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Lorenzo de Medici

Poemetti in terzine

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

Edizioni di riferimento elettroniche Liz, Letteratura Italiana Zanichelli a stampa Lorenzo de Medici, Opere in versi, a cura di A. Simioni, Bari, Laterza, 1913

Design Graphiti, Firenze

Impaginazione Thsis, Firenze-Milano

Lorenzo de Medici

Poemetti in terzine

Sommario
Corinto .............................................................. 5 Apollo e Pan ..................................................... 12 Simposio .......................................................... 18 I ...................................................................... 18 II ..................................................................... 22 III ................................................................... 27 IV ................................................................... 31 V .................................................................... 35 VI ................................................................... 40 VII .................................................................. 44 VIII ................................................................. 49 De summo bono .............................................. 51 I ...................................................................... 51 II ..................................................................... 57 III ................................................................... 63 IV ................................................................... 69 V .................................................................... 74 VI ................................................................... 80 Capitoli ............................................................ 87 I ...................................................................... 87 II ..................................................................... 92 III ................................................................... 95 IV ................................................................... 97 V .................................................................... 99 VI ................................................................. 101 VII ................................................................ 101 Furtum .......................................................... 107

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 3 ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Poemetti in terzine Corinto

Corinto

Innamoramento di Lorenzo il Magnifico La luna in mezzo alle minori stelle chiara fulgea nel ciel quieto e sereno, quasi ascondendo lo splendor di quelle; 5 e l sonno avea ogni animal terreno dalle fatiche lor diurne sciolti, e il mondo dombre e di silenzio pieno. Sol Corinto pastor ne boschi folti cantava per amor di Galatea tra faggi, e non v altri che lascolti; 10 n alle luci lacrimose avea data quiete alcuna, anzi soletto con questi versi il suo amor piangea: O Galatea, perch tanto in dispetto hai Corinto pastor, che tama tanto? perch vuoi tu che muoia il poveretto? Quel sieno i mia sospiri e il tristo pianto odonlo i boschi e tu, Notte, lo senti, poi chio son sotto il tuo stellato ammanto. 20 Sanza sospetto i ben pasciuti armenti lieti si stanno nella lor quiete, e ruminando forse erbe pallenti. Le pecorelle ancor drento alla rete, guardate dal can vigile, si stanno allaura fresca dormienti e liete. 25 Io piango non udito il duro affanno; i pianto i prieghi e le parole allugge: che, se udite non son, che frutto fanno? Deh, come innanzi agli occhi nostri fugge, non fugge ancor davanti dal pensiero! ch poi pi che presente il cor mi strugge.

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Poemetti in terzine Corinto

Deh, non aver il cor tanto severo! Tre lustri gi della tua casta vita servito hai di Diana il duro impero: 35 non basta questo? Or dammi qualche aita, ninfa, che se sanza pietate alcuna. Ma, lasso a me, non la voce udita! Se almen di mille udita ne fussi una! Io so che versi posson, se li sente, di cielo in terra far venir la luna. 40 I versi feron gi litaca gente in fere trasformar: ne verdi prati rompono i versi il frigido serpente. Adunque i rozzi versi e poco ornati daremo al vento; et or ho visto come saranno a lei li mia pianti portati. Laura move degli arbor lalte chiome, che rendon, mosse, un mormorio suave, chempie laere et i boschi del suo nome: 50 se porta questo a me, non li fia grave portar mio pianto a questa dura femmina per gli alti monti e per le valli cave, ovabita Eco, che mia pianti gemina; o questo o il vento a lei lo portin seco: io so che l pianto in pietra non si semina. 55 Forse ode ella vicina in qualche speco; non so se sei qui presso: so ben chio, fuggi dove tu vuoi, sempre son teco. Se l tuo crudo voler fussi pi pio, sio ti vedessi qui, sio ti toccassi le bianche mani e l tuo bel viso, o Dio!;

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Poemetti in terzine Corinto

se meco sopra lerba ti posassi, della scorza faria dun lento salcio una zampogna, e vorrei tu cantassi. 65 Lerrante chiome poi strette in un tralcio, vedrei per lerba il candido pi movere ballando e dare al vento qualche calcio; poi stracca giaceresti sotto un rovere, io pel prato crrei diversi fiori e sopra il viso tuo li farei piovere; 70 di color mille e mille vari odori tu ridendo faresti, dove fro i primi clti, uscir degli altri fuori. Quante ghirlande sopra i bei crin doro farei, miste di fronde e di fioretti! Tu vinceresti ogni bellezza loro. Il mormorio di chiari ruscelletti risponderebbe alla nostra dolcezza e l canto di amorosi augelletti. 80 Fugga, ninfa, da te tanta durezza: questo acerbo pensier del tuo cor caccia, deh, non far micidial la tua bellezza! Se delle fiere vuoi seguir la traccia, non c pastor o pi robusto o dotto a seguir fere fuggitive in caccia. 85 Tu nascosta starai sanza far motto con larco in mano; io con lo spiedo acuto il fer cignale aspetter di sotto. Lasso, quanto dolor io aggio avuto, quanto fuggi dagli occhi col pi scalzo!, e con quanti sospiri ho gi temuto

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Poemetti in terzine Corinto

che spine o fere venenose o il balzo non offenda i tua pi!, quanto nho sdegno! Per te fuggo i pi invano e per te gli alzo; 95 come chi drizza stral veloce al segno, poi che tratto ha, torcendo il capo, crede drizzarlo: egli gi fuor del curvo legno. Ma tu se s leggiera, chio ho fede che la tua levit porria per lacque liquide correr sanza intigner piede. 100 Ma che paura dentro al cor mi nacque, che non facessi come gi Narciso, a cui la sua bellezza troppo piacque, quando al bel fonte ti lavasti il viso, poi, queta la tempesta da te mossa, 105 miravi nel tranquillo specchio fiso! Ah, mente degli amanti stolta e grossa!, partita tu, l corsi, non credendo la bella effigie fussi indi remossa; guardai nellacqua e, te non vi vedendo, 110 viddi me stesso, a parvemi esser tale da te non esser ripreso, te chiedendo. Sio non son bianco, il sol, n mi sta male, sendo io pastor cos forte e robusto; ma dimmi: un uom che non sia brun che vale? 115 Se pien di peli ho io le spalle e il busto, questo non ti dovrebbe dispiacere, se hai, quanto bellezza, ingegno e gusto. Tu non sai forse quanto il mio potere: sio piglio per le corna un toro bravo, 120 a suo dispetto in terra il fo cadere.

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Poemetti in terzine Corinto

Laltrieri in uno speco oscuro e cavo fui per cavare una coppia dorsatti, ove appiccando con le man mandavo; giunsi alla tana e, poi chio gli ebbi tratti, 125 sentmi lorsa rabida e superba, e cominciommi a far di cattivi atti. Io colsi un duro ramo e sopra lerba la lasciai morta, e recane la preda, la qual, se tu vorrai, per te si serba. 130 Alle braccia convien che ognun mi ceda: vinsi laltrier, per la festa di Pana, una vacca, che avea drieto la reda. Con larco in man certar voglio con Diana: per premio ebbi un monton di quattro corna, 135 col vello bianco insino a terra piana: tuo fia, bench Neifil se ne scorna, a cui son per tuo amor pur troppo ingrato: lei per piacermi indarno ognor sadorna. Sio son ricco, tu l sai; ch in ogni lato 140 sonar senti le valle del muggito de buoi e delle pecorelle il belato. Latte ho fresco ad ognor, e nel fiorito prato fragole clte, belle e rosse, pallide ov il tuo viso colorito; 145 frutte ad ogni stagion mature e grosse; nutrisco dape molte e molte milia, n crederesti al mondo pi ne fosse, che fanno un ml s dolce, chassimilia lambrosia chalcun dice pascer Giove, 150 non sol vince le canne di Sicilia.

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Poemetti in terzine Corinto

O ninfa, se l mio canto non ti move, muovati almen quello daugei diversi che canton con pietose voci e nove. Non odi tu damor meco dolersi 155 misera Filomena, che si lagna daltrui, comio di te, ne dolci versi? Questa sol sanza sonno maccompagna. Ma io ti credo movere a pietate; tu ridi, se l mio pianto il terren bagna. 160 Dov somma bellezza e crudeltate viva morte; pur <ti venga in mente>: non dee sempre durar la tua beltate. Ogni arbore ha i sua fior: e immantenente poi le tenere fronde al sol si spiegano, 165 quando rinnovellar laere si sente. I picciol frutti ancor informi allegano, che a poco a poco talor tanto ingrossano, che pel gran peso i forti rami piegano, n sanza gran periglio portar possano 170 il proprio peso; a pena regger sogliono: crescendo, ad ora ad ora se laddossano. Viene lautunno e maturi si cogliono i dolci pomi; e, passato il bel tempo, di fior, di frutti alfin si spogliono. Cogli la rosa, o ninfa, quando l tempo.

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Poemetti in terzine Corinto

[Seconda redazione del finale] Dov somma bellezza e crudeltate viva morte; pur mi riconforto: non dee sempre durar la tua beltate. 5 Laltra mattina in un mio piccolo orto andavo, e l sol surgente co sua rai apparia gi, non chio l vedessi scorto. Sonvi piantati drento alcun rosai, a quai rivolsi le mie vaghe ciglie, per quel che visto non avevo mai. 10 Eranvi rose candide e vermiglie: alcuna a foglia a foglia al sol si spiega, stretta prima, poi par sapra e scompiglie; altra pi giovinetta si dislega a pena dalla boccia; eravi ancora chi le sue chiuse foglie allaer niega; altra, cadendo, a pi il terreno infiora. Cos le vidi nascere e morire e passar lor vaghezza in men dunora. 20 Quando languenti e pallide vidi ire le foglie a terra, allor mi venne a mente che vana cosa il giovenil fiorire: nostro solo quel che presente, n l passato pi, e laltro ancor niente. Cogli la rosa, o ninfa, or ch bel tempo.

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Poemetti in terzine Apollo e Pan

Apollo e Pan

un monte in Thessaglia detto Pindo, pi celebrato gi da sacri vati, chalcun che sia dal vecchio Atlante allIndo. 5 Alla radice lherbe e fior nati bagnan lacque dun fonte, chiare et vive, rigando alhor fioretti et verdi prati. Poi, non contente a cos strette rive, si spargon per un loco, che mai vide il sol pi bello, o dalcun pi si scrive. 10 Penneo il fiume, e l paese che ride dintorno detto Tempe, una pianura, la quale il fiume equalmente divide. Cigne una selva ombrosa, non obscura, il loco, piena di silvestre fere, non inimiche alla nostra natura. Varii color di fiori si pu vedere, s vaghi, che convien che si ritarde il passo, vinto da novel piacere. 20 Quivi non son le nocte pigre o tarde, n l freddo verno il verde absconde o cela, o ver le fronde tenere riarde. N laeree nubi ivi congela il frigido Aquilone n le corrente acque ritarda il ghiaccio o e pesci vela. 25 Del syrio Cane rabbia non si sente, n par chatterra i fior languenti pieghi larida rena, hanela et sitiente. N si fende la terra, acci chi prieghi sua venghino alli occhi di Junone che lacque disiate pi non nieghi.

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Poemetti in terzine Apollo e Pan

Eterna primavera una stagione sempre ne lochi dilettosi et belli, n per volger di cielo han mutatione; 35 le fronde sempre verdi e fior novelli come producer primavera suole; di primavera il canto delli uccelli. Phebo ancora ama il loco, e ancora cole il lauro suo, segl: qual maraviglia, se l verno temperato , men caldo il sole? 40 Del padre ambo le rive occupa e piglia Daphne, et talhor piangendo crescon londe, tanto che toccan pur lamata figlia. Nellacque allombra delle sacre fronde canton candidi cigni dolcemente: lacqua riceve il canto, e poi risponde. Poi che le fronde am sempre virente Phebo, lasciaro il fonte pegaseo i cigni, e l canto loro hor qui si sente. 50 Sopra a ogni altro loco Apollo deo questo am in terra, dal surgente fonte fin dove perde il nome di Penneo; ma pi, dopo lexcidio di Phetonte, che lui per la vendetta del suo filio fece passar a Sterope Acheronte. 55 Onde irato il rector del gran concilio, per punir giustamente il grave errore, li die del ciel per alcun tempo exilio. Alhora habito prese di pastore; ma poca differentia si comprende da la pastoral forma al primo honore.

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Poemetti in terzine Apollo e Pan

Larco sol, che da sacri homeri prende, el quale gi essere aureo solea, hor di naxo et pi splendor non rende. 65 Cos laurata lyra, che pendea dallaltro lato gi nel suo bel regno, di macero era, et hora pi non lucea; leburneo plectro gi hora di legno; li occhi spiravon pure un divin lume: questo tr non li pu chi vel fe degno. 70 Servono e biondi crini il lor costume, ma dove li premeva una corona di gemme, hor delle fronde del suo fiume. Cos fatto pastor, hor canta, hor suona, hor ambo le dolcezze insieme aggiunse; talhor con Daphne, hor con Penno ragiona. Sentillo Pan un giorno e, poi che giunse dovera, disse: Che s ben cantassi pastor mai guard armenti o vacche munse. 80 E converria che teco un d certassi: ma a me dio saria certar vergogna con chi observa delli armenti e passi. Cynthio pastor allui: Non ti bisogna questo riguardo haver, ch la mia lira cos degna come la tua zampogna. 85 Se non cognosci il canto, gli occhi mira. Cognobbe Pan colui che adora Delo, per lo splendor che da santi occhi spira, et: Hora con molto pi ardente zelo canta - dixe - colui che Arcadia venera, poi che ciascuno habitator del cielo.

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Poemetti in terzine Apollo e Pan

Et Delio: Questo in me gran piacer genera: contento son. Cos ciascun sassise sopra lerba fiorita, verde et tenera. 95 A lombra di Syringa Pan si misse, che dello antico amor pur si ricorda: ella si mosse et quasi al canto arrise. Tempera et scorre alhor ciascuna corda Apollo allombra del suo lauro sancto; Pan le coniunte sue zampogne acorda. 100 O bella nympha, chio chiamai gi tanto sotto quel vecchio faggio in valle ombrosa, n tu sdegnasti udire el nostro canto; deh, non tener la bella faccia ascosa, se li arditi desir gi non son folli 105 a voler recitar s alta cosa. Io te ne priego per li herbosi colli, per le grate ombre e pe surgenti fonti, channo i candidi pi tuoi spesso molli; per li alti gioghi delli alpestri monti, 110 per le leggiadre tue bellezze honeste, per li occhi, e quai col sole talhora affronti; per la candida tunica, che veste leburnee membra tue, pe capei biondi, per lherbe liete dal pi scalzo pste; 115 per li antri ombrosi, ove talhor tabscondi, pel tuo bellarco, qual se fussi doro, parresti Delia tra le verdi frondi; nimpha, ricorda a me che versi fro cantati dalli di, perch convenne 120 ciascuna nympha per udir costoro.

