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Questo libro è un omaggio a Lucca, al suo

fascino di gloriosa citta’ storica


e all’Amore perenne che ho da sempre per
Essa e che per sempre avro’.
Mossi dallo stesso sentimento nei confronti
di “Lucca Signora”
collaborano alla stesura di quest’opera,
oltre a me,
personaggi di spicco in seno all’eccezionale
Gruppo facebook
“La parola all’immagine,”
che si muove per l’Arte e con l’Arte.
Le foto presenti in questo libro sono inedite
a cura
dei Master Photographers,
appassionati di fotografia,
che hanno fotografato Lucca
in angolazioni diverse dalle solite
e pur belle foto di sempre,
mettendo in ognuna di esse,
il loro cuore lucchese,
per una Lucca
“come non l’avete mai vista.”
E il cuore ce l’hanno messo anche tutti gli
altri che partecipano al Gruppo e che sono
gli Artisti, Scrittori, Poeti, Pittori, Scultori,
Musicisti, Attori, Performers e Grandi
Amici del Gruppo suddetto:
“ La parola all’immagine.”
Siamo “qui” insieme, per cercare di rendere
la magica atmosfera che regna a Lucca e
che si snoda per le vie del suo centro storico
ma anche lungo la campagna circostante.
Se non siete mai stati a Lucca è tempo che
veniate, per regalarvi un’emozione intrisa
di storia antica che riesce a palpitare come
viva, ancora oggi.
“Lucca forever”
è dedicato a tutti coloro che amano
Lucca e che l’ameranno sempre...
con il cuore e con il pensiero.
Fabrizia Vannucci
Lucca

e la sua storia
Non si conosce, con esattezza l’origine Sempre in questo periodo fu realizzata la
della città di Lucca ne quali siano stati i prima cinta muraria.
suoi primi abitanti. Lucca rappresentava un centro tanto im-
Si ipotizza una presenza dei liguri (il portante per l’Impero Romano che, nel 55
nome “Luca” deriverebbe da “luk”, a.c., vi si incontrarono gli attori del primo
radice celto-ligure che sta a significare un triunvirato
luogo paludoso) i quali, successivamente
incalzati dalla pressione degli Etruschi,
impararono da questi ultimi, nonostante
le dispute, la capacità di approntare dei
canali dove far scorrere le acque e liberare
dagli acquitrini ampie porzioni di terreno.
Non va infatti dimenticato che la zona su
cui sorsero i primi insediamenti umani era
fortemente paludosa e sovente inondata
dalle periodiche alluvioni del fiume Serchio
Lucca si trova in un’ampia conca che si
estende dall’Altipiano delle Pizzorne ai
Monti Pisani. Il suo primo, vero sviluppo
ebbe inizio in epoca romana (180 a.c.),
come la costruzione dell’antico nucleo
della città stessa testimonia: sono, infatti,
ancora ben visibili il cardo (via Fillungo-
via Cenami) e il decumano (via S. Paolino-
via Roma-via S. Croce), ovvero gli assi
lungo i quali si espanse l’insediamento
romano, con il suo foro (l’attuale S.
Michele) e l’anfiteatro. Foto Claudio Lazzerini
Caio Giulio Cesare, Gneo Pompeo
Magno e Marco Licinio Crasso.
A partire dal 400, Lucca venne
occupata prima dagli Ostrogoti, poi
dai Bizantini, quindi dai Longobardi,
sotto i quali divenne, nel giro di pochi
decenni, uno dei centri più impor-
tanti del regno, anche grazie al Volto
Santo, che portava in città moltissimi
pellegrini in viaggio verso Roma,
lungo la via Francigena, collegamen-
to tra Roma stessa e Canterbury.
Nel 773, la città entrò a far parte
dell’Impero Carolingio. Lucca non
solo conservò una posizione di
rilevanza nell’impero, ma riuscì
anche a dare il via a un periodo
di grande crescita, in buona parte
fondata sull’economia legata alla
produzione della seta.
Nel Medioevo, l’antica colonia
romana divenne uno dei centri più
importanti in Italia, tanto da rivaleg-
giare con Firenze, battuta dall’armata
lucchese capitanata dal nobile
condottiero Castruccio Castracani
degli Antelminelli.
Con la morte di Castruccio, però, si
aprì un periodo di grande confusione
politica in città, tanto che Lucca, nel
1343, passò sotto il controllo di Pisa,
dalla quale si liberò solo nel 1372,
grazie all’aiuto dell’Imperatore Carlo
IV di Boemia.
Dopo una breve parentesi
repubblicana, la città divenne di
nuovo un ducato, sotto Paolo
Guinigi (marito di Ilaria dal Carretto).
Nella seconda metà del
Quattrocento, reta da un nuovo
governo repubblicano, Lucca riuscì a
rilanciarsi a livello europeo, grazie al
commercio e all’attività dei suoi abili Foto Claudio Lazzerini
banchieri.
Foto Claudio Lazzerini

Tra il 1400 e il 1500 la città cambiò il suo volto, abbattendo le torri medievali e
costruendo la cinta muraria che tutt’oggi la caratterizza. Lucca visse in pace e rimase
una repubblica fino al 1799, anno in cui la città venne invasa dalle truppe napoleoniche.
Il condottiero francese, però, le concesse lo stato di Repubblica, fino al 1805, quando
la trasformò in un principato costituzionale, governato dalla sorella dell’imperatore,
Elisa Baciocchi e da suo marito Felice Baciocchi. Nel 1815 dopo il congresso di Vienna
Lucca passò sotto il controllo di Maria Luisa di Borbone.
Il 1847 fu un anno storico per Lucca: Carlo Ludovico di Borbone, figlio di Maria
Luisa, firmò l’annessione della città al gran ducato di Toscana, facendole perdere la
secolare indipendenza. Durante la seconda metà dell’Ottocento, Lucca godette di un
favorevole periodo di sviluppo economico, grazie soprattutto alle sue produzioni tessili
e all’industria della carta. Nel Novecento, la città proseguì sulla via dello sviluppo, fino
alla Seconda Guerra Mondiale. Lucca venne risparmiata dai bombardamenti ma, con il
fronte a pochi chilometri di distanza (Linea Gotica), assistette a violente rappresaglie ed
episodi violenti, come la tristemente nota Strage di Sant’Anna di Stazzema.
La capacità imprenditoriale e il fiuto per gli affari dei lucchesi, fecero sì che la città si ri-
prendesse velocemente dalla guerra e Lucca fu in grado di sviluppare nuovi interessi, non solo
in campo economico, ma anche in quelli legati alla tradizione, alla cultura e al turismo..
Lucca
e la via della seta
La città ha uno stretto legame con la seta proveniente dall’Oriente. Nel duecento, con
l’introduzione e lo sviluppo della tecnologia orientale di tessitura e ricamo della seta,
Lucca divenne un centro tessile e commerciale europeo dei prodotti serici di qualità.
Molti funzionari e dignitari medievali rimasero affascinati dai prodotti serici ricamati
con fili d’oro in stile orientale. Queste stoffe, provenienti dalla Cina e dalla Persia
ebbero una grande influenza sul gusto delle popolazioni occidentali.
Cominciano a venire prodotti a Lucca dei tessuti serici molto preziosi perché ricamati
con filo d’oro, con motivi iconografici decisamente orientali importati dall’Oriente,
per esempio fiori di loto, oppure dragoni, dragoni alati fenici, oppure uccelli di vario
genere, per esempio pappagalli, pavoni o quei cosiddetti uccelli del Paradiso, oppure
animali esotici come scimmie, elefanti, gazzelle, leoni, pantere, orsi, cani di vario
tipo. Quindi c’è un’influenza diretta della moda, del gusto orientale, in particolare
cinese sulla moda dell’epoca europea. Quindi questi tessuti vengono prodotti in
Italia e poi vengono venduti in vari Paesi europei. l’industria lucchese della seta venne
influenzata principalmente dallo stile bizantino, anche se nel corso del XIII secolo, la
seta bizantina venne poi gradualmente sostituita da quella cinese. Grazie ai contatti
con la cultura orientale e alla rinascita dell’industria della seta della famosa città tosca-
na, durante il suo periodo d’oro era possibile vedere dappertutto, a Lucca, macchine
per la tessitura.Un mondo artigianale molto complesso e molto stratificato, per cui è
difficile calcolare il numero esatto, si pensa che in alcuni periodi ci sia stato un numero
maggiore di duemila, perché tanti telai, soprattutto quelli più piccoli e meno
costosi, erano nelle zone di campagna, in quanto i mercanti imprenditori, quelli che
disponevano di capitali e anche delle capacità di business imprenditoriale, affidavano
la seta greggia e quella filata a delle
artigiane, soprattutto donne in
quanto la manodopera costava un po’ Le sete di M.Maddalena Vertuccio
meno, che vivevano nelle campagne, e
addirittura fornivano loro anche il telaio, e
in questo modo il mercante imprenditore
risparmiava un po’ sul costo di produzione
e le famiglie che vivevano nelle campagne
avevano un budget economico più ampio.
Durante il periodo d’oro dell’industria
tessile di Lucca, si sono formati diversi
settori. Le officine di filatura, per i fili
d’oro e d’argento, le tintorie, i laboratori di
ricamo e tessitura, ciascuno con la propria
specializzazione, hanno così creato molte
opportunità di lavoro. Il commercio della
seta ha portato grandi ricchezze alla città.
Si sviluppa soprattutto dal XIII° secolo
e questa industria diventa l’industria più
importante della città.
Si sviluppa la rete molto vasta di commerci e di rapporti economici bancari con il resto
dell’Europa che i mercanti lucchesi riescono a costruire nel tardo Medioevo, si basa
soprattutto sulla disponibilità di questa merce molto preziosa e rara.
Sebbene la tessitura, il ricamo e il commercio della seta di Lucca sia stato famosissimo,
oggi non è più possibile trovare nei musei macchine antiche con cui si svolgeva questo
lavoro. Sul viale principale del centro storico di Lucca, c’è un atelier dedicato ai prodotti
di seta tradizionale lucchese, e probabilmente è l’unica bottega che utilizza ancora le an-
tiche attrezzature. Nel medioevo, la produzione della seta a Lucca si improntava su una
produzione molto lussuosa, quindi veniva usata seta solo di primissima qualità, molto
lucida e molto fine, e venivano realizzati manufatti tessili destinati all’abbigliamento e
all’arredamento di corti e nobili, erano quindi tessuti molto pregiati.
Una delle caratteristiche fondamentali potrebbe essere l’utilizzo di certi disegni molto
classici della produzione serica medievale lucchese, quali per esempio i grifoni e certi
motivi floreali, che avevano subito una grande influenza dall’Oriente, perché la Via
della Seta, seppur convergendosi in certi punti, veniva comunque dall’Oriente.
Anche la seta è stata importata a quel tempo dall’Oriente.
I lucchesi viaggiavano, e certi motivi potevano essere ritrovati nella produzione araba e
bizantina. Se si conosce in modo approfondito Lucca, è possibile scoprire che l’influenza
della seta è stata impressa dal tempo su ogni mattone e su ogni tegola: il logo della
Commissione di Arbitrato Commerciale di Lucca adotta la figura usata dai
commercianti lucchesi di seta, dalla superficie della parete di una chiesa del centro
storico, è ancora possibile vedere le misure di riferimento per costruire le macchine per
la tessitura. Oggi il canale Ozzeri, lungo il quale erano disposte le antiche botteghe
della seta, scorre lento e placido, e i
magnifici palazzi e le ville costruite
grazie alla ricchezza portata dal
commercio della seta sono i testimoni
silenziosi dell’importante significato di
questo tessuto per la città di Lucca.
Una città Signora del commercio dunque,
che puo’ vantare negozi centenari, curati
da grandi commercianti, che hanno reso
ancor piu gloriosa la storia di questa
splendida ed unica citta’, Lucca.
Nelle prossime pagine troverete un racconto
di Ester Giannasi, geologa e scrittrice e
preziosa amica del Gruppo “La parola
all‘immagine”, che racconta, in quanto
vissuto in prima persona, un aneddotto
legato ad uno dei piu’ grandi e storici
negozi di Lucca e cioè Marsel Martini Via
Fillungo 89, proprio di fronte all’Antico
Caffe’ Di Simo.
Foto Claudio Lazzerini
Pur non essendo lucchese di nascita e legata alle sue radici di emiliana,
Ester Giannasi è entrata giovanissima a far parte di una nota famiglia
lucchese, la famiglia Martini e ha sempre vissuto in questa città, nei
primi quindici anni di matrimonio nel cuore di Lucca, vicino a Piazza
dellAnfiteatro, poi a Sant’Anna, dove abita ancora.
Fa parte di un gruppo di scrittori dilettanti (Amici sopra le righe).
Per passione, le piace scrivere brevi racconti di memoria.
“Bimba avrei voglia di festeggiare, sono esattamente 25 anni che esiste
questo negozio, ho comprato il palazzo nel ‘52, quando è nato Giorgio
(colui che è diventato mio marito): non so, a volte penso che questo bimbo
piccolo piccolo mi abbia dato il coraggio di buttarmi in questa avventura,
il mio primo nipotino, che portava il mio nome, mi faceva uno strano
effetto, avevo 47 anni ed ero nonna, e proprio in quel momento si
presentava una opportunità, era all’asta , a un prezzo molto conveniente,
questo palazzo.
Sai, sono stata l’unica persona a presentarsi, nessun altro.”
“ Nonna Giorgia, però lei lo ha voluto chiamare Mar Se L, un passaggio
di responsabilità ai suoi figli, Sergio e Luciano, come a dire io sono la
nonna, e ora tocca a voi, vero?”
“ Si, volevo questo. Alleggerirmi un po’ , adesso toccava a loro.”
“ E Nonno Martini era sempre d’accordo?”
“ Per fortuna lui mi ha sempre obbedito, in tutto.”
Questa signora minuta dall’aspetto curato ma affatto vistoso doveva
essere stata un leone, non avevo dubbi, dal suo sguardo si leggevano le
fatiche ancora vive, lei che parlava pochissimo, e piano, e solo per dire
qualcosa, mai a caso, ora trascorreva il tempo nel suo negozio, a fare
dieci ore al giorno l’uncinetto , ma nel silenzio controllava tutto, e tutto
vedeva.
“ Nonna Giorgia, quando c’era la guerra, lei aveva i bimbi ancora
piccoli, e già aveva un negozio, prima di questo , in Via Fillungo...”
“ Si, proprio accanto a Beppe il giornalaio. Sai, io mi alzavo la mattina
presto e uscivo alle 6, i miei bimbi dormivano, quando rientravo loro
erano già a letto, non li vedevo mai. Erano i primi tempi che a Lucca
avevamo le confezioni di abbigliamento, i signori andavano tutti dai sarti,
bisognava convincere che c’era qualità anche nel “pronto”. Io passavo
le notti a pensare come ampliare la clientela, e mi venne un’idea. Propo-
si alle donne che conoscevo e lavoravano alla “ Cucirini Cantoni” di
portare le loro colleghe, e i mariti, avrei fatto a tutti uno sconto del dieci
per cento. Cosi’ , con questo stimolo abbiamo raccolto una larga fascia
di clienti, tanto che nel ‘62 il nostro negozio vinse la medaglia d’oro della
Lubiam per le maggiori vendite in tutta Italia. “
“ Grande!!!..E ha avuto altre idee?”
“ Bhe, la pubblicità ce l’ha fatta la qualità, direi”
Una donna imprenditrice di struttura solida, che aveva attraversato la
guerra da giovane madre, senza piangersi addosso mai, ora era una
anziana signora, ancora bella, che si concedeva la civetteria di una
camicetta col pizzo che spuntava dal polsino del golf, niente trucco, ma
capelli sempre a posto , qualche gioiello di buona fattura, grazioso.
Mi piaceva, e io piacevo a lei, che si apriva ai ricordi, come faceva molto
di rado, e, se iniziava, spesso troncava di botto, spazientita dalla poca
attenzione.
Io invece la ascoltavo volentieri, e quel giorno, nelle vacanze di Natale,
ero contenta di essere li con lei, ed essere messa a parte di una storia,
la storia del Marsel, di cui oggi mio figlio è il più piccolo degli eredi.
Le due Arti, la seta e la pittura
Maria Maddalena Vertuccio
Lucca Signora ed i suoi Artisti

Passeggiando per le vie di Lucca


si possono ancora ritrovare i
motivi usati nella decorazione
delle prime stoffe lucchesi scolpiti
negli stemmi di pietra degli antichi
palazzi nobiliari.
Nel cuore della città, si può
trovare una traccia della seta,
che ci riporta al duro e paziente
lavoro manuale sui telai di legno,
alla magia e alla perizia di questa
antica lavorazione.
Sono le donne delle “Antiche
iniziato nel 1978, la carriera artistica, dipingendo
Tessiture Lucchesi” che in un
dapprima tessuti per la moda e arredamento, ma
nuovo laboratorio-atelier espon-
orientandosi poi verso un suo percorso creativo e
gono vestiti, sciarpe, stole ed
personale, ottenendo ottimi e gratificanti risultati.
altri preziosi accessori creati con
Il suo “arco creativo” s’è sviluppato all’insegna
grande sapienza. Ma, a Lucca,
della grazia e della soave impalpabilità, come
c’è un altro personaggio che si
appunto è la seta; scaturito da un’intensa passione
adopera nel “segno della seta”,
d’autodidatta, è andato passo dopo passo, sempre
aggiungendo arte all’arte, un
piu’ arricchendosi, in virtù di un paziente tirocinio
personaggio di spicco per la
artigianale tanto che, proprio l’aspetto tecnico
grande passione artistica che la
così personale del suo linguaggio, “dipingere sulla
anima e la porta a creare
seta”, è diventato decisivo della sua poetica.
mirabili ed affascinanti opere
come le sue pitture sulla seta,
versatili e leggiadre, queste opere
infatti possono essere sia tele che
abiti, sciarpe, scialli, foulard
leggeri quasi eterei, dai
meravigliosi colori, un vero e
proprio bagno cromatico, salu-
tare per la mente ed il corpo.
Lei è Maria Maddalena Vertuccio
nata a Teggiano (Sa), dopo un
lungo periodo vissuto a Bologna,
è ormai lucchese d’adozione da
diversi anni ed è a Lucca che ha
Già da bambina era attratta
dalla cura dei bachi da seta,
l’affascinava l’allevamento dei
bachi o bachicoltura, detta anche
sericoltura, per la produzione di
bozzoli da cui si ricava il filo di
seta.
L’arte, quella vera e sentita come
passione intensa, già la chiama-
va a se e Maria Maddalena non
si smentisce, diventando cosi’
una delle artiste piu’ preparate
che dipinge oltre che sulla seta,
anche sulla ceramica e sulla
cartapesta; si è dedicata anche alla
incisone tipografica.
Vertuccio si esprime anche
con la Land Art, forma d’arte
contemporanea che consiste
nell’intervento diretto dell’artista
sul territorio naturale, specie negli
spazi incontaminati come deserti,
laghi salati, praterie ecc.
Dipinge, inoltre, in modo
tradizionale (acquerello, tempera,
acrilico, olio) su qualsiasi supporto
possibile.
In ognuno dei suoi poliedrici per-
corsi artistici, Maria Maddalena è
alla ricerca di quella spiritualità
cosi anelata dal vero artista e cosi
necessaria per intuire il mistero
dell’anima, la chiave d’accesso
per andare “Oltre”, nel continuo
divenire artistico che arde costante
come sacro fuoco d’ispirazione e
creazione.
Molto attiva sempre, l’artista non
tralascia niente che abbia un qual-
siasi risvolto artistico e cerca, con
la passione che la contraddistingue,
di trasfondere negli altri questo
suo grande amore per l’arte e
soprattutto ai giovani, che incontra
spesso nel suo impegno sociale. E’
una profonda conoscitrice dei doni
che Madre Natura mette a dispo-
sizione e sostiene l’importanza del
mondo naturale che, magicamente,
ci mette in contatto con l’Armonia
Universale, facendoci vibrare
armonicamente e restituendoci
serenità e salute, grazie anche ad
un percorso olistico in cui Maria
Maddalena eccelle.
Perché lei è un’artista a tutto L’impegno con i giovani per trasfondere
tondo, pura simbiosi di ispirazione e in loro l’amore per l’Arte ed alcune opere
conoscenza. La sua pittura su seta, di Maria Maddalena Vertuccio
inclinazione artistica che la lega a
Lucca, proprio per la sua via della
seta, è “un tripudio cromatico che
esprime l’emozione gioiosa d’ogni
nascita e d’ogni primavera”.
I colori tenui, le sfumature, i delicati
tessuti, le ardite “macchie” di colore,
le figure intravedibili e sfuggenti in
un ambiente rarefatto, tutto parla
della sua espressione artistica come
un rimando al mistero. Un mistero
fatto di sensazioni e di impressioni,
di sentimenti lievemente accennati,
intrisi di una volontà tesa a
comunicare lasciando al contempo
piena libertà di interpretazione al
visitatore. E lei tiene molto a questo,
all’interpretazione degli occhi degli
altri che ammirano le sue opere e
che ne ricavano emozioni, infatti,
non è difficile, durante una delle sue
mostre, sentirsi chiedere dall’artista
in persona:”ma lei, cosa ci vede in
quest’opera”? Dal 1984 Vertuccio
espone a livello artistico in Italia e
all’estero, in collettive e persona-
li, molte delle quali anche a Lucca, Sue opere sono presenti in collezioni private in
riscuotendo sempre grande consenso di Italia e in Inghilterra.
pubblico.
Al momento in cui scrivo, Maria Maddalena sta riscuotendo l’ennesimo grandissimo
successo grazie alla Triangolare di Pittura e Scultura in cui espongono, assieme a
lei, altri due grandi artisti lucchesi, la pittrice Maurizia Cardoni e lo scultore Franco
Pegonzi. La mostra celebra i trent’anni dell’Associazione Ucai Lucca, si tiene nella
chiesa di Santa Giulia, una delle piu antiche chiese della città e richiama una grande
affluenza di pubblico.

