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LE SFIDE DI BABELE

L’educazione linguistica è l’azione che mira a far emergere la facoltà di linguaggio, cioè la capacità
spontanea di acquisire non solo la lingua nativa, ma anche altre lingue nel corso della vita. La
glottodidattica è una scienza teorico/pratica che trae le sue conoscenze da varie aree scientifiche.
Secondo il modello di organizzazione proposto negli anni settanta da Anthony, individuiamo
l’approccio e il metodo.
Approccio: è la filosofia di fondo, l’idea che si ha di lingua, di cultura, di studente, di insegnante,
di insegnamento ecc… fondato o infondato su delle teorie.
Metodo: è la traduzione dell’approccio in procedure operative, per mezzo delle quali organizzare
e realizzare le indicazioni dell’approccio stesso. Il metodo si occupa quindi di strumenti di
organizzazione dell’educazione linguistica. Può essere adeguato o inadeguato, coerente o
incoerente.
Nel trasformare il metodo in azione, il compito degli insegnanti sarà quindi di selezionare delle
tecniche didattiche adeguate al metodo e coerenti all’approccio.
Parametri per descrivere approcci e metodi:
Teorie di riferimento: esse rimandano a quattro ambiti essenziali: le scienze del linguaggio e della
comunicazione, quelle della società e della cultura (che cosa si insegna), quelle neuropsicologiche
(chi impara) e quelle dell’educazione (il come).
Percorso: il movimento glottodidattica è prevalentemente deduttivo, cioè si danno delle regole e
se ne dedurranno i comportamenti linguistici, o induttivo, cioè si danno dei materiali e lo studente
‘scopre’ da se i vari meccanismi di funzionamento della lingua.
Studente: è una tabula rasa su cui incidere, una personalità da plasmare, oppure può essere visto
come protagonista del suo apprendimento.
Docente: è una fonte di informazione, un modello da seguire oppure può essere considerato come
un regista, facilitatore dell’apprendimento.
Lingua: è vista come un insieme di regole da usare con la massima correttezza, come uno
strumento di comunicazione che deve anche essere efficace.
Cultura: è quella letteraria, classica, oppure quella quotidiana, valori di fondo della civiltà.
Strumenti operativi.
Tecniche didattiche: la metodologia didattica è ricca di tecniche, intese come attività (risolvere
problemi o elaborare temi) o come esercizi.
Materiali e strumenti tecnologici: libri, audio, video, computer, internet.

APPROCCI E METODI
Approccio formalistico, metodo grammatico-traduttivo: tale approccio focalizza l’attenzione sulla
morfologia e sintassi, con la fonologia concepita come “regole di pronuncia” e il lessico appreso con
liste tematiche.
Percorso: deduttivo.
Studente: tabula rasa.
Docente: fonte di informazioni.
Tecniche didattiche: traduzioni, dettato, esercizi ecc…
Materiali: manuali a stampa.
Approccio naturale, metodo Berlitz: la caratteristica di un approccio naturale, è la presenza di un
docende madrelingua, l’aumento delle capacità orali e delle abilità nel leggere e comprendere testi
scritti seppur non parola per parola.
Percorso: prevalentemente induttivo.
Studente: deve essere motivato e considerato in base all’età e alla personalità.
Docente: di madre lingua e usa pochissimo la lingua originaria degli studenti.
Tecniche didattiche: conversazioni e lezioni di carattere tematico.
Materiali: eserciziari, ma l’imput viene dato dalla conversazione.
Reading Method: è un approccio che ha una particolare filosofia che lo rende unico, esclude lo
sviluppo delle competenze orali, modifica radicalmente la figura del docente che diventa un
facilitatore dello scarso ruolo formativo, fungendo, durante le lezioni, da dizionario vivente.
Percorso: induttivo.
Studente: autonomo.
Docente: facilitatore.
Materiali: materiali graduati all’inizio, ma poi letture da manuali autentici.
Rivoluzione Copernicana degli anni sessanta: il mondo dopo la prima guerra mondiale vede nascere
la supremazia americana nella politica, nell’economia, nei mezzi di comunicazione di massa e in
campo militare. Questi eventi portarono a fare dell’inglese la lingua della globalizzazione, quindi
l’insegnamento delle lingue straniere si divise in due parti: insegnamento dell’inglese e
insegnamento di lingua “altre”. Gli
stati uniti mettono quindi subito in azione quattro risorse:
a. Una psicologia dell’apprendimento, behaviorismo o comportamentismo, secondo la quale
l’apprendimento è il risultato di una serie intensiva e ripetitiva di stimoli e risposte (Skinner) seguite
da conferma e correzione.
b. Una teoria linguistica (quella di Bloomfield) detta ‘tassonomica’, in quanto tende ad una analisi
delle componenti minime della lingua, che quindi si adatta perfettamente ad essere inserita, in
microstrutture, nelle sequenze stimolo/risposta di Skinner.
c. Una notevole quantità di immigrati capaci di inserire campioni di lingua autentica.
d. Una risorsa tecnologica che viene impiegata in maniera innovativa, il giradischi, dove spezzoni
definiti dai linguisti vengono registrati e riascoltati. Pochi anni dopo nasce l’altra macchina
tecnologica di riproduzione, il registratore, che porterò poi alla creazione dei primi laboratori
linguistici.
Approccio strutturalistico: prende il suo nome dalla microstrutture linguistiche bloomfieldiane. La
sua stagione di gloria si conclude alla fine degli anni cinquanta, per un violento attacco di Chomsky
al modello Skinneriano, dall’altro per l’evoluzione del pensiero di Lado ad opera della
sociolinguistica (fondatore della Faculty of linguages and linguistics) secondo cui le microstrutture
linguistiche non hanno significato se non in un contesto sociale perché quello è il requisito minimo
della comunicazione. Gli esercizi strutturali sono
costituiti da una serie di sequenze, stimolo/risposta/conferma, presentate con ritmo incalzante al
fine di impedire una riflessione consapevole e di privilegiare la memorizzazione spontanea. Essi sono
di tre tipi:
a. Sintagmatici: modificano la struttura del sintagma, (io bevo, io ho bevuto).
b. Paradigmatici: legano nella memoria un verbo ad un oggetto, ad esempio ‘io mangio una mela’.
c. Combinati: si presentano in sequenze sempre più complesse ( io mangio, mela, ieri -> Ieri ho
mangiato una mela)
Percorso: memorizzazione “forzata”.
Studente: tabula rasa, apprende per automatizzazione.
Docente: gestore di esercizi grammaticali.
Strumenti operativi: programmazione di tipo progressivo.
Tecniche didattiche: esercizi strutturali.
Materiali: dischi, registratori, laboratorio linguistico.
Approccio Comunicativo: l’attenzione non è più incentrata su “com’è fatta la lingua” ma su “che
cosa fa la lingua”, a che cosa serve. La lingua serve per compiere atti sociali e pragmatici, serve per
comunicare. Fino
al 1960, gli elementi linguistici venivano classificati in base alla loro forma e funzione linguistica, dal
1960 al 1970 invece, si afferma la possibilità di classificare gli scopi degli elementi linguistici: dire
l’età, capire l’ora, salutare, congedarsi e così via… Viene costruito dunque un progetto dalla duplice
natura:
a. Creare un repertorio di funzioni comunicative con una pretesa universale (ad es. in tutte le lingua
ci si saluta) e vedere quali esponenti la realizzano (ciao/buongiorno, hi/hello). In una lingua però
non
tutto ha una funzione pragmatica, vi sono anche elementi che qualificano, modificano, connettono
e allora si ricorre alla categoria delle “notion” (quantità, colore, temporalità ecc).
b. Stabilire dei livelli di competenza comunicativa omogenei tra varie lingue, il più famoso è il livello
soglia, il livello B1.
La competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza come esecuzione nel mondo, in
eventi comunicativi, realizzati in contesti sociali dove chi usa la lingua compie un’azione. Nella
mente vi sono tre nuclei di competenze che costituiscono il sapere della lingua:
Competenza linguistica: la capacità di comprendere e produrre enunciati ben formati dal punto
di vista fonologico, morfologico, sintattico e lessicale.
Competenza extralinguistica: la capacità di comprendere e produrre espressioni e gesti del corpo,
di valutare l’impatto comunicativo della distanza interpersonale, di usare e riconoscere il valore
comunicativo degli oggetti e del vestiario.
Competenze socio pragmatiche: competenze contestuali relative alla lingua in uso.
Le competenze mentali si traducono in azione comunicativa, nel saper fare lingua, quando vengono
utilizzate per produrre, manipolare testi (riassumere), prendere appunti ecc… questo meccanismo
di messa in atto della competenza prende il nome di padronanza.
Percorso: induttivo.
Studente: è al centro, con i suoi bisogni e interessi.
Docente: gestisce gli imput e guida lo studente come un regista.
Strumenti operativi: livelli di soglia.
Tecniche didattiche: roleplay, interazione simulata.
Materiali: dischi, registratori, skype, smartphone.
Approccio proto comunicativo, metodo situazionale: le situazioni vengono definiti sulla base delle
coordinate spazio temporale (una serata al bar), del ruolo e dei partecipanti (amici) e dei loro scopi
(offrire da bere).
Il tipico manuale situazionale si basa su unità didattiche in cui lo studente si trova:
a. Immagini, titoletti e didascalie in tema.
b. I dialoghi registrati.
c. Una versione segmentata, con spazi fra una battuta e l’altra che offre agli studenti la possibilità di
ripetere una frase così da fissare intonazione e pronuncia.
d. Tradizione strutturalistica, esercizi sulla struttura, morfosintattici, fonetici e lessicali.
e. Tradizione formalistica, esercizi formali, grammatica, coniugazioni o inserire la preposizione
giusta.
f. Tradizione del Reading Method, letture di civiltà, di solito basate su notizie spesso di scarso
interesse, con qualche domanda di comprensione, la richiesta di riassumere o di scrivere una
composizione a riguardo.
Percorso: induttivo nei manuali, in realtà deduttivo.
Studente: tabula rasa, viene valorizzata la sua conoscenza del mondo.
Docente: fulcro dell’attività didattica, ma si affida ai manuali.
Strumenti operativi: programmazione di tipo progressivo.
Tecniche didattiche: ascolto, comprensione, esercizi strutturali.
Materiali: dischi, registratori, laboratori.
Approccio comunicativo, metodo nazionale-funzionale: nel momento in cui l’inglese assume il ruolo
nell’insegnamento che era stato del francese, l’insegnamento linguistico europeo si trova a disporre
di:
a. Strumenti concettuali teorici: approccio comunicativo proposto attraverso le collane
glottodidattiche anche a supporto dei nuovi materiali didattici.
b. Strumenti di programmazione curricolare (A1,A2,B1,B2,C1,C2)
c. Il metodo nazionale – funzionale che offre una base metodologica.
d. Manuali didattici prodotti da editori internazionali.
e. Progetto speciale di lingua straniera che in pochi anni produce circa trecento insegnanti utilizzati
come formatori dei loro colleghi con corsi di cento ore.
Questo modern language project sconvolge l’insegnamento linguistico: da un lato l’approccio
grammaticale viene condannato e gli insegnanti vi ricorrono solo per sopperire a manuali troppo
drastici che presentano una eccessiva non presenza di grammatica, dall’altro rimangono gli esercizi
strutturali. La cultura è ridotta alla cultura quotidiana e tendono a scomparire le riflessioni sulle
civiltà dei popoli di cui si studia la lingua. La traduzione viene abbandonata, non solo nelle fasi iniziali,
ma anche nei livelli più avanzati dove invece costituisce uno straordinario strumento di riflessione
linguistica e interculturale.
Percorso: prevalentemente deduttivo.
Studente: non viene valorizzata la sua conoscenza del mondo.
Docente: fulcro dell’attività didattica, ma si affida ai test per gli imput.
Strumenti operativi: le unità didattiche sono basate sulle 3P, presentation, practice, production.
Tecniche didattiche: ascolto, comprensione.
Approccio comunicativo, metodo tradizionale di Krashen: partendo dall’ipotesi di Chomsky
sull’esistenza di un Language Acquisition Device, Krashen elabora la SLAT, second language
acquisition theory e in particolare l’apposizione tra acquisizione e apprendimento. L’acquisizione è
un processo che sfrutta le strategie globali dell’emisfero destro del cervello assieme a quelle
analitiche dell’emisfero sinistro. Quando viene acquisito un termine, esso entra nella memoria a
lungo termine dell’individuo. L’apprendimento è un processo razionale governato dall’emisfero
sinistro e di per sé non produce acquisizione stabile: la competenza appresa è provvisoria. Alla base
della SLAT sta l’idea che l’insegnante debba lavorare in funzione dell’acquisizione, tale acquisizione
avviene quando lo studente focalizza la sua attenzione sul significato dell’input e non sulla sua
forma. Se ad un individuo viene fornito un input reso comprensibile, allora il language acquisition
device si mette in moto e procede all’acquisizione. La prima delle condizioni perché l’input venga
acquisito è che esso sia collocato al gradino immediatamente successivo all’input acquisito fino a
quel momento, si tratta di una applicazione Krasheniana di una nozione psicologica chiamata “Area
di Sviluppo Potenziale” che sarebbe la distanza tra la parte di un compito che un individuo è già in
grado di fare e il livello potenziale che può raggiungere nel tentativo di compiere la parte restante
del compito, da solo o sotto la supervisione di un esperto.
Percorso: fortemente induttivo.
Studente: protagonista del suo apprendere.
Docente: guida, punto di riferimento.
Lingua: strumento pragmatico di comunicazione.
Strumenti operativi: curricolo basato sull’ordine di acquisizione della lingua.
Tecniche didattiche: comprensione dei testi e interazione.
Approccio comunicativo, metodi clinici: negli anni sessanta e settanta una serie di proposte ebbero
una certa diffusione, caratterizzate da una forte componente psicologica, tant’è che qualcuno li
definisce metodi “clinici”, in quanto molte volte riprendono il modello del rapporto tra psicologo e
paziente nella psicoterapia: l’insegnante infatti parla poco, incoraggia lo studente con sorrisi, lo
corregge tenendo una mano protettiva sulla sua spalla, e così via. I quattro metodi sono:
a. Total Physical Response: proposto da Asher, dove l’insegnante da ordini e indicazioni sempre più
complessi finché induce gli studenti a usare spontaneamente la lingua per eseguire un ordine.
Metodo molto usato nella scuola primaria e nell’insegnamento dell’italiano agli emmigrati.
b. Community Language Learning: proposto da Curran che ha trasposto direttamente in didattica i
modelli della seduto psicoterapeutica dove l’insegnante è un consigliere che resta fuori dal lavoro
di apprendimento e cerca di individuare il ritmo e lo stile di apprendimento dello studente.
L’affettività diventa la componente più rilevante, anche se poi le tecniche rimandano all’approccio
formalistico.
c. Silent Way: proposto da Gattegno, l’insegnante dà un modello, poi tace, e gli studenti lo ripetono
e lo riutilizzano in situazioni differenti.
d. Suggestopedia: nasce in Bulgaria, a opera di Lozanov. E’ il metodo clinico per eccellenza simile ad
una seduta di psicoterapia di gruppo, con musica barocca di sottofondo che facilita
l’apprendimento e i testi vanno ripresi prima di dormire e appena alzati.
Per quanto bizzarri, questi approcci si sono rivelati abbastanza efficaci e hanno, soprattutto, offerto
preziose indicazioni sul ruolo dell’affettività.
Percorso: fortemente induttivo.
Studente: fulcro emotivo del processo.
Docente: fulcro guida, punto di riferimento, psicoterapeuta.
Strumenti operativi: testi graduati secondo le difficoltà.
Lingua: strumento pragmatico di comunicazione.
La Glottodidattica Umanistica: negli anni settanta e ottanta, la situazione psicologica viene
considerata sempre più importante in glottodidattica. I testi canonici della psicologia umanistica
sono Toward a Theory of Istruction di Bruner e Freedom to Learn di Rogers. La filosofia di fondo a
questa corrente psicologica stigmatizza la tradizione logica, razionale e intellettuale
dell’insegnamento a scapito della dimensione emozionale della persona che apprende. Il contributo
della psicologia umanistica sta nell’aver ricordato all’insegnamento che:
a. La dimensione emozionale non è solo una componente essenziale ma diventa spesso prevalente,
soprattutto nei bambini e negli adolescenti. L’atteggiamento verso una lingua può dipendere dal
rapporto con l’insegnante, con i compagni o addirittura dal layout grafico del manuale.
b. Il cervello umano è diviso in due emisferi in continua interazione. Non si potrà dunque insegnare
ad uno studente tenendo conto solo della sua razionalità e non, ad esempio, della sua sfera emotiva.
c. La mente umana funziona secondo sue procedure, che vanno rispettate per ottenere un buon
risultato.
d. Per essere interiorizzato, l’apprendimento deve essere “significativo” portando a chi imparare a
rendersi conto dell’effettiva necessità di apprendere una determinata materia (una motivazione).
e. L’idea che la conoscenza venga costruita dallo studente nella sua mente e che tale costruzione
sia più rapida, complessa e solida se avviene attraverso il lavoro in gruppo sotto la guida
dell’insegnante (approcci e metodologie a mediazione sociale).
E’ vero che in gruppo si sbaglia di più e gli errori non vengono corretti, ma secondo la Rule of
Forgetting di Krashen, si impara meglio una lingua quando si dimentica che si sta usando la lingua.
La linguistica acquisizionale e l’interlingua: la linguistica acquisizionale studia una realtà chiamata
“interlingua”, cioè la lingua usata da una persona che sta apprendendo una lingua. E’ una parte della
piramide della quale non si può acquisire una sezione centrale ma si deve per forza partire da zero,
costruendo la propria competenza secondo sequenze d’acquisizione dette “implicazionali” perché
ciascun elemento implica la presenza di altri elementi già acquisiti (secondo la logica della “zona di
sviluppo prossimale” di Krashen). La nozione fondamentale, secondo Selinker (il creatore del
termine “interlingua”) è che l’interlingua è un sistema a sé, non strutturato a caso, prodotto
dall’input dell’insegnante nella lingua straniera o nell’ambiente dell’acquisizione spontanea (ad
esempio gli immigrati che apprendono una lingua vivendo il quotidiano). E’ un sistema che ha le sue
basi nella grammatica universale, oltre che nella lingua materna. L’interlingua non è quindi una
competenza “sbagliata”, è una competenza ridotta, ha una sua struttura e i suoi meccanismi
sufficienti a comunicare, per quanto con mezzi ridotti che producono “errori”, che si verificano
perché la grammatica mentale dello studente, non ne prevede la esecuzione corretta che invece
arriverà una volta raggiunto un livello adeguato. L’acquisizione di una lingua straniera segue percorsi
e meccanismi simili a quelli dell’apprendimento della lingua materna, secondo gli studiosi di matrice
Chomskyniana. Ma l’apprendimento della lingua materna è spontanea, mentre quello della lingua
straniera è consapevole e questo porta ad esempio a confrontare la lingua che stanno apprendendo
con quella già acquisita, generando spesso errori di interferenza che possono, però, essere corretti
con l’aiuto dell’insegnante. Accanto all’ordine naturale di acquisizione, c’è una variabile cognitiva,
studiata dalla Teoria della Processabilità di Pienemann, secondo la quale la mente è predisposta
dapprima ad imparare le cose che richiedono meno sforzo cognitivo, quindi ciò che è più facile da
osservare nell’input. L’insegnante può migliorare la propria qualità studiando la dimensione
acquisizionale della lingua che insegna, cercando di applicare il parametro “giusti/sbagliato” in
relazione all’interlingua che si suppone il suo allievo possieda o dovrebbe possedere in un
determinato momento e chiedendosi, di fronte a incapacità o rallentamento di acquisire qualcosa,
se quel qualcosa sia processabile, cioè se quel qualcosa spinga la mente ad acquisire o se invece lo
studente non ne abbia ancora individuato l’importanza e la “facilità” da non permettergli
l’acquisizione.
Portfolio europeo delle lingue: da degli indicatori adottati dai cinquantuno paesi del consiglio
d’europa (e non solo) per indicare la competenza comunicativa di una persona secondo i sei livelli
che vanno da A1 a C2, in cui il livello B1 corrisponde al livello soglia.
Quadro comune europeo: mentre i livelli soglia erano strumenti per autori di materiali didattici e
per gli insegnanti, il Quadro è un testo politico e ribadisce che il problema della conoscenza delle
lingue comunitarie non riguarda solo la scuola ma tutti, dai ministri ai genitori, e che la società della
conoscenza si costruisce non solo sapendo una lingua franca, l’inglese, ma conoscendo altre lingue
comunitarie, anche se a livelli diversificati, dall’intercomprensione alla piena padronanza.

CERTEZZE CRESCENTI
a. Clil: la metodologia “content and language integrated learning”. Si tratta dell’uso veicolare di una
lingua straniera per insegnare un’altra disciplina, è una metodologia sostenuta dal consiglio
d’Europa (matematica in inglese).
b. Intercomprensione tra lingue vicine: appare come una ‘certezza crescente’ anche se è ancora rara
nelle scuole e nelle università. Il principio è molto semplice: un italiano e uno spagnolo che parlano
la propria lingua fra loro lentamente, potranno capire a grandi linee cosa l’uno voglia dire all’altro
anche se non perfettamente. Insegnare l’intercomprensione: sulla base di questa esperienza si
sono realizzati corsi per migliorare la qualità dell’intercomprensione, a livello di strategie cognitive
(ad esempio far capire che “comprendere” non significa capire ogni singola parola), evidenziando
alcuni elementi linguistici che possono avere una funzione chiave (ad es. il pas francese indica la
negazione) o con alcune riflessioni di storia delle lingue.
c. La tendenza ad una Glottodidattica d’Arlecchino: l’esperienza scolastica personale degli
insegnanti risale in media a un quarto di secolo prima, ed è avvenuta con insegnanti formati dal
progetto speciale lingue straniere del 1980 circa. Quindi gli insegnanti possiedono valori,
metodologie e procedure che è difficile abbandonare affiancandosi al “nuovo”. Gli editori sono ben
consapevoli di questo atteggiamento psicologico e sanno che gli insegnanti sono convinti che non
tutto il “vecchio” sia da buttare visto che loro la lingua l’hanno imparata anche con quei metodi:
producono quindi dei manuali che sembrano vestiti da Arlecchino, che aggiunge al suo vestito le
pezze multicolori costituite delle convinzioni medo logiche personali dell’insegnante. Lo scopo di
questo manuale è anche quello di contribuire a ridurre il ruolo di Arlecchino attraverso la creazione
di un insegnante consapevole della natura di una glottodidattica “o tutto o niente”.

