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Premessa

I quiz di biologia rappresentano una frazione determinante del test di am-


missione, ed il loro superamento costituisce una parte importante della prova.

Ogni argomento di teoria è stato corredato da numerosi testi di quiz, presi dalle
prove di ammissione degli anni precedenti, i quali sono una componente essen-
ziale nell’adeguata comprensione degli argomenti svolti nella parte teorica, della
quale costituiscono sia un chiarimento, che un approfondimento ed un’integra-
zione.

Per ovvie ragioni di sintesi e di praticità la parte teorica in questione, che riguar-
da argomenti vari ed estesi, è stata realizzata in modo da essere il meno rigorosa
ed il più pragmatica possibile, in maniera quindi da presentare quanto necessa-
rio e sufficiente, e solo quanto necessario e sufficiente, per affrontare in modo a-
deguato i quiz d’ammissione.
Principi base della biologia I viventi I cicli della materia Cenni di ecologia
100. La biologia è una scienza naturale che si occupa della della vita e degli esseri viventi, dei qua-
li studia la struttura, le funzioni, la crescita, la genesi, l’evoluzione, la distribuzione e la tassonomia.
Si tratta di una materia vastissima costituita da tutta una serie di argomenti e discipline. Tra gli ar-
gomenti più importanti sono compresi cinque principi unificatori che possono essere considerati gli
assiomi della biologia moderna:
1) le cellule sono le unità di base della vita;
2) le nuove specie sono una conseguenza dell’evoluzione;
3) i geni sono l’unità di base dell’ereditarietà;
4) gli organismi sono in grado di mantenere costanti le caratteristiche del proprio ambiente
interno, omeostasi;
5) gli organismi viventi consumano e trasformano energia.
Le varie branche della biologia sono classificabili in funzione del livello a cui studiano gli organi-
smi e dei metodi di studio che esse impiegano:
la biochimica si occupa della chimica di base della vita;
la biologia molecolare studia le complesse interazioni tra le varie classi di biomolecole;
la biologia cellulare studia la cellula;
la fisiologia studia le funzioni chimiche e fisiche dei tessuti, degli organi e dei sistemi di organi di
un organismo e
l’ecologia studia come i vari organismi interagiscono e si associano con il loro ambiente.
101. A livello chimico i viventi sono riconoscibili per tutta una serie di caratteristiche.
Le loro cellule sono costituite da un numero ridotto di elementi, sei dei quali (C, H, N, O, P, S)
rendono conto del 99% della sua massa. Esse contengono una serie ridotta, ma peculiare, di piccole
molecole a base di carbonio che sono sostanzialmente le stesse in tutte le specie.
Si possono suddividere in zuccheri, acidi grassi, amminoacidi e nucleotidi.
Gli zuccheri costituiscono la fonte primaria di energia chimica per la cellula, e possono essere in-
corporati in polisaccaridi come riserve energetiche.
Anche gli acidi grassi hanno un ruolo importante come riserve energetiche, ma la loro funzione
essenziale è la formazione delle membrane cellulari.
I polimeri degli amminoacidi costituiscono molecole diverse e versatili note come proteine.
I nucleotidi hanno un ruolo importante nel trasferimento di energia, nel funzionamento degli en-
zimi, coenzimi, e sono le subunità costitutive delle macromolecole che trasportano l’informazione
genetica, DNA ed RNA.
Le macromolecole vengono sintetizzate come polimeri di subunità attraverso ripetute reazioni di
condensazione. La loro notevole diversificazione dipende dalla sequenza delle subunità che le ca-
ratterizza. Tra le diverse regioni di una macromolecola si formano legami deboli non covalenti che
la fanno ripiegare su sé stessa in modo che assuma una sua propria forma tridimensionale come, in
particolare, si osserva per le proteine.
102. Gli elementi costitutivi dei viventi derivano ovviamente dall’ambiente che li circonda ed esi-
stono tutta una serie di equilibri e cicli materiali tra i viventi e l’ambiente stesso.
Il ciclo dell’ossigeno consiste nella serie di reazioni tramite le quali l’ossigeno atmosferico viene u-
tilizzato e prodotto. Gli esseri viventi ottengono la maggior parte dell’energia necessaria ai loro pro-
cessi vitali da reazioni di ossidazione in cui l’agente ossidante è l’ossigeno atmosferico.
Anche i processi di ossidazione non biologici (combustioni) consumano una notevole quantità di
ossigeno atmosferico.
Le piante verdi, mediante la fotosintesi clorofilliana, sono in grado di liberare l’ossigeno dell’acqua,
reintegrando in parte quello consumato nelle ossidazioni biologiche e non, e consumando l’anidride
carbonica prodotta nei processi di combustione. Schematicamente :
Alimenti glucidi
O2 legno
e glucosio petrolio
fotosintesi carbone

energia solare
combustioni
CO2, H2O biologiche e non

Il ciclo dell’azoto consiste in quella serie di reazioni chimiche che trasformano l’azoto atmosferico
in composti azotati e viceversa.
L’azoto è un componente essenziale di tutta una serie di molecole indispensabili per la vita degli or-
ganismi superiori (amminoacidi, proteine, acidi nucleici, vitamine, ormoni…), i quali, però, non so-
no in grado di ricavarlo direttamente dall’atmosfera, cosa che è possibile solo a certi tipi di alghe, di
funghi e di batteri.
L’azoto dell’atmosfera, per effetto delle scariche elettriche che si verificano nel corso dei temporali,
reagisce con l’ossigeno per dare ossidi di azoto che, con le precipitazioni atmosferiche, arrivano sul-
la superficie terrestre sotto forma di acido nitroso e nitrico ( HNO2 , HNO3) i quali reagiscono per
dare nitrati e nitriti utilizzabili dai vegetali, e solo dai vegetali, per la sintesi di amminoacidi e, quin-
di, di proteine.
La quantità di azoto coinvolta in questo processo è, però, del tutto trascurabile rispetto a quella che,
per azione delle alghe azzurre e verdi e dei batteri nitrificanti, viene trasformata dapprima in am-
moniaca e quindi in nitriti e nitrati che, disciolti nel terreno, vengono assorbiti dalle radici delle pi-
ante, le quali dopo averli nuovamente ridotti ad ammoniaca, utilizzano quest’ultima nella sintesi de-
gli amminoacidi.
Tutti i rifiuti animali e vegetali, per decomposizione danno ammoniaca, nitrati e nitriti che, in parte,
vengono riutilizzati dai vegetali ed in parte vengono ritrasformati in azoto elementare ad opera dei
batteri denitrificanti. Schematicamente:
fulmini e
combustioni
Industria

N2 proteine proteine concimi ossidi di


vegetali animali azotati azoto
decomposizione

Batteri denitrificanti Nitriti Precipitazioni


Nitrati atmosferiche
Batteri nitrificanti

Il ciclo dell’acqua: l’acqua esiste in natura allo stato solido,( ghiacciai, neve, grandine e brina), li-
quido,( mare, fiumi, laghi, acque sotterranee, acque biologiche negli esseri viventi) ed allo stato di
vapore (umidità nell’aria).
Per effetto della radiazione solare l’acqua liquida e solida passa allo stato di vapore e nell’atmosfera
(non oltre i 15000 metri) condensa per dare nubi dalle quali precipita al suolo sotto forma di
pioggia, neve o grandine.
Schematicamente:
Atmosfera
Nubi,umidità

Evaporazione Piogge, neve, grandine

Ghiacciai, laghi, fiumi, terreni umidi


Superficie terrestre

Il ciclo del carbonio riguarda soprattutto i processi che sottraggono e riimmettono anidride carbo-
nica nell’atmosfera.
Gli organismi autotrofi, grazie alla possibilità di realizzare la fotosintesi clorofilliana, sono in grado
di trasformare l’anidride carbonica presente nell’atmosfera in glucosio ed altre molecole indispensa-
bili per la realizzazione dei loro processi vitali.
Diversi molluschi e microorganismi possono invece fissare l’anidride carbonica sotto forma di car-
bonato di calcio (CaCO3) che entra a far parte integrante del loro esoscheletro.
Le sostanze sintetizzate dagli autotrofi vengono poi ossidate dagli stessi, o dagli organismi eterotro-
fi, nel processo della respirazione cellulare, con produzione di energia e di anidride carbonica, la
quale ritorna nell’atmosfera.
I vari rifiuti organici di origine animale o vegetale vengono processati dai bioriduttori che li trasfor-
mano in prodotti chimicamente più semplici, tra i quali acqua ed anidride carbonica.
Gli incendi spontanei trasformano la cellulosa dei vegetali (legno) in acqua ed anidride carbonica.
I detriti organici accumulatisi fuori dal contatto diretto dell’aria possono fermentare, in lunghissimi
periodi di tempo, per dare idrocarburi gassosi ( metano), petrolio o carbon fossile, e tutti questi pro-
dotti combustibili possono essere bruciati con produzione di CO2 . Schematicamente:

H2O fotosintesi glucosio cellulosa

CO2 energia O2 alimenti legno

Combustioni petrolio, carbone


biologiche e non
carbonati

103. Gli organismi autotrofi sono quelli in grado di utilizzare l’energia solare, fotoautotrofi, o
quella chimica liberata da processi inorganici, chemioautotrofi, nella trasformazione di molecole i-
norganiche a basso contenuto di energia in prodotti organici.
I fotoautotrofi, detti anche produttori, tramite la fotosintesi clorofilliana, convertono anidride car-
bonica ed acqua in zuccheri, ed altre molecole organiche necessarie sia per il loro accrescimento
che per fornire loro l’energia necessaria a tutte le loro funzioni vitali.
Gli organismi eterotrofi, o consumatori, ricavano invece le sostanze organiche cibandosi dei pro-
duttori, erbivori, o di altri consumatori, carnivori. Esistono quindi tutta una serie di catene alimen-
tari, che sarebbe più corretto immaginare come reti alimentari, in cui ogni organismo ne preda un
altro e, con poche eccezioni, viene predato da un altro ancora.
Alla morte di produttori e consumatori le loro carcasse vengono aggredite da tutta una serie di altri
organismi, bioriduttori, che trasformano le loro sostanze organiche, ricavandone energia, in mole-
cole inorganiche quali, tra l’altro, anidride carbonica ed acqua.
Quindi, in sintesi, l’energia solare viene convertita in energia chimica dai produttori, e tale ener-
gia, a causa dei processi catabolici, sia dei produttori stessi, che dei consumatori e dei bioriduttori,
viene degradata a calore e molecole inorganiche, di modo che il ciclo materiale è in grado di rico-
minciare.
. Molecole organiche
Energia solare Calore