Lucca annovera nel suo eccezionale


passato storico e nell’epoca attuale
grandi nomi, che hanno portato e
contribuito ad accrescere la sua gloria
in tutto il mondo,
ed oggi dice “grazie”
a Maria Maddalena Vertuccio per il suo
impegno artistico che rende a questa
storica città, ancora piu’ onore e gloria.

Fabrizia Vannucci
Giovanni Parensi, uomo di cultura,
scrittore e poeta, si diletta anche a
recuperare il vernacolo lucchese
mettendolo in versi. Naturalmente
è anche uno degli storici Amici
del Gruppo
“La parola all’immagine”
A spasso per le vie di Lucca
con le foto di Giuditta Pieroni
Lucca riflessa
la città vista attraverso gli “scatti” dei lucchesi
Centro Storico

Piazza
dell’Anfiteatro
Piazza dell’Anfiteatro è uno
dei luoghi simbolo di Lucca,
oltre che, probabilmente, lo
scorcio più bello e suggestivo
di tutta la città.
Sorge nel luogo esatto in cui
un tempo si trovava l’antico
anfiteatro romano, risalente
al II secolo d.c. e di cui an-
cora oggi la piazza conserva
la tradizionale forma ellittica.
Durante il Medioevo, Piazza
dell’Anfiteatro era il punto Foto Giuditta Pieroni
d’incontro privilegiato della
società lucchese. Qui infatti
si svolgevano le riunioni Da quel momento e fino alla prima metà del Novecento,
dei cittadini, sempre qui Piazza dell’Anfiteatro divenne la sede del mercato
sorgevano edifici di notevole cittadino.
importanza sociale come ad Oggi la piazza rimane un centralissimo punto di ritrovo,
esempio il deposito del sale e con moltissimi negozi e bar ricavati all’interno di antichi
la polveriera. locali. Si accede a Piazza dell’Anfiteatro attraverso
Nel 1830, su progetto quattro archi collocati in punti diversi.
dell’architetto anche egli luc- Ad oggi il piano della piazza, sulla quale si aprono
chese, Lorenzo Nottolini, la numerosi negozi, è rialzato di circa 3 metri rispetto
piazza assume l’attuale strut- all’arena romana.
tura, con la demolizione dei L’accesso alla piazza è possibile tramite 4 porte a volta,
piccoli edifici che fino a ma solo una di queste, la più bassa, ricalca esattamente
quel momento si trovavano uno degli originari accessi.
al centro della stessa e la Una curiosità da notare, è la croce incisa su una
ristrutturazione degli edifici che mattonella al centro della piazza, nel punto di
sorgevano lungo il perimetro. intersezione tra le 4 porte.
Via Streghi. Va da via Fillungo a via Diversi. Bisogna percorrere via Fillungo e,
arrivando dal portone dei Borghi, superare via Mordini per trovare dopo pochi passi
una via stretta e non troppo lunga.
È via Streghi, dedicata a una delle famiglie che nel Medioevo formarono la fortuna
commerciale di Lucca e non solo. Famiglia nobile, quella degli Streghi. La nobiltà, in
quei secoli, tendeva ad andare a braccetto con la ricchezza.
E la ricchezza, agli Streghi, davvero non mancava: erano imparentati con i signori di
Corvaia e Vallecchia (in Versilia) e il loro simbolo araldico era una sbarra d’oro e tre
lune azzurre in campo a scacchi rossi e bianchi.
Oltre alla nobiltà e alla ricchezza c’era il potere. Che si materializzava anche nei
possedimenti immobiliari: come le case e le torri che la famiglia possedeva proprio in
questa zona del centro storico e che spiegano la denominazione della strada.
Gerio Castracani, padre di Castruccio, proveniva da una famiglia che aveva creato la
sua ricchezza grazie ai cambi delle valute e, in seguito, ai mercati con il nord Europa. Si
espansero anche con l’estrazione di metalli e con l’acquisto di svariati immobili a Lucca
e non solo. Insomma, era una delle famiglie più in vista.
Per Gerio fu trovata una sposa all’altezza: Puccia degli Streghi. I due
convolarono a nozze nel 1278 e, secondo quanto raccontato da Manuzio, la sposa rimase
incinta nel 1280 partorendo il primogenito Castruccio nel marzo dell’anno successivo
(tradizionalmente si indica come data il 29 di quel mese).
L’incredibile parto di Puccia e la nascita di Castruccio Castracani.
Il travaglio fu lunghissimo e mise seriamente a rischio la vita della donna, che fu trattata
con molti medicamenti che a un certo punto la fecero addormentare.
«E sognando - scrive Manuzio - le pareva mandar fuori una gran fiamma di fuoco, che
d’intorno ardeva ogni cosa; parendole di rimaner anch’ella in quella fiamma estinta».
Dopo il sogno, prosegue il racconto, «svegliandosi piena di tremore e spavento, partorì
un figliolo di una inaudita e smisurata grandezza, che rese meraviglia a tutte le matrone
e balie».
Dopo quel parto, avvenuto in una casa nella zona di San Benedetto in Gottella, Puccia
divenne sterile, come se avesse instillato ogni goccia della sua energia in quel figlio
enorme, destinato a una vita di grandezza e che fu il condottiero Castruccio
Castracani.

Oggi, della potenza della famiglia Streghi, nel frattempo estinta, non rimane che
quella decina di metri nel cuore stesso di Lucca.
Foto Giuditta Pieroni
Via Fillungo

Foto Giuditta Pieroni

Via Fillungo è la strada principale del dove la famiglia Falabrina, che in via
centro di Lucca. Fillungo aveva le sue case, esercitava il
La via, lunga 700 metri e larga 10, suo diritto di feudo.
all’interno delle mura, è uno dei simboli Nel tempo il nome “Fillongo” si è
più rappresentativi della città, centro delle modificato fino ad arrivare a metà
attività turistiche, commerciali e artigianali dell’Ottocento all’attuale Fillungo che
dei lucchesi. Il nome “Fillungo” deriva tende a richiamare anche la forma della
probabilmente da Fillongo in Garfagnana, via, che si estende lunga e dritta.
San Martino
Foto Giuditta Pieroni
La Cattedrale

ll Duomo di Lucca, di grande impatto città, ma in un parte più tranquilla, proprio


visivo, è molto conosciuto essendo la a ridosso delle mura di Lucca.
basilica più antica di tutta la Toscana. Le Nel 1070 fu completamente riedificato
fondamenta della struttura del Duomo e trasformato a cinque navate da papa
di Lucca risalgono al VI secolo, quando Alessandro II e Matilde di Canossa. Tre
venne fondato da San Frediano, un eremita secoli dopo, vennero effettuate delle altre
fatto vescovo a furor di popolo. La catte- trasformazioni, le navate furono ridotte a
drale di San Martino non è situata al centro tre e la chiesa trasformata in croce latina.
San Martino
La Cattedrale

Foto Giuditta Pieroni

Della precedente ristrutturazione non è e decorazioni a rilievo. Nell’ultima


rimasto quasi niente se non la stupenda galleria superiore, predominano le famose
facciata in stile romanico ricca di colonne annodate, molto probabilmente
complesse decorazioni. La facciata è realizzate dai maestri Comacini. Nel XII
realizzata con marmi dai colori secolo la facciata fu completata con un
diversi, dove il bianco e il rosa si mescolano grande portico a tre arcate che si apre
con il verde, dando vita a brillanti giochi sulla piazza e che un tempo era occupato
cromatici. Ricchezza di colonnine, loggette dai banchi dei cambiavalute per pellegrini.
Il Caffè delle Mura

Foto Giuditta Pieroni

Lungo il bastione, sul decumano che porta preesistente casermetta militare in luogo
dritti al Palazzo Ducale, in una posizione a di ritrovo proprio al centro del baluardo
dir poco strategica, si trova l’Antico Caffè Santa Maria. luogo di sosta e di ristoro,
delle Mura, antica gloria cittadina. Il Caffè del ritrovo e dell’appuntamento, luogo
delle Mura è a tutt’oggi un’importante urbano creato a immagine e somiglianza di
testimonianza di architettura ottocentesca quelli delle più importanti città europee.
realizzato nel 1840 per volontà di Carlo Qui generazioni di Lucchesi si sono dati
Ludovico di Borbone che trasformò una appuntamento per feste, eventi e incontri.
I RACCONTI
DELLE
MURA

Foto Cladio Lazzerini


Foto Claudio Lazzerini
Gian Paolo Licheri
Gian Paolo Licheri è fra gli Amici Storici del Gruppo “La parola
all’immagine” in cui brilla come uomo di cultura e “di penna” per la sua
straordinaria dote narrativa, grazie alla quale, ci fa rivivere momenti di
vita lucchese che in questo modo non vanno dimenticati e che ritornano a
noi intrisi della stessa atmosfera in cui accaddero. I suoi racconti sono un
respiro nel tempo di ieri, leggerli è il viaggio in un vissuto il cui ricordo ci
scalda dentro...e qui è il caso di scrivere cio’ che scrisse il Cervantes:
“La penna è la lingua dell’anima.”
I Racconti delle mura

Avevo sempre ritenuto che fosse un pino e forse lo era perché nei pressi della
sua vecchia dimora ci sono oggi alcuni pini, però per come lo ricordo, poteva
essere anche una quercia. Era comunque una pianta bellissima. D’estate
dominava fiera e solenne il paesaggio con la sua grande chioma, un enorme
ombrello di color verde cupo che stava li a farsi rimirare ed a proteggere la
radura e la collina. Molte persone della mia età se la ricordano certamente.
Mi piacerebbe poter trovare da qualche parte fotografie dell’epoca.
Sdraiato all’ombra dei pini nel cortile dell’INCIS o nei campi vicini,
nella calura estiva, l’ammiravo nella sua imponenza e fantasticavo sulla sua
età, su quante generazioni l’avessero curata ed ammirata, su chi potesse in
quel momento usufruire della sua fresca ombra sotto la quale si doveva stare
divinamente.
Oggi dai miei vecchi punti di osservazione non è più possibile avere la visione
di allora a causa delle costruzioni che hanno progressivamente invaso la
piana a partire dal primo dopo guerra; si può scorgere soltanto il crinale
della collina più alta. Per poter distinguere meglio la radura, dopo aver
girato parecchio e fatto fotografie da ogni parte, ho scelto questa
fotografia fatta nell’autunno del 1994 dalla finestra del mio ufficio in via
di Ronco quando il Piscilla uscì dagli argini. Oggi la piccola radura che
si vede sulla destra nella fotografia è ancor meno visibile perché molto
rimpiccolita a causa dell’invasione di cespugli e rovi ed in parte perché
nascosta dalla vegetazione spontanea che la sta lentamente cancellando.
Le case più prossime oggi sono disabitate e vanno lentamente in rovina.
Nessuno segue più la campagna circostante con la cura di una volta.
La grande pianta era a dimora proprio alla sommità della suddetta
radura che d’estate assumeva un colore giallo oro perché allora quei piccoli
campi in pendenza, sembra incredibile, venivano coltivati a grano.
Il giallo oro dei campi faceva ancor più risaltare il verde scuro della pianta.
Un “Van Gogh” incastonato nelle colline di Gattaiola.
Per una quindicina d’anni attorno ai sessanta, sono stato più volte assente
per lavoro da Lucca anche per periodi molto lunghi. Al ritorno da una di
queste assenze, non ricordo l’anno, guardando verso le colline mi accorsi che
l’albero non c’era più.
I Racconti delle mura

Provai incredulità, sorpresa e dolore nel vedere il “mio” paesaggio più


familiare depauperato del suo elemento più decorativo. Dovevo per
forza sapere il motivo di quella mutilazione. Tante volte nel passato avevo
affrontato in bicicletta i tornanti della strada che porta alla collina, in
solitaria o in scorribande con i miei amici. In quest’ultimo caso la corsa
finiva sul traguardo ideale costituito dal campanile della chiesa di
Pozzuolo. Lì finisce la salita e poco dopo anche la strada asfaltata che
termina sull’orlo del bosco riducendosi a sentiero; il sentiero che porta ai
Quattro Venti. Detto fra noi spesso arrivavo prima io perché in salita me
la cavavo discretamente e conoscendo la strada a perfezione sapevo dove
spingere e dove rifiatare.
Ripresi quindi la mia bicicletta ed affrontai la familiare salita.
Avvicinandomi alle case vidi un uomo che faceva pulizia lottando con le
erbacce. Mi guardò con fare piuttosto sospettoso. Evidentemente non voleva
intrusi. Senza tergiversare ma con molto tatto, per non irritarlo, gli chiesi
notizie della pianta e del motivo della sua scomparsa.
Cambiò immediatamente atteggiamento. Mi si avvicinò e mi disse che anche
lui era molto dispiaciuto di aver perso un simile gioiello della natura del
quale andavano fieri lui e tutti gli abitanti di quelle case.
I Racconti delle mura

Mi raccontò che, secondo leggende dette a veglia dai vecchi, la pianta


aveva molti secoli di vita e mi narrò che pochi mesi prima, durante un
violento temporale con pioggia, vento e tuoni il gigante era sta stato colpito in
pieno da un fulmine che aveva fatto tremare la collina ed aveva squarciato il
tronco riducendo talmente a mal partito la pianta da non poter essere salvata
neppure in parte.
Restammo lì un po’ a chiacchierare sull’argomento dopodiché lo ringraziai
e lo salutai. Inforcata la bicicletta me ne tornai sui miei passi bruciando i
freni in quei numerosi ed insidiosi tornanti.
Ero dispiaciuto e rassegnato perché mi rendevo conto che quella piccola
tessera della mia infanzia era svanita per sempre non avendo davanti a
me abbastanza anni da vivere per poterla recuperare anche se a qualcuno
venisse l’idea di ripiantarla.
Foto Claudio Lazzerini
I Racconti delle mura

Gli spalti sono divisi in due dal canale Piscilla.


I Lucchesi lo nominano generalmente al femminile, la Piscilla; qualcuno lo
chiama chissà perché la Piscilla. E’ il proseguimento del canale che proviene
da Ponte a Moriano, scorre in città dove è detto “i fossi”, passa sotto la ex
manifattura dei tabacchi ed esce fuori dalle mura urbane per andare poi a
buttarsi nell’Ozzeri e con lui nel Serchio.
Era l’autunno del 1944. I tedeschi se n’erano finalmente andati e noi,
padre, madre ed allora cinque figli, poi diventati otto, sfollati per dieci mesi
a Segromigno in Piano, eravamo da poco rientrati nella nostra casa di Lucca
trovando gli Americani attendati nei dintorni ed all’interno del nostro grande
cortile dell’INCIS.
Avevo sette anni e col mio fratellino Antonio che ne aveva quasi due,
disubbidendo ai genitori, mi ero recato al campo Balilla, così viene
chiamato ancora, dove si erano accampati i soldati americani che a fine
giornata lavorativa si rilassavano facendo attività sportive e jazz.
Ci divertivamo e se andava bene rimediavamo qualche caramella o un
pezzetto di cioccolata; se andava benissimo l’ambita “sciangomma”.
Il ponte della circonvallazione sul Piscilla era stato fatto saltare dall’ultimo
tedesco in fuga che, non avendo dosato bene la miccia, morì nell’esplosione
mentre tentava di allontanarsi in motocicletta.
Il corpo era orribilmente sfigurato e per farne il triste riconoscimento fu
convocata una sua
amante lucchese che pare
abitasse nei dintorni.
Il campo Balilla era difeso
da recinzione con filo
spinato, l’unico accesso
possibile era attraverso
un ponte provvisorio sul
Piscilla a metà fra le mura
e la circonvallazione,
costituito da scempiato di
tavole poggiante su grossi
travi di legno distanti più
I Racconti delle mura
o meno un metro l’uno
dall’altro.
Questo passaggio però,
per ragioni di sicurezza,
ad una certa ora della
sera veniva impedito
rimuovendo le tavole.
Quel pomeriggio, resomi
conto dell’ora inoltra-
ta, mi incamminai con
Antonio verso il ponte.
Troppo tardi. C’erano
rimaste soltanto le travi.
Fui preso da panico e
disperazione, pensando alla
certa e severa punizione che mio prezioso carico. Dopo un tempo lungo
mi aspettava se qualche un’eternità riuscimmo a raggiungere la sponda
soldato, nella migliore opposta. Spinsi in avanti Antonio e io subito
delle ipotesi, mi avesse dietro, aggrappandoci ai primi ciuffi d’erba
preso per un orecchio ed che ci capitarono fra le mani. Poi ci tirammo
accompagnato a casa. Non su, stremati ma salvi. Una ripulitina e di corsa
vedendo altra soluzione a casa. Passo spesso di lì passeggiando con
raccolsi le forze e le Angela, guardo verso il basso ed ogni volta il
idee. Terrorizzai Antonio ricordo si rinnova.
prospettandogli la fine che
avremmo fatto se avesse
eseguito qualche movimento
inopportuno, gli imposi di non
guardare in basso, lo misi sedu-
to a cavalcioni sul trave , mi
sedetti dietro a lui in aderenza
e con piccoli movimenti, prima
lui, poi io, tenendo entrambi le
mani saldamente aggrappate
al trave, guardando fisso il
campo di fronte, cominciai
lentamente la traversata con il
I Racconti delle mura
I Racconti delle mura
Questa era la finestra della cucina
di casa mia fino alla fine degli anni
cinquanta.
Qui si vede tristemente chiusa ma a
quei tempi nella bella stagione era
sempre aperta, addirittura spalancata. Il
bugnato esterno forniva gli appigli gius-
ti per arrampicarsi e salire facilmente
in casa per cui d’estate diventava la
nostra scorciatoia per entrare ed uscire.
Il muro perimetrale era talmente spesso
che si stava comodamente seduti sul
davanzale con le gambe a penzoloni.
Non c’erano grandi rischi allora ma
una volta mamma vide sbucare nello
specchio della finestra la testa di uno
sconosciuto. Lei decisa gli urlò: che ci fa qui lei? Non ebbe il tempo di dirgli
di andarsene che lui era già sparito e non si è mai saputo chi fosse. Tanto era
spesso il muro che d’inverno, di notte, la finestra ospitava un mobiletto con
telaio in legno e retino metallico, da noi definita generosamente ghiacciaia che
occupava lo spazio fra finestra e persiana. Non per nulla l’INCIS era il rifugio
antiaereo di tutta la zona.
Per consentire l’accesso dall’esterno era stata aperta la muratura al di sotto
di alcune finestre basse delle cantine: una per ogni palazzo. Era appena finita
la guerra e chi aveva soldi, non so se per ricchezza precedente o perché fatti al
mercato nero, cominciò a comprare i campi per costruirci e speculare. Fu per
molto tempo un nuovo interesse per noi bambini perché vedevamo cose fino
ad allora sconosciute. La buca per spengere la calce, gli scavi di fondazione
tutti rigorosamente fatti a mano, i pali in legno per consolidare le fondazioni
stesse piantati a mezzo di un’enorme cilindro metallico munito di una robus-
ta corda passante da una carrucola. Quest’ultima era fissata ad un enorme
treppiede. Al ritmo di “oh dai”, “oh issa” per la contemporaneità nello sforzo,
la mazza veniva sollevata in alto e poi lasciata andare tutta d’un colpo fino
a sbattere sulla testa del palo che ad ogni colpo si infilava sempre di più
nel terreno fino a rifiuto. Poi, gettate le fondazioni, seguivano tutte le altre
operazioni che per noi erano pura didattica edilizia. I campi erano a
quota inferiore rispetto a via Pascoli e noi, seduti sul ciglio guardavamo
interessati e dialogavamo con muratori e manovali che portavano in testa una
bustina fatta di carta di giornale e stavano generalmente in canottiera. Quando per
il troppo caldo se la toglievano gli rimaneva disegnata sulla pelle che non aveva
assorbito i raggi del sole. Erano curiosi, mezzi bianchi e mezzi neri.
A Maggio ed a Luglio, all’ora giusta, mamma alzava il volume della radio e noi
ragazzi, fratelli e non, correvamo sotto la finestra per ascoltare la radiocro-
naca delle fasi salienti del giro d’Italia e del tour de France. All’inizio facevamo
passaparola con i lavoratori che di là dalla strada chiedevano notizie. Questi
poi, ottenuta autorizzazione dai loro capi, cominciarono a venire sotto la finestra
nell’imminenza dell’arrivo. Mamma applicò una prolunga al cavo elettrico della
radio e la posò direttamente sul davanzale dandole il massimo del volume. Durante
la radiocronaca venivano spesso passati agli assetati bicchieri d’acqua fresca del
rubinetto , tanto fresca che appannava il vetro. Era uno spettacolo.
Bartaliani e Coppiani si dividevano in parti più o meno uguali e quindi il tifo e
le discussioni erano accesissime. Dopo l’arrivo loro, soddisfatti o delusi per il
risultato, via di corsa al lavoro e noi ai nostri giochi portandoci dietro gli
strascichi della discussione.
LUCCA SIGNORA