IL PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’


Una società complessa richiede un pensiero complesso. In questa società le lingue sono uno
strumento essenziale. La glottodidattica che ne deriva deve essere fondata quindi sui processi di
comprensione, produzione e interazione e deve fornire strumenti per un lifelong language learning
che è la chiave di volta perché ogni persona possa realizzare al meglio il progetto di sé, la sua
intenzione di vita. Per questa ragione deve essere una glottodidattica fortemente transdisciplinare:
è un’entità autonoma rispetto a tutte le aree da cui trae conoscenze e che trasforma queste
conoscenze in un sistema compatto, coerente avendo come scopo la formazione di persone che
padroneggiano in vari modi e livelli lingua non native per vivere al meglio la loro chance di vita.

UNA GLOTTODIDATTICA TRANSDISCIPLINARE


Per poter agire e vivere in una società complessa serva una glottodidattica complessa che porta dal
presupposto che le persone con cui opera:
a. Devono usare la lingua per comunicare, per cui ci sarà una componente di scienze del linguaggio
e della comunicazione.
b. Devono comunicare all’interno di culture oppure tra culture, per cui ci sarà una componente
antropologica e sociologica.
c. Vogliono fare entrare una lingua non nativa nella loro mente, per cui ci sarà una componente
neuro-psicolinguistica.
d. Apprendono perlopiù in ambienti finalizzati alla formazione (scuole, università) e quindi in
situazioni di educazione formale.

SCIENZE HARD E SOFT


Scienze Hard: sono scienze che portano a conoscerne certe altre, come la fisica, la chimica, la
matematica, anche la linguistica acquisizionale, neuroscienze e le scienze cognitive.
Scienze Soft: la maggioranza di quelle scienze che corrono alla conoscenza glottodidattica. Moles le
definisce scienze dell’impreciso, che vanno dalla psicologia all’antropologia alle scienze
dell’educazione.
Una scienza che studia l’educazione linguistica in generale è chiaramente una scienza umana. Lo
studioso e l’insegnante devono munirsi di strumenti di riferimento, ovvero di strutture concettuali
che potenzialmente sono ere sempre e che quindi offrono un appoggio hard anche in situazioni
dove regna l’imprecisione.

ETICA E INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO LINGUISTICO


La riflessione etica coinvolge varie figure impegnate nell’insegnamento linguistico.
a. L’etica dello studioso che scrive un manuale: lo studioso predispone di materiali per la formazione
dei docenti. Deve saper discutere non con dei colleghi, ma con degli studenti o con docenti che
vogliono perfezionarsi: il loro linguaggio deve essere, dunque, chiaro e semplice, perché lo scopo e
formare chi non sa, non pavoneggiarsi a scapito della comprensione. E’ un dovere etico.
b. L’etica del progettista di manuali finalizzati all’insegnamento della lingua straniera: chi progetta
un corso deve porsi il problema delle finalità ultime del suo corso, non solo degli obiettivi
strumentali (es. saper dire il proprio nome, chiedere la strada…)
c. L’etica del progettista di manuali in ordine agli obiettivi e ai contenuti dell’insegnamento della
lingua straniera: l’obiettivo è lo sviluppo e il perfezionamento della competenza comunicativa in
una lingua straniera. Il modello dice che la realizzazione della comunicazione avviene all’interno di
eventi comunicativi.
d. L’etica dell’insegnante di lingua come educatrice: la funzione educatrice del docente viene
studiata e formata dalle scienze dell’educazione. L’insegnante sente come dovere etico la necessità
di provvedere a colmare le mancanze integrando curricolo e materiali. Un aspetto particolare in cui
le responsabilità di insegnante e studente si intersecano è quello della facilitazione. L’atto di
facilitare infatti può essere svolto in maniera da: 19 rafforzare lo studente, cioè da renderlo più
efficiente nell’apprendimento attraverso la scelta di sollevarlo da alcune difficoltà, evitando
eventuali blocchi. 2) viziare lo studente, dandogli l’illusione che imparare non richieda impegno. 3)
illudere lo studente di stare imparando o dargli l’illusione che quella che sta imparando è la lingua
autentica e non una versione facilitata.

LO STUDENTE
Il cervello: la neurolinguistica, che descrive il funzionamento del cervello, e la psicolinguistica, che
studia il
funzionamento del language acquisition device, ci indicano come correnti glottodidattiche, come il
Neurolinguistic Programming, siano i modelli canonici di didattica.
La neurologia descrive il fenomeno della lateralizzazione, cioè il fatto che i due emisferi del cervello
lavorano in maniera differente, specializzata.
La psicologia descrive la natura di tale specializzazione, cioè:
Emisfero sinistro: compiti di natura analitica, sequenziale, logica.
Emisfero destro: compiti di natura globalistica, simultanea, analogica.
La psicologia studia anche i meccanismi della memoria, cioè del collocamento di nozioni nel cervello
e del loro successivo recupero, quando esse sono necessarie.
La neurolinguistica individua nell’emisfero sinistro le due aree in cui avviene l’elaborazione del
linguaggio e si arricchisce delle ricerche neuro semiotiche, che indicano come i diversi tipi di
messaggio vengono
elaborati in realtà attraverso una sequenza di operazioni interrelate tra i due emisferi. Marrel Danesi
ha studiato questi fenomeni traendone le implicazioni glottodidattiche che sono contenute in due
termini fondamentali: bi modalità e direzionalità.
Bimodalità: il termine suggerisce che entrambe le modalità del cervello sono coinvolte nella
comunicazione linguistica e esse devono essere integrate affinché l’intera mente dell’allievo venga
coinvolta nel processo di acquisizione linguistica.
Direzionalità: il principio della direzionalità stabilisce che l’uso bimodale del cervello avviene
secondo una direzione ben precisa: dell’emisfero destro a quello sinistro. Quindi, durante le prime
fasi si motiva all’acquisizione coinvolgendo in maniera bimodale la dimensione affettiva (piacere di
comunicare in un’altra lingua: modalità destra) e quella logica (bisogni linguistici o professionali:
modalità sinistra). Poi si presenta del materiale contestualizzato, sensoriale (modalità destra) per
passare a formalizzare l’analisi con tecniche associate alla modalità sinistra (esercizi, la riflessione
sulla lingua ecc…).
LAD e LASS: lo studente di una lingua straniera non è una tabula rasa su cui incidere, non è un vaso
vuoto da riempire di lessico, morfosintassi ecc… lo studente è un soggetto attivo, predisposto
all’acquisizione linguistica che va supportato, guidato, facilitato e reso più efficiente nei tempi di
acquisizione.
Language acquisition device (LAD): è un dispositivo di acquisizione della lingua, un ipotetico
meccanismo del cervello che Noam Chomsky postula per spiegare l'acquisizione umana della
struttura sintattica del linguaggio. Questo meccanismo conferisce ai bambini la capacità di ricavare
la struttura sintattica e le regole della loro lingua nativa rapidamente e con precisione da input
impoverito fornito da utenti di lingua per adulti.
Language Acquisition Support System (LASS): ipotizzato da Bruner, il quale ritiene che il LAD sia
insufficiente a spiegare l’acquisizione se non si considera anche il LASS, costituito dall’aiuto che il
bambino riceve dagli adulti e anche da altri bambini più grandi. Nell’insegnamento linguistico il
principale ruolo del docente sarebbe quello di gestire il LASS costituito dalla sua azione didattica e
dall’uso che fa egli dei materiali didattici.
Il processo di acquisizione si divide in cinque fasi:
a. Osservazione dell’input linguistico – comunicativo che ci circonda individuando correlazioni
concrete (il bambino piange e dice acqua -> viene dissetato) e formali (il bambino rileva la
correlazioni tra io e desinenze verbali).
b. Creazioni di ipotesi sul funzionamento di quel dato meccanismo (i bambini ipotizano che le
desinenze verbali in –o indichino la prima persona singolare, quindi generano “io ando” oppure al
posti di went, goed).
c. Verifica dell’ipotesi attraverso la conferma o la correzione da parte degli adulti o dall’insegnante.
d. Fissazione attraverso attività di ripetizione. Nell’insegnamento delle lingue questa fase è condotta
attraverso attività di natura comportamentistica e per mezzo di giochi.
e. Riflessione, guidata dall’adulto in rare occasioni nell’acquisizione pre-scolare e poi dagli
insegnanti in maniera via via più esplicita e complessa.
Va ricordata la teoria di Krashen, secondo il quale l’acquisizione richiede una situazione in cui non
ci sia paura, ansia da prestazione, cioè un filtro affettivo, altrimenti la memorizzazione risulta
temporanea e non stabile.

LA ATTITUDINE ALLA LINGUA


Skehan afferma che l’attitudine alla lingua è un talento specifico per l’apprendimento linguistico,
indipendentemente dalla capacità in altri campi e piuttosto stabile nel suo operare, cioè è
relativamente non insegnabile. Probabilmente è vero, ma è comunque migliorabile. In una classe
potrebbero esserci degli studenti “analitici”, che hanno un attitudine verso la riflessione sulla lingua
e vogliono comprendere tutto, e gli studenti “olistici” che hanno un’attitudine maggiore all’uso della
lingua anche segnato da imperfezioni grammaticali o se la comprensione ha delle lacune. Queste
due voci non sono componenti dell’attitudine ma lo diventano in quanto l’insegnamento o i
materiali possono privilegiare un tipo rispetto all’altro. Quindi le azioni didattiche dovrebbero
essere equamente distribuite.
Possibili azioni di attitudine:
Le intelligenze multiple: uno dei capisaldi della glottodidattica è la teoria delle intelligenze multiple
di Gardner, psicologo di Harvard, che individua sette tipi di intelligenza, presenti in ogni persona ma
in combinazioni e dominanze diverse.
a. Intelligenza linguistica: è la capacità di cogliere sfumature di significato, di scegliere le parole
opportune; è la abilità di usare la lingua per esprimere emozioni e pensieri e per capire le altre
persone. Attività che la sfruttano meglio: dibattiti, discussioni e lettura – traduzione dei testi
letterari.
b. Intelligenza logico – matematica: elabora il pensiero analitico e complesso. A questo tipo di
intelligenza è legata una forte attitudine all’apprendimento linguistico. Attività che la sfruttano
meglio: attività di “incastro”, attività di analisi e giochi grammaticali.
c. Intelligenza spaziale: riguarda l’abilità di ricostruire o modificare mentalmente la disposizione
degli oggetti nello spazio: utilissima per la memorizzazione del lessico legato ad ambienti (la
stazione, il
bagno ecc..) Viene sfruttata al meglio nei dizionari illustrati.
d. Intelligenza musicale: sono sostenute da questa intelligenza le attività di memorizzazione
linguistica condotte con canzoni o filastrocche.
e. Intelligenza intra- e interpersonale: la prima si realizza nella capacità di autoanalisi, quindi nella
scoperta dei propri punti forti e di quelli critici; la seconda porta a sapersi mettere facilmente nei
panni altrui, quindi ad aiutare nella comunicazione l’interlocutore in difficoltà.
Ci sono poi altri tipi di intelligenza (corporea, naturalistica, esistenziale) che non hanno però nessun
suolo nella acquisizione linguistica in più rispetto all’apprendimento in generale. L’intelligenza
linguistica secondo Gardner, riguarda l’uso sociale e relazionale della lingua, mentre l’intelligenza
logico – matematica gestisce l’aspetto formale, grammaticale.
STILI COGNITIVI E D’APPRENDIMENTO
E’ importante non confondere i tipi di intelligenza con gli stili di apprendimento, che riguardano il
modo di affrontare un compito in maniera globale invece che riflessiva, ad esempio, e con i tratti
della personalità dell’allievo.
Stile cognitivo: riguarda i processi di acquisizione di nuove informazioni.
Stile d’apprendimento: riguarda i processi di accomodamento delle informazioni nella nostra
mente.
Tra gli stili individuali ricordiamo:
a. Stile analitico/globale: uno studente può avere uno stile d’apprendimento sistematico e riflessivo
oppure induttivo. La tendenza di ciascuno è quello di seguire il proprio stile rifiutando le attività che
privilegiano uno stile diverso dal proprio.
b. Stile ideativo/esecutivo: lo studente ideativo si appoggia alla teoria, lavora sull’idea dei possibili
percorsi mentali per giungere a possedere e ad analizzare la lingua, mentre lo studente esecutivo
ha bisogno di imparare dagli errori dai quali non si lascia scoraggiare. Spesso però lo studente
esecutivo ha difficoltà metalinguistiche (cioè di comprensioni dei discorsi grammaticali) in quanto
punta più all’efficacia pragmatica che alla coerenza formale della sua idea d’apprendimento.
c. In/tolleranza per l’ambiguità: ci sono alcuni studenti che tendono ad accontentarsi di una
comprensione o di una produzione globale senza sentirsi a disagio dinanzi a dettagli ambigui,
imprecisi; altri sono a disagio di fronte a queste ambiguità.
d. In/dipendenza dal campo: è la capacità di non lasciarsi distrarre o guidare da stimoli irrilevanti
solo perché compaiono in quel punto del testo.
e. Capacità/difficoltà di prevedere i contenuti del testo sulla base del contesto: è la grammatica
dell’anticipazione. Essere “forti” in questo campo significa prevedere ciò che verrà detto,
sfruttando sia la conoscenza del mondo, sia il complesso di informazioni data dal contesto e dal
resto del testo. Lavorare su frasi staccate, estrapolate dal contesto, facilita chi è debole nella
capacità di prevedere.
f. Tendenza/difficoltà ad apprendere dai propri errori: questa caratteristica dello studente ha una
componente personale (ottimismo/pessimismo) ma anche un’origine scolastica che rimanda
all’aver avuto insegnanti che consideravano l’errore un orrore da punire oppure insegnanti che
studiavano l’errore assieme allo studente.
g. Autonomia/dipendenza nei processi di studio: nella prospettiva di un apprendimento linguistico
che dura tutta la vita, creare l’autonomia nell’apprendimento è una finalità importante.

TRATTI DELLA PERSONALITA’


Con questa espressione si intendono quelle caratteristiche personali che comunemente chiamiamo
“carattere”. Sono tratti non legati molto all’attività di apprendimento, ma che comunque
intervengono nel disegnare il profilo dello studente.
a. Cooperazione/competizione: ci sono studenti che mirano ad emergere e studenti che mirano ad
integrarsi, a giocare di squadra. In un’attività sociale, come l’apprendimento linguistico, il
competitivo rischia di venire escluso a poco a poco.
b. Introversione/estroversione: ha un ruolo essenziale nel facilitare o complicare tutte le attività in
cui si deve parlare in lingua straniera con i compagni o con l’insegnante.
c. Ottimismo/pessimismo: hanno un’applicazione immediata nel processo di apprendimento di una
lingua straniera, dove pensare “non ce la farò mai” o “ce la posso fare” cambia molto
l’atteggiamento globale.

LA STRUTTURA DELLA MEMORIA


Le informazioni vengono elaborate dalla memoria di lavoro, che ha una persistenza molto limitata,
sia nel tempo (un paio di secondi) sia nella quantità (circa sette elementi). Da questo deriva la
necessità di organizzare l’input in frammenti che contano come unità di significato e non come
numero di singole parole. Quanto elaborato dalla memoria di lavoro passa alla memoria a breve
termine, che elabora la struttura di superficie. Ma la memoria a breve termine ha due problemi,
cioè: dimentica facilmente e accomoda le nuove informazioni sulla base di quelle già possedute
creando così interferenze. Il terzo livello è costituito dalla memoria a lungo termine, che include sia
la nostra conoscenza del mondo sia la memoria semantica, che interpreta e memorizza la lingua.

IL FUNZIONAMENTO DELLA MEMORIA


Aristotele teorizzava il meccanismo di memoria che oggi chiamiamo “associazionismo”: si ricorda
per somiglianza o per contrasto. Le associazioni possono essere utili, ma solo se le crea lo studente:
il ricordare prevede un ruolo attivo che richiede un obiettivo, una strategia per raggiungerlo. Si
immette in memoria ciò che si vuole immettere in memoria, per cui ci sono vari modelli che indicano
che:
a. A una maggiore riflessione corrisponde una maggiore memorizzazione.
b. La codifica profonda è a un livello semantico più che sintattico, lessicale piuttosto che
grammaticale, ma il testo ha significato solo se considerato all’interno di un testo o di un contesto.
c. L’immagine visiva è meno efficace di quella sonora: si ricorda il 10% del visto, il 20% dell’ascoltato
e il 50% del visto e ascoltato.
Altrettanto complesso è il processo di recupero del lessico della mente; si ipotizza che il lessico sia
organizzato in una serie di reti semantiche, di schemi e di copioni comportamentali che consentono
di prevedere ciò che può essere detto in quel contesto.

IL FILTRO AFFETTIVO
Quella del filtro è una metafora psicodidattica che serve a capire la realtà scientifica dal quale
dipende la memorizzazione. Nelle situazioni di piacevole sfida l’organismo rilascia
neurotrasmettitori (come la noradrenalina) fondamentali per assimilare e poi ricordare l’input
recepito. In caso di stress negativo, di ansia, di paura di non riuscire, invece, l’organismo rilascia uno
steroide che lo prepara a fronteggiare il pericolo: l’amigdala, una ghiandola posta al centro del
cervello rileva il pericolo e richiede lo steroide, ma allo stesso tempo, l’ippocampo comprende che
un testo non è un pericolo reale e quindi cerca di bloccare lo steroide e per fare ciò smette di
occuparsi di indirizzare le nuove informazioni o di recuperare quelle esistenti nella memoria a lungo
termine. Ne consegue che le attività didattiche stressanti non si traducono in acquisizione e che
questa “lotta ghiandolare” rallenta l’attività dell’area neo-frontale del cervello, che ospita la
memoria di lavoro e lo studente va definitivamente in “tilt” giungendo alla scena muta. La
glottodidattica quindi, non può ignorare l’intelligenza emotiva dello studente.