fotosintesi

Processi catabolici nei vari organismi

Molecole inorganiche Molecole inorganiche


Contenuto di energia
104. Produttori, consumatori, bioriduttori ed ambiente (ecosistema) sono in equilibrio tra di loro, e
tale equilibrio è soggetto a modificazioni quando varia la presenza di uno dei componenti.
Ad esempio se, semplificando notevolmente, consideriamo un ecosistema in equilibrio in cui sia
presente un solo tipo di ognuno dei suoi componenti (un tipo di produttore, uno di consumatore di
prima specie, erbivoro, e uno di consumatore di seconda specie, carnivoro), immaginando che di-
minuisca la consistenza numerica dei carnivori, ciò avrà un effetto positivo sul numero degli erbi-
vori, che cresceranno di numero; questo fatto però avrà due conseguenze: una diminuzione dei pro-
duttori, consumati in maggiore quantità, ed un aumento dei carnivori che, essendo aumentato il nu-
mero degli erbivori, avranno più facilità a predarli.
Analogamente in una coltura batterica i microrganismi non potranno aumentare di numero all’infi-
nito perchè limitati dalle disponibilità di cibo.
In pratica questi meccanismi a feed back riporteranno il numero dei carnivori e quello degli erbivo-
ri al livello di partenza.
Naturalmente, se la diminuzione nel numero dei carnivori fosse stata troppo consistente, ciò avreb-
be potuto causare un eccessivo aumento degli erbivori, con conseguente scomparsa dei produttori e
quindi anche degli erbivori stessi (e dei carnivori) con scomparsa della vita nell’ecosistema.
In un ecosistema, una nicchia ecologica indica la posizione di una specie al suo interno, vale a dire
il modo in cui essa vive (trova il nutrimento e si riproduce), il ruolo che gioca in quell’ ecosistema e
tutte le condizioni, chimicofisiche e biologiche, che ne consentono la sopravvivenza (non va con-
fuso con habitat che si riferisce puramente allo spazio fisico occupato dalla specie). L’insieme di
tutte le specie che vivono in un dato ecosistema costituisce invece una comunità.
Tra i viventi di una comunità possono poi esistere delle relazioni a caratetre particolare.
Si parla di simbiosi qualora due, o più, specie, simbionti, instaurano tra di loro un rapporto di col-
laborazione in cui ciascuna ricava un vantaggio. Sono, per esempio, relazioni di qusto tipo, quelle
tra il pesce pilota e lo squalo, tra i batteri azofissatori e talune piante, tra l’uomo e la sua flora inte-
stinale. La simbiosi può essere poi, obbligata, o meno, a seconda che le specie possano, o non poss-
ano, sopravvivere anche indipendentemente l’una dalle altre. Nel secondo caso si parla anche di
mutualismo o di commensalismo.
Si ha, invece, parassitismo, quando la relazione tra due specie è tale che una delle due trae van-
taggio dalla relazione coll’altra, e questa viene danneggiata. Casi di questo tipo sono quelli relativi
ai rapporti tra certe specie di funghi e specie vegetali o animali, compreso l’uomo, le relazioni tra
varie specie di insetti ematofagi, per esempio la pulce o la zanzara e varie specie di mammiferi e
quelle tra una serie di microrganismi, batteri o protozoi, e i metazoi che essi infestano.
Un caso piuttosto importante di parassitimo è quello tra i virus e vari tipi cellulari. In questo caso si
parla di parassitismo obbligato in quanto il parassita non è in grado di sopravvivere, o almeno di
riprodursi senza disporre delle risorse della cellula ospite.
La cellula: l’unità fondamentale Microscopia ottica ed elettronica. La membrana Il nucleo Il citoplasma Gli organelli
105. Le cellule sono le unità fondamentali della vita.
Secondo la teoria abiogenetica i viventi potevano derivare da materiale inanimato, Aristotele, co-
me, per esempio, le mosche dalla carne guasta. Il primo a dimostrare sperimentalmente la falsità di
questa ipotesi fu Redi, ai primi del ‘600: i viventi possono derivare solo da altri viventi. È stato ana-
logamente dimostrato che una cellula può originare solo da un’altra cellula, teoria biogenetica.
Le cellule dei tessuti animali e vegetali misurano generalmente da 5 a 20 µm di diametro, 1µm =
10 – 6 m, e si possono vedere al microscopio ottico, che riesce a mettere in evidenza alcuni dei loro
componenti interni alla membrana plasmatica (organelli).
Il microscopio elettronico permette di vedere gli organelli più piccoli, e persino le molecole, ma i
campioni richiedono una preparazione complicata e non si possono osservare in vivo.
Nella maggior parte delle cellule eucarioti animali e vegetali il nucleo è l’organello più cospicuo:
esso contiene l’informazione genetica dell’organismo, immagazzinata nella struttura molecolare
del DNA (il restante contenuto cellulare costituisce il citoplasma).
Il citoplasma delle cellule eucarioti animali e vegetali contiene una serie di altri organelli interni
delimitati, come il nucleo, da membrane e specializzati in funzioni chimiche particolari.
Tra questi organelli si trovano i mitocondri che realizzano l’ossidazione delle molecole nutritive e,
nei vegetali, i cloroplasti che realizzano la fotosintesi.
A parte il nucleo, e gli altri organelli membranosi, tutto il restante contenuto cellulare forma il cito-
sol, che consta di una miscela concentrata di molecole di varie dimensioni che svolgono molti pro-
cessi biochimici essenziali.
Un sistema di filamenti proteici, detto citoscheletro si estende in tutto il citosol. Esso controlla la
forma ed il movimento cellulare e rende possibile il trasporto di molecole ed organelli da un punto
all’altro del citoplasma.
Si ipotizza che tutte le cellule attuali derivino, per evoluzione, da un tipo di cellula ancestrale esisti-
to più di tre miliardi di anni or sono.
Tutte le cellule contengono DNA come depositario dell’informazione genetica e lo usano per gui-
dare la sintesi delle proteine; le subunità elementari, amminoacidi e nucleotidi, con cui vengono
sintetizzate le proteine ed il DNA, sono comuni a tutte le cellule.
I batteri, le più semplici cellule attualmente viventi, sono procarioti: contengono DNA ma man-
cano di nucleo, di sistemi di membrane interni, endocellulari, e di diversi organelli. Hanno di-
mensioni intorno a pochi 𝜇m e sono al limite della osservabilità con il microscopio ottico.
Le varie specie di batteri sono molto diversificate, quanto ad attività biochimiche, ed occupano una
gamma impressionante di habitat. Sono riconoscibili due categorie evolutive fondamentali: gli eu-
batteri e gli archebatteri.
Le cellule eucariotiche posseggono un nucleo. Probabilmente si sono evolute in più fasi, a partire
da cellule simili ai batteri. Si ipotizza che un passo importante sia stato l’acquisizione dei mitocon-
dri, derivanti da batteri inglobati e acclimatati come simbionti in cellule anaerobie di maggiori di-
mensioni (teoria endosinbiontica avvalorata dal fatto che mitocondri e cloroplasti hanno DNA).
Tra le cellule eucariotiche più complesse che si conoscono, vanno inclusi i microrganismi eucarioti-
ci unicellulari, che conducono vita libera e sono in grado di nuotare, accoppiarsi, procurarsi il cibo e
fagocitarlo.
Altri tipi di cellule eucariotiche hanno la capacità di cooperare, per costituire organismi pluricellula-
ri complessi come l’uomo, formati da migliaia di miliardi di cellule.
Le cellule di un organismo pluricellulare, pur contenendo lo stesso DNA, possono risultare diversis-
sime tra di loro. Ciò perchè esse utilizzano parti diverse della loro informazione genetica, regola-
zione dell’espressione genica, a seconda degli stimoli ambientali incontrati nel corso dello svilup-
po. Cellula eucariotica animale

nucleo
nucleolo poro nucleare

ribosomi

RER citoplasma

mitocondri
lisosomi
RE
senza ribosomi

apparato di Golgi
microtubulo
centrioli

Cellula eucariotica vegetale

parete cellulare
membrana cellulare
vescicole del Golgi
apparato di Golgi
ribosoma
RE cloroplasto
senza ribosomi
membrana
nucleolo del vacuolo
nucleo
RER
materiale
di riserva

grande vacuolo materiale


centrale di riserva

amiloplasto mitocondrio
granulo di amido

citoplasma
Nella cellula vegetale, oltre alla membrana, è presente una parete, costituita principalmente da cel-
lulosa e lignina, con funzione di sostegno meccanico. Un’altra peculirità è la presenza dei cloropla-
sti, in cui ha luogo la fotosintesi. Inoltre nella cellula vegetale i vacuoli sono di dimensioni maggio-
ri ed hanno funzioni diverse rispetto a quelli delle cellule animali: in queste intervengono nei pro-
cessi di esocitosi ed endocitosi, mentre nelle cellule vegetali hanno funzione di immagazzinamento
e di favorire, riempiendosi d’acqua, il turgore cellulare.

Cellula procariote

capsula
parete cellulare
membrana cellulare
citoplasma
ribosomi
plasmide
pili

flagello batterico
nucleoide (DNA circolare)

Anche i procarioti hanno un rivestimento più complesso delle cellule eucarioti animali (membra-
na, parete e capsula. Sono privi di tutta una serie di organelli quali i mitocondri, i cloroplasti, i
lisosomi ed i perossisomi (i quali ultimi negli eucarioti, grazie agli enzimi in essi contenuti, hanno
funzione digestiva). Nei batteri non sono presenti nemmeno il sistema di membrane del reticolo en-
doplasmatico liscio, RE, o rugoso, RER o dell’apparato di Golgi (a livello dei quali avvengono
importanti processi sintetici), e la membrana nucleare.
Diamo un quadro schematico, che potrà risultare utile anche nel seguito, delle principali differenze
strutturali tra cellule eucariotiche e cellule procariotiche:

Componente o caratteristica Cellula procariote Cellula eucariote

Membrana Presente Presente


Parete Presente Solo nelle cellule vegetali
Capsula Non sempre Assente
Flagelli Semplici Complessi
Pilum Presente Assente
Organuli Assenti Diversi
Nucleo Nucleoide privo di membrana Nucleo con membrana
Cromosomi Singolo Diversi
DNA 0.25 mm-3 mm da 4,6 mm
Proteine del DNA Nudo Istoni
Ribosomi Presenti Presenti
Mitocondri Assenti Presenti
RE e RER Assenti Presenti
Golgi Assente Presente
Cloroplasti Assenti Presenti
Vacuoli Assenti Presenti
Tubuli Assenti Presenti
Filamenti Assenti Presenti
Fuso mitotico Assente Presente
L’energia cellulare: respirazione e fermentazioni Il processo fotosintetico Il flusso dell’energia nell’ecosistema Proteine
Modalità di trasporto attraverso la membrana cellulare
106. Gli organismi viventi esistono grazie ad un apporto continuo di energia.
Parte di essa viene impiegata per svolgere funzioni essenziali quali il mantenimento, la crescita e la
riproduzione: il resto è degradato a calore, che si disperde nell’ambiente.
Per la maggior parte degli esseri viventi la fonte primaria di energia è il sole.
Le piante ed i batteri fotosintetici, produttori, usano l’energia solare per produrre molecole or-
ganiche a partire dall’anidride carbonica e dall’acqua.
Gli animali si nutrono delle piante o di altri animali che le mangiano, consumatori.
Nella cellula avvengono molte centinaia di reazioni chimiche ciascuna catalizzata specificatamen-
te da un enzima.
Numerosissimi enzimi diversi lavorano in sequenza dando luogo a catene di reazioni, dette vie
metaboliche, ognuna delle quali svolge un ruolo particolare nella cellula.
Le reazioni cataboliche demoliscono le molecole nutrienti ed ossidandole liberano energia.
Le reazioni anaboliche sintetizzano le numerose molecole complesse di cui la cellula ha bisogno e
richiedono un apporto energetico.
Nelle cellule animali sia le subunità elementari delle molecole complesse che l’energia necessaria
alle reazioni di sintesi, anaboliche, provengono dal catabolismo.
Gli enzimi catalizzano le reazioni, legandosi a molecole di substrato specifiche, in modo da ab-
bassare l’energia di attivazione necessaria a rompere e a formare legami covalenti specifici.
Le uniche reazioni chimiche possibili sono quelle che fanno aumentare il disordine complessivo
dell’universo, che ne fanno cioè aumentare l’entropia.
La variazione di energia libera per una reazione, ∆G, misura tale disordine e, affinchè la reazio-
ne avvenga, deve essere ∆G < 0.
L’accoppiamento di processi energeticamente favoriti a processi energeticamenti sfavoriti, a dare
un processo globalmente favorito, fa sì che avvengano trasformazioni altrimenti impossibili.
Un piccolo gruppo di molecole attivate, e in particolare ATP, adenosin trifosfato, NADH, nicotin-
ammide adenin dinucleotide ridotto, e NADPH, nicotinammide adenin dinucleotide fosfato ridotto,
svolgono un ruolo fondamentale nei processi di accoppiamento citati: l’ATP trasporta gruppi fosfa-
to ad alta energia mentre NADH e NADPH trasportano elettroni ad alta energia.
Le molecole nutritive forniscono l’ossatura carboniosa per la formazione di molecole più grandi.
I legami covalenti di queste ultime si producono tipicamente in reazioni accoppiate a trasformazioni
energeticamente favorite, che avvengono a livello dei legami presenti in molecole attivate quali
l’ATP ed il NADPH.
Il glucosio ed altre molecole nutritive vengono demolite, attraverso un’ossidazione graduale con-
trollata, per fornire energia chimica sotto forma di ATP e NADH.
Si possono individuare tre stadi nella demolizione delle molecole nutritive:
la glicolisi che avviene nel citosol,
il ciclo dell’acido citrico (o di Krebs) che avviene nella matrice mitocondriale,
la fosforilazione ossidativa che ha luogo sulla membrana mitocondriale interna.
Le reazioni glicolitiche scindono il glucosio, zucchero a 6 atomi di carbonio, in due molecole di
piruvato, molecola a tre atomi, producendo quantità relativamente modeste di ATP e NADH.
In presenza di ossigeno, nei mitocondri il piruvato si trasforma in acetil coenzima A ed anidride
carbonica. In assenza di ossigeno il piruvato viene ridotto ad acido lattico, fermentazione lattica,
o, in taluni microrganismi, in alcool etilico, fermentazione alcolica: tale processo consente di rios-
sidare il NADH a NAD+, essenziale perchè la glicolisi possa procedere.
Il ciclo dell’acido citrico, Krebs, trasforma quindi il gruppo acetilico dell’acetilCoA in anidride
carbonica ed acqua producendo coenzimi ridotti, FADH2 e NADH e GTP, che viene convertito
in ATP: gran parte dell’energia di ossidazione liberata è immagazzinata sotto forma di elettroni
ad alta energia nelle molecole NADH e FADH2.
I grassi, o lipidi, sono l’altra fonte energetica basilare contenuta nel cibo.
Gli acidi grassi derivanti dai lipidi vengono trasportati dentro i mitocondri ed ossidati ad acetil-
CoA, 𝜷 ossidazione, che viene poi ulteriormente ossidato nel ciclo dell’acido citrico, esattamente
come quello derivante dal piruvato.
NADH e FADH2 trasferiscono i loro elettroni ad alta energia ad una catena di trasporto, situata
nella membrana interna del mitocondrio, che utilizza la loro energia per la sintesi di ATP.
In questo passaggio metabolico, fosforilazione ossidativa, viene immagazzinata gran parte dell’e-
nergia ricavabile dalla demolizione delle sostanze nutritizie, nutrienti.