Foto Claudio Lazzerini


SCRIGNO D’ARTE
C’era una volta Lucca e a raccontarla attraverso
l’espressione artistica pittorica, è Maurizia Cardoni,
lucchese di nascita e grande artista per sua natura.
E’ lei che, grazie ai suoi leggiadri pennelli, detiene
lo scettro della soave narrazione di usi e costumi
propri di quella grande Signora dell’Arte che è
Lucca, Signora dellArte esattamente come lei.
Maurizia Cardoni, attraverso le sue mirabili opere,
non “racconta” il fasto glorioso e storico di Lucca,
che facilmente possiamo trovare sui libri, lei esprime
visivamente i ricordi legati alla vita degli abitanti
della citta, evoca fatti e persone che fanno parte di
un vissuto che oggi si potrebbe chiamare folklore,
ma che in realtà, rappresenta uno stile di vita che ha
permeato per decenni il quotidiano divenire della
cittadinanza lucchese. I suoi flash evocativi, i suoi
ricordi riportati magistralmente sulla tela e calati in
una dimensione spazio tempo surreale, come fosse
“il palcoscenico dell’anima”, ci infondono dolci
emozioni e serena tranquillità, mentre ci rammen-
tano un tipo di esistenza ancora a misura d’uomo,
per cui è innegabile la nostalgia! Lo stile pittorico di
Maurizia non somiglia a nessun altro anche se fior di
critici si ostinano a trovarvi richiami che attingono alle
piu’ disparate correnti pittoriche. Certamente tutto
cio’ che lei dipinge è un sapiente sunto dei suoi studi
artistici ma cosi finemente elaborato, attraverso una
sensibilissima attività interiore, da rendere unica
e quindi solo sua,“la sua arte”. Gli artisti sono le
colonne della storia spicciola di tutti i giorni, quella
piu vicina alla realtà e che, passo dopo passo,
costruisce gli eventi. E Maurizia, detta dolcemente
“Izia”, rappresenta uno scrigno prezioso di gemme
rare, che irradiano luce, illuminando gli spazi
oscuri di questo vivere, la luce dei ricordi, che tesso-
no l’intricata tela dell’anima nostra, che ha necessità
di esprimersi attraverso i colori e tematiche visive
che sprigionino emozioni e che Maurizia Cardoni
rappresenta mirabilmente nelle sue opere.
“Lucca forever” e Lucca Signora non puo’ che
ringraziare questa Grande Regina dell’Arte che, con
le sue opere, porta tanto lustro alla sua città e dona
tanto calore all’anima nostra.
Fabrizia Vannucci
“Quando la pittura
diventa poesia”
Maurizia Cardoni
L’Arte della Pittura
Maurizia Cardoni (Izia) nasce
nel 1946 a Vorno, in provincia
di Lucca, dove tuttora vive e
realizza le sue opere pittoriche.
Influenzata fin da piccola dalla
passione artistica del padre e
di una zia, anch’essa pittrice,
all’età di 9 anni ottiene in regalo
una valigetta di colori ad olio e
così incomincia a dipingere con
quelli su ogni superficie che le
capita a tiro. Finita la scuola
elementare conosce il pittore
napoletano Gennaro Luciano
che dipinge en plein air per le
strade del paese; essendo molto
anziano gli arregge il parasole,
gli pulisce i pennelli, osservando
attentamente ogni sua pennellata
e tutto questo è durato per diversi
anni.
Diplomata all’Istituto d’Arte
Augusto Passaglia di Lucca,
dal 1964 si inserisce attiva-
mente nell’ambito artistico con
personali e collettive parte-
cipando anche a vari premi
importanti in Toscana e nel
resto d’Italia.
Fin al 1994 indirizza la
propria arte soprattutto al batik,
raffinata tecnica di origine
orientale che prevede la
tintura dei tessuti a riserva,
ossia coprendo le zone che non
si vogliono colorare con cera o
altri materiali impermeabili.
Dall’anno successivo, però,
abbandona gradualmente il batik e
affina la tecnica dei colori ad olio.
Nelle sue opere vi sono raffigurati personaggi di altri tempi,
in una situazione magica e indefinibile.
Dall’anima della Cardoni sgorga una vena narrativa raffinatissima:
immagini che appartengono ad una misurata lucidità coloristica
e ad un ingenuo e costante incanto delicato, naturale, umano.
Maurizia Cardoni ha ricevuto in questi anni l’interesse della critica e l’apprezzamento
del pubblico.
Non a caso hanno scritto di Lei:
Acconci, Gieirut, Trinci, De Marco, Frescucci, Savoia, Marzocchi, Carlesi, Meozzi,
De Martino, D’Annibale, Fossati, Mucci, Pacini, Vannucci, Andreini. Opere artistiche
della Cardoni fanno parte di varie collezioni private in USA, Canada, Argentina,
Francia, Germania,
Gran Bretagna, Svizzera, Repubblica Ceca e Italia.
Elaborazione grafica di Fabrizia Vannucci
su foto di Daniela Valdisseri
Lucca in vernacolo
Lucca la città che affascina poeti scrittori e musicisti,
il tuo cuore pulsante rapisce viaggiatori passanti e turisti,
i nostri cuori battono per questa città ricca di meraviglie, sa dare gioia di
vivere, i tramonti rosso fuoco dalle mura fanno innamorare e sognare e i
bambini sui prati liberi di giocare, fresche le notti d’estate sulle panchine ad
osservare il cielo limpido e stellato romanticamente perdutamente infinito

Daniela Valdisseri
Lucca Signora vista attraverso l‘occhio dei Lucchesi

Lucca caleidoscopica
Foto di Ugo Baroni

L’ antica porta San Donato, che si trova romanica delle seconde mura, si
sul lato sinistro di piazzale Verdi, fu trova inglobata nella cerchia muraria.
realizzata nel 1590. Il lato ovest della città La soluzione a cui lavorarono Civitali
era difeso ancora dalla cortina medioevale ed in seguito Ginese Bresciani ebbe,
che venne ritenuta debole per cui i lucchesi quindi, vita breve, una cinquantina di
ritennero necessaria una ristrutturazione. anni, venendo sostituita tra il 1629 ed il
Fra tutti i progetti presentati venne scelto 1639 dalla nuova porta di San Donato
quello di Matteo Civitali che prevedeva la eretta verso nord. Si collegarono due
realizzazione di un baluardo a musone e di semi-baluardi, Santa Croce e San Paolino
una porta maestosa. Oggi la porta, sulla cui (ad entrambe fu aggiunto un orecchione)
facciata (quella che dava verso l’esterno con due nuove cortine che formavano
della città) troviamo due leoni di marmo un angolo acuto al cui vertice fu eretto il
originariamente posti nella porta tardo baluardo San Donato.
Lucca Signora vista attraverso l‘occhio dei Lucchesi

Lucca caleidoscopica
Foto di Ugo Baroni

Francesco Burlamacchi, appartenente Firenze, dove Burlamacchi poteva contare


ad una influente famiglia mercantile, su due alleati: i figli di Filippo Strozzi.
ricoprì importanti cariche nella Repubblica Ma un delatore rivelò i dettagli del piano
di Lucca, arrivando ad essere gonfaloniere segreto a Cosimo de’ Medici:
nel 1533 e nel 1546. Il suo ambizioso Francesco Burlamacchi venne arrestato e
disegno politico era quello di liberare rinchiuso nella torre, dove venne
la toscana dalla dominazione medicea torturato. Fu quindi condotto a Milano,
e di riformare al tempo stesso la chiesa, dove il 14 febbraio 1548 venne decapitato.
riconducendola all’antica purezza e povertà. Ancora oggi campeggia in mezzo alla
Il progetto per dare piena autonomia a piazza S. Michele un monumento dedicato
Lucca venne concretizzato nel 1546 con al suo eroico gesto.
una congiura militare che avrebbe dovuto Francesco Burlamacchi
interessare la città di Pisa e Siena e quindi politico (1498-1548)
Lucca Signora vista attraverso l‘occhio dei Lucchesi

Lucca caleidoscopica
Foto di Ugo Baroni

Torre
Guinigi
La splendida Torre Guinigi
s’innalza all’angolo tra via
Sant’Andrea e via delle
Chiavi D’Oro.
Costruita in pietra e
mattoni, la Torre dei
Guinigi è alta 45 metri e si
distingue da tutti gli edifici
del centro storico per gli
alberi che crescono sulla
sua sommità. Tra le torri
medievali, appartenute a
famiglie private, essa è
l’unica che non sia stata
mozzata o abbattuta nel
XVI secolo
Le case della potente famiglia dei messe a dimora sette piante di leccio.
Guinigi sorsero già nel Trecento, Non si sa esattamente quando il
formando un complesso che copriva giardino fu realizzato, ma in
ambo i lati della via omonima. un’immagine contenuta nelle Croniche
I palazzi furono costruiti alla fine del di Giovanni Sercambi (secolo XV), si
XIV secolo: rappresentano l’ultima e può vedere che tra le tante torri di Lucca
più fastosa rielaborazione della casa ve n’era una coronata d’alberi.
lucchese romanico-gotica. Malgrado Si suppone dunque che l’impianto
sia alterata la situazione originaria sulla Torre Guinigi sia molto antico,
perché andarono distrutte tre delle anche se i lecci oggi presenti sono stati
quattro torri prossime al crocevia tra sicuramente ripiantati nel tempo.
via Guinigi e via S. Andrea. Sulla La Torre è diventata col passare del
cima della torre si trova un giardinetto tempo, come la cerchia muraria, un
pensile, costituito da un cassone murato vero e proprio simbolo distintivo della
riempito di terra, nel quale sono state città di Lucca.
Lucca Signora vista attraverso l‘occhio dei Lucchesi

Lucca caleidoscopica
Foto di Ugo Baroni

Acquedotto
Nottolini
Chi si trova a
passare dall’A11, e non ne
conosce la storia, può
scambiarlo per un acque-
dotto romano. Un errore
anche legittimo, ma quello
che si vede dall’autostrada,
pur sfuttandone lo stesso
principio, fu realizzato un
paio di millenni dopo. È
l’acquedotto del Notto-
lini, opera nata all’inizio
del diciannovesimo secolo
per portare l’acqua dalle
sorgenti capannoresi de Le
Parole d’Oro fino a Lucca.

Non dentro le mura, come prevedeva preziosa testimonianza del nostro


il progetto iniziale, ma lì vicino, a San passato. Doppiamente preziosa: per il
Concordio. suo valore tecnico e architettonico e
Oltre tre chilometri di condotta che perché può rappresentare un tesoro da
per quasi 130 anni ha svolto la sua valorizzare. Oggi è un edificio abbando-
funzione. Dal 1833, quando l’acquedotto nato a se stesso, circondato da vecchie
progettato dall’ingegnere Lorenzo impalcature a testimoniare la volontà
Nottolini dopo 10 anni di lavori vide la luce, di un restauro mai fatto. Impalcature a
fino al 1962, quando il progresso, sotto loro volta racchiuse, come il resto del
forma di ampliamento dell’ A11 (che fino a Tempietto, da una recinzione di fortuna.
quel momento passava sotto l’acquedotto, Peccato, magari ripulendo e mettendo in
che era stato modificato ad hoc), non sicurezza l’edificio, e chiudendo la porta di
costrinse ad abbattere troppi pilastri accesso (oggi rotta), potrebbe rappresen-
per pensare di tenerlo funzionante. Il tare un bel punto di partenza (o di arrivo)
tempietto di San Concordio costituisce una per un’escursione nella natura lucchese
I RACCONTI
DELLE
MURA

Foto Claudio Lazzerini


Da qualche giorno gli operai dello stabilimento sono scesi sul sentiero di
guerra. Pare che il nuovo direttore venuto di recente non si comporti bene
con i lavoratori i quali, giustamente, gli stanno facendo opposizione.
Gli operai sono arrabbiatati di brutto, a turni alterni si sistemano
agguerritissimi fra i picchetti davanti ai cancelli e se qualcuno osa
avvicinarsi, magari solo per una mera questione di stipendio o
semplicemente per esercitare il sacrosanto diritto di non essere d’accordo,
viene minacciato senza mezze misure. Di notte la sirena che a cose
normali dovrebbe scandire pacificamente il susseguirsi dei turni suona in
continuazione, disturbando non poco il sonno degli abitanti del paese.
Adesso gli operai sono disposti a file alterne lungo la strada maestra,
badando bene di fare attenzione alle macchine che passano rasenti al
marciapiede. A un certo punto, dalla parte destra, scivolando lungo il
cordolo, su una vecchia bicicletta da donna, si presenta un ragazzino che
avrà sì e no 14 anni e fissa gli operai visibilmente intimorito.
“È il figlio del direttore, è il figlio del direttore! Grida qualcuno a gran
voce e il grido si trasforma ben presto in un’ovazione al contrario.”
L’eccitazione sale, fino ad arrivare alle stelle, adesso le voci mutano in
una sorta di cacofonia alla quale è impossibile resistere. E il ragazzino,
alzandosi sui pedali. cerca di mettere, nel più breve tempo possibile, una
certa distanza fra lui e quella torma inferocita.
“Sei il figlio del direttore?”
“Sì, sono io. Ti ho visto ieri sulla strada. Tu non urlavi in mezzo agli
altri...”
“Io non me la prendo mai con le persone inermi. Tu quanti anni hai?”
“Dodici...”
“Io quattordici e abito qui. E tu di dove sei?”
“Vengo dalla Lombardia...”
“Comunque sei stato davvero forte, li avevi tutti contro...”
“Anche tu sei stato forte. Si vedeva che non eri per niente d’accordo con
loro...”
E il ragazzino lombardo apre le porte del parco della villa signorile dove
abita con la sua agiata famiglia a quello di paese.
Poi il figlio del direttore mostra a un allibito figlio di operai che nonostante
abbia solo dodici anni è già in grado di guidare perfettamente la macchina
e che, sia pure nei limiti del cortile, riesce a compiere delle gimkane niente
male, mentre il ragazzino paesano non trova di meglio che vantare le doti
del nonno... meccanico di biciclette.
E le avventure si moltiplicano, le partite a ping pong utilizzando la
superficie di legno ricavata dall’imballaggio di un macchinario tessile,
le lunghe chiacchierate mettendo a confronto la vita cittadina con quella
paesana, l’anima infantile che a volte riaffiora sfociando in interminabili
nascondini, le irresistibili partite a pallone giocate... solo in due...
E ancora le discussioni su argomenti vari, questa volta abbarbicati sui
rami bassi della magnolia, poi l’esplorazione fino al ramo più alto della
magnolia stessa (con il concreto rischio di cadere)...

Finché un giorno:
“Sai, da domani non ci vedremo più, mio padre è stato trasferito...”
“Peccato...”
“Circulez, circulez, il n’y a rien à voir, circulez, circulez, il n’y a rien à
voir”, si dice in Francia. “E qui invece c’è molto da vedere, eccome!
Siete tutti invitati all’ultimo spettacolo teatrale che di questi tempi spopola
a Parigi. Basta avere a disposizione un teatro anche piccolo, che dico,
una sala parrocchiale... Altrimenti basta anche un telone nella piazzetta.
Lo spettacolo si intitola “Cenerentola” e sono certo che piacerà a tutti,
specialmente ai bambini.
Sul palco, oltre a Cenerentola, vedrete anche la matrigna e le perfide
sorellastre. Meno male che poi arriva il principe... Ve l’ho già detto che
questo spettacolo sta avendo un enorme successo a Parigi e io vi vendo,
anzi vi regalo lo spartito per la miseria di cinque soldi. Quattro soldi e
non se ne parla più! E per la musica... Per la musica basta trovare una
fisarmonica. E qualcuno che sappia cantare.”
Notoriamente i bimbi ricchi non lavorano nei campi.
Dopo le elementari vanno alle medie, poi alle superiori, infine
all’università dove diventano dottori. E dimenticano di essere stati bambini.
Dimenticano che la loro infanzia l’hanno passata nella bambagia.
Dimenticano anche i loro giochi.
Per i bambini poveri invece è tutta un’altra storia.
La loro infanzia è molto più breve. E così anche il loro percorso scolastico
che si ferma quasi sempre alle elementari. Niente scuole superiori.
Di università non se ne parla neanche. Il loro destino è segnato nei campi
o nelle fabbriche. D’altra parte le distanze sociali sono state inventate per
loro. E per i loro padri.
Ma è nei giochi dei bambini poveri che viene fuori la fantasia.
Con le forbici e del semplice e comunissimo cartone si possono
realizzare a costo zero paesi, città, strade, treni, automobili, case, chiese,
campanili, montagne, persone, e laddove, servano, si costruiscono le ruote
che poi vengono fissate, con ago e filo, a convogli, diligenze, motociclette...
Se poi vogliamo esagerare con le matite si può colorare il tutto.
Generalmente sono le persone anziane, quelle che hanno smesso di
lavorare, che se ne occupano.
Così si divertono i bambini poveri.
L’uomo guarda stizzito il tempo che sta volgendo al brutto. Fino a
qualche minuto fa sperava che almeno la pioggia lo graziasse ma si è appena
reso conto che non solo si sta preparando un temporale coi fiocchi ma, per
completare un quadro già fosco, adesso ci si è messo pure il vento. In poche
parole, le premesse per una bufera in piena regola ci sono tutte.
L’uomo pensa con raccapriccio che è già in ritardo sulla tabella di
marcia, irrimediabilmente in ritardo. Visto che l’ultimo pullman è ormai
passato, adesso altro non resta che andare a casa a piedi. E la sua casa si
trova su in collina, sei o sette chilometri oltre il paese. L’uomo pensa che
questa sarebbe proprio una serata da passare a casa, in pantofole, magari
davanti al televisore. Un televisore. È tanto tempo che ne desidera uno.Ma
quella è roba da ricchi. L’uomo pensa che, con il suo lavoro da bracciante
agricolo, l’unica cosa che ha potuto permettersi finora, la radio, non è
esattamente la stessa cosa. Adesso una folata di vento gelido lo riporta alla
realtà. Dio, ci sono sette o otto chilometri da percorrere nella bufera. A
un tratto l’idea. Ma certo, nella piazza del paese c’è un tassista, un omino
conosciuto da tutti che, quando non è davanti a un mazzo di carte lì nella bettola
accanto a casa sua, vuol dire che è impegnato nel suo lavoro, cosa che
svolge impeccabilmente e nella massima sobrietà. Anche di notte. E gli
formula la sua richiesta. Detto fatto la macchina parte nella nebbia. Da
subito il tassista, anche a causa del lavoro che svolge, si dimostra essere
un gran chiacchierone. Nonostante il viaggio non sia lungo gli argomenti
trattati sono tra i più vari e spaziano dalle condizioni meteorologiche alla
politica interna passando, com’è giusto, alla presunta vita sessuale delle
zitelle del luogo. Poi i due scoprono di aver svolto, tanti anni fa, il servizio
militare a Cuneo, addirittura nella stessa caserma e, naturalmente di
essere diventati amanti della bagna cauda. Adesso è il turno del cal-
cio e dello sport in genere, poi si passa, quasi senza accorgersene all’ultimo
festival di Sanremo e... A questo punto la macchina frena dolcemente.
Siamo arrivati. L’uomo ci pensa solo per un istante poi, dopo essersi
assicurato che il prezzo della corsa del taxi è comprensivo anche del
ritorno, chiede a quell’autista tanto simpatico di riportarlo esattamente nel punto dove
il loro viaggio era cominciato. In fin dei conti c’è tutta una notte per tornare a casa.
Lo chiamavano Yoghi ed era il capotreno più inflessibile della
Lucca-Aulla.
A dire la verità, sempre per restare nell’ambito dei comix, più che
al simpatico orso abitante a Jellowstone assomigliava piuttosto al
Commissario Basettoni, per via dei lobi auricolari ipertrofici ma,
nonostante facesse di tutto per sembrare sgradevole, nonostante
raccontasse di imprese mirabolanti nelle quali dispensava multe a
tutta randa, proprio non riusciva a risultare antipatico.
Su e giù per la littorina, sempre infervorato a compilare in tutte le
sue parti il modulo relativo al viaggio e allo stesso tempo sempre
sul chi va là per scovare eventuali passeggeri senza biglietto, il
faccione rosso come un peperone, la sua figura risultava
irrimediabilmente comica e l’autorevolezza che il suo berretto
avrebbe dovuto conferirgli andava a farsi benedire.
Spesso Yoghi era bersaglio di aneddoti e storielle varie che i
passeggeri si raccontavano a bassa voce, ma senza malizia, solo
per ridere bonariamente alle spalle di un personaggio che oramai
tutti consideravano facente parte dell’arredamento.
Un giorno lo vidi con l’aria particolarmente triste.
Raccontava a tutti passeggeri dello scompartimento che un suo
superiore gli aveva comminato una multa avendolo trovato:
“seduto e inoperoso”
Yoghi seduto e inoperoso? Assolutamente impossibile!
Se Yoghi era seduto vuol dire che aveva già svolto il proprio
dovere.
E certamente quel superiore lo aveva multato solo perché per
qualche motivo ce l’aveva con lui.
Naturalmente, per evitare figuracce, Yoghi avrebbe anche potu-
to tenere per sé la sua disavventura, cio nonostante era lì con le
lacrime agli occhi che la raccontava a tutti con dovizia di
particolari come a dire: - vedete, nonostante l’orco che voglio far
credere di essere, non sono per niente diverso da voi!
E all’improvviso quella figura tracagnotta dal faccione rosso come
un peperone e i lobi auricolari ipertrofici mi apparve, in tutta la
sua bontà e lealtà.
Ricordo che in seguito, commentando quell’episodio, mi capitò di
esprimere tutta la mia simpatia per Yoghi a un suo collega che la
pensava esattamente come me.
Un po’ di tempo dopo, nel tornare a casa, mi accorsi di avere
l’abbonamento scaduto. Potevo solo confidare nella benevolenza
del capotreno ma... cavolo, era proprio il turno di Yoghi!
Così, preparandomi al peggio con i soldi già contati in mano feci
l’atto di porgerglieli ma notai che rideva sotto i baffi e mi faceva
cenno di levarmi dalle scatole.
Vi sembrerà impossibile ma credo, nella sua lunga carriera, di
essere stato l’unico viaggiatore senza biglietto ad aver evitato una
multa da Yoghi. Modestamente!
Dal 1257 al 1816 l’Inquisizione torturò e bruciò sul rogo milioni di persone innocenti.
Erano accusate di stregoneria e di eresia contro i dogmi religiosi e giudicate senza
processo, in segreto, col terrore della tortura.
Se “confessavano” erano dichiarate colpevoli di stregoneria, se invece “non
confessavano” erano considerate eretiche, e poi arse sul rogo. Non sfuggiva nessuno.
Alcune erano sottoposte alla prova della pietra al collo, la presunta colpevole veniva
cioè gettata in acqua legata a una pietra. Se annegava era innocente, se invece restava a
galla era una strega in ogni caso moriva!
In tre secoli alcuni storici hanno stimato che furono sterminati nove milioni di streghe,
all’80% donne e bambine. Le donne venivano violentate oltre che torturate; i loro beni
erano confiscati fin dal momento dell’accusa, prima del giudizio, poiché nessuno era
mai assolto. La famiglia intera veniva spossessata di ogni bene; si dissotterravano
persino i morti per bruciarne le ossa.
Il Malleus Maleficarum (Martello delle streghe) stabiliva che la strega accusata
doveva essere “spesso e frequentemente esposta alle torture”. Le cacce alle streghe erano
campagne ben organizzate, intraprese, finanziate ed eseguite dalla Chiesa e dallo Stato.
Nel 1571 e nel 1589 furono arse o strangolate delle streghe a Lucca, accusate tra l’altro
di aver estratto dai cadaveri dei bambini degli organi.
Questi organi erano necessari alla preparazione di unguenti magici. Gli unguenti
avevano proprietà miracolose. Con essi era possibile trasformare gli uomini in animali,
per esempio. Alle donne invece donavano la capacità di volare.
Nell’antichità la fantasia e il soprannaturale
ebbero grande diffusione.
Nacquero leggende e racconti, alcuni dei
quali oggi difficilmente reperibili, in quanto
tramandati in forma orale. Era comune
raccontare queste storie la sera intorno al
fuoco nella Lucchesia, la zona geografica
che raccoglie la città di Lucca e provincia,
inclusa la splendida area della Garfagnana.

