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Tempo del racconto (il tempo del film è il presente!!): Secondo la distinzione in storia e
racconto, si possono distinguere due diversi tempi: tempo diegetico (della storia) e del discorso (del
racconto, comunemente chiamato tempo filmico)
Gerard Genette individua tre livelli di tempo:
9 ORDINE: flashback/flashforward – meccanismi di analessi e di prolessi
• Analessi esterna: l’episodio evocato inizia e finisce prima del momento in cui ha
preso inizio il racconto
• Analessi interna: l’episodio evocato è accaduto all’interno della storia narrata;
• Analessi mista: evocazione di un episodio passato che ha inizio prima del racconto
che la contiene e che termina dopo esso)
Ocularizzazione: François Jost introduce il termine per indicare lo scarto tra ciò che la macchina
mostra e ciò che il personaggio si presume sappia; si elencano:
1. ocularizzazione zero: visione di un oggetto senza la mediazione di un personaggio a vederlo;
tipica di Hitchcock e Griffith
• enunciazione mascherata: immagini ordinarie che mostrano gli elementi diegetici più
importanti del mondo, dimenticandoci della macchina da presa;
• enunciazione marcata: la macchina da presa sottolinea una certa autonomia
dell’istanza narrante, ad esempio quando viene mostrata l’ombra di un assassino.
2. ocularizzazione interna: ciò che si vede è mediato da un personaggio;
• ocularizzazione interna primaria: le immagini recano in sé la traccia di chi le guarda;
ad esempio, immagini con deformazioni ottiche che rimando ad uno stato di
ubriachezza di uno dei personaggi;
• ocularizzazione interna secondaria: alternanza di immagine del personaggio che
guarda e ciò che viene visto.
Cap. 2 – L’inquadratura
Inquadratura: unità base del discorso filmico; è rappresentazione in continuità di un dato spazio e un
dato tempo.
Piano: riferimento alla porzione di spazio rappresentata e alle modalità della sua organizzazione e
composizione.
Ogni inquadratura è risultato di una scelta relativa a due livelli:
• livello profilmico: tutto ciò che sta davanti alla macchina, che è lì solo per essere filmato e
fa concretamente parte della storia filmata; (messa in scena: reperimento e organizzazione ei
materiali)
• livello filmico: gioco di codici propriamente cinematografici, come inquadratura, distanze,
dialettica di campo e fuori campo…
Montaggio: operazione che mette in relazione tra di loro due o più inquadrature, scene o sequenze,
sulla base di un progetto scenico o narrativo.
La luce e il colore
Luce intradiegetica: fonti di luce che fanno parte della messa in scena;
Luce extradiegetica: fonti di luce e riflettenti che esistono solo nella realtà produttiva del film, come
riflettori, che non vengono mai ripresi.
Caratteristiche fondamentali della luce sono 4, secondo il modello Bordwell-Thompson:
• qualità (illuminazione contrastata Vs illuminazione diffusa, illuminazione in cui le zone
d’ombra sono separate nettamente da quelle illuminate Vs rappresentazione più omogenea
dello spazio)
• direzione (luce frontale -no ombre/immagine appiattita-, luce laterale –scolpisce il volto e
accentua il gioco ombreluci- , controluce –stacca figura dallo sfondo e ne delinea i contorni-,
luce dal basso –deformazione del volto con tratti drammatici-, luce dall’alto –tipica delle
luci dietetiche-)
raramente lo spazio profilmico è illuminato da una sola luce; si parla di key-light (
posta frontalmente all’oggetto, lo mette in evidenza), fill light (lateralmente, scolpito e senza
ombre) e back light (attorno alla figura; la stacca dal fondo).
• sorgente
• colore (si può parlare di colore anche per il cinema in bianco e nero, riferendoci all’uso
studiato di luce ed ombre; i colori chiari attirano l’attenzione più di quelli scuri, l’uso
espressivo va al di là del simbolismo dei colori o di particolari significati attribuiti agli
stessi; si analizzano correlazioni personaggi-colori, dinamiche di luci e colori…)
2.2 Il filmico
La scala dei piani e il volto umano
Scala dei piani: diversa possibilità di ogni inquadratura di rappresentare un elemento profilmico da
una maggiore o minore distanza;
a. campo totale: utile a testimoniare la preponderanza dell’ambiente sul personaggio;
b. campo lungo (o lunghissimo): inquadratura che abbraccia una porzione di piano
particolarmente estesa; si ottiene forte preponderanza dell’ambiente sul personaggio;
c. campo medio: ristabilisce equilibrio tra figura ed ambiente; si ha prospettiva dello spettatore
a teatro;
d. figura intera: figura umana che occupa i due terzi o più della verticale dell’inquadratura;
afferma la centralità del personaggio;
e. piano americano: dalle ginocchia in su;
f. mezza figura: dalla vita in su;
g. primo piano: dalle spalle in su;
h. primissimo piano: solo il volto;
i. particolare: parte di volto o del corpo umano;
j. dettaglio: piano ravvicinato di un determinato oggetto;
Angolazione e dintorni
A partire da un ipotetico piano di base della cinepresa, si possono derivare una serie infinita di
angolazioni, sull’asse verticale, orizzontale e in profondità; si ha uso espressivo delle angolazioni
(alto:umiltà, basso:potenza)
Soggettiva e sguardo
Oggettiva: inquadratura nella quale vengono mostrati i segni delle emozioni sul volto dei
personaggi.