Nutrienti contenenti energia Cataboliti privi di energia


Polisaccaridi CO2
Grassi Catabolismo H2O
Proteine NH3 (Urea)

ADP, Pi ATP
NAD+, NADH,
NADP+ NADPH
FAD FADH2

Macromolecole della cellula Precursori molecolari


Polisaccaridi Monosaccaridi
Lipidi Acidi grassi
Proteine
Anabolismo Amminoacidi
Acidi nucleici Basi azotate

107. La fotosintesi è un processo tramite il quale le piante, e gli organismi autotrofi in generale, fo-
totrofi, convertono energia luminosa in energia chimica da utilizzare in tutte le loro funzioni.
A partire da anidride carbonica ed acqua vengono sintetizzati zuccheri e rilasciato ossigeno.
Il processo inizia con l’assorbimento di energia luminosa, da parte di proteine, dette centri di reazio-
ne, che contengono clorofille, pigmenti verdi contenenti magnesio, Mg.
I pigmenti in questione assorbono alle due estremita dello spettro del visibile, componenti viola, blu
e soprattutto rossa della luce, e riflettono quindi il verde).
Nelle piante tali proteine sono contenute in organelli detti cloroplasti, che sono particolarmente ab-
bondanti nelle foglie verdi, mentre nei batteri fotosintetici si trovano nella membrana plasmatica.
Nei cloroplasti la clorofilla si trova in organelli laminari detti tilacoidi che sono organizzati in pile
dette grani:
Cloroplasto
. . . 1) membrana esterna
. 2) spazio intermembrana
.3 3) membrana interna
. 4) stroma (fluido acquoso)
. 5) lume del tilacoide
. 6) membrana del tilacoide
. 7) grano (pila di tilacoidi)
.8 8) tilacoide
. 9) amido
. 10) ribosoma
. 11) DNA
. 12) goccia lipidica

Nel corso di queste reazioni dipendenti dalla luce, fase luminosa, una parte dell’energia è utilizzata
per estrarre elettroni dall’acqua, che viene trasformata in ossigeno e ioni idrogeno.
Tali elettroni ad alta energia vengono impiegati per la riduzione di NADP+ a NADPH.
1
. 𝐻2 𝑂 + ℎ𝜈 → 2 𝑂2 + 2 𝐻 + + 2 𝒆− 𝑁𝐴𝐷𝑃+ + 𝐻 + + 2 𝒆− → 𝑁𝐴𝐷𝑃𝐻
Altra energia luminosa viene utilizzata per trasformare ADP in ATP.
Gli zuccheri vengono ottenuti grazie ad una serie di reazioni indipendenti dalla luce, fase oscura,
che, nel loro insieme, vengono dette ciclo di Calvin.
In queste reazioni l’anidride carbonica dell’atmosfera, grazie ad un enzima detto RuBisCO, è incor-
porata in composti organici come il ribulosio bisfosfato, RuBP, un pentoso che viene convertito in
un esoso.
L’esoso viene poi scisso in due triosi che, fosforilati e ridotti grazie all’ATP ed al NADPH ottenuti
nella fase alla luce, danno due molecole di gliceraldeide 3 fosfato, Glic 3P, ancora un trioso. Ogni 6
molecole di Glic 3P ottenute una è destinata alla sintesi di altri zuccheri, glucosio, Glu, e le altre 5
vengono riciclate a dare RuBP. Quindi a partire da sei molecole di RuBP cinque si riformano e le 6
molecole di CO2 danno glucosio. Schematicamente:
6 RuBP (5 C) + 6 CO2 −RuBisCO → 12 Glic 3P (3 C)
10 Glic 3P (3 C) → 6 RuBP (5 C)
2 Glic 3P (3 C) → Glu 6P (6 C)
La reazione riepilogativa della fotosintesi è 6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2.
108.Le cellule accantonano in particolari depositi le molecole nutritive.
Il glucosio viene immagazzinato sotto forma del suo polimero glicogeno (animali) e del suo poli-
mero amido (piante); sia le piante che gli animali accumulano risorse alimentari sotto forma di
grassi. Le scorte accumulate dalle piante sono un importante fonte di cibo per gli animali.
Le molecole ingerite come cibo non vengono utilizzate solo come fonte di energia, ma anche come
materia prima per la biosintesi.
Infatti molti intermedi della glicolisi e del ciclo dell’acido citrico fanno da punto di partenza per
le vie di sintesi che portano alle proteine, agli acidi nucleici e ad altre molecole specializzate della
cellula.
Le cellule svolgono contemporaneamente centinaia di reazioni diverse, ma soggette ad un perfetto
coordinamento, grazie al quale esse possono adattarsi e continuare a funzionare in un ventaglio
molto grande di condizioni esterne.
Polisaccaridi

Proteine Acidi nucleici Lipidi

Monosaccaridi

Glicerolo

Amminoacidi Nucleotidi Acidi grassi

Glucosio

Glicolisi Gliceraldeide 3-fosfato Gluconeogenesi

Piruvato

Acetil-CoA

Krebs CO2

NH3 NADH, FADH2 Fotosintesi

ADP Trasporto e – O2
.
Fosforilazione ossidativa Energia luminosa

ATP NAD +, FAD H2O

Processi catabolici
Processi anabolici
Produzione coenzimi ridotti

109. Le cellule viventi contengono un corredo estermamente diversificato di molecole proteiche,


ciascuna costituita da una catena lineare di amminoacidi uniti da legami covalenti.
Ogni tipo di proteina ha una sequenza amminoacidica unica che determina sia la sua forma tridi-
mensionale che la sua attività biologica, struttura primaria.
La struttura di una proteina ripiegata su sé stessa viene stabilizzata da interazioni non covalen-
ti tra parti diverse della catena polipeptidiche.
Legami ad idrogeno tra regioni contigue dell’ossatura polipeptidica possono dare origine a dispo-
sizioni regolari e ripetitive note come α elica e piano β, struttura secondaria.
La struttura tridimensionale complessiva delle proteine è stabilizzata soprattutto da interazioni idro-
fobiche e da legami a ponte disolfuro, struttura terziaria.
Più unità proteiche uguali o diverse si possono associare a dare oligomeri proteici stabilizzati da le-
gami deboli, in specie interazioni idrofobiche, struttura quaternaria.
La funzione biologica di una proteina dipende dalle proprietà chimiche di zone particolari della sua
superficie e dalle modalità di interazione con molecole specifiche dette ligandi.
Gli enzimi sono proteine che, dopo aver legato strettamente molecole specifiche dette substrati,
catalizzano in esse la formazione o la rottura di legami covalenti.
Al sito attivo di un enzima le catene amminoacidiche laterali della proteina avvolta su sé stessa sono
posizionate in modo tale da favorire la formazione di stati di transizione ad alta energia, abbassando
quindi l’energia di attivazione del processo, che i substrati devono assumere per poter reagire.
Quasi tutti gli enzimi sono proteine allosteriche che possono esistere in due conformazioni a diver-
sa attività catalitica: l’enzima può essere acceso o spento da ligandi che gli si uniscono ad un sito di
regolazione distinto, stabilizzando o meno la conformazione attiva o inattiva.
L’attività di quasi tutti gli enzimi cellulari è rigorosamente controllata.
Uno dei meccanismi più comuni di regolazione è quello a retroazione (feed back) nel quale un en-
zima, all’inizio di una via metabolica, viene inibito dal legame con uno dei prodotti finali della
via metabolica stessa.

A – enz. 1→ B – enz. 2→ C – enz. 3→ D – enz. 4 → E


In una cellula eucariotica tipica molte migliaia di proteine sono regolate da cicli di fosforilazione e
defosforilazione o da formazione e rottura di legame con il GTP, ad opera di un’apposita proteina
associata al GTP stesso.
Le proteine motrici idrolizzano ATP per produrre movimenti direzionali nella cellula.
110. La membrana cellulare, plasmalemma, consente alla cellula di creare barriere che le consen-
tono di confinare particolari molecole in comparti specifici.
Le membrane cellulari consistono in un doppio strato continuo di molecole lipidiche in cui sono
immerse le proteine. Il doppio strato lipidico costituisce la struttura di base di tutte le membrane
cellulari e svolge la funzione di barriera.
Le molecole lipidiche della membrana presentano sia regioni idrofiliche che regioni idrofobiche
(molecole anfipatiche). Poste in soluzioni acquose esse si associano spontaneamente in doppi strati
e formano comparti chiusi capaci di autosigillarsi se lacerati.
Esistono tre classi principali di molecole lipidiche di membrana: i fosfolipidi, gli steroli ed gli sfin-
golipidi.
Il doppio strato lipidico è fluido e le singole molecole lipidiche sono capaci di diffondere nel mono-
strato in cui si trovano mentre non si capovolgono spontaneamente per passare da un monostrato al-
l’altro. La fluidità aumenta al crescere del contenuto in acidi grassi insaturi e colesterolo.
I due lati del doppio strato presentano una composizione lipidica diversa in relazione alle diverse
funzioni espletate dalle due facce della membrana cellulare.
Le cellule modulano la fluidità della membrana modificandone la composizione lipidica.
Il doppio strato lipidico è impermeabile a tutti gli ioni ed alle grandi molecole polari ma permea-
bile alle molecole apolari piccole come l’ossigeno e l’anidride carbonica e anche a quelle polari
piccolissime come l’acqua.
Le proteine di membrana sono responsabili di quasi tutte le sue funzioni come per esempio il tra-
sporto di molecole idrosolubili non troppo grandi e ioni (proteine carriers) attraverso il doppio strato
lipidico. Le proteine transmembrana si estendono attraverso il doppio strato lipidico.
Altre proteine di membrana non si estendono attraverso il doppio strato lipidico ma sono attaccate a
uno o all’altro lato della membrana o perché si associano non covalentemente ad altre proteine di
membrana o perché formano legami covalenti con i lipidi.
Molte delle proteine e alcuni dei lipidi esposti alla superficie esterna della cellula portano attaccate
catene di zuccheri che contribuiscono a proteggere e lubrificare la superficie cellulare e sono attivi
nel riconoscimento tra cellule (glicocalice).
Quasi tutte le membrane cellulari sono attaccate a proteine che fanno da impalcatura di sostegno.
Ne è un esempio la rete intessuta da proteine fibrose che forma lo strato corticale proprio sotto la
membrana cellulare.

Spazio extracellulare catena oligosaccaridica

Fosfolipidi e sfingolipidi Colesterolo


Acido grasso saturo acido grasso insaturo
Regione polare

Regione
apolare

Regione polare
Proteina
Glicoproteina
Spazio intracellulare
.
. COOH
Lo strato lipidico delle membrane cellulari è impermeabilissimo a quasi tutte le molecole idroso-
lubili ed a tutti gli ioni. Il trasferimento di sostanze nutritive, metaboliti ed ioni attraverso la mem-
brana plasmatica e le membrane intracellulari è demandato alle proteine di trasporto della mem-
brana stessa. Le membrane cellulari contengono tutta una serie di proteine di trasporto ciascuna a-
dibita al trasferimento di un particolare tipo di soluto attraverso la membrana.
Le proteine di trasporto si possono distinguere in due categorie: le proteine vettrici (carriers) e le
proteine canale.
Per gradiente elettrochimico si intende la forza motrice netta che si esercita su uno ione a causa
del suo gradiente di concentrazione e del campo elettrico cui è esposto.
Nel trasporto passivo un soluto privo di carica si muove spontaneamente secondo il suo gradiente
di concentrazione, diffusione, ed un soluto carico (ione) si muove spontaneamente secondo il suo
gradiente elettrochimico.
Nel trasporto attivo un soluto privo di carica o uno ione vengono trasportati contro il loro gradien-
te di concentrazione o elettrochimico con un processo che, direttamente o meno, consuma energia.
Nei mammiferi gli ioni sono distribuiti nello spazio intracellulare ed extracellulare così come rap-
presentato nello schema seguente:

componente Concentrazione intracellulare (mM) Concentrazione extracellulare (mM)


+
Na 5 – 15 145
+
K 140 5
++
Mg 0,5 1–2
++
Ca 0,0001 1–2
+
7 ⋅10 4 ⋅ 10
–5 –5
H pH = 7,2 pH = 7,4
-
Cl 5 – 15 110
Anioni organici elevata nulla
Diffusione

Trasporto passivo

Diffusione facilitata

Trasporto attivo

Le proteine vettrici legano soluti specifici (ioni inorganici, piccole molecole organiche o entrambe
le cose) e li trasferiscono attraverso il doppio strato lipidico modificando la propria conformazione
in modo da esporre il sito di legame per il soluto prima da un lato della membrana e poi dall’altro.
Le proteine vettrici possono agire come pompe per trasportare un soluto contro il suo gradiente e-
lettrochimico utilizzando energia prodotta dall’idrolisi di ATP, dal flusso secondo gradiente di io-
ni Na+ o H+ o dalla luce.
La pompa Na+- K+ nella membrana plasmatica delle cellule animali è una ATPasi che trasporta at-
tivamente Na+ fuori dalla cellula e K+ dentro (ogni 3 ioni sodio portati fuori dalla cellula vengono
introdotti 2 ioni potassio), mantenendo un ripido gradiente di Na+ attraverso la membrana stessa.
Tale gradiente viene utilizzato per alimentare altri processi di trasporto attivo e per generare o tra-
smettere i segnali elettrici.
Le proteine canale formano pori acquosi nel doppio strato lipidico attraverso i quali possono dif-
fondere i soluti. Mentre il trasporto ad opera delle proteine vettrici può essere attivo o passivo quel-
lo attraverso le proteine canale è sempre passivo.

Proteina canale Proteina vettrice


Quasi tutte le proteine canale sono canali ionici selettivi che permettono agli ioni inorganici, di ca-
rica e dimensioni adatte di attraversare la membrana secondo il loro gradiente elettrochimico.
La maggior parte dei canali ionici è dotata di chiusura e si apre transitoriamente in risposta ad uno
stimolo specifico, come una variazione del potenziale di membrana, canali a controllo di potenzia-
le, o il legame con una molecola specifica, canali a controllo di ligando.
Va ricordato che le membrane cellulari hanno carattere di membrana semipermeabile e quindi,
mentre si lasciano attraversare più o meno liberamente dall’acqua, non si lasciano attraversare dai
soluti: di conseguenza una cellula che si trovi in un liquido extracellulare ipertonico tenderà a per-
dere acqua mentre in un liquido ipotonico si inturgidirà e potrà eventualmente andare incontro a lisi
(nelle cellule vegetali e nei batteri la parete previene questo effetto, mentre in taluni organismi uni-
cellulari l’acqua in eccesso viene pompata fuori dalla cellula attivamente, con spesa energetica, ad
opera di vacuoli a ciò preposti: il lisozima presente nella saliva lisando la parete uccide i batteri).
Gli acidi nucleici: struttura del DNA e duplicazione I tipi di RNA Codice genetico La sintesi delle proteine I virus La
crescita della cellula e il ciclo cellulare Riproduzione asessuata e sessuata La mitosi e la meiosi Aneuploidie
111. La vita si basa su informazioni genetiche immagazzinate in modo stabile e compatto.
L’informazione genetica è veicolata da molecole lunghissime di DNA e codificata in una sequenza
lineare dei nucleotidi: A, T, G e C.
Ogni molecola di DNA ha la forma di una doppia elica destrorsa composta da due catene comple-
mentari di nucleotidi tenute insieme da legami idrogeno che accoppiano la base G alla base C, 3
legami idrogeno, e la base A alla base T, 2 legami idrogeno.
Ogni filamento di DNA possiede una polarità chimica dovuta al legame tra zucchero e fosfato al-
ternati della sua ossatura. I due filamenti decorrono antiparalleli cioè in sensi opposti.
“ossatura “ zucchero - fosfato

basi azotate

legami a ponte di
. idrogeno
fosfato desossiribosio

Adenina Timina Guanina Citosina


Ognuno dei due filamenti di DNA può fare da stampo per la sintesi dell’altro. Quindi una doppia
elica di DNA reca lo stesso messaggio su entrambi i filamenti. A causa della complementarità delle
basi, in una doppia elica il numero di adenine deve essere uguale al numero di timine, ed il numero
di guanine al numero di citosine: [A] = [T], [G] = [C]; [A] + [T] ≠ [G] + [C] (Chargaff).
Una molecola di DNA si duplica per polimerizzazione di due nuovi filamenti complementari su o-
gnuno dei due vecchi filamenti della doppia elica. Con questo procedimento replicativo, in cui si
formano due molecole di DNA identiche dalla molecola parentale, vengono garantite la copiatura e
la trasmissione dell’informazione genetica dalla cellula madre alle cellule figlie e dai genitori alla
prole. Quando la molecola di DNA si duplica i suoi filamenti si aprono dando luogo a più forcelle
replicative a forma di Y. L’enzima DNA polimerasi, posizionato alla forcella, depone un filamento
complementare nuovo su ognuno di quelli parentali, per cui vengono sintetizzate due molecole a
doppia elica, ciascuna con un filamento vecchio ed uno nuovo.
La DNA polimerasi duplica il DNA con fedeltà considerevole facendo meno di un errore su 107 basi
che legge. Tanta precisione deriva dal fatto che l’enzima corregge i propri errori di polimerizzazio-
ne man mano che procede sul DNA (attività di autocorrezione).

