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Università degli studi de L’Aquila

Candidata: IGNEO SILVIA


Matricola: 249052
Facoltà di MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE
Corso: TRIENNALE
Anno accademico: 2018/2019
Tesina di STORIA DELLA SCIENZA T/2
Docente: PROF. MARIO DI GREGORIO

L’asservimento delle donne


“Se per opporci aspettiamo che la vita sia ridotta quasi completamente a un unico
tipo uniforme, qualsiasi deviazione da quel tipo verrà considerata empia, immorale,
e addirittura mostruosa e contro natura. Gli uomini perdono rapidamente la
capacità di concepire la diversità, se per qualche tempo si sono disabituati a
vederla.”

John Stuart Mill nasce a Londra il 20 maggio del 1806, primogenito del filosofo
James Mill che ne cura personalmente l’istruzione, dimostra una vivace
intelligenza sin da tenerissima età: a tre anni inizia a studiare greco, a otto anni
latino, a dodici inizia lo studio della logica leggendo direttamente in greco
l’Organon aristotelico e studia anche storia, matematica, chimica ed economia
politica. Leggendo l’autobiografia di John Stuart Mill si rimane impressionati
dal suo racconto di un’infanzia interamente immersa nei libri, fatta eccezione
per le camminate mattutine in compagnia del padre; le uniche esperienze
ricordate sono le innumerevoli letture ad argomento storico, filosofico, i
romanzi e le poesie, sebbene l’autore stesso riconoscesse che, tutto sommato,
aveva tratto giovamento e anche piacere da quel severo training. È il padre ad
introdurlo nell’ambiente dei filosofi radicali, dove frequenta specialmente il
filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham (1748-1832) e studia gli scritti di
Adam Smith (1723-1790) e David Ricardo (1772-1823). Il contatto con questi
pensatori lo impressiona al punto da fargli sentire la vocazione di “riformatore
del mondo”; collabora strettamente con Bentham, lavorando sui manoscritti di
una sua opera, e fonda un’associazione culturale giovanile, il Club Utilitaristico,
tenendo continue conferenze e dibattiti. La particolare sensibilità di Mill nei
confronti delle questioni etiche che nascono all’interno della famiglia è già
testimoniata da un episodio che risale alla sua adolescenza: nel 1823 fu tenuto
in carcere per una notte dopo essere stato arrestato per aver distribuito alle
operaie che uscivano dal lavoro in fabbrica dei volantini che invitavano a un
controllo responsabile delle nascite. A diciassette anni si impiega nella
Compagnia delle Indie Orientali seguendo le orme del padre e mantenendo
l’impiego fino al suo definitivo trasferimento in Francia presso Avignone, dal
1823 al 1858, dove scrive la maggior parte delle sue opere. A vent’anni entra in
depressione, dalla quale, tuttavia, si riprenderà in breve tempo. Di questo
periodo, che lo porta a distaccarsi dalle idee dell’utilitarismo radicale, Mill
scrive nella sua autobiografia: “Immagina che tutti gli obiettivi della tua vita
siano realizzati, che tutti i mutamenti nelle istituzioni e nelle opinioni a cui
aspiri siano completamente realizzati in questo stesso istante; sarebbe questa
una grande gioia e felicità per te? La risposta è: no. Al che il mio cuore colò a
picco senza di me. L’intera fondazione su cui poggiava la mia vita crollò. Tutta
la mia felicità era dovuta alla continua ricerca di questo fine. Ora il fine aveva
cessato di affascinarmi, e come avrei mai potuto trovare interesse nei mezzi?