LA MOTIVAZIONE
Acquisire è uno sforzo: la mente deve accomodare in memoria le nuove informazioni e acquisirle.
Ciò comporta anche un ridisegno delle sinapsi, cioè dei collegamenti chimico-elettrici tra i neuroni
del cervello.
L’energia per fare questo è costituita dalla motivazione. Ci baseremo quindi su due modelli:
Modello Egodinamico: secondo Titone, uno dei padri della glottodidattica, ogni persona, cioè il suo
ego, ha un progetto di sé più o meno esplicito. Se questo progetto richiede la conoscenza di una
lingua, la persona individua una strategia (si scrive ad un corso e compra un CD in edicola). A questo
punto, subentra il momento tattico, quello del contatto reale col suddetto corso, ad esempio. Se si
ottengono risultati non troppo distanti da quelli sperati senza troppi sforzi, si rinforza la strategia e
questo invia una reazione positiva all’ego e quindi continua a motivare il lavoro. Nel caso la reazione
fosse negativa, il filtro affettivo si inserisce e il progetto di apprendere una lingua cade. E’ il risultato
che induce lo studente a ritenersi soddisfatto della sua scelta di studiare la lingua. Secondo il
modello egodinamico, non c’è possibilità di motivare uno studente adolescente a studiare una
lingua se nei suoi progetti di vita non c’è un contatto sistematico con la lingua stessa.
Modello Tripolare: questo modello individua le tre cause che governano l’agire umano:
Dovere: regna sovrano nelle situazioni didattiche tradizionali. Questa motivazione non porta
all’acquisizione perché inserisce un filtro affettivo che fa restare le informazioni apprese nella
memoria a medio termine. Tuttavia è possibile che il dovere si trasformi in “senso del dovere”, per
cui si produce comunque una motivazione.
Bisogno: è una motivazione legata primariamente all’emisfero sinistro del cervello, quello razionale
e consapevole, ed è una motivazione che funziona ma presenta due limiti: 1) è necessario che il
bisogno sia percepito. 2) funziona fin quando lo studente realizza di aver soddisfatto il suo bisogno,
punto che si colloca di solito ben al di sotto del livello soglia.
Piacere: motivazione legata all’emisfero destro ma può anche coinvolgere l’emisfero sinistro,
diventando cosi potentissima. Ci possono essere anche emozioni piacevoli legate alla tattica
quotidiana:
a. Il piacere della varietà: il corso, il materiale, il modo di guidare la comprensione, il modo di
chiedere produzione linguistica devono essere vari. Fare ogni giorno gli stessi esercizi e le stesse
attività toglie piacere e da noia.
b. Il piacere della novità: Schumann lo pone come fattore importante nella valutazione dell’input da
parte di una mente.
c. Il piacere della sfida: a tutti piace mettersi alla prova e lo si può fare anche con prove di lingua
(puzzle, incastri o dettati).
d. Il piacere della sistematizzazione: capire come funzione il mondo o un meccanismo è un piacere
molto forte, tale da coinvolgere anche l’emisfero sinistro. Far scoprire la grammatica anziché
insegnarla con schemi già fatti è un modo per fornire questo piacere.
e. Il piacere di rispondere al senso del dovere: porta alla disponibilità ad impegnarsi anche in attività
che di per sé non danno piacere.
Secondo gli studi di Shumann, il cervello coglie gli stimoli (quelli che Krashen chiama Input) e
procede ad una valutazione in base alla quale decide se accettare l’input e acquisire tale nuova
informazione. Il cervello selezione ciò che vuole selezionare sulla base di cinque motivazioni:
1. Novità.
2. Attrattiva: dovuta alla piacevolezza dello stimolo.
3. Funzionalità: nel rispondere al bisogno che lo studente percepisce.
4. Realizzabilità: un compito possibile, abbordabile, viene percepito come motivante e innesca il
LAD,
mentre un compito ritenuto troppo arduo chiude la mente.
5. Sicurezza psicologica e sociale: ciò che si deve imparare e la risposta che si deve dare allo stimolo
non mettono a rischio l’autostima e l’immagine sociale.
LO STUDENTE BAMBINO
Ai bambini non si insegna una lingua straniera, ma li si guida nella scoperta del fenomeno linguistico
attraverso il contatto con varie lingue. Bisogna far capire loro che:
a. La lingua materna è solo una tra le tante lingue possibili.
b. Le lingue straniere si possono imparare.
c. Imparare può essere un gioco.
Secondo il trattato di Maastricht non basta equilibrare i fondamentali parametri economici, ma è
anche necessario promuovere l’intercomprensione tra i cittadini dell’UE, per cui a ciascuno di essi
dovrebbe essere garantita la conoscenza di due lingua europee. Il progetto politico di fondo può
essere sintetizzato nel passaggio da bilinguismo a bilinguità:
Bilinguismo: dato sociale.
Bilinguità: condizione personale, descrive coloro che sono riusciti a sviluppare una personalità
bilingue.
Il periodo critico: come nota Danesi, la presenza di due lingua nel cervello porta ad un arricchimento
cerebrale. Secondo l’ipotesi dei periodi critici, studiata da Lenneberg, durante i primi anni di vita il
meccanismo di acquisizione linguistica sarebbe al suo massimo e decadrebbe alla soglia della
pubertà. Altri studi hanno precisato che non proprio decade ma piuttosto decade la capacità di una
perfetta acquisizione fonetica. Tale periodo in realtà è articolato in:
a. Periodo critico: in cui è potenzialmente possibile acquisire una o più lingue raggiungendo una
competenza anche pari a quella di una madrelingua.
b. Periodo sensibile: tra gli 8 e i 22 anni la persona ha ancora forti potenzialità neurologiche che le
consentono di sviluppare una buona competenza linguistica, ma la sua performance non passa più
per quella di un madrelingua.
Principio di interdipendenza linguistica: questo principio proposto da Cummins, afferma che lo
studio di una lingua si riflette positivamente sull’intero repertorio linguistico della persona. Ricorre
alla memoria dell’iceberg… ciò che compare “in superficie” nella comunicazione linguistica è solo
una parte del processo di concettualizzazione e verbalizzazione che avviene nella mente. La capacità
di elaborare una lingua (la parte sommersa dell’iceberg) cresce quando studiamo una lingua
straniera.
L’insegnamento ai bambini: i capisaldi didattici per la glottodidattica precoce sono:
a. Integrazione tra la lingua straniera e il resto del curricolo, che si realizza sul piano della
progettazione quindi della definizione degli obiettivi e della scelta dei contenuti. E’ una sorta di CLIL
diffuso.
b. La flessibilità di approccio, metodo, tecniche: ogni bambino ha il suo stile cognitivo, per cui
struttura la propria conoscenza in maniera originale, e un suo stile di apprendimento, per cui
raggiunge la comprensione dell’oggetto da acquisire e poi accomoda le nuove conoscenze secondo
le sue procedure.
c. Sensorialità: implica quell’uso di tutte le facoltà sensoriali dell’uomo, udito, olfatto, vista, tatto,
gusto. L’insegnamento della lingua non può quindi basarsi su astrazioni, schemi, regole, ma deve
partire dal nominare ciò che si tocca, si vede ecc… es. un dialogo non avverrà tra due ipotetici
interlocutori ma tra due bambolotti.
d. Motricità: si sposa alla natura pragmatica e funzionale della lingua usata per giocare, per fare, per
dare istruzioni…
e. Lucidità: non significa riempire la didattica di giochi, ma di giochi fini a se stessi, in cui chi fallisce
non vive una tragedia e dove sbagliare non comporta nessuna conseguenza.
La mente del bambino è aperta all’apprendimento continuo, l’età in cui si creano più sinapsi al giono
è intorno agli otto anni. Il bambino è un macchina d’apprendimento e l’importante è fornire Lass al
suo Lad.

LO STUDENTE ADOLESCENTE
Aspetto relazionale: a differenza del bambino, adolescente non accetta più come “naturale” il fatto
di sbagliare e di essere corretto dall’adulto. Si sviluppa quindi un accordo tacito tra pari che porta a
privilegiare l’aurea mediocritas: la meta non è più l’eccellenza (i secchioni) ma quello di mantenersi
intorno al minimo necessario. Lo studente adolescente si ritiene adulto, quindi, non si possono
utilizzare attività didattiche che egli percepisce come infantili.
Aspetto cognitivo: la capacità di analisi e di definizioni metalinguistiche maturano e rendono
possibile una riflessione sulla lingua via via sempre più profonda. Le conoscenze dichiarative,
affermazioni di dati di fatto, maturano in conoscenze procedurali (es. se è così… allora…). La
conseguenza glottodidattica di tutto ciò è nel passaggio da un approccio comunicativo fondato sulle
intuizioni ad uno che include sempre più riflessione. Alla competenza dell’uso della lingua si affianca,
come sostegno, la competenza sull’uso della lingua,cioè la competenza metalinguistica.
Introduzione della seconda lingua straniera: nel momento in cui entra nella scuola media, lo
studente inizia lo studio di una seconda lingua straniera. L’educazione linguistica vuole aiutare la
persona nella autopromozione, il che presuppone capacità di socializzare, che a sua volta
presuppone l’accettazione dei modelli culturali della comunità straniera. Sul piano glottodidattico:
a. Lo studente di undici o dodici anni ha già una storia personale di apprendimento della prima lingua
che non può essere ignorata, è necessario quindi che l’insegnante di italiano e di lingua straniera si
coordino tra di loro sui metodi da seguire.
b. Le lingue da apprendere sono due ma lo studente è uno quindi è necessario non adottare delle
metodologie di insegnamento scoordinate.
c. Proprio perché si tratta di due lingue molti dei “problemi” sono comuni, quindi è inutile ripetere
sempre gli stessi concetti.
d. Un aspetto particolare è costituito dall’uso delle glottotecnologie, non solo l’aula multimediale ,a
anche il lavoro autonomo in rete o con altri multimedia.
Per queste ragioni l’insegnamento di due lingue deve essere coordinato e integrato.

IL GIOVANE ADULTO
Lo studente giovane adulto (anche universitario) si avvicina alla lingua straniera per bisogno
professionale e con l’atteggiamento della persona autonoma e responsabile delle proprie scelte. Ma
la grande differenza fra l’apprendimento linguistico delle università e quello per ragioni
professionali sta nell’atteggiamento
dello studente nei confronti del docente: l’adulto già inserito nel mondo del lavoro ed è padrone di
sé, per cui l’impianto è androgogico e la prospettiva è lifelong learning; invece nelle università lo
studente si pone ancora in posizione di inferiorità verso l’insegnante, per cui l’impianto è
pedagogico.

LO STUDENTE ADULTO
L’essere adulto rimanda sia all’età, sia alla conseguente maturazione psicologica e relazionale. Da
queste peculiarità discendono alcune caratteristiche dell’adulto che studia una lingua straniera.
a. L’adulto è fuori dal percorso formativo di base, è maggiorenne e quindi vuole decidere
autonomamente ed è una caratteristica fondamentale perché incide sul rapporto studente-
insegnante.
b. Il rapporto studente- insegnante, non è più educativo ma prevalentemente istruttivo:
l’insegnante è un tecnico che conosce la lingua e la glottodidattica.
c. Lo studente paga il corso, quindi viene applicato il principio value for money: non si segue il corso
per piacere.
d. I risultati perseguiti devono essere raggiunti nel minor tempo possibile perché spesso la società
detta i tempi.
e. La storia dello studente mette a rischio l’apprendimento in quanto egli è convinto di sapere come
si impara una lingua, avendone imparata almeno una in passato, ma spesso si tratta di ricordi basati
su metodologie obsolete che potrebbero entrare in conflitto con quelle moderne: quindi i principi
metodologici gli vanno spiegati esplicitamente.
f. La capacità di apprendere una lingua in un adulto non viene mai meno, l’unico “problema” è la
rapidità di apprendimento che in una bambino è più veloce, ma alla fine l’adulto riesce a
raggiungere lo scopo anche se lentamente, questo va spiegato per non rischiare la demotivazione.
g. Una fondamentale caratteristica psicologica dell’adulto è la sua capacità metalinguistica che
deriva dalla superiore capacità astrattiva e sistematizzante della mente adulta, nonché dal desiderio
di “regole” stabili a cui far riferimento: quindi l’insegnante deve integrare i materiali sulla base delle
necessità metalinguistiche dei suoi studenti.
Tecniche didattiche adatte all’adulto: le tecniche glottodidattiche pongono l’allievo di fronte alla
sua competenza considerandolo autonomo nel decide di affrontare i vari compiti richiesti. Tra le
tecniche che affidano all’allievo il compito della realizzazione e della valutazione troviamo il dettato
auto-corretto, la procedura cloze (accoppiamento parole-immagini e tutte le forme di incastro).
Queste sono tecniche ottimali per l’adulto, mentre non lo sono le attività che portano lo studente
ad interagire con i compagni, in quanto possono essere percepite dall’adulto come un rischio
l’immagine che da di se. Assolutamente improponibili sono le attività che pongono l’allievo in un
confronto diretto con l’insegnante perché rompono il patto psicologico tra adulti che sta alla base
dell’andragogia.
Andragogia: è il corrispondente della pedagogia, che riguarda l’apprendimento e l’insegnamento a
bambini e adolescenti, mentre l’andragogia si occupa degli adulti. Secondo Rogers l’apprendimento
dell’adulto si caratterizza per il fatto che l’adulto, a differenza del bambino, è restio a mettere in
discussione l’architettura delle sue conoscenze, quindi l’insegnamento può avere successo solo se
è stato lo studente a decidere di modificare le sue conoscenze e se viene rispettata la sua autonomia
nei processi di decision making. L’insegnante quindi deve permettere continuamente allo studente
di misurare il percorso fatto, guidare il processo di modificazione guidando lo studente con
strumenti cognitivi per adulti, garantire e sostenere l’autonomia dello studente nell’apprendimento
e passare dal ruolo di insegnante a quello di facilitatore dell’apprendimento.
Lifelong Making: non è una scelta volontaria ma una necessità per adeguarsi alla globalizzazione. Ci
si scrive ad un corso non per fare carriera ma per sopravvivenza professionale.
Educazione Permanente: offerta educativa legata alla volontà di chi ne fruisce. Es. una persona che
vuole scalare la gerarchia aziendale si iscrive ad un corso di lingue.
La differenza fra le due sta quindi nella natura della motivazione.
Il gruppo di studenti: l’apprendimento avviene assieme ad altri compagni. Sono stati evidenziati
alcuni problemi: lavorando in gruppo e non essendo ancora esperti con la lingua uno studente
potrebbe acquisire un elemento sbagliato, ma questo è un rischio che può essere corso di fronte al
vantaggio dell’attività cooperativa. Infatti si tratta di più menti che, esplorando insieme la lingua e i
significati dei testi hanno maggiore probabilità di riuscire nell’impresa (il che sostiene il piacere
dell’apprendimento).
L’INSEGNANTE
I tre elementi della didattica della lingua sono: lingua, studente e docente. Lingua (intesa come
competenza comunicativa e riflessioni sulla civiltà e sulla cultura del popolo) e studente sono posti
in equilibrio paritetico. L’interazione principale si realizza tra questi due poli e deve portare
all’acquisizione della lingua allo studente. L’insegnante sta sul fondo e aiuta gli altri due poli a
mettersi in relazione, ma lo fa svolgendo
una funzione di regista. L’insegnante regge il tutto, lo mantiene in equilibrio accentuando e
restringendo il ruolo dei due protagonisti. L’insegnante può essere percepito come:
a. Facilitatore.
b. Consigliere: quello che usa i metodi clinici e la sua immagine spesso ricorda quella di uno
psicoterapeuta.
c. Maieuta: colui che con poche domande semplici stimola lo studente ad esplorare la lingua, farsi
ipotesi e darsi egli stesso le risposte, se possibile.
d. Tutore: secondo la logica del tutor, l’insegnante garantisce sostegno e protezione nel processo di
acquisizione linguistica e l’esplorazione di una cultura straniera.
e. Regista: sta dietro le quinte e guida gli studenti che diventano attori.
Tutte queste denominazioni hanno in comune il fatto che l’insegnante non è più visto come maestro
onnisciente ma come un professionista che funge da punto di riferimento. Per svolgere la sua
funzione il docente parla. La comunicazione didattica è importante per un insegnamento di qualità,
ma ci sono alcuni punti critici:
a. Foreigner’s talk: sono i tentativi di un madre lingua di farsi capire da un forestiero simili a quelli
usati per farsi capire dai bambini: sintassi elementare, coordinazione invece che subordinazione,
gesti enfatizzati ecc…
b. Teacher’s talk: è il forestierese; lessico ridotto scelto su base latina (intelligent/clever), sintassi
paratattica, cioè basata su coordinazione, fonetica molto facilitata dal professore. La teacher’s talk
è una procedura che va limitata ai primissimi passi dello studente in difficoltà.
c. TTT, Teacher’s talking time: la percentuale di tempo usata dal docente sul tempo totale della
lezione è una variabile utile per osservarne lo stile didattico. Un TTT eccessivo non facilita per
niente l’apprendimento, anzi!
Che lingua usare in classe? E’ necessario usare la lingua straniera. Tranne nei momenti di correzione
dei compiti e nei momenti di carattere emozionale e relazionale. La tradizione ci da due generi
comunicativi consacrati nei secoli:
a. La conversazione maieutica: aveva senso sotto i portici di Atene e Roma, quando un saggio
(filosofo, maestro) si sforzava di far maturare l’autonomia cognitiva e critica del suo allievo. Oggi
questo modello funziona solo per i dottorati di ricerca e, in glottodidattica, per l’insegnamento
dell’italiano agli immigrati.
b. La lezione ex cathedra: la lectio è tipica della istruzione religiosa. L’obiettivo viene messo al centro
dell’attenzione e viene comunicato in maniera frontale e diretta agli allievi da un sacerdotemaestro
che ha diritto di interpretazione incontestabile.
PROGETTISTI DEL CURRICULO E AUTORI DI MATERIALI DIDATTICI
Il progettista di un corso di lingue deve svolgere alcune funzioni essenziali:
a. Definire il ruolo del corso di lingua straniera all’interno del percorso formativo dello studente.
b. Analizzare i bisogno degli studenti per definire gli scopi del corso, specialmente per aziende o
centri linguistici.
c. Definire quali risorse sono necessarie per soddisfare quei bisogni e quali siano disponibili
stabilendo
un ordine di priorità.
d. Definire quale tipo di insegnante serva per quel corso ed eventualmente indicare i percorsi
formativi per i docenti.
e. Definire il curricolo di lingua straniera secondo uno dei tanti modelli disponibili.
f. Indicare il tipo di materiale didattico adeguato.
Materiale didattico adeguato:
a. Manuale base che presenta un percorso programmato, graduato che deve guidare ll studente a
raggiungere uno dei livelli del Quadro di riferimento comune europeo.
b. Materiali per il rinforzo e il recupero specifici per i vari livelli.
c. Materiali audio con monologhi e dialoghi.
d. Ampliamento in rete, per cui a ogni unità didattica corrisponde una serie di navigazioni guidate.
e. Sezione di adattamento del materiale alle necessità dello studente a seconda del paese di
provenienza.
f. Video, soprattutto per favorire una contestualizzazione soprattutto culturale.
g. Guida didattica, che illustri all’insegnante il percorso glottodidattica e il senso di ogni attività e
testo.
h. Prove di verifica graduate per ogni unità.
i. Un sito che offre ulteriori materiali o percorsi di recupero.
Quello che spetta al singolo insegnante è l’integrazione del materiale didattico con materiale
originariamente non pensato per la didattica: questo materiale è essenziale per offrire esempi
autentici di lingua, per motivare e per coltivare l’eccellenza degli alunni. Es. canzoni, film, pubblicità,
giornali ecc…
LA LINGUA E I LINGUAGGI NON VERBALI
La Comunicazione: insegnare a comunicare significa insegnare a scambiare messaggi efficaci.
Scambiare: la comunicazione non è mai monodirezionale, lo studente deve rendersi conto che
impara una lingua per uno scambio di significati e che la dimensione interrelazionale è necessaria.
Messaggi: includono un testo verbale e una componente non verbale, lo studente deve
comprendere che imparerà a creare messaggi, non frasi o parole.
Efficaci: si comunica per convincere, ottenere o vietare qualcosa e l’efficacia della comunicazione
si valuta sul risultato, cioè sull’essere riusciti ad ottenere quello che si voleva.
La comunicazione non avviene nel vuoto ma essa si situa in un evento comunicativo. Ciascuno dei
fattori dell’evento influisce sulla qualità della comunicazione quindi sarà utile portare gli studenti
alla consapevolezza esplicita di questi fattori. Il modello canonico per l’analisi di un evento
comunicativo è quello di Hymes, rappresentato dall’acronimo SPEAKING:
S: come setting, cioè luogo fisico: nell’interazione viso a viso è possibile usare gesti, indicare
oggetti
ecc…
P: come partecipanti, il rapporto di ruolo sociale fra i partecipanti è fondamentale per cogliere il
senso profondo di un evento comunicativo.
E: come ends, gli scopi per cui si comunica, comprendere un testo significa cogliere gli scopi,
dichiarati e non, di chi ha prodotto quel testo. Lo studente deve capire che in lingua straniera si
realizzano intenzioni comunicative e non si traducono delle parole o delle frasi.
A: come atti, sono delle azioni degli atti comunicativi, unità minime quali salutare, chiedere la
strada, salutarsi ecc… Lo studente deve imparare a non focalizzarsi sulle singole parole, ma a
cogliere lo scopo delle espressioni.
K: come Key, chiave psicologica, è la relazione tra i partecipanti all’evento comunicativo, la
dimensione psicologica.
I: come istruments, strumenti verbali e non , ma anche strumenti fisici di trasmissione dei linguaggi
(dall’aria a internet). La lingua varia a seconda degli strumenti usati per la comunicazione.
N: come norme (di interazione e interpretazione dei messaggi) vanno osservate più di quelle
linguistiche. Per es. in Italia è possibile interrompere qualcuno mentre non lo è assolutamente in
Scandinavia.
G: come genere comunicativo, conferenze, conversazioni, barzellette, testi letterari ecc… sono
generi comunicativi con una struttura profonda universale e una struttura superficiale che varia da
cultura a cultura.
Riflettere sulla comunicazione in generale e sulle peculiarità della comunicazione in una data lingua
è un investimento necessario a una precondizione per il successo nell’acquisizione della lingua
straniera.
Lingua straniera: l’aggettivo “straniera” indica una lingua che viene studiata in una zona in cui essa
non è presente se non nelle scuole. L’input in lingua straniera è fornito dall’insegnante direttamente
o con tecnologia.
Lingua etnica: si definisce etnica la lingua della comunità di origine di una persona quando essa non
è la sua lingua materna, ma è comunque presente nell’ambiente degli immigrati: ad es. un bambino
italofono che può sentire queste lingue parlate a casa da parenti e amici.
Lingua franca: lo fu il latino, lo è l’inglese oggi. Si tratta di una lingua molto usata in maniera
semplificata per facilitare la comunicazione internazionale.

LA COMPETENZA LINGUISTICA
La lingua è il contenuto per eccellenza dell’insegnamento linguistico. Esistono vari modi di
considerare la lingua:
a. Mezzo per raggiungere scopi: è la dimensione studiata dalla pragmalinguistica ed è alla base del
metodo nazionale-funzionale.
b. Espressione di un rapporto sociale e mezzo per modificare questo rapporto: è l’ambito della
sociolinguistica.
c. Indicatore di appartenenza a un gruppo, che spesso si riconosce proprio per l’uso della lingua.
(gruppo geografico, sociale, professionale ecc). E’ oggetto di studio sociolinguistico.
d. Forma: la lingua ha vari livelli formali, forma sonora (fonetica), scritta (grafemica), morfologica,
sintassi, lessico e linguistica testuale. Nella percezione diffusa tra i non specialisti sapere una lingua
vuol dire conoscere queste forme, la grammatica e le parole della lingua.
e. Espressione di una cultura e strumento per tramandarla di generazione in generazione. Questa
dimensione è studiata dall’etnolinguistica.
f. Strumento del pensiero, della concettualizzazione. Insegnando lingue straniere dobbiamo
insegnare diverse forme di concettualizzazione: es. un americano va dritto al punto mentre un
orientale ci gira attorno per poi arrivare al punto, un po’ come l’italiano che usa digressioni,
premesse, commenti e così via.
g. Strumento di espressione: l’espressione in questo caso diviene una comunicazione fine a se
stessa.
La lingua pensata per scopi estetici non può essere il principale modello linguistico presentato agli
studenti, ma non può nemmeno essere ignorato come se fosse inutile.

