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Panuccio dal Bagno

Canzoni

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

Edizioni di riferimento elettroniche F. Bonomi, Duecento: la poesia italiana dalle origini a Dante a stampa Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, II, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960 Design Graphiti, Firenze Impaginazione Thsis, Firenze-Milano

Panuccio dal Bagno Canzoni

Sommario
I [iv] Poi contra voglia dir pena convene ........ 5 II [vii] La dolorosa noia ................................. 8 III [x] Magna medela a grave e perigliosa ..... 12 IV [xix] Lasso di far pi verso ...................... 14

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Canzoni

I [iv] Poi contra voglia dir pena convene a me, quasi dolendo, per soverchia montansa in cui sormonta, ne la qual falso diletto mi tene, u mi mise vogliendo lanima un disio col cor congiunta di quella in cui piacer era coverto quando parea pi vero, camor cognosco di falso colore, del qual mha priso, poi fu mi proferto: immaginandol clero da lei, di conoscensa fu in errore, per chio lelessi a mio propio signore. Non conoscendo, falsessa stimando del piager, ma pur fiso dellalma imaginai il suo diletto e concedetti amore illei fermando. Dogni ntension diviso, fui a sua signoria servo soggetto damore n atto, distretto n potensa; di lei sua forma prese; al suo voler per lui i foi congiu[n]to, e sommisili arbtro e mia vogliensa di lei servire accese, u conoscendo mai non fallai punto: or dallegressa mha tutto digiunto. Fermato a perfessione a suo volere, di me non fors avendo, in ardente mi mise corl foco; ma ci mi porge, lasso, pi dolere, per difetto sentendo di conoscensa aver pene non poco: ch poi mi mostr, lasso, la sembiansa de la sua oppinone,

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la quale, aviso, illei tuttor regnava di piacer contra, undho gran malenansa, vit a confusone; ch l meo servir gradisse lei pensava: or mortalmente conosco fallava. Fallando in conoscensa, in signoria di morte sono ognora, n morir posso e n morte ognora vivo; e porge tal cagione in me s ria pena, che for misora grave sembra aver vita s pensivo: perchio non parto gi dintensone, ch, se mi fusse danno la morte, in vita solo unor regnasse, ma, tormentando, di vita ho cagione pi, emmi monta affanno, che sa morte lo spirto mi mancasse, e qual pi progiudicio mi portasse. La principal del meo doler cagione aggio costretto a dire ne la fine per pi dolor mostrare: e dico, pi mi d confusone dogni greve languire la reprension che pote in lei montare, considerando laltera valensa di natura discesa e lo suo gentil core inganno tegna, unde n alcuna guisa di fallensa di vert sia ripresa; per che maggior di ci pen in me regna, considerando in lei cosa non degna. Se n alcuna mainera gi potesse da la folla presente partire, isforserimi a valer [al]quanto: per cassai pi manto

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fall, cernendo, in mal perseverare, che non gi fra stare nel mal, non conoscendo; ma non posso, ch voler non s mosso, unde, di ragion om, fatto son fera, seguitando carrera dal piager falso cha in me pene messe.

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II [vii] La dolorosa noia chaggio dentro al meo core, che non mostri di fore non posso tanto sostener; mavansa, montando, malenansa, e soverchiando me da tutte parte, poi che tra gente croia come non saggi alpestri, chaver degni capestri lor serian distringendo come fere quale pi son crudere, dimorar mi convene e stare n parte. E non sol[o] dimor con loro usando, ma mi convene stando sotto lor suggession quasi che muto: di che son dipartuto dogni piacer, poi lor signoria venne; e come ci sostenne venisse, u sosten regno, eo meraviglio, Dio, poi comunit mis ha n disguiglio. Mis hano in disguigliansa ragione, e conculcata per loro, scalcata, li lor seguendo pur propi misteri e i malvagi penseri seguitando, non punto in lor ragione. La chera comunansa hano sodutta in parte, ed han miso in disparte li valorosi e degni e bon rettori, per li quali e maggiori con parvi dividian onor comone. Or lhan condutto in [lor] propetate, perch la volontate

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lor tanto fera il senno ha suggiugato; e gi non mostrato ch sol voler, per lor, fer e mortale, il quale ha miso a male e a danno, volendo, lor[o] terra, e perdute castella e piano in guerra? E quei cherano degni, e che [per] ver son anco, mis han dal lato manco. Crescendo onor rettori ed avansando, e non quasi mancando per lor ragion; ma sol era ben retta, di che si vn gran segni: giustisia conservata era per lor, montata s che mal fare alcun non quasi ardia, perch l mal si punia; la terra dogni scuso era ben netta. Or giustisi ha deserta, ond caduta con ragion e perduta: ch pi ladron[i] son che merca[ta]nti, e quasi certo i santi son dirubbati, e no solo i palagi; ed a ciascuno adagi par de detti signor; ma ci non sono, ch lun perisce e laltr ha n mal perdono. Portano perdonansa i lor propi n mal fare, e pi che meritare intra loro alcun che lor vorria, per che la lor via, la fine e l primo e l mezzo, propio a male; ed altri sen fallansa greve sostegnon pena, e chi lor guerra mena.

