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(j)
GIORGIO PESTELLI
LETADI
MOZART
EDI
BEETHOVEN
PIANO DELI.,'OPERA
Prima edizione
© Copyright 1979 E.D. T. Edizioni di Torino
Nuova edizione, ampliata riveduta e corretta
© Copyright 1991 E.D.T. Edizioni di Torino
19, via A !fieri 10121 Torino
ISBN 88-7063-097-8
STORIA DELLA MUSICA
a cura della Società Italiana di Musicologia
(i)
GIORGIO PESTELLI
L'ETÀ DI MOZART
E DI BEETHOVEN
INDICE
. xv NOTA DELL'AUTORE
I• LA MUSICA STRUMENTALE
IV. BEETHOVEN
LETTURE
325 BIBLIOGRAFIA
335 INDICE DEI NOMI
PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE DELL OPERA
Una delle sedi più illustri in cui prendere atto del nuovo gusto
musicale diffuso in Europa fra il 1740 e il 1760 è la critica ostile
avanzata nei confronti di Bach padre daJohann Adolf Scheibe nella
sua rivista «Der critischer Musikus» (1737): troppe difficoltà, troppi
vincoli nel notare gli abbellimenti, che devono essere lasciati all'i-
stinto dell'esecutore, troppa polifonia, tanto che tutte le parti hanno
la stessa importanza e la linea melodica principale ne esce turbata.
Se si capovolgono queste censure si possono estrarre in positivo
alcuni precetti del nuovo codice artistico che va sotto il nome di
stile galante; a questo aggettivo, in un largo tessuto culturale euro-
peo (ma soprattutto francese e tedesco), dal comportamento alla
letteratura, dall'educazione all'arte alla moda, sono da tempo asso-
ciate le qualità di gaio, piacevole, libero, spontaneo; ovunque si rico-
nosca il segno di una sensibilità raffinata razionalmente, l' agget-
tivo "galante" compare con l'indistinta frequenza delle parole di
moda. Ora, il grande equivoco che Bach fosse artificioso, scola-
stico, poco naturale, era appunto il sintomo di una profonda tra-
sformazione: per la seconda edizione dell'Atte della fuga (1752) non
si trovano in circa cinque anni più di trenta persone disposte a spen-
dere i 4 talleri che costava; nell' Encyclopédie ou Dictionnaire Rai-
sonné des Sciences, des Atts et des Métiers di Diderot e D' Alembert
(1752 e anni seguenti), Rousseau dedica poco più di venti righe
alla voce Contrepoint; e alla voce Fugue, dopo averne descritto il
funzionamento, precisa che essa in generale serve più a fare «du
bruit » che belle melodie, a sfoggiare la scienza del musicista più
che carezzare l'orecchio dell'ascoltatore. La scienza dunque: è paci-
fico che essa non ha più nulla da fare con la musica; il processo
è in corso da decenni, ma almeno sul piano teorico si amava con-
Lo STILE GALANTE E LA NUOVA SENSIBILITÀ 9
A B e B' C'
Tema Episodio di Elementi Episodio di Elementi
trasferimento a cadenzanti diversione cadenzanti
nuova tonalità _..
_..
Rispetto a questa struttura, la forma-sonata dell'età galante (in
sonate per cembalo, sinfonie, eccetera) presenta queste modifi-
cazioni:
- il punto A, "tema", che Scarlatti lasciava spesso allo stato
grezzo di introduzione arpeggiata, di richiamo, di intestazione
improvvisatoria, diventa in certo senso più tema, anzi un primo
tema, più corto, dai contorni più definiti;
- B, episodio di trasferimento a nuova tonalità, rimane, ma è
abbreviato e soprattutto regolarizzato nella direzione: verso la domi-
nante (v grado della scala) se la sonata è in tono maggiore, verso
la tonalità relativa (m grado della scala) se la sonata è in tono minore;
- C prende un aspetto più regolare; poco alla volta prima di
cadenzare tende a coagulare in tema, e spesso è un tema, anzi un
secondo tema;
- B', l'episodio di diversione, estravagante, caro a Scarlatti per
le più avventurose ricerche inventive, o sparisce per lasciare il posto
al primo tema in nuova tonalità, o si riduce a poche battute che
preparano il ritorno del primo tema nella tonalità di partenza;
- questa ripresa del primo tema in forma testualmente identica
alla prima formulazione all'apertura del pezzo, spesso enfatizzata
da una battuta segnale che la precede, mette in evidenza una più
netta cesura fra i punti B' e C' della sonata scarlattiana, determi-
nando una terza parte della struttura detta appunto "ripresa": la
quale non si limita a riprendere gli ultimi elementi cadenzanti della
18 LA MUSICA STRUMENTALE
Primo
terna
--
raccordo Secondo
tema ed
elementi
cadenzanti
Episodio
di
diversione
Primo
tema
--
raccordo Secondo
tema ed
elementi
cadenzanti
4• l CLAVICEMBALISTI ITALIANI
6 • ScHOBERT A PARIGI
prime sonate per violino e cembalo edite a Parigi e Londra nel 1764
e 1765): il predominio della tonalità minore, attimi di improvvisa
serietà, maschere di ipocondria avranno nelle prime esperienze
mozartiane il volto del musicista slesiano. Questo polo serio, steso
fra C. Ph. Emanuel Bach e Schobert, comprende anche Johann
Gottfried Eckard (1735-1809), nato ad Augusta e venuto a Parigi
assieme a Johann Andreas Stein, grande fabbricante di organi e
pianoforti; Eckard studia da solo sul Saggio di C. Ph. Emanuel Bach
e sui Probe-Stiicke, ma si spinge oltre i confini del clavicembalo;
nella prefazione alle Sonate op. 1 (1763) dichiara di aver voluto
rendere l'opera «adatta egualmente al clavicembalo, al clavicordo,
al pianoforte. Pertanto mi sono sentito in obbligo di indicare i piani
e i forti più spesso di quanto non sarebbe stato necessario se avessi
pensato solo al clavicembalo»: e, sia pure in mezzo a un largo eclet-
tismo di atteggiamenti, si avvertono anche qui i tratti di C. Ph.
Emanuel Bach, cadenze interrotte, sincopi, piccole locuzioni del
vocabolario empfindsamer.
13 • L'OPERA "LETTERATA"
rie però parlavano chiaro, gli effetti c'erano stati. Né d'altra parte
ci si accontentava di guardare alle storie; anche sul fronte della
cronaca la questione del linguaggio-suono era riportata a galla dalle
sempre più frequenti relazioni di viaggiatori sui Mceurs des sauva-
f!,eS e sui popoli primitivi: Il si avevano prove tangibili di parole
identiche che pronunciate ad altezze diverse corrispondevano a
significati diversi; e anche Condillac, ricordando i 328 monosil-
labi dei Cinesi varianti su cinque toni, riteneva che in origine le
lingue fossero «pronunciate con inflessioni di voce cosl distinte,
che un musicista avrebbe potuto scriverne con note la pronuncia».
Ora, al musicista moderno, illuminato, consapevole delle pos-
sibilità del canto, spetta il compito di risalire la china dell'impove-
rimento "musicale" delle lingue evolute.
Fine supremo della musica era infatti quello di rendere perce-
pibili le passioni: a questo titolo essa entrava nel novero delle arti
imitative e in quanto tale era comprensibile; pittura e scultura si
rifanno a oggetti e figure, la musica si rifà alle passioni, ma le tracce
delle passioni sono impresse nel linguaggio; quindi, quanto più il
musicista, facendo leva sull'analogia fra musica e linguaggio, spin-
gerà la ricerca verso la loro radice comune, tanto più quelle tracce
saranno manifeste e ricche di suggerimenti.
La melodia, come la più adatta al compito, sarà pertanto la parte
dominante della musica: imitando le inflessioni della voce, essa
« esprime i pianti, i gridi di dolore e di gioia, le minacce, i gemiti;
tutti i segni vocali delle passioni sono di sua competenza» (Rous-
seau, Essai sur l'origine des langues); se rendere visibili gli effetti
delle passioni era stato il compito dell'artista della figura (e un secolo
prima i Caractères des Passions di Le Brun avevano diffuso una gram-
matica fisionomica delle passioni), al musicista toccava renderli udi-
bili con melodie che contengano l'immagine delle passioni; per G.
A. Villoteau (Recherches sur !'analogie de la musique avec /es arts
qui ont pour objet l'imitation du langage, 1807) solo la musica espres-
siva è bella, ma non c'è musica espressiva che non sia imitativa,
e non c'è musica imitativa che non sia declamatoria: fuori di qui
si va nell'arbitrio, nello sfoggio vocale fine a se stesso, nella musica
strumentale senza senso, nelle istituzioni armoniche che non sono
segno di nulla, sistema fisico senza coefficiente umano.
Il musicista che ha da intonare un testo poetico deve quindi
auscultare la parola, il verso, per tirarne fuori la melodia che vi
68 LA MUSICA VOCALE
mezzo precipuo del nascente stile sinfonico, non può non farsi sen-
tire: ma non bisogna credere che un'orchestra presente, responsa-
bilità espressive dell'armonia, tematismo simmetrico, ed eventual-
mente anche cori e danze di origine francese siano sintomi di visioni
riformiste, ché allora in tutti i maestri del secondo Settecento si
celerebbe un riformatore.
Anche il noto schema storiografico dei maestri italiani disposti
a vestire panni riformati sulle ribalte straniere (Parigi, la corte fran-
cese di Parma, Stoccarda, Mannheim o Vienna), salvo poi tornare
alle abitudini quando lavorano in Italia, è da usare con circospe-
zione, controllando caso per caso. Certo al Nord la pubblicistica
sull'opera riformata era più diffusa e smaliziata, e una borghesia
più colta e influente faceva valere i diritti di un gusto più razio-
nale; ma Napoli, intorno alla metà degli anni Settanta, è un cen-
tro di cultura riformata non inferiore a molti d'oltralpe; la culla
dell'opera "all'italiana" diventa internazionale: il balletto d'azione
di Noverre (1773), l'Orfeo di Gluck sia pure alterato (1774), l'at-
tività della Nobile Accademia di Musica inauguratasi nel 1777 con
Paride ed Elena di Gluck, l'Ifigenia di Traetta presentata nel 1778
come prodotto di gusto gluckiano, varie prefazioni a libretti di intel-
lettuali e poeti come Saverio Mattei, Luigi Serio, il marchese di
Corleto, sono altrettanti momenti che indicano come le idee del-
!' opera riformata avessero salde radici anche a Napoli. Eppure, è
altrettanto vero che Jommelli negli anni tardi a Napoli non trova
consensi e scrive le sue ultime opere per Lisbona; ma allora, quel-
!' arricchimento che presentano gli italiani all'estero non sarà solo
da attribuire alla coscienza della riforma ma all'importanza che la
musica strumentale si era conquistata in quei centri più che in Ita-
lia (e anche un'opera buffa come il Re Teodoro in Venezia di Pai-
siello, dove i suggerimenti strumentali prendono spesso la mano
alla voce, cade a Napoli dopo il successo a Vienna); gli innovamenti
reali rientrano infatti nella sfera strumentale, mentre il taglio for-
male dell'opera seria metastasiana resta in piedi, compiacendosi
semmai delle sue capacità di assorbimento.
