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L’estetica del bello

Estetica:
Disciplina filosofica che mira a formulare una definizione del bello e dell'arte. L'estetica (dal greco
áisthesis, "sensazione") si chiede, ad esempio, se esista un peculiare modo estetico della percezione o se,
invece, gli oggetti stessi possiedano in sé "qualità estetiche", e inoltre quali siano le arti e in che cosa
consista il loro riferimento alla bellezza.
Bello:
Dal punto di vista estetico, il bello si rapporta soprattutto alle arti plastiche (architettura, pittura,
scultura), e dunque in primo luogo al senso della vista. Questa determinazione “ottica”, alla quale si
sarebbe legata la nozione di piacere estetico, risale perlomeno a Platone, come attesta il suo dialogo
Ippia maggiore, senza dubbio il primo trattato d’estetica che ci sia pervenuto. Tuttavia, il significato
della nozione di bello, che nel pensiero odierno s’identifica con la nozione d’oggetto estetico, nella
filosofia antica viene ad intrecciarsi con quello di bene.
Ma per ognuno di noi la concezione dell’estetica del "bello", ha un diverso significato, con ovviamente
anche una differente visione.
Partendo da questo presupposto, è un mio intento, conoscere l’evolvesi del gusto estetico attraverso i
secoli.
Non è assolutamente mia intenzione intraprendere una sorta di percorso storico culturale, né tanto
meno la pretesa, di impartire dei precetti artistici, secondo il mio gusto.
Questo è solo un viaggio, un’esplorazione attraverso l’arte, o meglio le arti, un percorso doveroso, per
chi come me, ama il bello, e ogni sua possibile espressione.
Ma è anche vero che bisogna conoscere “il bello” per poterlo sapere apprezzare.
Quindi che cosa è “il bello”innanzi tutto, quali sono poi le regole che governano i canoni della bellezza,
chi le ha stabilite, e poi se vanno bene per tutto e per tutti. Da questi interessanti presupposti, parte una
ricerca personale, sulle regole che fanno di un qualsiasi”oggetto” un “oggetto bello”, e per oggetto
intendo anche “l’essere umano”, in quanto “prodotto finale”, di un processo “artistico evolutivo”, che
ha come risultato ultimo” l'espressione “puramente estetica”.
Ma partiamo dall’inizio: Nall’antica Grecia, il bello era considerato come un punto focale di riflessione,
e come dice il prof. Carmagnola, docente di Educazione artistica all’Università Bicocca di Milano,
l’arduo non era stabilire ciò che era bello, e ciò che non lo era, ma come affermava Platone, era definire
“cosa è bello”.
Nell’Ippia Maggiore il primo trattato sul bello e sull’estetica, giunto sino a noi, Platone, spiega che la
bellezza, doveva essere atemporale, perfetta, simmetrica e proporzionale, e per questo parte costitutiva,
delle idee e di tute le cose.
Ma la bellezza aveva anche delle limitazioni. “nulla è bello senza proporzioni”.
Per comprendere ciò, è necessario analizzare il contesto storico culturale, nel quale Platone, era
immerso. La perfezione, l’armoniosità delle forme, erano lo stereotipo umano.
Sempre per il prof. Carmagnola, nessuna manifestazione appartenente alla Grecia antica, mancava di
tutto ciò: tutto era sviluppato per mostrare un ideale di bellezza che imperò per molti secoli, un canone
di simmetria, ordine e limite. Ciò che non rientrava in questi rigorosi parametri, non era considerato
bello.
Quindi si ha una ricerca del bello attraverso l’arte, e che come afferma Aristotele: ” l’arte è l’imitazione
della realtà, l’arte richiama le cose come dovrebbero essere completando parzialmente, ciò che la natura
non riesce a portare a termine”.
La scultura è il primo passo in questo avvicinarsi alla realtà del “bello”.
Soggetto principale delle arti figurative diviene uomo, l’individuo, un forte impulso in tal senso, si ha
nell’arte del ritratto, con qui si vuole tramandare ai posteri, l’immagine dei sovrani innanzi tutto, ma
anche quelle d’uomini famosi, generali, poeti, eroi, filosofi.
Per la prima volta nell’arte, sono riprodotti efficacemente i sentimenti, soprattutto il dolore, e altri stati
psico-fisici, come l’ebbrezza, la fatica, il sonno.
Molti artisti, andando oltre, cominciano a raffigurare, ciò che va oltre alla normalità e dall’idea della
raffigurazione del bello, e in altre parole: vecchi, storpi, ma il carattere della rappresentazione non era
propriamente realistico.
La continuità della tradizione classica ed ellenista da cui si evolverà verso l’arte bizantina e quella
cristiana primitiva, la si deve ai conquistatori Romani attraverso i secoli del loro impero.
Il primo contatto diretto tra Roma e i centri artistici del mondo greco, è contrassegnato dalla frenesia
dal saccheggio, delle collezioni di sculture e pitture e altre opere d’arte, un enorme bottino, che fu
trafugato a Roma tra il III e il II secolo a.C.
Nel II secolo a.C. dei mecenati romani, succedettero ai re ellenisti, per proteggere gli artisti greci, e un
ricco magnate romano contemporaneo di Cicerone ( 106 a.C. 43 d.C.), non solo aveva fatto dipingere le
mura di casa sua, in perfetto stile greco, ma l’aveva pavimentata con dei mosaici e aveva anche fatto
installare nelle nicchie della sua abitazione, coppie di capolavori dei maestri della scultura greca.
