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L’educazione linguistica è l’azione che mira a far emergere la facoltà di linguaggio, cioè la capacità
spontanea di acquisire non solo la lingua nativa, ma anche altre lingue nel corso della vita. La
glottodidattica è una scienza teorico/pratica che trae le sue conoscenze da varie aree scientifiche.
Secondo il modello di organizzazione proposto negli anni settanta da Anthony, individuiamo
l’approccio e il metodo.
Approccio: è la filosofia di fondo, l’idea che si ha di lingua, di cultura, di studente, di insegnante,
di insegnamento ecc… fondato o infondato su delle teorie.
Metodo: è la traduzione dell’approccio in procedure operative, per mezzo delle quali organizzare
e realizzare le indicazioni dell’approccio stesso. Il metodo si occupa quindi di strumenti di
organizzazione dell’educazione linguistica. Può essere adeguato o inadeguato, coerente o
incoerente.
Nel trasformare il metodo in azione, il compito degli insegnanti sarà quindi di selezionare delle
tecniche didattiche adeguate al metodo e coerenti all’approccio.
Parametri per descrivere approcci e metodi:
Teorie di riferimento: esse rimandano a quattro ambiti essenziali: le scienze del linguaggio e della
comunicazione, quelle della società e della cultura (che cosa si insegna), quelle neuropsicologiche
(chi impara) e quelle dell’educazione (il come).
Percorso: il movimento glottodidattica è prevalentemente deduttivo, cioè si danno delle regole e
se ne dedurranno i comportamenti linguistici, o induttivo, cioè si danno dei materiali e lo studente
‘scopre’ da se i vari meccanismi di funzionamento della lingua.
Studente: è una tabula rasa su cui incidere, una personalità da plasmare, oppure può essere visto
come protagonista del suo apprendimento.
Docente: è una fonte di informazione, un modello da seguire oppure può essere considerato come
un regista, facilitatore dell’apprendimento.
Lingua: è vista come un insieme di regole da usare con la massima correttezza, come uno
strumento di comunicazione che deve anche essere efficace.
Cultura: è quella letteraria, classica, oppure quella quotidiana, valori di fondo della civiltà.
Strumenti operativi.
Tecniche didattiche: la metodologia didattica è ricca di tecniche, intese come attività (risolvere
problemi o elaborare temi) o come esercizi.
Materiali e strumenti tecnologici: libri, audio, video, computer, internet.
APPROCCI E METODI
Approccio formalistico, metodo grammatico-traduttivo: tale approccio focalizza l’attenzione sulla
morfologia e sintassi, con la fonologia concepita come “regole di pronuncia” e il lessico appreso con
liste tematiche.
Percorso: deduttivo.
Studente: tabula rasa.
Docente: fonte di informazioni.
Tecniche didattiche: traduzioni, dettato, esercizi ecc…
Materiali: manuali a stampa.
Approccio naturale, metodo Berlitz: la caratteristica di un approccio naturale, è la presenza di un
docende madrelingua, l’aumento delle capacità orali e delle abilità nel leggere e comprendere testi
scritti seppur non parola per parola.
Percorso: prevalentemente induttivo.
Studente: deve essere motivato e considerato in base all’età e alla personalità.
Docente: di madre lingua e usa pochissimo la lingua originaria degli studenti.
Tecniche didattiche: conversazioni e lezioni di carattere tematico.
Materiali: eserciziari, ma l’imput viene dato dalla conversazione.
Reading Method: è un approccio che ha una particolare filosofia che lo rende unico, esclude lo
sviluppo delle competenze orali, modifica radicalmente la figura del docente che diventa un
facilitatore dello scarso ruolo formativo, fungendo, durante le lezioni, da dizionario vivente.
Percorso: induttivo.
Studente: autonomo.
Docente: facilitatore.
Materiali: materiali graduati all’inizio, ma poi letture da manuali autentici.
Rivoluzione Copernicana degli anni sessanta: il mondo dopo la prima guerra mondiale vede nascere
la supremazia americana nella politica, nell’economia, nei mezzi di comunicazione di massa e in
campo militare. Questi eventi portarono a fare dell’inglese la lingua della globalizzazione, quindi
l’insegnamento delle lingue straniere si divise in due parti: insegnamento dell’inglese e
insegnamento di lingua “altre”. Gli
stati uniti mettono quindi subito in azione quattro risorse:
a. Una psicologia dell’apprendimento, behaviorismo o comportamentismo, secondo la quale
l’apprendimento è il risultato di una serie intensiva e ripetitiva di stimoli e risposte (Skinner) seguite
da conferma e correzione.
b. Una teoria linguistica (quella di Bloomfield) detta ‘tassonomica’, in quanto tende ad una analisi
delle componenti minime della lingua, che quindi si adatta perfettamente ad essere inserita, in
microstrutture, nelle sequenze stimolo/risposta di Skinner.
c. Una notevole quantità di immigrati capaci di inserire campioni di lingua autentica.
d. Una risorsa tecnologica che viene impiegata in maniera innovativa, il giradischi, dove spezzoni
definiti dai linguisti vengono registrati e riascoltati. Pochi anni dopo nasce l’altra macchina
tecnologica di riproduzione, il registratore, che porterò poi alla creazione dei primi laboratori
linguistici.
Approccio strutturalistico: prende il suo nome dalla microstrutture linguistiche bloomfieldiane. La
sua stagione di gloria si conclude alla fine degli anni cinquanta, per un violento attacco di Chomsky
al modello Skinneriano, dall’altro per l’evoluzione del pensiero di Lado ad opera della
sociolinguistica (fondatore della Faculty of linguages and linguistics) secondo cui le microstrutture
linguistiche non hanno significato se non in un contesto sociale perché quello è il requisito minimo
della comunicazione. Gli esercizi strutturali sono
costituiti da una serie di sequenze, stimolo/risposta/conferma, presentate con ritmo incalzante al
fine di impedire una riflessione consapevole e di privilegiare la memorizzazione spontanea. Essi sono
di tre tipi:
a. Sintagmatici: modificano la struttura del sintagma, (io bevo, io ho bevuto).
b. Paradigmatici: legano nella memoria un verbo ad un oggetto, ad esempio ‘io mangio una mela’.
c. Combinati: si presentano in sequenze sempre più complesse ( io mangio, mela, ieri -> Ieri ho
mangiato una mela)
Percorso: memorizzazione “forzata”.
Studente: tabula rasa, apprende per automatizzazione.
Docente: gestore di esercizi grammaticali.
Strumenti operativi: programmazione di tipo progressivo.
Tecniche didattiche: esercizi strutturali.
Materiali: dischi, registratori, laboratorio linguistico.
Approccio Comunicativo: l’attenzione non è più incentrata su “com’è fatta la lingua” ma su “che
cosa fa la lingua”, a che cosa serve. La lingua serve per compiere atti sociali e pragmatici, serve per
comunicare. Fino
al 1960, gli elementi linguistici venivano classificati in base alla loro forma e funzione linguistica, dal
1960 al 1970 invece, si afferma la possibilità di classificare gli scopi degli elementi linguistici: dire
l’età, capire l’ora, salutare, congedarsi e così via… Viene costruito dunque un progetto dalla duplice
natura:
a. Creare un repertorio di funzioni comunicative con una pretesa universale (ad es. in tutte le lingua
ci si saluta) e vedere quali esponenti la realizzano (ciao/buongiorno, hi/hello). In una lingua però
non
tutto ha una funzione pragmatica, vi sono anche elementi che qualificano, modificano, connettono
e allora si ricorre alla categoria delle “notion” (quantità, colore, temporalità ecc).
b. Stabilire dei livelli di competenza comunicativa omogenei tra varie lingue, il più famoso è il livello
soglia, il livello B1.
La competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza come esecuzione nel mondo, in
eventi comunicativi, realizzati in contesti sociali dove chi usa la lingua compie un’azione. Nella
mente vi sono tre nuclei di competenze che costituiscono il sapere della lingua:
Competenza linguistica: la capacità di comprendere e produrre enunciati ben formati dal punto
di vista fonologico, morfologico, sintattico e lessicale.
Competenza extralinguistica: la capacità di comprendere e produrre espressioni e gesti del corpo,
di valutare l’impatto comunicativo della distanza interpersonale, di usare e riconoscere il valore
comunicativo degli oggetti e del vestiario.
Competenze socio pragmatiche: competenze contestuali relative alla lingua in uso.
Le competenze mentali si traducono in azione comunicativa, nel saper fare lingua, quando vengono
utilizzate per produrre, manipolare testi (riassumere), prendere appunti ecc… questo meccanismo
di messa in atto della competenza prende il nome di padronanza.
Percorso: induttivo.
Studente: è al centro, con i suoi bisogni e interessi.
Docente: gestisce gli imput e guida lo studente come un regista.
Strumenti operativi: livelli di soglia.
Tecniche didattiche: roleplay, interazione simulata.
Materiali: dischi, registratori, skype, smartphone.
Approccio proto comunicativo, metodo situazionale: le situazioni vengono definiti sulla base delle
coordinate spazio temporale (una serata al bar), del ruolo e dei partecipanti (amici) e dei loro scopi
(offrire da bere).
Il tipico manuale situazionale si basa su unità didattiche in cui lo studente si trova:
a. Immagini, titoletti e didascalie in tema.
b. I dialoghi registrati.
c. Una versione segmentata, con spazi fra una battuta e l’altra che offre agli studenti la possibilità di
ripetere una frase così da fissare intonazione e pronuncia.
d. Tradizione strutturalistica, esercizi sulla struttura, morfosintattici, fonetici e lessicali.
e. Tradizione formalistica, esercizi formali, grammatica, coniugazioni o inserire la preposizione
giusta.
f. Tradizione del Reading Method, letture di civiltà, di solito basate su notizie spesso di scarso
interesse, con qualche domanda di comprensione, la richiesta di riassumere o di scrivere una
composizione a riguardo.
Percorso: induttivo nei manuali, in realtà deduttivo.
Studente: tabula rasa, viene valorizzata la sua conoscenza del mondo.
Docente: fulcro dell’attività didattica, ma si affida ai manuali.
Strumenti operativi: programmazione di tipo progressivo.
Tecniche didattiche: ascolto, comprensione, esercizi strutturali.
Materiali: dischi, registratori, laboratori.
Approccio comunicativo, metodo nazionale-funzionale: nel momento in cui l’inglese assume il ruolo
nell’insegnamento che era stato del francese, l’insegnamento linguistico europeo si trova a disporre
di:
a. Strumenti concettuali teorici: approccio comunicativo proposto attraverso le collane
glottodidattiche anche a supporto dei nuovi materiali didattici.
b. Strumenti di programmazione curricolare (A1,A2,B1,B2,C1,C2)
c. Il metodo nazionale – funzionale che offre una base metodologica.
d. Manuali didattici prodotti da editori internazionali.
e. Progetto speciale di lingua straniera che in pochi anni produce circa trecento insegnanti utilizzati
come formatori dei loro colleghi con corsi di cento ore.
Questo modern language project sconvolge l’insegnamento linguistico: da un lato l’approccio
grammaticale viene condannato e gli insegnanti vi ricorrono solo per sopperire a manuali troppo
drastici che presentano una eccessiva non presenza di grammatica, dall’altro rimangono gli esercizi
strutturali. La cultura è ridotta alla cultura quotidiana e tendono a scomparire le riflessioni sulle
civiltà dei popoli di cui si studia la lingua. La traduzione viene abbandonata, non solo nelle fasi iniziali,
ma anche nei livelli più avanzati dove invece costituisce uno straordinario strumento di riflessione
linguistica e interculturale.
Percorso: prevalentemente deduttivo.
Studente: non viene valorizzata la sua conoscenza del mondo.
Docente: fulcro dell’attività didattica, ma si affida ai test per gli imput.
Strumenti operativi: le unità didattiche sono basate sulle 3P, presentation, practice, production.
Tecniche didattiche: ascolto, comprensione.
Approccio comunicativo, metodo tradizionale di Krashen: partendo dall’ipotesi di Chomsky
sull’esistenza di un Language Acquisition Device, Krashen elabora la SLAT, second language
acquisition theory e in particolare l’apposizione tra acquisizione e apprendimento. L’acquisizione è
un processo che sfrutta le strategie globali dell’emisfero destro del cervello assieme a quelle
analitiche dell’emisfero sinistro. Quando viene acquisito un termine, esso entra nella memoria a
lungo termine dell’individuo. L’apprendimento è un processo razionale governato dall’emisfero
sinistro e di per sé non produce acquisizione stabile: la competenza appresa è provvisoria. Alla base
della SLAT sta l’idea che l’insegnante debba lavorare in funzione dell’acquisizione, tale acquisizione
avviene quando lo studente focalizza la sua attenzione sul significato dell’input e non sulla sua
forma. Se ad un individuo viene fornito un input reso comprensibile, allora il language acquisition
device si mette in moto e procede all’acquisizione. La prima delle condizioni perché l’input venga
acquisito è che esso sia collocato al gradino immediatamente successivo all’input acquisito fino a
quel momento, si tratta di una applicazione Krasheniana di una nozione psicologica chiamata “Area
di Sviluppo Potenziale” che sarebbe la distanza tra la parte di un compito che un individuo è già in
grado di fare e il livello potenziale che può raggiungere nel tentativo di compiere la parte restante
del compito, da solo o sotto la supervisione di un esperto.
Percorso: fortemente induttivo.
Studente: protagonista del suo apprendere.
Docente: guida, punto di riferimento.
Lingua: strumento pragmatico di comunicazione.
Strumenti operativi: curricolo basato sull’ordine di acquisizione della lingua.
Tecniche didattiche: comprensione dei testi e interazione.
Approccio comunicativo, metodi clinici: negli anni sessanta e settanta una serie di proposte ebbero
una certa diffusione, caratterizzate da una forte componente psicologica, tant’è che qualcuno li
definisce metodi “clinici”, in quanto molte volte riprendono il modello del rapporto tra psicologo e
paziente nella psicoterapia: l’insegnante infatti parla poco, incoraggia lo studente con sorrisi, lo
corregge tenendo una mano protettiva sulla sua spalla, e così via. I quattro metodi sono:
a. Total Physical Response: proposto da Asher, dove l’insegnante da ordini e indicazioni sempre più
complessi finché induce gli studenti a usare spontaneamente la lingua per eseguire un ordine.
Metodo molto usato nella scuola primaria e nell’insegnamento dell’italiano agli emmigrati.
b. Community Language Learning: proposto da Curran che ha trasposto direttamente in didattica i
modelli della seduto psicoterapeutica dove l’insegnante è un consigliere che resta fuori dal lavoro
di apprendimento e cerca di individuare il ritmo e lo stile di apprendimento dello studente.
