile nella
sua interezza (tavolino, buffetta, sedia). Portano l’egida della crescente
importanza commerciale dell’Inghilterra vari oggetti di uso quotidiano,
dai piatti di « uso giornale », a « chicchere », guantiere, bicchieri, sfrat-
tatavola, sciacquabocche e persino mappamondi.
Segnali di una sostanziale tendenza comune ad altri contesti europei :
l’affermarsi di una cultura del consumo che sostituisce al vecchio lusso
aristocratico un “nuovo lusso” che si de nisce non più per l’intrinseco
valore dell’oggetto come mero indicatore dello status del possessore,
bensì per il suo associarsi ad un impalpabile piacere apparentemente tutto
individuale ed introverso, ma che risponde a rigorosi canoni di un gusto
sempre più dettato dalla moda, praticato da fasce sociali progressivamente
più ampie40. Che sia vecchio o nuovo, il lusso napoletano è in uenzato
dalle mode straniere, francese piuttosto che inglese o orientale, e la
provenienza estera degli oggetti sembra qui con gurarsi essa stessa
come uno dei requisiti de nitori del consumo di prestigio.

40
Su vecchio e nuovo lusso, De vries Jan, “Luxury in the Dutch Golden Age in Theory
and practice”, in berg m. and eger e. (eds.), Luxury in the Eighteenth Century. Ed anche
stearns Peter N., Consumerism in world history. The global transformation of desire,
New York : Routledge, 2006, 147 p. Per una illustrazione sintetica delle trasformazioni
del consumo europeo nel corso del xviii secolo si consulti belfanti C. M., Civiltà della
moda, p. 87-105. Si legga inoltre l’interessante interpretazione di smith Woodruff,
Consumption and the making of respectability, London : Routledge, 2002, 339 p.

80
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

Lusso e importazione
Oltre agli indizi ricavati dall’analisi del campione di inventari post
mortem e alle testimonianze dei contemporanei41, una ricognizione dei
beni di importazione dovrebbe passare attraverso una più circostanziata
analisi della bilancia commerciale. Per quest’epoca prestatistica
disponiamo soltanto di due fonti quantitative sull’andamento delle
esportazioni e delle importazioni del Regno, ampiamente note alla
storiogra a settecentesca : i dati sparsi riportati da G.B.M. Jannucci
nel 1767-6942 e la bilancia del commercio estero del Regno stilata dal
Galanti per ordine del Re negli anni 1771 e 178443 (cfr. Tab. 8). Dal
quadro del Galanti si deduce che, in misura forse maggiore rispetto a
quanto le rilevazioni notarili consentano di stabilire, oltre alla scontata
importazione di coloniali come caffè, cacao e zucchero, tutto ciò che
più frequentemente si trova nelle case benestanti e nobiliari è di origine
estera. Dai cavalli che trainano le carrozze al legno lavorato con cui sono
costruite, dalle suppellettili che ornano le case di magnati e borghesi alla
carta di cui sono fatti i loro libri, ai libri medesimi ; dai vetri delle nestre
ai cristalli ornamentali, dal legname per i mobili al materiale di rives-
timento, dalla materia prima dei loro vestiti lussuosi o ordinari, per nire
con tutti i beni con i quali il secolo dei Lumi disegna il nuovo identikit
dell’uomo raf nato. Tabacchi, polvere di Cipro, cappelli, guanti, tabac-
chiere, ventagli e altre galanterie. Spesso liquidate come “bagatelle”,
ritenute indegne di valutazione dai notai, le galanterie e le “chinchiglie”
importate nell’insieme da Inghilterra, Francia, Olanda e Germania, sono
valutate da Jannucci la non indifferente somma di 100.000 zecchini.

41
A questi si potrebbe aggiungere un’ulteriore fonte indiziaria, quella rappresentata
dalle rubriche di merci pervenute da fuori Regno contenute nella stampa periodica com-
merciale. A titolo di esempio riporto qui due numeri del Foglietto di notizie domestiche,
conservato dall’Archivio di Stato di Napoli, del 1777 (n. 105) : tele di cotone stampato,
fazzoletti, tele di Germania, criscetti di vari lavori, teliere, servizi da tavola in Fiandra,
nobiltà di vari colori, drappi con oro, lavori d’oro e guarnizioni. Fiori di velo, veli di
Francia, porcellana di Francia, acqua d’odori, sono le merci pervenute da fuori regno a
vari negozianti della capitale.
42
jannucci G.B.M., assante F. (a cura di), Economia del commercio del Regno di
Napoli, 1767-69, Napoli, 1981, parte I, p. 60 e segg.
43
galanti Giuseppe Maria, Della descrizione geogra ca e politica delle Due Sicilie,
libro I, cap. XXIX, Napoli : ESI, 1969, p. 549 e segg.

81
aliDa clemente

Tabella 8. Quadro dell’esito del Regno per acquisto di beni manufatti


e materie prime di pregio (in ducati), 177144

Cavalli 25.000
Carta 40.000
Cera 230.000
Crete, porcellane, maioliche 3.731
Cristalli e vetri 36.540
Cuoi e pelli 878.372
Generi diversi (cappelli, guanti, ossame, pennacchi,
101.230
tabacchiere, ventagli)
Lana barbaresca 810.632
Legno lavorato e diverso 22.540
Libri 30.000
Lavori di seta 965.000
Tabacchi 534.000