E’ un folletto burlone che ne fa di


tutti i colori, specialmente ai vecchi e agli
animali. Di notte il Linchetto entra nelle
case e si diverte in vari modi. Nasconde gli
oggetti nei posti più impensati,
causando disperazione nei proprietari.
Gli piace girare per le stalle, dove trae gran
divertimento dall’arricciare i crini del
cavallo, facendone treccine. Si diverte anche a
legare le zampe delle pecore con corde di paglia
Ma non finisce qui. Infatti il Linchetto entra
spesso e volentieri in camera da letto,
magari toccando i piedi delle vecchie.
Altre volte invece si piazza sul petto
del dormiente e non lo fa più respirare.
Insomma è veramente dispettoso,
anche se non è pericoloso. Gli unici che
si salvano sembrerebbero i bambini,
con i quali invece è molto cordiale; li
accarezza e li bacia, tanto che la mattina
assumono un bel colore rosato e sono ancora
più belli. Ma con tutti gli altri il
Linchetto può essere veramente un
problema. In realtà la soluzione c’è.
Infatti questo folletto ha una vera mania per
la pulizia, e non tollera la sporcizia e le
parolacce. Prima di andare a dormire mettete
una tazza di riso ai piedi del letto.
Il Linchetto quando arriva tenterà di scoprire i piedi al dormiente, ma urterà la tazza
spargendo per terra i chicchi di riso. Preciso com’è non sopporterà tutto quel disordine e
si metterà subito a raccoglierli uno per uno, cosa che lo impegnerà tutta la notte; quando
arriva l’alba, non sopportando il sole, sarà costretto ad andarsene.
Era una povera contadina
lucchese della fine del 1500 e
sapeva guarire gli ammalati con
le erbe. Per questo fu condannata
al rogo per stregoneria.

Crezia. 85 anni, aveva una


conoscenza sconfinata delle
proprietà delle erbe, acquisita fin
dalla prima adolescenza.
Usava la borragine per
guarire mal di reni, calmare la
bile e lenire punture di insetti;
grazie alle primule curava i
reumatismi, con la peonia aiutava questa frase sicuramente firmò la sua condanna
le donne a partorire. a morte.
Aveva una cultura e un’esperienza Una contadina, ignorante, non poteva
davvero notevoli, confermate permettersi di mettere in dubbio la capacità dei
dalla numerose testimonianze di medici e degli speziali!
malati che erano stati guariti da Il processo fu esemplare: la pena doveva essere
lei. di monito a quelle infami che osavano esercitare
Di questo parlò davanti l’arte del guarire pur essendo al di fuori degli
al tribunale dell’Inquisizione, Ordini maschili costituiti.
dove era stata portata in Crezia fu torturata, ma non confessò mai di
seguito alle accuse del Collegio essere ricorsa a magia, come voleva
dei Medici e dell’Ordine degli l’Inquisizione. E fu condannata al rogo.
Speziali che non tolleravano la sua Ma non fu bruciata perché, a pochi giorni
perizia e la volevano sul rogo per dall’esecuzione, venne trovata morta nella sua
stregoneria. cella.
Reagì raccontando quello che Nessuno ha mai saputo se fu per le torture o per
faceva con le erbe e spiegando il suicidio
suo sapere. ”Non sono una strega,
io so guarire, ma non tutto, sono
contraria al salasso che ti Crezia era una povera contadina lucchese della fine
schianta e ti toglie le forze vi- del 1500 e sapeva guarire gli ammalati con le erbe.
tali, altri rimedi ci sono”: Per questo fu condannata al rogo per stregoneria.
Foto Patrizia Gemignani
Agli inizi del mese di marzo tornano a fiorire le meravigliose magnolie soulangeane, ancor
prima dell’avvento della Primavera.
Se ciò avviene lo si deve all’amore per le piante e ai fiori introdotti a Lucca e poi in
Toscana dalla rivoluzionaria e geniale volontà di una giovane e potente donna moderna,
Elisa Baciocchi, sorella minore di Napoleone Bonaparte e Principessa di Lucca, Massa
e Piombino.
Non sono in molti a sapere che Napoleone, sulla scia delle scoperte scientifiche e
geografiche illuministe, ideò nel 1800 una spedizione che portò due brigantini francesi
sino in Australia dove una équipe di naturalisti prelevò numerose specie di piante ed
animali per portarli, mesi dopo, in Francia. Da qui, alcune specie di piante profumate
oggi considerate comuni come il glicine, la mimosa australiana, il platano e l’albero dei
tulipani si diffusero in molti paesi europei, suscitando l’ammirazione di tutte le classi
sociali, grazie alle conquiste militari di Napoleone in tutta Europa.

La magnolia soulangeana
è stata originariamente
creata dal giardiniere
francese Étienne Sou-
lange-Boin: un ufficiale
in pensione della cavalle-
ria napoleonica, nel suo
castello di Fromont, vicino
Parigi. Incrociò Magnolia
denudata con Magnolia
lilliflora nel 1820, e fu
impressionato dalla prima
fioritura precoce della
progenie ottenuta, che
avvenne nel 1826.
Dalla Francia l’ibrido entrò
velocemente in coltivazione
in Inghilterra e in altre parti
di Europa, e anche in Nord
America.
Corso Garibaldi è stato ribattezzato “Magnolia Street” da qualche turista e la
definizione è stata subito adottata perché appropriata per descrivere questa via
fiancheggiata da una cinquantina di alberi della varietà Magnolia Soulangeana.
Anche questa varietà arrivò a Lucca grazie a Elisa Baciocchi, intorno al 1806,
che la volle nel giardino della sua dimora oggi conosciuta come Villa Reale.
Successivamente venne piantata in diversi giardini privati
e finalmente arrivò a decorare Corso Garibaldi.
“Un’Opera d’Arte” naturale di cui Lucca va fiera.

Foto Patrizia Gemignani


Foto Patrizia Gemignani
Foto Claudio Lazzerini
Lo schiamazzo felice dei bambini viene
incontro dalla vicina piazza...una nuvola di
coloratissime bolle di sapone volano leggere
prima di dissolversi nell’aria.
E’ bella Lucca, riesce a mantenere
armonioso il rapporto fra la
dimensione umana e la bellezza della
sua struttura architettonica. Qui si è in
compagnia della storia antica permeata dalla
vita moderna, una storia che da serena
tranquillità. Chissa’ se i bambini che vi giocano
gioiosi, conoscono la storia di questa
monumentale chiesa che si erige sui loro
giochi, o la storia delle pietre, su cui essi
corrono veloci e che già si trovavano li secoli e
secoli fa...

La Chiesa di San Michele si trova nell’omonima


piazza nel centro storico di Lucca dove in
passato si concentrava l’area dell’antico Foro
Romano, fulcro della città e luogo di incon-
tri e scambi commerciali. Fino al 1370, nel
periodo comunale, piazza S.Michele era la
sede per le riunioni del Consiglio Maggiore,
maggiore organo legislativo di Lucca.
Documentata per la prima volta nel 795 con
la denominazione ad foro, la chiesa attuale è
stata eretta a partire dal 1070 per volere di papa
Alessandro II. I lavori si sono protratti a lungo e
il passaggio a epoche successive ha portato alla
creazione di un’opera architettonica complessa
data la contrapposizione di diversi stili.
Il risultato è quello di una basilica in stile
gotico con motivi.romanici
La pianta della Chiesa di
S.Michele è strutturata
con pianta a croce latina.
L’interno della Chiesa
è formato da tre navate,
transetto e abside semicir-
colare; a partire dal XII, il
campanile è stato innalzato
sul transetto meridionale
dell’edificio. A questo pro-
posito, le antiche cronache
lucchesi riportano un parti-
colare curioso. Si narra che
il doge di Pisa, Giovanni
dell’Agnello, durante il
suo periodo di signoria
(1364-1368), abbia voluto
abbattere l’ultimo piano del
campanile o perché più alto
della torre dell’Augusta,
modo di scambio di seg-
nali con i pisani tramite il
monte di San Giuliano, o
perché il suono delle sue
campane giungeva fino a Foto di Massimiliano Bartoli
Pisa.
Tra le opere conservate si segnalano la Madonna col
Bambino in terracotta smaltata di Luca della Robbia
e la tavola raffigurante Quattro Santi di Filippino
Lippi. L’esterno della Chiesa si nota per l’altissima
facciata che raggiunge i 4 metri di altezza ed emerge
isolata sopra il tetto mettendo in risalto intarsi e
sculture, molti dei quali furono restaurati nel corso
dell’Ottocento.
La facciata è quindi ornata con quattro ordini
di logge dove spicca la grande statua di marmo
dell’arcangelo Michele, con ali e lamine metalliche
nell’atto di distruggere un drago con un a lancia.
Una leggenda lucchese vuole che nell’anello posto
al dito dell’angelo sia incastonato un diamante di
enormi dimensioni e che di sera possa essere scor-
to il suo luccichio posizionandosi in uno specifico
punto della piazza. Foto di Massimiliano Bartoli
Foto di Giuditta Pieroni
L’Elvira Bonturi, moglie di Puccini, è stata da permettersi cameriera, era sempre stata
descritta come “donna-padrona”. sensibile alla poesia e alle eleganti partiture,
Quando scappò via da Lucca con Puccini che a Lucca, città di Boccherini, Catalani,
abbandonò due figli in tenerissima età, Paganini, volavano in aria, popolarissime
Fosca ed Edgar. come oggi i reality show.
Ciò le valse l’epiteto di madre snaturata, Così Narciso la convinse a prender lezioni
di femmina incandescente. Ma esistono di piano e di canto. E il maestro educatore fu
lettere, tante, che invece tolgono zolfo scelto nel giovane Giacomo Puccini che fino
a questa vecchia leggenda e ricompon- a lì era sempre stato alle gonnelle di mamma
gono Elvira quale madre affettuosa, Albina, madre amata anche troppo, infatuatis-
attenta ai figli, donna che sapeva e seppe sima del figlio al quale presagiva (aiutandolo
mantenere una qualche armonia in una in ogni modo) il radioso futuro.
famiglia, quella dei Puccini, abbastanza Narciso Gemignani aveva però un brutto
spericolata, poiché il maestro era un genio mestiere: scorrazzava pei mari coi battelli
e come tale sempre si comportò. e coi treni in Europa; stava via settimane,
In casa della nipote. Leggo le lettere di qualche mese. Così Elvira, quasi sempre sola,
Elvira al figlio Edgar (Renato) in casa di ma con due figli Fosca ed Edgar, s’illanguidiva
sua figlia, Laura, una lampante bionda negli occhi di Giacomo ch’era bello, coi
lucchese arroventata dal sole viareggi- baffi, dolcissimo e abile a intenerire. E non
no, irruenta come la nonna, passionale a caso Edgar fu chiamato col nome di uno
come il nonno Narciso (primo marito di dei primi eroi melodrammatici del maestro
Elvira). I suoi occhi limpidi, vivacissimi, lucchese. Significa che tra i due c’era già tutto,
lanciano scintille; mi rassomigliano le anche se la fuga d’amore avvenne dopo. Ma
accese occhiate dell’altra nipote di Elvira, la avvenne. Un bel giorno Narciso si trovò senza
Simonetta, figlia di Antonio che fu il frutto la moglie, che nell’impeto di seguire Giaco-
d’amore che provocò la fuga dell’Elvira al mo nella bohème milanese (autentico ménage
seguito del seduttore pianista, Puccini. di miseria e privazioni) dimenticò a Lucca i
due figli.
Senonché Fosca affidata alla nonna fece
I personaggi sono tanti come nei pittore- fuoco e fiamme. Senza la madre sarebbe
schi feuilletons dell’ Ottocento. Dunque morta. Ed Elvira la prese con sé e con
Elvira era una bella signora che ben viveva Giacomo (di cui divenne la cocca, lo
a Lucca, moglie contenta del commerciante chiamava “papà”). Mentre l’altro figlio Edgar
e viaggiatore di affari Narciso Gemignani. fu cancellato. Rimase con il padre Narciso che
Costui era un melomane, suonava e can- però, viaggiando, lo mise a balia dal vecchis-
tava le romanze intonato e commosso. E simo nonno; morto costui venne poi affidato
la moglie non era da meno: figlia con sei alla famiglia milanese, i Perelli, gente ricca e
fratelli di una dinastia di lucchesi ricchi timorata che lo educarono come un figlio.
Foto di Giuditta Pieroni
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore


Lucca fu capitale di una piccola ma antichissima repubblica: gioiello
dell’arte romanica e rinascimentale, con le sue mitiche “cento chiese”
e una grande tradizione musicale alla quale ben cinque generazioni
di Puccini avrebbero contribuito insieme ad altri insigni musicisti
quali: Luigi Boccherini, Niccolò Paganini, Giovanni Pacini e Alfredo
Catalani. Nella Casa-Museo Puccini a Lucca, dove padroneggia lo
stemma di famiglia, quei primi Puccini ci guardano dalle loro lucide
tele: Giacomo Senior, capostipite della dinastia, organista del Duomo
e Maestro della Cappella Palatina, e la sua sposa, la bella Angela
Maria Piccinini. Loro figlio Antonio ereditò gli incarichi paterni e
avviò suo figlio, Domenico, ad una carriera musicale di notevole
successo. La produzione, pucciniana includeva messe, mottetti,
cantate drammatiche ed opere. Importante il ruolo che svolgevano
anche nelle prestigiose stagioni d’opera al Teatro Pubblico. In questo
bell’appartamento nel pieno centro di Lucca, che testimonia il
benessere e il prestigio della famiglia, visse Michele Puccini, figlio di
Domenico, ottimo violinista e direttore d’orchestra oltre che direttore
del Conservatorio locale.
Michele sposò Albina Magi, anch’essa nata in una famiglia di musicisti.
Un esplosione di gioia doveva salutare la nascita del sestogenito, il
22 dicembre 1858: finalmente un maschio destinato ad ereditare la
tradizione. Il bambino che nacque in questo letto, oggi conservato
alla Casa Museo di Celle, era Giacomo Puccini.
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore


Il bambino fu battezzato Giacomo Antonio Domenico Michele
Secondo ed era destinato ad essere l’ultimo e il più grande dei Puccini
musicisti.
Orfano di padre a soli cinque anni, fu avviato prestissimo allo studio
della musica nnostante le ristrettezze in cui la famiglia versava. Fu
cantore nelle chiese locali e già a quattordici anni prestava la sua
opera come organista, nell’oratorio delle Benedettine di San
Giuseppe e San Girolamo e nell’imponente chiesa cittadina di San
Pietro Somaldi. Come tanti altri musicisti prima di lui, lasciò la sua
firma incisa nel legno sopra la tastiera.
Per racimolare qualche soldo per la famiglia, suonò anche gli organi
più modesti nella parrocchia rurale di Mutigliano e nella terra dei suoi
avi, a Pescaglia e nell’amata Celle.
A Bagni di Lucca, luogo in cui il compositore sarebbe rimasto
affezionato per il resto della vita, da giovane, faceva qualche precario
guadagno, durante la stagione termale, suonando il pianoforte nelle
sale da ballo.
Ma, quando poteva, frequentava i teatri di Lucca dove si innamorò
del mondo dell’opera. Si dice che fu la novità e l’impatto drammatico
di una Aida vista a Pisa, a far scattare in lui l’ambizione di diventare
musicista di teatro. A due passi da casa, nella chiesa di San Paolino, il
pubblico ascoltò, per la prima volta, la sua Salve dal ciel Regina e la
sua composizione di diploma, una grandiosa Messa a quattro voci.
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore


Sono partiture giovanili che tradiscono fin troppo chiaramente la
vocazione operistica dello studente ventenne.
Giacomo, non poteva rimanere stretto tra le mura dell’antica città
come organista e compositore di musica sacra.
Aiutato da una borsa studio spiccò il volo verso Milano.
Vita da Bohème... fame... freddo... la miseria... ma anche la Galleria
di notte... il mondo di Verdi, di Boito, di Catalani, della potente Casa
Editrice Ricordi e del grande tempio della musica: La Scala...
Il giovane compositore, incoraggiato dal suo insegnante Ponchielli,
creò, per il Concorso Sonzogno, Le Villi, un opera-balletto fantastica,
che si conclude in tragedia, sullo sfondo di una gelida e spettrale
Foresta Nera.
Respinto dal concorso... il piccolo capolavoro trionfò al Teatro dal
Verme di Milano nel 1884.
Puccini venne salutato come “il compositore... che l’Italia aspetta da
tempo”.
Ma la gioia dell’acclamazione pubblica fu ben presto smorzata da un
grande dolore.
Morì la madre di Puccini. Vedova a 37 anni, aveva lottato tutta la
vita tra grandi ristrettezze per assicurare a ciascuno dei suoi figli una
buona educazione e una professione dignitosa.
Tutti l’adorarono e fu con profondo rimpianto che la seppellirono qui,
nel cimitero monumentale di Lucca.
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore


Fu sepolta sotto una semplice lapide, accanto a Michele, morto quasi
vent’anni prima.
Tra Giacomo, sconvolto e vulnerabile, e Elvira Bonturi in
Gemignani, una ragazza lucchese, sposata con figli, nacque una
disperata passione: fuggirono al nord... e vissero sul fìlo del rasoio,
con i creditori all’uscio.
Aiutato da Giulio Ricordi, Puccini lavorava insieme a Fontana,
librettista de Le Villi, ad una nuova opera: Edgar.
Ma l’improbabile melodramma medievaleggiante non ebbe che
un’accoglienza tiepida. Deluso e sfiduciato, Puccini si ritirò a Vacallo
in Svizzera per musicare Manon Lescaut.
Ma la tragedia lo colpì di nuovo.
Il fratello Michele, emigrato in Argentina a Jujouy, ferì un potente
locale in duello. Fuggito a Rio, morì di febbre gialla. Affranto,
Puccini tornò nella sua Lucchesia e, cercando consolazione, trovò in
Torre del Lago, il luogo che gli sarebbe diventato... gaudio supremo...
paradiso... eden.
Di giorno rideva, scherzava e giocava a briscola con i pittori e cacciatori
che frequentavano le pittoresche sponde del lago e, di notte, dava voce
ed anima al disperato amore del Cavalier Des Grieux e Manon Lescaut.
Successo, soldi, fama! Il trionfo di Manon segnò, per Puccini, la fine
definitiva della vita bohèmienne e, proprio in quel momento, egli
scelse di ripercorrere, in musica, la propria travagliata gioventù...
QUEL GENIO DI PUCCINI

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Se La Bohème è la Parigi degli anni ’40 dell’800, è anche la Lucca e


la Milano di Puccini studente.
Ciminiere stagliate contro il cielo nuvoloso, “olezzo” di frittelle nel
giorno di festa, lattivendole e contadini che si danno appuntamento a
San Michele a mezzodi.
Un’attico freddo e squallido... e le scale strette e buie illuminate dal
lume vacillante della candela: sono tutti ricordi nostalgici di una
gioventù ormai perduta.
L’allegro Quartiere Latino dipinto da Puccini, per chi conosce Lucca,
ricorda la Piazza San Michele la notte della Festa di Santa Croce o
durante l’annuale Fiera Natalizia.
Puccini, uomo di mondo, di fama internazionale, rimase un tipico
lucchese: attaccatissimo alla sua terra e al senso della proprietà...
Afflitto da quello che chiamava “male del calcinaccio”, si mise a
costruire una casa da gran signore, sulle colline, a Chiatri, da dove
imperava, come un’aquila, sopra il Lago di Massaciuccoli.
In quest’elegante dimora, tra gli oliveti e i casolari diroccati della
campagna circostante, Puccini sognava la “villa campestre” di Mario
Cavaradossi, il pozzo nel giardino, il passo che “sfiorava l’arena” e il
“fruscio di vesti” di Floria Tosca.
Nella Roma di Puccini si confondono i luoghi consueti del composi-
tore. La sua città eterna giace tra le colline Toscane, dentro il
QUEL GENIO DI PUCCINI

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verdeggiante anello delle mura di Lucca.