L’affettività diventa la componente più rilevante, anche se poi le tecniche rimandano all’approccio
formalistico.
c. Silent Way: proposto da Gattegno, l’insegnante dà un modello, poi tace, e gli studenti lo ripetono
e lo riutilizzano in situazioni differenti.
d. Suggestopedia: nasce in Bulgaria, a opera di Lozanov. E’ il metodo clinico per eccellenza simile ad
una seduta di psicoterapia di gruppo, con musica barocca di sottofondo che facilita
l’apprendimento e i testi vanno ripresi prima di dormire e appena alzati.
Per quanto bizzarri, questi approcci si sono rivelati abbastanza efficaci e hanno, soprattutto, offerto
preziose indicazioni sul ruolo dell’affettività.
Percorso: fortemente induttivo.
Studente: fulcro emotivo del processo.
Docente: fulcro guida, punto di riferimento, psicoterapeuta.
Strumenti operativi: testi graduati secondo le difficoltà.
Lingua: strumento pragmatico di comunicazione.
La Glottodidattica Umanistica: negli anni settanta e ottanta, la situazione psicologica viene
considerata sempre più importante in glottodidattica. I testi canonici della psicologia umanistica
sono Toward a Theory of Istruction di Bruner e Freedom to Learn di Rogers. La filosofia di fondo a
questa corrente psicologica stigmatizza la tradizione logica, razionale e intellettuale
dell’insegnamento a scapito della dimensione emozionale della persona che apprende. Il contributo
della psicologia umanistica sta nell’aver ricordato all’insegnamento che:
a. La dimensione emozionale non è solo una componente essenziale ma diventa spesso prevalente,
soprattutto nei bambini e negli adolescenti. L’atteggiamento verso una lingua può dipendere dal
rapporto con l’insegnante, con i compagni o addirittura dal layout grafico del manuale.
b. Il cervello umano è diviso in due emisferi in continua interazione. Non si potrà dunque insegnare
ad uno studente tenendo conto solo della sua razionalità e non, ad esempio, della sua sfera emotiva.
c. La mente umana funziona secondo sue procedure, che vanno rispettate per ottenere un buon
risultato.
d. Per essere interiorizzato, l’apprendimento deve essere “significativo” portando a chi imparare a
rendersi conto dell’effettiva necessità di apprendere una determinata materia (una motivazione).
e. L’idea che la conoscenza venga costruita dallo studente nella sua mente e che tale costruzione
sia più rapida, complessa e solida se avviene attraverso il lavoro in gruppo sotto la guida
dell’insegnante (approcci e metodologie a mediazione sociale).
E’ vero che in gruppo si sbaglia di più e gli errori non vengono corretti, ma secondo la Rule of
Forgetting di Krashen, si impara meglio una lingua quando si dimentica che si sta usando la lingua.
La linguistica acquisizionale e l’interlingua: la linguistica acquisizionale studia una realtà chiamata
“interlingua”, cioè la lingua usata da una persona che sta apprendendo una lingua. E’ una parte della
piramide della quale non si può acquisire una sezione centrale ma si deve per forza partire da zero,
costruendo la propria competenza secondo sequenze d’acquisizione dette “implicazionali” perché
ciascun elemento implica la presenza di altri elementi già acquisiti (secondo la logica della “zona di
sviluppo prossimale” di Krashen). La nozione fondamentale, secondo Selinker (il creatore del
termine “interlingua”) è che l’interlingua è un sistema a sé, non strutturato a caso, prodotto
dall’input dell’insegnante nella lingua straniera o nell’ambiente dell’acquisizione spontanea (ad
esempio gli immigrati che apprendono una lingua vivendo il quotidiano). E’ un sistema che ha le sue
basi nella grammatica universale, oltre che nella lingua materna. L’interlingua non è quindi una
competenza “sbagliata”, è una competenza ridotta, ha una sua struttura e i suoi meccanismi
sufficienti a comunicare, per quanto con mezzi ridotti che producono “errori”, che si verificano
perché la grammatica mentale dello studente, non ne prevede la esecuzione corretta che invece
arriverà una volta raggiunto un livello adeguato. L’acquisizione di una lingua straniera segue percorsi
e meccanismi simili a quelli dell’apprendimento della lingua materna, secondo gli studiosi di matrice
Chomskyniana. Ma l’apprendimento della lingua materna è spontanea, mentre quello della lingua
straniera è consapevole e questo porta ad esempio a confrontare la lingua che stanno apprendendo
con quella già acquisita, generando spesso errori di interferenza che possono, però, essere corretti
con l’aiuto dell’insegnante. Accanto all’ordine naturale di acquisizione, c’è una variabile cognitiva,
studiata dalla Teoria della Processabilità di Pienemann, secondo la quale la mente è predisposta
dapprima ad imparare le cose che richiedono meno sforzo cognitivo, quindi ciò che è più facile da
osservare nell’input. L’insegnante può migliorare la propria qualità studiando la dimensione
acquisizionale della lingua che insegna, cercando di applicare il parametro “giusti/sbagliato” in
relazione all’interlingua che si suppone il suo allievo possieda o dovrebbe possedere in un
determinato momento e chiedendosi, di fronte a incapacità o rallentamento di acquisire qualcosa,
se quel qualcosa sia processabile, cioè se quel qualcosa spinga la mente ad acquisire o se invece lo
studente non ne abbia ancora individuato l’importanza e la “facilità” da non permettergli
l’acquisizione.
Portfolio europeo delle lingue: da degli indicatori adottati dai cinquantuno paesi del consiglio
d’europa (e non solo) per indicare la competenza comunicativa di una persona secondo i sei livelli
che vanno da A1 a C2, in cui il livello B1 corrisponde al livello soglia.
Quadro comune europeo: mentre i livelli soglia erano strumenti per autori di materiali didattici e
per gli insegnanti, il Quadro è un testo politico e ribadisce che il problema della conoscenza delle
lingue comunitarie non riguarda solo la scuola ma tutti, dai ministri ai genitori, e che la società della
conoscenza si costruisce non solo sapendo una lingua franca, l’inglese, ma conoscendo altre lingue
comunitarie, anche se a livelli diversificati, dall’intercomprensione alla piena padronanza.
CERTEZZE CRESCENTI
a. Clil: la metodologia “content and language integrated learning”. Si tratta dell’uso veicolare di una
lingua straniera per insegnare un’altra disciplina, è una metodologia sostenuta dal consiglio
d’Europa (matematica in inglese).
b. Intercomprensione tra lingue vicine: appare come una ‘certezza crescente’ anche se è ancora rara
nelle scuole e nelle università. Il principio è molto semplice: un italiano e uno spagnolo che parlano
la propria lingua fra loro lentamente, potranno capire a grandi linee cosa l’uno voglia dire all’altro
anche se non perfettamente. Insegnare l’intercomprensione: sulla base di questa esperienza si
sono realizzati corsi per migliorare la qualità dell’intercomprensione, a livello di strategie cognitive
(ad esempio far capire che “comprendere” non significa capire ogni singola parola), evidenziando
alcuni elementi linguistici che possono avere una funzione chiave (ad es. il pas francese indica la
negazione) o con alcune riflessioni di storia delle lingue.
c. La tendenza ad una Glottodidattica d’Arlecchino: l’esperienza scolastica personale degli
insegnanti risale in media a un quarto di secolo prima, ed è avvenuta con insegnanti formati dal
progetto speciale lingue straniere del 1980 circa. Quindi gli insegnanti possiedono valori,
metodologie e procedure che è difficile abbandonare affiancandosi al “nuovo”. Gli editori sono ben
consapevoli di questo atteggiamento psicologico e sanno che gli insegnanti sono convinti che non
tutto il “vecchio” sia da buttare visto che loro la lingua l’hanno imparata anche con quei metodi:
producono quindi dei manuali che sembrano vestiti da Arlecchino, che aggiunge al suo vestito le
pezze multicolori costituite delle convinzioni medo logiche personali dell’insegnante. Lo scopo di
questo manuale è anche quello di contribuire a ridurre il ruolo di Arlecchino attraverso la creazione
di un insegnante consapevole della natura di una glottodidattica “o tutto o niente”.
LO STUDENTE
Il cervello: la neurolinguistica, che descrive il funzionamento del cervello, e la psicolinguistica, che
studia il
funzionamento del language acquisition device, ci indicano come correnti glottodidattiche, come il
Neurolinguistic Programming, siano i modelli canonici di didattica.
La neurologia descrive il fenomeno della lateralizzazione, cioè il fatto che i due emisferi del cervello
lavorano in maniera differente, specializzata.
La psicologia descrive la natura di tale specializzazione, cioè:
Emisfero sinistro: compiti di natura analitica, sequenziale, logica.
Emisfero destro: compiti di natura globalistica, simultanea, analogica.
La psicologia studia anche i meccanismi della memoria, cioè del collocamento di nozioni nel cervello
e del loro successivo recupero, quando esse sono necessarie.
La neurolinguistica individua nell’emisfero sinistro le due aree in cui avviene l’elaborazione del
linguaggio e si arricchisce delle ricerche neuro semiotiche, che indicano come i diversi tipi di
messaggio vengono
elaborati in realtà attraverso una sequenza di operazioni interrelate tra i due emisferi. Marrel Danesi
ha studiato questi fenomeni traendone le implicazioni glottodidattiche che sono contenute in due
termini fondamentali: bi modalità e direzionalità.
Bimodalità: il termine suggerisce che entrambe le modalità del cervello sono coinvolte nella
comunicazione linguistica e esse devono essere integrate affinché l’intera mente dell’allievo venga
coinvolta nel processo di acquisizione linguistica.
Direzionalità: il principio della direzionalità stabilisce che l’uso bimodale del cervello avviene
secondo una direzione ben precisa: dell’emisfero destro a quello sinistro. Quindi, durante le prime
fasi si motiva all’acquisizione coinvolgendo in maniera bimodale la dimensione affettiva (piacere di
comunicare in un’altra lingua: modalità destra) e quella logica (bisogni linguistici o professionali:
modalità sinistra). Poi si presenta del materiale contestualizzato, sensoriale (modalità destra) per
passare a formalizzare l’analisi con tecniche associate alla modalità sinistra (esercizi, la riflessione
sulla lingua ecc…).
LAD e LASS: lo studente di una lingua straniera non è una tabula rasa su cui incidere, non è un vaso
vuoto da riempire di lessico, morfosintassi ecc… lo studente è un soggetto attivo, predisposto
all’acquisizione linguistica che va supportato, guidato, facilitato e reso più efficiente nei tempi di
acquisizione.
Language acquisition device (LAD): è un dispositivo di acquisizione della lingua, un ipotetico
meccanismo del cervello che Noam Chomsky postula per spiegare l'acquisizione umana della
struttura sintattica del linguaggio. Questo meccanismo conferisce ai bambini la capacità di ricavare
la struttura sintattica e le regole della loro lingua nativa rapidamente e con precisione da input
impoverito fornito da utenti di lingua per adulti.
Language Acquisition Support System (LASS): ipotizzato da Bruner, il quale ritiene che il LAD sia
insufficiente a spiegare l’acquisizione se non si considera anche il LASS, costituito dall’aiuto che il
bambino riceve dagli adulti e anche da altri bambini più grandi. Nell’insegnamento linguistico il
principale ruolo del docente sarebbe quello di gestire il LASS costituito dalla sua azione didattica e
dall’uso che fa egli dei materiali didattici.
Il processo di acquisizione si divide in cinque fasi:
a. Osservazione dell’input linguistico – comunicativo che ci circonda individuando correlazioni
concrete (il bambino piange e dice acqua -> viene dissetato) e formali (il bambino rileva la
correlazioni tra io e desinenze verbali).
b. Creazioni di ipotesi sul funzionamento di quel dato meccanismo (i bambini ipotizano che le
desinenze verbali in –o indichino la prima persona singolare, quindi generano “io ando” oppure al
posti di went, goed).
c. Verifica dell’ipotesi attraverso la conferma o la correzione da parte degli adulti o dall’insegnante.
d. Fissazione attraverso attività di ripetizione. Nell’insegnamento delle lingue questa fase è condotta
attraverso attività di natura comportamentistica e per mezzo di giochi.
e. Riflessione, guidata dall’adulto in rare occasioni nell’acquisizione pre-scolare e poi dagli
insegnanti in maniera via via più esplicita e complessa.
Va ricordata la teoria di Krashen, secondo il quale l’acquisizione richiede una situazione in cui non
ci sia paura, ansia da prestazione, cioè un filtro affettivo, altrimenti la memorizzazione risulta
temporanea e non stabile.
IL FILTRO AFFETTIVO
Quella del filtro è una metafora psicodidattica che serve a capire la realtà scientifica dal quale
dipende la memorizzazione. Nelle situazioni di piacevole sfida l’organismo rilascia
neurotrasmettitori (come la noradrenalina) fondamentali per assimilare e poi ricordare l’input
recepito. In caso di stress negativo, di ansia, di paura di non riuscire, invece, l’organismo rilascia uno
steroide che lo prepara a fronteggiare il pericolo: l’amigdala, una ghiandola posta al centro del
cervello rileva il pericolo e richiede lo steroide, ma allo stesso tempo, l’ippocampo comprende che
un testo non è un pericolo reale e quindi cerca di bloccare lo steroide e per fare ciò smette di
occuparsi di indirizzare le nuove informazioni o di recuperare quelle esistenti nella memoria a lungo
termine. Ne consegue che le attività didattiche stressanti non si traducono in acquisizione e che
questa “lotta ghiandolare” rallenta l’attività dell’area neo-frontale del cervello, che ospita la
memoria di lavoro e lo studente va definitivamente in “tilt” giungendo alla scena muta. La
glottodidattica quindi, non può ignorare l’intelligenza emotiva dello studente.
LA MOTIVAZIONE
Acquisire è uno sforzo: la mente deve accomodare in memoria le nuove informazioni e acquisirle.
Ciò comporta anche un ridisegno delle sinapsi, cioè dei collegamenti chimico-elettrici tra i neuroni
del cervello.
L’energia per fare questo è costituita dalla motivazione. Ci baseremo quindi su due modelli:
Modello Egodinamico: secondo Titone, uno dei padri della glottodidattica, ogni persona, cioè il suo
ego, ha un progetto di sé più o meno esplicito. Se questo progetto richiede la conoscenza di una
lingua, la persona individua una strategia (si scrive ad un corso e compra un CD in edicola). A questo
punto, subentra il momento tattico, quello del contatto reale col suddetto corso, ad esempio. Se si
ottengono risultati non troppo distanti da quelli sperati senza troppi sforzi, si rinforza la strategia e
questo invia una reazione positiva all’ego e quindi continua a motivare il lavoro. Nel caso la reazione
fosse negativa, il filtro affettivo si inserisce e il progetto di apprendere una lingua cade. E’ il risultato
che induce lo studente a ritenersi soddisfatto della sua scelta di studiare la lingua. Secondo il
modello egodinamico, non c’è possibilità di motivare uno studente adolescente a studiare una
lingua se nei suoi progetti di vita non c’è un contatto sistematico con la lingua stessa.
