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Dottorato di ricerca in Storia e Analisi delle Culture Musicali 21° ciclo

LA CATALOGAZIONE DEI MANDOLINI

Tesi di dottorato di
Bruno Terranova

Coordinatore del dottorato Tutor


prof. Giovanni Giuriati prof. Franco Piperno
Definizione e descrizione sono attendibili
soltanto se basate su una terminologia logica e coerente
(Curt Sachs)
INTRODUZIONE 4

PARTE PRIMA 9

LA CATALOGAZIONE DEI BENI CULTURALI 10


LA DEFINIZIONE “STRUMENTO MUSICALE DI LIUTERIA” 17

PARTE SECONDA 20

IL MANDOLINO 21
Voci generali 39
Specificazioni geografiche 41
Specificazioni storiche 48
Voci stilistiche 50
LE ORIGINI DEL PROBLEMA TERMINOLOGICO 53

PARTE TERZA 61

LA CATALOGAZIONE INFORMATICA DEI MANDOLINI 62


REALIZZAZIONE DELLA SCHEDA 66
Livello 1 – Strumento 67
Livello 2 - Cassa di risonanza 71
Livello 2 – Manico 84

CONCLUSIONI 86

APPENDICE: GLI STRUMENTI DEL MUSEO NAZIONALE DEGLI STRUMENTI MUSICALI DI ROMA 90

BIBLIOGRAFIA 116
Introduzione

Il presente studio non intende proporsi come analisi organologica esaustiva e


completa di uno strumento solo apparentemente ben conosciuto e popolare come
il mandolino, ma vuole portare un contributo alla semplificazione terminologica e,
al tempo stesso, offrire un supporto a chi debba svolgere una catalogazione
museale specifica.
Per comprendere appieno il problema e le esigenze della catalogazione, non si
può prescindere dall’ esame del contesto legislativo. La prima parte della ricerca è
stata quindi dedicata all’attuale collocazione degli strumenti musicali nella
normativa museale e il loro rapporto con la definizione di beni culturali. Gli
strumenti musicali si trovano attualmente privi di un indirizzo unico e chiaro per
le politiche di conservazione e catalogazione, e le indicazioni dell’Istituto Centrale
per il Catalogo e la Documentazione (da ora in poi ICCD) non forniscono ancora
un modello di riferimento. Solo per la catalogazione degli organi liturgici si è
finalmente adottato, ad ottobre 2008, il modello unico denominato SM-O (scheda
Strumenti Musicali – Organi). Le prime richieste specifiche in tal senso furono
avanzate già negli anni ’70 dal Museo degli Strumenti Musicali di Roma: la
scheda OA (Opera d’Arte), ancora attualmente in uso per le collezioni di
strumenti musicali, non ne prevede la descrizione delle caratteristiche funzionali,
limitandosi quindi ad una descrizione estetica. Tale scheda ha comunque
l’indubbio merito di consentire un’identificazione certa dell’oggetto catalogato.
Di fianco alla necessità di stabilire e redigere un nuovo modello di scheda per
quelli che qui saranno definiti come strumenti musicali di liuteria, un altro e più
basilare problema si presenterà a chi dovrà occuparsi della catalogazione dei
mandolini: la terminologia di riferimento.
Il mandolino è a tutt’oggi uno dei principali simboli dell’italianità; o meglio,
di una certa idea di italianità. La sua immagine di strumento popolare nasce e si
sviluppa nel XIX secolo, quando il mandolino ha già una lunga storia alle spalle.

4
Le sue origini sono incerte, anche se gli attuali studi ne collocano al XVII sec. le
prime attestazioni certe1. Il problema terminologico si presenta subito dinanzi al
ricercatore: per il XVII sec. i termini mandola e mandolino sono infatti
intercambiabili, e il secondo non si riferisce ad una riduzione del primo. Per
questo periodo storico, entrambi i nomi indicano uno strumento simile al liuto (e
spesso confuso con questo) ma di più piccola taglia, dotato generalmente di
cinque o sei cori di corde doppie in budello, pizzicate con le dita. Eppure, alla
parola mandolino, non è questo lo strumento al quale si pensa: il pensiero corre
più facilmente verso il modello più comune, dotato di 4 cori di corde doppie in
metallo, pizzicate con il plettro. Le differenze tra i due strumenti sono sostanziali,
e riguardano la storia, la tecnica esecutiva, il processo costruttivo, la diffusione
geografica, il repertorio. Si tratta, in pratica, di due strumenti differenti il cui
unico tratto comune sembrerebbe essere il nome. Questa singolare situazione ha
avuto come esito la moltiplicazione degli attributi individuanti, basati su
distinzioni geografiche (si parla quindi di mandolino milanese, lombardo,
napoletano, romano, ecc.), storiche (barocco, classico, ecc.) o stilistiche (con
riferimento anche a singoli liutai capiscuola, come Luigi Embergher, la famiglia
Vinaccia, Raffaele Calace solo per citare i più celebri). Una selva di definizioni a
volte ridondanti o poco indicative alle quali si sono aggiunte nei secoli numerose
varianti, con alterne fortune. Più semplice, anche se non priva di ambiguità, si
rivela la terminologia relativa alle singole parti costitutive o accessorie.
Risalire ai modelli base, e al contempo ordinare per relazioni gerarchiche le
componenti dello strumento, consente di redigere una descrizione completa e
strutturata.
Tale metodologia di lavoro è espressamente pensata per la sua applicazione
con sistemi informatici, in quanto l’applicazione di una terminologia il più
possibile univoca e la strutturazione del processo di raccolta dei dati consentono
di adattare il livello di dettaglio al grado di competenza del catalogatore. Questi

1
Il termine mandola appare in Italia per la prima volta nella descrizione degli intermezzi composti
da Cristoforo Malvezzi per la commedia “La Pellegrina” di Girolamo Bargagli, la quale nel 1589
ebbe la sua prima recita in Firenze per le nozze del Granduca Ferdinando I de’ Medici con Cristina
di Lorena.

5
potrà infatti contare su una serie di termini già disponibili, corredati da descrizioni
dettagliate e da immagini esplicative, che lo guideranno nelle fasi della raccolta
dei dati, lasciando però al catalogatore esperto la libertà di compilare anche campi
a testo libero e non vincolati.
L’urgenza di questo studio è stata dettata dalla mia personale esperienza
all’interno del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma, istituzione
che «si presenta come il più ricco e significativo museo organologico italiano,
degno quindi del titolo di “museo nazionale”» [MEUCCI 1996] e presso la quale è
conservata una consistente raccolta di mandolini (74 conservati nel deposito privo
fino ad ora di un impianto di climatizzazione2, e 15 esposti nelle sale aperte al
pubblico), in condizioni di conservazione allarmanti. Nella realtà,

il museo degli strumenti musicali, non è stato mai fondato:


giuridicamente il suo status è quello di “Deposito” di beni
appartenenti alla Soprintendenza per i beni artistici e storici di
Roma. Né tanto meno esso è Nazionale: era questo un ardente
desiderio della Prof.ssa Cervelli, “materializzato” sulle insegne
turistiche. Il desolante panorama culturale in cui è inserito il
Museo, vede l’impossibilità di restaurare gli strumenti sia nei
locali delle palazzine del Museo che in quelli dell’Istituto
Centrale per il Restauro [comunicato stampa di Italia Nostra del
16/12/2002, riportato in COSTA 2006, pag. 28]

Nello stesso dossier, Italia Nostra riporta la seguente dichiarazione di Oscar


Muschiati:

2
Le temperature superano di frequente i 30 gradi durante il periodo estivo nelle sale al secondo
piano, con notevoli sbalzi di umidità. E la situazione è ancora peggiore per gli strumenti conservati
nelle sale al piano terra. I lavori per la climatizzazione del secondo piano, avviati da tempo (ed
effettuati senza spostare gli strumenti, coperti solo con dei teli ed esposti quindi ai rischi di un
cantiere), sono stati finalmente conclusi.

6
Né la situazione può dirsi migliore nella gestione
dell’immenso patrimonio di strumenti musicali del nostro paese
per alcuni settori, anzi - strumenti a tastiera (clavicembali,
fortepiani ecc.), a fiato, ad arco, a percussione, della tradizione
popolare (zampogne, launeddas ecc.) non siamo nemmeno
all'anno zero. Non esistono infatti, a livello ufficiale, modelli di
scheda descrittiva, direttive sia pur minime che regolamentino
la conservazione, il restauro, la fruizione (quando essi siano
raccolti in museo). [IDEM, s.n.p.]

La posizione della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Romano,


dalla quale il Museo dipende, è esplicita:

La prof.ssa Antonelli Carandini [ndr direttrice di Italia


Nostra] definisce la situazione del Museo Strumenti Musicali
disastrosa. Ciò che non è. Il Museo è aperto al pubblico, con
orari lunghi […], ha un’intensa attività culturale […], il primo
piano è sempre aperto […].
Il secondo argomento proposto dalla Antonelli Carandini è
che il Museo non è mai stato giuridicamente fondato in quanto il
suo status è quello di Deposito e non è Nazionale. Ciò risulta
anche a me.
Il terzo argomento è che vi è l’impossibilità di restaurare gli
Strumenti […]. In realtà nella palazzina Samoggia c’è un
magazzino adibito anche a Laboratorio di restauro dove lavora
infaticabilmente da anni un restauratore specializzato, Pietro
Patacchiola, che ha restaurato innumerevoli strumenti e li cura
con straordinaria attenzione. Il problema vero è che questo unico
addetto a breve andrà in pensione e non c’è chi possa sostituirlo
degnamente. [comunicazione del soprintendente Claudio Strinati
del 29/01/2003 in IDEM, pagg. 38-39]

7
Meraviglia non poco la convinzione che un unico restauratore (qualificato o
no) possa occuparsi del restauro di una collezione tanto varia quanto quella
romana. Dal 2004, inoltre, la seconda palazzina (che ospitava la camera per i
trattamenti antitarlo) è stata affidata in project financing per il trasferimento del
Dipartimento per lo Spettacolo e lo Sport. Il Museo ha così recentemente perso
anche la camera termobarica, qui ospitata.
Questa situazione rende necessario e urgente un intervento volto alla
conservazione del patrimonio culturale ivi custodito. Attraverso un percorso volto
a definire una terminologia e una metodologia di riferimento per lo studio e la
catalogazione dei mandolini, si è pensato di offrire un contributo alla salvaguardia
e alla conoscenza del patrimonio conservato nel Museo romano.

8
PARTE PRIMA
La catalogazione degli strumenti musicali di liuteria

9
La catalogazione dei beni culturali

La più recente definizione a termini di legge di “beni culturali” è rintracciabile


nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (DL 22 Gennaio 2004, n.423) art.10,
comma 2, lettera d:

Le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che


rivestono un interesse particolarmente importante a causa del
loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura,
dell’arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze
dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o
religiose.

La definizione proposta dalla Commissione Franceschini nel 1964 definisce


come “beni culturali” ogni «bene che costituisca testimonianza materiale avente
valore di civiltà» 4 . Le due caratteristiche individuate con questa sintetica
definizione sono quindi la “materialità” del bene (e quindi i pensieri, le parole, le
riflessioni, ecc. si considereranno “beni culturali” solo se raccolti ed espressi in
libri, quadri, edifici, spartiti o altro, cioè fissati e materializzati) e il suo valore di
“testimonianza di civiltà”. Quest’ultimo è un concetto complesso (sicuramente
meno evidente del primo): non tutto quello che intendiamo come “bene culturale”
è stato originariamente pensato come tale, né questa caratteristica sarà sempre
storicamente condivisa. Questo è valido soprattutto per il patrimonio
demoetnoantropologico, formato in larga parte da oggetti che per loro natura non
posseggono quel carattere di unicità caratteristico dei beni culturali per eccellenza,
le opere d’arte. Tali oggetti diventano “beni culturali” poiché costituiscono
“testimonianza” di una civiltà.

3
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2004, n.45 e disponibile all’indirizzo web:
http://www.governo.it/ GovernoInforma/Dossier/beni_culturali_paesaggistici/Codice2004.pdf
4
Commissione parlamentare mista per la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico,
artistico e paesaggistico, presidente on. Francesco Franceschini, istituita con L. 23/4/1964 –
Relazione finale: “Per la salvezza dei beni culturali in Italia”)

10
Gli strumenti musicali sono generalmente inseriti nella lista dei beni
demoetnoantropologici, e hanno come questi sofferto un lungo periodo di “oblio”
istituzionale. Questa tipologia è l’ultima riconosciuta nel campo dei beni culturali,
e questo riconoscimento

è il frutto di un’evoluzione culturale relativamente recente


che ha preso atto dell’imprtanza dei prodotti materiali delle
civiltà […]. In Italia […] l’interesse, soprattutto negli ultimi
anni, si è concentrato sulla raccolta e sullo studio delle
testimonianze materiali di culture e modi di vita in via di
scomparsa […] propri della nostra civiltà. [BALDACCI 2004, pag.
129]

In realtà, come vedremo più in dettaglio in seguito, il posizionamento degli


strumenti musicali all’interno del variegato mondo dei beni culturali non è così
univoco: l’attuale sistema di catalogazione ministeriale, ad esempio, applica a
questi il modello di scheda OA (opere e oggetti d’arte) e non la scheda BDM
(beni demoetnoantropologici materiali). Il dibattito su questo argomento è ancora
aperto, come testimoniato anche dal recente seminario tenutosi a Cremona5.
A parte queste differenze, i prodotti dell’arte liutaria rientrano senza dubbio
nella definizione di beni culturali in quanto appartenenti alla generica categoria
degli strumenti musicali e, oltre a testimoniare una specifica pratica costruttiva,
sono da sempre uno dei simboli della cultura musicale italiana. In quanto beni
culturali, gli strumenti musicali di liuteria hanno diritto alla loro tutela, come
sancito dall’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo

5
«Presentazione della scheda SMO (Strumenti Musicali Organi) - Verso la definizione delle
schede degli altri strumenti musicali», seminario tenuto a Cremona il 19 e 20 marzo 2009. Il
programma del seminario consultabile online all’indirizzo web:
http://musicologia.unipv.it/organizzazione/conferenze/conf07-08/programma_mauri.pdf
Inoltre, il Centro Regionale per l'inventario, la catalogazione e la documentazione dei Beni
Culturali ed Ambientali della Regione Sicilia sta da tempo lavorando alla stesura di un modello
unico di scheda per gli strumenti musicali, basati sul modello BDM.

11
della cultura e della ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico
e artistico della nazione». I principi di tutela e conservazione sono quindi applicati
non solo al “paesaggio” ma anche alle testimonianze del passato. Per tutela si
intende

l’insieme di azioni (prescrizioni, misure e interventi) che la


società dispone al fine di garantire la conservazione e il pubblico
godimento di quei beni ritenuti tali da costituire il patrimonio
culturale della società stessa. [CORTI 2003, pag.5]

La catalogazione dei beni culturali, in quanto rilevamento sistematico, è


necessaria e preliminare a qualunque applicazione dei principi di conservazione e
di tutela; assume quindi «precisi connotati di servizio in funzione della
conoscenza, protezione, e difesa del patrimonio» [IDEM, pag.8].
L’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD, nato nel 1975
dall’accorpamento dell’Ufficio centrale per il catalogo e la documentazione, del
Gabinetto Fotografico Nazionale e della Aerofototeca) è l’organismo statale
incaricato di stabilire i programmi comuni relativi alla catalogazione e alla
conservazione, in accordo con l’Istituto centrale per il catalogo unico delle
biblioteche italiane, l’Istituto per la patologia del libro e l’Istituto centrale per il
restauro. In particolare, l’ICCD

esplica funzioni in materia di catalogazione e


documentazione dei beni culturali di interesse archeologico,
storico-artistico e ambientale e, fra le altre, in particolare: a)
elabora programmi di catalogazione generale dei beni
fissandone la metodologia; b) promuove e coordina l’attività
esecutiva di catalogazione e di documentazione e ne cura
l’unificazione dei metodi; c) costituisce e gestisce il catalogo
generale dei beni di cui sopra; d) cura le pubblicazioni inerenti
alle attività di cui alle lettere precedenti; e) cura i rapporti con
istituzioni straniere, pubbliche e private, e con organismi

12
internazionali interessati alla catalogazione e documentazione
dei beni culturali. 6

Nell’ordinamento interno dell’Istituto è inoltre esplicito il riferimento all’uso


delle nuove tecnologie per la gestione automatizzata dei dati7 . In quest’ottica,
l’esperienza delle prime campagne di rilevamento e catalogazione degli anni ’80
ha spinto l’Istituto verso il «completamento e razionalizzazione del sistema
informativo centrale del Ministero per i beni culturali e ambientali»8.
Per “razionalizzazione del sistema informativo centrale” si intende
l’armonizzazione del formato dei dati raccolti e l’adozione di un software unico
per il loro trasferimento e la successiva conservazione.
La razionalizzazione (così intesa) dell’intero processo di raccolta dati e
catalogazione richiede un accurato studio preliminare sulla terminologia di
riferimento, per la definizione di thesauri specifici e condivisi per ogni ambito dei
beni culturali. Specifici, in quanto a termini uguali possono corrispondere (e
corrispondono spesso) oggetti o sezioni di oggetti differenti; condivisi, poiché la
terminologia in uso è soggetta a variazioni sia geografiche, sia storiche 9 . La
definizione della terminologia di riferimento è propedeutica allo studio
organologico così come ad una campagna di catalogazione: la sua centralità e
imprescindibilità è espressa con chiarezza nello schema proposto da Emsheimer e
Stockmann nel 1967. Tale struttura è alla base del progetto del “Manuale degli
strumenti musicali europei” e prevede sei fasi per la realizzazione di uno studio
organologico completo10:

1. Terminologia (denominazione degli strumenti e delle


parti che li compongono)

6
D.P.R. del 3 dicembre 1975 N. 805, Pubblicato nella Gazzetta ufficiale 27 gennaio 1976, n. 23
7
D.M. 20 luglio 1977, Ordinamento interno dell’Istituto centrale per il catalogo e la
documentazione.
8
Legge n.145 del 10 febbraio 1992, Interventi organici di tutela e valorizzazione dei beni culturali
9
Per un esempio di studio in tal senso si veda GATTA 2000.
10
Riportato in GUIZZI 2002, pag. XXV (tratto da EMSHEIMER e STOCKMANN 1967).

