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Gestione Emergenze:

percezione e comunicazione del rischio,


organizzazione dell'evacuazione

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PERICOLO E RISCHIO:
QUALE E’ LA DIFFERENZA?

Siamo abituati a pensare ai termini “pericolo” e


“rischio” come sinonimi. 

In realtà indicano due concetti diversi.


PERICOLO E RISCHIO:
QUALE E’ LA DIFFERENZA?
PERICOLO: esprime la POTENZIALITA’ di una
determinata entità, intesa come un processo
lavorativo, un’attrezzatura o uno strumento di
lavoro, un agente chimico, fisico, biologico, etc.,
di causare un danno al lavoratore.

Ha una forte componente OGGETTIVA che è legata


esclusivamente alla presenza della fonte di pericolo stessa.
PERICOLO E RISCHIO:
QUALE E’ LA DIFFERENZA?
RISCHIO: esprime il prodotto della PROBABILITA’
che un evento dannoso (a carico del lavoratore)
possa verificarsi per la MAGNITUDO (severità) delle
conseguenze dannose stesse.
Ha una NATURA COMPLESSA che è fondamentalmente legata
all’INCERTEZZA del verificarsi dell’evento negativo.

RISCHIO = STIMA DEL PERICOLO + DANNO


PERCEPITO
Sicurezza con il volto “umano”

Mette al centro, le persone e i gruppi di lavoro che, attraverso il loro


comportamento, la loro competenza, le loro abitudini, il loro modo
di comunicare
costruiscono - o disfano!! - la vera sicurezza sui luoghi di lavoro e i
conseguenti risultati.
L'obiettivo di questo incontro è quello di colmare un vuoto
(almeno in parte!) in tal senso mostrando come, al di là dei
diversi approcci operativi e delle diverse sensibilità, esista a
livello internazionale - con esclusione, in gran parte, del
nostro Paese - una fiorente letteratura che si è occupata di
sicurezza sul lavoro studiando i gruppi, la comunicazione, la
cultura, la percezione del rischio e molto altro
QUATTRO PRINCIPI FONDAMENTALI
1) Fare sicurezza e fare "altro“
Spesso la sicurezza non funziona, e ciò a causa di motivi collegati al modo
di pensare e al modo di comportarsi. Esistono diverse "miopie" che
contribuiscono a far sì che la costruzione della sicurezza, da parte dei
diversi attori impegnati in questo compito, sia soltanto parziale, o
apparente. Le variabili che influenzano i comportamenti sono spesso da
ricercare in aspetti collettivi quali le abitudini, il clima, il funzionamento
di un gruppo ecc.

OCCUPARSI DI SICUREZZA, E FARLO IN


MODO SERIO ED EFFICACE, NON PUÒ
CONSISTERE SOLTANTO NELL'OCCUPARSI
DI SICUREZZA.
QUATTRO PRINCIPI FONDAMENTALI

2) Due tipi di SICUREZZA


SICUREZZA Impianti, lay-out, DPI
OGGETTIVA collettivi ed individuali,
etc-

SICUREZZA Aspetti comportamentali


SOGGETTIVA e sociali
Ridurre e/o eliminare gli INFORTUNI e le MALATTIE
PROFESSIONALI è importante ma non può essere
considerato l’UNICO PUNTO DI ARRIVO

PERSONE

BISOGNO DI NON
FARSI MALE

BISOGNO DI SVILUPPARE LE
PROPRIE POTENZIALITA’,
fornire senso e significato alle
prassi quotidiane, al lavoro
Non è possibile andare in senso pieno verso la
riduzione degli infortuni e delle malattie
professionali ignorando il tema del benessere

Gli interventi relativi al miglioramento della


sicurezza non sono differenziabili da quelli rivolti
al miglioramento del benessere e allo
sviluppo del potenziale delle persone; e di
conseguenza gli interventi di sicurezza hanno un
esito parziale o ridotto se non tendono in modo
più generale allo sviluppo e al benessere delle
persone.
4) La ricerca di significato
Ad accomunare i due temi della sicurezza/salute da un lato e del benessere
dall'altro vi è il riferimento all'attribuzione dei significati:

spesso è un vuoto di significato percepito dagli operatori a causare


comportamenti a rischio - "non capiamo quale sia il significato di questa
operazione o procedura di sicurezza, quindi pensiamo più semplice e
opportuno agire diversamente";
spesso è un vuoto di significato a determinare lo stress o il mobbing - "non
capisco il significato di questo lavoro, quindi lo percepisco come più pesante
e faticoso", oppure "non riesco a cogliere il significato di questa difficile
relazione con i colleghi, quindi reagisco in modo inappropriato";
L’utilizzo del termine sicurezza nelle campagne di prevenzione è pericoloso, in
quanto proporre una prospettiva di sicurezza che significa non osservare gli altri
danni possibili. Le procedure di “sicurezza” permettono di proteggere il lavoratore
da possibili danni specifici e prevedibili. Ma promuovere il concetto, la
sensazione, di sicurezza significa rendere ceche le persone verso altri danni
non specifici, non previsti.