Mi sembrava di non avere alcuna ragione di vivere.” Nello stesso periodo
rifiuta di studiare alle Università di Oxford e Cambridge per non sottomettersi
al requisito di venire ordinato nella chiesa anglicana. A Avignone frequenta di
persona il filosofo Auguste Comte (1798-1857), il padre del positivismo, e
Alexis de Tocqueville (1805-1859), uno dei più famosi pensatori liberali. Nel
1830 John Stuart Mill conosce Harriet Taylor (1807-1858), donna intelligente,
vivace e combattiva, già sposata con un altro uomo. Quando Harriet rimane
vedova, dopo ventuno anni di intima ma casta amicizia, i due si sposano. Soli
pochi anni dopo il matrimonio, nel 1858, la moglie muore ma la sua influenza
su Mill sarà fondamentale per il suo pensiero circa i diritti delle donne,
soprattutto nei saggi “On Liberty” (1859) e “The Subjection of Women” (1869).
Dopo la morte dell’amatissima consorte torna in Gran Bretagna, dove per anni
è rettore della St. Andrews, la più importante università di Scozia, e al tempo
stesso deputato liberale al Parlamento per il collegio londinese di City e
Westminster; Mill sostiene la limitazione delle nascite, propone il diritto di
voto per le donne, il sistema elettorale proporzionale e la legalizzazione dei
sindacati e delle cooperative con il saggio del 1861 “Considerations on
Representative Government”. In questi anni è anche il padrino di Bertrand
Russell (1872-1970). La sua opera fondamentale è “Principles of Political
Economy with some of their Applications to Social Philosophy” del 1848, che
per decenni sarà il più autorevole testo delle università inglesi. Altre opere di
rilievo sono “System of Logic” del 1843 e gli “Essays on some Unsettled
Questions of Political Economy” del 1844, dove tratta della natura e del
metodo dell’economia. John Stuart Mill muore ad Avignone l’8 maggio del
1873, all’età di 67 anni.
Una figura molto importante è senz’altro la sopracitata Harriet Taylor, nata a
Londra nel 1807 da Harriet e Tom Hardy, un medico e veterinario di campagna.
Harriet non si configurò da subito come filosofa, scrittrice o letterata, ma
mantenne un certo anonimato fino all’ufficializzazione della sua relazione con
Mill. Quarta di sette figli e oppressa da una famiglia patriarcale, a diciassette
anni Harriet sposa John Tylor, un borghese influente di ventuno anni più
grande di lei, dal quale ha tre figli. Entrambi sono di religione unitariana e
perciò politicamente vicini al radicalismo liberale. Il loro pastore William
Johnson Fox, redattore del “Monthly Repository”, giornale impegnato e
femminista, fa loro conoscere il filosofo liberale John Stuart Mill che presto di
innamora di Harriet, cui si lega per comuni vedute politiche e ideali, e viene
ricambiato. È una delle più influenti esponenti del primo femminismo e viene
ricordata specialmente per la sua aspra critica contro l’impianto giuridico che
regolava la vita nell’Inghilterra del XX secolo. La produzione letteraria della
Taylor non è particolarmente ricca, fatta eccezione per qualche articolo nella
rivista unitariana “Monthly Repository”; tuttavia legge e commenta tutto ciò
che Mill produce. John Stuart Mill ed Harriet sono legati dalla medesima
visione dell’esistenza, da posizioni simili e da comuni vedute politiche e di
ideali. Nella sua autobiografia, Mill sostiene che Harriet è coautrice di gran
parte dei libri e articoli pubblicati con il proprio nome: “quando due persone
hanno pensieri e speculazioni del tutto in comune, è poco importante, per
quanto riguarda la questione di originalità, chi di essi tiene la penna.” Inoltre,
scrivono insieme “Early Essays on Marriage and Divorce”. Le sue riflessioni
hanno certamente influenzato i lavori di Stuart Mill, principalmente il suo “The
Subjection of Women”, mentre dei “Principles of Political Economy”, Mill
ammette lei abbia scritto e redatto un intero capitolo. Harriet lo spinge anche
a neutralizzare alcune espressioni della sua scrittura, sostituendo “man” e “he”
con “person” e “people”, Mill stesso propone successivamente un
emendamento che prevede l’introduzione di tali forme. Inoltre durante la sua
vita Harriet scrive molte lettere ai giornali protestando contro l’ineguaglianza
giuridica tra i due sessi e contro le violenze coniugali che non vengono punite
dalla legge. Il saggio “The Subjection of Women” sarà pubblicato dieci anni
dopo la morte della donna - in questo lasso di tempo si afferma in Inghilterra e
in America il movimento femminista per il suffragio universale - e di lei si
possono leggere, nelle pagine del libro, il pensiero e la voglia di cambiamento.