13
2. Ergologia e tecnologia (il processo costruttivo)
3. Potenzialità musicali e tecnica esecutiva
4. Repertorio
5. Uso e ruolo sociale
6. Profilo storico e diffusione geografica

D’altra parte, l’indagine organologica è necessaria alla costruzione della


scheda catalografica specifica:

Nella ormai acquisita coscienza della significatività di ogni


attestazione dell’eredità trasmessaci, cioè di ogni bene culturale,
non è comunque possibile applicare i principi di conservazione e
tutela senza una preliminare indagine conoscitiva. [CORTI 2003,
pag. 8]

Ne consegue quindi che l’individuazione di una terminologia specifica e


condivisa (nel senso precedentemente descritto) risulta imprescindibile sia per la
realizzazione di un catalogo dei beni culturali (in quanto alla base della tutela), sia
per lo studio organologico.
La costruzione di tale riferimento terminologico richiede senza dubbio una
conoscenza profonda dell’oggetto di studio e del suo contesto: nel nostro caso,
questo richiede di chiarire e sciogliere una serie di dubbi sull’attribuzione del
titolo di strumenti musicali di liuteria ad una categoria di strumenti eterogenea, e
in particolare del nome mandolino ad una famiglia di strumenti non ancora
interessata da studi sistematici e non ancora universalmente riconosciuta come
omogenea.
E’ inoltre indispensabile un costante riferimento al fine ultimo di tale studio,
cioè la costruzione di un sistema di raccolta dati specifico per quelli che sono qui
identificati, appunto, come strumenti musicali di liuteria – mandolino. Tale
sistema dovrà avvalersi delle più moderne tecnologie informatiche. Attraverso la
costruzione e l’uso di database informatici è infatti possibile ottenere delle schede
catalografiche duttili e aperte, che permettano sia la descrizione dell’oggetto, sia

14
di ricavare una sorta di stratigrafia culturale, cioè di ricollocare nei tempi e negli
spazi gli oggetti catalogati. Si possono creare basi di dati standardizzate e
interscambiabili per permettere la ricostituzione di collezioni disperse o avere un
quadro d’insieme che oltrepassi il singolo patrimonio museale.
La discussione sulla digitalizzazione dei beni culturali è avviata da tempo11,
con l’intento di produrre delle sorta di copie o duplicati su supporto elettronico da
far visitare su uno schermo. Questo primo risvolto “ludico” nasconde in realtà dei
caratteri conservativi e di tutela nel senso più proprio del termine, in quanto
consente la gestione ottimale delle esposizioni pur mantenendo visibile (anche se
virtualmente) tutto il patrimonio di un museo.
Il primo grande problema da affrontare per la progettazione di un database
riguarda la selezione delle tipologie di dati da inserire nelle schede catalografiche.
Questa selezione implica l’esclusione di altri parametri che potrebbero essere utili
ai fini di una successiva suddivisione tipologica. Con questa finalità si procederà
ad una formalizzazione delle esigenze di ricerca e di studio di una fascia di utenza
specialistica, studiandone in seguito la risposta per individuarne i metodi di
lavoro, ottenendo così una classificazione o graduatoria delle chiavi di ricerca,
delle quali tenere conto nella ridefinizione del modello 12.
Una accurata selezione dei parametri deve essere affiancata da una altrettanto
oculata scelta del software da utilizzare: l’informatica soffre infatti di una
obsolescenza immediata dei prodotti utilizzati, sia software che hardware. L’unica
soluzione possibile per mantenere inalterata la leggibilità e l’utilizzabilità dei dati
raccolti anche nel medio e lungo periodo è rappresentata dall’utilizzo di prodotti
commerciali o open source già disponibili sul mercato, i quali garantiscano sia

11
Si vedano in proposito CORTI 2003, pp. 67-110 e la relativa bibliografia, nonché BALDACCI, V.
2004, pp. 123-192. Per una trattazione più esaustiva si vedano TRANT 2005; Archives & Museum
Informatics, atti del convegno Museums and the Web 2007, su
http://www.archimuse.com/mw2007/speakers/index.html; BALDACCI 1988; FLORIS E GIACOMELLI,
(a cura di) 1998; FINICELLI E SBRILLI 2002,
12
Si prenda ad esempio l’indagine preventiva condotta in collaborazione dal Getty Art History
Information Program e Research in Information and Scholarship della Brown University: Object,
Image, Inquiry: The Art Historian at Work, Oxford 1995, Oxford University Press.

15
l’aggiornamento continuo, sia strumenti per il trasporto dei dati con importazione
ed esportazione dell’archivio in formati standard. Sarà inoltre condizionante, nella
scelta del software di base, la possibilità di una pubblicazione online come
applicazione web dinamica. In questo modo sarà possibile l’interrogazione dei
dati, la costruzione di relazioni e il trasporto delle informazioni senza i limiti
imposti dall’architettura classica di un sito web.
Superate le prime due difficoltà, bisognerà procedere alla realizzazione
effettiva del software di catalogazione e alla sua verifica attraverso una prima
campagna raccolta.

16
La definizione “Strumento musicale di liuteria”

La necessità di una definizione tipologica e terminologica il più possibile


completa ed esaustiva, per quanto riguarda la liuteria, è sentita ed espressa da più
parti. Gli strumenti ad arco hanno da sempre beneficiato di una particolare
attenzione da parte sia del mondo accademico che di studiosi legati al
collezionismo o alla costruzione 13 . Lo stesso non può dirsi degli strumenti a
pizzico e a plettro; sono rintracciabili numerosi studi sulla chitarra14 (ma nulla di
numericamente paragonabile alla letteratura sul violino), ma poco spazio è stato
finora dedicato ad altri strumenti meno celebri. E’ ancora molto
diffusa la tendenza a raccogliere in un’unica tipologia i diversi
modelli di mandolino rintracciabili o, al contrario, ad esagerarne
la distinzione. Non è raro imbattersi nell’esito più evidente di
questa confusione, ad esempio scorrendo le descrizioni degli
strumenti musicali conservati nei musei, o anche parlando con
commercianti, liutai o musicisti. A titolo di esempio, il National
Music Museum dell’università del South Dakota , negli Stati
Uniti15, possiede alcuni pregevoli esemplari (tra i quali anche il
celeberrimo mandolino coristo di Antonio Stradivari, uno dei due
soli esemplari superstiti), definiti come mandolino genovese,
lombardo o senese, per poi ricorrere al più semplice mandolin per
descrivere due strumenti tra loro estremamente diversi, un
Francesco Presbler, costruito a Milano nel 1680 (inventario NMM

Figura 1 - 3435) e un Antonio Vinaccia, napoletano, del 1772 (inventario


mandolino
milanese di P.A. NMM 10006). Può sembrare un problema marginale, ma la
Gavelli, Perugia
1690 (Victoria and comune attribuzione alla generica categoria mandolin produce
Albert Museum,
Londra) un’identificazione assolutamente errata dei due strumenti,

13
Si veda per questo la ricca bibliografia pubblicata nel volume di Boyden D. D., Monosoff, S.,
Schwarz, B. et al., Gli archi, Milano 1995, Ricordi, pagg. 270-284
14
Ad es.: RADOLE 1997, CHIESA 1990, TURNBULL1974
15
Il catalogo è consultabile online all’indirizzo web http://www.usd.edu/smm/

17
differenti tra loro per epoca storica, origine, repertorio, tecnica costruttiva e
tecnica esecutiva.
Il catalogo del Victoria and Albert Museum di Londra riporta
la semplice denominazione mandolin per il notevole esemplare
in loro possesso, costruito da Pietro Antonio Gavelli nel 1690 a
Perugia (inv. n. 504-1868, fig.2), per poi definirlo più
precisamente Milanese nella descrizione dettagliata. La stessa
tipologia di strumento viene a volte denominata Pandurina, e
attribuita all’area romana. Se ne può vedere un pregevole
esemplare in un recente catalogo della casa d’aste Bloomsbury di
Roma16(fig.2). La pandurina è inoltre associata alla famiglia dei
liuti.
Per ottenere una soddisfacente suddivisione delle famiglie
Figura 2 - strumentali, è necessario chiarirne caratteristiche distintive e
Pandurina
romana attribuita possibili varianti. Ma se per la definizione delle sottocategorie è
a G. Smorsone,
Roma, prima necessaria l’analisi delle differenze, per la chiarificazione del
metà del XVIII
sec. concetto di “strumento musicale di liuteria” è invece necessario
definire e descrivere i tratti comuni alle diverse famiglie
organologiche che vogliamo raccogliere sotto questa definizione comune.
Con il termine liuteria ci si riferisce ad una quantità di tipologie di strumenti
molto varia in quanto a caratteristiche tecniche ed evoluzione storica; sarà quindi
utile avviare l’indagine partendo dalla definizione delle caratteristiche salienti
delle tipologie strumentali da sottoporre a catalogazione.
Si è scelta l’espressione strumenti musicali di liuteria in riferimento alla
definizione della categoria Liuti proposta da Curt Sachs:

Liuto. Si compone d’una cassa e di un manico che espleta la


funzione vera e propria di un manico da impugnarsi e anche
quella di permettere che le corde proseguano oltre la cassa.

16
Il catalogo dell’asta è pubblicato all’indirizzo web
http://roma.bloomsburyauctions.com/detail/ROMA-12/109.0

18
Nella maggior parte dei casi le corde sono tastate. Se vengono
sfregate con un arco, allora lo strumento si dice liuto ad arco. La
cassa di un liuto era originariamente il guscio di un frutto e ha
preservata una forma a guscio, rotondeggiante o convessa, che a
volte era ricavata intagliandola tutta intera, altre volte era
composta di sottili liste come nel liuto moderno. Solo in uno
stadio recente, le casse vennero costruite basse e piatte e infine
trasformate in una cassa composita che conta una tavola, un
fondo e fasce di connessione, come nei nostri violini o chitarre.
[SACHS 1980, pag. 551]

Gli strumenti qui esaminati appartengono alla classe dei cordofoni. Secondo
Sachs, questa classe deve essere suddivisa in quattro tipi fondamentali: cetre, liuti,
lire, arpe. Gli strumenti oggetto del presente studio appartengono esclusivamente
alla famiglia dei liuti, tipologia che comprende al suo interno sia gli strumenti a
corde pizzicate che quelli a corde sfregate per mezzo di un arco. Constatata
l’appartenenza comune alla famiglia dei liuti, si può attribuire il termine di
liuteria alla relativa arte costruttiva.
Tale prima delimitazione riduce il campo d’indagine ai soli strumenti dotati
di una o più corde tese al di sopra di un manico e provvisti di una cassa di
risonanza.
Si è scelto l’utilizzo della definizione strumento musicale di liuteria in quanto
meno vago del più comune liuto, termine con il quale può definirsi sia l’insieme
principale che una particolare tipologia di strumento 17 . Questa definizione
consente inoltre di collegare l’oggetto in analisi alla tecnica adottata per la sua
costruzione.

17
a questo proposito si vedano i dubbi espressi da MEUCCI 1993, pag 90

19
PARTE SECONDA

20
Il mandolino

Un lettore che scorra le pagine del catalogo di un museo, di una mostra, di


un’asta o di una collezione di strumenti musicali, si imbatterà immancabilmente in
una selva di definizioni quali mandolino piatto, a goccia, a guscio, napoletano,
romano, milanese, genovese, barocco, A-model, F-model, e rimarrà
probabilmente sorpreso dallo scoprire che uno strumento napoletano può essere in
realtà fiorentino, o che un mandolino barocco porti all’interno un’etichetta A.D.
1804. E’ possibile districarsi in questa sovrabbondante e falsamente dettagliata
distinzione? Come riunire in un’unica categoria “mandolino napoletano” un
Vinaccia del 1770 e uno del 1920?
Al momento non esistono pubblicazioni specifiche, nonostante siano stati
scritti e pubblicati vari studi sul mandolino18. Da questi si partirà per realizzare
una classificazione semplice ma il più possibile completa e comprensiva, ad uso
principalmente dei catalogatori: non quindi organologi ma persone che
necessitano di precise informazioni per effettuare attribuzioni e redigere
descrizioni che permettano un sicuro riconoscimento e una chiara collocazione.
All’interno della grande famiglia degli strumenti a pizzico, il mandolino
rappresenta, insieme alla chitarra moderna, lo strumento più vicino alla cultura
popolare, sia per una oggettiva facilità esecutiva che per una economicità di
realizzazione.
Questa sua popolarità gli ha garantito un’enorme fortuna a cavallo tra il XIX e
il XX sec., ma ne ha decretato l’esclusione dall’alveo degli strumenti “nobili”,
soprattutto dopo la rivitalizzazione, nella seconda metà del ‘900, del liuto
rinascimentale e barocco, nonchè della chitarra romantica. L’associazione a
personaggi e situazioni stereotipate e tipiche dell’immagine popolare attribuitagli,
non ha fatto altro che peggiorare questa situazione, relegando di fatto questo
strumento ad un ruolo secondario nella storia musicale italiana.

18
Ad esempio: CAMPBELL 1980, COATES 1977, LUNDBERG 1996, MOREY 1993, ORLANDI 1999 ,
SPARKS 1995, TYLER e SPARKS 1996.

21
Il mandolino, insieme agli altri strumenti della sua famiglia (mandola,
mandoloncello, ecc.), ha rappresentato uno dei vertici dell’arte costruttiva dei
liutai italiani, e tuttora alcuni di questi strumenti rappresentano il fiore
all’occhiello di varie collezioni museali straniere19. Inoltre, negli ultimi anni si è
assistito ad un lievitare delle presenze di mandolini italiani nelle aste
internazionali, soprattutto nei cataloghi di Sotheby’s e Bonhams, con quotazioni
considerevoli per i pezzi più pregiati. Solo a titolo di esempio, nel 2004 è stato
battuto per 24.000 sterline20 da Sotheby’s a Londra uno strumento, il mandolino
artistico mod.8 (fig.3), realizzato nel 1895 a Roma da Luigi Embergher: una
quotazione di certo non compatibile con una collocazione “popolare”!

Figura 3 - il mandolino artistico Embergher mod.8

Il crescente interesse internazionale non ha però suscitato che un limitato


risveglio dell’attenzione in Italia: pochi sono in effetti gli studi e gli articoli
dedicati a questo strumento. Una maggiore attenzione è riscontrabile nei
collezionisti, prima unicamente interessati alla liuteria d’archi: gli strumenti a

19
Si vedano ad esempio le collezioni possedute da Victoria and Albert Museum di Londra,
Kunsthistorische Museum di Vienna, Metropolitan Museum di New York o Cité de la Musique a
Parigi.
20
L’esito della vendita è visibile all’indirizzo web
http://www.sothebys.com/app/live/lot/LotDetail.jsp?lot_id=4B5GB. La quotazione originale
(circa 5.000 sterline) è stata ampiamente superata, indice di un profondo interesse da parte dei
collezionisti più attenti.

22
plettro hanno infatti dimostrato una capacità di crescita notevole a dispetto di un
valore iniziale veramente basso, unito ad un innegabile valore artistico e
artigianale. Basti guardare i cataloghi delle aste 21 degli ultimi dieci anni, o la
quantità e qualità degli strumenti esposti nelle mostre di liuteria prima
esclusivamente dedicate alla chitarra e agli archi22, per constatare un’innegabile
crescita delle stime, in particolare per gli autori maggiori (Embergher, De Santis,
Vinaccia, Fabbricatore, Calace, Presbler solo per citarne alcuni) o per le loro
scuole.
Tutto ciò ha un importante risvolto per le collezioni museali italiane: la
maggior parte degli strumenti è tuttora conservata nei depositi, poiché i
mandolini sono in queste sedi ancora ritenuti meno interessanti di altre opere
esposte. Se sottoposti a lavori di restauro e recupero, non sempre questi si
dimostrano rispettosi delle caratteristiche dello strumento 23 . Le collezioni
qualitativamente e quantitativamente più consistenti sono custodite in Italia, ma
pochi mandolini possono oggi essere osservati nelle teche dei nostri musei24.
Per quanto riguarda le nostre istituzioni museali, oltre al problema
dell’affidabilità dei restauri, è riscontrabile una generale assenza di competenze
specifiche per la catalogazione e la collocazione di questi strumenti, carenza
dovuta in buona parte alla mancanza di una classificazione cronologica o stilistica
affidabile e condivisa.

21
Un grande interesse è stato dimostrato in particolare da Sotheby’s e Bonhams in Inghilterra e da
Babuino e Rubinacci in Italia.
22
Ci si riferisce in particolare alle manifestazioni fieristiche Mondomusica di Cremona,
Musikmesse di Francoforte, nonché alle numerose mostre realizzate sia in Italia che all’estero.
23
In molti casi si è riscontrato l’uso di colle o vernici non adatte, o l’applicazione di tasti e piroli
non compatibili con la relativa collocazione storica. Il crescente valore di mercato rischia inoltre di
far lievitare il rischio di furto di strumenti o di loro parti facilmente rimovibili (etichette, ponticelli,
tastiere)
24
Solo al Museo nazionale degli strumenti musicali di Roma, a fronte di un’esposizione di circa 15
strumenti (sistemati ed esposti in modo poco coerente con le caratteristiche degli strumenti) vi
sono 74 mandolini conservati nei depositi (elencati in appendice), e solo da poco tempo tenuti
sotto controllo e sottoposti a qualche intervento di restauro, purtroppo volto a ripristinarne l’uso
musicale.

