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HENRI BERGSON

C’è un rifiuto del positivismo e un rifiuto nel credere che la scienza possa spiegare tutto sull’uomo,
ma c’è anche un tentativo di spiegare il dualismo dell’uomo, in quanto Bergson riprende un
concetto già molto presente in Cartesio che è quello della doppia natura dell’uomo. Secondo lui,
nell’uomo esistono due nature, una spirituale e una materiale, e come queste due possano
convivere è oggetto di studio per Bergson.
IL TEMPO
Guardando a come opera la scienza e a come agisce l’uomo, Bergson nota una differenza nella
variabile del tempo, in quanto la scienza tende ad analizzare il tempo in maniera matematica e
quantitava, cioè quando la scienza studia il tempo lo “spazializza”, lo trasforma quasi in una forma
di spazio perché lo vuole misurare. Ma questo è un atteggiamento che non può essere usato per
studiare l’uomo perché il tempo per l’uomo è diverso dal tempo per la scienza. Pensiamo alla
durata intanto: quanto dura un minuto? Un minuto per la scienza dura sessanta secondi che sono
tutti uguali l’un l’altro, con intervalli uniformi, ma per noi uomini un minuto non è diviso in
sessanta secondi sempre uguali e soprattutto un minuto non è uguale all’altro. Se io passo un
minuto facendo una cosa che mi piace passerà in un attimo, se invece passo un minuto sotto
un’interrogazione in cui non so la risposta alla domanda diventa infinito. L’uomo scandisce il
tempo non in base a quanto dura realmente ma in base a come lo vive. Questo perché il tempo
misurato nella nostra vita è diverso da quello misurato dalla scienza, in quanto noi non usiamo
quel metro di spazializzazione proprio della scienza. Per noi il tempo dura in maniera diversa a
seconda dell’importanza, dei sentimenti e di come il nostro spirito reagisce a quelle esperienze.
Quindi, non solo durano di più o di meno, ma non hanno nemmeno la stessa importanza, mentre
per la scienza ogni minuto è uguale a se stesso. Questi due tipi di tempo si chiamano: durata
(tempo della vita, delle nostre esperienze quotidiane e che non è misurabile, è una durata
interiore) e tempo spazializzato (tempo della scienza, molto metodico e matematico). Già qui,
dunque, c’è un dualismo tra lo spirito che percepisce il tempo in un certo modo e la materia che
percepisce il tempo in tutt’altro modo.
DIFERENZE TRA IL TEMPO DELLA VITA E IL TEMPO DELLA SCIENZA
La prima differenza risiede nel fatto che il tempo della vita è misurabile qualitativamente mentre
quello della scienza è misurabile quantitativamente. Qualitativamente significa che dipende dalla
qualità del tempo che vivo: un tempo che vivo bene per me vale di più dello stesso tempo speso
però male, non conta, dunque, quanto è lungo il tempo in termini di durata in minuti o ore, ma
quanto vale il tempo. Quantitativamente, invece, perché misuro proprio la quantità di tempo con
cronometri, orologi etc.
La seconda differenza risiede nel fatto che il tempo della scienza è sempre ripetibile (un minuto è
sempre uguale a qualsiasi altro minuto) e quindi è sempre reversibile, ovvero replicabile alla stessa
maniera. Il tempo della vita, invece, è irreversibile perché non si può tornare indietro e fare la
stessa cosa, i momenti passati nella vita non tornano più: puoi tentare di rivivere esperienze
passate, ma non saranno mai uguali, qualcosa di diverso ci sarà di sicuro. E questo è anche un po' il
bello della vita perché un momento bello lo puoi rivivere solo nel ricordo mentre nella vita
concreta viviamo qualcosa di sempre nuovo.
