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STILI IN BASE ALL’ATLETA


• • Atleti “simmetrici”dare consegne sotto forma di sfida

• •Atleti “complementari” dare consegne imperative

• •Atleti che hanno bisogno di emergere assegnare compiti da


eseguire in tempi definiti che se portati a termine determinano
un riconoscimento positivo, sono utili e li impegnano
• •Atleti insicuri delicatezza nel sottolineare gli errori, senza
umiliarli di fronte ai compagni
…La comunicazione
• Quinto assioma: interazione simmetrica e complementare.
• Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari,
a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
• Nel primo caso, un parlante tende a rispecchiare il comportamento
dell’altro, creando un’interazione simmetrica.
• Nel secondo caso, il comportamento di un parlante completa quello
dell’altro e costituisce un tipo diverso di comportamento, creando
un’interazione complementare. In quest’ultimo caso, un partner
assume una posizione primaria, detta one-up, superiore; mentre
l’altro partner completa per così dire la configurazione assumendo
una posizione one-down, ovvero inferiore. Non dobbiamo tuttavia
attribuire giudizi di valore come “buono” e “cattivo” o “forte” e
“debole” alla precedente distinzione: l’assunzione di una posizione o
l’altra potrebbe essere determinata semplicemente da contesti
culturali o sociali (es. madre/figlio, medico/paziente,
insegnante/allievo).
GRUPPO/SQUADRA
• Cartwright e Zander (1968) “Se si vuol capire o
migliorare il comportamento umano, è necessario
conoscere meglio la natura dei gruppi”
• Carron (1988) “per capire il comportamento di coloro
che praticano uno sport è necessario acquisire molte
più conoscenze sulla natura dei gruppi sportivi.
• Infatti l’attività sportiva è quasi esclusivamente
organizzata sulla base di gruppi (società sportive,
circoli, federazioni sportive nazionali, gruppi scolastici,
squadre) e questa struttura sociale ha un’influenza sul
comportamento dei suoi membri e viceversa”
SQUADRA
• Squadra sportiva: sistema complesso, in cui i giocatori si
conoscono all’inizio dell’anno e fanno un percorso
insieme (stagione agonistica) condividendo determinati
obiettivi
• Spesso alcuni giocatori alla fine rimangono e creano le
premesse per il nuovo sistema

• Società sportiva: metasistema (contesto) che crea la


filosofia del gruppo, la mission, il mito

• All’atto pratico, ogni inizio di stagione si pone il


problema di organizzare la squadra che scenderà in
campo e che determinerà i risultati

Principali proprietà del gruppo funzionali (LEADERSHIP)


• COESIONE
• COOPERAZIONE e COMPETIZIONE
COESIONE
• dal latino COHAESUS (COESISTERE)
• TENDENZA DEI MEMBRI DEL GRUPPO A STARE INSIEME E
RIMANERE UNITI
• Implica capacità di cooperare e competere
• Carron, Widmeyer, Brawley, 1985: GEQ, GROUP ENVIRONMENT
QUESTIONNAIRE, valuta la coesione dei gruppi nel contesto
sportivo

• HP: in una squadra si ha coesione quando i confini all’interno


sono diffusi e all’esterno sono rigidi; in realtà, se è vero che la
tendenza dovrebbe andare in questa direzione, è anche vero che i
confini debbano rimanere comunque chiari al fine di preservare
l’integrità individuale dei singoli e garantire al sistema quella
flessibilità che permette di affrontare le varie fasi di crescita e
cambiamento senza grossi problemi.
COESIONE
• “la squadra ha mostrato carattere” o “la squadra è stata unita
nei momenti difficili” o “i giocatori giocano, ma la squadra vince”:
esprimono il concetto di coesione e la sua importanza.
• va stimolata attraverso comportamenti appropriati
in allenamento, in trasferta e fuori dal campo
• implica una condivisione degli obiettivi e dei
metodi per raggiungerli e lo sviluppo di una forte
identità di gruppo, di un NOI.
• gruppi giovani: la coesione è stimolata soprattutto
a livello sociale
• gruppi agonistici: soprattutto attraverso
l’orientamento al successo.

