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La
signora
di
notte
Dramma
in
tre
atti
Di
Roberto
Vassallo
La
signora
di
notte.
Prefazione
dell’autore.
Il
peccato
nelle
sue
molteplici
forme
è
l’argomento
che
tratta
questo
dramma,
ed
è
visto
con
due
occhi
differenti.
Quello
di
Penelope
che
è
un
travestito
costretto
suo
malgrado
a
fare
la
vita,
un
personaggio
dal
carattere
dominante
e
per
nulla
intimorito
dalla
vicissitudini
della
vita,
s’oppone
a
quello
di
Orfeo
un
bigotto
e
meschino
personaggio,
che
fa
della
morale
il
suo
cavallo
di
battaglia,
ma
dentro
di
sé
cova
desideri
inconfessabili,
che
solo
Penelope
(in
questo
caso
diventata
la
sua
coscienza),
ne
verrà
sottomesso.
La
maschera
e
il
trucco
usati
come
metafora
per
nascondere
ciò
di
cui
si
ha
vergogna,
la
parte
malata
o
più
semplicemente
nascosta
di
noi
stessi.
In
questo
caso
Penelope
non
ha
nulla
da
vergognarsi,
lei
ha
l’orgoglio
di
fare
tutto
alla
luce
del
sole,
la
sola
maschera
che
usa
è
quella
dei
desideri
dei
clienti,
tutto
l’opposto
di
Orfeo,
che
fa
della
sua
maschera,
il
riparo
dalle
sue
malattie,
un
muro
dove
nascondersi
quando
è
scoperto,
il
capro
espiatorio
di
se
stesso.
Il
desiderio
rende
tutti
uguali
e
deboli,
scioglie
le
maschere
di
cera
e
ci
rende
umili
ma
anche
sottomessi
alle
nostre
passioni
talvolta
troppo
forti
perché
siano
sconfitte.
Vassallo
Roberto.
Preambolo.
Uomo
e
donna
sono
indivisibili,
non
si
può
concepire
l’uno
senza
l’altro,
perché
l’uno
e
insito
nell’altro.
Questa
è
la
storia
della
notte
un
po’
particolare
di
una
signore
della
notte.
Dove
i
sogni
trovano
sbocco
nella
realtà,
dove
i
desideri
si
avverano,
dove
la
lussuria
viene
appagata,
dove
la
realtà
è
raschiata
con
le
unghie,
dove
l’uomo
si
rivela
per
quello
che
è.
Il
desiderio
si
manifesta
come
ossessione
e
come
tale
domina,
fino
a
che
non
ci
si
sottomette.
L’uomo
è
schiavo
dei
suoi
desideri,
delle
sue
passioni,
delle
sue
voglie
e
per
esse
si
può
giocare
tutto
anche
la
reputazione,
anche
la
vita.
Questa
è
la
storia
di
un’incontro
dove
il
bene
si
mischia
col
male,
dove
il
cattivo
si
fonde
col
buono,
dove
la
notte
copula
col
giorno
e
dove
l’uomo
di
sfogo
alle
sue
insane
voglie.
Penelope
è
colei
che
ha
la
chiave,
una
specie
di
San
Pietro
del
purgatorio.
Penelope
è
lo
specchio
dove
la
maggior
parte
delle
persone
rifiuta
di
specchiarsi.
Penelope
è
la
signora
della
notte.
Atto
Primo
Dal
diario
di
Penelope.
Oggi
so
chi
sono
e
a
chi
appartengo,
quello
che
è
stato
sino
a
poco
fa
ora
appartiene
all’oblio
al
nulla
al
passato.
La
mia
nuova
storia
è
scritta
sulle
lenzuola
macchiate
del
sangue
della
mia
verginità
perduta,
il
mio
futuro
è
rischiarato
dalla
luce
fredda
dei
lampioni,
il
mio
letto
è
un’occasionale
alcova
ed
io
sono
Penelope
la
signora
della
notte.
L’immagine
riflessa,
i
ricordi,
il
trucco.
Narratore:
Un
uomo
ha
di
fronte
se
stesso
la
sua
immagine
riflessa,
si
guarda,
si
contempla,
osserva
inciso
sul
suo
viso
lo
scorrere
del
tempo
i
solchi
del
passato,
i
segni
delle
sue
tragedie,
poi
con
fare
lezioso
si
appresta
alla
trasformazione,
ma
prima
ha
un
fremito
come
se
si
ricordasse
che
sia.
Solo
allora
scosta
lo
sguardo
dallo
specchio
e
come
se
si
rivolgesse
ad
un
pubblico
si
presenta.
Sono
un
uomo,
solo
un
uomo.
Che
cosa
sono
questi
sguardi
che
gravano
sul
mio
capo
come
un
macigno?
Che
cosa
avete
da
guardare
con
quegli
occhi
tanti
increduli?
Non
fate
finta
di
nulla,
voi
mi
state
giudicando.
Sì,
forse
avete
ragione,
avete
sempre
ragione,
e
non
chiedetevi
chi
io
sia,
perché
in
cuore
vostro
vi
siete
già
risposti,
non
chiedetevi
cosa
io
faccia
perché
già
vi
siete
dati
una
risposta.
Voi
mi
avete
già
giudicato
e
condannato.
Crocifisso
e
umiliato
e
avete
sparso
le
mie
ceneri
ancora
prima
che
venissi
arso.
Non
è
forse
così?
Quante
volte
avete
giudicato
un
uomo
prima
d’averlo
conosciuto?
No
non
mentite
non
stavolta,
non
ora
O
la
vostra
coscienza
giudicherà
voi
stessi.
Guardatemi
bene,
sono
un
uomo,
solo
un
uomo,
come
voi
e
uguale
a
voi,
faccio
le
stesse
cose
che
fate
voi,
mangio,
bevo,
dormo,
cammino,
amo
e
soffro,
esattamente
come
voi.
Non
sono
meglio
né
peggio
di
voi,
non
ho
colori,
né
religione,
Ma
a
differenza
di
voi
ogni
notte
mi
gioco
la
vita,
ogni
notte
vendo
la
mia
dignità
quasi
tutto
di
me,
per
potere
sopravvivere
e
tenetelo
presente
la
prossima
volta
quando
verrete
con
me.
Poi
l’uomo
si
rigira
verso
lo
specchio,
si
guarda,
come
se
si
vedesse
ora
per
la
prima
volta,emette
un
lungo
sospiro
e
di
colpo
lo
specchio
lo
trasforma,
vede
in
esso
la
sua
infanzia,
i
suoi
sogni,
le
sue
paure
e
ricorda,
chi
di
noi
non
ha
dei
ricordi.
I
sogni
delle
Bambine.
I
sogni
delle
bambine
scintillano
come
neve
al
sole,
peccato
debbano
sciogliersi
con
l’età.
Sognavo
cavalli
e
principi,
avevo
l’innocenza
tra
le
mie
dita.
Sentivo
l’erba
umida
sotto
i
miei
piedi
e
avevo
l’oro
tra
i
capelli.
