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N ARRATIVA
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OVECENTO
—6—
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LUCIANO CURRERI
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LE FARFALLE DI MADRID
L’ANTIMONIO, I NARRATORI ITALIANI
E LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA
BULZONI EDITORE
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ISBN 978-88-7870-223-3
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INDICE
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Tra Madrid e Guernica. Aggiornamenti sulla narrativa ita-
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315 Postfazione
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«GIRAVAMO INTORNO A MADRID COME DI
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1
Claude Ambroise, Il libro nel libro, in La Sicilia, il suo cuore. Omaggio a Leo-
nardo Sciascia (1992), II ed. a cura di Maria Lucia Ferruzza, Palermo – Racalmu-
to, Fondazione L. Sciascia – Fondazione G. Whitaker, 1998, [pp. 39-45], p. 40.
2
E, oltre a ribadire l’importanza e il ruolo dell’autore, al di là delle sue varie,
inevitabili morti, ci sembra che il forte suggerimento di Ambroise sia da misurare
in relazione a quella « ondata narratologica degli anni settanta» che in modo para-
dossale ha contribuito, secondo Carlo Alberto Madrignani, « a smaterializzare
l’oggetto-romanzo sottraendolo alle dinamiche del contesto», ovvero anche a ren-
dere in parte la narrativa un’entità astratta (astorica, afilosofica, apolitica), senza
una vera collocazione nel passato e nel presente, contesti lunghi di una ricezione
dialettica, di una storia della critica che, quando non è stata più storia (storia del
passato e del presente insieme) ma solo critica (e soprattutto teoria critica), è en-
trata sempre più in crisi. Cfr. l’intervista a Carlo Alberto Madrignani di Mariolina
Bertini e Lidia De Federicis pubblicata su «L’Indice», 9, 2005, p. 13.
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Ma se « l’io narrante non va esclusivamente identificato con
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3
C. Ambroise Il libro nel libro cit.
4
Lionello Sozzi, Vivere nel presente. Un aspetto della visione del tempo nella
cultura occidentale, Bologna, il Mulino, 2004, p. 12.
5
Leonardo Sciascia, L’antimonio, in Gli zii di Sicilia, Torino, Einaudi,
«Coralli»,1960, II ed., ché la prima, senza L’antimonio, appare nei «Gettoni»,
nel 1958; nel 2005 Einaudi l’ha ristampata in una «Edizione fuori commercio
riservata ai clienti dell’organizzazione rateale». Noi citiamo dall’ottava edizione
dei «Nuovi Coralli» del 1980 (la prima è del 1972), pp. 204 e 216. Cfr. Le Edi-
zioni Einaudi negli anni 1933-2003, Torino, Einaudi, «Piccola Biblioteca Ei-
naudi», 2003, p. 730.
6
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 227.
7
L. Sciascia, Il Gattopardo (1959), in Pirandello e la Sicilia, Caltanissetta,
Salvatore Sciascia Editore, 1961 e 1968, ora in Opere 1984.1989, a cura di
Claude Ambroise, Milano, Bompiani, «Classici», 1991; ma si cita dall’edizione
dei «Classici» in brossura, 2002, [pp. 1160-1169], p. 1161: «La Sicilia del Gat-
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E ciò, si badi, non significa sposare il criterio del « romanzo
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[...] senza retroterra e perfino senza terra (in nome del rifiuto
idealistico di parlare di racconto siciliano, sardo, toscano o di
altri contesti)», con cui giustamente polemizza Madrignani di
recente 8. Del resto e non a caso, con parole dello stesso studio-
so, possiamo allontanare la Sicilia sciasciana da « colorito loca-
le» e « scetticismi lungimiranti» 9 e distanziare, nello specifico,
L’antimonio dal cronologicamente vicino Il gattopardo (1958)
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
In tal senso, anzi, L’antimonio, del 1960, sembra quasi di-
ventare la romanzesca risposta di Sciascia al Gattopardo, dopo
quella critica del 1959 10, e prima de Il consiglio d’Egitto (1963),
l’« antigattopardo» per Giancarlo Vigorelli, come è noto 11. Di
più. Forse come esperimento di « romanzo storico» – ovvero,
secondo lo stesso Sciascia, come « opera [...] in cui gli accadi-
menti rappresentati sono parte di una “realtà storicizzata”, cioè
conosciuta e situata, nel suo valore e nelle sue determinazioni,
in rapporto al presente» 12 – L’antimonio sembra pure diventare
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la versione sciasciana di C’è stata la guerra (1945), che apre la
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strumento che permetterà l’inveramento dei valori di un uma-
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Ornella Pompeo Faracovi, Filosofia e politica, in Merleau-Ponty. Esisten-
za, Filosofia, Politica, a cura di Giovanni Invitto, Napoli, Guida, 1982, [pp.
173-197], pp. 176-177 e 175.
16
M. Merleau-Ponty, C’è stata la guerra cit., p. 175.
17
Cfr. Paul Ricœur, Préface (1983) all’edizione francese di Hannah
Arendt, Condition de l’homme moderne, Paris, Calmann-Lévy, 1961 e 1983, poi
Paris, Presses Pocket, «Agora», 1988, [pp. 5-32], pp. 14 e 12. Alcune piste di
lettura di Ricœur relative ai fertilissimi anni Cinquanta vengono confermate
dalla pubblicazione di H. Arendt, Denktagebuch (1950-1973), München, Piper
Verlag GmbH, 2002, di cui è recente l’edizione francese, Journal de pensée
(1950-1973), Paris, Seuil, 2005, volume I, pp. 45-512, e volume II, pp. 667-
803; questo diario di lavoro ci aiuta a capire meglio l’articolazione tra Le origini
del totalitarismo – con le bozze corrette nel 1951, alle origini del journal – e La
condizione dell’uomo moderno (1958), tra il lato critico e quello costruttivo
dell’opera arendtiana, specie in relazione al tema della politica, alla sua possibi-
lità, alla sua umanità e alla sua fragilità, alla responsabilità e alla salvaguardia di
un mondo comune, plurale.
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mutilato, ma uno scenario della soggettività che anche come dato
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M. Merleau-Ponty, C’è stata la guerra cit., p. 175.
19
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 230.
20
L. Sciascia, Ore di Spagna. Introduzione di Natale Tedesco, Fotografie
di Ferdinando Scianna, Marina di Patti, Pungitopo, 1988, poi Milano, Bom-
piani, 2000, p. 29.
21
Carlo Sini, Etica della scrittura, Milano, Il Saggiatore, 1992, p. 215, ci-
tato in Pier Aldo Rovatti, Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio, Mila-
no, Feltrinelli, 1994, pp. 31-33.
22
Ivi, p. 31. Ma cfr. ancora C. A. Madrignani, L’ultimo Cassola. Letteratu-
ra e pacifismo cit., p. XV: «I filosofi non accettano lezioni dai fatti. Le Idee han-
no una loro spontanea superiorità che aspetta di essere « inverata» nelle vicende
del basso mondo. Solo gli uomini comuni, quelli tanto amati da Cassola [e an-
che da Sciascia, per Madrignani, che non casualmente lo colloca, ripetiamolo,
fra i « buoni maestri» che costituiscono l’orizzonte letterario e civile di Cassola;
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Io sono andato in Spagna che sapevo appena leggere e scrivere
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[...] e son tornato che mi pare di poter leggere le cose più ardue
che un uomo può pensare e scrivere. E so perché il fascismo non
muore, e tutte le cose che nella sua morte dovrebbero morire son
sicuro di conoscere, e quel che in me e in tutti gli altri uomini do-
vrebbe morire perché per sempre il fascismo muoia 23.
ivi, pp. 85-105], che non attingono all’altezza del Pensiero Assoluto, credono
che dall’esperienza possa nascere qualche forma di sapere e lumi per la prassi».
23
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 204.
24
Michael Walzer, La politica solitaria di Michel Foucault, in L’intellettuale
militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento (1988). Introduzione
di Saverio Vertone, Bologna, il Mulino, 1991, [pp. 245-267], p. 260.
25
E non si tratta nemmeno del « fascismo eterno» di cui parla a più riprese,
dal 1995 ad oggi, Umberto Eco, talora con (più o meno) esplicita lettura di un
ventennio all’acqua di rosa e soprattutto con « interpretazione a-storica e trans-po-
litica», giustamente rilevata da Alessandro Campi in un intervento del 1996.
L’anno successivo, invece, per Antonio Tabucchi il saggio di Eco è « davvero con-
siderevole», ché « le etichette cambiano, la sostanza resta». Cfr. Umberto Eco,
Totalitarismo « fuzzy» e Ur-Fascismo, «La Rivista dei Libri», 7-8, 1995, e con tito-
lo Il fascismo eterno in Cinque scritti morali, Milano, Bompiani, 1997, pp. 25-48,
breve raccolta i cui temi sono in parte ripresi nel più imponente (e più politico) A
passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Milano, Bompiani, 2006.
Per l’« interpretazione a-storica e trans-politica» di Eco cfr. Alessandro Campi,
Che cos’è Alleanza nazionale, «Trasgressioni», 21, 1996, e ora in Il nero e il grigio.
Fascismo, destra e dintorni, Roma, Ideazione Editrice, 2004, pp. 455-499; in par-
ticolare pp. 461 e 491. Su questa raccolta d’articoli, spesso « acuta», che ci per-
mette di seguire la parabola del fascismo, dalla sua fondazione alla Repubblica so-
ciale italiana di Salò e fino ad Alleanza Nazionale, cfr. il giudizio positivo di Bru-
no Bongiovanni, Un’associazione a delinquere. Il fascismo tra parentesi e totalitari-
smo, «L’Indice», 3, 2005, p. 7. Si scorra infine Antonio Tabucchi, La gastrite de
Platon, Paris, Mille et une nuits, 1997 e La gastrite di Platone, Palermo, Sellerio,
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Per Sciascia, far transitare per la Spagna e la guerra civile
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1998, p. 58, pamphlet dove un altro intervento dello stesso Eco è il punto di par-
tenza polemico dell’autore di Sostiene Pereira (1994), particolare romanzo di for-
mazione di un eroe intellettuale âgé, su cui cfr. il terzo capitolo di questo volume.
26
Enrico Testa, Lo stile semplice. Discorso e romanzo, Torino, Einaudi,
1997, p. 274.
27
Antonio Di Grado, Sciascia, il cinema e (fra l’altro) l’Europa: (bianco e)
nero su nero, in « Quale in lui stesso alfine l’eternità lo muta». Per Sciascia, dieci
anni dopo, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore e Fondazione L. Scia-
scia, 1999, [pp. 65-74], p. 68. E cfr. Alfonso Berardinelli, L’esteta e il politico.
Sulla nuova piccola borghesia, Torino, Einaudi, 1986, e L’eroe che pensa. Disav-
venture dell’impegno, Torino, Einaudi, 1997.
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questa esigenza è sostenuta da uno sforzo baciato per più versi
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P. A. Rovatti, Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio cit., pp. 23
e 24.
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Né li consegna « all’intolleranza più tremenda», come vorrebbe in fin dei
conti Eco, a cui piace identificare tale intolleranza in « quella dei poveri, che sono
le prime vittime della differenza», e affidarla a scritti che si vogliono « morali» e
che sembrano invece rispondere – nei generici e non condivisi assiomi – a quel
diffuso « engagement alla rovescia» in virtù del quale – secondo l’Adriano Sofri
raccolto dal Tabucchi della citata Gastrite di Platone – « alcuni intellettuali nostri
coevi impegnano strenuamente la propria firma per prendersela coi poveri, i de-
boli, i malvisti». Dice Eco: «Non c’è razzismo tra i ricchi. I ricchi hanno prodot-
to, se mai, le dottrine del razzismo; ma i poveri ne producono la pratica, ben più
pericolosa». Certo, se sfumiamo l’uso di due categorie così generiche e, più sot-
tilmente, ne facciamo una questione d’istruzione o ancora di disagio sociale
complessivo, come pare fare Eco in altri interventi (A toutes fins utiles, in Jean-
Claude Carrière, Jean Delumeau, Umberto Eco, Stephen Jay Gould, Entretiens
sur la fin des temps, réalisés par Catherine David, Frédéric Lenoir et Jean-Philip-
pe de Tonnac, Paris, Fayard, 1998, pp. 235-295, in particolare pp. 262-264), al-
lora le coordinate di Eco possono in parte tornare utili; non tanto, comunque,
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Stare discosto da se stesso e stare discosti da noi stessi, nel
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per il milite mutilato ma per i vecchi e il segretario del fascio, che quali estremi
della comunità paesana oscillano fra ignoranza e propaganda verso la fine de
L’antimonio. Si scorra Umberto Eco, Le migrazioni, la tolleranza e l’intollerabile,
in Cinque scritti morali cit., pp. 93-113; in particolare p. 106. Poi, per le pagine
di Sofri, due lettere a Antonio Tabucchi pubblicate su «L’Espresso» il 16-10-
1997 e il 29-1-1998, cfr. A. Tabucchi, La gastrite di Platone cit., [pp. 63-72, 72-
76], p. 63 e anche p. 71: « Questa Italia, che non sa immaginare di chiedere per-
dono, ma sa esigerlo all’infinito e ritualmente dai battuti e dai deboli [...]». Ne-
gli stessi anni, l’ultimo Bobbio – così vicino al primo, quello raccolto in Politica
e cultura, Torino, Einaudi, 1955 e 2005, Nuova Edizione, con Introduzione di
Franco Sbarberi, oltre che nei saggi (1953-1992) de Il dubbio e la scelta. Intellet-
tuali e potere nella società contemporanea, Roma, Carocci, 1993 – scriveva nelle
pagine iniziali dell’Autobiografia, a cura di Alberto Papuzzi, Roma-Bari, Laterza,
1997 e 1999, p. 9: «Siamo stati educati a considerare tutti gli uomini uguali, e a
pensare che non c’è differenza fra chi è colto e chi non è colto, chi è ricco e chi
non è ricco. Ho ricordato questa educazione a uno stile di vita democratico in
una pagina di Destra e sinistra, in cui confesso di essere sempre stato a disagio di
fronte allo spettacolo delle differenze, tra ricchi e poveri, tra chi sta in alto e chi
sta in basso nella scala sociale, mentre il populismo fascista mirava a irrigimenta-
re gli italiani in una organizzazione sociale che cristallizzasse le disuguaglianze».
Cfr. Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione po-
litica, Roma, Donzelli, 1994 e soprattutto la seconda edizione del 1995, richia-
mata in nota, con rinvio a p. 129.
30
L. Sciascia, Il Gattopardo cit., p. 1169.
31
Cfr. ancora M. Bertone, Tomasi di Lampedusa cit., pp. 99-100.
32
Cfr. il paragrafo 2 di questo capitolo.
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Il grande privilegio di questo scrittore che ci ha condannati a
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comprenderlo è che lui non è mai restato fuori, a tenere i fili, co-
me un burattinaio, dei suoi personaggi. Anche quando palese-
mente si tratta di una finzione, come nel caso dello zolfataro
dell’Antimonio, di una finzione intellettualistica, di un personag-
gio cui Sciascia assegnava gusto, sensibilità e pensieri che non po-
tevano competergli, anche in questo caso il nostro scrittore viene
subito allo scoperto, assume su di sé la responsabilità di ciò che
l’ombra o l’eidolon di uno zolfataro poteva dire 33.
33
Paolo Manganaro, Sciascia e la Spagna, in Omaggio a Leonardo Sciascia,
Atti del Convegno Internazionale di Studi, Agrigento 6-8 aprile 1990, a cura di
Zino Pecoraro ed Enzo Scrivano, Agrigento, 1991, [pp.191-197], pp. 192-193.
34
P. A. Rovatti, Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio cit., pp. 22,
12, 18.
21
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miranti» 35. Una prova in tal senso è già l’epigrafe de L’antimonio
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And the Cardinal dying and Sicily over the ears – Trouble enou-
gh without new lands to be conquered... We signed on and we
sailed by the first tide... 36
35
C. A. Madrignani, Cassola e altri « buoni maestri» cit., pp. 96 e 97.
36
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 165.
37
P. Manganaro, Sciascia e la Spagna cit., p. 193.
38
Al problema dell’idillio nei Promessi Sposi ha dato « sistemazione decisi-
va» Ezio Raimondi, Il romanzo senza idillio. Saggio sui «Promessi sposi», Torino,
22
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Forse proprio come lettore di Manzoni, forse come scritto-
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Einaudi, 1974. Ma cfr. Guido Baldi, «I promessi sposi»: progetto di società e mito,
Milano, Mursia, 1985, pp. 10-12, 121-133, 185-196.
39
Yosef Hayim Yerushalmi, Riflessioni sull’oblio, in Yosef Hayim Yerushal-
mi, Nicole Loraux, Hans Mommsen, Jean-Claude Milner, Gianni Vattimo, Usi
dell’oblio (1988), Parma, Pratiche, 1990, [pp. 9-26], p. 21.
40
L. Sciascia, Il Gattopardo cit., pp. 1163, 1169 e 1162.
41
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 228.
42
Ivi, p. 230.
23
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halbwachsiana – e in una fenomenologia della memoria – hus-
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43
P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, Seuil, 2000, pp. 3-4 e
112-163. Sulla « grande proposta» di Ricœur che intorno a questo libro gravita,
in relazione alla problematica storica, cfr. Giuseppe Ricuperati, Apologia di un
mestiere difficile. Problemi, insegnamenti e responsabilità della storia, Roma-Bari,
Laterza, 2005, pp. 143-160.
44
M. Merleau-Ponty, C’è stata la guerra cit., p. 169. E cfr. Victor Brom-
bert, The Intellectual Hero. Studies in the french novel (1880-1955), Chicago,
University of Chicago Press, 1960.
45
Sull’« allégorie platonicienne de la caverne», sulla quale torneremo a più
riprese, e sull’esilio perpetuo che deriva dall’« avoir affaire à des ombres, notre
lot selon Platon» cfr. ora il suggestivo iter letterario, pittorico e cinematografico
di Max Milner, L’envers du visible. Essai sur l’ombre, Paris, Seuil, 2005, pp. 11-
19, 391-411 e 431-437.
24
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tanti, dagli amici ai familiari, dai vecchi al segretario del fascio.
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Alla critica, in tal senso, è conferita pure, come è noto, una certa
autorità. Ma non è l’autorità a caratterizzare veramente l’eroe, che
non risulta « ingrandito» (anzi appare « ridotto») e non ha « posi-
zione di autorità» (e sembra incarnare, quasi in senso arendtiano,
la scomparsa sofferta dell’autorità, assenza dell’epoca moderna
che i sostenitori del totalitarismo sono stati abili a sfruttare) 46.
A questo stadio, però, il personaggio sciasciano si avvicina
piuttosto al « tipo camusiano di ribelle» 47, che non siede su uno
scranno di giudice come tanti filosofi – magari « nostalgici» (e
non è il caso della Arendt) – e si schiera invece dalla parte dei « va-
lori medi» e della « comune esistenza della storia e dell’uomo, del-
la vita quotidiana illuminata nel miglior modo possibile, dell’osti-
nata lotta contro la degradazione di se stessi e degli altri» 48. Anche
46
Maurizio Bettini, Alle soglie dell’autorità, in Bruce Lincoln, L’autorità.
Costruzione e corrosione (1994), Torino, Einaudi, 2000, [pp. VII-XXXIV], pp.
XXVI-XXIX, XX e XXXI. Del volume di Lincoln si veda poi, ai nostri fini, l’in-
teressante Appendice dedicata a Gli intellettuali e la guerra fredda. Alcune discus-
sioni sull’autorità negli anni Cinquanta e in particolare al famoso intervento
What was Authority? di Hannah Arendt – poi What is Authority? in Between Pa-
st and Future: Six Exercises in Political Thought (1961) – a un convegno del
1956 sull’autorità, « che si tenne dopo la caduta di McCarthy e i primi passi di
Chrus]c]ëv verso la destalinizzazione»; ivi, [pp. 132-148, 185-190], p. 144. Cfr.
H. Arendt, Tra passato e futuro, Milano, Garzanti, 1991.
47
M. Walzer, La guerra d’Algeria d’Albert Camus, in L’intellettuale militan-
te. Critica sociale e impegno politico nel Novecento cit., [pp. 177-196], p. 193.
48
Ivi, pp. 185 e 192, che cita Albert Camus, L’artista e il suo tempo, « con-
ferenza tenuta in Italia in varie sedi tra il 26 e il 30 novembre 1955; un estratto
di questa conferenza è stato pubblicato sulla rivista «Il Ponte», XI, 1 (gennaio
1955), pp. 55-59»; ivi, p. 195. Ma cfr. anche l’« anomala» e omonima intervista
che risale al 1953 e che è stata tradotta e raccolta di recente nella prima sezione,
La passione della rivolta, di A. Camus, La rivolta libertaria. Prefazione di Goffre-
do Fofi, a cura di Alessandro Bresolin, Milano, Elèuthera, 1998, pp. 73-76 (pre-
sentazione del curatore a p. 31). In questa direzione e in relazione a Sciascia, si
veda poi C. Ambroise, Sciascia e la rivolta, nel ricco volume, La responsabilità
dell’intellettuale in Europa all’epoca di Leonardo Sciascia – Die Verantwortung des
Intellektuellen in Europa im Zeitalter Leonardo Sciascias, Atti del Convegno,
Pommersfelden 6-10 ottobre 1999, a cura di Titus Heydenreich, Erlangen,
25
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in Sciascia – come in Albert Camus, cui lo avvicina pure « la pro-
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sa [...] a volte troppo elevata, troppo “nobile” per cogliere dei va-
lori medi» – « prima viene la lotta contro la propria degradazione
e poi, per estensione, contro “quella degli altri” [...] l’onore co-
mincia con la lealtà verso se stessi, non con l’impegno ideologi-
co» 49 (la cui non priorità, che non è una « non scelta», non si tra-
duce comunque e necessariamente in un’assenza).
Un passo, che riporteremo più ampiamente fra poco, se-
gna, a due pagine dalla fine del racconto, questa postura intel-
lettuale del ribelle e dell’eroe:
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[...] ma quando uno torna da una guerra come quella di Spagna,
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con la certezza che la sua casa brucerà dello stesso fuoco, non gli
riesce fare della sua esperienza ricordo e riprendere il sonno delle
abitudini; vuole anzi che gli altri stiano svegli, che anche gli altri
sappiano. 50
50
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 228.
51
Cfr. ancora L. Sozzi, Vivere nel presente. Un aspetto della visione del tem-
po nella cultura occidentale cit., p. 12.
52
M. Walzer, La guerra d’Algeria d’Albert Camus cit., p. 195. Ma cfr. qui
la nota 48.
53
Ivi, pp. 195-96.
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vità critica scaturisce da un rapporto più stretto di quanto l’opi-
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54
Ivi, p. 193.
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la mano che io avevo perduto, il paese nostro pesava con la mia
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55
L. Sciascia, L’antimonio cit., pp. 224-225 e 228.
56
Ivi, p. 230.
57
In nota, almeno, si dovrebbe completare la citazione tagliata per più ra-
gioni nel testo. Si tratta di « una volontà di capire fatta di ritorni in ognuno dei
quali si compie una spoliazione successiva». In prospettiva, in Sciascia, tale spo-
liazione pare oscillare fra il tentativo di uscire dall’esilio e la delusione bruciante
di rientravi, per sempre, un po’ come avviene in George Orwell, per il quale
rinvio a quanto si dirà più avanti nel testo. Ci si riferisce a Ignazio Silone, Ritor-
no a Fontamara, «Comunità», 2, 1949, pp. 50-55; poi La pena del ritorno,
«Tempo presente», maggio 1964, pp. 1-6, e «Il Resto del Carlino», 23 maggio
1964. Ma cfr. a proposito Luce D’Eramo, L’opera d’Ignazio Silone. Saggio critico
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Certo, si potrebbe poi aggiungere, con il più volte citato
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dall’altro non può farne un vero ricordo per tutti – la « quête
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60
P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli cit., p. 97; ma cfr. almeno pp.
97-104.
61
Jacques Derrida, Chaque fois unique, la fin du monde, Textes présentés
par Pascale-Anne Brault et Michael Naas, Paris, Galilée, 2003, p. 9 (trad. it.
Ogni volta unica, la fine del mondo, Milano, Jaca Book, 2005). Ma l’edizione ori-
ginale, senza, tuttavia, l’Avant-propos da cui si cita (pp. 9-11), è quella america-
na: The Work of Mourning, Chicago, Chicago University Press, 2001. La rifles-
sione di Jacques Derrida muove poi da più lontano, almeno da Politiques de
l’amitié, Paris, Galilée, 1994, e da Spectres de Marx, Paris, Galilée, 1993, dove
suggerisce significativamente che bisogna imparare a vivere «avec des fantômes
ou des spectres» per fare « une politique de la mémoire, de l’héritage et des géné-
rations». Cfr. ancora Chaque fois unique, la fin du monde cit., pp. 15-16, 40-41 e
259-289 (è il saggio dedicato a Lyotard et “nous“, già apparso in Jean-François
Lyotard. L’Exercice du différend, a cura di Dolorès Lyotard, Jean-Claude Milner,
Gérald Sfez, Paris, PUF, 2001, pp. 161-196). Ci sia infine concesso rinviare a
Luciano Curreri, «Dans le leurre du seuil». I «Tombeaux» di Macrí e la ‘soglia’ del-
la poesia, in Per Oreste Macrí, Atti della giornata di studio, Firenze 9 dicembre
1994, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 1996, [pp. 189-213], pp. 210-213.
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mémoire» (filtrato piuttosto dall’eredità del « per chi suona la
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Tzvetan Todorov, Les abus de la mémoire, Paris, Arléa, 1995, pp. 13-14
e cfr. ancora P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli cit., pp. 108 e 104.
63
A. Sofri, Prima lettera. Ottobre 1997, in A. Tabucchi, La gastrite di Pla-
tone cit., [pp. 63-72], pp. 65-66.
64
Cfr. Y. H. Yerushalmi, Riflessioni sull’oblio cit., pp. 9, 12-13, 24, e P.
Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli cit., pp. 105-111, 536-589 e 656.
65
A. Di Grado, Sciascia, il cinema e (fra l’altro) l’Europa: (bianco e) nero su
nero cit., p. 70. Ma ritorneremo ancora su diritto e giustizia, specie nel para-
grafo 5, citando e discutendo anche Porte aperte (1987).
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memoria e dell’oblio (legato, connesso alla religione e/o al so-
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66
M. Walzer, L’intellettuale militante. Critica sociale e impegno politico nel
Novecento cit., p. 25.
67
Ivi, p. 193.
68
P. A. Rovatti, Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio cit., pp. 36-
37 e 40.
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Queste osservazioni rovattiane, ancora tratte da Abitare la
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A. Berardinelli, L’eroe che pensa. Disavventure dell’impegno cit., p. 5: «Ma
la parola impegno è a sua volta desueta o retorica: uno di quei termini di cui fan-
no uso e abuso solo i politici. E le parole di cui abusano i politici sono svuotate
di senso. Parole che neppure un giornalista userebbe più senza virgolette».
70
Tabucchi, tuttavia, pare poi servirsene soprattutto da scudo (più o me-
no ironico) contro il « termine “impegnato” [...] assolutamente inopportuno»
per la « sua associazione con l’idea comunista» che in Italia – più che in Francia
e altrove – lo consegna al « disgusto immediato». Cfr. ancora A. Tabucchi, La
gastrite di Platone cit., pp. 36-39 e 51-52.
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prenda partito; al contrario, avendo deciso secondo il pensiero
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71
Cfr. Maurice Blanchot, Les intellectuels en question. Ébauche d’une ré-
flexion, Paris, Farrago (Fourbis), 1996, e A. Tabucchi, La gastrite di Platone cit.,
pp. 38-39. Ma cfr. M. Blanchot, Les intellectuels en question, «Le Débat», 29,
1984, pp. 3-28 e le giuste riserve di T. Todorov, Face à l’extrême, Paris, Seuil,
1991 e Nouvelle édition, «Points-Essais», 1994, pp. 124-125.
72
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 227.
73
C. Ambroise, Il libro nel libro cit., p. 39.
74
Ivi, p. 41.
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tore dell’ultimo Merleau-Ponty e di quel testamento che è
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75
P. A. Rovatti, Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio cit., pp. 57
e 66.
76
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 228.
77
Roger Caillois, Guerre et fête, in L’homme et le sacré (1939), Édition aug-
mentée de trois appendices sur le sexe, le jeu, la guerre dans leurs rapports avec le
sacré, Paris, Gallimard, 1950, e ivi, «Folio – essais», 1993, [pp. 222-228], pp.
224-225, particolarmente dedicate a Temps de l’excès, de la violence, de l’outrage.
Ma cfr. anche le pagine finali, su Le retour au chaos e Paroxysmes de la société (Con-
vulsions parallèles, Epiphanie du sacré, De la fête à la guerre), di un volume – la cui
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nare i compaesani nel mistero di un’infanzia che non si scioglie
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nella storia, non cade nel linguaggio e nella parola, mentre l’eroe
sembra riaccedere all’« infanzia come patria trascendentale della
storia», « esperire» 78, in forma sempre più originaria e, in un cer-
to senso, collettiva; ovvero non per saldare i conti con un passato
individuale, chiuso, confitto in una guerra o in una zolfara.