• gruppi piccoli: più utile una coesione centrata sul


compito, in quelli moderatamente numerosi tende
a prevalere la coesione sociale, attraverso lo
sviluppo di forti relazioni sociali, nei gruppi molto
numerosi è più difficile da promuovere perchè si
creano facilmente sottogruppi.
• E’ stato dimostrato che la SOMIGLIANZA dei membri del
gruppo stimola la coesione: in realtà, questa è una
condizione necessaria, ma non sufficiente, perchè se la
coesione si basa sul raggiungimento di determinati obiettivi,
se c’è riconoscimento del singolo e del suo valore per il
gruppo, la differenza risulta un valore aggiunto.
• Meglio parlare di integrazione.
• • La coesione implica la capacità di cooperare.
COOPERAZIONE
• Capacità di giocare e lavorare con altri, adattandosi alle
esigenze del gruppo e rispettandone le regole

• Affrontare i conflitti in modo costruttivo


• Rispettare se stesso e gli altri
• Accettare i diritti ed i sentimenti del gruppo
• Effettuare comportam. prosociali senza aspettarsi
ricompense esterne
• principio secondo cui il successo del singolo arriva solo se
arriva il successo del gruppo

Competizione
• implica un confronto al fine di emergere rispetto all’altro,
può sfociare in conflitto se non c’è riconoscimento
• Nei gruppi cooperazione e competizione sono
spesso presenti insieme
Si pensa che la prima dovrebbe essere presente
all’interno del gruppo, mentre la seconda nei
confronti delle altre squadre

In realtà la competizione “sana” all’interno di un


gruppo può generare stimoli a crescere ed a
migliorarsi. Esistono gruppi molto coesi, ma
anche molto competitivi
• La competizione è legata alla volontà di
emergere, alla motivazione al successo ed in tal
senso può essere uno stimolo a migliorare molto
forte a patto che non prenda il sopravvento sulle
altre dimensioni.
• gruppi di bambini: gli aspetti competitivi possono emergere con
più frequenza perchè c’è un forte bisogno di riconoscimento dei
singoli: in tal senso i conflitti scaturiti da un confronto sano
aiutano a sviluppare competenze relazionali e vanno lasciati
risolvere ai ragazzi, monitorando la situazione
• L’adulto dovrà intervenire nel caso di pericolo o se il conflitto si
reitera
• gruppi di adulti: la competizione che degenera in conflitto aperto
è più rara, si manifesta frequentemente in maniera indiretta,
attraverso triangolazioni, sabotaggi, maldicenze, ecc.
(comportamenti che ad un osservatore poco attento possono
sfuggire, ma che alla lunga possono creare dei seri problemi)
• In questo caso, il leader deve intervenire
tempestivamente
• no “mettersi nel mezzo” (mediatore) perchè
l’allenatore deve mantenere la posizione
one-up. Se entra nel merito si schiera e si
allea: molto meglio mantenere l’alleanza
con la coesione, con il sistema, con il NOI,
metacomunicando, affinché siano gli altri
ad attivare risorse per la risoluzione.
• Un intervento del genere, viene facilitato da
una lettura circolare della relazione:
• SPOSTARE IL FOCUS
• CAMBIARE PUNTO DI VISTA
DIMENSIONE del gruppo (…)
gruppi sovradimensionati aumenta l’estraneità dei singoli
• formazione di sottogruppi
• l’allenatore può incontrare difficoltà a gestire gli atleti, sia a
livello relazionale che tecnico
• calo motivazionale e riduzione della produttività individuale
• se un numero eccessivo di giocatori ricopre lo stesso ruolo
diventa un problema mantenere alta la motivazione di tutti,
soprattutto di coloro che sanno di non poter giocare
Questo ha ricadute su tutta la squadra (principio “totalità” dei
sistemi)
• non è detto che squadre molto ricche che possono
permettersi più giocatori sullo stesso ruolo, possano poi
permettersi di bruciare coloro che non giocano perchè il calo
motivazionale di quest’ultimi potrà influire sull’umore
dell’intera squadra.
• gruppi sottodimensionati: maggiore soddisfazione e
interazione sociale, eccessiva responsabilizzazione
(ansia) e stanchezza

• DIMENSIONI CRITICHE Dipendono da:


• a) Natura del compito
b) Risorse dei partecipanti

Superata la numerosità critica la prestazione
diminuisce
• IL NUMERO DEI GIOCATORI E’ FISSATO DALLE
REGOLE DELLA DISCIPLINA SPORTIVA
• LA CONDIZIONE OTTIMALE SI HA QUANDO
L’ALLENATORE CONOSCE OGNI MEMBRO DEL
GRUPPO E SA DIRE IN OGNI MOMENTO COME STA
ANDANDO
ALCUNI FENOMENI DI GRUPPO
PIGRIZIA SOCIALE (LATANE’ E COLL.)
• Quando più individui lavorano insieme
e si verifica una riduzione dell’impegno
individuale
• a. Strategia allocativa: i soggetti sanno che
la loro prestazione in gruppo è identica a
quella che possono fornire da soli, solo che
nel secondo caso sono più identificabili.