Stuart Mill dichiara apertamente: “le parti più incisive e profonde
appartenevano a mia moglie e provenivano dalle idee, ormai comuni a
entrambi, scaturite dalle innumerevoli conversazioni e discussioni su un
argomento che occupava un così ampio spazio nelle nostre riflessioni.” L’opera
è destinata a scardinare la tesi dell’incapacità femminile e demolire i pregiudizi
che l’hanno appoggiata; parole dedicate alle donne, affinché diventino attive e
consapevoli del loro essere, dei loro pensieri, scopi e interessi, al fine di
raggiungere la giusta parità tra i due sessi e la realizzazione della loro
perfezione etica e morale. E parole, inoltre, dedicate a tutti quegli uomini nei
quali risiede il pregiudizio della loro supremazia radicata nelle loro azioni di
forza basate sull’egoismo, giustificato sia dal linguaggio sia dall’intera società.
Lo scopo del saggio, annota Mill in apertura dell’opera, è spiegare che la
subordinazione giuridica di un sesso all’altro non solo è ingiusta per sé stessa,
ma è l’ostacolo più forte al progresso dell’umanità. È proprio facendo
riferimento alla situazione giuridica delle donne inglesi di quel periodo – oltre
a non avere diritto al voto, ne accesso alla pubblica istruzione, all’università e
alle professioni, sposandosi le donne cedevano automaticamente al marito
tutte le proprietà presenti e future – che egli parla della schiavitù, mostrando
senza difficoltà come la condizione degli schiavi sia stata spesso migliore di
quella delle donne inglesi di quel periodo, affermando che “nessuno schiavo è
schiavo in modo così completo, e nel pieno senso della parola, come lo è una
moglie. Difficilmente uno schiavo, a meno che non sia costantemente vicino
alla persona del padrone, è schiavo a tutte le ore e in tutti i minuti; in genere
egli ha, come il soldato, un compito ben stabilito e quando lo ha eseguito, o
quando è fuori servizio, dispone entro certi limiti del proprio tempo. Inoltre ha
una vita familiare in cui è raro che il padrone si intrometta.” Mill, influenzato
dalla dottrina utilitarista, sostiene che l’ostacolo maggiore che impedisce la
crescita del progresso umano sia la disuguaglianza tra uomo e donna. Lotta,
quindi, per una perfetta uguaglianza, senza superiorità al potere nei confronti
dell’uno sull’altro; a coloro che si oppongono a questa teoria di parità, obietta
evidenziando che la superiorità dell’uomo sulla donna è priva di fondamento.