La terza differenza risiede nelle parti distinte e il tutto compenetrato. Quando io guardo il
cronometro o l’orologio, c’è una divisione settoriale e uniforme. Quindi, il tempo della scienza è
formato da parti distinte e separate tra loro ma pur sempre uniformi. Per spiegare meglio questo
concetto, Bergson dice che il tempo della scienza è come una collana di perle in cui ci sono tante
perle tutte uguali una a fianco all’altra, però separate e distinte tra loro: lo stesso è il tempo della
scienza fatto di tanti momenti che si susseguono l’un l’altro, ognuno grande tanto quanto l’altro.
La vita, però, non è così. I momenti che si susseguono nella coscienza non sono perle separate, ma
sono molto più spesso dei grovigli. Egli dice che il tempo della vita è piuttosto un gomitolo che è
tutto ingarbugliato e che tende a creare dei nodi incredibili. Bergson fa questo paragone perché i
nostri momenti non sono distinti, ma si compenetrano: ogni momento che stai per vivere è
l’ultimo capo di un gomitolo di cose intrecciate tra loro, i tempi della vita si accavallano, poiché noi
viviamo cose nuove ma riviviamo contemporaneamente anche cose vecchie, che ci influenzano.
Per cui, il tempo della vita è molto più complesso di quello della scienza, e addirittura per Bergson
il tempo della scienza è un modo semplicistico di guardare al tempo. Come altro esempio, Bergson
paragona il tempo della vita ad una valanga che prima inizia a scendere pian pianino e poi inizia a
crescere diventando sempre più grande per l’accumulo della neve sulla neve.
CONSEGUENZE DI QUESTE DIFFERENZE
Innanzitutto, il tempo della scienza tende quindi a parcellizzare tutto quello che analizza e
l’atteggiamento così spazializzante della scienza tende a dividere in parti e quindi a pensare che
quello che dobbiamo conoscere sia sempre la somma di piccole parti. Nella vita, invece, io tendo
non solo a guardare le parti, ma anche a cogliere il tutto. Qui, Bergson fa l’esempio delle sinfonie:
se io ascolto una sintonia in ottica scientifica guardando al tempo spazializzato, io tenderei a
dividere la musica in tante piccole parti e andrei ad analizzare tutte le singole note, mentre col
tempo della vita cogli la sintonia nella sua interezza, nel suo tutto, perché mi faccio prendere
dall’insieme delle parti. Ed ecco che il tempo della durata diviene superiore a quello della scienza
che invece non riesce a cogliere il tutto, magari coglie bene le parti, ma le manca questo sguardo
d’insieme.
Inoltre, noi non possiamo mai sbarazzarci del nostro passato, secondo Bergson. Certo, ci possono
essere cose che non vogliamo ricordare come ad esempio degli errori che abbiamo fatto, però
anche quando chiudiamo con quella parte di passato, quelle cose ci condizionano comunque
perché ci hanno atto diventare quello che siamo. Quindi, tutte le volte che dovremo vivere,
scegliere, agire, quel rifiuto ci influenzerà. Magari è un filo nascosto all’interno del gomitolo, ma
c’è e il gomitolo è grosso anche perché ci sono dei fili dentro nascosti che però ci sono e lo fanno
essere grosso così. Pertanto, noi siamo sempre da un lato conservazione (ci portiamo dietro tutto
ciò che siamo stati), ma dall’altro siamo creazione (possiamo sempre prendere nuove strade, il
passato non ci obbliga a non fare determinate scelte, c’è comunque libertà). In generale, dunque,
noi possiamo decidere come agire, anche se abbiamo un passato che ci condiziona e che possiamo
rifiutare e voltare pagina.
E’, inoltre, evidente che per Bergson il tempo ha natura essenzialmente psicologica e qui c’è un
forte richiamo ad Agostino. Il tempo come successione di passato, presente e futuro è solo
qualcosa che esiste nella coscienza: la scienza misura il tempo, ma vive solo il tempo presente in
realtà, perché poi l’istante che ho vissuto non c’è più fisicamente, esiste solo all’interno di me,
nella mia coscienza. Il futuro, invece, è l’attesa di qualcosa che forse arriverà e anche questa esiste
nella coscienza, nella realtà scientifica non esiste.