Modello Tripolare: questo modello individua le tre cause che governano l’agire umano:
Dovere: regna sovrano nelle situazioni didattiche tradizionali. Questa motivazione non porta
all’acquisizione perché inserisce un filtro affettivo che fa restare le informazioni apprese nella
memoria a medio termine. Tuttavia è possibile che il dovere si trasformi in “senso del dovere”, per
cui si produce comunque una motivazione.
Bisogno: è una motivazione legata primariamente all’emisfero sinistro del cervello, quello razionale
e consapevole, ed è una motivazione che funziona ma presenta due limiti: 1) è necessario che il
bisogno sia percepito. 2) funziona fin quando lo studente realizza di aver soddisfatto il suo bisogno,
punto che si colloca di solito ben al di sotto del livello soglia.
Piacere: motivazione legata all’emisfero destro ma può anche coinvolgere l’emisfero sinistro,
diventando cosi potentissima. Ci possono essere anche emozioni piacevoli legate alla tattica
quotidiana:
a. Il piacere della varietà: il corso, il materiale, il modo di guidare la comprensione, il modo di
chiedere produzione linguistica devono essere vari. Fare ogni giorno gli stessi esercizi e le stesse
attività toglie piacere e da noia.
b. Il piacere della novità: Schumann lo pone come fattore importante nella valutazione dell’input da
parte di una mente.
c. Il piacere della sfida: a tutti piace mettersi alla prova e lo si può fare anche con prove di lingua
(puzzle, incastri o dettati).
d. Il piacere della sistematizzazione: capire come funzione il mondo o un meccanismo è un piacere
molto forte, tale da coinvolgere anche l’emisfero sinistro. Far scoprire la grammatica anziché
insegnarla con schemi già fatti è un modo per fornire questo piacere.
e. Il piacere di rispondere al senso del dovere: porta alla disponibilità ad impegnarsi anche in attività
che di per sé non danno piacere.
Secondo gli studi di Shumann, il cervello coglie gli stimoli (quelli che Krashen chiama Input) e
procede ad una valutazione in base alla quale decide se accettare l’input e acquisire tale nuova
informazione. Il cervello selezione ciò che vuole selezionare sulla base di cinque motivazioni:
1. Novità.
2. Attrattiva: dovuta alla piacevolezza dello stimolo.
3. Funzionalità: nel rispondere al bisogno che lo studente percepisce.
4. Realizzabilità: un compito possibile, abbordabile, viene percepito come motivante e innesca il
LAD,
mentre un compito ritenuto troppo arduo chiude la mente.
5. Sicurezza psicologica e sociale: ciò che si deve imparare e la risposta che si deve dare allo stimolo
non mettono a rischio l’autostima e l’immagine sociale.
LO STUDENTE BAMBINO
Ai bambini non si insegna una lingua straniera, ma li si guida nella scoperta del fenomeno linguistico
attraverso il contatto con varie lingue. Bisogna far capire loro che:
a. La lingua materna è solo una tra le tante lingue possibili.
b. Le lingue straniere si possono imparare.
c. Imparare può essere un gioco.
Secondo il trattato di Maastricht non basta equilibrare i fondamentali parametri economici, ma è
anche necessario promuovere l’intercomprensione tra i cittadini dell’UE, per cui a ciascuno di essi
dovrebbe essere garantita la conoscenza di due lingua europee. Il progetto politico di fondo può
essere sintetizzato nel passaggio da bilinguismo a bilinguità:
Bilinguismo: dato sociale.
Bilinguità: condizione personale, descrive coloro che sono riusciti a sviluppare una personalità
bilingue.
Il periodo critico: come nota Danesi, la presenza di due lingua nel cervello porta ad un arricchimento
cerebrale. Secondo l’ipotesi dei periodi critici, studiata da Lenneberg, durante i primi anni di vita il
meccanismo di acquisizione linguistica sarebbe al suo massimo e decadrebbe alla soglia della
pubertà. Altri studi hanno precisato che non proprio decade ma piuttosto decade la capacità di una
perfetta acquisizione fonetica. Tale periodo in realtà è articolato in:
a. Periodo critico: in cui è potenzialmente possibile acquisire una o più lingue raggiungendo una
competenza anche pari a quella di una madrelingua.
b. Periodo sensibile: tra gli 8 e i 22 anni la persona ha ancora forti potenzialità neurologiche che le
consentono di sviluppare una buona competenza linguistica, ma la sua performance non passa più
per quella di un madrelingua.
Principio di interdipendenza linguistica: questo principio proposto da Cummins, afferma che lo
studio di una lingua si riflette positivamente sull’intero repertorio linguistico della persona. Ricorre
alla memoria dell’iceberg… ciò che compare “in superficie” nella comunicazione linguistica è solo
una parte del processo di concettualizzazione e verbalizzazione che avviene nella mente. La capacità
di elaborare una lingua (la parte sommersa dell’iceberg) cresce quando studiamo una lingua
straniera.
L’insegnamento ai bambini: i capisaldi didattici per la glottodidattica precoce sono:
a. Integrazione tra la lingua straniera e il resto del curricolo, che si realizza sul piano della
progettazione quindi della definizione degli obiettivi e della scelta dei contenuti. E’ una sorta di CLIL
diffuso.
b. La flessibilità di approccio, metodo, tecniche: ogni bambino ha il suo stile cognitivo, per cui
struttura la propria conoscenza in maniera originale, e un suo stile di apprendimento, per cui
raggiunge la comprensione dell’oggetto da acquisire e poi accomoda le nuove conoscenze secondo
le sue procedure.
c. Sensorialità: implica quell’uso di tutte le facoltà sensoriali dell’uomo, udito, olfatto, vista, tatto,
gusto. L’insegnamento della lingua non può quindi basarsi su astrazioni, schemi, regole, ma deve
partire dal nominare ciò che si tocca, si vede ecc… es. un dialogo non avverrà tra due ipotetici
interlocutori ma tra due bambolotti.
d. Motricità: si sposa alla natura pragmatica e funzionale della lingua usata per giocare, per fare, per
dare istruzioni…
e. Lucidità: non significa riempire la didattica di giochi, ma di giochi fini a se stessi, in cui chi fallisce
non vive una tragedia e dove sbagliare non comporta nessuna conseguenza.
La mente del bambino è aperta all’apprendimento continuo, l’età in cui si creano più sinapsi al giono
è intorno agli otto anni. Il bambino è un macchina d’apprendimento e l’importante è fornire Lass al
suo Lad.
LO STUDENTE ADOLESCENTE
Aspetto relazionale: a differenza del bambino, adolescente non accetta più come “naturale” il fatto
di sbagliare e di essere corretto dall’adulto. Si sviluppa quindi un accordo tacito tra pari che porta a
privilegiare l’aurea mediocritas: la meta non è più l’eccellenza (i secchioni) ma quello di mantenersi
intorno al minimo necessario. Lo studente adolescente si ritiene adulto, quindi, non si possono
utilizzare attività didattiche che egli percepisce come infantili.
Aspetto cognitivo: la capacità di analisi e di definizioni metalinguistiche maturano e rendono
possibile una riflessione sulla lingua via via sempre più profonda. Le conoscenze dichiarative,
affermazioni di dati di fatto, maturano in conoscenze procedurali (es. se è così… allora…). La
conseguenza glottodidattica di tutto ciò è nel passaggio da un approccio comunicativo fondato sulle
intuizioni ad uno che include sempre più riflessione. Alla competenza dell’uso della lingua si affianca,
come sostegno, la competenza sull’uso della lingua,cioè la competenza metalinguistica.
Introduzione della seconda lingua straniera: nel momento in cui entra nella scuola media, lo
studente inizia lo studio di una seconda lingua straniera. L’educazione linguistica vuole aiutare la
persona nella autopromozione, il che presuppone capacità di socializzare, che a sua volta
presuppone l’accettazione dei modelli culturali della comunità straniera. Sul piano glottodidattico:
a. Lo studente di undici o dodici anni ha già una storia personale di apprendimento della prima lingua
che non può essere ignorata, è necessario quindi che l’insegnante di italiano e di lingua straniera si
coordino tra di loro sui metodi da seguire.
b. Le lingue da apprendere sono due ma lo studente è uno quindi è necessario non adottare delle
metodologie di insegnamento scoordinate.
c. Proprio perché si tratta di due lingue molti dei “problemi” sono comuni, quindi è inutile ripetere
sempre gli stessi concetti.
d. Un aspetto particolare è costituito dall’uso delle glottotecnologie, non solo l’aula multimediale ,a
anche il lavoro autonomo in rete o con altri multimedia.
Per queste ragioni l’insegnamento di due lingue deve essere coordinato e integrato.
IL GIOVANE ADULTO
Lo studente giovane adulto (anche universitario) si avvicina alla lingua straniera per bisogno
professionale e con l’atteggiamento della persona autonoma e responsabile delle proprie scelte. Ma
la grande differenza fra l’apprendimento linguistico delle università e quello per ragioni
professionali sta nell’atteggiamento
dello studente nei confronti del docente: l’adulto già inserito nel mondo del lavoro ed è padrone di
sé, per cui l’impianto è androgogico e la prospettiva è lifelong learning; invece nelle università lo
studente si pone ancora in posizione di inferiorità verso l’insegnante, per cui l’impianto è
pedagogico.
LO STUDENTE ADULTO
L’essere adulto rimanda sia all’età, sia alla conseguente maturazione psicologica e relazionale. Da
queste peculiarità discendono alcune caratteristiche dell’adulto che studia una lingua straniera.
a. L’adulto è fuori dal percorso formativo di base, è maggiorenne e quindi vuole decidere
autonomamente ed è una caratteristica fondamentale perché incide sul rapporto studente-
insegnante.
b. Il rapporto studente- insegnante, non è più educativo ma prevalentemente istruttivo:
l’insegnante è un tecnico che conosce la lingua e la glottodidattica.
c. Lo studente paga il corso, quindi viene applicato il principio value for money: non si segue il corso
per piacere.
d. I risultati perseguiti devono essere raggiunti nel minor tempo possibile perché spesso la società
detta i tempi.
e. La storia dello studente mette a rischio l’apprendimento in quanto egli è convinto di sapere come
si impara una lingua, avendone imparata almeno una in passato, ma spesso si tratta di ricordi basati
su metodologie obsolete che potrebbero entrare in conflitto con quelle moderne: quindi i principi
metodologici gli vanno spiegati esplicitamente.
f. La capacità di apprendere una lingua in un adulto non viene mai meno, l’unico “problema” è la
rapidità di apprendimento che in una bambino è più veloce, ma alla fine l’adulto riesce a
raggiungere lo scopo anche se lentamente, questo va spiegato per non rischiare la demotivazione.
g. Una fondamentale caratteristica psicologica dell’adulto è la sua capacità metalinguistica che
deriva dalla superiore capacità astrattiva e sistematizzante della mente adulta, nonché dal desiderio
di “regole” stabili a cui far riferimento: quindi l’insegnante deve integrare i materiali sulla base delle
necessità metalinguistiche dei suoi studenti.
Tecniche didattiche adatte all’adulto: le tecniche glottodidattiche pongono l’allievo di fronte alla
sua competenza considerandolo autonomo nel decide di affrontare i vari compiti richiesti. Tra le
tecniche che affidano all’allievo il compito della realizzazione e della valutazione troviamo il dettato
auto-corretto, la procedura cloze (accoppiamento parole-immagini e tutte le forme di incastro).
Queste sono tecniche ottimali per l’adulto, mentre non lo sono le attività che portano lo studente
ad interagire con i compagni, in quanto possono essere percepite dall’adulto come un rischio
l’immagine che da di se. Assolutamente improponibili sono le attività che pongono l’allievo in un
confronto diretto con l’insegnante perché rompono il patto psicologico tra adulti che sta alla base
dell’andragogia.
Andragogia: è il corrispondente della pedagogia, che riguarda l’apprendimento e l’insegnamento a
bambini e adolescenti, mentre l’andragogia si occupa degli adulti. Secondo Rogers l’apprendimento
dell’adulto si caratterizza per il fatto che l’adulto, a differenza del bambino, è restio a mettere in
discussione l’architettura delle sue conoscenze, quindi l’insegnamento può avere successo solo se
è stato lo studente a decidere di modificare le sue conoscenze e se viene rispettata la sua autonomia
nei processi di decision making. L’insegnante quindi deve permettere continuamente allo studente
di misurare il percorso fatto, guidare il processo di modificazione guidando lo studente con
strumenti cognitivi per adulti, garantire e sostenere l’autonomia dello studente nell’apprendimento
e passare dal ruolo di insegnante a quello di facilitatore dell’apprendimento.
Lifelong Making: non è una scelta volontaria ma una necessità per adeguarsi alla globalizzazione. Ci
si scrive ad un corso non per fare carriera ma per sopravvivenza professionale.
Educazione Permanente: offerta educativa legata alla volontà di chi ne fruisce. Es. una persona che
vuole scalare la gerarchia aziendale si iscrive ad un corso di lingue.
La differenza fra le due sta quindi nella natura della motivazione.
Il gruppo di studenti: l’apprendimento avviene assieme ad altri compagni. Sono stati evidenziati
alcuni problemi: lavorando in gruppo e non essendo ancora esperti con la lingua uno studente
potrebbe acquisire un elemento sbagliato, ma questo è un rischio che può essere corso di fronte al
vantaggio dell’attività cooperativa. Infatti si tratta di più menti che, esplorando insieme la lingua e i
significati dei testi hanno maggiore probabilità di riuscire nell’impresa (il che sostiene il piacere
dell’apprendimento).
L’INSEGNANTE
I tre elementi della didattica della lingua sono: lingua, studente e docente. Lingua (intesa come
competenza comunicativa e riflessioni sulla civiltà e sulla cultura del popolo) e studente sono posti
in equilibrio paritetico. L’interazione principale si realizza tra questi due poli e deve portare
all’acquisizione della lingua allo studente. L’insegnante sta sul fondo e aiuta gli altri due poli a
mettersi in relazione, ma lo fa svolgendo
una funzione di regista. L’insegnante regge il tutto, lo mantiene in equilibrio accentuando e
restringendo il ruolo dei due protagonisti. L’insegnante può essere percepito come:
a. Facilitatore.
b. Consigliere: quello che usa i metodi clinici e la sua immagine spesso ricorda quella di uno
psicoterapeuta.
c. Maieuta: colui che con poche domande semplici stimola lo studente ad esplorare la lingua, farsi
ipotesi e darsi egli stesso le risposte, se possibile.
d. Tutore: secondo la logica del tutor, l’insegnante garantisce sostegno e protezione nel processo di
acquisizione linguistica e l’esplorazione di una cultura straniera.
e. Regista: sta dietro le quinte e guida gli studenti che diventano attori.