Se si passa dal quadro complessivo delle importazioni al dettaglio


dei commerci bilaterali, emerge dalle varie fonti che a pesare in
maniera sempre più onerosa sul passivo del Regno saranno le impor-
tazioni dall’Inghilterra. Il quadro dipinto da Jannucci per il 1769
è quello di un’importazione annua di panni di vario genere e altri
articoli (cammellotti, scottini, fanelle, calze e cappelli) che ammonta
mediamente a 500.000 ducati45. Ai tessuti vanno aggiunti i metalli
(piombo e stagno), il legno, il cuoio d’Irlanda, le droghe americane
e orientali (pepe in particolare), e soprattutto il baccalà. Al 1784 il
commercio d’immissione dall’Inghilterra, calcolato sui carichi delle
navi inglesi (senza contare dunque gli intermediari), è, secondo Galanti,
di 835.000 ducati46.
Oltre all’Inghilterra, a bene ciare decisamente della trasformazione dei
consumi napoletani nella seconda metà del secolo è l’Olanda, principale
esportatrice di prodotti coloniali, ma soprattutto, come sappiamo, di tessuti
per l’abbigliamento e la biancheria. Dall’Olanda giungono inoltre la gran
parte delle droghe provenienti dalle Indie orientali (cannelle, garofani, noci
moscate, pepe, medicinali) e panni, tele d’Olanda e Fiandra, mussoline,

44
galanti Giuseppe Maria, Della descrizione geogra ca e politica delle Due Sicilie.
45
jannucci G.B.M., Economia del commercio del Regno di Napoli, p. 60.
46
galanti Giuseppe Maria, Della descrizione geogra ca e politica delle Due Sicilie,
p. 563-564.

82
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

calancà e tele indiane. In aggiunta a cacao, tabacchi e seterie47. Il de cit del


Regno rispetto all’Olanda nel 1784 è, secondo Galanti, di 591.520 ducati.
Altro partner commerciale del Regno, la Germania, vi esporta telerie,
cristalli, cappelli e chincaglierie, soddisfacendo anch’essa la domanda di
beni durevoli e non solo, in maniera sempre più asimmetrica48.
Un discorso a parte merita la Francia. Tradizionale esportatore non
solo di mode ma di manufatti e “donnesche galanterie”, la Francia passa
da un attivo netto nei confronti del Regno di Napoli ad una posizione
di passività, giusti cata da un lato dalla sempre più consistente impor-
tazione di materie prime (olio d’oliva e tessuti grezzi) per le sue
manifatture, dall’altro dal suo orientamento produttivo nalizzato, a
differenza di Inghilterra e Olanda, a soddisfare una elitaria e tradizionale
domanda di lusso. Dalla Francia provengono le droghe delle Indie occi-
dentali, le drapperie di Lione e di Marsiglia, i galloni d’oro e d’argento,
merletti, velluti e “tutte le guarnizioni ed acconci donneschi”. Malgrado
l’andamento inizialmente altalenante della bilancia commerciale napo-
letana, che negli anni Sessanta del secolo sembra ettersi verso una
maggiore passività nei confronti della Francia compensata da un calo
delle importazioni di panni lana inglesi, la tendenza secolare e strutturale
va verso una sempre più accentuata passività del Regno nei confronti
dell’Inghilterra e di minore disavanzo, talvolta di leggero vantaggio
commerciale, nei confronti della Francia. Il ribaltamento delle posizioni
è sancito dal passivo che quest’ultima registra ininterrottamente dal 1759
no al 1813 per la crescente concorrenza dei prodotti inglesi nel campo
tessile, e di quelli olandesi per ciò che riguarda i coloniali49.
La crisi delle esportazioni francesi contro il boom di quelle inglesi
e olandesi è da leggersi come il ri esso abbastanza tempestivo della
trasformazione dei modelli di consumo che si veri ca nella società
napoletana. Nuovo lusso, ricerca diffusa di beni esteri di qualità ma

47
jannucci G.B.M., Economia del commercio del Regno di Napoli.
48
Ovvero senza contropartita in merci, data l’incapacità del Regno di Napoli di
compensare la crescente importazione con l’esportazione.
49
romano Ruggiero, “Il commercio franco-napoletano nel secolo xviii”, Napoli :
dalviceregno al regno. Storia economica, Torino : Einaudi, 1976, p. 67-122. Sul commercio
tra Francia e Mezzogiorno si veda anche salvemini B., visceglia M.A., Marsiglia e
il Mezzogiorno d’Italia (1710-1846), 1991. Flussi commerciali e complementarietà
economiche, in “Mefrim”, n. 103, 1, p. 103-63. ciccolella D., Il commercio franco-
meridionale di bre tessili tra Sette e Ottocento. I dati e le dinamiche, in salvemini
Biagio (a cura di), Lo spazio tirrenico della “grande trasformazione”. Merci, uomini e
istituzioni nel Settecento e nel primo Ottocento, collana Mediterranea, Edipuglia, 2009,
p. 87-116.

83
aliDa clemente

di minor prezzo, ampia partecipazione di strati medi e popolari alla


cultura delle apparenze, che si esprime in abiti alla moda di “tele
forastiere” e in galanterie di stili lontani, nel consumo quotidiano di
bevande di provenienza esotica. Il vecchio lusso francese lascia il posto
al più accessibile stile inglese e ai tessuti leggeri che sostituiscono sete
e broccati.

Lusso, produzione LocaLe ed import suBstitution


È legittimo chiedersi se la crescente domanda di lusso, vecchia e nuova,
sia realmente soddisfatta in maniera esclusiva dal commercio estero. Se
essa produca altri effetti, se non negativi, sul tessuto produttivo locale e
nazionale. Non è semplice stabilirlo se non per indizi. Si è rilevato n
qui che l’importazione è legata soprattutto al nuovo lusso, al consumo
crescente di beni di minor valore intrinseco prodotti dalle industrie nord
europee, le cosiddette “decencies”. Il caso dei tessuti di Fiandra e di
Olanda è signi cativo del fatto che questo processo trascende di gran
lunga i limiti temporali di questo lavoro, affondando le radici nel secolo
della deindustrializzazione, il Seicento, appunto. Ma anche per ciò che
riguarda i lussi tradizionali, valga l’esempio della seta, è noto che la
domanda napoletana sembra soddisfatta soprattutto dalla produzione
francese, malgrado ciò produca effetti quantitativamente più limitati
sulla bilancia commerciale.
La rincorsa agli stili esotici ha inizialmente stimolato una riquali -
cazione dell’artigianato locale verso la loro imitazione. Una originale
specializzazione sostitutiva ha visto nascere n dal Seicento nuove
categorie di artigiani esperti della lavorazione di materiali esotici e stili
certamente non tradizionali : intagliatori, ebanisti, tartarugai, gioiellieri50,
iniziano a produrre imitando mode lontane51. La lavorazione dei lussi
ornamentali, dagli orologi, al mobilio in canne d’India, “all’inglese”,
“alla chinese”, “intagliato alla veneziana”, o semplicemente “alla
moda”, per nire con l’abbigliamento “alla franzese”, che ricorrono
nei nostri inventari, vede tutto sommato resistere l’artigianato urbano di

