Quando ho iniziato ad occuparmi della storia e della cultura dei miei concittadini
ebrei, alcuni di loro mi parlarono di un libretto perduto, Gli ebrei venuti a Livorno,
di Raffaello Ascoli. Si pensava fosse la testimonianza pi autentica del mondo del
popolino ebraico livornese che parlava il bagitto, il tipico idioma locale di origine
giudeospagnola.1
Raffaello Ascoli lo aveva fatto stampare... in soli 20 esemplari, nel 1886, dalla
tipografia di Israel Costa, una delle quattro o cinque che nella seconda met
dellOttocento stampavano in ebraico per tutte le qehillot del Mediterraneo.
Venni a conoscenza del testo grazie ad un mio alunno che un giorno disse di
possedere un libro che parlava degli ebrei venuti a Livorno. Sorrisi, scettico: il libretto
era, ed tuttoggi sconosciuto a tutte le bibliografie nazionali ed internazionali.
Persino lIstituto Centrale del Catalogo Unico (ICCU) di Roma non ne conosce
lesistenza.2 Daniele Tabellini, lalunno di cui parlavo, me lo port in visione, ne feci
alcune fotocopie ed ormai da una decina danni esso un libro ritrovato, anche se non
1
2
Lultimo grande cabbalista livornese, Alfredo Sabato Toaff di beata memoria, si doleva di
non averlo mai potuto avere per le mani.
Finch non sar ripubblicato, il libro rimarr una semplice fotocopia che pochi fortunati
hanno avuto in visione, grazie al mio intervento: amici e studiosi come il prof. Renzo
Cabib, di beata memoria, Gabriele Bedarida memoria vivente della Comunit di Livorno
ed il prof. Fabrizio Franceschini dellUniversit di Pisa. Il prof. Ariel Toaff ne cita alcuni
passi in un suo volume: probabilmente vi ha avuto accesso tramite la catena familiare che
ancora lo lega a Livorno.
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ancora noto come dovrebbe meritare. E una miniera di fatti grandi e piccini narrati
in poesia, dal metro vario e talvolta incerto. E quella che altrove si sarebbe chiamata
la memoria del ghetto: uno strumento di formidabile documentazione sulla vita
quotidiana e, soprattutto, sulla mentalit degli Ebrei di Livorno, cio di una qehillah
di recente formazione (appena 4 secoli di storia) ma gi ricca di una costellazione di
riferimenti narrativi testimoni della propria vitalit.
Il volume si apre con la trascrizione, abbastanza fedele se si eccettuano poche
varianti adiafore classificabili senzaltro come errori di stampa, della versione del
1593 delle Lettere patenti di Ferdinando I deMedici (note come Livornine) con cui
il Granduca sceglieva di popolare di una borghesia commerciale ed imprenditoriale la
futura citt di Livorno.3 Il Granduca chiam in citt gli ebrei che erano stanziati lungo
tutto larco del Mediterraneo, e in particolare i marrani, specialmente portoghesi,
garantendo loro, grazie alla sua protezione, la piena libert di culto contro gli attacchi
dellInquisizione.
Il volume diviso in due parti. La prima, intitolata Gli spagnoli, raccoglie
e riporta in poesia notizie varie concernenti gli ebrei di origine iberica (portoghese,
castigliana o catalana), riportando onomastica familiare ed aneddoti dun umorismo
Livorno sino al 1577 era una propaggine di Pisa (Castello e Terra di Livorno si
chiamava, nei documenti ufficiali). In quellanno i Medici decisero di edificarvi il porto e
la citt dintorno, per linterramento oramai irreversibile del Porto Pisano. La prima pietra
fu posta alla presenza del Granduca il 27 aprile del 1577; i lavori si protrassero per quasi un
trentennio, e lerezione a citt avvenne il 4 agosto 1606. In questo quadro amministrativo,
apparvero le Livornine dapprima con un motu proprio di Ferdinando I, che nellottobre
1590 invita a Livorno forestieri non residenti in Toscana manifattori di sartie, calafati,
maestri dascia, legnaiuoli... muratori marangoni scarpellini pescatori marinai fabbri. Sin
dallinizio appaiono le prime forme di privilegio che avrebbero fatto la fortuna di Livorno
(e la cattiva fama dei livornesi): limmunit da delitti commessi fuori del Granducato
(eccetto lomicidio e la lesa maest), la inesigibilit dei debiti lasciati fuori del Granducato,
la moratoria di 5 anni per i debiti contratti nel Granducato al di fuori di Pisa e Terra di
Livorno. Nel 1591 si sarebbero aggiunti altri privilegi importanti, come lesenzione da
ogni forma di corve e lesenzione dal pignoramento delle masserizie per causa debitoria
non eccedente i 500 ducati. Dopo due anni di trattative e negoziati, ebbero forma definitiva
nel 1593 le Lettere Patenti, pi note come Livornine, contenenti condizioni migliori per gli
Ebrei, grazie allattenta regia dellimprenditore ebreo Maggino di Gabriello. Sembravano
concernere Pisa, a cui testualmente si riferivano, ma in realt erano studiate apposta per
lanciare la trasformazione di Livorno da semplice villaggio in citt portuale.