Essendo la realtà sempre più complessa di quando la si riesca a descrivere e


prevedere, la previsione di tutti i possibili danni per i lavoratori è impossibile.

Se da un lato è utile promuovere delle procedure e dei comportamenti che


statisticamente riducano la probabilità di danni, dall’altro utilizzare il concetto di
sicurezza è pericoloso, perché promuovere un senso di sicurezza rischia di
ridurre l’attenzione verso i danni non specifici, imprevisti.
La maggioranza degli interventi di prevenzione degli incidenti sul lavoro, che
riguardano il fattore umano, è rivolta a produrre maggiore informazione.

Cioè si da per scontato un presupposto:

PIÙ IL LAVORATORE È INFORMATO PIÙ È SICURO

Tale presupposto è risultato falso da numerose ricerche. Infatti l’informazione ha


un effetto neutro sulle scelte del lavoratore.

Basti pensare all’utilizzo del casco nei cantieri, tutti sono informati della
necessità di utilizzo di tale protezione, ma allo stesso tempo la scelta di
usare il casco non è molto diffusa.
il punto critico consiste nel fatto che la
percezione del rischio è un qualcosa di
estremamente personale che dipende
dalle abitudini e dalle esperienze
pregresse

La percezione del rischio NON è uguale per


tutti!
La percezione dipende anche dal
tipo di rischio
Sistemi di valutazione del rischio

Dal punto di vista strettamente individuale, come arriviamo a


definire qualcosa come un “rischio”?

Quali informazioni presenti nell’ambiente costituiscono gli


ingredienti di tale percezione e quali processi portano alla
valutazione di rischio?

Il rischio è elaborato dal nostro sistema


cognitivo attraverso due vie:
ANALITICA
ed
ESPERIENZIALE.
ANALITICA

Questa forma di elaborazione è lenta e richiede un grande impegno


cognitivo, di conseguenza, non è adatta quando si deve prendere
una decisione velocemente

ESPERIENZIALE

La seconda via è, invece, veloce ed automatica. Secondo


alcune ricerche sembrerebbe che questa via funzioni tramite le
reazioni emotive che sono associate al rischio: se la reazione è
positiva allora l’oggetto non è rischioso.
ESPERIENZIALE

Gli individui si creano con l’esperienza una serie di connessioni

in memoria tra il rischio e le emozioni associate, creando così un

processo automatico di reazione al rischio. Spesso, queste

reazioni sono VEICOLATE DA IMMAGINI che possediamo nella

nostra mente: “le informazioni sul rischio hanno un impatto sul

nostro comportamento solo se riescono a creare nella nostra

mente immagini cariche di emotività”


PERCEZIONE
La percezione crea una nostra “mappa del mondo” in base alla
quale affrontiamo e reagiamo al mondo

La nostra “mappa del mondo”


non è il mondo oggettivo

La nostra “mappa del mondo” è tendenzialmente autoconfermante


Gli incidenti che accadono in ambito lavorativo sono in larga misura imputabili
all’errore umano. Scelte sbagliate in situazioni di crisi, sottovalutazione della
gravità di un pericolo, sovrastima della propria abilità nell’arginare le
conseguenze di un possibile errore, sono solo alcune delle procedure di
ragionamento che possono condurre a un infortunio

Spesso le persone agiscono senza aver prima elaborato la situazione in


maniera analitica e “ragionata”.

Per mancanza di tempo, per mancanza di motivazione o per i limiti


stessi dei nostri sistemi cognitivi (es. memoria, attenzione), le persone spesso
adottano delle “scorciatoie di ragionamento” che gli permettono di raggiungere
una conclusione velocemente. Le scorciatoie o “euristiche di ragionamento”
sono spesso immediate ed automatiche e vengono adottate anche senza il
controllo volontario della persona.
Come va gestita
un'emergenza?
Gestire un’emergenza significa attuare tutta una serie di azioni
finalizzate a contenere i danni a persone o cose ed a riportare la
situazione in condizioni di normalità il più velocemente possibile.