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Poemetti in terzine Apollo e Pan

Penneo il corso rapido ritenne, misson li armenti il pascere in oblio, tronc il canto agli uccei le leggier penne. E fauni per honor del loro dio, 125 ciascun satiro venne a quel concento, fermossi delle fronde il mormorio. Pan dette alhora i dolci versi al vento: Diva, nellinquieto mar creata, fusti tu causa al siculo pastore 130 di morte, o la prole impia da te nata? Certo tu fusti, anzi il tuo figlio Amore; anzi, tu impia et lui crudel, li desti vana speranza tu, lui cieco ardore. E tu da qual delle Furie togliesti 135 o Cupido, il veneno?, forse lo strale nelle schiume di Cerbero intignesti? Crudel, come potesti tanto male guardare, et morte tanto acerba et rea, con li occhi asciutti, et se dio inmortale? 140 Se l consenso vi fu di Citherea, io stimo omai i suoi numini vani; se non, tu non se figliuol di dea. Anzi ti partoriro i giochi strani di Caucaso nivoso, et in duri saxi 145 elatte ti nutr di tigri hircani, crude nutrici: e superar ti lassi di s crude nutrici, di pietate! Piansone loro, et el cor tuo duro stassi. Fr le pilose guance alhor rigate 150 da primi pianti, et lacrime novelle dalli occhi feri avanti non gustate.

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Poemetti in terzine Apollo e Pan

Ma voi dove eravate, o nymphe belle, alhor che dette li ultimi lamenti Daphni, chiamando le crudeli stelle? 155 Daphni, amator delle selve virenti, Daphni, honor del mio regno, a me pi grato chalcun pastor che guardassi armenti. Ah Daphni, Daphni, quanto hai ben guardato gli armenti, et mal te stesso!, ma chi puote 160 fuggir per lo inexorabil fato? Chi puote obstare alle incostanti ruote, e pregando piegar limpie sorore o bagnando di lacrime le gote? Chi pu fuggir, Cupido, il tuo furore? 165 Syringa, sai, quanto al seguir leggieri fe gi i mia pi, bench a te pi il timore. Poi che non fe pietosi i duri imperi Daphni colla sua morte, alcuno amante trovar pietate in lui gi mai non speri. 170 Empieron le spilonche tutte quante di mugghi i feri leoni, et pianto tristo sudorno e saxi et le silvestre piante. Lichaon, lacrimar mai pi non visto, ne pianse, et quei, di cui la forma prese col figlio gi la gelida Calisto.

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Simposio

I Nel tempo chogni fronde lascia el verde e prende altro color e mbiancon tutti gli lbori e poi ciascun sue foglie perde; 5 e l contadin con atti rozzi e brutti, chaspetta el guiderdon dogni suo affanno, vede pur delle sue fatiche e frutti; e vede el conto suo, se l passatanno stato tal che speranza gli dia o di star lieto o di futuro danno; 10 e Bacco per le ville e n ogni via si vede a torno andar, col cui aiuto vo a questopra el suo principio sia; avendo fuor della mia terra auto per alcun d, come addivien, diporto, e ritornando ondio ero venuto; per fare el cammin mio pi destro e corto (ch sempre, credo, fu somma prudenza, chi pu pel diritto andar, fuggir el torto); 20 ritornavio verso la mia Fiorenza, per riveder la mia alma cittade, per la via chentra alla porta a Faenza; quando vidi calcate s le strade di gente tanta, chio non ho ardire di saper ben contar la quantitade. 25 Di molti el nome arei saputo dire, perch dalcun avea qualche notizia ma non sapea quel che gli facessire. Conobbine un col qual grande amicizia tenutavea gran tempo, e da fantino lo conoscea nella mia puerizia.

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A lui mi volsi e dissi: O Bartolino, qual cagione ha e te e gli altri mossi a pigliar cos n fretta tal cammino? 35 Qual voglia vi conduce, saper puossi? Frmati un poco e fa che mi sia detto. E lui alle parole mie fermossi. Non altrimenti a parete uccelletto, sentendo daltri uccelli e dolci versi, sendo in cammin, si volge a quello effetto: 40 cos lui, bencha pena pu tenersi, ch gli parea el fermarsi fatica, ch non sacquista in fretta e passi persi. Quel che tu vuoi convien chalfin ti dica, bench landar sia in fretta, come vedi, per la cagion cha presso a te si esplca. Tutti nandian verso el Ponte a Rifredi, ch Giannesse ha spillato un botticello di vin, che presti facci e lenti piedi!: 50 tutti nandiamo in fretta a ber con quello, quel ci fa sol s presti in sulla strada e veloce ciascun pi chuno uccello. E un pezzo gi che Marco della Spada e l Basa con la lor gaglioffa furia son giunti l e non istanno a bada. 55 Mai non vedesti la maggior ingiuria, ch promesso mavien menarmi seco, ch la cagion che cos or minfuria. Costor non guardan pi trebbian che greco, e non so coma bere egli abbin faccia, e del mangiar i non lo vo dir teco.

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Lascia pur lo seguir lantica traccia, chio so che la vendetta i nho a vedere, e un di lor ha gi la gamberaccia. 65 O Bartol mio, chi veggio l a sedere, - comincia io - l presso al Romituzzo?. E egli a me: uom che vuol godere. Se vuo veder come el vin gli fa puzzo, mostrar tel vo per una cosa sola, che gli fu posto nome lAcinuzzo. 70 Le secche labra e la serrata gola ti mostron quanto questo el vin percuote, cha pena pu pi dir una parola. Colui chi , cha s rosse le gote? E dua con seco con lunghe mantella?. E egli: Ognun di lor sacerdote. Quel ch pi grasso l piovan dellAntella: perch ti paia straccurato in viso, ha sempre seco pur la metadella. 80 Laltro, che drieto vien con dolce viso, con quel naso appuntato, lungo e strano, ga fatto anco del ber suo paradiso. Tien degnit, ch pastor fesulano, e ha n una sua tazza devozione e ser Anton seco ha, suo cappellano. 85 Per ogni loco e per ogni stagione sempre la fida tazza seco porta, non ti dicaltro, sino a processione. E credo questa fia sempre sua scorta: quandegli muter paese e corte, questa sar chi picchier la porta;

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questa sar con lui dopo la morte, e messa seco fia nel monimento, acci che morto poi lo riconforte. 95 E questo lascer per testamento. Non lhai tu visto a procession, quandegli chognun si fermi fa comandamento? E canonici chiama sua frategli, tanto che tutti intorno gli fan cerchio; e, mentre lo ricuopron co mantegli, 100 lui con la tazza al viso fa coperchio.

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II Parte da riso e parte da vergogna per quel vedevo e udivo occupato, mi stavo quasi a guisa duom che sogna; 5 quando mi sopragiunse qui da lato un che per troppo ber era gi fioco; conobbil presto, perchera sciancato; allor mi volsi e dissi: Ferma un poco, o tu, che vai veloce pi che pardo; frmati alquanto meco in questo loco!. 10 E lui ferm el suo passo e fece tardo, come caval ch punto e sia restio; ondio dissi: Ben venga Adovardo!. E lui: Gi Adovardo non son io, ma son la sete, pi singular cosa, che data sia agli uomini da Dio, pi cara, eletta, degna e preziosa: e or qui nasce una sottil dispta e un bel dubbio in questo dir si posa. 20 Se l ber caccia la sete, ch tenuta s dolce cosa, adunque el ber male; ma n questo modo poi ell soluta; mai non si sazia sete naturale come la mia, anzi pi si raccende quanto pi bo, comio beessi sale; 25 e comAnteo le sue forze riprende cadendo in terra, come si favella, la sete via dal ber pi sete prende; e perch lacqua della feminella spegne la sete, per giucar pi netto,

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acqua non bo, per non gustar di quella. Lasciamo andare, in questo l mio diletto, per qual contento son, lieto e giocondo: egli l mio sommo ben, solo e perfetto

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e quando non sar pi sitibondo daretemi dun mazzo in sulla testa, se manca quel per chio son visso al mondo. A pena udir potessi da lui questa parola, chesser solea s feroce; e Bartol cominci, come lui resta:

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Lasso! dove lasciato ha tu la voce?. Lui soggiunse a fatica: A San Giovanni lesser suto rettor tanto mi nuoce. Chi si potre tener che non tracanni di que trebbiani? E di quel chi ho fatto non me ne pento, bench n questi affanni. Poca ve ne portai e men nho tratto; e sio morissi ben, non me ne pento, non me ne pento, el dico un altro tratto.

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Morir nellarte mia io son contento, chun bel morir tutta la vita onora. Poi pi non disse e vanne comun vento. Un altro drieto a lui conobbi allora, che par che debba andar di questo a pari, ch se costui non bee, questo ristora.

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Litiginoso e cape bianchi e rari, a lui mi volsi e dissi: O Grassellino, che se lonor della casa Adimari, tirati a tal viaggio amor di7vino?. E egli a me: Non aver maraviglia, perchio farei molto maggior cammino

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un passo mi sarebbon cento miglia; ogni fatica spesa ben per questo. Pi non disse e segu laltra famiglia. 65 Ondio a Bartol mio: Guardian quel resto. Dimmi: chi costui e di qual gente, a cui par che landar sia s molesto?. E egli a me: Costui mio parente, non conosci tu Papi? Or ve che ride; guarda come e ne vien allegramente. 70 Costui per s e un compagno uccide; e colui che vien drieto, alle frontiere, e la palandra, per ir ratto, intride, noi sin daccordo darli le bandiere, come maestro ver dellarte nostra: questo se gli convien, ch cavaliere; gi dilettossi e ebbe onor in giostra, egli l tuo Pandolfino, milite degno, che or suo gagliardia al ber dimostra. 80 Io feci onore e riverenza al segno, cavandomi di testa la berretta, e lui pass come spalmato legno. E eccoti venir un molto in fretta, sanza niente in testa e pel calore non porta n cappuccio n berretta. 85 Chi costui che vien con tal furore ratto, che ne va quasi par che trotte?. E egli: Anton Martegli, al tuo onore. Ve gote rosse e labre asciutte e ncotte e l suo naso spugnoso e pagonazzo: non cura fiaschi, carratelli o botte.

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Non ti ricorda del grande stiamazzo, che fece un tratto per la fiera a Prato, quando tolto gli fu di starne un mazzo? 95 Chi gli togliessi e la roba e lo stato, sappi che la met non se ne cruccia, che quando simil cose gli rubato. Chi costui che par ebro, bertuccia che mpaniatha lun e latrocchiolino?. E egli a me: Gli pur di quella buccia. 100 Quest di Bianco el nostro Simoncino, che cominci gi per buffoneria, or gnene d da ritto e da mancino. Piace in modo a costui la malvagia e ritrovarsi in gozzoviglia e n tresca, 105 che nha lasciato gi la senseria. Chi colui che n mano ha quella pesca e per piacer talor s se la fiuta, bench naso non ha ondodor esca?. Quel che tu di sarto e detto l Zuta, 110 che bere sol col naso una vendemmia: sia che si vuol, ch nulla non rifiuta. A el paese nostro una bestemmia la sete che questha nelle mascella, e sai che dogni sorte e ne vendemmia. 115 Quando beuto gli ha, tanto favella, che vien a noia a chiunche intorno lode, tantogni sua parola pronta e bella. Savvien chal Ponte oggi questo sapprode, credo chal ber far s gran procaccio, 120 che convien chal tornar un baril frode.

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Lascial con gli altri andar questo porcaccio; egli con lui del Candiotto el Tegghia: tanto questama che lo mena a braccio, e berre quel chegli ha n bottega a vegghia.

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III Avea fornito Bartolin di dire, e perch il tempo passa e non aspetta, si volse a me, dicendo: Io vo partire. 5 E io a lui: Deh, lascia tanta fretta! Deh, dimmi un poco ancor che gente questa, finchio conosca el resto della setta. Chi quel cha quella berretta in testa e che l cappuccio porta in sulla spalla?. E lui: La vista sua tel manifesta. 10 Ve come lieto vien, che nel vin galla; Bertoldo Corsin che minnamora, tanto e s ben al suon del bicchier balla. Quando beuto ha ben, piscia una gora, chio credo chun mulin macinerebbe; ve l suo figliuol, che con lui vien, ancora. Questo, come da suoi primi anni crebbe, dette presagio ver della sua vita, che beitor e goditor sarebbe. 20 Dice el padre cha ber e lo rinvita, e non ti potrei dir quanto contento egli ha di questo, e al ben far lo nvita. Chi quel cha un mento sotto el mento e non mi par che sia nella spezie etica?. E lui: lo Scassina, al tuo talento. 25 Costui gi ebbe male e ebbe letica, comincili la sete insino allotta, n mai dallora in qua altro farnetica. Costui chi che ne vien con la frotta, chun legno par portato dalla piena e debbesser in punto a qualunchotta?

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Io me navveggo ben perche balena, volentier de tener in molle el becco. E lui: Presto sar tua voglia piena. 35 Come chi trae con la sua mira al lecco, cos costui al ber fermato ha l punto, e, se balena, e non balena a secco. El vin lha in tutto logoro e consunto: sentito hai ricordar Filippo vecchio, e l giovan ancor c, ma non giunto. 40 Io posi alle parole sua lorecchio, e lui soggiunse, che vedeva chio di domandar facea nuovo apparecchio: Conosco, innanzi dica, el tuo disio; e di questo per pruova or avvedrati, chio tel dimosterr pel parlar mio. So che que sei che nsieme vengon guati, ratti che par che sieno in sulla fatta: sappi che tutti a sei e son cognati. 50 Quel ch nel mezzo Niccol di Stiatta, che non gli divent ma l vino aceto, ch la suo parte, ti so dir, nappiatta. Quel da man destra Bobi da Diacceto: quando, come el cammel, la soma ha egli, gran fatica a farlo poi star cheto. 55 Dalla sinistra vien Checco Spinegli: io credo che costui pi ne divori a pasto, che non tien dua carrategli. A lato a lui vien poi Giulian Ginori: perche ti paia piccolo e sparuto, e bee e mangia poi quanto e maggiori;

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non guardar perche sia cos minuto, ch quando e giugne poi al paragone, egli ha gi presso a un baril tenuto. 65 Laltro credo bere per tre persone: stu nol conosci, egli Giovan Giuntini, e ve n un, quandegli vi si pone; e non sintende gi troppo de vini, basta che sempia. Quel dal lato manco egli Iacopo tuo de Marsuppini: 70 se di tutti ha danni e persona manco, egli ha pi sete, e ma non sare messo per tristo battaglier, ma fiero e franco. Vedi tu un cha questi vien a presso, bench ne venga adagio e passo passo? Egli l Grasso Spinelli, egli ben desso. Perch gli , come vedi sconcio e grasso, per a suo bel destro pian cammina; io non te lo vo dir se fa fracasso: 80 sentistu ma dir duna cappellina, che savie messo in capo di guarnello e non se la potea trar la mattina? Par el ber a costui s buono e bello, che tutto el giorno lugna si morsecchia per aver sete: o ve sottil cervello! 85 Non trae s volentier al fior la pecchia, come costui fa allodor di Bacco, e se tu apparecchi, egli sparecchia. Da sezzo egli come al principio stracco: cacio carne uova pesce egli avviluppa e frutte e erbe, come fussi un ciacco.

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Laltro, che drieto a pi nel fango inzuppa, come non men grasso, e non bee meno e l pan gli manca solo a far la zuppa. 95 Egli l Grasso spezial, magno e sereno, che non si lascia gi tr la sua parte e mai non bee se non col bicchier pieno. Quel che tu vedi, che si sta in disparte, perch pi grasso e glincresce el cammino, egli l maestro ver della nostrarte. 100 lo Steccuto, che bee tanto vino, cha parlarne o pensarvi mi spaventa: sol, bee per tutti noi del Dragoncino. Quando gli ha ben beuto, e saddormenta, e nel dormire e russa tanto forte, 105 che convien per romor che si risenta; e sempre suda e sa un po di forte.