LE CAUSE E LA LIBERTA’
È importante il concetto che lui presenta della libertà della coscienza. Noi siamo liberi, siamo sia
conservazione sia creazione, siamo liberi di scegliere. Il positivismo aveva fatto credere che l’uomo
potesse essere studiato in ogni suo comportamento come un oggetto di scienza e che quindi
potesse essere prevedibile. Secondo Bergson il comportamento umano non è per niente
prevedibile, perché siamo liberi. È vero che ci portiamo dietro tutta la nostra storia, tutta la nostra
memoria, però siamo liberi e per dimostrarlo fa un ragionamento. Smettiamo di pensare come fa
la scienza che ci sia sempre una causa e un effetto, illudendoci di poter trovare una causa a
quell’effetto in maniera così semplice, ma in realtà non c’è, poiché il modo in cui noi agiamo è
l’effetto non di un’unica causa, ma di milioni di cause. Dunque, noi siamo condizionati da tutto ciò
che siamo e quindi solo da noi stessi, quindi vuol dire che siamo liberi, termine che significa
proprio che non siamo condizionati da nient’altro se non da noi stessi.
MENTE E CERVELLO
Detto ciò, Bergson si pone in contrapposizione anche a due dottrine filosofiche di stampo
positivistico molto in voga all’epoca che cercavano di dare un grande peso al cervello. Ma la
domanda è: il pensiero è riconducibile solo all’organo o è qualcosa di più dell’organo che pensa?
La mente coincide col cervello o no? Le correnti cui faceva riferimento erano il parallelismo
psicologico che proprio vedeva una coincidenza sostanziale tra mente e cervello, il cervello è
materia che pensa. Poi esisteva l’epifenomenismo che riteneva che la coscienza fosse una funzione
del cervello, cioè la mente era una capacità del cervello. Bergson è contrario ad entrambe: intanto
perché secondo lui la mente è qualcosa di spirituale, per cui non coincide col cervello che è una
parte materiale che interagisce con la mente ma non è la mente, e poi la mente è più ampia del
cervello. Per spiegare ciò, introduce la distinzione tra memoria e ricordo. Noi quando viviamo
registriamo ciò che viviamo, imprimiamo nella nostra memoria ciò che viviamo, anche se non ci
rendiamo conto. Questa memoria è spirituale, fa parte della mente. Il ricordo, invece, è la
materializzazione che il cervello fa della memoria. Cioè, quando richiamo alla mente qualcosa che
ho vissuto, il cervello interagisce con la mente e riesce a estrapolare dalla mente, che è
immateriale, un ricordo che diventa materiale. Se ragioniamo, infatti, io non posso ricordarmi
quello che ho fatto in un certo momento venti anni fa, perché il cervello non riesce a
materializzarlo, ma quell’evento rimane pur sempre sepolto nella mia memoria, nella mia
coscienza, anche se non lo ricordo. Per questo, lo spirito è molto più grande del cervello, contiene
molte più cose. Questo ci porta ad un paradosso, poiché Bergson arriverà a dire che la nostra
memoria è più oblio che ricordo, cioè è più fatta di fatti che non ci ricordiamo che non di fatti che
ci ricordiamo, nonostante poi i primi ci influenzino comunque fortemente.
LO SLANCIO VITALE
Nell’ ”Evoluzione creatrice”, Bergson confronta uomo e natura, memore di ciò che era stato
precedentemente sostenuto da Darwin, che cinquant’anni prima aveva mostrato la propria teoria
dell’evoluzionismo e la lotta della specie etc. Bergson parte da qui: è vero che ogni uomo è libero
di scegliere quale strada perseguire e quindi ogni volta che sceglie, intraprende una strada e
cancella tutte le altre possibilità, che diventeranno possibilità non realizzate. Secondo Bergson,
queste possibilità rimangono nella mia memoria, perché se anche solo un attimo ho pensato a
quella possibilità, allora dentro di me mi rimane quell’idea che avrei potuto fare qualcos’altro.
Dunque, nel corso della nostra vita, durante le nostre scelte, noi scegliamo una sola via evolutiva.