Leggiamo dunque il passo per esteso:
seconda e ultima parte risale al 1951 – dello stesso Caillois, Bellone ou la pente de
la guerre, Bruxelles, La Renaissance du Livre, 1963, pp. 195-208, 209-223.
78
Penso, adattandolo, a Giorgio Agamben, Infanzia e storia. Distruzione
dell’esperienza e origine della storia, Torino, Einaudi, «Nuovo Politecnico»,
1978 e, Nuova edizione accresciuta, «Piccola Biblioteca Einaudi», 2001, p. 51:
«Esperire significa necessariamente, in questo senso, riaccedere all’infanzia co-
me patria trascendentale della storia. Il mistero, che l’infanzia ha istituito per
l’uomo, può infatti essere sciolto solo nella storia, così come l’esperienza, come
infanzia e patria dell’uomo, è qualcosa da cui egli è sempre già in atto di cadere
nel linguaggio e nella parola».
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sua esperienza ricordo e riprendere il sonno delle abitudini; vuole
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anzi che gli altri stiano svegli, che anche gli altri sappiano.
Ma gli altri volevano dormire. Così povero, e nella povertà vile,
era il mio paese, che con invidia tutti mi dicevano – ti sei fatto i
soldi, puoi campare tranquillo ora – anche i ricchi me lo diceva-
no. Se non avessi perduto una mano, sarei tornato alla zolfara; era
Spagna anche la zolfara [...] 79.
79
L. Sciascia, L’antimonio cit., pp. 227-228.
80
L. Sciascia, Ore di Spagna cit., p. 29.
81
Mario Maffi, Vagabondaggio ed esilio: George Orwell e la guerra di Spa-
gna, in George Orwell, Omaggio alla Catalogna (1938), Milano, Mondadori,
« Oscar», 1993, [pp. 253-259], p. 258.
82
Lo ricorda, per esempio, in Nero su nero (1979), per cui cfr. L. Sciascia,
Opere. 1971.1983, Milano, Bompiani, «Classici», 1989 e 2001, p. 831, dove si
sofferma tuttavia, in seno a un turbato apprezzamento, su un romanzo di
Green degli anni Settanta, The Human Factor (1978).
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Il libro è del 1938. Orwell lo scrisse di ritorno dalla guerra di Spa-
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83
L. Sciascia, Prefazione a Agatha Christie, L’assassinio di Roger Ackroyd
(1926), Milano, Mondadori, « Oscar – Gialli», 1992, [pp. V-VIII], pp. V-VI.
84
Citato in A. Di Grado, Sciascia, il cinema e (fra l’altro) l’Europa: (bianco
e) nero su nero cit., p. 72.
85
Natalia Ginzburg, Silenzio, «Cultura e Realtà», 3-4, 1951, pp. 1-6, e N.
Bobbio, Politica culturale e politica della cultura, «Rivista di filosofia», 1, 1952,
pp. 61-74, poi in Politica e cultura cit., pp. 18-30; in particolare p. 26.
39
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inquieta » 86 pare raccogliersi e distendersi nell’« insonnia del
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86
Cfr. AA.VV., Ugo Facco de Lagarda 1896-1982: vocazione inquieta di
uno scrittore veneziano, Atti del Convegno, Venezia 7-8 novembre 1997, a cura
di Alessandro Scarsella, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 1999.
87
Ugo Facco de Lagarda, Il commissario Pepe, Venezia, Neri Pozza, 1965,
pp. 11, 14, 37, 44, 77, 99 e 101, dove lo stesso commissario, « uomo abituato
all’insonnia», si arrende e dorme « bene».
88
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 230
89
Ivi, p. 202.
40
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menti (« certezza che la sua casa brucerà dello stesso fuoco»), so-
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E non che non amasse la terra dov’era nato [...] Non tornandovi
da anni, al di là di quel che vi accadeva, la cercava nella memoria,
nel sentimento di qualcosa che non c’era più. Illusione, mistifica-
zione: da emigrante, da esule.
90
M. Maffi, Vagabondaggio ed esilio: George Orwell e la guerra di Spagna
cit., p. 258.
91
L. Sciascia, Il cavaliere e la morte. Sotie, Milano, Adelphi, 1988, p. 67.
92
Giuseppe Traina, La soluzione del cruciverba. Leonardo Sciascia fra espe-
rienza del dolore e resistenza al Potere, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia
Editore, 1994, pp. 130-131. Su La sesta giornata ritorneremo nel paragrafo 6.
93
L. Sciascia, Il cavaliere e la morte. Sotie cit., pp. 50-51; e p. 67: «Non lo
creda: sono già sbarcato su un’isola deserta».
41
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terra che ho conosciuto nella mia infanzia: le scarpate lungo la
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94
G. Orwell, Omaggio alla Catalogna cit., pp. 185-186.
95
Su questa periodizzazione, che oscilla fra scelte letterarie, giornalistiche
e politiche, offre note preziose un recente intervento di G. Traina, «Con l’emo-
zione dell’azzardo». Appunti su Sciascia polemista, in La parola ‘quotidiana’. Iti-
nerari di confine tra letteratura e giornalismo, Atti del Convegno, Catania 6-8
maggio 2002, a cura di Fernando Gioviale, Firenze, Olschki, 2004, pp. 71-88.
96
Christian Sorrentino, L’Espagne et sa violence au cœur de «L’Antimonio»
de Sciascia, in Violence politique et écriture de l’élucidation dans le bassin méditer-
ranéen. Leonardo Sciascia et Manuel Vázquez Montalbán, «Tigre/Novecento», a
cura di Claude Ambroise e Georges Tyras, Numéro Hors-Série, 2002, [pp. 59-
70], p. 68. Come abbiamo visto nel primo paragrafo, l’origine, certo più pro-
blematica, di queste osservazioni è il lavoro critico di Ambroise, che riconosce il
valore metanarrativo dell’Antimonio senza disconoscere l’importanza del plot e
dei suoi elementi portanti, e a partire proprio dalla Spagna e dalla Sicilia, come
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quanto tale e la riflessione sulla stessa siano un possibile punto
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avremo occasione di ribadire più avanti, con lo stesso Ambroise. Ma nella rivi-
sta sopra citata cfr. anche, nello stesso numero, Ricciarda Ricorda, Forme della
violenza nella scrittura del primo Sciascia, alle pp. 71-82.
97
E non solo « per via della sua associazione con l’idea comunista». Cfr.
ancora A. Tabucchi, La gastrite di Platone cit., p. 52.
43
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me Fortini (1917) e Pasolini (1922) e, « in misura già diversa»,
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98
Cfr. Romano Luperini, Postmodernità e postmodernismo. Breve bilancio
del secondo Novecento (1993), in Controtempo. Critica e letteratura fra moderno e
postmoderno: proposte, polemiche e bilanci di fine secolo, Napoli, Liguori, 1999,
[pp. 169-178], pp. 173-174; ma si scorra l’intero paragrafo, La scomparsa dello
scrittore-intellettuale, alle pp. 173-175, e su Eco, semiologo tra deriva e difesa, le
pp. 71-72, contenute in Una prolusione non accademica. Guerra del Golfo e ten-
denze della critica in Italia (1991), ivi, pp. 63-76. Sono anche gli anni di Zyg-
munt Bauman, La decadenza degli intellettuali (1987), Torino, Bollati Borin-
ghieri, 1992, pp. 130-147, per cui cfr. ancora A. Berardinelli, L’eroe che pensa cit.,
pp. XI-XII. Su Eco e l’opinion maker cfr. poi Lidia De Federicis, I letterati come
opinion maker, in Tirature 2003. Autori editori pubblico, a cura di Vittorio Spi-
nazzola, Milano, Il Saggiatore/Fondazione Mondadori, 2003, pp. 62-68. Mi sia
infine consentito rinviare a Luciano Curreri, Pensieri sulla critica della traduzione
e sulla sua ricezione, «Palazzo Sanvitale», 15-16, 2005, pp. 174-189, un saggio
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Ho l’impressione che la vicenda sia un po’ più complessa, sia
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che risale al 2002/2003 e che avrebbe dovuto essere pubblicato prima, magari
con qualche svista in meno, e essere seguito subito da un altro, più costruttivo.
99
In tal senso è anche da rivedere e sfumare l’invito che appare nel finale
del peraltro buon lavoro di Alberto Cadioli, L’industria del romanzo. L’editoria
letteraria in Italia dal 1945 agli anni Ottanta, Roma, Editori Riuniti, 1981, p.
171: «Anche la trasformazione del prodotto di Sciascia degli ultimi anni andreb-
be indagata a fondo: lo scrittore è ormai un personaggio, le sue polemiche nei
confronti del Partito comunista, prima, la sua elezione nelle liste del partito radi-
cale, poi, lo hanno sempre più messo al centro dell’interesse di un vasto pubbli-
co. Sciascia rilascia molte interviste, discute di tutto, si pone come intellettuale-
guida dell’opinione pubblica. Come scrittore rispetta il nuovo ruolo, e puntual-
mente, anno per anno, presenta un nuovo testo destinato al successo (La scom-
parsa di Majorana è del 1975, I pugnalatori del 1976, Candido del 1977, L’affai-
re Moro del 1978, Nero su Nero del 1979, Dalla parte degli infedeli del 1980)».
100
Su cui non casualmente si appuntano molti interventi del citato La re-
sponsabilità dell’intellettuale in Europa all’epoca di Leonardo Sciascia; e penso in
particolare ai saggi di Giulio Ferroni su Brancati, di Domenica Perrone su Vit-
torini e Sciascia, di Claude Ambroise su Sciascia e la rivolta, saggio qui già evo-
cato, di Felice Balletta su Sciascia e Böll, e di Gigliola De Donato su La coscien-
za divisa tra “sogno della vita” e “mondo della verità” nell’opera di Sciascia, rispet-
tivamente alle pp. 129-142, 149-163, 165-186, 189-201 e 213-232.
101
Massimo Onofri, Storia di Sciascia, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 34. E
notevole è, nella struttura del libro, l’idea, su cui ritorneremo nel testo,
dell’opera di Leonardo Sciascia come « autobiografia della nazione», secondo
45
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tatura che Pier Paolo Pasolini registra a caldo in un acuto inter-
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stion. Ébauche d’une réflexion (1984 e 1996), la cui lettura, al di
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104
A. Tabucchi, La gastrite di Platone cit., p. 11.
105
Ivi, p. 39; approdo che ricorda il monito di Sartre.
106
Cfr. La liberté par la connaissance. Pierre Bourdieu (1930-2002), a cu-
ra di Jacques Bouveresse e Daniel Roche, Paris, Odile Jacob, « Collège de
France », 2004.
47
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l’intellectuel» – « malgré le fait qu’il ait eu la volonté de se con-
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107
Bernard Lahire, L’Esprit sociologique, Paris, La Découverte, 2005, ma si
cita da un estratto apparso in anticipo su «Sciences Humaines», Numéro Hors-
Série dedicato a Pensées rebelles. Foucault Derrida Deleuze, 3, 2005, [pp. 46-49],
pp. 47-48. Lahire apre poi su Michel Foucault traducendo con « l’“intellectuel
universel” dans la terminologie foucaldienne» cui lo stesso oppone, come è no-
to, l’“intellectuel spécifique”: «[...] alors que Foucault développait et mettait en
pratique l’idée, plus modeste et sans doute aussi plus efficace, d’“intellectuel
spécifique”». Con José G. Merquior, Ritratto di un neo-anarchico, in Foucault
(1985), Roma-Bari, Laterza, 1988, [pp. 148-169, 181-182], pp. 148-157, e
M. Walzer La politica solitaria di Michel Foucault cit., nutro alcuni dubbi
sull’efficacia della démarche foucaldienne, specie sul problema della « distanza
critica», sulla quale mi sono già soffermato, anche in relazione a Sciascia.
108
Pierre Bourdieu, Esquisse pour une auto-analyse, Paris, Raisons d’agir,
2004, pp. 37-38; cfr. Questa non è un’autobiografia, Milano, Feltrinelli, 2005.
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darsi con le poche osservazioni sopra citate circa il valore meta-
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109
C. Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia cit., p. 95.
110
Natale Tedesco, «Avevo la Spagna nel cuore»: Sciascia, la Sicilia, la Spa-
gna, in Avevo la Spagna nel cuore, Atti del Convegno internazionale, Napoli 15-16
ottobre 1999, a cura di Natale Tedesco, Milano, La Vita Felice, 2001, [pp. 9-20],
pp. 9, 11, 13; negli stessi Atti cfr. gli interventi di Ricciarda Ricorda, L’andare per
Spagna di un siciliano: immagini di viaggio, pp. 191-207, e di Domenica Perrone,
Sciascia, Vittorini e la Spagna, pp. 243-257, che avremo occasione di richiamare.
E si veda anche Vicente González Martín, España en la obra de Leonardo Sciascia,
«Cuadernos de Filología Italiana», 7, 2000, [pp. 733-756], pp. 738-742.
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abbia: il Maremagnum di Jorge Guillén, con una dedica che si ri-
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111
L. Sciascia, Ore di Spagna cit., p. 29. Fra i libri citati, al di là di presenze
note, come Orwell e Malraux, di cui abbiamo detto e diremo, e di Bernanos (per
cui si veda il terzo capitolo di questo volume), è forse interessante notare che ve ne
sono alcuni che escono o riescono in Italia proprio negli anni de Gli zii di Sicilia e
de L’antimonio. Cfr., per esempio, Pietro Nenni, Spagna, a cura di Gioietta Dallò,
Milano-Roma, Edizioni Avanti !, 1958, con pagine inedite ed edite tutte collocabi-
li fra il 1936 e il 1942 (per cui si veda la Nota della curatrice alle pp. 5-6), e
Mikhail Kol’tsov, Diario della guerra di Spagna, Milano, Schwarz, 1961. Fra i libri
citati e riproposti, invece, in anni più vicini alle Ore di Spagna di Sciascia, cfr. al-
meno il noto e curioso caso di Constancia De La Mora, Gloriosa Spagna, con Pre-
sentazione di Luca Pavolini, «A Constancia de la Mora, hoy» di Rafael Alberti
(agosto 1975) e Introduzione di Vittorio Vidali, Roma, L’Unità-Editori Riuniti,
1975; testo più precisamente finito di stampare nell’ottobre del 1975, poco prima
della morte di Francisco Franco (20 novembre 1975) per un’Edizione fuori com-
mercio riservata agli abbonati de «L’Unità» per l’anno 1976, ovvero, come ricorda
la Presentazione, a p. 7, nel « quarantesimo anniversario di quella eroica e sfortuna-
ta lotta del popolo spagnolo contro il fascismo interno e internazionale, che fu il
prologo tragico della seconda guerra mondiale». Ma la prima edizione italiana di
questo volume – apparso negli Stati Uniti nel 1939 col titolo In Place of Splendor.
The autobiography of a Spanish woman – risale al 1951 (ivi, p. 13).
112
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 191. Ma per il lungo e leggendario asse-
dio alla capitale, tra bombardamenti, resistenza, evacuazioni della popolazione e
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del 1936, che introduce ormai a una « guerra costruita sui bom-
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tifascista della guerra civile, perché, osserva Gabriele Ranzato,
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114
Gabriele Ranzato, Sciascia e la guerra civile spagnola: tra verità storica e
verità letteraria, in Avevo la Spagna nel cuore cit., [pp. 209-219], p. 214.
115
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 212.
116
Cfr. l’incipit dell’intervento di G. Traina, L’eredità morale e letteraria di
Leonardo Sciascia, «Siculorum Gymnasium», 1, 2003, pp. 49-56.
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voglia; dall’altro Sciascia dà prova, nell’Antimonio, di un enga-
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Mi sia consentito rinviare a Luciano Curreri, La storia e la guerra nel
«Disertore» e in altri romanzi del 1961, in Una giornata per Giuseppe Dessí, Atti
di seminario, Firenze 11 novembre 2003, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni,
2005, pp. 65-82, e L. Curreri, Fra solitudine ed eccentricità: alcuni percorsi della
« marginalità» ne «La dura spina» di Renzo Rosso, in Letteratura e marginalità, a
cura di Ada Neiger, Trento, New Magazine, 1996, pp. 89-119.
118
Cfr. Charles Mauron, Dalle metafore ossessive al mito personale. Introdu-
zione alla psicocritica (1963), Milano, Il Saggiatore, 1966. Ma si pensi anche a
quanto detto verso la fine del paragrafo primo e a quanto si dirà nel quinto.
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torno al lume, più nascosta e per noi più significativa, come
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119
Enrico Testa, Lo stile semplice. Discorso e romanzo cit., [pp. 327-330],
p. 327, che rinvia poi a Vittorio Coletti, Storia dell’italiano letterario, Torino,
Einaudi, 1993, pp. 376-378.
120
Cfr. Enzo Paci, Avvertenza (1960) e Prefazione alla terza edizione ita-
liana (1968), in Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenolo-
gia trascendentale (1959), Milano, Il Saggiatore, 1961, 1969 e ora Milano, Net,
2002, [pp. 1-4 e 7-18], pp. 10, 12 e 15; è l’ultimo grande lavoro di Husserl, ne-
gli anni che vanno dal 1935 al 1937. Tra anni Trenta e Sessanta, in seno al no-
stro discorso e ai problemi sopra evocati, è poi difficile non pensare a Marcuse e
alla Prefazione (1964) a Cultura e società. Saggi di teoria critica 1933-1965, To-
rino, Einaudi, 1969, pp. XVII-XXV, scritta per gli interventi degli anni Trenta
(l’ultimo risale al 1938), dove si individua la frattura tra passato e presente in
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Tante persone studiano, fanno l’università [...] a queste persone io
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«Auschwitz» (p. XX) ma si evoca subito dopo la « guerra civile spagnola», sui
« campi di battaglia e di sterminio» della quale « si lottò per l’ultima volta per la
libertà, la solidarietà e l’umanità in senso rivoluzionario», e si precisa in nota:
«Per l’ultima volta in Europa. L’eredità storica di questa lotta va oggi trovata in
quei paesi che difendono la loro libertà in una lotta senza compromessi contro
le potenze neocoloniali» (p. XXI).
121
L. Sciascia, L’antimonio cit., pp. 203-204.
122
Ivi, p. 167.
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frequenti sbalzi temporali verso l’infanzia del protagonista e poi
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123
N. Tedesco, «Avevo la Spagna nel cuore»: Sciascia, la Sicilia, la Spagna
cit., p. 12; anche per la citazione seguente.
124
P. A. Rovatti, Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio cit., p. 22.
125
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 189.
126
Citato in C. Ambroise, Cronologia, in L. Sciascia, Opere 1956-1971,
Milano, Bompiani, «Classici» 1989 e 2001, p. LIX.
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sta un’esegesi, « per vizio di mestiere», dopo un dialogo tra Rosel-
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127
L. Sciascia, A ciascuno il suo, Torino, Einaudi, 1966 e «Nuovi Coralli»,
1973, p. 29.
128
Ivi, p. 84.
129
Al di là della precisa indicazione di Sciascia, da Delitto e castigo, su Do-
stoevskij – pur consapevoli della nota (ma tarda) preferenza sciasciana per Tol-
stoj – ritorneremo fra poco, a proposito dell’incendio che domina il passo delle
farfalle de L’antimonio, specie nelle sue battute finali, segnalando un’altra, possi-
bile ascendenza dostoevskiana nelle fiamme che pongono fine a La festa nella ter-
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co letterario che è Laurana – e che è anche Sciascia – rinvia a
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Ci pare adottare doppiamente tale registro il brano citato,
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132
O a Chiaro Davanzati, «Il parpaglion che fere a la lumera».
133
A. Di Grado, Sciascia, il cinema e (fra l’altro) l’Europa: (bianco e) nero
su nero cit., pp. 71-72.
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La Sicilia, il suo cuore (1952), qui già citato, e in particolare Ad
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134
N. Zago, Il primo e l’ultimo Sciascia cit., pp. 146-147. Ma cfr. C. Am-
broise, Invito alla lettura di Sciascia cit., p. 16, e le pagine sciasciane su La Zolfa-
ra (1963) incluse ne La corda pazza. Scrittori e cose della Sicilia (1970), in Ope-
re 1956-1971 cit., pp. 1096-1101.
135
Cfr. una lettera di Italo Calvino del 26 ottobre 1964 citata in N. Tede-
sco, «Avevo la Spagna nel cuore»: Sciascia, la Sicilia, la Spagna cit., p. 14, e da
noi ancora più avanti nel testo.
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re fra il 1952 – ma tenendo presente l’attenzione pasoliniana
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G. Traina, Leonardo Sciascia cit., p. 229. Cfr. diversi luoghi di Italo Calvi-
no, I libri degli altri. Lettere 1947-1981, a cura di Giovanni Tesio e con una Nota
di Carlo Fruttero, Torino, Einaudi, 1991, pp. 192, 216, 235, 239, 308, 490.
137
Cfr. il recente Giovanni Palumbo, «Le Prince Andréj» e il volo di Cosi-
mo: chiose sul finale del «Barone rampante», «Critica letteraria», 124, 2004,
[pp. 453-482], p. 454.
138
Cfr. Antonio Zollino, Su «Vecchi versi» di Montale. Fra il tempo degli
« Ossi» e i luoghi di «Alcyone», «Rassegna Lucchese», 2, 2000, [pp. 5-25], p. 15.
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Ma mentre sedevo sui gradini della chiesa di santo Isidoro, in
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L. Sciascia, L’antimonio cit., pp. 189-191.
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A questo passo, delimitato nel racconto da due spazi bianchi
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Il [le feu] est cuisine et apocalypse. Il est plaisir pour l’enfant [...]
il punit cependant de toute désobéissance quand on veut jouer de
trop près avec ses flammes 141.
140
André Malraux, Exercice de l’Apocalypse, in L’Espoir, Paris, Gallimard,
1937 e «Folio», 1972 e 1989, pp. 141-303.
141
Gaston Bachelard, La psychanalyse du feu, Paris, NRF, 1938 e Galli-
mard, «Folio-Essais» 1985 e 1995, pp. 23-24. Per il positivo rovesciarsi bache-
lardiano in seno alla tetralogia della materia cfr. L. Curreri, «Les images avant les
idées», «Franco-Italica», 13, 1998, pp. 177-218.
142
Cfr. ancora P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli cit., e Y. H. Yeru-
shalmi, Riflessioni sull’oblio cit..
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chi, dalle donne), e sentimenti di separazione, di paura, di peri-
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143
A. Di Grado, Il teatro della memoria (e della verità) di Leonardo Scia-
scia, «Siculorum Gymnasium», 1, 2003, pp. 57-62.
144
Così chiude la nota finale di L. Sciascia, Il teatro della memoria, Torino,
Einaudi, 1981, p. 77.
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della Sicilia, e della festa. Il tutto in seno a quella « continuità»
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145
Cfr. ancora la lettera di Italo Calvino citata in N. Tedesco, «Avevo la
Spagna nel cuore»: Sciascia, la Sicilia, la Spagna cit., p. 14.
146
Cfr. Julia Kristeva, Pouvoirs de l’horreur, Paris, Seuil, «Tel Quel», 1980
e «Points», 1983, pp. 25-27.
66
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certo piacere»: queste testuali parole me le disse un giorno Stepàn
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147
Fëdor Michailovic] Dostoevskij, I demoni, Novara, Istituto Geografico
De Agostini, 1983, volume II, [pp. 471-478], p. 474. Si tratta di un romanzo
la cui parabola – generata dalla cronaca e da una volontà di sottrarsi all’autorita-
ria guida del capo, intollerante terrorista – può metaforicamente riaffiorare nel
racconto di Sciascia. Tra l’altro I demoni, sia detto davvero tra parentesi e in se-
no a una curiosa coincidenza, prendono spunto da un fatto avvenuto a Mosca
nel 1869 di cui Dostoevskij viene a conoscenza a Dresda, futura città ferita, de-
stinata ad essere avvolta dalle fiamme; quella Dresda in tal senso evocata da un
altro scrittore visionario, della generazione di Sciascia, Kurt Vonnegut, che è del
1922, nella sua Slaughterhouse-Five del 1969. Per i terroristi russi dell’epoca di
Dostoevskij, poi, non si può non pensare a quel critico della cultura appena più
giovane che è Hans Magnus Enzensberger, che è del 1929, e al saggio scritto e
raccolto nei primi anni Sessanta in Politik und verbrechen (1964), dove ritorna
anche, e a più riprese, L’homme révolté di Albert Camus. Ho consultato la ver-
sione francese e a questa mi permetto di rinviare: Hans Magnus Enzensberger,
Les rêveurs de l’absolu, in Politique et crime, Paris, Gallimard, 1967, pp. 236-300
(e 328-329); da leggere in prospettiva la seconda parte del saggio, dedicata a Les
belles âmes de la Terreur, alle pp. 271-300.
148
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 166.
149
G. Traina, Leonardo Sciascia cit., p. 230.
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Questa ipersensibilità, come la paura che le è intimamente
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150
G. Bachelard, La psychanalyse du feu cit., p. 23.
151
G. Traina, Leonardo Sciascia cit., p. 227. Ma cfr. L. Sciascia, Com’era la
Spagna, «L’Ora», 20 agosto 1966, poi in Quaderno. Introduzione di Vincenzo
Consolo, Nota di Mario Farinella, Palermo, Nuova Editrice Meridionale,
1991, [pp. 168-170], p. 168: «Barcellona. Albergo Colon: nel trentesimo anni-
versario dell’« alzamiento». E appena arrivato, affacciandomi al balcone, mi
rendo conto che il Colon di cui parla André Malraux nelle prime pagine de La
speranza (stupende pagine, grandissimo libro: forse il più grande che sia stato
scritto in questi trent’anni) doveva essere situato in altro luogo di Barcellona.
Questa avenida de la Catedral, che pure è una piazza con alberi e colombi, non
può essere quella in cui il 19 luglio del 1936, giusto trent’anni fa, operai e im-
piegati in Barcellona si lanciarono vanamente, sanguinosamente, all’assalto
dell’albergo in cui militari e fascisti si erano asserragliati. Ho avuto il torto di
non portare con me il libro di Malraux; e non ho un preciso ricordo della de-
scrizione del luogo e dei fatti».
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guerra civile spagnola, lo ricorda dopo quelli di Orwell e Berna-
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Mio padre era morto nel ’26, io avevo sedici anni quando era
morto, il pensiero della sua vita, e di come era morto, non mi la-
sciava mai: ma avevo dimenticato che era stato socialista. Nel suo-
no dell’inno dei lavoratori vedevo mio padre che mi teneva per
mano [...] Era bella musica, ad un certo punto pareva squarciasse
pesanti nuvole, le parole dicevano – sulla libera bandiera brilla il
sol dell’avvenire – davvero aprivano speranza.
Ma il socialismo che cosa era ? Certo una buona bandiera, mio pa-
dre diceva – giustizia uguaglianza – ma [...]
Ma anche il socialismo doveva essere un po’ come la religione, un
calderone in cui bollono tante cose, e ognuno ci mette dentro un
152
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 179.
153
Ivi, pp. 174 e 179.
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osso per farne un brodo che gli piace. Per me era solo il ricordo di
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mio padre la sua fede il modo com’era morto, e io che avevo ri-
schiato di fare la sua stessa morte; e donna Maria Grazia che dice-
va di me – ha le idee storte di suo padre – e io invece non avevo
idee dritte o storte, solo un dolce ricordo di mio padre e la pena
di com’era morto; e una gran paura dell’antimonio; e un po’ di
speranza nella giustizia 154.
“Si dorme con le porte aperte”. Ma era, nel sonno, il sogno delle
porte aperte, cui corrispondevano nella realtà quotidiana, da sve-
gli, e specialmente per chi amava star sveglio e scrutare, e capire e
giudicare, tante porte chiuse 156.
154
Ivi, pp. 184-185.
155
L. Sciascia, Opere 1984.1989 cit., pp. 333 e 355.
156
Ivi, p. 344.
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ta nelle prime e nelle ultime pagine del breve romanzo. All’ini-
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Nel penultimo capitolo del testo, poi, quasi alla fine del
colloquio del giudice col giurato – « l’amico» che sposa la « li-
nea» processuale del giudice e fa « un gesto contro la pena di
morte» – e con la sua compagna, la francese «Simone», riemer-
ge l’importanza della guerra civile spagnola. Da notare il rapido
crescendo cui partecipano i tre personaggi, così forte e intenso,
nell’imporsi dell’argomento, che l’autore “dirotta” le battute
dell’amico verso il mandato degli inglesi e il terrorismo degli
ebrei in Palestina, quasi a intrecciare provocatoriamente echi
della propaganda nazi-fascista dell’epoca e della scottante attua-
lità dell’intifada; per poi rilevare il distacco del giudice e di Si-
mone circa l’apprensione dell’amico « su delle notizie che la
guerra di Spagna relegava ai margini» e sfumare il dialogo in
una chiacchera più leggera e letteraria che coinvolge anche il
« fascismo». Quel fascismo che non casualmente pare « farsi
lontano» e, senza la concretezza della guerra civile spagnola,
sembra diventare un punto, un segno di « una immaginaria
mappa della stupidità umana»:
157
Ivi, pp. 350-351.