E
danze
tra
i
gradini
dei
palazzi,
i
cani
e
gatti,
che
corrono
felici,
amore
e
gioia.
I
sogni
delle
bambine
scintillano
come
neve
al
sole,
peccato
debbano
sciogliersi
con
l’età
.
Ora
che
sono
cresciuta,
ho
provato
sulla
mia
pelle
che
non
esistono
né
principi,
né
palazzi
dorati,
non
v’è
più
oro
tra
i
miei
capelli
e
l’innocenza
è
svanita
col
vento
Ed
io,
come
un
clown
triste,
mi
preparo
lentamente
come
ogni
sera,
perché
è
ora
che
lo
spettacolo
inizi.
Al
fine
il
ricordo
svanisce
lo
specchio
si
appanna
e
lui
si
rivede
come
un
clown
triste,
che
si
appresta
ad
andare
in
scena.
La
vestizione
del
clown
I
miei
gesti
sanno
di
vecchio,
la
mia
pelle
odora
di
stantio,
fatico
a
togliere
le
ragnatele
delle
mie
rughe.
Oh!
Tristezza
mesta
compagna
delle
mie
notti
insonni
Abbi
pietà
di
me.
Com’è
bella
la
mia
veste
tutta
luce
e
pailletes,
com’è
bella
la
mia
maschera,
tutta
d’oro
dipinta.
Oh!
Tristezza
mesta
compagna
delle
mie
notti
insonni
Abbi
pietà
di
me.
Dolce
abito
rendimi
invincibile,
invisibile
e
immortale,
rendimi
unica
come
le
stelle
del
cielo.
Oh!
Tristezza
mesta
compagna
delle
mie
notti
insonni
Abbi
pietà
di
me.
Indosso
la
pesante
armatura,
compagna
di
mille
battaglie,
ma
fragile
è
la
mia
difesa,
ma
debole
son
io,
come
una
foglia
in
balia
del
vento.
Oh!
Tristezza
mesta
compagna
delle
mie
notti
insonni
Abbi
pietà
di
me.
Piange
il
clown
triste,
piange
la
notte,
piangono
i
bimbi
che
non
vogliono
dormire,
e
io
che
lo
vorrei
piango
il
mio
triste
destino.
Oh!
Tristezza
mesta
compagna
delle
mie
notti
insonni
Abbi
pietà
di
me.
“Make
up”
Comincio
dagli
occhi
il
rimmel
e
la
matita
non
proprio
leggera,
un
fondo
tinta
pallido
ed
un
rossetto
carico,
parrucca
rosso
fuoco
e
tacchi
vertiginosamente
alti,
sono
così
sexy!
Un
vestito
aderente
dal
colore
argentato
come
le
stelle
del
cielo,
unghie
da
tigre
e
passo
da
pantera,
chi
vuole
venire
con
me
stanotte?
Sono
una
puttana
da
strada
Vediamo
se
ti
bastano
soldi,
Puttana
da
strada,
chi
vuoi
ch’io
sia
stanotte
Puttana
da
strada
e
ti
regalerò
il
tuo
sogno.
Mi
puoi
trovare
all'angolo
in
fondo
alla
tua
strada
sono
all'uscita
del
cinema
e
sotto
le
tue
coperte,
dentro
i
tuoi
sogni
più
segreti,
sono
tua
madre
e
tua
sorella,
l’angelo
o
un
demone,
il
Lete
ed
il
veleno,
una
dolce
compagna,
o
la
tua
cagna.
Un
vestito
aderente,
colore
argento
come
le
stelle
del
cielo
unghie
da
tigr,
e
passo
da
pantera,
chi
vuole
venire
con
me
stanotte.
Sono
una
puttana
da
strada
vediamo
se
ti
bastano
i
soldi,
Puttana
da
strada,
chi
vuoi
ch’io
sia
stanotte?
Puttana
da
strada
e
ti
regalerò
il
sogno.
Comincio
dagli
occhi,
il
rimmel
e
matita
non
proprio
leggera,
un
fondo
tinta
pallido
ed
un
rossetto
carico,
parrucca
platinata
e
tacchi
alti,
sono
così
sexy.
Una goccia dal mare.
La
solitudine
è
un
bicchiere
vuoto
che
nessuno
riempie
più.
Il
ripetersi
senza
tempo
delle
medesime
cose,
lo
scandire
vuoto
dell'esistenza.
La
solitudine
è
un
piatto
freddo
che
nessuno
mangia
più.
Occhi
senza
lacrime,
labbra
senza
parole,
anime
perse
dissolte
dalla
noia.
Una
goccia
dal
mare
si
frange
sugli
scogli
una
volta
sola,
dopo
di
che
muore.
Una
goccia
dal
mare,
lascia
la
sua
impronta
sulla
sabbia
una
sola
volta,
dopo
di
che
il
sole
l'asciuga.
La
solitudine
è
una
porta
chiusa,
che
nessuno
apre
più,
dove
nessuno
bussa
più,
dove
non
esiste
chiave,
solo
il
vuoto
che
spalanca
all'oblio.
La
solitudine
è
una
luce
spenta
Una
barca
alla
deriva,
un
fiume
senz'acqua,
un
uomo
senza
una
donna,
un
cuore
senza
amore,
una
terra
senza
luna,
una
goccia
dal
mare.
Finita
la
vestizione
“Penelope”
si
alza,
si
guarda,
ma
il
suo
sguardo
ora
è
fiero,
non
è
più
quello
di
una
persona
sconfitta,
il
suo
sguardo
è
quello
di
un’amazzone
pronta
a
combattere
a
morire
se
è
necessario.
Si
“lei”
ha
già
vinto
la
sua
battaglia
ancora
prima
di
cominciare,
lei
sa
che
vincerà
ancora.
Narratore:
“l’uomo
affamato
d’amore
è
un
debole,
che
per
soddisfare
questo
suo
appetito
è
disposto
a
tutto,
anche
a
perdere
l’orgoglio”.
Il ciclo del giorno.
Ho
appeso
la
luna
alla
finestra
perché
mi
nasconda
il
sole,
il
giorno
è
così
deprimente.
Posso
essere
un'altra
persona
solo
quando
comincia
a
farsi
buio
e
la
notte
mi
trasformo
come
un
lupo
irrequieto,
mentre
dl
giorno
vago
senza
meta.
Oh!
Non
so
se
ti
vedrò
ancora
stanotte
non
so
nulla
di
te,
forse
siamo
due
mondi
distanti
che
mai
s'incontreranno,
io
ubriaca
di
solitudine
vago
senza
meta.
Fuori
piove
e
ciò
mi
mette
quasi
allegria,
ma
un
clown
non
è
mai
felice,
aspetterò
quindi
che
cali
ancora
la
notte,
il
giorno
mi
è
così
indifferente.
Specchio
specchio
delle
mie
brame
chi
è
la
più
bella
del
reame?