23
Si è già posto l’accento sull’inadeguata suddivisione attuale, o meglio sulle
attuali categorie in cui viene distinta la famiglia dei mandolini. Queste soffrono di
una certa disomogeneità di fondo, derivando in parte da una classificazione
cronologica, in parte da criteri geografici o ancora da caratteristiche stilistiche:
questi tre ambiti (storico, geografico e stilistico) raggruppano effettivamente i
parametri fondamentali per la definizione di categorie utili alla classificazione e al
catalogo, ma vengono solitamente giustapposti in modo acritico, non essendo
chiaramente delineati nei loro confini.
Nel catalogo del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma,
pubblicato nel 1994 sotto la guida di Luisa Cervelli, in relazione ad un mandolino
settecentesco di Christian Nonnemacher si legge:

Il mandolino genovese era simile a quello napoletano, in


quanto aveva i piroli infissi dal retro nel cavigliere, aveva corde
metalliche e veniva suonato col plettro, ma anziché di 4, esso era
armato di 5 oppure […] di 6 corde doppie, ragione per cui aveva
il cavigliere più lungo e la tastiera più larga. [CERVELLI 1994,
pag.93]

Nelle stesse pagine è impossibile rintracciare un qualunque aiuto al


chiarimento della definizione di “mandolino napoletano”. L’Autore del testo si
riferisce probabilmente al coevo modello napoletano di scuola Vinaccia,
Fabricatore o Filano, gli autori principali del sec. XVIII, ma l’attributo napoletano
viene subito dopo assegnato a strumenti moderni difficilmente riconducibili ad
una categoria stilistica unica25 . Quest’ultimo fatto indurrebbe a pensare ad una
concezione geografica del termine napoletano, al quale verrebbero riportati gli
strumenti dotati di quattro cori di corde doppie con «piroli infissi dal retro nel
cavigliere» 26 costruiti a Napoli a partire dal sec. XVIII. Questa sarebbe una

25
Ci si riferisce in particolare allo strumento definito come mandolino napoletano asimmetrico di
N. M. Calace (1904), del quale è riprodotta anche una foto in CERVELLI 1994, pag.116
26
CERVELLI 1994, pag. 96

24
delimitazione del campo di applicazione di questa categoria assolutamente
condivisibile, ma escluderebbe gli strumenti che si rifanno al modello dei
napoletani, se realizzati al di fuori del capoluogo campano. Poco più avanti però,
la stessa Cervelli definisce mandolini napoletani tre strumenti di Antonio Petroni,
liutaio romano del sec. XIX27.
Al contrario, il catalogo del Museum of Fine Arts di Boston riporta la
semplice dicitura mandolino senza distinguere le famiglie o i periodi28. Vengono
così accostati strumenti estremamente diversi, come un mandolino Benedetto
Gualzatta costruito a Roma nel 1724, a sei cori (cinque doppi e uno singolo), con
corde in budello e piroli infissi lateralmente nel cavigliere (simile quindi al
modello cosiddetto lombardo o milanese) e uno strumento di Ezechiele Torricelli,
realizzato a Roma agli inizi del sec. XX, a quattro cori doppi con corde in metallo
e meccanica chiusa (assimilabile al modello napoletano moderno)29.
L’attributo (apparentemente) geografico di “napoletano” viene di norma
concesso a strumenti dotati di caratteristiche stilistiche e costruttive specifiche
(quattro cori di corde doppie in metallo, fondo a guscio, piano armonico spezzato,
una determinata tecnica di giunzione delle doghe agli zocchetti di fondo cassa e di
innesto, incatenatura specifica). Seguendo queste indicazioni, si considererà
(correttamente) napoletano questo strumento:

27
IDEM, ibidem. Uno degli strumenti (catalogato con il n.346) è inoltre dotato di una meccanica a
raggiera che sostituisce i tradizionali piroli.
28
Gli strumenti presenti nella collezione vengono denominati nel catalogo a volte con l’italiano
mandolino, altre con il francesce mandoline o l’inglese mandolin. Non c’è nessun apparente
riferimento alla distinzione proposta in TYLER e SPARKS 1989, i quali utilizzano proprio questi tre
termini dotandoli però di caratteristiche distintive ben definite. Questa incoerenza è dimostrata
dall’attribuzione del nome mandoline allo strumento di Torricelli.
29
Il catalogo è pubblicato su internet all’indirizzo www.mfa.org. Il museo possiede 8 strumenti
classificati come mandolino (tra i quali anche un notevole Vincenzo Vinaccia del 1771 e un
Giovanni Battista Fabricatore del 1790) e una mandola.

25
Figura 4 - Mandolino Del Perugia, Firenze 1907 (coll priv.)

D’altra parte, è inutile definire una specifica categoria mandolino toscano


o fiorentino, in quanto il modello seguito da Del Perugia è indubbiamente derivato
dalla tradizione napoletana, e più precisamente dai Vinaccia, e non vi è stato
inoltre un seguito tale da avere fondato una tradizione locale autonoma.
La definizione napoletano ha quindi valore stilistico e non geografico, e
questo è sicuramente accettabile e condivisibile. La sua rilevanza storica deve
invece essere debitamente analizzata. Ma si può dire lo stesso delle tipologie
milanese, genovese o senese o sono queste legate più alla tradizione del luogo che
a differenze reali di modello? Quali caratteristiche spingono il catalogatore ad
attribuire il titolo di mantovano ad un mandolino di modello lombardo costruito a
Roma nel 1709?30 Alla luce di questi dubbi, di quale grado di definizione dovrà
godere una determinata categoria per non essere troppo esclusiva né perdere di
interesse per troppa vaghezza?
Le categorie tipologiche prime accennate (napoletano, senese, milanese,
genovese) sono state tutte proposte nel celebre Real-Lexikon der
Musikinstrumente di Curt Sachs, e poi riportate in parte nel Systematik der
Musikinstrumente. Ein Versuch, di Sachs e Hornbostel (recentemente tradotto in

30
E’ il caso del mandolino (numero di catalogo 746) esposto nella sala XII del Museo Nazionale
degli Strumenti Musicali di Roma, vedi CERVELLI 1994, pag. 276.

26
italiano da Febo Guizzi in appendice al suo Gli strumenti della musica popolare
in Italia pubblicato da LIM nel 2002).
Nel dettaglio, Sachs propone le seguenti definizioni tipologiche31:

Mandola: [n.d.r. identificata con la Mandora o Bandora.


Vengono anche proposti i sinonimi Mandolle, Mandore,
Mandorina, Mandura (in provenzale), Mandwr (inglese, XVI
sec.)] Mandora, da Bandora. Indica due strumenti diversi: una
riduzione del liuto e un ingrossamento del mandolino. Come
piccolo liuto spesso con il cavigliere a coda, è lo strumento che
circola verso il 1235 nei paesi di lingua provenzale, e che viene
rappresentato nell’iconografia durante tutto il tardo medioevo.
Di regola era a quattro cori – non a cinque cori come dalle
imprecise raffigurazioni di Virdung [n.d.r. Sebastian Virdung,
ca 1465 - ?, autore del più antico trattato sugli strumenti
musicali, pubblicato a Basel nel 1511] – con l’accordatura

. La corda più alta veniva solitamente


accordata tra fa3 e mi3 (“accord à corde avallée”). Per primo
Praetorius – e non Mersenne – da anche due accordature a

cinque cori: e .
Lo strumento si chiamava, nella Germania degli inizi del XVI
sec., Quinterne, e più tardi – inizio del XVII sec. –
Mandürichen, Mandörichen o Pandurina. Questa forma più
piccola, introdotta gradualmente, indica comunque non una
nuova più piccola mandola, ma piuttosto lo stesso vecchio
strumento che semplicemente, di fianco ai nuovi grandi liuti
bassi, tiorbe e chitarroni, appariva più piccola di prima. La

31
Vista l’assenza di una versione italiana del Real-Lexikon der Musikinstrumente, nonché la
notevole importanza per il presente studio, si riporta l’intero testo originale in traduzione italiana.
Gli schemi di accordatura sono riportati fedelmente.

27
Pandurina si sviluppò dal Mandoline nel corso del XVII sec.
Come la Pandurina e Mandolino si identificano nella lingua
parlata, anche il Mailänder Mandoline [n.d.r. mandolino
milanese] mostra ancora in maniera abbastanza chiara il suo
legame con la vecchia Mandola. Il significato di Mandola non
era univoco nel XVIII sec., a tal punto che agli autori di oggi
manca una chiara rappresentazione. Walther (1732) risale alle
fonti del XVII sec., a Praetorius e Furetière, senza però
aggiungere niente di proprio. Bonanni (1722) parla di un piccolo
strumento a quattro corde dal suono molto tagliente, riferendosi
chiaramente al Mandoline, che lui chiama Mandola, e un altro
con otto corde in acciaio, che si chiama, a Napoli, Pandurina;
gli altri scrittori dello stesso periodo perlopiù tacciono. Da ciò si
evince che lo strumento citato nel linguaggio parlato nella prima
metà del 18° secolo non esisteva fuori dall’Italia. Soltanto nel
1800 se ne trovano le prime notizie; nel 1790 la Mandora viene
descritta da Albrechtsberger come un piccolo liuto con 8 corde

di budello doppie accordate in


dove il più alto dei 4 cori bassi era sostituibile, e nel 1806 il
viennese Molitor in particolare attesta queste caratteristiche. Gli
esemplari conservati mostrano due tipi distinti. Uno – la
pandura napoletana di Bonanni – ha 4 cori di metallo accordati

in , il piano spezzato, la cassa armonica profonda,


la cassetta e i piroli che sporgono da dietro come un mandolino
napoletano più grosso, l’altro – la Mandora di Albrechtsberger e
di Molitor – ha 5 o più corde in budello accordate per quarte,
così come il piano piatto, la cassa meno profonda, il cavigliere
ripiegato indietro con pomelli finali piramidali e piroli ai lati
della cassetta, caratteristiche tipiche del mandolino milanese. I
mandolini si erano successivamente sviluppati dalll’antico

28
strumento Mandola, Mandora, Mandoer, Mandorichen o
Pandurina; il nome originale Mandola o Mandora indicò da
allora le forme ingrandite di questi mandolini, sia quella del
milanese con corde in budello, che non sopravvisse all’inizio del
19° secolo, che quella del napoletano ancora oggi costruito con
corde di metallo.
Mandoline [(anche mandolin, mandolino, bandolìn,
bandolim, mandolina, mandolini, mandolyn)]: un discendente
più piccolo della famiglia dei liuti, la cui tipica forma ha i
seguenti tratti distintivi: una cassa armonica in legno molto
inarcata, con piccole doghe, un piano armonico in legno
leggermente piegato verso la fine, con la buca aperta, per lo più
ovale e più dura, grazie a un intarsio immediatamente al di sotto
con funzione di protezione contro i graffi (il battipenna), una
tastiera corta con tasti in metallo fissati saldamente, un
cavigliere leggermente inclinato con piroli inseriti sul retro ed
infine 4 paia di corde in metallo accordate come il violino, che
sono condotte su un ponte basso fino a una protezione rinforzata
collocata oltre il piano armonico. Per suonare serve un plettro di
tartaruga, corno, osso di balena o corteccia a forma di uovo
(“Penna”), che serve nei cambi veloci a fare il tremolo con colpi
di sopra e di lato, poiché le corte corde in metallo sono meno
ricche a livello di suono. Il precursore del Mandoline è la
Pandurina o Mandola, dalla quale ha ereditato lo stesso nome
senza implicare nel frattempo, come è già stato illustrato sotto la
voce “Mandola”, un reale ridimensionamento. Ma nel passaggio
tra il milanese e il classico, cioè il mandolino napoletano, non è
più possibile pizzicare al ponte. La forma finale definitiva del
1700 era già nel 18° secolo un bene nazionale; nella penisola
appenninica è effettivamente suonato ancora oggi con molta
arte, in tutte le stratificazioni popolari, e trova, tra i
professionisti, dei virtuosi che si lanciano nei più difficili lavori

29
della letteratura per violino. Anche al di fuori dell’Italia il
Mandoline ha trovato molti estimatori, già dalla seconda metà
del 18° secolo, senza però diventare da nessuna parte lo
strumento nazionale. Occasionalmente viene introdotto con
particolari fini localcoloristici [orig. Lokalkoloristichen] nelle
orchestre d’opera e sinfoniche. Alle prime documentazioni
appartengono ”Almena” di Arne (1764), “L’amant jaloux” di
Grétrys (1778), e il “Don Giovanni” di Mozart (1787), fino a
”Otello” del giovane Verdi (1887) e la VII sinfonia di Mahler
(1908).
Mandolinochitarra: una chitarra con cassa armonica a
guscio inarcato, ved. Chitarraliuto.
Mandolinezither: cetra ad arco costruita da J. Halswanter a
Monaco nella seconda metà del 19° secolo con un contorno a
forma di bottiglia.
Mandolino fiorentino: dal piccolo corpo a guscio, come il
napoletano, con il manico più lungo, cinque corde doppie in

. Un tipo più piccolo a quattro corde


singole in sol3 do4 mi4 la4.
Mandolino genovese: come il napoletano ma con un
manico più largo e cinque corde doppie accordate in

, oppure sei in
Mandolino milanese [(anche mandurina, o, più raramente
mantolina)]: mandurina, i cui tratti distintivi sono una forma
triangolare più stretta e una cassa armonica meno curva, dal
suono più potente, un piano più piatto, un cavigliere inclinato
con una pronunciata forma a coda, con piroli infissi lateralmente
e sei corde doppie in budello, singole a partire dal XVIII sec., in

che vengono pizzicate senza plettro.

30
Occasionalmente può essere accordato con l’accordatura da
chitarra e con corde rivestite in ottone. Questi segni distintivi
avvicinano il mandolino milanese alla vecchia mandola o
pandurina, da cui si distingue soltanto dal corpo leggermente
più ampio e dal foro armonico aperto.
Mandolino napoletano [(anche mantolina)]: con quattro

corde doppie in acciaio, accordato in . Il


tipo di mandolino più usato.
Mandolino padovano: con cinque corde doppie e un corpo
più piccolo
Mandolino romano: come il napoletano ma con un manico
più tondo e un ponte più alto
Mandolino senese: con quattro corde in accordatura da
violino, o sei corde accordate come la chitarra
Mandolino siciliano: come il napoletano, ma con cori tripli
tranne che per i due bassi che restano doppi.
Mandoloncello: mandolino tenore, sinonimo di mandola.
Mandolone: arcimandola, un mandolino basso, italiano, del
XVIII sec., di lunghezza 90/100 cm, con 7 o 8 corde di metallo,

accordate in .
[SACHS 1913, pag. 251 e sgg.]

La classificazione proposta da Sachs (della quale si è riportata la


traduzione integrale) risulta ad una prima lettura molto precisa e dettagliata, ma,
per chi abbia un’esperienza museale o anche, più semplicemente, agli occhi di un
collezionista, risulta inapplicabile e inutilmente complessa. Alcune definizioni
sono ormai obsolete: quella proposta per il mandolino romano non tiene affatto
conto delle innovazioni proposte alla fine del XIX sec. dai liutai romani Maldura,
De Santis e Embergher, i quali impongono un nuovo modello costruttivo,
distanziandosi dalla tradizione napoletana delle famiglie Vinaccia e Calace.