Tutte queste denominazioni hanno in comune il fatto che l’insegnante non è più visto come maestro
onnisciente ma come un professionista che funge da punto di riferimento. Per svolgere la sua
funzione il docente parla. La comunicazione didattica è importante per un insegnamento di qualità,
ma ci sono alcuni punti critici:
a. Foreigner’s talk: sono i tentativi di un madre lingua di farsi capire da un forestiero simili a quelli
usati per farsi capire dai bambini: sintassi elementare, coordinazione invece che subordinazione,
gesti enfatizzati ecc…
b. Teacher’s talk: è il forestierese; lessico ridotto scelto su base latina (intelligent/clever), sintassi
paratattica, cioè basata su coordinazione, fonetica molto facilitata dal professore. La teacher’s talk
è una procedura che va limitata ai primissimi passi dello studente in difficoltà.
c. TTT, Teacher’s talking time: la percentuale di tempo usata dal docente sul tempo totale della
lezione è una variabile utile per osservarne lo stile didattico. Un TTT eccessivo non facilita per
niente l’apprendimento, anzi!
Che lingua usare in classe? E’ necessario usare la lingua straniera. Tranne nei momenti di correzione
dei compiti e nei momenti di carattere emozionale e relazionale. La tradizione ci da due generi
comunicativi consacrati nei secoli:
a. La conversazione maieutica: aveva senso sotto i portici di Atene e Roma, quando un saggio
(filosofo, maestro) si sforzava di far maturare l’autonomia cognitiva e critica del suo allievo. Oggi
questo modello funziona solo per i dottorati di ricerca e, in glottodidattica, per l’insegnamento
dell’italiano agli immigrati.
b. La lezione ex cathedra: la lectio è tipica della istruzione religiosa. L’obiettivo viene messo al centro
dell’attenzione e viene comunicato in maniera frontale e diretta agli allievi da un sacerdotemaestro
che ha diritto di interpretazione incontestabile.
PROGETTISTI DEL CURRICULO E AUTORI DI MATERIALI DIDATTICI
Il progettista di un corso di lingue deve svolgere alcune funzioni essenziali:
a. Definire il ruolo del corso di lingua straniera all’interno del percorso formativo dello studente.
b. Analizzare i bisogno degli studenti per definire gli scopi del corso, specialmente per aziende o
centri linguistici.
c. Definire quali risorse sono necessarie per soddisfare quei bisogni e quali siano disponibili
stabilendo
un ordine di priorità.
d. Definire quale tipo di insegnante serva per quel corso ed eventualmente indicare i percorsi
formativi per i docenti.
e. Definire il curricolo di lingua straniera secondo uno dei tanti modelli disponibili.
f. Indicare il tipo di materiale didattico adeguato.
Materiale didattico adeguato:
a. Manuale base che presenta un percorso programmato, graduato che deve guidare ll studente a
raggiungere uno dei livelli del Quadro di riferimento comune europeo.
b. Materiali per il rinforzo e il recupero specifici per i vari livelli.
c. Materiali audio con monologhi e dialoghi.
d. Ampliamento in rete, per cui a ogni unità didattica corrisponde una serie di navigazioni guidate.
e. Sezione di adattamento del materiale alle necessità dello studente a seconda del paese di
provenienza.
f. Video, soprattutto per favorire una contestualizzazione soprattutto culturale.
g. Guida didattica, che illustri all’insegnante il percorso glottodidattica e il senso di ogni attività e
testo.
h. Prove di verifica graduate per ogni unità.
i. Un sito che offre ulteriori materiali o percorsi di recupero.
Quello che spetta al singolo insegnante è l’integrazione del materiale didattico con materiale
originariamente non pensato per la didattica: questo materiale è essenziale per offrire esempi
autentici di lingua, per motivare e per coltivare l’eccellenza degli alunni. Es. canzoni, film, pubblicità,
giornali ecc…
LA LINGUA E I LINGUAGGI NON VERBALI
La Comunicazione: insegnare a comunicare significa insegnare a scambiare messaggi efficaci.
Scambiare: la comunicazione non è mai monodirezionale, lo studente deve rendersi conto che
impara una lingua per uno scambio di significati e che la dimensione interrelazionale è necessaria.
Messaggi: includono un testo verbale e una componente non verbale, lo studente deve
comprendere che imparerà a creare messaggi, non frasi o parole.
Efficaci: si comunica per convincere, ottenere o vietare qualcosa e l’efficacia della comunicazione
si valuta sul risultato, cioè sull’essere riusciti ad ottenere quello che si voleva.
La comunicazione non avviene nel vuoto ma essa si situa in un evento comunicativo. Ciascuno dei
fattori dell’evento influisce sulla qualità della comunicazione quindi sarà utile portare gli studenti
alla consapevolezza esplicita di questi fattori. Il modello canonico per l’analisi di un evento
comunicativo è quello di Hymes, rappresentato dall’acronimo SPEAKING:
S: come setting, cioè luogo fisico: nell’interazione viso a viso è possibile usare gesti, indicare
oggetti
ecc…
P: come partecipanti, il rapporto di ruolo sociale fra i partecipanti è fondamentale per cogliere il
senso profondo di un evento comunicativo.
E: come ends, gli scopi per cui si comunica, comprendere un testo significa cogliere gli scopi,
dichiarati e non, di chi ha prodotto quel testo. Lo studente deve capire che in lingua straniera si
realizzano intenzioni comunicative e non si traducono delle parole o delle frasi.
A: come atti, sono delle azioni degli atti comunicativi, unità minime quali salutare, chiedere la
strada, salutarsi ecc… Lo studente deve imparare a non focalizzarsi sulle singole parole, ma a
cogliere lo scopo delle espressioni.
K: come Key, chiave psicologica, è la relazione tra i partecipanti all’evento comunicativo, la
dimensione psicologica.
I: come istruments, strumenti verbali e non , ma anche strumenti fisici di trasmissione dei linguaggi
(dall’aria a internet). La lingua varia a seconda degli strumenti usati per la comunicazione.
N: come norme (di interazione e interpretazione dei messaggi) vanno osservate più di quelle
linguistiche. Per es. in Italia è possibile interrompere qualcuno mentre non lo è assolutamente in
Scandinavia.
G: come genere comunicativo, conferenze, conversazioni, barzellette, testi letterari ecc… sono
generi comunicativi con una struttura profonda universale e una struttura superficiale che varia da
cultura a cultura.
Riflettere sulla comunicazione in generale e sulle peculiarità della comunicazione in una data lingua
è un investimento necessario a una precondizione per il successo nell’acquisizione della lingua
straniera.
Lingua straniera: l’aggettivo “straniera” indica una lingua che viene studiata in una zona in cui essa
non è presente se non nelle scuole. L’input in lingua straniera è fornito dall’insegnante direttamente
o con tecnologia.
Lingua etnica: si definisce etnica la lingua della comunità di origine di una persona quando essa non
è la sua lingua materna, ma è comunque presente nell’ambiente degli immigrati: ad es. un bambino
italofono che può sentire queste lingue parlate a casa da parenti e amici.
Lingua franca: lo fu il latino, lo è l’inglese oggi. Si tratta di una lingua molto usata in maniera
semplificata per facilitare la comunicazione internazionale.
LA COMPETENZA LINGUISTICA
La lingua è il contenuto per eccellenza dell’insegnamento linguistico. Esistono vari modi di
considerare la lingua:
a. Mezzo per raggiungere scopi: è la dimensione studiata dalla pragmalinguistica ed è alla base del
metodo nazionale-funzionale.
b. Espressione di un rapporto sociale e mezzo per modificare questo rapporto: è l’ambito della
sociolinguistica.
c. Indicatore di appartenenza a un gruppo, che spesso si riconosce proprio per l’uso della lingua.
(gruppo geografico, sociale, professionale ecc). E’ oggetto di studio sociolinguistico.
d. Forma: la lingua ha vari livelli formali, forma sonora (fonetica), scritta (grafemica), morfologica,
sintassi, lessico e linguistica testuale. Nella percezione diffusa tra i non specialisti sapere una lingua
vuol dire conoscere queste forme, la grammatica e le parole della lingua.
e. Espressione di una cultura e strumento per tramandarla di generazione in generazione. Questa
dimensione è studiata dall’etnolinguistica.
f. Strumento del pensiero, della concettualizzazione. Insegnando lingue straniere dobbiamo
insegnare diverse forme di concettualizzazione: es. un americano va dritto al punto mentre un
orientale ci gira attorno per poi arrivare al punto, un po’ come l’italiano che usa digressioni,
premesse, commenti e così via.
g. Strumento di espressione: l’espressione in questo caso diviene una comunicazione fine a se
stessa.
La lingua pensata per scopi estetici non può essere il principale modello linguistico presentato agli
studenti, ma non può nemmeno essere ignorato come se fosse inutile.
LA COMPENTENZA EXTRALINGUISTICA
Accanto alla competenza linguistica per comunicare è necessario possedere la competenza
extralinguistica, cioè quel complesso di codici che vengono usati assieme alla lingua per modificare
o sottolineare alcuni significati o, in alcuni casi, in sostituzione della lingua verbale. Le principali
competenze extralinguistiche sono:
a. La competenza cinetica: riguarda la capacità di comprendere e utilizzare gesti, espressioni del viso
e movimenti del corpo, il problema è che alcuni gesti sono diversi a seconda del paese.
b. La competenza prossemica, relativa alla vicinanza e al contatto con l’interlocutore cui sono spesso
legate le scelte di registro di lingua.
c. La competenza vestemica: la capacità di padroneggiare il sistema della moda, divise, uniformi,
abiti più o meno formali ecc…
d. La competenza oggettuale, rimanda all’uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status
sociale, una funzione ecc... es. l’arredamento dello studio o un auto aziendale.
LA COMPETENZA SOCIOPRAGMATICA
Per descrivere la competenza socio pragmatica possiamo citare il modello antropologico secondo il
quale ogni persona è in contatto con se stesso, con gli altri e con il mondo. La lingua serve a stabilire
e mantenere queste relazioni, infatti:
a. A “io” corrisponde una funzione personale.
b. A “io e te” corrisponde una funzione interpersonale e una regolativa.
c. A “io e il mondo” una funzione referenziale, che riguarda il mondo reale, poetico-immaginativa
che riguarda il mondo fantastico e metalinguistica che riguarda il mondo della lingua.
Possedere la competenza socio-pragmatica significa saper realizzare le sei funzioni, attraverso atti
ed espressioni appropriate.
Funzione personale: si realizza quando lo studente rivela la propria soggettività, personalità,
quando manifesta sentimenti, emozioni, pensieri. Questa funzione si realizza, oltre che nei
dialoghi, anche in generi come la lettera, il diario, l’intervista ecc. Atti comunicativi: chiedere/dire
nome, età, provenienza; parlare dello stato fisico; parlare dello stato psichico; esprimere i propri
gusti. Molti materiali didattici hanno un peso poco rilevante a questa funzione che è invece
fondamentale sul piano della motivazione.
Funzione interpersonale: si realizza quando la lingua serve a stabilire, mantenere o chiudere un
rapporto di interazione orale o scritta. Atti comunicativi: salutare/congedarsi; offrire, accettare o
rifiutare qualcosa; ringraziare, scusarsi. I rapporti interpersonali rimandano a regole
sociolinguistiche da tenere in considerazione per un uso appropriato della lingua.
Funzione regolativo strumentale: consiste nell’usare la lingua per agire sugli altri per regolare il
loro comportamento, per ottenere qualcosa. I generi di questa funzione sono le istruzioni orali,
scritte, regolamenti e leggi. Atti comunicativi: dare/ricevere istruzioni; dare/ricevere consigli;
chiedere/obbligare/impedire di fare qualcosa. Questa funzione rimanda a regole socioculturali da
tenere in considerazione al fine di una scelta appropriata delle espressioni da usare. La scelta
errata può bloccare lo scambio comunicativo.
Funzione referenziale: si manifesta quando la lingua viene usata per descrivere o spiegare la realtà
(con relazioni, descrizioni di una situazione, testo scientifico ecc). Atti comunicativi: descrivere
cose, azioni, persone, eventi; chiedere/ dare informazioni; chiedere/dare spiegazioni. I messaggi
che realizzano questa funzione sono caratterizzati da oggettività e lessico denotativo molto preciso
ed è qui che gli studenti incontrano le maggiori difficoltà.
Funzione metalinguistica: si realizza quando ci si serve della lingua per parlare della lingua o per
riflettere sulla lingua stessa o per risolvere problemi comunicativi tipici dell’interazione. Atti
comunicativi: chiedere come si chiama un oggetto; creare perifrasi per sostituire parole ignote;
comprendere o fornire spiegazioni sulla lingua e sulla comunicazione.
Funzione poetico immaginativa: si realizza quando si usa la lingua per produrre particolari effetti
ritmici, suggestioni musicali, associazioni metaforiche oppure creare situazioni e mondi
immaginari. Propri di questa funzione sono tutti i generi letterari, dalla fiaba al poema epico.
Le abilità linguistiche: sono abilità dalla duplice dimensione, una cognitiva, costituita dai processi di
comprensione, produzione, selezione delle informazioni per fare un riassunto o prendere appunti.
Sono processi che si sviluppano nella lingua materna. E una dimensione semiotica, questi processi
si realizzano attraverso la lingua, in gesti, grafici e così via. Sono codici che variano da cultura a
cultura. Le abilità di base sono quattro: l’ascolto, il monologo, le lettura e la scrittura, ma anche se
coinvolte due attività si aggiunge il dialogo. Queste abilità possono essere accorpate sulla base del
ruolo assunto da chi usa la lingua oppure dalla modalità orale o scritta. Esiste poi un gruppo di abilità
di trasformazione linguistica che sono al centro, tra ricezione e produzione e tra orale e scritto, cioè
il dettato, la traduzione, il riassunto, stesura di appunti e parafrasi.
Le micro lingue disciplinari: per guidare un processo, per regolare i comportamenti, un manuale di
istruzioni o un codice devono avere una lingua perfetta: chiusa, immutabile, precisa e ben delineata.