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IV Io avea fermo allo Steccuto locchio quando el mio duca disse: Se pi stessi, giugnere forse poi come l finocchio. 5 Io lo pregai chalquanto rimanessi, e furon tanti efficaci e mie prieghi, che convenne a mia voglia conscendessi. E disse: E non fia cosa chio ti nieghi, ma quanto tu mi spaccerai pi presto, tanto pi in eterno mi ti leghi. 10 E io: Quanto lo star t pi molesto, tanto ti rester pi obligato. Ors, che mi sia detto chi questo. E mostragli un che mi vena da lato, che di presenza era assai grande e bello: su n una mula vien come legato. Io presi ammirazion vedendo quello, ch mi parve da lungi messer Piero, ma conobbil da presso Belfradello; 20 e dissi: O Bartol mio, deh!, dimmi el vero, ch la cagion che lui cos cavalca? Fa e per ir pi ratto in sul sentiero?. Forse che n cagion la codicalca - rispose a me - chassai roba v corsa, che non lo lascerebbe ir con la calca; 25 o egli perch gli ha piena la borsa, o perch gli poltron di suo natura, o perch gi la rogna in lebbra scorsa. Benchin viso ti paia uom di gran cura, non creder alla sua falsa presenza, chegli pur una sciocca creatura.

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costui beitor per eccellenza, ma bee inver molto pulitamente, ch n corte lo mpar, fuor di Fiorenza. 35 Deh, lascial andar via con laltra gente, ch, stu sapessi quanto poco saggio, non lo vorresti o amico o parente. Vedi tu un che sguita el viaggio, unto e bisunto come un carnasciale? Gli l mastro de corrier, quel del Vantaggio. 40 Costui taverna fa, ma ne fa male, ch gli ha beuto tanto in capo allanno, che non ne resta mai in capitale. El Fico, el Buco e le Bertucce el sanno, e perch malvagia non han bottega, al Candiotto ancor fa spesso danno. Quando gli vien di lettere una piega e che le porta a mercatanti lieto, lui e lor san di vino a chi le spiega. 50 Quel che tu vedi, cha costui vien drieto, a onde balenando a spinapesce, se ti par ebro, egli , ma non daceto: egli Stefan sensal, che gli riesce meglio el diventar zuppa in due parole, pi che non fa l notar nellacqua al pesce. 55 Non altrimenti, se si scuopre el sol nelloriente, illuminar di botto ogni animal e tutto el mondo suole: cos al ber costui tanto corrotto che, come in viso lha guardato un tratto, non lha prima veduto che gli cotto.

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Vedi tu, drieto a lui non gi gran fatto, tre chesser denno... di do? di Cenaia! che come porci corrono allo mbratto? 65 E son fratelli, e poco non ti paia, dun padre, e cos son fratelli al bere: dua ve n putte e l terzo una ghiandaia. Quando e son tutti a tre a un tagliere, non si fa alcun pregar tant cortese e non bisogna troppo proferere. 70 Quel men grasso messer Matteo Stiattese; quel che par cha fatica e si conduca pi destro alla pruova chal parere: i el vidi gi uscir per una buca, quel messer Pagol grasso ch secondo, cha pena nuscirebbe una festuca. Se fussi ognun di lor s sitibondo dacqua, come ne son crudel nimici, credo che resterebbe secco el mondo. 80 El terzo che tu vedi ch gi quinci, pur di teologia ha qualche inizio e dottorossi per mezzo damici; e ha mparato che l maggior supplizio chavessi in terra el nostro Salvatore, quando in sulla croce e disse sitio; 85 e par che se li scoppi e apra el cuore, se, predicando mai, vien a quel passo che mette s medesmo in tal dolore. Se come e mangia e bee e come grasso, e fussi dotto, niun Santo Agostino allegherebbe o chi nsanguin l sasso.

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Egli ha studiato in greco e in latino tanto, che sa che l grasso di vitella allarga el petto e belo come el vino. 95 Bench or sudin, questa brigatella io ti so dir che gli hanno a rasciugarsi, n l posson far con una metadella. El cammin gli ha soffregati e riarsi, ma sanno che gli buona medicina e questi mal al bicchier appiccarsi. 100 Lasciali andar con la virt divina.

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V Come sparvier ch posto in alto a getto e vede sotto e canche cercon forte sta di volar e pascersi in assetto, 5 tal del mio duca appunto era la sorte, aspettando al partir la mia parola, parendoli aver forse troppe scorte. E disse a me: El tempo fugge e vola, e colui non preso a gnun lacciuolo, che non giunto o preso per la gola. 10 Sio tho a mostrare el resto dello stuolo, staremo tu e io troppo a disagio, n basterebbe a questo un giorno solo. Ma io scorgo da lungi ser Nastagio, che ti potr mostrar lui questo resto; ma per farmi dispetto, e vien adagio. Deh, vienne, ser Nastagio, vienne presto!. E lui, che ntese el tratto, guarda e ride, e disse a Bartol: Che vorr dir questo?. 20 Ser Nastagio, lo star pi qui muccide; deh, mostra un po a costui di questa gente. E vanne via come a presso el vide. Io fui per forza a questo paziente, e dissi: Ser Nastagio, io son qui nuovo, e sanza voi son poco, anzi niente. 25 E egli a me: Nessuna cosa truovo, che sia conforme pi a mia natura, quanto se di piacer a altri pruovo. Innanzi chio uscissi delle mura, in modo tal mi son ben provveduto, chio posso un pezzo star teco alla dura.

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E, nel parlar, e mi venne veduto dua torre: ma nel muover che fiacieno vidi chio ero inver poco avveduto. 35 Volsimi al duca, dammirazion pieno, e dissi: Io credo in qua venga la porta non so se animal o uomin sieno. Disse el mio duca a me: Or ti conforta: perche sien grandi, e non son da temere, perch non son brigata troppo scorta. 40 Quel butterato si chiama Uliviere e laltro l tuo Apollon Baldovino, dissimil come grandi, eccetto al bere. Poi, come lun di lor fu pi vicino, disse el mio duca: O caro Apollon mio, frmati, stu se stracco pel cammino! Attienti a questa volta al parlar mio!. E lui rispose tartagliando in modo che ntender nol potemo el sere e io. 50 E mentre che di lor vista mi godo, quel primo si spurg s forte un tratto e con tanta abondanza, chancor lodo. Disse el mio duca: Ve quel chegli ha fatto or chegli ha sete; e per pensar di quel che far, se ber qualche tratto. 55 E suoi non son frullin, ma giubilei, e sa tu che per ridere o parlare non perde tempo. Io gi pruova ne fei; onde, lettor, non ti maravigliare sio dico quel chavvenne, con timore, ch sare me tacer che ritrarre.

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Come fu n terra giunto quello umore del fiero sputo, nellarido smalto unissi insieme lumido e l calore; 65 e poi quella virt che vien da alto virt gli di e nacquene un ranocchio, e nnanzi agli occhi nostri prese un salto. ComUlivier gli pose addosso locchio, disse: Io ne debbo avere el corpo pieno, ch gorgogliar gli sento. Or ve capocchio! 70 Poco con noi quelle due ombre stino: ripigliando a gran passi la lor via, sparr degli occhi in men che n un baleno. Mostrommi el duca mio un che vena, e io, come gli vidi el calamaio, dissi: E convien che questo notaio sia. E egli a me: Come di, notaio: segli sta a descomolle a suo contento e non sia ebro, io non ne vo danaio. 80 E fu rogato gi del testamento, che fece el Rosso e Ciprian di Cacio, bench non era in suo buon sentimento. Poi lo chiamava a s e diegli un bacio e disse: Ser Domenico mio bello, pi caro a me chal topo non l cacio, 85 tener non vi vo pi, per che quello disio che vi fa ir veloce e presto, so vi consuma mentre vi favello. Part sanza dir altro, detto questo. E eccoti venir cinque a un giogo: un di lor parla e sempre cheti el resto.

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Come, tornando di pastura al truogo, corron e porci per la pappolata, cos costor per ritrovarsi al luogo. 95 Quando pi presso a noi fu la brigata, quel che parlava disse: Dio vaiuti!. E l ser gli fece una grassabbracciata. Ecco gi gli altri al par di noi venuti, e volevan parlar, ma non gli lascia quel chavea dato a no e primi saluti. 100 Onde el mio ser per le risa sgangascia; dissemi nellorecchio: Questo Strozzo, che n corpo favell, non dico in fascia. Quando e gli fusse ben el capo mozzo, parlerebbe quel capo sanza imbusto: 105 ciascuno stracca, ondio con lui non cozzo. E, per parlare, e non gli manca el gusto, ma bene spesso la parola immolla, e io te lo confesso chegli giusto. Guarti, guarti, bel fiume di Terzolla, 110 ch tra l bere e l parlar che fa costui secca sarai come di luglio zolla. Quel che tu vedi ch a lato a lui, sappi che, come tu, e non bee vino, ma lo tracanna e manda a regni bui. 115 Per sopranome detto el Bellandino; e l Citto e l Tornaquinci vvi e l Pacchina, e vanno a ritrovar Giovan Giuntino. Questi son tutti ceci di cucina, perche son cotti sempre a un bollore, 120 bench dichin daver la medicina.

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Vengon spesso tra loro in quistione e vvi carestia di chi divida: poi non nulla, passato el calore. Io non mi maraviglio che tu rida 125 - dissegli a me, e poi - Addio, addio, diceva el parlator ch la lor guida. Lui parlando partissi, e l duca e io restamo come sordi in su quel filo, come color che stan nel loco rio, l ove cade el gran fiume del Nilo.

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VI Come campana cha distesa suona, poi cha restato di sonar, si sente un pezzo el rimbombar, quando l buona; 5 cos al parlar di Strozzo veramente restan gli orecchi spaventati e sordi, tal chudir poi non potevn niente. Pur ci svegli cos tristi e balordi dua con le labra secche e assetate con un valletto, anzi tre ebri tordi. 10 Disse el mio duca: Non fu fido Acate al pio Enea, come el Pecoraccia a Anton Vetori tutta la sua etate. S volentieri el can lepre non caccia come costui e beccafichi e starne, e ogni ben per empierlo procaccia. Questo di detto Anton pu fede farne, le labra molle e sempre acqua alla bocca, tanto el mangiar gli giova e l ragionarne. 20 Se Fortuna una trappola gli scocca che l Pecoraccia manchi a questa coppia, rester poi comuna cosa sciocca. Non ti dico del ber, perch raddoppia, come tu sai, quantaltri pi divora: adunque, come gli altri, questo alloppia. 25 Chi sia el parente, non tel dico ancora, perchio son certo lo conosci a punto: mal per lui sa conoscerlo avessi ora! Nellarte nostra niun s sottil punto , che non labbia a perfezione, per lunga sperienza a lor aggiunto.

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E mi ricorda gi n disputazione Bartol fe cheto stare e l Belfradello, quando gli dottoramo in colazione: 35 ve ser Agnol Bandin, dolciato e bello, el qual, per esser grasso, par sospinto, e luno e laltro se ne vien con ello. Colui che par di tanti pensier cinto - dissio al duca mio - dimmi chi sia, cha l viso di verzin bagnato e tinto. 40 Rispose allora a me la scorta mia: N pensier ha, n quel vedi verzino, ch io non vo che n tanto error pi stia. Comal pane nsalato el pecorino, cos el mio Arrigo al bere, e come n volto gi di7vin, fia presto tutto vino. Chi colui che non gli drieto molto con gran mascella e occhi di civetta, che par che la mocceca labbi colto?. 50 Quel che tu di Baccio di mona Betta: se tu l vedessi a desco ben fornito, mocceca non parre, s ben sassetta. Costui l pi perfetto parassito che noi abbin, pi vero e naturale: credo challo spedal terre lo nvito. 55 Certamente in questarte tanto vale quantalcun altro chio sappia o conosca, se quel che drieto gli non lha per male: Botticel, la cui fama non fosca, Botticel, dico, Botticello ingordo, ch pi ghiotto e pi mpronto chuna mosca.

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Oh, di quante sue ciance mi ricordo! Segli nvitato a desinare o cena, quel che lo nvita non lo dice a sordo: 65 non sapre allo nvitar la bocca a pena, chal pappar lui la bocca sua non sogna: va Botticello e torna botte piena. Preso partito gli ha della vergogna e sol si duol che troppo corto ha l collo, che lo vorrebbe aver duna cicogna. 70 E non mai s pinzo e s satollo, che non vi resti luogo a nuova gente, segli inghiottisce o d un po di crollo. Stu vedessi el suo corpo onnipotente quanto divora!, e non ne porta pie una galea che si stivi in ponente. Non pi di lui; dicin di questi due, che dove e vanno sempre di vendemmia: guarda s lor concesso gran virte! 80 Sappi chal vino e son una bestemmia, e duolsi lun di questi dua arlotti che l ben fare a suo modo non si premmia. Non veggon prima el vin chambo son cotti, ma bisogna e sia presso pel tristocchio cha l comparone e l mio Ridolfo Lotti. 85 El nostro comparon, ch l pi capocchio, crebbe ventiotto libre alla baccale, e restavali a ber poi col finocchio! Qual maraviglia segli ha poi per male non esser premiato? I mi vergogno che non sia coronato carnasciale.

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Laltro, dormendo, i lho veduto in sogno, in un sogno chio fe presso al mattino, che gli cadea non la goccia, ma l cogno. 95 Se son nimici capital del vino, el vino poi lor capital nimico, chal capo drizza el suo furor di7vino. Sbandito gli hanno la ciriegia e l fico e ogni cosa che non d buon bere: ciascun giovan danni, al ber antico. 100 Allor io mi rivolsi al mio buon sere, e dissi: Dimmi, chi laltra coppia, che si son posti qui presso a sedere?. Disse el mio duca: La gente raddoppia: quello sfibbiato Pippo Giugni mio, 105 posasi un po ch pel cammino scoppia; e laltro l Pandolfin, cha gran disio, quellarco drizzar, se l giuoco dura, vienne calando al cavalier suo zio. Costui a libre el vin che bee misura, 110 fu capitan della baccal battaglia e degnamente prese quella cura. La sete lor non fuoco di paglia, n la sete bugiarda di Bertoldo, ma natural, e par ognor pi vaglia. 115 Quel Pippo veramente un manigoldo del vin: tanto ne mbotta e tanto sempie, che per la zucca poi svapora el coldo; e per sempre ha sudate le tempie.