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“Soltanto spirituale, alla parte che dovrebbe essere la sua” precisò
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Simone.
“Il socialista Blum, lo stendhalista Blum: e ne vien fuori la ma-
scherata del non intervento” disse l’amico. “Mussolini manda te-
legrammi di compiacimento ai generali italiani che, con truppe
italiane, conquistano città spagnole: e Blum, impassibile, conti-
nua a parlare del non intervento in Spagna come se ci credesse...”
“A meno che non si voglia ammettere che l’abbia capito Mussoli-
ni, nessuno” disse il giudice “capisce che la guerra di Spagna è la
chiave di volta di quel che minaccia il mondo.”
“E a meno che non si voglia ancora ammettere che l’abbia capito
Mussolini, con quella sua buffonata della spada dell’Islam, e nes-
suno di quelli che vi sono direttamente interessati, quel che succe-
de a Tel Aviv mi inquieta molto” disse l’amico. [...]
Quell’apprensione su delle notizie che la guerra di Spagna relega-
va ai margini, il terrorismo degli ebrei che volevano fondare uno
stato, il modo in cui gli inglesi gestivano il loro mandato in Pale-
stina, sembrava a Simone e al giudice del tutto eccessiva e, facen-
done argomento di discussione, alquanto maniacale. [...] Sicché
ad un certo punto la discussione su quell’argomento si spense.
Continuarono a parlare, con leggerezza, con brio, della Francia,
di certi scrittori, di certi libri. E del fascismo. Ma parlandone in
quel modo, il fascismo pareva farsi lontano, come segnato in una
immaginaria mappa della stupidità umana 158.
158
Ivi, p. 394.
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implacabile non perché parlava in nome del socialismo, che in
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159
Ivi, pp. 331 e 333.
160
Max Horkheimer, Taccuini 1950-1969 (1974), Genova, Marietti,
1988, p. 174. Ma cfr. H. Marcuse, Prefazione (1964) a Cultura e Società cit.,
pp. XVIII-XXI.
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In tal senso L’antimonio è anche un attraversamento della
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161
L. Sciascia, Opere 1984.1989 cit., p. 336.
162
Su cui ritorneremo nel secondo capitolo del presente volume.
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L’indomani [dell’incidente] mi sentivo vecchio di cento anni, de-
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cisi che mai più sarei tornato alla zolfara. Sapevo che c’era una
guerra in Spagna, molti erano andati a quella d’Africa e avevano
fatto i soldi, uno solo era morto in Africa del mio paese. E poi
morire alla luce del sole non mi faceva paura (e in tutta la guerra
di Spagna non ho avuto paura della morte, mi faceva sudare di
paura solo il pensiero dei lanciafiamme) 163.
163
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 179.
164
C. Ambroise, Il libro nel libro cit., pp. 40-41, e Invito alla lettura di
Sciascia cit., pp. 13-16 e 95.
165
C. Ambroise, Cronologia, in L. Sciascia, Opere 1956-1971 cit., p. LVI.
Penso a L. Sciascia, Postface a Les oncles de Sicile, Paris, Denoël, 1967 e Paris,
Gallimard, 2002, [pp. 285-286], p. 286: «Je dois ajouter une autre brève re-
marque au sujet du récit L’antimoine, qui fut ajouté dans l’edition 1960: je l’ai
écrit en recueillant les témoignages et les souvenirs de paysans et de mineurs de
soufre de mon village (Racalmuto, dans la province d’Agrigente), qui avaient
combattu pendant la guerre d’Espagne du côté des fascistes, mais c’est la lecture
de L’Espoir qui m’a donné l’idée de l’ecrire. Il faut donc comprendre un certain
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Ovviamente, la riscrittura di Sciascia va ben al di là di uno
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stra compagnia fu ordinato di andare dall’altra parte del paese,
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167
L. Sciascia, L’antimonio cit, p. 167.
168
A. Malraux, L’Espoir cit., p. 153.
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fumée et de détonations, ouverte en face d’eux par un large cou-
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169
Ivi, pp. 155-157.
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« La guerre n’avait rien à voir dans ce combat des hommes
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170
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 167 (nostri i corsivi).
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un regime di segregazione che è lontano dalla comunità delle
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171
Victor Brombert, La zona-frontiera, in La prigione romantica. Saggio
sull’immaginario (1975), Bologna, il Mulino, 1991, pp. 245-255; citazione da
p. 246.
172
C. A. Madrignani, Cassola e altri « buoni maestri» cit., p. 98.
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colarizzazioni forzate e sempre più fini a se stesse di un noto e
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173
Cfr. A. Di Grado, Sciascia, il cinema e (fra l’altro) l’Europa: (bianco e)
nero su nero cit., pp. 67-69; da p. 69 la citazione.
174
Emiliano Morreale, Il cinema di Leonardo Sciascia, «Segno», 209,
1999, [pp. 185-200], p. 185.
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Nuovo cinema paradiso (1989) – ultimo film visto, apprezzato e
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175
Ivi, p. 193. Ma cfr. L. Sciascia, C’era una volta il cinema, in Opere
1984.1989 cit., pp. 635-641, e Vincenzo Consolo, Dal buio, la vita (1990) in
Di qua dal faro, Milano, Mondadori, 1999, pp. 203-208.
176
C. Ambroise, Un primo sguardo sulla problematica del vedere in Leonar-
do Sciascia, in Leonardo Sciascia, a cura di Sebastiano Gesù, Catania, Giuseppe
Maimone Editore, 1992, pp. 23-30.
177
Ivi, p. 24.
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qualche modo “figlio del muto”» e della “cinematografica” ca-
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L’espace n’est plus celui [...] tel que le verrait un tiers témoin de
ma vision [...] c’est un espace compté à partir de moi comme
point ou degré zéro de la spatialité. Je ne le vois pas selon son en-
veloppe extérieure, je le vis du dedans, j ’y suis englobé. Après
tout, le monde est autour de moi, non devant moi. La lumière est
retrouvée comme action à distance, et non plus réduite à l’action
de contact, en d’autres termes conçue comme elle peut l’être par
ceux qui n’y voient pas. La vision reprend son pouvoir fondamen-
tal de manifester, de montrer plus qu’elle-même [...] il faut qu’el-
le ait son imaginaire 181.
178
E. Morreale, Il cinema di Leonardo Sciascia cit., pp. 194-195.
179
P. A. Rovatti, Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio cit., p. 37,
parla di « un modo di essere vicini (alle cose, ma anche a noi stessi) che risale e
intacca il modo comune della conoscenza». Ma cfr., ad integrazione, quanto
detto nel primo paragrafo.
180
C. Ambroise, Un primo sguardo sulla problematica del vedere in Leonar-
do Sciascia cit., p. 25.
181
M. Merleau-Ponty, L’Œil et l’Esprit, Paris, Gallimard, 1964 e «Folio –
Essais», 1985 e 1998, pp. 58-59; è scritto nell’estate del 1960 ed esce in «Art de
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Ricordiamoci che l’antimonio rende « ciechi» – dato sul
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In fuga dalla caverna-zolfara-galleria-cinema – si pensi al già
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citato « dal fondo della galleria venne un ruggito di fuoco» 184, che
non può non far venire in mente un’immagine notevole di Nuo-
vo cinema paradiso, con Totò che si gira verso la cabina di proie-
zione – ovvero in fuga dal paese e dall’antimonio che rende « cie-
chi» (inconsapevoli, prigionieri), l’eroe del racconto sciasciano
entra in quel « cinema» all’aperto che è il mondo, a contatto di-
retto col Sole, con quel proiettore di verità che, come è noto, bru-
cia ma apre gli occhi e rende liberi; liberi finanche di gareggiare
col «Padreterno» nel descriverci, fra Sicilia e Spagna, la «Castiglia
desolata e solitaria» e poi « una città capitale nel bel mezzo», nel
bel mezzo del « deserto». Il tutto in due pagine e in due pagine
che forse il lettore medio di un testo narrativo tenderebbe a salta-
re 185, ma che lo spettatore medio di un film non può non apprez-
zare. Anche solo nella spettacolarità più evidente ma non evasiva
e semmai lirica, intima, antropologica di quel « luminoso lontano
giuoco della notte», di quelle « lontane girandole di fuoco della
festa di San Calogero», tale spettatore potrebbe magari provare a
tradurre quelle pagine in film, in un film, più o meno recente. Si
pensi, per esempio, a El Alamein – La linea del fuoco (2002) di
Enzo Monteleone, dove troviamo un soldato italiano di nome
Spagna (l’attore Luciano Scarpa) che, rapito dal gioco luminoso
dei traccianti nel cielo africano, esclama: «Ma guarda che roba !
Sembrano i fuochi della festa al mio paese».
E rispetto al film di Enzo Monteleone, che cerca l’attesa
più che la battaglia (la stessa attesa, in un certo senso, del passo
sciasciano) e che vuole sposare la vita intima, finanche lirica,
dei soldati e il loro appuntamento con la Storia tramite la presa
di coscienza di un giovane volontario (universitario, in questo
caso, ma ingenuo e sensibile come lo zolfataro dell’Antimonio),
184
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 179.
185
Secondo « una buona definizione empirica» (e provocatoria) posta in
testa a un discorso teorico, problematico ma agile, da Pierluigi Pellini, La descri-
zione, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 7.
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lo scrittore siciliano può fungere da modello antropologico o al
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186
Cfr. Yves Panafieu, Le mystère Buzzati, Liancourt-Saint-Pierre, Y.P.,
1995, p. 54. Lo sottolineavo nella mia recensione al volume citato apparsa in
«Studi buzzatiani», 1, 1996, pp. 215-218.
187
Cfr. ancora W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione cit. pp. 33 e
36 (per il convenzionalismo linguistico).
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bile personaggio 188 inventato dallo scrittore: il soldato Ventura
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188
Cfr. ancora G. Traina, Leonardo Sciascia cit., p. 230, e dello stesso,
«Con l’emozione dell’azzardo». Appunti su Sciascia polemista cit., p. 85.
189
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 219.
190
Per la Scheda del Film, con citazioni e commenti alla sceneggiatura,
cfr. Leonardo Sciascia, a cura di Sebastiano Gesù cit., pp. 247-250.
191
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 189. Sulla limpieza cfr. ora G. De Lu-
na, Il corpo del nemico ucciso cit., pp. 116-117.
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– dove si traducono cumuli di pena e paura in poesia (e fors’an-
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Dario Del Corno, Omero tradito dal cinema, «Domenica», supplemen-
to de «Il Sole-24 Ore», 208, 2005, p. 36, a proposito di AA.VV., I Greci al ci-
nema. Dal peplum « d’autore» alla grafica computerizzata, Bologna, Dupress,
2005, e Il mito greco nell’opera di Pasolini, a cura di Elena Fabbro, Udine, Fo-
rum, 2005 (la citazione che precede nel corpo del testo quella di Del Corno è
di Elena Fabbro).
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Certo, Madrid è anche la meta luminosa del passo sciascia-
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193
Marc Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo (2003), Torino, Bollati
Boringhieri, 2004; il titolo originale è Le temps en ruines.
194
Cfr. ancora Y. H. Yerushalmi, N. Loraux, H. Mommsen, J.-C. Milner,
G. Vattimo, Usi dell’oblio cit.
195
P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli cit., p. 652.
196
Gilles Deleuze, Claire Parnet, Dialogues, Paris, Flammarion, 1977 e
«Champs», 1996, p. 172: «Les différences ne passent pas entre individuel et
collectif, car nous ne voyons aucune dualité entre les deux types de problèmes:
il n’y a pas de sujet d’énonciation, mais tout nom propre est collectif, tout
agencement est déjà collectif».
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che altre e non meno significative coppie di “opposti” quali sta-
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197
L. Sciascia, Ore di Spagna cit., p. 60. E cfr. P. Ricœur, La mémoire, l’hi-
stoire, l’oubli cit., p. 147.
198
M. Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo cit., p. 10.
199
Cfr. James Hillman, L’anima dei luoghi. Conversazioni con Carlo Trup-
pi, Milano, Rizzoli, 2004.
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Ma, per quanto notorio, non si può non ricordare ciò che
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200
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 177.
201
AA. VV., Sicilia e Belgio. Specularità e interculturalità, a cura di Josette
Gousseau, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo,
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temi che lasciano intravedere tracce significative de L’antimo-
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Palermo, 1995, e AA. VV., Dallo zolfo al carbone. Scritture della miniera in Sici-
lia e nel Belgio francofono, a cura di Josette Gousseau, Annali della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, Palermo, 2005.
202
Sergio Atzeni, Il figlio di Bakunìn, Palermo, Sellerio, 1991 e 2002, pp.
26, 18-20, 49, 52, 106.
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In questa prospettiva, anche in Sciascia l’infanzia è un punto
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[...] di notte riverberava rosso nel cielo per gli incendi che i nostri
aeroplani andavano ad attaccare; solo a momenti pensavo che in
quella città c’erano bambini [...] Pensavo – l’antimonio, il fuoco
– ma così lontano era il riverbero, costava a noi tanto sangue e do-
lore quella città di allucinazione, che di solito guardavo la rossa
aureola di morte come da bambino, in campagna, guardavo le
lontane girandole di fuoco della festa di San Calogero: un lumi-
noso lontano giuoco della notte.
203
Cfr. Franco Ferrucci, L’assedio e il ritorno. Omero e gli archetipi della
narrazione, Milano, Mondadori, « Oscar – Saggi», 1991.
204
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 191.
93
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« esperire» 205, al di là della «“povertà d’esperienza” dell’epoca mo-
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205
Ripenso e riadatto G. Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell’espe-
rienza e origine della storia cit., p. 51.
206
Ivi, p. 5.
207
R. Caillois, Guerre et fête cit., pp. 224-225.
208
Cfr. Denis Hollier, Le Collège de Sociologie (1937-1939), Paris, Gallimard,
1979 e Nouvelle édition, «Folio – Essais», 1995, pp. 169-244 (e 199-203).
209
Cfr. ancora G. Traina, Leonardo Sciascia cit., pp. 229-230.
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L’entrée en matière, nutrita di gusto poetico, finanche filo-
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210
G. Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della
storia cit., p. 52.
211
L. Sciascia, Prefazione a Manuel Azaña, La veglia a Benicarló (1939),
Torino, Einaudi, 1967, [pp. VII-XIII], p. XII.
212
Cfr. Francesco M. Cataluccio, Immaturità, Torino, Einaudi, 2004, e la
recensione di Goffredo Fofi apparsa sul supplemento domenicale de «Il Sole-24
Ore», 197, 2004, p. 29.
213
Elio Vittorini, Diario in pubblico, Milano, Bompiani, 1957 e «Tascabi-
li», 1991, p. 212.
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mento chimico che fonde guerra e scrittura, visto che « entra nel-
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214
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 166.
215
F. Ferrucci, L’assedio e il ritorno. Omero e gli archetipi della narrazione
cit., pp. 7 e 8.
216
C. Ambroise, Cronologia, in L. Sciascia, Opere 1956-1971 cit., p. LVI.
217
A. Di Grado, Sciascia, il cinema e (fra l’altro) l’Europa: (bianco e) nero
su nero cit., pp. 71-72.
218
Viktor S}klovskij, La costruzione del racconto e del romanzo in Una teoria
della prosa (1927), Milano, Garzanti, 1964, pp. 81-115.
96
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de ad accumulare peso, importanza – l’« allusione aperta », il
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219
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 230.
220
F. Ferrucci, L’assedio e il ritorno. Omero e gli archetipi della narrazione
cit., p. 7.
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drid). Perché le « cose», innanzi tutto, non devono avere solo a
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che fare con la vista-visione della Sicilia, del paese, della campa-
gna, del deserto di luce, della zolfara, del fuoco, che è poi la vi-
sta-visione infiammata della guerra civile spagnola: « era Spagna
anche la zolfara» 221. In tal senso, la Spagna conferma la Sicilia
come grado zero della scrittura sciasciana e al tempo stesso fa
diventare il mondo vergine, dato nuovo e aperto, nel quale po-
ter ricominciare a vivere grazie a costruzioni culturali impure e
senza unificanti e pericolose sovrapposizioni ideologiche.
L’antimonio, allora, anche come biografia (e al limite “auto-
biografia”) non proseguita, è un esorcismo complesso, soltanto in
parte raccolto e siglato dall’approdo antifascista alle « cose nuove»,
rintracciabile in seno a una tradizione letteraria e a un engagement
cari a Sciascia proprio tramite Elio Vittorini. Perché le « cose nuo-
ve» devono poter ribattezzare l’orizzonte esistenziale di quei « ra-
gazzi affamati con fame anche di città nuove e mondo da vedere,
non di pane e sigarette soltanto», come scrive per l’appunto Vitto-
rini nel settembre 1945 sul numero 1 del «Politecnico» 222.
Secondo quanto si suggeriva, più implicitamente, poc’anzi,
queste parole di Vittorini finiscono nelle pagine di Diario in
pubblico (1957), pagine che per Sciascia « restano» davvero 223 –
confessa nel 1981 – mentre non resistono così bene al tempo,
secondo un suo significativo avviso, già intuibile nel finale de
L’antimonio, quelle del capolavoro, Conversazione in Sicilia
(1938-1939); altro viaggio nella memoria e nell’isola, con tanto
di fuga-ritorno-(fuga), di cui parleremo più avanti, sempre in
relazione alla guerra civile spagnola.
Certo, l’immagine vittoriniana di « città nuove e mondo da
vedere» agisce nello Sciascia che scrive L’antimonio (1960) non
solo perché lo scrittore privilegia già o in prospettiva le pagine
221
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 228.
222
E. Vittorini, Diario in pubblico cit., p. 212.
223
Citato in C. Ambroise, Cronologia, in L. Sciascia, Opere 1956-1971
cit., p. LIX. Ma cfr. D. Perrone, Sciascia, Vittorini e la Spagna cit., pp. 252-253.
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di Diario in pubblico (1957) ma anche per la vicinanza cronolo-
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224
G. Traina, «Con l’emozione dell’azzardo». Appunti su Sciascia polemista
cit., p. 72; D. Perrone, Sciascia, Vittorini e la Spagna cit., p. 245; N. Tedesco,
«Avevo la Spagna nel cuore». Sciascia, la Sicilia, la Spagna cit., p. 16, che rinvia
ai racconti L’antimonio e La sesta giornata per esemplificare un « lascito [...] più
vittoriniano che brancatiano».
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Vittorini, è utile spendere ancora qualche parola sull’immagine
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225
E. Vittorini, Diario in pubblico cit., pp. 212-213, e cfr. ancora D. Per-
rone, Sciascia, Vittorini e la Spagna cit., pp. 254-255 (anche se l’approdo del di-
scorso è diverso).
226
C. Ambroise, Cronologia, in L. Sciascia, Opere 1956-1971 cit., p. LVI.
227
G. Traina, «Con l’emozione dell’azzardo». Appunti su Sciascia polemista
cit., p. 86.
100
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ni 228] di tale situazione è poi affidato, in età più matura, a un
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Cfr. ancora C. A. Madrignani, Cassola e altri « buoni maestri» cit., p. 96:
«Il miglior Sciascia, quello che ha lasciato un vuoto che non si vede come possa es-
sere colmato, è più che il polemista e lo stimolatore di problemi civili e di inquie-
tudini morali, il narratore-pensatore che attraversa le ideologie anche quando sem-
bra assumerle. Non è la singola causa o controversia che conta ma l’atteggiamento
di ripensamento, di riformulazione e verifica nei confronti dei nodi centrali del
nostro vivere associato: illuminare, proprio come volevano i philosophes, le cause
recondite dei linguaggi e dei comportamenti ufficiali, non in nome di un’ideolo-
gia migliore e superiore, ma di una volontà di conoscenza che si pone come “altra”
nei confronti del sapere conformistico, addomesticato o massificato».
229
Cfr. G. Traina, Leonardo Sciascia cit., p. 230, che, da altro punto di vi-
sta, osserva: «L’antimonio è, prima del Consiglio d’Egitto, il testo in cui Sciascia
si mette più in discussione, scava nel “profondo” del suo protagonista».
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Gli zolfatari del mio paese chiamano antimonio il grisou. Tra gli
zolfatari, è leggenda che il nome provenga da anti-monaco: ché
anticamente lo lavoravano i monaci e, incautamente maneggian-
dolo, ne morivano. Si aggiunga che l’antimonio entra nella com-
posizione della polvere da sparo e dei caratteri tipografici e, in an-
tico, in quella dei cosmetici. Per me suggestive ragioni, queste, ad
intitolare L’antimonio il racconto 230.
230
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 166.
231
Antonio Llorens, «Una vita venduta», un film rubato, in Leonardo
Sciascia, a cura di Sebastiano Gesù cit., [pp. 113-117], p. 113.
232
Gaëtan Picon, Malraux, Paris, Seuil, «écrivains de toujours», 1953 e
1974, pp. 11 e seguenti.
233
P. Ricœur, Préface (1983) a Hannah Arendt, Condition de l’homme mo-
derne cit., p. 14.
102
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La forza di queste coordinate e del loro complesso interse-
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234
Cito da Entretiens avec «Le Monde». 2. Littératures, Paris, Editions La
Découverte et Journal «Le Monde», 1984, [pp. 61-69], pp. 66-67.
235
G. Traina, «Con l’emozione dell’azzardo». Appunti su Sciascia polemista
cit., p. 85.
103
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nissetta negli anni appunto intorno al ’37, gli anni dell’Impero
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236
L. Sciascia, Nero su nero (1979), in Opere. 1971-1983 cit., p. 666.
237
Vitaliano Brancati, Il vecchio con gli stivali (1944), Roma, L’Acquario,
1945, II ed. accresciuta Milano, Bompiani, 1946 e 1958, poi Milano, Monda-
dori, « Oscar», 1971, [pp. 113-146], pp. 126 e 128-129.
238
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 216.
104
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Come si è detto, di questa triste deriva della memoria sono
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239
G. Traina, «Con l’emozione dell’azzardo». Appunti su Sciascia polemista
cit., p. 85.
240
Ivi, p. 86, che cita da L. Sciascia, Quaderno, a cura di Vittorio Nisticò e
Mario Farinella, Palermo, Nuova Editrice Meridionale, 1991, p. 77.
241
Italo Calvino, Sono stato stalinista anch’io ?, «La Repubblica», 16 di-
cembre 1979, in un inserto dedicato a Stalin nel centenario della nascita, poi in
Eremita a Parigi. Pagine autobiografiche. Nota introduttiva di Esther Calvino,
Milano, Mondadori, «I libri di Italo Calvino», 1994 e « Oscar», 1996, [pp.
196-203], p. 199; ma cfr. anche il pezzo seguente della raccolta, L’estate del ’56,
alle pp. 204-210.
105
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sorgono in « pagine autobiografiche » del 1979 – l’anno del più
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242
Ivi, pp. 196 e 197.
243
Con Peppino deuteragonista, « in ruolo socialmente più alto», a pro-
testare inutilmente: « e io devo dormire con quello là». Cfr. Matteo Palumbo,
La trasgressione e la norma: Totò, Peppino e le classi sociali, in Peppino De Filip-
po e la comicità del Novecento, Atti del Convegno interdisciplinare, Napoli, 24-
25 marzo 2003, San Giorgio a Cremano, 26 marzo 2003, a cura di Pasquale
Sabbatino e Giuseppina Scognamiglio, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,
2005, pp. 101-108.
106
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– e che è tuo padre ? – ma non disse più niente vedendo come si
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244
L. Sciascia, La morte di Stalin, in Gli zii di Sicilia cit., [pp. 61-94], p.
77; ma cfr. pp. 76-80.
107
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stalinista) del fenomeno fascista rimane sostanzialmente esat-
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245
L. Sciascia, La sesta giornata (1958), in AA. VV., La noia e l’offesa, Pa-
lermo, Sellerio, 1976, [pp. 157-164], p. 158.
246
L. Sciascia, Prefazione a Manuel Azaña, La veglia a Benicarló cit., p. XIII.
247
Mentre l’idea che Leonardo Sciascia ha di Azaña è più simile, tra anni
Cinquanta e Sessanta, a quella di Aldo Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spa-
gna, Torino, Einaudi, 1959, che al presidente dedica un capitolo, alle pp. 89-109,
significativamente intitolato L’angoscia di Manuel Azaña, dove – pur riconoscen-
do subito che « la memoria dell’ultimo presidente della Repubblica spagnola, cer-
to la più forte tra le personalità che la classe repubblicana abbia prodotto, rimane
a tutt’oggi motivo di controversia» – suggerisce che «Azaña fu un illuminista»,
« uomo della nuova repubblica, austeramente moderno nella concezione del suo
compito», « intento all’alto ideale della resistenza repubblicana» ma senza il pote-
re, la forza di « elaborarne uno più complesso nel caos della guerra civile e sotto il
peso dell’immensità del disastro»; e in tal senso Azaña è in parte assolto ma in
parte reso colpevole perché, credendo nella sincerità dei comunisti in virtù della
consegna di Stalin, come dice nella Velada, non si interroga sulla natura di questa
« consegna» (le citazioni sono da pp. 89, 90, 92, 106). Significativo poi che nel
capitolo dedicato a Ramón Sender, alle pp. 160-178, sul quale avremo occasione
di ritornare, Garosci rievochi Azaña – che è comunque presenza quasi strutturan-
te nel volume – in questi termini: «Ma la lenta tenacia e il modo cauto, quasi in-
diretto, con il quale lo scrittore è ritornato sui temi della guerra spagnola, stanno
a indicare un travaglio più intenso, una fedeltà diversa e più fine, anche se non
meno completa, ai motivi del suo esilio. Cosicché pensiamo che non per caso
Sender ci abbia dato, insieme con Azaña, la maggiore creazione nata sulle vicende
della guerra civile». Non emerge quindi propriamente (e positivamente) il paral-
lelo Azaña/Stalin dello Sciascia prefatore della Velada ma affiora comunque un in-
tellettuale e un politico integro, un illuminista e uno scrittore, che è l’immagine
azaniana che in fin dei conti, in quegli anni, può affascinare e catturare Sciascia,
quello de Il Consiglio d’Egitto per intenderci. Ma per una più tarda e « particolare
declinazione dell’illuminismo sciasciano», specie a partire dai « testi degli anni
Settanta», cfr. G. Traina, Leonardo Sciascia cit., [pp. 132-135], p. 133.
108
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indebolito la fragile democrazia spagnola; e Stalin e Azaña, in
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248
Gabriele Ranzato, L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le
sue origini 1931-1939, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pp. 421-501 e 502-569.
249
Si leggano due capitoli di G. Traina, L’«Ars Moriendi» di Sciascia e
L’ultima speranza in La soluzione del cruciverba. Leonardo Sciascia fra esperienza
del dolore e resistenza al Potere cit., pp. 129-156 e 157-172; e cfr. Carmelo Spa-
lanca, Il gioco degli specchi. Modelli italiani e modelli europei nel «Cavaliere e la
morte» di Leonardo Sciascia, in Il Canone e la Biblioteca. Costruzioni e decostru-
zioni della tradizione letteraria italiana, a cura di Amedeo Quondam, Roma,
Bulzoni, 2002, volume II, pp. 613-625.
250
Cfr. la recente riproposta di Friedrich Dürrenmatt, Una partita a scac-
chi con Albert Einstein (1979), Bellinzona, Casagrande, 2005, p. 53.
109
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tutti aventi diritto, compresi quelli dei mostri. Per esemplificare,
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251
Cfr. F. Dürrenmatt, Il sospetto (1953), Milano, Feltrinelli, 1987 e
2003, pp. 16, 33, 85,110-111.
110
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che nel gennaio del 1960, pubblicando la terza parte della sua
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252
Karl Barth, I problemi della pace (1960), in Autobiografia critica (1928-
1958), a cura di Piergiorgio Grassi, Vicenza, La Locusta, 1978, [pp. 81-106],
pp. 91, 85, 86, 89.
111
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morte di Stalin; il cui protagonista, però, resta arroccato nell’isola
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253
L. Sciascia, La morte di Stalin cit., p. 93.
254
Cfr. G. Traina, «Con l’emozione dell’azzardo». Appunti su Sciascia pole-
mista cit., p. 83: «Invece in Fuoco all’anima – il libro che riporta le conversazio-
ni con Domenico Porzio del biennio 1988-’89 –, Sciascia afferma che Robotti è
“la persona più stupida che ho incontrato nella mia vita”. Infatti, “quando un
uomo che non ha tradito viene preso dalla Polizia di Stato, torturato, gli rom-
pono la spina dorsale e continua a credere nel comunismo, è uno stupido”».
112
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nologica della fine degli anni Settanta, quando Sciascia, per
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255
L. Sciascia, L’arroganza di Coppola (1978), in La palma va a nord, a cu-
ra di Valter Vecellio, Milano, Gammalibri, 1982, p. 18.
