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TESI 11 & 12

Considerazioni generali (11)


Larte musicale del Cinquecento, caratterizzata dallincontro e dalla fusione del sofisticato linguaggio polifonico nordico con la sonorit vocale propria della tradizione italiana, doveva rispondere alle esigenze di coloro che la eseguivano per diletto negli ambienti urbani, accademici e di corte, doveva aprire la via a nuove conoscenze ed esperienze nel campo della speculazione teorica e filosofica, doveva essere impiegata negli spettacoli scenico-teatrali, e doveva servire come mezzo efficace di propaganda dottrinale e di formazione intellettuale dellindividuo. Lo svolgimento del linguaggio musicale , in questo secolo, pi che mai orientato a trasmettere il messaggio poetico del testo, fatto questo che mette a dura prova le risorse creative del compositore. Alla musica, nel suo inscindibile legame con la parola, veniva riconosciuto il potere espressivo e suasivo di muovere gli affetti dellanimo, e la si riteneva pertanto elemento insostituibile per un armonioso sviluppo della persona nonch esperienza artistica indispensabile per la completezza etica e sociale delluomo di rango.

Principali teorici (11)


La teoria musicale del Rinascimento fu profondamente ricettiva nei confronti della riscoperta del pensiero classico greco: le riflessioni e le speculazioni sul rapporto parola-musica, sul valore etico e sul potere della musica di suscitare le passioni umane, sui vari sistemi acustici e i tre diversi tipi di tetracordo proposti da teorici greci occuparono un posto di rilievo in gran parte dei trattati musicali dellepoca. Nicola Vicentino, convinto che la musica comunemente eseguita dagli antichi Greci fosse in realt una mescolanza dei tre generi (diatonico, cromatico ed enarmonico) del tetracordo, sollecit i compositori a liberare la musica dalle strettezze diatoniche del sistema modale e cre uno strumento a tastiera (larchicembalo) che rendeva possibile lesecuzione di composizioni contenenti numerosi semitoni e successioni di microtoni. Gioseffo Zarlino mise in relazione la realt musicale del suo tempo con la tradizione teorica del passato attraverso uno studio approfondito.

La musica della Riforma: il Corale (11 & 12)


Il protestantesimo nacque con il rifiuto da parte di Martin Lutero di riconoscere il primato papale e lautorit della Chiesa, ribellandosi contro labuso delle indulgenze, lavidit del clero e il culto dei santi. La rottura con la Chiesa di Roma port alla ricerca di un nuovo ordinamento del servizio liturgico: Lutero tradusse i testi religiosi e liturgici dalla lingua latina e si dedic ad approntare un repertorio di canti religiosi, la maggior parte erano rielaborazioni di melodie gregoriane o profane preesistenti, ma con i testi riscritti in lingua nazionale per conformarsi alle convinzioni protestanti (tali canti sono denominati corali). Lutero, che possedeva unesperta conoscenza della musica e suonava il liuto e il flauto, era profondamente convinto che la musica avesse grandi possibilit di toccare gli umani affetti ed elevare le menti, fosse di primaria importanza per leducazione e la fede, e rappresentasse quindi un potente mezzo di edificazione spirituale. Lutero attribu pertanto allo studio della musica un ruolo importante nelle scuole riformate tedesche. Il canto dei corali a pi voci, in un primo momento, era condotto con semplicit estrema, in stile essenzialmente omofonico e omoritmico, per consentire alla comunit dei fedeli una diretta partecipazione al culto; in un secondo momento, lesecuzione cominci ad essere affidata anche a cori di cantori professionisti, che utilizzarono le risorse del contrappunto.

La musica della Controriforma (11 & 12)


La diffusione delle idee della Riforma aveva messo in serio pericolo non solo lunit e lautorit della Chiesa, ma aveva anche reso consapevoli gli ambienti ecclesiastici del bisogno di trovare quel senso di interiorit, di trascendenza e di rigore che si riteneva fosse smarrito. Si doveva eliminare quindi la penetrazione di elementi mondani nel servizio liturgico, quale, ad esempio, limpiego di temi e dei modelli profani, sia vocali che strumentali. La parola di Dio doveva essere posta al centro dellazione

liturgica e pertanto la sua intelligibilit non doveva venire oscurata dagli artifizi contrappuntistici e dalluso contemporaneo di pi testi. Le prescrizioni della Controriforma trovarono comunque scarsa applicazione pratica sul piano propriamente stilistico musicale: si continuarono ad impiegare i linguaggi contrappuntistici elaborati e ad utilizzare le melodie e i modelli profani.