• Tipico degli sport individuali, quando


vengono affrontate gare di gruppo, come il
doppio nel tennis o le staffette nel nuoto,
ecc. E’ più raro negli sport di squadra.
•b. Strategia minima: i soggetti cercano
di spendere il minor livello di energia
quando lavorano insieme ad altri e
l’attività di gruppo consente loro di
impegnarsi poco senza essere
percepiti come individui pigri. Più
frequente negli sport di squadra con
molti giocatori in campo.
• c. Strategia del freerider: le
persone riducono il loro impegno
perchè non lo ritengono essenziale
per il risultato.

• Spesso, ci sono problemi


motivazionali e confusioni di ruoli.
•d. Strategia del suckereffect: le persone
riducono il loro impegno in quanto non
vogliono favorire coloro che già si
impegnano poco. Tipico nelle squadre in
cui non c’è un adeguato riconoscimento
del valore e dell’impegno di ciascun
giocatore e dove i livelli di competitività
sono eccessivi.
COSA FARE?
• Migliorare il livello di autoconsapevolezza
dell’atleta rendendo identificabile l’impegno
• Incremento del senso di responsabilità dell’atleta
(coesione, cooperazione e obiettivi di gruppo)
• Identità di squadra
• Riunioni periodiche con la squadra
• Attribuzione di ruoli specifici e chiari per ogni
giocatore
• Dare spazio agli atleti per esprimersi in modo
creativo
• Programma di goal-setting sistematico
(condiviso)
PROMOZIONE DELLA SALUTE E
MENTAL TRAINING
• Ambito Relazionale: Lavoro relativo a problemi interpersonali
presenti nei e fra i vari sottosistemi di cui si compone la società
sportiva
• Gestione dei conflitti, leadership, gestione delle dinamiche
famiglie-allenatori-atleti ecc.

Ambito tecnico-consulenziale: prevede un’operatività del


preparatore mentale tutta centrata sulla trasmissione delle proprie
competenze ai sottosistemi
• PROMOZIONE DELLA SALUTE non va intesa come intervento
clinico, bensì, in assenza di sintomi psicologico/psichiatrici, come
possibilità di migliorare le condizioni di vita dell’atleta da un
punto di vista relazionale e psicologico individuale
• MENTAL TRAINING propone possibilità di intervento
finalizzate ad ottimizzare la prestazione
ABILITÀ MENTALI IMPORTANTI NELLO
SPORT
(MARTENS, 1987)

•Controllo pensieri
•Controllo Attenzione
•Formulazione Obiettivi
•Gestione Stress
•Modulazione arousal
•Controllo Immagini
GOAL SETTING

• È una strategia motivazionale capace di orientare la motivazione


del soggetto e incrementare la fiducia
• OBIETTIVO: specifico standard di abilità da conseguire entro un
tempo definito
• Possono essere a BREVE, MEDIO, LUNGO TERMINE
• Obiettivi difficili sono più efficaci di obiettivi facili (perlomeno fino a
quando stanno su limiti realistici)
• OBIETTIVI DI PRESTAZIONE e OBIETTIVI DI RISULTATO