256
I. Calvino, Sono stato stalinista anch’io ? cit., pp. 196 e 198.
113
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quel suo nuovo governo da fogna, la Spagna con quel feroce ge-
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257
L. Sciascia, La morte di Stalin cit., pp. 70-71. Cfr., per la situazione spa-
gnola, Guy Hermet, La guerre d’Espagne cit., pp. 224-228 e 238; e per la situa-
zione italiana, in relazione, soprattutto, al secondo dopoguerra, il recente Mauri-
zio Degl’Innocenti, Il mito di Stalin. Comunisti e socialisti nell’Italia del dopoguer-
ra, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 2005, che principia proprio
con l’avvenimento storico de La morte di Stalin (pp. 9-16) e cita solo un paio di
volte (pp. 57, 134) un Italo Calvino «“ottimo propagandista” [...] sull’“Unità”
agli inizi del 1952». Certo, è un peccato che il taglio rigoroso, raccolto in titolo e
sottotitolo, non faccia reagire, insieme, per esempio, al caso di Robotti (pp. 125-
126) sopra evocato, il caso di Sciascia, la sua evoluzione, quella di Calvino e di
intellettuali diversamente orientati (socialismo liberale, etc.), anche in rapporto
alle loro reazioni negli anni Cinquanta, fra la morte di Stalin e il rapporto
Chrus]cë] v. Cfr. per esempio, e se non erro, l’assenza di Norberto Bobbio e del
suo Ancora dello stalinismo: alcune questioni di teoria, apparso su «Nuovi argo-
menti», IV, 1956, pp. 1-30, ora leggibile nella Nuova edizione citata di Politica e
cultura alle pp. 241-267: «Un comunista al quale fosse stato osservato che Stalin
era un tiranno, rispondeva, doveva rispondere che l’affermazione era falsa perché
non era marxista (e a ben guardare non aveva altro argomento)», perché « in nes-
suno dei testi della dottrina era scritto che durante il periodo della dittatura del
proletariato vi sarebbe stato un periodo più o meno lungo di tirannia, e neppure
che tale evento fosse possibile. Dunque chi affermava che Stalin era un tiranno
pronunciava in base al criterio dell’autorità una proposizione falsa. A nulla vale-
va opporre l’esperienza»; e finanche « dopo aver letto il rapporto Krusciov [che]
era in ultima analisi la più spietata smentita delle illusioni rivoluzionarie» (pp.
246, 245, 241). Suggerisce C. Ambroise, Sciascia e la rivolta, pp. 170-171: «La
morte di Stalin va interpretata come la storia disperata di un diniego: accettare il
rapporto Krusciov, per il militante, sarebbe un negare se stesso, la propria azione
e rivolta. [...] Negli anni del dopoguerra, Leonardo Sciascia, nell’esperire la vita e
le sue contraddizioni, è solidale di coloro che dalla rivolta volevano che scaturis-
se un progetto rivoluzionario. Le parrocchie di Regalpetra sono espressione di tale
solidarietà; la scrittura è come innestata sull’azione degli altri e, in questo senso,
ne è partecipe. La voce narrante de Gli zii di Sicilia non rompe certo il patto».
Ma cfr. il prosieguo del discorso nel testo.
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non più una « cronaca»»; progetto dove non è « più la firma di
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258
C. Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia cit., p. 88.
259
I. Calvino, Sono stato stalinista anch’io ? cit., p. 203.
260
Cfr. ancora N. Tedesco, «Avevo la Spagna nel cuore». Sciascia, la Sicilia, la
Spagna cit., e D. Perrone, Sciascia, Vittorini e la Spagna cit., pp. 243-244, 246-247,
248-249. Ma alla Breve cronaca del regime riaccenneremo nel secondo capitolo.
115
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della guerra, lette e in buona parte amate e presenti nell’imma-
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261
Cfr. ancora G. Traina, Leonardo Sciascia cit., pp. 226-227: «L’antimo-
nio, invece, ha origine insieme colta (una pagina della Speranza di André Mal-
raux – libro che nel 1966 Sciascia arrivava a dichiarare « forse il più grande libro
che sia stato scritto in questi trent’anni») e – [come si ricordava già in altro mo-
do nel testo ] – “paesana”, cioè i ricordi di alcuni conoscenti di Sciascia, uno dei
quali era effettivamente partito come volontario fascista per la guerra di Spagna
(e di cui troviamo notizia nel poco noto racconto Il soldato Seis)». Su questo
racconto, edito sulla rivista «Valbona», 1, 1958, pp. 3-5, si veda quanto si dirà
più avanti, nel capitolo successivo.
116
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chiedersi se per un’eventuale prosecuzione dell’Antimonio Scia-
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L. Sciascia, L’antimonio cit., pp. 228-229. E non dimentichiamoci, alme-
no in nota, di un dato che avremo occasione di ribadire in seguito, quello del cal-
cio, che negli anni Trenta vede la nazionale italiana conquistare per due volte con-
secutive la coppa del mondo, offrendo vittorie sportive al potere fascista, che del
resto le favorisce e le celebra quasi come quelle militari, dall’Etiopia alla Spagna.
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flitto spagnolo, abbia fatto pensare a uno Sciascia vittima della
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263
Michele Coco, Jovine, Sciascia e la guerra di Spagna, « Otto/Novecen-
to», 3-4, 1982, [pp. 223-234], p. 233.
264
Si legga almeno C. Ambroise, Polemos, in Opere 1971-1983 cit., pp.
VII-XXVIII, e si scorrano ancora gli articoli sopra citati di G. Traina.
118
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UN QUARTO DI SECOLO DI TRADIZIONI
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1
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 175.
2
Cfr. John Dos Passos, Davanti alla sedia elettrica. Come Sacco e Vanzetti fu-
rono americanizzati (1927), a cura di Piero Colacicchi, Caserta, Spartaco, 2005,
pp. 9 e 37.
119
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Ma, più di John Dos Passos, origine possibile di un ritmo
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3
L. Sciascia, Ore di Spagne cit., p. 62.
4
Ibidem. Bisogna poi subito rinviare, a questo proposito e, più in genera-
le, per l’idea che sostiene questo paragrafo, alle dense pagine conclusive di Bar-
tolomé Bennassar, Quand l’imaginaire transcende la guerre civile, in La guerre
d’Espagne et ses lendemains, Paris, Perrin, 2004 e «Tempus», 2006, pp. 481-
484: «Comment, s’interroge Claude Pichois, « une guerre, c’est-à-dire la mort,
les mutilations, l’injustice, peut-elle devenir littérature ? Comment le néant
peut-il se faire vie ?» La guerre d’Espagne impose cette question. [...] Le langage
du lyrisme, celui de l’épopée parviennent par un surprenant exploit à effacer
l’horreur sans la taire. Ils ne sont pas l’apanage de la poésie. L’Espoir de Malraux
et Pour qui sonne le glas d’Hemingway sont des œuvres lyriques. Pourtant, ces
deux livres ne trichent ni avec la vérité, ni avec la mort. Hemingway ne réserve
pas les atrocités aux seules troupes franquistes; il raconte aussi bien le massacre
des propriétaires terriers d’un village par une foule déchaînée. Et tout en mar-
quant sa répugnance pour les procédés manipulateurs des communistes, il re-
connaît qu’ils pouvaient seuls donner la victoire à la République grâce à la créa-
tion de l’armée populaire. Il est sans illusion, comme l’est son personnage de
Karkov, qui n’est autre que le double littéraire de son ami Koltsov, le corre-
spondant de la Pravda à Madrid, auteur du Journal espagnol, arrêté à Moscou le
12 décembre 1938 et éliminé.».
120
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negli stessi anni offre Sergio Perosa, per esempio; interpretazio-
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5
Sergio Perosa, La memoria e gli squali, in Hemingway a Venezia, Atti del
Convegno del 24-25 novembre 1986, Fondazione Cini, Isola di San Giorgio
Maggiore – Venezia, a cura di Sergio Perosa, Firenze, Olschki, 1988, pp. 211-
216; citazione da p. 214.
121
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zione degli « anarchici»: « ognuno di loro si sentiva un po’ Gesù
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6
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 210.
7
A. Malraux, L’espoir cit., p. 43.
122
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«E poi mi piace chiacchierare. È l’unica cosa civile che ci è rima-
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8
Ernest Hemingway, For whom the Bell Tolls, Stockholm-London, The
Continental Book Company, 1946, p. 103; Ernest Hemingway, Per chi suona
la campana, Milano, Mondadori, 1996, p. 107.
9
Ivi, p. 103 e p. 107.
123
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e fare al caso nostro. Senza scadere necessariamente nel mélo e nel-
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10
Ivi, p. 102 e p. 106.
11
Ivi, p. 103 e p. 107.
12
L. Sciascia, Ore di Spagne cit., p. 62.
124
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letterario de L’antimonio in seno a una graduatoria storiografica
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13
Ranzato, grande specialista della guerra civile spagnola, è invitato a parla-
re di Sciascia, a un convegno dedicato ai rapporti dello scrittore siciliano con la
Spagna e promosso dagli Amici di Sciascia e dalla Fondazione dedicata allo stesso.
14
G. Ranzato, Sciascia e la guerra civile spagnola: Sciascia tra verità storica e
verità letteraria, in Avevo la Spagna nel cuore, a cura di Natale Tedesco, Milano,
La Vita Felice, 2001, pp. 209-219; citazione da pp. 211-212.
125
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Sciascia, diversamente dallo storico di professione, si situa
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15
Ivi, p. 212.
16
Cfr. in questo senso Paul Nothomb, Malraux en Espagne, Préface de
Jorge Semprún, Paris, Phébus, 1999, pp. 9-41.
17
E. Hemingway, Per chi suona la campana cit., p. 21.
18
Francesco Mininni, Sergio Leone, Milano, Il Castoro/L’Unità, 1995,
pp. 33 e 99.
126
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belle e brutte, ci sono mogli o donne da soldati (donne che
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19
L. Sciascia, L’antimonio cit. p. 198.
20
Cfr. Fabrizia Ramondino, Guerra d’infanzia e di Spagna, Torino, Ei-
naudi, 2001, p. 49: «Credevano, i miei genitori, di darmi due nomi per ogni
cosa, e non sapevano di darmi invece due cose per ogni cosa. [...] E poiché, a
causa dei diversi nomi, ogni cosa non era una, ma due, poté ogni cosa in segui-
to diventarne molte insieme».
21
Ne discute G. Deleuze, Sur la mort de l’homme et le surhomme, Annexe a
Foucault, Paris, Les Éditions de Minuit, 1986 e «Reprise», 2004, [pp. 131-
141], p. 138, che ne suggerisce pure la ripresa sartriana. Ma a rileggere anche
soltanto, e per restare entro il nostro orizzonte spagnolo, Le mur, nella raccolta
omonima del 1939 ma scritto e pubblicato prima, proprio nell’anno de
L’espoir, sulla «Nouvelle Revue Française» del luglio 1937, ci sembra che la po-
sizione di Sartre sia già antagonista e critica rispetto a quella di Malraux. Ma cfr.
Jean-Paul Sartre, Le mur in Le mur, Paris, Gallimard, 1939 e 1958, pp. 11-34,
e Il muro, Torino, Einaudi, 1947 e 1963, pp. 9-31.
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dell’eroe di The Adventures of a Young Man (1939) di Dos Pas-
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Franco Cordelli, La democrazia magica. Il narratore, il romanziere, lo
scrittore, Torino, Einaudi, 1997, p. 96. Non così Sciascia, come preciseremo nel
testo, e non così Mario Rigoni Stern – altro grande scrittore della generazione
di Sciascia, nato nello stesso anno, il 1921 – che suggerisce onestamente: «In
Per chi suona la campana trovammo persino in qualche personaggio il compor-
tamento di conoscenti che erano stati partigiani: la vita diventava letteratura e
la letteratura diventava vita». Cfr. a proposito Mario Rigoni Stern, Quando sco-
persi Hemingway, in Tra due guerre e altre storie, Torino, Einaudi, 2000, [pp.
208-213], p. 212.
23
L. Sciascia, La sesta giornata, « Officina», 7, 1958, poi in AA. VV., La
noia e l’offesa, Palermo, Sellerio, 1976, pp. 157-164; citazioni da p. 162. Ma cfr.
anche quanto dice in tal senso Lisa Foa, È andata così, Palermo, Sellerio, 2004.
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la rivelazione del mondo», osserva che « la prima rivelazione ci
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venne dal fatto che García Lorca era stato fucilato dai franchi-
sti, che Dos Passos, Hemingway, Chaplin stavano dalla parte
della Repubblica» 24. E non stupisca l’evocazione di Chaplin,
perché leggendo i nomi di quei « poeti» si deve pensare, con Ei-
sens]tein e con la migliore tradizione critica chapliniana, al
Charlie Chaplin che fra il 1937 e il 1940 lavora a The Great
Dictator, che esce nell’ottobre di quell’anno, per l’appunto, e
attiva una transizione mirabile nell’universo di Charlot: « ciò
che gli accade non appartiene più ad una condizione esistenzia-
le assoluta, ma è determinato da una modificazione della storia,
che piomba il mondo nell’orrore » 25.
Ovviamente, capire, come fa Sciascia, la non-retorica di
certo romanzo americano e cogliere il ritmo narrativo di “chiac-
chierata” epica e civile di un Hemingway non significa necessa-
riamente volere e potere sposare, sempre e in assoluto, quella
non-retorica e quel ritmo. Perché a vent’anni di distanza dalla
fine del conflitto spagnolo, sposare il ritmo narrativo di chi pu-
re aveva rivelato, per primo, un mondo, il mondo, è più diffici-
le, e non solo per le mutate coordinate del genere romanzo in
quel Novecento che da Svevo a Moravia, da Musil a Broch, ri-
fiuta ogni consolazione eroica 26.
24
L. Sciascia, La sesta giornata cit., p. 158.
25
Giorgio Cremonini, Charlie Chaplin, Milano, Il Castoro-L’Unità,
1995, p. 79. Ma cfr. le ultime pagine di Sergej Mikhailovic] Eisens]tein, Charlie
the Kid, in Eisens]tein, Bleiman, Kosinzev, Iutkevic], La figura e l’arte di Charlie
Chaplin, Milano, Mondadori, 1959, [pp. 143-164], pp. 161-164.
26
Cfr. ancora quanto suggerisce, in sintesi, Franco Cordelli, all’inizio de
La democrazia magica. Il narratore, il romanziere, lo scrittore cit., p. 9: « mentre
l’Ottocento, da Flaubert a Hemingway (Per chi suona la campana) reputa che vi
sia la possibilità che questa stessa idea [credere in modo paradossale, non cri-
stiano] possa essere fonte di sacrificio e d’eroismo, dunque d’un accrescimento
di vitalità, il Novecento, da Svevo a Moravia, da Musil a Broch, rifiuta ogni
consolazione eroica, anzi la detesta».
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Sposare quel ritmo narrativo è difficile, innanzi tutto, per
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l’« eclissi della democrazia» 27, per il forte stallo storico di una
« democrazia assassinata» 28 dalle grandi potenze, che a fatica,
poi, hanno ritrovato la loro, chiudendo peraltro un occhio (for-
se due) su quello stallo negli anni della guerra fredda.
Nella prima metà degli anni Sessanta, Franco è sempre al
potere ed è una presenza, non più così forte ma chiara, che si usa
ancora opporre, magari tradotta in ridicolo 29, al blocco comuni-
sta dell’Unione Sovietica passato per le rivelazioni di Chrus]c]ëv.
Lo testimonia, per esempio, una boutade de Il compagno don Ca-
millo, del 1965, film di Luigi Comencini dove il celebre perso-
naggio inventato da Giovannino Guareschi contrasta il progetto
politico del gemellaggio di Brescello con un paese russo, com-
mentando tale pratica come « una questione che riguarda solo la
morale e il buon senso» e ribattezzando la proposta del Sindaco
comunista Peppone in questi termini: «Se noi fossimo al suo po-
sto, signor Sindaco, e il Generalissimo Franco ci regalasse un toro
da corrida o una partita di nacchere e noi pretendissimo gemella-
re il nostro paese con Madrid, Lei cosa farebbe ?». La “chiacchie-
rata”, qui, diventa davvero aneddotica, ché si nutre solo di esoti-
smi, si traduce (quasi) tutta in parlantina e si cangia pure un po’
27
Gabriele Ranzato, L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le
sue origini (1931-1939), Torino, Bollati Boringhieri, 2004. Dello stesso cfr. an-
che l’ottima sintesi offerta in La guerra di Spagna, Firenze, Giunti-Casterman,
«Collana XX secolo», 1995.
28
Jean-François Berdah, La démocratie assassinée. La République espagnole
et les grandes puissances 1931-1939, Paris, Berg International Éditeurs, 2000.
29
Tradurre, volgere in ridicolo (anche ridicolizzare) è il primo, elementa-
re movimento della coscienza ironica che comincia a distendersi, a delimitare il
pericolo e a giocarci: «L’ironie, qui ne craint plus les surprises, joue avec le dan-
ger. Le danger, cette fois, est dans une cage; l’ironie va le voir, elle l’imite, le
provoque, le tourne en ridicule, elle l’entretient pour sa recréation». Cfr. Vladi-
mir Jankélévitch, L’ironie, Paris, Flammarion, 1964 e «Champs», 1979 e 1987,
pp. 9-10, che è ben cosciente che « le manège, à vrai dire, peut mal tourner [co-
me nel caso della politica di distensione]. Pourtant l’esprit d’ironie est bien
l’esprit de détente, et il profite de la moindre accalmie pour reprendre ses jeux».
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nell’onomatopeica chiacchiera (e forse nel dato meno nobile di
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Oggi, salvando Franco dallo sfacelo cui era destinato, gli Stati
Uniti, oltre che mancare alla grande promessa di Roosevelt, pro-
vocano diffidenza e reazione nell’antifascismo europeo, mostran-
do che la diagnosi marxista (vorremo dire stalinista) del fenome-
no fascista rimane sostanzialmente esatta 30.
30
L. Sciascia, La sesta giornata cit., in AA. VV., La noia e l’offesa cit., p. 158.
31
Pierre Broué, Staline et la Révolution – Le cas espagnol, Paris, Fayard,
1993. Ma cfr. soprattutto il recente Daniel Kowalsky, La Unión Soviética y la
Guerra Civil Española, Barcelona, Critica, 2004.
32
Cfr. Marcel Oms, La guerre d’Espagne au cinéma, Préface de Pierre
Broué, Paris, Éditions du Cerf, 1986, p. 235 e p. 197, dove cita un altro pas-
saggio: «L’Espagne n’est plus le rêve de 1936, mais la vérité de 1965, même si
elle semble déconcertante. Trente ans se sont passés et les anciens combattants
m’emmerdent». Ma cfr. Jorge Semprún, La guerre est finie, Scénario du film,
Paris, Gallimard, 1966.
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Ah! la malheureuse Espagne, l’Espagne héroïque [...] l’Espagne
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meno evidenti (vent’anni dalla fine, trenta dall’inizio del conflit-
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L. Sciascia, La sesta giornata cit., in AA. VV., La noia e l’offesa cit., p. 158.
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pubblica in quello stesso anno, l’Assemblea Nazionale concede i
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Un certo esorcismo democratico necessario perché sono davvero gli anni in
cui « les “intérêts supérieurs de la nation” expliquent aussi l’étouffement des acti-
vités politiques propres aux réfugiés. Là encore le cas espagnol est particulièrement
parlant. [...] Après de multiples tentatives, Franco obtient finalement en août 1954
que le ministre de l’Intérieur (François Mitterand) ordonne la suppression de
l’émetteur clandestin de Radio Euskadi. Par la suite, les réfugiés espagnols devien-
nent une monnaie d’échange dans la question algérienne. [...] Comme le note un
membre du gouvernement franquiste, la France peut mieux comprendre mainte-
nant le problème des réfugiés car elle y est elle-même confrontée avec les Algériens
qui ont fui en Tunisie. En juin 1959, pour la première fois, le Premier ministre
français (Michel Debré) reçoit l’ambassadeur d’Espagne et l’on s’accorde sur la né-
cessité d’une collaboration plus étroite entre les polices et les services spéciaux des
deux pays. Une note du Quay d’Orsay précise: «(...) C’est à craindre en particulier
que les rebelles algériens ne trouvent un asile et de la complicité en Espagne». Cfr.
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Lo stesso processo di esorcismo gioca poi ancora un ruolo
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stimonia la volontà comune di due « pedine » di sottrarre la
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36
Hans Magnus Enzensberger, Prospettive sulla guerra civile (1993), Tori-
no, Einaudi, 1994, p. 8.
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tanta» 37 – sono guerre mondiali. (E in tal senso, non ha forse
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37
Ibidem. E forse ancora ai nostri giorni. Si pensi alla guerra in Iraq, che
non è del tutto comprensibile in una prospettiva da « dopo l’impero», da « après
l’empire».
38
Cfr. in parte e almeno Léo Palacio, 1936: La Maldonne Espagnole. Ou la
guerre d’Espagne comme répétition générale du deuxième conflit mondial, Toulou-
se, Privat, 1986. Ma cfr. G. Ranzato, L’eclissi della democrazia cit., [pp. 631-
662], p. 643 (e anche p. 627).
39
Merleau-Ponty, C’è stata la guerra cit., pp. 169-171.
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« tifoso del generale Bergonzoli» e « proprio come se Bergonzoli
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40
Sciascia, L’antimonio cit., pp. 228-229.
41
Pascal Dethurens, De l’Europe en littérature (1918-1939), Genève,
Droz, 2002, pp. 273-275.
138
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en mars 1937, que le « spectacle de l’Europe» («the European
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42
Attualità finanche, come vedremo, di guerra di mondi, di popoli, di im-
peri, nella quale una sorta di wellsiana war of the worlds raccoglie dal passato e
proietta nel futuro le guerre romantiche ottocentesche per le varie indipendenze
nazionali e tutti i conflitti più antichi in cui uno schiavo ha sognato la libertà.
43
Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri (2002), Milano, Mondadori,
2003, p. 17.
44
Susan Sontag suggerisce che anche la famosa foto di Robert Capa, quella
del miliziano repubblicano caduto durante la guerra civile spagnola, Federico Ba-
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comunque a tratti debordante e non sempre convincente, per lo
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rell García, possa essere il risultato di qualche manipolazione. Ma cfr. ora Laurent
Gervereau, Montrer la guerre ? Information ou propagande, Paris, Isthme, 2006.
45
Cfr. Lidia De Federicis, Letteratura e storia, Roma-Bari, Laterza, «Alfa-
beto Letterario», 1998.
46
Cfr. ancora G. Ricuperati, Apologia di un mestiere difficile. Problemi, in-
segnamenti e responsabilità della storia, Roma-Bari, Laterza, 2005. E mi sia con-
cesso rinviare anche a L. Curreri, La sfida di non farsi leggere. Appunti intorno a
«Tristano muore» (2004) di Tabucchi e «Alla cieca» (2005) di Magris, in Intel-
lettuali italiani del secondo Novecento, a cura di Angela Barwig e Thomas Stau-
der, Frankfurt/M., Verlag für deutsch-italienische Studien, «Themen der Italia-
nistik» (di prossima pubblicazione).
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e in seno a un panorama che tenterà comunque un’intersezio-
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47
Riccardo Chiaberge, Spender e l’indignazione selettiva, «Domenica»,
supplemento de «Il Sole-24 Ore», 80, 2004, p. 29.
48
L. Sciascia, Breve cronaca del regime, in Le parrocchie di Regalpetra, Bari,
Laterza, «Libri del tempo», 1956 e ora in apertura di Opere. 1956-1971 cit.,
[pp. 34-48], p. 43: «Bilbao Malaga Valencia; e poi Madrid, Madrid assediata».
Ma sulla Breve cronaca del regime ritorneremo verso la fine del secondo para-
grafo di questo capitolo.
49
Cfr. almeno, a proposito, Rémy Skoutelsky, L’espoir guidait leur pas: les
volontaires français dans les Brigades internationales 1936-1939, Paris, Grasset,
1998, e Giulia Canali, L’antifascismo italiano e la guerra civile spagnola, San Ce-
sario di Lecce, Manni, 2004; in particolare il capitolo secondo, L’intervento del
partito comunista, del partito socialista e del partito repubblicano: il Battaglione
Garibaldi e le Brigate internazionali, alle pp. 39-77.
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sta che si protrarrà al di là del 1939 e dei confini spagnoli, per
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50
La Milano di Vittorini e la Stalingrado di Neruda sono ricordate in tal
senso da Aldo Garosci, Gli intellettuali italiani e la guerra di Spagna, in Gli in-
tellettuali e la guerra di Spagna, Torino, Einaudi, 1959, [pp. 417-456], pp. 454-
455. Certo, pur in seno a diverse metamorfosi, Milano conserva anche una sua
identità, una sua autonoma presenza di città ferita, di cui è testimone, per
esempio, Fortini, in Guerra a Milano, del 1943, poi in apertura di Sere in Val-
dossola nel 1963, per cui cfr. Franco Fortini, Sere in Valdossola, Venezia, Marsi-
lio, 1985 (con Avvertenza 1985 alle pp. 3-5, Prefazione del 1963, alle pp. 7-15),
pp. 19-157; si leggano per esempio pp. 75-78, dove Milano è comunque para-
gonata, all’inizio del bombardamento e con la generazione dell’ARMIR, a Gò-
mel, città della Russia, luogo di scontri durissimi nella seconda guerra mondia-
le: « Questa volta entro nel rifugio. Fitti gli uomini intorno a me. Un sergente
batte i denti e tartaglia: “Come a Gòmel, come a Gòmel...”» (p. 75). Ma, al di
là del quadro urbano, cfr. Elio Bartolini, Il Ghebo (1946), Udine, La nuova ba-
se, 1970 e ora, con Introduzione di Raffaele Crovi, Roma, Avagliano, 2006, pp.
48-49: «[...] ma su al Comando avevano deciso di fare, di quelle montagne e di
quel gomito di Tagliamento, una nuova Madrid; la Pasionaria diceva proprio
così “Una nuova Madrid” [...] E dalla linea su cui erano disposti (la prima, per-
ché ne doveva venire una seconda, e poi una terza, fino alla “nuova Madrid”)
vedevano ardere nella notte quei paesi delle vallate».
51
José Carlos Mainer, Madridgrad ou le regard des autres, in Madrid 1936-
1939. Un peuple en résistance ou l’épopée ambiguë, a cura di Carlos Serrano, Pa-
ris, Autrement, «Mémoires», 1991, [pp. 102-122], pp. 115-116. Nello stesso
volume cfr. Émile Temine, Le mythe et la réalité, alle pp. 20-30; dello stesso cfr.
poi Du réel au légendaire in La guerre d’Espagne commence, Bruxelles, Complexe,
1986, pp. 101-140, e La guerre d’Espagne, un événement traumatique, Bruxelles,
Complexe, 1996, che offre ancora una riflessione sulle interpretazioni e rappre-
sentazioni della guerra civile spagnola.
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Madrid, Milano, Stalingrado. Ma anche Sciascia, Vittorini,
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Neruda. Tre scrittori. Ma anche tre uomini, tre farfalle 52. Ma-
drid-lume, Madrid sogno infuocato, incendiato, non vale solo
per l’urbe in sé, ma anche e soprattutto per gli uomini, per tutti
gli uomini che a quel lume, a quel sogno infuocato e dilatato
hanno sacrificato la loro esistenza, quasi fondendosi con la stessa
città ferita, divenendo parte integrante, fuori o dentro i suoi
confini, della sua storia, del suo essere, del suo divenire. Nel film
di Frédéric Rossif, Mourir à Madrid (1963), e in altri manifesti
di quel cinéma-vérité dedicato alla guerra civile di Spagna e alla
lotta per la libertà, la macchina da presa indugia sugli uomini
che si ammazzano ai bordi e nell’intestino di Madrid.
Una voce fuori campo investe tutta la battaglia, la battezza,
tra audiovisivo e scritto 53, e la consegna a noi; a tal punto che un
giovane narratore italiano pare averla ripresa recentemente, per
seguire gli ultimi « ribelli», i « perdenti ma non vinti» 54, dai
« bordi» della città – da quel « perimetro» su cui « spontanea-
mente» si dispone « la popolazione di Madrid » per « respingere i
primi assalti delle falangi» – ai confini della Spagna, verso l’esilio
(primo fra tutti quello francese, di cui si parlava poc’anzi).
52
Viene ancora in mente Hemingway ma stavolta per un racconto e un tono
che non si confanno troppo con le farfalle sciasciane. Penso a The Butterfly and the
Tank (1938), La farfalla e il carro armato in Storie della guerra di Spagna. La quin-
ta colonna, a cura di Vincenzo Mantovani, Milano, Mondadori, 1972 e « Oscar»,
1975, [pp. 73-82], p. 81: «“Senta” disse il direttore. “Com’è raro. L’allegria di
quest’uomo si scontra con la serietà della guerra come una farfalla...” “Oh, proprio
come una farfalla” dissi io. “Troppo come una farfalla.” “Non scherzo mica” disse
il direttore. “Vede ? Come una farfalla e un carro armato”».