Prima di tutto quindi, gestire l’emergenza significa gestire il


transitorio tra il momento nel quale è stato rilevato l’evento e
quello in cui intervengono i soccorsi professionali al fine di:
salvaguardare l’incolumità delle persone e dei beni presenti nella
zona dell’evento;
limitare le conseguenze negative determinate dall’evento.
IL COMPORTAMENTO UMANO NEGLI INCENDI

Per anni gli ingegneri che si sono occupati di sicurezza antincendio si


sono basati su un semplice presupposto: quando si aziona un allarme
sonoro antincendio le persone iniziano ad evacuare immediatamente.

Si credeva che la rapidità con cui le persone riuscivano ad uscire


dall’edificio dipendesse principalmente dalle abilità fisiche individuali,
dalla locazione dell’uscita di sicurezza e dall’azione di propagazione del
fuoco.

Il lavoro degli scienziati del comportamento ha tuttavia messo in evidenza


che sono ben diversi i comportamenti osservati nelle persone durante le
situazioni di pericolo e di emergenza. In realtà, la ricerca ha mostrato
che gli individui dopo un allarme occupano una parte del tempo in
attività non rivolte all’evacuazione e che questo intervallo di tempo
può costituire fino a due terzi del tempo che si impiega per uscire
dall’edificio.
IL COMPORTAMENTO UMANO NEGLI INCENDI

La naturale inclinazione delle persone sarebbe quella di voler “definire” la


situazione prima di “rispondere” di fronte ad un allarme sonoro che di per
sé è uno stimolo intrinsecamente ambiguo. Per tale motivo, le persone aspettano
altri indicatori ambientali – ad esempio, l’odore del fumo, le urla di una persona
ferita, un collega che gli dice di uscire – o cercano informazioni su cosa sta
accadendo. Le persone tendono a pensare che la probabilità che l’allarme
corrisponda ad un reale incendio o che questo possa rappresentare un pericolo
per loro sia estremamente bassa

In media ci vogliono tre minuti prima che le persone inizino a lasciare l’appartamento in
un edificio residenziale.
Anche se a prima vista sembra modesto, sappiamo che il fuoco si evolve molto
rapidamente e in un incendio reale tre minuti potrebbero essere una questione di vita o di
morte.
Un esempio: Twin Towers
E’ stato stimato che il 70% delle persone nel WTC (world trade
center) che sopravvissero a quel disastro, prima di fuggire,
parlarono fra loro sul da farsi e sul cosa stesse succedendo.

Sono stati analizzati i resoconti di 324 persone sulla loro


evacuazione dai grattacieli, l’83% ha giudicato la situazione
molto grave nei primi minuti dopo lo schianto; tuttavia anche
dopo aver visto le fiamme, il fumo e le carte che volavano, solo
il 55% dei superstiti è evacuato immediatamente, il 13% si è
fermato per recuperare i propri beni personali e il 20% ha
messo in sicurezza i suoi dati personali e poi ha girato per il
piano prima di evacuare, l’8% aveva inizialmente deciso di
restare ma dopo ha cambiato idea.
IL COMPORTAMENTO UMANO NEGLI INCENDI

L’espressione inglese “milling” (girovagare come un mulino) indica


proprio l’interazione sociale nelle prime fasi di allarme:

gli individui verificano e cercano una conferma con le altre persone


della gravità del messaggio o dell’ avvertimento che hanno
ricevuto;

solo quando la rete sociale conferma la validità dell’avviso, iniziano


ad eseguire azioni protettive.
L’evacuazione da un edificio
Fino a poco tempo fa una folla in fuga da uno spazio chiuso a
causa di un incendio veniva considerata come un liquido in uscita
da un contenitore, che sfruttava ugualmente tutte le aperture per
evadere. Quindi maggiore è il numero delle uscite più velocemente
il “contenitore” veniva vuotato.

Ma questo modello “idraulico” non rende conto della realtà: oltre


all’ingegneria, bisogna includere conoscenze che derivano dallo
studio dei comportamenti umani in psicologia e nelle scienze
sociali.

La folla non è un fluido ma è fatta di persone che pensano,


interagiscono, prendono decisioni, hanno preferenze di
movimento, cadono e ostacolano altri. Le persone possono avere
comportamenti gregari o individualistici nella ricerca di un’uscita.
Pensiamo ad una situazione familiare, come l’uscita
da una sala cinematografica o da un teatro, attraverso
le uscite di emergenza: anche in una situazione di
normalità, quindi senza la presenza di eventi critici,
il deflusso risulta notevolmente influenzato dalle differenze
nei comportamenti individuali e dalle modalità di interazione
tra le persone.