50
Su ore ci e argentieri si veda strazzullo Franco (a cura di), Settecento napoletano.
Documenti, Napoli : Liguori, 1982, 392 p.
51
Si legga mastrocinque C.A., La moda e il costume, in AA.VV., Storia di Napoli,
vol. VIII, Napoli, 1971, cap. I, p. 791. È oramai riconosciuto che molte delle innovazioni
più rilevanti della storia manifatturiera del Settecento furono ispirate da pulsioni em-
ulative dei manufatti importati. Si rimanda a berg Maxine, “From imitation to inven-
tion : creating commodities in Eighteenth century Britain”, Economic history review,
n. LV, 1, 2002.

84
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

lusso e proliferare i commercianti che si rivolgono in maniera crescente


a materie prime e tessuti di origine straniera52.
Tuttavia questa specializzazione imitativa dell’artigianato non sembra
accompagnarsi ad una sua crescita. Il secolo vede prevalere le attività
commerciali su quelle artigianali53. Altre ricerche sulla cultura materiale
settecentesca hanno sottolineato che alla vasta domanda di arredi nuovi
e alla moda, di decorazioni sempre più ridondanti, non corrisponde nel
Settecento una pari oritura delle attività artigianali, per il carattere
esclusivo ed elitario di tale consumo54.
Cosa ne è delle più importanti manifatture di beni di più ampio
consumo ? I resoconti di Galanti e di Corrado55, se verosimili, denotano
l’esistenza di un settore diffuso nelle province del Regno di produzioni
tessili, dalla lana56 alle tele di lino, cotone e canapa, ma in merito sostiene
Galanti :
« Le nostre manifatture quasi tutte sono per il popolo ; […] quanto porta
addosso una persona agiata, tutto o quasi tutto è mercanzia straniera. »
Gli inventari possono darci un’idea molto approssimativa (cfr. Tab. 9).

52
Per un quadro delle arti e dei mestieri nella Napoli del Settecento si veda mascilli
migliorini Luigi, Il sistema delle arti. Corporazioni annonarie e di mestiere a Napoli nel
Settecento, Napoli : Guida, 1992, 233 p.
53
aliberti Giovanni, Economia e società a Napoli dal Settecento al Novecento, Napoli,
1974, 428 p.
54
mastrocinque Cirillo Adelaide, La moda e il costume, in AA.VV., Storia di Napoli.
55
corraDo Vincenzo, Notiziario delle particolari produzioni delle province del Regno
di Napoli, Napoli, 1816.
56
Non abbondano ricerche sulla produzione tessile nel Regno nel xviii secolo.
De majo Silvio, “Industria laniera e strutture socio-professionali nel Regno di Napoli
nella seconda metà del Settecento. I casi di Arpino, Salerno e San Severino”, AA.VV.,
Studi sulla società meridionale, Napoli, 1978, p. 165-219. visceglia M.A., Lavoro a
domicilio e manifattura nel xviii e xix secolo : produzione, lavorazione e distribuzione
del cotone in Terra d’Otranto, in AA.VV., Studi sulla società meridionale, Napoli, 1978.
ciccolella Daniela, La seta nel Regno di Napoli nel xviii secolo, Napoli : ESI, 2003,
402 p.

85
aliDa clemente

Tabella 9. Presenza di beni indicati come manufatti nazionali (numero articoli)

pre 1750 post 1750


Portanova Tele, raso 31 Portanova Tela 27
Panno,
Napoli velluto, raso, 4
Calabria Raso, velluto 7 nobiltà

Lecce Bombace 2

Piedimonte Panno 2
Tessuti Tessuti
L’Aquila,
Filo 2
Prajano

Cava Tela 1

Cava Tela 3
Caivano Tela 1
Messina Spichetto 2
Lecce Pelle, opera 4 Ponte della Creta e
Mobilio 17
Calabria Olivo, ebano 9 Beni Maddalena porcellana
ornamentali
Oggetti Fabbrica
Abbruzzo Chicchere 1 Porcellana 1
d’uso del Re
Totale 58 Totale 54

Il numero di beni con indicazione di fattura regnicola è esiguo e


soprattutto i tessuti, di cui spiccano le fabbriche di Portanova e della
Cava, in Principato Citra, dove si produceva tanto lana quanto cotone57,
non reggono al confronto né qualitativo né quantitativo con le tele
d’Olanda e di Fiandra, a conferma della affermazione di Galanti sulla
superiorità tecnica delle manifatture estere58. Sul piano dei prodotti di
pregio domina il consumo di porcellana, la cui domanda, niente affatto
limitata alla nobiltà, è in larga parte soddisfatta dalla produzione locale,
in particolare dalle fabbriche del Ponte della Maddalena59.