LA COMPENTENZA EXTRALINGUISTICA
Accanto alla competenza linguistica per comunicare è necessario possedere la competenza
extralinguistica, cioè quel complesso di codici che vengono usati assieme alla lingua per modificare
o sottolineare alcuni significati o, in alcuni casi, in sostituzione della lingua verbale. Le principali
competenze extralinguistiche sono:
a. La competenza cinetica: riguarda la capacità di comprendere e utilizzare gesti, espressioni del viso
e movimenti del corpo, il problema è che alcuni gesti sono diversi a seconda del paese.
b. La competenza prossemica, relativa alla vicinanza e al contatto con l’interlocutore cui sono spesso
legate le scelte di registro di lingua.
c. La competenza vestemica: la capacità di padroneggiare il sistema della moda, divise, uniformi,
abiti più o meno formali ecc…
d. La competenza oggettuale, rimanda all’uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status
sociale, una funzione ecc... es. l’arredamento dello studio o un auto aziendale.
LA COMPETENZA SOCIOPRAGMATICA
Per descrivere la competenza socio pragmatica possiamo citare il modello antropologico secondo il
quale ogni persona è in contatto con se stesso, con gli altri e con il mondo. La lingua serve a stabilire
e mantenere queste relazioni, infatti:
a. A “io” corrisponde una funzione personale.
b. A “io e te” corrisponde una funzione interpersonale e una regolativa.
c. A “io e il mondo” una funzione referenziale, che riguarda il mondo reale, poetico-immaginativa
che riguarda il mondo fantastico e metalinguistica che riguarda il mondo della lingua.
Possedere la competenza socio-pragmatica significa saper realizzare le sei funzioni, attraverso atti
ed espressioni appropriate.
Funzione personale: si realizza quando lo studente rivela la propria soggettività, personalità,
quando manifesta sentimenti, emozioni, pensieri. Questa funzione si realizza, oltre che nei
dialoghi, anche in generi come la lettera, il diario, l’intervista ecc. Atti comunicativi: chiedere/dire
nome, età, provenienza; parlare dello stato fisico; parlare dello stato psichico; esprimere i propri
gusti. Molti materiali didattici hanno un peso poco rilevante a questa funzione che è invece
fondamentale sul piano della motivazione.
Funzione interpersonale: si realizza quando la lingua serve a stabilire, mantenere o chiudere un
rapporto di interazione orale o scritta. Atti comunicativi: salutare/congedarsi; offrire, accettare o
rifiutare qualcosa; ringraziare, scusarsi. I rapporti interpersonali rimandano a regole
sociolinguistiche da tenere in considerazione per un uso appropriato della lingua.
Funzione regolativo strumentale: consiste nell’usare la lingua per agire sugli altri per regolare il
loro comportamento, per ottenere qualcosa. I generi di questa funzione sono le istruzioni orali,
scritte, regolamenti e leggi. Atti comunicativi: dare/ricevere istruzioni; dare/ricevere consigli;
chiedere/obbligare/impedire di fare qualcosa. Questa funzione rimanda a regole socioculturali da
tenere in considerazione al fine di una scelta appropriata delle espressioni da usare. La scelta
errata può bloccare lo scambio comunicativo.
Funzione referenziale: si manifesta quando la lingua viene usata per descrivere o spiegare la realtà
(con relazioni, descrizioni di una situazione, testo scientifico ecc). Atti comunicativi: descrivere
cose, azioni, persone, eventi; chiedere/ dare informazioni; chiedere/dare spiegazioni. I messaggi
che realizzano questa funzione sono caratterizzati da oggettività e lessico denotativo molto preciso
ed è qui che gli studenti incontrano le maggiori difficoltà.
Funzione metalinguistica: si realizza quando ci si serve della lingua per parlare della lingua o per
riflettere sulla lingua stessa o per risolvere problemi comunicativi tipici dell’interazione. Atti
comunicativi: chiedere come si chiama un oggetto; creare perifrasi per sostituire parole ignote;
comprendere o fornire spiegazioni sulla lingua e sulla comunicazione.
Funzione poetico immaginativa: si realizza quando si usa la lingua per produrre particolari effetti
ritmici, suggestioni musicali, associazioni metaforiche oppure creare situazioni e mondi
immaginari. Propri di questa funzione sono tutti i generi letterari, dalla fiaba al poema epico.
Le abilità linguistiche: sono abilità dalla duplice dimensione, una cognitiva, costituita dai processi di
comprensione, produzione, selezione delle informazioni per fare un riassunto o prendere appunti.
Sono processi che si sviluppano nella lingua materna. E una dimensione semiotica, questi processi
si realizzano attraverso la lingua, in gesti, grafici e così via. Sono codici che variano da cultura a
cultura. Le abilità di base sono quattro: l’ascolto, il monologo, le lettura e la scrittura, ma anche se
coinvolte due attività si aggiunge il dialogo. Queste abilità possono essere accorpate sulla base del
ruolo assunto da chi usa la lingua oppure dalla modalità orale o scritta. Esiste poi un gruppo di abilità
di trasformazione linguistica che sono al centro, tra ricezione e produzione e tra orale e scritto, cioè
il dettato, la traduzione, il riassunto, stesura di appunti e parafrasi.
Le micro lingue disciplinari: per guidare un processo, per regolare i comportamenti, un manuale di
istruzioni o un codice devono avere una lingua perfetta: chiusa, immutabile, precisa e ben delineata.
I testi microlinguistici realizzano solo le funzioni referenziale (spiegano, descrivono), regolativa
(danno istruzioni), e, qualche volta, metalinguistica (spiegano il significato di un termine) ed hanno
due principali finalità:
a. Dal punti di vista pragmatico, vogliono evitare le ambiguità per cui usano termini monosemici,
limitano l’uso dei pronomi, evitano i sinonimi ecc…
b. Dal punto di vista sociale, servono come strumento di riconoscimento tra professionisti di un dato
settore.I testi sono strutturati in paragrafi brevi, con titoli e sottotitoli, hanno riquadri con dati e
annotazioni, grafici, appendici ecc. Troviamo una elusione di articoli e preposizioni, eliminazione di
frasi relative, spersonalizzazione e passivazione. A livello lessicale si cerca di evitare le ambiguità, la
parola diventa un termine cioè una unità lessicale puramente denotativa, priva di connotazioni
culturali.

LA DIMENSIONE INTERCULTURALE
La prospettiva antropologica e sociolinguistica: Negli anni cinquanta e sessanta si effettua un passo
importante per la glottodidattica, la cultura è descritta come problema sia situazionale sia
comunicativo in quanto essa caratterizza e modifica la natura e la forma della comunicazione.
L’insegnante può dare
strumenti, aprire gli occhi, ma poi è l’osservazione che garantisce quella culturizzazione senza la
quale non ci sono né socializzazione né autopromozione.
La prospettiva interculturale: nella seconda parte degli anni ottanta emerge una nuova prospettiva,
seconda la metafora di Hofstede, ogni persona ha un software of the mind che include tra i vari file
anche quelli che costituiscono la competenza comunicativa. Essi funzionano quando siamo
all’interno della nostra cultura, ma quando si comunica con membri di altre culture è necessario
“salvare” i dati in formati
interscambiabili. Non si può insegnare una competenza interculturale, ma si può insegnare ad
osservarla (creando una banca di dati da aggiornare man mano che si incontrano stranieri, si
guardano film ecc). Per osservare occorre un modello:
a. Il software of the mind: cioè tutti quei fattori culturali che influenzano la comunicazione, non tutti
i fattori ma solo quei fattori che influenzano lo scambio di messaggi tra due o più persone.
b. Il software di comunicazione: tutti i codici che usiamo sia verbali che non. Ma spesso l’attenzione
è rivolta maggiormente verso i codici verbali dando poca importanza a quelli non verbali: linguaggio
del corpo, dei gioielli, dei vestiti ecc…
c. Il software di contesto: ovvero il software socio pragmatico che nella comunicazione regola
l’inizio, per percorso e la conclusione di un evento comunicativo.
I primi due software, culturale e comunicativo, costituiscono la competence, mentre il software
contestuale interviene nel momento in cui si traduce la competenza in performance. Tra i software
of the mind di cui si è di solito inconsapevoli e che possono creare problemi troviamo i seguenti
aspetti:
Il concetto di tempo: crea molti problemi relazionali, quindi comunicativi, anche se non sempre
linguistici; il concetto di puntualità, time is money, orrore del tempo vuoto, il tempo strutturato.
Gerarchia, status, rispetto: la gerarchia è la concretizzazione di un’idea del potere. Alla base della
gerarchia c’è il concetto di status che può essere attribuito automaticamente o guadagnato sul
campo con la propria preparazione. A queste persone si comunica in maniera formale, rispettosa.
Codici non verbali: le neuroscienze dicono che siamo prima visti e poi ascoltati. Siamo poco
consapevoli della natura convenzionale, grammaticale dei linguaggi non verbali. Tuttavia le parti del
corpo e i loro linguaggi non coincidono con quelli dei paesi stranieri e questo sicuramente
compromette la comunicazione. Il corpo parla anche con i vestiti che indossa e ha bisogno di una
distanza di sicurezza che se oltrepassata inibisce la conversazione.
Lingua e comunicazione interculturale:
Costruzione testuale anglosassone: straight to the point.
Costruzione testuale italiana: premesse, digressioni, precisazioni, commenti.
Costruzione testuale orientale: si avvicinano al fulcro del discorso lentamente e ritengono volgare,
violento e offensivo andare dritto al punto.
Aspetti socio – pragmatici: ci basta ricordare, sul piano pragmatico, due fatti:
a. Alcuni atti comunicativi rimandano a differenti valutazioni dei rapporti interpersonali (un cinese
ringrazia qualcuno che ha fatto qualcosa per lui).
b. Alcune mosse comunicative sono permesse in certe culture e non in altre (l’interruzione è
concessa in area latina, vitatissima in Inghilterra).
L’insegnante di lingua straniera che voglia contribuire a creare una competenza comunicativa
interculturale, può insegnare ad “osservarla”, che significa rendere consapevoli le persone dei
problemi della comunicazione interculturale, offrire alle persone degli strumenti concettuali,
semplici e chiari, per osservare la comunicazione e far notale che nelle società complesse la realtà
muta ogni giorno, per cui le varie culture si modificano, si contagiano ecc… lo scopo di queste attività
non è quello di istruire sui contenuti ma piuttosto di far apprendere un metodo di osservazione.
L’ORGANIZZAZIONE DEL MATERIALE DIDATTICO
La psicologia della Gestalt descrive la percezione come una sequenza di tre fasi, una globale, una
analitica e una conclusiva in cui si attiva una sintesi che trasforma ciò che è percepito, se presenti le
condizioni, in elementi acquisiti. Innanzi tutto c’è una percezione globale dell’evento comunicativo
o del testo. Essa coinvolge l’emisfero destro del cervello e si basa su strategie quali:
a. Sfruttamento della ridondanza di informazioni contestuali (luogo, momento, percezioni) e
cotestuali
(l’articolo che indica un nome femminile plurale).
b. Formazione di ipotesi socio-pragmatiche su quanto potrà avvenire in quel contesto secondo le
nostre conoscenze del mondo.
c. Formazioni di ipotesi linguistiche sulla base delle conoscenze grammaticali che possediamo.
d. Elaborazione delle metafore.
e. Verifica globale e approssimativa delle ipotesi (skimming) o la verifica di singoli elementi
(scanning).
f. Ricerca di analogie con eventi noti.
Focalizzazione modale: l’allievo penetra nel testo prima con un approccio globale, successivamente
si addentra sempre più nel dettaglio, coinvolgendo l’emisfero sinistro del cervello.
A questo punto si apre una serie di sequenze, analisi -> sintesi spontanea -> riflessione guidata
relativa a:
Ciascun atto comunicativo che si vuole far acquisire alla classe.
Gli aspetti linguististici, cioè fonologici, morfosintattici, lessicale e testuali.
I temi culturali impliciti o espliciti nel testo.
I linguaggi non verbali, sul testo di partenza è un video.
Questa “molecola matematica” è il nucleo dell’attività di acquisizione della lingua straniera: ogni
testo, canzone, video, poesia ecc, va esplorato attraverso le tre fasi della percezione gestaltica:
prima in maniera globale, poi in maniera analitica, infine realizzando autonomamente una sintesi e
una riflessione che permette all’apprendimento di trasformarsi in acquisizione.
L’unità didattica come rete di unità d’acquisizione: un’unità d’acquisizione è l’unità di misura
secondo la quale lo studente percepisce il suo apprendimento. Può durare pochi minuti o un ora e
più. Un’unità didattica è una tranche linguistico comunicativa realizzata mettendo insieme eventi,
atti, espressioni, e strutture linguistiche legati da un contesto situazionale. Può durare dalle sei alle
dieci ore e oltre.
A seconda del tipo di lingua che si sta insegnando, abbiamo questi esempi:
a. Unità di lingua in generale: se ad esempio il tema è quello dei trasporti pubblici, le varie unità di
apprendimento riguarderanno le prenotazioni di biglietti, i nomi dei mezzi di trasporto ecc…
b. Unità didattica di letteratura: può durare settimane, si analizzano i vari testi di un autore per
giungere ad una sintesi conclusiva su quell’autore o sul movimento culturale al quale aderisce.
c. Unità di micro lingua: basata su eventi complessi come ad esempio un’intera transazione
commericiale.
MOTIVAZIONE -> SEQUENZA/RETEDI ACQUISIZIONE -> VERIFICA/VALUTAZIONE -> ATTIVITA’
SUPPLEM.
Motivazione: non c’è acquisizione senza motivazione. La fase della motivazione è una fase in cui ci
sono attività di esercitazione, volte a far emergere quello che già conoscono e quello che
immaginano del tema dell’unità, rapide presentazioni di video, pubblicità, canzoni e un eventuale
racconto di aneddoti personali che riguardano il docente che può offrire una contestualizzazione
“umana”. In questa fase il TTT è ridotto e si realizza come domande, stimoli, oltre che come
narrazione in lingua italiana.
Sequenza/rete di unità d’acquisizione: i materiali didattici offrono una sequenza ed è il modo più
semplice di svolgere un’attività didattica. L’insegnante può scegliere se saltare qualche punto
ritenuto complesso o integrare l’unità con altro materiale, se ritenuta insufficiente.
Verifica e valutazione: la verifica è riferita al raggiungimento degli obiettivi, il classico test. La
valutazione è il giudizio che l’insegnante da sulla performance di ogni singolo allievo sulla base di
considerazioni quali il percorso di miglioramento. La verifica riguarda specificatamente gli obiettivi
linguistici, pragmatici, culturali dell’unità conclusa, ma rileva e valuta quegli elementi che
dovrebbero già essere stati acquisiti.
Attività supplementari: finita l’unità didattica, prima di procedere alla successiva, può essere utile
inserire una o due lezioni di decondizionamento dalla logica. Si tratta di una fase essenziale sul piano
del sostegno della motivazione generale.
Il modulo: si è venuta diffondendo la necessità di accreditare delle competenze parziali: pertanto si
è imposto il modulo, cioè una sezione, una porzione, un sottoinsieme del corpus dei contenuti del
curricolo.
Un modulo deve essere autosufficiente, conclusivo in se stesso, alla fine del modulo lo studente
deve essere in grado di operare autonomamente nel contesto che viene affrontato nel modulo. Il
modulo deve essere valutabile nel suo complesso, in modo da poter essere accreditato nel CV dello
studente. Possiamo quindi concludere dicendo che un modulo è un blocco tematico concluso in sé,
autosufficiente, significativo e si articola in una serie di unità didattiche basate su unità di
acquisizione.
LO SVILUPPO DELLE ABILITA’
Abilità ricettive: ascolto e lettura.
La comprensione è il processo che sottostà all’attività di ascolto e di lettura. La differenza tra queste
due abilità è a livello percettivo. Goodman, uno psicolinguista degli anni sessanta, definì la
comprensione come un psycholinguistic guessing game: essa non procede dagli stimoli che
riceviamo dall’esterno ma dai processi cognitivi che costituiscono la grammatica dell’anticipazione.
Processo di comprensione:

Fase uno) La conoscenza del mondo (enciclopedia):


Essa è organizzata in schemi che ci consentono di ordinare la nostra esperienza di vita, di studio
ecc… Ci sono modelli particolari di schemi: A) la frame system theory, una cornice, una rete di
relazioni tra gli oggetti, le loro proprietà, ecc… che costituiscono i “reparti” del magazzino
mnemonico (colori, quantità ecc).
B) la teoria degli Script di Shank e Abelson, copioni o scenari in cui le situazioni tipiche della vita
vengono viste come il frutto di grammatiche pragmatico-comportamentali.

Fase due) Processi logici:


Si tratta di processi che contribuiscono a “costruire” la comprensione. Tali processi legano la fonte
esterna di informazioni con la realtà psichica di chi comprende. Il principale di questi meccanismi è
quello proposizionale dove la proposizione deve contenere il predicato e gli argomenti, i due
elementi cardine che la mente va a ricercare al fine di capire. Altri processi logici che intervengono
a costituire la grammatica
dell’anticipazione possono avere una base:
a. Sintattica, l’articolo “le” fa prevedere nomi, aggettivi, pronomi femminili plurali e il verbo al
plurale.
b. Di coerenza e coesione testuale: per es. un testo dove appare un meta comunicatore come
“anzitutto” o “in secondo luogo” fa prevedere la presenta di un “inoltre”.
c. Di natura inferenziale: processi di natura semantica e testuale che possono differire a causa di
culture diverse.
d. Di genere testuale: la conoscenza della retorica e della logica del genere costituisce l’impalcatura
della comprensione.

Fase tre) Processi analogici:


Facoltà analogica della mente, gestita dall’emisfero destro, ci permette di decodificare metafore
anche meno trasparenti. La comprensione quindi non attiva solo le operazioni logico-linguistiche,
ma anche quelle analogiche. Insegnare a comprendere una lingua straniera significa affinare le
strategie di comprensione, soprattutto i processi cognitivi che governano la grammatica
dell’anticipazione.

TECNICHE PER LO SVILUPPO DELLE ABILITA’ DI COMPRENSIONE


Cloze: la procedura cloze consiste nell’inserire le parole mancanti in un testo. Si lasciano le prime
righe intere per fornire un contesto e poi si toglie ogni settima parola. Si possono avere diverse
varianti:
a. Cloze “a crescere”: si inizia eliminando ogni settima parola e poi la sesta e la quinta.
b. Cloze facilitato: che presenta sopra le parole da inserire, magari mettendo fra quelle un intruso.
c. Cloze orali: inserendo una pausa lo studente cerca di immaginare la parola o la frase che seguirà,
correzione immediata.
d. Cloze relazionati con strumenti statistici ad esempio una fotocopia da cui scompare un centimetro
di testo da dover riempire o immaginare.
Questa tecnica non inserisce un filtro affettivo.
Attività di incastro: si tratta di puzzle che chiedono di ricomporre un testo frantumato. Per fare
questo esercizio è necessario osservare prima tutti i segmenti e dopo, costruita la comprensione
globale, si procede ad analizzare i singolo segmenti per ricondurre tutto alla sintesi finale. (percorso
gestaltico per eccellenza). In tutti i casi si tratta di tecniche che non attivano il filtro affettivo, in
quanto viste come gioco enigmistico. Alcuni tipi di attività ad incastro sono:
a. Incastro tra battute di un dialogo: mettere in ordine le battute.
b. Incastro tra fumetti: mettere in ordine le vignette.
c. Incastro tra paragrafi: mettere in ordine i paragrafetti.
d. Incastro tra testi correlati tra loro: mettere in relazione i diversi testi.
e. Incastro tra frasi: date in disordine, si deve ricostruire il periodo.
f. Incastro tra spezzoni di frase: si devono unire con una linea degli spezzoni collocati in due colonne
diverse. Su base lessicale ( il motore ha due ruote/ha quattro ruote) o su base morfosintattica (la
moto è brutto/brutta)
g. Incastro tra parole di una frase: mettere in ordine le parole per formare una frase.
Sono tecniche che contribuiscono allo sviluppo delle abilità di comprensione indipendentemente
dalla lingua usata. Inoltre aiutano gli studenti a dominanza cerebrale sinistra con uno stile di
apprendimento analitico che si bloccano davanti ad una parola sconosciuta riducendo il ruolo della
grammatica dell’anticipazione.
TECNICHE PER GUIDARE E VERIFICARE L’ABILITA’ DI COMPRENSIONE
Domanda aperta: è la tecnica più nota e più diretta, ma pone dei problemi in quanto la domanda
accentua il ruolo gerarchico tra studente/insegnante inserendo filtri affettivi. Inoltre la domanda
verifica la comprensione per mezzo della produzione e questo aggiunge altri problemi. Quindi la
domanda dovrebbe essere riservata a stimolare riflessioni complesse.
Griglia: si basa su una griglia, una tabella, uno schema creato come un piano cartesiano su cui si
pongono pochi elementi essenziali: in verticale, ad esempio, una tipologia di locali e in orizzontale
una serie di azioni e si segna con una crocetta dove si può fare quell’azione.
Scelta multipla: si hanno più formati di scelta multipla, risposta si/no, vero/falso, domande che
hanno un tronco comune e si deve scegliere il proseguimento giusto. La scelta multipla è una tecnica
estremamente precisa: essa consente infatti di concentrare l’attenzione sull’elemento desiderato.
Transcodificazione: la forma più tipica di transcodificazione (cioè passaggio da un codice ad un altro)
si ha con l’ascolto o con la lettura di un testo e la esecuzione di disegni basati sulle informazioni del
testo. In termini valutativi questa tecnica ha il pregio di garantire un identificazione pragmatica
chiara (ha/non ha capito) ma hanno il difetto di non consentire un’analisi sottile, cioè non permette
di individuare chiaramente dove si colloca il problema nel caso di qualche lacuna.
Accoppiamento termine – definizione: verifica in maniera puntuale la comprensione di una parola.

CONTRIBUTO DELLE GLOTTOTECNOLOGIE


Registratore audio: si basa su una tecnologia affidabile e semplice. Il registratore può essere usato
per ascoltare, riascoltare, registrare le prestazioni degli alunni e riascoltarle.
Registratore video: più completo e motivante in classe. I video didattici sono messaggi audiovisivi e
lo studente assocerà l’udito alla vista facilitando la comprensione.
ABILITA’ PRODUTTIVE: MONOLOGO E SCRITTURA
La produzione orale e scritta si sviluppa secondo un percorso lineare: concettualizzazione,
progettazione, realizzazione. La concettualizzazione è il reperimento delle idee, si può procedere
individualmente o in gruppo attraverso tecniche come il diagramma a ragno oppure il
brainstorming. Nella fase di progettazione si procede alla trasformazione delle idee in una scaletta,
una struttura concettuale che fornirà la coerenza, cioè il cosiddetto filo del discorso. La realizzazione
può essere orale ( monologo libero) o scritta (composizione).

TECNICHE PER SVILUPPARE LA PRODUZIONE ORALE


Il monologo in lingua straniera è una (breve) produzione su un tema precedentemente assegnato,
in modo che il problema del “che cosa dire” non interferisca con la produzione dal punto di vista
linguistico. Il monologo presenta un notevole problema operativo: lo si può usare solo in gruppi
poco numerosi se si vuole mantenere la motivazione e l’attenzione. Se si è in gruppi numerosi è
necessario che il monologo
diventi un attività di ascolto per tutti, creando monologhi:
a. Creando un detective story collettivo: ogni studente deve ascoltare i compagni per non
contraddirli
e diventare sospetto (ma che cazz…)
b. Facendo descrivere un fumetto in successione: l’insegnante passa la parola ad un compagno e
così via.