Questo la dice lunga su quanto la nascente arte romana deve a quella greca.
Sotto il regno di Augusto (27 d. C.- 14 d. C.), il patronato degli artisti greci era esclusivamente privato,
con la creazione dell’impero si ha la nascita ufficiale e dell’arte romana, che no è altro che la continuità
dell’arte greca.
I temi comunque non cambiano, i bassi rilievi, raffiguranti grandi battaglie, ornano i più importanti
edifici commemorativi, primo tra tutti l’Ara Pacis eretto a Roma tra il 13 e il 9 a.C.
Il bello è dunque l’uomo, nella sua più alta espressione. L’azione.
E quali gesta possono quindi donare all’uomo un senso di grandezza e renderlo immortale, se non
quelle di forza e conquista, e le grandi gesta atletiche. Ma anche gli dei immortali dell’Olimpo, sono
raffigurati come esseri umani, nella loro più alta forma di ideale di bellezza.
Forza, potenza, armoniosità, immortalità, il grande uomo è esaltato alla pari di un dio, perché come un
dio egli è.
Tra il II e il IV secolo d.C., si ha una nuova visione del “bello”, che non percepisce più l’uomo al centro
di tutte le cose, ma Dio, infatti in quell’epoca vede l’esordio del Cristianesimo.
Come è noto il cristianesimo ha subito nei primi secoli delle persecuzioni. Il contrasto con lo Stato era
dovuto al rifiuto da parte dei cristiani di adattarsi al formalismo ritualistico che imponeva una serie di
cerimonie propiziatorie per la sicurezza della res publica e in particolare il culto dell’imperatore. In
questo periodo l’arte cristiana in Occidente mostra profondi legami con l’arte del tardo-impero: nella
cultura romana degli ultimi secoli viene rappresentata sempre di più, ed in modo solenne, la figura
idealizzata, dell’imperatore che, incarnando un’autorità non più soltanto umana, viene divinizzato. Le
immagini del tardo impero acquistano così un valore simbolico e la diffusione del Cristianesimo, che
usa immagini simboliche, viene agevolata proprio da questa abitudine, ormai radicata nella cultura, a
considerare l’immagine come portatrice di significati che vanno oltre ciò che rappresentano. Dopo
l’editto di Milano (313 d.c.) tutto cambia: la nuova politica costantiniana fa raggiungere livelli di massa
alla produzione artistica d’ispirazione cristiana, che si arricchisce di nuovi motivi. L’arte cristiana si
esprime ufficialmente ed artisti abili ed apprezzati decorano le basiliche con episodi biblici e scene della
vita dei Santi, attraverso immagini assai curate nella composizione e negli accostamenti di colore. Ma
soprattutto nelle opere monumentali cominciano a definirsi nuovi spazi architettonici con funzioni
precise, differenziate e inedite. Nella concezione cristiana, la morte rappresenta il passaggio alla vita
eterna, alla piena comunione con il Padre creatore. In continuità con la tradizione ebraica, anche i
cristiani non bruciano sul rogo i cadaveri dei defunti (incinerazione), ma li seppelliscono sottoterra, in
sarcofagi o in loculi scavati nel terreno. Dal II secolo d.C. vengono così realizzate a Napoli, a Siracusa, a
Roma, nell’Africa settentrionale delle grandi necropoli: sottoterra i cristiani scavarono dei cunicoli
disposti su più piani, in modo da poter ospitare centinaia di salme. Questi coemeteria (da koimào,
dormo) sono comunemente conosciuti come catacombe, dal nome del cimitero più famoso nel
Medioevo, che si trovava sulla via Appia, nella località chiamata Ad catacumbas. Sulle pareti delle
gallerie i loculi per le salme, scavati nel tufo, sono rinchiusi con tegole o lastre di marmo; una semplice
moneta, alcune iscrizioni o frammenti di vetro disposti in modo opportuno, servono a
contraddistinguere una sepoltura dall’altra. I sepolcri dei martiri sono più grandi e maggiormente
decorati. Le gallerie che costituiscono le catacombe convergono, in alcuni punti, verso piccoli ambienti,
le cripte (dal greco kryptos, luogo coperto e nascosto) destinate a funzioni religiose e riunioni collettive.
La decorazione delle pareti, sempre ad affresco, è riservata prevalentemente a questi ambienti. Nei
rilievi e negli affreschi cristiani si utilizzano i motivi ornamentali e i temi della pittura parietale romana:
in essi, però, vengono trasferiti i contenuti del nuovo culto e vengono utilizzate quelle immagini che
meglio si prestano ad assumere significati cristiani. Ad esempio una vittoria alata può diventare la
rappresentazione di un angelo; una scena di banchetto diventa “l’ultima cena”; i motivi naturalistici
legati al mito di Bacco e che rappresentano foglie e grappoli d’uva, diventano simbolo del messaggio
evangelico.
L’arte quindi come messaggio, il messaggio del bene, e che quindi fa diventare“il bello” anche “il bene”.
Il filosofo Plotino ebbe a dire che la contemplazione del bello “è il primo gradino, per congiungersi
all’uno, cioè al principio assolutamente trascendentale di tute le cose. La bellezza infatti è la sola
manifestazione, di ciò che è intelligibile nella dimensione del sensibile, e rappresenta un passaggio cui
l’anima può risalire alla fonte cui è discesa”, cioè a Dio.

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