57
galanti Giuseppe Maria, Della descrizione geogra ca e politica delle Due Sicilie.
bianchini L., Storia delle nanze del Regno di Napoli, Napoli, 1839.
58
galanti Giuseppe Maria, Descrizione di Napoli, § XIX, Arti meccaniche e commercio,
edizione a cura di Pellizzari M.R., Di mauro, 2000, p. 251.
59
Non si sa molto riguardo alla tradizione locale spontanea di produzione di porcellane e
crete, oscurata dalla ben più nota manifattura reale di Capodimonte. Alla sua importanza
fa un accenno solo ipotetico da fonte indiretta musella guiDa Silvana, “La Real Fabbrica

86
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

Nell’insieme la piramide dei consumi napoletani appare articolata su


tre piani. Il vertice, dei consumi di alto pregio e di lusso, è soddisfatto in
parte dall’artigianato locale che si orienta sempre più su materie prime
di importazione, in parte dall’importazione diretta di manufatti, in parti-
colare dalla Francia. Lo strato medio e medio alto, con comportamenti
emulativi/ostentativi, si rivolge in maniera crescente a beni e manufatti
di importazione meno costosi. Una base di basso popolo, soprattutto
extraurbana, come testimonia Galanti consuma i beni di bassa qualità
della manifattura diffusa nel Regno.
La sproporzione tra le potenzialità della domanda e quelle dell’offerta
del Regno è ben presente ai contemporanei, anche se la percezione del
fenomeno risulta condizionata dal lungo confronto con l’egemonia
francese. Scrive Tanucci a Carlo III ancora nel 1760, a commento del
fatto che Ferdinando IV, per assecondare la moda del momento, ha dalla
Francia acquistato tutti i drappi per il suo personale servizio60 :
« Sempre più crescono li cambi a danno di questa nazione. Ella
prende dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra, da Venezia,
da Genova più di quello che dà, sia di generi sia d’arti ; benché con
alcune nazioni ella sia creditrice in conto di generi, è debitrice in
conto di arti zj. La Francia prende la seta a due ducati al più la libra,
e ci vende una canna del drappo più vile a sei ducati ; Venezia prende
lana, e dà stamette di Brescia e Padova colla stessa differenza […] ;
li drappi di seta di Francia e di Toscana vedo, che sono il nostro
maggior danno. »61
Tanucci non è consapevole dei segnali del tramonto dell’egemonia
del lusso francese e si rammarica, col rimpianto sovrano pur tuttavia
colpevole di aver aperto il Regno alla moda francese62, che la Francia

della Porcellana di Capodimonte : la sperimentazione, la struttura produttiva, la commer-


cializzazione del prodotto”, in Manifatture in Campania. Dalla produzione artigiana alla
grande industria, Napoli : Guida, 1983, p. 74.
60
Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), regesti a cura di
mincuzzi Rosa, Roma, 1969. Portici, 14 settembre 1760 : Tanucci segnala al Re Carlo
con un certo compiacimento che Ferdinando mostra di avere “gusto in tutto il mecca-
nico, che doppo la Rivelazione Divina è il solo vero, e il solo utile, che Dio abbia dato
al genere umano. Dio volesse, che li suoi sudditi pensassero ugualmente, non sarebbero
obbligati ad invidiare ed arricchire inglesi, francesi, e olandesi, li quali colle loro arti
prendono tutto il bene delle inerti nazioni.”
61
Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), Portici, 28 ottobre 1760.
62
Si veda borrelli Gennaro, “La borghesia napoletana della seconda metà del Seicento
e la sua in uenza sull’evoluzione del gusto da barocco a rococò”, Ricerche sul Seicento
napoletano, Milano, 1991.

87
aliDa clemente

commercialmente costituisca il peggior nemico del Regno. Se si guarda


al trend secolare dei consumi, l’ossessione antifrancese rivela tutto il suo
anacronismo o quanto meno l’incapacità di cogliere le trasformazioni in
atto del mondo produttivo e commerciale europeo. Una miopia, quella del
Reggente, che si ri ette direttamente sulle politiche economiche, su quel
tardivo mercantilismo orientato verso l’import substitution dei prodotti di
lusso destinati ad un consumo elitario, e che lascia invece gran parte della
domanda in crescita dei ceti medi a disposizione dell’offerta nordeuropea.
La politica di stimolo delle manifatture viene inaugurata già nel
primo decennio di vita del nuovo Regno indipendente sotto la guida di
Carlo di Borbone, con una serie di iniziative volte a produrre in loco beni
di pregio, attraverso l’importazione di capitali e manodopera necessari
ad implementarle : il laboratorio di porcellana “all’uso della Cina” nei
giardini della Reggia nel 1737 e nel 1750 la Reale Fabbrica di Capo-
dimonte. Nel 1738 la Real Fabbrica degli Arazzi63 con manodopera
esperta orentina ; la “nuova fabbrica di lastre, specchi e cristalli ad
uso di Venezia”64 con una “compagnia di Murano” ; il Real Laboratorio
delle Pietre dure di S. Carlo alle Mortelle con intagliatori orentini65.
La storiogra a ha a lungo discettato sulla natura di queste iniziative
propendendo per una lettura minimalista : non sono tasselli di una
embrionale politica industriale, bensì esperimenti puramente estetici
funzionali al prestigio della corona. Investimenti per lo più in perdita,
dal momento che nessuna di queste iniziative, che fosse di gestione reale
o privata, si trasformerà in un successo economico, data l’esiguità del
mercato al quale questo genere di produzioni si rivolge66. Tra gli espe-
rimenti del periodo carolino quello di maggior successo è senza dubbio
la manifattura di porcellane, frutto anch’essa di una pulsione emulativa ;
un successo dovuto soprattutto alla sua capacità di soddisfare, oltre che i
bisogni della corte, il desiderio di lusso dei ceti emergenti67.

