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IT, trent’anni dopo

Il romanzo di Stephen King è stato di


recente riproposto al pubblico in una
nuova edizione, in concomitanza anche
con l’uscita dell’omonimo film girato da
Andréas Muschietti (che a dieci giorni
dall’uscita ha già battuto diversi record ai
botteghini). Una prima osservazione è
d’obbligo. Che sia per una trovata
commerciale o per altro, l’horror dello
statunitense ritorna in libreria
esattamente trent’anni dopo la prima
pubblicazione: gli stessi anni, cioè, che nel
romanzo King fa correre tra
un’apparizione del clown Pennywise e
l’altra. La serialità, oggigiorno, non è di
certo una novità; ma questa ciclicità che
sovrappone il piano letterale a quello della
realtà è stata sicuramente un escamotage
d’effetto, coinvolgente e perché no, anche
un po’ inquietante.
Rimane il fatto che IT continua ad
affascinare e spaventare, scongiurando il
rischio, sovraccaricato da anni di film e
serie tv, di annoiare. Le ragioni di questo
successo sono numerose. Non ultima una
prospettiva politica del testo (le paure dei
bambini personificate di volta in volta da
IT possono essere visti come i grandi mali
dell’America: l’integrazione, il razzismo, il femminismo, il sistema sanitario, l’accesso alla cultura
ecc.; peraltro la vicenda di IT è spalmata in due tempi, proprio come due sono stati i mandati di
Reagan…). È comunque difficile esaurire in poche righe la complessa rete tematica e narrativa che
si dirama nelle 1300 pagine di IT. La storia è ormai nota: la cittadina di Derry è presa di mira da un
clown assassino che ogni trent’anni rispunta fuori dalle fogne per quietare la sua fame di sangue.
La vicenda di Pennywise si intreccia con quella di un gruppo di giovani adolescenti nel biennio
’57-‘58, scampati ognuno a suo modo dalle grinfie del mostro. Proprio il Club dei Perdenti,
capeggiato da Bill e dalla sua sete di vendetta verso il clown che ha ucciso il fratellino, cercherà in
tutti i modi di sconfiggere Pennywise: anche quando, trent’anni dopo, ormai uomini e donne in
carriera con famiglie al seguito, il mostro tornerà a perseguitare la loro vecchia Derry.
Ma IT non è solo un capolavoro di narrativa. La struttura è solidissima, il linguaggio semplice (ricco
di similitudini molto efficaci), i colpi di scena si sprecano; l’uso dell’ellissi temporale è solo in
apparenza abusato: se nei primi capitoli infatti può lasciare perplessi, scoraggiando la lettura, King
dimostra un maestro nel riportare tutte le cose al loro posto, con una spettacolarità da far venire
la pelle d’oca. Ma IT è questo e altro ancora: il testo ripercorre quasi un secolo di storia americana,
i suoi problemi, le sue paure. Dal razzismo violento dei primi del Novecento fino all’omofobia degli
anni Ottanta, dal femminismo al boom dei grandi romanzi di fantascienza. Insomma, c’è tanto in
questo IT. Paure e complessi di giovani ragazzi, tanto cari alla narrativa di King (basti pensare, per
dirne uno, a Stand by me), che poi si trasformano in paure e complessi di adulti borghesi e ben
inseriti nella società.
Il fatto è che un romanzo del genere deve tornare ciclicamente. Penso ai miei genitori e alla loro
generazione. Quando uscì il libro avevano grossomodo tra i quindici e i vent’anni (più o meno
coetanei dei protagonisti); ho chiesto loro che effetto fa sentirsi parte, trent’anni più tardi, di
quello che a tutti gli effetti sembra essere uno scherzo metanarrativo. Su una cosa hanno
concordato.
«Le paure sono rimaste sempre le stesse; è solo che hanno cambiato forma».

Gabriele Orsi

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