TECNICHE PER SVILUPPAREL A PRODUZIONE SCRITTA


Nella versione più tradizionale della composizione, lo studente scrive un testo in base ad una
sintetica
indicazione dell’argomento, il cosiddetto tema. Ma ci sono altri tipi di composizione:
a. Descrizioni che richiedono particolare attenzione alla precisione lessicale e alle nozioni.
b. Relazioni su eventi che accentuano la funzione dei verbi e della struttura temporale.
c. Narrazioni.
d. Lettere, formali e non.
e. Testi regolativi, come istruzioni di un gioco o il regolamento di classe.
f. Definizioni sintetiche che accentuano la riflessione lessicale.
Per fornire un contributo allo sviluppo linguistico, l’allievo deve conoscere in anticipo l’argomento
e lo
scopo della composizione. La correzione di una composizione richiede la separazione del giudizio
tra qualità e quantità. Quindi si deve decidere se valutare il “cosa” o il “come” è scritto, per cui la
composizione ai fini di testing è una procedure inutile.

ABILITA’ DI INTERAZIONE: IL DIALOGO.


L’abilità di interazione orale è quella più rilevante, insieme alla lettura, nel mondo contemporaneo.
E’ su questa abilità che fa perno l’approccio comunicativo. Essa è inoltre la più difficile da
padroneggiare, in quanto presenti abilità di comprensione e produzione orale. Per dialogare è
necessario:
a. Conoscere i copioni situazionali, cioè delle sequenze prevedibili e abbastanza fisse di atti e mosse
comunicative.
b. Saper definire il proprio ruolo all’interno della situazione sociale in cui avviene il dialogo, perché
da
esso dipende la scelta del registro.
c. Competenza strategica che cerca di organizzare il discorso in modo da raggiungere lo scopo
prefissato.
d. Cercare di interpretare la strategia degli interculturali che vogliono raggiungere i propri scopi.
e. Negoziare i significati quando questi non sono chiari.
Il tutto avviene in termini brevissimi all’interno del modello SPEAKING.
ATTIVITA’ PER LO SVILUPPO DELL’ABILITA’ DI DIALOGO
Drammatizzazione: si tratta di una forma di simulazione che non concede libertà in quanto si tratta
di recitare un testo. Il suo scopo è quello di fissare le espressioni che realizzano i principali atti
comunicativi.
Tra i vantaggi di questa tecnica emerge la quantità di lessico che viene memorizzata.
Dialogo a catena: uno studente inizia un dialogo e l’altro risponde facendo a sua volta un’altra
domanda e cosi via. Questa tecnica è adatta ad esercitare e fissare atti comunicativi, nonché
strutture grammaticali con cui essi si realizzano.
Dialogo aperto: si presentano le battute di un personaggio e lo studente deve dire quelle dell’altro
personaggio, tenendo conto della coerenza globale del testo. Questa tecnica è molto difficile se
svolta oralmente senza preparazione e quindi può generare ansia.
Role taking, role making, role play: si tratta di attività che consiste in una simulazione guidata in cui
l’allievo è presente in maniera più decisa. Un problema rilevante è dato dalla formazione delle
coppie chepotrebbero essere impari. Il ruolo dell’insegnante è delicato: gli studenti lo considerano
un dizionario ambulante e gli chiedono ogni parola invece di ricorrere all’avadance strategy, cioè
quella di aggirare l’ostacolo con un giro di parole. L’insegnante, mentre gira tra i banchi, deve saper
cogliere la qualità dell’esecuzione degli studenti.
Interviste impossibili: si tratta di discussioni tra personaggi della storia letteraria o di interviste tra
uno studente e Leopardi, ad esempio. Questa attività richiede una forte preparazione preventiva e
viene ascoltata da tutti per la curiosità del tema.
Scenario e talk show: adatto a gruppi di studenti avanzati.
Talk show: temi di rilevanza psicologica, o interviste impossibili, o si può chiacchierare di qualcosa
di specifico.
Scenario: prevede un evento comunicativo più complesso, ad esempio una causa di divorzio.
L’aspetto caratteriale di queste tecniche è il fatto che la performance arriva dopo una lunga
preparazione ed è inoltre un punto d’arrivo che va registrato per analizzare sia le argomentazioni
sia la lingua che le ha espresse.
Dialogo su chatline: rispetto ad un dialogo in presenza, si aggiunge la difficoltà di un dialogo con
l’uso della scrittura. Tuttavia glia errori sono tollerati dalla “netiquette”, cioè delle regole di buona
educazione su internet.
ABILITA’ DI TRASFORMAZIONE DI TESTI
Queste abilità vengono sviluppate in italiano, ma la lingua straniera può dare un contributo. E’
un’abilità con una forte componente cognitiva.
a. Dettato: il dettato non è una tecnica di comprensione ma di trasformazione di un testo orale in
un testo scritto. Affinchè il dettato produca acquisizione è necessario che non crei ansia, per evitare
che sorga il filtro affettivo: l’autocorrezione è dunque la modalità migliore.
b. Stesura di appunti: si tratta di una forma molto personalizzata di riassunto basata su un testo
orale o scritto, in cui vengono utilizzate parole chiave per esprimere e ricordare un concetto.
c. Riassunto: dato un testo di partenza, l’allievo deve produrre un altro testo che ne riprenda i nuclei
formativi essenziali. Questa tecnica richiede la comprensione, gerarchizzazione, individuazione dei
nuclei formativi, ecco perché il riassunto è una delle tecniche più complesse che va applicata alle
lingue straniere quando l’abilità cognitiva è consolidata.
d. Parafrasi: si realizza producendo un testo in prosa con lo stesso significato di un testo di partenza
(spesso una poesia). Lo sviluppo di questa abilità consente di parafrasare piuttosto che tradurre il
proprio pensiero permettendo di creare perifrasi per le parole che non si conoscono.
e. Traduzione: dato un testo in lingua straniera, l’allievo deve produrre un testo orale o scritto
equivalente in italiano con o senza l’aiuto di dizionari. E’ la tecnica preferita dagli approcci
formalistici. La traduzione rappresenta uno dei momenti più complessi della attività glottodidattica:
è un punto d’arrivo e non una tecnica per apprendere una lingua. La traduzione serve (a studenti
avanzati da B2 in poi) come strumento sia di meta competenza linguistica sia di riflessione
interculturale. La traduzione non può essere considerata un test affidabili data la complessità dei
processi implicata e la variabilità e soggettività dei parametri di valutazione.
SCOPERTA, FISSAZIONE, RIUTILIZZO DELLE REGOLE E DEL LESSICO
Grammatica implicita ed esplicita: uno dei temi cardinali della grammatica pedagogica riguarda il
modo in cui conosciamo le regole: si tratta della dicotomia chomskyniana tra Know e Cognize, che
in glottodidatticadiventa conoscenza linguistica implicita vs esplicita e acquisizione vs
apprendimento nell’accezione di Krashen. La riflessione sulla lingua rimanda alla inventional
grammar di Jespersen: scoprire e trovare
rappresentano un piacere primario mentre dare forma, collocare le proprie scoperte in uno schema,
in un contesto che permette di farle proprie sono una forma di piacere ancora più sofisticato. In
questo caso,
l’acquisizione grammaticale può sostenere la motivazione basata sul piacere.
METODOLOGIE PER FAVORIRE L’ACQUISIZIONE DELLE REGOLE
a. Tecniche di inclusione in due insiemi: questa tecnica rimanda ad un processo cognitivo
fondamentale per la acquisizione della lingua materna, cioè la categorizzazione e quello di
analogia.
b. Tecniche di esclusione da un insieme: è una tecnica molto diffusa nella glottodidattica britannica
con il nome di add man out. Esempio: trova l’intruso.
c. Seriazione: consiste nel riordino di un insieme caotico in base a un parametro ad es. ordinare
secondo la quantità (poco, molto, moltissimo, troppo ecc)
d. Tecniche di manipolazione: tipiche dell’approccio formalistico, mirano ad applicare delle regole
piuttosto che indurre una riflessione. Di solito sono introdotte da consegne come “volgi al…”
e. Tecniche di esplicitazione: riguardano sia la sintassi sia il lessico, si può lavorare sui sinonimi,
iperonimi (fiore, margherita), e iponimi (rosa, fiore) con una freccia.
f. Esercizi strutturali: si hanno i pattern drill, dove l’allievo deve fornire risposte a stimoli, che poi
vengono confermate o corrette dal docente, e altre forme elaborare in ambito comunicativo, che
evitano di concentrarsi su sintagmi morfosintattici o su paradigmi lessicali ma includono atti
comunicativi.
g. La correzione fonetica: si usano coppie minime, cioè coppie di parole che si differenziano per un
solo fonema. Si fa ascoltare prima la prima colonna e poi la seconda. E’ una tecnica potenzialmente
ansiogena, se gestita male, ma può essere divertente se la si accompagna per esempio alla scoperta
del proprio apparato fonatorio.
h. Intonazione: la tecnica più semplice per questa grammatica sdurasegmentale è la ripetizione
progressiva. (con me? Al cinema con me? Vieni al cinema con me?)
i. Aspetto grafemico: la copiatura rimane la principale tecnica per l’interiorizzazione della
grammatica, ma non si tratta di copiatura meccanica ma si legge e poi si ricopia a memoria. La
copiatura serve a concentrare l’attenzione dell’allievo sull’ortografia con i suoi tempi (mentre nel
dettato i tempi sono quelli dell’insegnante).
j. Attività ludiche per l’esercitazione grammaticale: è un’attività fine a se stessa in cui si sfrutta lo
spirito agonistico dei giocatori. I giochi sono raramente utilizzati in classe a causa di tre pregiudizi,
condivisi tra docenti e studenti: il gioco distrae dalla lingua, eliminando il filtro affettivo, è tempo
investito in quando crea una situazione ideale per l’acquisizione.
ACQUISIZIONE DEL LESSICO:
In termini psicolinguistici si tratta di percepire una parola, accomodarla nella nostra memoria
semantica per poi poterli recuperare in pochi millisecondi all’occorrenza. Oltre alla memoria, è utile
la grammatica della formazione lessicale (ad esempio –ante, -ore, indicano mestieri ecc). Per quanto
lessico si possieda, può capitare di non trovare la parola necessaria, il problema si risolve usando la
perifrasi. Cioè girandogli attorno, per cui: ladro = una persona che ruba.
Tecniche per facilitare l’acquisizione del lessico:
a. Accoppiare la memoria verbale con quella visiva: si tratta di combinare la parola e l’immagine del
suo significato.
b. Accoppiare la memoria verbale e quella cinestetica: si lega il lessico ai movimenti, come
filastrocche (fai la riverenza).
c. Accoppiare la memoria verbale a quella musicale: questo è quanto succede quando si memorizza
una canzone e quindi il patrimonio lessicale in essa contenuto.
d. Creare delle reti semantiche: è necessario lavorare su campi lessicali visto che non si memorizzano
le singole parole ma complessi di parole collegate ad un significato chiave.
LA METODOLOGIA CLIL
Clil è l’acronimo di content and language integrated learning che consiste nelle lezioni obbligatorie
di altre discipline in lingua straniera nella scuola (es. matematica in inglese). Tra gli undici e diciotto
anni che il clil può avere un ruolo essenziale, legato alla crescente padronanza linguistica degli
studenti.
Vantaggi del clil:
a. Incremento di esposizione alla lingua straniera.
b. Maggiore autenticità della lingua visto che la si usa in svariati contesti: arte, filosofia, matematica.
c. Una maggiore autenticità delle attività: non si usa la lingua a scopo manipolativo ma la si usa per
scopi extra linguistici.
d. Il fatto che sono le conoscenze extralinguistiche a rendere comprensibile l’input:
nell’insegnamento normale l’input viene reso attraverso la lingua, mentre in lingua straniera l’input
è fornito dalle cartine e dai grafici e cosi via.
e. Lo spostamento dell’attenzione dalla forma linguistica ai contenuti che essa veicola: è la rule of
forgetting di krashen (si acquisisce una lingua quando ci si dimentica che la si sta imparando perché
il filtro affettivo non interviene a inibire il lad di fronte agli errori).
Durante l’uso veicolare delle lingue straniere l’insegnante diventa “significativo”: non si apprende
uno strumento che forse si userà in futuro ma uno strumento che servirà nell’ora successiva per
lavorare su concetti veri, non simulati.
Organizzazione di esperienze di uso veicolare della lingua: per organizzare esperienze di uso
veicolare della lingua è necessario tener conto che non tutte le attività di lingue relative ad una
disciplina e non tutto l’insegnamento di una disciplina in lingua straniera è CLIL:
a. Laddove la prevalenza va alla disciplina, l’insegnante di lingua straniera deve limitarsi a creare
delle condizioni per cui i contenuti della disciplina vengono acquisiti senza che la lingua sia un
ostacolo.
b. Laddove prevale la lingua, i contenuti della disciplina sono noti e il lavoro è basato su un evento
o un esperimento condotto in lingua straniera. Quindi per la disciplina si tratta di un ripasso o una
esercitazione in lingua straniera.
Metodologia per l’uso veicolare della lingua: sia se gli insegnanti lavorino da soli o in compresenza
o in programmazione congiunta, bisogna tenere presente che:
a. L’attività deve portare all’acquisizione dei contenuti disciplinari e al miglioramento
dell’acquisizione linguistica, altrimenti non è un integrating learning.
b. Il grande ostacolo che rende difficoltoso perseguire i due obiettivi è la limitata competenza degli
studenti nella lingua straniera nelle scuole elementari e medie.
c. Se si vuole raggiungere A malgrado B, l’attività va accuratamente preparata in modo che
l’insegnante possa fornire gli strumenti necessari e che il docente della disciplina sia chiaro nel
fornire gli input.
BISOGNA:
a. Fare a vere agli studenti la scaletta della lezione.
b. Leggere insieme lo schema in modo di affinare il suono allo scritto.
c. Fornire l’input in maniera ridondante, con forte supporto di elementi non linguistici: simboli,
frecce, gesti, uso di acronimi.
d. Fornire l’input avendo cura di illustrare gli elementi astratti con esempio o riferimenti concreti.
e. Evidenziare i marcatori di ordine logico, di sequenza, di tempo, di causa effetto e cosi via.
f. Far lavorare gli studenti in coppie o gruppi, interrompendo le sequenze frontali.
g. Far proprie le attenzioni glottodidattiche tipiche di un insegnante di lingua: chiedere se hanno
capito, ripetere anche in italiano un punto, prima di andare avanti ecc…
h. Chiedere agli studenti di fare una sintesi, una tabella o un glossario al termine di ogni lezione.
i. Intervenire sugli errori solo quando sono tali da impedire la comprensione.
j. Nelle ore di lingua chiedere agli studenti di riferire oralmente quando appreso e solo allora
correggere l’impostazione.
LA VALUTAZIONE E IL RECUPERO
La verifica: la verifica è una raccolta di dati per verificare il raggiungimento di alcuni obiettivi o di un
dato livello. Essa presenta alcuni problemi, cioè: processo/prodotto e competenza/esecuzione;
l’insegnante può conoscere prodotti linguistici ed esecuzioni comunicative, ma non può entrare
nella mente dello studente e individuare i lineamenti della sua competenza comunicativa e tutti i
processi che sottostanno alle abilità linguistiche. Il docente quindi non conosce i dati, ma li ipotizza.
Non possiamo sapere se ciò che l’allievo produce è frutto di acquisizione o apprendimento.
Punti fermi della verifica:
Oggetto: si verificano:
- Il sapere la lingua -> acquisizione delle regole.
- Il saper fare lingua ->padronanza delle abilità.
- Il saper fare con la lingua -> padronanza degli atti comunicativi.
Viene verificato quel che si presume dovrebbe essere acquisito in quel momento di quel percorso.
Strumenti: le tecniche usate per la verifica sono le stesse usate per l’insegnamento: uno studente
che non ha mai fatto un cloze non può essere testato con un cloze.
Parametri: le diverse abilità vengono verificate secondo parametri specifici: nelle abilità ricettive ci
si può limitare alla comprensione del testo o si possono testare anche significati implicati. I
parametri di solito sono tre: comprensione facilitata, parziale e completa. Nelle abilità produttive il
punteggio dipende dallacapacità di veicolare i significati, la precisione lessicale, l’accuratezza
formale. I parametri sono poco, sufficiente, buono.
Modalità: si hanno due modalità di base:
- Feedback o testing diffuso: in cui i dati vengono registrati (agenda, registro) durante le attività
didattiche.
- Testing formale: fase in cui gli studenti sanno di essere sottoposti a verifica con tutti i problemi di
stress e filtro affettivo.
La valutazione: ottenuti i dati, attraverso la verifica, bisogna valutare essi, secondo alcuni parametri,
dall’insegnante o dagli studenti stessi. La valutazione si realizza appieno quando l’insegnante e lo
studente riflettono sulle ragioni per cui si sono avuti quei risultati sulla natura degli errori. Sul piano
dell’acquisizione la valutazione è utile solo se viene discussa con l’allievo.
Il recupero: la maggioranza degli studenti si colloca nella media fra il 5 e il 7, mentre minoranze si
colloca verso l’eccellenza o verso il fallimento. Nel caso dell’eccellenza si proporrà un rinforzo,
facendo rifare esercizi e si tornerà su alcuni punti per consolidare le conoscenze. Nel secondo caso
si procede al recupero che deve coinvolgere lo studente in un progetto adatto a lui, percependo
cos’ il lavoro supplementare come un contratto psicologico con l’insegnante e non come una
punizione. Il recupero si presenta secondo due modalità:

Modalità 1) Recupero continuo:


In uno studente con molte lacune si può solo fornire un input supplementare, reso comprensibile,
nella speranza che l’elemento linguistico, collocato nel grado +1 della sequenza acquisizionale sia
presente e che,incontrandolo e comprendendolo, il LAD se ne appropri. Abbiamo quindi attività
estemporanee (una
canzone, un filmato per scoprire che il proprio apprendimento procede) e attività domestiche
parallele (ricopiatura, dettato, riassunti). Lo studente deve lavorare più degli altri e rischia di ergere
un forte filtro affettivo se pensa che l’insegnante lo voglia punire. E’ quindi indispensabile che gli
scopi del suo lavoro gli vengano spiegati chiaramente.

Modalità2) Recupero intensivo: è dedicato ad alcuni studenti che hanno alcune lacune specifiche e
mira a garantire la riflessione e l’esercizio su alcune specifiche strutture morfosintattiche, testuali o
lessicali. Riflessione: identificato il punto in cui ci si vuole soffermare si tratterà di costringere lo
studente a riflettere, solo o con l’aiuto dei compagni, su quello che ricorda. In questo modo si attiva
il meccanismo di acquisizione linguistica procedendo attraverso l’apprendimento consapevole.
Esercizio: il fatto di essere pochi è una delle chiavi vincenti di un ora di recupero, perché l’insegnante
può dedicarsi a tutti. L’eccellenza: si presta molta attenzione a colo il cui rendimento è più basso e
quelli con un eccellente rendimento vengono lasciati a se stessi. Questo impoverisce la classe e
demotiva lo studente eccellente che si annoia a stare al passo con gli altri. L’attività per valorizzare
l’eccellenza si compone di molte possibilità: mentre l’insegnante aiuta i più deboli, i migliori possono
lavorare al pc, approfondire gli argomenti, interessi, curiosità che possono essere fatte
autonomamente o sotto la guida e con l’aiuto linguistico dell’insegnante. La certificazione: la
funzione della certificazione non è formativa e non ha scopi pedagogici, ma deriva dall’attribuzione
di valore economico o professionale alla conoscenza di una lingua. La certificazione non fa
riferimenti specifici ai programmi svolti in classe, ma rimanda ad un proprio curricolo implicito.
A1: comprende e usa espressioni di uso quotidiano tese a soddisfare bisogni di tipo concreto.
Capisce se si parla piano.
A2: comprende frasi ed espressioni usate frequentemente relative ad ambiti di immediata rilevanza.
B1: livello soglia. Comprende i punti chiave di argomenti che riguardano scuola, tempo libero ecc.
Sa muoversi liberamente nel paese dove si parla la lingua. E’ in grado di descrivere esperienze,
avvenimenti, sogni, ambizioni e spiegare brevemente le sue opzioni.
B2: comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che astratti. E’ in grado
di interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile una conversazione senza
sforzi. Sa produrre un testo chiaro e dettagliato portando varie argomentazioni.
C1: comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi. Si esprime con scioltezza e naturalezza
e usa la lingua in maniera flessibile ed efficace. Riesce a produrre testi chiari e ben costruiti anche
su argomenti complessi.
C2: comprendere con facilità tutto ciò che sente e legge. Sa esprimersi spontaneamente, in modo
molto scorrevole e preciso, individua le più sottili sfumature di significato in situazioni molto
complesse.
BETTONI PRIMO CAPITOLO: IL CAMPO
1.1 UN’ALTRA LINGUA
Per L1( lingua prima) intendiamo la lingua madre, quella lingua che apprendiamo sin da piccoli nel
contesto in cui si cresce.
Per L2 (lingua seconda) è quella lingua che l’individuo impara dopo che si è stabilizzata la sua prima
lingua.
La L2 può rappresentare la lingua seconda (lingua appresa presso la comunità che la parla) o la lingua
straniera (lingua appresa in un contesto che non la usa, per es. l’università).
L1 e L2 si differenziano per 3 criteri:
Cronologia (la L2 si impara dopo la L1)
Competenza (la L2 la si conosce meno bene)
Uso (la L2 la si usa meno spesso)
Questi parametri possono essere sfumati in base alle diverse situazioni della vita reale, per esempio
nei casi di bilinguismo precoce, dove i bambini si trovano davanti a due genitori parlanti lingue
diverse e quindi la distinzione netta tra L1 e L2 si appanna. Un altro caso è quello dell’emigrazione,
dove la lingua imparata per prima può arrugginirsi col passare del tempo rispetto a quella appresa
in un secondo momento; oppure in un lungo soggiorno all’estero dove si deve usare di più la lingua
che si conosce meno. In base ai 3 criteri vengono fatte alcune considerazioni: il processo di
apprendimento della L2 è sicuramente diverso da quello della L1 perché nel momento in cui si
decide di imparare la L2 si è già adulti e quindi si scegli consapevolmente e si conosce già la L1. La
presenza della L1 però frena il processo di apprendimento della L2.
PROTOTICIPITA’ : concetto legato alla metodologia della ricerca in varie discipline. Un prototipo
combina le caratteristiche più rappresentative di una determinata categoria. È il miglior esemplare
tra i membri di una categoria e serve come punto di riferimento cognitivo rispetto al quale gli altri
membri possono venire categorizzati. La metodologia della ricerca si occupa perciò dei fenomeni
che sono prototipici nelle varie discipline. Una distinzione tra i metodi di ricerca è tra qualitativo e
quantitativo; nell’estremo qualitativo c’è l’introspezione(utilizzata in psicologia) che consiste
nell'osservazione attenta del proprio comportamento. Nell’estremo quantitativo c’è l’esperimento,
metodologia usata in tutte le scienze, che traduce i fenomeni osservati in variabili numeriche.
Le metodologie orientate qualitativamente osservano i fenomeni, li descrivono, formulano delle
ipotesi, si concentrano sul processo, privilegiano l’osservazione naturalistica e le loro scoperte sono
poco generalizzabili. Le metodologie quantitative invece sono deduttive, puntano sulla verifica delle
ipotesi e portano risultati generalizzabili.
Per quanto riguarda gli studi linguistici, essi metodologicamente più vari rispetto agli studi
psicolinguistici che invece privilegiano modelli formali (statistiche).