Mai
nessuno
le
dirà
che
è
bella,
così
“lei”
lo
chiede
allo
specchio
come
la
strega
di
Biancaneve,
con
la
sola
differenza,
che
lo
specchio
non
mente.
Ed
è
lo
specchio
che
parla,
suo
amico,
suo
confidente,
suo
amante
segreto,
suo
custode
geloso,
evanescente
contenitore
d’immagini,
severo
critic,
e
messaggero
del
tempo
e
degli
dei.
Il lamento dello specchio.
Penelope: Specchio, specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?
Specchio:
“
Io
sono
te,
l’acqua
nella
quale
ti
specchi,
l’acqua
della
quale
ti
disseti,
io
sono
la
tua
coscienza,
le
frasi
mai
dette,
il
vestito
dei
giorni
dì
festa,
il
tuo
Ego,
le
tue
lacrime,
le
tue
risa,
la
tua
anima,
e
il
tuo
cielo”.
Di
me
ti
puoi
fidare
mia
compagna,
amante,
amica,
mai
io
ti
ho
mentito
e
mai
poteri
neanche
se
volessi.
Sono
come
te,
sangue
del
tuo
sangue,
io
veglierò
sul
tuo
sonno,
veglierò
sui
tuoi
sogni,
veglierò
su
te
amore
mio.
Dedica.
Sei
la
cosa
più
bella
in
questo
angolo
di
purgatorio
e
sembra
che
le
miserie
di
questo
mondo
non
osino
toccarti,
divinamente
distrutta,
visibilmente
astratta,
vaghi.
Non
so
nulla
di
te,
e
non
m'interessa
ti
amo
per
come
sei.
Ho
trovato
l'accordo
giusto
per
questo
pezzo
di
vita
Sei
tu.
L’esistenza
non
è
poi
così
brutta
se
si
è
in
due,
un
tappeto
sonoro
ci
condurrà
lontano,
ci
taglieranno
i
piedi
ma
non
le
ali.
Vola
amore
mio,
ti
ho
aperto
le
catene,
ma
c'è
ancora
dell'alcool
in
fondo
al
tuo
cuore
e
dello
sporco
sulle
tue
labbra.
Non
vuoi
provare
a
toglierlo?
(la
notte,
la
strada,
l’incontro)
Narratore:
“Notte
mia
amica,
sorella
mia,
ogni
stella
è
un
desiderio
e
ogni
desiderio
è
una
lacrima,
ogni
lacrima
è
un
rimpianto
e
ogni
rimpianto
è
un
dolore”.
“Notte
confidente
mia.,
tu
che
copri
col
tuo
nero
manto
le
alcove
degli
amanti,
riscalda
i
cuori
di
giovani
sposi
e
nascondi
i
peccati
di
cui
sei
dispensatrice”.
“Notte
fedele
compagna,
dammi
la
mano
perché
ho
paura”.
Esterno
notte.
il
viale
è
malapena
illuminato
dalle
fioche
luci
dei
neon,
ai
lati
della
strada
solo
fetore
ed
immondizia,
è
la
sporcizia
del
mondo
o
più
indirettamente
la
lordura
che
alberga
nelle
alcune
anime
malate,
ma
stranamente
la
“Signora
della
notte”
appare
pulita,
come
un
angelo
caduto
sulla
terra
che
vuole
dispensare
solo
amore,
magari
a
pagamento
ma
pur
sempre
amore
e
camminando
sembra
che
nulla
di
ciò
che
le
accade
possa
sfiorarla.
Prima
fermata,
un
ambiguo
bar
ai
lati
della
strada;
anonimo
chi
entra
e
anonimo
chi
esce,
gli
avventori
sono
gente
ignota,
incontrati
oggi
magari
ieri,
o
forse
mai
ma
sempre
gli
stessi,
gente
che
in
cui
sbadatamente
di
riconosciamo.
E
Penelope
li
descrive
così:
Sorseggiando a ritmo di Beguine.
Oh!
dicono
dell'inferno,
ma
non
siete
mai
venuti
qui
allora,
il
diavolo
non
abita
poi
così
distante,
basta
scendere
giù
fino
alle
bettole
del
porto.
Belzebù
è
lì
al
balcone,
io
sono
con
lui
sorseggiando
a
ritmo
di
beguine
col
demonio.
All'ingresso
Pietro
fa
da
buttafuori,
Maddalena
e
Maria
sono
sedute
che
fumano
oppio.
Gabriele
suona
il
piano.
Si
danza
a
ritmo
lento
della
beguine,
ma
non
è
poi
così
blasfemo
l'amore
che
appesta
l'aria,
e
non
vi
è
mai
del
razzismo
dietro
una
bottiglia
di
rum.
Oh
dicono
del
paradiso!
Ma
siete
mai
stati
qui?
C'è
un
briciolo
di
qualcosa
dietro
le
note
d'un
piano
triste,
ci
sono
tracce
di
un
qualcosa
impresse
nei
bicchieri
vuoti,
ma
c'è
traccia
di
vita
fuori
sul
pianeta
terra.
Narratore:
Gli
occhi
pieni
di
dolcezza
di
Penelope
indugiano
a
lungo
sul
pianista
del
locale,
bello
come
un
dio
e
lontano
come
il
cielo,
vede
in
lui
quello
che
mai
potrà
avere,
quello
che
il
destino
le
ha
sempre
negato,
attimi
di
vera
dolcezza
illumino
il
suo
volto
di
quel
sentimento
che
lì
da
qualche
parte
sulla
terra
gli
esseri
umani
chiamano
amore.
Accordi notturni.
Corriamo
sulla
tastiera
di
un
piano
distanti
come
due
diverse
tonalità,
siamo
singole
note.
Suonate
una
alla
volta,
senza
un
ritmo,
senza
una
partitura,
abbandonate
a
se
se
stesse
sul
pentagramma,
siamo
sprecate.
Ma
raccogliendole,
perché
possano
formare
degli
accordi,
dando
loro
ritmo,
allora
avranno
un
senso.
Suono
la
nostra
canzone
stanotte,
è
un
canto
d'amore
formata
da
due
soli
accordi
io
e
te.
Ti prego suonala ancora Sam.
E rivolta alla sua amica le regala un attimo di eternità.
Attimi.
Cara
amica,
sto
pensando
a
tutto
quello
che
era
e
che
non
è
più.
A
tutto
quello
che
dovevamo
fare
e
che
non
abbiamo
fatto,
a
tutti
quei
posti
che
dovevamo
visitare,
e
che
non
abbiamo
visitato.
A
tutta
la
gente
che
dovevamo
conoscere
e
che
non
abbiamo
conosciuto,
a
tutte
i
ragazzi
che
dovevamo
frequentare
e
che
non
abbiamo
frequentato.
A
tutto
quello
che
dovevamo
dire
e
che
non
abbiamo
detto.
A
tutte
le
lacrime
che
non
dovevamo
versare
e
che
abbiamo
versato.