filamenti stampo

forcella di replicazione
DNA polimerasi

DNA polimerasi

DNA ligasi
Frammenti di
. Okazaki

filamento ritardo
filamento guida

Poiché la DNA polimerasi sintetizza il nuovo polimero esclusivamente in una direzione, solo uno
dei filamenti alla forcella replicativa, il cosiddetto filamento guida, viene replicato continuativa-
mente. Sul filamento lento il DNA viene sintetizzato con un processo iterativo di avanti e indietro,
in cui si formano brevi frammenti di DNA, frammenti di Okazaki, poi uniti dalla DNA ligasi in
una catena continua.
La facoltà di autocorrezione della DNA polimerasi la rende incapace di dare inizio ad una catena di
DNA ex novo. La sintesi viene innescata da una RNA polimerasi, detta primasi, che sintetizza bre-
vi tratti di RNA, detti inneschi, che in seguito verranno eliminati e rimpiazzati con DNA.
Replicare il DNA richiede la cooperazione di molte proteine che formando una macchina multienzi-
matica posizionata alla forcella replicativa, catalizzano la sintesi del DNA.
Errori replicativi e reazioni chimiche che danneggiano i nucleotidi del DNA cambiano la se-
quenza della molecola. Se questi cambiamenti non venissero corretti efficientemente darebbero ori-
gine a mutazioni spesso deleterie per l’organismo. L’informazione genetica immagazzinata nella
sequenza del DNA si mantiene stabile perché tutta una serie di enzimi riparativi la esplora costan-
temente per correggere gli errori di replicazione e sostituire i nucleotidi danneggiati. Il DNA si ripa-
ra facilmente grazie al fatto che ogni filamento si può correggere in base a quello complementare.
112. In tutte le cellule viventi l’informazione genetica fluisce secondo l’ordine:
. DNA ⇒ RNA ⇒ proteine.
La conversione delle istruzioni genetiche del DNA in RNA e proteine viene chiamata espressione
genica.
Per esprimere, sotto forma di una proteina, l’informazione genica contenuta nel DNA, una sua se-
quenza nucleotidica, gene, viene trascritta in RNA.
La trascrizione è catalizzata dall’enzima RNA polimerasi.
Apposite sequenze nucleotidiche nella molecola del DNA segnalano alla RNA polimerasi dove co-
minciare o terminare la trascrizione, che avviene a livello di addensamenti del DNA che costituisco-
no il nucleolo.
L’RNA differisce dal DNA per diversi aspetti.
Contiene come zucchero il ribosio, anziché il desossiribosio, e la base uracile (U) invece della ti-
mina (T).

Uracile Ribosio Desossiribosio

L’RNA cellulare viene sintetizzato come molecola a singolo filamento e spesso si ripiega, assu-
mendo una ben precisa conformazione tridimensionale con tratti a doppia elica intramolecolare.
Nel nucleo la cellula produce parecchi tipi di RNA funzionalmente diversi, tra i quali:
l’RNA messaggero, m-RNA, che trasporta le istruzioni per la sintesi delle proteine,
l’RNA ribosomiale, l’r-RNA, che costituisce parte integrante dei ribosomi ed ha azione catalitica
(i tratti di DNA, dai quali viene trascritto l’r-RNA si addensano in una o più regioni che vanno sotto
il nome di nucleoli),
l’RNA transfer, t-RNA, che funziona da adattatore molecolare nella sintesi proteica.
Nel DNA eucariotico quasi tutti i geni sono suddivisi in un certo numero di regioni codificanti
di piccole dimensioni, esoni, intervallate da regioni non codificanti, introni.
Nel DNA procariotico, che a differenza di quello eucariotico, che è lineare, è circolare, non sono
presenti introni;i procarioti non hanno nucleo e la loro unica doppia elica circolare si addensa a
dare il nucleoide (possono essere presenti altre piccole doppie eliche circolari dette plasmidi).
Quando un gene eucariotico viene trascritto dal DNA in RNA sia gli esoni che gli introni vengo-
no copiati a formare il trascritto primario di RNA nel quale i nucleotidi in sequenza sono quelli
complementari ai desossinucleotidi del filo di DNA trascritto (ovviamente ad A nel DNA non cor-
risponde, nel filo di RNA trascritto, T ma U).
Quindi, per esempio, alla sequenza nel DNA: - .AATGGACGATTGCACGATCCGACGCTG -
corrisponderà, nel trascritto di RNA, la : -.UUACCUGCUAACGUGCUAGGCUGCGAC-
Gli introni vengono rimossi dal trascritto primario di RNA, hn RNA o RNA eterogeneo, nel nucleo
attraverso un processo di maturazione, che comporta tagli e saldature, splicing.
In una reazione catalizzata da piccoli complessi ribonucleoproteici, noti come snRNP, che costitui-
scono lo spliceosoma, gli introni vengono escissi dal trascritto primario e gli esoni uniti tra di loro.
.
. hn RNA .
esone introne esone introne esone introne esone
.
.
.
. + + +
. introni
.
. Cap poliA mRNA maturo
.

A volte si verifica un tipo particolare di splicing, splicing alternativo, che fa sì che da uno stesso
RNA eterogeneo si arrivi a più mRNA diversi e, quindi, a più proteine.

Cap poliA mRNA maturo

Alternativamente si potrebbe avere:

Cap poliA mRNA maturo

Inoltre all’mRNA vengono attaccate sequenze di DNA iniziali e terminali (cap5 e coda di poliA)
con la funzione di proteggerlo dall’attacco degli enzimi e determinare, quindi, la durata di vita nel
citosol.
A questo punto l’mRNA maturo si trasferisce nel citoplasma, dove avviene la sua traduzione in
proteine.
Nel DNA procariotico la maturazione non è necessaria, e l’m-RNA inizia ad essere tradotto an-cor
prima che la sua sintesi sia terminata.
113. La traduzione della sequenza nucleotidica dell’m-RNA in proteina si svolge nel citoplasma su
voluminosi aggregati ribonucleoproteici, costituiti da proteine ed RNA, chiamati ribosomi.
Essi si attaccano all’m-RNA e si muovono lungo il suo filamento traducendone il messaggio in
proteina. La sequenza nucleotidica dell’m-RNA viene letta a gruppi di tre nucleotidi, ogni grup-
po è un codone, ed ogni codone corrisponde ad un amminoacido.
La corrispondenza tra amminoacidi e codoni è specificata dal codice genetico che è praticamente
universale.
Le combinazioni possibili dei 4 diversi nucleotidi dell’RNA danno i 64 codoni del codice genetico.
La maggior parte degli amminoacidi corrisponde a più di un codone, e quindi il codice gene-
tico è ridondante, (degenerazione del codice genetico).
filamento proteico Amminoacido
in crescita

legami
peptidici tRNA

Traduzione
Anticodone
Codone

mRNA

Ribosoma

CODICE GENETICO

1a posizione 2a posizione 3a posizione


(estremità 5’) (estremità 3’)

U C A G
Phe Ser Tyr Cys U
U Phe Ser Tyr Cys C
Leu Ser Stop Stop A
Leu Ser Stop Trp G
Leu Pro His Arg U
C Leu Pro His Arg C
Leu Pro Gln Arg A
Leu Pro Gln Arg G
Ile Thr Asn Ser U
A Ile Thr Asn Ser C
Ile Thr Lys Arg A
Met* Thr Lys Arg G
Val Ala Asp Gly U
G Val Ala Asp Gly C
Val Ala Glu Gly A
Val Ala Glu Gly G
Nella sintesi proteica il t-RNA funge da adattatore molecolare. Enzimi chiamati amminoacil-tRNA
sintasi uniscono ogni amminoacido al t-RNA corrispondente che presenta un sito per legare l’ammi-
noacido. Per ogni amminoacido si ha più di un t-RNA, nell’uomo i t-RNA sono 49. Ogni t-RNA
contiene una sequenza di tre nucleotidi, l’anticodone, che riconosce un codone sull’m-RNA per
appaiamento di basi complementari codone-anticodone (l’anticodone di un t-RNA può appaiarsi a
più di un codone in quanto le basi essenziali per l’appaiamento sono le prime due: vacillamento del-
la terza base). La corretta lettura di un mRNA da parte di un ribosoma richiede che la lettura inizi
dal codone giusto, il che avviene in quanto il ribosoma si lega al codone AUG (codone di inizio e
codone della metionina). La catena polipeptidica completa si stacca dal ribosoma quando viene
raggiunto un codone di terminazione, o non sense, (UAA, UAG o UGA).
114. Le proteine di quasi tutti gli organelli vengono prodotte nel citosol per poi essere trasportate
nell’organello dove devono funzionare. Segnali di smistamento presenti nella sequenza amminoaci-
dica guidano le proteine all’organello giusto; le proteine che devono funzionare nel citosol mancano
di tali segnali per cui rimangono nella sede di sintesi.
La maggior parte delle proteine mitocondriali e cloroplastiche vengono fabbricate nel citosol e tra-
slocate attivamente negli organelli da traslocatori proteici presenti nelle loro membrane.
Il RE è la fabbrica della membrana della cellula; produce la maggior parte dei lipidi e molte delle
proteine di membrana. I ribosomi legati alla superficie del RER (reticolo endoplasmatico rugo-
so) sintetizzano tali proteine. Nel lume del RER le proteine assumono la loro conformazione tridi-
mensionale, si associano ad altre proteine, stabiliscono ponti disolfuro e si corredano di catene oli-
gosaccaridiche.
Diagramma del processo di secrezione dal reticolo endoplasmatico (arancione) all’apparato di
Golgi (rosa).
. 1. Membrana nucleare;
. 2. Poro nucleare;
. 3. Reticolo endoplasmatico ruvido (rER);
. 4. Reticolo endoplasmatico liscio (sER);
. 5. Ribosoma attaccato al rER;
. 6. Macromolecole;
. 7. Vescicole di trasporto;
. 8. Apparato di Golgi;
. 9. Faccia Cis dell’apparato di Golgi;
. 10. Faccis Trans dell’apparato di Golgi;
. 11. Cisterne di lipidi.

Il trasporto delle proteine dal RER all’apparato di Golgi, nel quale viene perfezionata la sintesi delle
glicoproteine, e da questo ad altre destinazioni è mediato da vescicole di trasporto.
Dal Golgi gemmano continumente vescicole di trasporto che vanno a fondersi con la membrana pla-
smatica cui portano proteine e lipidi, esocitosi costitutiva, oppure riversano molecole fuori dalla
cellula (secrezione).
Le cellule assumono liquidi, molecole e talvolta anche particelle per endocitosi, nel corso della qua-
le zone di membrana plasmatica si invaginano e si distaccano formando vescicole endocitiche.
Gran parte del materiale endocitato passa negli endosomi e quindi nei lisosomi che lo digeriscono
con i loro enzimi idrolitici; invece i componenti della membrana vescicolare vengono in gran parte
reinseriti in vescicole di trasporto che tornano alla membrana plasmatica per essere nuovamente
utilizzati.

endocitosi

esocitosi

La cellula controlla accuratamente la degradazione delle sue proteine: quelle destinate a tale fine
vengono legate ad una proteina marcatrice chiamata ubiquitina. Alcune vengono demolite nel ci-
tosol ad opera di grossi complessi proteici detti proteasomi.
115. Il materiale genetico di una cellula eucariotica è contenuto in uno o più cromosomi, ciascuno
formato da una molecola di DNA enormemente lunga che contiene molti geni (una cellula proca-
riota, batteri, contiene un unico cromosoma di DNA circolare ed eventualmente uno o più pla-
smidi, DNA circolare di dimensioni ridotte).
Il DNA di un cromosoma eucariotico contiene oltre ai geni, molte origini di replicazione, due telo-
meri ed un centromero (nel cromosoma procariotico si ha una sola origine di replicazione).
Nelle cellule eucariotiche i cromosomi constano di DNA legato strettamente ad una massa quasi u-
guale di proteine specializzate. Esse dispongono il DNA in forma più compatta in modo da farlo
stare dentro il nucleo. Il complesso DNA proteine che forma i cromosomi prende il nome di croma-
tina. Proteine strettamente associate al DNA sono innanzitutto gli istoni, che lo impacchettano in
una serie ordinata di particelle DNA-proteine dette nucleosomi. I nucleosomi si dispongono, con
l’intervento dell’istone H1 a formare una fibra di 30 nm di diametro che si avvolge e si ripiega ul-
teriormente sino a raggiungere un grado di compattazione massimo nei cromosomi.