31
Queste innovazioni sono tuttora alla base delle distinzioni rintracciabili persino
nei cataloghi delle ditte costruttrici di tutto il mondo: i mandolini di nuova
costruzione (prodotti con sistemi industriali o artigianalmente) vengono di solito
suddivisi in napoletano (guscio più rotondo, manico a sezione ovale, cavigliere
chiuso con meccaniche infisse dal basso) e romano (guscio con piega più marcata
e profonda, manico a sezione triangolare, tastiera sovrapposta alla buca, cavigliere
aperto con meccaniche infisse lateralmente). Non si può prescindere da questa
suddivisione, ormai globalmente accettata, parlando della produzione
contemporanea.
Questo è solo un primo esempio della difficoltà con le quali ci si scontra
nell’applicare la catalogazione proposta da Sachs. Ancora più grave risulta la
quasi totale mancanza di riferimenti bibliografici per l’identificazione di strumenti
di dubbia definizione come il mandolino padovano, il senese o il fiorentino. Nel
caso del mandolino siciliano, la presenza dei cori tripli non è così storicamente
evidente da giustificare la definizione di una categoria autonoma.
Ma la confusione più grave riguarda sicuramente le tre definizioni
fondamentali: Mandola, Mandoline e Mandolino napoletano. Non è chiara la
differenziazione tra ponticello fisso o mobile, così come non viene mai
evidenziata la distanza di origine tra i due strumenti; del mandolino napoletano
viene offerta una definizione incredibilmente sintetica e superficiale, che mal si
adatta all’asserzione finale: «Il tipo di mandolino più usato».
La definizione dei termini di base non è certo un problema di facile
soluzione. Un tentativo di chiarimento più accorto e storicamente fondato è
offerto dall’opera di James Tyler e Paul Sparks, The Early Mandolin [TYLER e
SPARKS 1992] e da The Classical Mandolin di Paul Sparks [SPARKS 1995]
I due studiosi inglesi pongono già dall’introduzione il problema della
definizione terminologica, e propongono una suddivisione storico/stilistica in
buona parte condivisibile:

Until recently, very little research had been done into the
historical background and repertory of the early mandolin. The
possibility that there might have been two main types of early

32
mandolin, each with its own design, tuning, playing technique,
and musical history seems not to have been considered. […] We
shall call the earlier type of mandolin, the MANDOLINO, since
this is the name most commonly used by its contemporary
players, makers and composers; and we shall call the later type,
the MANDOLINE, since, despite its southern Italian roots, its
own considerable repertory was developed mainly in France.
[TYLER e SPARKS 1992, pag. v]

Questa prima suddivisione ha come principale effetto quello di far


rientrare a pieno titolo nella famiglia dei mandolini tutti quegli strumenti spesso
identificati con il liuto discanto o soprano, o con la pandurina, termine
anacronistico e storicamente riscontrabile solo in Praetorius [1619], utilizzato
spesso (anche da Sachs) per descrivere strumenti appartenenti ad un diverso
periodo storico e con differenti accordatura e repertorio. Praetorius definisce così
la Pandurina:

Pandurina: Mandürichen. Conosciuta anche come


Bandürichen, da altri come mandoër o mandurinichen (in
quanto facile da maneggiare e suonare). E’ un liuto molto
piccolo con quattro corde accordate in: g d’ g’ d”. […] E’
molto usata in Francia, dove alcuni sono tanto esercitati da
potervi suonare courants, voltes, e altre simili danze e canzoni
francesi così come passamezzi, fughe e fantasie sia con una
penna come sul cittern o possono anche suonare con un singolo
dito in modo rapido e preciso come se fossero usate tre o quattro
dita. A volte, qualcuno suona con due o più dita, in accordo con
il proprio uso. [trad. propria, PRAETORIUS 1619, pag. 53,
riportato in TYLER e SPARKS 1992, pag. 8]

33
Paul Sparks [SPARKS 1995] aggiunge a queste prime due categorie
mandolino e mandoline una terza famiglia che chiamerà propriamente mandolin,
identificando al suo interno diverse varianti geografiche e storiche.
Nonostante gli indubbi pregi di questa suddivisione – soprattutto il suo
essere estremamente semplice e di rapida applicazione – i termini usati per ogni
famiglia sono molto simili e di difficile utilizzo in campo museale, risultando
infine poco chiari ai fini di una descrizione rapida di uno strumento, sia per la
realizzazione di un catalogo che, soprattutto, dei cartigli informativi per il
pubblico. E’ arduo accettare il termine francese mandoline per la descrizione di un
mandolino napoletano Degrado del 1785 o di un Vinaccia del 1770. Infine,
utilizzare l’italiano mandolino limitandone l’applicazione ad uno strumento
attualmente definito come pandurina o liuto soprano non facilita di certo il lavoro
del catalogatore: così facendo si attribuisce il termine più comune allo strumento
meno conosciuto e dal legame più debole con la cultura musicale moderna,
mentre viene stabilita una paternità culturale francese ad uno degli strumenti più
squisitamente italiani, nonché, in ultima istanza, un nome inglese (mandolin) alle
ultime evoluzioni di questo strumento, solo in parte e molto recentemente
avvenute in ambito anglosassone.
Tutte le descrizioni pubblicate su enciclopedie o testi di organologia
mostrano la necessità di distinguere i tipi di mandolino rintracciabili e ne
propongono un esame alle volte molto dettagliato e attento, dedicando ampio
spazio al problema delle tipologie (come nel caso del New Grove o del MGG), ma
una classificazione che voglia essere snella e rapida nell’applicazione, essendo
finalizzata ad un suo uso “pratico” sul campo, dovrà basarsi sulla definizione di
modelli standard riconoscibili e su parametri che consentano un certo margine di
variabilità, necessario data la natura artigianale dell’arte liutaria.
Su Wikipedia (www.wikipedia.com), ad esempio, sono disponibili più
versioni. In lingua italiana, il mandolino viene presentato come

uno strumento musicale antichissimo che […] appartiene


alla famiglia degli strumenti cordofoni. Simile ad una mandola,
di cui costituisce una varietà, ha trovato spazio nell'antico

34
Impero Romano [sic!] e tuttora trova largo uso soprattutto in
Italia e, più specificatamente, a Roma e nel napoletano. Grazie
alla sua particolare cassa armonica, piriforme, emette un suono
melodioso e penetrante che lo rende uno strumento unico nel
suo genere. Oltre al mandolino classico, detto mandolino
Romano [sic!] (con quattro corde doppie omofone - la cui
accordatura, cioè, è, per ogni coppia, uguale sia come tono che
come ottava - in versione barocca oppure da concerto), ne
esistono altri tipi fra cui: il bandolim, il banjo-mandolino, il
mandolino napoletano, il mandolino catanese, il mandolino
milanese (di origini più antiche, con cinque o sei corde doppie),
il mandolino genovese barocco ed il mandolino F-Style
utilizzato nella musica bluegrass. [www.wikipedia.it]

La definizione offerta in lingua inglese lo descrive come:

Uno strumento musicale a plettro, a pizzico o entrambi.


Discende dalla mandora. La forma più comune, di origine
napoletana, presenta otto corde in quattro coppie (cori) pizzicate
con un plettro. Sono riscontrabili varianti a quattro corde (una
per coro), sei corde (una per coro) come per il modello milanese,
dodici corde (tre per coro), e sedici corde (quattro per coro). Ha
un corpo con tavola armonica a forma di goccia, o
essenzialmente ovale, con uno o più fori armonici di varie
forme, aperti e non reticolati. [www.wikipedia.com ]

Queste due ultime descrizioni sono un ottimo esempio della difficoltà di


fornire una definizione univoca di uno strumento che presenta varianti strutturali
importanti (provenienza geografica, tecniche costruttive ed esecutive, materiali e
accordatura) unanimemente comprese nel generico termine mandolino. Solo per
fare un esempio, nella prima definizione viene citato un «mandolino classico,
detto mandolino Romano» con quattro cori di corde doppie omofone, mentre il

35
napoletano viene retrocesso al ruolo di “altro tipo”, insieme al mandolino
catanese, il milanese, il genovese barocco e il f-Style americano. Del tipo
catanese, in particolare, non se ne è trovato alcun riscontro32.
La seconda definizione, più solida e dettagliata, si concentra
maggiormente sulla descrizione dello strumento, presentandone le possibili
incordature. Alcune di queste sono però secondarie, come il milanese a sei cori di
corde singole 33 o inusuali, come il sedici corde in quattro cori. Molto più
importante è il modello a undici (o dodici) corde in sei cori (cinque doppi e uno
singolo), anche questo solitamente indicato come mandolino milanese o
lombardo. Anche l’ultima asserzione («with a soundhole, or soundholes, of
varying shapes which are open and not latticed»[www.wikipedia.com]) risulta
incomprensibile, essendo comunissima la presenza di rosoni intarsiati (in legno o
in carta pergamena) a chiudere il foro armonico. La presenza di più fori armonici,
al contrario, è abbastanza rara, riscontrabile soprattutto negli strumenti con fondo
piatto. Queste due definizioni sono evidentemente imprecise e insufficienti, ma la
loro diffusione globale e l’enorme numero di utenti obbliga a tenerne conto.
La definizione più sintetica e comprensiva viene offerta da James Tyler,
alla voce Mandolin [mandola, mandoline, mandolino] pubblicata nel New Grove
Dictionary of Music and Musician:

Any of several types of small, pear-shaped, fretted string


instruments plucked with a plectrum, quill or the fingers.
[TYLER e SPARKS 1996]

32
Il redattore della voce ha sicuramente alluso alla importante tradizione costruttiva catanese, la
quale ha sempre avuto come riferimento il modello napoletano, facendo però ampio ricorso a
metodi industriali di produzione, con il fine di abbattere i costi. Per citare alcuni dei nomi più
importanti, possiamo ricordare Carmelo Catania e Giuseppe Puglisi Reale, dei quali si conservano
numerosi strumenti, tutti riconducibili al modello napoletano (quattro cori di corde doppie, cassa
piriforme, piano armonico spezzato)
33
Questo strumento è stato costruito e venduto dalla ditta Monzino di Milano durante il XIX sec.
In seguito all’affermazione di questo modello, il termine milanese è stato generalmente applicato
anche a strumenti più antichi, prima indicati come lombardi.

36
La necessità di chiarire a quali strumenti in particolare ci si riferisca nella
stesura di una definizione generica è qui evidente:

Although in modern Italian usage the term ‘mandolino’ may


mean any type of mandolin, it is used here for the earlier gut-
strung instrument. Terminology is problematic from the
mandolino's earliest period: ‘mandola’ is found in Italian
sources beginning in the 1580s and ‘mandolino’, the diminutive
of mandola, appears as early as 1634 [IDEM, ibid.]

Anche la voce Mandoline redatta da Kurt Reinhard per Die Musik in


Geschichte und Gegenwart (vol.8, pag. 1577) presenta il mandolino come
riduzione della più antica mandola. Anche in questo caso, l’autore pone subito
l’accento sulla necessità di definirne le tipologie, e parla quindi di mandolino
milanese, lombardo, fiorentino, ecc. Con queste definizioni l’autore fa uno
specifico riferimento alle categorie proposte da Sachs e Hornbostel [1914].
La grande quantità di specificazioni associate al termine mandolino rischia di
spingere il catalogatore verso una semplificazione eccessiva, in quanto non
sempre questi è dotato della competenza necessaria per distinguere tipologie tra
loro molto simili; tale appiattimento è già riscontrabile in numerosi cataloghi
museali (si vedano in proposito gli esempi precedentemente esposti). La
complessità è una risorsa storicamente motivata e musicalmente giustificabile, e
va organizzata senza eliminarne il carico di significato; la riduzione delle tipologie
è sicuramente necessaria e auspicabile, ma l’obiettivo di una maggiore chiarezza
va raggiunto prendendo l’avvio dalla terminologia esistente, cercando di cogliere i
tratti distintivi per ogni tipologia rintracciabile in studi, cataloghi di musei o di
liutai. Ogni descrizione rintracciata è costituita da una parte principale nella quale
viene indicato il modello fondamentale, e da una o due specificazioni accessorie.
Alla prima abbiamo dato il nome di voce generale. Accanto alla parte principale, e
successivamente ad una sua trattazione più o meno approfondita, chiunque abbia

37
scritto del mandolino ha sentito la necessità di utilizzare un gruppo di
specificazioni molto ampio, organizzabili in attributi geografici, storici o stilistici.

38
Voci generali

Contengono le definizioni delle famiglie principali di strumenti, indicandone a


volte varianti e tipologie più comuni. Dedicano la maggior parte del testo alla
definizione essenziale (classificazione, storia, bibliografia, ecc.). Nonostante
possano essere considerate di semplice stesura, è proprio in queste voci che si
riscontrano le principali disomogeneità, soprattutto per il basso livello di
specializzazione del testo (ne sono un ottimo esempio i testi pubblicati in
Wikipedia). Queste discordanze testimoniano inoltre la diversa fortuna di cui
hanno goduto gli strumenti in oggetto nel corso della storia.

Mandola (o mandora): è la prima voce che si incontra in


ordine alfabetico e contiene al suo interno, nella maggioranza
dei casi, lo studio delle origini degli strumenti di tutta la
famiglia. Il nome mandola è quindi solitamente (e
correttamente) attribuito allo strumento più antico, capostipite
dell’intera famiglia. Ma lo stesso termine è stato utilizzato
anche per descrivere la versione accresciuta del mandolino a 4
cori doppi. In quest’ultimo caso, si può trovare la distinzione
in tenore (con accordatura in do2-sol2-re3-la3) o ottava (in
sol1-re2-la2-mi3). Non è quindi raro imbattersi in definizioni
che si riferiscono all’uno o all’altro tipo di strumento.

Figura 5 - Mandola Mandolino (con le varianti mandolin, mandoline o bandolim):


anonima, probabilmente
napoletana., sec. XVIII – quando non meglio specificato, con questa voce ci si riferisce
Roma, Museo Nazionale
degli Strumenti Musicali allo strumento con 4 cori di corde doppie generalmente
indicato come napoletano. Con la variante bandolim ci si
riferisce principalmente allo strumento a 4 cori doppi con
fondo piatto.

39
Mandolone (per il XVIII sec. anche arcimandola,
successivamente utilizzato come sinonimo di liola,
mandocello, mandoloncello, a volte riferito anche al
mandolonbasso): il nome mandolone è dagli organologi
generalmente utilizzato per indicare il grande strumento ad otto
cori doppi diffuso tra Roma e Napoli a metà del XVIII sec., di
cui sono reperibili splendidi esemplari realizzati da Gaspar
Ferrari a Roma, dai Vinaccia e i Fabbricatore a Napoli. Nella
sua accezione più recente (dal XIX sec.), il nome è stato
utilizzato per indicare gli strumenti bassi in uso nelle orchestre
a plettro.
Figura 6 -
Mandolone di
Antonio Vinaccia,
Napoli 1772
(Parigi, Citè de la
Musique, E.663)

40
Specificazioni geografiche

In questo caso, viene specificata la provenienza storico-


geografica di uno specifico modello. E’ il gruppo di definizioni
sicuramente più ricco e di difficile interpretazione; ogni voce può
infatti contenere varianti storiche distanti tecnicamente ma
accomunate dal nome attribuito, come nel caso delle due principali
tipologie (il napoletano e il milanese).

Mandolino bresciano o cremonese: questa definizione gode di una


discreta chiarezza ed è tuttora di uso comune. Indica uno
strumento con 4 cori singoli e ponte fisso alla tavola armonica

Figura 7 – mandolino piatta, accordatura per quinte (analoga a quella del violino), fondo
bresciano di M.
Scolari (Cremona piatto, cavigliere con piroli infissi lateralmente. E’ stato lo
1799) L'Aia -
Gemeentemuseum strumento di Bartolomeo Bortolazzi (1772 – 1820), e grazie a lui
ha raggiunto una discreta notorietà. E’ lo stesso Bortolazzi a
coniare il nome di bresciano o cremonese 34 . E’ una variante del
mandolino milanese del quale conserva la struttura ma non
l’accordatura, derivata dal mandolino napoletano. E’
strutturalmente simile al toscano o fiorentino, come descritto da
Sparks (1995, pag. 207).35

Mandolino catanese o siciliano: questa voce ha una duplice


valenza. Indica abitualmente la mera provenienza geografica di uno
strumento, in genere costruito secondo il modello napoletano
moderno. Di questo conserva intatte le caratteristiche costruttive: 4
cori di corde doppie accordate per quinte (analogamente al violino),
Figura 8 - mandolino fondo generalmente bombato (piatto nei modelli più economici),
catanese di G. Puglisi
Reale, Catania 1900
ca (coll. priv.)

34
Tale doppio nome è utilizzato dall’autore nel suo metodo Anweisung fur die mandoline für
kennen zu leren, pubblicato a Lipsia nel 1805
35
CAMPBELL 1980, SPARKS 1995, TYLER e SPARKS 1985, WÖLKI 1984

41
manico tondo o triangolare (a seconda del modello di riferimento,
napoletano o romano), ponticello mobile e corde fissate al fondo,
chiavi meccaniche per l’accordatura. Non presenta quindi alcuna
originalità. In altre e più rare occasioni, fa riferimento ad una
variante del mandolino napoletano, dotato di corde metalliche
organizzate in due cori doppi (registro grave) e due cori tripli
(registro acuto). Tale variante è ormai in disuso a causa delle
difficoltà di accordatura dei cori tripli.

Mandolino fiorentino o toscano: le caratteristiche comprese in


questa definizione non sono univoche. Per Sachs il fiorentino era
uno strumento con 4 o 5 cori doppi, derivato dal mandolino
napoletano ma con un manico più lungo. Sparks (1995, pag. 207)
lo assimila al mandolino toscano e lo descrive come discendente
dal tipo lombardo, dotato però di 4 corde singole (due di budello e
due di metallo) accordate come il tipo napoletano. In pratica un
cremonese costruito con un manico di tipo romano. Per Briner-
Aimo (1998, pagg. 272 e sgg.), lo strumento fiorentino ha 4 cori
doppi, cavigliere leggermente inclinato e piroli infissi
Figura 9 - Gibson posteriormente; le corde sono attaccate al ponte fisso sul piano
florentine mandolin,
Nashville 1956 armonico, analogamente al lombardo, ma con un manico più lungo
e sottile. La buca è aperta e il piano è leggermente inclinato. Questo
tipo di strumento sarebbe alla base (secondo Briner-Aimo) del
modello napoletano divenuto celebre per merito della famiglia
Vinaccia tra il XVIII e il XIX sec. Queste differenti specifiche
fanno però riferimento a periodi storici distinti. Sachs e Briner-
Aimo, pur non concordando sull’ordine cronologico, l collocano
nel XVIII sec. Per Sparks si tratta dello strumento ideato da Lybert
e Maurri a Firenze nel 1890 circa. In tempi molto più recenti, la
ditta americana Gibson (ideatrice dei mandolini a e f-style) ha dato
il nome di Florentine mandolin ad alcuni dei suoi modelli
bluegrass.

42
Mandolino francese: variante del mandolino piatto, dotato di piano
armonico e fondo piatti. Il fondo è una semplice tavola (particolare
che distingue tale modello da quello portoghese).

Mandolino genovese: l’attributo geografico, in questo caso,


definisce uno specifico e univoco modello di strumento,
rintracciabile solo per qualche decennio, dal 1780 circa fino alla
metà del XIX sec. Presenta sei cori doppi accordati esattamente
un’ottava sopra la chitarra. Questa accordatura è rintracciabile in un
manoscritto attribuito a Francesco Conti, intitolato “L’accordo
della Mandola è l’istesso della Chitarra alla francese SCOLA del
Leutino, osia Mandolino alla Genovese”36. Sachs (1913) riporta una
diversa accordatura della quale non sono stati trovati ulteriori
riscontri. Il fondo è bombato, la buca è chiusa da una rosetta
realizzata in legno o pergamena, il cavigliere ha i piroli infissi dal
Figura 10 - mandolino retro. Negli esemplari superstiti, il ponticello può essere libero o
genovese anonimo.
L'Aia – Gemeente- fisso al piano armonico 37 , ma le corde sono, anche con il ponte
museum
fisso, agganciate a dei piccoli perni infissi allo zocchetto di fondo
cassa: questo particolare spinge a pensare il ponte mobile come
caratteristica originaria, eventualmente sostituito da un ponte fisso.
Il piano armonico è protetto da un battipenna. E’ stato lo strumento
di Niccolò Paganini, e questo gli ha garantito un discreto successo.