La concezione della subordinazione nasce dal fatto che fin dall’inizio dei tempi
della società civile, la donna vive in balia di un uomo e l’autore ha evidenziato,
nei suoi scritti, che l’istinto egoistico dell’uomo nei confronti della donna è un
comportamento di cui essi si sono serviti nel tempo per creare una dipendenza
nella donna, facendo emergere la sua docile debolezza e sottomissione ad ogni
tipo di volontà maschile anche nella sfera sessuale. L’asservimento delle donne
è per Mill l’ultimo residuo di una mentalità primitiva, fondata sulla legge del
più forte e quindi, in questo caso, sulla prevaricazione fisica degli uomini sulle
donne paragonabile ai rapporti schiavo e padrone, contadino e proprietario,
nati da una prevaricazione violenta e poi sancita dalla legge, l’autore, infatti,
sottolinea come l’iniquità del rapporto tra i sessi si fonda su consuetudini così
radicate da avere valore di legge in quanto ciò che si fa per abitudine viene
percepito come fatto naturale. Tuttavia la servitù delle donne manca di una
caratteristica comune agli altri tipi di asservimento: la costrizione. Secondo
Stuart Mill, il matrimonio è una forma di servitù legalizzata a cui le donne non
si sottraggono, dal momento che “tutte le donne si allevano sin dall’infanzia
nella credenza che l’ideale del loro carattere è l’antitesi di quella dell’uomo:
esse sono educate a non volere niente per sé stesse, a non agire alla propria
volontà, ma a sottomettersi e cedere alle altrui.” Analizzando la parte
psicologica del rapporto uomo-donna, osserva che l’uomo esercita sulla donna
un comportamento di potere assoluto che agisce a livello mentale e
comportamentale. La donna viene educata ad assecondare l’uomo attraverso
l’educazione paterna, infatti il padre decide e con forza cede la propria figlia al
marito, il quale diventa “signore della moglie” e ciò la sottomette ad esso.
Questa condizione rende la donna debole ed incapace di creare il proprio
destino, privandola dei diritti; nel matrimonio patriarcale la donna è schiava, la
paura la rende fragile ed inadatta a scegliere le proprie azioni e i propri
pensieri. Il capo famiglia esercita un potere senza controllo su di essa, ma non
sempre ciò avviene attraverso una forza brutale, nella maggior parte dei casi
viene provocata nella donna una certa forma di dedizione nei confronti del
marito, sotto forma di affetto e paura. Il matrimonio è avverso alla libertà
personale, in esso non c’è libertà tra i due sessi ma è una vera forma di
schiavitù riconosciuta dalla nostra legge. È proprio nella legislazione che
disciplina questi rapporti che Mill riconosce il vero nodo da sciogliere per
raggiungere una vera parità tra i sessi. La moglie non può prendere decisioni
ne su prole ne su averi anche se di sua successione senza il consenso, anche
tacito, del marito. Alla donna è vietata qualunque forma di indipendenza,
anche dopo la morte del marito, a meno che, lo stesso, non abbia rilasciato
testamento al riguardo. Egli parla, inoltre, dell’esclusione della donna dalla vita
politica osservando che le donne sono ritenute incapaci proprio in un’attività
in cui hanno potuto mostrare eccellenza, – Mill porta come esempio l’operato
di alcune grandi regine – cioè nel governo di un Paese. Tra le pochissime
carriere non precluse alle donne ci sono, quindi, quella artistica e, in
particolare, letteraria. Anche in questo campo l’autore sottolinea
l’emarginazione della donna, non per incapacità costituzionali della “natura
femminile” – concetto, tra l’altro, non accettato da Stuart Mill che la ritiene
una “cosa eminentemente artificiale: è il risultato di repressione forzata in un
senso, e di uno stimolo innaturale nell’altro” - come veniva sostenuto
all’epoca, ma per la mancanza di libertà, cosa che non manca agli uomini dello
stesso ceto. Mill chiarisce che la totale eguaglianza tra l’uomo e la donna
comporta anche l’accettazione delle donne a tutte quelle mansioni ed
occupazioni che finora erano ritenute monopolio del maschio, altrimenti non
sarebbe una eguaglianza reale e totale; in breve, l’umanità si svilupperebbe in
maniera migliore e più rapida se gli uomini e le donne lavorassero insieme.