Anse di
Anse di
DNA Nucleosomi Cromatina cromatina
cromatina Cromosoma
condensate
Alcune forme di cromatina sono talmente compatte che i geni in essa compresi sono esclusi dalla
trascrizione. In questa situazione si vengono a trovare tutti i geni cromosomici durante la divisione
nucleare (mitosi) in cui i cromosomi sono altamente condensati.
Specifiche regioni cromosomiche sono condensate ed inattive anche in cellule che non si stanno di-
videndo (eterocromatina). Il DNA trascrivibile costituisce l’eucromatina.
Una cellula eucariotica tipica esprime solo una parte dei suoi geni: negli organismi pluricellulari
le differenze tra tipi di cellule insorgono perché nel corso del differenziamento cellulare si esprimo-
no gruppi diversi di geni.
Nella cellula la trascrizione di ogni gene viene attivata o disattivata da apposite proteine regolatrici
di geni. Esse agiscono legandosi a brevi tratti di DNA detti sequenze regolatrici.
La RNA polimerasi si lega al DNA e dà inizio alla trascrizione in corrispondenza di un sito detto
promotore.
Solitamente negli eucarioti l’spressione di un gene è controllata da una combinazione di proteine
regolatrici.
Nelle piante o negli animali pluricellulari la produzione di proteine regolatrici diverse determina
l’espressione o la repressione di geni appropriati per ogni tipo di cellula.
116. I batteri, e specialmente Escherichia coli, sono gli organismi meglio compresi a livello cellu-
lare sia per la loro semplicità che per i brevissimi tempi di generazione.
Nelle popolazioni batteriche, errori spontanei e rari nella replicazione del DNA rappresentano una
fonte costante di varianti genetici. Quando le condizioni esterne cambiano, i varianti che sopravvi-
vono meglio nella nuova situazione proliferano e si affermano nella popolazione.
Le cellule batteriche hanno tre meccanismi per acquisire geni da altre cellule della popolazione:
la coniugazione in cui il materiale viene dato da un batterio ad un altro sotto forma di un plasmide,
un piccolo cromosoma accessorio,
la trasformazione, in cui il DNA viene preso dall’ambiente,
e la trasduzione (con l’intervento di virus).
Questi scambi all’interno del patrimonio genetico collettivo della popolazione generano una notevo-
le variabilità.

Coniugazione
DNA, cromosoma Plasmide F DNA, cromosoma

Pilo
Donatore Accettore

DNA polimerasi

Replicazione a cerchio rotante


Plasmide F Plasmide F
Pilo

Pilo Donatore
Donatore
Trasformazione
Accettore

DNA cromosomico
Frammenti
di DNA da
L’accettore internalizza
cellule lisate
il DNA

Il DNA non integrato Il DNA viene integrato


viene degradato parzialmente integrato al
cromosoma batterico

Cellula geneticamente modificata

Trasduzione

Batteriofago
Cellula
. donatrice
Cromosoma batterico
Il fago inietta il suo DNA

DNA del fago

Gli enzimi del fago degradano


il DNA dell’ospite

Fago trasduttore
La cellula sintetizza nuovi fagi
che per errore incorporano
anche parte del DNA
dell’ospite
Fago trasduttore

Cellula recettrice

Il fago trasduttore
inietta il suo DNA

Cellula trasdotta
Il DNA della cellula donatrice
è incorporato nel cromosoma
della cellula accettrice

Tutti i processi descritti fanno sì che una mutazione favorevole in un individuo di una popolazione
batterica, per esempio la resistenza ad un antibiotico, si possa diffondere in tutta la popolazione.
Per ricombinazione omologa si intende un processo nel quale due molecole di DNA a doppia elica
di sequenza nucleotidica simile (negli eucarioti hanno questa caratteristica i cromosomi
omologhi) si incrociano e si scambiano parti, formando molecole a sequenza modificata.
Gli elementi trasponibili, o trasposoni, sono sequenze di DNA capaci di spostarsi da un punto al-
l’altro del genoma che li ospita. Tali spostamenti creano cambiamenti nel genoma ospite e rappre-
sentano un’ ulteriore fonte di variazione genetica.
117. I virus sono poco più che geni, e qualche enzima, rivestiti da un involucro proteico protettivo,
capside, ed, in taluni casi, da una guaina lipidica di costituzione analoga alla membrana cellulare.
Hanno dimensioni dell’ordine delle decine di nm e sono quindi osservabili solo con il microscopio
elettronico
Per riprodursi dipendono da cellule ospiti più o meno specifiche: sono parassiti obbligati.
Taluni virus legano recettori specifici della membrana della cellula ospite, vengono internalizzati e
perdono sia l’involucro proteico che l’eventuale guaina, liberando il loro genoma nella cellula; altri
sono in grado di iniettare il loro genoma nella cellula parassitata lasciando fuori di essa il capside,
batteriofagi.
Il genoma virale può essere DNA, a doppia o a singola elica, oppure RNA, a doppia o a singola eli-
ca. Il genoma virale internalizzato si inserisce nel DNA dell’ospite (nei virus a RNA, i retrovirus,
il genoma a RNA deve essere prima copiato a DNA tramite un enzima virale detto trascrittasi in-
versa). Il DNA virale inserito, grazie al macchinario biosintetico dell’ospite, dà prodotti proteici,
che sono enzimi virali e le proteine del capside, e viene inoltre replicato a DNA o trascritto a RNA,
per dare altro genoma virale, il quale si assembla con gli altri prodotti a dare nuovi virus che emer-
gono dalla cellula provocandone la lisi.
Sono patologie ad eziologia virale il raffreddore e le varie forme influenzali, l’herpes simplex, varie
forme di epatite e l’AIDS, in cui il retrovirus, HIV, attacca, in modo relativamente specifico, i lin-
fociti helper del sistema immunitario, provocando appunto la sindrome da immunodeficienza acqui-
sita. Sulfamidici ed antibiotici, che interagiscono con il metabolismo cellulare, in specie a livello
della mitosi e della meiosi, ed hanno quindi attività nei confronti di protozoi o batteri, non sono in-
vece di nessuna efficacia nei confronti dei virus, che richiedono farmaci antivirali che presentano
meccanismi di funzionamento completamente diverso.
118. Il citoplasma della cellula eucariotica trova supporto ed organizzazione spaziale nel citoschele-
tro, costituito da filamenti intermedi, microtubuli e filamenti actinici.
I filamenti intermedi sono polimeri stabili, cordoni di proteine fibrose che conferiscono resistenza
meccanica alle cellule.
Alcuni tipi sottendono la membrana nucleare formando la lamina nucleare ed altri sono distribuiti
per tutto il citoplasma.
I microtubuli sono cilindri cavi e rigidi formati per polimerizzazione di subunità dimeriche di tubu-
lina. Sono strutture dotate di polarità avendo un’estremità (-) a crescita relativamente lenta ed una
(+) a crescita relativamente rapida. I microtubuli con l’intervento di proteine motrici e col consumo
di energia, intervengono nel trasporto di vescicole attraverso il citosol, costituiscono le cilia ed i fla-
gelli eucariotici, ed intervengono nella mitosi e nella meiosi.
119. Tutte le cellule derivano da altre cellule per divisione.
Nella mitosi la cellula madre origina due cellule figlie identiche
I procarioti, batteri, si dividono per scissione semplice o scissione binaria, in cui i due cromosomi
derivati dalla duplicazione dell’unico cromosoma circolare a doppia elica della cellula madre, anco-
rati a due punti della membrana, si spostano ai due capi della cellula quando essa si duplica.
Nelle cellule eucariotiche il processo è decisamente più complicato ed è caratterizzata da una serie
di fasi che costituiscono il cosiddetto ciclo cellulare.

Il ciclo cellulare consta della fase M, che dura da 30’ ad un’ora e nel corso della quale non si ha in
pratica sintesi di macromolecole (con l’unica eccezione degli istoni e dei loro mRNA) e dell’inter-
fase.
La fase M si divide in mitosi ed in citocinesi, che corrispondono rispettivamente alla separazione
dei cromosomi duplicati nei due nuclei ed alla divisione della cellula madre nelle due cellule figlie.
Durante l’interfase, che dura da ore a settimane o più a lungo, a seconda del tipo cellulare, si hanno
luogo funzioni metaboliche (ossidazione del glucosio, trascrizione, traduzione e replicazione, desti-
nati a far aumentare di volume la cellula in preparazione della sua divisione.
L’intero ciclo consta, a partire dal momento subito successivo alla mitosi, della fase G1 (gap 1), in
cui la cellula cresce e raddoppiano gli organelli cellulari, della fase S, della fase G2 (gap 2), in cui
si ha ulteriore crescita cellulare, e della fase M.
Cellule altamente specializzate, come i globuli rossi, i fibrociti ed i neuroni, non si dividono: si di-
cono bloccate in fase G0.
Altre cellule normalmente non si dividono (fase G0) ma possono farlo in opportune situazioni (epa-
tociti e linfociti). Altri tipi cellulari sono caratterizzati da una intensa e continua attività di divisione
(cellule sessuali, staminali ed epiteliali).
I punti di controllo del ciclo cellulare si trovano a livello del passaggio tra G1 ed S e tra G2 ed M, e
dipendono da fattori stimolatorii, cicline. Essi consentono l’avanzamento del ciclo purchè la cellula
abbia acquisito una massa adeguata ed il suo DNA non sia danneggiato.
Nella fase S si replica il DNA, ogni cromosoma si duplica a dare due cromosomi, cromatidi fratel-
li, che rimangono legati tra di loro per il centromero.
La fase M consta di profase, prometafase, metafase, anafase e telofase.
Nella profase le fibre di cromatina da 30 nm, che nell’interfase consentivano trascrizione e replica-
zione, si impacchettano su un’impalcatura proteica, dando coppie visibili di cromatidi uniti per il
centromero ed i nucleoli non sono più visibili.
Gli organelli cellulari dotati di membrana (mitocondi, cloroplasti, perossisomi e lisosomi) non subi-
scono modificazioni particolari mentre l’apparato di Golgi ed il reticolo endoplasmatico vanno in-
contro a frammentazione (il che facilita la loro ripartizione tra le due cellule figlie).
La profase coincide con la formazione del fuso mitotico, costituito da microtubuli che hanno la fun-
zione di ripartire i cromosomi figli tra i due poli della cellula.
Prima che il fuso mitotico prenda corpo, avviene la duplicazione di una struttura preposta all’orga-
nizzazione dei microtubuli, il centrosoma, costituito da due centrioli, tra loro perpendicolari,e i
due centrosomi figli si separano, disponendosi ai lati opposti del nucleo, per formare i due poli del
fuso. I microtubuli si originano dai centrosomi: alcuni di essi interagiscono con altri, nati al polo
opposto, e diventano i microtubuli polari del fuso.
Quando l’involucro nucleare si frammenta, i microtubuli del fuso invadono l’area prima occupata
dal nucleo, prometafase. Alcuni di essi catturano i cromosomi replicati, legandosi a complessi pro-
teici, detti cinetocori, associati al centromero di ciascun cromatidio fratello.
I microtubuli dei poli tirano ogni cromosoma in due direzioni opposte, finchè essi non si dispongo-
no tutti all’equatore del fuso mitotico (piastra metafasica): in metafase i cromosomi si trovano nel-
la situazione più idonea alla loro visualizzazione.
I cromosomi figli derivano dalla separazione improvvisa dei cromatidi fratelli che vengono tirati dal
fuso verso poli opposti: anafase.
Nella telofase intorno ai due gruppi di cromosomi segregati si ricostituisce l’involucro nucleare: co-
sì si hanno due nuovi nuclei completi e la mitosi è terminata.
Nelle cellule animali la divisione cellulare si conclude per mezzo di un anello contrattile di filamen-
ti che si organizza a mezza via tra i due poli del fuso e si contrae per dividere in due il citoplasma.
Nelle cellule vegetali, invece, la divisione cellulare si completa con la deposizione all’interno della
cellula di una parete cellulare nuova che finisce per dividere in due il citoplasma.
interfase G2 profase precoce tarda profase metafase
Centrosomi Poli del fuso Cinetocore

Cromatidi
. fratelli
anafase telofase interfase G1

120. Una cellula può avere un solo cromosoma, come nel caso dei batteri, oppure una serie di cro-
mosomi non equivalenti tra di loro, e cioè un set di cromosomi in cui è presente un solo cromosoma
per ogni tipo: in entrambi i casi, che corrispondono ad una sola serie di informazioni genetiche, si
dice che la cellula è aploide, n cromosomi.
Cellule che presentino invece un set cromosomico in cui, su due cromosomi diversi, uno di origine
paterna e l’altro di origine materna, cromosomi omologhi, è riportata lo stesso tipo di informazione
genetica, si dicono diploidi, 2n cromosomi.
Nell’uomo, per esempio esistono 22 coppie di cromosomi omologhi, autosomi, e due cromosomi
sessuali, 2n = 46.
La riproduzione sessuale, cui sono interessate le cellule germinali, comporta l’alternanza ciclica
di di stati aploidi e diploidi. Le cellule diploidi si dividono per meiosi a formare gameti aploidi ed
i gameti aploidi di due individui si fondono alla fecondazione in una nuova cellula diploide, zigote.
Durante la meiosi i cromosomi materni e paterni di una cellula diploide vengono divisi tra i gameti
in modo che ciascuno di essi riceva una sola copia di ciascun cromosoma omologo (segregazione).
Da un solo individuo derivano moltissimi gameti geneticamente diversi, perché la scelta di uno o
dell’altro membro per ogni coppia di cromosomi omologhi avviene completamente a caso.
Mitosi, 2n = 2 Diploide
Omologhi Cromatidi fratelli

Diploide Diploide

G1 S G2 S G1
Cromatidi fratelli
. segregati
Meiosi, 2n = 2
Cromatidi Segregazione
Omologhi Chiasma degli omologhi
fratelli