• Ricordando che: “SI PUO’ ESSERE SE STESSI AL MEGLIO,


MA NON MEGLIO DI SE STESSI”
OBIETTIVI
• Soggettivi (scelti dall’atleta) ***
• Realistici
• Ben determinati e specifici (meglio di “fai del tuo
meglio”)
• Realisticamente difficili
• Sono efficaci se sono previsti dei feed-back di
verifica
• Di prestazione e di successo, focalizzandosi sui
primi
• Con un piano di azione (strategia) per raggiungerli
• Positivi
• A breve, medio, lungo termine
GOAL SETTING E RAPPORTO
ALLENATORE-ATLETI
• In realtà per ottimizzare qs strategia occorrerebbe farli
scegliere in maniera condivisa (allenatore e atleta/
allenatore e squadra) attraverso incontri congiunti
• principio della coerenza
tutti partecipano all’azione e si struttura un rinforzo
• positivo al loro perseguimento
• si parte dall’allenatore e si fanno definire a tutti gli
atleti/a seguendo una linea gerarchica e realistica
• occorre arrivare ad un accordo realistico
va costruita una scala di priorità (se gli obiettivi
• sono numerosi)
• Sarebbe opportuno che gli atleti mettessero a
conoscenza degli obiettivi formulati anche altri
sottosistemi significativi (ciclo di vita)
MENTAL TRAINING
• Un programma di mental training prevede 2 fasi: una “educativa” ed
una “esperienziale” (prevede l’utilizzo di metodiche specifiche come
ipnosi, imagery guidata, goal setting, ecc.).
• Martens (1991) suggerisce un processo di insegnamento delle abilità
mentali di tre fasi:
• Educazione: spiegare agli atleti che le abilità mentali possono essere
apprese, far loro capire come influenzano la prestazione e insegnare
come svilupparle
• Acquisizione: attraverso un programma strutturato di allenamento
delle abilità mentali, far acquisire agli atleti quelle necessarie
• Allenamento: praticare regolarmente in allenamento le abilità mentali
in modo che vengano integrate nella gara
• ABILITA ’ MENTALI 3 GRUPPI:

• Abilità di base: rilassamento, visualizzazioni, self-talk.

• Abilità complementari: goal-setting, autovalutazione.

• Abilità complesse: gestione dell’attivazione o arousal,


abilità attentive, gestione dello stress, motivazione,
incremento dell’autostima, strategie individualizzate
di preparazione alla gara.

• Molte strategie mentali derivano da soluzioni


personali che già gli atleti usano
• Prima di proporre un progetto, quindi, occorre
studiare ciò che già fa l’atleta (profilo idiosincratico) e
costruire le prime ipotesi sistemiche di lettura
relazionale della situazione
RILASSAMENTO

Per  rilassamento si intende indicare uno status pscofisiologico caratterizzato


da una riduzione del livello di attivazione complessivo dell'organismo, cui
corrisponde un vissuto di calma, di pace interiore, di tranquillità e riduzione
di ansia e di tensione.
I modi con cui si può ottenere un buon rilassamento sono diversi: Training
Autogeno di Schultz, Rilassamento Progressivo di Jacobson, tecniche di
origine orientale quali lo joga e lo zen, Biofeedback.
In ambito sportivo le tecniche di rilassamento sono utilizzate per prendere
consapevolezza della tensione muscolare a riposo e per gestire situazioni
ansiogene o stressanti che possono influenzare negativamente una
prestazione.
RILASSAMENTO
JACOBSON
RILASSAMENTO MUSCOLARE PROGRESSIVO
Il rilassamento muscolare progressivo è una tecnica basata
sull'alternanza contrazione/rilasciamento di alcuni gruppi muscolari. Fu
ideata negli anni trenta dal medico e psicofisiologo statunitense
Edmund Jacobson e illustrata nel 1959 in "How to relax and Have your
baby". Nasce dalla volontà di sciogliere rapidamente stati di tensione, di
ansia o di stress ed è indicata anche per le persone che non riescono a
praticare il rilassamento autogeno, la meditazione o altre tecniche.
Principi di base
• per raggiungere il massimo rilassamento esercitarsi con regolarità
non lasciando più di 4 giorni tra un allenamento e l'altro;
• la durata va dai 30 ai 45 minuti, durante la pratica è necessario
non venire disturbati;
• indossare indumenti comodi e caldi, ottenebrare l'ambiente
circostante e curarsi che la temperatura sia confortevole;
• respirare inspirando col naso fin nell'addome, espirare e aspettare
l'impulso istintivo di inspirare prima di procedere a inspirare di nuovo
col naso. Per assicurarsi della correttezza della respirazione poggiare
una mano sull'ombelico e sentire l'alzarsi e l'abbassarsi dell'addome.
ESERCIZI
Sdraiarsi su una superficie dura, stendere le braccia lungo il corpo, tenere le gambe poco divaricate,
lasciare che i piedi cadano in fuori.
GAMBE:
Spingere le dita dei piedi verso il corpo, mantenere intensa la tensione 2 secondi se i muscoli non sono
allenati, altrimenti da 2 a 6 secondi. Lasciare e rilassare circa 15 secondi. Piegare ora le dita dei piedi e
cercare di stendere la pianta del piede sul pavimento. Tenere in tensione e rilasciare. Contrarre i muscoli
della gamba tenendo il piede a martello. Mantenere la massima tensione poi rilasciare. Procedere prima
con una gamba poi con l'altra.
BACINO E GLUTEI:
Contrarre glutei e bacino insieme, tenere e poi rilassare.
ADDOME:
Contrarre i muscoli addominali, ritraendo il ventre, mantenere e lasciare.
BRACCIA:
Analogamente alle gambe le contrazioni devono partire dalle estremità. Stringere forte il pugno, piegando
l'avambraccio sul braccio mantenendo la tensione cercare di raggiungere con il polso la spalla. Stendere di
nuovo il braccio sul suolo e rilassare.
DORSO E SPALLE:
Spingere con le braccia contro il torace e contemporaneamente porre le spalle in basso e in avanti. Tenere
e rilasciare. Muovere le spalle in basso e indietro per contrarre la zona della spalle.
NUCA:
Per i muscoli della nuca tirare in alto le spalle e incassare la testa tra di esse.
VOLTO:
Corrugare la fronte, strizzare gli occhi e stringere le labbra il più possibile. Tenere e rilassare.
CONCLUSIONE