1.2 IMPARARE
Il termine “imparare” viene spesso utilizzato insieme al suo corrispondente “apprendimento”; per
poterlo ben identificare è necessario prendere in considerazione altri due termini “sviluppo” e
“insegnamento”.
Alcune dimensioni lungo le quali si contrappongono questi 3 termini sono:
intenzionalità : non è presente nella L1 poiché non sappiamo effettivamente che stiamo
apprendendo una lingua; potrebbe esserci invece nella L2
controllo: non c’è nella L1 o può esserci raramente; invece c’è nella L2 solo se è guidato
consapevolezza: non c’è nella L1 dato che il bambino non è consapevole di apprendere una lingua,
ma nonostante ciò cerca di elaborare la regola attraverso la sua intelligenza; mentre è presente
nella L2 solo se è guidata.
Il processo di apprendimento della L2 può essere inteso come sviluppo, e cioè come un processo di
maturazione biologica e come processo di crescita sociale dovuta principalmente all’esperienza e
all’ambiente. L’apprendimento può essere SPONTANEO (inconsapevole,inconscio …) o GUIDATO
(più consapevole, intenzionale …)

1.3 CONOSCERE UNA LINGUA


Conoscere una lingua vuol dire avere una competenza complessa. Questa competenza può essere
linguistica o comunicativa. Competenza linguistica: conoscere le regole che governano la propria
lingua e saperle applicare senza prestarvi attenzione; competenza comunicativa: usare la propria
lingua spontaneamente per comunicare (scherzare, promettere …).
La piena competenza linguistica e comunicativa permette al parlante L! di prestare minima
attenzione alla forma e massima attenzione al contenuto della comunicazione. Il contrario avviene
per l’apprendente L2.
Sapere usare una lingua significa saper essere sia nel ruolo di emittente che ricevente
EMITTENTE MESSAGGIO RICEVENTE
Chi parla sonoro chi ascolta
Chi scrive scritto chi legge

1.4 USARE UNA LINGUA


Conoscere una lingua porta all’attività del parlare e dell’ascoltare. Infatti se una lingua non la si
conosce, il proprio suono per chi non la conosce è simile ad un rumore e non ad una stringa fonetica.
Essere competenti cognitivamente significa che un parlante nativo è in grado di articolare 3 o 4
parole al secondo e può ascoltarle alla stessa velocità. Linguisticamente invece, un parlante nativo
adulto conosce circa 45.000 parole che è in grado di sistemare all’infinito nelle strutture della
propria lingua. Socialmente il parlante valuta il tono della voce. L’appropriatezza delle parole, gli
argomenti, le circostanze dell’incontro, i motivi del parlare…

1.5 L’INTERLINGUA
L’interlingua è la lingua degli apprendenti (ciò che sanno-langue e come la usano-parole).
Caratteristiche dell’interlingua:
sistema dinamico, variabile, coerente
lingua naturale
lingua in continua evoluzione verso la L2
Il punto di partenza però non è rappresentato solo dalla L1 ma anche da tutto l’insieme delle
conoscenze linguistiche generali che abbiamo già come parlanti di almeno una lingua. Gli
apprendenti non imparano le proprietà della L2 tutte insieme ma procedendo per gradi di
approssimazione verso la L2. Il percorso verso la L2 è uguale a tutti gli apprendenti, cambiano invece
la velocità e l’esito finale.

1.6 LA MODULARITA’
Il processo di apprendimento della L2 va considerato come un insieme di processi separati che
obbediscono a principi diversi. Ognuno di questi processi rappresenta il modulo. Il concetto di
modularità è usato per far riferimento al rapporto tra la lingua e la mente.
Esistono due teorie: una MODULARE, di stampo razionalista,deduttiva,innatista, poiché ritiene che
la lingua sia una facoltà specifica diversa da tutte le altre. La seconda teoria, NON MODULARE, di
stampo empirista,induttivo, ritiene che la lingua non sia che una delle facoltà della mente umana.
Una teoria dell’apprendimento deve essere multidisciplinare e interdisciplinare, poiché è necessario
che ci siano delle connessioni fra i moduli. Tra le diverse discipline, le 3 fondamentali sono: la
linguistica, la psicolinguistica, la sociolinguistica. La linguistica si occupa della creazione di una teoria
del linguaggio. Nello spiegare i meccanismi che portano all’apprendimento della L2, i linguisti
tendono a parlare di principi linguistici, regole linguistiche, universali linguistici, ecc. La
psicolinguistica spiega i meccanismi mentali dell’apprendimento linguistico in particolare. Cosi i
psicolinguisti tendono a parlare di processi, di strategie, di operazioni,ecc. La sociolinguistica cerca
di individuare e spiegare i fattori sociali e situazionali che influenzano l’uso linguistico.
La modularità del processo di apprendimento interessa anche i LIVELLI di ANALISI LINGUISTICA.
Partendo dal livello inferiore, sino a quello superiore troviamo prima la FONETICA e FONOLOGIA
(studio dei suonipronuncia); poi la LESSICOLOGIA (studia il vocabolario) e la MORFOLOGIA (le parole
dal punto di vista della loro struttura interna); la SINTASSI (studia come le parole si combinano in
frasi); ANALISI DEL DISCORSO (come si combinano le frasi che a loro volta formano testi);
PRAGMATICA (studia il testo nel suo contesto d’uso facendo riferimento alla realtà sociale); la
SEMANTICA (studia il significato delle parole). Questo è il percorso che compie il ricercatore-
analista. Il percorso compiuto dal parlante-apprendente invece è il contrario. La modularità
interessa anche le ABILITA’ LINGUISTICHE: ascoltare, parlare, leggere e scrivere. Due sono orali e
due scritte, inoltre due sono di recezione ( capire e leggere) e due di produzione (parlare e scrivere).
A queste abilità se ne può aggiungere una quinta, l’ABILITA’ METALINGUISTICA: permette
all’apprendente, non solo di produrre enunciati corretti, ma anche di parlare della L2, di riconoscere
gli errori, di distinguere tra gradi diversi di appropriatezza, formale e funzionale = capacità di avere
intuizioni sulla propria lingua

SECONDO CAPITOLO: PRIMA CAPIRE


Per imparare la L2 è assolutamente fondamentale che l’apprendente abbia a disposizione degli
esempi tipici di una L2 (conversazioni con parlanti nativi, film, giornali, frasi-modello, ecc.), che
vengono chiamati
INPUT. Affinché l’input diventi produttivo deve essere capito, l’input deve diventare INTAKE. L’input
è comprensibile perché è: CONTESTUALIZZATO,STRUTTURATO,MODIFICABILE e NEGOZIABILE.
L’ascoltatore funge sia da elaboratore di informazione sia come interlocutore che interagisce con il
parlante.

2.1 L’INPUT
L’input è comprensibile perché è: CONTESTUALIZZATO,STRUTTURATO,MODIFICABILE e
NEGOZIABILE. CONTESTUALIZZAZIONE: è data dalle coordinate sociolinguistiche dell’interazione:
l’ambiente culturale, i partecipanti(parlante-emittente e ascoltatore-destinatario), lo scopo e
l’argomento dello scambio comunicativo). Se per sua natura l’input è sempre contestualizzato, la
rilevanza del contesto non è costante per la decifrazione linguistica da parte di un apprendente di
una L2. Per un apprendente che ha problemi di comprensione linguistica, l’input più facile da
decifrare è quello in cui l’equilibrio tra l’informazione extralinguistica e linguistica è sbilanciato a
favore del contesto. Esistono, dunque, una comprensione massima e una minima. La prima si ha
quando c’è una ricca informazione linguistica e una ricca informazione contestuale, mentre la
seconda si ha quando c’è scarsità nell’informazione linguistica e contestuale. Esiste però una forma
di compensazione, secondo cui tanto più povera risulta l’informazione di un tipo, tanto più ricca
deve essere quella dell’altro.
L’INPUT E’ STRUTTURATO: l’input può essere decifrato poiché esso è organizzato in strutture, alcune
comuni a tutte le lingue (PRINCIPI UNIVERSALI), ed altre specifiche di determinate lingue
(PARAMENTRI). Lo scopo dell’apprendente di una L2 è quello di scoprire le strutture di una data
lingua, facendo leva, oltre che sulle conoscenze extralinguistiche generali, anche su conoscenze che
possiede già:
le conoscenze generali del linguaggio, in quanto parlante di almeno una lingua
le conoscenze specifiche della propria L1
le conoscenze parziali della L2
le eventuali conoscenze, parziali o meno, di altre L2
Gli UNIVERSALI LINGUISTICI sono tutte quelle proprietà ricorrenti nelle lingue del mondo. Non tutti
sono effettivamente riscontrabili tali e quali in tutte le lingue ma l’importante per essere un
universale linguistico è che non sia contraddetto da nessuna lingua. Per capire quanto un
apprendente L2 sappia già qualcosa prima di entrare in stretto contatto con una lingua, si possono
esaminare 3 universali linguistici: a LIVELLO FONOLOGICO in ogni lingua naturale, le parole sono
composte da sillabe; a LIVELLO SINTATTICO la struttura
gerarchica determina la segmentazione degli enunciati in costituenti; a LIVELLO SEMANTICO, per
esempio, la denominazione degli utensili non fa riferimento alle loro qualità fisiche ma all’attività
umana che permettono di compiere (ita macina).
Tra i numerosi universali linguistici utili alla decifrazione dell’input, Klein(1986) ne elenca alcuni:
- un enunciato è scomponibile in parole, le parole in sillabe e le sillabe in fonemi
- i fonemi sono divisi in consonanti e vocali
- le sillabe tendono ad avere un nucleo vocalico affiancato da consonanti
- vocali e consonanti tendono ad alternarsi nella sillaba
- una pausa di solito ricorre al confine di parola
- ci sono parole che hanno un significato prevalentemente grammaticale e parole che hanno un
significato prevalentemente lessicale
- le parole di funzione tendono a essere più corte e ricorrono con maggiore frequenza
- la regola generale è:una parola, un significato
Klein afferma, inoltre, che ci sono altre proprietà che possono aiutare a decifrare l’input, come:
la frequenza con cui alcune parole ricorrono nell’enunciato
la posizione che occupano nell’enunciato
la struttura prosodica dell’enunciato
Infatti, si ritiene che le parole che ricorrono più frequentemente, quelle che si trovano in prima e in
ultima posizione nell’enunciato e quelle che sono più accentate si notano prima delle altre.
Queste proprietà universali non permettono da sole di decifrare l’input, a cui contribuiscono
maggiormente le PROPRIETA’ SPECIFICHE DELLA L1, soprattutto se questa è tipo logicamente simile
o imparentata alla L2. La vicinanza di L1 e L2 non solo è di aiuto per gli elementi simili nelle due
lingue, ma ha delle ripercussioni positive anche su altri elementi.
Per decifrare l’input in L2, l’apprendente può fare affidamento anche sulle CONOSCENZE PARZIALI
DELLA L2. Ma se questo da una parte è positivo, dall’altra potrebbe avere delle conseguenze
negative, in quanto l’apprendente potrebbe essere portato a fare degli errori ( es. se conosce già la
parola ‘luna’ e ‘lana’, può in un primo momento identificare erroneamente luva nell’input, anziché
“l’uva”). Questo è il cosiddetto problema della segmentazione. Per quanto riguarda la comprensione
a livello sintattico, un esempio di errore, dovuto alla parziale conoscenza della L2 può avvenire con
i verbi psicologici richiedono due argomenti: un essere animato che prova il sentimento e una
cosa o persona che lo causa (Piera ama i fiori, Maria preferisce le rose). La maggior parte di essi
vuole che il nome animato sia il soggetto e il nome inanimato sia l’oggetto, ma ci sono anche casi
contrari ( la lezione annoia Vera). Il problema di comprensione diventa grave, per l’apprendente,
nel momento in cui sia la causa che colui che prova il sentimento siano animati ( Franco deprime
Gina/ Gina deprime Franco).
Infine, per la decifrazione dell’input sono molto utili anche le CONOSCENZE DI ALTRE L2 (più lingue
si sanno più è facile decifrarne una nuova).
L’INPUT E’ MODIFICABILE: un aiuto alla comprensione dell’input viene anche dall’interlocutore
nativo, attraverso il FOREIGNER TALK ( si ha nel momento in cui la lingua indirizzata agli
apprendenti dai parlanti nativi viene in qualche modo modificata con l’intenzione di renderla più
comprensibile).
Le MODIFICHE FORMALI DEL FOREIGNER TALK interessano tutti i livelli di analisi (fonologico,
lessicale, morfosintattico, pragmatico), risultano da strategie diverse e variano moltissimo. A
LIVELLO FONOLOGICO il parlante nativo si rivolge all’apprendente con un tono di voce più alto e più
lentamente. Il maggiore volume della voce serve soprattutto per sottolineare le parole chiave,
mentre la lentezza è dovuta a pause più frequenti e lunghe. A LIVELLO LESSICALE, il FOREIGNER TALK
sceglie parole più comuni, preferendo gli iperonimi agli iponimi ( “rain” piuttosto che “drizzle”-
pioggerella) ed evitando espressioni idiomatiche o figurative. A LIVELLO MORFO-SINTATTICO gli
enunciati del foreigner talk tendono a essere più corti e meno complessi. A LIVELLO PRAGMATICO
si preferiscono forme più dirette ( uso frequente dell’imperativo – tu vieni!).
I PROCESSI FORMALI DEL FOREIGNER TALK: il foreigner talk può essere formato con strategie sia di
semplificazione delle forme sia di elaborazione. La sola semplificazione formale potrebbe offrire
all’apprendente un input senz’altro più facile da capire ma poco adatto all’apprendimento perché
forse corrispondente a quello che sa già. L’elaborazione formale, invece, può offrire un input più
ricco di elementi ancora da imparare.
Anche la MISURA DELLE MODIFICHE del foreigner talk contribuisce alla grande variabilità. I fattori
che determinano la variabilità del foreigner talk sono molto e includono lo stile comunicativo, la
sensibilità, l’esperienza precedente con apprendenti e soprattutto la valutazione del livello della
competenza
linguistica dell’ascoltatore-apprendete.
Per i casi estremi di foreigner talk, le condizioni necessarie perché si verificano le sgrammaticature
includono la percezione da parte del parlante nativo che l’apprendente abbia insieme una
competenza linguistica minima, uno status sociale inferiore e che si tratti di conversazione
spontanea.
UTILITA’ DELLE MODIFICHE: la misura dell’aiuto che viene dato all’apprendente dal parlante nativo
varia secondo la misura delle modifiche. Oltre al foreigner talk vi è il TEACHER TALK( il modo di
parlare degli insegnanti in classe) che ha 2 caratteristiche che lo differenziano: non è mai
sgrammaticato e risulta meno calibrato sui bisogni degli allievi di quanto non lo sia il foreigner talk
da parte dei parlanti nativi.
L’INPUT è NEGOZIABILE: Se ci sono ancora problemi di comprensione tra il parlante nativo e
l’apprendente (nonostante la contestualizzazione, le conoscenze linguistiche precedenti, le
modifiche formali del foreigner talk), possono ricorrere alla negoziazione dell’input. Questa può
avvenire in vari modi. A una minima segnalazione di incomprensione, possono abbondare ripetizioni
e riformulazioni. Molto utili sono anche le scomposizioni, con cui il parlante segmenta enunciati
troppo lunghi o troppo densi. Non sempre però la negoziazione ha successo. I risultati degli studi
confermano che l’input negoziato conversazionalmente è più facile da comprendere dell’input
modificato solo dal parlante nativo.

2.2 L’ASCOLTO
L’ascolto è un’attività complessa che coinvolge tutti i livelli di analisi. Se adottiamo il MODELLO
PSICOLINGUISTICO che Levelt(1989) ha elaborato per la produzione del parlato in L1 all’ascolto in
L2, possiamo notare come si articola il processo di comprensione. Secondo questo modello, il
processo di comprensione del messaggio, sia parlato che ascoltato, si basa su una gerarchia
universale di conoscenze procedurali che operano sulle conoscenze dichiarative dell’ascoltatore.
Queste ultime sono di
2 tipi: lessicali e generali.
Le conoscenze procedurali, invece, sono raccolte in 3 principali componenti di elaborazione:
l’UDITORE, il DECODIFICATORE e l’INTERPRETE. Il decodificatore è in relazione con le conoscenze
lessicali, l’interprete con le conoscenze generali. Ogni elaboratore riceve un input e produce un
output, che a sua volta diventerà l’input dell’elaboratore successivo.
Per questi motivi, l’apprendente di una L2 nel momento in cui sente un messaggio acustico,
idealmente attiva le procedure di un primo elaboratore, l’UDITORE, che trasformano il suono in
stringa fonetica, consegnandola al
2° elaboratore, il DECODIFICATORE, che a sua volta la trasforma prima in
struttura superficiale, grazie all’elaborazione fonologica. E’ importante dire che il decodificatore è
in relazione con il lessico, cioè con un magazzino di conoscenze lessicali, nel quale le parole sono
rappresentate sia come FORME con le loro specificazioni fonologiche e morfologiche, sia come
LEMMI, con le loro specificazioni semantiche e grammaticali. La componente di elaborazione
fonologica del decodificatore è in relazione con la parte formale del lessico, e ciò permette
all’ascoltatore di riconoscere i fonemi e le sillabe udite e di mettere in corrispondenza con le parole
che si trovano nel suo magazzino. Dopo di che il decodificatore da inizio alla seconda fase di
elaborazione, consegnando la struttura superficiale, fono logicamente e morfologicamente
analizzata alla componente grammaticale. Essa perciò la decodifica semanticamente e
grammaticalmente permettendo all’ascoltatore di capirne il significato. La struttura superficiale,
dunque diviene un vero e proprio ENUNCIATO ANALIZZATO. Le parole devono essere ancora
interpretate dall’ascoltatore, ed è in questo momento che entra in gioco l’INTERPRETE. Le
procedure di elaborazione di quest’ultimo sono in relazione con un secondo magazzino, quello delle
CONOSCENZE GENERALI, che includono: le conoscenze enciclopediche, il contesto extralinguistico,
linguistico,ecc. Nel momento in cui l’apprendente L2 stabilisce una corrispondenza tra l’enunciato
analizzato e le conoscenze generali si può realmente affermare che il messaggio sia stato compreso.
AUTONOMIA(ogni componente dell’elaborazione lavora in modo specializzato e specifico),
INCREMENTALITA’(una componente può incominciare a lavorare sull’output ancora incompleto
della procedura precedente) e AUTOMATICITA’(nel parlante nativo il processo dell’ascolto è
velocissimo e non richiede molta attenzione) sono le 3 caratteristiche delle procedure di
elaborazione dell’ascolto.

TERZO CAPITOLO: POI PARLARE

3.1 I PRIMI PASSI


La prima produzione del parlato spontaneo è costituita di solito da formule fisse e da alcune parole.
Le FORMULE sono pezzi di lingua memorizzati tali e quali senza che vengono scomposti nelle parti
che li compongono. L’apprendente deve solo memorizzare. Le formule fisse, però, non sono
produttive, perché nessuna delle singole parole che le compongono viene ancora usata in altre
combinazioni. Ma può esserci presto un’evoluzione e un’analisi graduale può fornire informazioni
utili alla costruzione dell’interlingua.
Le PAROLE della prima produzione del parlato:
1. non sono sempre facilmente assegnabili a una classe morfologica
2. presentano minima o nulla flessione morfologica
3. sono prevalentemente di contenuto, non tanto di funzione
4. seguono un ordine pragmatico-discorsivo più che sintattico
Date queste caratteristiche, più che parole le chiamiamo LESSEMI.

1. INCERTA ASSEGNABILITA’ DELLE PAROLE A UNA CLASSE MORFOLOGICA: quando si è di fronte a


un breve testo analizzato come “non hai lavora”, grammaticalmente scorretto in italiano, si può
fornire un’interpretazione, dato che non si sa realmente se quel “lavora” ha un valore sostantivale
o verbale, e quindi non è possibile assegnare una specifica classe morfologica.

2. RIDUZIONE MORFOLOGICA: nel caso inglese la questione è semplice poiché la lingua ha


pochissima
o nulla flessione morfologica, ma più complicato diventa in lingue ricche di morfologia, dove
diventa difficile distinguere le due parole.
LA FORMA BASICA è tra le diverse forme flesse di un lessema presenti nell’input, quella scelta
dall’apprendente, poiché è quella che rappresenta meglio le altre. I criteri della scelta sono:
- La frequenza con cui una forma ricorre nell’input
- La facilità articolatoria
- La lunghezza
- La specificità
Es. : la forma basica dell’articolo italiano è “la” ricorre frequentemente ed è facile da articolare.