Diploide Crossing over


Aploidi, n = 1
G1 S G2 Meiosi I Meiosi II

La ricombinazione omologa (crossing over) contribuisce ulteriormente al riassortimento genetico


della meiosi promuovendo lo scambio di geni tra cromosomi omologhi.
Plausibilmente la riproduzione sessuata è stata favorita nel corso dell’evoluzione in quanto, rime-
scolando a caso l’informazione genetica, si rende più probabile la sopravvivenza di almeno qualche
discendente in un ambiente che varia in modo imprevedibile.
Nell’interfase, e più esattamente nella fase S , precedente alle divisioni, il DNA viene duplicato
(nell’uomo 46 coppie di cromosomi mitotici,cioè 92 cromatidi).
La profase della prima divisione meiotica è molto più lunga della profase mitotica (nella donna l’o-
ocita ovarico entra in profase I alla nascita e vi rimane per vari decenni).
Si divide in:
Leptotene: i cromosomi si compattano divenendo visibili al microscopio ottico;
Zigotene: i cromosomi omologhi si appaiano (sinapsi) con formazione dei “bivalenti” o tetradi (4
cromatidi): i cromosomi sessuali X ed Y (nel maschio) si appaiano solo a livello delle estremità del
braccio corto (regione pseudoautosomica) a dare il bivalente sessuale;
l’appaiamento consente la ricombinazione genetica grazie al crossing over (circa 50 ricombinazioni
a meiosi);
Pachitene: continua il crossing over a dare i ricombinanti;
Diplotene: inizia la separazione de i cromosomi omologhi dei bivalenti che iniziano ad allontanarsi
gli uni dagli altri lasciando però uno o più punti di stretto contatto, chiasmi, che segnano le zone
dove si è avuto crossing over;
Diacinesi: si ha la preparazione dell’attacco dei cromosomi al fuso che culmina nella scomparsa del
nucleolo e della membrana nucleare e nella migrazione delle tetradi verso la piastra metafasica.
Nella metafase I le tetradi sono disposte in modo che ogni coppia di cromosomi omologhi è rivolta
verso un polo e con l’anafase I si ha separazione dei cromosomi omologhi con segregazione indi-
pendente dei cromosomi materni e paterni nelle cellule figlie.
Dopo la telofase I, in cui le cellule, spermatociti oppure oociti secondari, hanno un numero aploi-
de di cromosomi ma una quantità diploide di DNA, si ha l’inizio della meiosi II con la profase II,
in cui i cromosomi ricondensano e si allineano sulla piastra; si ha quindi la metafase II, stadio in
cui gli oociti dei vertebrati bloccano la meiosi in attesa di un eventuale fecondazione.
Nell’anafase II i cromatidi fratelli si rendono indipendenti migrando ai poli ed originando, con la
telofase II in cui si ricostituisce la membrana nucleare e si ottengono gameti, cellule aploidi, sia
per il numero di cromosomi che per la quantità di DNA.
Indicando con 2n il numero di cromosomi cellulari e con 2c la massa di DNA si ha:
Omologo
2n, 2c
MEIOSI
paterno Cellula
Omologo parentale
paterno
2n, 4c
Profase 1

1a divisione meiotica cellulare

Metafase 1

Anafase 1

n, 2 c
Telofase 1
2 cellule figlie Profase 2

Metafase 2
2a divisione meiotica cellulare
4 cellule figlie

n, c

Anafase 2 Telofase 2
Nell’uomo le cellule aploidi generate dalla meiosi sono diverse come forma e dimensioni, eteroga-
meti (spermatozoi ed uova), mentre in certi organismi esse sono identiche, isogameti.
121. La non disgiunzione meiotica può originare zigoti con un numero di cromosomi anomalo, a-
neuploidia: trisomia nel caso della presenza di un cromosoma in più e monosomia nel caso di un
cromosoma in meno. Sono situazioni che comportano gravi anomalie che spesso impediscono la
completa maturazione del feto e comunque portano ad individui gravemente compromessi.
La trisomia autosomica 21 porta alla sindrome di Down.
Nell’uomo il sesso è determinato dai cromosomi sessuali: la coppia XX determina il sesso femmi-
nile e quella XY il sesso maschile. La trisomia XXY dà maschi con la sindrome di Klinefelter, che
comporta, tra l’altro, caratteri sessuali secondari femminili, mentre la monosomia X (X0) femmine
con la sindrome di Turner.
Cromosomi Aberrazioni cromosomiche Ereditarietà dei caratteri e leggi mendeliane I geni Eccezioni alle leggi di
Mendel Dominanza incompleta, codominanza e allelia multipla I gruppi sanguigni e il fattore Rh Le mutazioni geniche
Alberi genealogici I caratteri legati al sesso Tecniche di ingegneria genetica: ibridomi, clonazioni Organismi transgenici
Mappatura dei cromosomi Genetica delle popolazioni
122. Prima della divisione cellulare la cromatina condensa in strutture più intensamente colorabili,
i cromosomi che contengono DNA associato a proteine acide o basiche.
La struttura di base dei cromosomi è una fibra costituita da nucleosomi, ottameri di istoni, attorno a
ciascuno dei quali si avvolgono circa 200 bp, coppie di basi, di DNA, che sono collegati tra di loro
da un altro istone ed un tratto di DNA linker a formare un complesso di 360 Ǻ di diametro.
La fibra cromatinica è legata ad un’impalcatura proteica acida centrale formando una serie di anse
che sporgono dall’impalcatura formando il corpo della cromatina che si avvolge ulteriormente a da-
re solenoidi e supersolenoidi, in modo da impaccare i 2 metri di DNA umano nei cromosomi os-
servabili alla divisione cellulare (da 10 a 2 µm). Dopo la divisione i cromosomi si addensano ulte-
riormente dando regioni molto addensate e più colorabili (eterocromatina non trascrivibile in cui
sono presenti sequenze ripetitive) e regioni meno colorabili trascrizionalmente attive (eucromati-
na). L’insieme dei cromosomi ordinati per dimensioni costituisce il cariotipo:

Cariotipo umano maschile

1 2 3 4 5

6 7 8 9 10 11 12

13 14 15 16 17 18

19 20 21 22 XY

La colorazione dei cromosomi dà il cosiddetto bandeggiamento che facilita il riconoscimento dei


cromosomi omologhi, stesse dimensioni e forma, stesso bandeggiamento e stesso tipo di informa-
zioni, geni, nelle stesse posizioni, loci. Nel cariotipo normale umano sono presenti 22 coppie di au-
tosomi ed una di cromosomi sessuali, diversi tra loro per forma e dimensioni oltre che per quasi
tutti i geni. A seconda della posizione del centromero, una strozzatura che li divide in due braccia
di diversa lunghezza, i cromosomi si classificano in metacentrici, acrocentrici e submetacentrici.
Cromosomi aberranti possono essere telocentrici.
Cromosomi metafasici (2 cromatidi fratelli)

metacentrico submetacentrico acrocentrico telocentrico


123. La non disgiunzione meiotica consiste nella mancata separazione dei cromosomi omologhi alla
meiosi I (primaria), oppure dei cromatidi fratelli alla meiosi II (secondaria).
È un fenomeno relativamente frequente che dà gameti con un cromosoma in più oppure in meno e
zigoti anormali che si sviluppano in embrioni che muoiono prima della nascita.
Di rado si ha un individuo con un numero anomalo di cromosomi: aneuploidia.

Non disgiunzione 1^ div. Normale

Normale 2^ div. Normale Non disgiunzione

Nessun gamete normale 2 gameti normali


Un cromosoma in più (47) comporta trisomia mentre uno in meno (45) monosomia.
Le monosomie e le trisomie autosomiche sono solitamente letali (nello stadio embrionale, ancora
prima che sia riconoscibile la gravidanza, o in quello fetale con aborto o poco dopo la nascita) con
l’eccezione della trisomia 21. Il cromosoma in questione, anche se è il più piccolo, contiene circa
1500 geni, la cui sovraespressione comporta tutta una serie di conseguenze negative note nell’in-
sieme come sindrome di Down (difficoltà di apprendimento, alterazioni fisiche e deficit del sistema
immunitario). Il 95 % delle trisomie 21 origina da non disgiunzioni materne, la cui probabilità au-
menta drammaticamente con l’età della madre stessa.
Le aneuploidie sessuali hanno effetti molto minori sullo sviluppo.
Genotipo Denominazione Fenotipo %*
45 X0 Turner ♀ arresto sviluppo genitale ed ovarico... 1/5000
47 XXX Femmina XXX ♀ normale 1/1000
47 XXY Klinefelter ♂ ipoorchidismo, - testosterone, altezza, ginecomastia... 1/1000
47 XYY Maschio XYY ♂ normale 1/1000
* alla nascita.
124. Ad ognuna delle due estremità di un cromosoma si trovano due regioni, dette telomeri, la cui
funzione è di impedire la fusione tra due cromosomi diversi .
Le aberrazioni cromosomiche sono dovute a rotture dei cromosomi (infezioni virali, raggi X, agenti
chimici, siti fragili). Nelle cellule somatiche non si hanno gravi conseguenze (tranne che nel caso
che la cellula diventi tumorale) mentre in quelle germinali possono passare alla prole (in genere
l’individuo muore durante lo sviluppo embrionale).
La rottura di un cromosoma in due posizioni ed il risaldamento nella direzione opposta dà un inver-
sione in cui tutti i geni in genere sono conservati. Nel caso però di meiosi di una cellula con inver-
sione l’appaiamento anomalo del cromosoma aberrante con il suo omologo normale può portare a
delezioni e duplicazioni con formazione di gameti con una carenza o un eccesso di geni e di zigoti
generalmente non vitali.
Se un cromosoma, o una sua parte, si salda ad un altro si ha una traslocazione che nelle cellule so-
matiche aumenta la possibilità che esse diventino maligne. Un cromosoma che sia andato incontro a
traslocazione ha un numero di geni diversi dal suo omologo ed i gameti avranno quindi un corredo
genetico diverso dal normale.
Una delezione consiste nell’assenza, generalmente letale, di una porzione di cromosoma.
Quando una porzione di gene è ripetuta si ha una duplicazione con conseguente presenza di geni in
tre copie anzichè due e quindi eccesso di prodotti genici con effetti deleteri.
125. Le leggi dell’ereditarietà vennero ottenute da Gregor Mendel da esperimenti di ibridazione di
piselli da giardino (Pisum sativum). Egli scoprì che incrociando linee pure di piante a fiori bianchi
e piante a fiori porpora, il risultato era esclusivamente un ibrido a fiori porpora.

linee pure

ibridi della prima generazione


. F1

Una pianta è una linea pura, relativamente ad un certo carattere, fenotipo, come ad esempio il colo-
re dei petali, se, per autofecondazione (il fiore del pisello possiede sia gli organi sessuali maschili,
stami, che quelli femminili, pistillo) dà una generazione, F1, che presenta lo stesso carattere della
pianta parentale. Mendel concepì l’idea di unità ereditarie, fattori, uno dei quali recessivo e l’al-
tro dominante. Ipotizzò che tali fattori, in seguito chiamati geni, di norma sono presenti in coppie
nelle cellule normali, e che segregano durante la formazione delle cellule sessuali, gameti.
Alla fusione dei gameti il gene dominante maschera quello recessivo e si ha un solo fenotipo.
Quando Mendel autofecondò le piante così ottenute, ottenne una seconda generazione, F2, in cui le
piante erano per ¾ a fiori porpora e per ¼ a fiori bianchi, e da questo risultato ipotizzò che i geni
possono essere appaiati in tre modi diversi per ogni carattere. Indicando con A ed a il gene domi-
nante e quello recessivo, le possibili combinazioni sono: AA; Aa; aA ed aa.
linee pure

F1

F2

Ogni individuo ha due geni per ogni carattere, uno da ciascuno dei genitori. I geni possono, o me-
no, contenere la stessa informazione relativa a quel carattere. Nel caso che essi siano identici, l’indi-
viduo è omozigote per quel carattere e, in caso contrario, è eterozigote.
Le forme alternative di un gene si dicono alleli. Il genotipo di un individuo è costituito dagli alleli
che possiede. L’aspetto esteriore di un individuo dipende dal suo genotipo e dall’ambiente.
Per ogni carattere, ogni individuo possiede due alleli, uno di origine paterna e l’altro materna.
All’atto della formazione dei gameti, gli alleli delle cellule germinali si separano a caso, ed ogni ga-
mete ne riceve un solo esemplare. La presenza di un allele non è condizione sufficiente perchè il
suo carattere sia espresso. Negli individui eterozigoti verrà espresso l’allele dominante.
Mentre gli esperimenti di Mendel con un solo carattere, incroci monoibridi, davano un rapporto
fenotipico di 3 : 1, esperimenti che coinvolgevano due caratteri, incroci diibridi, davano un rap-
porto fenotipico di 9 : 3 : 3 : 1. Così, per esempio, incrociando due linee pure di piselli che davano
semi gialli lisci e semi verdi rugosi rispettivamente ottenne:

linee pure

F1

F2
Mendel realizzò che tale rapporto evidenziava il rapporto di 3 : 1 con cui ciascuno dei due geni era
ereditato e che, di conseguenza, ciascuno veniva ereditato indipendentemente dall’altro.
Mendel espresse i risultati delle sue osservazioni in due leggi: la legge di segregazione e la legge
dell’assortimento indipendente.
La prima stabilisce che ogni individuo possiede due alleli per ogni carattere, e che ogni genitore
trasmette, a caso, uno dei due ai figli: l’eventuale allele dominante nel figlio determinerà quale
carattere sia espresso.
La seconda legge di Mendel stabilisce che geni diversi per caratteri diversi vengono trasmessi
indipendentemente tra di loro dai genitori ai figli.
Si può ulteriormente illustrare quanto detto impiegando i quadrati di Punnet per i casi descritti:
. Incrocio di linee pure, omozigoti, in un carattere: AA × aa


♀ A A

a Aa Aa

a Aa Aa
Nel quadrato le lettere che intestano le due colonne e le due righe rappresentano gli alleli del ca-
rattere in esame presenti nei gameti paterni, ♂ e materni, ♀, rispettivamente. Come si vede la fu-
sione dei gameti dà zigoti identici sia dal punto di vista genotipico che fenotipico: fenotipo deter-
minato dall’allele A che è dominante.
. Incrocio di linee ibride, eterozigoti, in un carattere: Aa × Aa


♀ A a

A AA Aa

a Aa aa
In questo caso sono presenti 2 fenotipi, nel rapporto di 3 : 1, e 3 genotipi nel rapporto di 1 : 2 : 1.
Questi risultati, che sono quelli degli esperimenti di Mendel, sarebbero stati ovviamente gli stessi
nel caso che i genotipi del padre e della madre fossero stati scambiati (incroci reciproci).
. Incrocio di linee pure, omozigoti, in due caratteri: AA; BB × aa; bb


♀ A;B A;B

a;b Aa;Bb Aa;Bb

a;b Aa;Bb Aa;Bb


Anche in questo caso si ottengono zigoti identici sia dal punto di vista genotipico che fenotipico: il
fenotipo è determinato naturalemnte dagli alleli A e B che sono dominanti.