36
Circa 1770-1780, conservato alla Euing Music Library di Glasgow. Riportato in TYLER e
SPARKS 1989, pag. 140
37
Questo dato non è verificabile in quanto il ponticello è forse la parte più soggetta a sostituzioni
nel corso del tempo. Si vedano ad esempio i due esemplari di mandolino genovese esposti nella
sala IV (vetrina 1) del Museo degli Strumenti Musicali di Roma (n. inv. 340 e 341), costruiti da
Christian Nonnemacher [CERVELLI 1994, pag. 93 e 94]

43
Mandolino lombardo o milanese: viene generalmente identificato
con queste specificazioni geografiche uno dei due “modelli base”
del mandolino 38. Diretto discendente del liuto, spesso confuso con
il liuto soprano 39 , a volte chiamato pandurina, più diffusamente
indicato come mandolino barocco, il mandolino milanese (o
lombardo) si riconosce per il suo guscio a forma di uovo (differente
dalla forma “a pera” del napoletano) e il piano armonico piatto, il
ponticello fisso e i piroli infissi lateralmente al cavigliere. Le sue
caratteristiche sono del tutto analoghe a quelle della mandola; il
termine mandolino, in questo caso, non indica né una riduzione
Figura 11 -
mandolino di delle misure originarie né una nuova accordatura, ma
F.Presbler - Milano
1774. Roma, Museo semplicemente un differente rapporto con le maggiori dimensioni
Nazionale degli
Strumenti Musicali degli strumenti coevi. La localizzazione milanese (o lombardo) è
invece da rapportare all’enorme successo del mandolino
napoletano e risale infatti alla seconda metà del XVIII sec.
Mandola e mandolino milanese sono dunque assimilabili.
Nel corso del XIX sec. lo strumento è sottoposto ad una
modernizzazione radicale da parte dei liutai della famiglia Monzino
(attivi a Milano sin dalla metà del XVIII sec.). Monta sei corde
singole accordate in sol2 – si3 – mi3 – la3 – re4 – sol4, il cavigliere
ha i piroli infissi lateralmente, la tastiera è sovrapposta al piano
Figura 12 Mandolino armonico; il ponticello è fisso. L’innovazione principale è
di C. Albertini, Milano
1890 circa. Milano, rappresentata dalla scannellatura della tastiera nella spazio tra i
Fondazione Monzino

38
Come già precedentemente detto, il termine mandolino indica due famiglie distinte di strumenti,
con origini, evoluzione, repertorio, tecniche esecutive e costruttive completamente distinte e
differenti.
39
E’ molto importante sottolineare la differenza tra la famiglia dei liuti e delle mandole in quanto
strumenti dotati di funzioni musicali opposte. La mandola viene descritta già da Agazzari come
uno strumento a corde dotato di capacità melodiche simili a quelle del violino: «li stromenti di
corde, alcuni contengono in loro perfetta armonia di parti, quale è l’Organo, Gravicembalo, Leuto,
Arpadoppia etc; alcuni l’hanno imperfetta, quale è Cetera ordinaria, Lirone, Chitarrina; ed altri
poca, ò niente, come Viola, Violino, Pandora etc.» [AGAZZARI 1607, pag.4]

44
tasti, la quale si accompagna alla riduzione del numero di corde per
consentire una notevole velocità d’esecuzione e minori problemi di
accordatura. La fortuna storica guadagnata da questa tipologia di
strumenti ha causato una certa confusione nella terminologia di
riferimento, in quanto ha reso poco chiaro e non univoco il
significato delle specificazioni milanese e lombardo, nonostante le
evidenti differenze tra i due strumenti40.

Mandolino napoletano: il secondo dei modelli base, il più


conosciuto, comune e diffuso di questa grande famiglia di
strumenti. La definizione di “cosa” sia il modello napoletano è
abbastanza semplice: strumento con fondo a guscio molto
profondo, piano armonico spezzato, 4 cori di corde doppie
pizzicate con il plettro, ponticello mobile, accordatura analoga a
quella del violino. Dietro questa semplice definizione si
nascondono però due secoli di evoluzione storica che hanno
apportato modifiche importanti, conservando comunque le
principali caratteristiche distintive sopra enunciate. La tipologia
attuale è frutto dell’ingegno della famiglia Vinaccia, tra i primi
Figura 13 - costruttori nel XVIII sec. e principali innovatori nel XIX.
Mandolino dei
fratelli Vinaccia,
Napoli 1902 (coll.
priv.) Mandolino padovano: tale tipologia è rintracciabile in SACHS 1913
(pag. 253) e JANSSENS 1984 (pagg. 234 e sgg.) e descritta come
variante del mandolino lombardo con cinque cori doppi, un corpo
più piccolo e snello 41. Purtroppo non è stato possibile rintracciare
nessuno strumento attribuibile univocamente a questa tipologia.

40
Queste due denominazioni sono utilizzate entrambe per indicare l’una o l’altra tipologia: non si
è riscontrata omogeneità nell’attribuzione del nome al relativo modello.
41
Il sito www.mandoline.de riporta la presunta accordatura del mandolino padovano: re3 – sol3 –
do4 – sol4 – la4 . Tale informazione non è però supportata da altre fonti.

45
Mandolino portoghese: denominazione molto comune e diffusa
che indica una variante del mandolino piatto, con piano armonico
piatto e fondo lievemente arcuato, a doghe.

Mandolino romano: come per il mandolino napoletano e per il


lombardo, questa definizione può riferirsi a differenti strumenti in
base al periodo storico. L’evoluzione di tale tipologia (o sarebbe
meglio dire l’evoluzione dell’attribuzione di tale definizione) non è
lineare. Per quanto riguarda il sec. XVIII, si indicano come romani
gli strumenti costruiti nella prima metà del secolo da celebri liutai
come Smorzone (o Smorsone), Tecchler e Gualzatta. Secondo
Carlo Cecconi:

Caratteristiche peculiari di questa produzione sono:


cassa allungata e profonda (doghe piatte senza filetto
o scanalate e filettate), dorso del manico molto
rastremato verso il capotasto, tastiere larghe e
convesse con notevoli spaziature tra i cori, ponticelli
sottili, caviglieri a fondo chiuso, rose generalmente
tagliate nella tavola con modalità e disegni adottati
nei liuti coevi, diapason "lungo". Queste
caratteristiche (insieme ad altre di minore rilievo)
distinguono inequivocabilmente la mandola romana
della prima metà del XVIII sec. da quella di ambito
milanese comune nella seconda metà del secolo.
Quest'ultimo tipo di strumento presenta di solito un
disegno della cassa e del piano armonico più
arrotondato, tastiere più strette e quindi cori
ravvicinati, ponticelli con ampia superficie di
incollaggio, caviglieri con fondo traforato, rose in

46
gran parte riportate (composte da due o più strati di
legno e pergamena), diapason "corto".42

Se per questo periodo si deduce quindi una vicinanza sostanziale


tra il modello romano e quello lombardo, già Sachs lo segnala
come variante del napoletano. Oggi, quest’attributo geografico
indica nell’uso comune (come nel caso dei cataloghi degli attuali
liutai o produttori di mandolini) una evoluzione del mandolino
napoletano, avvenuta ad opera dei liutai Maldura, de Santis e
Embergher alla fine del XIX sec., con l’apporto di numerose e
sostanziali modifiche al manico, alla tastiera, alle meccaniche, al
ponticello e alla forma della cassa di risonanza.

Figura 14 - Mandolino Mandolino senese: tale denominazione, utilizzata da Sachs, è


mod. 5bis di Luigi
Embergher (Roma raramente utilizzata se non con riferimento alla descrizione fornita
1929, coll. priv.)
nel Reallexikon.

Mandolino toscano: si veda la voce mandolino fiorentino.

42
Tratto dall’analisi stilistica redatta dal liutaio Carlo Cecconi per il Museo degli Strumenti
Musicali dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Il testo è pubblicato all’indirizzo web
http://museo.santacecilia.it/museo_0/?resource=StrumentiASC/allegati/ASC/STR/000/000/64/AS
C.STR.00000064.0002.pdf

47
Specificazioni storiche

Il discorso è in queste centrato sull’origine temporale del modello. Queste


definizioni sono meno diffuse di quelle geografiche, ma hanno goduto e godono
tuttora di una certa fortuna nel linguaggio liutario.

Mandolino barocco: ci si riferisce generalmente, con questa


definizione, allo strumento precedentemente descritto come
lombardo, il modello usato nei concerti di Vivaldi e associato al
periodo barocco. In realtà non è insolito trovare l’indicazione
barocco riferita anche al coevo modello napoletano o romano,
soprattutto nelle descrizioni offerte dai liutai43.

Mandolino classico: anche se relativamente poco diffusa, questa


specificazione viene utilizzata per indicare gli strumenti di modello
napoletano o milanese in uso a partire dal XIX sec. La
denominazione Classical mandolin viene utilizzata in questo senso
anche da Paul Sparks:

A century ago […] throughout much of Europe and


North America, the mandolin was one of the most
widely owned and played of all instruments, its
popularity amongst amateur musicians probably
being equaled only by the piano. […] Verdi,
Mahler, Webern, Massenet, Schoenberg, and many
other leading composers included the mandolin in
orchestral and operatic works. [SPARKS 1995, pag.
v]

43
Ad esempio, nei cataloghi dei liutai Pasquale e Leonardo Scala di Salerno, di Luca Centrone,
Stefano Zanderighi e Marco Golinelli (laboratorio Liuteria d’Insieme di Milano) o Federico
Gabrielli di Milano.

48
Mandolino del vecchio tipo: questa denominazione è rintracciabile
in riferimento agli strumenti della prima metà del XVIII sec.
L’analisi stilistica del Museo Internazionale e Biblioteca della
musica di Bologna descrive così questo tipo di strumento: «non ha
il guscio molto profondo, ha generalmente un cavigliere in forma di
falce con piroli laterali, può avere più di quattro ordini, accordati in
quarte, eventualmente con una terza maggiore, ha corde attaccate al
ponticello, e soprattutto ha corde il più delle volte di minugia,
pizzicate direttamente con le dita». Vengono così identificati come
mandolino, del vecchio tipo i due strumenti qui conservati44. Questa
tipologia è utilizzata anche dal Metropolitan Museum di New York,
nella nota descrittiva relativa allo strumento attribuito a Giovanni
Smorsone (2008.2a,b).

Mandolino moderno: l’oggetto di questa definizione trascende in


parte le finalità del presente studio, in quanto viene solitamente
riferito ai modelli in uso nei repertori country e bluegrass
americani, soprattutto dalla casa statunitense Gibson (i modelli A-
Style, F-Style, Florentine, ecc.)

44
Lo stesso museo riporta la singolare specificazione geografica mandolino bolognese per uno
strumento a fondo piatto e scolpito di tipo napoletano realizzato dal liutaio Luigi Mozzani nel 1933

49
Voci stilistiche

Vengono raccolte in questa sezione tutte le voci che contengono un rimando a


tradizioni costruttive specifiche, anche relative al lavoro di un singolo liutaio. Si è
scelto di inserire queste denominazioni poiché spesso utilizzate dai collezionisti
privati o dai musicisti.

Liuto Cantabile (o liuto moderno): tale denominazione si riferisce


ad uno strumento caratterizzato da dimensioni maggiori rispetto a
quelle del mandolino napoletano (dal quale trae le principali
caratteristiche costruttive), abbastanza diffuso nella prima metà del
XX sec. Presenta 5 cori doppi accordati in do1 – sol1 – re2 – la2 –
mi3.

Mandolino a risuonatori: variante del mandolino piatto, realizzato


dalla ditta americana National nel 1927, con corpo in metallo.

Mandolini Gibson serie A, F e D: ideati da Orville Gibson alla fine


del XIX sec. adattando le tecniche costruttive dei violini. Questi
strumenti presentano piano armonico e fondo scavati, separati da
fasce ricavate da un unico pezzo di legno. I due modelli
differiscono per la forma della cassa di risonanza, simmetrica negli
Figura 15 -
Gibson F5 strumenti della A-series e con un riccio decorativo dal lato dei
bassi per la F-Series. Gli strumenti della serie D sono stati
introdotti da Gibson come variante più economica, agli inizi del
XX sec; sono riconoscibili per il corpo caratterizzato da una forma
rotonda, con fondo e piano armonico piatti.

Figura 16 - Mandolino piatto: questa denominazione indica uno strumento


Gibson D
dotato di fondo e piano armonico piatti, variante del napoletano di
cui conserva l’accordatura. La sua semplicità costruttiva e il
conseguente basso costo d’acquisto ne hanno decretato l’enorme

50
successo, testimoniato anche dalla quantità di varianti rintracciabili
(portoghese, francese, Gibson serie A, F e D, sistema Secchi,
Ventura, ecc.)

Mandolino sistema de Santis: ideato dal liutaio romano Giovanni


de Santis (1834 – 1916) applicando al mandolino napoletano il
modello di tastiera e ponticello brevettato da Giovanni Battista
Maldura (ca1880 – 1903). Questo modello presenta una tastiera a
sezione arcuata, estesa fino al 29° tasto. Questo modello sarà poi
sviluppato da Luigi Embergher.

Mandolino sistema Secchi: ideato e brevettato dal liutaio Eliseo


Secchi, è simile al mandolino piatto di cui rappresenta una variante,
riconoscibile soprattutto dall’assenza del foro armonico, sostituito
da due piccoli fori sul entrambe le fasce. Altra caratteristica
distintiva è la forma a cuneo delle fasce, con una profondità doppia
allo zocchetto di fondo rispetto a quella rilevabile all’innesto del
Figura 17 - manico.
Sistema Secchi

Mandolino sistema Ventura: altra variante del mandolino piatto,


simile al sistema Secchi, ma con più fori armonici sulle fasce.

Mandoliola: modello proposto dai liutai Maldura ed Embergher;


tale nome indica uno strumento di tipo napoletano ma di maggiori
dimensioni, accordato come la viola, così da potere costituire
(assieme al mandoloncello) un quartetto di strumenti a plettro con
accordatura e registri identici a quelli del quartetto d’archi
(permettendo quindi l’accesso ad un repertorio enorme senza la
necessità della trascrizione).

51
Mandolyra: mandolino napoletano con cassa di risonanza a forma
di lira. Numerosi strumenti di questo tipo sono stati realizzati dal
liutaio Raffaele Calace di Napoli, agli inizi del XX sec.

Waldoline: nome utilizzato dal produttore tedesco C. H. Böhm per


la sua variante del mandolino piatto, dotato di una cassa di
Figura 18 - maggiore profondità. Prodotto tra il 1909 (anno del primo brevetto
Mandolyra
Calace e il 1935 (anno di chiusura della fabbrica).

52
Le origini del problema terminologico

Il termine mandola appare in Italia per la prima volta nella descrizione


degli intermezzi composti da Cristoforo Malvezzi per la commedia “La
Pellegrina” di Girolamo Bargagli45, la quale nel 1589 ebbe la sua prima recita
a Firenze per le nozze del Granduca Ferdinando I de’ Medici con Cristina di
Lorena.
Pochi anni dopo, Agazzari utilizza il termine pandora nel suo celebre
«Del sonare sopra’l basso»:

Per tanto divideremo essi stromenti in duoi ordini: cioe in


alcuni, come fondamento: et in altri, come ornamento. Come
fondamento sono quei, che guidano, e sostengono tutto il corpo
delle voci, e stromenti di detto Concerto: quali sono, Organo,
Gravicembalo etc. e similmente in occasion di poche e soli voci,
Leuto, Tiorba, Arpa etc. Come ornamento sono quelli, che
scherzando, e contrapontegiando, rendono più aggradevole, e
sonora l'armonia: cioe Leuto, Tiorba, Arpa, Lirone, Cetera,
Spinetto, Chitarrina, Violino, Pandora et altri simili. […]
Medesimamente li strumenti di corde, alcuni contengono in loro
perfetta armonia di parti, quale è l’Organo, Gravicembalo,
Leuto, Arpadoppia etc; alcuni l’hanno imperfetta, quale è Cetera
ordinaria, Lirone, Chitarrina; et altri poca, ò niente, come Viola,
Violino, Pandora etc. [AGAZZARI 1607, pagg. 1-4]

45
Più precisamente, il termine mandola appare nella lista degli strumenti (senza assegnazione
specifica di una linea musicale) della sinfonia del primo intermezzo e nel madrigale “O qual
risplende nube”, nel sesto. L’informazione è stata tratta da TYLER 1992, pag. 12. Lawrence
Wright, nell’articolo «Medieval Gittern and Citole: a case of mistaken identity» apparso sul Galpin
Society Journal n.30 del 1977 (WRIGHT 1977, pagg. 8-42) cita il 1612 come anno di prima
evenienza del termine.