53
Cfr. Frédéric Rossif, Madeleine Chapsal, Mourir à Madrid, Film de
Frédéric Rossif, Texte de Madeleine Chapsal, Paris, Seghers, 1963 e Verviers,
Gérard & C., «Bibliothèque Marabout Université», 1964, pp. 48-62. E cfr. il
recente DVD, Paris, Éditions Montparnasse, 2006.
54
Cfr. Pino Cacucci, Tina, Milano, Interno Giallo, 1991 e Milano, Tea
1995 e 2001, p. 145; P. Cacucci, Ribelli !, Milano, Feltrinelli, «Serie Bianca»,
2001 e «Universale Economica Feltrinelli», 2003, p. 10.
143
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E dai quei confini e da quei bordi si arriva comunque e
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55
Penso a Dario Biocca, Ignazio Silone. La doppia vita di un italiano, Mi-
lano, Rizzoli, 2005 e a Ralf Dahrendorf, Versuchungen der Unfreiheit, Mün-
chen, C. H. Beck, 2006, che boccia Arthur Koestler; ma cfr. Giuseppe Bede-
schi, Le pagelle di Lord Ralf, «Domenica», supplemento de «Il Sole-24 Ore»,
144, 2006, p. 27.
56
Cfr. Gianni Sofri, Introduzione all’edizione italiana di Arthur Koestler,
Schiuma della terra (1941), con Appendice di Leo Valiani, Bologna, il Mulino,
1989, [pp. IX-XXII], p. XVI.
57
Ivi, p. XXI. Sulla seguente e divertita presentazione che Koestler dà del-
le sue pagine autobiografiche, si veda il terzo capitolo della prima parte di Ar-
row in the Blue (1952).
144
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sa a ostacoli» 58, di cui ci parla l’autore nel 1965. Presa nella sua
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58
A. Koestler, Poscritto all’edizione danubiana (1965), in I gladiatori
(1939), Milano, Net, 2002, [pp. 313-316], p. 314.
59
Ivi, pp. 114-119.
60
Ivi, pp. 313-314.
145
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largati dalla loro simbolicità “a tutto campo”, quello del « mio
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61
Per cui si legga il capitolo terzo di questo volume.
62
A. Koestler, Poscritto all’edizione danubiana (1965) cit., p. 313.
146
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morte, titolo della seconda parte del libro del 1937, resa poi au-
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A. Koestler, Spanish Testament. With an Introduction by The Duchess
of Atholl, London, Gollancz, 1937, la cui Part I, alle pp. 15-204, conta nove
capitoli che danno conto dell’attività giornalistica di Koestler in Spagna come
corrispondente del «News Chronicle» fino all’arresto e alla condanna a morte
da parte dei Nazionalisti dopo la presa di Malaga del febbraio 1937 (Journey to
Rebel Headquarters, Historic Retrospect, The Outbreak, The Background, The
Church Militant, Propaganda, The Heroes of the Alcázar, Madrid, The Last Days
of Malaga), mentre la Part II, alle pp. 205-384, intitolata Dialogue with Death,
presenta un testo unico, seppur diviso in capitoli, di taglio autobiografico e più
propriamente letterario, narrativo, dedicato all’esperienza del carcere e all’attesa
dell’esecuzione, alla quale Koestler scampa. L’edizione italiana, Dialogo con la
morte, Milano, Bompiani, «Vinti e vincitori», 1947, affidata a Camillo Pellizzi,
che riporta soltanto il titolo della Part II, Dialogue with Death, non seguito da
altre indicazioni, deriva molto probabilmente dall’edizione americana, che pre-
senta solo la seconda parte di Spanish Testament in seno a una traduzione ma
senza precisare l’edizione (o il testo) di riferimento; cfr. A. Koestler, Dialogue
with Death, Translated by Trevor and Phyllis Blewitt, New York, Macmillan,
1942. Lo si deduce anche dal diverso e più breve Epilogue – con riferimento a
« an air battle over Teruel in the spring of 1938» – che l’edizione americana pre-
senta alla p. 215 e che corrisponde a quello presentato dall’edizione italiana alla
p. 271. E forse c’è di più. Nell’epilogo scompare anche il nome di Franco e i so-
pravvissuti « continuano ora i loro dialoghi con la morte in mezzo all’Apocalisse
europea» (p. 271). L’intenzione privata e letteraria – già manifesta nella Pre-
messa («Morire – anche al servizio di una causa impersonale – è sempre una
faccenda personale e intima»; p. 5) – è quella di fare apparire il testo come un
diario e un romanzo sulla morte, allontanandolo un po’ dal reportage e anche,
in un certo senso, dall’esperienza spagnola più cronachistica; ma forse vi è an-
che sottesa un’intenzione pubblica, editoriale e finanche “politica”, dovuta al
nuovo percorso che vuole la Spagna di Franco neutrale nella seconda guerra –
di cui firma solo « il preludio» (p. 271) – e tesa ad evadere, per esempio e im-
plicitamente, fatti come quello della divisione Azul in Russia, per cui cfr. il re-
cente Xavier Moreno Juliá, La division Azul. Sangre española en Rusia 1941-
1945, Barcelona, Critica, 2004. Ho precisato in nota questi dati anche perché
l’edizione italiana che continua a circolare è quella sopra citata, nella riproposta
che ne ha fatto Il Mulino di Bologna nel 1993, con la traduzione di Camillo
Pellizzi rivista da Pietro Petrignani, e perché spesso, nella nostra tradizione edi-
toriale e critica (ma anche in quella francese, per esempio), si confondono o si
identificano Spanish Testament e Dialogue with Death.
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così legate alla storia della Spagna (e dell’Italia), la Campania, il
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Noto libro a più voci, The God that Failed (1949 e 1950), da noi Mila-
no, Comunità, 1950; è il testo da cui parte R. Chiaberge, Spender e l’indignazio-
ne selettiva cit..
65
Vito Amoruso, Introduzione a Christopher Caudwell, Soggettivismo e
realismo. Saggio sulla letteratura borghese in Inghilterra (1970), Bari, De Dona-
to, 1971, [pp. 9-43], pp. 9-11. Christopher Caudwell ( pseudonimo di Chri-
stopher St. John Sprigg ), del 1907, della generazione di Auden, uno dei mag-
giori critici marxisti della prima metà del Novecento, morì nel 1937 durante la
difesa di Madrid. Romance and Realism, inedito fino al 1970, è scritto nel cuo-
re degli anni trenta, tra il dilagare del nazi-fascismo in Europa e la guerra civi-
le spagnola, e traccia, da Shakespeare a Hemingway, dagli Elisabettiani a Spen-
der, un quadro della cultura letteraria borghese tesa non a caso fra i due poli di
soggettivismo e realismo.
148
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del roman-péplum più messianico e apocalittico, catartico e spi-
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66
Cfr. Carlos Saura, Quella luce (2000), Torino, Einaudi, 2002.
67
Cfr. Raffaello Giovagnoli, Spartaco (1874), Prefazione di Luigi Russo,
Firenze, Parenti, «La Giraffa», 1955. Per gli antecedenti nostrani, la fortuna,
da Garibaldi a Gramsci, e i dintorni più immediati, ottocenteschi e italiani, si
legga Fabio Danelon, La narrativa dell’Ottocento. La caduta degli dèi, in Pietro
Gibellini (ed.), Il mito nella letteratura italiana, III, Dal Neoclassicimo al Deca-
dentismo, a cura di Raffaella Bertazzoli, Brescia, Morcelliana, 2003, [pp. 375-
414], pp. 381-383. Utile sarebbe inseguire la fortuna dello Spartaco di Giova-
gnoli e verificarne l’eventuale incidenza novecentesca in altre opere narrative
dedicate alla rivolta degli schiavi del 73-71 a.C., passando in rassegna i differen-
ti contesti storici in cui tale rivolta viene per così dire riattivata e risemantizzata,
dal difficile periodo post-unitario italiano alle esperienze sconvolgenti della
guerra civile spagnola e da Stalin e dalle « purghe» al generale Mac Arthur che
invade la Corea del Sud, fra, ancora e per esempio, Koestler, The Gladiators
(1939) e Howard Fast, Spartacus (1953), da cui è tratto il noto film di Stanley
Kubrick, del 1960, su cui cfr., per i nostri fini, il discorso di Laura Cotta Ramo-
sino, Luisa Cotta Ramosino, Cristiano Dognini, Tutto quello che sappiamo su
Roma l’abbiamo imparato a Hollywood, Milano, Bruno Mondadori, 2004, pp.
27-35 e 183-184. Ma si vedano anche e almeno Pier Paolo Fornaro, Trapassato
presente. L’appropriazione psicologica dell’antico attraverso la narrativa moderna,
Torino, Tirrenia Stampatori, 1989, pp. 93-94, 182-185, e su Koestler dello
stesso Fornaro, Impiccato da Weimar, «Alias», 30, 2001, p. 11, e su Fast Massi-
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Proprio perché, come dato narrativo (e non solo), la guerra
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civile spagnola è una vicenda “aperta”, una guerra non del tutto
finita – forse perché « lo decide chi vince, quando una guerra è
finita» 68 – ovvero un conflitto che dilata la sua durata oggettiva
in altre lotte, passate o future, è bene continuare a spendere
qualche parola su Leonardo Sciascia e L’antimonio, che forse
come racconto non del tutto finito, trova posto – è bene ripe-
terlo – nella seconda edizione de Gli zii di Sicilia, uscita sempre
da Einaudi, nel 1960, ma nei «Coralli» (la prima, nei «Getto-
ni», è del 1958).
Gli zii di Sicilia sono, suggerisce Ambroise, un’esemplare
raccolta di « componimenti di storia e d’invenzione» 69. Riasso-
lutizziamo per capirci: nell’Antimonio la storia è quella di un
minatore siciliano – uno dei tanti poveri italiani del Sud degli
anni Trenta – che per fame e anche e soprattutto per dispera-
zione parte volontario per la guerra di Spagna fra i legionari fa-
scisti; l’invenzione fa poi di quella storia un « testo chiave di
tutta l’opera sciasciana», finanche « una metafora della “voca-
zione letteraria”» 70.
Se solo per un momento, e tenendo a mente i limiti evi-
denziati nel primo capitolo, accogliamo l’intuizione critica di
Ambroise in senso metaletterario più che psicanalitico, potrem-
mo Raffaelli, Un cult U.S.A. sulla guerra servile, nel medesimo e ricco numero
monografico del supplemento settimanale de « il manifesto» dedicato a Roma
antica, una crisi moderna. La fortuna dello Spartaco di Giovagnoli non è poi tut-
ta racchiusa in contesti storico-letterari ma è rintracciabile anche in contesti sto-
rico-sportivi: è il caso dello Spartak di Mosca che si forma grazie al quartiere
operaio della Presnja ed esordisce nei primi anni Venti con il nome del gladiato-
re ribelle che i giocatori e i tifosi avevano conosciuto grazie al romanzo di Gio-
vagnoli. Cfr. Mario Alessandro Curletto, Spartak Mosca: storie di calcio e potere
nell’URSS di Stalin, Genova, Il Melangolo, 2005.
68
Cfr. Alessandro Baricco, Senza sangue, Milano, Rizzoli, 2002, p. 25.
69
C. Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia cit., p. 96.
70
Ivi, pp. 95 e 91. Ma si tenga presente quanto osservato, anche polemi-
camente, nel primo capitolo, specie in relazione a certe discendenze critiche di
questo discorso.
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mo tentare un raccordo fra una tradizione narrativa e una voca-
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71
Jorge Luis Borges, Storia del guerriero e della prigioniera, in L’Aleph (1952),
Milano, Feltrinelli, 1959 e «Universale», 1961 e 1998, [pp. 46-51], p. 47.
72
Cfr. ancora M. Onofri, Storia di Sciascia cit., e Stefano Jossa, L’Italia
letteraria, Bologna, il Mulino, 2006. Cfr. Andrea Cortellessa, Italia, entità lette-
raria a geometria variabile, «Alias», 24, 2006, p. 18.
73
Con tanto di excusatio petita anticipata per quanto di provvisorio si tro-
verà nella nostra “chiacchierata” e si dovrebbe forse trovare in ogni “chiacchie-
rata” che si rispetti, specie nelle sue battute finali, che vogliono concludere e
aprire al dialogo nello stesso tempo. Penso a Soldados de Salamina. Mancano
quaranta pagine alla fine quando, in una parentesi, leggiamo: « non si trova mai
quello che si cerca, ma ciò che la realtà ci fornisce» ( Javier Cercas, Soldati di Sa-
lamina (2001), Parma, Guanda, 2002, p. 165). Alla ricerca della guerra civile
151
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della letteratura e alla critica letteraria. Magari ricordando preli-
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Cercando di approdare all’oggi, noi ripartiremo invece da
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75
Maurizio Serra, Verso la Spagna, in L’esteta armato. Il Poeta-Condottiero
nell’Europa degli anni Trenta, Bologna, il Mulino, 1990, [pp. 121-146], pp.
127 e 135.
76
Ivi, p. 130.
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rarie e narrative solo nelle mani di scrittori « a tempo pieno»,
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77
G. Sofri, Introduzione all’edizione italiana di Arthur Koestler, Schiuma
della terra (1941) cit., p. XII: «Infine, Koestler tornò nella zona tenuta dal go-
verno per fondarvi un’agenzia di stampa internazionale. Ma, questa volta, le co-
se andarono male. La caduta di Malaga lo mise nelle mani dei franchisti. Passò
più di tre mesi in prigione, e venne condannato a morte. Fu salvato da una
campagna internazionale e da un deciso intervento del governo britannico. Alla
fine venne scambiato con un ostaggio, la bella moglie di un aviatore franchista.
Tornato, libero, in Inghilterra, nell’autunno del ’37 scrisse Spanish Testament: il
libro che rappresentò il suo debutto come narratore».
78
Un tratto, quest’ultimo, da non leggere tautologicamente in Spender
che, nato nel 1909, aveva poi solo – o già, considerati i tempi – ventisette anni,
quando principia la guerra civile spagnola. In effetti, il ricordo giovane di Spen-
der, ancorato a un vissuto storico problematico, muove al di là di certo fatali-
smo koestleriano, di certi approdi religiosi e metafisici di Auden, prodotti, en-
trambi, in fin dei conti, da un’accettazione più o meno rassegnata e sostanziale
dello statu quo. Nel « più ingenuamente mistificato» Stephen Spender « la spe-
ranza di una rivoluzione catartica e spirituale si riaccende ad accomunare la
contestazione giovanile a Praga e a Parigi». Cfr. ancora V. Amoruso, Introduzio-
ne a Christopher Caudwell, Soggettivismo e realismo. Saggio sulla letteratura bor-
ghese in Inghilterra cit., p. 11.
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macchina militare e dalla propaganda» 79; dall’altro il Congres-
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79
A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna cit., p. 254.
80
M. Serra, L’esteta armato. Il Poeta-Condottiero nell’Europa degli anni
Trenta cit., p. 135: «Bellissima, crudele espressione: e veramente la Spagna –
precedendo l’altro colpo terribile che fu il patto tedesco-sovietico – rappresentò
la fine dello « spoiled children’s party» protratto per quasi un decennio».
81
Goffredo Fofi, Le maschere dell’eroe, «Film-TV», 8, 2002, p. 114.
156
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troppo irrigidite in un « gioco» delle parti, fra tempo delle osti-
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82
Lettera che trovo citata in Giovanna Lombardo, Alla ricerca della legge-
rezza: il carteggio Sciascia-Linder (1963-1983), «Rivista di studi italiani» (Uni-
versity of Toronto), 1, 2003, [pp. 96-111], p. 101: «Caro Linder, La ringrazio
per le notizie che mi dà riguardo alle traduzioni olandese e spagnola. Per quel
che riguarda quest’ultima, ritengo che Gli zii siano da scartare per quel quarto
racconto (a meno che l’editore non abbia già pensato a eliminarlo, come del re-
sto hanno fatto con La morte di Stalin nei paesi comunisti: e in questo caso, i
tre racconti possono unirsi al Giorno della civetta)». Da cui si deduce che Leo-
nardo Sciascia prevedesse ancora una censura per L’antimonio in Spagna.
83
Camilo José Cela, Vísperas, festividad y octava de San Camilo del año
1936 en Madrid, Madrid-Barcelone, Ediciones Alfaguara, 1969. Ma cfr. José-
Carlos Mainer, «Por un pensamiento que a lo mejor es mentira»: la guerra civil en
la obra de Camilo José Cela, «Bulletin Hispanique», 1, 1992, [pp. 245-261],
pp. 250-255.
84
Antonio Soler, Il nome che ora dico (1999), Milano, Marco Tropea, 2003.
157
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so il cinquantesimo anniversario della guerra, si può parlare di
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85
Sul post-franchismo immediato e successivo, fra la transizione e il perio-
do che segue il 1982 cfr. Maryse Bertrand de Muñoz, La guerra civile spagnola
nel romanzo, nel teatro e nel cinema dopo la morte di Franco, in AA.VV., Immagi-
ni nemiche. La guerra civile spagnola e le sue rappresentazioni (1936-1939), Bo-
logna, Editrice Compositori, 1999, [pp. 150-167], p. 150. Ma della stessa è
giusto ricordare uno studio precursore, in un certo senso, delle indagini a tutto
campo poi attuate dall’autrice, compresa quella dedicata alla Spagna e sopra ci-
tata. Penso ovviamente a M. Bertrand de Muñoz, La guerre civile espagnole et la
littérature française, Paris-Montréal-Bruxelles, Didier, 1972 e poi La guerra civil
española y la literatura francesa, Edición española puesta al día, Sevilla, Alfar,
1995. Si vedano infine gli studi della stessa e di André Bénit raccolti nel ricco
Histoire de l’Espagne dans la littérature française, a cura di Mercè Boixareu et Ro-
bin Lefere, Paris, Champion, 2003, pp. 697-726 e 727-741.
86
Pietro Cavallo, La guerra di Spagna nel teatro del ventennio fascista, in La
Spagna degli anni ’30 di fronte all’Europa. Politica Storia Filosofia Letteratura
Radio Cinema Teatro, Atti del Convegno di Salerno, maggio 1998, a cura di
Francesco Saverio Festa e Rosa Maria Grillo, Roma, Antonio Pellicani Editore,
2001, [pp. 419-460], p. 424.
158
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politica sul paesaggio di guerra e sulla sua sublimazione lettera-
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87
A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna cit., p. 453.
159
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di un Hemingway. Tanto che per riprendere una chiave di let-
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88
Cfr. Luciano Curreri, Il Fuoco, i Libri, la Storia. Saggio su Cartagine in
fiamme (1906) di Emilio Salgari, in Emilio Salgari, Cartagine in fiamme, nell’edi-
zione in rivista del 1906, a cura di Luciano Curreri, Roma, Quiritta, 2001, pp.
315-403. Ma cfr. anche, per altri più o meno sotterranei legami col récit antiqui-
sant, L. Curreri, Il mito culturale di Cartagine nel primo Novecento tra letteratura e
cinema, in Cabiria & Cabiria, a cura di Silvio Alovisio e Alberto Barbera, Milano
– Torino, Il Castoro – Museo Nazionale del Cinema, 2006, [pp. 299-307], pp.
303-304 (e 306 per le relative note). Negli anni del consenso che sfuma col pro-
trarsi della guerra di Spagna e la sconfitta di Guadalajara del marzo 1937, che get-
ta un’ombra anche sull’impero, Scipione l’Africano di Gallone, nell’estate di
quell’anno, tra Roma e Venezia, vuole pure rincuorare gli animi.
89
E. Hemingway, By-line (1967), Milano, Mondadori, « Oscar-Scrittori
del Novecento», 1999, pp. 263-308.
90
Mimetismo che, al di là dei plagi, è una questione ancora aperta, con
una bibliografia ben diversa alle spalle, da Mérimée e Chateaubriand a Custine,
Dumas, Didier, alla Sand e soprattutto al Gautier del Voyage en Espagne (1843),
il capolavoro a cui attingere ma anche con cui misurarsi, trent’anni dopo, in un
contesto letterario davvero diverso. Cfr. Edmondo De Amicis, Spagna, Firenze,
Barbèra, 1873 e oggi Padova, Franco Muzzio Editore, 1993. Ma si veda almeno
Bianca Danna, Dal taccuino alla lanterna magica. De Amicis reporter e scrittore di
viaggi, Firenze, Olschki, 2000, [pp. 29-62], p. 32, e C. A. Madrignani, Una
« favola» spagnola in Edmondo De Amicis, Manuel Menendez, Palermo, Selle-
rio, 1991, pp. 9-33; si tratta di una novella tratta dalla II edizione accresciuta
delle Pagine sparse (1874), Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1876.
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al di là della copertina bianca della Casa per Edizioni popolari
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91
B. Bennassar, Mensonges extrêmes: «L’incendie» de Guernica et le « fascisme»
du POUM, in La guerre d’Espagne et ses lendemains cit., [pp. 331-334], pp. 331-332.
92
Paolo Sighinolfi, Madrid liberata ! in La Spagna in fiamme (Todo o na-
da), Sesto San Giovanni (Milano), Casa per Edizioni Popolari (Barion), 1936,
[pp. 245-250], p. 247. Ma cfr. B. Bennassar, La bataille de Madrid, in La guerre
d’Espagne et ses lendemains cit., [pp. 158-164], p. 158: «Lorsque s’engage, à la fin
du mois d’octobre 1936, la bataille de Madrid, l’initiative appartient aux troupes
nationalistes. Les milices et les fragments de l’armée régulière qui se battent pour
161
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Al di là di quest’epilogo, in anticipo di tre anni, Paolo Si-
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lungometraggio premiato nel 1940 alla Mostra cinematogra-
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ma, Ardita, 1938. Sulla vicenda dell’«Alcazar», poi, tra la fine anni Trenta e
inizio anni Quaranta, ritornano molti testi di parte, come, per esempio, quelli
di Valerio Pignatelli, I cadetti dell’Alcazar. Romanzo, Milano, Sonzogno 1937, e
di Alberto Bargelesi, L’epopea dell’Alcazar, Milano, Istituto di Propaganda Li-
braria, 1941. Ma si veda il prosieguo del discorso nel testo.
96
Cfr. Corrado Di Vanna, L’assedio dell’Alcazar. Un film de A. Genina,
«Revue belge du cinéma», 17, 1986, pp. 49-52.
163
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Vai al diavolo tu, l’anarchia, la coscienza individuale, i diritti
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97
Cfr. P. Cavallo, La guerra di Spagna nel teatro del ventennio fascista cit.,
p. 419.
98
«Per tal modo, col trionfo di Lepanto, sommersa la Mezzaluna, tornò a
risplendere sulle acque del Mediterraneo la Croce, e, con la Croce, la Civiltà
cristiana e latina dell’Italia e di Roma». Cfr. Emilio Garro, Il Mediterraneo in
fiamme, Torino, S.E.I., 1939 ma si cita dalla seconda edizione del 1941, p. 370.
99
Richard Wright, Spagna pagana (1957), Milano, Mondadori, 1962 e «I
Record », 1966, [pp. 306-369], p. 307: «Poiché ormai avevo la sensazione
profonda, la sicurezza addirittura, che la Spagna non era una nazione occidenta-
le, che cosa voleva dire, allora, essere occidentale ? (E la Repubblica ? La guerra
civile ? Gli anarchici ? Anche questi fatti, visti alla luce del carattere non occi-
dentale del paese che avevo visto, risultavano profondamente diversi e meno
importanti) [...] In Spagna non esisteva una vita laica, profana. La Spagna era
una nazione religiosa, uno stato sacro, sacro e irrazionale come lo Stato sacro
degli Akan nella giungla africana. Anche la prostituzione, la corruzione, l’eco-
nomia e la politica avevano qualcosa di sacro. In Spagna, tutto era religione»
(corsivi del testo).
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le conclusa, all’altro capo della cronologia che la delimita, ecco
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100
Emilio Garro, Il Mediterraneo in fiamme cit., pp. 359-370.
101
Cfr., a questo proposito, Giuditta Isotti Rosowsky, Introduzione a
Un’amicizia senza corpo. La corrispondenza Parisot-Savinio 1938-1952, Paler-
mo, Sellerio, 1999, [pp. 9-43], p. 19.
102
Renzo De Felice, La politica fascista nelle sabbie mobili spagnole, in Mus-
solini il duce. Lo stato totalitario 1936-1940, Torino, Einaudi, 1981 e «Tascabi-
li»,1996, [pp. 331-466], p. 376.
103
P. Sighinolfi, La Spagna in fiamme (Todo o nada) cit., p. 251.
104
E pubblicati dalle edizioni Aurora. Cfr. anche, significativamente, E.
Garro, Cento anni fa: azioni sceniche sulla vita di Don Bosco e sul Natale, Torino,
S.E.I., 1941.
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quelli in cui prende forma un intricato e complesso processo di
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105
Cfr. il ricco Cattolicesimo e totalitarismo. Chiese e culture religiose tra le
due guerre mondiali (Italia, Spagna, Francia), a cura di Daniele Menozzi e Re-
nato Moro, Brescia, Morcelliana, 2004, diviso in tre parti, dedicate rispettiva-
mente a Autorità, Nazione e Unità, tutte importanti (la prima, in specie, va vi-
sta per intero). In particolare si vedano per la prima Alfonso Botti, La Chiesa di
fronte a un regime autoritario. La dittatura di Primo de Rivera come « occasione
perduta», pp. 75-123, per la seconda Carmelo Adagio, Una liturgia per una na-
zione cattolica. La Chiesa spagnola e le letture provvidenzialiste della dittatura
(1923-1930), pp. 171-196, e per la terza Renato Moro, Il mito dell’impero in
Italia fra universalismo cristiano e totalitarismo, pp. 311-371.
106
Cfr. Olga Visentini, L’aquila lontana, Milano, Mondadori, 1935, per
cui si scorrano, al solito, le trionfalistiche pagine finali dell’ultimo capitolo, «Io
vedo il sole ! », pp. 187-194. La citazione è tratta da Antonio Faeti, Un tenebroso
affare. Scuola e romanzo in Italia, in Il romanzo, a cura di Franco Moretti, Volu-
me primo, La cultura del romanzo, Torino, Einaudi, 2001, [pp. 107-128], p.
123. Cfr. poi, sul libro fascista per l’infanzia, Adolfo Scotto Di Luzio, L’appro-
priazione imperfetta. Editori, biblioteche e libri per ragazzi durante il fascismo, Bo-
logna, Il Mulino, 1996, che attira l’attenzione sulla Visentini autrice di Libri e ra-
gazzi, Milano, Mondadori, 1936, e Scrittori per l’infanzia, ivi, 1943, e per l’aqui-
la (imperiale e dantesca), Simona Urso, L’aquila imperiale e il veltro dantesco. Il
fascismo come orizzonte messianico, in Cattolicesimo e totalitarismo. Chiese e culture
religiose tra le due guerre mondiali (Italia, Spagna, Francia) cit., pp. 247-274.
166
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Chiesa, sulle sue gerarchie – di Pane e vino, raccolte, vent’anni
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107
Cfr. Ignazio Silone, Vino e pane, Milano, Mondadori, 1955 e « Oscar»,
1981, pp. 23-52.
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letteraria e civile di Homage to Catalonia (1938) di Orwell – o
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Su cui torneremo nel terzo capitolo, in relazione a Tabucchi e a Sostie-
ne Pereira.
109
Cfr. M. Maffi, Postfazione a G. Orwell, Omaggio alla Catalogna cit., p.
255. Ma cfr. il prosieguo del discorso nel testo.
110
Per la parte nazionalista e italiana si pensi a quanto detto prima circa
L’assedio dell’Alcazar di Augusto Genina; per la parte repubblicana e francese, per
esempio, si consulti André Malraux, Espoir. Sierra de Teruel (1938-1939), Scéna-
rio du film, Texte bilingue, Introduction de François Trécourt, Note technique
de Noël Burch, Paris, Gallimard, «Folio», 1996. Si veda poi, per un quadro d’in-
sieme, Marcel Oms, La guerre d’Espagne au cinéma cit.. Ma cfr. almeno La guerre
d’Espagne vue par le cinéma, «Les Cahiers de la Cinématheque», 21, 1977 e La
guerre civile d’Espagne et le cinéma, «Revue belge du cinéma», 17, 1986.