A
tutti
gli
attimi
persi,
a
tutti
i
giorni
spesi
nell'ozio,
a
tutto
il
bene
che
dovevamo
fare
e
che
non
abbiamo
fatto.
A
tutti
quei
gesti
mai
compiuti,
alle
carezze
mai
date,
ai
baci
rifiutati.
"Dovevamo
fare,
e
non
abbiamo
fatto.
Dovevamo
andare,
e
non
siamo
andati.
Dovevamo
essere,
e
non
saremo
mai."
Frammenti.
“Noi
siamo
come
attimi
che
si
perdono
nel
tempo,
siamo
come
gocce
di
pioggia
che
si
perdono
in
una
pozza,
siamo
come
frammenti
che
nessuno
mai
metterà
assieme”.
Il
buon
Dio
ci
ha
regalato
due
periodi
della
vita,
il
primo
è
la
giovinezza
in
cui
si
compiono
i
peccati
e
il
secondo
la
vecchiaia,
dove
si
espiano,
ma
il
Creatore
si
è
anche
riservato
il
diritto,
di
decidere
quando
finire
l'uno
e/o
cominciare
l'altro."
E
noi
mia
cara
amica,
non
sappiamo
a
quale
apparteniamo.
E
viene
dunque
il
momento
di
recarsi
lavoro,
Penelope
è
di
nuovo
sola,
come
prima
come
sempre,
l’aria
si
fa
più
fredda,
e
la
notte
più
buia…
Le luci della città
Come
sono
fredde
le
luci
della
città
e
come
sono
freddi
i
cuori
delle
persone,
come
è
fredda
l'estate
in
questa
parte
di
mondo.
Come
sono
buie
e
lunghe
le
notti
quando
si
è
soli,
ed
è
inutile
che
alitare
sui
finestrini
delle
vostre
auto
per
nascondere
le
facce,
ed
è
perfettamente
superfluo
aspettare
il
giorno,
quando
sai
che
la
notte
che
seguirà
sarà
esattamente
come
quella
è
appena
trascorsa.
Come
è
triste
il
mio
cuore
carico
di
lacrime
e
dolore.
I
sogni
delle
bambine
brillano
come
neve
al
sole,
peccato
che
si
debbano
sciogliere
con
l'età
.
Narratore:
Ma
questa
notte
non
sarà
uguale
alle
altre,
due
destini
infatti
si
incontreranno
proprio
all’angolo
di
un
viale,
due
estremi
si
toccheranno
due
mondi
si
fonderanno,
perché
in
fin
dei
conti
siamo
tutti
acqua
dello
stesso
fiume,
che
sfocia
nello
stesso
mare.
E
mentre
Penelope
aspetta
il
suo
primo
cliente,
una
mesta
figura
d’uomo
appare
all’orizzonte
è
uno
strano
personaggio,
che
a
quell’ora
di
notte
ed
in
quel
posto
non
dovrebbe
stare,
costui
si
appresta
suo
malgrado
a
incontrare
Penelope
e
non
sa
cosa
l’aspetta,
e
forse
quell’incontro
in
questa
notte
segnerà
per
sempre
una
vita
o
forse
due.
Atto secondo
ORFEO.
Orfeo
è
un
misero
impiegato
frustrato,
che
odia
le
donne
e
qualsiasi
cosa
riguardante
il
sesso,
razzista
convinto,
falso
e
soprattutto
un
fallito
che
svolge
la
sua
mera
mansione
in
uno
squallido
ufficio
di
periferia
e
che
stava
ritornandosene
a
casa.
Destino
vuole
che
perda
l’ultimo
autobus
e
di
conseguenza
sbagliando
strada
credendo
forse
di
fare
una
scorciatoia,
si
perde
e
in
preda
al
panico
chiede
aiuto
a
proprio
a
Penelope
non
accorgendosi
chi
in
realtà
sai.
In
realtà
Orfeo
è
solo
la
maschera
che
miseramente
cade
quando
è
scoperta,
Orfeo
è
la
falsità,
l’ipocrisia,
l’essere
che
crede
di
essere
sempre
migliore
di
chiunque
altro,
la
parte
scabrosa
dell’essere
umano.
Orfeo
è
quello
che
non
vorremmo
mai
essere
e
che
forse
inconsciamente
siamo.
Il Lamento di Orfeo.
Ed
eccomi
solo,
come
sempre
del
resto,
solo
in
compagnia
di
me
stesso,
in
altre
parole
solo
sperso
in
un
universo
che
non
conosco,
un
universo
dalle
luci
rarefatte,
finte,
fredde,
sole.
Maledetta
notte,
perché
ti
ostini
a
farmi
compagnia,
di
te
ne
faccio
a
meno,
come
posso
fare
ameno
dell’insulsa
luce
della
luna,
dei
coretti
di
gatti
ubriachi,
dei
rantoli
dei
barboni,
delle
lascive
della
carne.
Ma
perché
questa
maledetta
strada
non
finisce
mai?
Perché
mi
sento
a
disagio?
Perché
questi
esseri
della
notte
mi
guardano
così?
Che
ho
fatto
loro?
Andate
via
sguardi
indiscreti,
posate
i
vostri
occhi
sulle
vostre
misere
vite,
posate
le
vostre
attenzioni,
su
voi
stessi
e
lasciatemi
stare.
Perso
nel
suo
delirio
mentale,
Orfeo
non
si
avvede
di
attirare
su
di
se
l’attenzione
di
Penelope,mentre
lui
continua
il
suo
sproloquio.
Qui
comincia
l’approccio
di
Penelope
sull’uomo,
accorgendosi
della
sua
goffaggine,
Penelope
lo
sbeffeggia,
lo
deride,
lo
incalza
sperando
di
avere
dall’uomo
una
reazione.
Mi
sono
perso!
Esclama
Orfeo
ad
alta
voce,
mentre
si
accorge
che
Penelope
lo
fissa,
accidenti
com’è
tardi,devo
rincasare,
incalza
l’uomo
cercando
di
farsi
coraggio
Penelope: Ti sei perso tesorino? Hai perso la strada per casina?
Orfeo tenta di ignorarla, ma Penelope insiste.
“Povero
bimbo”,
hai
perso
la
mammina?
E
ora
sei
solo
tanto
solo,
tanto
solo
ed
hai
tanta
paura.
Orfeo
sta
cedendo
e
Penelope
insiste.
Guarda che adesso arriva l’orco cattivo e ti mangia, anzi la strega cattiva, e ti violenta (ride)
Orfeo
in
preda
al
panico
non
sa
a
che
santi
votarsi,
vorrebbe
risponderle,
ma
il
suo
profondo
razzismo,
contro
chi
è
diverso
da
lui,
gli
tappa
la
bocca
ed
allora
pensa.
Il Pensiero di Orfeo.
Brutta
baldracca,
ma
ti
sei
mai
vista?
Come
osi
rivolgerti
a
me
con
questo
tono?
Chi
ti
credi
di
essere,
non
so
se
si
o
uomo
o
donna
e
tu
osi
parlarmi?
Tu
rifiuto
della
società?