I testi microlinguistici realizzano solo le funzioni referenziale (spiegano, descrivono), regolativa
(danno istruzioni), e, qualche volta, metalinguistica (spiegano il significato di un termine) ed hanno
due principali finalità:
a. Dal punti di vista pragmatico, vogliono evitare le ambiguità per cui usano termini monosemici,
limitano l’uso dei pronomi, evitano i sinonimi ecc…
b. Dal punto di vista sociale, servono come strumento di riconoscimento tra professionisti di un dato
settore.I testi sono strutturati in paragrafi brevi, con titoli e sottotitoli, hanno riquadri con dati e
annotazioni, grafici, appendici ecc. Troviamo una elusione di articoli e preposizioni, eliminazione di
frasi relative, spersonalizzazione e passivazione. A livello lessicale si cerca di evitare le ambiguità, la
parola diventa un termine cioè una unità lessicale puramente denotativa, priva di connotazioni
culturali.
LA DIMENSIONE INTERCULTURALE
La prospettiva antropologica e sociolinguistica: Negli anni cinquanta e sessanta si effettua un passo
importante per la glottodidattica, la cultura è descritta come problema sia situazionale sia
comunicativo in quanto essa caratterizza e modifica la natura e la forma della comunicazione.
L’insegnante può dare
strumenti, aprire gli occhi, ma poi è l’osservazione che garantisce quella culturizzazione senza la
quale non ci sono né socializzazione né autopromozione.
La prospettiva interculturale: nella seconda parte degli anni ottanta emerge una nuova prospettiva,
seconda la metafora di Hofstede, ogni persona ha un software of the mind che include tra i vari file
anche quelli che costituiscono la competenza comunicativa. Essi funzionano quando siamo
all’interno della nostra cultura, ma quando si comunica con membri di altre culture è necessario
“salvare” i dati in formati
interscambiabili. Non si può insegnare una competenza interculturale, ma si può insegnare ad
osservarla (creando una banca di dati da aggiornare man mano che si incontrano stranieri, si
guardano film ecc). Per osservare occorre un modello:
a. Il software of the mind: cioè tutti quei fattori culturali che influenzano la comunicazione, non tutti
i fattori ma solo quei fattori che influenzano lo scambio di messaggi tra due o più persone.
b. Il software di comunicazione: tutti i codici che usiamo sia verbali che non. Ma spesso l’attenzione
è rivolta maggiormente verso i codici verbali dando poca importanza a quelli non verbali: linguaggio
del corpo, dei gioielli, dei vestiti ecc…
c. Il software di contesto: ovvero il software socio pragmatico che nella comunicazione regola
l’inizio, per percorso e la conclusione di un evento comunicativo.
I primi due software, culturale e comunicativo, costituiscono la competence, mentre il software
contestuale interviene nel momento in cui si traduce la competenza in performance. Tra i software
of the mind di cui si è di solito inconsapevoli e che possono creare problemi troviamo i seguenti
aspetti:
Il concetto di tempo: crea molti problemi relazionali, quindi comunicativi, anche se non sempre
linguistici; il concetto di puntualità, time is money, orrore del tempo vuoto, il tempo strutturato.
Gerarchia, status, rispetto: la gerarchia è la concretizzazione di un’idea del potere. Alla base della
gerarchia c’è il concetto di status che può essere attribuito automaticamente o guadagnato sul
campo con la propria preparazione. A queste persone si comunica in maniera formale, rispettosa.
Codici non verbali: le neuroscienze dicono che siamo prima visti e poi ascoltati. Siamo poco
consapevoli della natura convenzionale, grammaticale dei linguaggi non verbali. Tuttavia le parti del
corpo e i loro linguaggi non coincidono con quelli dei paesi stranieri e questo sicuramente
compromette la comunicazione. Il corpo parla anche con i vestiti che indossa e ha bisogno di una
distanza di sicurezza che se oltrepassata inibisce la conversazione.
Lingua e comunicazione interculturale:
Costruzione testuale anglosassone: straight to the point.
Costruzione testuale italiana: premesse, digressioni, precisazioni, commenti.
Costruzione testuale orientale: si avvicinano al fulcro del discorso lentamente e ritengono volgare,
violento e offensivo andare dritto al punto.
Aspetti socio – pragmatici: ci basta ricordare, sul piano pragmatico, due fatti:
a. Alcuni atti comunicativi rimandano a differenti valutazioni dei rapporti interpersonali (un cinese
ringrazia qualcuno che ha fatto qualcosa per lui).
b. Alcune mosse comunicative sono permesse in certe culture e non in altre (l’interruzione è
concessa in area latina, vitatissima in Inghilterra).
L’insegnante di lingua straniera che voglia contribuire a creare una competenza comunicativa
interculturale, può insegnare ad “osservarla”, che significa rendere consapevoli le persone dei
problemi della comunicazione interculturale, offrire alle persone degli strumenti concettuali,
semplici e chiari, per osservare la comunicazione e far notale che nelle società complesse la realtà
muta ogni giorno, per cui le varie culture si modificano, si contagiano ecc… lo scopo di queste attività
non è quello di istruire sui contenuti ma piuttosto di far apprendere un metodo di osservazione.
L’ORGANIZZAZIONE DEL MATERIALE DIDATTICO
La psicologia della Gestalt descrive la percezione come una sequenza di tre fasi, una globale, una
analitica e una conclusiva in cui si attiva una sintesi che trasforma ciò che è percepito, se presenti le
condizioni, in elementi acquisiti. Innanzi tutto c’è una percezione globale dell’evento comunicativo
o del testo. Essa coinvolge l’emisfero destro del cervello e si basa su strategie quali:
a. Sfruttamento della ridondanza di informazioni contestuali (luogo, momento, percezioni) e
cotestuali
(l’articolo che indica un nome femminile plurale).
b. Formazione di ipotesi socio-pragmatiche su quanto potrà avvenire in quel contesto secondo le
nostre conoscenze del mondo.
c. Formazioni di ipotesi linguistiche sulla base delle conoscenze grammaticali che possediamo.
d. Elaborazione delle metafore.
e. Verifica globale e approssimativa delle ipotesi (skimming) o la verifica di singoli elementi
(scanning).
f. Ricerca di analogie con eventi noti.
Focalizzazione modale: l’allievo penetra nel testo prima con un approccio globale, successivamente
si addentra sempre più nel dettaglio, coinvolgendo l’emisfero sinistro del cervello.
A questo punto si apre una serie di sequenze, analisi -> sintesi spontanea -> riflessione guidata
relativa a:
Ciascun atto comunicativo che si vuole far acquisire alla classe.
Gli aspetti linguististici, cioè fonologici, morfosintattici, lessicale e testuali.
I temi culturali impliciti o espliciti nel testo.
I linguaggi non verbali, sul testo di partenza è un video.
Questa “molecola matematica” è il nucleo dell’attività di acquisizione della lingua straniera: ogni
testo, canzone, video, poesia ecc, va esplorato attraverso le tre fasi della percezione gestaltica:
prima in maniera globale, poi in maniera analitica, infine realizzando autonomamente una sintesi e
una riflessione che permette all’apprendimento di trasformarsi in acquisizione.
L’unità didattica come rete di unità d’acquisizione: un’unità d’acquisizione è l’unità di misura
secondo la quale lo studente percepisce il suo apprendimento. Può durare pochi minuti o un ora e
più. Un’unità didattica è una tranche linguistico comunicativa realizzata mettendo insieme eventi,
atti, espressioni, e strutture linguistiche legati da un contesto situazionale. Può durare dalle sei alle
dieci ore e oltre.
A seconda del tipo di lingua che si sta insegnando, abbiamo questi esempi:
a. Unità di lingua in generale: se ad esempio il tema è quello dei trasporti pubblici, le varie unità di
apprendimento riguarderanno le prenotazioni di biglietti, i nomi dei mezzi di trasporto ecc…
b. Unità didattica di letteratura: può durare settimane, si analizzano i vari testi di un autore per
giungere ad una sintesi conclusiva su quell’autore o sul movimento culturale al quale aderisce.
c. Unità di micro lingua: basata su eventi complessi come ad esempio un’intera transazione
commericiale.
MOTIVAZIONE -> SEQUENZA/RETEDI ACQUISIZIONE -> VERIFICA/VALUTAZIONE -> ATTIVITA’
SUPPLEM.
Motivazione: non c’è acquisizione senza motivazione. La fase della motivazione è una fase in cui ci
sono attività di esercitazione, volte a far emergere quello che già conoscono e quello che
immaginano del tema dell’unità, rapide presentazioni di video, pubblicità, canzoni e un eventuale
racconto di aneddoti personali che riguardano il docente che può offrire una contestualizzazione
“umana”. In questa fase il TTT è ridotto e si realizza come domande, stimoli, oltre che come
narrazione in lingua italiana.
Sequenza/rete di unità d’acquisizione: i materiali didattici offrono una sequenza ed è il modo più
semplice di svolgere un’attività didattica. L’insegnante può scegliere se saltare qualche punto
ritenuto complesso o integrare l’unità con altro materiale, se ritenuta insufficiente.
Verifica e valutazione: la verifica è riferita al raggiungimento degli obiettivi, il classico test. La
valutazione è il giudizio che l’insegnante da sulla performance di ogni singolo allievo sulla base di
considerazioni quali il percorso di miglioramento. La verifica riguarda specificatamente gli obiettivi
linguistici, pragmatici, culturali dell’unità conclusa, ma rileva e valuta quegli elementi che
dovrebbero già essere stati acquisiti.
Attività supplementari: finita l’unità didattica, prima di procedere alla successiva, può essere utile
inserire una o due lezioni di decondizionamento dalla logica. Si tratta di una fase essenziale sul piano
del sostegno della motivazione generale.
Il modulo: si è venuta diffondendo la necessità di accreditare delle competenze parziali: pertanto si
è imposto il modulo, cioè una sezione, una porzione, un sottoinsieme del corpus dei contenuti del
curricolo.
Un modulo deve essere autosufficiente, conclusivo in se stesso, alla fine del modulo lo studente
deve essere in grado di operare autonomamente nel contesto che viene affrontato nel modulo. Il
modulo deve essere valutabile nel suo complesso, in modo da poter essere accreditato nel CV dello
studente. Possiamo quindi concludere dicendo che un modulo è un blocco tematico concluso in sé,
autosufficiente, significativo e si articola in una serie di unità didattiche basate su unità di
acquisizione.
LO SVILUPPO DELLE ABILITA’
Abilità ricettive: ascolto e lettura.
La comprensione è il processo che sottostà all’attività di ascolto e di lettura. La differenza tra queste
due abilità è a livello percettivo. Goodman, uno psicolinguista degli anni sessanta, definì la
comprensione come un psycholinguistic guessing game: essa non procede dagli stimoli che
riceviamo dall’esterno ma dai processi cognitivi che costituiscono la grammatica dell’anticipazione.
Processo di comprensione:
Modalità2) Recupero intensivo: è dedicato ad alcuni studenti che hanno alcune lacune specifiche e
mira a garantire la riflessione e l’esercizio su alcune specifiche strutture morfosintattiche, testuali o
lessicali. Riflessione: identificato il punto in cui ci si vuole soffermare si tratterà di costringere lo
studente a riflettere, solo o con l’aiuto dei compagni, su quello che ricorda. In questo modo si attiva
il meccanismo di acquisizione linguistica procedendo attraverso l’apprendimento consapevole.
Esercizio: il fatto di essere pochi è una delle chiavi vincenti di un ora di recupero, perché l’insegnante
può dedicarsi a tutti. L’eccellenza: si presta molta attenzione a colo il cui rendimento è più basso e
quelli con un eccellente rendimento vengono lasciati a se stessi. Questo impoverisce la classe e
demotiva lo studente eccellente che si annoia a stare al passo con gli altri. L’attività per valorizzare
l’eccellenza si compone di molte possibilità: mentre l’insegnante aiuta i più deboli, i migliori possono
lavorare al pc, approfondire gli argomenti, interessi, curiosità che possono essere fatte
autonomamente o sotto la guida e con l’aiuto linguistico dell’insegnante. La certificazione: la
funzione della certificazione non è formativa e non ha scopi pedagogici, ma deriva dall’attribuzione
di valore economico o professionale alla conoscenza di una lingua. La certificazione non fa
riferimenti specifici ai programmi svolti in classe, ma rimanda ad un proprio curricolo implicito.
A1: comprende e usa espressioni di uso quotidiano tese a soddisfare bisogni di tipo concreto.
Capisce se si parla piano.
A2: comprende frasi ed espressioni usate frequentemente relative ad ambiti di immediata rilevanza.
B1: livello soglia. Comprende i punti chiave di argomenti che riguardano scuola, tempo libero ecc.
Sa muoversi liberamente nel paese dove si parla la lingua. E’ in grado di descrivere esperienze,
avvenimenti, sogni, ambizioni e spiegare brevemente le sue opzioni.
B2: comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che astratti. E’ in grado
di interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile una conversazione senza
sforzi. Sa produrre un testo chiaro e dettagliato portando varie argomentazioni.
C1: comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi. Si esprime con scioltezza e naturalezza
e usa la lingua in maniera flessibile ed efficace. Riesce a produrre testi chiari e ben costruiti anche
su argomenti complessi.
C2: comprendere con facilità tutto ciò che sente e legge. Sa esprimersi spontaneamente, in modo
molto scorrevole e preciso, individua le più sottili sfumature di significato in situazioni molto
complesse.
BETTONI PRIMO CAPITOLO: IL CAMPO
1.1 UN’ALTRA LINGUA
Per L1( lingua prima) intendiamo la lingua madre, quella lingua che apprendiamo sin da piccoli nel
contesto in cui si cresce.
Per L2 (lingua seconda) è quella lingua che l’individuo impara dopo che si è stabilizzata la sua prima
lingua.
La L2 può rappresentare la lingua seconda (lingua appresa presso la comunità che la parla) o la lingua
straniera (lingua appresa in un contesto che non la usa, per es. l’università).
L1 e L2 si differenziano per 3 criteri:
Cronologia (la L2 si impara dopo la L1)
Competenza (la L2 la si conosce meno bene)
Uso (la L2 la si usa meno spesso)
Questi parametri possono essere sfumati in base alle diverse situazioni della vita reale, per esempio
nei casi di bilinguismo precoce, dove i bambini si trovano davanti a due genitori parlanti lingue
diverse e quindi la distinzione netta tra L1 e L2 si appanna. Un altro caso è quello dell’emigrazione,
dove la lingua imparata per prima può arrugginirsi col passare del tempo rispetto a quella appresa
in un secondo momento; oppure in un lungo soggiorno all’estero dove si deve usare di più la lingua
che si conosce meno. In base ai 3 criteri vengono fatte alcune considerazioni: il processo di
apprendimento della L2 è sicuramente diverso da quello della L1 perché nel momento in cui si
decide di imparare la L2 si è già adulti e quindi si scegli consapevolmente e si conosce già la L1. La
presenza della L1 però frena il processo di apprendimento della L2.