Le personalità che meglio rappresentano questa fase di "riforme
interne" dell'opera seria italiana sono Niccolò Jommelli (1714-1774)
e Tommaso Traetta (1727-1779), entrambi usciti dai conservatorii
napoletani ma poi collegati a centri stranieri per la parte più signi-
ficativa della loro produzione. È già indicativo che Jommelli dopo
72 LA MUSICA VOCALE
16 • GLUCK A VIENNA
17 • GLUCK A PARIGI
Vicente Mardn y Soler (1754-1806) che con Una cosa rara coglierà
l'anno seguente un grande successo, tale da oscurare, almeno a
Vienna, le Nozze mozartiane; anche il lavoro più fortunato di Fran-
cesco Bianchi (1752-1810), La villanella rapita su libretto di Ber-
tati, raggiunge le scene viennesi nel 1785: Mozart scrive due pezzi
d'assieme per questo allestimento, e un'altra coincidenza signifi-
cativa si registra nel febbraio 1787 quando a Venezia Don Gio-
vanni Tenorio o sia Il Convitato di pietra di Gazzaniga e Bertati pre-
cede di pochi mesi il Don Giovanni mozartiano a Praga.
Nell'accavallarsi di tanti avvenimenti bisogna distinguere ancora
nel 1785 La grotta di Trofonio, altro brillante libretto di Casti musi-
cato da Antonio Salieri, rientrato a tempo a Vienna da Parigi dopo
la prova gluckiana delle Danaides. I riferimenti all'Oifeo ed Euri-
dice sono evidenti ma circoscritti, e certo la lingua di Casti è la
cosa più lontana da una musica gluckiana anche in un libretto tutto
simmetrie come questo (le solite coppie di amanti che mutano carat-
tere e inclinazione ogni volta che entrano nella grotta del mago
Trofonio); molte melodie si muovono in languide tonalità minori
da Buona figliola, ma il tessuto orchestrale è desunto dalle fonti
di Haydn e di Mozart in misura superiore a Paisiello: il terzetto
«Ma perché in ordine il tutto vada» (Finale primo), con la discus-
sione sulle vie da prendere nel bosco, è uno spunto di "pezzo
d'azione" che sarà sviluppato da Mozart e Da Ponte nel Don Gio-
vanni («Metà di voi qua vadano»); e il voluminoso do minore
attorno alla grotta e agli spiriti ha solo una vernice gluckiana, ma
per le rapide articolazioni è invece di matrice sonatistica italo-
\'iennese: non importa che Salieri, fresco di esperienze gluckiane,
non colga l'ironia di Casti verso la metafisica; proprio la sua serietà
favorisce al momento giusto la circolazione di una maggiore den-
sità armonica e tematica nei confini dell'opera buffa.
In confronto al Re Teodoro a Venezia, al centro di questa intensa
st agione viennese, meno significative sono le successive opere di
Paisiello, nel terzo periodo della sua carriera fra Napoli e Parigi:
largo séguito trovano ancora L'amore contrastato o La molinara
( l 788), ricca dispensa di temi, oggetto di variazioni ancora di Bee-
t~oven e Paganini, e soprattutto Nina ,pazza per amore (1789, reg-
gia di Caserta) frutto estremo del filone larmoyant: ma il figurino
ancora terragno della Cecchina, nella fonte francese di Benoit-
loseph Marsollier (Nina ou La folle par amour), sfuma in una sete
98 LA MUSICA VOCALE
5dorf (v. § 25), assai abile nel fondere elementi dell'opera italiana
(concertati d'azione, passi di bravura vocale) con la facile melo-
diosità gradita al pubblico viennese. Con il suo primo Singspiel,
Doktor und Apotheker del 1786, ottiene un successo non più ripe-
tuto nei lavori successivi; l'opera d'altra parte lo rappresenta in
tutte le sue caratteristiche: stile sillabico alla Pergolesi (la Serva
padrona fu una esperienza basilare per Dittersdorf); talento comico
compendiato nel capitano Sturmwald, gamba di legno, uno dei
ritratti più vivi della galleria di parodie militari dell'opera buffa,
dal Tagliaferro della Buona figliola,, a varie figure nei lavori di
Anfossi, all'aria «Non più andrai» delle Nozze di Figaro mozartiane;
musica d'azione nei Finali, cercando ormai di tener dietro al modello
del Ratto dal serraglio di Mozart. L'aria di Leonore, «Zufrieden-
heit gilt mehr als Kronen» (Più della corona m'importa la felicità),
inno alla mediocritas, al vivere in pace giorno per giorno, riassume
una dimensione implicita nell'opera e ne spiega la duratura for-
tuna a Vienna, già prefigura bile come "F alstaff delle città tede-
sche", con la sua vocazione al gaudio, la superficialità, la sensuale
allegria; tanto che il Singspiel di Dittersdorf è stato visto come un
lontano ma congeniale battistrada dell'operetta dell'Ottocento.
21 • MUSICA SACRA
Non c'è contraddizione con la crescita del tema; c'è un'intesa segreta
fra la fisionomia del tema e il suo impiego nel séguito della com,
posizione; c'è una convergenza fra il principio statico del tema e
il principio dinamico dell'elaborazione, il tema tende a liquefarsi
negli sviluppi, gli sviluppi tendono a solidificare in dignità tema-
tica: sparisce in questa tensione la differenza fra parti principali
e accessorie, fra essenza e ornamento.
L'aspetto caratterizzante del nuovo quadro formale è l'impor-
tanza assegnata allo sviluppo; cuore della nuova forma-sonata, tende
a invadere esposizione e ripresa, poiché anticipi o appendici di svi-
luppo possono essere i passi di raccordo, le code o altri elementi
desunti dai temi; d'altra parte, code o sezioni cadenzanti possono
acquistare un risalto che consente la definizione di terzo tema.
Quello che tiene insieme tutto è il principio armonico, l'orga-
nizzazione unitaria in una funzionale gerarchia di aree tonali; quanto
più l'ampiezza dello sviluppo estende la scacchiera delle tonalità,
tanto più il legame armonico deve essere operante per determinare
il ritorno alla tonalità di partenza; i punti di questo percorso (tonica,
dominante, sottodominante con tutta la raggiera di tonalità rela-
tive) delimitano una struttura sintattica che impegna continuamente
la memoria: il primo tema nella ripresa suona diverso da quello iden-
tico (sulla carta) nell'esposizione perché è passato attraverso lo svi-
luppo; nelle aree tonali che si succedono tutto è come paragonato
a elementi precedenti o seguenti nella catena temporale; il tempo,
misurato dalla memoria, diventa il vero materiale della forma-sonata
persino a scapito del tema: « Non hanno questi Allegri talvolta nep-
pure un tema, e sembrano di cominciare in mezzo» scrive Mayr
di Haydn, per il quale in effetti la strategia tonale è cosl significa-
tiva da consentire al codice sonatistico di funzionare anche con
alcuni elementi in absentia, come" secondi temi" fatti con il primo
solo trasportato di tonalità, o con infrazioni sùbito denunciate dalla
posizione armonica come le "false riprese", cioè riprese simulate.
lità linguistica esibita dai quattro archi è più che degna della for-
n1ula "maniera affatto nuova e speciale" usata da Haydn presen-
tando ,.la raccolta: il Largo cantabile del quinto Quartetto è una sco-
Pena allusione gluckiana, non alle furie ma al polo opposto, alla
Pace contemplativa di « Che puro ciel»; i temi degli Scherzi hanno
I~ precisione orecchiabile del Singspiel e in genere i secondi temi
51
muovono nella metrica spaziosa dell'aria vocale italiana: insomma
132 HA Y D N E MOZART
tici o quanto meno teatrali. Come per i Quartetti op. 33 tutti que-
sti particolari extrasonatistici acquistano il loro significato dall' e-
nergia della forma-sonata sottostante: il principio dell'elaborazione
tematica, l'avventuroso gioco delle modulazioni si affermano con
una evidenza palmare che non lascia dubbi alla comprensione: onore
tuttavia al recensore del «Mercure de France» che lo riconobbe
al primo ascolto quando esaltò Haydn per sapere «ricavare sviluppi
(développements) cosl ricchi e diversi da un unico soggetto». Que-
sta economia tematica, anticorpo verso le tentazioni teatrali della
forma-sonata, è soprattutto evidente nei sei Quartetti op. 50 (1787)
dove di norma il secondo tema è evitato: lndice di ambizioni uni-
tarie, rivaleggiando con la fuga, ma anche di una frugalità inven-
tiva di Haydn, lontano in ciò dalla voracità intellettuale testimo-
niata da Mozart negli stessi anni.
Dopo Parigi, Haydn prende la via di Londra, l'altra capitale
del commercio sinfonico europeo; si presenta con alcune sinfonie
nuove anche per l'informatissimo pubblico britannico, come la n.
92 scritta a Vienna nel 1789 e poi battezzata "Oxford" perché
eseguita nella celebre cittadina in ringraziamento della laurea: il
Lravolgente Finale, che entusiasmò il pubblico del Teatro Sheldo-
nian, ne fa una specie di Final Symphonie proseguendo una ten-
denza già avvertibile nelle "parigine" e paraggi (la n. 88), quasi
contraltare alle agapi espressive delle Adagio Sonaten di C. Ph. Ema-
nuel Bach e seguaci.
Nelle due residenze londinesi della prima metà degli anni
Novanta Haydn corona il suo edificio sinfonico con le ultime dodici
Sinfonie (nn. 39-104) scritte per i Concerti Salomon: serie riassun-
tiva rispetto alle sinfonie proprie e altrui, modello vincolante non
solo per i musicisti vicini ad Haydn a Londra e Vienna, ma ancora
Per Beethoven, Schubert, Rossini e Weber. Senza frigidezze reto-
riche, nelle sinfonie "londinesi" c'è un'amplificazione di elementi
che sono di casa in Haydn da circa un ventennio; rispetto alle "pari-
gine" c'è una maggior posatezza di forme, specie nell'ultima serie
(nn. 99-104): già l'orchestra accoglie stabilmente clarinetti, trombe
e timpani, prima usati solo nelle sinfonie "solenni", festose a tinta
unica; e poi tutto il tessuto, pur nella perspicuità di ogni intrec-
cio, riv~a una grana più grossa, il tratto del pennello invece della
Punta dell'incisore ed è lecito supporre che in questa direzione
severa e monumentale abbiano influito le tre grandi Sinfonie di
134 HAYDN E MOZART
Mozart del 1788 (la Jupiter è stampata nel 1793, fra il primo e i]
secondo viaggio a Londra).
Rispetto a quartetti e sinfonie precedenti e salvo specifiche ecce-
zioni come la n. 102, di nuovo nelle "londinesi" c'è ancora un
minore radicalismo di pensiero sonatistico: si ritrovano nette divi-
sioni fra canto e accompagnamento (molti temi sono a due parti
reali) e c'è persino un riscatto del basso albertino; questa disponi-
bilità, unita alla sempre crescente caratterizzazione tematica, per
l'ascoltatore postero significa che molti temi gli vanno incontro
con la semplice cordialità di Rossini. In questa tollerante larghezza
di vedute c'è anche posto per un recupero del solismo concertante:
il violoncello solo nel trio del Minuetto della Sinfonia n. 95, la coda
dell'Andante nella n. 96 (inserto di concertino e ripieno), il Finale
della n. 98 con gli assoli di violino e addirittura nelle ultime bat-
tute la ricomparsa quasi spettrale del cembalo obbligato, sono tutte
allusioni al concerto barocco, certo alimentato a Londra dai con-
certi della Società "far Ancient Music" con musiche di Haendel,
Corelli, Geminiani mantenute in circolazione. Ma queste e altre
ilari deroghe all'organizzazione sonatistica sono formulate dall' al-
tra parte della cancellata rispetto ai barocchismi delle sinfonie gio-
vanili; il codice della forma-sonata è qui più che mai presente, con-
fermato dalle stesse negazioni e mai come ora Haydn mostra altret-
tanta fiducia nella comprensibilità del linguaggio musicale: sotto
questo profilo le "londinesi" sono una delle testimonianze più sicure
di tutta la civiltà dell'illuminismo.
