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è il caso, per esempio di E la madre-norma, testo che chiude La Beltà zanzottiana (1968), appunto
dedicato “A Franco Fortini”, o di Postilla ne Il Galateo in bosco (1978).
5
Si veda, di Fortini, Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto, in Paesaggio con serpente
(1984): “Come nel buio si ritrae lento,/Andrea, questo anno già da sé diviso”.
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Valga, una per tutte, la presa d’atto di Giancotti: “Notoriamente, quasi proverbialmente Zanzotto è
il poeta del paesaggio” (Andrea Zanzotto, Luoghi e paesaggi, Milano, Bompiani, 2013, p.9).
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Non esistono trattazioni critiche specifiche sul rapporto Fortini-natura, si veda qualche
considerazione sparsa nelle diverse monografie dedicate alla sua poesia, ultima quella di Francesco
Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, Macerata, Quodlibet, 2017.
8
Niccolò Scaffai, Letteratura e ecologia, Roma, Carocci, 2017, p. 12.
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Esorbita decisamente dalla presente occasione la dimostrazione capillare di quanto affermato,
bastino per il momento – necessariamente - alcuni piccoli saggi siano offerti più oltre.
10
F. Fortini, Sui boschi, in Saggi ed epigrammi, Milano, Mondadori, 2003, p.1704.
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Anche lo svolgimento di questa tesi naturalmente meriterebbe ben più ampia trattazione; ci
limitiamo qui ad offrire qualche spunto o suggestione.
entrambi. Quella di Zanzotto infatti “non è una wilderness edenica, l’ennesima più
o meno orrorifica Arcadia della nostra tradizione. Ma è invece – con i suoi disastri e
suoi giacimenti di senso, i suoi ossari e i suoi crepuscoli, il suo Napalm e i suoi
Fosfeni – un paesaggio umano”12. Non meno umanizzato è il paesaggio naturale
fortiniano, attraversato dalle menzogne della Storia, dalle ferite inflitte dagli
uomini alla natura e a se stessi, ferite che mistificano la realtà distruggendola. È la
grande opposizione tra Verità -natura e falsità -uomo, o meglio rapporto violento
dell’uomo sulla natura e su stesso che finisce così per violentare e falsificare il
rapporto originario tra uomo e natura: “Vedo il mare, è celeste, lietissime le vele./E
non è vero”13.
Natura che non può essere vista altrimenti che intarsiata di interventi umani,
modellata o violentata a volte dal rapporto con l’uomo. È il caso per esempio di “La
salita”, dove la “nostra condotta dell’acqua” sembra quasi appartenere ab origine al
paesaggio: “Nel bosco la traccia della nostra condotta d’acqua/è malagevole, ripida
per la pendenza. Il bosco/è di quercioli e lecci, di pini, castagne e robinie”. Così
pure l’ingresso dell’uomo sulla scena della natura coincide per Zanzotto con la sua
essenza stessa: “Egli riscontra anzi nell’insediamento armonizzato con l’ambiente
quasi la rivelazione della natura del luogo, la piena realizzazione di potenzialità che
nel paesaggio originario si davano come virtuali o amorfe, come se fossero state,
appunto, in “attesa dell’umano”14. Fino ad instaurare un rapporto di necessità tra
l’esistenza del paesaggio e la presenza in esso dell’uomo: “uno dei grandi valori
conoscitivi della poesia di Zanzotto è quello di aver suggerito e perfino dimostrato
che il paesaggio non esiste in senso assoluto ma si manifesta come evento,
accadimento che lega in un intreccio indissolubile e non descrivibile – se non per
approssimazioni – la realtà del luogo e la condizione psico-fisica dell’uomo” 15.
Insomma, per entrambi, una natura umanizzata, con tutto ciò che c’è anche di
violento ed esplosivo in questo rapporto.
Ma c’è una ulteriore affinità tra i due poeti nel trattamento della natura, per
entrambi cioè esiste un legame indissolubile tra natura e poesia, nel senso di una
natura che è anche poesia, e viceversa. “Un deus” che, come quello della natura,
“continuamente sorprende manifestando il suo esistere anche con abbaglianti
precisioni è per me quello che si riconnette ai testi di poesia”16.
Il incidenza reciproca della poesia, o per meglio dire, della poetica dei due
autori è testimoniata da diverse spie disseminate lungo tutta l’opera, poetica e non,
12
Andrea Cortellessa, Andrea Zanzotto, la scrittura, il paesaggio, in Id., La fisica del senso. Saggi e
interventi su poeti italiani dal 1940 a oggi, Roma, Fazi, 2006, p.128.
13
Da Stanotte… in Composita solvantur, Milano, il Saggiatore, 2015, p.21. Si noti la stessa dinamica
in “Gli alberi”, poesia raccolta il “Questo muro” (1973): “Gli alberi sembrano identici/che vedo dalla
finestra./Ma non è vero. Uno grandissimo/si spezzò e ora non ricordiamo”. CITTTT
14
Giancotti, p.13.
15
Giancotti, p.10.
16
Zanztot, paesaggio,m p. 38.
dei due autori. Le prime tracce di un rapporto…
Ma c’è un terreno comune ai due autori, certo più familiare a Zanzotto ma non
meno tentato da Fortini, dove i due arrivano persino a sfiorarsi. testo testo testo
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