PROTOTICIPITA’ : concetto legato alla metodologia della ricerca in varie discipline. Un prototipo
combina le caratteristiche più rappresentative di una determinata categoria. È il miglior esemplare
tra i membri di una categoria e serve come punto di riferimento cognitivo rispetto al quale gli altri
membri possono venire categorizzati. La metodologia della ricerca si occupa perciò dei fenomeni
che sono prototipici nelle varie discipline. Una distinzione tra i metodi di ricerca è tra qualitativo e
quantitativo; nell’estremo qualitativo c’è l’introspezione(utilizzata in psicologia) che consiste
nell'osservazione attenta del proprio comportamento. Nell’estremo quantitativo c’è l’esperimento,
metodologia usata in tutte le scienze, che traduce i fenomeni osservati in variabili numeriche.
Le metodologie orientate qualitativamente osservano i fenomeni, li descrivono, formulano delle
ipotesi, si concentrano sul processo, privilegiano l’osservazione naturalistica e le loro scoperte sono
poco generalizzabili. Le metodologie quantitative invece sono deduttive, puntano sulla verifica delle
ipotesi e portano risultati generalizzabili.
Per quanto riguarda gli studi linguistici, essi metodologicamente più vari rispetto agli studi
psicolinguistici che invece privilegiano modelli formali (statistiche).
1.2 IMPARARE
Il termine “imparare” viene spesso utilizzato insieme al suo corrispondente “apprendimento”; per
poterlo ben identificare è necessario prendere in considerazione altri due termini “sviluppo” e
“insegnamento”.
Alcune dimensioni lungo le quali si contrappongono questi 3 termini sono:
intenzionalità : non è presente nella L1 poiché non sappiamo effettivamente che stiamo
apprendendo una lingua; potrebbe esserci invece nella L2
controllo: non c’è nella L1 o può esserci raramente; invece c’è nella L2 solo se è guidato
consapevolezza: non c’è nella L1 dato che il bambino non è consapevole di apprendere una lingua,
ma nonostante ciò cerca di elaborare la regola attraverso la sua intelligenza; mentre è presente
nella L2 solo se è guidata.
Il processo di apprendimento della L2 può essere inteso come sviluppo, e cioè come un processo di
maturazione biologica e come processo di crescita sociale dovuta principalmente all’esperienza e
all’ambiente. L’apprendimento può essere SPONTANEO (inconsapevole,inconscio …) o GUIDATO
(più consapevole, intenzionale …)
1.5 L’INTERLINGUA
L’interlingua è la lingua degli apprendenti (ciò che sanno-langue e come la usano-parole).
Caratteristiche dell’interlingua:
sistema dinamico, variabile, coerente
lingua naturale
lingua in continua evoluzione verso la L2
Il punto di partenza però non è rappresentato solo dalla L1 ma anche da tutto l’insieme delle
conoscenze linguistiche generali che abbiamo già come parlanti di almeno una lingua. Gli
apprendenti non imparano le proprietà della L2 tutte insieme ma procedendo per gradi di
approssimazione verso la L2. Il percorso verso la L2 è uguale a tutti gli apprendenti, cambiano invece
la velocità e l’esito finale.
1.6 LA MODULARITA’
Il processo di apprendimento della L2 va considerato come un insieme di processi separati che
obbediscono a principi diversi. Ognuno di questi processi rappresenta il modulo. Il concetto di
modularità è usato per far riferimento al rapporto tra la lingua e la mente.
Esistono due teorie: una MODULARE, di stampo razionalista,deduttiva,innatista, poiché ritiene che
la lingua sia una facoltà specifica diversa da tutte le altre. La seconda teoria, NON MODULARE, di
stampo empirista,induttivo, ritiene che la lingua non sia che una delle facoltà della mente umana.
Una teoria dell’apprendimento deve essere multidisciplinare e interdisciplinare, poiché è necessario
che ci siano delle connessioni fra i moduli. Tra le diverse discipline, le 3 fondamentali sono: la
linguistica, la psicolinguistica, la sociolinguistica. La linguistica si occupa della creazione di una teoria
del linguaggio. Nello spiegare i meccanismi che portano all’apprendimento della L2, i linguisti
tendono a parlare di principi linguistici, regole linguistiche, universali linguistici, ecc. La
psicolinguistica spiega i meccanismi mentali dell’apprendimento linguistico in particolare. Cosi i
psicolinguisti tendono a parlare di processi, di strategie, di operazioni,ecc. La sociolinguistica cerca
di individuare e spiegare i fattori sociali e situazionali che influenzano l’uso linguistico.
La modularità del processo di apprendimento interessa anche i LIVELLI di ANALISI LINGUISTICA.
Partendo dal livello inferiore, sino a quello superiore troviamo prima la FONETICA e FONOLOGIA
(studio dei suonipronuncia); poi la LESSICOLOGIA (studia il vocabolario) e la MORFOLOGIA (le parole
dal punto di vista della loro struttura interna); la SINTASSI (studia come le parole si combinano in
frasi); ANALISI DEL DISCORSO (come si combinano le frasi che a loro volta formano testi);
PRAGMATICA (studia il testo nel suo contesto d’uso facendo riferimento alla realtà sociale); la
SEMANTICA (studia il significato delle parole). Questo è il percorso che compie il ricercatore-
analista. Il percorso compiuto dal parlante-apprendente invece è il contrario. La modularità
interessa anche le ABILITA’ LINGUISTICHE: ascoltare, parlare, leggere e scrivere. Due sono orali e
due scritte, inoltre due sono di recezione ( capire e leggere) e due di produzione (parlare e scrivere).
A queste abilità se ne può aggiungere una quinta, l’ABILITA’ METALINGUISTICA: permette
all’apprendente, non solo di produrre enunciati corretti, ma anche di parlare della L2, di riconoscere
gli errori, di distinguere tra gradi diversi di appropriatezza, formale e funzionale = capacità di avere
intuizioni sulla propria lingua
2.1 L’INPUT
L’input è comprensibile perché è: CONTESTUALIZZATO,STRUTTURATO,MODIFICABILE e
NEGOZIABILE. CONTESTUALIZZAZIONE: è data dalle coordinate sociolinguistiche dell’interazione:
l’ambiente culturale, i partecipanti(parlante-emittente e ascoltatore-destinatario), lo scopo e
l’argomento dello scambio comunicativo). Se per sua natura l’input è sempre contestualizzato, la
rilevanza del contesto non è costante per la decifrazione linguistica da parte di un apprendente di
una L2. Per un apprendente che ha problemi di comprensione linguistica, l’input più facile da
decifrare è quello in cui l’equilibrio tra l’informazione extralinguistica e linguistica è sbilanciato a
favore del contesto. Esistono, dunque, una comprensione massima e una minima. La prima si ha
quando c’è una ricca informazione linguistica e una ricca informazione contestuale, mentre la
seconda si ha quando c’è scarsità nell’informazione linguistica e contestuale. Esiste però una forma
di compensazione, secondo cui tanto più povera risulta l’informazione di un tipo, tanto più ricca
deve essere quella dell’altro.
L’INPUT E’ STRUTTURATO: l’input può essere decifrato poiché esso è organizzato in strutture, alcune
comuni a tutte le lingue (PRINCIPI UNIVERSALI), ed altre specifiche di determinate lingue
(PARAMENTRI). Lo scopo dell’apprendente di una L2 è quello di scoprire le strutture di una data
lingua, facendo leva, oltre che sulle conoscenze extralinguistiche generali, anche su conoscenze che
possiede già:
le conoscenze generali del linguaggio, in quanto parlante di almeno una lingua
le conoscenze specifiche della propria L1
le conoscenze parziali della L2
le eventuali conoscenze, parziali o meno, di altre L2
Gli UNIVERSALI LINGUISTICI sono tutte quelle proprietà ricorrenti nelle lingue del mondo. Non tutti
sono effettivamente riscontrabili tali e quali in tutte le lingue ma l’importante per essere un
universale linguistico è che non sia contraddetto da nessuna lingua. Per capire quanto un
apprendente L2 sappia già qualcosa prima di entrare in stretto contatto con una lingua, si possono
esaminare 3 universali linguistici: a LIVELLO FONOLOGICO in ogni lingua naturale, le parole sono
composte da sillabe; a LIVELLO SINTATTICO la struttura
gerarchica determina la segmentazione degli enunciati in costituenti; a LIVELLO SEMANTICO, per
esempio, la denominazione degli utensili non fa riferimento alle loro qualità fisiche ma all’attività
umana che permettono di compiere (ita macina).
Tra i numerosi universali linguistici utili alla decifrazione dell’input, Klein(1986) ne elenca alcuni:
- un enunciato è scomponibile in parole, le parole in sillabe e le sillabe in fonemi
- i fonemi sono divisi in consonanti e vocali
- le sillabe tendono ad avere un nucleo vocalico affiancato da consonanti
- vocali e consonanti tendono ad alternarsi nella sillaba
- una pausa di solito ricorre al confine di parola
- ci sono parole che hanno un significato prevalentemente grammaticale e parole che hanno un
significato prevalentemente lessicale
- le parole di funzione tendono a essere più corte e ricorrono con maggiore frequenza
- la regola generale è:una parola, un significato
Klein afferma, inoltre, che ci sono altre proprietà che possono aiutare a decifrare l’input, come:
la frequenza con cui alcune parole ricorrono nell’enunciato
la posizione che occupano nell’enunciato
la struttura prosodica dell’enunciato
Infatti, si ritiene che le parole che ricorrono più frequentemente, quelle che si trovano in prima e in
ultima posizione nell’enunciato e quelle che sono più accentate si notano prima delle altre.
Queste proprietà universali non permettono da sole di decifrare l’input, a cui contribuiscono
maggiormente le PROPRIETA’ SPECIFICHE DELLA L1, soprattutto se questa è tipo logicamente simile
o imparentata alla L2. La vicinanza di L1 e L2 non solo è di aiuto per gli elementi simili nelle due
lingue, ma ha delle ripercussioni positive anche su altri elementi.
Per decifrare l’input in L2, l’apprendente può fare affidamento anche sulle CONOSCENZE PARZIALI
DELLA L2. Ma se questo da una parte è positivo, dall’altra potrebbe avere delle conseguenze
negative, in quanto l’apprendente potrebbe essere portato a fare degli errori ( es. se conosce già la
parola ‘luna’ e ‘lana’, può in un primo momento identificare erroneamente luva nell’input, anziché
“l’uva”). Questo è il cosiddetto problema della segmentazione. Per quanto riguarda la comprensione
a livello sintattico, un esempio di errore, dovuto alla parziale conoscenza della L2 può avvenire con
i verbi psicologici richiedono due argomenti: un essere animato che prova il sentimento e una
cosa o persona che lo causa (Piera ama i fiori, Maria preferisce le rose). La maggior parte di essi
vuole che il nome animato sia il soggetto e il nome inanimato sia l’oggetto, ma ci sono anche casi
contrari ( la lezione annoia Vera). Il problema di comprensione diventa grave, per l’apprendente,
nel momento in cui sia la causa che colui che prova il sentimento siano animati ( Franco deprime
Gina/ Gina deprime Franco).
Infine, per la decifrazione dell’input sono molto utili anche le CONOSCENZE DI ALTRE L2 (più lingue
si sanno più è facile decifrarne una nuova).
L’INPUT E’ MODIFICABILE: un aiuto alla comprensione dell’input viene anche dall’interlocutore
nativo, attraverso il FOREIGNER TALK ( si ha nel momento in cui la lingua indirizzata agli
apprendenti dai parlanti nativi viene in qualche modo modificata con l’intenzione di renderla più
comprensibile).
Le MODIFICHE FORMALI DEL FOREIGNER TALK interessano tutti i livelli di analisi (fonologico,
lessicale, morfosintattico, pragmatico), risultano da strategie diverse e variano moltissimo. A
LIVELLO FONOLOGICO il parlante nativo si rivolge all’apprendente con un tono di voce più alto e più
lentamente. Il maggiore volume della voce serve soprattutto per sottolineare le parole chiave,
mentre la lentezza è dovuta a pause più frequenti e lunghe. A LIVELLO LESSICALE, il FOREIGNER TALK
sceglie parole più comuni, preferendo gli iperonimi agli iponimi ( “rain” piuttosto che “drizzle”-
pioggerella) ed evitando espressioni idiomatiche o figurative. A LIVELLO MORFO-SINTATTICO gli
enunciati del foreigner talk tendono a essere più corti e meno complessi. A LIVELLO PRAGMATICO
si preferiscono forme più dirette ( uso frequente dell’imperativo – tu vieni!).
I PROCESSI FORMALI DEL FOREIGNER TALK: il foreigner talk può essere formato con strategie sia di
semplificazione delle forme sia di elaborazione. La sola semplificazione formale potrebbe offrire
all’apprendente un input senz’altro più facile da capire ma poco adatto all’apprendimento perché
forse corrispondente a quello che sa già. L’elaborazione formale, invece, può offrire un input più
ricco di elementi ancora da imparare.
Anche la MISURA DELLE MODIFICHE del foreigner talk contribuisce alla grande variabilità. I fattori
che determinano la variabilità del foreigner talk sono molto e includono lo stile comunicativo, la
sensibilità, l’esperienza precedente con apprendenti e soprattutto la valutazione del livello della
competenza
linguistica dell’ascoltatore-apprendete.
Per i casi estremi di foreigner talk, le condizioni necessarie perché si verificano le sgrammaticature
includono la percezione da parte del parlante nativo che l’apprendente abbia insieme una
competenza linguistica minima, uno status sociale inferiore e che si tratti di conversazione
spontanea.
UTILITA’ DELLE MODIFICHE: la misura dell’aiuto che viene dato all’apprendente dal parlante nativo
varia secondo la misura delle modifiche. Oltre al foreigner talk vi è il TEACHER TALK( il modo di
parlare degli insegnanti in classe) che ha 2 caratteristiche che lo differenziano: non è mai
sgrammaticato e risulta meno calibrato sui bisogni degli allievi di quanto non lo sia il foreigner talk
da parte dei parlanti nativi.