Sulla scia di Sinfonie come le nn. 88 e 92 anche le "londinesi"
si atteggiano a Final Symphonien; se c'è qualche piccola ruga è nei
movimenti lenti che va cercata specie quando ricorre la forma del
tema con variazioni, con quella angustia di regolarità strofica che
Mozart aveva già espunto dalle tre sinfonie del 1788. Magistrali
certo, belli questi Andanti (quello della n. 101, "La pendola", tra-
sforma l'uniformità dei battiti in un gioiello di oreficeria musicale),
ma si aspetta con impazienza il Minuetto e soprattutto il Finale.
Nelle Sinfonie nn. 94, 96, 97 e 98 si perfeziona un tipo di Finale
che prende la corsa da idee sussurrate in pianissimo, musica che
crepita e ride sotto pelle; nei finali delle nn. 99 e 103 acquistano
peso episodi contrappuntistici che forse hanno il modello nella Jupi-
ter mozartiana, mentre nell'ultima Sinfonia (n. 104) il Presto con·
elusivo ribadisce la fedeltà ai valori rustici, tipo danza dell'orso,
FRANZ JosEPH HAYDN 135
con Gluck, più tardi conosce Haydn e Mozart: una fonte tarda
parla di un quartetto viennese con Dittersdorf secondo violino,
Haydn primo, Mozart alla viola e Vanhal al violoncello, e a Vienna
e a Berlino Dittersdorf è spesso presente anche se la maggior parte
della sua attività si inquadra in corti di campagna, a Oradea in
Ungheria, aJohannisberg, nel castello di Rothlotta in Boemia dove
muore.
Dittersdorf prosegue Wagenseil, la Serva padrona e lo stile
galante mescolandovi inflessioni popolaresche e gusto francese in
temi di rondeau e minuetti attinti all' opéra-comique (da cui matura
il suo successo maggiore, il Singspiel Der Apotheker und der Doktor,
v. § 20). Il suo internazionalismo è esplicito nella Sinfonia nel gusto
di cinque nazioni (1767) con un Allegro "tedesco" (cioè Mannheim),
un Andante "italiano", un Allegretto "inglese", un Minuetto "fran-
cese" con trio "turco", e un Finale internazionale cioè viennese.
Nelle sinfonie a programma il modello gluckiano viene fatalmente in
primo piano: movimenti da danza delle furie, minuetti da campi elisi
sono evidenti nella Liberazione di Andromeda nel cui Larghetto cen-
trale un oboe concertante sviluppa un lamento capace di resuscitare
la solennità di Haendel. Al severo esempio del quartetto di Haydn
e Mozart, si ispirano i sei Quartetti del 1789: l'impegno contrappun-
tistico è tuttavia schivato e mentre il primo violino ha per lo più
parte dominante, i quattro strumenti sono spesso impaginati a cop-
pie con episodi cadenzanti che denunciano le mai smentite radici del
violinismo italiano da Vivaldi a Tartini; d'altra parte idee solo giu-
stapposte, senza il gusto della transizione, rivelano in Dittersdorf
poca sensibilità all'esperienza sonatistica più radicale.
Con l'intensità della sua vita musicale e l'attrazione che eser-
cita su residenze e centri minori, la Vienna degli anni Settanta è
ormai la capitale della musica nei paesi di lingua tedesca. Tale non
è più Mannheim: Mozart nel 1778 profitta ancora della vitalità
st rumentale e concertistica della città; ma proprio in quell'anno
l'elettore Karl Theodor si trasferisce a Monaco e il centro si pro-
vincializza rapidamente, i membri della scuola sempre più si spo-
s:ano verso la Francia o verso Monaco al seguito dell'elettore. Nelle
s:nfonie di Franz Beck si trova ancora quell'inclinazione all'espe-
ri:nen~o tipico della prima generazione dei Mannheimer, ma Chri-
st1an Cannabich (1731-1799) e Carlo Giuseppe Toeschi (1731-1788)
Parlano una lingua cristallizzata e anche il raffinato Cari Philipp
140 HAYDN E MOZART
I'iI
(1746 ca.-1825 ca.) vi si radica per sempre divenendo francese non
meno dei suoi colleghi operisti, con oltre 80 sinfonie concertan~
e 174 quartetti pubblicati fra il 1773 e il 1809; compop.endo e inse~
gnando (e pubblicando metodi di canto, violino, flauto) Cambini
supera gli anni della rivoluzione, per la quale scriverà vari inni,
«à la Victoire», «à l'Egalité>>, «à l'Etre supreme». Poco dopo il
1770 il gruppetto toscano è ormai sbandato: Nardini si fissa a
Firenze pubblicando ancora qualcosa a Londra e Amsterdam; Man-
fredi rientra a Lucca nel 1772, lasciando il sodalizio con Bocche-
rini frattanto spostatosi da Parigi a Madrid.
26 • MOZART
l'opera buffa italiana nei suoi aspetti più ilari, e poi via via scherzi
musicali di radice popolare.
Anche alcune scelte "negative" sono importanti, rifiuti di isti-
tuti o atteggiamenti stilistici che Mozart ha tuttavia avuto sot-
t'occhio:
- il recitativo strumentale: rispetto a Haydn che lo desume tal-
volta da Emanuel Bach, e ad altri che lo connettono a Gluck,
Mozart è estraneo a questo ibrido che doveva sapergli di esperi-
mento, di tentativo a mezza strada; che l'ignorasse è tuttavia
escluso, viste le cadenze recitanti negli Adagio dei Concerti per pia-
noforte e orchestra (per tutti il K. 271);
- il melologo; dopo l'infatuazione per i lavori di Benda sentiti
a Mannheim (v. § 14), l'impiego di questo genere nell'opera di
Mozart è di modesta estensione: anche di qui, come dal recitativo
strumentale, proviene un messaggio di sperimentalità non fatto per
l'orecchio di Mozart;
- lo stile sentimentale-lacrimevole, quello delle varie Cecchine
del tempo (il 6/8, il mino~ morbido, la mansueta appoggiatura):
Mozart è impermeabile alle sue forme più manierate, ma che le
conoscesse è altrettanto sicuro; Barbarina che cerca la spilla nel-
l'ultimo atto delle Nozze di Figaro è la sintesi di tutte le buone
figliole, orfane o trovatelle, che popolano il Settecento musicale.
Alcuni generi di questo quadro avevano già una lunga tradi-
zione prima di Mozart (opera seria, opera buffa, polifonia sacra),
altri si sono formati da poco (sinfonia, quartetto, Singspiel) e altri
nascono in pratica con lui (il pianoforte nella musica da camera
e con l'orchestra): ma tutti vengono attirati nella sua sfera~rea-
tiva allineandosi nel breve giro di un ventennio (1770-91) sulla fron-
tiera del compimento sommo, oltre il quale si può andare solo met·
tendo in discussione da capo i fondamenti formali di partenza. Inol-
tre la virtù assimilatrice di Mozart supera i punti di riferimento
generali, e trova materia in corpi minori, in proposte di autori anche
minimi, in caratteristiche e tic esecutivi di cantanti e strumenti·
sti: tutto entra in fermentazione in un universo stilistico che cosl
vario e coerente la storia musicale non conosceva più dal tempo
di Bach.
C'è però un ulteriore elemento di novità: Mozart ~ è solo
il più bravo in tutto ciò che è già in circolazione, ma si fa anche
intendere parlando su due piani, quello degli oggetti musicali usati
MoZART 149
monto: aveva sedici !inni, non era più un fenomeno e doveva farsi
largo· fra una quantità di rivali con altre armi che il sorriso dell' a-
dolescenza; e anche il padre non aveva in fondo né il fiuto né la
costante determinazione per ottenere al figlio posizioni di pr.im~t9.,
in qualche modo degne del suo valore. Comincia ora un perio~
in cui la coscienza delle capacità immense, il desiderio di misurarsi
su scala europea, si scontrano sempre più con l'ottemperaqz~.IJ,l
vecchio status sociale dei musicista dipendente; nel nostro caso, con-
trasto acuito dalla persona del nuovo vescovo, Hieronymus conte
di Colloredo (succeduto nel 177Tàl buon Sigismondo von Schrat-
tenbach), uo_!llo nu-9~_0, illuminista, rigido esattore dei dove~o-
pri e altrui.~ quindi padrone assai scomodo: tra il Mozart ventenne
che fra il 1773 e il 1777 scrive la Sinfonia K. 183 e il Concerto
K. 271 e la sua carica di Konzertmeister nella baroccheggiante Sali-
sburgo c'è ormai una discordanza pericolosa e basta poco a farla
precipitare in guerra aperta.
I due poli verso cui tende Mozart ~o i viaggi in ~ a sono
Vienna e_:Monaco;_ a Vienna, sempre col padre, passa l'estate del
1773 con lo s~~p~dichiarato di un posto a corte, ma l'unico frutto
importante è la conoscenza dei primi capolavori di Haydn. Alla
fine del 1774 Mozart è a Monaco, ma anche qui il successo della
Finta giardiniera non produce risultati durevoli; nel 1776 morde
il freno, scrive una lettera scoraggiata al padre Martini (« Vivo in
un paese dove la musica fa pochissima fortuna») e si appresta a
partire per l'Italia; ma la licenza, prima accordata dal Colloredo,
viene revocata e Mozart lascia per la prima volta il servizio e si
inette in cammino per il più importante dei suoi vaggi: non più
in Italia ma verso Parigi e non più col padre ma con la madre, com-
pagna da tutelare più che consigliera. I due partono nel settembre
1777 via Monaco, dove si cominciava a sentir parlare di teatro
nazionale tedesco, e Mannheim: qui Mozart si concede una lunga
sosta a contatto con la seconda generazione di Mannheimer (Can-
nabich, il flautista Wendling, l'oboista Ramm, il grande cantante
Raaf) in un momento in cui l'elettore Karl Theodor punta anche
lui sull'opera tedesca (v. § 18): Mozart assiste alle prove della Rosa-
1nund di Schweitzer, si scalda per il Giinther di Holzbauer e soprat-
tutto per i rnelologhi di Benda; si innamora di Aloysia Weber,
Dttima cantante con la quale vagheggia un viaggio in Italia con-
tando di fare fortuna nei teatri, come Wilhelm Meister con
152 HAYDN E MOZART
dei sottoscrittori in un concerto del 1784 con i più bei nomi della
Vienna giuseppina mostra quanto larga fosse la considerazione gua-
dagnata. Anche gli altri canali attraverso cui il musicista libero può
sostentarsi sono in attivo, con le lezioni private e i buoni rapporti
con gli editori: Artaria nel 1781 gli pubblica sei Sonate per violino
e pianoforte, nel 1783 due Sonate per pianoforte a quattro mani e
altre tre Sonate l'anno seguente; ma l'anno d'oro è il 1785 con la
pubblicazione, fra altri lavori, dei sei Quartetti dedicati ad Haydn,
di tre Concerti per pianoforte, di due Sinfonie: il grande passo sem-
bra compiuto, il musicista si è fatto il suo posto nella città. e dal
1782 si è anche sp~sato con Costanza Weber, sorella di Aloys.ia,
presso la cui famiglia aveva trovato asilo dopo la rottura con l' ar-
civescovo; la sensazione di far parte dell' establishment deve aver
avuto il suo peso nel suo ingresso alle logge massoniche; il padre
lo visita a Vienna e ne tocca con mano la fortuna, commuovendosi
alla consacrazione («il più grande compositore del mondo») che
ne ascolta dalla bocca di Haydn.