53
Nonostante l’uso del termine pandora, è molto probabile che Agazzari si
riferisse comunque alla mandola46. L’uso di termini diversi, i quali rimandano con
molta probabilità allo stesso strumento, è già riscontrabile in questo periodo: nelle
intavolature per liuto di Piccinini (Bologna 1623), l’autore scrive:

In Francia usano di suonare uno strumento piccolissimo da


quattro corde semplici, e lo chiamano Mandolla, e lo suonano
col deto indice solo, & ho udito suonare alcuni molto bene, & da
questo stromento ho cavato il potersi ancora essercitare in tal
modo di suonare in certe occasioni de gruppi tanto nel liuto,
quanto nel Chitarrone. [PICCININI 1623]

A partire da questo periodo, molte sono le testimonianze dell’uso del termine


mandola; numerosi sono anche gli strumenti conservati nei musei. Questi si
contraddistinguono per le dimensioni minori rispetto ai coevi liuti (dei quali
conservano le caratteristiche estetiche essenziali)47: guscio piriforme, ponte fisso,
cavigliere a falcetto con 9 (o più raramente 10) piroli infissi lateralmente. Le
corde sono solitamente suddivise in 5 cori (4 doppi e uno singolo).
La comparsa del termine mandolino risale alla prima metà del XVII sec.
Secondo Tyler (1992, pag. 14), la prima testimonianza è rintracciabile nei registri
dei pagamenti del cardinale Francesco Barberini48.
L’affermazione pubblica del termine mandolino necessita però di un
documento di diversa statura, proveniente da una fonte importante: il disegno di
Antonio Stradivari. Il grande liutaio cremonese ha lasciato infatti una precisa
distinzione dei 12 modelli di mandolino da lui realizzati. Questi documenti sono

46
Per maggiori informazioni su questa identificazione, si rimanda a TYLER 1992, pag. 12 e sgg.
47
E’ possibile vederne vari esempi nella pittura dell’inizio del XVII sec, soprattutto nelle opere di
Evaristo Baschenis (Bergamo 1617-1677).
48
In questo testo si può riscontrare una sicura differenziazione tra mandola e mandolino.
Nonostante la rilevanza di questo dato, non è possibile generalizzare la distinzione per quanto
riguarda questo periodo, in quanto si tratta di un documento privato.

54
attualmente conservati nel Museo Stradivariano di Cremona. Egli usa due soli
termini (mandolino e mandola) per descrivere tutte le diverse misure:

1. Mandolino coristo (n. 402, datato 1674, )


2. Mandolino coristo (n.419, lunghezza del corpo 19,4 cm)
3. Mandolino coristo (n.420, lunghezza del copro 22,3 cm, 5 cori)
4. Mandolino coristo (n.421, 5 cori)
5. Mandolino coristo (n.422, lunghezza dalla nocetta al fondo 36,8 cm)
6. Mandolino coristo (n.423, lunghezza del corpo 21,8 cm)
7. Mandolino più grando (n.423, 10 piroli)
8. Mandolino della forma nova (n.407, 8 piroli)
9. Mandola della seconda forma (n.410, 8 piroli)
10. Mandola della Terza forma (n.411, 9 piroli)
11. Mandola Granda (n.403, modello per il manico e cavigliere a falcetto,
probabile lunghezza del corpo, circa 60 cm)
12. Mandola piccola (n.398, lunghezza del corpo 46 cm)

Figura 19 - Mandolino Coristo (modello n.423) di Antonio Stradivari, Cremona, 1680 - conservato
presso il National Music Museum dell’University of South Dakota. Questo è uno dei due esemplari
attribuiti ad Antonio Stradivari. Il secondo, riconducibile al modello n.419, è di proprietà del
collezionista privato Charlse Beare.

55
Figura 20 - Antonio Stradivari, modello per Mandolino n. 402 (Cremona, Museo Stradivariano)

Si tratta di modelli di strumenti spesso catalogati come mandora, pandurina o


come liuto soprano49.
Un documento di questo livello dovrebbe bastare a fugare ogni dubbio sulla
denominazione degli strumenti riconducibili ai modelli proposti e minuziosamente
riprodotti da Antonio Stradivari. Una prima importante informazione che si può
trarre da questi documenti è data dalla certezza dell’uso del termine mandolino già
negli anni ’70 del XVII sec. Una seconda informazione, non meno importante

49
Alla pag.16 e sgg. sono riportati alcuni esempi di queste attribuzioni. In particolare, l’uso del
termine mandora (a volte usato come variante del nome mandola e non riferito al piccolo liuto
così chiamato, si veda GILL 1981, pag. 130) e di liuto soprano risultano particolarmente
fuorvianti.

56
della prima, riguarda cori e corde: non è rintracciabile in alcun modo uno standard
che permetta di definirne il numero o l’accordatura.
Nel XVIII secolo, l’affermazione dell’uso dei termini mandolino e mandola
nella musica si accompagna ad una maggiore indeterminatezza dei due nomi, i
quali risultano praticamente intercambiabili. Questa ambivalenza viene spesso
riscontrata nei cataloghi dei musei presi in esame. Nella collezione Van Raalte,
conservata al Dean Castle di Kilmarnock, in Scozia, sono conservati numerosi
strumenti (a partire da un liuto basso del 1570). In particolare, quello
corrispondente all’inv. n. EAMU018n, identificato come mandore (small lute),
con etichetta «Petrus Merighi fecit Parmae 1767», presenta tutte le caratteristiche
del mandolino: cavigliere a falcetto con piroli infissi lateralmente, corpo piccolo e
piriforme, 12 corde suddivise in 6 cori doppi.

Figura 21 – mandore di Pietro Merighi, conservata nel Dean Castle di Kilmarnock

La misure riportate per questo strumento ne confermano la possibilità di


inserirlo a pieno titolo nei mandolini.
Nel Gabinetto Armonico di Filippo Bonanni (1722) la mandola viene
rappresentata nella tav.99, e descritta come

Il piccolo Istrumento qui espresso, detto volgarmente


Mandola, e dalli Latini Mandora, hà solamente quattro corde, e
rende suono molto acuto. Un simil’istromento trovo essere stato
usato dagl’Assiri, ma di tre corde, e chiamato Pandora.
[BONANNI 1722, pag. 99]

57
In un’altra scheda, l’autore descrive un diverso strumento che dice essere di
origine napoletana:

Pandura si dice dalli Napolitani l’istromento seguente, la


forma di cui è poco differente dalla Mandola, mà è di mole
molto più grande; è armato di otto corde di metallo, e si suona
con la penna, e rende grata armonia. [IDEM, pag. 97]

Purtroppo sono molte le imprecisioni nelle schede del Gabinetto Armonico, e


quindi non possiamo affidarci a questa descrizione per identificare l’antenato del
mandolino a 4 cori doppi normalmente descritto come napoletano, e storicamente
presente dalla metà del secolo. Bonanni descrive infatti uno strumento a otto
corde, ma ne inserisce una riproduzione nella quale sono visibili 10 piroli.
Attribuisce inoltre il nome mandola ad uno strumento molto diverso dalle
mandole italiane conservatesi fino ai nostri giorni: il suo è infatti un piccolo
strumento con fondo piatto, a forma di chitarra.
L’affermazione del nuovo strumento a quattro cori doppi di origine
napoletana, a partire dalla metà del secolo, non ha contribuito di certo a migliorare
la situazione. Se fino a quel momento era stato il termine mandola a risultare
incerto, tale problema si estende adesso anche al mandolino, causando non poca
confusione per l’interpretazione del repertorio. Gli echi di questa nuova
sovrapposizione terminologica sono ad esempio emersi nelle pagine di «Early
Music», in particolare nella polemica tra Kevin Coates e James Tyler relativa
all’uso dello strumento a quattro cori doppi accordato per quinte nel repertorio
viennese50.
La successiva evoluzione dei due strumenti durante il XIX sec., attuata da
Pasquale Vinaccia a Napoli (per il modello a 4 cori doppi) e a Milano dai
Monzino (con la realizzazione dello strumento a 6 cori singoli) non ha apportato
grandi novità a livello terminologico. La popolarità del mandolino ha spinto i
costruttori a offrire numerose varianti o ibridazioni con altri strumenti,

50
TYLER 1977, pagg. 255-259 e COATES 1977, pag. 427-429

58
proponendo di volta in volta nuove denominazioni o attribuendo nuovi significati
a termini già in uso (come nel caso della mandola, del mandolone, del liuto).
Questo sovrapporsi di riferimenti ha probabilmente contribuito alla definitiva
affermazione delle specificazioni geografiche già agli inizi del XIX sec51. L’uso
delle varianti stilistiche è invece più recente e si può collocare alla fine del XIX
sec., come conseguenza alla rinnovata popolarità dello strumento portata dal
successo delle orchestre e dei quartetti a plettro.

51
Si pensi, solo per fare un esempio, alla definizione di Cremonese o Bresciano data da Bortolazzi
allo strumento da lui stesso ideato [BORTOLAZZI 1805].

59
60
PARTE TERZA

61
La catalogazione informatica dei mandolini

Come accennato in precedenza, la necessità di una semplificazione


terminologica (da più parti auspicata e richiesta) è resa ancora più impellente dalla
definitiva applicazione dei sistemi informatici per la catalogazione. Il ruolo
dell’automazione è centrale: riduzione dei tempi, salvaguardia dei dati e
prevenzione degli errori sono i tre principali risultati ottenuti nel momento della
raccolta. A questi si accompagnano i vantaggi nella fase di lettura, derivanti dalla
flessibilità delle ricerche e dalla rapidità nell’ottenere i risultati. Ma se i vantaggi
sono evidenti e semplicemente comprensibili, bisogna conoscere allo stesso modo
i limiti e i problemi insiti nei software di catalogazione.
E’ necessario distinguere le due fasi del lavoro, raccolta e ricerca dei dati, in
quanto dalla prima dipendono le possibilità fornite all’utente che visualizzerà i
dati. Il software di catalogazione ha una enorme responsabilità nella completezza
dei dati raccolti, in quanto sistema “chiuso” al quale non si possono apportare che
lievi modifiche. Il primo problema da affrontare nella progettazione è quindi
relativo al rapporto con l’utente finale.
I software attualmente in uso seguono solitamente la metodologia informatica
cosiddetta a cascata 52 . Questa taglia fuori la reazione e il comportamento
dell’utente dalla progettazione, in quanto offre un sistema già pronto e definitivo,
difficilmente adattabile al variare delle esigenze.
Attraverso la cosiddetta metodologia agile, il rapporto con l’utente diventa
centrale, in quanto il software viene realizzato in piccole sezioni, di volta in volta
testate e subito rilasciate, anche se non complete. In questo modo, l’utente
collaborerà attivamente alla sperimentazione e alla evoluzione del software,
consentendo una riduzione dei tempi e un’ottimizzazione dei risultati.
Nel caso specifico, questo significa poter adattare il software realizzato, nel
tempo, integrando i commenti e le richieste degli utenti, i quali potranno essere sia

52
Per approfondire i problemi relativi a questa metodologia e alle altre metodologie di sviluppo
qui sommariamente indicate, si vedano soprattutto SOMMERVILLE 2007 (pagg. 62 e sgg., pagg. 381
e sgg,) e GHEZZI – JAZAYERI – MANDRIOLI 2004 (pagg. 417 e sgg.)

62
tecnici – alla ricerca quindi di una grande mole di dati e di estrema precisione
nell’esposizione – che semplici “turisti”, per i quali l’accesso ai dati potrà essere
limitato ai soli dati identificativi e alla documentazione fotografica. Ogni utente
potrà quindi scegliere, di volta in volta, il grado di dettaglio da visualizzare53.
Un altro aspetto da considerare riguarda le scarse risorse economiche
normalmente disponibili nelle istituzioni museali. Per ovviare a questo problema,
è necessario ricorrere a piattaforme software già realizzate, anche se dedicate a
tutt’altro argomento. La mia proposta, pensata per la catalogazione degli strumenti
musicali di liuteria, è basata appunto su questo principio. In particolare, si è scelto
di utilizzare come base di partenza un software per la gestione di un negozio
online, forzandone le finalità ma sfruttando la notevole flessibilità di questi
sistemi.

Figura 22 - Maschera di inserimento dati

.
La facilità d’accesso – caratteristica essenziale del linguaggio PHP (Hypertext
PreProcessor) utilizzato per realizzare questa applicazione – consente infatti di
modificare a proprio piacimento i campi previsti nelle schede per l’inserimento
dati, consentendo quindi disporre di un sistema di indicizzazione efficace, di una

53
La registrazione degli utenti ne permette inoltre il riconoscimento automatico e consente di
avvalersi di una serie di avanzati strumenti di analisi dei comportamenti, tipici dei software
utilizzati per il commercio elettronico.

63
trasportabilità eccezionale (essendo in ambiente web) e di costi estremamente
bassi in quanto software “libero”.
La struttura scelta per la maschera di inserimento dati si traduce poi nelle
pagine di ricerca e visualizzazione disponibili per i visitatori del sito.

Figura 23 - Maschera di interrogazione

Questo sistema garantisce la riduzione dei tempi grazie all’adozione di un


software già in gran parte scritto e perfettamente funzionante. Il rapporto continuo
con l’utente consentirà di ottimizzare il sistema (con l’aggiunta o la modifica dei
campi di inserimento dati, la variazione delle maschere di visualizzazione, ecc.)
grazie ad un linguaggio di programmazione accessibile come il PHP.
La conservazione dei dati (il secondo degli obiettivi da raggiungere) è un
problema centrale, spesso sottovalutato. L’obsolescenza dei sistemi informatici è
infatti incredibilmente rapida e ha già fatto non pochi danni: basti pensare agli
archivi conservati su floppy disk, o alla scarsa durata negli anni dei supporti ottici.
Gli stessi hard disk non garantiscono assolutamente l’integrità delle informazioni

64
conservate. Esistono ovviamente dei sistemi di salvaguardia dei dati, ma quelli più
efficienti hanno costi non facilmente sopportabili. Attraverso l’uso di un software
conservato su un server remoto si potranno invece sfruttare i sistemi di sicurezza
tipici di una web farm - copie multiple, assistenza e manutenzione continue, ecc. –
con un costo irrisorio. L’accesso ai dati non sarà inoltre limitato al perimetro di un
museo, in quanto possibile direttamente via web.
Il software realizzato subirà anch’esso una veloce obsolescenza: è necessario
quindi salvaguardare non solo l’integrità dei dati, ma anche la capacità di leggerli.
Anche in questo caso, la scelta di un sistema open source, consentendo l’accesso
diretto e non mediato ai dati memorizzati, ci permetterà di riadattarli in futuro ad
un eventuale nuovo standard.
La prevenzione degli errori è necessaria per ridurre la necessità di controllo
manuale, riducendo quindi i tempi per la fruibilità dei dati raccolti. La liuteria
prevede conoscenze tecniche specifiche, che possono essere o ottenute tramite un
corso di addestramento, o comunicate attraverso il software direttamente
all’utente nel momento in cui si rivelino necessarie. Attraverso un percorso di
inserimento dati semplice e centrato sull’utente, che preveda la possibilità di
guidarlo testualmente o con immagini, si possono ottenere schede affidabili anche
per ambiti tecnici così specialistici. Il controllo automatico di coerenza consentirà
al software di stabilire se i campi sono stati compilati in modo formalmente
corretto e se i dati inseriti non sono in contraddizione, consentendo così all’utente
una correzione immediata. Un aiuto fondamentale in questo senso viene
dall’utilizzo dei menu a tendina, che consentono la scelta tra termini già stabiliti.

65
Realizzazione della scheda

Tecnicamente, il mandolino è uno strumento musicale a corde pizzicate –


tramite un plettro, una penna o le dita (un cordofono, secondo la suddivisione
Sachs/Hornbostel) – dotato di una cassa di risonanza. Le misure, il diapason,
l’accordatura, i materiali utilizzati e le tecniche costruttive presentano varianti
storiche e geografiche rilevanti; non è possibile stabilire standard e modelli di
riferimento univoci per la totalità degli strumenti conservati o di nuova
realizzazione.
Fisicamente, è composto da due strutture facilmente distinguibili: la cassa di
risonanza (che garantisce l’amplificazione dell’altrimenti esile suono della corda
pizzicata) e il manico, dotato di tastiera e cavigliere per l’accordatura. Le corde
sono tese sopra il manico e legate al cavigliere con l’uso di piroli in materiali
diversi (legno, avorio, osso) o con meccaniche metalliche, e sono sospese sulla
cassa di risonanza tramite un ponticello che ne trasferisce le vibrazioni al legno
del piano armonico. Le corde possono essere legate a questo (che di conseguenza
sarà incollato allo strumento e fungerà anche da cordiera) o agganciate al bordo
inferiore dello strumento tramite una cordiera metallica o dei bottoni in legno o
osso (lasciando quindi il ponte libero).
Da questa sommaria descrizione deriva che la raccolta dei dati dovrà seguire
una precisa logica gerarchica, includendo al suo interno quattro diversi livelli di
analisi. Ad un primo livello, si considera lo strumento come oggetto unitario e se
ne indicano i dati per il riconoscimento univoco. La suddivisione nelle due sezioni
fondamentali (cassa di risonanza e manico) rappresenta il secondo livello di
schedatura. Queste due parti sono a loro volta suddivise in ulteriori due livelli di
dettaglio, così da consentire una procedura di raccolta dati guidata e il più
possibile stabile e coerente.

66
strumento

cassa di
manico
risonanza

piano fasce
fondo tastiera cavigliere
armonico (opzionale)

fori di
doghe chiavi
risonanza

controfasce ponticello

zocchetti incatenatura

Livello 1 – Strumento

In questa prima parte ci si occuperà di identificare l’oggetto in base ai seguenti


dati:
numero progressivo
n. inventario / catalogo
tipologia
marchio/etichetta
area geografica
data
ubicazione
misure principali

67
Figura 24 - denominazione delle parti esterne

68
Figura 25 - denominazione delle parti interne

69
Figura 26 - Livello 1: misure fondamentali

70
Livello 2 - Cassa di risonanza

Livello Livello Livello


2 3 4

Doghe

Fondo Controfasce

Zocchetti

Cassa di
Ponticello
risonanza

Piano Fori di
armonico risonanza

Fasce
Incatenatura
(opzionale)

E’ la sezione principale dello strumento, solitamente la meno soggetta a


interventi di modifica o sostituzione nel corso del tempo e quindi più affidabile
per una corretta identificazione dell’esemplare in analisi. Si presenta sempre
suddivisa in due parti principali, il piano armonico (detto anche tavola di
risonanza), e il fondo (o guscio), le quali possono essere collimanti o separate
dalle fasce. I termini seguenti si riferiscono quindi alle parti costituenti di questa
sezione, individuate come fondo, piano armonico, fasce (se presenti), oggetti
complessi formati a loro volta da un numero variabile di elementi (semplici o
composti a loro volta) la cui individuazione e il relativo riconoscimento (e quindi
la descrizione delle caratteristiche individuanti) sono necessari e basilari per la
giusta attribuzione del singolo esemplare al modello generale.