L’INPUT è NEGOZIABILE: Se ci sono ancora problemi di comprensione tra il parlante nativo e
l’apprendente (nonostante la contestualizzazione, le conoscenze linguistiche precedenti, le
modifiche formali del foreigner talk), possono ricorrere alla negoziazione dell’input. Questa può
avvenire in vari modi. A una minima segnalazione di incomprensione, possono abbondare ripetizioni
e riformulazioni. Molto utili sono anche le scomposizioni, con cui il parlante segmenta enunciati
troppo lunghi o troppo densi. Non sempre però la negoziazione ha successo. I risultati degli studi
confermano che l’input negoziato conversazionalmente è più facile da comprendere dell’input
modificato solo dal parlante nativo.
2.2 L’ASCOLTO
L’ascolto è un’attività complessa che coinvolge tutti i livelli di analisi. Se adottiamo il MODELLO
PSICOLINGUISTICO che Levelt(1989) ha elaborato per la produzione del parlato in L1 all’ascolto in
L2, possiamo notare come si articola il processo di comprensione. Secondo questo modello, il
processo di comprensione del messaggio, sia parlato che ascoltato, si basa su una gerarchia
universale di conoscenze procedurali che operano sulle conoscenze dichiarative dell’ascoltatore.
Queste ultime sono di
2 tipi: lessicali e generali.
Le conoscenze procedurali, invece, sono raccolte in 3 principali componenti di elaborazione:
l’UDITORE, il DECODIFICATORE e l’INTERPRETE. Il decodificatore è in relazione con le conoscenze
lessicali, l’interprete con le conoscenze generali. Ogni elaboratore riceve un input e produce un
output, che a sua volta diventerà l’input dell’elaboratore successivo.
Per questi motivi, l’apprendente di una L2 nel momento in cui sente un messaggio acustico,
idealmente attiva le procedure di un primo elaboratore, l’UDITORE, che trasformano il suono in
stringa fonetica, consegnandola al
2° elaboratore, il DECODIFICATORE, che a sua volta la trasforma prima in
struttura superficiale, grazie all’elaborazione fonologica. E’ importante dire che il decodificatore è
in relazione con il lessico, cioè con un magazzino di conoscenze lessicali, nel quale le parole sono
rappresentate sia come FORME con le loro specificazioni fonologiche e morfologiche, sia come
LEMMI, con le loro specificazioni semantiche e grammaticali. La componente di elaborazione
fonologica del decodificatore è in relazione con la parte formale del lessico, e ciò permette
all’ascoltatore di riconoscere i fonemi e le sillabe udite e di mettere in corrispondenza con le parole
che si trovano nel suo magazzino. Dopo di che il decodificatore da inizio alla seconda fase di
elaborazione, consegnando la struttura superficiale, fono logicamente e morfologicamente
analizzata alla componente grammaticale. Essa perciò la decodifica semanticamente e
grammaticalmente permettendo all’ascoltatore di capirne il significato. La struttura superficiale,
dunque diviene un vero e proprio ENUNCIATO ANALIZZATO. Le parole devono essere ancora
interpretate dall’ascoltatore, ed è in questo momento che entra in gioco l’INTERPRETE. Le
procedure di elaborazione di quest’ultimo sono in relazione con un secondo magazzino, quello delle
CONOSCENZE GENERALI, che includono: le conoscenze enciclopediche, il contesto extralinguistico,
linguistico,ecc. Nel momento in cui l’apprendente L2 stabilisce una corrispondenza tra l’enunciato
analizzato e le conoscenze generali si può realmente affermare che il messaggio sia stato compreso.
AUTONOMIA(ogni componente dell’elaborazione lavora in modo specializzato e specifico),
INCREMENTALITA’(una componente può incominciare a lavorare sull’output ancora incompleto
della procedura precedente) e AUTOMATICITA’(nel parlante nativo il processo dell’ascolto è
velocissimo e non richiede molta attenzione) sono le 3 caratteristiche delle procedure di
elaborazione dell’ascolto.
4. ORDINE DEI LESSEMI: tende a seguire criteri pragmatici e semantici piuttosto che sintattici. La
lingua esige che le parole siano presentate in ordine sequenziale e secondo l’ordine dei costituenti:
pragmatico,semantico,sintattico. Nella fase iniziale dell’apprendimento, quando i 3 principi
dell’ordine dei costituenti non sono in armonia tra loro, secondo Rutherford l’apprendente ha 3
possibilità:
1) può partire dal tema e poi giustapporre il resto senza alcun legame grammaticale
2) può partire dal tema e provare a grammaticalizzare come riesce
3) può rinunciare a partire con il tema più appropriato, a scapito dell’organizzazione
discorsiva, e scegliere il soggetto che permette di grammaticalizzare più facilmente
3.2 IL LESSICO
Quando si apprende una L2, il LESSICO ha un’importanza notevole. Mentre, infatti, una serie di
parole non grammaticalizzate possono essere efficaci nella comunicazione, una struttura sintattica
senza parole è inutile. Il lessico rappresenta un sistema molto più aperto rispetto alla grammatica e
quindi è molto più difficile stabilire delle regole per le numerosissime unità di base del lessico,
nonché le parole.
LESSICO dal punto di vista QUANTITATIVO di quante parole è composta una lingua? Bisogna
semplicemente guardare quante parole vengono elencate all’interno del vocabolario (circa 450.000
parole, raggruppate in 54,000 famiglie di parole). Un parlante nativo adulto conosce circa 20.000
famiglie di parole, di queste il bambino che inizia la scuola ne conosce da 4.000 a 5.000. Quante
siano le parole necessarie è possibile saperlo tenendo conto della frequenza in base alla quale esse
ricorrono nell’uso generale. Per quanto riguarda l’italiano, De Mauro propone un vocabolario base
di circa 7.000 parole che si suppongono conosciute da chiunque abbia concluso la scuola media.
Questo vocabolario è diviso in 3 categorie: la prima detta VOCABOLARIO FONDAMENTALE che
comprende le 2.000 parole più frequenti della lingua italiana; la seconda VOCABOLARIO DI ALTO
USO e il terzo vocabolario comprende PAROLE DI ALTA DISPONIBILITA’.
Il nome, il verbo e l’aggettivo corrispondono al 97,6% dei lemmi del vocabolario di base.
L’apprendente L2 deve imparare almeno dalle 3.000 parole circa più frequenti della lingua che si
studia.
LESSICO dal punto di vista QUALITATIVO che cosa vuol dire conoscere una parola? Ogni parola ha
una serie di proprietà, tra cui le seguenti:
- Una forma (di pronuncia se orale e di ortografia se scritta)
- Una struttura morfologica (il morfema di base e gli eventuali morfemi flessivi e derivazionali)
- Un PATTERN SINTATTICO nel sintagma e nella frase (per esempio il verbo “spostare” richiede 3
argomenti: “qualcuno” che sposti “qualcosa” “da un posto all’altro”)
- Un significato referenziale, affettivo,pragmatico (ad esempio la parola “perla” può designare sia
un oggetto ma anche metaforicamente una persona preziosa)
- Delle relazioni lessicali (sinonimia,antinomia,iponimia,ecc.)
- Delle collocazioni
Conoscere una parola vuol dire poterla usare sia nell’ascoltare sia nel parlare. Bisogna fare 3
distinzioni:
CONOSCENZA POTENZIALE vs. CONOSCENZA REALE del lessico: il vocabolario potenziale consiste
nelle parole che un’apprendente L2 riconosce anche senza averle mai viste e sentite nella L2
studiata. Il vocabolario reale, invece, è costituito da parole che l’apprendente conosce solo dopo
averle incontrate nell’input.
LESSICO ATTIVO vs. LESSICO PASSIVO : il primo è quello che l’apprendente L2 può produrre, il
secondo è quello che riconosce soltanto.
CONOSCENZA vs. CONTROLLO: la conoscenza è la rappresentazione del lessico nella mente, mentre
il controllo è la capacità di elaborarlo durante l’effettiva esecuzione.
Le SEQUENZE di apprendimento del lessico: l’apprendente di una L2 impara le parole e alcune
proprietà di queste ultime, secondo alcuni criteri che ne guidano l’apprendimento si dividono in
CRITERI ESTERNI e CRITERI INTERNI al lessico. Dei CRITERI ESTERNI fanno parte: L’UTILITA’, LA
DISPONIBILITA’ delle parole imparate, LA PREFERENZA PERSONALE.
UTILITA’: Alcuni apprendenti sono più portati a scegliere in un primo tempo un maggior numero di
formule caratteristiche dell’interazione sociale; altri invece un maggiore numero di parole riferite
agli oggetti e alle attività che li circondano (es. i lavoratori immigrati imparano prima il lessico
connesso con il proprio lavoro, gli studenti quello con le attività scolastiche, e così via).
DISPONIBILITA’: criterio che dipende da alcuni fattori come la frequenza con cui la parola ricorre
nell’input, la variabilità dei contesti in cui ricorre, l’aiuto fornito dal contesto situazionale e dal co-
testo linguistico per la sua comprensione.
PREFERENZA PERSONALE: criterio che riguarda non tanto le parole quanto gli apprendenti, i quali
tendono ad imparare presto determinate parole trascurandone altre.
Dei CRITERI INTERNI possiamo fare una distinzione tra criteri formali e semantici. Dei criteri formali
fanno parte:
PRONUNCIABILITA’: l’apprendente L2 è facilitato se deve imparare una lingua che ha le parole con
accento fisso, mentre è più difficoltoso imparare lingue con accento mobile (es. italiano, inglese,
ecc.). Inoltre vengono preferite lingue con parole formate da fonemi o combinazioni di fonemi facili
da pronunciare.
Affine al criterio di pronunci abilità vi è quello della similarità sonora con altre parole che rende più
difficile da parte dell’apprendente di distinguere e pronunciare le diverse parole (es. bit –beat – bet
– bat – but)
CORRISPONDENZA TRA SUONO E GRAFIA: più la corrispondenza è chiara più l’apprendimento è
facilitato
LUNGHEZZA DELLE PAROLE: alcuni studi affermano che è più facile apprendere parole più corte, ma
non è sempre così. Può avere un’importanza anche la L1 di partenza, infatti se l’apprendente è
italiano, le parole latine più lunghe e rare potrebbero essere imparate più facilmente rispetto alle
monosillabiche.
MORFOLOGIA: lingue con grande complessità flessionale sono più difficili da apprendere. La
complessità derivazionale di una parola composta non costituisce ostacolo se le parti che la
compongono sono trasparenti.
Degli aspetti semantici delle parole, due fattori fondamentali sono:
POLISEMIA: quando un’unica parola ha vari significati che hanno tra loro qualche affinità.
OMONIMIA: quando un’unica parola ha vari significati che però hanno significati completamente
diversi. Se l’apprendente L2 conosce la parola in un significato è più difficile accettarla in un altro
significato molto diverso. Un altro fattore che rende difficile una parola è l’OPACITA’ per esempio
se prendiamo “libro”, questo risulta più chiaro di “volume”, che oltre ad essere polisemico e una
parola più rara e specifica. Dunque anche la SPECIFICITA’ del significato rende più difficile
l’apprendimento. L’IDIOMATICITA’ è un altro criterio che ostacola sia la comprensione sia la
produzione per gli apprendenti L2.
Tra i criteri che influenzano maggiormente quali parole l’apprendente L2 imparerà per prime, vi è
anche la contrastività con la l1: una parola risulta più facile da imparare quanto più forma e
significato si
assomigliano nelle due lingue.
DIFFERENZA TRA SIGNIFICATO DI UNA PAROLA E CONCETTO
(SCHEMA DI APPEL)
Il significato di una parola, insieme alla sua forma, fa parte del lessico mentale, il concetto invece fa
parte dell’enciclopedia mentale. Si hanno infatti molti concetti che non sono lessicalizzati.
Kroll e Groot riprendono due possibili modelli di abbinamento delle parole in L1 e L2 ai concetti e
ne presentano un terzo proprio.
Modello Dell’ Associazione Lessicale Modello della Mediazione Concettuale Le parole in L2
accedono ai concetti Le parole in L2 accedono direttamente indirettamente attraverso le parole in
L1 ai concetti, come fanno le parole in L1
L’associazione lessicale è caratteristica dei primi stadi di apprendimento della L2, mentre la
mediazione è caratteristica degli
stadi più avanzati. Con il progredire della competenza, si avrebbe un processo di sviluppo
dall’elaborazione lessicale all’elaborazione concettuale. Così Kroll e Groot propongono un terzo
modello:
Modello dell’Associazione e Mediazione Concettuale In questo modello sono sempre attivi sia i
legami concettuali che lessicali, ma la loro forza si manifesta diversamente in funzione della
competenza linguistica.
COME VENGONO IMAPARATE LE PAROLE? Una volta scelte le parole in base a questi criteri, vengono
imparate secondo alcune proprietà: FONOLOGIA, GRAMMATICA, SEMANTICA e PRAGMATICA.
1. Per quanto riguarda la FONOLOGIA, le parole vengono imparate gradualmente secondo le regole
di apprendimento fonologico della L2. A questo livello di analisi, l’interferenza della L1 agisce più
profondamente che ad altri livelli.
2. GRAMMATICA :ogni parola ha una sua grammatica, se questa è complessa, sarà imparata per
gradi.
3. Per quanto riguarda la SEMANTICA, l’apprendente L2 non impara subito i vari significati che una
parola può avere, ma impara un’unità lessicale per volta. Inoltre per ogni parola si tende ad
apprendere per primo il significato non metaforico.
4. PRAGMATICA : l’apprendente all’inizio rischia sempre di usare una parola in un contesto
situazionale sbagliato. Perciò conoscere completamente una parola vuol dire anche conoscerne gli
ambiti di uso appropriati.
3.3 LA GRAMMATICA
Con il tempo, ma soprattutto con più input, il lessico viene grammaticalizzato e qui vien fuori la
GRAMMATICA.
Alcuni studi hanno mostrato che quando i bambini imparano a parlare l’inglese come L1, alcuni
morfemi grammaticali compaiono con un ordine fisso. Subito si è cercato di scoprire se ci fosse un
ordine anche per gli adulti che lo imparano come L2 e se fosse simile a quello dei bambini; si è
arrivati a confermare questa tesi per almeno una decina di morfemi (-ing, -s plurale, be copula, be
ausiliare, ecc.). Ma la ricerca di simili sequenze in altre lingue è stata minima, anche perché mancava
una spiegazione convincente per l’ordine scoperto e poi perché questi studi misuravano solo
l’accuratezza formale del prodotto finale. Si è passati cosi ad una nuova ricerca basata sulla
sequenza degli stadi in cui emergono le singole strutture. La gradualità del percorso è chiara
dall’esempio dei pronomi personali; l’apprendente L2 infatti impara prima
a distinguere la persona, poi il numero e infine il genere. La distinzione del caso è l’ultima a
comparire.