63
strazzullo Franco (a cura di), Settecento napoletano…, vol. I, p. 288-89.
64
strazzullo Franco (a cura di), Settecento napoletano…, vol. I, p. 34 e segg.
65
strazzullo Franco, Le manifatture d’arte di Carlo di Borbone, Napoli : Liguori,
1979, 349 p.
66
“Hobbies”, li de nisce R. Ajello in strazzullo F., Le manifatture d’arte…, prefa-
zione, p. 25.
67
Se infatti all’inizio del secolo la porcellana era un articolo di consumo esclusivo dei
nobili, nel corso del secolo il suo consumo si diffuse presso i ceti medi e ciò si ri etté
anche sulla natura della produzione di Capodimonte : le galanterie e le statuine in serie
divennero oggetti di moda presso le famiglie dei ceti medio alti e Capodimonte assurse
rapidamente a brand di maggiore successo della monarchia borbonica. Si veda musella
guiDa s., La Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte…

88
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

La Reggenza si colloca in una evidente continuità con la politica di


Carlo e appare dominata dalla preoccupazione di limitare l’importazione
dei beni di lusso68. Ma l’evoluzione dei consumi nel corso del Settecento
non potrà non condizionare l’orientamento delle politiche reali. Tra il
Regno di Carlo e quello di Ferdinando la natura della politica di import
substitution cambia in maniera evidente, probabilmente anche per l’in-
uenza delle sempre più frequenti denunce dei riformatori della subal-
ternità commerciale del Regno ad altre nazioni. Se il primo si preoccupò
soprattutto di raggiungere, per ragioni di prestigio, un’autosuf cienza
produttiva e un’autonomia stilistica nell’ottica della vita e del consumo
della corte, fatta eccezione per un tentativo di ravvivare la produzione
laniera69, le iniziative della fase ferdinandea si rivolsero anche verso
settori produttivi di beni di più ampio consumo, segnatamente i tessuti, e
verso le produzioni di base.
Manifatture di cotone vengono create “in vari luoghi del Regno, come
dire in Portanova, in Catanzaro e nella Cava, dove erano 1.800 telai,
da’ quali venivan fuori 15.000 pezze di lavori d’ogni sorta”70. Pure la
tessitura della lana riceve un impulso e sopravvivono le cristallerie di
Castellammare e di Posillipo. Nel 1771 Ferdinando progetta di “stabilir
nei suoi Regni le fabbriche di panni”71, e sistematicamente plaude alle
iniziative imprenditoriali volte a incrementare il patrimonio industriale
del Regno72. Il sostegno alle manifatture tessili, e con esso la ben più
matura sensibilità rispetto alla necessità di creare un solido scheletro

68
Portici, 28 ottobre 1760. Tanucci propone di selezionare due o tre dei migliori arte ci
di drappi del Regno per prescrivere loro “mode e colori d’ogni anno”, sull’esempio
di quelli francesi che piacevano a gentiluomini, dame, consiglieri e maggiordomi del
re. mincuzzi Rosa (regesti a cura di), Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Bor-
bone (1759-1776), Roma, 1969, Napoli, 3 gennaio 1764 e 31 gennaio 1764. Nel 1764
si adopera per evitare che gli arte ci di cristalli e gli incisori lascino il Regno, e nello
stesso mese vieta, su disposizione di Carlo, l’acquisto di legno estero per la fabbricazione
di carrozze.
69
bianchini Lodovico, Storia delle nanze del Regno di Napoli, Napoli, 1839, p. 509-510.
Bianchini ricorda il tentativo di Re Carlo di stimolare la produzione di panni di lana con
la domanda di uniformi per l’esercito e con l’istituzione di una scuola ad Arpino da parte
di un tale Baduel. Aggiunge che ciò non riuscì a realizzare una produzione suf ciente né
di panni ni né di panni ordinari.
70
bianchini lodovico, Storia delle nanze…, p. 509.
71
Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), Portici,
12 novembre 1771.
72
Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), Caserta, 21 aprile
1772. Tanucci riporta la soddisfazione del re per la fabbrica di “camelotti, e barracani
che il Principe di Cariati ha introdotto nella sua terra di Palmi colle lane delle capre
d’Angora”.

89
aliDa clemente

industriale73, è signi cativo dell’ottica differente che si fa strada nella


seconda metà del secolo, lontana dall’esclusività delle produzioni di
lusso come orizzonte prevalente della implementazione manifatturiera.
E tuttavia ore all’occhiello del mercantilismo ferdinandeo rimarrà,
nell’immaginario coevo e a venire, il seti cio di S. Leucio, tentativo di
resuscitare la produzione di sete di lusso con il recupero di una tradizione
manifatturiera su cui l’impatto della concorrenza lionese era stato
clamoroso74.
Questa breve e sintetica rassegna sulle iniziative manifatturiere del
secolo dei Borbone rischia tuttavia di fornire un’immagine parziale e
distorta della realtà produttiva del Regno. Così narrate, le imprese di Carlo
e Ferdinando sembrano delineare una politica tutta coerentemente protesa
all’emancipazione dell’economia del Regno, ciò che è stato sottolineato
in maniera anche eccessiva da certa letteratura di carattere apologetico75.
Se li si guarda da un’altra prospettiva, questi progetti rivelano molteplici
fragilità, sia sul piano degli effetti reali indotti sul sistema produttivo che
su quelli attesi, ovvero sulle motivazioni che ne furono alla base.
La politica di Carlo, tanto quanto quella di Ferdinando, è tutta addentro
la logica mercantilistica di un’economia subordinata alle esigenze della
politica, nella fattispecie di una politica tardivamente assolutistica che,
più che favorire la crescita produttiva, intende soprattutto accrescere il
prestigio della sua immagine. A ciò si aggiunga che proprio l’estero lia e
il carattere imitativo delle nuove manifatture nirà col favorire, in assenza
di una adeguata capacità di offerta, la diffusione di merci estere. Se poi
nella fase ferdinandea a questa ispirazione se ne somma una seconda,
quella suggerita dai riformatori, più sensibile alla prospettiva della
felicità pubblica e corollario di una diagnosi impietosa delle condizioni
produttive e commerciali del Regno, ciò avviene tardivamente e in
maniera contraddittoria.
La politica di import substitution si scontra in primo luogo con una
serie di ostacoli estrinseci : lo scarso o nullo concorso di iniziativa
privata ; la preferenza della tradizionale domanda di lusso, per pregiudizio