Da questo culmine tuttavia la fortuna di Mozart si avvia ad
un rapido declino proprio in coincidenza con il pieno della sua forza
creativa. Nella primavera del 1786, poco prima delle Nozze di Figaro,
una sua serie di concerti raccoglie ancora la cifra cospicua di 120
sottoscrittori; ma con Vienna, dopo le Nozze, non c'è più una base
di intesa cordiale;·sulle prime l'opera va bene, tanto che Giuseppe
II dopo la terza replica deve vietare il bis dei pezzi d'assieme, _m.a
poi l'opera cammina piuttosto in città tedesche e nella traduzione
tedesca di Knigge e Vulpius; e a Vienna la corte e l'aristocrazia
(salvo van Swieten) preferiscono rivolgersi a Paisiello, Sarti, Mar-
t{n y Soler. Mozart vorrebbe di nuovo tentare Parigi, ma il padre
gli rifiuta il finanziamento; una nuova prospettiva gli è aperta da
Praga, animata da uno spirito di concorrenza con Vienna; a Praga,
dove ha amii:i e a,.mmir~t.oi;i, Mozart conosce i maggiori successi
dei suoi ultimi an~i: nella stagione 1786-8'. le No:ze j Figaro s?no
accolte con entusiasmo e nel 1787 un trionfo tiene a battesimo
il Don Giovanni. Anche a Vienna se ne prende atto e Moza.rtè
nominato «c9~positore di corte •> in sostituzione di Gluck morto
in quell'anno; ma la nomina è poco più che onorifica e le uniche
commissioni sono d_~n:z;~_çli società, minuetti, contraddanze, danze
tedesche~ozart ne scrive un centinaiò fra il 1788 e il 1791 e nel
suo catàlogo paiono i segni di uno scacco, tributi dovuti ad un altro
156 HAYDN E MOZART
per tre archi, le cinque Fughe per quartetto d'archi dal Clavicem.
baio ben temperato, la Fuga per due pianoforti K. 426 e vari frarn.
menti di fughe per pianoforte a due o quattro mani, tutte testimo-
nianze di una passione per il pensiero musicale che non ha mai finito
di alimentarsi. Se i lavori in cui questo neo contrappuntismo si
affaccia in modo esplicito e quasi programmatico non sono nume-
rosi (fra i casi celebri il finale del Quartetto K. 387, il finale della
Sinfonia "Jupiter ", sezioni della Messa incompiuta K. 427 e del
Requiem, movimenti estremi della Sonata K. 576, Ouverture del
Flauto magico), tutta la scrittura mozartiana ne risulta in qualche
modo impregnata; ma il terreno migliore per saggiare questo nuovo
innesto del contrappunto nella forma-sonata doveva spontanea-
mente parere quello del quartetto d'archi, il più austero dei generi
strumentali che Mozart aveva lasciato riposare nove anni e ora,
nell'eccitazione quartettistica dell'ambiente viennese, riprende in
considerazione con i sei Quartetti dedicati ad Haydn (K. 38 7, 421,
428, 458, 464, 465). Infatti il segnale per l'incanalarsi di queste
energie viene ancora una volta da Haydn, dai Quartetti op. 33 del
1781 con i quali la raccolta mozartiana presenta chiare rispondenze;
ma anche il tirocinio bachiano, disposto per lo più sul telaio del
quartetto d'archi, lascia segni sicuri, non solo in idee tematiche
che nascono già a quattro parti, ma in una più larga prosa ritmica,
in una ampiezza del respiro compositivo nutrita dalle misure impre-
vedibili dei campi armonici bachiani.
I Quartetti dedicati ad Haydn raccolgono con entusiasmo la sfida
lanciata dalla prospettiva sonatistica di far collimare il rilievo sta-
tico dei temi con la corrente dinamica di sviluppi e variazioni, e
l'equilibrio che si stabilisce fra ricchezza di idee ed elaborazione
concettuale è frutto di uno sforzo grandioso: non meno di tre anni,
una voragine per i tempi creativi di Mozart, passano fra la compo-
sizione del primo quartetto (1782) e la pubblicazione della raccolta
(1785), e anche gli autografi mostrano una quantità di correzioni
del tutto insolita nel patrimonio manoscritto dell'opera mozartiana
(la quale con il suo magrissimo contorno di abbozzi, pentimenti,
sgorbi e fogli volanti può far pensare al biblico tempio di Salomone,
venuto su senza rumore di martelli e picconi perché costruito con
pietre già tutte tagliate e rifinite nella cava). Era anche naturale
che quel vigore di pensiero dovesse parere ostico ai viennesi, anche
se propensi al genere del quartetto come non mai: per la « Wiener
MOZART 167
chardt, e gli anni fra Sette e Ottocento vedono nascere società musi-
cali, specie di canto corale, in parecchie città tedesche, la Singa-
kademie a Berlino (1791), il Singverein a Lipsia (1802), il Gesang-
verein a Lubecca (1805), il Caecilienverein a Francoforte (1818).
A Vienna l'aristocrazia è talmente mescolata alla borghesia e
alla manovalanza strumentale che relativamente tardi si sente la
necessità di istituire società concertistiche sul tipo londinese o pari-
gino, non prima del 1782, con i concerti organizzati da un inglese,
Philipp Martin, nel pavillon di Augarten dove Mozart si presenta
come pianista. I concerti nelle case aristocratiche sono aperti a tutti
gli appassionati: quelli in casa del principe Lichnowsky sono un
appuntamento regolare al venerdl mattino, quando anche i pro-
fessionisti che la sera suonano al Burgtheater possono prendervi
parte; i musicisti possono affittare direttamente la sala di un tea-
tro come impresari di se stessi, suonando a proprio beneficio, mentre
l'organizzazione e la diffusione della cultura musicale passano a
società di professionisti o dilettanti, come la Società degli amici
della musica (1813).
L'altro incentivo alla libera attività proviene dalla diffusione
e dai progressi della stampa musicale; pur in assenza di una legge
sui diritti d'autore, le possibilità per un compositore, anche di fama
media, di giungere alla stampa delle proprie opere strumentali sono
moltiplicate rispetto al passato; anche per le edizioni diviene comune
il sistema della prenotazione per sottoscrizione, opportunamente
annunciata dalla pubblicità sui giornali; alcuni editori parigini e
londinesi, già a metà degli anni Sessanta, sulla spinta del successo
dei Mannheimer, avevano dato vita ad una nuova tecnica di ven-
dita al minuto, la Symphonie périodique (o Periodica! Overture): anzi-
ché mettere in commercio volumi di sinfonia o quartetti di un solo
autore a gruppi di sei, era parso più conveniente, «pour faciliter
le choix de Mrss. les Amateurs de la Musique •>, fare apparire le
opere una alla volta, alternando vari compositori in fascicoli che
si seguivano in abbonamento con periodo settimanale o mensile.
Ma sono le nuove tecniche tipografiche ad allargare il commercio
in modo decisivo: se già la calcografia dava la possibilità di usare
lastre più economiche di quelle di rame, è soprattutto la litografia
(cioè il trasferimento dalla lastra ad una speciale pietra calcarea
della Baviera sperimentata dal Senefelder intorno al 1796) che offre
LA TRASFORMAZIONE DELLA VITA MUSICALE A FINE SETTECENTO 185
È appena il caso di notare che quella libertà, di per sé, non dava
nessuna garanzia di qualità artistica al musicista della storia
moderna, il quale, libero dall'ordinazione immediata e minuta del
signore e protettore, poteva essere soggetto in modo analogo al
genere di successo imposto dal mercato musicale. Conta di più rile-
vare alcuni orizzonti generali dischiusi dal nuovo corso: innanzi-
tutto lo spirito competitivo, sintomo di quel senso di energia, di
movimento che già la guerra dei Sette anni ha impresso al frollo
mondo europeo; a Parigi nel 1774 Gluck e Piccinni avrebbero
dovuto misurarsi su uno stesso libretto, e nel 1781 il direttore del
Concert Spirituel, Legros, accresce l'interesse per lo Stabat Mater
di Haydn mettendolo a confronto con altri due Stabat, quello intra-
montabile di Pergolesi e un altro di certo père Vito; l'incentivo del-
1' emulazione è presente nei concorsi di composizione e soprattutto
nel campo concertistico, dove si affermano una maturità tecnica
e una crescente destrezza nell'uso di strumenti fino ad allora di
limitate risorse solistiche; a scorrere gli annali del solo Concert Spi-
rituel parigino, si vede bene che violino e voce umana, dominatori
fino al 1760, ora non sono più soli: nel 1764 un cornista di Stra-
sburgo, Jean-Joseph Rodolphe, dopo aver lavorato a Parma e Stoc-
carda negli anni di Traetta e Jommelli, mostra le possibilità vir-
tuosistiche del corno da caccia; a partire dagli anni Settanta
appaiono regolarmente solisti di oboe e flauto, poco più tardi di
clarinetto e di fagotto. Il cembalo non è favorito dal limitato volume
sonoro, ma con il forte-piano la situazione cambia: è la signorina
LA TRASFORMAZIONE DELLA VITA MUSICALE A FINE SETTECENTO 187
Lechantre che nel 1768 lo usa, forse, per la prima volta in un pub-
blico concerto e dal 1780 i pianisti sono sempre più numerosi; scom-
pare invece l'organo, mentre si affacciano solisti di arpa, di chi-
tarra e mandolino. Inoltre, una nuova figura si impone all'atten-
zione del pubblico, quella del direttore d'orchestra: Haydn diresse
a Londra nella prima metà degli anni Novanta le sue Sinfonie "lon-
dinesi", seguendo l'orchestra al cembalo; lo stesso Beethoven guidò
personalmente l'orchestra in occasione delle prime esecuzioni delle
sue sinfonie, quantunque la menomazione all'udito, a detta dei con-
temporanei, rendesse precaria la precisione; ma certo, di una pro-
fessione e di una tecnica direttoriale, s'incomincia a parlare a par-
tire da Spontini, Weber, Spohr.
All'ampliamento dei confini strumentali risponde poi un amplia-
mento dell'orizzonte storico delle musiche eseguite: per quanto pro-
lifici e laboriosi, i compositori del 1770-80 non bastano ad esau-
rire il fabbisogno delle società di concerti; e si guarda allora alla
musica precedente: non solo a Londra, con i Concerts of Ancient
Music (dove antica era una musica di venti, trent'anni prima, cioè
Haendel), o a Vienna, con i Konzerte alter Musik (1816), ma anche
altrove si comincia a non considerare più la musica come l'arte del
presente, si tirano fuori dal passato, magari per istituire confronti
con i viventi, lavori di autori scomparsi mezzo sconosciuti; nasce
l'idea che il pezzo di repertorio sia altrettanto pregevole della novità,
e il tutto trova eco in recensioni, in articoli, in discussioni all'alba
di una coscienza storica.