A cento metri dalla casa natìa, una pila d’acquasanta di prezioso
marmo di Carrara e una Madonna... dal sorriso enigmatico...
È al tocco delle campane del villaggio versiliese di Bargecchia, che
il barone Scarpia porge alla bella Tosca la mano, intinta nell’acqua
santa.
Nella città di Pietro le trombe squillano all’alba... la statua dell’arcangelo
sovrasta il pittore Cavaradossi mentre scrive il suo ultimo addio a
Floria Tosca.
Le porte sbarrate... le mura... le interminabili gallerie della prigione
che salgono attraverso la tomba di Adriano per sbucare sui baluardi di
mattone rosso di Castel Sant’Angelo... immaginati qui, a pochi passi
dalla casa dove Puccini visse da ragazzo.
Puccini fu grande viaggiatore ma, ovunque andasse, in gita alle
Piramidi, a New York, a Buenos Aires, a Londra, a Parigi, a Berlino, a
Vienna... la sua mente tornava a Torre del Lago.
Al suo “laghetto blu, tutto cinto di bambù, abitanti 120, 12 case” e così,
costruì, sul sito della sua prima dimora torrelaghese... metà casa metà
stalla... la villa che gli sarebbe diventata anche tomba e sacrario.
Di modeste proporzioni, è un ambiente caldo ed accogliente.
Una casa toscana il cui interno richiama il fiorentino medioevale e rinasci-
mentale così di moda ai primi del ’900. Il caminetto vanta i bellissimi
QUEL GENIO DI PUCCINI

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disegni orientaleggianti e le graziose maioliche di Galileo Chini,


artista eclettico, allora tra i maggiori esponenti dello stile Art Nouveau
in Italia. È una casa che trasuda la personalità di Puccini: un gusto
semplice ma raffinato, vario, come i tanti interessi del compositore...
Bugatti e Tiffany accostati all’artigianato europeo e nord africano e
ai manufatti cinesi e giapponesi. Il Caruso di Troubetzkoy convive
felicemente con le umili statuine di gesso per le quali, i figurinai
lucchesi, erano conosciuti in ogni angolo del mondo.
Tanti trofei del teatro... qui presenti tutte le grandi dive che
interpretarono le sue eroine... e, nella stanzetta contigua, tutto
l’equipaggiamento dell’altra sua passione dominante: la caccia!
Il piccolo salotto era perfettamente attrezzato: un pianoforte con
smorzatori sulle chiavi per colui che amava lavorare avvolto nel
silenzio della notte. Una sedia girevole e un tavolo a fianco... così
bastava girarsi per dar forma grafica alla miriade di idee che gli
“zampillavano per la testa”.
Fissando quest’orizzonte, dove le colline somigliano a quelle della
baia di Nagasaki... tra le magnolie di Lucca e i frutteti della Val di
Serchio, Puccini si fece “giapponologo”.
Si procurava stampe, vasi, manoscritti di melodie folcloristiche.
Si informava sulla vita e sulle tradizioni nipponiche. Visitò la moglie
dell’ambasciatore giapponese e l’attrice Sada Jacco per osservare
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore

da vicino la parlata e le movenze delle donne giapponesi.


Studiava, attraverso queste registrazioni primitive, l’intonazione della
voce giapponese e le forme tradizionali di racconto drammatico.
Così “dal lucido fondo si stacca”, con grazia e nobiltà, la figura della
quindicenne geisha, Cio Cio San.
Nessuna spesa fu risparmiata, né sulla promozione, né sul primo
allestimento dell’opera, eppure Madama Butterfly fu salutata, alla
Scala, con una bordata di fischi ed urla.
Puccini la definiva “l’opera più sentita e più suggestiva ch’io
abbia mai concepito...” e, a distanza di pochi mesi, il grande soprano
Solomea Kruscenizkj, portò, la partitura revisionata, al trionfo, prima
al Teatro Grande di Brescia, e poi in tutti i maggiori teatri del mondo.
Forse era durante un’alba come questa che Puccini portò a termine la
struggente veglia nottuma della sua eroina.
Assillato dalle richieste di dediche ed autografi, festeggiato dai suoi
connazionali in tutto il mondo.
In realtà il Puccini compositore era diventato l’industria Puccini e la
Casa Editrice Ricordi sosteneva la sua produzione con tutti i crismi.
Già Bohème era stata accompagnata da un battage pubblicitario
straordinario, con cartoline dedicate ai vari momenti dell’opera. Lo stesso
trattamento fu riservato a Tosca e a Madama Butterfly con una magnifica
QUEL GENIO DI PUCCINI
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serie di disegni di Metlicovitz in puro stile Liberty.


Nacque una straordinaria produzione di calendarietti profumati,
regalo dei parrucchieri e barbieri ai buoni clienti... oleografie
suggestive... e perfino letti, decorati con scene tratte dalle opere! Le
compagnie italiane d’opera, il disco a cilindro e il 78 giri portavano
Puccini negli angoli piu remoti del mondo.
Fascinoso uomo di successo, i suoi lauti guadagni gli permisero di
appagare la sua passione per le auto ultimo modello, motoscafi
piccoli e grandi e perfino la motocicletta con sidecar.
Eppure, era una figura solitaria, perseguitata da attacchi di malin-
conia e stati di nevrosi profonda.
Appassionato lettore, la sua vita era un’affannata ricerca di nuove
ispirazioni e, quando non stava sbirciando tra gli ultimi roman-
zi e commedie, i suoi luoghi preferiti erano il Caffè Caselli a
Lucca, oggi di Simo, dove poteva discutere le nuove tendenze
emergenti in arte e letteratura e il Caffe Margherita a Viareggio
dove l’orchestrina strimpellava le sue melodie in sottofondo.
Ovunque si trovasse Puccini andava a teatro. A New York
vide un dramma “western” di Belasco che evocava le
Montagne Nuvolose del Nevada durante la febbre dell’oro.
Un mondo duro, popolato da poveri emigranti, lo filtrava
attraverso l’esperienza delle cose familiari, il gelo ed i pini
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore

dell’ Abetone. L’emigrazione dei più disperati e coraggiosi figurinai


della Garfagnana che partirono per l’America, unico bagaglio: gli
strumenti per il loro povero artigianato.
È una storia a lieto fine quella di Minnie... la “Fanciulla del West” e
del bandito Ramerrez, alias Dick Johnson.
Ma fu una partitura macchiata di sangue.
Puccini, uomo notoriamente seducente, nutriva un affetto puramente
paterno per la piccola serva di casa, Doria Manfredi, ma la moglie
Elvira, accecata di gelosia, la umiliò pubblicamente con accuse
infamanti e la ragaza si avvelenò.
La tragedia ispirò quest’ epitaffio di un semplice poeta vernacolare
torrelaghese: “Tu che un angel somigli o anima bella. Martire in terra
della gelosia. Ma in cielo splendi quale aurea stella nel coro delle
vergin, casta e pìa.” Quanti paralleli con la piccola Suor Angelica
che si uccide per la disperazione, ma viene consolata dalla visione
della Vergine che le porge il figlio morto. Allo stesso arco creativo
appartiene il tetro Tabarro, melodramma crudo ispirato alla vita degli
scaricatori della Senna, abbrutiti dalla sofferenza e dall’impossibilità
di strappare alla vita un brandello di felicità. Di questa vita, dove
la giornata è “già buia dal mattino”, è facile ed impietoso ritratto
satirico della famiglia, non solo toscana, Puccini crea un mondo
intero, da pochi versi dell’Inferno di Dante. Ma il mondo stava
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore

cambiando... Puccini, malgrado il suo amore per l’innovazione


tecnica e scientifica, vedeva la distruzione che le nuove tecnologie
avevano recato durante la grande guerra.
La sua oasi di pace, “gaudio supremo”, “paradiso”, “eden”, “vas
spirituale”, “ reggia”... era diventata un’inferno industriale,
con l’apertura della vicina torbiera. Così si trasferì a Viareggio,
costruendo, tra mare e pineta, questa, l’ultima e la più grandiosa Villa
Puccini.
Qui rinunciò a un mondo reale, ormai diventato troppo doloroso, per
soffiare vita dentro le creature di un suo ultimo viaggio onirico.
Sognava una principessa “piccola, piccola”, una “donnina viperina,
con un cuore strano da isterica”... un impavido “principe ignoto”... tre
ministri fantastici e grotteschi ispirati alla commedia dell’arte... e, una
piccola schiava, che muore suicida.
Così Puccini ripercorreva il proprio iter esistenziale attraverso i
simboli di una fiaba orientale: Turandot.
Dal pianoforte, oggi conservato presso il Museo della Fondazione
Puccini di Lucca, il compositore traeva le note enigmatiche della sua
ultima opera. Un lavoro lento e faticoso. Una battaglia contro il tempo
che Puccini era destinato a perdere. Le lungaggini dei librettisti, un
costante mal di gola da fumatore accanito, la terribile sentenza dei
medici e la decisione di sottoporsi a radioterapia a Bruxelles.
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore


Prima di partire fece due ultimi pellegrinaggi.
Prima all’amatissima Celle, per scoprire una lapide dedicata alla
sua famiglia e salutare la gente e i luoghi d’infanzia e poi un ultimo
addio alla casa di Torre... e, fissando le silenziose acque del lago, disse
all’amico librettista e regista Giovacchino Forzano: “un giorno vorrei
vedere una mia opera qui dove l’ho scritta...”
Poi il viaggio verso nord... con il terribile presentimento che la marcia
funebre di Liù, sarebbe stata anche la sua.
Sottoposto ad una primitiva radioterapia Puccini, spirò a Bruxelles,
il 29 novembre 1924, per un arresto cardiaco... lasciando Turandot
incompiuta...
Il suo volto, sereno e disteso, fu immortalato, in gesso, da un umile
figurinaio di Bagni di Lucca.
Turandot, completata da Franco Alfano, trionfò alla Scala il 25 Aprile
1926.
A pochi mesi di distanza ebbe lo stesso esito al Metropolitan.
Il 29 novembre del ’26 Puccini tornò a riposare, per sempre, nella sua
casa di Torre, circondato dalle cose a lui familiari e dai ricordi dei
suoi successi, la sua tomba custodita da una candida musa di marmo
bianco.
Nel 1930, il sogno di Puccini divenne realtà. Si inaugurò il teatro viaggiante
del Carro di Tespi, con una rappresentazione di La Bohème dove era stata
QUEL GENIO DI PUCCINI

Vissi d’Arte..... Vissi d’Amore

concepita. Prima della recita, la compagnia venne a rendere


omaggio alla tomba poi, uscendo nel giardino dove era stato
collocato il pianoforte del maestro, il direttore, Pietro Mascagni,
vecchio compagno di studi di Puccini, toccò le note di “Tu che di
gel sei cinta...” La voce di Rosetta Pampanini salì nel silenzio della
piazza gremita e nacque, nel cuore della gente, l’idea di un festival
dedicato al più amato compositore d’opera di tutti i tempi...
Le voci dei grandi cantanti... un teatro immenso sotto la volta
stellata con il fondale delle silenziose acque del lago e... una
musica, che è l’espressione di un connubio unico... tra un uomo...
e le suggestioni dei suoi luoghi.
Vivien A. Hewitt - 1995
Torre del lago
Le case di Giacomo Puccini
dove nacquero le sue opere
Molte sono state le abitazioni e ville di Giacomo Puccini. Qui si parla di una
delle sue ville più belle che gli sono appartenute ma che non è divenuta museo
come tutte le altre e quindi non visitabile. Peccato perchè è situata in luogo
incantevole e che, forse, più di altre meritebbe di essere visitata.
La Villa di Puccini a Chiatri
La Villa che guarda Lucca Torre del Lago e il mare

La Villa di Chiatri fu la prima che Puccini acquistò e rifece, alla quale seguirono
quella di Torre del Lago e di Viareggio.
Era, quella di Chiatri, una vecchia costruzione appartenente alla famiglia patrizia
dei Samminiati. Con i proventi di “Manon Lescaut” e de “La bohème”, Puccini
l’acquistò nel dicembre 1898 e la ristrutturò completamente, conquistato dalla
bella veduta che si poteva e si può ancora oggi godere dalla collina. Scriverà: “Di
laggiù si scorge un incanto: la costa, da Livorno a Spezia; l’Arno e il Serchio; la
Corsica, in tempo chiaro, le isole di Gorgona e Capraia, ed anche la macchia di
San Rossore, Migliarino e la macchia lucchese dei Borboni.” A quel tempo, la
strada era appena tracciata e un sentiero di 4 chilometri divideva la località di
Farneta (dove venivano scaricati i materiali edilizi) e la Villa in costruzione, per
cui si dovette ricorrere al trasporto con animali da traino. Ciò costò “un occhio”
al maestro, che a Chiatri, fra l’altro, dimorò assai di rado, per l’opposizione della
moglie Elvira, a cui il luogo pareva troppo solitario. A lei così scriverà il Maestro
nell’ottobre 1900: “Ho speso un occhio per una pazza idea: Chiatri. Avessi almeno
da te o da Fosca sentito dire: “è vero che è scomoda e ti costa tanto, ma la saremo
felici, ci verremo, tu ci lavorerai tranquillo! Mai una parola d’incoraggiamento,
mai una gentilezza! Ho finito per la sovrana legge della insistenza a pigliare in
La Villa di Puccini a Chiatri
La Villa che guarda Lucca Torre del Lago e il mare

odio Chiatri, che pure quando lo comprai e incominciai i lavori mi era così
simpatico! Tutto questo per voi altri che mai avete avuto una parola gentile
espresso una simpatia fosse pure ispirata a buon volere rispetto a me al mio lavoro
che lassù avrei potuto compiere.”
Infatti, a Chiatri compose soltanto una parte del primo atto de “La fanciulla
del West”. La Villa, da ristrutturare, è costituita da 3 piani piu’ un seminter-
rato, 1044.40 metri quadri, e presenta i tipici elementi decorativi dello stile
toscano: mattoncini rossi a vista, stilemi neoromanici nelle bifore con decorazione
policroma a dividere visivamente il primo piano dal prospetto principale.
Dei Samminiati, Puccini conservò solo il seminterrato, come uso cantina e
accessibile attraverso le scalinate esterne. Al piano terra vi si trova il salone, grande
ingresso scenografico, lo studio, la sala da pranzo e cucina. Lungo una grande e
sofisticata scalinata in marmo si raggiunge il primo piano dove si trovano le stanze
da letto. Camere spaziose con adiacente salottino e balcone. Dal primo piano si
accede all’attico, con un grande salone e con altre camere da letto. Giacomo Puccini
seguiva non solo i lavori ma studiava e cercava i particolari di decoro come la
piccola scalinata in marmo all’esterno dell’ingresso principale e la mobilia interna
che fu realizzata da rinomati mobilieri fiorentini che usarono lo stile liberty dei
mobili chiari e laccati per completare gli ampi salottini. Ad oggi, estate 2019, in
La Villa di Puccini a Chiatri
La Villa che guarda Lucca Torre del Lago e il mare

cui “Lucca Forever” sta per essere ultimato, la villa risulta ancora in vendita per
10 milioni di euro per cui, il suo attuale proprietario, è ancora l’avvocato milanese
Lionel Ceresi.

“La leggenda della villa di Chiatri”


Durante le lunghe assenze del compositore, provvedeva alla cura della Villa il
fattore Efraim Salvetti (soprannominato Frack), che era nativo del luogo (dove
oggi sorge il ristorante Frack) e al quale Puccini inviava lettere, incaricandolo di
ogni tipo di mansione.
Si racconta che certe notti di tempesta, quando all’orizzonte il mare e il cielo
si confondono nel nero più profondo e il vento agita le chiome degli alberi che
circondano la Villa, qualcuno che si trovi a passare di lì veda la luce di una
lanterna che pare sospesa nell’aria come sostenuta dalla mano di un fantasma,
la quale percorre, defilata ai margini della strada, il breve tratto che divide la
locanda Frack dalla Villa, giunta presso la quale improvvisamente sparisce. Si
dice che sia Efraim, che va ad assicurarsi che nessun danno derivi alla Villa a
causa della tempesta. Sta sempre in guardia, pronto a proteggerla, come se da un
momento all’altro il suo padrone dovesse farvi ritorno.
III° MILLENNIO
Fra le note di ieri e di oggi
a Lucca la musica continua
la Palestra Musicale
di Michele Del Pecchia
Lucca Signora è una città riservata, racchiusa com’è fra le sue poderose mura ma,
“dentro questo possente e verdeggiante abbraccio”, risuona ogni giorno la soavità della
musica e ciò accade da tempo immemorabile. La città vanta “una colonna sonora” che
spazia nei secoli e nei generi musicali.
A Lucca tutto “parla” di musica. I monumenti, le targhe, ricordano episodi, piccoli o
grandi, ed aneddoti legati alla sua vita musicale e, sempre molto nutriti ed attivi, sono i
calendari delle varie manifestazioni, colmi di date dedicate alla musica. Il tempio della
musica lucchese è il Teatro del Giglio, che dall’Ottocento ha ospitato i più grandi
cantanti da Farinelli a Maria Malibran. E qui ritroviamo Giacomo Puccini, che al
teatro del Giglio seguì personalmente la messa in scena di alcune sue opere.
Davanti al Teatro, c’è l’Hotel Universo, che ospitò il leggendario Chet Baker, l’angelo
caduto “che diceva addio ad ognuna delle sue note” e che suonava alle ore più
impensabili della notte, affacciandosi al davanzale della finestra.
Fatti due passi siamo in Piazza Napoleone, ed ecco la musica rock e contemporanea di
Lucca, grazie al Summer Festival.
Per non parlare del Palazzo Ducale, che come molti palazzi lucchesi ospitò le accademie
musicali e le “camerate”. E se vogliamo essere abbracciati e cullati dalle note musicali
basta passare davanti all’Istituto Boccherini, dal quale la musica ci verrà incontro
diffondendosi dalle aule per ogni vicolo e piazzetta circostante. Luigi Boccherini, un
altro grande della musica lucchese, le cui arie continuano a fare da sottofondo a molti
film di successo.
Dall’Istituto Musicale è facile arrivare all’Anfiteatro, culla del Summer Festival e del
Jazz. E li, vicino alla basilica di San Frediano, uno dei più antichi luoghi di culto cattolico
di Lucca, c’è la residenza lucchese di Niccolò Paganini.
Il soggiorno lucchese di Paganini fu una lunga e fruttuosa permanenza, in cui, il
diabolico violinista, s’innamoro’ perdutamente di una lucchese, per la quale abbandonò
il fido violino in cambio di una più morbida chitarra da serenate. Se si prosegue per le
vie storiche di Lucca si arriva a Santa Maria Nera e al giardino Orsetti dove è nato
Saverio Gemignani e, sempre in questo quartiere, nacque anche Alfredo Catalani.
Un tour musicale questo che si conclude con la visita alla casa museo Puccini, in Corte
San Lorenzo.
Accanto agli autori musicisti di ieri si muovono, a Lucca, i fautori moderni della buona
musica e, nel terzo Millennio, la storia di Lucca e la sua musica continua anche grazie a
molti personaggi locali che operano per essa e con essa e, fra tutti spicca un personaggio
come Michele Del Pecchia, cantante, autore, presentatore e produttore discografico.
Insegnante di canto moderno, dizione e produttore artistico e Amico Storico del
prestigioso Gruppo “La parola all’immagine”.
L’Artista ha avuto un’idea fantastica che ha realizzato ottenendo un gratificante successo.
Ha infatti fondato La Palestra Musicale, un luogo dove tutti possono misurare il
talento ed esaudire la voglia di cantare. Anche chi frequenta già una scuola di canto,
può frequentare gli incontri che servono a completare ciò che già si impara: Dizione,
repertorio, interpretazione e per chi non frequenta altre scuole, anche la tecnica: uso del
diaframma, respirazione e apertura della bocca.
Lo scopo di Michele Del Pecchia, grande professionista, è quello di portare a cantare in
pubblico e di dare un’impronta professionale al cantante, che di solito, col karaoke oggi
tanto di moda, non si ha.
La voce è uno strumento musicale bisogna imparare a modularla giustamente, come ben
sa Michele Del Pecchia, splendido interprete di ottimi brani da lui stesso composti.
La Palestra Musicale di Michele Del Pecchia è un’ulteriore conferma di quale prezioso
e importante “scrigno musicale” rappresenti “Lucca Signora”.