Alla fine rimanere sdraiati per qualche minuto


cercando di percepire il profondo rilassamento.
Terminare gli esercizi con una respirazione lenta ma
accentuata.

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TRAINING AUTOGENO (ES.
BASE)
1 - esercizio della pesantezza, che agisce sui muscoli.
2 - esercizio del calore, che agisce sulla dilatazione dei vasi
sanguigni periferici.
3 - esercizio del cuore, che agisce sulla funzionalità cardiaca.
4 - esercizio del respiro, che agisce sull'apparato
respiratorio.
5 - esercizio del plesso solare, che agisce sugli organi
dell'addome
6 - esercizio della fronte, che agisce a livello celebrale.

Dal punto di vista fisico, con la pratica della tecnica si


manifesterà: la diminuzione della tensione muscolare, il
rilassamento dei vasi sanguigni e il miglioramento della
circolazione, un calore generalizzato dovuto alla migliore
diffusione del sangue, una migliore efficienza respiratoria, il
rilassamento dell'apparato digerente.
IMMAGINAZIONE O
VISUALIZZAZIONE (IMAGERY)
Immaginare significa rappresentarsi qualche cosa senza viverla
nella realtà, ma “vivendola” mentalmente.
L’allenamento alla visualizzazione mentale aiuta nello sport a
raggiungere molteplici scopi:

- la diminuzione dell’ansia prima e durante la gara (ogni


immagine mentale contiene infatti delle emozioni);
- l’aumento di attenzione e concentrazione; il miglioramento del
gesto atletico (allenamento ideomotorio);
- la maggiore padronanza del proprio schema corporeo
psichico;
- la maggiore fiducia e autostima nelle proprie capacità;

L’utilizzo delle tecniche di imagery può essere un importante


valore aggiunto per l’atleta, sia nel periodo di allenamento sia
nel momento della gara vera e propria.
SELF-TALK
Il Self-Talk è quel meccanismo mentale che ci porta a parlare
silenziosamente con noi stessi, per cui viene definito anche “dialogo
interno”.
I pensieri che fanno spesso capolino nella mente dell’atleta, in modo
automatico, sono in grado di incidere sia positivamente che
negativamente sulla prestazione.
Un tipico dialogo interno di un atleta può essere fatto di frasi del
tipo: “Posso farcela!…Resisti ancora qualche minuto!...Capita a tutti
di fare un errore, e quindi può capitare anche a me!...Io valgo come
atleta!” Vs. “Farò una brutta figura anche stavolta!...È inutile
tentare!...Non riuscirò a recuperare!…Lo sapevo che andava a finire
così!”. Se da un lato pensieri positivi favoriscono sentimenti di
adeguatezza al compito e facilitano di conseguenza una buona
prestazione, dall’altro pensieri inappropriati e negativi suscitano
percezioni di inadeguatezza e apprensione che influenzano
sfavorevolmente l’esito della prestazione.
Attraverso le tecniche di Self Talk è possibile agire sulla
concentrazione, suscitare emozioni positive e incrementare la
fiducia in sé.
BIOFEEDBACK
Nel campo della psicologia applicata allo sport, il biofeedback è una
delle tecniche più efficaci per favorire l'apprendimento
dell'autoregolazione del livello di attivazione psicofisiologica (arousal).
Con questa tecnica lo sportivo impara a intervenire sui propri parametri
fisiologici (tensione muscolare, frequenza cardiaca, temperatura
corporea, ritmi elettroencefalografici, attività elettrodermica -nelle sue
due forme: potenziali elettrici e resistenza cutanea-, pressione
arteriosa, pH gastrico…). In particolare la maggiore importanza riguarda
tre funzioni fisiologiche che sono la tensione muscolare, la
vasocostrizione periferica e l'attività elettrodermica in modo da
raggiungere una condizione di maggiore rilassamento, concentrazione
ed autocontrollo. 
Il biofeedback è indicato per l'induzione del rilassamento anche in quei
soggetti che hanno difficoltà con altre tecniche quali il training
autogeno, l'ipnosi, il rilassamento immaginativo ecc., in quanto, grazie
al feedback immediato relativo agli stati fisiologici, permette di
percepire e modulare con più facilità il proprio livello di attivazione.
10 domande chiave per allenatori e mental-
coach
:

