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GEORGE HARRISON

"the quiet Beatle",[3] Harrison became over time an admirer of Indian mysticism, and

introduced it to the other Beatles, as well as those of their Western audience.

“He had the spirituality and the good sense of a compassionate men” Dylan’s words to

remember G. Harrison.

George had already faced that disgusting issue in one of his songs, Art of Dying (album

All Things Must Pass): “Everyone cares about death”, we can read in his biography I

Me Mine related to Art of Dying, “but its cause is being born, so that if you don’t want

to die, you don’t have to be born.

George aveva già affrontato lo sgradevole tema in una sua canzone, Art Of Dying (da

All Things Must Pass): "Ognuno è preoccupato della morte", si legge nella sua

autobiografia I Me Mine a proposito di Art Of Dying, "ma la sua causa è la nascita, così

se non volete morire, non dovete nascere. Quindi the art of dying è quando qualcuno

può consapevolmente lasciare il corpo al momento della morte piuttosto che morire

senza sapere cosa sta succedendo". Una visione serena, derivante dalla sua religiosità,

che gli ha permesso (come hanno ricordato i familiari e gli amici che l'hanno visto negli

ultimi giorni di vita) di attendere sereno la fine.

Anche George era un sognatore", parole di Mike Mills dei R.E.M. "Credeva nella

possibilità di fare del mondo un posto migliore e con il suo idealismo, il suo attivismo e

soprattutto la sua musica ha fatto esattamente questo." "George era una persona buona e

umile che ha creduto nel potere dell'amore per sconfiggere ogni avversità. Ha vissuto la
sua vita senza chiedere nulla per se stesso, e il suo coraggio ci ha ricordato che Dio ha

creato un mondo per la pace", ha affermato Billy Corgan.

La musica di Harrison è proprio come l'ha definita Bono, "misteriosa e inspiegabile".

Uno degli pseudonimi che usava era non a caso L'angelo misterioso.

Uno stile difficile: tranne rari casi, le sue canzoni non sono immediate, non vantano un

ritornello orecchiabile, ma necessitano di molti ascolti per scoprirne i misteri e il

fascino. Il tutto si muove nell'ambito pop, ma con una ricercatezza e una complessità

melodica che hanno poco da spartire con gli aspetti più deleteri e smaccatamente

commerciali del genere.

Uno dei maggiori limiti di Harrison è sempre stata la poca prolificità. per lui il processo

creativo richiedeva più tempo.

Infine i testi, mai banali ma ricchi di ironia, di parole d'amore, di critica sociale, di

esortazioni a favore della salvaguardia dell'ambiente, di messaggi religiosi attraverso i

quali cercava di trasmettere ciò in cui credeva agli ascoltatori. La religiosità è uno degli

aspetti più noti della personalità di Harrison, per il quale è stato spesso criticato: alcuni

testi si avvicinano pericolosamente alla predica in formato canzone. Ma George agiva in

perfetta buona fede, non cercava di blandire i gusti del pubblico, intendeva bensì

stimolarlo ad "aprire la propria mente" per trovare nuovi valori che potessero

migliorarne la vita o nuove sonorità che potessero allietarla. In quest'ottica il disco


Living In The Material World rappresenta l'apice del percorso: per Harrison le dottrine

orientali erano un mezzo per trovare il senso profondo dell'esistenza che andasse oltre i

valori occidentali dell'avere. Ecco quindi la necessità di comunicare questo sentire ai

fan, che però erano, nella maggior parte dei casi, più interessati ad ascoltare una bella

canzone piuttosto che una predica.

La sua attenzione per la musica indiana, che lo ha portato a produrre dischi di Ravi

Shankar con scarso ritorno commerciale, ha un'importanza che si può valutare con più

serenità oggi alla luce del successo e dell'interesse raccolti dalla world music, rispetto

alla quale lo si può giustamente considerare un precursore.

Il sitar non ha rappresentato solo il contributo più noto di Harrison alle sonorità dei

Beatles, ma è stato anche il ponte che lo ha fatto incontrare con la cultura orientale.

dottrine oriental, Harrison non ha mai perso l'entusiasmo e ha continuato ad

approfondirle. Una fede vissuta come parte fondamentale della sua vita, che lo ha

portato a una continua ricerca del significato vero e profondo dell'esistenza: "Sto ancora

cercando chi realmente sono" ha affermato in occasione della sua premiazione ai

Billboard Awards nel 1992. Una fede che lo ha accompagnato negli ultimi momenti di

vita ("L'unico scopo della vita è cercare Dio", avrebbe detto alla moglie poco prima di

morire)
In Sgt Pepper's Lonely Hearts Club Band trova spazio Within You Without You, nella

quale per la prima volta affronta il tema del rapporto con la legge divina: "Parlavamo /