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VII Era gi l sol salito a mezzo giorno, tanto che lombre tutte raccorciava, quasi gi a rincontro al carro e l corno. 5 La gente tuttavia multiplicava, e non lerba s spessa in un prato, come la torma l chal Ponte andava. Tra lor ve nera alcun zoppo e sciancato, e gamberacce e occhi scerpellini, e altri dalla gocciola scempiato; 10 e visi rossi come cherubini, borse e brachieri a uno e dua palmenti, e ciglia rotte e nasi saturnini. Tra lor se ne vedea quindici o venti, come bicchieri entro glinfrescatoi, cherono insieme, urtar di quelle genti. Questi ta conobbio gi presso a noi, quai, se pigiassi, anco farien del mosto. Ma odi quel chio vidi lor far poi. 20 Era talor lun allaltro disposto parlar da presso, ma la mareggiata gli facea in un punto esser discosto. Giunti ove noi, el ser un di lor guata e ghigna con un occhio mezzo chiuso; e l ser allor: Ben venga la brigata! 25 Quanto serebbe meglio esser l suso, ove nnanzi vendemmia voi imbottasti qualche buon vin, calandolo a rinfuso!. Disse quel chaccenn: Ser, tu cantasti. appena; e par laltre parole ingoi, E non pu scir la lingua, e disse: Or basti.

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E volendo el mio duca abbracciar poi, drizzasi a lui, ma londa altrove el mena e uno abbraccia de compagni suoi: 35 s comun can che passa con gran pena un fiume e passar crede al dirimpetto, ma pi gi l guida laccorrente piena. O sere, el nome di costor sia detto, perchio non paia a referir capocchio, dissio, e lui el voler misse a effetto. 40 Quel che tu vedi, che mi chiuse locchio, sappi chegli l mio Lupicin Tedaldi, cha n capo quella ciocca di finocchio: sfavillan gli occhi, e pi non tien ben saldi e l viso rosso mostra e tose lale. Ma odi quel che ferno a questi caldi. Quandel mondarde al suon delle cicale, avevan loro, e stavan a sedere, un braccio alzato lacqua nelle sale. 50 Eravi a galla assai pi dun bicchiere, e tristo a quel bicchier cha lor vena, ch si partiva scarico e leggiere. Ma restoron po s con villania, ch fu cagion tra lor di gran travaglio, chun peto trasse un della compagnia. 55 Al gorgogliar dellacqua, a quel sonaglio fessi fortuna, onde certi bicchieri periron, come fussin suti un vaglio. Rizzossi el Lupicin pronto e leggieri, e disse a quel che gli sedea a lato: Uom non se da star teco volentieri.

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Se fussi un tale scandol perpetrato al tempo degli antichi nostri padri, che prezzo arebbe questerror pagato?. 65 E egli a lui: Alle tue spese impari: perch ci desti a desinar fagiuoli, sgonfiar bisogna, or ferminsi e precari. e trar la sete con ta bicchieruoli. Ma Benedetto, al ber, ci sinterpone: Dun padre, disse, no sin pur figliuoli: 70 el babbo nostro l vin, che d cagione che noi dobbiamo star in pi quiete. Lionardo, io ti vo vincer a ragione: se drento del buon vin bagnati siete, col vin versato ci bagnian di fuori, ch lacqua stietta accoglie e to la sete. Questo parlar compose e lor fervori. Tutti gi consolati, Lupicino: Benedetto - dicea - tu minnamori. 80 Poi, volto a Anteo, che era assai vicino, disse: Bi di mia man, chio di tuo bo: ma si fa buona pace sanza il vino. Cos pace tra lor col vin si feo. Stu nol sapessi, or sappilo: era al bere Ercole el Lupicino, e vvi Anteo. 85 Se Benedetto accigliato sparviere pare, e si d certi punzon negli occhi, che non lo lascion cos ben vedere. Fave arrostite, radice o finocchi non fa mestier, ch l gusto torni loro, o granchi fritti o cosce di ranocchi.

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Ors, deh! non parlian pi di costoro disse a me l sere e a lor: A Dio siate!. E si partiron sanza pi dimoro. 95 Ambo le ciglia mie eron voltate a un che cera presso un trar di freccia; e, giunto, el sere ebbe di lui pietate: e volle questo nuovo torcifeccia abbracciar presto, ma non pu perfetto ch pria toccossi luna e laltra peccia. 100 Tre volte dabbracciarlo fe concetto, tre volte le man tese a quel cammino, tre volte gli toccr le mani el petto. Disse: Parlian come suole un vicino con laltro, se convien che cos sia, 105 dalla finestra, e n mezzo l chiassolino. Ben venga el dolce mio piovan di Stia! Forse di Casentin partito siete, per non vi far di vin pi carestia?. Lui disse: In parte el ver cantato avete, 110 ma anco mi parti per ir al bagno, per ritrovarvi la perduta sete. Benchancor ba per me e un compagno, pur, quel chio non solea, a venti tratti comuna palla grossa al ber ristagno. 115 In Casentino ho fatto mille imbratti, per far la diabetica tornare, e nsin qui nvan molti rimedi ho fatti. Questa cagion a piede or mi fa andare, e vorre chuna febbre mi venisse, 120 sol per poter con sete un po calare.

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Donde, se questo effetto non sortisse, contento son renunziar la vita. Or seguite el cammino - el mio ser disse che Dio vi renda la sete smarrita!.

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VIII Come un catin di mal rappreso latte, quando chi el porta non misura e passi, triema tutto nel vaso e si dibatte; 5 cos e poli al piovan vegnenti e grassi diguazzando si van pel mal cammino, perche poneva e pi or alti or bassi. Comun fanciul porta un bicchier di vino, che lo dibatte s che lugna tigne e l dito, con challorlo ha fatto uncino; 10 cos el piovan onde si sfibbia e scigne: ambo le calze alle ginocchia avvolse e per trovar la sete e passi strigne. N pria le stiene alli nostrocchi volse, che ci pareva al culo un cavriuolo per la gran saponata che vaccolse. I lascio chegli avea nel carnaiuolo un po di stienal secco e unaringa, una ghiera di cacio, un salsicciuolo, 20 quattro acciughe legate a una stringa, e tutte si cocevan nel sudore: io non so come meglio i tel dipinga. Cos el piovan pass a grandonore, col cul ballando e con qualche coreggia sonando, s che si sentia lodore. 25 Un che mangiato par dalla marmeggia sorgiunse, e segli avesse un fuso in bocca, vedresti el viso proprio dunacceggia. Quest l piovan Arlotto, e non gli tocca el nome indarno, n fu posto a vento (s come secchia molle!), ma di n brocca.

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Costui non singinocchia al Sacramento, quando si lieva, se non v buon vino, perch non crede Dio vi venga drento. 35 E come gi per miracol divino Gesu ferm l sol contro a natura, cos costui e nsieme un suo vicino ferm la notte tenebrosa e scura, e scambioron un d, che s dormro, e la notte seguente: odi sciagura! 40 El primo d un certo armario aprro, pensando loro una finestra aprire, e, scur vedendo, al letto rifuggro. Volle Iddio che levolli da dormire quel della casa e mostr loro el giorno, ch cos ben si potevan morire. E cos el terzo d risuscitorno, bench par chal secondo e fussin desti, perch, dormendo, de tre d toccorno. 50 Cos pass el piovan mentre che questi ragionamenti si facean tra nui. Allor furno a un altro gli occhi presti, e dissi: O ser Bracciata, chi costui, cha seco in compagnia da sei agli otto, che son come satelliti con lui? 55 Perch va ei cos largo di sotto? Dimmi, ser Unto, perch lui cammina comun fanciul che sha cacato sotto? ......................................

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Rime in forma di ballata De summo bono

De summo bono

I Da pi dolce pensier tirato et scorto, fuggito havea laspra civile tempesta per ridurre lalma in pi tranquillo porto. 5 Cos traducto il core da quella ad questa libera vita, placida et sicura, ch quel poco del bene che al mondo resta, et per levare da mia fragile natura quel peso che a salir laggrava et lassa, lasciai il bel cerchio delle patrie mura. 10 Et pervenuto in parte humle et bassa, amena valle che quel monte adombra, che l vecchio nome per et non lassa; l dove un verde lauro faceva ombra, alla radice quasi del bel monte massisi, e l cor dogni pensiero si sgombra. Un fresco, dolce, chiaro, nitido fonte ivi surgea dal mio sinistro fianco, rigando un prato innanzi alla mia fronte. 20 Quivi era dogni fiore vermiglio et bianco lerbetta verde; e in tra s bei fiori riposai il corpo fastidito et stanco. Evanvi tanti varii et dolci odori, quanti non credo la fenice aduna, quando sente gli extremi suoi odori. 25 Credo che mai o tempestosa o bruna sia laria in loco s lieto et adorno, n ciel vi possa nuocere o fortuna. Cos stando soletto al bel soggiorno della mia propria compagnia contento et solo con dolci mia pensieri intorno,

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contemplava quel loco: e in quello io sento sonare una zampogna dolcemente, tal che <del> sonator balla larmento. 35 Alla dolce ombra, a quel liquor corrente vena per meriggiare et, me veggiendo, nuovo stupore li venne nella mente. Fermossi alquanto et poi, pur riprendendo il perso ardire, con pastoral saluto mi salut; poi cominci dicendo: 40 Dimi, per qual cagione se qui venuto? Perch e theatri e gran palazi e templi lasci, e laspro sentier t pi piaciuto? Deh, dimi, in questi boschi or che contempli? le pompe, le ricchezze et le delitie forse vuoi prezar pi pe nostri exempli?. Et io allui: Io non so qual divitie et quali honori sieno pi suavi et dulci che questi, fuori delle civili malitie. 50 Tra voi lieti pastori, tra voi bubulci odio non regna alcuno o rea perfidia, n nasce ambitione per questi sulci. El ben qui si possiede sanza invidia; vostra avaritia ha picola radice, contenti state nella vostra accidia. 55 Qui una per unaltra non si dice, n la lingua al proprio core contraria, che quel, che hoggi il fa meglio, pi felice. N credo chegli advenga in s pura aria che l cor sospiri et fuor la bocca rida, che pi saggio chi l vero pi copre et varia.

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Chi in semplice bontate hoggi saffida stolto sappella, e quello che ha pi malitia pi saggio pare ad chi n quello cerchio annida. 65 Con lutile si misura ogni amicitia: pur pensa che dolcezza in quello amore, il quale Fortuna intepidisce o vitia! Come essere pu quieto mai quel core el qual cupiditate affligge et muove o ad troppa speranza o ad timore? 70 Ma voi vi state in questi monti, dove pensier non regna perturbato o rio, n l cor pendente sta per cose nove. La vostra sete spegne un fresco rio la fame i dolci fructi et misurate con la natura ogni vostro disio. Il lecto qualche fronde nella state, el secco fieno sotto le cappannelle il verno, per fuggir acque et brinate. 80 Le veste vostre non sono come quelle cerche in paesi strani per le salse onde: contenti state alla velluta pelle. Oh quanto dolce un sonno in queste fronde non ropto da pensieri, ma londa alpestre col mormorio al tuo russare risponde! 85 Credo che spesso ogni nympha silvestre convenga al fonte tanto chiaro et bello, con pi dolce armonia che la terrestre. Al dolce canto lor suave et snello, al suono della zampogna e a versi vostri risponde Phylomena o altro uccello.

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Se aviene che un tauro con un altro giostri, credo non manco al cuor porga dilecto che i feri ludi de theatri nostri. 95 Et tu, giudicatore, al pi perfecto doni verde corona, et in vergogna si resta laltro misero et in dispecto. Felice quello che quanto li bisogna tanto disia, et non quello a cui manca ci che la &<in&>satiabile mente agogna. 100 Nostra infinita voglia mai non manca, ma cresce, e nel suo crescer pi tormenta; a quel che pi disia, pi cose manca. Colui che di quel cha sol si contenta ricco mi pare; et non quel che pi prezza 105 ci che non ha, che quel che suo diventa. Quieta povert gran ricchezza, pur che col necessario non contenda: ricco et non ricco altri , come savezza. Et non so come alcuno biasmi o riprenda 110 la mente che contenta di se stessa, et laudi quella che daltrui dipenda. La vostra vita, pastor, mi pare essa, se alcuna se ne truova al mondo errante, challa humana quiete pi sappressa. 115 Non fu il pastor a ludire pi costante, ma, vlti gli occhi alcuna volta in giro, fe di voler parlare nuovo sembiante. Poi cominci con cordial sospiro: Non so che errore chiamare lieta ti face 120 tal vita, vita no, anzi un martiro.

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N so per qual cagione tanto ti piace quel che tu laudi et poi, laudato, fuggi, et come tu non segui tanta pace. Deh, perch il vero colla menzogna auggi? 125 et, se ver parti, segui questo vero che s brami in parole e te ne struggi. Ma gran facto dallopera al pensiero e tal sentier par bello in prima vista, che al caminare poi spinoso et fero. 130 Qual cosa questa vita non fa trista? Al freddo, al caldo stiamo come animali: et questa la dolcezza che sacquista. El verno, a tempi rigidi et nivali, talora a ogni pelo di nostra vesta 135 veder puossi cristalli glaciali. Talora un vento s crudele ne infesta, che, per porsi al povento dopo un masso, non cessa il freddo o la crudele tempesta. Le piume sono il terren duro o il sasso; 140 e cibi quei delle silvestre fere, per confortarne, quando altri pi lasso. Non manco mi vedresti tu dolere, se lupo via ne porta un de nostri agni, che quando tu perdessi un grande avere. 145 N pi tu del gran danno tuo ti lagni, che io del poco: ch a proportione i picoli a me son come a te e magni. In minor cose ha in me dominatione Fortuna certo, et se quel poco ha a sdegno, 150 pi duole a me sanza comparatione.

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Sio perdo un vaso di terra o di legno, non manco mi do&<l&>go io del vil lavoro, che se tu il perdi doro, che pare pi degno. La differentia ch tralegno et loro 155 natura non la fa, ma noi facciamo, per extimar luno vile, laltro decoro. Per se l vaso fittile mio amo quanto tu laureo, equalmente a me nuoce Fortuna, perch equalmente lo bramo. 160 Ma credo appellar possa a una voce Fortuna il mondo rigida et inimica, perch pende ciascuno nella sua croce. Bench pastore, odo sententia antica: ciascun mal contentarsi di sua vita 165 et pare lieta e felice laltrui dica. Io mi star dove il destino minvita, tu dove chiama te la stella tua: ove la sorte sua ciascuno cita, mal contento ciascun, non sol noi dua.