3. PREVALENZA PAROLE DI CONTENUTO: la semplificazione formale elimina gli elementi


comunicativamente meno importanti, tra cui articoli, copule, ausiliari, pronomi atoni, preposizioni.
Ma la semplificazione oltre a essere strutturale può essere anche semantica, omettendo alcune
parole di contenuto.

4. ORDINE DEI LESSEMI: tende a seguire criteri pragmatici e semantici piuttosto che sintattici. La
lingua esige che le parole siano presentate in ordine sequenziale e secondo l’ordine dei costituenti:
pragmatico,semantico,sintattico. Nella fase iniziale dell’apprendimento, quando i 3 principi
dell’ordine dei costituenti non sono in armonia tra loro, secondo Rutherford l’apprendente ha 3
possibilità:
1) può partire dal tema e poi giustapporre il resto senza alcun legame grammaticale
2) può partire dal tema e provare a grammaticalizzare come riesce
3) può rinunciare a partire con il tema più appropriato, a scapito dell’organizzazione
discorsiva, e scegliere il soggetto che permette di grammaticalizzare più facilmente

3.2 IL LESSICO
Quando si apprende una L2, il LESSICO ha un’importanza notevole. Mentre, infatti, una serie di
parole non grammaticalizzate possono essere efficaci nella comunicazione, una struttura sintattica
senza parole è inutile. Il lessico rappresenta un sistema molto più aperto rispetto alla grammatica e
quindi è molto più difficile stabilire delle regole per le numerosissime unità di base del lessico,
nonché le parole.
LESSICO dal punto di vista QUANTITATIVO di quante parole è composta una lingua? Bisogna
semplicemente guardare quante parole vengono elencate all’interno del vocabolario (circa 450.000
parole, raggruppate in 54,000 famiglie di parole). Un parlante nativo adulto conosce circa 20.000
famiglie di parole, di queste il bambino che inizia la scuola ne conosce da 4.000 a 5.000. Quante
siano le parole necessarie è possibile saperlo tenendo conto della frequenza in base alla quale esse
ricorrono nell’uso generale. Per quanto riguarda l’italiano, De Mauro propone un vocabolario base
di circa 7.000 parole che si suppongono conosciute da chiunque abbia concluso la scuola media.
Questo vocabolario è diviso in 3 categorie: la prima detta VOCABOLARIO FONDAMENTALE che
comprende le 2.000 parole più frequenti della lingua italiana; la seconda VOCABOLARIO DI ALTO
USO e il terzo vocabolario comprende PAROLE DI ALTA DISPONIBILITA’.
Il nome, il verbo e l’aggettivo corrispondono al 97,6% dei lemmi del vocabolario di base.
L’apprendente L2 deve imparare almeno dalle 3.000 parole circa più frequenti della lingua che si
studia.
LESSICO dal punto di vista QUALITATIVO che cosa vuol dire conoscere una parola? Ogni parola ha
una serie di proprietà, tra cui le seguenti:
- Una forma (di pronuncia se orale e di ortografia se scritta)
- Una struttura morfologica (il morfema di base e gli eventuali morfemi flessivi e derivazionali)
- Un PATTERN SINTATTICO nel sintagma e nella frase (per esempio il verbo “spostare” richiede 3
argomenti: “qualcuno” che sposti “qualcosa” “da un posto all’altro”)
- Un significato referenziale, affettivo,pragmatico (ad esempio la parola “perla” può designare sia
un oggetto ma anche metaforicamente una persona preziosa)
- Delle relazioni lessicali (sinonimia,antinomia,iponimia,ecc.)
- Delle collocazioni
Conoscere una parola vuol dire poterla usare sia nell’ascoltare sia nel parlare. Bisogna fare 3
distinzioni:
CONOSCENZA POTENZIALE vs. CONOSCENZA REALE del lessico: il vocabolario potenziale consiste
nelle parole che un’apprendente L2 riconosce anche senza averle mai viste e sentite nella L2
studiata. Il vocabolario reale, invece, è costituito da parole che l’apprendente conosce solo dopo
averle incontrate nell’input.
LESSICO ATTIVO vs. LESSICO PASSIVO : il primo è quello che l’apprendente L2 può produrre, il
secondo è quello che riconosce soltanto.
CONOSCENZA vs. CONTROLLO: la conoscenza è la rappresentazione del lessico nella mente, mentre
il controllo è la capacità di elaborarlo durante l’effettiva esecuzione.
Le SEQUENZE di apprendimento del lessico: l’apprendente di una L2 impara le parole e alcune
proprietà di queste ultime, secondo alcuni criteri che ne guidano l’apprendimento si dividono in
CRITERI ESTERNI e CRITERI INTERNI al lessico. Dei CRITERI ESTERNI fanno parte: L’UTILITA’, LA
DISPONIBILITA’ delle parole imparate, LA PREFERENZA PERSONALE.
UTILITA’: Alcuni apprendenti sono più portati a scegliere in un primo tempo un maggior numero di
formule caratteristiche dell’interazione sociale; altri invece un maggiore numero di parole riferite
agli oggetti e alle attività che li circondano (es. i lavoratori immigrati imparano prima il lessico
connesso con il proprio lavoro, gli studenti quello con le attività scolastiche, e così via).
DISPONIBILITA’: criterio che dipende da alcuni fattori come la frequenza con cui la parola ricorre
nell’input, la variabilità dei contesti in cui ricorre, l’aiuto fornito dal contesto situazionale e dal co-
testo linguistico per la sua comprensione.
PREFERENZA PERSONALE: criterio che riguarda non tanto le parole quanto gli apprendenti, i quali
tendono ad imparare presto determinate parole trascurandone altre.
Dei CRITERI INTERNI possiamo fare una distinzione tra criteri formali e semantici. Dei criteri formali
fanno parte:
PRONUNCIABILITA’: l’apprendente L2 è facilitato se deve imparare una lingua che ha le parole con
accento fisso, mentre è più difficoltoso imparare lingue con accento mobile (es. italiano, inglese,
ecc.). Inoltre vengono preferite lingue con parole formate da fonemi o combinazioni di fonemi facili
da pronunciare.
Affine al criterio di pronunci abilità vi è quello della similarità sonora con altre parole che rende più
difficile da parte dell’apprendente di distinguere e pronunciare le diverse parole (es. bit –beat – bet
– bat – but)
CORRISPONDENZA TRA SUONO E GRAFIA: più la corrispondenza è chiara più l’apprendimento è
facilitato
LUNGHEZZA DELLE PAROLE: alcuni studi affermano che è più facile apprendere parole più corte, ma
non è sempre così. Può avere un’importanza anche la L1 di partenza, infatti se l’apprendente è
italiano, le parole latine più lunghe e rare potrebbero essere imparate più facilmente rispetto alle
monosillabiche.
MORFOLOGIA: lingue con grande complessità flessionale sono più difficili da apprendere. La
complessità derivazionale di una parola composta non costituisce ostacolo se le parti che la
compongono sono trasparenti.
Degli aspetti semantici delle parole, due fattori fondamentali sono:
POLISEMIA: quando un’unica parola ha vari significati che hanno tra loro qualche affinità.
OMONIMIA: quando un’unica parola ha vari significati che però hanno significati completamente
diversi. Se l’apprendente L2 conosce la parola in un significato è più difficile accettarla in un altro
significato molto diverso. Un altro fattore che rende difficile una parola è l’OPACITA’ per esempio
se prendiamo “libro”, questo risulta più chiaro di “volume”, che oltre ad essere polisemico e una
parola più rara e specifica. Dunque anche la SPECIFICITA’ del significato rende più difficile
l’apprendimento. L’IDIOMATICITA’ è un altro criterio che ostacola sia la comprensione sia la
produzione per gli apprendenti L2.
Tra i criteri che influenzano maggiormente quali parole l’apprendente L2 imparerà per prime, vi è
anche la contrastività con la l1: una parola risulta più facile da imparare quanto più forma e
significato si
assomigliano nelle due lingue.
DIFFERENZA TRA SIGNIFICATO DI UNA PAROLA E CONCETTO
(SCHEMA DI APPEL)
Il significato di una parola, insieme alla sua forma, fa parte del lessico mentale, il concetto invece fa
parte dell’enciclopedia mentale. Si hanno infatti molti concetti che non sono lessicalizzati.
Kroll e Groot riprendono due possibili modelli di abbinamento delle parole in L1 e L2 ai concetti e
ne presentano un terzo proprio.
Modello Dell’ Associazione Lessicale Modello della Mediazione Concettuale Le parole in L2
accedono ai concetti Le parole in L2 accedono direttamente indirettamente attraverso le parole in
L1 ai concetti, come fanno le parole in L1
L’associazione lessicale è caratteristica dei primi stadi di apprendimento della L2, mentre la
mediazione è caratteristica degli
stadi più avanzati. Con il progredire della competenza, si avrebbe un processo di sviluppo
dall’elaborazione lessicale all’elaborazione concettuale. Così Kroll e Groot propongono un terzo
modello:
Modello dell’Associazione e Mediazione Concettuale In questo modello sono sempre attivi sia i
legami concettuali che lessicali, ma la loro forza si manifesta diversamente in funzione della
competenza linguistica.
COME VENGONO IMAPARATE LE PAROLE? Una volta scelte le parole in base a questi criteri, vengono
imparate secondo alcune proprietà: FONOLOGIA, GRAMMATICA, SEMANTICA e PRAGMATICA.
1. Per quanto riguarda la FONOLOGIA, le parole vengono imparate gradualmente secondo le regole
di apprendimento fonologico della L2. A questo livello di analisi, l’interferenza della L1 agisce più
profondamente che ad altri livelli.
2. GRAMMATICA :ogni parola ha una sua grammatica, se questa è complessa, sarà imparata per
gradi.
3. Per quanto riguarda la SEMANTICA, l’apprendente L2 non impara subito i vari significati che una
parola può avere, ma impara un’unità lessicale per volta. Inoltre per ogni parola si tende ad
apprendere per primo il significato non metaforico.
4. PRAGMATICA : l’apprendente all’inizio rischia sempre di usare una parola in un contesto
situazionale sbagliato. Perciò conoscere completamente una parola vuol dire anche conoscerne gli
ambiti di uso appropriati.

3.3 LA GRAMMATICA
Con il tempo, ma soprattutto con più input, il lessico viene grammaticalizzato e qui vien fuori la
GRAMMATICA.
Alcuni studi hanno mostrato che quando i bambini imparano a parlare l’inglese come L1, alcuni
morfemi grammaticali compaiono con un ordine fisso. Subito si è cercato di scoprire se ci fosse un
ordine anche per gli adulti che lo imparano come L2 e se fosse simile a quello dei bambini; si è
arrivati a confermare questa tesi per almeno una decina di morfemi (-ing, -s plurale, be copula, be
ausiliare, ecc.). Ma la ricerca di simili sequenze in altre lingue è stata minima, anche perché mancava
una spiegazione convincente per l’ordine scoperto e poi perché questi studi misuravano solo
l’accuratezza formale del prodotto finale. Si è passati cosi ad una nuova ricerca basata sulla
sequenza degli stadi in cui emergono le singole strutture. La gradualità del percorso è chiara
dall’esempio dei pronomi personali; l’apprendente L2 infatti impara prima
a distinguere la persona, poi il numero e infine il genere. La distinzione del caso è l’ultima a
comparire.
Un esempio di percorso comune, è quello dell’apprendimento del GENERE IN ITALIANO L2, secondo
cui prevalgono prima criteri fonologici (secondo cui le desinenze nominali non sono degli indizi per
risalire al genere dei sostantivi, ma hanno solo lo scopo di contribuire a stabilire la tipica forma
fonologica della parola italiana a finale vocalica); poi criteri semantici (che fanno capo alla relazione
genere-sesso del referente. Tendono ad essere considerate più affidabili le desinenze –o per il
maschile e –a per il femminile, mentre risultano incerte quelle in –e); infine criteri morfologici (nel
momento in cui si sviluppano i suffissi della derivazione, come –tore per il maschile e –trice per il
femminile, sia per le persone che per gli oggetti: lavoratore, lavoratrice, lavatrice).
Per quanto riguarda l’ACCORDO SINTATTICO, i primi che compaiono sono quelli con i pronomi tonici
e quelli con l’articolo, in seguito tutti gli altri.
RELATIVIZZAZIONE: fenomeno sintattico presente in tutte le lingue con caratteristiche diverse. Le
relative sono proposizioni subordinate e possono variare secondo alcuni parametri:
Il punto di attacco: le relative possono variare secondo la funzione del sintagma nominale, che
nella principale rappresenta il punto di attacco della relativa (il gatto che miagola non è mio
sogg. della principale; non vedo il gatto che miagola ogg.)
L’elemento relativizzato: il gatto che miagola il gatto soggetto viene relativizzato
Importante è la gerarchia implicazionale universale : SOGG>OGG DIR>OGG IND>OGG
PREP>GEN>OGG COMP tutte le lingue permettono la relativizzazione del soggetto della
preposizione relativa, mentre le altre possono o meno essere relativizzate nelle altre lingue. Se una
lingua permette di relativizzare per esempio l’oggetto indiretto, necessariamente permetterà
quelle precedenti ma non è detto che permette quelle che seguono.
Ripresa pronominale: in lingue diverse le relative possono o meno richiedere la ripresa del
pronome dell’elemento relativizzato. L’italiano non richiede questa ripresa ( *il gatto che lo vedo)
La forma del pronome relativo: in italiano i pronomi principali sono 2: “che” per il soggetto e
l’oggetto diretto, “cui” per l’oggetto indiretto. In inglese, invece, ci sono più forme (who, whom,
that, which, forma ø (the cat I love)
Profondità dell’incasso
Un notevole passo avanti nello studio dell’apprendimento della L2 è costituito dall’interpretazione
psicolinguistica dei dati. A ogni stadio operano in varie combinazioni tre strategie di elaborazione
del parlato (PROGETTO ZISA):
- La strategia dell’ordine canonico (SOC), che blocca qualsiasi movimento tra gli elementi della
stringa SVO
- La strategia di inizializzazione e finalizzazione (SIF) che, data una stringa XYZ, blocca lo
spostamento di X tra Y e Z, o quello di Z tra X e Y
- La strategia delle proposizioni subordinate (SPS), che blocca qualsiasi movimento all’interno di una
proposizione subordinata
3.4 PROGRESSO E VARIABILITA’
Le sequenze di sviluppo sono comuni a tutti gli apprendenti e appartengono a diverse L2. Però
nessun apprendente passa improvvisamente da uno stadio all’altro, egli può però arrivare a trovare
proprie soluzioni. Tutto ciò fa si che ci sia una notevole VARIABILITA’. Esistono vari tipi di variazione
Una prima distinzione è tra variazione evolutiva, o diacronica che riguarda i cambiamenti avvenuti
all’interno di una lingua con il trascorrere del tempo (sequenza di stadi) e variazione sincronica in
un unico periodo di tempo (un unico stadio) questa si divide a sua volta in variazione
intersoggettiva che riguarda soprattutto la velocità dell’apprendimento, e variazione intrasoggettiva
che si divide in sistematica che può dipendere da diversi tipi di contesto
(sociale,psicologico,linguistico) e libera, casuale.
La variabilità intrasoggettiva può essere spiegata SITUAZIONALMENTE, per cui l’apprendente di una
L2, come ogni parlante nativo è sensibile a fattori sociolinguistici come ad esempio l’interlocutore a
cui si rivolge, la formalità del contesto, l’argomento della conversazione. Può anche essere spiegata
PSICOLOGICAMENTE; in questo caso sono in gioco fattori quali il tempo a disposizione per la
pianificazione e l’attenzione dedicata alla forma piuttosto che al contenuto. Un’altra variabilità può
essere spiegata
LINGUISTICAMENTE : a livello fonologico, a livello morfologico e a livello sintattico.
La maggior parte della variabilità intrasoggettiva dell’interlingua è sistematica. Quando però
abbiamo due o più forme alternative che hanno la stessa funzione, nello stesso contesto linguistico
situazionale e psicologico, dobbiamo considerare che si tratta di una variazione libera.
E’ difficile, soprattutto in sistemi ricca di variabilità, determinare l’effettivo PUNTO DI
APPRENDIMENTO di un nuovo elemento. Si può distinguere tra EMERGENZA, APPRENDIMENTO e
perfetta PADRONANZA di un elemento, secondo che in un determinato stadio dell’interlingua
l’elemento in questione ricorra rispettivamente la prima volta, un certo numero di volte, ogni volta
che è necessario.

3.5 LA PRODUZIONE DEL PARLATO


Secondo il Modello Psicolinguistico di Levelt, il parlante è visto come un complesso
elaboratore che trasforma le intenzioni, ipensieri e i sentimenti in enunciati articolati.
Le conoscenze dichiarative sono di 2 tipi: generali e lessicali. Le conoscenze procedurali sono
raggruppate
in 3 principali componenti di elaborazione:
CONCETTUALIZZATORE, FORMULATORE, ARTICOLATORE.
Ogni elaboratore riceve un input e produce un output, e l’output di una componente diventa l’input
della successiva. Nel concettualizzatore viene selezionata, ordinata e preparata tutta l’informazione
del magazzino delle conoscenze generali che serve per comunicare le intenzioni del parlante, per
essere convertita in lingua. L’output del concettualizzatore non è ancora il messaggio verbalizzato
che lo diventa
quando passa nel formulatore. Nel formulatore viene selezionata, grammaticalizzata e
fonologizzata l’informazione lessicale pertinente al messaggio concettuale. L’attivazione delle
parole avviene in due tempi, prima semanticamente, poi formalmente: è importante quindi il fatto
che gli elementi lessicali vengono selezionati per primi, e che sono le loro proprietà che determinano
l’applicazione delle regole grammaticali e fonologiche. Nell’articolatore il piano fonico viene
eseguito come una serie di istruzioni neuromuscolari. Infine la propria produzione viene auto-
monitorata nel decodificatore; qui il monitoraggio può avvenire sia silenziosamente prima
dell’articolazione, sia dopo l’articolazione.
Altre importanti caratteristiche del modello sono:

AUTONOMIA (implica che ogni componente


dell’elaborazione lavora in modo altamente specializzato e specifico), AUTOMATICITA’ (implica
un’altissima velocità) e INCREMENTALITA’(implica che tutte le componenti di elaborazione lavorino
in parallelo, ma mentre si articola il primo pezzo si può già formularne un secondo e
concettualizzarne un terzo, e così via).

CONCLUSIONE: DIFFERENZA TRA APPRENDIMENTO DEL LESSICO E DELLA GRAMMATICA?


Lo sviluppo della grammatica nell’interlingua è sostanzialmente un fatto autoregolatore. Prima si
imparano parole e formule; le formule non vengono analizzate e le parole sono prevalentemente di
contenuto, poco morfologizzate. Poi si sviluppa la grammatica vera e propria, attraverso stadi
obbligati. Il lessico, invece, rispetto alla grammatica, presenta minori regolarità di sviluppo, ma
nonostante ciò risulta molto importante nella produzione del parlato poiché la formulazione
grammaticale è determinata lessicalmente. Dopo la concettualizzazione vengono selezionate le
parole, e sono queste che portano con sé conseguenze grammaticali.

QUARTO CAPITOLO: LA VARIABILITA’


Gli apprendenti della L2 sono diversi gli uni dagli altri rispetto alla L1 di partenza e al numero di
lingue che già conoscono, rispetto all’età in cui la imparano, rispetto a numerose caratteristiche
personali, rispetto alla qualità e quantità dell’input linguistico che ricevono e ad altri fattori. Quindi
ognuno impara la L2 diversamente, ciò che è uguale per tutti è il percorso di sviluppo
dell’interlingua, cambiano invece la velocità con cui si impara e l’esito finale.
La L1 influenza notevolmente l’apprendimento della L2; la manifestazione più importante è
costituita dal trasferimento nell’interlingua di un suo elemento. Bisogna sempre assicurarsi che il
fenomeno rilevato sia effettivamente un transfer dalla L1 e non un errore di sviluppo che per caso
coincide con una forma della
L1. Il processo del transfer può essere esaminato da due punti di vista diversi: la DESCRIZIONE
SINCRONICA e le COSTRIZIONI che lo governano.
Nella descrizione sincronica il transfer può assumere l’aspetto di una sostituzione di un suo
elemento con uno della L1, di una omissione o di una aggiunta. Questo nel caso di elementi o regole
obbligatori. Nel caso
di regole discrezionali, può risultare in evitamento o uso eccessivo.
Le costrizioni che limitano il transfer sono:
Livello di analisi: quello più soggetto alla L1 è la fonologia (fonemi, allofoni, accento, ritmo,
intonazione, ecc.), poi abbondanti interferenze della L1 anche nella pragmatica e nel lessico; meno
frequenti in sintassi e rari in morfologia
Livello di competenza linguistica in L2: opera congiuntamente al livello d’analisi. Nei primi stadi la
L1 interferisce pesantemente in fonologia e pragmatica, solo negli stadi intermedi il trasferimento
di elementi grammaticali è più facile. Negli stadi avanzati l’influenza della L1 diminuisce a tutti i
livelli.
Marcatezza: nozione relativa, non assoluta: in una coppia, un elemento viene definito meno
marcato rispetto a un altro più marcato. I criteri di marcatezza che operano sono la complessità e
la lunghezza (professore – professoressa), la rarità (bambino – fanciullo), l’estendibilità ( altobasso:
poiché alto è estendibile alle interrogative, mentre basso non lo è, infatti anche di persona
bassa si chiede “quanto sei alta?”).
Gli elementi meno marcati sono più trasferibili di quelli marcati, specialmente se gli elementi della
L2 sono marcati.
L’ipotesi di Marcatezza Differenziale (Eckmann) sostiene che al grado di marcatezza degli elementi
corrisponde anche il grado di difficoltà nel loro apprendimento.
Prototipicità: tanto meno prototipico è il significato tanto più l’apprendente L2 resiste a trasferirlo
nell’interlingua.
Distanza tipologica tra L1 e L2: l’apprendente ricorre maggiormente alla L1 nel caso in cui la L1 e
L2 abbiano strutture simili. In generale, quanto più vicine sono due lingue, più favorito sarà il
transfer positivo dalla L1 e più veloce sarà l’apprendimento.
Principi naturali dell’apprendimento della L2
Coerenza interna: opera nell’interlingua e condiziona l’influenza della L1. Un apprendente è più
restio ad abbandonare una struttura della propria L1 se non la ritrova nella L2, e quindi si ostinerà
a trasferirla.