Un esempio di percorso comune, è quello dell’apprendimento del GENERE IN ITALIANO L2, secondo
cui prevalgono prima criteri fonologici (secondo cui le desinenze nominali non sono degli indizi per
risalire al genere dei sostantivi, ma hanno solo lo scopo di contribuire a stabilire la tipica forma
fonologica della parola italiana a finale vocalica); poi criteri semantici (che fanno capo alla relazione
genere-sesso del referente. Tendono ad essere considerate più affidabili le desinenze –o per il
maschile e –a per il femminile, mentre risultano incerte quelle in –e); infine criteri morfologici (nel
momento in cui si sviluppano i suffissi della derivazione, come –tore per il maschile e –trice per il
femminile, sia per le persone che per gli oggetti: lavoratore, lavoratrice, lavatrice).
Per quanto riguarda l’ACCORDO SINTATTICO, i primi che compaiono sono quelli con i pronomi tonici
e quelli con l’articolo, in seguito tutti gli altri.
RELATIVIZZAZIONE: fenomeno sintattico presente in tutte le lingue con caratteristiche diverse. Le
relative sono proposizioni subordinate e possono variare secondo alcuni parametri:
Il punto di attacco: le relative possono variare secondo la funzione del sintagma nominale, che
nella principale rappresenta il punto di attacco della relativa (il gatto che miagola non è mio
sogg. della principale; non vedo il gatto che miagola ogg.)
L’elemento relativizzato: il gatto che miagola il gatto soggetto viene relativizzato
Importante è la gerarchia implicazionale universale : SOGG>OGG DIR>OGG IND>OGG
PREP>GEN>OGG COMP tutte le lingue permettono la relativizzazione del soggetto della
preposizione relativa, mentre le altre possono o meno essere relativizzate nelle altre lingue. Se una
lingua permette di relativizzare per esempio l’oggetto indiretto, necessariamente permetterà
quelle precedenti ma non è detto che permette quelle che seguono.
Ripresa pronominale: in lingue diverse le relative possono o meno richiedere la ripresa del
pronome dell’elemento relativizzato. L’italiano non richiede questa ripresa ( *il gatto che lo vedo)
La forma del pronome relativo: in italiano i pronomi principali sono 2: “che” per il soggetto e
l’oggetto diretto, “cui” per l’oggetto indiretto. In inglese, invece, ci sono più forme (who, whom,
that, which, forma ø (the cat I love)
Profondità dell’incasso
Un notevole passo avanti nello studio dell’apprendimento della L2 è costituito dall’interpretazione
psicolinguistica dei dati. A ogni stadio operano in varie combinazioni tre strategie di elaborazione
del parlato (PROGETTO ZISA):
- La strategia dell’ordine canonico (SOC), che blocca qualsiasi movimento tra gli elementi della
stringa SVO
- La strategia di inizializzazione e finalizzazione (SIF) che, data una stringa XYZ, blocca lo
spostamento di X tra Y e Z, o quello di Z tra X e Y
- La strategia delle proposizioni subordinate (SPS), che blocca qualsiasi movimento all’interno di una
proposizione subordinata
3.4 PROGRESSO E VARIABILITA’
Le sequenze di sviluppo sono comuni a tutti gli apprendenti e appartengono a diverse L2. Però
nessun apprendente passa improvvisamente da uno stadio all’altro, egli può però arrivare a trovare
proprie soluzioni. Tutto ciò fa si che ci sia una notevole VARIABILITA’. Esistono vari tipi di variazione
Una prima distinzione è tra variazione evolutiva, o diacronica che riguarda i cambiamenti avvenuti
all’interno di una lingua con il trascorrere del tempo (sequenza di stadi) e variazione sincronica in
un unico periodo di tempo (un unico stadio) questa si divide a sua volta in variazione
intersoggettiva che riguarda soprattutto la velocità dell’apprendimento, e variazione intrasoggettiva
che si divide in sistematica che può dipendere da diversi tipi di contesto
(sociale,psicologico,linguistico) e libera, casuale.
La variabilità intrasoggettiva può essere spiegata SITUAZIONALMENTE, per cui l’apprendente di una
L2, come ogni parlante nativo è sensibile a fattori sociolinguistici come ad esempio l’interlocutore a
cui si rivolge, la formalità del contesto, l’argomento della conversazione. Può anche essere spiegata
PSICOLOGICAMENTE; in questo caso sono in gioco fattori quali il tempo a disposizione per la
pianificazione e l’attenzione dedicata alla forma piuttosto che al contenuto. Un’altra variabilità può
essere spiegata
LINGUISTICAMENTE : a livello fonologico, a livello morfologico e a livello sintattico.
La maggior parte della variabilità intrasoggettiva dell’interlingua è sistematica. Quando però
abbiamo due o più forme alternative che hanno la stessa funzione, nello stesso contesto linguistico
situazionale e psicologico, dobbiamo considerare che si tratta di una variazione libera.
E’ difficile, soprattutto in sistemi ricca di variabilità, determinare l’effettivo PUNTO DI
APPRENDIMENTO di un nuovo elemento. Si può distinguere tra EMERGENZA, APPRENDIMENTO e
perfetta PADRONANZA di un elemento, secondo che in un determinato stadio dell’interlingua
l’elemento in questione ricorra rispettivamente la prima volta, un certo numero di volte, ogni volta
che è necessario.
COMPETENZA-LINGUISTICA-COGNITIVO-ACCADEMICA.
Quest’ipotesi dell’estroversione introversione si basa sul fatto che le persone estroverse e socievoli
sono in grado di procurarsi maggiori occasioni per usare la lingua orale, mentre quelle più introverse
riescono meglio nelle
attività accademiche.
LINGUISTICAMENTE
l’apprendente inizia da zero, riceve l’input e con l’imitazione e la ripetizione riceve il
rinforzo positivo.
LE APPLICAZIONI DIDATTICHE
vengono validate da entrambi i presupposti psicologici e linguistici.
Psicologicamente si creano esercitazioni che si basano sull’insistente imitazione meccanica del
modello.
Linguisticamente, vengono selezionati come modello da esercitare soprattutto le strutture che nella
L2 sono diverse da quelle della L1.
L’ipotesi storica dell’analisi contrastiva viene però sconfitta come tesi esplicativa. Linguisticamente,
non regge alla prova dei dati, poiché nella realtà non tutti gli errori previsti si verificano,
psicologicamente, anche l’imitazione non è mai meccanica, poiché l’apprendente imita
selettivamente in base a quello che gli serve.
1) INACCESSIBILITA’
Secondo questa ipotesi, la Grammatica Universale non c’entra con l’acquisizione della L2. Gli
apprendenti devono ricorrere ad altre abilità generali di apprendimento non specificamente
linguistiche ma generalmente cognitive.
2) PIENA ACCESSIBILITA’
La Grammatica Universale c’entra come per la L1. L’apprendimento della L1 e della L2 ha un
processo identico. Le differenze si riscontrano solo in base alla diversa maturità cognitiva e ai diversi
bisogni degli adulti rispetto ai bambini.
3) ACCESIBILITA’ INDIRETTA
La Grammatica Universale non c’entra direttamente, ma vi siaccede indirettamente attraverso la L1
solo se la L2 ha i parametri fissati come la L1.
4) ACCESIBILITA’ PARZIALE
La Grammatica universale è accessibile in alcuni aspetti ma non tutti.
Ad esempio possono rimanere accessibili i principi, ma può diventare inaccessibile la fissazione di
alcuni parametri. Qui il punto di partenza per l’apprendimento della L2 è la Grammatica Universale,
non la L1.
5.3 IL FUNZIONALISMO
Più che una teoria specifica, è un approccio teorico. Le teorie funzionaliste mirano a spiegare che le
forme linguistiche sono create, governate, apprese in funzione della funzione; vogliono spiegare il
modo preciso e la misura in cui le funzioni determinano la forma prevalgono quelle di tipo
semantico e discorsivo, ma anche quelle di tipo cognitivo e sociale.
Nell’ indagare le relazioni tra forma e funzione, le direzioni dell’analisi possono essere due: si può
partire dalla forma e chiedersi che funzione codifichi. Nell’altra direzione, si può partire dalla
funzione e chiedersi in quali forme venga codificata.
Tra i numerosi modelli funzionalisti, importante è il MODELLO DELLA COMPETIZIONE
l’ascoltatore/parlante deve essere in grado di determinare la relazione degli elementi della frase,
servendosi di alcuni indizi formali (l’ordine delle parole, l’accordo, il caso, ecc.). l’indizio può essere
più o meno forte, e quindi utile, nella misura in cui ha le seguenti proprietà:
Affidabilità (è data dalla regolarità con cui a una forma corrisponda una funzione)
Disponibilità (è data dalla frequenza con cui un indizio ricorre nell’input)
Validità nel conflitto (è data dal rapporto tra il numero di volte in cui un indizio vince sugli altri e
il numero di volte in cui si trova in conflitto.
È quindi un modello di natura probabilistica e viene costruito in base ai dati.
5.4 L’INTERAZIONISMO
Così come il funzionalismo, anche questo è un approccio teorico, più che una teoria. Mentre il
funzionalismo mette a fuoco il rapporto forma-funzione, l’interazionismo mette a fuoco
l’interazione comunicativa. Inoltre mentre il funzionalismo è stato applicato sia come property
theory (per l’interpretazione degli stadi dell’interlingua), sia come transitino theory (per
l’interpretazione del passaggio da uno stadio all’altro), l’interazionismo verte soprattutto sul
secondo aspetto. Un’altra differenza sta nel fatto che l’interazionismo si è molto occupato delle
applicazioni didattiche, mentre il funzionalismo ben poco.
IL RUOLO DELL’AMBIENTE LINGUISTICO
per la Grammatica Universale l’input non è sufficiente per l’apprendimento della L2, mentre per
l’interazionismo, l’input è sufficiente e causa l’apprendimento.
Tra le numerose variabili ambientali, l’interazionismo privilegia l’input interattivo, quello della
conversazione quando apprendente e interlocutore insieme ne negoziano i contenuti.
Ipotesi Interazionista (Long): la negoziazione del significato facilita l’apprendimento della L2, perché
connette in modo produttivo l’input, le capacità interne dell’apprendente, tra cui specialmente
l’attenzione selettiva, e l’output.
5.5 IL COGNITIVISMO
Anche questo è un approccio generale, non una teoria specifica. Sono cognitivi il Modello di Levelt
, il Modello Multidimensionale ZISA e il Modello della Competizione.
Il cognitivismo è la parte della psicologia che interessa la natura delle attività e dei processi mentali:
studia i fenomeni come l’attenzione, la consapevolezza, la memoria, la lingua. Essendo la lingua un
fenomeno mentale, in un senso molto generale, tutta la linguistica è cognitiva. Il cognitivismo studia
quindi come mente e cervello operano.
L’approccio cognitivo pone l’accento principale sull’apprendimento come transition theory
(sull’aquisizione di informazione nuova) e tende a rappresentare soprattutto l’elaborazione in
tempo reale. Quindi con cognitivismo si parla di attività, di operazioni, di regole di apprendimento,
piuttosto che di regole linguistiche.
5.6 LA PROCESSABILITA’
Teoria formulata per spiegare le sequenze di sviluppo delle abilità procedurali che permettono le
sequenze dell’interlingua. È una teoria psicolinguistica, cognitiva e linguistica. La teoria è importante
perché predice il passaggio da uno stadio all’altro dell’interlingua.
La Teoria della processabilità ha 3 fonti principali:
Prende l’avvio dalle strategie di elaborazione del parlato del Progetto ZISA( anni ’70)
Si rifà al Modello psicolinguistico di Levelt per i processi di produzione linguistica
Usa il modello della Grammatica Lessico - funzionaleModello di Levelt
codifica grammaticale La codifica grammaticale comprende due livelli di elaborazione: uno
funzionale e uno posizionale.
Al livello funzionale agiscono due componenti di elaborazione:la selezione lessicale, cioè
l’identificazione dei concetti lessicali adatti per comunicare il messaggio, e l’assegnazione
funzionale, cioè l’assegnazione delle funzioni sintattiche agli elementi lessicali scelti.
Al livello posizionale, agiscono altre due componenti: l’assemblaggio sintattico dei costituenti in un
ordine gerarchico, e la flessione morfologica.
Nel processo di questa generazione linguistica incrementale vengono attivate le seguenti procedure
di codifica:
Accesso lessicale
Procedura categoriale
Procedura sintagmatica
Procedura frasale
Procedura della proposizione subordinata, se applicabile
La sequenza di queste procedure è implicazionale: ognuna è requisito necessario per la successiva,
e non è possibile attivarne una senza avere attivato tutte quelle precedenti. Queste procedure
seguono la sequenza con cui vengono attivate nella produzione del parlato.
La variabilità dell’interlingua è definibile a priori dalla specifica gamma di opzioni strutturali di cui
l’apprendente dispone allo stadio dell’interlingua in cui si trova. Questa gamma di opzioni viene
chiamata Spazio delle Ipotesi. Dunque la Teoria della Processabilità delinea le forme possibili a ogni
stadio dell’interlingua.
La variazione dei singoli stadi della gerarchia di processabilità può rendere conto del fenomeno della
FOSSILIZZAZIONE. Questa subentra quando un apprendente sceglie tra le variabili di cui
dispone quelle che lo portano in un vicolo cieco strutturale.
Infine la Teoria della Processabilità offre alcune APPLICAZIONI NELL’AMBITO
DELL’INSEGNAMENTO.L’apprendente non può saltare uno stadio della sequenza, dato che ogni
stadio dipende dall’acquisizione delle strategie procedurali di quello precedente. All’ipotesi di
apprendibilità, segue quindi l’Ipotesi di Insegnabilità, secondo cui è inutile insegnare regole che
richiedono procedure di elaborazione che appartengono a stadi superiori rispetto a quello attuale
in cui si trova l’apprendente.
5.7 CONCLUSIONE
Modello Integrato di Gass tenta di conciliare tanti aspetti dell’apprendimento della L2 incontrati
nel libro. Secondo Gass nel tragitto dall’INPUT all’OUTPUT,
vengono identificati 4 momenti. Innanzitutto, bisogna percepire il divario tra quello che si sa già e
quello che c’è da imparare. Quando l’input percepito e capito (nella COMPRENSIONE) viene
assimilato, abbiamo la terza tappa dell’ACCETTAZIONE, cui segue la quarta
dell’INTEGRAZIONE con le regole già esistenti nel sistema.
Nel tragitto intervengono numerosi fattori di mediazione – fattori di personalità, contesto, ecc.
L’output rappresenta non solo il prodotto finale della conoscenza linguistica, ma è anche parte attiva
dell’intero processo di apprendimento.