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II Erano gli orecchi alle parole intesi, quando una nuova voce a s gli trasse, da pi dolce armonia legati et presi. 5 Pensai che Orpheo al mondo ritornasse o quel che chiuse Thebe col suon degno, s dolce lyra mi parea suonasse. Forse caduta dal superno regno la lira chera tralle stelle fisse? - dissio -, il ciel sar sanza il suo segno, 10 o forse, come quello antico disse, lalma dalcun di questi trasmutata nel suonatore per suo destino si misse!. Et mentre che tra fronde et fronde guata et segue locchio ove lorechio tira, per veder tal dolcezza onde causata, ecco in un puncto sente, intende et mira locchio, la mente nobile e lorecchio chi suona, sua doctrina et la sua lyra: 20 Marsilio, habitatore del Montevecchio, nel quale il cielo ogni sua gratia infuse, perche fussi a mortal sempre uno specchio; amator sempre delle sancte Muse, n manco della vera sapientia, tal che luna gi mai dallaltra excluse. 25 Perch degno era dogni reverentia, come padre comune dambo noi fosse, surgemo lieti della sua presentia. Lui non men lieto al bene fonte fermosse et poi che assiso fu sopra un sasso, ferm il bel suono et le parole mosse:

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Io ero dello andare gi stanco et lasso et per venire dove or s mi recreo guid qualche felice nume il passo. 35 Ma prima: Lauro, salve, e salve Alpheo, de prudenti pastori certo il pi saggio e per la lunga et buon patre meo. Maraviglia di te, pastor, non haggio, ch spesso insieme ci troviamo al fonte e talora sotto qualche ombroso faggio. 40 Ma veder te sopra il silvestre monte crea, Lauro, in me gran maraviglia; non chio non vegga te con lieta fronte. Chi di lasciar tua patria ti consiglia? Tu sai che peso alle tue spalle danno le publiche facende et la famiglia. Et io allui: Tanto grieve laffanno (che, sol pensando, addoloro et accidio) che le cose, che di, drieto a s hanno. 50 Levami alquanto dal civile fastidio, per ricreare, col contemplar, qui lalma, la vita pastorale, la quale invidio. La nostra troppo intolerabile salma, quale comparando alla pastoral vita, bench egli il nieghi, allei darei la palma. 55 Questo disputavamo, quando sentita fu la tua lyra, et ad quel dolce suono sbito la dispta fu finita. Hor, poi che Dio di te nha facto dono, dimme chi di noi erra il ver cammino e se le nostre vite hanno vero bono;

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se pur lo vieta a noi nostro destino, qual vita quella sia che se ne addorni, o se l mondo lo d o se divino. 65 Ogni arte, ogni dottrina e tucti i giorni, ogni acto, ogni electione a questo bene pare, come ogni acqua a lo alveo marino, torni. Ma qual sia questo a te dire ne conviene, perch tu l sai: or fa tal nodo sciolga, che l cor serrato in molta angustia tiene. 70 Marsilio a noi: Conviene che l mio cor volga l dove il vostro tutto inteso et vlto, bench provincia assai difficil tol&<g&>a. Pi <facil> , chi l vero ha ben raccolto, veder dovei non , che havere compreso qual sia, in tanta obscuritate involto. Lamor far men grieve assai tal peso: nulla disdire al vero amor conviensi, perchun son quei che l vero amore ha preso. 80 Et prima chio dica altro, alcun non pensi di trovar bene che sia perfecto e vero, mentre lalma legata in questi sensi. Questo ha facto Colui che ha l sommo impero, perch i mortali al tucto erranti et ciechi non fermino per di qua solo il pensiero. 85 Se sono dal vero camino discorti et biechi nella imperfectione del bene, hor che farieno credendo questa vita il bene arrechi? Il vero bene un, n pi n meno, el quale Idio appresso a s par serbi per palma a quei che ben vivuti fieno.

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Onde a mortal troppo elati et superbi advien, se innanzi tempo cercar vogliono, come a chi coglie e fructi ancora acerbi. 95 Se pur mangiono di quei che acerbi cogliono, tanto acri son che i loro denti obstupescono, onde levar dallimpresa si sogliono. N sanno come dolci poi riescono, ma, impauriti nella prima impresa, da uno in altro errore tucto d crescono. 100 Ma il prolungare a voi et a me pesa, n voglio advenga a me come a coloro che hanno il cielo come una pelle extesa. Dico che questo bene, questo tesoro cerco et descripto gi da tante lingue, 105 sel serba Idio nel suo superno coro, ove ogni ardore et passione si extingue. Perch molti beni sono apparenti, in questo modo prima si distingue. Tre spetie sono de beni humani presenti 110 - cos comincia chi tal nodo scioglie che cader possono nelle nostre menti: e primi la Fortuna d et toglie, gli altri que beni che al corpo d natura, e terzi lalma nostra in s raccoglie. 115 Quadripartita i primi han lor misura: dominatione, ricchezza, honore et gratia, e questi ultimi due hanno una cura. La prima, quanto pi ampla si spatia, ha pi sospecti, et a quanti pi dmini, 120 con pi conviene che stia in contumatia.

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&<Cesar&>e il vero ben par questa nomini, e pur, vivendo, alfine dove vedere che quello che impera pi, serve a pi huomini. Laltra molte ricchezze possedere, 125 et perch tale disio mai fine non truova, non debbe ancora quiete alcuna havere. Et, oltra questo, mal per bene sappruova et stoltamente alcuno in quello saffida che spesso nuoce assai pi che non giova. 130 Per s gi loro non si disia o grida, ma ad altro effecto: adunque non quello intero bene, come gi parve a Mida. Lo honor che pare s spetioso et bello, che molti sciocchi il bene fermano in lui, 135 non quel vero fine di chio favello. Bene non quello ch in potest daltrui: riposto questo tucto in chi thonora, che lauda spesso et non sa che o cui. Anzi quanto la turba, che pi ignora, 140 che i sapienti, tanto manco scorto colui che laude merta ampla et decora. Spesso si lauda o biasma alcuno a torto et spesso adviene che sanza sua saputa si lauda, et tale laudare allui morto. 145 Questa adunque non vera et compiuta dolcezza, come alcuno cieco gi volse, che in questo error la mente hebbe involuta. E chi pel primo fiore la gratia colse, err; et in questo il bene usava porre 150 chi il mondo in pace sotto s racolse.

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Per che quel pericolo proprio corre questa benivolentia che lonore: altri la d, altri la pu ancor trre. Onde veggiamo che invan si pone il cuore 155 dove sanza ragione Fortuna impera, poi che ognuna di queste et manca et muore. Questi apparenti beni dal mane a sera ci toglie et d lei cieca et importuna, n saggio alcuno el pensier fema o spera, dove ha potentia la crudele Fortuna.

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III Quello che Fortuna in sua potentia tiene, - soggiunse a noi parlando il novel Plato -, dunque chiamar non puossi intero bene. 5 El bene del corpo ben proportionato solo in tre parte si divide et pone: lessere robusto, sano et pulcro nato. E primi due, da poca lesione offesi, quel bene perdono, che gi piacque per sommo bene al robusto Milone. 10 Per felicit gi mai non giacque in questi, n ancora porto tranquillo in quello che bello et spetioso nacque. In questa il sommo bene gi pose Herillo, et bench fussi ogni bellezza in esso, gi contento per questo non puoi dillo. Se lesser pulcro ad alcuno concesso, ad altri giova pi quella figura sanza comparatione che a se stesso. 20 Quest uno bene che toglie et d Natura, n puossi in esso la speranza porre, ch, come un fior, lo strugge il tempo et fura. Per passa il pensier pi oltra et scorre, et dice: Forse fia in nostra mente, di cui altri che noi non pu disporre?. 25 E ben della nostra anima vivente son divisi da savi in parte bina: luna rationale, laltra che sente. La ragione tiene in s parte divina, el senso comun con li animali, et per due vie in questo si camina.

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La prima che li sensi tuoi sien tali da fare perfectamente il loro offitio; la seconda i dilecti sensuali. 35 Qui Aristippo err con van iuditio et qui pose la mira troppo bassa, pigliando desti luno et laltro vitio. Alcuna spetie danimali ne passa perch hanno certi sensi pi acuti che lalma nostra infastidita e lassa. 40 Sarieno adunque pi felici e bruti; et, oltra questo, per li acuti sensi pi dispiaceri che piaceri sonsi havuti. Segl pi il male che il ben, certo conviensi che pi cose si gusti, hodori e cerna con dispiacere, n so qual ben compensi. Dilecti sensuali son guerra eterna et innanzi hanno un ardore che il core distrugge, sospitione glaccompagna et governa, 50 poi pentimento, quando il piacer fugge; et tanto dura questa voluptate quanto il cor, per lardor, disia e rugge; ch tanto dura la suavitate del bere, quanto la sete il gusto invischia: se quella manca, et tale felicitate. 55 Nulla col suo contrario stare sarrischia: ben non adunque, anzi pi tosto male, dove dolore con volupt si mischia. Qui sabsolve la parte sensuale et viensi allaltra, chi ben si rimembra, pi bella, che decta rationale.

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Ha questo capo sotto s due membra, la virt naturale et lacquisita, e cos prima si divide et smembra. 65 La prima nasce colla nostra vita: ciascuno ne ha certi semi et certo lume, come lalma dentro dal corpo fitta. Memoria, audacia et dello ingegno acume in questi non il bene, ch sono secondo che li fa luso et il buono o rio costume. 70 Anzi, se pi perfecti, maggior pondo allalma danno, se sono male usati, come fa il pi del tempo il cieco mondo. E beni, che sono nel vivere acquistati, si dividono ancora in parti due (cos di grado in grado siam montati): speculativa et activa virte; di queste due la prima assai pi degna; comincereno dallaltra ch vile pie. 80 Questa vivere al mondo sol ne insegna con le virt morali in compagnia e prepararne alle altre ancora singegna. Zenone et la sua setta per tale via et la cinica turba tucta corse, dicendo il vero fine in esse stia. 85 Pi lume la Natura non li porse, et disson quel che ad mettere ad effecto pi difficile che a dire sarebbe forse. Ciascuno di questi ben par sia suggietto a fatica, a dolore et a durezza, per non vuole ragione che sia perfecto.

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Perch la temperanza et la fortezza son nelle operationi laboriose: in pi dolor, pi ciascuna si prezza. 95 El fine par sia di tucte humane cose affaticarsi, non gi per fatica, ma perch lalma poi quieta pose. Laonde falsamente pare si dica che in questo bene il vero fin consiste, che dal proprio dolore il bene mendica. 100 Ma che bisogna havere pi cose viste?, poich Colui che al vero fine ne mena, ne die sententia, et tu in quella siste. Optima parte elesse Magdalena, poi che una delle due necessaria, 105 quella di Marta di turbatione piena. Questa la verit che mai non varia: nessuno al vero suo iuditio appella, anzi ogni cosa falsa allei contraria. Come vedete, Marta non quella 110 che spegner possa la nostra lunga sete, ma lacqua chiesta dalla feminella Samaritana, et di quella chiedete: seguiamo Maria, che presso al sancto piede non sollecita ga, ma in quiete. 115 Cos la mente che contempla siede, et quando al contemplato ben sappressa, altro che contemplare gi mai non chiede; allor la sua salute gli concessa. Hor perch alcuno cierta ignoranza veste, 120 anco in tre parti poi divisa essa.

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La prima contemplare cose terrestre et naturali, et la seconda il cielo, la terza quel che sia superceleste. Democrito fermossi al primo zelo, 125 et che natura ad caso conducesse quel ch o fia e stia sotto tale velo. Et voleva che quello che l mondo havesse, sanza fare exceptione di cosa alcuna, la multitudine dathomi facesse. 130 Ma il vero bene non sotto la luna: dunque non nel contemplare di quelle cose, che si disfanno a una a una. Lo speculare cose celesti et belle, s come il grande Anaxagora volse, 135 contento al cielo mirare et le stelle, non bene sommo; et tale palma li tolse un altro maggiore bene che li sta sopra, che in s lhonore de pi bassi raccolse. Et come il sole pare laltre stelle copra, 140 cos questo splendore lucente et chiaro spegne linferiore, ch pi degna opra. Tanto pi degno, quanto egli pi raro contemplare quel che sopra il cielo dimora, come parve al philosafo preclaro 145 Aristotile, che il mondo tucto honora. Ma tal contemplatione ha in s due parti: una che lalma fa col corpo ancora, laltra che questa vita non pu darti. Nella prima Aristotile pare metta 150 el sommo bene, sanza altro separarti.

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Dice, chi bene sua sententia ha lecta, che la felicit loperare virt perfecta in vita ancor perfecta. Ma se in due cose il vero bene dee stare, 155 luna la volont, laltra lo intendere, perfecta o luna o laltra non pu fare, perch la mente non pu ben comprendere, sendo legata in questo corpo et, inclusa, ha disio sempre di pi alto ascendere. 160 Resta in anxiet et circunfusa da pi ardore per quel bene che le manca e drento allo intellecto pi confusa, lo intellecto e l disio cos stanca: adunque mai non truova la nostralma 165 la pura verit formosa et bianca, mentre laggrava esta terrestre salma.

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IV Sanza esser suto da altro nume scorto, modulato ho colla zampogna tenera el verso, col favor che Pan ne ha porto. 5 Pan, quale ogni pastore honora et venera, il cui nome in Archadia si celbra, che impera a quel che si corrompe et genera. Or, perch quanto la luce pi crebra et pi lucente alli occhi de mortali, par sia maggiore obscuro et pi tenbra, 10 allalma adviene come a certi animali, che manco veggono quel ch pi lucente: ancor gli occhi nostri al sole son tali. Et cos locchio della nostra mente per la imperfectione sua manco vede quel ch pi manifesto et apparente. Salir non pu pi alto il mortal piede, onde conviene che altri il camino scorga e lievi lalma al cielo, che in terra siede. 20 La figlia qui del gran Tonante sorga, che sanza matre del suo capo usco; questa la mano al basso ingegno porga. Duno amor sancto incenda il mio disio et dun tale lume lo ntellecto allumine, qual si conviene a chi vuole parlar di Dio. 25 Et come sanza matre il sancto numine, cos sanza materia netto et puro si separi dal corpo il nostro acumine. Mostri questo il camino vero et sicuro, et sia allo intellecto mio quel sole chogni confuso lievi et ogni obscuro.

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Or, perch qui la mia Musa si duole, spesso da me chiamata, hor derelicta, accusar me de ingratitudine vuole. 35 Musa, tu le parole e l verso dicta et quella luce che Minerva prome, come mostra da lei, da te sia scripta. Apollo, se ami ancor le caste chiome della tua tanto disiata Damne, soccorri a chi ritiene il suo bel nome; 40 et tanto del tuo sacro furor danne, non quanto a me conviensi, ma al suggiecto di che debbo cantare, bisogno fanne. Tua gratia abondi pi, se pi il difecto, acci che quello che soggiunse Marsilio ne versi chiuga come nel concetto. Quale, riguardando noi con lieto cilio, disse: Come vaggiam, qui non il bene, Alpheo padre, in et tu Lauro filio. 50 Mentre legata in corporale catene et in questo obscuro carcere lalma accolta, sempre ambiguit, sempre ardore tiene. Anzi nel corpo in tanto errore involta, che non ha di se stessa cognitione, fin che in tucto non libera et sciolta. 55 Dunque veggiam che la separatione che fa lalma dal corpo, ch beata, ne d di questo ben la perfectione. La divina iustitia al bene fare grata serba, come pria dissi, questa palma allanima che a Dio dedicata.

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Ma doppio il contemplare della nostra alma, langelica natura et la divina: la prima non la quiete o calma. 65 Nostro intellecto, per natura inclina ricercare dogni cosa la sua causa, duna in altra cagione sempre camina; et mai non ha quiete alcuna o pausa, finch dogni cagion la causa truova, ch nello arcano di Dio serrata et clausa. 70 La volunt conviene sempre si muova, n si contenta dalcuno bene gi mai, sopra il quale sia maggiore dolcezza nuova. Fermasi et posa solo ne divini rai, perch dintero bene ha sempre inopia, finch il suppremo bene ritrovato hai. Tutto quiesce nella causa propia, e questo Dio: adunque Dio quello, non lAngielo, che ne d di tal bene copia. 80 Bench Avicenna, Spano et Algazello fermassino nella prima il bene suppremo, il vero bene Dio formoso et bello. Ma, contemplando Dio, due vie havemo, una per lo intellecto Dio vedere, onde per questo mezzo il conoscemo; 85 laltra pel conosciuto ben gaudere per mezzo del disio, onde il felice et disiato fine puoi possedere. Plato divino, al mondo una fenice, la prima visione ambrosia appella e il gaudio pel veduto nectar dice.