Già le querelles teatrali, specie quella fra Gluck e Piccioni, ave-
vano contribuito ad allargare l'orizzonte storico quando si scavava
nel passato per avvalorare le proprie tesi; e così pure nella didat-
tica, un omaggio ai padri dà più fondamento ai metodi di insegna-
mento, e Clementi si fa editore di Scarlatti e di Bach. Ma l'esten-
sione della documentazione consente ormai la nascita della storio-
grafia musicale come attività autonoma: la Storia della musica (primo
volume nel 1757) e l'Esemplare, ossia sagg,io fondamentale prati-
co di contrappunto sopra il canto fermo (1774) di Padre Martini, il
Dell'origine e delle regole della musica colla istoria del suo progresso,
decadenza e rinnovazione (1774) del gesuita Antonio Eximeno, gli
Scriptores ecclesiastici de musica sacra (1784) del benedettino Martin
Gerbert sono alcuni degli ultimi imponenti contributi della cultura
188 BEETHOVEN
delle Nozze di Figaro a Parigi nel 1793: l'Inno per la festa degli sposi
(1798) di Méhul, che in un piano Andante in do maggiore chiede
a Dio di rendere «par le chaste hymen nos mc:eurs incorruptibles»,
e non le tresche notturne o i turbamenti di Cherubino, sono un
esempio di che musica nascesse dall'esperienza della Rivoluzione.
I suoi effetti musicali vanno riscontrati prima di tutto sul piano
dell'organizzazione e della fortuna di alcuni generi: il fenomeno
nuovo, mai avvenuto prima in misura cosl vasta, è l'intervento sta-
tale nei riguardi della produzione e circolazione artistica. La musica
strumentale, priva di contenuti immediati, è trascurata; la vita con-
certistica parigina, la più ricca d'Europa assieme a quella londi-
nese, quasi si arresta mentre l'attenzione si rivolge al teatro; dal-
1' aprile 1790 l'ex Académie Royale de Musique, cioè l'Opéra, passa
in carico alla città di Parigi che l'amministra attraverso un comi-
tato; l'Assemblea Nazionale proclama la libertà delle attività tea-
trali da ogni forma di protettorato, e nascono compagnie e impre-
sari improvvisati, generi spettacolari di poca spesa; la secolare chiu-
sura delle attività teatrali nella settimana di Pasqua, occasione del
Concert Spirituel, è abolita; nell'agosto 1793 una mozione della
Convenzione propone che tre volte la settimana (una a spese dello
stato) i teatri allestiscano "tragédies républicaines come quelle di
Brutus, Guillaume Teli, Caius Gracchus» e parimenti che rappre-
sentazioni contrarie a l'esprit de la révolution vengano interdette
e i direttori arrestati e puniti; quando la Francia è stretta d'asse-
dio (giugno 1793), l'Opéra rappresenta Le siège de Thionville di
Louis Jardin e la prefazione del libretto esalta il ricorso al soggetto
memorabile come scelta di cittadini che amano vedere sulla scena
«quelle virtù maschie e repubblicane che contrastano vittoriosa-
mente con le virtù timide efantastiques delle monarchie». Con tutto
ciò, il Teatro dell'Opéra più ancora del ristagno in soggetti clas-
sici (Fabius, Horatius Coclès) presenta una macroscopica immobi-
lità di repertorio: Didon di Piccinni, replicato 250 volte fino al 1826,
Les Danai'des di Salieri, 127 volte fino al 1828, Oedipe à Colone
di Sacchini, 583 volte fino al 1844. Tutto diverso è il caso dell' opéra-
comique coltivata ai teatri Favart e Feydeau, due fra i punti più
sensibili della nuova vita musicale parigina: nei primi anni della
Rivoluzione l' opéra-comique non si segnala tanto per materia repub-
blicana, Bruti e Gracchi, quanto per il riflesso immediato di fatti
contemporanei, per lo spazio aperto al presente e alla cronaca, con-
192 BEETHOVEN
Haydn non scrive più opere dal tempo del primo viaggio a Lon-
dra, Beethoven incontra serie difficoltà a metterne in piedi una;
Vienna resta principalmente un terreno di cultura strumentale.
Quello che continua fiorente, dopo Dittersdorf e il Flauto magico,
è il genere del Singspiel conJohann Schenk e Wenzel Miiller, ponti
da collegamento con l'operetta viennese. In gran parte teatrale è
la produzione di Joseph Weigl (1766-1846), una delle personalità
più in vista della generazione di Beethoven, oggetto di numerose
variazioni per la sua facilità tematica. Uno dei suoi lavori più tipici
è Die Schweizerfamilie (La famiglia svizzera, 1809), un inno idil-
lico alla Heimat (patria) tutto adorno di una mitologia montana
(pastori, capanne, cime, valli): il 6/8 domina, l'Andantino è il mezzo
di locomozione preferito, con terni (come quello d'apertura) lindi
come facciate di case alpine da poco intonacate; sembrerebbe un' Ar-
cadia, di quota appena più elevata: se non ci fosse il Lied di Jacob,
in un sol minore penetrante e tortuoso, a precorrere il «Wo ein
treues Herze» della Schone Miillerin schubertiana; se non ci fosse
la melanconia dell'ultimo Lied (in la minore con re diesis) condi-
viso dal flauto e dalla voce di Emrneline, «Sol nella terra ove siamo
nati, ci sorride la pace e fiorisce la felicità»: tema fortunato, che
a Vienna e fuori diede occasione a una quantità di variations pasto-
ra/es, ripreso ancora da Liszt nel suo pellegrinaggio svizzero con
il nome di Le mal du pays.
Corde più robuste risuonano a Parigi, dove l'opéra-comique, dal-
!' apparenza cosl disimpegnata, mostra sorprendenti capacità di tra-
sformazione; la città francese, fra repubblica e impero, è la vera
capitale del teatro musicale europeo: un successo a Parigi vuol dire
un successo nel mondo, è una regola già affermata da Gluck che
rimarrà costante fino a Verdi e Wagner.
Un tipo operistico, fiorito sul tronco dell' opéra-comique e defi-
nibile in base all'intreccio, ha molta fortuna e rispecchia bene il
gusto degli anni rivoluzionari, la cosl detta pièce à sauvetage, cioè
opera con un salvataggio in extremis del protagonista, eroe o eroina,
Per tutta la vicenda tenuto nascosto da amici coraggiosi o rinchiuso
<la un tiranno villano. In Italia il genere incontra fortuna limitata:
la finzione del deux ex machina passa tranquillamente, ma che il
salvatore sia un uomo, anzi un governante, un potente che soprag-
giunge con i suoi al momento giusto, questo è poco credibile nel-
l'Italia di fine Settecento; sarà per il realismo del carattere italiano,
202 B E ET HO V E N
(l'aria di Faniska nell'atto II, «Allzu tief sind des Herzens Wun-
den •>, è uno dei punti di massima tangenza alla sfera beethove-
niana toccato da un contemporaneo). Ma da Vienna Cherubini torna
senza vantaggi, anzi ritrovandosi a Parigi in un isolamento ancora
maggiore dopo il trionfo della Vestale di Spontini.
In una biografia artistica che si avvia a divenire sempre più
umbratile rinasce l'interesse per la musica sacra: qui, ancora più
che nel teatro, le contraddizioni della ricca personalità cherubi-
niana vengono in superficie nella convivenza, ricercata con pari
impegno, fra una scrittura alla Palestrina di matrice vocale e di
tessitura imitativa e un pensiero musicale di nuovo conio armo-
nico e sinfonico, vicino alla compattezza del corale, dove ancora
una volta l'orchestra è l'unità di misura dell'invenzione. Senon-
ché la prima possibilità, il contrappunto vocale che Cherubini aveva
imparato in Italia, ed esibito nell'avvilente scolasticismo del Credo
a doppio coro, dopo il finale della Jupiter ha perso ogni mordente,
e solo la natura incerta di Cherubini, fedele a posizioni che per
primo ha superato, può tenerlo in vita anziché metterlo da parte:
così tutta la smisurata Missa solemnis del 1811, nata senza solleci-
tazioni esterne, non vale l'episodio del Crucifixus dove il canto è
ridotto al grado zero (una sola nota ripetuta) mentre cambiano le
armonie di archi e legni; e anche nel Benedictus, il clima sublime
dell'introduzione strumentale è solo sciupato dall'entrata delle voci.
Nel 1813, quasi gareggiando con Spontini, Cherubini si pre-
senta ancora all'Opéra con Les Abencérages (soggetto di de Jouy,
il librettista della Vestale), storia d'amore sullo sfondo della guerra
fra cristiani e saraceni per il possesso di Granada. Cherubini si
aggiorna a quella dimensione di grandezza che collega l'ultima fase
della tragédie lyrique al grand-opéra ottocentesco; ma la sua serietà
è contraria a quanto di fastoso, di eccessivo era qui contenuto: e
i momenti più autentici del grosso operone si trovano nell'insinuante
presenza di trame strumentali, nei cori ieratici che danno ai Finali
una spaziosità intima e reale (sulla linea del Flauto magico), eredi
delle grandi scene mortuarie dell'opera seria con in più un nuovo
soffio religioso.
Caduto Napoleone, nulla è più lontano dall'indole di Cheru-
bini di sbracciarsi a riprendere quel primo posto nella vita musi-
cale parigina che la sua fama ormai europea gli avrebbe senza dif-
ficoltà riconosciuto; l'ebbrezza del dopo Napoleone, con l'illusione
208 B E ET HO V E N
32 • BEETHOVEN
32.1 •CARATTERE
compiono per lui le truppe della Francia repubblicana che nel 1794
rovesciano l'elettorato di Colonia con l'annessa cappella musicale
di Bonn. Perso il posto, Beethoven si industria da sé: l'opera tea-
trale, indispensabile dieci anni prima per andare avanti nella car-
riera, non è nemmeno presa in considerazione; nel 1795 appare
la prima volta in pubblico come pianista, nello stesso anno Artaria
gli stampa i Trii op. 1, segulti ogni anno da nuovi lavori distribuiti
fra i maggiori editori viennesi; ai primi anni dell'Ottocento Bee-
thoven è il beniamino della vita musicale della città, pur brillando
ancora la patriarcale luce di Haydn, e attorno al 1810 è ritenuto
ovunque il primo musicista d'Europa cioè del mondo: tale lo reputa
Bettina Brentano che si adopera per lo storico incontro con Goe-
the a Teplitz, e cosl è visto nelle giornate del congresso di Vienna
(1814-15); anche quando di Il a poco sorge l'astro di Rossini, il
suo primato resta intatto, in particolare nella cultura tedesca.