Giovanni Pierluigi da Palestrina e la scuola polifonica romana (11 & 12)


Palestrina occupa una posizione centrale nella cornice della storia della polifonia sacra del secondo Cinquecento, non solo per la sua eccezionale fecondit creativa ma anche per linflusso rilevante che la sua musica esercit, in quanto compimento dei nuovi ideali religiosi e spirituali postconciliari, sulla cerchia dei musicisti attivi a Roma in quellepoca. Per la levigatezza della trama polifonica e il grande equilibrio dei mezzi formali usati, la musica di Palestrina divenne poi, nei secoli successivi fino ai giorni nostri, il modello esemplare e classico della scrittura contrappuntistica, e il punto di riferimento obbligato nellinsegnamento della composizione. Il corpus musicale palestriniano fu scritto prevalentemente a Roma e per Roma soltanto, ad uso principalmente liturgico. Larte contrappuntistica di Palestrina, che non si scosta molto dalla maniera tradizionale dei maestri francofiamminghi, si sviluppa soprattutto in direzione dellintelligibilit delle parole e di una sonorit ordinata in maniera da evitare lenunciazione simultanea di testi diversi. Molto variegati sono i procedimenti compositivi che Palestrina adotta nella rielaborazione dei modelli preesistenti, il pi frequente il seguente: il materiale preesistente viene citato inizialmente senza modificazione e poi trasformato e parafrasato via via, scostandosi sempre pi dal modello originario. Palestrina, inoltre, sfrutta a volte la pienezza sonora della policoralit e della declamazione omofonica, anche se la scrittura in stile imitativo rimane preminente. Per lalta qualit artistica della sua produzione interamente posta al servizio della liturgia, spicca fra tutti lo spagnolo Toms Luis de Victoria, il quale da giovane si form alla scuola di Palestrina a Roma. Victoria aveva espresso la convinzione che la musica non fosse invenzione delluomo, ma rappresentasse piuttosto uneredit dello spirito divino. Lintento del compositore spagnolo nello scrivere le sue opere di subordinare ogni raffinatezza contrappuntistica alla resa del senso spirituale del testo: per mettere in evidenza vocaboli o frasi particolari del testo, ad esempio, interrompe il flusso polifonico imitativo con passi in stile omofonico o con ripetizioni di note.

La scuola veneziana (11 & 12)


Mentre i compositori della scuola romana mettevano al servizio dellespressione del testo sacro le risorse del contrappunto ordinato e dello stile vocale a cappella intenzionalmente omogeneo ed equilibrato, i maestri che operavano a Venezia ponevano invece al centro del loro interesse la coltivazione di uno stile musicale discontinuo e composito, fondato in prevalenza sul contrasto dei colori timbrici e sonori (vocali e strumentali) ottenuto mediante la tecnica denominata policoralit, cio lo sfruttamento sonoro di raggruppamenti corali diversi ed equivalenti. Per i maestri veneziani i registri e i timbri diversi delle voci e degli strumenti costituiscono gli elementi essenziali che determinano i contrasti sonori: bisognava mettere bene in evidenza le qualit limpide e penetranti delle voci alte (i soprani e i contralti eseguiti dalle voci bianche dei fanciulli) contro i toni cupi e densi delle voci basse (tenori e bassi). Inoltre, gli strumenti di registro acuto, quali il violino e lorgano, duplicavano le voci alte, mentre il suono dolce dei cornetti gravi (strumenti aerofoni di legno) e quello denso dei tromboni sostenevano le voci basse. A. Willaert inaugur la ricca produzione di musiche policorali della seconda met del Cinquecento, ma ad Andrea Gabrieli va il merito di aver arricchito la policoralit di una maggiore variet di effetti sonori, rispetto al carattere antifonico (episodi alternati tra coro e coro) mantenuto da Willaert. Giovanni Gabrieli, nipote di Andrea, introdusse nei suoi lavori policorali nuovi elementi di sonorit e di colore timbrico, sfruttando le pi felici combinazioni che offrono i cori e gli strumenti: fu, inoltre, il primo compositore a specificare limpiego di determinati strumenti e uno dei primi ad adoperare indicazioni di dinamica, fatto questo che sta a dimostrare il ruolo essenziale da lui conferito alle tinte sonore.