. Incrocio di linee ibride, eterozigoti, in due caratteri: Aa; Bb × Aa; Bb


♀ A;B A;b a;B a;b

A;B AA;BB AA;Bb Aa;BB Aa;Bb

A;b AA;Bb AA;bb Aa;Bb Aa;bb

a;B Aa;BB Aa;Bb aa;BB aa;Bb

a;b Aa;Bb Aa;bb aa;Bb aa;bb


La distribuzione fenotipica corrisponde ad un rapporto di 9 : 3 : 3 : 1 (Mendel).
Si può dimostrare che, qualora siano presenti n coppie alleliche in eterozigosi, le quali siano tutte
in relazione di dominanza / recessività e si distribuiscano in modo indipendente, il numero di classi
fenotipiche, nF, ed il numero di classi genotipiche, nG, è dato rispettivamente dalle: nF = 2 n ed
nG = 3n (nell’esempio sopra nF = 2 2 = 4 e nG = 32 = 9).
L’assortimento indipendente si verifica negli eucarioti durante la metafase I della meiosi e produ-
ce un gamete con una miscela di cromosomi dell’organismo. La base fisica dell’assortimento indi-
pendente è l’orientazione casuale di ogni bivalente alla piastra metafasica rispetto a tutti gli altri.
Insieme al crossing over l’assortimento indipendente aumenta la diversità genetica producendo
nuove combinazioni. Dei 46 cromosomi in una normale cellula umana diploide 23 derivano dalla
madre, uovo, e 23 dal padre, spermatozoo, a seguito della loro fusione a dare lo zigote.
Nella gametogenesi il corredo cromosomico deve essere dimezzato in modo che la fusione dei ga-
meti aploidi dia un organismo diploide.
Nell’assortimento indipendente i cromosomi risultanti sono assortiti casualmente tra tutte le possi-
bili combinazioni di cromosomi paterni e materni, le quali hanno tutte la stessa probabilità di veri-
ficarsi: 2n, dove n è il numero aploide di cromosomi, e 223 = 8.388.608 combinazioni.
126. Esistono apparenti eccezioni alle leggi di Mendel che derivano dal fatto che intervengono ef-
fetti quali l’assenza di dominanza, o dominanza incompleta, e la codominanza.
Nella dominanza incompleta non si ha prevalenza di un carattere sull’altro ma il genotipo eterozi-
gote manifesta un fenotipo intermedio tra quelli dei due genitori omozigoti.
Così, per esempio, incrociando due linee pure nel colore dei fiori, rosso e bianco rispettivamente
(violacciocca) si ottiene una prima generazione in cui tutte le piante hanno i fiori rosa.
L’incrocio tra individui della prima generazione porta a piante a fiori bianchi, a piante a fiori rosa
ed a piante a fiori rossi nel rapporto di 1 : 2 : 1.
Le piante a fiori bianchi e rossi risultano essere linee pure, come quelle di partenza, mentre quelle
rosa si comportano esattamente come quelle della prima generazione.
Si può spiegare il fenomeno, ammettendo che dei due alleli relativi al carattere che determina il co-
lore dei petali, uno codifichi per il pigmento rosso dei petali e l’altro no: quindi un omozigote nel-
l’allele che non codifica per il pigmento, darà fiori bianchi, un’omozigote nell’allele che codifica
per il pigmento darà fiori rossi, mentre un eterozigote che ha un solo allele che codifica per il pig-
mento ne produrrà una quantità minore, la metà, ed il colore dei petali risulterà diluito; rosa anzichè
rosso.

Nella codominanza l’eterozigote non manifesta uno dei due fenotipi possibili, dominanza, o una
loro “media”, dominanza incompleta, ma li manifesta entrambi.
Un esempio classico è quello relativo al sistema sanguigno AB0 costituito da 3 alleli, IA; IB ed I0,
allelia multipla.
I primi due sono dominanti sul terzo e codominanti tra di loro. La combinazione dei tre alleli
determina 6 genotipi, IAIA; IAIB; IAI0; IBIB; IBI0; I0I0, ma solo 4 fenotipi detti gruppi sanguigni.
I fenotipi differiscono per la presenza di diversi antigeni sulla membrana eritrocitaria:
. (IAIA; IAI0) (IBIB; IBI0) IAIB I0I0

Gruppo A B AB 0
Gli antigeni espressi sulla superficie degli eritrociti sono glicolipidi e/o glicoproteine, la cui natura
dipende dall’azione di enzimi che legano a lipidi e proteine di membrana residui oligosaccaridici
specifici. In assenza di un dato antigene sono presenti nell’organismo gli anticorpi diretti contro di
esso e ciò crea eventuali problemi a livello di trasfusioni sanguigne (emolisi dei globuli rossi).
Fenotipo Genotipo Anticorpi Reazione con antisieri
Anti-A Anti-B
0: nessun enzima 00 Anti-A e anti-B - -
A: enzima A AA o A0 Anti-B + -
B: enzima B BB o B0 Anti-A - +
AB: entrambi gli enzimi AB nessuno + +
Come già detto, gli alleli A e B sono caratterizzati da codominanza: l’eterozigote esprime entrambi
i fenotipi, cioè i due enzimi che modificano la molecola di membrana in due modi, facendo sì che
siano presenti entrambi gli antigeni. Gli alleli A e B sono dominanti sul’allele 0 in cui nessun enzi-
ma viene espresso. Le persone di gruppo AB sono accettori universali e quelle di gruppo 0 sono
donatori universali.
Il gruppo Rhesus, invece, classifica gli individui in due categorie principali, Rh + ed Rh -, a se-
conda della presenza o meno, sulla membrana dell’eritrocita, di un polipeptide denominato antigene
D. Il fenotipo Rh - è dovuto ad una delezione omozigote del gene D.
Se una donna Rh - concepisce un figlio Rh + (il padre sarà Rh +, + o Rh +, -) all’atto del parto la
commistione sanguigna porta alla produzione nella madre di anticorpi contro l’antigene D (sensibi-
lizzazione). Ad una seconda gravidanza, se il figlio è ancora Rh +, il sistema immunitario materno,
precedentemente sensibilizzato, attacca il feto attraverso la placenta con conseguente morte in utero
o eventale nascita con grave anemia emolitica (eritroblastosi fetale). Il problema può essere risolto
iniettando nella madre, al momento del parto, anticorpi anti-D, che eliminino le cellule fetali prima
che avvenga la sensibilizzazione del sistema immunitario materno).
127. Le mutazioni sono cambiamenti ereditari nella sequenza dei nucleotidi del DNA, alterazio-
ni permanenti del genotipo dovute a danni non riparati del DNA o anche conseguenti alla riparazio-
ne stessa.
Negli organismi unicellulari le alterazioni del genoma sono sempre trasmesse, negli organismi
policellulari, metazoi, le alterazioni si trasmettono solo se sono a carico della linea germinale (mu-
tazioni germinali).
Le alterazioni del DNA sono dovute a:
accoppiamenti anomali nella replicazione che originano transizioni, e cioè scambio di una base
pirimidinica con un altra o di una base purinica con un altra, o trasversioni, e cioè scambio di una
base pirimidinica con una purinica o viceversa;
agenti mutageni che possono essere radiazioni U.V., raggi X o raggi γ;
agenti chimici come l’acido nitroso, HNO2, oppure agenti metilanti di origine esogena o endogena.
Un organismo portatore di una mutazione viene definito mutante mentre quello che possiede il ge-
ne “normale” si definisce selvatico (wild type).
Le mutazioni del DNA possono essere di vari tipi.
Delezioni: comportano la perdita di funzione del gene a causa della sua assenza o della sintesi di
proteine tronche e si verificano durante la duplicazione o la ricombinazione.
Duplicazioni: possono alterare il quadro di lettura dell’mRNA o originare proteine instabili e so-
no sempre dovute a crossing over ineguali con delezione su di un cromosoma e duplicazione sull’al-
tro (emofilia A, distrofia muscolare di Duchenne...).
Inserzioni: dovute ad errori di replicazione o a trasposizioni all’interno di geni funzionali.
Inversioni: in cui una sequenza di DNA è ribaltata rispetto al suo normale allineamento.
Sostituzione di basi (mutazioni puntiformi): sono la causa più comune di mutazione e possono
essere transizioni o trasversioni.
Una mutazione in un gene può provocare una perdita di funzione (non si ha più il suo prodotto), una
diminuzione di funzione (l’espressione è ridotta e si ha una minor quantità del prodotto) o un guada-
gno di funzione (aumenta l’espressione del gene con aumento del prodotto) Può anche cambiare la
natura del prodotto che può avere una funzione nuova la quale può anche essere opposta a quella
del prodotto normale.
Una mutazione si dice silente (omonima) nel caso in cui modifichi la terza base di una tripletta in
modo tale che l’amminoacido codificato non vari.
Le mutazioni che causano la sostituzione di un amminoacido con un altro senza alterazioni del
quadro di lettura si dicono missense e possono, ma non necessariamente, modificare la funziona-
lità di una proteina alterandone i siti attivi o di riconoscimento oppure modificandone la struttura
quaternaria (la sostituzione di glutammato con valina nella 6a posizione della catena dell’α−globina
dell’emoglobina provoca anemia falciforme); sono dovute a mutazioni puntiformi anche la distro-
fia di Duchenne, la fenilchetonuria e la malattia di Tay-Sachs.
Le mutazioni che introducono codoni di stop si dicono non sense: a livello della traduzione porta-
no alla sintesi di proteine tronche non funzionali.
Le mutazioni frameshifts sono dovute all’inserzione, o alla delezione, di un numero di nucleotidi
che non sia multiplo di tre. Esse fanno variare completamente il quadro di lettura a valle della mu-
tazione, introducendo spesso codoni di stop.
Una mutazione si dice spontanea (dovuta ad errori di replicazione ed è la più importante nell’uo-
mo) se la sua insorgenza non dipende dalla presenza nell’ambiente di agenti mutageni, ed indotta
nel caso contrario.
Una retromutazione è una mutazione che, casualmente, corregge l’alterazione dovuta ad una muta-
zione precedente.
128. Le malattie genetiche, in ogni caso dovute all’interazione in varia misura di effetti genetici ed
ambientali, sono classificabili come:
a) cromosomiche: alterazioni nella struttura e/o nel numero dei cromosomi (sindrome di Down);
b) monogeniche o mendeliane: mutazione di un singolo gene (microcitemia, fibrosi cistica, emo-
filia...). Sono ulteriormente suddivisibili in autosomiche, X-linked ed Y-linked, e possono essere
dominanti o recessive; se dovute a più geni sono poligeniche.
c) multifattoriali: dovute all’effetto combinato di geni ed ambiente (labiopalatoschisi, cardiopatie,
diabete...);
d) mitocondriali: rare mutazioni nel cromosoma circolare dei mitocondri ereditato dalla madre
(patologie neuromuscolari).
129. Lo studio dell’albero genealogico di una famiglia permette di determinare il genotipo dei suoi
componenti, di stabilire la tipologia di un carattere o di una patologia ereditaria in essa ricorrente, di
individuarne la modalità di trasmissione e di fare previsioni sulla probabilità di una loro trasmissio-
ne alla progenie. Un albero genealogico viene rappresentato utilizzando la simbologia descritta di
seguito:
maschio e femmina in matrimonio; il maschio è deceduto;
I* la femmina è portatrice di un carattere X – linked

II figli in ordine di nascita; la figlia 2


. 1 2 3 4 5 manifesta il carattere; il sesso di 3
. non è noto; 4 è nata morta.
III
. gemelli monozigotici gemelli dizigotici
* I numeri a caratteri romani indicano le generazioni.

Le modalità di trasmissione ricorrenti di un carattere sono le seguenti.