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Due ale ha la nostra alma pura et bella, lo intelletto e l disio, ondella ascensa volando al sommo Dio sopra ogni stella, 95 ove si ciba alla divina mensa dambrosia e nectar, n gi mai vien meno questa somma dolcezza eterna et imensa. Di questi due il nectare pi ameno allalma, che alhora vive al mondo interita et il gaudio del veduto assai pi pieno. 100 Perch s pi nella vita preterita merito Dio amando che intendendo, se amore il fiore, el frutto merita. Che amor merita pi, provare intendo e che pi lalma amando in vita acquista 105 la divina bont che inquirendo. Prima s poca nostra mortal vi&<s&>ta che vera cognitione di Dio non dona, ma pare, in vita, in pi errori consista. Ma quello ha volunt perfecta et buona 110 et Dio veramente ama, che a se stesso per Lui o ad altra cosa non perdona. Come errore fa maggiore et pi expresso chi ha Dio in odio che chi non lo intende cos chi lama pi, pi merto ha in esso: 115 questo Natura e la ragion ne ostende. Per fare il decto mio pi vero et forte de contrarii una regola si prende: Amor del paradiso apre le porte, n la nostra alma amando gi mai erra, 120 ma il ricercarlo spesso induce morte.

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Leva in superbia lanimo di terra la scientia talhora et li occhi vela: a questi sempre Dio sabsconde et serra. A sapienti et prudenti si cela, 125 come di s la sancta bocca disse, amore a semplici occhi lo rivela. Colui che ad perscrutare di Dio si misse, gi non li atribuisce et non lo honora per questo, et forse a sua gloria lo ascrisse. 130 Ma chi di sua bellezza sinnamora, et s et quel possiede a Dio presenta, ad cui Dio s retribuisce ancora. Lanima che al conoscer Dio intenta, in lungo tempo fa poco proficto; 135 quella che lama, presto assai contenta. Cos conchiuderem per quel ch dicto, che, se lo amore pi merta, alcun non pensi che maggiore premio non li sia prescripto. A chi cerca vedere, vedere conviensi, 140 ma allo amante della cosa che ama gaudere sempre et fruire piaceri immensi. Amore quello, el qual disia et brama, amore quello che debbe havere il merto, onde pi degno fin drieto a s chiama, come noi mosterremo ancor pi certo.

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V Era il mio core s di dolcezza pieno, che udendo mi pareva esser tirato al Bene che le parole sue dicieno. 5 Lanimo sera abstracto e separato, et dicendo fra me: Hor che fia il vero, se l sentirne parlare mi fa beato?. Quando, visto Marsilio il mio pensiero, dissemi: In te medesmo hora fai pruova qual de due predecti il bene intero. 10 Intendere quel chio dico assai ti giova, ma, passato il primo acto, il bene inteso crea nel core maggiore dolcezza nuova. Lanimo ch nel ricercare acceso, pel conosciuto bene poi possedere cerca, et solo per godere il bene compreso et non a fine dintendere vuol godere: adunque quello intendere che procede ministro di quel ben che cerca havere. 20 Rendere ragione possiamo a chi richiede ad che fine noi cerchiamo, ch per fruire quel bene che nostra mente prima vede. Del gaudio altra ragione non si pu dire se non ch sol gaudio, che in etterno dura, n in altro maggior bene pu la mente ire. 25 Non fugge gaudio alcuno nostra natura: spesso vedere quelle cose rifiuta, che stima esser moleste et di gran cura. Colui che vede non ha sempre havuta dolcezza pel vedere, ma vede e intende chi di gaudio ha la mente sua compiuta.

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata De summo bono

Et come pi nostra natura offende dolersi che ignorare, pel suo contrario el gaudio per pi bene che l veder prende. 35 Non giudicio buono dal nostro vario che questo gaudio sia lultimo bene, s dolor primo male, ch suo adversario. Et come alla natura nostra adviene fuggir dolore per s et per dolore qualunque cosa come somme pene, 40 cos gaudio per s disia il core, et pel gaudio ogni cosa, et a quel corre, s come a sommo bene, il nostro amore. Come non puoi nel numero de buon porre un che sol veda il bene, ma chi il disia, colla intentione che tel pu dare e trre, cos convien che lalma nostra sia divina amando Dio, non solo vedendo, che goda allora quel che ha veduto pria. 50 Adviene a lalma nostra, Dio intendendo, che ad sua capacit tanta amplitudine contrahe, et Dio in s vien ristrignendo. Amando, alla sua immensa latitudine amplifichiamo et dilatiamo la mente: questa pare sia vera beatitudine. 55 Vedendo, dello immenso Omnipotente pigliam la parte sol che cape in noi et quel che lalma vede alhora presente. Amando, et quel che alhor vede amare puoi et quel pi che l pensiero tuo tha promisso della infinita sua bont dipoi.

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata De summo bono

Della divina infinit labisso quasi per una nebbia contempliamo, bench lalma vi tenga locchio fisso 65 ma duno perfecto et vero amor lamiamo. Quel che conosce Dio, Dio ad s tira; amando, alla sua altezza cinnalziamo. A quello per sommo ben la mente aspira che la contenta; ma non contenta, se solamente Dio riguarda et mira, 70 perch la visione, bench sia intenta, che lanima vidente in s riceve per creata et finita si conventa. Et cos esser ne sua gradi deve: se per potentia lanima finita, loperatione anche finita et brieve. Ma lalma ch di questi lacci uscita sol si contenta interamente et posa in cose, le quali sieno dimmensa vita; 80 et solo di quel bene volenterosa che d Dio sconosciuto, et tale disio, e l gaudio desso pare immensa cosa, per che, amando, si converte in Dio et sopra Dio veduto si dilata. Et io allora ruppi il silentio mio, 85 et dissi: Sia da te meglio explicata tal cosa, allo intelletto mio confusa per qualche obscurit drento al cor nata. Marsilio a me: Se lalma circunfusa da qualcherror, non me ne maraviglio, n tu per questo meco ne far scusa,

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata De summo bono

mirar non pu s alto il mortal ciglio. Ma io ad tua pi intera cognitione un sensuale exemplo per te piglio. 95 Differentia da gusto a gustatione: il gusto la potentia del gustare, la gustation per lacto suo si pone; ad muover questi due ad operare bisogna sia l sapor, ch il suo obiecto, che fa il primo al secondo ministrare. 100 El gusto lanimo puro et perfecto, che si muove a gustare lobiecto degno per la gustazione, ch lintellecto. Et poi che giugne a questo primo segno, gaude gustato Dio col disio sancto, 105 et tal gaudio l sapore dogni ben pregno. La gustazione apuncto buona quanto dolce il sapore, et gusta Dio mirando lalma, e l disio piacere glielo fa tanto. Cos conchiudereno, al fine andando, 110 che l nostro vero et sommo bene quello etterno Dio, che tucti andiamo cercando: semplice, puro, immaculato agnello, al quale camina lalma peregrina, per riposarsi nel suo sancto ostello. 115 Et la beatitudine sua divina fruire questo ben per voluntate, ch amore la muove, ondella a Dio camina, ove assapora la suavitate dallei gi tanto disiata et chiesta, 120 qual non li possano dare cose create.

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata De summo bono

Amando Dio, conviene che Dio la vesta del sancto suo amore et in s converta lamante e dagli gaudio che non resta. Amore quel che amato amore sol merta, 125 amor ne d la etterna nostra pace, amore vera salute, intera et certa. LApostol sancto, testimone verace, con questo amore insino al cielo aggiunse, vaso di tanta gratia bene capace. 130 Amore insino al terzo ciel lo assumpse, alla stella che al mondo amore infonde, onde e sua occhi coi divini congiunse. A quella spera Dio mai non si asconde, indi s mostra e l suo sancto habitacolo 135 et le ricchezze sue magne et profonde. Perch sopra essa quello chiaro spiracolo che s et ogni cosa agli occhi mostra, sole dove pose Dio suo tabernacolo. Questo premio serbato a lalma nostra 140 sciolta dal corpo, n nel mondo cieco lo pu trovar la mia vita o la vostra: ma tale vita al mondo ha tanto mal seco, che in vita pi felice li animali sarien bruti et selvaggi in qualche speco: 145 quanto pi veggon gli occhi de mortali el bene, si dolgon pi se ne son privi et maggiore cognitione ne d pi mali. Et, oltra questo, mentre siam qui vivi, assai pi cose nostra vita agogna, 150 ch alloro basta lherbetta e freschi rivi:

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata De summo bono

felice pi a chi manco bisogna. Cos par luomo pi infelice al mondo, mentre che in vita qui vacilla e sogna. Ma el premio poi nel vivere suo secondo, 155 che l mondo errante trista morte appella; alhora giunge al suo fine lieto et giocondo. Cos la vita nostra non quella (o vero la tua, pastore, ch pi quieta, o ver, Lauro, la tua che pare s bella) 160 che un punto sol di tanti mai sia lieta (o qualunque altra vita ch mortale), perch vera dolcezza il mondo vieta. Or perch pare allo Oceno si cale Phebo, et finito il mio sermon col sole, 165 Alfeo, statti con Dio; tu, Lauro, vale. Cos lasci le piagge di lui sole, et noi, bench al chiar fonte, con pi sete dudire ancora lornate sue parole, le parole che mai passeranno Lete. 170 Ma poi disse il pastor: Questa ora induce me a ridurre le bestie nella rete. Gi si parte da noi la phebea luce, ondio ritorno al mio antiquo stento, e tu dove il disio tuo ti conduce. 175 Et, questo decto, mosse il suo armento et io alle sue spalle volsi il tergo, partendomi dallui col passo lento. Cos ciascun tornossi al proprio albergo, et me acceso della sancta fiamma, 180 mentre che drieto al pensier dolce pergo, mosse ad cantar lAmor che l tucto infiamma. Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Rime in forma di ballata De summo bono

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Oratione a Dio nella quale si domanda quel bene di che s disputato di sopra O venerando, immenso, etterno Lume, el quale in te medesimo te vedi e luce ci che luce nel tuo Nume! 5 O infinita vista, che procedi da te et per te luci et per te splende ogni splendore pel lume che concedi! O occhio spiritual, quale non comprende se non la vista spiritale, pel quale et quale solo et non altro vede et intende! 10 O vita dogni vivente immortale, o di qualunque vive intero bene, che adempi ogni disio, che di te cale! Tu accendi il disio et da te viene che la voglia dogni bene ardentissima, perch ogni bene se tu, o sola spene. O vera luce micante et purissima, te per te priego che la vista obscura di caligine purghi, et sia chiarissima, 20 acci chio vegga la tua luce pura; perch tu nel mio core la sete accendi, tu fai che l ghiaccio suo sinfiammi et ura. Locchio mio parvo amplifica et distendi, perch io ti vegga, e la pupilla bassa innalza, acci che sopra al cielo ascendi. 25 Nellinteriore mio penetra et passa la tua profundit, profunda pi che altra profundit, qual pi sabbassa. La tua sublimit mi lieva in su, quella sublimit che eminente et alta pi che alcunaltra virt.

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Rime in forma di ballata De summo bono

Lo splendor tuo mirando rilucente e di bont mirabile et bellezza penetra lalme e corpi et pria la mente. 35 Questa immensa bont, questa vaghezza maletta, scalda, incende et mi costrigne sanza chio il sapia: oh singulare chiarezza! Vola il disio, ma poi pigra sinfigne lalma, pensando che alla gloria etterna finite passioni non sono condigne. 40 O unica fortezza, alta et superna, porgi la mano al mio zoppo disio: la tua piet la sua miseria cerna. Speranza intera, o solo refugio mio, guida il core che tu chiami e in te ricetta quel che costrigni a te venire, o Dio! Quel che tormenti, contenta e dilecta, refrigera quel che ardi, comio spero, perch tu se la letitia perfecta. 50 Fonte dogni letitia, al gaudio intero io so che tu se solo, et in te giace quel che appetisce il nostro desidro. Perch, se questo o vero quel ben ne piace, non cerca il disio nostro o quello o questo, ma il Bene in essi, dov la sua pace. 55 La qualit del Bene il core ha chiesto in ogni cosa e l salutare liquore che vive in s et spargesi pel resto. Al fonte di questa acqua corre il core, questo perenne fonte cerca et cole, sparto in qualunque cosa inferiore.

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Rime in forma di ballata De summo bono

Et come quello che vede locchio sole, che in quella et in questa cosa chiaro si mostra, cos un solo ben, che l mondo vuole. 65 Per non manca mai la sete nostra per questo o quello, o questo et quello insieme, finchaltro maggior bene si li dimostra. El fonte solo, che l sancto liquor geme, spegne la sete nostra: o liquor sancto, spegni la sete mia che troppo prieme! 70 Poi che ogni cosa apunto buona quanto, Bene dogni bene, la fai con la presentia, non ne lasciar sanza te essere tanto. O prima Mente, ch sanza dementia, o prima Sapientia alta e profonda, non maculata da insipienza, alla quale pare che nulla si nasconda di quel chordina e crea il tuo intellecto per providentia immensa, quale abonda. 80 N una pure delle cose hai neglecto, le quali produce tua carit immensa, ma dal perfecto vedi lo imperfecto. Et pur fa tucto tua carit accensa et gran maraviglia ha la mente mia che a chi non pensa allei provede e pensa. 85 O abondante Gratia, o Mente pia, comesser pu chogni minima cosa da te pasciuta et adempiuta sia, e luom, factura tua maravigliosa, che l nome sancto tuo cole et adora, lasciato in sete sia tanto bramosa?

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Rime in forma di ballata De summo bono

Luomo, dico, che per fede sol te honora non patire che habbi sempre inquietudine, che solo in te posarsi spera ancora. 95 Fugga da quella immensa multitudine di tua beneficentia et tanta laude la malefica et trista ingratitudine! Da te, o verit, fugga la fraude, perch certo fraudata saria lalma, se dopo tanta sete ancora non gaude. 100 Se per te porta qualche greve salma e prende la sua croce et in odio ha il mondo, retribuir li debbi etterna palma. O sommo etterno Bene, amplo et fecondo, misero lhuomo pi che una bestia sciocca, 105 se nella patria tua nol fai giocondo. Ma dogni gratia il tuo vaso trabocca, ondio spero quel fine a mia martri, qual pi per gratia che per merto tocca. Et bench un tempo il nostro core sospiri 110 a pene temporali, a questi affanni retribuisci, et abrievi i desiri felicit, qual non misuran gli anni. Al poco molto bene, al brieve etterno di, et cos non ne defraudi o inganni. 115 O Redentor del mondo inferno, o ver reffugio, o unica salute, che salvi tucto sotto el tuo governo. O Ben de beni, Virt dogni virtute, io so che dato mhai leternitate, 120 perch peggio non sia che bestie brute;

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata De summo bono

perch la tua ardente caritate amore nel vaso della mente infonde, onde possiamo amar la tua bontate. Cos nostro intellecto al tuo risponde 125 et, se intendiamo, la intelligentia tua ci allumina alle cose alte et profonde. Come dalle tue due le nostra dua vengon, tua vita in ordine primiera in nostra vita vuol la parte sua. 130 Per te, Vita, viviamo: et se a noi vera cognition di dalcune immortale cose, e volunt che alle mortali impera, prima la vita desti, che rispose etterna alla tua etterna e immutabile, 135 qual prima allaltre due in noi si pose. Cos di queste tre ciascuna habile nel modo suo letternit fruire, facte immortale, in etterno durabile: lo ntelletto intendendo, el buon disire 140 volendo, pria la vita che ne data vivendo sanza mai potere morire. Sendosi agli altri due comunicata letternit, alli posteriori, prima nella vita , che prima nata. 145 Porrai dunque ancora fine a miei dolori: saran beati per heredit et per gratia abundante e nostri cuori. Almeno or qualche parte ce ne fa: fa che alquanto gustiamo speranza certa 150 in questa vita della tua bont.