Almeno due motivi portano una donna a non eccellere: il primo è il modo in
cui un’opera veniva accolta a seconda del sesso del suo autore – “ricordiamoci
in che modo era accolta, fino a tempi recentissimi e in qualche misura anche
oggi, l’espressione di opinioni inusuali o di sentimenti considerati eccentrici,
anche se provenivano da un autore maschio. Potremo allora farci una pallida
idea di quali ostacoli deve superare una donna che, educata ad attribuire un
ruolo sovrano al costume e all’opinione corrente, tenti di esprimere in un libro
qualcosa che attinga alla sua natura profonda” – e il secondo riguarda gli
impedimenti oggettivi a cui una donna va incontro, come la mancanza di
tempo dovuta innanzitutto alla gestione della casa, concezione non usuale per
un’epoca in cui l’opinione comune era che le donne “non hanno nulla da fare”
e che di conseguenza il tempo delle donne non ha un grande valore. Mill scrive
infatti che “la gestione di un’unità familiare, anche quando non comporti gran
lavoro fisico, è estremamente gravosa dal punto di vita mentale: richiede una
vigilanza incessante e un occhio a cui non sfugga alcun dettaglio, pone
questioni che vanno valutate e a cui si deve dare risposta, che siano previste o
impreviste, in qualunque ora del giorno, per cui la persona che ne è
responsabile difficilmente può liberarsene.” Inoltre tutto questo non è
prescindibile dal “dovere supremo di piacere”, che implica un ulteriore
impiego di energie per la cura della persona, del vestiario, etc… così come non
è prescindibile dalla pressione costante da parte della collettività con cui la
donna è in rapporto (marito, famiglia, parenti, conoscenti). Il punto focale,
quindi, resta quello delle pretese mosse nei confronti delle donne che
contraggono matrimonio. Dall’osservazione di Mill, il dominio patriarcale
risulta una forma di supremazia molto più radicata, in comparazione con
domini dell’uomo sull’uomo che si sono susseguiti nel corso del tempo:
mentre un tiranno o un élite dominate è in antagonismo con tutti gli altri
membri della società, ed è perciò destinato a cadere presto o tardi, il potere
patriarcale, al contrario, “abita nella persona e nel cuore di ogni capofamiglia
maschio, e di tutti coloro che aspirano a diventarlo. Il contadino esercita, o si
appresta a esercitare, la sua quota di potere al pari del più alto aristocratico.”
È inoltre molto più difficile da estirpare in quanto ogni suddito (donna) vive a
stretto contatto col proprio padrone, in un rapporto di intimità che non gli
permette di complottare contro di lui, ma che al contrario lo porta
maggiormente a cercare i suoi favori e a evitare di offenderlo. “Nel caso delle
donne, ogni individuo della classe soggetta è in uno stato cronico di corruzione
e intimidazione combinate” che le porta a essere condizionate tramite
l’educazione, intesa da Mill come una serie di interventi massicci e assillanti
atti a plasmare la mente delle donne in modo che non pensino di essere
equiparabili a un uomo, inculcando loro un’idea non naturale di
subordinazione aprioristica (educazione, ritiene l’autore, estremamente
dannosa anche per gli stessi uomini). Così descrive questo assoggettamento:
“Vi sono popoli che sono stati vinti e schiavizzati e hanno subito per certi
aspetti una repressione più violenta: ma tutto ciò che di loro non è stato
schiacciato sotto un tallone di ferro, è in genere sopravvissuto e, se ne ha
avuto la minima possibilità, si è evoluto naturalmente. Diversamente è per le
donne: una coltura si serra calda ha forzato le loro attitudini naturali a
beneficio dei loro padroni.”
“The Subjection of Women” rappresenta la ricognizione morale e politica sulla
società contemporanea, è il testo che più di ogni altro fornisce una precisa
descrizione della condizione di subordinazione subita dalle donne,
rappresentando un preciso quadro sociale, familiare e psicologico del contesto
femminile. Nel 1861 Mill elabora il primo scritto, ma la pubblicazione avviene
solo nel 1869 ritenendo che il momento migliore per la pubblicazione sia
quello dopo la sua esperienza come parlamentare alla Camera dei Comuni.