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guerra e oltre. E basta pensare, a questo proposito, alla costruzio-
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111
Cfr. ancora A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna cit., che
tuttavia dedica un capitolo a Ramón Sender, alle pp. 160-178, anche se non ci-
ta nel testo e nella bibliografia (per cui cfr. p. 469) né la prima edizione messi-
cana del 1953 né la seconda americana del 1960 di quel Mosén Millán che sfu-
ma in un anonimato quasi sciasciano, almeno a livello del titolo, e diventa il Re-
quiem por un campesino español. Notevole l’attacco di Garosci, poi impegnato a
separare in Sender il reportage realistico dall’opera narrativa vera e propria, un
po’ a vantaggio, come si suggeriva sopra, della struttura del volume, con i poeti
a far la parte del leone, almeno inizialmente. Ma, ripeto, l’incipit è notevole e fa
pensare a Sciascia, specie per un paio di dati (il ritorno di Sender sulla guerra di
Spagna e l’evocazione di Azaña, cui Garosci dedica un capitolo, alle pp. 89-
109): «Ma la lenta tenacia e il modo cauto, quasi indiretto, con il quale lo scrit-
tore è ritornato sui temi della guerra spagnola, stanno a indicare un travaglio
più intenso, una fedeltà diversa e più fine, anche se non meno completa, ai mo-
tivi del suo esilio. Cosicché pensiamo che non per caso Sender ci abbia dato, in-
sieme con Azaña, la maggiore creazione nata sulle vicende della guerra civile».
Inoltre, il Requiem por un campesino español – che è il requiem per Paco, omag-
gio alla memoria eseguito dal prete Millán – nella sua forma di racconto, rac-
conto lungo, più che di romanzo, in contrasto con l’ampiezza – e talora con la
prolissità – di altre opere di Sender, risponde davvero bene a quelle righe di Ga-
rosci e a una sintesi, direi ancora, sciasciana, vicina, almeno in tal senso, alla te-
stualità “finita” de L’antimonio (1960), che non sarebbe male riproporre insie-
me al Requiem (1960) al pubblico italiano, in un volumetto che provasse a illu-
strarne i rispettivi approdi. E cfr. la breve ma intensa Préface di Hubert Nyssen,
Pour qui sonnait le glas, in Ramón Sender, Requiem pour un paysan espagnol,
Lecture de Bernard Lesfargues, Arles, Actes Sud, 1990, pp. 7-10.
112
Cfr. George Orwell, Omaggio alla Catalogna (1938), a cura di Riccar-
do Duranti, Milano, Mondadori, 2002, p. 2.
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peraltro consapevoli, come si è visto – sono i limiti che L’anti-
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Cfr. ancora V. Jankélévitch, L’ironie cit., pp. 9-19 e 129-143.
114
Fatte le debite differenze, maturate in seno ai tempi diversi che vedono
nascere i due testi, a mezzo secolo di distanza, fra il 1945 e il 1996, della Gua-
dalajara di Jovine non sappiamo nulla come non sappiamo nulla della Guernica
di Lucarelli, per cui cfr. Carlo Lucarelli, Guernica, Milano, Il Minotauro, 1996
e quanto ne dirà il terzo capitolo del presente volume. Ma in Jovine è l’urgenza
di altri dati, il Sud, la provincia, mentre in Lucarelli non emerge nessuna urgen-
za storica, storico-culturale, e il divertissement del polar, del noir, dispone in mo-
do disinvolto di un’atmosfera apocalittica rapidamente evocata con citazioni di
noti scrittori, personaggi dell’epoca, films e tant’altro.
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la sua assenza [...] ha fatto tante cose per lui», occupandosi del-
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Lui non sapeva bene che cosa era successo pochi giorni dopo a
Guadalajara; erano arrivati tanti carri armati che dovevano maci-
nare le ossa di tutti nemici.
Invece i soldati dell’altra parte erano saltati addosso come diavoli
sui primi carri con bottiglie di benzina e bombe a mano: i primi
carri s’erano fermati, poi erano scoppiate tante bombe intorno a
lui; uno aveva gridato: – Italiani, fratelli –; e Michele era morto.
Quando si svegliò era in una casa di campagna; gli parve di resu-
scitare; aveva la febbre altissima, era carico di bende e sentiva il
braccio morso da una muta di cani arrabbiati.
[...]
115
Francesco Jovine, Michele a Guadalajara in L’impero in provincia. Cro-
nache italiane dei tempi moderni, Roma, Einaudi, 1945 e Torino, Einaudi,
«Nuovi Coralli», 1981, [pp. 53-77], p. 75. Per una contestualizzazione genera-
le del racconto cfr. Giovanni Arpino, Lidia De Federicis, Il novecento. Antologia
della critica letteraria e dei narratori e poeti italiani, Torino, Petrini, 1971, pp.
258-275.
116
F. Jovine, Michele a Guadalajara cit., p. 74.
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Il primo a venirgli incontro è Angelo calzolaio che gli batte sulla
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117
Ivi, pp. 75-77.
118
E. Hemingway, Per chi suona la campana cit., p. 95.
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In Jovine, invece, l’oscillazione un po’ ambigua che è nella
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119
Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana, Roma, Gremese, 1990, [pp.
43-46], p. 45. Da ricordare subito, almeno in nota, che Zampa fu forse il solo –
in sodalizio con Brancati – a dipingere, fin dagli anni Quaranta, la continuità tra
regime fascista e regime democristiano. Pensiamo ovviamente al dittico di Anni
difficili (1948) e Anni facili (1953), che richiameremo nel testo fra breve.
120
M. Coco, Jovine, Sciascia e la guerra di Spagna cit.
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Nella carrozza stipata di giovani richiamati alle armi, due signori
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col distintivo del partito parlavano della guerra. Gli altri viaggia-
tori tacevano e ascoltavano.
«Con l’invenzione di cui dispone il nostro esercito, vedrai che la
nuova guerra d’Africa finirà in pochi giorni» diceva uno. «Il “rag-
gio della morte” carbonizzerà il nemico.»
Egli si soffiò a piene gote sulla palma di una mano come per di-
sperdere della polvere, intendendo: sarà dispersò così.
«Hai letto che i richiamati di Avezzano saranno oggi benedetti dal
vescovo ?» disse l’altro. «Capirai, il “raggio della morte” aprirà la
via anche ai missionari» [...]
Anche il paesaggio aveva messo l’uniforme. [...] Il borgo pareva
irriconoscibile sotto una decorazione multicolore di ordini di
adunata, di festoni, di bandiere, di iscrizioni sui muri [...] Un
gruppo di uomini col distintivo, già rauchi per il troppo parlare,
discutevano attorno a un tavolo sui particolari della dimostrazio-
ne spontanea che doveva aver luogo nel pomeriggio. Vi si doveva
assicurare, con precauzioni rigide e severe, la partecipazione entu-
siastica di tutta la popolazione di Fossa e dei dintorni.
[...] L’impiegato dell’ufficio del registro, don Genesio, dopo aver
scorso le liste delle domande di arruolamento volontario, aveva
esclamato:
« Questa sarà la guerra dei protestati» 121.
121
I. Silone, Vino e pane cit., pp. 272, 273-274, 275; ma si legga tutto il
capitolo XX, alle pp. 272-292.
174
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re 122, vanificando certe previsioni spagnole di un anno prima,
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In Italia, già nel 1936, le vie del fascismo finiscono per ap-
parire “infinite”. La “fede” degli italiani è messa a dura prova.
Politica e geografia si intrecciano dall’Africa meridionale all’Ita-
lia del Sud, dall’impero alla provincia, e poi da Melilla, dalla fa-
scia magrebina, alla Spagna. Unità italiane vi giungono soltanto
verso la fine del 1936, ma ad esse fanno seguito i contingenti
dei disoccupati volontari e dopo, ancora, quelli nati dal recluta-
mento occulto; in virtù del quale ai poveri disoccupati è fatto
credere di partire per l’Etiopia, dalla quale molte famiglie, tra
l’altro, ormai sazie di eroismi e di battaglie, aspettano, nella
lunga estate del 1936, il ritorno del reduce.
122
Ma si rinvia fin d’ora a un documento dell’epoca, di grande interesse, e
riproposto di recente, ovvero a Camillo Berneri, Mussolini alla conquista delle
Baleari (1937-1938), Prefazione di Claudio Venza, Postfazione editoriale di
Giuseppe Galzerano, Casalvelino Scalo (Salerno), Galzerano, 2002. Sull’autore
cfr. Carlo De Maria, Camillo Berneri. Tra anarchismo e liberalismo, Milano, An-
geli, 2004; in particolare cfr. le rapide annotazioni sull’Esilio, pp. 153-157. Sul
Mediterraneo conteso cfr. anche il già evocato L. Palacio, 1936: La Maldonne
Espagnole. Ou la guerre d’Espagne comme répétition générale du deuxième conflit
mondial cit., pp. 223-303.
123
Cfr. ancora Jean-François Berdah, L’Espagne au cœur des tensions eu-
ropéennes, in La démocratie assassinée. La République espagnole et les grandes puis-
sances 1931-1939 cit., pp. 105-204; in particolare pp. 155-169, dedicate a Du
réarmement allemand au conflit italo-éthiopien (1935-1936), con citazione da p.
164 e p. 200.
175
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C’è di che ridere se non ci fosse da piangere; e ridere non
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124
Cfr. ancora V. Jankélévitch, L’ironie cit., p. 9: « le rieur bien souvent ne
se dépêche de rire que pour n’avoir pas à pleurer».
176
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La realtà del paese sporco e diroccato, poi, matura piutto-
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125
V. Jankélévitch, L’ironie cit., pp. 10 e 9.
126
Mi riferisco a Giovannino Guareschi, Mondo piccolo. Don Camillo, Mi-
lano, Rizzoli, 1948 (e, più indietro, a Piccolo mondo antico e Piccolo mondo mo-
derno di Fogazzaro), e poi a Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino,
Einaudi, 1947 e, con importante prefazione dell’autore, 1964, e al film La terra
trema (1948) di Luchino Visconti, che è della stessa generazione del padre di
Don Camillo.
177
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deviante (per quanto nobile), della commedia all’italiana. Il suo
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127
C. Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia cit., p. 95.
178
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avrebbe forse perdonato a se stesso di correre inavvertitamente
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lo stesso rischio.
128
Cfr. M. Maffi, Postfazione a G. Orwell, Omaggio alla Catalogna cit., p.
255, che rinvia, per l’« appuntamento etico» a Romolo Runcini, Illusione e pau-
ra nel mondo borghese da Dickens a Orwell, Bari, Laterza, 1968, p. 332.
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è? La nostra Pasionaria? ” [...] ma su al Comando avevano deci-
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129
Cfr. ancora E. Bartolini, Il Ghebo cit., pp. 26-27 e 48.
130
Gianni Venturi, Cesare Pavese, Firenze, La Nuova Italia, «Il Castoro»,
1975, [pp. 91-96], pp. 93 e 91.
131
Ivi, p. 93.
180
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zioni individuali, per faticose scoperte di verità, tutta auto-edu-
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132
E. Vittorini, Diario in pubblico cit., pp. 212-213.
133
Italo Calvino, Sono stato stalinista anch’io ? cit., p. 199.
134
Cesare Pavese, Il compagno, Torino, Einaudi, 1947 e, con Nota intro-
duttiva di Marco Forti, Milano, Mondadori, « Oscar», 1981, [pp. 151-157],
pp. 152-153. La battuta finale, sullo sport, trova poi, al di là del luogo comune,
un dato storico che val forse la pena di richiamare in nota, ovvero il fatto che
l’Italia vince i due mondiali di calcio – quasi lo sport per antonomasia nel no-
stro paese, all’epoca insieme al ciclismo, oggi in assoluto – dell’avant-guerre, nel
1934 e nel 1938; con Mussolini che non perde certo l’occasione per favorire,
anche illecitamente, tali vittorie e per fare propaganda, cogliendo nel segno, al-
meno per « i più giovani», e forse pure con lo scopo di far dimenticare le sabbie
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Frammenti, si diceva. Frammenti significativi di quelli che
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Zio e nipote rimasero soli [...]. «Il mondo è brutto ! » disse Erme-
negildo [...] «Il mondo è proprio brutto !...» Ma s’interruppe per-
ché l’altro seguitava a stare con gli occhi chiusi.
«Io non dormo» disse Antonio, senz’aprire gli occhi. «Ti ascolto
anzi con piacere. Raccontami dove sei stato ! »
«Dove sono stato ? Eh! Sono stato dove non avrei mai dovuto an-
dare ! Sono stato in Ispagna, malanuova di me, e ho conosciuto
chi sono i miei contemporanei e gli uomini in generale... Sono
mobili spagnole, che nel 1938, nell’estate del 1938, con l’offensiva repubblica-
na sull’Ebro, appaiono ancora tali.
135
C. Pavese, Il mestiere di vivere 1935-1950, Torino, Einaudi, 1952 e
Nuova edizione condotta sull’autografo, a cura di Marziano Guglielminetti e
Laura Nay, 1990, p. 375.
182
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bruttissimi, Antonio mio, e per quanto vuoi bene a tua madre,
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quegli esseri infami ? Perdio, chi me l’ha fatto fare ? Volevo capire
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chi di loro avesse ragione e chi torto, e ho capito solo che sono
tutti terrificanti ! Bel guadagno ne ho ricavato, da questo viaggio
all’estero ! Bel guadagno davvero ! Prosit! Complimenti !... Per for-
tuna il mio cuore si è ingrossato, i miei polmoni sono compressi,
e tutto fa presagire che l’anno prossimo i mortaretti della festa di
sant’Agata ve li sentirete senza di me.»
«Ma zio, che dici ? Sono sicuro che sarai tu ad accompagnare al ci-
mitero tutti noi ! » mormorò Antonio, sempre con gli occhi chiusi.
« No, non mi levare quest’unico conforto ! Per addormentarmi, la
sera, ho bisogno di pensare che la morte è seduta al mio capezzale.
È l’unico pensiero che mi dia un po’ di calma. Fuori di lui, trovo
agitazione, spavento, insonnia e sudori freddi. No, Antonio, è
proprio così. Per mia fortuna fra pochi mesi le rivoluzioni non mi
potranno fare più nulla, e le reazioni nemmeno. Fascismo, comu-
nismo... mi lasciano ormai tranquillo. Vinca l’uno o l’altro, nes-
suno di questi prepotenti potrà farmi più nulla, levandomi il pane
o l’aria; nessuno riuscirà più a strapparmi dalle viscere quell’urlo
che tante volte, a casa mia, provando solo solo davanti allo spec-
chio ho cercato d’imitare, quasi per confortarmi col pensiero
ch ’esso sia nelle capacità umane, cercato, sì, ma sempre inutil-
mente, e da ciò ho misurato quanto debba essere bestiale la soffe-
renza che lo insegna così di botto a un essere umano ! ».
Antonio riaprì gli occhi, innamorato teneramente di quell’uomo
così addolcito dal desiderio di morire 136.
136
Si cita dal capitolo VIII di V. Brancati, Il bell’Antonio, Milano, Bom-
piani, 1949 e, con un nota di Leonardo Sciascia, Milano, Mondadori, « Oscar
Classici Moderni», 2001, [pp. 130-151], pp. 135-138.
184
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catiano, ovvero, come suggerisce Giulio Ferroni, la « sensuale
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utopia della passività, del rien faire, della gratuita vita che in se
stessa scorre» 137. Alla fine del lungo, splendido passo, il nipote
apre gli occhi e i due poli si toccano e si identificano nel « desi-
derio di morire» che addolcisce la rappresentazione e la denun-
cia della follia del secolo e fa « innamorare» il giovane del vec-
chio, evadendo in fin dei conti, ancora una volta, la trasmissione
generazionale – ché è la brutale, bestiale e diretta lezione della
sofferenza a insegnare l’urlo « così di botto a un essere umano» –
e il dato della guerra civile; poi assimilato e riassunto, insieme al
resto, nella parabola dell’impotenza di Antonio, che è anche,
volendo, una passiva e illuminata alternativa alle « fantasie viri-
li» 138 della guerra, del guerriero fascista e del guerriero tout
court, di una parte e dell’altra.
137
G. Ferroni, Vitaliano Brancati e le illusioni di un secolo «superbo e scioc-
co» cit., [pp. 129-142], p. 141.
138
Cfr. Klaus Theweleit, Fantasie virili (1977 e 1985), Milano, Il Saggia-
tore, 1997. E cfr. anche, per problematiche contiguità da discutere, Lorenzo
Benadussi, Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario
fascista, Milano, Feltrinelli, 2005 e Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio,
La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista, Roma, Donzelli, 2006.
139
Prima sono le « pagine di vagabondaggio» di Carlo Linati, ancora rap-
presentativo di altra generazione (1878-1949) e in genere di altra ricezione o,
potremmo dire meglio, di una ricezione (non solo italiana) che sta mutando tra
la seconda metà degli anni Venti – l’apogeo della moda di una Spagna genuina,
profonda, romantica e pittoresca, con, per esempio, l’« interpretazione lirica di
Waldo Frank», Virgin Spain (1926) – e la prima metà degli anni Trenta, dove
la Storia più recente si insinua anche nei volumi più ingenui e libreschi, per cui
si scorra almeno l’Avant-propos (e i testi che lo seguono) di Élise Champagne,
Randonnée Espagnole, Bruxelles, Les Éditions de Belgique, 1937, p. 5: «Ce
voyage date de 1934, quelques jours avant les premiers troubles, signes avant-
coureurs de la tragédie actuelle. Déjà, Barcelone était en état de siège. Mais
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l’intérieur du pays était calme sinon heureux. [...] Nous eûmes souvent l’âme
déchirée en relisant les notations lyriques de notre livre de bord, pendant que
les communiqués de la guerre civile nous apportaient des nouvelles à pleurer».
Ma si confronti con Carlo Linati, Un po’ di vecchia Spagna (1934), in A vento e
sole. Pagine di vagabondaggio, Torino, Società Subalpina Editrice, 1939 e ora
Roma, Biblioteca del Vascello, 1992, pp. 11-27; cfr. in particolare, alle pp. 12-
15, quella Serata madrilena che si apre narrativamente « ai primi di settembre
del ’34» con « lo sciopero generale a Madrid » e prosegue con notazioni come
queste: «La Spagna attraversava in quei giorni ore di quiete paurosa: comincia-
vano a delinearsi per tutta la sua vita quei prodromi febbrili che sarebbero scop-
piati poi nelle sanguinose sommosse dell’ottobre. Passeggiando per le sue città
si aveva già fin d’allora la sensazione dell’avanzarsi del disordine. [...] Barcellona
[...] Madrid [...] L’aria era piena di elettricità e come di un tragico senso d’ag-
guati»; «Il male si è che non v’è terra come la Spagna dove parole e gesti sien
più capaci di produrre sangue ! » (citazioni da pp. 12-13). Qui i titoli leggeri e
ancorati al passato cominciano a fare a pugni con la materia che agita la peniso-
la pentagonale, potremmo dire con Praz, autore di un libro che rivede già in se-
no alla seconda metà degli anni Venti la vecchia, romantica Spagna. Penso, per
l’appunto, a Mario Praz, Penisola pentagonale, Milano, Alpes, 1928 – ma la ver-
sione inglese titola Unromantic Spain, London – New York, Knopf, 1929 – e
oggi, con Prefazione di Goffredo Fofi e Avvertenza (1954) dell’autore, Torino,
E.D.T., 1992; autore che paga comunque e ancora – e forse proprio perché cer-
ti episodi, molto influenti per l’immagine del paese, sono di là da venire, nono-
stante l’esotismo prima, la retorica dei vinti e il conservatorismo dittatoriale
poi, assicurino significative sopravvivenze, come si è cercato di mettere in luce
nella prima parte di questo capitolo – un suo tributo al pittoresco, secondo
quanto suggerisce onestamente la stessa Avvertenza, [pp. XIII-XVI], p. XV:
«Partito col proposito di sgonfiare la leggenda del pittoresco spagnolo, il mio li-
bro mi appare oggi un libro pittoresco [...] Penisola pentagonale pare oggi riesu-
mabile a molti, sebbene tanto debba essere cambiato in Spagna dopo il 1926
[ovvero l’anno del peregrinare praziano]». Nella seconda metà degli anni Tren-
ta, « les premiers troubles» di Elise Champagne e i « prodromi febbrili» di Carlo
Linati, ormai tragicamente evolutisi, dovrebbero essere l’oggetto della quête, ma
si cerca invece, nella calma apparente che precede il conflitto, di ignorarli, ritor-
nando a contattare il passato, la cultura, il folclore spagnoli; anche se poi si fan-
no scivolare nei testi alcuni episodi che finiscono per evidenziare prese di posi-
zione facilmente decifrabili, “di parte”. In questa prospettiva, fra gli scritti di
viaggio in Spagna ancor più tesi – e faziosamente tesi – a registrare il disordine,
in un reportage che ha ormai sotto gli occhi la guerra civile ma che, almeno in
apparenza, non ne vuole parlare, salvo poi evocarla come « un’epopea straziante
e gloriosa» che sembra trarre origine soltanto dall’assassinio di Calvo Sotelo,
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leader della destra monarchica, e della quale, nel prosieguo del testo, paiono so-
lo responsabili personaggi come Azaña e Caballero (responsabili, semmai, come
primi governanti della Repubblica, di un biennio « alla giacobina», fra aprile
1931 e aprile 1933, oltre che, in modo diverso, della « rivoluzione d’ottobre»
del 1934 e di certe conseguenze della stessa fino in seno alla guerra civile), si ve-
da quello di un altro autore dimenticato della stessa generazione di Linati,
all’incirca (1887-1957), ovvero Mario Puccini, Amore di Spagna. Taccuino di
viaggio, Milano, Ceschina, 1938, ma explicit giugno 1936, con uscita, pare, a fi-
ne 1937, e stesura a partire da un viaggio fatto in tre momenti, l’ultimo dei
quali, all’altezza del maggio-giugno 1936, è a ridosso dei tragici eventi spagnoli,
di cui danno già conto le rapide e più tarde pagine introduttive: «Ancora un li-
bro sulla Spagna ? Ma non vorrei essere frainteso; la Spagna della guerra civile,
la Spagna che tutte le mattine, più o meno brevemente, più o meno intensa-
mente, ci racconta i momenti e i passaggi del suo tragico travaglio, non è in
questo libro. Vicino da più che vent’anni alla storia, allo spirito, all’arte, agli uo-
mini di questo paese, io ho voluto piuttosto rimontare il corso dei miei incon-
tri, delle mie esperienze, dei miei contatti: che cosa è stata ieri la Spagna e per-
ché oggi essa soffre la sua epopea straziante e gloriosa ? [...] Tre volte sono stato
in Ispagna; e l’ultima proprio alla vigilia della guerra civile: ero a Madrid nel
maggio del ’36, ero a Barcellona, a Bilbao e a San Sebastiano, nelle prime setti-
mane del giugno. E non ho visto unicamente città, paesi e villaggi nel ’36, poco
prima che l’assassinio di Calvo Sotelo fosse consumato; ho visto ed avvicinato
anche uomini politici e scrittori, uomini del popolo e della borghesia. [...] Ma
io ho sempre cercato di leggere oltre gli atti ed oltre le parole; me lo permetteva
la conoscenza della letteratura di ieri, me lo permetteva la conoscenza e la con-
suetudine con quella di oggi. Perché, pare impossibile, ma la storia d’un popolo
è quasi sempre lievitata e modellata dalla sua letteratura» (pp. 7-9). Per Azaña e
Largo Caballero si leggano poi le pp. 150-155 e 156-160. Per l’affiorare della
guerra e dei suoi immediati dintorni politici, ideologici, culturali (più che lette-
rari tout court), in un testo che, ripetiamolo, non vorrebbe parlarne, cfr. poi le
pp. 19-20, 27-29, 40-49, 76-79, quasi tutto il capitolo su Madrid, pp. 101-
189, e ancora pp. 196-200, 220-228, 242-247, 289-295, 304-308, 317-322,
330-335, 343-347, 357-367, 368-373. Per Puccini cfr. poi Roberto Pirani, Bi-
bliografia di Mario Puccini, con la collaborazione di Monica Mare e Maria Gra-
zia De Antoni, Senigallia e Ostra Vetere (AN), Fondazione Rosellini per la let-
teratura popolare, 2002. Per Azaña, Largo Caballero, il loro governo « alla gia-
cobina», il 1934, la sua scia e per l’assassinio di Calvo Sotelo – quasi un ‘Mat-
teotti’ della destra spagnola – che è « comunque solo l’acceleratore di una rispo-
sta reazionaria che era in gestazione da tempo», cfr. ancora G. Ranzato, L’eclissi
della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini 1931-1939 cit., pp.
XII-XV, XVII-XVIII, 115-150, 209-249 e 264-268 (citazione da p. 265).
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difficile rintracciare potenziali origini e corrispettivi eventuali
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Cfr. ancora i saggi di G. Ferroni, Vitaliano Brancati e le illusioni di un
secolo «superbo e sciocco» cit., e di C. Ambroise, Sciascia e la rivolta cit.
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gli « astratti furori» che aprono Conversazione in Sicilia, princi-
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Cfr. l’Appendice, La rivoluzione spagnola. A Malaga ce l’hanno con l’In-
ghilterra, in E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, illustrazioni di Renato Guttu-
so, introduzione e note di Giovanni Falaschi, nota di Sergio Pautasso, Milano,
Rizzoli, 1986 e «B.U.R.», 1988, pp. 345-353, comprendenti una Nota al testo
dove G. Falaschi, alle pp. 345-348, offre le notizie concernenti la pubblicazione
in Elio Vittorini: lettere al «Bargello» (con un inedito sulla guerra di Spagna),
«Inventario», 13, 1985 (inedito poi riprodotto da S. Pautasso nel «Corriere
della Sera» del 12 febbraio 1986). Ma cfr. anche Giorgio Luti, Le parole e il
tempo. Paragrafi di storia letteraria del Novecento, Firenze, Vallecchi, 1987, pp.
104-110, che rinvia alle lettere e all’inedito raccolti da Falaschi e ai lavori di An-
na Panicali, Il primo Vittorini, Milano, Celuc, 1974 e Il romanzo del lavoro,
Lecce, Milella, 1982. Ma cfr. anche Alba Andreini, La ragione letteraria. Saggio
sul giovane Vittorini, Pisa, Nistri-Lischi, 1979.
142
Cfr. El Gringo, La rivoluzione spagnola cit., p. 349.
143
Ivi, p. 350.
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Ma dei « difensori rossi», subito dopo, Vittorini finisce per
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Ivi, p. 351. E cfr. una lettera di Vittorini a Silvio Guarnieri del 25 lu-
glio 1936 in E. Vittorini, I libri, la città, il mondo. Lettere 1933-1943, a cura di
Carlo Minoia, Torino, Einaudi, 1985, [pp. 58-59], p. 58: «Come non si sente
entusiasmo per questi operai che vengono fuori dalle officine a difendere la loro
speranza ?» (corsivo del testo).
145
El Gringo, La rivoluzione spagnola cit., p. 352.
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E qui Elio Vittorini, sfumando, nei due brevi paragrafi fi-
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Si scorra almeno l’Indice, a p. 207, di Antonio G. Quattrini, Nino
Verestin, Come l’Inghilterra s’impadronì del mondo, Roma, AEQUA (Anonima
Edizioni Quattrini ), 1936, con i sei capitoli dedicati a Sfumature della storia
d’Inghilterra, Il primo pasto: l’America, Il secondo pasto: le Indie, il terzo pasto:
l’Australia deserto inglese, Il quarto pasto: l’Africa e Un pasto... mancato: l’Etio-
pia, alle pp. 189-205, con epigrafe tratta da All’Inghilterra di Vincenzo Monti,
« fucina di delitti», e una riga di conclusione seguita da un Nota bene: « Un
mondo sta per crollare sotto la spinta delle legioni romane.... N. B. – Gli au-
tori si impegnano formalmente di completare quest’ultimo periodo fra tre
mesi» ( p. 205).
147
Cfr. ancora El Gringo, La rivoluzione spagnola cit., pp. 352-353.
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Sicilia (articolo e immagine corredano entrambi, non a caso, le
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A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna cit., pp. 454-455. Ma
forse quel « tipico affermare per epigrammi» è figlio dell’epoca ed evade l’opera
di Elio Vittorini, che, con Conversazione, pur fra « esibizioni di inutile ferocia
nelle ellissi» e « l’oscurità di certi simboli», sembra davvero sposare in anticipo
la realtà del suo tempo. Penso ancora a F. Fortini, Guerra a Milano (1943), in
Sere in Valdossola cit., pp. 35-36 e 80-83: «Giovedi 29 [luglio 1943] Milano ha
vissuto grandi giornate di esaltazione. Lo vedo sui visi della gente, lo ascolto
nelle conversazioni [...] Senti dappertutto una intelligenza coraggiosa, come se
l’aria della grande città avesse preservata questa popolazione dal torpore del re-
sto d’Italia. Le piccole operaie in grembiule nero, i negozianti seduti sulle porte
delle bettole, le ostesse al banco delle bibite, tutti parlano in questi giorni con
una libertà epigrammatica che avevo creduto fosse esistita solo nella Parigi dei
ricordi letterari»; «Giovedi 12 [agosto 1943] Sono riuscito a trovare Elio Vitto-
rini. So che è uscito di prigione pochi giorni fa [...] Mi hanno detto che è co-
munista. E per quanto sappia che lavora nel partito e che nulla ha da fare con
certi comunisti dilettanti e sentimentali, pure penso che anche per lui comuni-
smo sia la formula nella quale chiudere l’esigenza di resurrezione e riscatto che
fa la forza del poeta e dello scrittore. [...] non potrò mai credere alla verità una
volta per tutte, non so rinunciare alla mia verità e ai miei errori. Ma so che an-
che Vittorini è così. Parliamo del suo libro, che tanto meritato successo ha avu-
to in Italia e all’estero: Conversazione in Sicilia. Un libro del quale mi riesce dif-
ficile, con lui, parlare in termini di critica. Gli accenno qualche obiezione: esi-
bizioni di inutile ferocia nelle ellissi; una volontà qua e là troppo esplicita, che
forza la scrittura; l’eccessiva e caduca facilità di certi effetti, l’oscurità di certi
simboli. Secondo me, è un libro molto importante, seppure non compiuto e
non armonizzato. [...] Questo so, e non mi riesce esprimerlo: che in alcune pa-
gine di quel libro è detta con fatica e pena qualcosa che per me è vera. Credo sia
tutta questa, la ricompensa di un autore. Non riesco a comprendere che cosa vi
abbia a che fare il comunismo. E probabilmente non c’entra.» Forse, per certi
versi, il migliore intervento ‘non critico’ su Conversazione in Sicilia.