73
Nel Regno sorgono i primi nuclei di industria pesante, da Pietrarsa alle acciaierie
di Campobasso, dagli arsenali del porto ai cantieri di Castellammare, alle ferriere di
Mongiana. Si veda rubino Gregorio E., “La Real Fabbrica d’Armi in Torre Annunziata”,
in musella guiDa Silvana, Manifatture in Campania, p. 116-151.
74
battaglini Mario, La fabbrica del re : l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e
illuminismo, Roma : Edizioni Lavoro, 1983, 125 p.
75
A titolo di esempio si legga il recente vocino Michele, Primati del Regno di Napoli :
ordinamenti, risorse naturali, attività industriali prima dell’Unità d’Italia, Napoli :
Grimaldi, 2007, 202 p.

90
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

o per moda, per la produzione straniera ; la diffusissima pratica del


contrabbando che vani ca ogni tentativo di controllo dei beni importati ;
l’insuf cienza, malgrado il grande incremento predisposto dai sovrani,
“dell’industria e delle arti”76, della produzione interna ; la resistenza di
forti interessi al mantenimento dello status quo ; il propendere anacro-
nistico delle iniziative manifatturiere borboniche verso la prospettiva di
un lusso tradizionale, contro le tendenze del mercato settecentesco che
spingono sempre più verso i new luxuries.
Altrettanto rilevanti sono gli ostacoli intrinseci. In particolare quelle
contraddizioni del mercantilismo borbonico riconducibili a una posizione
di già consolidata subalternità commerciale del Regno di Napoli alle
potenze nord europee : qualunque reale tentativo di mettere in atto politiche
di import substitution, infatti, si scontra con il loro prepotere77. Le mani-
fatture reali di Carlo di Borbone vengono tollerate solo nella misura in cui
non minacciano l’equilibrio ormai de nito della divisione internazionale
del lavoro78. Dietro il fallimento dei tentativi di Carlo di incrementare la
produzione di panni di lana c’è l’immediata e minacciosa reazione inglese,
e le iniziative dell’età ferdinandea non sembrano preoccupare più di tanto
i tradizionali partner commerciali, come mostra il crescente avanzo di
Inghilterra e la solo poco meno fortunata posizione della Francia. Ma
soprattutto l’import substitution non si accompagna ad una coerente
politica doganale79, che no alla ne del secolo rimarrà ostaggio da un
lato degli interessi privati dei cosiddetti arrendatori, dall’altro del retaggio
scalista spagnolo che produce, nel concreto, un rovesciamento dei crismi
della politica mercantilista. Nel Regno di Napoli le merci straniere sono
gravate relativamente poco rispetto a quelle nazionali, mentre i permessi
di esportazione delle merci sono onerosi. Il sistema produce così il
paradosso di una politica mercantilistica al contrario, che rende favorevole

76
bianchini lodovico, Storia delle nanze…, p. 508.
77
Già nel Seicento i tentativi di imporre dazi sui pannilana inglesi vengono
immediatamente vani cati dalla minaccia della perdita del mercato inglese di olio e seta.
Nel Settecento gli sforzi di Carlo di Borbone di creare manifatture autonome furono
osteggiati dagli inglesi, nella misura in cui minacciavano di sottrarre ad essi segmenti
del mercato meridionale. Si veda romano Ruggiero, “Il commercio franco-napoletano
nel secolo xviii”, in Napoli : dal viceregno al regno. Storia economica, Torino : Einaudi,
1976. bevilacqua Piero, Il Mezzogiorno nel mercato internazionale (secoli xviii-xx),
in “Meridiana”, n. 1, 1987, p. 29.
78
romano Ruggiero, “Il commercio franco-napoletano nel secolo xviii” …, p. 67-122.
79
È quanto denunciava con forza Jannucci. Si consulti in merito venturi Franco,
“Un bilancio della politica economica di Carlo di Borbone – L’economia del commercio
di Napoli di Giovanni Battista Maria Jannucci”, Rivista storica italiana, n. LXXXI,
1969, IV.

91
aliDa clemente

l’importazione e sfavorisce l’esportazione. Esempio ne è la tariffa del


1757, che Jannucci commenta così :
« Rimarrà al sicuro sorpreso chi si vorrà prendere la briga di leggere
la tariffa di questo regno data alle stampe nel 1757, in cui vedrà, se
non in tutto buona parte almeno, stimate non meno le manofatture
paesane che i prodotti e derrate di un valore il più alto al cui riguardo
si riscuote un tanto ad oncia di ducati sei di diritti doanali, e minorato
al possibile le manofatture e merci straniere […] »80
Galanti si aggiunge al coro di quanti reclamano una revisione della
ratio del sistema :
« La bene cenza del Re ci dee fare sperare riforme più estese. Nel
generale le mercanzie straniere non pagano altro che duc. 1,45 ad oncia,
onde deggiono ottenere una preferenza sulle mercanzie nazionali. »81
Quando i tempi matureranno per una riforma razionalizzatrice del
sistema sarà ormai trascorsa la stagione del mercantilismo e i nuovi
precetti del liberismo siocratico si saranno fatti strada. La riforma ideata
dal Palmieri nel 178882 si ispira alla convinzione della vocazione rurale
dell’economia del Regno ed elimina qualunque protezione doganale
sulle manifatture importate, onde favorire l’esportazione dei prodotti
primari e non ostacolare l’importazione di beni di lusso, come del resto
di fatto già avveniva.
Siamo tuttavia alla vigilia dei turbolenti eventi politici che bloccheranno
ogni pulsione alla liberalizzazione del commercio e daranno un duro colpo
al consumo di lusso83. Le basi della pratica di import substitution attuata
nel xviiie secolo si amplieranno, producendo i primi veri effetti solo nella