Presenta l’argomento al grande pubblico dopo che la questione della parità dei
diritti tra i due sessi è stata affrontata sotto diversi profili: come prima istanza,
in sede parlamentare per l’estensione del suffragio femminile. Nel 1866 Mill
stesso appoggia una petizione sull’argomento e sulla problematica riguardante
la preclusione delle carriere pubbliche alle donne. Nell’opera dedica parole alle
donne affinché possano non solo riflettere, ma anche attivarsi nella
consapevolezza del loro essere, dei loro interessi e dello scopo della loro vita.
Intraprende una battaglia non solo civile, ma anche politica e parlamentare,
pur sapendo di avere esigue possibilità di successo nell’influenzare l’opinione
delle persone, dei colleghi parlamentari e, probabilmente, delle stesse donne.
Mill mostra, attraverso il suo lavoro, le difficoltà riscontrate nella trattazione
dell’argomento, legate al fatto che la subordinazione delle donne è di fatto
un’usanza consolidata. Alla base di questo pensiero c’è la teoria e non certo
l’esperienza, la cui unica fonte è la ormai famosa frase “la legge del più forte”;
l’autore sottolinea che la società del tempo comincia generalmente a ripudiare
questa frase, come nel caso della schiavitù o l’idea che la nascita di una
persona non dovrebbe determinare il suo posto all’interno della società.
L’unica triste eccezione resta, però, la subordinazione delle donne a causa del
loro sesso. Lo scopo dell’opera è quello di demolire la teoria dell’incapacità
femminile e abbattere i pregiudizi che la sostengono, è una vera
disapprovazione del ruolo della donna nella situazione familiare, politica e
sociale. Lo stato di servitù delle donne lascia un vuoto nella costituzione
sociale moderna e risulta ancora come fatto isolato, ma comunque come un
vecchio modo di pensare. Nonostante il progresso umano abbia portato gli
uomini a sostenere, anche tramite l’uso di leggi, il fondamento di legittimità
del principio di uguaglianza e a rinnegare i rapporti sociali di servitù, nel
rapporto uomo-donna la “legge del più forte” rimane ancora legittima.
Incredibilmente lungimirante e attuale, con questo e altri saggi John Stuart Mill
offre un prezioso spunto di riflessione su temi etici e civili, in modo particolare
con la sua concezione della differenza tra uomini e donne, visibile solo in
quanto le donne non hanno le stesse possibilità degli uomini, riassumibile nella
sua frase “ciò che per alcuni uomini, in società non illuminate, è il colore, la
razza, la religione, il sesso lo è per tutte le donne; un’esclusione radicale da
quasi tutte le occupazioni onorevoli.” Una lezione del 1861 di uno dei baluardi
del liberalismo e dell’utilitarismo che ci offre un’acuta chiave di lettura sul
mondo e su come, nonostante i secoli e i pensatori illuminati che si sono
succeduti, non tutto sia cambiato per questa e per altre forme di
discriminazione e di ingiustizia.
Per “Femminismo” si intende quel movimento politico, sociale, culturale volto
alla rivendicazione dei diritti delle donne affermatosi nell’Ottocento in Europa
e negli Stati Uniti. Una prima fase delle rivendicazioni femminili ha inizio nel
XVII secolo e si configura inizialmente come la reazione a una cultura misogina
profondamente influenzata dalle teorie aristoteliche sull’inferiorità biologica
femminile. L’Illuminismo favorisce la discussione sull’istruzione femminile e
durante la Rivoluzione francese iniziò la partecipazione delle donne a
movimenti politici. Una delle prime sostenitrici dell’emancipazione femminile
è la drammaturga e attivista francese Olympe de Gouges (1748-1793) che, con
la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” del 1791, dedicato a
Maria Antonietta, pone la società a lei contemporanea di fronte al ruolo
negato nello spazio pubblico alle donne. In quegli anni la filosofa inglese,
definita “iena in gonnella”, Mary Wallstonecraft (1759-1797) madre di Mary
Shelley (1797-1851), scrive “è ora di effettuare una rivoluzione nei modi di
vivere delle donne – è ora di restituirle la dignità perduta- e di far sì che esse,
in quanto parte della specie umana, operino riformando sé stesse per
riformare il mondo.”