Michele Del Pecchia


I RACCONTI
DELLE
Foto Claudio Lazzerini
MURA
Romano Pieri
Romano Pieri nasce, un po’ di anni fa, a Convalle, un piccolo paese di
90 abitanti situato nel comune di Pescaglia, da cui dista tre chilometri,
nella provincia di Lucca. A Romano sarebbe piaciuto molto studiare, ma
non gli fu possibile, invece di fargli proseguire gli studi, i suoi gli
comprarono le pecore. E cosi rimase a Convalle, si sposo’ e, lavorando
la terra e amando piante e fiori, ha passato serenamente tutti questi anni
che l’hanno portato alla bella età di oggi, ottant’anni, splendidamente
portati e in cui gli è tornata la passione per scrivere, grazie alla quale ci
racconta buona parte della sua vita,
con quella sua “penna da scrittore” interessante e forbita.
BISTICCI IN FAMIGLIA
di Romano Pieri
Il signor Rossi, un uomo molto signorile sempre elegante, scarpe lucide e cappello
in testa, non era sposato, e teneva una signora di mezza età a fargli le pulizie. Fu un
giorno, che dopo aver lucidato le scarpe del suo padrone, le depose su di una mensola
che era vicino all’attacca cappello, andando a fare le pulizie in un’altra stanza.
Scarpe e cappello per la prima volta si ritrovarono vicino, fu il cappello che con tono
da superiore disse: salve colleghe, è tanto che viviamo assieme ma mai eravamo stati
così vicino; poi con aria scherzosa: certo deve essere triste dover sopportare il peso di
una persona a giornate, dovendo strusciare per terra in mezzo a tanta immondizia! Poi
sempre con tono scherzoso: certo io sono nato più fortunato di voi.
La scarpa destra che era più spigliata della sinistra disse: anche te hai le tue rogne,
devi sopportare sole, vento, pioggia, non puoi entrare in tutti i posti come noi, vivi tutto
il giorno appeso ad un gancio di ferro ...ci fu un breve silenzio, poi aggiunse di nuovo:
non chiamarti troppo fortunato, anche te hai un padrone che ti fa fare quello che vuole.
Subito il cappello: povere disgraziate, io vivo sempre bello pulito mentre voi sempre
nella polvere della strada, a volte dovendo sopportare dei piedi puzzolenti, io mai
condurrò una vita sì meschina.
Molto stizzita la scarpa destra stava per ribattere qualcosa, ma la sinistra la trattenne.
Lascialo dire, le disse, anche lui ha le sue rogne: ma ci sta prendendo in giro!
Aggiunse l’altra: non ascoltarlo, a volte ride bene chi ride l’ultimo. Il cappello stava
per aggiungere qualcosa, quando entrò la domestica, che prese le scarpe riportandole
al loro posto.
Un giorno il signor Rossi disse alla domestica: queste scarpe e questo cappello non mi
piacciono più, regalale a qualcuno se vuoi; lei pensò subito a quel barbone, che vedeva
tutti i giorni passando da quella piazza. Mise scarpe e cappello dentro ad una borsa, e
le depose lì in un angolo; finito il suo lavoro l’avrebbe portate a quel disgraziato. Non
era stata li troppo sul sottile, aveva tirato dentro scarpe e cappello assieme: che brutto
odore che emanate! disse subito il cappello, assieme a voi non riesco a stare! Vai pure
a fare un giretto, gli risposero ridendo le scarpe, può darsi che tu trovi chi riesce a
sopportarti ancora in testa, per il momento noi ci riposiamo.
Il barbone fu molto felice di potersi mettere quella roba: gettò vie le vecchie scarpe,
prese il cappello pigiandolo forte in basso cercando di toglierli le varie forme e se lo
mise ben pigiato in testa; sembrava più un cappuccio che un cappello.
L’aveva fatto di proposito a ridurlo così, per il lavoro che doveva fare gli sembrava
troppo elegante, poi, fatto così gli tornava meglio anche tenerlo in mano, sperando che
qualcuno vi gettasse un soldino.
Già da mesi portava quegli indumenti senza toglierli di dosso, chissà perché quella
sera, prima di infilarsi nel suo pagliericcio fatto con stracci di ogni genere, si tolse
scarpe e cappello mettendoli sotto quegli stracci. Ancora una volta scarpe e cappello
si ritrovarono lì accanto.
Salve amico, gli disse la scarpa destra, quasi non ti riconoscevo… come sei sudicio,
BISTICCI IN FAMIGLIA
di Romano Pieri
unto e mal ridotto. Non va riso delle disgrazie altrui, disse con voce mesta il cappello:
non siamo state noi a ridere per prime degli altri, ma fosti te quel giorno, che con tanta
arroganza cercasti di poterci umiliare: neanche voi mi sembrate in buone condizioni,
tutte sporche e rotte: siamo un po’ mal ridotte, ma almeno noi non abbiamo pidocchi
che ci girano addosso: d’accordo, disse il cappello, ma neanche i piedi che vi calzano
non devono profumare troppo: avremo anche noi le nostre rogne, rispose la scarpa
destra, però non siamo costrette a chiedere l’elemosina.
A quel punto fu la scarpa sinistra che disse alla compagna: lasciamolo perdere, a
questo punto non sta bene deriderlo troppo.
Con aria decisa fu la destra che disse: ma se lo dicesti tu che ride bene chi ride per
ultimo! A questa battuta, sia destra che sinistra non seppero resistere dal farsi di vero
cuore, una chiassosa risata
IL COMPLEANNO DI GIOVANNA
di Romano Pieri
Stamani niente barzelletta …Oggi è il compleanno di Giovanna .
La sua festa, e con tutto il cuore a lei voglio donare il mio pensiero.
Nel primo mezzo secolo del 1900 , Convalle un piccolo paese in mezzo alle montagne,
un paese fatto di misere casette, con muri senza intonaco, con pavimenti di tavole di
castagno, dove a volte tante delle numerose famiglie di allora erano costrette ad abitare
anche in piccoli spazi, ma che nonostante tutto, le persone vivevano in armonia tra di
loro volendosi bene. Allora la gente viveva col ricavato di quella misera terra e delle
tante pecore che quasi tutte le famiglie avevano. Due terzi dei terreni del paese erano
di proprietà di due ricche famiglie Lucchesi che venivano a Convalle solo nell’estate.
La maggior parte della gente lavorava sulla loro terra, prendendo solo la metà del
misero raccolto. L’altra terza parte era di piccoli proprietari e quelli erano chiamati i
signorotti del paese perché non dovevano spartire nulla con nessuno. “Era il 25 agosto
del 1931quando in una di quelle numerose famiglie, “forse tra le più povere “nacque
una bambina: che poi fu chiamata Giovanna, e con lei divennero sei in famiglia. Ma
era sana e robusta e la sua nascita non preoccupò nessuna di quelle tranquille persone.
Sempre lavorando per sopravvivere, gli anni passavano. Nel 1934 nacque il quinto
figlio e nel 1939, il sesto. I tempi peggioravano, eravamo in tempo di guerra e dover
tirare avanti in otto persone a lavorare sulla terra altrui, non era facile. Ma ripeto:
nonostante la miseria era una famiglia molto allegra e gioviale con tutti. La Giovanna
stava crescendo bene. Rossa di capelli, molto energica e allegra con tutti.
Ma forse il giorno in cui era nata, non era un giorno fortunato. A 17 anni le si ammalò
sua madre, due anni di letto, poi morì. Lei si ritrovò a dover tirare avanti una famiglia
di 5 uomini, e anche con poca roba da mangiare a disposizione. ”Essendo 8 anni più
giovane queste cose me le ha raccontate lei”. Conoscevo bene il fratello piccolo, che
eravamo amici, lei non la vedevo molto spesso. Poi nel ‘52 mio padre comprò la radio
e sia lei che suo fratello venivano a veglia a sentire le canzoni . La Giovanna era una
ragazza molto allegra con tutti, dove passava lei, passava una ventata di allegria, e
tutti indistintamente volevamo bene a quella ragazza.”Quella ragazza che negli anni
di gioventù” nonostante la differenza di età” molte volte eravamo stati assieme, quella
ragazza molto allegra con cui era un piacere starle vicino, ma che sempre avevo trat-
tato come una amica. Ma sopra di noi c’è una mano che ci guida, che decide del nostro
avvenire e quella mano aveva deciso che quella doveva essere la compagna della mia
vita,“che nonostante la differenza di età, mi ha fatto passare un’esistenza serena, ac-
compagnandomi ogni giorno con la stessa allegria e amore di allora. Ricordo con tanta
nostalgia i primi anni passati lassù in quella casetta con tanta miseria e tanto amore,
dove con impegno cercavamo di aiutarci l’un l’altro, e ripeto se pur con tanta miseria,
quelli sono stati i momenti che per tutta la vita ho ricordato, perché sono questi i mo-
menti che ti fanno capire e ricordare quanto è il bene della persona che ti sta accanto.
Oggi 25 agosto 2019 quella ragazza rossa compie i suoi 88 anni: 56 passati con me.
Voglio sperare che in tutti questi anni sia riuscito a farla felice, a darle tutto quello
IL COMPLEANNO DI GIOVANNA
di Romano Pieri
che la vita in partenza non le aveva dato: “questo è stato anche il mio scopo” e voglio
sperare che il buon Dio mi dia ancora qualche anno per poterle fare ancora una volta
gli auguri.
Da un’immensa gioia e soddisfazione ritrovarci ancora una volta qui uno accanto
all’altro a festeggiare il giorno della tua nascita.
Ricordo con una certa nostalgia il primo tuo compleanno passato assieme. Era il 25
agosto 1963. Eravamo sposati da un mese, allora c’era la gioventù, e tanta voglia di
stare assieme. Era il tuo primo compleanno che passavi assieme al tuo uomo.
Quasi senza rendercene veramente conto i compleanni si sono addossati uno sopra
l’altro, e oggi sono 56 anni che passiamo questo giorno assieme.
Metterlo a confronto del primo, potrebbe sembrare una cosa ridicola: allora eravamo
giovani, con tante energie, ora siamo vecchi, ma tutte e due le date hanno i suoi lati
positivi. Allora c’era la gioventù e tante energie da spendere… ora quelle energie man-
cano, ma c’è la soddisfazione di poterci ritrovare ancora assieme a passare questa
giornata con serenità, e forse con più amore di allora.
Cosa posso dire che non ti abbia già detto? Posso solo ripeterti ancora una volta, che
passare tutti questi anni assieme è stato per me meraviglioso. Con te al mio fianco,
anno dopo anno abbiamo realizzato le semplici cose a cui si teneva. La mia passione
per la natura, per tutte le piante, per i fiori, e tu mi sei sempre stata accanto aiutandomi
con tanta volontà. Il grande regalo che ci siamo fatti a vicenda … “la nostra bambina”,
che si è fatta grande, si è sposata rimanendoci qui vicino, dove tutti i giorni viene a
trovarci. Pur avendo anche lei i suoi 55 anni, per noi è ...e rimarrà per sempre la nostra
bambina. “Quella che pur tra le tante cose fatte, ne siamo veramente orgogliosi”.
Non tutti hanno la fortuna di poter passare 56 anni assieme. Colui che tutto guida ce lo
ha concesso e dobbiamo essergli grati. Ma vogliamo sperare di poterne passare ancora
con la stessa serenità di questo.
Dobbiamo anche esser grati a questo aggeggio che ci ha permesso di poter
raccontare la nostra vita alle tante persone che ci hanno seguito, e che forse alcune
di loro ci ricorderanno anche quando non ci saremo più, e anche questo ci permetterà di
rimanere assieme, per parecchio tempo ancora sulla terra.
E’ stato molto bello aver potuto passare assieme alla nostra figlia e a suo marito tutti
questi anni con serenità, qui nel nostro paesello, dove siamo nati, dove serenamente
abbiamo vissuto, e dove si spera di poter passare i giorni che ci verranno concessi
ancora. Arrivati a questo punto cosa possiamo chiedere ancora al buon Dio? Solo due
cose possiamo chiedergli ancora. Di concederci ancora qualche anno , che anche se
con poca salute è tanto bello poter passare assiemi i nostri ultimi giorni. Poi quando
sarà il nostro turno, e ce ne andremo di la, ci lasci un piccolo angolino… dove si possa
ancora stare assieme per tutta l’eternità.
E come oggi, poterti per sempre dire “TI VOGLIO TANTO BENE!”
CONVALLE 25 AGOSTO 2019.
LA DONNA DEL NOSTRO DESTINO
di Romano Pieri
Oggi è per me un giorno importante! E’ il cinquantaseiesimo anniversario di matrimonio.
E.. dato che ho la fortuna di poterlo fare, ancora una volta, voglio pubblicare questo racconto.
La donna del nostro destino
Avevo sempre conosciuto quella ragazza che a tutti dava confidenza, che a tutti voleva
bene e che tutti, grandi e giovani volevano bene a lei. Non avevamo la stessa età, lei
era assai più grande di me però tante volte ci si trovava assieme. Allora anche io come
lei ero una persona molto allegra. In quell’inverno lei gestiva il bar del circolo, dove
io assieme agli amici andavo a fare a carte. Alla chiusura tante volte l’accompagnavo
fino a casa sua: ci mettevamo intorno alla stufa a legna che suo padre prima di andare
a letto aveva riempito per bene. Era piacevole stare lì al calduccio chiacchierando di
tante cose e giorno dopo giorno si stava diventando sempre più amici.
Era l’era che tutti si cantava, e anch’io tutte le volte mentre scendevo verso Trebbio
cantavo qualche canzone in voga in quel momento, una in particolare: “Vecchio Scarpone”.
Non ho mai saputo se era il caso a farle finire l’acqua proprio in quel momento, ogni
volta che passavo di lì era all’acqua alla fontana sotto strada. Si parlava volentieri
assieme, e data la differenza di età non avevo mai pensato che lei si stesse innamorando
di me: io stavo trattandola proprio come una vecchia amica.
Fu una sera verso buio che passando di lì, lei uscì di corsa correndomi in contro
sorridendo. Ti ho fatto un regalo mi disse, tenendo qualcosa avvolto nel grembiule.
“Un regalo!?… dammelo” dissi io con la mia aria un po’ canzonatoria: “mi vergogno”
mi disse lei tenendo chiuso il grembiule che aveva davanti.
Fu sempre con la mia stessa aria che misi la mano dentro il grembiule, ne uscì fuori un
angelo di plastica, una di quelle statuette che lei dipingeva. Aveva una striscia bianca
davanti dove, in lettere molto precise c’era scritto: “Ti amo”.
Fu uno di quei momenti incantevoli che non sempre la vita ci offre: lei mi guardò con
amore e io forse con stupore. Non ci si disse nulla.
Lei tornò verso casa, e io verso Convalle. Passai ore riguardando quell’angelo, quella
striscia bianca con quelle due parole; nella mia vita avevo avuto altri regali senz’altro
di maggior valore reale, quello era il più modesto, ma già sentivo che forse sarebbe
stato il più importante.
Partii per il militare, lei mi chiese se dovesse aspettarmi, le dissi di no: quegli otto anni
mi sembravano un ostacolo insormontabile.
Ci si scrisse alcune volte in quei 18 mesi, con parole di amicizia nascondendo i nostri
sentimenti.
Tornai a casa, erano passati diciotto mesi ma eravamo ancora liberi tutti e due. Andavo
spesso a trovarla, lei era la stessa di prima, io forse, a causa dei diciotto mesi di naia,
mi ero fatto più maturo, l’allegro e scanzonato ragazzo di prima non esisteva più: ero
diventato uomo, ed era da uomo che guardavo lei coi suoi otto anni in più, ma col suo
bel carattere, col grande amore che aveva per me; mi domandavo se queste cose avrei
potuto ritrovarle con un’altra, anche se più giovane.
Avevo conosciuto altre ragazze anche più belle a cui avevo voluto bene, ma con lei
era un’altra cosa e fu allora che decisi di mettermi assieme a lei …ma questa lei chi
era? …era la donna che poi ho sposato, la donna a cui devo tante cose, la donna che
per 51 anni ha vissuto con me, con la solita allegria e il solito amore di quei lontani
giorni: la donna che nonostante i suoi otto anni in più è ancora qui accanto a me …la
Giovanna.
Convalle 04 gennaio 2014
Quando scrissi questo racconto, che considero il più autentico, il più bello. Giovanna
aveva 83 anni, e io mai avrei pensato di poterlo ripubblicare 5 anni dopo. In quel
momento non stava bene, spesso io tornavo a rileggerlo e…quando arrivavo dove dice
“la donna che per 51 anni ha vissuto con me”, mi sentivo triste e fortunato allo stesso
tempo.’ Poter passare 51 anni assieme alla compagna della tua vita, non è un dono
per tutti. Io già mi sentivo un privilegiato e nelle condizioni in cui si trovava credevo
di essere alla fine di questo bel sogno. Ma Colui che di lassù tutto guida. Forse nel
vedere quanto bene ci volevamo ancora, ha voluto essere clemente. Dopo poco tempo
Giovanna cominciò a stare meglio ritornando la Giovanna di sempre. E da quel giorno
volerci bene ogni giorno di più è stato il nostro obiettivo. Abbiamo cercato di vivere con
tanto amore l’uno per l’altro, non volendo perdere neppure un attimo di quel tempo che
ci veniva ancora concesso. Sono passati 5 anni, è stato bello poterci alzare al mattino,
darci il buongiorno, felici che anche questo giorno lo avremmo potuto passare ancora
una volta assieme .
Era il 25 luglio 1963, quando seguiti dagli stretti famigliari, un uomo di 24 anni, e una
donna di 32, salivano su per la strada che dal paese conduce alla chiesa parrocchiale.
Due persone che nonostante la grande differenza di età avevano deciso di sposarsi, di
passare i giorni dalla loro vita vicini uno all’altro.
Erano due persone coraggiose? Erano due incoscienti? …No, erano due persone che
avevano capito di volersi bene, di essere fatti uno per l’altra; e con tanta miseria, ma
con altrettanta volontà, stavano per iniziare assieme il lungo e difficile percorso della
vita. Oggi 25 luglio 2019 è il nostro Cinquantaseiesimo anniversario di matrimonio,
Ricordo ancora l’emozione di quel giorno mentre inginocchiati davanti all’altare ti
infilavo al dito l’anello giurandoci eterno amore e fedeltà. Allora stavamo per iniziare
il nostro percorso con tanto entusiasmo e con tante speranze. Oggi dopo 56 anni ci
troviamo ancora qui accanto, nella nostra casetta ‘il nido della nostra vita’ forse più
emozionati e felici di quel lontano giorno. Ringraziando il Buon Dio per i tanti anni
passati serenamente assieme . Allora si iniziava il lungo percorso della nostra unione,
ora questo percorso è quasi in fondo, e proprio per questo cerchiamo di non perderne
neppure un attimo. Già 5 anni fa credevo fosse la fine, sono passati questi anni e noi
ci troviamo ancora qui, forse più forti di allora, e molto fiduciosi di poterne passare
ancora molti assieme. Quel giorno mentre infilavo l’anello al tuo dito, essendo molto
emozionato, non so se riuscii a dirti ti voglio bene ! Sono emozionato anche adesso .
Ma lascia che ti possa ancora una volta abbracciare per dirti : “Grazie! per tutti questi
anni passati assieme con tanto amore e serenità, e con altrettanta serenità poterti dire:
‘TI VOGLIO TANTO BENE.’ ….Le cose che vorrei dirti sarebbero ancora tante, ma...
con calma, spero di potertele dire un poco per volta, negli anni che verranno…..
Romano e Giovanna
RIDERE FA BUON SANGUE
le barzellette di Romano Pieri
Due amici con l’aria dimessa. Chi è l’uomo più furbo del mondo?
“E tu come fai a tenere in piedi L’inventore della supposta!..
tutta la famiglia con quel poco Perché?
di stipendio che percepisci? Perché prima o poi la mette
“Semplice…ho venduto le sedie! nel culo a tutti

Giorgio e la moglie Marta Allo stadio


passeggiano in una strada di Milano. “Come mai bambino sei qui in tribuna
A un certo punto Marta si ferma d’onore tutto solo?”
incantata “Sono venuto con la tessera di mio
davanti ad una vetrina. padre.”
“Ti deve piacere veramente molto “E tuo padre?”
quel vestito.” “E’ a casa a cercarla.”
Dice Giorgio.
“Si!” risponde Marta. Un medico cura un paziente con
“Mi piace moltissimo.” l’autosuggestione.
“Bene, domani torniamo a guardarlo!” “Dica tre vote ‘io sono guarito’ e guarirà
davvero.
Fra amici: Il malato ubbidisce e si sente guarito.
“Il medico mi ha proibito di “Mi deve 50 euro” annuncia il medico.
fumare, mentre lavoro!” “Allora lei dica tre volte ‘Io sono pagato…
“E tu?” e così saremo pari!’
“Mi sono licenziato.”
Un giornalista sta mostrando una fotografia
Fra amici: della torre di Pisa a sua moglie.
“Senti Giovanni, ho saputo che vai
Questa guarda la foto, guarda il marito
dicendo in giro che sono un cretino
e la cosa non va affatto bene.” e, aggrottando le ciglia dice:
“Scusami, non sapevo volessi “Come al solito avevi bevuto
mantenere il segreto.” anche quel giorno!”

Al cimitero, davanti a una tomba un tale Un ragazzo entra in cartoleria


singhiozza: e chiede del cartoncino bianco.
“Non dovevi morire…non dovevi morire, “Lo vuoi molto spesso?
perché sei morto!” domanda il negoziante.
Un passante commosso lo vede, e doman- E il ragazzo:
da: “No solo per questa volta!
“Era vostro padre…vostra madre…”
“No, era il primo marito di mia moglie.” Ciao a tutti, Romano
Foto Sarena Andreini
Torre Guinigi
Poesia liberamente ispirata
all’Infinito di Giacomo Leopardi

Sempre cara
mi fu questa grande torre
che dall’alto veglia
su Lucca Signora.

Secoli di storia le danzano


attorno, mentre la luce
della gloria la illumina
nel suo splendore.

Mirandone la bellezza
vedo le vestigia e gli ori
di un tempo antico
risplendere nella solenne
quiete dei ricordi.

E sognare e sperare mi è
dolce in questo incanto
dove l’anima s’acquieta
in una regale eternità.