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Antonio Delfini in rapporto al conflitto spagnolo: fra Conversa-
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tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne; ma mi agitavo entro
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E. Vittorini, Conversazione in Sicilia cit., pp. 131 e 133 (a p. 132 è l’il-
lustrazione citata di Renato Guttuso); ma cfr. anche pp. 249-250 e pp. 309-
336, relative alla Parte quinta, in cui il protagonista ‘parla’ col fratello morto in
guerra e poi ne discute con la madre.
150
E. Vittorini, Nome e lagrime, Firenze, Parenti, 1941. Il volume esce il 1
marzo del 1941 e la recensione di Pintor è nel numero del 15 aprile – 15 maggio
di «Prospettive», 16-17, 1941 e poi, come L’allegoria del sentimento, in Giaime
Pintor, Il sangue d’Europa (1939-1943), a cura di Valentino Gerratana, Torino,
Einaudi, «Saggi», 1950, pp. 155-158 e «NUE», 1965; ma si cita da «NUE
Nuova Serie», 1975 e 1977, [pp. 95-98], p. 97. Fra le primissime recensioni a
Nome e lagrime attente al dato degli « astratti furori» è quella di O. Macrí, Lettu-
re II, «Vedetta Mediterranea», 2, 1941 (31-3-1941), e poi come L’« astratto fu-
rore» di Elio Vittorini, in O. Macrí, Caratteri e figure della poesia italiana contem-
poranea, Firenze, Vallecchi, 1956, pp. 343-348. Ma oggi, per una cronologia de-
gli astratti furori e una loro collocazione in rapporto alla guerra di Spagna e
all’opera di Vittorini, da Il garofano rosso a Conversazione in Sicilia e fino all’ap-
prodo del Diario in pubblico, cfr. almeno il secondo e terzo capitolo di Raffaella
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Credo sia ancora il modo migliore per leggere Conversazio-
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Rodondi, Il presente vince sempre. Tre studi su Vittorini, Palermo, Sellerio, 1985,
pp. 164-222 (specie l’ultimo paragrafo dedicato a I barlumi degli « astratti furo-
ri», alle pp. 211-222) e 223-336. A livello biografico, intorno al progetto vittori-
niano di recarsi in Spagna – via Parigi – con Pratolini, per combattere contro i
franchisti, cfr. Raffaele Crovi, Il lungo viaggio di Vittorini. Una biografia critica,
Venezia, Marsilio, 1998, [pp. 137-171], pp. 147-151, 156-159, 161, 167-169,
che rinvia soprattutto a Romano Bilenchi, Vittorini a Firenze, in Elio Vittorini,
numero speciale de «Il Ponte», 7-8, 1973, pp. 1085-1131 e ora in R. Bilenchi,
Opere, Prefazione di Mario Luzi, a cura di Benedetta Centovalli, Massimo De-
paoli, Cristina Nesi, Milano, Rizzoli, 1997, pp. 788-831.
151
Vittorio Spinazzola, Un aquilone sulla Sicilia, in Itaca, addio, Milano, il
Saggiatore, 2001, [pp. 39-88], p. 46.
152
Ivi, pp. 46-50.
195
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di Vittorini è già quella dei « ragazzi affamati con fame anche di
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153
E. Vittorini, Diario in pubblico cit., p. 212. E cfr. la recente riproposi-
zione di una partecipe recensione di Raffaele Crovi apparsa in «Stato Democra-
tico», il 5 novembre 1957, come cuore di un volume dello stesso, Vittorini ca-
valcava la tigre. Ricordi, saggi e polemiche sullo scrittore siciliano, Roma, Avaglia-
no, 2006, pp. 73-77.
154
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 230.
155
O. Macrí, L’« astratto furore» di Elio Vittorini (1941), in O. Macrí, Ca-
ratteri e figure della poesia italiana contemporanea cit., pp. 347 (e 345).
156
Antonio Delfini, Il ricordo della Basca, Firenze, Parenti, 1938.
157
Giuseppe Marchetti, Delfini, Firenze, La Nuova Italia, «Il Castoro»,
1975, [pp. 25-28], p. 26.
158
Cfr. A. Delfini, Una storia in Il ricordo della Basca. Dieci racconti e una
storia, Pisa, Nistri Lischi, 1956, pp. 9-109, poi in I racconti, Milano, Garzanti,
1963, pp. 7-96, e infine, come Introduzione a Il ricordo della Basca, Torino, Ei-
naudi, « Opere di Antonio Delfini», 1982, pp. 3-62, che adotta il testo della se-
conda edizione (1956) – « rigorosamente curato da Delfini stesso, e riveduto ri-
spetto alla prima edizione (1938)» – e segue la terza edizione, con titolo generi-
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Certo, ci troviamo di fronte a una narrativa diversa da
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co, I racconti (1963), solo per la proposta del « frammento» Il 10 giugno 1918,
pubblicato sull’«Illustrazione italiana», agosto 1961, pp. 75-85: per queste e al-
tre informazioni si veda la Nota dell’editore Einaudi, a p. 173, e per l’importan-
za de Il 10 giugno 1918, che « avrebbe dovuto essere il romanzo della vita di
Delfini», si legga, anche in relazione a Il ricordo della Basca, G. Marchetti, Il
racconto come confessione, in Delfini cit., [pp. 28-39], p. 28. Infine, per il ricor-
do alla seconda, alla potenza, come pratica del mondo narrativo (e critico) di
Delfini, cfr. Giulio Ungarelli, Ricordare un ricordo, sognare un sogno, in Antonio
Delfini tra memoria e sogno, Roma, Bulzoni, 1973, pp. 51-67.
159
Antonio Delfini, Manifesto per un partito conservatore e comunista in
Italia, Parma, Guanda, 1951.
160
Cfr. Piero Luxardo Franchi, Contro-passato remoto di Antonio Delfini,
in L’altra faccia degli anni trenta, Presentazione di Silvio Ramat, Padova,
CLEUP, 1991, [pp. 79-109], p. 83.
197
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in parte a quello di Conversazione ma con un apparato lirico e
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A. Delfini, Il ricordo della Basca cit, pensato come secondo volume del-
le « Opere di Antonio Delfini» dopo i Diari, dove si trova un disteso e ricco in-
tervento di Cesare Garboli, Prefazione a A. Delfini, Diari 1927-1961, a cura di
Giovanna Delfini e Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, 1982, pp. V-XLVI. Ma
si veda poi C. Garboli, Scritti servili, Torino, Einaudi, 1989, pp. 29-91 e Storie
di seduzione, Torino, Einaudi, 2005, pp. 9-49 (287-288). Si veda infine l’otti-
mo saggio di Raffaele Manica, «Rose rosse, per corrispondenza». Una storia di
Delfini, in «Frammenti di un discorso amoroso» nella scrittura epistolare moderna,
Atti di seminario, Trento, maggio 1991, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni,
1992, pp. 445-472.
162
A. Delfini, Il ricordo della Basca cit., p. 133.
163
A. Delfini, Poesie della fine del mondo, Milano, Feltrinelli, 1961.
198
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ta per la poesia, per impedire che le Poesie della fine del mondo
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164
Giorgio Agamben, Introduzione a A. Delfini, Poesie della fine del mondo
e Poesie escluse, a cura di Daniele Garbuglia, Macerata, Quodlibet, 1995, [pp.
IX-XX], pp. XVIII-XIX.
165
A. Delfini, Il ricordo della Basca cit., p. 143.
166
Ivi, p. 129.
167
Ivi, pp. 129, 133, 136, 140, 142.
168
Ivi, p. 134.
199
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celato, trasognato furore delfiniano, teso nelle forme di un
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169
Ivi, p. 140.
170
Ivi, pp. 139-140.
171
Ivi, pp. 55-60.
172
Ivi, pp. 61-62.
200
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come si è suggerito, una sorta di « allegoria del sentimento», do-
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nell’infanzia, la più adorata signora della mia vita: quella che sta
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173
Ivi, pp. 57-62 (con tagli).
202
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18 aprile 1956: « anche il disumano può avere del buon gu-
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174
George Steiner, Prefazione a Linguaggio e silenzio, Milano, Garzanti,
2001, [pp. 7-11], p. 9.
175
A. Delfini, Premessa a Poesie della fine del mondo cit., e ora a Poesie del-
la fine del mondo e Poesie escluse cit., pp. 5-6. Ma cfr. Noi minacciamo di fare la
guerra, del 9 maggio 1959, alle pp. 29-31.
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non evidente « indecidibilità tra interno ed esterno» 176, facile da
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Penso, adattandolo, a P. A. Rovatti, L’esercizio del silenzio. Postilla a Der-
rida, nel ricco La retorica del silenzio, a cura di Carlo A. Augieri, Lecce, Milella,
1994, [pp. 63-68], p. 64: « indecidibilità tra interno ed esterno, tra prossimità e
lontananza, e infine, poco più tardi, tra amico e nemico. Non sappiamo dire, in-
fatti, se la voce sia dentro o fuori di noi, e neppure veniamo a capo dell’afferma-
zione, che ci sembra di poter fare, che essa sia dentro e fuori, perché è proprio
questa distinzione tra dentro e fuori che non riusciamo più a leggere e a reggere».
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(1937), approda al suo primo testo di un certo impegno, finan-
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177
Alba De Céspedes, Nessuno torna indietro, Milano, Mondadori, 1938.
Si leggano le pagine dedicate al romanzo da Laura Fortini in Letteratura italia-
na. Le Opere, IV/2, diretta da Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 2000, pp.
137-166. Cfr. anche Letteratura italiana. Dizionario delle Opere, II, Torino, Ei-
naudi, 2000, pp. 101-102.
178
A. De Céspedes, Nessuno torna indietro cit., pp. 70 e 243.
179
Ivi, pp. 117-120, 153, 170-178, 186-191, 236, 267-276, 316-317,
321-325, 359, 387-392, 395-397.
180
Ivi, p. 176.
181
Ivi, p. 172. Difficile condividere le conclusioni di L. Fortini circa
«Luis, coinvolto nella guerra di Spagna in nome di un ideale politico e in difesa
di una patria lontana di cui egli stesso non ha chiari i contorni» (Letteratura ita-
liana. Le Opere cit., p. 153; ma cfr. p. 148).
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Vinca attende Luis insieme a Pilar, un’altra ragazza, e alla
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182
A. De Céspedes, Nessuno torna indietro cit., pp. 189 e 188.
183
Ivi, p. 188.
206
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lato americano le dicono stia tranquilla, lei è suddita americana
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non possono farle nulla, non la toccano, ma quelli sì, mica ti do-
mandano le carte. Carcerata dunque in un sotano, como si dice ?
una cantina, con quelle altre, due ne uscirono per essere fucilate.
Le chiamano dicendo così: «Vamos de paseo» una passeggiata e
non ritornano più. È arrivata qui esausta, morta di fame, mi rac-
contava tutto ciò mentre le davo la minestra; notte e giorno le
monache pregavano e la donna incinta piangeva, finché un gior-
no comincia a lamentarsi, poi si mette a urlare, son le doglie del
parto. Ventiquattr’ore di doglie, e strilli, e strilli, quelle belve nep-
pure s’accostavano, e loro bussavano alla porta, niente, sole lì, co-
me cani, al buio, le monache aiutavano quella poveretta, che, il
giorno dopo, finalmente si libera.
Morto, il bambino – interruppe Pilar. Donna Inez la guardò male
perché le aveva tolto le parole e l’effetto. Poi continuò più piano:
– Già, morto. E la madre mezzo dissanguata, lì, nel sudiciume, a
piangere, a disperarsi, a scaldare col fiato il niño perché tornasse a
vivere. Dopo due giorni si portano via il cadavere, la madre aveva
la febbre forte, l’infezione smaniava. Le monache avevano ripreso
a pregare, quel borbottìo, dice la muchacha, faceva diventar pazzi.
Il domani una di quelle belve apre la porta, dice: «Es domingo, si
mangia arrosto oggi, lepre arrosto». Lo divorarono tutte, affama-
te, anche le monache, anche la puerpera. E quelli dopo, in due tre
sulla porta a ridere, a smascellarsi. «Bueno, no ?» chiedevano, e ri-
devano come ubriachi. Sapete cos’era la lepre ? Già, la lepre, era il
bambino !
[...]
– S’è salvata così. Il giorno dopo, tornano le belve e si portano via
le monache. Las pobrecitas se van como al martirio. Ma tornano
poi, e non pregano più, stanno buttate in un angolo, senza più le
cuffie, i capelli corti disordinati. E dopo poco chiamano lei, la
muchacha: «Vamos» dicono « a pasear». M’ha detto che non ave-
va paura, si capisce che è di sangue freddo, meglio morire che
quest’incubo, pensava, le altre piangevano e lei se ne va con loro.
Dice che aveva deciso; prima che sparino strillo: «Viva la falan-
ge ! », almeno il fidanzato l’avrebbe saputo. E poi, sai ? come nei
film, all’ultimo momento arriva il console e se la porta via svenu-
ta. È stata dieci giorni in casa di lui, delirando; sempre gridava:
207
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«Viva la falange ! Viva la falange ! » e sputava perché sentiva in
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184
Ivi, pp. 173-175 (e p. 177 per la citazione che segue nel testo).
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fino a guerra avanzata » e poi con altre edizioni e ristampe, fra
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1952 e 1990. Eppure sembra quasi che, almeno per quanto ri-
guarda il suo primo romanzo di grande respiro, e forse proprio
per una certa, ambigua presenza della guerra civile spagnola,
De Céspedes abbia subito un po’ il destino che travolge una
parte non ignorabile degli scrittori spagnoli, gli scrittori falan-
gisti, di cui Javier Cercas, « con la frase coniata da Andrés Tra-
piello», dice: « avevano vinto la guerra, ma avevano perso la
storia della letteratura » 185.
«Habían ganado la guerra, pero habían perdido la historia
de la literatura» 186. È un’affermazione già forte – ma sostanzial-
mente vera – nel contesto d’origine. Ed è un’affermazione che
perde il suo mordente se proiettata nel futuro della De Céspe-
des (anche cinematografico, con il romanzo del 1938 che di-
venta film nel 1943 con la regia di Blasetti e la collaborazione
dell’autrice alla sceneggiatura e ai dialoghi) e in tutto il contesto
narrativo italiano, che stranamente, però, nei decenni successi-
vi, non riesce davvero a liberarsi di quello che potremmo anche
indicare – al di là della forza del linguaggio che si misura col si-
lenzio – come una sorta di “blocco” vittoriniano-delfiniano.
Difficile non scorgerne certi effetti, anche dopo i ‘ritorni’ di
Delfini e Vittorini nel 1956-57 e anche in seno al prolungato in-
teresse sciasciano tra anni Cinquanta e Sessanta. Ripenso all’ite-
rato e composito processo narrativo che Leonardo Sciascia lancia
per frammenti anticipatori e interessanti, come La sesta giornata
e Il soldato Seis, entrambi del 1958 187, e alla traduzione de La ve-
lada en Benicarló (1939) – insieme a Salvatore Girgenti – e so-
prattutto alla Prefazione a quell’amaro dialogo sulle cause e le
conseguenze della guerra civile che è il testo di Manuel Azaña,
185
Javier Cercas, Soldati di Salamina, Parma, Guanda, 2002, p. 18. E cfr.
ancora il saggio di Laura Fortini in Letteratura italiana. Le Opere cit., p. 142.
186
J. Cercas, Soldados de Salamina, Barcelona, Tusquets, 2001, p. 22.
187
L. Sciascia, La sesta giornata, « Officina», 7, 1958, poi in AA. VV., La
noia e l’offesa cit., e L. Sciascia, Il soldato Seis, «Valbona», 1, 1958, pp. 3-5.
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uscito da Einaudi nel 1967 188. Ma più di questa Prefazione e de
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188
L. Sciascia, Prefazione a Manuel Azaña, La veglia a Benicarló cit., pp.
VII-XIII.
189
L. Sciascia, Il soldato Seis cit, p. 3.
190
L. Sciascia, Ore di Spagna cit., p. 29.
210
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E l’ufficiale italiano, che sapeva stare allo scherzo, scelse tra i le-
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191
L. Sciascia, Il soldato Seis cit, p. 3.
192
Cfr. Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, car-
nevale e festa nella cultura medievale e rinascimentale (1965), Torino, Einaudi,
1979, pp. 332-404.
193
L. Sciascia, L’antimonio cit, p. 190.
211
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franse contro le posizioni di Lister come una quartara contro un
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194
Ivi, p. 216.
195
Cfr. La forme brève, Actes du colloque franco-polonais, Lyon, 19-21
septembre 1994, a cura di Simone Messina, Paris-Fiesole (Firenze), Cham-
pion-Cadmo, 1996.
196
L. Sciascia, Il soldato Seis cit., p. 3.
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della sua attenzione al dato spagnolo, già comparato alla Sicilia ed
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197
Ivi, pp. 3-4.
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soldato della Repubblica, lien certo più ‘anonimo’ e fecondo di
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198
Ivi, p. 5.
199
L. Sciascia, Breve cronaca del regime, in Le parrocchie di Regalpetra, Ba-
ri, Laterza, «Libri del tempo», 1956 e ora in apertura di Opere. 1956-1971 cit.,
pp. 34-48.
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Avevo la Spagna nel cuore. Quei nomi – Bilbao Malaga Valencia;
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A pensare oggi a quegli anni mi pare che mai più avrò nella mia
vita sentimenti così intensi, così puri. Mai più ritroverò così tersa
misura di amore e di odio; né l’amicizia la sincerità la fiducia
avranno così viva luce nel mio cuore 200.
200
Ivi, pp. 43-44.
201
Cfr. O. Macrí, La teoria letteraria delle generazioni, a cura di Anna Dol-
215
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scovare altri testi nella prima metà degli anni Cinquanta e met-
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tere insieme altri autori in una triade più composita, fra secon-
da e quarta generazione, ricordandoci de Il maggiore è un rosso
(1953) di Francesco Fausto Nitti, del 1899, de Il prete bello
(1954) di Goffredo Parise, del 1929, e de I passeri (1955) di
Giuseppe Dessí, del 1909.
Al di là della tentazione critica di costruire delle triadi, più
o meno esemplari, è giusto ricuperare qualche capitolo de Il
maggiore è un rosso (1953) di Francesco Fausto Nitti, gettato in
toto alle ortiche da Garosci e confinato nel limbo della rievoca-
zione nostalgica e della testimonianza di parte: « Quanto al rac-
conto Il maggiore è un rosso di F. F. Nitti, per quanto scritto con
evidenza letteraria, è chiaramente opera di propaganda e di no-
stalgica evocazione» 202.
Certo, leggendo l’Introduzione, è difficile sottrarsi al giudi-
zio di Aldo Garosci. Tuttavia, il ricordo che la incornicia – «Ri-
cordo quella mattina di novembre del 1936 [...] Quella mattina
del novembre 1936 presi la mia decisione: dovevo partire» 203 –
non apre sul passato solo secondo una nota modalità storico-po-
litica – Oggi in Spagna, domani in Italia – ma anche secondo
quei diffusi percorsi storico-letterari sopra evocati che la comple-
tano con uno ieri esteso a tutti i paesi e i popoli insorti contro la
tirannia: «Era venuto il tempo di combattere il fascismo non più
nelle organizzazioni clandestine e con la propaganda, ma affron-
tandolo con le armi. Come gli esuli italiani del 1821, del 1830 e
del 1848 erano accorsi in terra di Spagna e dovunque i popoli
fossero insorti contro la tirannia straniera e domestica, così noi
dovevamo partire, dalla Francia, dal Belgio, dalla Svizzera, dalle
fi, Firenze, Cesati, 1995; e cfr. in particolare la Modellizzazione della teoria gene-
razionale che segue la Premessa, alle pp. 23-26.
202
A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna cit., p. 453.
203
Francesco Fausto Nitti, Il maggiore è un rosso, Milano, Edizioni Avan-
ti !, 1953 e poi Torino, Einaudi, «Nuovi Coralli», 1974, [pp. 3-7], pp. 3 e 7.
216
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Americhe, per partecipare alla lotta ingaggiatasi nel luglio 1936
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204
Ivi, p. 3.
205
Ivi, pp. 67-76.
206
Ivi, pp. 23-34 e 141-152.
217
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iría bien un panino ripieno e una bottiglia ! » Questa freddezza
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Ivi, pp. 27-29.
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movente. Io ne ero stato impressionato, e, una volta, dietro in-
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208
Goffredo Parise, Il prete bello, Milano, Garzanti, 1954 e «I Garzanti»,
1965 e 1973, p. 9.
209
Ivi, p. 28.
210
Ivi, pp. 55-58.
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Ma pochi o nessuno lo ascoltava [...] le patronesse [...] Tutte vo-
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211
Ivi, pp. 63-66.
212
Ivi, pp. 82 e 88-89; ma cfr. anche pp. 90-91 e 117-118.
220
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Gabriele d’Annunzio, che muore nel 1938, nella finzione si
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Il cav. Esposito questi elogi non li faceva così, per niente, c’era tut-
to un giro di ragioni che alimentava l’ammirazione. Giacchè que-
st’ammirazione per don Gastone era in sostanza quella di un aspi-
rante fascista per un fascista riuscito. Per lui don Gastone era un
uomo noto, una figura d’Italia, sacerdote, anche, ma eroe della
guerra di Spagna, soprattutto e, di conseguenza, nei rapporti con
donne un instancabile, un gallo, un amatore tale che senza dubbio
doveva tener testa a dieci amanti. L’apologia di don Gastone non
era altro che l’apologia del partito o meglio di quelle capacità che il
fascista doveva saper dimostrare nell’avventura di mondo dopo la
Patria, Dio e la Famiglia. [...] Mussolini aveva due c... così, d’oro
[...] Intendeva perfino dimostrare, con testardaggine e insistenza,
le sue descrizioni sugli attributi di Mussolini dicendo che lui l’ave-
va guardato attentamente, il Duce, in più di un’occasione, per sin-
cerarsene, e che si vedeva benissimo, anche a occhio nudo 213.
213
Ivi, pp. 119-120.
214
Ivi, pp. 158-159.
215
Ivi, p. 220.
221
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netto», con « i frantumi [del water]» che « volavano attorno si-
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216
Ivi, p. 228.
217
Ivi, p. 233.
218
Ivi, p. 247, ma cfr. prima p. 242: «Don Gastone nella notte stessa ven-
ne portato d’urgenza all’ospedale e di lì a qualche giorno al sanatorio di Arco,
presso il lago di Garda. Non so come potesse essere scoppiata tanto improvvisa-
mente una malattia così brutta, e disonorevole per la gente ignorante del rione,
in un fisico all’apparenza così robusto. Fatto sta che il medico gli riscontrò una
lesione, dove prima c’era soltanto qualche ombra, così grave che sarebbe stato
necessario operare e con ogni probabilità asportargli un polmone». Sulla tisi,
prima affascinante morbo romantico e poi dato patologico più controverso,
ambiguo, nel passaggio dall’Ottocento al Novecento, mi sia concesso rinviare a
L. Curreri, Seduzione e malattia nella narrativa italiana postunitaria, « Otto/No-
vecento», 3/4, 1992, pp. 53-78.
219
G. Parise, Il prete bello cit., p. 250, ma cfr. l’intero capitolo finale, il
quindicesimo, alle pp. 247-251.
222
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Difficile, tuttavia, non pensare, in prospettiva, al Parise
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delle Guerre politiche (1976), quello che nella seconda metà de-
gli anni Sessanta, fra 1967 e 1968, alle soglie dei quarant’anni,
viaggiando, « in mezzo a guerre e rivoluzioni», come inviato
speciale in Vietnam e in Biafra, Laos, Cile, per «L’Espresso» e il
«Corriere della Sera», riflette sulla sorte dei fanciulli, sulla guer-
ra dei ragazzi, quindici, sedici anni. E l’attenzione al dato trava-
lica il tema letterario percorso fin dalle prime prove e ne Il prete
bello sopra evocato, fino a tradursi in una frattura insanabile,
come si legge nell’Avvertenza, datata dicembre 1975, al volume
citato: «Allora mi sentivo un ragazzo, anche se non ero più un
ragazzo, ora non lo sono definitivamente. I viaggi e soprattutto
le guerre invecchiano». Anche quelli e quelle più distanti, a cui
si ritorna, col ricordo, nella maturità:
220
G. Parise, Avvertenza a Guerre politiche. Vietnam, Biafra, Laos, Cile,
Torino, Einaudi, «Struzzi», 1976, [pp. V-IX], pp. VI, VIII e IX.
223
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Da un’isola di quella tragica colonia, colonia della colonia,
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[...] e lei era sempre sul punto di dire che, sì, un bacio lo aveva avu-
to dal nipote del conte Scarbo, quel ragazzo che il conte si era preso
in casa come un figlio dopo che il figlio vero era morto in Spagna.
221
Giuseppe Dessí, I passeri, Pisa, Nistri Lischi, 1955.
224
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setta. Era una discreta somma [...] Giacomo, che non aveva segui-
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222
Ivi, pp. 35, 73-74 e 76-79.
225
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Nel « frammentarsi del testo narrativo» che è caratteristica
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223
Anna Dolfi, Il frammentarsi del testo narrativo: «I passeri», in La parola
e il tempo. Saggio su Giuseppe Dessí, Firenze, Nuovedizioni Enrico Vallecchi,
1977, [pp. 379-389], pp. 380 e 384. Ma cfr. ora la nuova edizione: La parola e
il tempo. Giuseppe Dessí e l’ontogenesi di un « roman philosophique», Roma, Bul-
zoni, 2004.
224
A. Dolfi, La parola e il tempo. Saggio su Giuseppe Dessí cit., p. 20.
225
E. Vittorini, Diario in pubblico cit., p. 213.
226
In chiave intima e meno pubblica, a partire, se vogliamo, dall’estrema e
onesta considerazione che gli scritti di viaggio raccolti, per quanto lodati da cri-
tici e certo non rinnegabili dall’autore, « hanno il valore della data che porta-
no». Cfr. ancora G. Parise, Avvertenza a Guerre politiche. Vietnam, Biafra, Laos,
Cile cit, p. VI.
226
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quanta e a partire dalla « dolente Sardegna», dalla tragica colo-
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227
A. Dolfi, La parola e il tempo. Saggio su Giuseppe Dessí cit., pp. 20-21.
227
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buto nuovo alla stagione ‘postantimoniesca’ che ci apprestiamo
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228
Cfr. Il mestiere di leggere. La narrativa italiana nei pareri di lettura della
Mondadori (1950-1971), a cura di Annalisa Gimmi, Milano, Il Saggiatore-
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2002, pp. 226-227.
228
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manzo, anche di consumo, popolare, e nel diario e in più raffi-
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229
Alberto Bevilacqua, La polvere sull’erba, Caltanissetta, Sciascia, 1955.
230
A. Bevilacqua, La Califfa, Milano, Rizzoli, 1964.
231
Ne riparlerà Cacucci nel lavoro dedicato alla Modotti (1988 e 1991) e
in Oltretorrente (2003). Ma cfr. A. Bevilacqua, Una città in amore, Milano, Su-
gar, 1962, poi Milano, Rizzoli, 1970 e Milano, Mondadori, « Oscar», 1990 e
2001, p. 176.
232
Ivi, pp. 149-173.
229
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cie in relazione alla presenza di Franco, dittatore « che non si
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230
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testa. «Merda ! » rispondeva. «Sempre la solita merda !... Franco è
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233
Ivi, pp. 149-151.
231
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Quando si è sfogato [...] ricorda i suoi anni giovani e la morte del
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234
Ivi, pp. 152-156.
235
Ivi, p. 172.
232
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Noi lo abbiamo detto quando lui era duce, e a faccia franca lo
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236
Ivi, pp. 163-164, ma cfr. anche p. 165: «E poi l’epilogo: Lampedusa,
Lipari, il carcere di Messina, l’espatrio in Francia e in Russia, e infine la Spagna,
con quelle lettere di Guido [...] Ma quando arrivava a questi momenti della sua
vita, l’Amelia scrollava la testa e diceva: “No, basta, non voglio pensare più! ”».