Nell’Ottocento il Femminismo si sviluppa come movimento di emancipazione
per ottenere la parità giuridica, estendendosi all’Europa dagli Stati Uniti e
dall’Inghilterra. Nascono, in questo periodo, due distinte correnti: il
femminismo liberale, che annovera tra i suoi sostenitori Harriet Taylor e John
Stuart Mill e ha nella conquista dei diritti civili il suo principale obiettivo, e il
femminismo socialista, che punta a rivendicazioni sindacali. Il movimento
anarchico non si differenzia sostanzialmente da quello socialista riguardo al
tema dell’emancipazione femminile, sostenendo che solo un profondo
rivolgimento sociale avrebbe potuto realmente liberare le donne
dall’oppressione patriarcale.
Nel 1865 sorge a Manchester il primo comitato per il suffragio femminile e, nel
1903, l’attivista e politica britannica Emmeline Pankhurst (1858-1928) fonda la
“Women’s social and political union”, le cui aderenti vengono chiamate dagli
avversari “suffragette”. Nel 1905 le suffragette Christabel Harriette Pankhurst
(1880-1958) e Annie Kenney (1879-1953) vengono arrestate e incarcerate per
aver gridato slogan in favore del diritto di voto durante una riunione del
Partito liberale. Seguono altre manifestazioni, tra cui la Manifestazione delle
suffragette a Londra il 22 agosto 1908 che porta nuovi arresti; in carcere, le
manifestanti attuano lo sciopero della fame e il governo è costretto a
emanare, nel 1913, il “The Prisoners Act” che prevede il rilascio delle
scioperanti quando le loro condizioni di salute si sarebbero fatte critiche, salvo
la loro successiva incarcerazione.
L’emergenza della Grande Guerra frena il movimento femminile, che
riprenderà vigore e si evolverà dopo la guerra vedendo il conseguimento, in
pochi ma importanti Paesi, degli obiettivi per i quali le due maggiori correnti si
erano battute. Il primo paese in cui le donne ottengono il diritto di voto è
l’Australia nel 1902. In Europa la strada viene aperta dalla Finlandia e dalla
Norvegia, 1906 e 1907, seguite tra il 1915 e il 1922 da altri diciassette Paesi nel
mondo, tra cui gli Stati Uniti. Nel 1931 si aggiungono il Portogallo e la Spagna;
in Francia il suffragio femmine viene introdotto nel 1944, in Italia un anno
dopo, in Grecia nel 1952 e in Svizzera solo nel 1971.
Nel campo dell’istruzione il processo di parificazione è ancora più lento e
faticoso. In Francia la parità dell’istruzione secondaria femminile e maschile
viene sancita nel 1924; in Inghilterra le università aprono le porte alle donne
verso la metà dell’Ottocento, ma le facoltà di medicina e di giurisprudenza
continuano ad escluderle ancora per molto tempo e, anche quando le donne
riescono ad ottenere l’ingresso nelle università, non sono ammesse agli albi
professionali. In Italia la professione di giudice diventa accessibile alle donne
solo nel 1963. Un contributo cinematografico per una maggiore comprensione
del clima che ha accompagnato le lotte femministe negli Stati Uniti agli inizi del
Novecento è “Angeli d’acciaio” – Iron Jawed Angels, come vengono definite
dalla stampa dell’epoca. Il film narra la lotta determinata di Alice Stokes Paul
(1885-1977), storica femminista che si batte per il voto alle donne.
Ricostruzione di uno degli eventi cardine della storia americana, racconta
come le coraggiose e brillanti attiviste Alice Paul e Lucy Burns (1879-1966)
abbiano dato vita e impulso al movimento rischiando in prima persona.

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