Fabrizia Vannucci
Foto di Massimiliano Bartoli

Piazza Grande o Piazza Napoleone è stata da sempre il centro del potere


politico di Lucca, ma il suo aspetto originario era completamente diverso e
la storia degli edifici che popolavano quel luogo è stata custodita per secoli
dal sottosuolo. La sistemazione attuale della piazza, invece, risale all’età
Napoleonica, quando il principato di Lucca, dal 1805 al 1815, fu in mano a
Elisa Bonaparte Baciocchi, la sorella di Napoleone, che decise di celebrare
l’illustre consanguineo dando alla piazza il suo nome.
Per la sua costruzione, secondo il progetto di un architetto italiano e di un
francese, non si poté evitare di spianare case, magazzini, una torre, l’archivio,
le botteghe e persino una chiesa, quella di San Pietro Maggiore; tutto per dare
maggiore evidenza e prestigio al Palazzo Ducale, detto anche Palazzo Pubblico,
oggi sede delle Provincia di Lucca. Le facciate degli edifici che delimitavano la
piazza non erano però così gradevoli alla vista, perciò si pensò di coprirli con
una fitta cortina di platani, così come appaiono oggi.
Di fronte al palazzo doveva campeggiare una enorme statua di Napoleone, ma
il progetto non ebbe seguito e la statua al centro dello spazio divenne quella
di Maria Luisa di Borbone, dopo che nel 1815 le fu affidato il comando della
città.
Era infatti noto, soprattutto da antiche stampe e planimetrie, che
originariamente lì c’erano una chiesa e la torre della zecca di Lucca, ma gli
scavi hanno rivelato una affascinante realtà, completamente diversa da quella
che appariva dai disegni antichi.
Foto di Massimiliano Bartoli

È stato a questo punto che è andata facendosi strada l’ipotesi che quei resti
e quelle fondazioni potessero tutti appartenere all’Augusta e analizzando gli
ambienti che occupavano gran parte della piazza sono divenute sempre più
evidenti le reali dimensioni della fortezza di Castruccio Castracani, che si
riteneva occupasse un’estensione circa equivalente alla pianta del Palazzo
Ducale.
Nulla si sa della sua pianta reale, proprio perché il progetto di un luogo
fatto di percorsi segreti che avrebbe dovuto proteggere Castruccio da ogni
pericolo, era rimasto circondato da un alone di assoluta segretezza.
Si è scoperto che la fortezza era
stata costruita con una serie di
accessi connessi l’uno all’altro in
modo che se il nemico fosse
passato indenne attraverso il
primo, sarebbe riuscito con
difficoltà a superare gli altri due;
nel frattempo Castruccio avrebbe
avuto la possibilità di fuggire
agevolmente attraverso la fitta
rete di cunicoli approntati proprio
in caso di pericolo, provvisti
anche di nicchie per alloggiarvi le
torce per l’illuminazione.

Ai nostri giorni, da centro del


potere, Piazza Grande o
Piazza Napoleone, ogni estate
si trasforma nel cuore della vita
culturale della città, dove in una
ambientazione spaziosa e
suggestiva, hanno spesso luogo
dei concerti e vi si svolge anche
il famosissimo
Lucca Summer Festival.
Passeggiando sulle
Mura
Passeggiando sulle Mura, Passeggiando sul Giannotti,
ritorno a nuova vita, respirando aria pura. prendendo un gelato,
Camminando a passo svelto, non vedo l’ora
completo l’intero anello in meno di un’ora. di passare attraverso Porta Santa Maria,
Assaporo la bellezza di questo gioiello, per raggiungere il traguardo tanto agognato.
preziosissimo scrigno,nella quale Quanto è bella questa città,
è racchiusa questa città a me così cara. lo può sapere soltanto chi ci è nato.
Mia meravigliosa Lucca,ti amerò per sempre. Solo chi è venuto al mondo
Sarai sempre il mio sogno proibito, dentro i tuoi confini,
nella quale io sono nato. sa che cosa vuol dire amarti.
Ti adoro e adorerò per sempre Gli altri possono soltanto scoprirti,
tutta quanta la tua gente. ma soltanto chi parla
Da tutto il mondo vengono a vederti, il tuo fantastico vernacolo
e vedendo quanta meravigliosa bellezza può capirti.
è concentrata in così pochi chilometri, Soltanto chi ne conosce
i tuoi ammiratori che parlano mille idiomi, la più piccola sfumatura,
non finiscono mai di stupirsi. del lucchese autentico
Da ogni parte del globo terracqueo, potrà scoprire la sua vera natura.
vengono soltanto per te, amore mio. Il resto è soltanto supposizione e congettura
Di essere nato dentro il tuo arborato cerchio,
non finirò mai di ringraziare Dio. Giovanni Parensi

Foto Massimiliano Bartoli


Foto Massimiliano Bartoli
Foto di Massimiliano Bartoli

Le mura di Lucca, per una circonferenza di metri 4.195 racchiudono al


loro interno l’antica città, rimasta indipendente fino al 1847. Non si sa con
esattezza quanti mattoni furono necessari per costruire l’imponente
fortificazione, ma nell’Archivio di Stato di Lucca sono custoditi
documenti che riportano le cifre delle più importanti forniture: la prima di
complessivi 250.000 mattoni; la seconda di 100.000; la terza di 50.000; la
quarta di 35.000 ed infine una fornitura di 3.000 mattoni.
Quei bastioni rotondi, che si vedono guardando le mura dall’alto si chiamano
orecchioni ed è proprio sopra di essi che si trovano i baluardi, un tempo
attrezzati con cannoniere e fucilerie.

«Ma io amo anche le mura viste dal fuori, dall’esterno. Non c’è
volta che rientri a Lucca o dall’autostrada, da Montecatini, dalla
Garfagnana, da Viareggio, che le mura – cortine, baluardi, i
bianchi cartigli con le date – non mi accolgano, non mi sorridano
benevolmente».

Mario Tobino
Foto Massimiliano Bartoli
Lo squillo del cellulare vicino al letto interruppe il suo profondo sonno.
Tony aprì gli occhi pian piano, la testa gli doleva per i postumi della sbronza della sera
avanti che non erano ancora scomparsi del tutto, come il fumoso ricordo di quelle ore
trascorse a brindare con gli amici per il suo compleanno.
Si guardò intorno ma alla prima non riconobbe la camera d’albergo in cui era sceso
per passare la sua vacanza lucchese.
-Possibile che una birra in più mi abbia ridotto un simile straccio? – pensava fra se –
- Come sono rientrato in albergo?…..Non lo ricordo affatto.
Il cellulare continuava a squillare e lo distolse dalla sua elucubrazione….
-Pronto. Ah sei tu Andrea….si sto bene non preoccuparti, solo un gran cerchio alla testa
cosa normale con quello che ho bevuto la notte scorsa....
Come? Ho bevuto solo una birra? Ma sei sicuro di quel che dici?...Io non ricordo
niente neppure come ho fatto ad arrivare qui in albergo!
-Non lo so neppure io cosa hai fatto – rispondeva Andrea dall’altra parte del telefono--
ma posso assicurarti che hai bevuto solo una birra e poi, dopo che ti abbiamo fatto gli
auguri di compleanno, ci hai salutato frettolosamente dicendo che avevi un impegno…
ed io per questo ti sto chiamando, per sapere com’è andato questo impegno!....
Concluse Andrea con un risolino che lasciava intendere a quale dolce impegno alludesse..
-Ma quale impegno! Ma cosa stai dicendo? Io sono arrivato ieri sera a Lucca e sono
venuto subito in birreria a brindare con voi….non avevo proprio nessun impegno e
comunque non ricordo niente, neppure come ho fatto ad arrivare nella mia camera
d’albergo!
-Ripeto quanto ti ho detto prima, è la verità, possono confermartelo anche Leonardo
e Claudio che erano con noi ieri sera….Ma veramente non ricordi niente?...Se stai
male dimmelo, passo a prenderti e ti porto al San Luca, al pronto soccorso! - Gli disse
Andrea che cominciava ad essere allarmato per le risposte dell’amico.
-Non preoccuparti non sto male….vedrai che riusciro’ a ricordare cosa mi è capitato
Cerco con calma di ricostruire i fatti.
Ti chiamo dopo…Ciao Andrea…e frettolosamente interruppe la conversazione.
Si domandava come era possibile che non ricordasse fatti che lo riguardavano e che
erano accaduti solo poche ore prima!
Ma la nebbia che offuscava il suo cervello non si diradava e stava brancolando nel
buio…quella sensazione di non riuscire a ricordare l’accaduto lo stava soffocando e in
cerca d’aria fresca spalanco’ la finestra, allorchè lo scenario che si presento’ ai suoi
occhi gli tolse veramente il fiato!
La sua camera si affacciava sul giardino di Palazzo Pfanner, in un breve attimo Tony
comprese perché questo straordinario giardino lucchese fosse utilizzato da numerosi
registi come “palazzo della nobiltà papalina!”
Un giardino dalla magica bellezza, suddiviso geometricamente in sette ampi spazi
rettangolari delimitati da vialetti rettilinei, al centro una vasca ottagonale, decorata
con quattro statue allegoriche raffiguranti gli elementi: Vulcano (fuoco), Mercurio
(aria), Dionisio (terra) e Oceano (acqua). Vicino al palazzo le statue dell’allegoria
delle quattro stagioni.
All’improvviso un lampo nella sua testa!
Si ricordo’ che a Palazzo Pfanner ci fu la prima birreria del Ducato di Lucca e una
delle prime in Italia. La storica Birreria Pfanner, ameno luogo di produzione e mescita
collocato tra il giardino e le cantine del palazzo, chiuse ne1929.
Tutto questo dovuto a Felix Pfanner (1818-1892), nativo di Horbranz (Austria), ma di
famiglia bavarese, che acquisto’ progressivamente l’intera struttura dopo avervi installato
la sua birreria, a partire dal 1846.
Strano come ricordasse con tale lucidità questi fatti letti anni prima su una guida di
Lucca, in un momento in cui invece sentiva di avere ancora la mente offuscata al
pensiero della sera avanti.
Decise di far scorrere il tempo senza pensarci piu’, i ricordi sarebbero sicuramente
venuti in superficie e lui avrebbe finalmente trovato il bandolo di una matassa che
sembrava abbastanza intricata.
Alla meglio si mise in piedi e barcollando un po, ando’ a tuffarsi sotto la doccia , nella
speranza di riacquistare la sua lucidità; passo’ pero’ del tempo prima che si ritrovasse
stabilmente diritto sulle proprie gambe.
Si vestì ed uscì per portarsi in un punto esatto della citta’ che rappresentava il motivo
per cui era venuto in Italia dall’America, aveva appuntamento con la Torre delle Ore
che lui, appassionato studioso degli oggetti che scandivano il tempo, riteneva uno dei
piuì affascinanti marchingegni del passato.
Aveva inteso unire l’utile al dilettevole, una vacanza di compleanno e un percorso di
studi oltremodo interessanti lungo la via della cultura lucchese.

Foto Massimiliano Bartoli


Buongiorno - disse alla giovane
donna bruna alla reception
dell’albergo
-Buongiorno signore….ha dormito
bene?...Gli chiese la ragazza
mostrando un sorriso incantevole
che illuminava due occhi dal
colore del velluto nero, neri come
l’ebano erano anche i capelli
lunghissimi che portava sciolti
sulle spalle, incurante del gran
caldo che imperversava in città,
in quel giorno afoso del mese di
agosto e piu’ esattamente il 14
agosto!
L’estate imperversava ma non era abbronzata anzi, era pallidissima, la pelle quasi
diafana.
Tony afferrò tutte queste cose in un batter d’occhio ma non dette ad esse troppa
importanza, ormai stava andando incontro al suo obiettivo”la Torre delle Ore”!
-Si grazie…a dopo - rispose educatamente e usci fuori nel sole accecante di quel
torrido agosto .
Le distanze da una via all’altra nel centro storico di Lucca si percorrono velocemente,
essendo questa città ancora a dimensione d’uomo e cosi’ Tony, che stava correndo per
l’entusiasmo di realizzare di li a poco un suo grande desiderio, imbocco’ quasi subito
via Fillungo e li, all’angolo di via dell’Arancio, si trovo’ davanti in tutta la sua
maestosa bellezza, con i suoi 50 metri circa di altezza, la Torre delle Ore, la più alta
delle 130 torri presenti nella città dal Medioevo ad oggi.
Si fermo a rimirarla di sotto in sù, sapeva tutto di quella torre che da sempre
l’affascinava ed il cui eco gli era giunto oltre che dai libri che descrivevano Lucca,
anche dai racconti dei nonni materni, emigrati in America . In seguito all’unità d’Italia
nel 1861, a causa delle precarie condizioni economiche e della diffusione della piccola
proprietà terriera e della mezzadria,
insufficienti a sfamare famiglie numerose,
iniziò il grande esodo verso l’America del
Nord e del Sud, che non conobbe sosta fino
al fascismo, e riprese poi dopo la seconda
guerra mondiale, anche verso l’Europa,
l’Australia e il Sudafrica. Si calcola che
da tutta Italia, dall’ottocento a oggi siano
emigrati oltre 26 milioni di persone! Anche
Lucca vide andarsene in cerca di un futuro,
tantissimi dei suoi figli, alcuni ritornarono,
ma la gran parte si stabilì definitivamente
nei paesi ospitanti, perché le condizioni di
vita erano molto più favorevoli che in patria.
E fra un racconto e l’altro dei nonni come
ricordavano Lucca, Tony s’innamoro è il caso
di dirlo, della Torre delle Ore o dell’Orologio
e decise che sarebbe andato in Italia per
conoscerla personalmente e adesso era qui,
davanti alla sua antica maestosità!
Aveva studiato la sua storia apprendendo che
fu costruita intorno al XIII secolo e quello
che la contraddistingue è proprio l’orologio:
il quadrante esterno venne posizionato nel
1490 nel luogo più alto della città in modo
che le ore potessero essere anche visibili oltre
che udibili mediante i rintocchi. L’orologio
vero e proprio è stato regolato da un
meccanismo nel 1754 ed è dotato di un
quadrante con numeri romani e la lancetta
unica sagomata con stella al centro.
La campana più grande annuncia le ore da
una a sei, alla romana, e le due campane
minori i quarti. Era dunque giunto il
momento tanto atteso, poteva entrare e
visitare la torre dal suo interno e lui…
entro’! Un’ atmosfera quasi irreale lo
accolse e in un attimo gli parve di
vedere secoli di gloriosa storia venirgli Affascinato si fermo’ ad osservare la
incontro. scala che portava lassù all’orologio,
Affascinato si fermo’ ad osservare la una scala di 207 gradini, tutti in legno,
scala che portava lassù all’orologio, squadrati ed incastonati nella pietra e
una volta in cima, oltre a godere della
bellissima veduta sui tetti di Lucca,
avrebbe potuto ammirare il meccanismo
a carica manuale dell’orologio, vero
capolavoro della tecnologia dell’epoca,
opera del ginevrino Louis Simon con la
collaborazione del lucchese Sigismondo
Caturegli.
Man mano che saliva il cuore gli batteva
sempre piu forte in petto.
Tony penso’ che fosse per la fati-
ca della salita, i gradini non erano
pochi e lui non si era ancora rimesso
completamente dalla sbronza della sera
prima o da quella che credeva tale.
Riusci’ a giungere in cima alla torre dove rimase estasiato per la veduta che
abbracciava il centro storico di Lucca nonche’ il panorama naturale ed armonioso che
gli si estendeva tutt’intorno e, davanti all’orologio a vista che troneggiava davanti a
lui, vacillo’, stava per cadere risentendosi di nuovo disperso nella nebbia dei ricordi;
una sensazione fortissima che gli fece correre i brividi lungo la spina dorsale, quasi una
sensazione di paura e non capiva perché.
Era finalmente arrivato a vedere da vicino l’oggetto dei suoi desideri, quindi, avrebbe
dovuto rallegrarsene e non averne quasi paura.
Quella mattina era solo, lì, in cima alla torre, non c’era neppure l’ombra di uno dei
tanti turisti che quotidianamente visitano l’ orologio, Tony continuava a tremare,
penso’ di avere la febbre, non capiva che cosa gli stesse accadendo.
-Signore, sta male?
Chi aveva parlato se non c’era nessuno fino ad un attimo prima?
Tony si volto di scatto e la vide, illuminata dal raggio di sole che penetrava dalle
monofore della torre, eterea, quasi impalpabile nel suo fresco abito bianco, sembrava
una creatura irreale e invece riconobbe in lei la ragazza dell’albergo.
-Anche voi qui? Non vi ho vista salire, in realtà credevo di essere solo.
-Non potete avermi vista salire, ero già qui, l’orologio mi nascondeva ai vostri occhi….
spiego’ la donna.
-Ma come avete fatto ad arrivare sin qui prima di me?...Vi ho salutato poco fa alla
reception dell’albergo! Avete volato?
-Ahahahah…ma no, da buona lucchese conosco le scorciatoie della citta’! Vi ho
preceduto di pochissimo, quello che basta per salire prima di voi le scale ed arrivare
quassù. Sapete, è un esercizio che faccio quasi tutti i giorni, salire di corsa questi
scalini mi tiene in forma. E’ il mio allenamento personale.
-Effettivamente godete di una splendida linea. Complimenti, non è uno sforzo da poco
salire di corsa tutti questi scalini. Convenne Tony.
-Vi sentite meglio adesso? Vi ho visto vacillare…..gli domando’ la ragazza.
-Un capogiro, ma sto meglio grazie - e cosi dicendo Tony si volto’ verso l’orologio
beandosene ed ammirandolo.
-Non è magnifico? - Domando’ alla ragazza continuando a guardare lo storico
meccanismo manuale della Torre delle Ore - ma non udi’ nessuna risposta - Dove siete,’
siete scomparsa un’altra volta?
La ragazza non c’era piu’! Sembrava essersi volatilizzata sul serio questa volta.
Guardo’ giu lungo la scala e non vide nessuno… Tony comincio’ a pensare di soffrire
di allucinazioni e si domando’ che cosa mai avesse bevuto la sera prima con gli amici,
dava la colpa a cio’ di quello strano malessere che lo infastidiva. Decise di rinunciare
allo studio che intendeva fare sulla manualità dell’orologio e a malincuore si accinse a
scendere i 207 scalini, sperando in cuor suo di non vacillare e cadere.
Ritorno’ in albergo, un po’ per stendersi e riacquistare le forze e un po’ per vedere se la
ragazza avesse già fatto ritorno alla reception.
Quelle strane apparizioni cominciavano ad incuriosirlo. Ma alla reception questa volta
c’era un signore alto e grassoccio che lo saluto’ cordialmente.
-Salve, mi scusi, lei sa come si chiama la ragazza che lavora qui?
-Quale ragazza signore? Qui ci sono solo io…non so di chi stia parlando, mi spiace
non posso aiutarla.
-Ma…la ragazza bruna che mi ha salutato stamani! Molto bella…qui..alla reception!
-Le dico che qui non lavora nessuna ragazza e le ripeto che ci sono solo io!
-Mi scusi…forse ho sbagliato, sa non mi sento molto bene….salgo in camera mia.
Buongiorno.
-Buongiorno signore. Se ha bisogno di qualcosa mi chiami, non faccia complimenti.
-Grazie…a piu tardi. Rispose disorientato Tony accingendosi a salire nella propria
stanza. Aveva urgente bisogno di stare solo con se stesso per riordinare i suoi pensieri
sperando soprattutto di fare luce sull’amnesia della sera prima.
Una volta entrato in camera ando’ di corsa a gettarsi sul letto e li rimase immobile per
un po’ di tempo, finchè non decise di mangiare e bere qualcosa per risollevare corpo e
spirito e grande fu la sua sorpresa quando sul comodino da notte, vide una bottiglia di
birra….una birra con etichetta Pfanner !
-Pensavo che le avrebbe fatto piacere bere un birra fredda con tutto questo caldo - disse
la ragazza bruna seduta sulla poltrona posta in un angolo della camera.
-Ancora Voi? Qui in camera mia? Il proprietario mi ha appena detto che non lavorate
qui…come avete fatto dunque ad entrare nella mia camera? E dove avete trovato questa
birra che non è piu’ in commercio da moltissimo tempo? Le domando’ Tony mentre di
nuovo i brividi gli stavano correndo lungo la schiena e il sudore gli stava imperlando la
fronte. Cominciava a provare una strana sensazione di paura di fronte a quella donna,
sentiva in modo sempre piu’ chiaro che quello che stava accadendogli non aveva niente
di naturale e la percezione che si trovasse coinvolto in quello che comunemente viene
chiamato fenomeno ‘paranormale”, cominciava ormai a delinearsi nella sua mente.
Avverti’ una gran sete e si diresse verso la bottiglia di birra, voleva berla d’un fiato
tanto si sentiva sconvolto e con la gola arida. Ma la sua sorpresa fu immensa quando,
cercando di afferrare la bottiglia, vide la sua mano passare attraverso essa! Si ritiro’
con uno scatto inconsulto e si ritrovo steso per terra, quasi senza forze.
Come era possibile quello che stava accadendo, si domando’ Tony per l’ennesima volta
e, per l’ennesima volta, non trovo’ la risposta.
Cerco’ con lo sguardo appannato la donna che intanto si era alzata dalla poltrona e
stava in piedi davanti alla finestra spalancata sulla notte, mentre la Torre delle Ore
batteva i suoi rintocchi. La sua figura esile si stagliava contro la luce argentea
della luna piena, una visione quasi irreale e la bellezza armoniosa dell’insieme aveva
qualcosa di magico, dal fascino irresistibile.
-Questa donna è bellissima - si ritrovò a pensare Tony, ammaliato da quella
figura femminile dai capelli corvini lunghissimi, che lo colpirono fin dalla prima
volta che l’aveva vista e che lei lasciava sciolti sulle belle spalle, abbondantemente
scoperte da quell’ abito bianco e leggerissimo che indossava e che non lasciava molto
all’immaginazione.
-Già, l’abito…penso’ Tony mentre stava cercando di rialzarsi dal pavimento della
camera su cui era andato a sbattere poco prima - l’abito che indossa non è attuale,
dalla foggia sembra un abito antico ….e il tessuto di cui è composto, leggero quasi
impalpabile, sembra mussola - concluse fra se. In realtà l’abito era addirittura di
“bisso”, prezioso ed introvabile ormai, chiamato la seta del mare.
Il mistero s’infittiva sempre piu’! - Ma tu chi sei? - domando’ alla donna con la voce
che gli tremava un po’, passando d’istinto dal voi al tu - cosa vuoi da me, cosa significa
la tua presenza qui?
Mentre parlava cercò di avvicinarsi a lei ma d’improvviso una cortina di fiamme si
alzarono fra lui e la bella sconosciuta e a Tony non rimase altro che indietreggiare!