Nella carriera di Beethoven, malgrado l'autonomia del suo corso,
un posto determinante spetta ancora all'istituto della protezione:
alla sua indipendenza economica contribuiscono in buona parte,
fra altri, il principe Carl van Lichnowsky, già allievo di Mozart,
amico fedelissimo presso il quale Beethoven dimora a lungo, i conti
Zmeskall, Gleichenstein e Razumovskij, l'arciduca Rodolfo, fra-
tello dell'imperatore Leopoldo II, i prìncipi Franz Joseph Lobko-
witz e Ferdinand Kinsky; gli ultimi tre, all'inizio del 1809, garan-
tiscono al compositore una rendita annua di 4 000 fiorini alla sola
condizione che resti a Vienna, a scrivere la musica che più gli pare;
al musicista si era infatti aperta la possibilità (1808) di trasferirsi
a Kassel come maestro di cappella di Gerolamo Bonaparte, occa-
sione vicina al paradosso, con i francesi usciti dalla Rivoluzione
che offrono un vecchio posto di maestro di cappella e l' aristocra-
zia austriaca che a tutto provvede per mantenere Beethoven nello
stato del libero professionista. Il gesto dei tre patrizi dava la misura
dell'importanza assunta dal musicista nella coscienza del tempo:
mezzo secolo prima Klopstock era stato ospitato e remunerato a
Copenaghen da Federico V di Danimarca perché potesse attendere
in pace alla Messiade, ma nella musica un riconoscimento del genere
non aveva precedenti.
La grande spina della vita di Beethoven è la sordità, i cui primi
sintomi si manifestano già nel 1795; Beethoven è costretto poco
Per volta e lasciare la carriera di pianista, che a quel tempo si pra-
236 BEETHOVEN
(scrive ancora nel 1801) per esercitare l'arte «a solo beneficio dei
poveri». Troppi musicisti a Vienna, si campa meglio a Parigi (!)
è l'ignara risposta a chi gli chiede una raccomandazione; «qui a
Vienna mi sono ormai abituato a essere trattato nella maniera più
bassa e più vile», scrive con palese esagerazione al poeta Collin;
a lungo si lamenta delle condizioni della musica che peggiorano,
delle cattive orchestre, e guarda con ammirazione al Nord: quando
scrive a Breitkopf, a Lipsia, o a Bettina Brentano, a Berlino, parla
di quelle città come fari di cultura musicale, e ogni tanto dice di
volercisi trasferire senza farlo mai. Solo dopo il 1809, dopo la prova
di generosità dei suoi amici prlncipi, e più ancora dopo le canno-
nate e l'occupazione francese, si fa strada un po' di simpatia per
la vecchia città imperiale: nel 1812, con il tedesco Breitkopf, arriva
addirittura a dichiararsi un « povero austriaco che sgobba sulla
musica». Ma anche allora, la Vienna godereccia e pagana, scettica
e disincantata, non è per lui: Beethoven testimonia un nuovo ideale
di severità che matura nella solitudine; dopo tanta socievolezza,
fondamento del sonatismo più perfetto, egli afferma il valore del
1-edire in se ipsum, dell'artefice solitario che il Settecento aveva finito
con il mettere da parte.
Al carattere di Beethoven è connessa la sua sete di cultura. Pochi
altri musicisti, e pochissimi prima di lui, parlano tanto di libri e
letture: non si contano nei Quaderni e nelle lettere citazioni più
o meno esplicite di Schiller, Goethe, Kant, Rousseau, Plutarco,
allusioni alla storia greca e romana, alla filosofia indiana; il Don
Carlos di Schiller, il Faust di Goethe gli sono familiari e le cita-
zioni vengono alla penna con il distacco ironico dell'intellettuale
kome quando recita «il mio mondo è l'Universo» alludendo a un
trasloco); sul suo tavolo arrivano la versione di Tacito del Bahrdt,
le tragedie di Euripide tradotte dal Bothe; l'editore Breitkopf è
tempestato di richieste, sull'edizione completa di Wieland che tarda
ad uscire, sulle opere di Goethe e Schiller che Beethoven ordina
proclamandoli i suoi poeti preferiti, assieme « a Ossian e Omero
sebbene, disgraziatamente, l'ultimo possa leggerlo soltanto in tra-
duzione» (un dispiacere reale, con ogni probabilità); «ha letto il
Wi!helm Meister di Goethe e Shakespeare nella traduzione di Schle-
gel? [chiede a Therese Malfatti nel 1810]. In campagna si ha tanto
tempo libero». Ha pure uno stile letterario tutto suo: una simpa-
tia eccezionale per la jonglerie verbale e i doppi sensi (una vena
238 BEETHOVEN
32.2 • LINGUAGGIO
sulla scia dei grandi lavori corali di Haydn, è in linea con il gusto
viennese; nella musica da camera invece se ne allontana anche la
Sonata op. 4 7 per violino e pianoforte (pubblicata con dedica a
Kreutzer) che mostra di puntare a un orizzonte più attuale fin dal
titolo autografo di Sonata scritta in uno stilo [cancellato: brillante]
molto concertante quasi come d'un concerto; ma ormai anche nelle
vaste dimensioni sopraggiunge la formulazione definitiva del grande
divario che Beethoven intende affermare rispetto ai precedenti vien-
nesi, la Terza Sinfonia "Eroica"
Scritta per Napoleone Bonaparte ed elaborata in un arco di
tempo (1802-04) affatto inconsueto alle abitudini di quell'età,
l'opera è la sintesi dell'aspirazione ali' epos riscoperta dagli anni rivo-
luzionari, la testimonianza suprema di quella volontà di tenere
insieme musica e realtà già avvertibile, in forme rozze e immediate,
nella pièce à sauvetage, nel pezzo strumentale a programma, nella
marcia e nell'inno rivalutati a grandiosi concetti espressivi; la dedica
al Bonaparte, poi cassata in un accesso di sdegno plutarchiano, resta
indelebile come in un codice palinsesto, giacché anche Beethoven,
come Hegel, aveva visto «cavalcare lo Spirito del Mondo» nella
persona del generale còrso. La solennità storica con cui la Sinfonia
"Eroica" si presenta ali' ascoltatore di oggi non deve però far dimen-
ticare il carattere attuale percepito con qualche sgomento dai con-
temporanei. Il pericolo del luogo comune tematico non è schivato
ma ricercato di proposito: il primo tema, imparentato con una lunga
teoria di temi in mi bemolle, assestato sui comuni gradi della triade
e ripetuto innumeri volte nel suo statuario isolamento, lascia volu-
tamente scoperti i dati di partenza; cosl il tema del Finale, già impie-
gato da Beethoven in una contraddanza, nell'ultimo episodio delle
Creature di Prometeo, in una serie di variazioni pianistiche, si pre-
senta come dato convenzionale per far meglio misurare la maniera
grande e nuova del costruire.
Il valore della grandezza, della dilatazione dell'involucro formale
fino ai limiti di rottura, è la prima constatazione sicura di fronte
all"' Eroica", dalle dimensioni complessive, superate solo dalla
Nona Sinfonia, al volume dell'orchestra (per la prima volta l'uso
di tre corni), alle frequenti iterazioni di intere frasi o di singoli
accordi illuminati da sforzati di indicibile evidenza. La comunione
fra radice contemporanea e sua trasfigurazione epica è massima
nella Marcia funebre: davanti ai rulli dei timpani, agli appelli apo-
250 BEETHOVEN
Di fatto, nel 1805, Beethoven è più che mai preso dalle forme
vaste e lavora contemporaneamente a un nodo di opere che solo
per comodità di elenco si possono districare: nel biennio 1805-06
la conclusione dell'op. 57 si interseca con la nascita della Quinta
BEETHOVEN 251
con i tre Quartetti op. 59 legati al nome del conte Andrei Razu-
movskij che li richiede al compositore per i propri concerti dome-
stici. «In verità sto pensando di dedicarmi quasi interamente a que-
sto tipo di composizione», scrive a Breitkopf nell'estate 1806
quando il primo quartetto è già ultimato; tuttavia, nonostante tale
esclusivismo, anche i tre Quartetti op. 59 testimoniano del momento
sinfonico di Beethoven per la vastità di concezione con cui si inse-
diano nel genere da camera dopo cinque anni di intervallo, la misura
comoda delle ripetizioni e l'ampia curva delle modulazioni. La
forma-sonata è tutta amplificata, ma senza violenze o scatti d'im-
pazienza come nelle sonate per pianoforte, semplicemente lasciando
che le idee si moltiplichino per gemmazione una dall'altra: il primo
movimento del primo quartetto, il terzo nella stessa opera (dove
il piglio sinfonico assume il tono d'una Marcia funebre), il Molto
adagio del secondo quartetto lo indicano chiaramente; la strofi-
cità della forma-sonata è stemperata in una prosa musicale che diso-
rienta il pubblico del tempo anche più allenato alla pratica came-
ristica.
Il proponimento di dedicarsi solo al quartetto è tuttavia distratto
dal getto sinfonico ancora in piena attività: a ridosso della Quinta
nasce infatti la sua antitesi, la Sesta Sinfonia "Pastorale" condotta
a termine nel 1807-08. Scrivendo in capo al programma della prima
esecuzione «più espressione del sentimento che pittura» Beetho-
ven prende le distanze dalla voga romantica del pezzo caratteri-
stico e pittoresco, mitigando la carica descrittiva dei titoli appo-
sti ai movimenti («Piacevoli sentimenti che si destano nell'uomo
all'arrivo in campagna Scena al ruscello Allegra riunione di
campagnoli - Tuono e tempesta - Sentimenti di benevolenza e rin-
graziamento alla Divinità dopo la tempesta»). Gran parte del voca-
bolario agreste della Sesta è derivato dalle Stagioni di Haydn; ma
Beethoven opera una dilatazione metrica continua e si può dire che
l'allungamento è la cifra tecnica della composizione: incisi che sca-
valcano normalmente la battuta, note tenute, iterazioni di battute
con crescendo o diminuendo che accentuano l'immobilità e tagliano
alla radice il bozzetto descrittivo. Lungamente elaborata, la Pastoral-
Symphonie segna la fine di quel predominio cittadino che tanto ha
influito sul sonatismo di fine Settecento; il quadro della forma-
sonata si intiepidisce nel più affascinante degli spettacoli: per Bee-
thoven, che vive in una popolosa città agli inizi della rivoluzione
BEETHOVEN 255
Dopo aver posto con le ultime sonate per pianoforte i suoi nuovi
princìpi formali, Beethoven porta a compimento, fra il 1822 e il
1824, l'altra categoria compositiva, quella delle grandi opere, con
la Missa solemnis e la Nona Sinfonia. La causa esterna della Missa
è l'elezione dell'arciduca Rodolfo ad arcivescovo di Olmiitz; Bee-
thoven comincia a lavorarci nell'autunno 1818, contando di farla
eseguire il 9 marzo 1820, giorno del solenne insediamento. Ma il
massimo musicista dell'età moderna non è più un buon artigiano
e, come per le Variazioni sul valzer di Diabelli, sbaglia i calcoli e
264 BEETHOVEN
l'arcivescovo, non ha solo voluto dire scriverla per tutti, come era
parso alla platea del Porta Carinzia in delirio davanti alla Nona;
ma scriverla per pochi, cioè per i musicisti: ed è questo un dilemma
che Beethoven lascia in totale eredità al nuovo secolo.
più esercitate devono provare più volte certe pagine che a vederle
non presentano difficoltà alcuna. La maggior parte dei tecnici non
fa altro che suonare le note, ma quanto ne soffre la coerenza e la
scorrevolezza della melodia, anche se la condotta armonica è cor-
retta? La tastiera ha il vantaggio di consentire la velocità più di
altri strumenti; ma la velocità non deve essere usata male e dovrebbe
essere riservata ai passaggi che la richiedono senza affrettare il
tempo fin dall'inizio. A riprova che non sottovaluto la velocità né
disprezzo i suoi vantaggi, richiedo che i Probe-Stiicke in sol e fa
minore, e cosl pure le volate segnate in notine nella Fantasia in do
minore, siano tutti eseguiti il più velocemente ma anche il più chia-
ramente possibile. In alcuni paesi c'è una marcata tendenza a suo-
nare gli Adagi troppo veloci e gli Allegri troppo lenti; non c'è biso-
gno di far notare partitamente le contraddizioni di una tale errata
pratica; nello stesso tempo non si deve presumere che io assolva
chi con dita intorpidite non ci lascia altra scelta che quella di son-
necchiare, chi sotto il pretesto del cantabile cela la sua inettitu-
dine ad animare lo strumento: queste pigre esecuzioni meritano
una censura ben maggiore di quella rivolta a una superficiale agi-
lità; per lo meno i puri tecnici possono migliorare, il loro fuoco
può essere smorzato proprio con il controllo della velocità, men-
tre il rimedio opposto è poco o punto applicabile al tono ipocon-
driaco trasmessoci, per nostra disgrazia, da dita fiacche. In entrambi
i casi, ad ogni modo, si tratta di realizzazioni meccaniche: mentre
un'esecuzione capace di commuovere dipende da una mente pronta,
desiderosa di seguire regole ragionevoli per rivelare il contenuto
della composizione.