Soggettive: inquadrature che esprimono un punto di vista ben definito, che non è più quello
dell’istanza narrante, ma di un personaggio.
Branigan individua le costituenti di una soggettiva:
1. punto, presente in una prima inquadratura, in uno spazio in cui un personaggio è dotato di
uno
2. sguardo; c’è una
3. transizione tra una inquadratura e l’altra, in rapporto di simultaneità o continuità; in una
precisa
4. posizione della macchina da presa da cui si guarda vengono mostrati
5. oggetti; tutto viene tenuto insieme dalla
6. consapevolezza della presenza del personaggio e che stia guardando quell’oggetto.
I movimenti di macchina
Ogni inquadratura può essere (oltre che angolata, in campo/fuori campo, oggettiva/soggettiva)
statica o dinamica, in una dialettica tra filmico e profilmico:
profilmico statico ↔ filmico statico
profilmico statico ↔ filmico dinamico
profilmico dinamico ↔ filmico dinamico
profilmico dinamico ↔ filmico statico
a determinare la dinamicità del filmico sono, ad un primo livello, i movimenti di macchina.
Piani di ambientazione: tipo di inquadratura prettamente descrittiva che avvia una scena col
compito di introdurne i caratteri ambientali, per consentire allo spettatore di conoscere il luogo in
cui sta per svolgersi una determinata sequenza; permettono allo spettatore di comprendere
correttamente un determinato episodio, e svolgono un preciso ruolo, cioè di permettere un respiro
tra due scene ed evitare passaggi troppo bruschi.
Sistema dello spazio a 180°: il movimento di camera da vita ad uno spazio di 180° anziché di 360°;
è lo spazio tipico del dialogo, in cui un personaggio guarda il suo interlocutore verso destra e l’altro
verso sinistra. In sequenza, daranno l’illusione di parlare guardandosi negli occhi.
Se si scavalcasse questa barriera i personaggi non si guarderebbero più negli occhi.
Tale barriera può essere scavalcata inserendo un piano di transizione, dopo il quale si attuerà un
nuovo piano a 180°.
Il cinema classico può anche scavalcare direttamente il campo, purché questo abbia una precisa
motivazione (inquadrando un personaggio che percorre una stanza da destra a sinistra, tornando
indietro può essere mostrato dall’altra angolatura della stanza, in modo da mostrare qualcosa
invisibile dall’altra angolatura)
Nel decoupage classico anche il tempo è subordinato allo sviluppo della narrazione; vengono di
solito presentati gli eventi nel loro ordine naturale, con l’unica sostanziale eccezione del flashback;
vengono preferite la continuità del tempo e della storia (scena) e le contrazioni temporali (sequenze)
alle estensioni temporali; si ha quindi uso frequente delle ellissi, con conseguente omissione delle
azioni inutili alla narrazione.
Il montaggio connotativo
Montaggio il cui tratto dominante è la costruzione del significato, tipico della produzione di
Ejzenstejn; in tale autore è chiara la collisione e l’effetto che possono provocare due inquadrature
l’una di seguito all’altra, e dell’effetto che possono scatenare (“effetto Kulesov”, pag. 179); il
conflitto può essere di diversi tipi:
• conflitto delle direzioni grafiche (delle linee)
• conflitto dei piani (tra di loro)
• conflitto dei volumi
• conflitto delle masse (dei volumi sottoposti a diversa intensità luminosa)
• conflitto degli spazi
• conflitti che richiedono soltanto un ulteriore impulso di intensità per scindere in coppie di
pezzi antagonisti (primo piano/profondità di campo, pezzi scuri/pezzi chiari, pezzi a
dominante volumetrica/pezzi a dominante piana..)