-L’albergo va a fuoco…penso’- e in preda ad un panico che gli toglieva il respiro si


volto’ verso la porta della camera per uscire nel corridoio, allorchè si senti’ afferrare
da una forza incredibile ed invisibile che lo tenne sollevato in aria mentre, sotto i suoi
piedi, si spalancava una voragine cosi’ profonda da non intravederne la fine!
Finalmente la donna parlo’ e questa volta la sua voce fu come un tuono che rimbalzo’
per tutta la voragine apertasi sotto i piedi di Tony.

-Vuoi sapere chi sono io? Non l’hai ancora capito? Io sono Lucida…Lucida Mansi!
Avrai sentito parlare di me tu che sai tutto della storia di Lucca.

-Tu non puoi essere chi dici di essere - grido’ Tony ancora trattenuto in aria dalla forza
misteriosa - semplicemente perché tu sei morta di peste il 12 febbraio del 1649 e le tue
spoglie riposano nella Chiesa dei cappuccini a Lucca, nella cripta dedicata alla tua
famiglia!

Questo è cio’ che riportano le cronache storiche! In realta’ io sono morta come
racconta la leggenda diffusa su di me e che non è una leggenda, ma la verità! Sono
morta in un afoso mese d’agosto, per l’esattezza il quattordicesimo giorno di tale mese,
dell’anno che hai detto, ed è stata tutta opera del demonio, che mi ha rubato l’anima e
condannata al fuoco dell’inferno per l’eternità.

-Ma non sei tu quella donna lussuriosa e libertina che gettava i suoi amanti in bo-
tole acuminate per ucciderli, dopo che se ne era servita? Rispondi non sei tu?.. Si..e
allora l’inferno te lo meriti! - Esclamo’ di getto Tony ….mentre la Forza invisibile che lo
tratteneva sulla voragine, a quelle parole sembro’ per un attimo che volesse lasciarvelo
cadere dentro.

-Attento a come parli piccolo mortale…potrei lasciarti cadere laggiù in fondo dove
le anime dei dannati si dibattono fra le fiamme eterne dell’inferno, sotto lo scudiscio
instancabile di demoni malvagi!!

-E tu allora perché non sei laggiù con loro, dovrebbe essere il tuo posto, dopo il
famoso patto con il diavolo in cui hai chiesto di rimanere giovane ad oltranza e ti furono
concessi 30 anni di bellezza e gioventu’; quindi il diavolo ha preteso la tua anima, come
stabilito.
-Sono riuscita con la mia bellezza, che mi fu lasciata intatta, a fare invaghire di me il
Demone Maggiore e grazie a questo, a stringere con lui un nuovo patto!

-E quale sarebbe questo nuovo patto? - Domando’ Tony.

-Un patto che mi da la possibilita’ di non dover errare piu’ per l’eternità fra fiamme e
demoni e fare riposare le mie spoglie in pace, finalmente -rispose la donna.

-E perché vieni a dirlo proprio a me? Cosa c’entro io con il tuo destino? Chiese Tony
ancora in aria sulla voragine.

-Tu sei stato scelto da molto tempo per fare ciò che devi fare per sottrarmi finalmente a
questo errare fra demoni e darmi la pace dei secoli - Sei un discendente del casato del
mio primo marito Vincenzo Diversi - continuò Lucida -che io amai moltissimo e che fu
ucciso per motivi politici poco tempo dopo le nostre nozze.
La tua famiglia infatti porta il cognome Diversi e tu stesso in realtà ti chiami Antonio
Diversi, sei nato a Lucca poco prima che i tuoi emigrassero in America e li ti hanno
chiamato Tony. Ma tu sei sempre stato attratto dall’Italia ed in particolar modo da
Lucca e dalla sua Torre delle Ore…ed è proprio li che io salii affannosamente poco
prima dello scoccare della mezzanotte di quel famoso 14 agosto, nel tentativo inutile di
fermare la campana della Torre affinchè, il patto col demonio, che proprio quella notte
scadeva, diventasse nullo e non si appropriasse della mia anima. Ma non ci riuscii…e
cosi il Diavolo mi caricò su una carrozza infuocata e mi portò via con sé attraversando
le mura della città fino a gettarsi nelle acque del laghetto dell’Orto Botanico e da li
sono sprofondata all’inferno. Ieri quando eri in birreria con gli amici a festeggiare il
tuo arrivo sono stata io a servirti la famosa birra e da quel momento tutto ha avuto
inizio. Insieme abbiamo lasciato la birreria e con i poteri che il demonio mi ha
concesso ti ho portato in giro per Lucca. -Ti ho riportato indietro nel tempo –
continuo’ Lucida - e ti ho fatto rivivere l’atmosfera dell’antica birreria di Palazzo
Pfanner in onore del tuo compleanno…quella birra l’hai trovata cosi buona che te ne sei
ubricato…ecco perché oggi non ricordi niente della sera prima.

-Ah! Finalmente un po’ di luce sul mistero della mia presunta amnesia…ma tu come
facevi a sapere che sarei venuto a Lucca e proprio in questi giorni?

-Tutto è stato preparato da tempo, era scritto nel libro del tuo destino che, allo scadere
del tuo trentesimo compleanno, saresti venuto nella città che ti ha dato i natali, Lucca,
e verso la quale hai sempre provato una grande attrazione. Tu sei quello designato per
compiere l’opera definitiva.
-E quale sarebbe ?
-Quella di uccidere definitivamente Lucida Mansi e darle cosi la pace.

-Ma tu sei gia morta, come si fa ad uccidere una morta? - Le domando’ incredulo
Tony.

-Infilandole un pugnale nel cuore, come si fa con i vampiri della notte. Un pugnale
magico che ha il potere di uccidere le anime immortali e dannate - concluse la donna.

A quelle parole un pugnale scintillante e alato vibrò nell’aria infuocata e si posò


accanto alla mano destra del povero Tony che stava ancora in aria, grazie alla forza
sconosciuta che non accennava a demordere.

-Mai! Non lo faro’ mai…hai capito? Mai..

-Tu lo farai - gridò Lucida trasfigurata nel volto che stava somigliando sempre piu ad
un orribile scheletro…Lo farai o ti sprofondero’ nel cuore della terra dove brucerai
per sempre nel magma infernale! Prendi il pugnale magico e scaglialo contro di me…
Adesso…Subito! Tutto deve essere compiuto allo scoccare della mezzanotte di questo
quattordicesimo giorno di agosto! Quando la Torre delle Ore batterà i suoi rintocchi tu
mi ucciderai con il pugnale magico!
Tony cominciava a non poterne più di stare sulla voragine che la donna aveva aperto
sotto di lui, la rabbia e l’istinto di sopravvivenza per quella assurda situazione, presero
il sopravvento e stava quasi per afferrare il pugnale splendente accanto al suo fianco
e lanciarlo diritto al cuore di Lucida quando, una voce che riempì tutta la stanza fece
tremare le pareti, fermandolo.

-Non toccate quel pugnale!


Tony si guardò in giro e oltre la cortina di fiamme gli parve di scorgere l’uomo che poco
prima gli aveva parlato, giù nella hall.
-Ma voi siete il padrone dell’albergo - esclamò - come fate a passare indenne tra queste
fiamme??
-Io sono le fiamme e il Fuoco eterno!
-Io sono il Demone con il quale Lucida strinse il famoso patto!
-Ho assunto sembianze umane all’insaputa di questa libertina lussuriosa per seguire le
sue azioni! - E cosi dicendo il Demone indicò Lucida che appariva impietrita nel suo
abito leggero che non era più candido e che si stava riempiendo di sangue, il sangue
degli amanti che aveva ucciso.
-Se aveste preso quel pugnale - continuò il demone - non avreste mai potuto
scagliarlo contro di lei perché lei stessa l’ha reso magico con le sue arti di strega e il
pugnale si sarebbe rivolto invece verso di voi, diritto al vostro cuore, uccidendovi e,
la vostra anima, sarebbe stata data in pasto al Demone Maggiore, al quale lei l’aveva
promessa in cambio di altri trent’anni di bellezza e gioventù da vivere ancora sulla
terra!

-Ma perché - gridò Tony - Perchè tutto questo proprio a me?

-Perché è vero che siete l’ultimo discendente dell’antico casato dei Diversi a cui
apparteneva il suo primo marito, ma non è vero che lei amasse Vincenzo, inizialmente
si ma poi le fu chiaro che lui l’aveva sposata solo per motivi politici e di interesse
e fu incurante della sua bellezza tradendola con altre donne. Questo Lucida non lo
sopportò e lo uccise e fu il suo primo omicidio, al quale seguì l’uccisione di tutti i suoi
molteplici amanti. Si rivolse per questo ad una donna che tutti consideravano strega e
che le fornì una pozione avvelenata, con essa Lucida uccise Vincenzo. Ma la strega le
predisse il futuro che si svolse esattamente come aveva detto e le disse anche che, agli
albori del terzo millennio, l’ultimo discendente dei Diversi, cioè voi, le avrebbe potuto
dare la possibilità di farla ritornare sulla terra bella e splendente come sempre. La
possibilità era la vostra anima da dare al Demone Maggiore in cambio della sua nuova
vita! Uccidendo voi avrebbe ucciso tutta la possibile stirpe futura dei Diversi perchè
voi siete l’ultimo che può continuarla. I Diversi erano famiglia religiosa che aveva dato
alla chiesa monaci e vescovi, quindi questo era un patto che segnava la sconfitta del
Bene da parte del Male e che, per questo motivo, piaceva molto al Demone Maggiore.

-Noooooooo! Non credergli - grido’ Lucida a Tony - prendi il pugnale e uccidimi....


dammi la pace eterna…fallo adesso che è quasi mezzanotte! Fra un attimo ci sarà
l’ultimo rintocco. Questo è il momento!

-Ma intanto la stanza si riempiva di sangue e Tony ancora per aria sulla voragine, si
dibatteva nell’orrore piu grande gridando - Noooo! Basta…Fatemi scendere…non ne
posso piu’.

-Lucida - tuonò il Demone verso la donna -Tu non puoi farti gioco di me! Hai fatto un
patto e non puoi distruggerlo, la tua anima sarà per sempre mia giù all’inferno.

“Le leggende non finiscono mai!”


Con un gesto il demone afferrò Lucida e scomparvero nel nulla tutti e due e così
scomparvero il sangue, le fiamme e la voragine mentre Tony, esasusto e al limite della
follia, si accasciava sul letto della camera.
-Ehi Tony..sveglia…ma come, sei appena arrivato per festeggiare con noi il tuo
compleanno e ti sei addormentato sul tavolo? E pensare che hai bevuto una birra
soltanto…ahahaha - diceva Andrea all’amico appena arrivato dall’America a Lucca.
- Davvero Tony, sveglia - ma cosa c’era nella birra che hai bevuto? - Continuava
Leonardo un altro dei tre amici riunitisi per festeggiare Tony.
-Te l’aveva detto la bella cameriera che era una birra particolare e molto forte…ahha-
hah….aveva ragione dunque..guarda che effetto ti ha fatto - incalzava Claudio.
Tony apri gli occhi di colpo e non credeva a quello che vedeva.
-Ma dove siamo? Al Pub? - Ma allora era tutto un sogno – pensò!
-E’ un’ ora che stiamo cercando di svegliarti, bentornato fra noi! Vuoi mica un’altra
birra per caso? – Ahahahha - Non te lo consigliamo, considerando l’effetto che ti ha
fatto la prima! - Esclamarono gli amici in coro, divertiti!
-Stranamente non ricordo nulla, scusatemi, evidentemente ero molto stanco per il
viaggio e mi sono addormentato - esordi’ Tony.
In cuor suo stava cercando di spiegarsi l’accaduto e perché si trovasse al Pub invece
che in camera sua. Come al solito non sapeva rispondersi se non che tutto fosse stato
un incubo causato dalla birra bevuta.
-Ma di che marca era questa birra ragazzi?- Si decise a domandare agli amici.
-Sinceramente non la conoscevamo, ce l’ha portata la bella cameriera dagli occhi di
velluto…ricordi?
-Ecco qua la bottiglia- esclamo’ Leonardo – che strano! Mentre dormivi l’abbiamo
cercata per capire che marca era ma non l’abbiamo trovata ed ora eccola qua! E’
riapparsa…come per magia! Mah…forse siamo ubriachi anche noi, ahahahaah!
Ecco..sull’etichetta c’è scritto: “Birra Pfanner!”
A quel nome Tony avverti’ un colpo al cuore, come se qualcuno l’avesse pugnalato e,
stordito, fu attratto da due splendidi occhi di velluto nero che lo stavano guardando
fissamente, mentre una voce tuonava dentro di lui dicendogli........
“Le leggende non muoiono mai”......
La vera storia di Lucida Mansi
Lucìda Mansi era una nobildonna italiana. Un personaggio di incerta attribuzione,
probabilmente appartenente alla famiglia Samminiati.
Lucìda si sposò molto giovane con Vincenzo Diversi, il quale venne assassinato nei
primi anni di matrimonio. Rimasta vedova molto giovane, si risposò con l’anziano e
ricco Gaspare di Nicolao Mansi.
La famiglia Mansi era molto ricca e conosciuta in gran parte dell’Europa grazie
al commercio delle sete già prima del secolo XVI. Il matrimonio destò scalpore per
l’elevata differenza d’età tra i due coniugi e per la bellezza di Lucìda rispetto a quella
del nuovo sposo.
Lucìda sviluppò così un forte desiderio di evasione, tanto da divenire dissoluta nei
costumi e perdere ogni dignità.
Essa non rinunciava a lusso sfrenato, banchetti, feste e innumerevoli giovani amanti.
Divenne anche talmente vanitosa da ricoprire di specchi un’intera stanza di Villa Mansi
a Segromigno per potersi ammirare in ogni occasione.
Lucìda morì di peste il 12 febbraio del 1649 e le sue spoglie riposano nella chiesa dei
Cappuccini a Lucca, nella cripta dedicata alla sua famiglia.

La leggenda di Lucida Mansi


Lucìda Mansi, figlia di nobili lucchesi, era una donna molto attraente e libertina. Ella
era talmente crudele ed attratta dai piaceri della carne che arrivò ad uccidere il marito
per contornarsi liberamente di schiere di amanti.
Pare inoltre che uccidesse gli amanti che le facevano visita, facendoli cadere, dopo le
prestazioni amorose, in botole irte di lame affilatissime.
Una mattina però le sembrò di scorgere sul suo viso una quasi impercettibile ruga:
il passare del tempo stava spegnendo la sua bellezza. Lucìda, disperata, pianse e si
lamentò tanto che apparve di fronte a lei un magnifico ragazzo, il quale le promise
trent’anni di giovinezza in cambio della sua anima.
Dietro le fattezze del ragazzo si nascondeva però il Diavolo. Lucìda accettò il patto.
Per tutto il tempo pattuito con il Diavolo le persone che la circondavano continuavano
a invecchiare, mentre lei manteneva intatta la sua bellezza e perdurava nella sua
dissolutezza, fagocitando lusso e ricchezza e continuando a uccidere i suoi amanti.
Trent’anni dopo lo scellerato patto, la notte del 14 agosto 1623, il Diavolo ricomparve
per prendersi ciò che gli spettava.
Lucìda, ricordatasi della scadenza, tentò di ingannarlo: si arrampicò sulle ripide scale
della Torre delle ore con la speranza di allontanare la sua fine inevitabile.
Lucìda saliva la Torre, affannata correva a fermare la campana, che stava per batter
l’ora della sua morte. A mezzanotte in punto il Diavolo avrebbe preso la sua anima. Ma
il tentativo di bloccare la campana fallì, Lucìda non fece in tempo a fermare le lancette
dell’orologio e così il Diavolo la caricò su una carrozza infuocata e la portò via con sé
attraversando le Mura
cittadine fino a gettarsi
nelle acque del laghetto
dell’Orto botanico
comunale.
Ancora oggi chi immerge
il capo in questo lago pare
possa vedere il volto
addormentato di Lucìda
Mansi.
Nelle notti di luna piena
pare oltretutto che sia
possibile vedere la carrozza
mentre dirige la donna
verso l’inferno e sentirne
le grida.
Altre fonti individuano il
fantasma della bella
lucchese vagare nel
palazzo di Villa Mansi
a Segromigno o presso
un’altra residenza Mansi
in località Monsagrati
(comune di Pescaglia),
luoghi in cui essa soleva
intrattenere e poi
giustiziare i suoi amanti.

(Wichipedia)
Uno sguardo sull’autrice
Fabrizia Vannucci ha iniziato giovanissima a
muoversi nel campo artistico in qualità d’interprete
Fabrizia Vannucci musicale ottenendo da subito un rilevante successo.
Il suo inizio parte da Miss Italia, concorso al quale
partecipo’ dopo che fu eletta Miss Toscana e grazie
al quale fu notata da Mike Bongiorno che ne fece
la sua pupilla, insieme a Paolo Limiti, in seguito
fu prodotta anche da Federico Monti Arduini....Il
Guardiano del faro.
L’abbiamo vista sulle copertine delle riviste
piu’ importanti e intervistata da giornalisti di
calibro. Ha al suo attivo dischi incisi con etichetta
Ricordi e Fonit Cetra, due delle piu grandi case
discografiche italiane. Ha partecipato a varie
trasmissioni televisive RAI, come Stasera Si,
Festivalbar, in cui il Patron Salvetti la battezzo’
“La nuova Mina”, Festival di Venezia per la
Gondola D’argento in cui si classifico’ ai primi
posti insieme a Marcella Bella. Dopo questa
parentesi canora nel mondo dorato dei vip,
ha preferito proseguire negli anni facendo
teatro, l’abbiamo vista recitare anche al Teatro Del
Giglio, in una commedia in vernacolo di Cesare
Viviani con la Compagnia Invicta, dal titolo “il
settimo si riposo”. Ha continuato lavorando nel
mondo delle televisioni private e delle radio come
ideatrice e conduttrice televisiva e radiofonica.
Pittrice, scrittrice e, da molti anni, una grande art
design, vanta testate giornalistiche in free press di
sua creazione e produzione.
Da molto tempo firma l’oroscopo del
nuovo anno per varie testate giornalistiche
nazionali, in quanto appassionata studiosa di
astrologia e numerologia. Organizzatrice e
promoter di varie attivita’ artistiche ha formato
il Gruppo facebook “La parola all’immagine” da
lei concepito come “Il suo fiore all’occhiello”,
grazie al quale promuove l’Arte in senso lato
assieme agli Amici che ne fanno parte.
E per il suddetto Gruppo ha creato la Rivista “Arte,
Fantasia e Sentimento” unica nel suo genere per
concezione e bellezza grafica. “Lucca forever” è il
suo ultimo lavoro ma, come dice sempre lei, “non
finisce qui” perchè già sta dando il via ad altre
promozioni artistiche.
Dalla serie “Le città del silenzio”, di Gabriele D’annunzio,
dedicata ai centri storici italiani
che furono un tempo splendide sedi di civiltà raffinata.

Tu vedi lunge gli uliveti grigi


che vaporano il viso ai poggi, o Serchio,
e la città dall’arborato cerchio,
ove dorme la donna del Guinigi.

Ora dorme la bianca fiordaligi


chiusa ne’ panni, stesa in sul coperchio
del bel sepolcro; e tu l’avesti a specchio
forse, ebbe la tua riva i suoi vestigi.

Ma oggi non Ilaria del Carretto


signoreggia la terra che tu bagni,
o Serchio, sì fra gli arbori di Lucca

rosso vestito e fosco nell’aspetto


un pellegrino dagli occhi grifagni
il qual sorride a non so che Gentucca.

Noi del Gruppo facebook “la parola all’immagine” abbiamo affidato il nostro pensiero
alle pagine di questo libro dedicato a Lucca, affinchè, se lo leggerete, vi sentiate vicino
a questa meravigliosa città in qualsiasi parte del mondo vi troviate e vi punga la voglia
di venire a visitarla o di ritornarvi, se già vi siete stati. Quando sarete qui, a questa
pagina, poco prima di chiudere il libro, speriamo vivamente di avervi trasmesso un po’
dell’amore che nutriamo per Lucca Signora e “dintorni”, con i loro immensi e
stupendi giardini e ville storiche di eccezionale bellezza. Ci sarà un secondo volume
dedicato a Lucca perché, di questa straordinaria città, esistono un’infinità di cose da dire e
raccontare. Chiunque voglia partecipare alla stesura del secondo volume di
“Lucca forever” con vecchie foto della città, racconti inediti, aneddoti legati alla
vita lucchese, poesie in vernacolo o in lingua, foto ecc. puo’ iscriversi al Gruppo
“La parola all’immagine” http://www.facebook.com/ 1903757129906719/
dove puo’ pubblicare i suoi lavori che saranno apprezzati e, se giudicati idonei,
pubblicati nel prossimo volume. Tutto questo conseguentemente allo spirito di Gruppo che
contraddistingue “La parola all’immagine” e che gli permette di creare opere uniche
come “Lucca forever”.
Fabrizia Vannucci
Elaborazione grafica di Fabrizia Vannucci
su foto di Massimiliano Bartoli
Si ringraziano tutti gli amici del Gruppo
“La parola all’immagine”
che hanno contribuito alla stesura di quest’opera
con foto, racconti e contributi artistici.

Idea e realizzazione di Fabrizia Vannucci


Tutti i diritti riservati. Lucca 2019

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