71
Livello 3 - Fondo (o corpo, guscio, spesso ma impropriamente
cassa): si raccolgono a fianco a questo termine tutte le
caratteristiche più evidenti dello strumento, soprattutto in relazione
alla sua forma e quindi al modello di riferimento. La prima
caratteristica da specificare in una descrizione della cassa sarà
quindi la sua forma: a guscio (detta anche piriforme, tonda o
bombata) o piatta (munita quindi di fasce di separazione tra piano
armonico e fondo). La struttura del testo dovrà contenere
informazioni relative a: forma (qualora possibile, risulta utile
effettuare un rilievo del profilo di piegatura), dimensioni
(corrisponderanno in parte alle misure del piano armonico:
lunghezza totale del fondo, larghezza massima, spessore massimo),
condizioni di conservazione (con indicazione di eventuali interventi
di restauro o riparazione visibili). Le caratteristiche da indicare
sono quindi:
forma - misure - condizioni di conservazione

Figura 27 - Mandolino con fondo a guscio e doghe scanalate (G. Barberis, Genova 1892, coll. priv.)

72
Figura 28 - mandolino con fondo piatto (anonimo, Roma - Museo Nazionale degli Strumenti Musicali)

Figura 29 - Mandolino con fondo a guscio attribuito a Giovanni Smorsone, Roma XVIII sec. (New
York, Metropolitan Museum)

Figura 30 - Sezione trasversale del fondo e possibili varianti (da LUNDBERG 2002, pag. 21]

73
Livello 4 – Doghe: il termine risulta univoco e
generalmente accettato. Si indicano con questo termine i
listelli di legno curvi e affiancati che formano il fondo
della cassa di risonanza negli strumenti in cui questa sia a
guscio. Le caratteristiche accessorie attribuibili a queste
riguardano il loro numero o la loro forma: possono essere
presenti in quantità molto varie; si dicono scanalate
(varianti rintracciate scannellate, incurvate, in inglese
fluted) o lisce. La prima tipologia è indice di maggiore
perizia nella costruzione. Tali doghe possono essere
separate tra loro da una filettatura in legno (ebano, pero o
altro) o in metallo (alpacca o argento). Le due doghe
estreme, a contatto con le controfasce, sono solitamente di
maggiori dimensioni e non scanalate, e vengono a volte
chiamate fasce anche in riferimento a strumenti con fondo
a guscio. Una descrizione sintetica ma efficace dovrà
quindi essere così strutturata:
numero – materiale – forma – filettatura

Figura 31 - cassa di risonanza di un mandolino Embergher mod. 5bis, con doghe scanalate. Le
controfasce di rinforzo sono visibili in basso (realizzate in acero e ebano)

Livello 4 – Controfasce: si indicano con questo termine i


rinforzi lignei laterali della cassa di risonanza, aderenti al
piano armonico. Queste consentono una più efficace

74
azione delle colle utilizzate nella chiusura dello strumento:
sono quindi parti essenziali nella costruzione, e possono
essere utili all’identificazione dell’origine geografica e
storica. Sono collocate esternamente alla cassa di
risonanza, e possono presentare lavorazioni a intarsio.
Vengono a volte chiamate scudo (termine che più di
frequente indica il battipenna) o corazza. Da indicare:
materiale – forma – decorazioni

Livello 4 – Zocchetti: solitamente invisibili ma


fondamentali nella costruzione, sono posizionati uno alla
base dello strumento (chiamato zocchetto di fondo cassa) e
uno all’innesto del manico (chiamato zocchetto d’innesto).
La loro misura è in relazione alla lunghezza del piano
armonico. Dall’osservazione degli zocchetti risultano
spesso palesi gli interventi di restauro effettuati sullo
strumento. Da indicare, qualora possibile:
materiale – stato di conservazione

Figura 32 - Interno di un mandolino con fondo a guscio di Giuseppe Vinaccia, Napoli 1890 (coll. priv.).
Risultano facilmente visibili gli zocchetti di fondo cassa e d’innesto

75
Livello 3 – Piano armonico (o tavola armonica o di risonanza):
questa sezione è soggetta a notevole usura nel corso del tempo,
poiché non protetta da vernici e dotata di spessori sottili. La
pressione delle corde e l’azione del plettro, della penna o delle dita
possono averne determinato la sostituzione, soprattutto negli
esemplari più antichi. Nonostante questo, la sua forma indica
abbastanza chiaramente il modello di riferimento, ed è di enorme
aiuto per l’identificazione tipologica.
Per gli strumenti del XVIII sec. (spesso accomunati
dall’indicazione del vecchio tipo), la forma del piano armonico
deriva direttamente dal quella del liuto barocco, al quale vengono
solitamente associati. Ne tracciamo il profilo del piano armonico
attraverso lo studio di un esemplare realizzato da Francesco
Presbler nel 1774 a Milano, e conservato nei depositi del Museo
Nazionale degli Strumenti Musicali a Roma.

Figura 33 - Mandolino di Francesco Presbler, Milano 1774 (Roma, Museo Nazionale degli Strumenti
Musicali)

76
Figura 34 - profilo del piano armonico del mandolino di Francesco Presbler, Milano 1774 (Roma,
Museo Nazionale degli Strumenti Musicali)

La forma è stata realizzata seguendo principi geometrici molto


semplici, e si basa sulla sovrapposizione di due coppie di
circonferenze il cui diametro sarà in rapporto al registro dello
strumento. Il modello, come già accennato, è stato realizzato a
partire da uno strumento di origine milanese, ma mantiene la sua
validità su strumenti di provenienza diversa:

77
Figura 35 - sovrapposizione del modello Figura 36 - sovrapposizione del modello ad un
all'originale di Francesco Presbler, Milano 1774 mandolino Vincenzo Vinaccia, Napoli 1787

Figura 37 - sovrapposizione del modello ad un Figura 38 - sovrapposizione del modello ad un


mandolino Floriano Boli, Bologna 1767 mandolino Donato Filano, Napoli 1777

Sono riscontrabili variazioni sensibili dell’angolo di inclinazione


del perimetro superiore, dovuti al differente diametro della
circonferenza maggiore, nonché della larghezza del triangolo che
determina l’arco di circonferenza centrale inferiore. Queste
eccezioni non minano la validità del modello, in quanto ne seguono
comunque i principi costruttivi di base.

78
Se questa comunanza può essere riscontrata riguardo al profilo
esterno del piano armonico, lo stesso non può dirsi per la sua
sezione longitudinale. Il piano armonico viene detto infatti piatto
per il modello lombardo e spezzato (o piegato) per il modello
napoletano. Questa seconda definizione indica la differente
inclinazione della parte inferiore del piano armonico, ottenuta a
caldo (i segni di questo procedimento sono visibili nella parte
interna, vedi fig.28)
Nel secolo XIX, il modello napoletano sviluppato dalla famiglia
Vinaccia (soprattutto da Pasquale intorno agli anni ’30) si
allontanerà dalla forma appena descritta, con un andamento del
bordo non più identificabile con le coppie di circonferenze prima
indicate poiché ottenuto con archi di parabola 54 . Linee più
complesse, quindi, e soggette a più evidenti personalizzazioni da
parte delle scuole costruttive.
In relazione al piano armonico è quindi necessario indicare:
se piatto o spezzato – misure – condizioni di conservazione

Figura 39 - Mandolino Vinaccia, Napoli 1895 (Roma, coll. priv.)

54
Si veda l’interessante rilievo effettuato dal prof. Tullio Pigoli e pubblicato all’indirizzo web
http://www.bcavadini.ch/liuteria/extra/calcologenerale.pdf

79
Livello 4 – Ponticello (o cordiera-ponticello 55 , a volte
cordiera): nonostante le piccole dimensioni di questo
accessorio, il suo valore per la catalogazione è grande
anche se, come per il piano armonico e anche più di
questo, esso è soggetto a frequenti sostituzioni o
riparazioni. Due sono i modelli fondamentali, e questi
sono alla base della distinzione tra le due linee di
generazione dei mandolini: è fisso nel modello lombardo,
mobile in quello napoletano.

Figura 40 - cordiera-ponticello Figura 41 – ponticello mobile

L’assenza del ponticello è evenienza tutt’altro che rara,


soprattutto nel caso degli strumenti in cui questo non è
incollato al piano armonico. Le caratteristiche importanti
sono comunque ricavabili dalle tracce lasciate sul piano.
E’ necessario quindi indicarne:
presenza – tipologia - dimensioni
Da collegare alla tipologia del ponticello è l’eventuale
presenza della cordiera o dei piroli di fissaggio allo
zocchetto di fondo cassa (per i modelli con ponticello
mobile).

55
La denominazione cordiera-ponticello è stata proposta in MEUCCI 1993, pag. 92

80
Livello 4 – Foro di risonanza (detto anche buca armonica
o rosetta): solitamente singolo, può presentarsi chiuso da
una rosetta decorativa (intagliata o applicata), o aperto. In
alcuni mandolini a fondo piatto è possibile riscontrare due
o più fori di risonanza posti sulle fasce e non sul piano
armonico. La funzione è comunque la medesima. La
descrizione dovrà contenere:
numero – posizione – forma

Figura 42 - Fori armonici di diverse forme

Livello 4 – Incatenatura (posizionamento delle catene) –


Come nel caso degli zocchetti, ci si trova di fronte ad una
parte non visibile direttamente (a parte il caso della
catalogazione di uno strumento aperto, con piano armonico
scollato dal fondo, vedi Figura 43 - piano armonico (lato
interno) di un mandolino napoletano anonimo (coll. priv.).
Si possono notare i segni lasciati dalle due catene mancanti,
nonchè la posizione dell'unica catena conservatasi. Si nota
anche la bruciatura in corrispondenza della piegatura.). Non
è quindi semplice elaborare una descrizione dettagliata della
posizione delle catene. Essendo incollate al piano armonico
e soggette a notevoli pressioni (soprattutto negli strumenti
dotati di corde in metallo), sono spesso non autentiche o

81
possono mostrare i segni dei restauri susseguitisi nel tempo.
Se possibile, segnalare:
numero – posizionamento – condizioni di conservazione

Figura 43 - piano armonico (lato interno) di un mandolino napoletano anonimo (coll. priv.). Si possono
notare i segni lasciati dalle due catene mancanti, nonchè la posizione dell'unica catena conservatasi. Si
nota anche la bruciatura in corrispondenza della piegatura.

Livello 3 – Fasce: nella descrizione dei mandolini spesso confuse


con le controfasce, sono in realtà assenti negli strumenti con fondo
a guscio. La loro funzione è quella di separare il fondo piatto dalla
tavola armonica. In taluni esemplari (come ad esempio quelli
riferiti al brevetto Secchi), le fasce possono presentare uno o più
fori armonici; in tal caso, si inserisca la relativa descrizione come
precedentemente indicato. La descrizione delle fasce, ove
necessaria, dovrà contenere:
materiale – misure – stato di conservazione

82
Figura 44 - Livelli 2/4: misure fondamentali

83
Livello 2 – Manico

Livello 2 Livello 3 Livello 4

Tasti
Tastiera
Manico Capotasto
Cavigliere

Questa sezione dello strumento è spesso soggetta ad


importanti interventi di restauro, che possono giungere fino alla sua
totale sostituzione in caso di rotture e al variare delle esigenze
musicali 56 . Nella descrizione dovranno quindi segnalarsi questi
interventi, se riconoscibili, indicandone l’entità e i segni
identificabili sullo strumento. Il manico è collegato alla cassa di
Figura 45 - Manico con risonanza tramite lo zocchetto d’innesto, e le misure relative
cavigliere a falcetto,
mandolino di F. andranno considerate a partire da questo punto fino al culmine del
Presbler (Milano 1774,
MNSM n.365) cavigliere.
Per una agevole redazione della descrizione, si consiglia di
considerare separatamente le due parti costitutive di questa sezione.

Livello 3 – Tastiera: è una parte soggetta ad usura continua a causa


dello sfregamento delle corde, soprattutto negli strumenti dotati di
corde metalliche. Per questo motivo è spesso sostituita o ritoccata
nel corso degli anni. Nei mandolini se ne riscontrano due tipologie
principali: in piano o sovrapposta al piano armonico. La prima è

56
Un esempio di intervento “funzionale” è visibile sul mandolino attribuito a Giovanni Smorsone,
conservato al Metropolitan Museum di New York (2008.2a,b) sul quale è stata sostituita la tastiera
originale per consentire il montaggio del 6° coro.

84
tipica degli strumenti di tipo lombardo e napoletano costruiti fino
al XVIII sec. La seconda è riscontrabile sempre in entrambi i
modelli, ma con riferimento al periodo successivo.
La descrizione dovrà contenere
tipologia – materiale – misure – condizioni di conservazione

Livello 4 – Tasti (o legacci): se presenti, è necessario


segnalarne:
materiale – numero – condizioni di conservazione

Livello 4 – Capotasto: se presente, consente di conoscere la


disposizione delle corde e la distanza tra i cori. Come per il
resto della tastiera, anche il capotasto (e più spesso di altre
parti) è soggetto a frequenti sostituzioni o adattamenti. La
sua descrizione dovrà quindi contenere indicazioni relative
a:
materiale – condizioni di conservazione

Livello 3 – Cavigliere: anche questa sezione dello strumento è


facilmente soggetta a rotture, quindi ai conseguenti interventi di
restauro o sostituzione. E’ importante descriverne la forma,
solitamente riconducibile a due modelli di base: a falcetto (con
piroli infissi lateralmente o chiavi meccaniche) o piatta (con piroli

Figura 46 – infissi dal basso o chiavi meccaniche). Da segnalare:


cavigliere (a
falcetto) di un forma – numero e tipologia delle chiavi d’accordatura
mandolino di
Pietro Fantozzi
(Roma 1931,
coll. priv.)

85
Conclusioni

La catalogazione dei beni culturali è propedeutica e necessaria alla loro tutela.


Per gli strumenti musicali, tale principio si scontra con l’assenza di un
coordinamento centrale per la scelta delle metodologie di conservazione e
restauro. L’attuale condizione del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di
Roma (all’interno del quale questa ricerca è nata) è esemplare: la sua condizione
giuridica di deposito, l’impossibilità attuale del restauro e il disinteresse del
Ministero concorrono nel rendere urgente qualunque iniziativa volta ad una
maggiore conoscenza del patrimonio lì raccolto.
Il Museo conserva una collezione di mandolini numericamente e
qualitativamente importante, sicuramente meritevole di maggiore attenzione, sia
per la varietà tipologica qui conservata (e l’importanza degli autori), sia per le
attuali condizioni di conservazione.
Varietà tipologica, si è detto: questo strumento presenta infatti una grande
quantità di varianti, di modelli, talmente eterogenei da diventare plausibile trattarli
come strumenti differenti accomunati solo dallo stesso nome.
Tale varietà, celata da una denominazione condivisa, ha finito per essere
descritta attraverso una moltitudine di definizioni, le quali concorrono a rendere
difficoltoso qualunque lavoro di sintesi terminologica; tali difficoltà nascono per
la natura stessa di tali specificazioni: geografiche, indicanti la presunta origine del
modello; storiche, perché di questo ne indicano il periodo di affermazione; o
ancora stilistiche, per varianti proposte spesso da singoli liutai (non sempre con
reali e sensibili scostamenti dal modello di riferimento).
La sintesi terminologica è fondamentale e propedeutica sia ad una campagna
di catalogazione museale, che alla redazione di uno studio organologico su questo
strumento. Tale sintesi non deve però ridurre la ricchezza e il significato storico di
un così ampio numero di specificazioni. Tale patrimonio va al contrario
salvaguardato, individuando tra le tipologie disponibili quelle cui si possa
attribuire un valore di modello.
Tale valore è stato qui riconosciuto alle tipologie lombardo e napoletano, alle
quali è possibile far risalire anche la nascita del problema terminologico: la

86
differente genesi di questi due strumenti è alla base delle principali diversità
tecniche nelle due linee di sviluppo successive.
Riconoscere un modello di base significa indicare i tratti comuni all’intera
famiglia e, nella prospettiva catalografica, indicare in questi dati la base per
l’identificazione univoca dell’oggetto studiato. Catalogare uno strumento dalle
caratteristiche estetiche inusuali, come ad esempio l’esemplare conservato al
Museo Nazionale degli Strumenti Musicali (n. 495), con cassa di risonanza a
forma di stella, ma riconoscibile come mandolino napoletano poiché dotato di
quattro cori di corde doppie, lunghezza della corda vibrante di 350 mm, manico
con tastatura fissa, consente anche al catalogatore meno esperto di procedere alla
prima schedatura. Ad un secondo livello di competenza, questo strumento potrà
essere descritto come mandolino piatto (poiché dotato di piano armonico e fondo
piatti), variante talmente importante del mandolino napoletano da avere a sua
volta generato un ulteriore livello di specificazione.
Le due linee di evoluzione si sono spesso intersecate, dando vita a tipologie
intermedie che hanno avuto ruoli a volte molto importanti nella storia di questo
strumento. Esempi massimi di queste ibridazioni sono il mandolino genovese (lo
strumento di Niccolò Paganini) e il cremonese, con il quale il virtuoso Bartolomeo
Bortolazzi ha fatto conoscere il mandolino italiano in Europa.
Al catalogatore dovrà quindi essere lasciata la libertà di raggiungere il livello
di dettaglio consentitogli dalle proprie competenze specifiche: tale rispetto passa
anche dalla scelta di utilizzare la terminologia esistente senza forzarne il senso (è
questo il punto cardine della critica qui mossa agli studi di Paul Spark e James
Tyler).
Tale impostazione interessa tanto l’attribuzione tipologica quanto la
descrizione tecnica dello strumento. La suddivisione in quattro livelli di dettaglio
è funzionale a tale “adattabilità” e apertura della scheda. La proposta di una
struttura duttile vuole essere da una parte un supporto e una guida per chi si
dedichi al lavoro di catalogazione degli strumenti musicali conservati nei musei
senza le necessarie conoscenze specifiche, e dall’altra vuole lasciare un ampio
margine di libertà a chi tali competenze le possiede, fungendo quindi da struttura
di riferimento e da thesaurus.