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talvolta surreale. La seconda parte, intitolata Gli altri, narra degli ebrei che non
avevano origine sefardita: gli italkim e gli aschenaziti. Allinterno di questa seconda
parte spicca un elenco degli Ebrei livornesi che hanno partecipato alle varie fasi del
Risorgimento nazionale italiano, a partire dal 1848-1849. Il lavoro si conclude con
due importantissimi elenchi di cognomi di ebrei livornesi, suddivisi in sefarditi e non
sefarditi.
Allinterno del volumetto alcuni passi ricostruiscono la fisionomia dellelemento
femminile ebraico livornese, sefardita ma non solo. Cos, vi si trovano episodi
interessanti relativi a superstizioni:
Bemporad c figliuola a Felice
e la Sraffa al suo sposo sorella.
Mi han pregato con dolce favella
Le susine vogliamo gustar
siamo incinte! Lei sa che non lice
nostre voglie ad alcun trascurar!.
E perch non mi gettin lorzaiolo
due soldi detti lor da buon figliolo
(II parte, canto VIII ottava 19, p. 153)
Lautore allude alla superstizione (non si sa se comune allambiente cristiano) per
cui quando incontravano qualcuno con locchio gonfio, le matrone esclamavano:
ha lorzaiolo perch ha ricusato qualche cosa ad una donna incinta (come chiarisce
lautore stesso, in nota).
Vi sono alcuni esempi di virt muliebri e altri di donne dal comportamento
anticonformista; vi si incontra Laurina Anau che incarna lo stereotipo della donna
soldato, ambientato nelle guerre di indipendenza italiane, verosimilmente nel
quadro della spedizione garibaldina dei Mille, per la quale attestata la partenza di
volontari livornesi da un lido sabbioso (la spiaggia del Calambrone) da dove in barca
raggiunsero una delle due navi, che li attendeva al largo della Meloria:
dalle donnesche gesta un d disciolta
si vede da soldato
col fucile prontissima a far fuoco
contro i Tedeschi. E quando entusiasmato
Cesare laltro figlio and alla guerra
Laurina passo passo ha seguitato
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Per parte mia, ho consultato la seguente edizione: Riti e costumi degli ebrei descritti
e confutati dal dott.Paolo Medici sacerdote e lettor pubblico fiorentino Firenze presso
Gaspero Ricci 1847.
Ma vi erano anche i casi inversi, giacch luso di assumere servit cristiana (prolungatosi
sin nel dopoguerra) ha conosciuto figure fulgide, che aiutarono gli ebrei durante la
persecuzione, come Anna Palagi fedele governante dei Toaff-Bedarida che li salv dalla
deportazione, sottraendoli alle spiate di concittadini felloni ed alla caccia delle autorit
fasciste.
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Serristori, ossia allincrocio in cui il quartiere ebraico si fondeva con quello cristiano.6
Ascoli ci d addirittura i suoi dati anagrafici (nascita 21-1-1783, morte 28-2-1869,
pat.Mos Modigliano, mat.Rosa Tedeschi); interessante anche conoscere i luoghi
(le campagne, o lAppennino) da cui le serve affluivano a Livorno: Lari, Chianni
(in provincia di Pisa) Capannori (in Lucchesia), Campi (probabilmente Bisenzio, tra
Firenze e Prato) e Fiumalbo, sullAppennino pistoiese, oltre a tutta la Garfagnana. Ma
leggiamo cosa ci dice lautore:
Piangete o serve della Garfagnana
e di Fiumalbo voi fulgide stelle
poich il possente che ferisce e sana
che d la vita e la ritoglie, espelle
la generosa vostra protettrice
dal mondo sublunar e le fiammelle
dell almo spirto, nuova Berenice
gi tramandano in cielo i rai lucenti.
Pi di sedici lustri ormai felice
vissuto avea tra la terrena gente
la Mazzaltob Sitr gloria del mondo,
allor che di vecchiaia il mal potente
di un letticiuolo la gett nel fondo:
delle cure per voi dal mal costretta
per sempre ahim 1asciava il grave pondo.
Oh sfortuna per voi! La poveretta
consumata dagli anni ma di spirto viva
si rammentava larte sua diletta,
e alla fida compagna il core apriva.
A Livorno il ghetto non mai esistito; vi stata una zona del centro cittadino abitata
prevalentemente, ma non esclusivamente, da ebrei, soprattutto di bassa estrazione, attorno
alla Sinagoga, lungo via della Tazza (non pi esistente, dopo le distruzioni belliche), via
del Tempio e via di Franco (dal nome di una delle famiglie sefardite pi importanti); ebrei
di estrazione pi elevata hanno abitato in unaltra zona, quella dellodierna via Ernesto
Rossi (talvolta detta addirittura via degli Ebrei). Le famiglie pi ricche abitavano distanti
dal centro, in periferia, generalmente in ville pi o meno sontuose (Villa Attias, Villa
Lazzara, villa Medina, villa Regina, ecc.).