[... ]
[ ... ]
13. Un musicista non può commuovere gli altri se non è lui stesso
commosso. È indispensabile per lui sentire tutte le emozioni che
spera di far nascere nei suoi ascoltatori, perché in tal modo la rive-
lazione della sua sensibilità stimolerà negli altri una sensibilità simile.
Nei passaggi languidi e tristi diventerà languido e triste: ciò si dovrà
udire e vedere. Parimenti in passaggi appassionati e gioiosi dovrà
mettersi nello stato d'animo giusto; e così variando costantemente
le passioni, appena tacitata una, ne farà sorgere un'altra. Osser-
verà quest'obbligo soprattutto nei pezzi di natura espressiva, derivi
questa da lui stesso o dall'autore: nel secondo caso deve essere sicuro
di fare propria l'emozione provata dal compositore nello scrivere
il brano. Chi suona uno strumento a tastiera può dominare i senti-
menti dell'uditorio soprattutto con le improvvisazioni e con le fan-
tasie; solo chi per insensibilità siede come una statua di fronte allo
strumento potrà affermare che questo risultato si possa ottenere
senza il minimo contributo del gesto; smorfie sgradevoli sono ovvia-
mente inadatte e nocive, ma atteggiamenti appropriati aiutano
l'ascoltatore a capire le nostre intenzioni. Chi si oppone a questo
modo di vedere è spesso incapace, nonostante la sua bravura, di
rendere giustizia ai pezzi, del resto non brutti, che lui stesso ha
] EA N-] ACQUE S Ra USS EA U 283
2 • ]EAN-]ACQUES ROUSSEAU
3 • L'ORCHESTRA m MANNHEIM
4 • FRANCESCO ALGAROTTI
* Nell'Orchestra del teatro che è nella famosa villa del Cattaio, ci si vede un
organo.
292 LETTURE
6 • ELOGIO DI METASTASIO
Non si creda però il leggitore che con questo mio prolisso esten-
dermi sulla chiarezza, sulla precisione e sulla inarrivabile facilità
di verseggiare di Metastasio, io voglia far capire che il suo poetico
merito consista solamente in queste tre cose. No davvero che que-
sta non è l'intenzione mia. Metastasio ha anzi moltissimi altri pregi,
che lo costituiscono poeta per molt' altri capi, e poeta de' più grandi
che s'abbia il mondo. Metastasio è tanto dolce, tanto soavissimo,
e tanto galantissimo nello esprimere passioni amorose, che in molti
suoi drammi ti va a toccare ogni più rimota fibra del cuore e t' in-
tenerisce sino alle lagrime; e chi non è vandalo o turco bisogna
che pianga da volere a non volere nel leggere specialmente la sua
Clemenza di Tito e il suo Giuseppe riconosciuto. Metastasio è sublime
sublimissimo in moltissimi luoghi, e l'Italia non ha pezzo di ele-
vata poesia che superi alcune parlate di Cleonice, di Demetrio, di
Temistocle, di Tito, di Regolo e d'altri suoi eroi ed eroine; e più
sublimi ancora di quelle parlate sono molte intere scene e molti
cori ne' suoi oratori e nelle sue cantate. E queste cantate, voglio
dirlo cosl di passaggio, più ancora de' suoi oratori e de' suoi drammi,
lo palesano per poeta di cosl fertile immaginazione, che possiamo
ben farne degli sforzi, ma in questa parte, che vale a dire nello
inventare, egli non lascia ad alcuno la più leggiera ombra di spe-
ranza d'avvicinarsegli e d'agguagliarlo, non che di superarlo.
[... ]
[. .. ]
24. Dovendo dunque noi qui trattare della più interessante parte
della Musica moderna, quale è la condotta da tenersi nel tirare le
Melodìe, consiglieremo il Lettor nostro ad imparar in prima sopra
le altrui composizioni a ben conoscerne, e distinguerne le parti,
e i membri, di cui quì ne faremo l'enumerazione, e la più detta-
UNA DESCRIZIONE DELLA FORMA-SONATA 301
[. .. ]
27. Il Motivo poi non è altro che l'idea principale della Melo-
dla, il Soggetto, il Tema, dirò cosl, del discorso Musicale, e su di
cui tutta la Composizione aggirar si deve. È lecito al Preludio l'in-
cominciare in qualunque corda, ed anche fuor di Tono, ma il Motivo
deve infallibilmente incominciare colle corde costituenti il Tono,
cioè colla 1, o colla 3, o colla 5 di esso: deve poi esser ben rilevato
e sensibile, poiché essendo egli il tema del discorso, se non vien
bene inteso, neppur s'intenderà il consecutivo discorso: si fa sem-
pre terminare il Motivo con una cadenza o nel Tono principale,
o alla 5, o alla 4 di esso. Ne' Duetti, Terzetti, e Quartetti sl vocali,
che istromentali si fa spesso replicare due volte questo periodo in
diverse parti: il Motivo nel nostro esempio estendesi dalla battuta
1 fino alla 9. È dunque il Motivo un membro essenzialissimo in
ogni Melodla. È proprio de' principianti il lambiccarsi il cervello
302 LETTURE
28. Chiamo secondo Motivo ciò che nella Fuga dicesi Controsog-
getto, vale a dire un pensiere, che o dedotto dal primo, ovvero inte-
ramente ideale, ma bene col primo collegato succeda immediata-
mente al periodo del motivo, e che serve talvolta anche per condurre
fuor di Tono andando a terminare alla Quinta del Tono, o alla Terza
minore ne' Toni di Terza minore. Per lo più, se il Motivo ha termi-
nato il suo periodo alla Quinta del Tono, in questo stesso Tono
comincierà il secondo Motivo; ma se il motivo ha fatto Cadenza nel
Tono principale, allora il secondo motivo comincierà in esso Tono,
conducendosi poi, come si è detto, alla Quinta, o alla Quarta ec.
Questo periodo non si fa che nei pezzi molto lunghi, ne' brevi si tra-
lascia, onde non è essenziale. Nell'esempio citato (Tav. VII. es. I.)
il secondo motivo trovasi strettamente unito alla battuta 10. al
seguente periodo, che serve per uscir di Tono, ed andare alla Quinta,
che è per lo più la prima modulazione, che si fa sentire.
[... ]
[... ]
Durante la composizione del Ratto dal serraglio (Die Ent/iihrung aus dem
Serail, presentato al Burgtheater di Vienna il 16 luglio 1782), Mozart
(1756-1791) scrive due lettere al padre, in data 26 settembre e 13 ottobre
1781, in cui, sia pure in modo episodico e colloquiale, delinea la sua "poe-
tica" di musicista teatrale. Emergono con chiarezza, oltre alla gioia febbrile
con cui Mozart lavora al Ratto, l'autonomia di intervento sul libretto da parte
del musicista, la preminenza della musica sulla poesia (in antitesi a Gluck
e Calzabigi) e la pratica mozartiana di scrivere le parti dei personaggi avendo
in mente voci fisiche precise; il rifiuto di ogni posa intellettuale è poi evi-
dente nella conclusione della seconda lettera riportata. (Da: W. A. MOZART,
Epistolario, a cura di A. ALBERTINI, Torino 1927, pp. 285-290).
sia già alla fine bisogna portare l'Allegro assai ad altro ritmo e ren-
der migliore l'effetto. Poi una persona accesa da una collera cosl
viva trapassa ordine, misura e mira; non si riconosce più e cosl non
bisogna riconoscere nemmeno la musica. Ma poiché le passioni
anche violente non devono mai arrivare fino al disgusto, così pure
la musica, anche nel momento più terribile, non deve mai offen-
dere l'orecchio, ma sempre far godere e rimanere sempre musica;
per questo non ho mai scelto un tono estraneo al FA (il tono del-
1' Aria), ma un tono amico; non il vicino RE minore, sibbene il più
lontano LA minore. Ora, l'Aria di Belmonte in LA maggiore: «O
che angoscia, che furore», lei sa com'è espressa; i violini in ottava
segnano anche il batter del cuore. Questa è l'Aria favorita da tutti
quelli che l'hanno sentita, e anche da me, ed è scritta per la voce
di Adamberger. Nel crescendo si vede il tremore, il vacillare; si
vede l'affanno; ma si sentono anche il sussurro e il sospiro, espressi
dai primi violini in sordina e da un flauto all'unissono.
Il coro dei giannizzeri è tutto ciò che si può desiderare di meglio,
breve e allegro e scritto proprio per i viennesi. L'Aria di Costanza
l'ho un pochino sacrificata alla velocità della gola di Mademoiselle
Cavalieri "Abbandono fu il mio destin crudele, ed ora l'occhio nuota
nel pianto", ho cercato di esprimerlo come lo può permettere un'Aria
italiana di bravura. Il "bui" l'ho cambiato in "presto"; dunque:
"Come presto scomparve la gioia", ecc. Non so che cosa penseranno
i nostri poeti tedeschi; se non capiscono il teatro riguardo all'opera
almeno non devono far parlare gl'individui come fossero maiali.
Ora il terzetto, cioè il finale del primo atto. Pedrillo ha presen-
tato il suo signore come architetto perché abbia occasione di tro-
varsi insieme con Costanza in giardino. Il Pascià l'ha preso ai suoi
servizi. Osmin custode, non sa nulla; è un villano e arcinemico di
tutti gli stranieri; impertinente e non vuol lasciarli entrare. L'in-
troduzione è molto breve e perché il testo me ne ha dato l' occa-
sione, l'ho scritta bene per tre voci; poi comincia però il tono mag-
giore pianissimo, che deve andare molto lesto, e il finale farà molto
chiasso, ed è tutto ciò che ci vuole per la chiusa d'un primo atto;
più c'è rumore e meglio è; più è breve, e meglio è, perché la gente
non si raffreddi per l'applauso. L'Ouverture è cortissima, forte e
piano si alternano sempre; dove è il forte entra sempre la musica
turca, modula continuamente ed io credo che non si potrà dormire
anche se non si avesse dormito una notte intera.
WoLFGANG AMADEUS MOZART 309
Ora sono sui carboni accesi. Da tre settimane sono finiti il primo
Atto, un'Aria del secondo ed il duetto dei bevitori, che è compo-
sto solo della mia musica militare turca; però non posso far di più,
perché ora tutta la storia è abbreviata, e veramente a mia richie-
sta. Al principio del terzo atto c'è un charmant Quintett o piutto-
sto un finale, che però preferirei mettere alla fine del secondo atto.