Attraverso questo rapporto tra piani come conflitto Ejzenstejn arriva all’elaborazione del suo
montaggio intellettuale. Il montaggio assume il ruolo centrale anche sul piano della costituzione di
rapporti audiovisivi, per dare al pubblico non una riproduzione, ma il senso del reale. (in oktober,
Ejzenstejn inserisce un pavone meccanico a forza, esterno alle inquadrature, i personaggi non sono
presentati nell’insieme del piano, il piano è frammentario, l’ordine degli eventi viene stravolto e la
successione dei piani è ambigua.
Il montaggio formale
Montaggio che si impone per le sue qualità grafiche/ritmiche;
• Analogia e contrasto sono evidentemente i due parametri su cui si costituiscono gli effetti di
montaggio grafico; i due parametri qui dominanti sono quelli della centralità e
dell’omogeneità dell’illuminazione; solamente necessità drammatiche potranno alterare
questa continuità di tipo formale, introducendo elementi di contrasto che trovano sul piano
narrativo la loro motivazione. Si parla più che altro di senso geometrico, di disposizioni
simmetriche, asimmetriche, e organizzazioni dello spazio.
• La natura ritmica di una inquadratura è determinata dalla volontà del regista e del suo
montatore; quello del ritmo è soprattutto un problema di cadenza, che può essere regolare o
irregolare, ma che per essere colto deve darsi in forme temporali piuttosto contenuto; si può
parlare di ritmo disteso, ma non è ritmico il montaggio fondato sulla successione di
inquadrature di durata superiore ad un minuto l’una. Non è possibile distinguere alcune
soluzioni da altre; ad esempio, si può creare un ritmo nella successione di inquadrature
presentando uno e più personaggi, riprese dal basso e dall’alto.., cioè per mezzo di scelte di
inquadrature, movimenti della macchina, movimenti filmici e profilmici..
La componente ritmica ha trovato i suoi momenti nel cinema di avanguardia degli anni ’20,
nei registi della scuola sovietica, negli impressionisti francesi, nel cinema di pittori e poeti,
e, ad Hollywood, nel musical.
È possibile individuare tre forme ritmiche dominanti:
1. ritmo regolare: fondato sulla successione di brevi inquadrature della stessa durata;
2. ritmo accelerato, dove i piani che si succedono sono via via più brevi;
3. ritmo irregolare: le inquadrature si succedono presentano durate molto diverse tra di
loro.
Il montaggio discontinuo
Montaggi oche mira a rendere possibile la narrazione di una storia trasgredendo le regole della
continuità classica, senza però rientrare in quelle caratteristiche connotative, grafiche e ritmiche dei
montaggi sino qua analizzati.
Una prima forma di violazione può essere quella della violazione del sistema a 180°. Vengono
quindi usati piani a 360°, che permettono alla macchina di girare attorno ai personaggi (nei registi
giapponesi, nei dialoghi la macchina da presa scavalca più volte lo spazio a 180°, cosicché la
posizione dei personaggi muterà continuamente sullo sfondo.)
Un’altra modalità è quella del jump cut, reso in italiano come falso raccordo (vi si nascondono due
diverse forme di raccordi irregolari: quella che altera nel cinema classico che vuole che due
inquadrature successive siano differenti per angolazione di almeno 30° e per distanza, in modo da
renderle autonome; e una seconda, che vuole mostrare il personaggio in luoghi e tempi diversi,
generando quindi una discontinuità sul piano spaziale e temporale dal cinema classico); un jump cut
verrebbe considerato un grave errore nel cinema classico; Hitchcock usa inquadrature poco
differenti tra di loro in Psycho per creare suspance, non in rottura con il cinema classico.
Un altro mezzo può essere quello di inserire inserti non diegetici, che rompono la narrazione e
suggeriscono associazioni metaforiche.
La discontinuità si può rendere anche sul piano temporale; viene rotta la successione classica 1-2-3
attraverso numerosi flashback e flashforward, e sul piano della frequenza; inoltre, sul piano della
durata, frequente è il ricorso alla pratica dell’estensione, dove la durata della rappresentazione è
superiore a quella dell’evento rappresentato; ulteriore stratagemma è quello della sovrapposizione
temporale, o overlapping editing, in cui l’inquadratura B non inizia dove finisce l’inquadratura A,
ma un poco prima (si veda ad esempio il primo Truffaut).
Suono e spazio
Dal punto di vista dello spazio possiamo distinguere il suono diegetico da quello extradiegetico,
intendendo rispettivamente il suono interno alla diegesi del film e quello proprio dell’istanza
narrante. Tuttavia in alcuni casi la distinzione non è così netta, e le due modalità possono
confondersi. Wells gioca con il confine labile in cui una voce diegetica dialoga con la voce
narrante, extradiegetica.