La frottola (12)

Il termine frottola viene usato in senso generico dai musicologi per designare un tipo di composizione, perlopi strofica, che fu coltivato e praticato pressoch unicamente nelle corti del nord dItalia. La frottola caratterizzata da uno stile poetico-musicale semplice, fortemente sillabico e declamatorio, e da una struttura costituita da una ripresa di quattro versi e da pi strofe solitamente di sei o otto versi. I testi poetici sono di carattere amoroso-patetico oppure umoristico. Tipici prodotti della civilt musicale fiorentina sono i canti carnascialeschi, canti strofici caratterizzati dallestrema semplicit della condotta polifonica a tre o a quattro voci, che procedono in genere per accordi e omoritmicamente. Nellarea veneto-friulana era diffusa la villotta polifonica per quattro voci, caratterizzata da una semplice trama contrappuntistica: questo canto era volto alla danza ed costituito da una strofa di quattro versi e da un ritornello che viene ripetuto alla fine di ogni strofa.

Il madrigale (12)
Il madrigale, un componimento poetico libero non strofico, nacque tra il 1520 e il 1530 in ambienti che non avevano coltivato il genere della frottola, tra cui Firenze e Roma. Dopo il 1530 si cominci a riconoscere la necessit di dare veste musicale anche ai componimenti poetici non strofici, tra cui il madrigale. A questo punto si viene a delineare un nuovo e pi stretto rapporto tra poesia e musica che offre possibilit illimitate allinvenzione musicale, non pi vincolata dalle strutture strofiche e sciolta da ogni obbligo di simmetria. Lintenzione del compositore madrigalista di imitare singole parole o concetti insiti nel testo poetico, facendo ricorso ai pi svariati procedimenti melodici o armonici o ritmici o contrappuntistici: il pianto, ad esempio, viene imitato musicalmente con un ritmo disteso di note a valori lunghi, serie di ritardi e registri vocali gravi; il canto sereno e spensierato, invece, con un movimento ritmico rapido e incalzante, melismi, assenza di scontri dissonanti tra le voci, registri vocali acuti. Molto usati sono gli artifizi tecnici dei cosiddetti madrigalismi, ossia rappresentazioni pittoriche di singole parole mediante la musica: un rapido melisma, ad esempio, per le parole vento o aria, un registro vocale acuto o grave per le parole cielo o terra, note pi lunghe o pi brevi per rappresentare frasi poetiche indicanti un rallentamento o unaccelerazione, passi cromatici per raffigurare sentimenti o esclamazioni di angoscia e di dolore. I madrigali venivano composti in funzione di particolari avvenimenti celebrativi o di intrattenimento; venivano inoltre utilizzati nel contesto di recite teatrali con intermedi; a volte, i madrigali venivano scritti su commissione delle accademie artistiche letterarie. A partire dal 1540 circa si andarono diffondendo i madrigali caratterizzati da ritmi rapidi denominati a misura di breve, la cui misura corrisponde allattuale . Ad un altro filone appartengono quei madrigali intitolati ariosi, caratterizzati da uno stile decisamente declamatorio, fondamentalmente accordale, con ritmi flessibili, in cui i moti contrappuntistici non interferiscono con laria (melodia) della parte superiore. Un forte senso accordale caratterizza tipicamente il filone di musiche, dapprima a tre e poi a quattro voci, scritte su testi in dialetto, su ritmi vivaci e irregolari, in stile declamatorio denominate prima canzoni villanesche alla napolitana, poi villanelle e infine canzonette, che presentano tratti tipici della tradizione colta cittadina, combinati con elementi di piglio popolaresco. Tra i maggiori madrigalisti cinquecenteschi ricordiamo Carlo Gesualdo da Venosa, nelle cui composizioni dominano le emozioni e le tinte forti e travolgenti, che egli esprime mediante luso di arditezze e stravaganze armoniche, ritmiche e melodiche, Andrea Gabrieli, che adotta uno stile madrigalistico fondamentalmente semplice e conservatore, e Luca Marenzio, le cui opere seguono alla lettera le regole madrigalistiche e, quindi, sono caratterizzate da imitazioni a coppie, da madrigalismi, da uno stile accordale e sillabico e da un uso parsimonioso ma efficace di cromatismi. A fine secolo si composero numerosi madrigali riuniti in cicli pi o meno unitari che sviluppano una serie di stati danimo o una coerente vicenda drammatica articolata in pi episodi e che vanno sotto il nome di madrigali drammatici o di commedie madrigalesche.

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