Ma per riuscirvi bisognerebbe fare un gran cambiamento, anzi
creare un nuovo Intrigue e Stephanie ora ha il daffare fino alla gola.
[... ]
[... ]
[ ... ]
[... ]
[ ... ]
1-3 • Per l'inquadramento generale: E. Bi.icKEN, Die Musik des Rokokos und
der Klassik, Athenaion, Potsdam 1927; i capp. 12-15 di P. H. LANG, Music
in Western Civilization, New York 1941; R. G. PAULY, Music in the Classic
Period, Englewood Cliffs, New Jersey 1973; il voi. VII, The Age o/ Enlight-
enment, 1745-1790, di The New Oxford History o/ Music, Oxford University
Press, London 1973 (trad. it. L'età dell'illuminismo (1745-1790), Feltrinelli,
Milano 1976): in merito a questo volume, al quale ci si può rifare per l'am-
pia bibliografia, sono da vedere le recensioni di M. MILA in « Nuova Rivista
Musicale Italiana», VIII, 2, 1974, pp. 300-302, e di W. S. NEWMAN in «Jour-
nal of the American Musicological Society», XXVIII, 2, 1975, pp. 384-395.
Per la storia della cultura: R. WELLEK, A History o/ Modem Criticism, Yale
University Press, 1955, voi. I (trad. it. Storia della critica moderna, II Mulino,
Bologna 1959).
In merito allo stile galante i numerosi studi precedenti possono essere sosti-
tuiti da D. A. SHELDON, The Galant Style Revisited and Re-evaluated, in «Acta
Musicologica», XLVII, 2, 1975, pp. 240-270. Per la/orma sonata, il suo svi-
luppo e la sua fortuna, è fondamentale W. S. NEWMAN, The Sonata in the
Classic Era, The University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1963; per
altri aspetti particolari sono importanti: L. G. RATNER, Harmonic Aspects
of Classic Form, in «Journal of the American Musicological Society», II, 3,
1949, pp. 159-168; dello stesso, Eighteenth-Century Theories o/ Musical Period
Structure, in «The Musical Quarterly», XLII, 4, 1956, pp. 439-454; W. MEL-
LERS, The Sonata Principle /rom c. 1750, Schoken Books, London 1962; G.
LAZAREVICH, The Neapolitan Intermezzo and its Influence on the Symphonic
Idiom, in «The Musical Quarterly», LVII, 2, 1971, pp. 249-313. Per Rous-
seau e la musica Io studio basilare resta ancora quello di J. TIERSOT, ].-]. R.,
un maitre de la musique, Paris 1912.
22-23 • Per lo Sturm und Drang: L. MITTNER, Storia della letteratura tedesca.
Dal pietismo al romanticismo (1700-1820), parte III, Einaudi, Torino 1964;
R. PASCAL, The German S.u.D., Manchester, 1953 (trad. it. La poetica dello
S.u.D., Milano 1957); G. BAIONI, Classicismo e Rivoluzione. Goethe e la Rivo-
luzione francese, Napoli 1969.
Per la "classicità viennese" e la sua connessione con la forma-sonata i con-
tributi più recenti sono: R. H. RowEN, Some 18th-Century Classi/ications o/
Musical Style, in «The Musical Quarterly», XXXIII, 1, 1947, pp. 90-101;
TH. G. GEORGIADES, Zur Musiksprache der Wiener Klassiker, in «Mozart-
Jahrbuch», 1951 (Salzburg 1953), pp. 50-59; L. FINSCHER, Zum Begriff der
Klassik in der Musik, in «Deutsches Jahrbuch der Musikwissenschaft», XI,
1966 (Leipzig 1967), pp. 9-34; J. P. LARSEN, Some Obseroations on the Deve-
lopment and Characteristics o/ Vienna Classica/ Instrumental Music, in « Studia
Musicologica», IX, 1967, pp. 115-139; F. RrrzEL, Die Entwicklung der "Sona-
ten Form" im musiktheoretischen Schri/tum des 18. und 19. Jahrhunderts, Wie-
sbaden 1968; H. C. RoBBINS LANDON, Essays on the Viennese Classica/ Style,
Barrie and Rockliff, London 1970; CH. RosEN, The Classica/ Style. Haydn,
Mozart, Beethoven, The Viking Press, London 1971 (trad. it. Lo Stile Clas-
sico, Feltrinelli, Milano 1979); H. H. EGGEBRECHT, Versuch uberdie Wiener
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ABEL Christian Ferdinand, 42 35-6, 40, 43-4, 66, 114, 116,
ABSBURGO-LORENA Ferdinando Carlo 130, 133, 140, 147-8, 157, 161,
d', 150 165, 188, 195, 219, 222, 224,
ADLGASSER Anton Cajetan, 149, 160 229, 234, 238, 242-4
ALBERTI Domenico, 19, 24 BACH Johann Christian, 8, 13, 25,
ALBRECHTSBERGER Johann Georg, 30, 35, 41-4, 70, 76, 88, 115,
138, 222, 228, 234, 246 147, 150, 152-3, 159-62, 168,
ALEMBERT Jean-Baptiste Le Rond 172
d', 3, 8, 64, 77, 86 BACH Johann Christoph Friedrich,
ALESSANDRO I RoMANOV, zar di 25, 30, 107, 161
Russia, 210, 272 BAcHJohann Sebastian, 6, 8, 11, 14,
ALFIERI Vittorio, 65, 189, 271 17,28,31,37,41-4, 103,106,
ALGAROTTI Francesco, 62, 64-5, 73, 116,121,127, 147-9, 153, 164-5,
76, 84, 91 167, 170, 182, 187-8, 208, 222,
ALIGHIERI Dante, 198 233, 238, 242, 245, 258, 273-4
AMBROS August Wilhelm, 238 BACH Maria Barbara, 25
ANDRÉ Johann, 114 BACH Wilhelm Friedemann, 25-6,
ANFOSSI Pasquale, 93, 103, 105,
165
161
BAGGE Charles-Ernest, barone di,
ANGIOLINI Gasparo, 62, 78-9
140, 183
ANSEAUME Louis, 100
BAHRDT, 237
APULEIO Lucio, 61
BAILLOT Pierre-Marie-François ae
ARCHIMEDE, 127
Sales, 225-7
ARCO conte, 154
ARISTOTELE, 111 BAINI Giuseppe Giacobbe
ARNAUD François-Thomas de Baldassarre, 274
Baculard d', 87 BALSAMO Giuseppe, v. CAGLIOSTRO
ARNE Thomas Augustine, 42, 101, Alessandro, conte di
106 BALZAC Honoré de, 270
ARNIM Ludwig Achim von, 197 BAMBINI Eustachio, 51-2
ARNIM BRENTANO Bettina von, v. BARRA Joseph, 192
BRENTANO Bettina von BATTEUX Charles, 68
ARNOLD Samuel, 106 BAUER Hofrat, 185
ARTARIA, editori austriaci, 125, 143, BEATO ANGELICO fra' Giovanni da
155, 185, 235, 268 Fiesole, detto, 198
ARTEAGA Esteban de, 63, 68 BEAUMARCHAIS Pierre-Augustin
AuBER Daniel-François-Esprit, 208 Caron de, 85, 90, 95-6, 157,
AusTEN Jane, 269 163-4, 168, 171, 202
AvISON Charles, 10, 12, 42 BEAUVARLET-CHARPENTIER J acques-
Marie, 194
BACH Anna Magdalena Wilcke, 25 BECK Franz lgnaz, 39, 114, 139,
BACH Cari Philipp Emanuel, 5, 202
336 INDICE DEI NOMI
DIDEROT Denis, 3, 8, 12, 26, 49, FAVART Charles-Simon, 52, 89, 100,
51, 64, 77, 79, 84, 86, 203 160, 191
DIONIGI di Alicarnasso, 66 FEDERICO II di HoHENZOLLERN,
DITTERSDORF Karl Ditters von, 88, detto il Grande, re di Prussia, 5,
102, 103, 125, 138-9, 144, 157, 26, 29, 40, 64-5, 72, 214
165, 201, 242-3, 245 FEDERICO V di 0LDENBURG, re di
DoLCI Carlo, 198 Danimarca e di Norvegia, 235
DoNIZETTI Gaetano, 197, 216-7, FEDERICO GUGLIELMO II di
274 HoHENZOLLERN, re di Prussia,
DOSTOEVSKIJ Fedor Michajlovic, 270 125, 143, 156, 181, 246
DovIGNY, 89 FEDERICO GUGLIELMO III di
DRAGHI Antonio, 158 HoHENZOLLERN, re di Prussia,
DRAGONETTI Domenico Carlo Maria, 213
230 FELICI Alessandro, 204
Dueos Jean-Baptiste, 66 FELICI Bartolomeo, 204
DuMOURIEZ Charles-François, 189 FENAROLI Fedele, 200, 217
DUNI Egidio Romualdo, 100, 253 FERDINANDO IV di BORBONE, re di
DURANTE Francesco, 54, 100 Napoli, 95, 125-6
DURAZZO Giacomo, 62, 78-9, 84 FERRANDIERE Fernando, 146
Du~EK Jan Ladislav, 126, 223-4, FÉTIS François-Joseph, 211
228,231,242,247,256 F1CHTE Johann Gott!ieb, 189
Du T1LLOT, v. TILLOT Guillaume- FIDIA, 57
Léon du
FIELD John, 225
DvoiAK Antonin, 174
FILIPPO di BORBONE, duca di Parma,
4, 73
EBERLIN Johann Ernst, 149, 222
FILs Johann Anton, 38-9
EcKARD Johann Gottfried, 32, 147
FIORAVANTI Valentino, 200, 217
EDELMANN Johann Friedrich, 140
FISCHIETTI Domenico, 54-5
ENTIERRO, 34
ÉRARD fam., 185, 211, 231 FLORIAN Jean-Pierre Claris de, 225
ERNESTI Johann August, 103 FoNT, famiglia di musicisti spagnoli,
ERSKINE Thomas, 42 143
ERTMANN Catharina Dorothea von, FoNTENELLE Bernard Le Bovier de,
229 74
EsTERHAZY fam., 181 FoRKEL Johann Nikolaus, 157, 188
EsTERHAZY DI GALANTHA Maria FoRSTER William, 125
Josepha Hermenegild, 135 FoscoLO Ugo, 271
EsTERHAZY DI GALANTHA Nicolaus, FouQuÉ Friedrich Heinrich Karl de
detto il Magnifico, 124-5 La Motte, 257
EsTERHAZY DI GALANTHA Nicolaus FRAMERY Nicolas-Étienne, 87, 89
Il, 127, 135, 255 FRANCESCO I d' ABSBURGO-LORENA,
EsTERHAZY DI GALANTHA Paul imperatore d'Austria, 197, 259
Anton I, 124, 128 FRANKLIN Benjamin, 87, 231
EsTERHAZY DI GALANTHA Paul FRIEDRICH Caspar David, 205
Anton Il, 126 FRUGONI Carlo Innocenzo, 73-4
EUGENIO di SAVOIA-SOISSONS, 78 Fi.iRNBERG Karl Joseph von, 121
EURIPIDE, 237 Fux Johann Joseph, 38, 40, 104-5,
ExIMENO Antonio, 187 116, 123, 128, 138, 222, 246
INDICE DEI NOMI 339