87
Il principale risultato ottenuto con l’applicazione di questa struttura è la sua
facile traducibilità in un software per la raccolta dati. La definizione di rapporti
gerarchici tra i modelli e tra le parti costitutive dello strumento è infatti funzionale
alla realizzazione di un sistema guidato per la redazione delle schede, consentendo
di adattare il livello di dettaglio alle effettive competenze del singolo utente.
Tale archivio può infine proporsi come centro per la raccolta dei dati relativi
agli strumenti di questa singolare categoria, conservati sia nei musei che nelle
collezioni private, grazie alla disponibilità e alla gratuità derivanti dall’uso di
tecnologie open source e software libero, usufruibili via web.

88
89
Appendice: gli strumenti del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali
di Roma

Per la redazione della presente ricerca sono stati studiati strumenti provenienti
sia da collezioni private che dal Museo degli Strumenti Musicali di Roma. Di
seguito si riportano le immagini relative agli strumenti conservati nel Museo,
raccolte nella prima fase della ricerca, insieme alle misurazioni principali.

90
Roma - MNSM (n.inv. 122 – deposito, vetrina B1)
Etichetta:

non presente

Cori: 4
Doghe: 11 lisce
Lunghezza totale: cm 49,6
Corda vibrante: cm 33,8
Roma - MNSM (n.inv. 131 – deposito, vetrina B1)
Etichetta:

Giuseppe Presble[ill] / lo fece in


Milano / 1804

Cori: 6 doppi
Doghe: 15 lisce
Lunghezza totale: cm 55
Corda vibrante: cm 31,2

Roma - MNSM (n. inv. 198 e 2380 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 25 lisce
Lunghezza totale: cm 60
Corda vibrante: cm 35

91
Roma - MNSM (n. inv. 287 e 215 – deposito, vetrina B1)
Etichetta:

GAETANO DE GRADO in Napoli


1821 / Salita S. M. delle Grazie Vico
Lungo Speranzella / N.20

Cori: 4 doppi
Doghe: 25 scannellate
Lunghezza totale: cm 59,5
Corda vibrante: cm 33

Roma - MNSM (n. inv. 257 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 13 lisce
Lunghezza totale: cm 46
Corda vibrante: cm 30,5

Roma - MNSM (n. inv. 127 e 365 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

Francesco Pesbler in Milano nella


contrada della Dogana al Segno del
Sole 1774

Cori: 6 doppi
Doghe: 11 lisce
Lunghezza totale: cm 52,5
Corda vibrante: cm 31

92
Roma - MNSM (n. inv. 263 – deposito, vetrina B1)
Etichetta:

Fabbricato l'anno 1703 - Restaurato


il 1882 (ill.) Lucca

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale: cm 54,5
Corda vibrante: cm 33

Roma - MNSM (n. inv. 260 e 2579 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

Fu fatto da me giovanni antonio


*visenti l'anno 1700 Verona

Cori: 6 (5 doppi, 1 singolo)


Doghe: 11 lisce
Lunghezza totale: cm 54
Corda vibrante: cm 29,7

Roma - MNSM (n. inv. 1866 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

Pollito fecit Taurini 1792

Cori: 6 doppi
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale: cm 58,4
Corda vibrante: -

93
Roma - MNSM (n. inv. 295 e 199 – deposito, vetrina B1)
Etichetta:

VINCENZO VINACCIA FECIT


NAPOLI NELLA VIA CATALANA
1787

Cori: 4 doppi
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale: cm 56
Corda vibrante: cm 33

Roma - MNSM (n. inv. 1395 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

A[…]io V[...]n[…]cio Filius Januarii


Fecit Neapoli alla Rua Catelana /
Anno Salutis 176[…]

Cori: 4 doppi
Doghe: 20 scannellate
Lunghezza totale: cm 56
Corda vibrante: cm 33

Roma - MNSM (n.inv. 193 e 2385 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 23 scannellate
Lunghezza totale: cm 57,5
Corda vibrante: cm 34

94
Roma - MNSM (n. inv. 201, 2378 – deposito, vetrina B1)
Etichetta:

Pasquale Vinaccia fecit Napoli 1783

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale: cm 58,6
Corda vibrante: cm 34

Roma - MNSM (n. inv. 284 e 370 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

Donatus Filano Fecit Neapoli 1765

Cori: 4 doppi
Doghe: 22 scannellate
Lunghezza totale: cm 56,6
Corda vibrante: cm 33

Roma - MNSM (n. inv. 212 e 2388 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

non presente

Cori: 5 doppi
Doghe: 11 scannellate
Lunghezza totale: cm 59,8
Corda vibrante: cm 33

95
Roma - MNSM (n. inv. 257 e 223 – deposito, vetrina B1)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale: cm 60
Corda vibrante: cm 35

Roma - MNSM (n. inv. 1867 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

Giovanni Polito / fabbricatore di


Stromenti / in Torino 1792

Cori: 6 (5 doppi e 1 singolo)


Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale: cm 59
Corda vibrante: cm 31,5

Roma - MNSM (n. inv. 132 e 195 – deposito, vetrina B1)


Etichetta:

Giuseppe …. Nella contrada…. /


all'insegna del sole

Cori: 6 doppi
Doghe: 16 lisce
Lunghezza totale: cm 57
Corda vibrante: cm 31,4

96
Roma - MNSM (senza n. inv. – deposito, vetrina B2)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 17 lisce
Lunghezza totale: cm 61,5
Corda vibrante: cm 33

Roma - MNSM (n. inv. 199 e 2384 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 23 scannellate
Lunghezza totale: cm 58
Corda vibrante: cm 33,5

Roma - MNSM (n. inv. 280 e 495 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: fondo piatto
Lunghezza totale: cm 62
Corda vibrante: cm 35

97
Roma - MNSM (n. inv. 1391 – deposito, vetrina B2)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: fondo a intarsio
Lunghezza totale: cm 60
Corda vibrante: cm 34

Roma - MNSM (n. inv. 275 e 214 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

[etichetta senza nomi con


figure di danzatori]

Cori: 4 doppi
Doghe: 16 scannellate
Lunghezza totale: cm 49
Corda vibrante: cm 28

Roma - MNSM (n. inv. 239 e 1400 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

Augustinus Rosa … / Reate


fecit 1800

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 lisce
Lunghezza totale: cm 59
Corda vibrante: cm 32

98
Roma - MNSM (n. inv. 289 e 39 – deposito, vetrina B2)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: fondo piatto
Lunghezza totale: cm 50,5
Corda vibrante: cm 29,5

Roma - MNSM (n. inv. 2383 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 17 scannellate
Lunghezza totale: cm 58
Corda vibrante: cm 33

Roma - MNSM (n. inv. 756 e 2463 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 13 lisce
Lunghezza totale: cm 59
Corda vibrante: cm 32,5

99
Roma - MNSM (n. inv. 274 e 224 – deposito, vetrina B2)
Etichetta:

Gennaro … / Fecit in Nea… /


Strada S. G…

Cori: 4 doppi
Doghe: 25 scannellate
Lunghezza totale: cm 85
Corda vibrante: cm 54,5

Roma - MNSM (n. inv. 1011 e 391 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

non presente

Cori: 6 singoli
Doghe: fondo piatto
Lunghezza totale: cm 70,5
Corda vibrante: cm 46

Roma - MNSM (n. inv. 292 e 203 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

non presente (è parzialmente


leggibile la parola Filipp sul
piano armonico)

Cori: 4 doppi
Doghe: 23 scannellate
Lunghezza totale: cm 79,5
Corda vibrante: cm 51

100
Roma - MNSM (senza n. inv. – deposito, vetrina B2)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 17 lisce
Lunghezza totale: ---
Corda vibrante: ---

Roma - MNSM (n. inv. 182 e 2606 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

Luigi Bortolotti / bolognese


fece / l'anno 1798

Cori: 6 doppi
Doghe: fondo piatto
Lunghezza totale: cm 81
Corda vibrante: cm 38,2

Roma - MNSM (n. inv. 270 e 117 – deposito, vetrina B2)


Etichetta:

Stefano … / fatto in …ra /


l'anno 1774

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale: cm 72
Corda vibrante: cm 45

101
Roma - MNSM (n. inv. 371 – deposito, vetrina B2)
Etichetta:

Augustinus Rosa / Reatinus


fecit 1789

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 lisce
Lunghezza totale: cm 60,5
Corda vibrante: cm 32

Roma - MNSM (n. inv. 130 e 200 – deposito, vetrina B6)


Etichetta:

1788 / Opus Caroli Zenili /


Bresci…

Cori: 6 (5 doppi, 1 singolo)


Doghe: 14 lisce
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 266 e 201 – deposito, vetrina B6)


Etichetta:

Donatus Filano Fecit Neap:


Anno Dni 1777 / Alla Rua di S.
Chiara

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

102
Roma - MNSM (n. inv. 1402 – deposito, vetrina B6)
Etichetta:

Antonio Vinaccia Fecit / Neapoli in


… Constantii Ad. 1769

Cori: 4 doppi
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 267 e 204 – deposito, vetrina B6)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 23 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 291 e 193 – deposito, vetrina B6)


Etichetta:

fatto dal Celebre / Vinaccia di


Napoli / l'anno 1784 / restaurato
da [ill.]

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

103
Roma - MNSM (n. inv. 220 e 1272 – deposito, vetrina B6)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 31 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 227 – deposito, vetrina B6)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 22 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 2390 – deposito, vetrina B6)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 15 lisce
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

104
Roma - MNSM (n. inv. 256 e 1406 - deposito, vetrina B6)
Etichetta:

Florianus Boli fecit Bo / noni anno


1764

Cori: 5 doppi
Doghe: 11 lisce
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 268 e 47 - deposito, vetrina B6)


Etichetta:

Joseph Borgonati / Gorixia fecit


anno 1796

Cori: 4 singoli
Doghe: 19 lisce
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 70 e 2381 - deposito, vetrina B6)


Etichetta:

non presente

Cori: 6 doppi
Doghe: 9 lisce
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

105
Roma - MNSM (n. inv. 200 e 2386 - deposito, vetrina B6)
Etichetta:

Gaspar Ferrari Romanus / fecit


anno 1778

Cori: 4 doppi
Doghe: 15 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 218 e 1269 - deposito, vetrina B6)


Etichetta:

non presente

Cori:
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 297 e 1384 - deposito, vetrina B6)


Etichetta:

Gaetanus Vinaccia fecit / Neapoli


Strada Rua / Catalana num. 85 /
anno 1807

Cori: 4 doppi
Doghe: 25 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

106
Roma - MNSM (senza n. inv. - deposito, vetrina B6)
Etichetta:

Giuseppe M… fecit 10 /
Settembre 1773

Cori: 4 doppi
Doghe: 9 lisce
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 133 e 206 - deposito, vetrina B3)


Etichetta:

Donatus Filano fecit Neap.


177(6)7 / Alla rua di S. Chiara

Cori: 6 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 289 e 207 - deposito, vetrina B3)


Etichetta:

Antonio Vinaccia Fecit in via


Constantii Anno 1785 - Neapoli

Cori: 4 doppi
Doghe: 23 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

107
Roma - MNSM (n. inv. 135 e 368 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

non presente

Cori: 17 corde (la suddivisione


non è evidente)
Doghe: 13 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:
Roma - MNSM (n. inv. 235 e 329 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

Donatus Filano fecit anno D. 1771


/ Neap. Alla Rua de' Taffettanari

Cori: 4 doppi
Doghe: 23 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 290 - deposito, vetrina B3)


Etichetta:

Gio: Battista Fabricatore / Napoli


anno 1796 in S. M. dell'Ajuto N.32

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale: Corda vibrante:

108
Roma - MNSM (n. inv. 286 e 208 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

Antonio Jovene / fabric: /


strumenti a / corde in [Sesia?]

Cori: 4 doppi
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 1210 - deposito, vetrina B3)


Etichetta:

Antonius Vinaccia Fecit / Neapoli


in Via Constantj / A. 1781

Cori: 4 doppi
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

Roma - MNSM (n. inv. 1222 - deposito, vetrina B3)


Etichetta:

Gaetano Vinaccia Fecit / 15


Gennaio 1787

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

109
Roma - MNSM (n. inv. 1273 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

Chiocca Car… / Filippo / fecit nel


1833

Cori: 6 singoli
Doghe: 8 lisce
Lunghezza totale:
Corda vibrante:
Roma - MNSM (n. inv. 1382 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

fecit … / … / Rinstauravit Nea… /


A.D. 1780

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:
Roma - MNSM (n. inv. 2382 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

Gio: Battista Fabricatore fecit /


An. 1788+I88 in S. M. dell'Ajuto /
Napoli

Cori:
Doghe:
Lunghezza totale:
Corda vibrante:

110
Roma - MNSM (n. inv. 285 e 192 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 21 scannellate
Lunghezza totale:
Corda vibrante:
Roma - MNSM (n. inv. 1383 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

Biagio Molinari / Roma 187(2)

Cori: 4 doppi
Doghe: 11 lisce
Lunghezza totale: cm 57
Corda vibrante: cm 33,5

Roma - MNSM (n. inv. 1271 - deposito, vetrina B3)


Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 11 lisce
Lunghezza totale: cm 58
Corda vibrante: cm 33,5

111
Roma - MNSM (n. inv. 1388 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: 23 scannellate
Lunghezza totale: 58
Corda vibrante: 33,8
Roma - MNSM (n. inv. 1380 - deposito, vetrina B3)
Etichetta:

non visibile

Cori: 4 doppi
Doghe: 19 scannellate
Lunghezza totale: 56
Corda vibrante: 34
Roma - MNSM (n. inv. 272 e 209 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

Joannes Gagliano / Nepos Jannarii


fecit / Neap: 1799

Cori: 4 doppi
Doghe: 17 scannellate
Lunghezza totale: cm 56
Corda vibrante: cm 34

112
Roma - MNSM (n.inv. 195 e 2379 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

PREMIATA FABBRICA /DI /


MANDOLINI E MANDOLE /
SPECIALI / VINCENZO CAPPIELLO /
Vico Maiorani N. 41 / NAPO…

Cori: 4 singoli
Doghe: 9 lisce
Lunghezza totale: cm 55
Corda vibrante: cm 31
Roma - MNSM (n. inv. 276 e 2045 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: fondo piatto
Lunghezza totale: cm 59
Corda vibrante: cm 33
Roma - MNSM (n. inv. 279 e 159 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: fondo piatto
Lunghezza totale: cm 58
Corda vibrante: cm ---

113
Roma - MNSM (n. inv. 129 e 194 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

Giuseppe Brambilla in Milano / al


Segno di S. Giuseppe 1787

Cori: 6 doppi
Doghe: 9 lisce
Lunghezza totale: cm 52
Corda vibrante: cm 31,7
Roma - MNSM (n. inv. 188 e 1397 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

non presente

Cori: 4 doppi
Doghe: fondo piatto
Lunghezza totale: cm 59
Corda vibrante: cm 33
Roma - MNSM (n. inv. 246 e 2338 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

Cori: 6 doppi
Doghe: 9 lisce
Lunghezza totale: cm 55,5
Corda vibrante: cm 31,6

114
Roma - MNSM (n. inv. 128 e 185 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

Francesco Presbler e / Giuseppe


Figlio / in Milano nella Contrada /
della Dogana al Segno / Del Sole /
1780

Cori: 6 doppi
Doghe: 13 lisce
Lunghezza totale: cm 52,4
Corda vibrante: cm 29,4
Roma - MNSM (n. inv. 253 e 2470 – deposito, vetrina A2)
Etichetta:

non presente

Cori: 6 doppi
Doghe: 13 scannellate
Lunghezza totale: cm 54
Corda vibrante: cm 28,5

115
Bibliografia

AA.VV.
1978 Polyglottes Wörterbuch der musikalischen Terminologie, Kassel
1978, Baerenreiter

ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA - FONDAZIONE


2008 Accademia Nazionale di Santa Cecilia - Musa, museo degli
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1607 Agazzari, Agostino – Del Sonare Sopra'l Basso, Siena 1607,
Dominco Falcini (facsimile: Forni, Bologna)

AONZO, CARLO
1994 Aonzo, C. – Il mandolino genovese (Relazione tenuta al Convegno
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BAINES, ANTHONY
1992 Baines, A. – The Oxford Companion to Musical Instruments,
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1961 Baines, A. e Wachsmann, K. - Classification of Musical
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BALDACCI, MARIA BRUNA


1988 Baldacci, M. B. - Rappresentazione e ricerca delle informazioni:
come comunicare attraverso i sistemi informativi automatizzati,
Roma 1988, La Nuova Italia Scientifica

BALDACCI, VALENTINO
2004 Baldacci, V. - Il sistema dei beni culturali in Italia, Firenze 2004,
Giunti

BONANNI, FILIPPO
1722 Bonanni, F. - Gabinetto armonico, pieno d’istromenti sonori, Roma
1722, Placho

116
BORTOLAZZI, BARTOLOMEO
1805 Bortolazzi, B. - Anweisung fur die mandoline für kennen zu leren
Lipsia, 1805, Breitkopf & Hartel

BRINER-AIMO, ERMANNO
1998 Briner-Aimo, E. - Reclams Musikinstrumentenführer. Die
Instrumente und ihre Akustik, Stuttgart 1998, Reclam (riportato in
http://userpage.fu-berlin.de/~telehist/ambass/laute.htm)

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