Tu
rinnegato
dagli
uomini
e
da
Dio,
tu
ameba
malata,
feccia
dell’umanità,
sterco
della
vacca
che
ti
ha
partorito,
dovresti
vergognarti,
solamente
di
esseri
rivolta
a
me.
Che
Iddio
ti
maledica
reietto
della
società,
che
tu
e
tutti
quelli
della
tua
stirpe
brucino
per
sempre
all’inferno.
Penelope, perfettamente ignara dei pensieri dell’uomo, lo incalza.
“Allora, tesorino il topino ti ha mangiato la linguetta”?
Tra
i
due
nasce
un
buffo
dialogo,
dove
il
povero
Orfeo
combattuto
tra
la
sua
repulsione
e
l’istinto
di
rispondere,
deve
cedere
all’arroganza
di
Penelope.:
Penelope: Allora? Che ci fa un ometto come te in questo postaccio?
Orfeo: dice a me?
Penelope: ma si tesoro qui ci siamo solo io e te.
Orfeo:
mi
sa
di
essermi
perso,
mi
sa
dire
dov’è
la
fermata
d’autobus
più
vicina?
(a
questa
domanda
Penelope
esplode
in
una
fragorosa
risata)
.
Orfeo:
Non
le
permetto
sa?
Ma
cosa
crede
?
io
le
ho
fatto
una
semplice
domanda
(Penelope
è
in
preda
ad
una
crisi
di
riso
sfrenato
e
non
riesce
a
trattenersi)
Penelope:
Io
posso
essere
qualsiasi
cosa
per
te
amore,
ma
una
fermata
d’autobus,
hai
dei
gusti
un
po’
strani
tesoro.
Orfeo
è
totalmente
sconvolto
dalla
risposta
di
Penelope
che
non
sa
cosa
rispondere,
vorrebbe
ma
non
ci
riesce
è
inchiodato,
da
dei
chiodi
che
egli
stesso
si
è
piantato
nelle
mani.
Penelope:
Hai
paura
tesoro?
Non
ti
mangio
mica
sai?
Anzi
invece
ti
mangerò,
in
un
solo
boccone
e
poi
sputerò
i
tuoi
ossicini
per
terra,
devi
essere
tenero
come
un
agnellino
e
scommetto
che
magari
sai
anche
vergine,
di
un
po’
non
sei
mai
stato
con
una
donna?
Dimmelo
dai,
mica
lo
vado
a
dire
alla
mamma.
Preso
di
soprassalto
Orfeo
dice
una
frase,
che
forse
doveva
rimanere
nei
suoi
pensieri,
ma
che
purtroppo
gli
sfugge.
Penelope:
“Puttana”?
Hai
detto
puttana,
mi
ha
forse
chiamata
puttana”?
Penelope
pur
avendo
sentito
quell’insulto
milioni
di
volte,
non
lo
poteva
accettarlo
da
uno
come
Orfeo,
vi
era
in
lui
qualcosa
di
viscido,
una
sensazione
che
Penelope
mai
aveva
provato
prima
nei
riguardi
di
qualcuno,
una
cosa
che
le
rivoltava
lo
stomaco,
Orfeo
era
all’improvviso
diventato
il
capro
espiatorio
di
tutte
le
sue
vicende,
Orfeo
raffigurava
ora
tutta
l’orda
di
clienti
cui
si
era
venduta
suo
malgrado,
Orfeo
era
la
sua
vendetta.
Chi
sarebbe
la
puttana?
Sono
io
o
forse
sei
tu,
che
ti
nascondi
dietro
le
finestre
e
fai
di
nascosto
quello
che
io
faccio
alla
luce
del
sole,
chi
sarebbe
dunque
la
puttana?
Sono
io
o
forse
sei
tu
che
ti
celi
dietro
una
maschera
di
cera,
che
si
scioglie
per
tutte
le
tue
bugie.
Chi
sarebbe
la
puttana,
sono
io
o
forse
sei
tu,
che
mai
mi
toccheresti
con
un
dito
alla
luce
del
sole,
ma
che
non
esiteresti
a
nettarmi
il
culo
lordo
di
merda
la
notte.
Chi
è
la
puttana
sono
io
o
forse
sei
tu,
che
con
occhi
saturi
di
lussuria
già
mi
desideri,
solo
per
il
perverso
gioco
delle
parti
in
cui
vegeti.
Chi
sarebbe
dunque
la
puttana
tra
te
e
me?
Chiedi
prima
di
coricarti
la
notte,
chiedi
quando
guardi
i
tuoi
figli,
chiedi
prima
di
giudicare,
Ognuno
di
noi
ha
un
prezzo,
tutti
si
possono
comprare
Ma
quelle
come
me
no,
puoi
solo
affittarle
e
questa
è
la
differenza…
Allora
chi
di
noi
due
è
la
puttana?
Penelope
è
molto
risentita
e
non
certo
per
l’offesa.
Puttana
se
lo
è
sentito
dire
milioni
di
volte,
che
una
più
o
una
meno
non
fa
differenza,
ma
il
modo
in
qui
quell’omuncolo
da
4
soldi
si
è
rivolto
a
lei,
il
piglio
di
superiorità
con
cui
le
ha
parlato,
questo
non
lo
poteva
sopportare,
nella
sua
vita
Penelope
ha
sostenuto
di
tutto,
si
è
umiliata,
si
è
venduta,
ed
ha
riacquistato
la
libertà,
ma
ora
basta,
anche
per
lei
è
giunta
la
fatidica
goccia
che
fa
traboccare
il
vaso,
anche
per
lei
è
venuto
il
momento
di
tirare
su
la
testa,
il
momento
di
vendicarsi,
si
perché
Penelope
conosce
troppo
bene
gli
uomini,
sa
che
cosa
vogliono
da
lei,
ma
sa
anche
come
renderli
schiavi,
schiavi
delle
loro
voglie
incontrollabili,
delle
loro
lussurie
delle
loro
passioni.
Orfeo
è
annichilito,
la
risposta
secca
di
Penelope
l’ha
lasciato
senza
fiato,
lui
si
sente
perso
non
sa
come
controbattere
e
come
un
bimbo
indifeso
si
rinchiude
in
se
stesso,
come
un
riccio
che
avverte
che
la
sua
fine
è
vicina.
Ti
sei
mai
chiesto
chi
sei
misero
uomo?
Ti
sei
mai
chiesto
chi
siamo,
ed
hai
mai
trovato
risposta?
Noi
siamo
bestie,
povere
bestie
che
vanno
alla
monta.
"Le Bestie"
Uomini
e
donne.
Solo
carne
da
macello
e
povere
bestie
che
vanno
alla
monta.
Chi
ha
detto
dunque
che
si
deve
morire
?
V'è
forse
dunque
morte
più
bella
che
affogare
tra
le
mie
umide
labbra
?
V'è
forse
dunque
morte
più
bella
che
soffocare
tra
i
miei
immensi
seni
?