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Rime in forma di ballata De summo bono

Se non ti piace ancora, perch nol merta lanima ancora, almeno, noi ti preghiamo, mostra la via della salute aperta. Concedi che ingannare non ne lasciamo 155 da mondane lusinghe corruptibile, n l certo per lincerto et vano perdiamo. Fortificando il core contra il terribile impero di Fortuna et sua minaccia, a cui cede talor lhuom ch sensibile, 160 monstra benigna a noi la sancta faccia; o Padre a tua figli indulgentissimo la tua misericordia apra le braccia. Recrea quei che creasti, o Bene amplissimo, aiuta noi, perch di te solo nati 165 siamo, Padre omnipotente et clementissimo. Glintellecti et disiri nostri assetati tua verit sol empie et bont intgra, n la cagione <pensiam> che nha creati. Miserere alla figlia infecta e egra 170 alma, dalla celeste patria lunge, chexula in questa selva obscura et negra. Leva dal cuore quel che da te il disiunge; miserere del pianto lachrimoso pel disio della patria, che l cor punge. 175 Ov la patria, ivi vero riposo; ov il padre et la patria, posa il filio; quivi ben sommo, vero et copioso. Inquietudine dov lexilio et falso bene, anzi male vero et aperto: 180 per fa noi del tuo divin concilio.

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Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata De summo bono

Allor al cuore s qualche bene oferto, allor viviamo da rei pensier remoti et lalma gusta qualche ben ch certo, quando li nostri cori prompti et devoti 185 pensano a te, et par che al suo ben giunga lalma, se drizza a te tucti i suoi voti. Se adviene che teco il suo pensiero congiunga, allor quiesce: adunque da noi fugga quel che da tale pensiero lalma dilunga. 190 Freddezza et diffidentia in noi si strugga, et la disperatione, et lalma poi a fede et speme et carit rifugga, s che da te mai siamo divisi noi, o Vita delle vite et vero Lume, 195 che ogni altro lume alluminar sol puoi! Dalla via vera erriamo sanza il tuo nume et presto nelle tenebre cadremo exteriori, seguendo il propio acume. Dunque fa dal principio al fine suppremo 200 lalma solo ad te viva e in tua luce luca, quando passato il punto extremo. Teco arda et goda, poi che si conduce ad te, infinito Fine, Verit, Vita, per te, Via, che a tale bene se nostro duce. 205 Fanne amar la bellezza tua infinita, priva danxiet, che l core tormenti e te, Bene sommo che ogni mente incta, fruir possiamo sempre avidi et contenti.

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata Capitoli

Capitoli

Capitolo fatto a Giovanfrancesco Ventura per la morte di una sua figliuola Lamoroso mio stil, quel dolce canto, qual, come volle il mio cieco disio, un tempo lieto fu, or vlto in pianto. 5 Flebile e mesto ha fatto il verso mio quellacerbo dolor, quale in me sparse disio pi vero, amor pi santo e pio. Questa fiamma damor che nel petto arse, non pat mie pupille esser digiune di pianto o cheto in tal suo danno starse. 10 Ma quando ha viste lavverse fortune, di quelle e del dolor tal parte assunse, qual mostrassi ogni cosa esser comune: onde gran doglia il cor offese e punse, amico, per la tua mal fausta sorte, perch al proprio dolor il tuo saggiunse, quando sent troppo immatura morte della tua cara e tanto amata figlia, le cui fila fe Cloto troppo corte; 20 se non che accorse alla mia mental ciglia con la tua passion la tua prudenza, chal corrente dolor dee por la briglia. Cercando confortarti a pazienza, dar quel non ti potea, che in me non era: tanto avea la tua doglia in me potenza. 25 Dunque se in te la miglior parte impera, leva dal cor quel mal che troppo il preme, con la comun ragion, bench sia vera. Cercasi indarno, si disia e geme quel che linesorabil morte fura: e nvan quel, chesser dee, si fugge e teme:

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata Capitoli

ella sta immota sempre, ferma e dura; n tu doler ti dei, se a quella ha fatto quel cha ciascun per nostra o sua natura. 35 Non fu mai violato alcun suo patto, n pate eccezion lantica legge, che chiunque nasce, sia cos disfatto. Poi che il Monarca, chogni cosa regge, per la sua carit ardente e torrida non trasse s, non trarr alcun di gregge. 40 Tu mi dirai: Let sua verde e florida, lindole e di s data opinione la sbita rapina fa pi orrida. Qui vinca il tuo appetito la ragione, perch conosce pi lamor divino che noi il tempo della salvazione. Suna morte questo mortal cammino, allet immaculata, pura e netta, vita lasciar di vita ogni confino; 50 se let brieve, eterna e pi perfetta fussi, il dolor non saria forse a torto: ma chi quel che tanto a s prometta? Dunque, se de cader qualunche ha orto, poco da dir, rispetto al tempo eterno, del lungo termin della vita al corto. 55 Anzi, chi pi sta al mondo e in suo governo, deturpa pi sua candida bianchezza, giugnendo legne al foco sempiterno. Per non ti doler s in giovinezza salita a maggior bene, che par offizio di chi il suo mal pi che laltrui ben prezza.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Tuo piacer brieve, eterno suo supplizio era sua vita, che quel giorno ha sciolto di questa fine e di miglior inizio. 65 Se per lei bagni di lagrime il volto, qui resti il pianto, perch a maggior bene tirata lha Colui, che a te lha tolto. N ti facci doler concetta spene di pi contento, ch da dolce fiore il frutto spesse volte amaro viene. 70 Se pur il proprio mal ti d dolore, ch transitorio, e sua gloria infinita, sarebbe invidia, non gi vero amore. Facci da te ogni dolor partita, e se pur pianger dei, piangi te stesso, non lei, perch trascesa a miglior vita. Piangi tua dura sorte, che concesso non tha che sia al bel cammin suo scorta: chor fia tua, quando sar permesso. 80 Et anco di te stesso ti conforta, pur che per questo esempio sia pi saggio a non amar tanto una cosa morta. Gi non tha fatto Fortuna oltraggio: quel chera in suo poter, messo ha ad effetto, quando venuto il fin del suo viaggio. 85 Ma tu perch ponesti tanto affetto a mortal cosa, fragile e caduca, come se eterno fussi il suo diletto? E l nostro sommo Bene, il vero Duca, spesso il mortal cammin rompe e traversa, perch il suo lume in nostro oscur pi luca.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Sare di lui ogni memoria persa, tanto sono i mortali al cader proni, se non venissi qualche cosa avversa. 95 Dunque il divino amor con questi sproni nostra prostrata mente al ciel rileva, perch se stessa al fin non abbandoni. Questo grieve dolor del cor tuo lieva, n prendi tanto danno a tua salute, qual, se non ora, ad altra et giugneva. 100 Non ti doler se pi cose vedute quella non ha o a pi tempo aggiunto; ch piena dogni male senettute. Tu lo pruovi or e (pi sopra lo appunto) quanto pi l ti condurr tua Parca: 105 che l viver lieto il vero mortal punto; quanto pi oltre nostra vita varca, tanto truova al cammin pi duri i passi e di dannosa soma pi si carca. E poi giugnendo al nostro estremo lassi, 110 quando il tornar e l penter poco vale, conosciam chiaro aver perduti i passi. Ah quanto troppo incomparabil male quel tristo pentimento, che non giova! E di pi alto cade, chi pi sale. 115 Foll colui che quasi ognora pruova del mondo cieco qualche gabbo o inganno, e stimal sempre come cosa nuova. Ov minor affetto, manco affanno: ov manco speranza, minor doglia, 120 quel che poco si prezza, fa men danno.

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Rime in forma di ballata Capitoli

La troppa accesa e sviscerata voglia della salute di tua figlia cara dogni dolcezza il cor tuo priva e spoglia. Da questo esemplo in tutti gli altri appara: 125 ricordati esser viro, onde sappella quella virt, ch tanto degna e chiara. Perch pi dura condizione quella della virt per molti tempi esperta, che dellocculta, incognita e novella. 130 Tanto pi diligenzia e sudor merta lopra di quel, che opinione ha dato che sia la sua virt pi ferma e certa. Pi saspetta da quel che ha pi provato, anzi come per debito si chiede 135 loperar grave, saggio e moderato. Poi che virt tuo buon destin ti diede, se in te stesso prima non fa lopra, chad altri giovar possa non si crede. Onde la miglior parte, ch di sopra, 140 la nebbia de sospir, lacqua de pianti levi dagli occhi, s che il sol si scuopra. Questo con gli splendor suoi radianti scorga la guida di tua cara salma, dove si gode in Ciel con gli altri santi, come conviensi a benemerita alma.

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Rime in forma di ballata Capitoli

II Magno Iddio, per la cui costante legge e sotto il cui perpetuo governo questo universo si conserva e regge; 5 del tutto Creator, che dallo eterno punto comandi corra il tempo labile, come rota faria su fisso perno; quieto sempre, e gi mai non mutabile, fai e muti ogni cosa, e tutto muove da te, fermo motore infaticabile. 10 N fuor di te alcuna causa truove, che ti muova a formar questa matera, avida sempre daver forme nuove. Non indigenzia, sol di bont vera la forma forma questa fluente opra, bont, che sanza invidia o malizia era. Questa bont sol per amor sadopra in far le cose a guisa di modello, simile allo edifizio ch di sopra. 20 Bellissimo Architetto, il mondo bello fingendo prima nelleterna mente, fatto hai questo allimmagine di quello. Ciascuna parte perfetta esistente nel grado suo, alto Signor, comandi che assolva il tutto ancor perfettamente. 25 Tu gli elementi a propri luoghi mandi, legandoli con tal proporzione, che lun dallaltro non disiungi o spandi. Tra l fuoco e l ghiaccio fai cognazione, cos temperi insieme il molle e il duro: da te fatti contrari hanno unione.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Cos non fugge pi leggiero e puro il foco in alto, n pi il peso affonda in terra in basso, sotto il centro oscuro. 35 Per la tua provvidenzia fai sinfonda lanima in mezzo del gran corpo, donde in tutti i membri par poi si diffonda. Ci che si muove, non si muove altronde in s bello animale; e tre nature questanima gentile in s nasconde. 40 Le due pi degne, pi gentili e pure, da s movendo, due gran cerchi fanno, in se medesme ritornando pure, e intorno alla profonda mente vanno; laltra va dritta, mossa dallamore di far gli effetti, che da lei vita hanno. E come muove s questo motore, movendo il cielo, il suo moto simiglia come membra in mezzo al petto il core. 50 Da te, primo Fattor, la vita piglia ogni animale ancor di minor vita, bench pi vile: questa pur tua famiglia. A questi d la tua bont infinita curri leggier di puro foco adorni, quando la terra e l ciel li chiama e invita. 55 E dipoi, adempiuti i mortal giorni, la tua benigna legge allor concede che l curro ciascun monti, e a te torni. Concedi, o Padre, lalta e sacra sede monti la mente, e vegga il vivo fonte, fonte ver, bene onde ogni ben procede.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Mostra la luce vera alla mia fronte e, poi ch conosciuto il tuo bel Sole, dellalma ferma in lui le luci pronte. 65 Fuga le nebbie e la terrestre mole leva da me e splendi in la tua luce: tu se quel sommo Ben che ciascun vuole. A te, dolce riposo, si conduce, e te, come suo fin, vede ogni pio; tu se principio, portatore e duce, 70 la via e l termin tu sol, magno Iddio.

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Rime in forma di ballata Capitoli

III Grazie a te, sommo, esuperante Nume, da poi che per tua grazia, e non altronde, della tua cognizione abbiamo lume. 5 Nome santo, onorando: sol nome, onde dobbiam te benedir, sol con paterna religion, cui tua bont risponde; perch tu, Padre, tu, Bontate eterna, piet, religione, amor ne di, o qual pi dolce affetto si discerna. 10 Dalto senso e ragione un don ne fai e dintelletto, o liberale e immenso, che per tua grazia noi a te fatto hai. Che tu sei, conosciam con lalto senso: la ragion dubitando cerca, e truova poi lintelletto, e godo sa te penso. Questo suave gaudio si rinnuova, quando da te salvati a noi ti mostri tutto te, Bene, onde ogni ben par muova. 20 E stando ancor ne fragil corpi nostri, sentiam dolcezza, che cos mortali ci hai consecrati agli alti, eterni chiostri. Questo quel ben ch fuor di tutti i mali, sola gratulazion nostra, se l numine tuo santo conosciam, e quanto vali. 25 Te conosciuto abbiamo, immenso Lumine, lume che sente sol la mente degna la mente sol, non sensitivo acumine. Te intendiam, Vita vera, onde par vegna ogni altra vita, o Natura alta e vera, chogni natura pienamente impregna.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Te conosciam della natura, chera in te, da te concetta; pien te intendo, Eternit che sempre persevra. 35 In questo mio orar, quale a te rendo, il ben della bont tua adorando, questo impetrar da te sol bramo e intendo, per questo gli umil prieghi a te, Dio, mando, che vogli conservarmi nello amore della tua cognizion perseverando; 40 n lasci separar gi mai il mio core dal santo affetto o da s dolce vita: tu puoi, onnipotente alto Signore; tu vuoi, perch tu se bont infinita.

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Rime in forma di ballata Capitoli

IV Santo Iddio, padre di ci che l mondo empie; santo Iddio, perch quel che hai voluto dalla tua propria potest sadempie; 5 santo Iddio, il quale sol sei conosciuto da tuoi familiari e santo se, che nel Verbo ogni cosa hai costituto: santo Iddio, del qual solo immagin ogni natura; santo per essenzia, perch mai la natura form te; 10 santo, potente pi chogni potenzia; santo, la tua bont vince ogni loda; santo se e maggior dogni eccellenzia; i santi sacrifizi il tuo orecchio oda del mio orar, che manda alla tua faccia il cor, che desser tuo tutto par goda. Ineffabil, chi vuol laudarti, taccia: chi ben ti lauda, le fallacie ha scorte per vane e vede il ver chogni ombra caccia. 20 Esaudimi, Signore, e fammi forte e fa, in tanta grazia meco pari, partecipi di questa santa sorte color che son di tanto bene ignari: Natura, madre comune, li diede fratelli a me e a te figli cari. 25 Signor, perchio ti presto intera fede e di te testimonio a ciascuno mando, in vita surgo e lalma lume vede. O Signor, tu se padre venerando; luomo tuo teco insieme santitate fruir sempre desia, te solo amando.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Tu gli hai arbitrio dato e potestate dogni cosa; e per, segli ha desio da te di voler sol la tua bontate, tu l muovi, tu l contenta, o santo Iddio.