Eredità autosomica dominante: è dovuta ad alleli rari, quasi mai in omozigosi ma presenti in ete-
rozigosi, in associazione con l’allele più frequente nella popolazione, il cosiddetto allele selvatico o
wild – type. Gli alleli dominanti più frequenti arrivano ad una frequenza di 1 : 1000 ed è quindi raro
un matrimonio tra due individui con la stessa mutazione. In generale si ha che:
ogni persona affetta dell’albero familiare deve avere almeno un genitore affetto,
il carattere generalmente non “salta” le generazioni,
un individuo affetto eterozigote, maschio o femmina, in media trasmetterà il gene mutato a metà
della progenie (siccome il carattere è piuttosto raro la norma sarà che l’eterozigote si accoppierà con
un omozigote nell’allele selvatico: aa × Aa → aA; aa; aA; aa).
Un albero genealogico esemplificativo di questa modalità di trasmissione è il seguente:
I
1 2

II
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

III
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
Gli individui che evidenziano il fenotipo del carattere, come I1, sono plausibilmente eterozigoti
(indicando con A l’allele dominante e con a quello selvatico: Aa) mentre quelli che non lo eviden-
ziano, come I2, sono sicuramente omozigoti nell’allele selvatico: aa.
Sono malattie autosomiche dominanti comuni l’ipercolesterolemia familiare, il rene policistico tipo
adulto, la corea di Huntington, la distrofia miotonica, la poliposi del colon, la cecità e la sordità.
Molte malattie autosomiche dominanti sono caratterizzate dalla pleiotropia: la mutazione del sin-
golo gene ha effetti fenotipici multipli.
Un carattere autosomico dominante può comparire in una famiglia per effetto di una nuova muta-
zione, non prevedibile, a livello dei gameti (un fattore di rischio è l’età paterna). Per i genitori il ri-
schio di avere un secondo figlio affetto sarà trascurabile in quanto conservano il genotipo selvatico
Eredità autosomica recessiva: l’omozigosi di caratteri recessivi può determinare nell’uomo ano-
malie e patologie più o meno gravi.
Le caratteristiche di trasmissione (in cui la consanguineità dei genitori è un fattore di rischio) sono:
la maggior parte degli individui affetti ha due genitori normali entrambi eterozigoti (la proba-
bilità che compaia il carattere è ¼: Aa × Aa → AA, Aa, Aa, aa);
da un omozigote affetto ed un omozigote normale non si hanno figli affetti: il carattere “salta” una
generazione: aa × AA → Aa, Aa, Aa, Aa;
se entrambi i genitori sono affetti tutti i figli manifestano il carattere: : aa × aa → aa, aa, aa, aa.
Un esempio di albero genealogico relativo potrebbe essere il seguente:

I
1 2 3 4

II
1 2 3 4 5 6 7 8, 9, 10

III
1 2 3 4 5 6 7

I1 è omozigote recessivo affetto, mentre I2 è eterozigote non affetto, portatore, altrimenti II2 non
potrebbe essere omozigote affetto. I3 e I4 sono entrambi eterozigoti non affetti, altrimenti II6 e II7
non potrebbero essere omozigoti affetti. Anche II4 e II5 sono, per i motivi già visti, eterozigoti non
affetti. Eventulmente dai dati si può calcolare inoltre la probabilità che un individuo che non evi-
denzia il carattere sia omozigote o eterozigote. Per esempio il maschio II1 è sicuramente eterozigo-
te, in quanto dai genitori I1, aa, e I2, Aa, si ha aa × Aa → Aa, Aa, aa, aa. Il maschio II5, invece i
cui genitori sono I3, Aa, ed I4, Aa, da cui Aa × Aa → AA, Aa, Aa, aa, avrà una probabilità 2/3 di
essere eterozigote.
Sono malattie autosomiche recessive la fibrosi cistica, la cecità e la sordità congenite, la fenilcheto-
nuria, la mucopolisaccaridosi e l’albinismo.
Tanto più rara è una malattia autosomica recessiva e tanto più il grado di consanguineità dei genitori
incide sul rischio di nascita di un figlio affetto.
. Tabella riassuntiva
Autosomica dominante Autosomica recessiva
Carattere espresso anche nell’omozigote Carattere espresso solo nell’omozigote
In media il 50% dei figli è affetto Il rischio per i figli è basso o trascurabile
Entrambi i sessi colpiti con gravità e frequenza uguale Entrambi i sessi colpiti con gravità e frequenza uguale
L’età paterna influisce sulle nuove mutazioni Importanza della consanguineità
130. Eredità recessiva X-linked (emofilia, daltonismo, distrofia muscolare di Duchenne): le muta-
zioni (oltre 400) legate al cromosoma X hanno in genere carattere recessivo manifestandosi quin-
di sempre nei maschi che ereditino l’allele mutato (i maschi, XY, non possono ovviamente essere o-
mozigoti nell’allele recessivo e vengono detti emizigoti). Indicando con Xh il cromosoma X su cui
si trova l’allele mutato si avrà, :
Xh X × XY XX × XhY
Xh X ♀ portatrice X Xh ♀ portatrice
h
X Y ♂ maschio affetto (emizigote) XY ♂ sano
h
X X ♀ omozigote XX ♀ portatrice
X Y ♂ sano XY ♂ sano
In una famigli la trasmissione legata all’X è caratterizzata da:
assenza di trasmissione da padre ammalato ai figli maschi;
tutte le figlie di padre emizigote sono eterozigoti per la mutazione;
i maschi normali non trasmettono mai la mutazione;
le femmine eterozigoti trasmettono la mutazione al 50% dei maschi ed al 50% delle femmine.
Alberi genealogici relativi alla trasmissione di un carattere X-linked.
YXh XX YX XXh

Eredità dominante X-linked. In questo caso le caratteristiche ricorrenti sono:


contrariamente a quanto visto per il caso dell’eredità recessiva i caratteri dominanti si manifestano
due volte più frequentemente nelle femmine che non nei maschi;
i maschi affetti trasmettono la mutazione a tutte le figlie e a nessun figlio;
i caratteri dominanti legati all’X tendono ad essere più variabili nelle femmine, in cui sia presente
un X normale, rispetto ai maschi.
Un albero genealogico esemplificativo di una trasmissione di un carattere dominante legato all’X è
il seguente:
YXH XX

XXH YX

L’eredità legata all’Y (oloandrica) è relativa ad un carattere che colpisce solo i maschi e che viene
da essi trasmesso a tutti e solo i figli maschi (orecchio peloso).
Tabella riassuntiva
Caratteristica X-linked recessivo X-linked dominante
Rapporto tra i sessi M >> F 2F:1M
Trasmissione Maschio → Maschio Mai Mai
Trasmissione Maschio → Femmina Tutte le figlie eterozigoti Tutte le figlie ammalate
Trasmissione Femmina → Femmina 50% figlie eterozigoti 50% figlie ammalate
Espressione nei maschi Omogenea Omogenea
Espressione nelle femmine Lieve Variabile
Ricordiamo infine che, nell’uomo, i geni del mit-DNA (DNA mitocondriale) nell’uomo sono tra-
smessi solo in linea femminile, in quanto i mitocondri dello spermatozoo non entrano nell’uovo e
non sono, quindi, presenti nello zigote.
131. La regolazione dell’espressione genica, importante sia a livello della funzionalità della cellu-
la che del suo differenziamento si esplica a vari livelli.
Trascrizione: per iniziare la trascrizione di un gene la RNA polimerasi deve legarsi ad una sequen-
za nucleotidica a monte del gene da trascrivere, promotore; molecole proteiche dette fattori di tra-
scrizione, TF, possono legare il promotore di un gene stimolandone oppure inibendone la trascri-
zione; taluni TF legano sequenze di DNA lontane dai geni la cui trascrizione deve essere amplifica-
ta (regioni enhancers) le quali interagendo con il sito promotore aumentano il processo sino a 100
volte rispetto al livello basale. Le sequenze silencers funzionano analogamente a quelle enhancers
ma con effetto opposto. Mentre nei procarioti la metilazione del DNA ha la funzione di proteggerlo
dall’attacco delle endonucleasi di restrizione mirate al DNA virale dei fagi, negli eucarioti ha invece
la funzione di reprimere la trascrizione del DNA. La trascrizione è poi regolata dall’impaccamento
del DNA che lo rende trascrivibile, eucromatina, o meno, eterocromatina.
Va ricordato che, nelle cellule umane femminili, uno a caso dei due cromosomi X non è trascrivi-
bile in quanto è strettamente impacchettato a dare un corpo di Barr. Tale processo, Lyonizzazione, è
necessario in quanto i prodotti dell’espressione dei geni di due cromosomi X avrebbero effetti
dannosi sulla cellula (ovviamente all’atto di un’eventuale mitosi, o meiosi, il corpo di Barr si de-
compatta).
Maturazione: l’espressione di un gene è regolata dal modo in cui si realizza lo splicing alternativo
dell’m-RNA.
Traduzione: a questo livello i fattori di controllo consistono nella localizzazione intracellulare
dell’m-RNA e nella sua longevità; quest’ultima dipende dalla coda di poli-A cui si lega una protei-
na che da un lato protegge la porzione traducibile dell’m-RNA dall’azione delle nucleasi e dall’altro
determina il tempo di degradazione della coda stessa: all’esaurirsi della coda di poli-A si ha perdita
del cap-5’ e successiva, e veloce, degradazione dell’m-RNA.
Post-traduzione: le proteine tradotte hanno un turnover dipendente dalla loro sequenza N terminale
e dal legame con la molecola proteica ubiquitina che le indirizza ad un complesso di proteasi (pro-
teasoma) che ne provoca la degradazione.
132. L’analisi e la manipolazione del DNA è notevolmente semplificata dalla possibilità di utilizza-
re una classe di enzimi presenti nei batteri, le endonucleasi di restrizione, ogni tipo delle quali è in
grado di attaccare il DNA in un punto altamente specifico caratterizzato da una sequenza palindro-
me. Una palindrome è una parola, un numero o una frase che si legge nello stesso modo da sinistra
a destra e viceversa (per esempio, ANNA). Negli acidi nucleici è una sequenza in cui le coppie di
basi si leggono nello stesso modo sulle due eliche complementari, in direzione 5'-3'.
Per esempio: 5'-GAATTC-3' e, nel filo complementare, 3'-CTTAAG-5'.
Trattando un DNA con uno di tali enzimi si ottiene un insieme di frammenti con estremità “adesi-
ve” o nette. Nei batteri le endonucleasi hanno la funzione di distruggere il DNA virale, o quello di
altre specie di batteri, che sia entrato nella cellula per trasformazione: non attacca il DNA del bat-
terio stesso in quanto le sequenze palindrome riconoscibili dai suoi enzimi di restrizione sono
assenti oppure sono metilate).

5’- G – G – C – C - -G–G C–C-


Hae III* +
3’- C – C – G – G - 1/4 4 = 1/256 -C–C G–G-.
5’- G – A – A – T – T – C - -G A–A–T–T–C-
Eco RI +
3’- C – .T – T – A – A – G - 1/46 = 1/2048 - C – .T – T – A – A G-
* Le endonucleasi vengono denominate in funzione del batterio di origine (Haemophilus
influentiae, Escherichia coli).
La lunghezza dei frammenti dipende dal numero dei nucleotidi della sequenza palindroma in quan-
to, se esso cresce, diminuisce la probabilità che la sequenza sia casualmente presente nel DNA (la
probabilità è pari a P = 1/4n, e quindi aumenta la lunghezza dei frammenti ottenuti.
L’uso delle endonucleasi permette di clonare, e cioè di riprodurre in un gran numero di copie identi-
che, un frammento di DNA, ed ha lo scopo di facilitarne l’isolamento ed il riconoscimento.
Il modo più semplice consiste nell’introdurre il frammento in un batterio tramite un plasmide (vet-
tore di clonaggio) che il batterio replicherà insieme al suo DNA.
Un plasmide utilizzabile deve presentare un’origine di replicazione, un sito di taglio per una endo-
nucleasi di restrizione per inserire il frammento ed un gene che impartisca ai batteri trasformati una
caratteristica (eg. resistenza ad un antibiotico) che li renda isolabili.
Il DNA ed il plasmide si trattano con la stessa endonucleasi di restrizione, in modo che in seguito al
taglio i frammenti ed il plasmide “aperto” presentino estremità “adesive”.
Si mescolano frammenti e plasmide in modo tale che le estremità si appaino e si saldano le estremi-
tà tramite una ligasi.
Il plasmide modificato si aggiunge al batterio da trasformare, in condizioni che favoriscano tale
processo e si riconoscono e si isolano i batteri trasformati (1/106) per la loro resistenza all’antibio-
tico. I batteri si coltivano per clonare il DNA che viene infine ricuperato per lisi dei microrganismi,
successiva estrazione del plasmide, suo taglio con l’enzima di restrizione precedentemente utilizza-
to e recupero dei frammenti.
Oltre che in vivo il DNA può essere clonato anche in vitro usando la tecnica della PCR (polymera-
se chain reaction), che consente di replicare selettivamente e in notevole quantità, miliardi di co-
pie, una data sequenza nucleotidica a partire da qualsiasi DNA che la contenga.
La tecnica della PCR si utilizza per clonare direttamente un particolare frammento di DNA per dia-
gnosticare infezioni virali in fase molto precoce o in fase di remissione e per caratterizzare un indi-
viduo (medicina forense).
Sito di
Vettore restrizione
plasmidico
Taglio del
plasmide
Siti di
restrizione

gene che impartisce


resistenza all’anti- gene
biotico
Taglio del DNA con la
stessa endonucleasi

frammento di
DNA

Appaiamento DNA/ vettore

Si tratta con DNA ligasi che


salda vettore e DNA

Vettore ricombinante

Preparazione di un vettore plasmidico ricombinante

L’uso di vettori plasmidici, o virali, consente di inserire nel genoma di un batterio, e non solo, geni
che esso non possiede, consentendo quindi di ottenere cellule capaci di sintetizzare in grandi quanti-
tà molecole di interesse (insulina). Organismi di questo tipo, il cui DNA modificato è definito DNA
ricombinante, sono organismi geneticamente modificati, OGM.
133. Si ha associazione, o concatenazione, di geni qualora particolari loci genetici, o alleli, venga-
no ereditati insieme. Geni che si trovino sullo stesso cromosoma sono fisicamente connessi e tendo-
no a segregare insieme durante la meiosi. Sono geni sintenici o in linkage).
Le forme alleliche di un dato gene che si trovino su differenti cromosomi non sono associati a causa
della segregazione indipendente durante la meiosi.
A causa del crossing over alleli sullo stesso cromosoma possono separarsi e finire in cellule figlie
diverse. Ciò sarà tanto più probabile quanto più gli alleli siano lontani sul cromosoma, perchè la se-
parazione fisica aumenta la probabilità che il crossing over li separi.
La distanza relativa tra due geni può essere calcolata esaminando la discendenza di un organismo
che evidenzi due caratteri genetici associati e determinando la percentuale di casi in cui i due carat-
teri non sono associati, percentuale di ricombinazione. Tanto maggiore la percentuale di discendenti
che non evidenziano entrambi i caratteri, ricombinanti, e tanto più lontani essi saranno sul cromo-
soma. Viene definita unità di mappa genetica (m.u.) o centimorgan la distanza tra due geni per la
quale uno su 100 dei prodotti meiotici è un ricombinante. In altri termini una frequenza di ricombi-
nazione (RF) dell’1% equivale ad 1 centimorgan. La misura delle frequenze di ricombinazione
consente di risalire alla distanza relativa di un serie di geni, o che è lo stesso, di loci su di un cromo-
soma e quindi di realizzarne la mappatura.

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