E tutto ciò riguarda l’uomo. La natura, invece, si comporta in maniera diversa, perché non è
obbligata a intraprendere una sola strada, bensì quando si tratta di evolvere, può perseguire più
strade: Bergson parla di un fascio di steli che partono da una base comune. Eppure, pur essendo
così ramificata, noi tendiamo a guardare alla natura come qualcosa di unitario. Noi notiamo più
l’unità che la deformità, perché secondo Bergson esiste un’energia primigenia che rende la natura
qualcosa di unitario, in fondo tutte le ramificazioni della natura non sono altro che slanci che
emergono da un tutto unitario. Questo slancio viene chiamato slancio vitale, cosa che spinge a
evolversi ed è qualcosa che non possiamo definire tramite la ragione. È simile a quello che
Schopenhauer chiamava volontà di vivere, che Spinoza chiamava conatus, è una pulsione che
spinge ad esistere e a modificarsi, a continuare ad esistere e ad evolvere. Questo discorso Bergson
lo usa per criticare Darwin come anche la visione dei finalisti poiché fino a quel momento si era
guardato alla natura come un terreno di scontro tra due concezioni filosofiche classiche
importanti: finalisti e meccanicisti. I finalisti dicevano che nella natura c’è un progetto che ha uno
scopo; quindi, per loro la natura si evolve per compiacere lo scopo, per seguire la legge che Dio ha
dato al mondo. I meccanicisti dicevano invece che nella natura non c’è nessuno scopo,
semplicemente le cose avvengono per risposta a delle leggi meccaniche (per Darwin una legge
meccanica può essere considerata la selezione naturale). Bergson non è d’accordo con nessuno
dei due perché ritiene che non ci sia per forza un fine chiaro nel mondo, in quanto c’è un’energia
che spinge e che non si sa che scopo abbia, ma non si può neppure dire che quest’energia sia
puramente meccanica perché è di qualcosa di più, ci deve essere ancora qualcosa di inspegabile in
questa energia, in questo slancio vitale che va oltre alla meccanica. Qui Bergson ci porta l’esempio
dell’occhio umano: esso è un meccanismo talmente complicato che non possiamo credere essere
frutto solo della meccanica, ci deve essere qualcosa di più. Lo slancio vitale allo stesso modo è
difficile da spiegare in termini razionali e si pone a metà strada da meccanicismo e finalismo, e per
spiegare ciò si avvale di un’altra metafora: l’esempio della mano nella limatura di ferro,
Immaginate di immergere una mano in una vasca piena di limatura di ferro e ovviamente la mano
finisce per spostare la limatura di ferro, la quale se ne dispone attorno prendendone la forma ed
occupando tutti gli spazi. Ma ora immaginiamo che questa mano sia invisibile, quindi noi
vedremmo che questa limatura di ferro in certi punti è disposta normalmente mentre in altri
assume una determinata sagoma. Il che ad una persona che viene dall’esterno e che non sa che c’è
una mano invisibile sembra strano. Davanti ad una situazione del genero cosa direbbero finalisti e
meccanicisti? I finalisti direbbero che la limatura di ferro in quella zona si è riposta in quel modo
perché evidentemente c’è un progetto divino con un fine ultimo. I meccanicisti direbbero che
probabilmente quella strana forma è dovuta alle leggi fisiche o chimiche che si vengono a creare
tra i vari grani della limatura, ci deve essere una forza di repulsione da qualche parte che agisce. In
realtà avrebbero torto sia gli uni che gli altri. Noi che sappiamo che c’era una mano invisibile
potremmo dire che non è né l’uno né l’altro la causa di tale sagoma, bensì è una mano invisibile
che Bergson chiamerebbe “slancio vitale”.
Questo slancio vitale, però, incontra anche la resistenza della materia che è materia bruta che
rallenta lo slancio. C’è come una sorta di lotta tra una materia che frena e uno slancio che spinge,
anche se chiaramente l’energia dello slancio è maggiore e quindi riesce a superare la materia.

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