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Lorenzo de Medici

Rime in forma di ballata Capitoli

V Oda questinno tutta la natura, oda la terra, e nebulosi e foschi turbini e piove, che fan laria oscura. 5 Silenzio, ombrosi e solitari boschi; posate, venti; udite, cieli, il canto, perch il creato il Creator conoschi. Il Creatore e il Tutto e lUno, io canto: queste sacre orazion sieno esaudite dello immortale Dio dal cerchio santo. 10 Il Fattor canto, che ha distribuite le terre e il ciel bilancia; e quel che vuole che sien dellocen dolci acque uscite per nutrimento dellumana prole; pel quale ancor comanda sopra splenda il foco, e per chi Dio adora e cole. Grazie ciascun con una voce renda a lui, che passa i ciel: quel vive e sente crea, e convien da lui natura prenda. 20 Questo solo e vero occhio della mente; delle potenzie a lui le laude date: questo ricever benignamente. O forze mie, costui solo or laudate; ogni virt dellalma questo Nume laudi, conforme alla mia voluntate. 25 Santa la cognizion, che del tuo lume splende, e canta illustrato in allegrezza dintelligibil luce il mio acume. O tutte mie potenzie, in gran dolcezza meco cantate; o spirti miei costanti, cantate la costante sua fermezza.

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Rime in forma di ballata Capitoli

La mia giustizia per me il Giusto canti; laudate meco il Tutto insieme e intero, gli spirti uniti e membri tutti quanti. 35 Canti per me la veritate il Vero e tutto il nostro buon canti esso Bene, Ben che appetisce ciascun desidro. O Vita, o Luce, da voi in voi viene la benedizion; grazie tho io, o Dio, da cui potenzia ogni atto tiene. 40 Il Verbo tuo per me te lauda, Dio; per me ancor delle parole sante riceve il mondo il sacrifizio pio. Questo chieggion le forze mie clamante: cantono il Tutto, e cos son perfette da lor lalte tue voglie tutte quante. Il tuo desio da te in te reflette; ricevi il sacrifizio, o santo Re, delle parole pie da ciascun dette. 50 O Vita, salva tutto quel ch in me; le tenebre, ove lalma par vanegge, Luce, illumina tu, che lume se. Spirto Dio, il Verbo tuo la mente regge, Opifice, che spirto a ciascun di, tu sol se Dio, onde ogni cosa ha legge. 55 Luomo tuo questo chiama sempre mai; per foco, aria, acqua e terra tha pregato per lo spirto e per quel che creato hai. Dalleterno ho benedizion trovato e spero, come io son desideroso, trovar nel tuo desio tranquillo stato: fuor di te, Dio, non vero riposo. Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Rime in forma di ballata Capitoli

VI Beato chi nel concilio non va dellimpii e nella via molto patente de peccatori il pi non ferma o sta, 5 n siede nella sede pestilente, ma giorno e notte la legge divina brama nel cor, tal legge ha nella mente. Fia come pianta, che allacqua vicina: suo frutti nel suo tempo nasceranno e non secca le foglie o a terra inchina: 10 le cose che far prospere andranno. Non cos, non cos limpii nel vizio, ma innanzi al vento polvere saranno. Per non surgon limpii nel giudizio, n l peccator poi nel concilio fia de giusti, channo empiuto il santo offizio. Perch de giusti Dio la strada pia conosce, e perir il cammin del rio: ch tu sei Vita, Verit e Via. Gloria a te sempre, onnipotente Iddio. VII Dstati, pigro ingegno, da quel sonno, che par che gli occhi tua dun vel ricuopra, onde veder la verit non ponno; 5 svgliati omai, contempla ogni tua opra quanto disutil sia, vana e fallace, poi che l disio alla ragione sopra.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Deh, pensa quanto falsamente piace onore, utilit, o ver diletto, ove per pi safferma esser la pace. 10 Pensa alla dignit del tuo intelletto, non dato per seguir cosa mortale, ma perch avessi il cielo per suo obietto. Sai per esperienzia quanto vale quel chaltri chiama ben, dal ben pi scosto che loriente dalloccidentale. Quella vaghezza, chagli occhi ha proposto Amor (e cominci ne teneri anni), dogni tuo viver lieto tha deposto: 20 brieve, fugace, falsa e pien daffanni, ornata in vista, ma poi crudel mostro, che tien lupi e delfin sotto i be panni. Deh, pensa qual sarebbe il viver nostro, se quel che dee tener la prima parte, preso avessi il cammin qual io tho mostro. 25 Pensa se tanto tempo, ingegno e arte avessi vlto a pi giusto disio, ti potresti or in pace consolarte. Se verte fussi il tuo voler pi pio, forse quel che per te si brama e spera, conosceresti me s buono o rio. Dellet tua la verde primavera hai consumata, e forse tal fia il resto, fin che del verno sia lultima sera, 35 sotto falsa ombra e sotto rio pretesto persuadendo a te che gentilezza, che vien dal cuor, abbi causato questo.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Questi tristi legami oramai spezza: leva dal collo tuo quella catena, chavvolta vi tenea falsa bellezza, 40 e la vana speranza che ti mena leva dal cor, e fa il governo pigli di te la parte pi bella e serena, e sottometta questa alli sua artigli ogni disir al suo voler contrario, con maggior forza e con miglior consigli, s che, sbattuto il suo tristo avversario, non drizzi pi la venenosa cresta, ma resti servo vile e mercenario. 50 Quattro venti in mar fanno ogni tempesta, percotendo la nostra fragil barca, da coste, poppa, prua, che mai non resta. Questi la fanno dignoranzia carca, tal che convien che per perduta corra, chesser dee dogni ben albergo et arca. 55 Con questo tristo incarco par che scorra e ne pi cari lochi, ove star suole le cose preziose, la zavorra. Il primo vento, che percuoter vuole il disiato legno, vana spene, da prua il corso le interrompe e tole. Da poppa assai pi furiosa viene con grande impeto e forza la paura, che in gran travaglio il miser legno tiene. 65 Da costa il ben che al mondo poco dura: vana letizia, che percuote forte la barca e falla in mar poco sicura.

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Rime in forma di ballata Capitoli

Dallaltra costa in simigliante sorte il presente dolor, che molto strigne: questo fa nostra vita parer morte. 70 Or luna or laltro desti venti pigne il tristo legno in s crudel procella, or tutti insieme, or di lor parte il cigne. Questi la vista della fida stella tolgon al buon nocchier: di tanta nube ricuopron laria, chera chiara e bella. Onde convien che doloroso cube lasciando il legno in discrezion dellonda, che par chognor se lo inghiottisca e rube. 80 E se grazia divina non vabbandona, che l buon nocchier risurga attrito e morto, parmi che l mar gi lo ricuopra e asconda. Veggolo invan chiamar o sperar porto e invan pentirsi quei che cagion funno di prendere il cammin mortale e torto. 85 Perch il giusto voler del gran Nettuno raro si piega a prieghi di colui ch dignoranzia e di malizia alunno. Deh, prendi esemplo, per lo danno altrui o ver pel tuo, perch Gi in simil briga, puoi veramente dir, ancora io fui. Sei ancora, e sarai, insin che stringa il tuo veloce curro quel che siede, ove seder dovrebbe fido auriga. 95 Il disio nostro, se pi ha, pi chiede, e come non ha fin, non ha quiete. Non si pu ben posar chi mai non siede,

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Rime in forma di ballata Capitoli

ma quanto pi linsaziabil sete ricorre al tristo fonte che la spenga, tanto pi cresce, insin che passi Lete. 100 Questo convien che per ragione avvenga. Lalma creata alle perfette cose non par contenta a imperfezion si tenga; onde convien che cerchi, e mai non pose, finchella trovi quel chal fin desia, 105 che lei per segno al suo balestro pose. Ma spesse volte, mentre che sinvia scorta da trista e da inimica guida, pria che truova il suo ben, cade tra via. Dunque convien ben guardi in cui si fida 110 e a chi dia del suo cavallo il freno, pria che n cercar o in camminar sintrida. Bisogna ben conosca il troppo o il meno: ch di l o di qua di tal confine mai non si truova il vero ben a pieno. 115 E bench il suo proposito e l suo fine sia buono, e quasi avvenga in ogni mente, pur si va per diverse discipline. Sono infinite vie e differente, e quel che si ricerca solo uno: 120 per si truova s difficilmente. Un picciol sasso per la via, un pruno, che si attraversi al pi fragile e lento, di s suave cibo il fa digiuno: onde gli avvien dipoi contrario evento, 125 ch lanima, pigliando laltra volta, pruova per bene ogni crudel tormento.

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Rime in forma di ballata Capitoli

In questambage inviluppata e involta, tanto pena a vedere il vero lume, che la virt visiva alfin gli tolta. 130 Cos convien sempre arda e si consume, perch il dominio del natural corso per lunga usanza ha perso il rio costume. Per per me, se al mio danno ho corso, pria che la trista usanza in te pi possa 135 che non potrebbe il ragionevol morso; pria che scavi a te stesso quella fossa, nella qual poco dopo tristo caggia per mai pi cavarne se non lossa, guarda il celeste Sol, che splende e raggia, 140 guarda che dolce frutto da lui cade, che nullaltro li piace chi lassaggia. Deh, lascia le calcate triste strade e volgi gli occhi a cose eterne e belle, tanto pi belle, quanto son pi rade; 145 non di falsa bellezza, come quelle ornate, che than dato tanto affanno e l sentier tolto che guida alle stelle. Le tue operazion vergogna e danno, queste di qua quiete e gloria eterna, 150 dopo il grieve cammino, allalma fanno. Ben cieco colui che non discerna quanto sia differente lo splendore del sol dal falso lume di lucerna. Dir pi non mi permette il mio ardore, 155 sol ti soggiungo questo per espresso: che, salcun ben disia o cerca il core, non lasci s gi mai sanza se stesso. Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Rime in forma di ballata Furtum

Furtum

Furtum Veneris et amoris Venere. Su, nymphe, hornate il glorioso monte di canti e balli et resonante lire; fate di fior grillande alme alla fronte, 5 ch mi par Marte, amico mio, sentire e dalla plaga lactea su nel cielo e visto ho la stella sua lieta apparire. Spargete allaura i crini avolti in velo e liete tutte nel fonte Acidalio gratiose vi lavate il volto e l pelo. 10 Le sacre Muse dal licor castalio di dolci carmi piene invitarete; stendete drappi, hornate il ciel col palio. Bacco, Sileno mio liete acogliete, e se Cerer non sdegnata ancora per Proserpna sua, la chiamerete. Va, Climen, nympha mia, dallAurora: digli che indugi alquanto il bel mactino; lieta col suo Titon facci dimora. 20 Tu, Clitia, andrai nel bel monte Pachinno, tu nel Peloro, e tu nel Lilibeo: guardate di Sicilia ogni confino, s che Vulcano mio fabro flegreo cum Marte non mi truovi in adultro, donde fabula sia poi dogni iddeo. 25 Ascondi, Luna, il lucido emispero; voi per le selve non latrate, o cani, s che dinfamia non si scuopri il vero. Vien, lieta notte, e voi, profundi Mani, scurate lora; e tu, figliuol Cupido: mi do nelle tua braccia, in le tue mani.

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Rime in forma di ballata Furtum

Con le tue fiamme dolcie ardente rido: fa lume a Marte, mio sponso e signore, tu mi feristi, Amore, di te me fido. 35 Marte, se obscure ancor ti paion lore, vienne al mio dolce ospitio, chio taspecto: Vulcano non v che ci disturbi amore. Vien, chio tinvito nuda in mezzo il lecto; non indugiar, che l tempo passa e vola: coperto mho di fior vermigli il pecto. 40 Vienne, Marte, vien via, vien chio son sola. Togliete e lumi: el mio mai non lo spengo; non sia chi pi mi parli una parola. Marte. Non qual nimico alle tuo stanze vengo, Vener mia bella, ma sanza arme o dardo, ch contro ai colpi tua nulla arme tengo. Altra cosa vedere un lieto sguardo dun amoroso lume, ovunque e vada, che spada o lancia o vexillo o stendardo. 50 Amor regge suo impero sanza spada; coperto no, ma vuole il corpo nudo, dolce, contento a seguir quel che aggrada. O dir, parlar, non dispietato o crudo, ma dolce in s, qual di piet saccolga: e questa larme sia, la lancia e l scudo. 55 Intorno al col suo bianco treccia avolga, degli ardenti amator dura catena e forte laccio che gi mai si sciolga. Baciar la bocca e la fronte serena, e dua celesti lumi e l bianco pecto, la lunga mano dogni bellezza piena!

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Rime in forma di ballata Furtum

Altra cosa giacer nello aureo lecto con la sua dolcie amica e cantar carmi che affaticare il corpo a scudo e elmetto. 65 Gustar quel fructo che pu lieto farmi, ultimo fin dun tramante dilecto! Tempo damar, tempo da spada et armi. \SOLE\ Ingiuria grande al lecto romper fede: non sia chi pecchi in dir chi l sapr mai?, ch il sol, le stelle, il ciel, la luna il vede. 70 E tu che lieta col tuo Marte stai, n pensi il ciel di tua colpa dispone: cos spesso un gran gaudio torna in guai. Ogni lungo secreto ha suo stagione: chi troppo va tentando la fortuna, sallide in qualche scoglio: ben ragione. Correte, o nymphe, a veder sol questuna adulterata Venere impudica e l traditor di Marte: o stelle! o luna! 80 Giove, se non ti par troppa fatica, con Giunon tuo gelosa al furto viene: non pecchi alcun, se non vuol che si dica. Vieni a veder, Mercurio, le catene acci riporti in cielo di questo e quella, ch nul peccato mai fu sanza pene. 85 Pluto, se inteso hai ancor questa novella, con Proserpna tua lassa linferno, ascendi allaura relucente e bella. Alme che hornate el bel paese etterno de campi elisi, al gran furto venite: convien si scuopra ogni secreto interno.

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Rime in forma di ballata Furtum

Glauco, Neptunno, Dori, Alpheo, corrite al tristo incesto, e Ino e Melicerta con le driade e l gram padre dAmphitrite; 95 acci che in terra, in mare e in ciel sie certa infamia tale duna malvagia dea e grave stupro e inhonestate aperta. Vulcan, vieni a vedere tua Citerea, come con Marte suo lieta si posa e rocta tha la fede e facta rea. 100 Debbe al consortio tuo esser piatosa, ad altri no. Ma gli fatica e grave posser guardare una donna amorosa, ch, se la vuol, non fia chi mai la cave. Tu dormi forse, e se l mio sono hai inteso, 105 vieni a veder di lei lopere prave. Lascia Cicilia e l tuo stato sospeso, ch patir tanta ingiuria honor t poco: vendecta brama Iddio dun core offeso. Vulcano . Non basta avermi il ciel da lalto loco 110 gittato in terra e da suo mensa privo e facto fabro e dio del caldo foco, ch per pi pena mia ciaschedun divo cerchi stratiarmi e dimostrar lor pruove; ma tanta ingiuria mai non la prescrivo. 115 Io pure attendo affar sagitte a Giove sudando intorno allantica fucina, e Marte gode mie fatiche altrove. Venere, Vener mia, spuma marina tu Marte adulter, pena pagherete, 120 ch grave colpa vol gram disciplina.

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