80
jannucci G.B.M., Economia del commercio del Regno di Napoli…, p. 882-902.
81
Galanti G.M., Della descrizione geogra ca e politica delle Due Sicilie, vol. II,
cap. XIX, par. 5.
82
Si tratta della nuova tariffa varata nel 1788 da un Supremo Consiglio delle Finanze
nel quale siedono Giuseppe Palmieri e Gaetano Filangieri, con la quale si pensa di
“agevolare di molto l’introduzione degli otto oggetti di lusso […] per evitare i contrab-
bandi e per accrescere un legame con gli stranieri af nché preferissero le nostre derrate
ricambiandone una parte colle loro manifatture di lusso”, anche per indurli a ribassare
“i dazi sulle straniere merci utili o necessari alle nostre arti e all’industria”. bianchini
Lodovico, Storia delle nanze del Regno di Napoli. In merito si veda anche chorley
Patrick, Oil, silk and enlightenment. Economic problems in Eighteenth century Naples,
Napoli : Istituto italiano di Studi storici, 1965, p. 147. Con arguzia, Chorley vede
nell’apparentemente irrazionale sistema doganale del Regno il ri esso della preminenza
di interessi della capitale consumatrice rispetto alle province produttrici.
83
Per comprendere la crisi del riformismo borbonico è essenziale la lettura di villani
Pasquale, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Roma & Bari : Laterza, 1977, 339 p.

92
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

prima metà dell’Ottocento, quando un’industria diffusa, benché protetta,


si svilupperà nel Regno no alla crisi dell’uni cazione84. Ma questa è
un’altra storia.
Lusso e gerarchie economiche internazionaLi.
un’ipotesi a mo’ di concLusione
La storiogra a sul Mezzogiorno ha spesso sottolineato il ruolo
subalterno del Mezzogiorno d’Italia nella divisione internazionale del
lavoro tra il xvii e il xviii secolo. La crisi del Seicento costituisce un
importante spartiacque, l’inizio di una sempre più accentuata inte-
grazione negli scambi internazionali nel ruolo di esportatore di beni
primari e materie prime e importatore di manufatti85.
In questo schema di subalternità commerciale grande enfasi è stata
attribuita al ruolo del Mezzogiorno come esportatore di beni primari86,
conformemente all’assunzione che le “bulk commodities” siano il
veicolo principe dell’integrazione commerciale. Tuttavia tale ruolo
sembra indebolirsi proprio nel corso del xviii secolo. Da un lato la
concorrenza di aree produttivamente omologhe, dall’altro le rese alta-
lenanti di un’agricoltura sovraffaticata dall’incremento demogra co,
rendono incerta la collocazione della produzione primaria del Regno nel
mercato internazionale. Il grano, la seta, il vino, non sono più una voce
certa dell’attivo commerciale con l’estero, anche se si impongono nuovi
beni fortemente richiesti dalle manifatture industriali nascenti del nord
Europa, come l’olio d’oliva87.

84
Malgrado la letteratura tradizionale interpreti come un fallimento il modello
imprenditoriale del Mezzogiorno. Si veda il classico, ora contestato, Davis John, Società
e imprenditori nel Regno Borbonico (1815-1860), Roma & Bari : Laterza, 1979, 335 p.
85
barra F., Il Mezzogiorno nelle relazioni internazionali, in aa.vv., Storia del Mezzo-
giorno, Roma : Edizioni del Sole, 1986, p. 199. Il Mezzogiorno occupa nel mercato
internazionale un ruolo “caratteristico dei paesi sottosviluppati, basato com’era
sull’importazione di manufatti e l’esportazione di materie grezze non lavorate (lana,
seta, grano)”.
86
P. Macry scriveva nel 1974, in conclusione di un’opera rimasta esemplare nella
storiogra a sociale ed economica del Mezzogiorno : “Di fatto il Regno di Napoli esporterà,
per tutto il Settecento, olio, seta, grani, soda, lana ed importerà manufatti. […] sarà, per
Inghilterra e Francia, paesi ricchi di manifatture, un punto di riferimento vitale per quanto
riguarda le materie prime industriali e, seppure con minor continuità, le derrate alimentari.
In sottordine, il Regno costituirà un mercato dove tessuti e altri manufatti anglo-francesi
troveranno la propria collocazione.” E più avanti : “l’importanza del Regno – nel contesto
delle economie sviluppate – sarà quella di serbatoio di materie prime più che di mercato
per prodotti industriali.” macry Paolo, Mercato e società nel Regno di Napoli, p. 483-84.
87
Si veda ancora bevilacqua Piero, “Il Mezzogiorno nel mercato internazionale
(secoli xviii-xx)”, Meridiana, n. 1, 1987, p. 23 e segg.