E'
dunque
così
essenziale,
la
tua
presenza
in
questo
mondo,
in
quanto
a
bestia
bizzarra
e
carne
da
macello
?
E
allora
che
venga
pure
la
Morte,
a
noi
esseri
eletti
cosa
può
importare.
Il
povero
Orfeo
è
incompleta
balia
di
Penelope,
la
respinge
con
tutte
le
sue
forze,
ma
nello
stesso
tempo
ne
è
attratto,
attratto
dalla
sua
personalità,
dal
suo
fascino,
dalla
sua
energia,
da
tutto
quello
che
lui
non
è,
ma
che
vorrebbe
possedere.
L’immagine
è
significativa,
Orfeo
è
ora
in
ginocchio
e
sembra
pendere
dalla
labbra
di
Penelope,
pare
che
lui
le
chieda,
ordina
mia
signora
sono
il
tuo
schiavo
fa
di
me
quello
che
vuoi,
io
sono
ai
tuoi
piedi.
La preghiera del mendicante.
Spegnete
pure
quegli
stupidi
sorrisi
dalle
vostre
bocche
insulse.
Voltate
pure
dall'altra
parte
le
vostre
teste
vuote;
Che
il
buon
Dio
abbia
di
voi
misericordia.
Ma
se
il
cieco
vedesse
l'aridità
che
alberga
nei
vostri
cuori,
ed
il
sordo
sentisse
lo
sdegno
delle
vostre
coscienze
malate
Che
il
buon
Dio
abbia
di
voi
misericordia.
Così
il
buio
della
notte,
avrà
ragione
delle
vostre
anime
e
l'odio
per
ciò
che
da
voi
è
diverso
avrà
il
sopravvento.
"Frena
la
tua
mano
uomo"
non
è
di
questi
pochi
spiccioli
che
ho
bisogno,
né
tu
con
questi
puoi
comprarti
il
paradiso.
Spegni
ti
prego
quel
sorriso
ebete
dalle
tue
labbra
uomo
e
guardami
dritto
negli
occhi,
guardando
me
vedrai
te
guardati
allora,
non
vedi
che
sei
già
morto
?
Ed
ecco
che
la
crisalide
si
trasforma
in
farfalla,
l’essere
impara
a
diventare
un
uomo,
Orfeo
si
sveglia
dal
suo
eterno
torpore,
si
guarda
attorno
per
la
prima
volta
come
se
tutto
fosse
nuovo
e
come
se
chiedesse
invocazione,
si
rivolge
a
Penelope,
come
ad
una
dea.
Il
bene
e
il
male.
Mostrami
qual
è
la
strada
per
il
bene,
Mostrami
qual
è
la
strada
per
il
male.
Io
sono
ad
un
bivio
E
sono
tentato.
Mostrami
qual
è
la
strada
per
il
male.
Strada
lastricata
di
lussuria
e
fiumi
che
s'inerpicano
sui
corpi
lascivi
di
uomini
e
donne.
Carne
al
rhum
Sguardi
di
bimbe
invitanti,
e
sangue
innocente,
ho
sete
di
potere
ho
sete
di
te.
Dissetami
con
la
tua
calda
saliva,
sfamami
con
le
tue
grazie
abbondanti,
sgorga
il
piacere
dai
tuoi
seni
prosperosi,
io
sono
il
seme
e
tu
la
terra.
Mostrami
qual
è
la
strada
per
il
male.
Quella
che
tutti
i
giorni
percorro
Per
arrivare
a
te,
fatta
di
lacrime,
di
morte,
il
fratello
che
uccide
il
fratello,
il
padre
che
uccide
il
figlio,
la
madre
che
disconosce
la
sua
prole,
mani
insanguinate,
ed
un
oceano
di
menzogne,
ed
in
mezzo
a
questo
mare,
all’improvviso
un'isola
Tu.
Mostrami
qual
è
la
strada
per
il
bene.
E'
quella
che
è
più
difficile
percorrere,
quella
fatta
di
sacrifici,
quella
in
cui
tutti
vorremo
andare
e
ben
che
pochi
lo
fanno.
Quella
che
passa
sotto
casa
nostra
e
che
noi
non
vediamo
ed
io
per
primo.
Quella
logica,
quella
del
sentimento,
delle
azioni,
quella
più
stretta.
Mostrami
qual
è
la
strada
peri
il
bene,
mostrami
qual
è
la
strada
per
il
male.
La
via
giusta
sta
a
metà.
La
via
giusta
è
nel
mezzo.
Ed
io
sono
li
ad
aspettare
un
tuo
comando.
Penelope
si
avvicina
all’uomo,
con
aria
di
chi
sa
di
aver
vinto,
ma
a
lei
la
vittoria
non
basta,
lei
vuole
il
trionfo,
il
trionfo
di
vedere
l’uomo
dinanzi
a
lei,
che
ora
rappresenta
tutti
gli
uomini
che
l’anno
sfruttata
e
di
cui
ora
vuole
vendicarsi,
si
la
vendetta
sarà
tremenda,
forse
di
più
di
quello
che
lei
stessa
crede.
Guardati uomo guarda ora quello che sei, a cosa assomigli.
Il relitto.
Marcio
è
il
fasciame
frustato
dalle
mareggiate,
lacere
le
vele
dalle
tempeste,
ruggine
e
muffa
e
sartie
tristi
che
danzano
al
vento
come
logore
vesti.
Fetore
di
sudore
e
vino,
antichi
odori,
antiche
macchie
e
odore
di
morte.
Arido
sapore.
Soffia il gelido maestrale sbandando sugli alberi mozzi che sembrano gridare il nome tuo.
Io sono un relitto.
'L'epave
du
temp
cherche
toi,
je
suis
a
la
derive
seul
on
le
demi
de
la
mére,
ensabler
dans
une
sèche
apellè
solitude".
Orde
di
nubi
nere
oscurano
la
stella
polare
cosicché
io
non
possa
più
trovar
la
via
di
casa.
Lentamente
quest'anima
si
perderà
tra
le
nebbie
notturne
e
si
arenerà
alla
fine
del
suo
lungo
viaggio
sulle
sabbie
dorate
dell'oblio,
il
vento
urlerà
ancora
il
tuo
nome
per
l'ultima
volta
ancora.
Atto
terzo.
Orfeo
è
soggiogato
dalla
personalità
di
Penelope,
come
se
ad
un
tratto
avesse
scoperto
il
suo
vero
essere
e
che
questo
scalpitasse
per
venire
allo
scoperto,
ma
un
briciolo
l’orgoglio
ha
ancora
il
sopravvento
ma
ciò
non
toglie
ad
Orfeo
di
poter
poco
a
poco
dichiarare
i
suoi
sentimenti.
Ti sorprenderanno le luci dell'alba.
L'alba
ti
trova
impreparata,
avvolta
ancora
nel
rosa
pallido
dei
tuoi
sogni
a
sfiorare
le
ali
di
una
lussuria
incosciente.
Il
giorno
può
essere
ancora
lontano
se
lo
scacci
via.
