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La Metropoli silente non è altro che il cimitero di Staglieno che per la sua vastità e paragonabile
proprio a una grande città ma differenza dei grandi centri, questo posto ha una peculiarità, è l’unico
luogo al mondo dove il tempo si è fermato. Come un’istantanea fotografica che ha immortalato la
quotidianità nell’ultimo alito di vita. L’immensità del luogo rappresentata dal grande numero di
bronzi e marmi, che “come veri e propri ritratti, in scultura, di gente comune, giovani e vecchi,
bambini e nonni, mogli e madri, mariti e padri, sorelle e fratelli e nipoti, parlano sottovoce,
narrano abitudini, consuetudini mai dimenticate, danno voce ai loro pensieri, ai loro gesti: pura
poesia e struggente malinconia, attraverso le loro pose, viene spontaneo ammirarli, come se
fossero davvero, un popolo, della non-vita o della vita che continua, nonostante la morte”, l’incuria
in cui molti di questi “inerti corpi” versano, non devasta, anzi al contrario la polvere che il tempo ha
versato copiosamente su questi marmi, ogni singolo granello è una testimonianza dell’immortalità,
il tempo è solo un testimone e noi siamo proprio come quei granelli di polvere, destinati a restare
sino a quando rimarrà di noi il ricordo.
Qui inizia un viaggio, nel luogo più vivo che la genialità umana ha saputo erigere, l’occhio di Anna
è il metro per misurare le nostre sensazioni. A volte la poesia non ha bisogno di parole, è
un’immagine, un sentimento e la morte non è che la nostra compagna di tutta una vita, l’unica che
non ci abbandonerà mai neanche alla fine. La morte non è che l’inizio di una nuova vita e quello
che lasciamo indietro è scolpito sul nudo marmo, che durerà sino a quando durerà di noi il ricordo.
Roberto Vassallo.
Freddo bacio.
Stende il suo pesante candido mantello Ceimon ammantando d’identico colore tutto d’intorno per
ricordare ai figli dell’uomo che v’è un tempo per vivere, uno per ricordare e uno per morire.
Elios è stanco e timidamente appare, è stremato per le fatiche estive, pallido, lontano e alla fine del
suo breve mostrarsi sparisce presto all’orizzonte. Non c’è più il calore nell’aria che scalda i sassi, né
il pallido ozio degli stalloni marini, non s’asciugano i panni stesi al sole, né le lacrime del mare che
carezzando la sabbia scrive antichi versi d’amore.
Guardo inerme tra le fessure della pesante grata il lento decadere delle stagioni,
la pioggia che bussa insistente sui vetri,
il vento che garrisce e strappa con furia i panni stesi con cura ad asciugare.
Guardo indifeso la sconfitta del giorno, ma tra tanto sconforto l’unica cosa chi mi rallegra e che
dentro queste quattro piccole mura io al caldo osservo fuori, la bufera.
Canta la sua canzone, soffia forte dentro i corni ricurvi l’inverno, mentre scende sulla sua slitta di
ghiaccio Bruma la signora del tempo.
Una secca mano bussa ripetutamente alla porta di marmo, so che sei tu, ma io non posso farti
entrare, ascolto il suo ripetuto bussare e l’esile figura che forse assomiglia a te, che ha il tuo
profumo, il tuo profilo.
Ma un giorno spero non troppo lontano, quando la furia dell’invero cesserà di schiacciarti le
membra, queste pesanti porte di marmo si apriranno e quando verrà quel momento, io sarò lì ad
aspettarti, ti abbraccerò e ti bacerò sulle tue fredde labbra e il nostro amore non avrà più fine.
Angeli.
Nell’iconografia classica gli angeli sono bellissimi, che brillano di luce divina, maestosi e terribili.
Qui sulla terra, luogo deturpato dalla mano dell’uomo, essi si vestono degli abiti umani, e spesso
assumono tratti ben diversi da come sono in realtà.
Sempre d’angeli si tratta.
Tornando a casa mi pervade l'angoscia che come maligno virus, m'incatena a questo mondo
e mentre l'ombra incide di scuro colore il già nero asfalto,
fa ricordare a chi per un attimo se ne fosse dimenticato,
che qui siamo solo degli ospiti, destinati ad andarsene quando anche per noi caleranno le etrne
ombre della sera.
Ti darò una dolce morte.
Ti darò una dolce morte e dalle tue labbra nascerà un fiore, fiore di maggio, fiore d'amore.
Dimentica ciò che è stato e ciò che sarà, io ti darò una morte dolce e una migliore vita e tu sarai
finalmente libera di essere quello che hai sempre desiderato.
Lasciati morire per mia mano, io sarò il tuo peccato e tu il fiore che ne nascerà.
Si io ti darò una dolce morte, e dalle tue labbra nascerà un fiore, fiore di maggio, fiore d'amore,e tra
i suoi rossi petali inciderò il mio nome, cosicché tu non lo possa più scordare.
L’ultimo ballo.
Mi maledirei ogni giorno della mia vita se ciò non potesse accadere.
quante cose che avrei voluto fare e non ho fatto.
quanti piccoli pensieri che avresti meritato e che sono rimasti tali.
quante frasi d’amore si sono infrante tra i miei denti.
quante carezze mi sono rimaste nelle tasche.
e quante ne ho perse inutilmente strada facendo.
Ti bramo,
ti cerco come il deserto anela all’acqua
e sebbene solo una goccia di quel vitale nettare potrebbe bastarmi,
io voglio il tutto,
impossessarmi ancora di ciò che fu mio e che fu tolto mio malgrado,
mi fu rimosso da quella giustizia divina ch’io rinnego ora come la rinnegai in vita.
Ho smania di te,
afflitto dalla voluttà che in amore mai ne fui ebbro,
ha! Che bruci pure la mia anima all’inferno,
che avvampi per l’eternità,
se solo un attimo di vita scendesse ora in queste secche viscere
e ridestasse questo mucchio d’ossa!