4.2 L’AMBIENTE LINGUISTICO


Altro fattore di variazione nel processo di apprendimento è l’ambiente linguistico. Esso è
rappresentato dall’evidenza positiva (attraverso cui durante la comunicazione gli interlocutori
offrono all’apprendente un modello di ciò che egli deve imparare) e dall’evidenza negativa
(attraverso la correzione degli errori o segnalazione di incomprensione) che lo stesso apprendente
ottiene sulla lingua da imparare.
Nonostante rimangono ancora alcune incertezze, gli studi più recenti confermano la relazione
positiva tra l’interazione e lo sviluppo grammaticale in L2, e sottolineano l’importanza della
partecipazione attiva
all’interazione da parte dell’apprendente.
Ambiente linguistico dell’INSEGNAMENTO differenza tra apprendimento spontaneo e
insegnamento (apprendimento guidato) : l’apprendimento spontaneo avviene ponendo massima
attenzione al contenuto del messaggio; l’insegnamento prevede che: - l’attenzione sia focalizzata
sulla forma
- gli errori vengano corretti
-il trattamento degli elementi ling. sia esplicito e ordinato
L’insegnamento porta l’apprendente a livelli più alti di competenza.
L’IPOTESI DI INSEGNABILITA’, predice che l’insegnamento è efficace solo se l’interlingua è allo stadio
immediatamente precedente a quello in cui la struttura insegnata è appresa naturalmente.
L’insegnamento, quindi, è in grado di accelerare l’apprendimento sia delle strutture dello stadio
gerarchico immediatamente successivo, sia quelle che esulano dalla gerarchia.
L’istruzione che pratica la produzione permette agli apprendenti di svolgere il compito che viene
loro insegnato, ma non ha effetto sullo sviluppo del sistema. L’istruzione che pratica la
comprensione, invece, ha effetto sul sistema, poiché permette agli apprendenti di svolgere anche
un compito che non era stato loro espressamente insegnato. Inoltre, l’apprendimento basato
sull’elaborazione dell’input porta a risultati migliore per la grammatica piuttosto che per il lessico,
influendo sulla velocità e sull’esito finale dell’apprendimento, purché interessi gli elementi giusti al
momento giusto e nel modo giusto.

4.3 CARATTERISTICHE INDIVIDUALI


Apprendenti diversi imparano la L2 con velocità diverse e anche l’esito finale dell’apprendimento è
diverso. I diversi fattori individuali che influenzano il successo dell’apprendimento si possono
raggruppare in modo diverso secondo i criteri che si usano. Alcuni, come l’ansia, la motivazione sono
di natura affettiva; altri come l’età o il sesso sono di natura biologica. I principali comunque sono:
ETA’, MOTIVAZIONE,
INTELLIGENZA, ATTITUDINE, STILE COGNITIVO, PERSONALITA’.
- L’ETA’ dell’apprendente è il più studiato tra i fattori di variabilità dell’apprendimento della L2. È
opinione diffusa che i bambini imparino la L2 meglio degli adulti, ma ciò non vuol dire
necessariamente che siano apprendenti migliori. Il fattore età implica due diverse spiegazioni, una
di NATURA BIOLOGICA ORGANICA, l’altra di NATURA SOCIALE ESPERIENZIALE.
Rispetto agli adulti, infatti, i bambini, da una parte avrebbero una struttura neurologica adatta
all’apprendimento linguistico, e dall’altra parte avrebbero più opportunità di praticare la L2, visto la
vita sicuramente meno impegnata che hanno rispetto agli adulti.
Bisogna considerare l’effetto dell’età sul percorso, sulla velocità e sull’esito. Per quanto riguarda il
PERCORSO gli studi sostengono che, nel caso della grammatica l’età non influisce sul percorso
dell’apprendimento, forse in misura minima in fonologia. Per la VELOCITA’, pare che gli adulti
imparino la L2 più velocemente dei bambini. Per quanto riguarda l’esito finale, invece, si ritiene che
almeno per la fonologia esista un periodo critico oltre al quale è impossibile raggiungere un esito
finale perfetto.
- LA MOTIVAZIONE: può essere INTRINSECA deriva da un interesse, un piacere nell’apprendere;
RISULTATIVA tipica di chi ottiene buoni risultati ed è spronato a proseguire; INTERNA, quando
l’apprendente porta all’apprendimento una certa quantità di motivazione come data; DEL
BASTONE E DELLA CAROTA quando stimoli e incentivi esterni la possono modificare.
Un’altra distinzione vede contrapporsi una motivazione INTEGRATIVA e STRUMENTALE. La prima è
basata sul desiderio di integrarsi con il gruppo sociale della L2 e diventarne un valido membro; la
seconda, invece, è basata sull’obiettivo di ottenere un vantaggio pratico (legato ad es. al lavoro).
- L’INTELLIGENZA, può influenzare positivamente la competenza linguistica in L2. Pare, invece, che
c’entri poco quando l’istruzione è meno attenta alla forma e rivolta più al contenuto comunicativo;
e che non c’entri affatto quando l’apprendimento avviene spontaneamente in contesto di L2 fuori
della classe.
- ATTITUDINE per le lingue: abilità di codificazione fonetica, sensibilità grammaticale, abilità di
memorizzare materiali linguistici, abilità di imparare induttivamente
- STILE COGNITIVO: il modo con cui le persone elaborano l’informazione, imparano. Lo stile cognitivo
si differenzia dall’intelligenza e dall’attitudine, perché non è un’abilità che è unipolare, ma è
bipolare. Mentre i test delle abilità misurano il risultato massimo, quelli dello stile cognitivo
stabiliscono il processo normale, tipico di un individuo. Il contrasto bipolare dello stile cognitivo più
studiato nel campo dell’apprendimento della L2 è quello tra dipendenza e indipendenza dal
campo. Le persone dipendenti dal campo sono quelle che tendono a sintetizzare meglio l’intero
campo, e a perderne i particolari. Invece, le persone indipendenti dal campo non vengono distratte
dall’informazione generale circostante, e tendono ad analizzare gli elementi uno a uno isolandoli
dal loro contesto.
- Per quanto riguarda la Personalità molti sono i tratti che hanno attirato l’attenzione, come
l’estroversione, la stima di sé, l’empatia, ecc. Ad esempio, un apprendente L2 estroverso è
considerato un apprendente migliore per quanto riguarda l’ABILITA’ DI COMUNICAZIONI
INTERPERSONALI, mentre un apprendente introverso si pensa che abbia maggior successo nella

COMPETENZA-LINGUISTICA-COGNITIVO-ACCADEMICA.
Quest’ipotesi dell’estroversione introversione si basa sul fatto che le persone estroverse e socievoli
sono in grado di procurarsi maggiori occasioni per usare la lingua orale, mentre quelle più introverse
riescono meglio nelle
attività accademiche.

4.4 CARATTERISTICHE CULTURALI


L’apprendimento della L2 varia secondo l’AMBIENTE CULTURALE. Sono stati fatti studi che
riguardano le variabili ambientali. Tra questi ve ne sono due, entrambi riguardanti l’apprendimento
della L2 in contesti di immigrazione: il primo propone come variabile la distanza sociale nell’ambito
del MODELLO DI ACCULTURAZIONE e il secondo l’orientamento culturale nell’ambito del MODELLO
MULTIDIMENSIONALE
del progetto ZISA. Il modello di acculturazione di Schumann nasce per spiegare l’apprendimento
dell’inglese negli Usa da parte di un costaricano. Questo modello propone come variabile la
DISTANZA SOCIALE una dimensione del gruppo e interessa la misura in cui i singoli apprendenti
riescono a diventare parte del gruppo di parlanti L2. È formata da 8 fattori: dominanza (rapporti di
dominanza tra gruppo L1 e L2), integrazione, chiusura, coesione (forza dei legami all’interno del
gruppo L1), dimensione (numero di individui nel gruppo L1), congruenza (somiglianza culturale tra
L1-L2), atteggiamento (sentimenti, opinioni del gruppo L1 nei confronti del gruppo L2), intenzione
(durata prevista del soggiorno nel paese L2).
L’acculturazione può risultare importante per l’apprendimento, ma questo non è sufficiente, perché
senza l’input linguistico non serve a niente. Non è necessaria, perché l’input può essere ottenuto
anche senza acculturazione. Il modello ZISA si chiama multidimensionale considera sia la
dimensione universale, che quella variabile. Secondo questo modello, l’interlingua di un
apprendente può essere collocato tra due poli opposti costituiti da due scopi in concorrenza l’uno
con l’altro: l’efficacia comunicativa vs l’accuratezza formale. Una delle ipotesi centrali di questo
modello è che la posizione degli apprendenti su questo continuum di orientamento
dell’apprendimento della L2 sia determinata da fattori socio-psicologici dell’ambiente di
apprendimento.

4.5 STRATEGIE DI APPRENDIMENTO


Tutte le attività che portano all’apprendimento sono state chiamate strategie di apprendimento.
Esse sono in parte frutto delle caratteristiche individuali degli apprendenti e in parte frutto delle
caratteristiche ambientali in cui gli apprendenti si trovano.
Le strategie di apprendimento sono state interpretate in vari modi: da una parte si è distinto tra
attività comportamentali e mentali; in un altro verso tra strategie dirette e strategie indirette e in
un altro ancora tra strategie consapevoli e inconsapevoli.
Alle strategie di apprendimento si sovrappongono le strategie di comunicazione, che sono messe in
atto con l’intenzione di risolvere problemi di comunicazione che si riscontrano durante l’interazione.

QUINTO CAPITOLO: LE SPIEGAZIONI


Le teorie dell’apprendimento della L2 sono molte e tutte diverse. Si possono classificare in vario
modo secondo i criteri che si vogliono usare. Secondo i criteri filosofici, esse possono rientrare da
una parte in correnti di pensiero EMPIRISTE, secondo cui l’esperienza agisce sulla mente
producendo un sistema di conoscenze, che risulta in un comportamento (+ teorie ambientaliste-
ruolo imp. esperienza, + teorie induttive- senza limiti alle possibili grammatiche da imparare) .
Dall’altra parte correnti di pensiero
RAZIONALISTE, secondo cui linguisticamente l’input linguistico agisce sulle facoltà del linguaggio per
produrre il sistema di conoscenze di una particolare lingua, che risulta in una serie di enunciati
specifici di quella lingua (+ teorie innatiste- mente dotata di capacità innate, + teorie deduttive-
limiti alle possibili grammatiche da imparare).
Le teorie possono essere divise anche tra teorie delle proprietà e teorie della transizione. Le prime
si preoccupano di fornire un resoconto dei sistemi statici delle conoscenze, le seconde dei
meccanismi responsabili dei cambiamenti da un sistema al successivo.
Le teorie possono essere anche data-driver, cioè partire induttivamente da una minuta raccolta
empirica dei dati, e poi arrivare alla formulazione esplicativa globale, oppure theory-driven, cioè
partire deduttivamente dall’elaborazione di una ipotesi, e poi verificare se questa regge alla prova
dei dati empirici. Ora vengono descritte le teorie più rappresentative:

5.1 IL CONTRASTIVISMO (anni ’50)


Ipotesi dell’analisi contrastiva stampo empirista. Nata con lo scopo di migliorare l’insegnamento
della L2. Si sviluppa con presupposti psicologici, ipotesi linguistiche e applicazioni glottodidattiche.
IN PSICOLOGIA TEORIA DEL COMPORTAMENTISMO, secondo cui tutto l’apprendimento, verbale
e non, è un processo di formazione di abitudini. Quando quello che si deve apprendere è troppo
complesso, lo si
scompone in unità più semplici. È una teoria che si basa quindi su 3 principi: l’effetto, la pratica e la
scomposizione.

LINGUISTICAMENTE
l’apprendente inizia da zero, riceve l’input e con l’imitazione e la ripetizione riceve il
rinforzo positivo.

LE APPLICAZIONI DIDATTICHE
vengono validate da entrambi i presupposti psicologici e linguistici.
Psicologicamente si creano esercitazioni che si basano sull’insistente imitazione meccanica del
modello.
Linguisticamente, vengono selezionati come modello da esercitare soprattutto le strutture che nella
L2 sono diverse da quelle della L1.
L’ipotesi storica dell’analisi contrastiva viene però sconfitta come tesi esplicativa. Linguisticamente,
non regge alla prova dei dati, poiché nella realtà non tutti gli errori previsti si verificano,
psicologicamente, anche l’imitazione non è mai meccanica, poiché l’apprendente imita
selettivamente in base a quello che gli serve.

5.2 IL GENERATIVISMO (seconda metà Novecento)


Elaborata da Noam Chomsky

GRAMMATICA UNIVERSALE - teoria razionalista, innatista e deduttiva. Vuole spiegare in cosa


consiste e come viene acquisita la conoscenza linguistica. È una teoria delle
proprietà non indaga tanto il percorso dell’apprendente quanto la facoltà innata che gli permette
di percorrerlo. Quindi, non è una teoria dell’apprendimento della L2, ma una teoria generale di
linguaggio e delle lingue. Comprende una serie di universali linguistici, che consistono in principi e
parametri. I principi sono proprietà molto astratte e generali che valgono per tutte le lingue del
mondo. I parametri, anch’essi uguali per tutte le lingue, ma con un valore che è fissato diversamente
da lingua a lingua. Inoltre i principi sono innati, mentre il valore dei parametri è appreso in base
all’esperienza. Vi sono 4 posizioni principali sulla Grammatica Universale come teoria per la
spiegazione dell’apprendimento della L2:

1) INACCESSIBILITA’
Secondo questa ipotesi, la Grammatica Universale non c’entra con l’acquisizione della L2. Gli
apprendenti devono ricorrere ad altre abilità generali di apprendimento non specificamente
linguistiche ma generalmente cognitive.

2) PIENA ACCESSIBILITA’
La Grammatica Universale c’entra come per la L1. L’apprendimento della L1 e della L2 ha un
processo identico. Le differenze si riscontrano solo in base alla diversa maturità cognitiva e ai diversi
bisogni degli adulti rispetto ai bambini.
3) ACCESIBILITA’ INDIRETTA
La Grammatica Universale non c’entra direttamente, ma vi siaccede indirettamente attraverso la L1
solo se la L2 ha i parametri fissati come la L1.

4) ACCESIBILITA’ PARZIALE
La Grammatica universale è accessibile in alcuni aspetti ma non tutti.
Ad esempio possono rimanere accessibili i principi, ma può diventare inaccessibile la fissazione di
alcuni parametri. Qui il punto di partenza per l’apprendimento della L2 è la Grammatica Universale,
non la L1.

5.3 IL FUNZIONALISMO
Più che una teoria specifica, è un approccio teorico. Le teorie funzionaliste mirano a spiegare che le
forme linguistiche sono create, governate, apprese in funzione della funzione; vogliono spiegare il
modo preciso e la misura in cui le funzioni determinano la forma prevalgono quelle di tipo
semantico e discorsivo, ma anche quelle di tipo cognitivo e sociale.
Nell’ indagare le relazioni tra forma e funzione, le direzioni dell’analisi possono essere due: si può
partire dalla forma e chiedersi che funzione codifichi. Nell’altra direzione, si può partire dalla
funzione e chiedersi in quali forme venga codificata.
Tra i numerosi modelli funzionalisti, importante è il MODELLO DELLA COMPETIZIONE
l’ascoltatore/parlante deve essere in grado di determinare la relazione degli elementi della frase,
servendosi di alcuni indizi formali (l’ordine delle parole, l’accordo, il caso, ecc.). l’indizio può essere
più o meno forte, e quindi utile, nella misura in cui ha le seguenti proprietà:
Affidabilità (è data dalla regolarità con cui a una forma corrisponda una funzione)
Disponibilità (è data dalla frequenza con cui un indizio ricorre nell’input)
Validità nel conflitto (è data dal rapporto tra il numero di volte in cui un indizio vince sugli altri e
il numero di volte in cui si trova in conflitto.
È quindi un modello di natura probabilistica e viene costruito in base ai dati.

5.4 L’INTERAZIONISMO
Così come il funzionalismo, anche questo è un approccio teorico, più che una teoria. Mentre il
funzionalismo mette a fuoco il rapporto forma-funzione, l’interazionismo mette a fuoco
l’interazione comunicativa. Inoltre mentre il funzionalismo è stato applicato sia come property
theory (per l’interpretazione degli stadi dell’interlingua), sia come transitino theory (per
l’interpretazione del passaggio da uno stadio all’altro), l’interazionismo verte soprattutto sul
secondo aspetto. Un’altra differenza sta nel fatto che l’interazionismo si è molto occupato delle
applicazioni didattiche, mentre il funzionalismo ben poco.
IL RUOLO DELL’AMBIENTE LINGUISTICO
per la Grammatica Universale l’input non è sufficiente per l’apprendimento della L2, mentre per
l’interazionismo, l’input è sufficiente e causa l’apprendimento.
Tra le numerose variabili ambientali, l’interazionismo privilegia l’input interattivo, quello della
conversazione quando apprendente e interlocutore insieme ne negoziano i contenuti.
Ipotesi Interazionista (Long): la negoziazione del significato facilita l’apprendimento della L2, perché
connette in modo produttivo l’input, le capacità interne dell’apprendente, tra cui specialmente
l’attenzione selettiva, e l’output.

5.5 IL COGNITIVISMO
Anche questo è un approccio generale, non una teoria specifica. Sono cognitivi il Modello di Levelt
, il Modello Multidimensionale ZISA e il Modello della Competizione.
Il cognitivismo è la parte della psicologia che interessa la natura delle attività e dei processi mentali:
studia i fenomeni come l’attenzione, la consapevolezza, la memoria, la lingua. Essendo la lingua un
fenomeno mentale, in un senso molto generale, tutta la linguistica è cognitiva. Il cognitivismo studia
quindi come mente e cervello operano.
L’approccio cognitivo pone l’accento principale sull’apprendimento come transition theory
(sull’aquisizione di informazione nuova) e tende a rappresentare soprattutto l’elaborazione in
tempo reale. Quindi con cognitivismo si parla di attività, di operazioni, di regole di apprendimento,
piuttosto che di regole linguistiche.

5.6 LA PROCESSABILITA’
Teoria formulata per spiegare le sequenze di sviluppo delle abilità procedurali che permettono le
sequenze dell’interlingua. È una teoria psicolinguistica, cognitiva e linguistica. La teoria è importante
perché predice il passaggio da uno stadio all’altro dell’interlingua.
La Teoria della processabilità ha 3 fonti principali:
Prende l’avvio dalle strategie di elaborazione del parlato del Progetto ZISA( anni ’70)
Si rifà al Modello psicolinguistico di Levelt per i processi di produzione linguistica
Usa il modello della Grammatica Lessico - funzionaleModello di Levelt
codifica grammaticale La codifica grammaticale comprende due livelli di elaborazione: uno
funzionale e uno posizionale.
Al livello funzionale agiscono due componenti di elaborazione:la selezione lessicale, cioè
l’identificazione dei concetti lessicali adatti per comunicare il messaggio, e l’assegnazione
funzionale, cioè l’assegnazione delle funzioni sintattiche agli elementi lessicali scelti.
Al livello posizionale, agiscono altre due componenti: l’assemblaggio sintattico dei costituenti in un
ordine gerarchico, e la flessione morfologica.
Nel processo di questa generazione linguistica incrementale vengono attivate le seguenti procedure
di codifica:
Accesso lessicale
Procedura categoriale
Procedura sintagmatica
Procedura frasale
Procedura della proposizione subordinata, se applicabile
La sequenza di queste procedure è implicazionale: ognuna è requisito necessario per la successiva,
e non è possibile attivarne una senza avere attivato tutte quelle precedenti. Queste procedure
seguono la sequenza con cui vengono attivate nella produzione del parlato.
La variabilità dell’interlingua è definibile a priori dalla specifica gamma di opzioni strutturali di cui
l’apprendente dispone allo stadio dell’interlingua in cui si trova. Questa gamma di opzioni viene
chiamata Spazio delle Ipotesi. Dunque la Teoria della Processabilità delinea le forme possibili a ogni
stadio dell’interlingua.
La variazione dei singoli stadi della gerarchia di processabilità può rendere conto del fenomeno della
FOSSILIZZAZIONE. Questa subentra quando un apprendente sceglie tra le variabili di cui
dispone quelle che lo portano in un vicolo cieco strutturale.
Infine la Teoria della Processabilità offre alcune APPLICAZIONI NELL’AMBITO
DELL’INSEGNAMENTO.L’apprendente non può saltare uno stadio della sequenza, dato che ogni
stadio dipende dall’acquisizione delle strategie procedurali di quello precedente. All’ipotesi di
apprendibilità, segue quindi l’Ipotesi di Insegnabilità, secondo cui è inutile insegnare regole che
richiedono procedure di elaborazione che appartengono a stadi superiori rispetto a quello attuale
in cui si trova l’apprendente.

5.7 CONCLUSIONE
Modello Integrato di Gass tenta di conciliare tanti aspetti dell’apprendimento della L2 incontrati
nel libro. Secondo Gass nel tragitto dall’INPUT all’OUTPUT,
vengono identificati 4 momenti. Innanzitutto, bisogna percepire il divario tra quello che si sa già e
quello che c’è da imparare. Quando l’input percepito e capito (nella COMPRENSIONE) viene
assimilato, abbiamo la terza tappa dell’ACCETTAZIONE, cui segue la quarta
dell’INTEGRAZIONE con le regole già esistenti nel sistema.
Nel tragitto intervengono numerosi fattori di mediazione – fattori di personalità, contesto, ecc.
L’output rappresenta non solo il prodotto finale della conoscenza linguistica, ma è anche parte attiva
dell’intero processo di apprendimento.

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