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aschenazite, il cui ruolo era ovviamente diverso da quello delle cristiane, tant vero
che numerose di loro finivano per trovar marito tra i sefarditi livornesi. Si formavano
vere e proprie carovane di ragazze, che giungevano dal Nordeuropa accompagnate
da un vecchio, detto aliah, letteralmente in ebraico messaggero, in realt una
figura che assommava i ruoli di scorta e conduttore, ma anche sensale; vecchio, per
comportare meno problemi possibile per la virt delle giovani che sciamavano da
Germania e Polonia:
Qual trambusto qual chiasso si sente
sulle vie di Baviera o Sassonia,
perch mai la lontana Polonia
ha coll Austria i villaggi in rumor?
Di Sion la donzella piangente
si separa dai suoi genitor !
Prende la via con sicura speranza
di star pi quieta almeno in lontananza.
Perch ai miseri ebrei che son troppi
non abbonda guadagno e lavoro
e ricercano un qualcho ristoro
alla loro crudel povert,
e han pensato che son vero intoppo
le ragazze di quelle citt.
Si pongono in cammin tra allegre e meste
E aspirano di giunger per le feste.
E sen vanno dirette da un vecchio
quello vispe tedesche ragazze:
vi di tutto, le serie e le pazze,
in questo Esodo strano novel,
se ne van col lor piccolo specchio
che gli rende l immagin fedel,
E vedendosi in quello, ognuna crede
di esser amata, appena la si vede!
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C poi la curiosa vicenda di due sposi promessi per la vita, che pur vivendo assieme
non coronano che platonicamente il loro sogno damore, rimanendo casti sino alla
morte. Al suo interno v tra laltro il riferimento ad un uso proprio dellambiente
sefardita, comune ad altri territori mediterranei, ma non al resto della citt di
Livorno.
Lui, Isacco Silva, porta un regalo di compleanno a lei, la Piangi, che vive nella
sua casa in attesa di sposarlo; si tratta di un regalo simbolico, un ventaglio. Con
quel pretesto Silva la va a trovare sperando di poter fissare finalmente la data del
matrimonio; ma lei, imbronciata per chiss quali motivi, sera gi messa al balcone
a prender aria. La vicenda d luogo ad un curioso giuoco di parole agevolato dalla
polisemia del termine aria in italiano, che vale (tra laltro) sia aria in movimento
che modo di atteggiarsi:
La nascita di lei Silva rammenta
ch il suo primo pensier che tanto adora
e lamore, in quel d, gi non rallenta,
ma gentilmente dalla tasca fuora
trae un ventaglio che si faccia aria
e dice: Cara sposa, questa lora
che devo domandarti: a che tantaria?
E la gentil donzella gli risponde
Aprii il balcone e presi un poco daria
(I parte, canto X vv. 19-91, p. 42-45 )
Lautore in nota (p. 43 nota 2) trascrive anche come tal episodio allepoca veniva
tramandato in giudeo-spagnolo:
Una sera Silva trov imbronciata la sposa e le domanda: A que tiene tanta aria?
ed essa gli rispose in sussiego Me misi o balcon e tom un poco de aria
testimonianza tra laltro del sincretismo linguistico del bagitto (il judeolecto
livornese). In questa citazione si trovano infatti fusi italiano, castigliano e portoghese
(questultima lingua presente con larticolo o). Alla fine, con la storia dellaria,
neanche questa volta il matrimonio vien fissato.
Ma quel che pi interessa la metafora del ventaglio. Alle ragazze sefardite
serviva fisicamente per attenuare la calura estiva; ma simbolicamente per segnalare
la condizione di nubilato, se agitato con alta frequenza. Le donne al contrario
segnalavano di essere coniugate, sventolandolo lentamente. Si tratta di una metafora a
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sfondo sessuale derivato; la giovine usa il ventaglio per sedare il calore del desiderio
che si somma a quello della temperatura; la maritata invece lo sventola lentamente,
giacch ha ormai un marito che calma i suoi ardori, e quindi deve far fronte solo al
clima. un uso attestato ancor recentemente in Sicilia oltre che in Andalusia. Ecco
come narra la vicenda Ascoli:
Oh il belluso di allor che non nasconde
in che stato la donna! Dai suoi moti
che col ventaglio fa, luom non confonde
la donna chha marito, e chi fa voti
ardenti per averlo! Ti fai vento,
o maritata, e lentamente scuoti
le stecche con tranquillo movimento
sul tuo bel seno e pare di sentirti:
Io, marito ce lho! Oh qual contento!
Tu, giovanetta dai bollenti spirti
muovi veloce lo steccato foglio
e ti cuopri e ti scuopri e sembra udirti:
Io lo voglio, il marito, il voglio, il voglio!
E i garzoni dallora tutti onesti
non incorrevano in alcun imbroglio
e i loro omaggi dedicavan presti
alla ragazza che vuole farsi sposa,
che muove il suo ventaglio a tratti lesti.
(I parte, canto X, vv. 49-62, pp. 43-44)
Cos concluderei, sperando di non aver troppo annoiato i miei pochi lettori, che
comunque ringrazio della cortese attenzione.
Paolo Edoardo Fornaciari
Livorno Dubrovnik, giugno-agosto 2008
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