Ti
sorprenderanno
le
luci
dell'alba,
ancora
abbracciata
al
tepore
d'un
respiro,
è
il
calore
dell'incoscienza,
lenzuola
calde
come
un
bacio
di
un
giovane
amante.
Ma
sorpresa
ed
impaurita
Ti
aprirai
alla
fredda
realtà
con
gli
occhi
appiccicati
dalla
rugiada
e
col
cuore
infranto
per
un
amore
mai
nato,
lungi
da
me
pallido
destino.
La Dea dell’amore.
Tu
che
consacrata
a
Priapo,
inondi
del
tuo
forte
odore
le
scarne
alcove,
tu
che
lasci
solchi
indelebili
nel
cuore
degli
uomini,
tu
dispensatrice
di
gioie
e
amore,
lasciami
bere
ancora
il
dolce
nettare
dal
tuo
capiente
calice.
Tu
che
rischiari
in
un
giorno
di
pioggia,
tu
che
leggi
nel
cuore
e
nella
mente,
dispensami
oggi
la
mia
razione
quotidiana
d’amore
Ecco
che
l’uomo
getta
la
maschera,
e
rivela
la
sua
natura,
la
sua
vera
natura,
egli
vince
la
sua
eterna
paura
di
mostrarsi
per
quello
che
veramente
è.
I
due
esseri
così
diversi
e
distanti
si
stanno
avvicinando
e
si
stanno
fondendo,
perché
l’uomo
è
donna
e
la
donna
è
l’uomo,
due
esseri
inscindibili
per
natura.
La
malattia
di
vivere.
Cos’è
quest’ansia
che
mi
assale,
quest’assurda
frenesia
che
mi
porta
all’oblio,
questa
malattia
contagiosa,
mortale.
Lento
vagabondare
di
sentimenti
miti,
il
giorno
s’accoppia
con
la
notte,
il
cielo
con
il
mare,
la
vita
con
la
morte
in
un’incessante
danza
rituale.
Copula
col
mio
rigettar
di
frasi,
il
suono
triste
delle
parole,
troppo
spesso
senza
nesso
alcuno.
Incessante
scandire
di
attimi
che
come
pesanti
tamburi
dal
greve
suono,
segnano
il
passo
al
tempo.
E
il
tempo
balza,
zompa,
salta,
sembra
schernirti,
prenderti
in
giro,
ha
le
movenze
di
voluttuosa
ballerina,
lo
sguardo
furbo
come
quello
d’un
bimbo
e
le
parole
sagge
come
quelle
d’un
vecchio.
Ecco
che
ti
tocca,
ti
sfiora,
poi
ti
bacia
e
infine
ti
schiaffeggia
fino
a
farti
piangere
e
al
fine
ti
deride.
Che
cosa
è
quest’enorme
“cancro”
che
mi
divora
le
carni,
esso
si
nutre
non
solo
delle
mie
viscere
ma
del
mio
intero
essere,
dei
miei
sentimenti
e
lentamente
soffia
su
ogni
fiammata
di
vita,
fino
a
spegnerla.
“Nutriti
dei
miei
sogni
agognati
e
pallidi,
nutriti
della
mia
carne
fino
a
che
avrà
consistenza
e
vigore,
nutriti
del
mio
cuore
fino
a
che
avrà
sangue
da
pompare,
nutriti
dell’odio
e
dell’amore,
dell’ira
e
della
passione,
nutriti
della
vita
fino
a
che
non
avrà
più
alito.
Consumami
in
esasperata
lentezza,
portami
sull’orlo
della
follia,
sul
ciglio
del
dirupo
e
lascia
ch’io
m’immoli
in
tuo
nome,
lascia
ch’io
decida
il
mio
destino.
La
vita
è
una
malattia
che
inevitabilmente
porta
alla
morte,
allora
lascia
che
sia
io
a
decidere
quel
momento”.
Penelope
per
un
attimo
ha
uno
sguardo
dolce
verso
l’essere
che
ha
dinnanzi
a
se,
vorrebbe
avvicinarsi
ed
in
qualche
modo
prendersene
cura,
ma
il
desiderio
di
vendetta
è
troppo
forte
per
chi
ha
esageratamente
subito,
sa
di
aver
vinto
e
sorseggia
la
vittoria
dal
dolce
calice
della
vendetta.
E
come
Salomè,
inizia
la
sua
sensuale
danza,
un
vortice
di
sensazioni
che
il
povero
Orfeo
mai
aveva
provato,
e
che
adesso
per
la
prima
volta
assaggia
e
ne
rimane
soggiogato.
La
Danza
di
Salomè.
Lungo
i
tuoi
fianchi
sinuosi
lasciami
morire.
Lasciami
respirare
il
tuo
alito,
nutrirmi
delle
tue
briciole,
bere
la
tua
saliva.
Morire
della
tua
malattia.
Dammi,
dammi
e
io
ti
darò,
chiedi
ciò
che
vuoi
e
se
ciò
che
vuoi
sarà
la
mia
vita,
prendila
mia
signora,
perché
nulla
è
troppo
per
te!
Piccolo fiore .
Pietra
di
giada
petali
di
orchidee,
seta
e
velluto
la
tua
pelle,
avorio
e
ebano.
Mi
porto
addosso
ancora
il
tuo
odore,
il
tuo
sguardo.
la
tua
infinita
dolcezza.
Il
suono
delle
tue
parole,
è
musica
suonata
dal
mare.
Danza,
danza,
per
me
ancora
una
volta,
fino
a
che
il
giungere
dell'alba,
non
ci
trovi
ancora
addormentati,
in
un
immenso
abbraccio.
Tu
signora
della
notte,
risplendi,
piccola
luce
tra
mie
mani
fredde,
riscaldi.
Ma
ecco
il
momento,
ch'io
debba
lasciarti
andare,
e
le
mie
dita
si
aprono
malvolentieri.
Vola
piccolo
scricciolo,
ho
ancora
sulle
labbra
il
tuo
sapore.
Penelope
ha
trionfato,
vicino
a
se
non
ha
più
un
uomo
o
quello
che
ne
rimane,
vicino
a
se
ha
un
essere
che
per
amore
farebbe
di
tutto,
ed
è
così
che
si
può
ridurre
un
essere
per
bramosia
d’amore
e
per
sete
di
sesso.
Lei
lo
sa,
lo
ha
sempre
saputo.
Ora
sono
una
di
fronte
all’altra,
dinnanzi
allo
specchio
padrone
della
scena
che
guarda
maestoso
lo
svolgersi
dell’azione.
Penelope
lentamente
incomincia
a
truccare
il
povero
Orfeo
come
se
stessa,
lentamente
si
ha
un’altra
trasformazione,
Orfeo
diventa
un’altra
Penelope,
o
meglio
la
sua
caricatura,
trucco
esageratamente
pesante,
vestiti
esageratamente
scandalosi…una
luce
rischiara
solo
loro
due,
ora
i
clown
si
sono
sdoppiati.