Dello spazio tra tutti noi / E della gente / Che si nasconde dietro un muro di illusione /

Non intravede mai la verità / Poi è troppo tardi / Quanto va nell'aldilà". Nei versi

successivi il misticismo si sposa all'utopismo tipico dell'epoca: "Parlavamo / Dell'amore

che tutti potremmo condividere / Quando lo troviamo / Bisogna fare del nostro meglio

per tenerlo lì / Col nostro amore / Potremmo salvare il mondo". In Long Long Long (dal

White Album) invece si rivolge a Dio chiedendogli perdono per averlo perso di vista per

tanto tempo: "È stato un lungo lungo lungo tempo / Come ho potuto mai perderti /

Quando ti amavo / C'è voluto un lungo lungo lungo tempo tempo / Ora sono così felice

di averti ritrovato / Come ti amo".

Il brano più celebre è My Sweet Lord, un'invocazione a un Dio inteso come essere

superiore e non ad Allah piuttosto che il Dio cristiano. Specificità ribadita in Life Itself

(da Somewhere In England): "Ti chiamano Cristo, Vsnv, Buddha, Geova / Il nostro

Signore / Tu sei Govindan, Bismillah / Creatore di tutto / Tu se l'unico / Non importa

cosa".

concerti giapponesi del 1991, Harrison ha ribadito il concetto: nel coro di My Sweet

Lord elencava tutti i nomi con cui gli uomini si riferiscono a Dio. "Volevo dimostrare",

scrive nella sua autobiografia I Me Mine al proposito di My Sweet Lord, "che Halleluja

e Hare Krisna sono la stessa cosa. Cantavo Halleluja prima di passare a Hare Krisna,

così le persone avrebbero cantato il Maha Mantra prima di capire cosa stesse

succedendo".
Ancora "i nomi del Signore" e non un Dio in particolare: Harrison travalica le diverse

religioni per concentrarsi sulla divinità superiore alla quale ispirarsi per migliorare la

propria esistenza e per trovare il senso profondo della vita. Per lui, infatti, le dottrine

orientali rivestono il ruolo di un rifugio. Travolto da un successo che, al pari degli altri

Beatles, cercava ma non poteva immaginare così isterico, George nella seconda metà

degli anni 60 trova nella religiosità una via per mantenere un equilibrio interiore. Un

aspetto importante che gli permetterà di attraversare senza eccessivi traumi e senza

cercare consolazione in falsi paradisi (le droghe pesanti e l'alcol) il successo dei Beatles,

la loro fine, la popolarità solista nei primi anni 70 e il suo veloce scemare.

Il brano The Lord Loves The One (That Loves The Lord) è il più emblematic: "Le cose

per cui la maggior parte delle persone lotta", si legge in I Me Mine a proposito del

brano, "sono la fama, la ricchezza, il benessere, la posizione sociale: sono le più comuni

ambizioni della vita, ma nessuna di queste è importante perché alla fine la morte ci

porterà via tutto. Così si passa la vita a lottare per qualcosa che è una perdita di tempo".

brano Living In The Material World: "Sono condannato al mondo materiale / Sono

frustrato dal mondo materiale / I sensi non sono mai gratificati / Si ingrossano come

un'onda / Che può farmi affogare nel mondo materiale", per poi giungere all'unica via di

salvezza: "Io prego, sì io prego per non perdermi o smarrirmi / (.) Vivo in un mondo

materiale / Spero di uscire da questo posto / Attraverso la grazia del Lord Sri Krsna".
La religiosità di Harrison si esprime e concretizza nel suo modo di affrontare lo stile di

vita occidentale cercando un equilibrio interiore nella spiritualità. Non si tratta quindi di

una scelta estrema come quelle di Cat Stevens, che ha abbracciato l'Islam rinnegando il

passato, o di Leonard Cohen, che ha trascorso alcuni anni in un monastero buddista.

Rimane comunque un sentimento fervente che, in ogni caso, non gli ha impedito di

finanziare il film dei Monty Python Life Of Brian (in italiano Brian di Nazareth, una

visione consigliata a chiunque), che usa l'arma feroce dell'ironia per mettere alla berlina

il concetto stesso di religione.

Nelle sue canzoni non mancano la satira e la critica sociale, ma non troviamo nulla di

urlato, nessuno slogan

Cockamamie Business : George canta la sua disillusione per il music business, per lo

stile di vita stressante dell'occidente, per la distruzione in atto nel pianeta. Il tutto

descritto attraverso una secca relazione causa/effetto, senza esprimere giudizi di sorta,

anche se la valutazione negativa è implicita: "Ci piace l'aria condizionata / Nonostante

l'aria non abbia più l'anello di ozono / (.) Stanno abbattendo le foreste / Per McDonalds

e Burger King".

http://www.jamonline.it/pages/articolo.aspx?item_id=584

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