Il suono diegetico può essere, a sua volta, diviso in suono in campo e suono fuori campo. Nel primo
caso la fonte sonora è interna all’inquadratura, nel secondo è esterna.
Chion individua tre tipi di suoni, difficilmente collocabili in campo e fuori campo:
1. il suono ambiente (suono che avvolge una scena nella quale sarebbe assurdo
chiedersi quale sia la fonte dello stesso, ad esempio il cinguettìo in un parco)
2. il suono interno (si oppone a quello esterno, che ha un’origine fisica ben precisa,
trattandosi dei suoni avvertiti durante i ricordi o i sogni di un personaggio)
3. il suono on the air (suono trasmesso da radio, tv, delle quali non vediamo la sorgente
primaria)
Il suono può quindi essere diviso in suono over (extradiegetico), suono in (diegetico, in campo) e
suono off (diegetico, fuori campo).
Suono acusmatico: suono di cui non si vede la fonte (disco, radio, telefono..)
Suono Selettivo: accompagnato da una immagine, il suono può dirigere la nostra attenzione verso
un oggetto o un altro (in un dialogo, si guarda di più chi parla che chi sta zitto).
Direzione: originariamente il suono aveva una direzione unica, da dietro lo schermo; con tecnologie
dolby il suono possiede un’articolazione spaziale, dando vita al supercampo, una sorta di campo
audiovisivo, determinato non solo dalle immagini ma anche dal suono ambiente, di parole, musiche
e rumori, che finisce per rimettere in discussione certe forme del decoupage tradizionale.
Distanza: un suono a basso volume apparirà da una sorgente più lontana di quanto non sembri
provenire un suono ad alto volume. A volte, le immagini in campo lungo sono accompagnate da
suoni in primo piano (un campo lungo di due persone che parlano, ma delle quali possiamo
ascoltare le parole)
Suono e volume
Suono simultaneo: sonoro e immagine si danno in uno stesso tempo narrativo
Suono non simultaneo: effetto sonoro che anticipa o segue le immagini che noi stiamo vedendo in
un momento dato (un personaggio evoca un avvenimento, e noi vediamo l’evento, continuando a
sentire le parole; sound bridge: suoni dell’inquadratura successiva si iniziano a sentire già da quella
prima).
Si possono individuare due movimenti, a partire dalla definizione data da Chion: il suono
visualizzato che poi si fa acusmatico, e quello acusmatico che poi si fa visualizzato.
Spesso ritmo visivo e quello sonoro vengono adeguati l’uno all’altro, come nei musical o nei film di
animazione Disney.
Un ruolo particolare del narratore è il caso in cui le sue parole si rivolgono direttamente al pubblico,
e non agli attori; avremo allora le seguenti situazioni:
La parola può essere utilizzata per ridurre l’ambiguità di una serie di inquadrature.
4.4 Musiche
Non solo dal 1927, ma sin dal 1895 ci si è incominciati a porre il problema del rapporto tra musica e
immagini, sia intendendo la prima come supporto alle seconde, sia elaborando complesse e più
articolate situazioni di interrelazione tra le due entità.
Nel corso degli anni dieci vengono pubblicati i primi repertori musicali, secondo il proposito che la
musica dovesse accompagnare lo spettatore e immergerlo nel clima della scena.
Negli anni venti, grazie alle avanguardie, si cerca un rapporto estetico-strutturale tra inquadratura e
musica in base alla natura ritmica che li accumuna.
Ci sono due grandi modi attraverso i quali la musica si accumuna alle immagini:
a. partecipazione: la musica partecipa alla scena assumendone direttamente il ritmo;
b. distanza: la musica si sviluppa in modo autonomo, indifferente al ritmo delle immagini.
4.5 Rumori
Al contrario di quello che accade per la musica, non esiste una copiosa biografia sul rumore;
nell’ambito del cinema classico, infatti, aveva scarsa incidenza; è solo l’avvento del dolby e della
registrazione su più piste ad avere permesso di far sentire rumori ben definiti.
Nel cinema muto, per esprimere un silenzio opprimente, veniva inquadrato un rubinetto dal quale
cadevano lentamente alcune gocce.
Nel cinema sonoro la prima è più evidente funzione del sonoro è quella di rendere più credibile
l’ambiente; quindi è fondamentale, ad esempio, in un primo piano nel quale il rumore lo situa in
uno spazio ben definito.