93
aliDa clemente

La ricerca dei legami tra evoluzione dei consumi e commercio inter-


nazionale induce a mettere a fuoco l’altro aspetto dell’integrazione del
Regno nel mercato internazionale : in questo quadro ci sembra assumere
un ruolo non marginale, ai ni dell’integrazione commerciale del Regno,
il consumo massiccio di Napoli, e presumibilmente del Regno, di beni
di provenienza estera. Come mostrato da G. Pagano De Divitiis, già nel
xvii secolo l’interesse che gli inglesi manifestano per il commercio nel
Mediterraneo meridionale dimora non tanto nell’indispensabilità del
Mezzogiorno come fonte di materie prime, facilmente reperibili in tutto il
Mediterraneo, bensì nella massiccia domanda napoletana di merci estere,
inglesi e coloniali, di fronte alla quale le materie prime industriali comprate
nel Regno svolgono il ruolo di “merce di ritorno”88. L’incremento, la
democratizzazione dei consumi, insieme con l’internazionalizzazione
del gusto, frutto di una vera e propria penetrazione culturale, autorizzano
ad ipotizzare che l’importanza del Regno come mercato di sbocco non
possa che consolidarsi nel corso del Settecento. Del resto, se nel Seicento
il bilancio inglese con l’estero è ancora passivo, sebbene le partite invi-
sibili lo compensino89, i rapporti di forza sono destinati a rovesciarsi. Nel
Settecento l’Inghilterra guarda ancor più verso Napoli con favore, non
tanto perché le sue merci siano insostituibili – olio, grano e tessuti grezzi
sono prodotti in tutto il Mediterraneo90 – quanto per, come rileva Lord
Hamilton, il “prodigious consumption” che si fa in Napoli di mercanzie
di ogni provenienza91.
La crescente importanza dell’Inghilterra come fornitrice di tessuti
e di manufatti in genere, che raggiunge il culmine nella seconda metà
del secolo92, si lega alla diffusione del consumo di beni durevoli e di
decencies da parte dei ceti medi. La sua affermazione va di pari passo
con il declino relativo della Francia come esportatrice privilegiata di
beni di lusso destinati ad un uso decisamente elitario e tradizionale.
Ma anche per la Francia è proprio questo consumo il principale fattore

88
È la tesi di Gigliola Pagano de Divitiis, Il Mezzogiorno d’Italia e l’espansione com-
merciale inglese, in “Archivio storico per le province napoletane”, vol. C, XXI, 1982,
p. 125-151.
89
Pagano De Divitiis gigliola, Il Mezzogiorno d’Italia e l’espansione commerciale
inglese. Rispetto a Napoli, le esportazioni inglesi equivalgono a circa i ¾ delle impor-
tazioni no alla metà del Settecento.
90
salvemini Biagio, “The arrogance of the market : the economy of the kingdom
between the Mediterranean and Europe”, in imbruglia Girolamo (a cura di), Naples in
the Eighteenth century. The birth and death of a Nation state, Cambridge, 2000, 272 p.
91
lo sarDo Eugenio, Napoli e Londra nel xviii secolo, Napoli : Jovene, 1991, 382 p.
92
Nella relazione commerciale del 1784, riportata da Lo sardo, si segnala l’ormai
consolidato mercato napoletano per i velluti di cotone e per tutti i tessuti di Manchester.

94
consumi Di lusso eD economia monDo. il regno Di naPoli nel xviii secolo

di attrazione verso Napoli e il suo regno. Un interessante documento


anonimo rinvenuto di recente presso l’Archivio di Stato di Napoli
de nisce in questi termini l’interesse dei francesi per il mercato
napoletano :
« Su di che dee considerarsi, che a’ francesi è troppo interessante
il commercio del Regno, perché essi vi fanno un consumo conside-
rabile di generi, che tirano dall’America, che se il Regno non glieli
consumasse, resterebbero loro invenduti, né saprebbero che fare.
E perciò sarebbero costretti di portarceli a qualunque condizione. »93
(Anonimo, post 1759.)
Nella versione braudeliana dell’economia-mondo94 elaborata negli
anni Settanta da I. Wallerstein, il processo di formazione di un’inter-
dipendenza strutturale tra aree legate da rapporti commerciali passava
soprattutto attraverso gli scambi di beni primari95. Precisando, ampliando,
e in una certa misura sconvolgendo l’impostazione originaria, l’antro-
pologa J. Schneider ha richiamato l’importanza dei beni di lusso tanto sul
piano della creazione di una connessione economica tra aree differenti,
quanto ai ni della riproduzione dei sistemi sociali e di potere locali96.
Ci sembra che questo schema possa adattarsi al Settecento napoletano,
nel quale il consumo di beni di lusso (vecchio e nuovo) sembra svolgere
una doppia funzione. Sul piano delle relazioni internazionali esso è
la garanzia di un ruolo del Regno, seppur subalterno, nella divisione
internazionale del lavoro ; sul piano degli equilibri di potere interni
è il veicolo di un ordine sociale che sancisce il disciplinamento della
nobiltà attraverso l’ostentazione, e dei ceti medi e medio alti attraverso
l’emulazione, resa possibile dall’importazione di beni alla moda ma di
basso costo.

93
ASN, documento anonimo s.d., post 1759. In attesa di collocazione, il documento ci è
stato gentilmente messo a disposizione dal dottor F. De Mattia.
94
brauDel Fernand, Civiltà materiale, economia e capitalismo. I tempi del mondo,
Torino : Einaudi, 1997.
95
Per una rassegna degli studi sui rapporti centro-periferia e sugli approcci della WSA
si veda chase Dunn C., grimes P., World Systems Analysis, in “Annual Review of
Sociology”, 1995, vol. 21, p. 387-417.
96
In particolare l’antropologa J. Schneider ha richiamato l’importanza del commercio
dei beni di lusso tanto sul piano della creazione delle reti di interdipendenza quanto ai
ni della riproduzione dei sistemi sociali e di potere locali. Il saggio è schneiDer Jane,
“Was There a precapitalist world system ?”, Peasant Studies, 1977, n. VI, 1, ripubblicato
in chase Dunn Christopher and hall thomas, Core-Periphery relations in precapitalist
worlds, Boulder : Westview Press, 1991, p. 45-67.

95
aliDa clemente

Abstract : The article highlights the relationship between the spreading of luxury
consumption in Naples during the 18th century, the integration of international mar-
kets, and the political attempts to establish indigenous substitute manufactures. The
exotic taste for the new luxury, condemned by local economists as the main reason
for the weakness of Neapolitan economy, because of its growing dependence on
imports, is tested on a sample of post-mortem inventories. This source, widely used
in historical research about material culture in the early modern period, sometimes
contains information about both imported luxuries and indigenous “foreign style”
goods, showing at a micro level the effects of that growing globalization of taste and
market, that the central policy unsuccessfully tried to contain.

96

Potrebbero piacerti anche