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Quant a lor terra, son siguro in tutto: e riprendon condutto di ci che volno in lor cit e l quale; e le terre che son tante perdute, non gi lhano volute difender, ma perdute sian lor piace; e divietato han pace solo a confuson domini n parte. E ci fatt hano ad arte, unde proced[e]r in loro gran danno, ch non sofferr Dio s grande inganno.

Se mi distringe doglia, non certo meraviglia, ma crudelt somiglia a cui non prende doglia e pena monta, 85 veggendo che si ponta alcuna parte in mal far quanto pote, e quei che piena voglia aviano n bene ovrare, e tutto il lor pensare 90 solament era in ci, sono a nente per s smodata gente: undonni gioi per me son vane e vote, ch sento in tutto morta ora giustisia ed avansar malisia 95 e l mal ben conculcare, e somettendo e montando e crescendo islealtate, inganno, disragione; di che mia ntensone non che lungo tempo Dio il sostegna, 100 ch non soffrir vorr cosa s ndegna. Seminato nel campo fer han seme, e seme simel s ciascun arende: und folle chi attende di seminato, gran, piggior che gioglio;

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105 per che non tanto doglio che frutto e seme cosa una fi nseme. Per soverchi abondansa chavea ed ho di gravosa dogliensa, mave la mia vogliensa 110 sommosso a canto far di s gran torto, il qual greve mha porto cagion dogliosa e fera di dolere, poich l bene a podere sento perire, e l mal tuttora avansa.

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III [x] Magna medela a grave e perigliosa del tutto infermit so che convene, ch parva parvo, so, d curamento; e chi infi[r]m a greve e ponderosa, a possibile far cherensa dne, e non cui falla punto potimento: ch non ha valimento picciula cura gran piaga sanare, n poi potom trovare guerensa in quello dal quale divia colti, e grav [pi] via poter sanare u tutta volensa e non queta lom mai sa essensa. Per me mia voglia sre desiderosa che daltra parte aver conforto e spene desiderato avessi e stettamento, perch di lui m via onne stremosa, referendol del tutto, e aspra ne: unde, parlando, dir quasi pavento: ch dare spiramento dificile me, e mitigare: per che, se penare mettesse n ci, sre vano al tutto pria, appresso poi seria la fine ad onta diviso a derensa, unde alena sre me provedensa. Per [colui] en cui poderosa aversitade, de a potense lene metter creando vigore sia ntento; ne d sua voglia esser nighettosa, n di vilessa le suoi opre piene, n ira fare in lui occupamento, ma levar, sanamento s isperando da Colui che pare,

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siccome vero pare, no ha ni ebbe ni mai aver dia, il qual sempre desia prosperit a om dare e valensa, e vole e p per Sua magna eccillensa. Prova vera vert vertudosa colui chaversit fermo destene per sua valensa farne occultamento, e n tal mainera d lui grasosa esser, dico, se vero ei cerne bene; ch, come purga metallo elemento, cos ho credimento che sia daversit l propio purgare vincere e conculcare di ciascun visii che parato stia: voler che noi seria for daltro frutto; e ci pacensa, che d vert in cui fa su aderensa. Tan magna di Dio e valorosa la potensa, che cose onne sostene, ca monti p leggr dar mutamento, e chiara cosa far ch tenebrosa, e diletto tornar, tormento sne, e, qual pi vivo par, dar finimento. Dunque dischiaramento e libert pn servo seguitare, e ci ha e sperare; ch disse sancto di phisolofia, in cui non fu falsia: Savesse om fede u vera intelligensa, fare mover li monti a sua indigensa. Donque provedimento per fede e spera voler seguitare, e retto in Lui sperare aver d, in Quello che cotidio cria

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remedi e quai pensria animo mai, s pog ha percepensa, ma Ei bens, in cui somm prudensa.

IV [xix] Lasso di far pi verso son, poi veggi ognom manco damor[e] far tuttor del dritto inverso: ch, qual ten omo pi franco di lealtate, perso tosto fa, se veder se p, del bianco. Ch donna n converso non so l cor aggia stanco di ci pensare e fare, und ben perso: sicch Vert non branco p dire, ansi lavverso, leal om, s lha preso per lo fianco islealtat e inganno, chognor monta e lo mondo governa s, ca quella lanterna vol gire ognomo e in ci far si ponta; tanto cobbrat hano la superna membransa dove lonta e l ben dognom si conta, e di ciascuno han merto in sempiterna.

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