Immaginiamo ora la stessa situazione, durante


un’evacuazione di emergenza con lo stress emotivo, l’ansia
e la preoccupazione per la sopravvivenza personale.
In queste circostanze, le persone si muovono o tentano di
muoversi più velocemente del normale, iniziano a spingersi
e l’interazione diventa solo fisica, in tal modo il passaggio
per il collo di bottiglia diventa scoordinato e alle uscite si
formano strutture ad arco. Per tale ragione si può verificare
un effetto paradossale chiamato “faster is slower”
Più le persone si dirigono velocemente verso l’uscita, più procedono
lentamente perché si accalcano, si spingono, a volte perfino si
calpestano. In aggiunta, la fuga può essere maggiormente rallentata dalle
persone che cadono o che si feriscono (che diventano a tutti gli effetti
nuovi ostacoli).
La maggioranza delle persone tenderanno ad uscire
dalla porta in cui sono entrati. Questo è vero anche
quando le uscite di emergenza sono ben segnalate.
In una situazione di emergenza, le persone che sono
in un edificio non vogliono usare un’uscita che non
conoscono e hanno dubbi su dove li porterà.
Il comportamento individuale

Esistono negli esseri umani sostanzialmente tre reazioni alla paura:

La CATALESSI
Lo “SBIANCAMENTO”
L’ IPERATTIVITA’

La reazione alla paura, comportante solitamente una iperattività


dell'individuo, è una risposta inevitabile. Il ruolo dell’Addetto
all’Emergenza al momento dell'emergenza deve essere, quindi,
finalizzato ad "incanalare" questa iperattività, questa necessità di
fare "qualcosa" (che si registra, ad esempio, dopo un terremoto)
verso un obbiettivo non nocivo anzi utile in quel momento
Il comportamento individuale

Tutte le volte che la nostra mente ci rivela o ci informa che stiamo


per affrontare un dato compito, positivo o negativo (un esame, una
vacanza, una gara, un matrimonio…), il nostro organismo si attiva,
preparandoci ad affrontare al meglio la situazione (modifiche
psichiche e fisiologiche) e va in ansia.
- Davanti ad un evento ritenuto, reale o virtuale, minaccioso il nostro
organismo reagisce con la paura.
- Il panico è una reazione fisiologica improvvisa che può
accompagnare o meno l’esposizione ad un evento minaccioso
(paura). Si manifesta come una crisi di ansia acuta.
La spiegazione del termine “panico” ha subito diverse modificazioni nel corso degli
anni: se all’inizio del secolo scorso si pensava che le persone in situazioni di
emergenza perdessero la loro umanità e si trasformassero in animali in preda alla
paura, negli anni ‘50 fù proposto la concettualizzazione di panico come un
comportamento asociale: le persone non si trasformano in animali, bensì cercano di
soddisfare i propri bisogni, non prestando interesse a quelli delle altre persone.
Lo studio successivo dei fattori psicosociali sul
comportamento di evacuazione ha invece mostrato che le
manifestazioni di panico, intese come azioni irrazionali e
distruttive e non come ansia od agitazione, sono
relativamente rare.

Affinché si produca il fenomeno di panico è necessario


che si verifichino tutte queste condizioni:
Che differenza c’è tra
PAURA e PANICO??
Se la paura sottende una strategia difensiva per
l'uomo, il panico porta alla sua distruzione.

Il Panico è la degenerazione della Paura in


comportamenti che perdono la loro funzione di
preservare la persona e diventano addirittura causa
di ulteriore rischio per il soggetto e per coloro che lo
circondano
La paura che deriva dal sentirsi in pericolo è una
caratteristica presente in tutti e, nonostante venga
spesso vissuta come un'esperienza negativa, ha un
ruolo fondamentale per la stessa sopravvivenza.
Essa, infatti, è un riflesso indispensabile che
protegge la persona, predisponendo il suo
organismo alla reazione di fronte al pericolo.

Il panico, invece, non protegge la persona dal


pericolo, anzi induce spesso a comportamenti
controproducenti che impediscono ogni reazione di
difesa attiva e suscitando l'impulsi incontenibili come
la fuga senza meta, la sopraffazione dell'altro, ecc.
Il processo decisionale nell'uomo si fonda sulla sua
capacita di gestire al contempo queste sue due
competenze:

•RAZIONALITA’

•EMOTIVITA’
Gestione dell’emergenza

Scuola

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