“Make up”
Comincio
dagli
occhi,
rimmel
e
matita
non
proprio
leggera,
un
fondo
tinta
pallido
ed
un
rossetto
carico,
parrucca
rosso
fuoco
e
tacchi
alti.
Un
vestito
aderente,
colore
argento
come
le
stelle
del
cielo,
unghie
da
tigre
e
passo
da
pantera,
chi
vuole
venire
con
me
stanotte?
Puttana
per
la
strada
Vediamo
se
bastano
i
tuoi
soldi,
Puttane
da
strada,
chi
vuoi
che
noi
siamo
stanotte?
Puttane
da
strada
e
vi
regaleremo
un
sogno.
Ci
puoi
trovare
all'angolo
in
fondo
alla
strada
o
all'uscita
dei
cinema,
siamo
sotto
le
tue
coperte
e
dentro
i
tuoi
sogni
più
segreti,
siamo
tua
madre
e
tua
sorella,
angeli
o
un
demoni,
il
Lete
ed
il
veleno,
dolci
compagna
o
cagne
in
calore.
Un
vestito
aderente
colore
argento,
come
le
stelle
del
cielo
unghie
da
tigre
e
passo
da
pantera,
chi
vuole
venire
con
noi
stanotte
Puttana
da
strada
Vediamo
se
bastano
i
tuoi
soldi,
Puttane
da
strada,
chi
vuoi
che
noi
siamo
stanotte.
Puttane
da
strada
e
vi
regaleremo
un
sogno.
Comincio
dagli
occhi
rimmel
e
matita
non
proprio
leggera,
un
fondo
tinta
pallido
ed
un
rossetto
carico,
parrucca
platinata
e
tacchi
alti,
siamo
così
sexy.
Finita
la
fase
della
vestizione
Orfeo
si
guarda
allo
specchio,
ed
è
come
se
si
vedesse
per
la
prima
volta,
per
la
prima
volta
vede
chi
è
realmente,
vede
cosa
è,
il
suo
vero
essere
e
sa
di
essere
solo
carne.
Carne.
Pelle
profumata
morbida
come
la
seta
al
tatto.
Tu
sei
vestita
di
nulla,
come
ti
dona
il
colore
pallido
delle
tue
carni
sode,
risalta
sulle
gote
un
acerbo
rossore,
che
svanisce
quando
cedi
alle
mie
mani
ansiose.
Sei
bella,
anche
Venere,
proverebbe
invidia;
che
a
te
tutto
sia
concesso,
che
tuffo
sia
lecito,
mia
regina.
Amore,
che
amore
sia
dunque.
Estasi
che
si
propaga
come
onda
anomala.
E
carne,
al
fine
solo
carne,
io
ho
amato
carne,
io
ho
sfamato
le
lussurie
della
carne,
io
seppellirò
un
corpo
ricoperto
di
carne
che
il
tempo
divorerà,
lasciando
sotto
la
madre
terra,
l'acre
puzzo
della
morte.
Svanirà
al
fine
il
lieto
l’aspro
olezzo
delle
tue
ascelle,
il
tuo
sapore
un
po'
salato,
svanirà
col
tempo
anche
la
bramosia
che
ho
dite.
E carne, nuda e cruda di cui ho bisogno ancora per sfamarmi.
Orfeo
prende
coscienza
di
se
e
Penelope
lo
istruisce
su
come
deve
comportarsi
una
perfetta
“ragazza
da
strada”.
Amore in affitto.
Se
è
vero
che
l'amore
non
si
compra,
allora
lo
si
affitta.
Decidi
tu
per
quanto
tempo,
decido
io
quanto
può
costare.
Certo
più
sei
disposto
a
pagare
meglio
sarai
servito,
guardami
io
sono
il
meglio.
Affoga
la
tua
rabbia
nei
miei
capezzoli,
la
tua
ira
tra
le
mie
cosce,
la
tua
noia
tra
le
mie
labbra.
I
tuoi
soldi
non
mi
danno
felicità
né
potresti
farlo
tu,
io
sono
solo
una
piccola
puttana
da
strada
non
è
questo
che
vuoi?
Orfeo
ora
non
ha
occhi
che
per
lei,
si
alza
dalla
sedia,
e
si
ammira.
Com’è
bello
com’è
attraente,
tutto
in
lui
è
sinuoso
e
sensuale,
ma
non
si
avvede
che
per
gli
altri
sarà
solo
una
caricatura,
se
prima
era
una
caricatura
d’uomo,
ora
lo
è
di
una
donna,
ma
non
importa,
non
gli
è
mai
importato,
e
mai
gli
importerà.
Nuvole.
Nuvole
che
attraversano
l'enorme
stanza
del
cielo,
che
passano
senza
lasciar
traccia,
nuvole
che
hanno
solo
il
tempo
di
oscurare
il
sole.
Qualche
goccia
di
pioggia
scende
dai
loro
occhi
neri,
ma
è
ben
misera
cosa
se
paragonata
all'immensità
del
mare.
Amo
lo
scintillio
di
queste
lacrime,
che
per
un
breve
alito
rimangono
sul
mio
viso,
amo
sentirle
scendere
sulla
pelle
come
lascive
carezze.
Nuvole
inafferrabili,
nuvole
mutevoli
di
colore
e
direzione,
mutevoli
come
gli
umori
di
una
dea.
"Dea
delle
nuvole
disseta
le
mie
aride
labbra
dea
delle
nuvole,
fermati
per
farti
guardare".
Nuvole,
giochi
di
bimbi
che
si
rincorrono
nell'immensità
del
cielo.
Poi Orfeo si rivolge a Penelope.
Cerimonia
Come
volano
alti
i
condor,
più
alti
d’un
tramonto
futurista
e
risplendono
vaghi
i
ricordi
romantici
sulla
terra
acerba,
mentre
tetra
si
fa
la
luce.
Lungo
la
strada
di
sassi
uomini
come
inermi
cobra
strisciano,
il
mese
è
Novembre
mia
dolce
amica
e
la
strada
è
lastricata
di
lacrime.
Nuvole
che
si
accumulano
in
cielo
come
folla
di
curiosi,
si
uniscono
al
mio
dolore
e
piangono
lacrime
amare.
Sta
scritto
che
in
un
tempo
non
troppo
lontano,
la
terra
aprirà
il
suo
grosso
ventre
e
tutto
inghiottirà
senza
distinzione
alcuna.
Gemono
orde
di
violini
tristi,
intonando
le
loro
litania
di
morte
mentre
occhi
bui
leggeranno
parte
di
una
vita
d’un
dio
troppo
lontano
per
essere
vero.
Una
moltitudine
di
persone
a
vagare
senza
meta,
tutti
in
fila
ognuno
con
la
sua
croce,
ognuno
trascinando
la
sua
bara
vuota,
ognuno
con
la
sue
colpe
i
suoi
peccati
ognuno
con
il
suo
pesante
carico.
Siamo
giunti
alla
fine
dunque.
FINE.