1 Quanto sei convinto che oltre la tecnica/tattica e la forma fisica,


l’atteggiamento è alla base del successo sportivo?
2 Quanto tempo dedichi a cambiare l’atteggiamento dei tuoi atleti verso
gli errori?
3 Come insegni che il riscaldamento non è solo fisico ma anche mentale?
4 Come insegni che l’atteggiamento verso la fatica fisica e mentale è
decisivo per migliorare la fiducia in gara?
5 Come insegni che è necessario lottare istante per istante senza
pensare al risultato?
6 Interrompi mai l’allenamento perché l’atteggiamento è sbagliato?
7 Quanto spesso premi l’atteggiamento in campo piuttosto che il
risultato?
8 Quanto tempo dedichi a insegnare che gli atteggiamenti pre-gara e
durante le pause sono alla base della prestazione seguente?
9 Quanto tempo spendi a pensare in che modo i tuoi atteggiamenti
influenzano quelli dei tuoi atleti?
10 In che modo valuti nel dettaglio e parli con gli atleti del loro
atteggiamento in allenamento e in gara?
Giorgio Nardone: I 7 passi del Problem Solving
Strategico
• 1. Definire il pb nei termini più concreti e descrittivi possibili (cosa? chi? dove? quando?
come?)
Nel caso in cui l’obiettivo fosse quello di operare un miglioramento e non la risoluzione di un
problema vero e proprio, come   ad esempio aumentare il livello di una performance, allora
si partirà dall’obiettivo da raggiungere, per poi analizzare le carenze o i problemi immediati
da superare: mancanza del know-how necessario per il raggiungimento dell’obiettivo,
presenza di un’eventuale concorrenza, etc.
• 2. Concordare l’obiettivo
Quando si lavora con più persone, inoltre, il concordare un obiettivo da raggiungere voluto
da tutti svolge anche il ruolo di consolidare la squadra nel proprio team di lavoro, ovvero il
creare un gruppo allineato allo scopo da raggiungere.
L’intento è quello di portarli a sviluppare un forte spirito di collaborazione e di coesione
rispetto allo scopo desiderato: questo è un primo, importante passo per ridurre le
eventuali resistenze al cambiamento che il soggetto, o il gruppo, potrebbe mettere in atto,
consciamente   o inconsciamente, se si sentisse diretto e non partecipante alla costruzione
delle soluzioni.
• 3. Individuare e valutare tutte le soluzioni tentate fino ad adesso x risolvere il pb ed anche
i tentativi fallimentari messi in atto allo stesso scopo
I 7 passi del Problem Solving Strategico
• 4. La tecnica del come peggiorare
Questo gioca un ruolo importantissimo nella risoluzione, in quanto ha l’effetto di creare
un’avversione verso tutte le possibili azioni fallimentari compiute in precedenza ed
accende la consapevolezza che le tentate soluzioni hanno mantenuto vivo il problema e che
quindi il cambiamento è ineluttabile, creando una forte leva motivazionale propulsiva.
• 5. La tecnica dello scenario oltre il pb (come se il pb fosse stato
risolto o l’obiettivo raggiunto)

• 6. La tecnica dello scalatore o dei piccoli passi


studio del percorso da seguire parte dalla vetta e procede a ritroso fino al punto di
partenza.
• 7. Aggiustare progressivamente il tiro

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