237
Ivi, p. 176. Ma cfr. A. Bevilacqua, Lui che ti tradiva, Milano, Monda-
dori, 2006.
238
Davide Lajolo, Il voltagabbana, Milano, Mondadori, 1963 e, con In-
troduzione di Giorgio Bocca, Milano, Rizzoli, «BUR», 1981.
239
Amedeo Anelli, Dal romanzo alla vita. «Il Voltagabbana» e Francesco
Scotti, « il Lodigiano», 14 febbraio 2003, p. 23, nel numero 20 della rubrica Le
tradizioni invisibili.
233
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In tal senso, ci si allontana sempre più dall’orizzonte scia-
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240
Giorgio Bocca, Introduzione a D. Lajolo, Il voltagabbana cit., [pp. 5-9],
p. 9.
241
L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 230.
242
D. Lajolo, Veder l’erba dalla parte delle radici, Milano, Rizzoli, 1977.
234
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«Ti chiedo un favore», mi disse staccandosi subito come si fosse
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243
D. Lajolo, Il voltagabbana cit., pp. 41-44.
235
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E siamo a Scipione l’Africano (1937), di cui si è ricordato
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244
C. Lucarelli, Guernica cit., p. 39.
245
Oltre ai saggi sopra citati di M. Onofri e S. Jossa, cfr. Stefano Calabre-
se, L’idea di letteratura in Italia, Milano, Bruno Mondadori, 1999.
236
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gior parte dei soldati confidavano che non erano stati mobilitati
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246
D. Lajolo, Veder l’erba dalla parte delle radici cit., p. 43. Per questo tito-
lo cfr. ancora L. Sciascia, L’antimonio cit., p. 168: « meglio sarebbe stato scende-
re nella terra, dove umida si attacca alle barbe delle radici».
247
Vittorio Bodini, Corriere spagnolo (1947-54) a cura di Antonio Lucio
Giannone, Lecce, Manni, 1987.
248
Bruno Arpaia, L’angelo della storia, Parma, Guanda, 2001.
237
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Avevamo appuntamento con la guida alle dieci di sera, fuori del
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Joaquina ci raccontò [...] della guerra civile che a Badajoz era stata
sanguinosissima. Era stata la prima città assalita dai marocchini di
Franco, quando la resistenza dei repubblicani non era ancora orga-
249
Joyce Lussu, Fronti e frontiere, Roma-Bari, Laterza, «Libri del tempo»,
1967, [pp. 35-49], pp. 35-37.
250
Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Milano, Feltrinelli, 1994.
238
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nizzata; i marocchini erano entrati nella città scannando i difenso-
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Così una notte uscii, come del resto ormai facevo sovente [...] se
erano passate le quattro di notte, si sentiva il canto iroso dei galli
come un drappello di soldati ribelli... Io uscii col corpo profonda-
mente graffiato, soprattutto la milza, stanco del suo annaspare,
dei suoi salti, dei suoi scatti.
251
J. Lussu, Fronti e frontiere cit., pp. 40-41.
239
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Così mi ricordai di Port Bou, che ora avrei rivisto di nuovo: una
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grande stazione dalle tegole rosse, dietro la quale uno crede che ci
sia un paese, invece poi sale su una montagna con un tassì, e di là
vede di nuovo Port Bou e che Port Bou è soltanto quella stazione
con le tegole rosse che fanno diventare azzurrini i monti grigi, e
dietro non c’è nulla, eccettuato forse qualcuno che vende banane
a tutti i viaggiatori che passano in Francia; ma così non ci si può
lasciare, con una stazione vuota, come se non fosse successo nulla,
allora appaiono i tricorni di due guardie civili sulla cima della
montagna, ma non aggiungono nulla a quel vuoto, come dopo un
addio che si dice ancora un’altra frase e non serve a nulla, poiché
ci si lascia lo stesso, ma in più ci si è perso di fermezza 252.
Dopo gli anni Settanta, con, per esempio, gli accenni alla
guerra spagnola in Piazza d’Italia (1975) di Tabucchi, del quale
diremo nel prossimo capitolo, il già citato Veder l’erba dalla parte
delle radici (1977) di Lajolo, Il miliziano spagnolo (1979) di Fili-
berto Amoroso, gli anni Ottanta sembrano restare ancorati alla
frontiera di Bodini, a un microcosmo che quasi nasconde la
guerra e la predispone già a rivisitazioni narrative diverse, più ti-
piche degli anni Novanta, come quelle del noir, del giallo. È il
caso, mi pare, de La derrota (1982) di Italo Alighiero Chiusano,
che accoglie una sorta di scontro etico, ma anche fisico, tra sei
uomini della Repubblica e sei uomini di Dio in seno a una « ve-
nerabile abbazia» dei Pirenei che non può non far pensare a Il
nome della rosa (1980) di Eco e che dista solo « sei chilometri
dalla frontiera francese»: «“Che silenzio” pensò Don Lucien,
tornando con gli occhi alle colline. Chi avrebbe detto che laggiù,
a qualche decina di chilometri, cominciava quella Spagna insan-
guinata di cui parlava tutto il mondo. Sembrava il paese del son-
no. E invece, là, Barcellona, Madrid, Teruel, sbarramenti di arti-
glieria, sbarchi, incendi, sangue per le strade, chiese profanate».
252
V. Bodini, La lobbia di Masoliver, a cura di Paolo Chiarini, Milano,
Scheiwiller, 1980, [pp. 89-96], p. 94.
240
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Più si procede nella narrazione più i clangori della guerra sfuma-
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253
Italo Alighiero Chiusano, La derrota, Milano, Rusconi, 1982, pp. 124,
62, 43-44, 154. Ma cfr. Filiberto Amoroso, Il miliziano spagnolo, Firenze, Pan
Arte, 1979, che, come viene spiegato nella Premessa, alle pp. 7-9, « riscrive» un
suo romanzo, La rinuncia, Roma, Trevi, 1966, perché « negli anni del cosiddet-
to « miracolo economico» la gente, tutta protesa verso un illusorio benessere
materiale, non poteva più comprendere quel personaggio [il miliziano spagno-
lo]» e « solo negli anni più vicini [il decennio dei Settanta]» si assiste « al brusco
risveglio» di « certe passioni, certi umori, certi ideali».
241
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TRA MADRID E GUERNICA
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Oggi – l’oggi che è lo ieri più vicino, quello degli ultimi anni,
a cavallo tra Novecento e Duemila – la narrativa italiana comincia
ad appropriarsi, talora con una disinvoltura che può sembrare ec-
cessiva, della storia e della memoria relative alla guerra civile spa-
gnola; il cui cinquantenario è comunque già foriero, nella secon-
da metà degli anni Ottanta, di varie iniziative editoriali, di taglio
biografico e narrativo, come I fuochi le ombre il silenzio. La fragil
vida di Tina Modotti negli anni delle certezze assolute (1988) di Pi-
no Cacucci, o di taglio storico e politico, attestate, per esempio,
da un volume di Angeli del 1987 curato da Claudio Natoli e Leo-
nardo Rapone 2. Ed Ettore Scola, in quello stesso anno, nell’am-
1
In questo capitolo, e particolarmente nel suo secondo paragrafo, abbia-
mo segnalato anche i traduttori – dallo spagnolo, soprattutto, ma anche da altre
lingue – di opere ed edizioni recenti pubblicate in Italia e relative, in termini
più o meno romanzeschi, alla guerra di Spagna. Rispetto alla versione apparsa
in rivista, per cui cfr. la Postfazione di questo volume, ho tolto le date di nascita
e di morte degli scrittori italiani e stranieri citati nel capitolo, per uniformarlo ai
due precedenti. L’idea, inizialmente, era di fare il contrario e di estendere le in-
dicazioni agli altri due capitoli e finanche all’indice dei nomi, in modo da per-
mettere al lettore d’orientarsi in seno alle intersezioni tra passato e presente.
Optando per la prima procedura, abbiamo voluto snellire il discorso, specie nel
testo, ed evitare il rischio di appensantire in modo considerevole il volume.
2
Cfr. Pino Cacucci, I fuochi le ombre il silenzio. La fragil vida di Tina Mo-
dotti negli anni delle certezze assolute, Bologna, Agalev, 1988, pp. 64-93, e A cin-
quant’anni dalla guerra di Spagna, a cura di Claudio Natoli e Leonardo Rapone,
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pio sfondo storico de La famiglia, fa partecipare alla guerra civile
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da Carta bianca (1990) e Indagine non autorizzata (1993) a
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agita le acque più che tanto; il tempo, nonostante le scosse apparenti e le parate
di superficie, va « come una volta» o cambia così lentamente che a molti riesce
di morire « nel ’38 o nel ’39 senza neppure accorgersi che tutto è ormai in movi-
mento verso un’epoca nuova, priva della pietà del passato e incattivita contro
gli stessi segni del tempo»» (p. 63). Ma per la riflessione sul fascismo, specie su
Salò e dintorni, cfr. il libro ‘rompighiaccio’ di Claudio Pavone, Una guerra civi-
le. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri,
1991 e 1994, pp. 221-312 e 678-705.
4
Penso, soprattutto, a quanto sostenuto da un navigato storico e speciali-
sta della guerra civile di Spagna come Gabriele Ranzato, Loach è « un compagno
che sbaglia», in ken loach, a cura di Dino Audino e Stefanella Ughi, prefazione
di Alberto Crespi, Roma, Dino Audino Editore, «Script/Lento», 1995, p. 61.
Ma si veda quanto suggerisce invece un giovane romanziere come Pino Cacuc-
ci, Ribelli !, Milano, Feltrinelli, «Serie Bianca», 2001, e poi «Universale Econo-
mica», 2003, p. 11: «(grazie, carissimo Ken Loach, che con Terra e libertà hai
ridato voce internazionale ai ribelli schiacciati tra due immani dispensatori di
falsità storiche: i franchisti e gli stalinisti)».
246
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re di Land and freedom, può aver spinto lo scaltro Lucarelli, e in
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5
Di diverso parere è Nives Trentini che, in una peraltro ricca contestua-
lizzazione di Sostiene Pereira, nota che « la Storia, pur documentata in tutta la
sua drammaticità con l’assassinio di Monteiro Rossi, rimane uno sfondo». Cfr.
il recente Una scrittura in partita doppia. Tabucchi fra romanzo e racconto, Ro-
ma, Bulzoni, 2003, [pp. 221-240], p. 234; ma già a p. 69 si legge: « la storia è
solo uno sfondo e l’elemento strutturante del romanzo è piuttosto la formazio-
ne esistenziale del personaggio» (il discorso su Sostiene Pereira prosegue in tal
senso, nonostante la studiosa riconosca « la presenza crescente della Storia», fi-
no a p. 72). Nel saggio cercheremo brevemente di dimostrare, in rapporto ov-
viamente alla guerra civile spagnola, che Storia e formazione del personaggio
sono strettamente legati. Qui in nota, invece, si vorrebbe aggiungere che forse,
più che a leggere il romanzo, l’osservazione della Trentini, tesa ad evadere so-
stanzialmente una lettura politica « forzata» di Sostiene Pereira, può servire a in-
terpretare l’omonimo film, che il regista Roberto Faenza ha tratto nel 1995 dal
libro di Antonio Tabucchi, con la significativa collaborazione ai dialoghi
dell’autore. In effetti, il lungometraggio non riesce sempre a riempire i « bu-
chi», i « vuoti» delle « storie zoppicanti» che il romanziere, secondo una sua
stessa, suggestiva indicazione, fornisce « al cinema» e a « registi che sono dispo-
nibili ai vuoti». In Sostiene Pereira, mi sembra che certa « disponibilità ai vuoti»
di Roberto Faenza si manifesti soprattutto nei confronti del contesto storico
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colare, diversi riferimenti al conflitto spagnolo sembrano davve-
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che, come quadro e senso di un’epoca ma anche come somma di eventi e esi-
stenti di un plot, è rappresentato secondo gli stereotipi inflazionati di molto ci-
nema engagé, diventando uno sfondo, per l’appunto, e spesso niente di più.
Mentre il film riesce significativamente a catturare nei dialoghi tabucchiani –
che nel romanzo vengono assorbiti dall’universo del dottor Pereira e assimilano
i continui e sempre più consistenti rilievi storici – la frammentaria presa di co-
scienza, l’apprendistato del « sostenere» del dottor Pereira (incarnato, con scelta
felicissima, dal grande Marcello Mastroianni), e finanche la parabola esistenzia-
le di altri due personaggi (nonostante l’interpretazione non esaltante di Stefano
Dionisi, che è Monteiro Rossi, e di Nicoletta Braschi, che non fa rivivere quella
creatura di sogno, quella giovane femme fatale, quella silhouette inafferrabile,
metamorfica che nel romanzo è Marta, « bellissima, chiara di carnagione, con
gli occhi verdi [...] capelli castani che avevano riflessi rossi»; « capelli rossi [...]
bella silhouette che si stagliava nel sole»; «Marta sembrava trasformata, quei ca-
pelli biondi e corti, con la frangetta e le virgole sulle orecchie, le davano un’aria
sbarazzina e straniera, magari francese»). Per le citazioni in parentesi cfr. Anto-
nio Tabucchi, Sostiene Pereira, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. 27-28, 96 e 99,
138; per quelle che precedono, invece, si veda, dello stesso Tabucchi, Come na-
sce una storia, in AA.VV., Scrittori a confronto. Incontri con Aldo Busi, Maria
Corti, Claudio Magris, Giuliana Morandini, Roberto Pazzi, Edoardo Sanguineti,
Francesca Sanvitale, Antonio Tabucchi, a cura di Anna Dolfi e Maria Carla Papi-
ni, Roma, Bulzoni, 1998, [pp. 181-201], p. 196 (ma cfr. anche p. 186). Mi sia
infine concesso rinviare a L. Curreri, Letteratura e cinema: il caso Tabucchi,
Conferenza tenuta all’Università di Varsavia, il 16 novembre 2005, e in via di
pubblicazione ne «Il lettore di provincia».
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autorità competenti a vigilare attentamente [...] oggi in Porto-
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Poi vide uno striscione [...] Onore a Francisco Franco. E sotto, in let-
tere più piccole: onore ai militari portoghesi in Spagna [...] era una fe-
sta salazarista [...] dalle loro corde malinconiche traevano una canzo-
ne franchista [...] non voglio andare in Italia, mi pare che la situazio-
ne sia ancora peggio della nostra [qui è Monteiro Rossi a parlare]
6
Cfr. Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira cit., pp. 202-203.
7
Max Milner, La guerre d’Espagne, in Georges Bernanos, Paris, Desclée de
Brouwer, 1967, [pp. 231-263], pp. 231, 232 e 248.
8
Cfr. A. Tabucchi, Sostiene Pereira cit., pp. 14, 20-23, 28, 57.
249
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luoghi del romanzo 9. Stralciando, mi limito a esemplificare, in
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Pereira chiese a Silva cosa ne pensava di [...] quello che sta succe-
dendo in Europa. Oh, non ti preoccupare, replicò Silva, qui non
siamo in Europa, siamo in Portogallo [...] ma lo sai cosa sta succe-
dendo in Germania e in Italia, sono fanatici, vogliono mettere il
mondo a ferro e fuoco. Non ti preoccupare, rispose Silva, sono
lontani. D’accordo, rispose Pereira, ma la Spagna non è lontana, è
a due passi, e tu sai cosa succede in Spagna, è una carneficina, ep-
pure c’era un governo costituzionale, tutto per colpa di un gene-
rale bigotto. Anche la Spagna è lontana, disse Silva, noi siamo in
Portogallo. Sarà, disse Pereira, ma anche qui le cose non vanno
bene, la polizia fa da padrona, ammazza la gente, ci sono perquisi-
zioni, censure, questo è uno stato autoritario [...] senti, ti dico
una cosa, io insegno letteratura e di letteratura me ne intendo, sto
facendo un’edizione critica dei nostri trovatori [...] Però io faccio
il giornalista, replicò Pereira. E allora ?, disse Silva. Allora devo es-
sere libero, disse Pereira, e informare la gente in maniera corretta.
Non vedo il nesso, disse Silva, tu non scrivi articoli di politica, ti
occupi della pagina culturale.
9
Ivi, pp. 37-38, 63-64, 80-81, 85-86, 97-98, 122, 128-129, 139-140,
145-147, 154-156, 166-169, 177, 204.
250
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dalla parte dei repubblicani, è in Portogallo per reclutare volontari
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10
Ivi, pp. 37-38, 63-64, 80-81 e 88-89.
11
Ivi, pp. 64-65.
251
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nazionale» 12. E anche se Pereira dichiara « io non sono compa-
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12
Ivi, p. 80. Il cugino di Monteiro appare e scompare nell’intreccio, alle
pp. 80-81, 85-86, 97-98 etc., è presente anche in absentia, e dalla sua attività
dipenderà, in un certo senso, la tragica soluzione della vicenda e la dolorosa pre-
sa di coscienza del vecchio gionalista, il dottor Pereira.
13
Ivi, p. 86.
14
A. Tabucchi, Come nasce una storia, in AA.VV., Scrittori a confronto cit., p.
181. Per Sartre e una sua contestualizzazione in un panorama culturale francese il
cui point de départ è Pascal cfr. Benoît Denis, Littérature et engagement. De Pascal à
Sartre, Paris, Seuil, «Points Essais Série “Lettres”», 2000, volume da scorrere per
intero, perché in esso Jean-Paul Sartre è presenza strutturante; cfr. comunque, in
particolare, nella prima parte, introduttiva, chiara ed efficace, il cap. III, L’écrivain
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Il punto di vista di Pereira e il suo accesso alla responsabi-
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engagé: une présence totale, alle pp. 43-51, e nella terza ed ultima, il cap. XIII,
L’apogée sartrien, alle pp. 259-279. Ma cfr. il paragrafo 2 del primo capitolo.
15
A. Tabucchi, Come nasce una storia, in AA.VV., Scrittori a confronto cit.,
p. 192.
16
Luca Doninelli, Macché letteratura, è propaganda, «Il Giornale», 9 marzo
1994, per cui cfr. A. Tabucchi, Sostiene Pereira, Introduzione e analisi del testo di
Bruno Ferraro, Torino, Loescher, «Il passo del cavallo», 1995, pp. 41-43 e 47.
Dell’articolo di Doninelli ridà notizia di recente «L’Indice», 2004, 4, p. 10, qua-
si a ‘bilanciare’ la recensione, Lui amò Rosamunda, che Luciana Stegagno Picchio
fa dell’ultimo romanzo di A. Tabucchi, Tristano muore. Una vita, Milano, Feltri-
nelli, 2004, dove è ancora questione di Spagna, del Generalissimo (pp. 62-65, per
esempio), della fuga di Benjamin (« da Franco, da Hitler e da tutti e forse anche
da se stesso», p. 108) e di tant’altro Novecento: «Un Novecento che ha appena
sceso il sipario sui nostri dubbi e certezze, ideologie e disillusioni. E che ora ci pas-
sa il testimone per il nuovo secolo. Ma chi testimonia per il testimone ?». Recen-
sione appassionata della « maestra» di Antonio Tabucchi, piena di intuizioni, an-
che se un po’ ‘apocalittica’, giocata sul refrain « di uno di quei vecchi e inutili, di
quei Tristani quasi cadaveri che hanno capito come la storia sia un’illusione, un
fantasma, anche se ormai non possono più farla, perché è già stata fatta». E si ci-
tano questi passaggi della recensione di Stegagno Picchio al Tristano muore anche
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aver scritto un libro di propaganda elettorale, ispirandosi a una
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Ma proviamo a problematizzare l’alternativa sopra evocata,
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18
Cfr. N. Trentini, Una scrittura in partita doppia. Tabucchi fra romanzo e
racconto cit., pp. 224-225.
19
Cfr. A. Tabucchi, Sostiene Pereira cit., pp. 29 e 95-96; ma cfr. anche pp.
87-88.
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Pessoa, amatissimo da Tabucchi, come è noto, e dalla tradizione
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20
Cfr. rispettivamente Carlo Salinari, Il superuomo, in Miti e coscienza del
decadentismo italiano, Milano, Feltrinelli 1960 e 1982, pp. 29-105, e Arcangelo
Leone de Castris, Il « guardaroba dell’eloquenza», in Il decadentismo italiano.
Svevo Pirandello d’Annunzio, Bari, De Donato, 1974, pp. 209-262.
21
Cfr. A. Tabucchi, Sostiene Pereira cit., pp. 14, 19-24, 29.
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quotidiano torinese, in un momento in cui Luigi Pirandello « si
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22
Interviste a Pirandello, a cura di Ivan Pupo, prefazione di Nino Borselli-
no, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 439
23
Marco Maugeri, Le ceneri di Matteotti, Napoli, l’ancora del mediterra-
neo, 2004; in particolare pp. 44-49 e 51-55. Cfr. poi Fulvio Abbate, Teledur-
ruti, Milano, Baldini & Castoldi, 2002 e Il ministro anarchico, Milano, Baldi-
ni Castoldi Dalai, 2004; Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler. Sulle tracce
di Dietrich Bonhoeffer, Milano, Mondadori, 2002 e Elisabetta Rasy, La scienza
degli addii, Milano, Rizzoli, 2005. Sul versante critico Lidia De Federicis, Il fi-
lo della voce, in Del raccontare. Saggi affettivi, San Cesario di Lecce, Manni,
2004, pp. 41-52.
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Castris e tant’altri, il rapporto tra letteratura e vita in quegli an-
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24
Furio Jesi, Cultura di destra, Milano, Garzanti, 1979 e 1993, pp. 148-
152. Cfr. anche Luciano Curreri, Il corpus dell’incompiuto, «L’indice», 7/8,
2005, p. 16.
25
A. Tabucchi, Come nasce una storia, in AA.VV., Scrittori a confronto cit.,
p. 193.
26
Cfr. N. Trentini, Una scrittura in partita doppia. Tabucchi fra romanzo e
racconto cit., p. 235, che utilizza « la ri-definizione del genere data da Margheri-
ta Ganeri (anche sulle tracce degli scritti di Ceserani)»; il rinvio è a Margherita
Ganeri, Il ritorno postmoderno del romanzo storico: implicazioni teoriche e cultu-
rali, «Allegoria», 26, 1997, pp. 112-120.
27
A. Tabucchi, Come nasce una storia, in AA.VV., Scrittori a confronto cit.,
p. 195.
28
Fabrizia Ramondino, Guerra d’infanzia e di Spagna, Torino, Einaudi,
2001, pp. 85, 416 e 425.
258
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Del resto, ancor prima della pubblicazione di certi testi di
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29
Carla Sodini, A proposito della guerra civile spagnola: sostiene Tabucchi,
in AA.VV., La guerra civile spagnola tra politica e letteratura, a cura di Gigliola
Sacerdoti Mariani, Arturo Colombo, Antonio Pasinato, Firenze, Shakespeare
and Company, 1995, pp. 305-313.
30
Cfr. A. Tabucchi, Sostiene Tabucchi, intervista di Alberto Scarponi,
«Lettera internazionale», 62, 1999, pp. 2-5.
31
Cfr. il secondo capitolo di questo volume.
32
Antonio Pasinato, Tragedia e speranza nella guerra civile spagnola. Il ro-
manzo di Gustav Regler «Das große Beispiel» (1937-1938), in AA.VV., La guerra
civile spagnola tra politica e letteratura cit., pp. 231-249. Dico « finanche la tede-
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Ma a dimostrazione che la guerra civile spagnola è per Ta-
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sca» perché penso ancora, con Maurizio Serra, che gli italiani e i tedeschi che si
scontrano, in patria e in Spagna, col fascismo e il nazismo, non riescano a offri-
re facilmente e nell’immediato un tributo alle belle lettere che traduca la realtà
della guerra civile spagnola e quindi producano meno o un diverso tipo di ope-
re. Cfr. Maurizio Serra, L’esteta armato. Il Poeta-Condottiero nell’Europa degli
anni Trenta, Bologna, il Mulino, 1990, p. 130; ma lo stesso, a p. 131, ricorda,
tra i tedeschi, Hermann Kesten e il suo Die Kinder von Guernica (1939), con
prefazione, non proprio compiacente, di Thomas Mann, che giudica non vero-
simile e eccessivo far parlare per 167 pagine un ragazzino di appena quindici
anni, testimone della barbara distruzione di città e degli ultimi giorni della li-
bertà e della giustizia. Altro, ovviamente, è il discorso relativo alla propaganda
fascista e nazista. Per quella fascista, tra narrazione, teatro e cinema, rinvio an-
cora al secondo capitolo di questo volume.
33
A. Tabucchi, Franchismo, lettera agli amici spagnoli, in Nino Isaia, Edgar-
do Sogno, Due fronti. La grande polemica sulla guerra di Spagna, con gli interven-
ti di Mario Pirani, Renzo Foa, Barbara Spinelli, Enrico Deaglio, Sandro Viola,
Indro Montanelli, Antonio Tabucchi, Piero Ostellino, Ferdinando Adornato e
la replica di Sergio Romano, Firenze, Liberal Libri, 1998, pp. 166-170.
34
Ivi, p. 168. Ma cfr. X. Moreno Juliá, La division Azul. Sangre española
en Rusia 1941-1945 cit.
260
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Credevamo che i compassati storici anglosassoni come Gabriel
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35
A. Tabucchi, Franchismo, lettera agli amici spagnoli, in N. Isaia-E. So-
gno, Due fronti. La grande polemica sulla guerra di Spagna cit., pp. 166 e 170;
di altro tono l’intervento di Indro Montanelli, alle pp. 163-165, che della
guerra civile spagnola aveva parlato anche in seno a una lontana prova narrati-
va riproposta di recente e in pagine interessanti e assai obiettive, diverse da
certe sue conclusioni giornalistiche del novembre 1936 ( per cui cfr. R. Ro-
dondi, Il presente vince sempre cit., p. 207): Indro Montanelli, Qui non riposa-
no, Milano, Tarantola, 1945, pp. 55-56, 62, 114-120 e Milano, Rizzoli,
« BUR», 2001 e 2005, pp. 55, 61 e 113-120.
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nio Tabucchi 36, assiduo frequentatore di quel paese quanto
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36
Ricordiamo almeno, fra gioventù e maturità, La parola interdetta. Poeti
surrealisti portoghesi, a cura di Antonio Tabucchi, Torino, Einaudi, 1971, con am-
pia Introduzione alle pp. 7-81, la cui prima parte chiude sulla Spagna e sull’« osmo-
si culturale rilevante [...] fra i due paesi» (pp. 45-46), e A. Tabucchi, La Nostalgie,
l’Automobile et l’Infini. Lecture de Pessoa, Paris, Seuil, «La Librairie du XXe siècle»,
1998, che riprende le lezioni dell’autore all’École des hautes études en sciences so-
ciales di Parigi del novembre 1994 (ma cfr. il Prologue alle pp. 7-14).
37
Ma cfr. anche Irme Schaber, Gerda Taro. Une photographe révolutionnai-
re dans la guerre d’Espagne (1994), Monaco, Anatolia/Le Rocher, 2006 e
François Maspero, L’ombre d’une photographe, Gerda Taro, Paris, Seuil, 2006,
pp. 16-27, 53-76, 79-83, 89-98, 100-101. Cacucci la evoca in Tina cit., p. 164.
38
Cfr. Eric J. Hobsbawm, Age of Extremes. The Short Twentieth Century
1914-1991 (1994), London, Abacus, 1995 e 2003, pp. 156-169. Ma cfr. an-
che dello stesso Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà
(1990), Torino, Einaudi, 1991 e 2002, [pp. 155-192], pp. 164-166.
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certo, da una figura femminile non così ignorata e anonima, tesa
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39
Cfr. Dulce Chacón, Le ragazze di Ventas (2002), trad. it. di Silvia Si-
chel, Vicenza, Neri Pozza, 2005. Cfr. la bella recensione di Danilo Manera,
Donne dagli occhi asciutti, «L’Indice», 12, 2005, p. 14, che giustamente ne par-
la in termini alti, come di « un libro sonoro e commovente». Ma si veda anche
il recente Patrick Pépin, Histoires intimes de la guerre d’Espagne, 1936-2006. La
mémoire des vaincus, Paris, France Culture/Nouveau Monde, 2006.
40
Pino Cacucci, Nahui, Milano, Feltrinelli, 2005. Cfr. la recensione, nel
supplemento settimanale de «La Stampa», di Sergio Pent, L’epopea di Carmen,
la femmina più desiderata in Messico, « ttL tuttoLibri», 1486, 2005, p. 3: «Tra
sesso e violenza, arte e salotti intellettuali, la femmina più desiderata di città del
Messico cresce come donna e come artista, condannata a diventare una leggen-
da vivente senza mai trovare la vera felicità. Nahui attraversa un’epoca di fuoco,
nel ricordo suggellato dagli interventi educati e attenti di Cacucci, che ricostrui-
sce al contempo i fatti veloci e le rivoluzioni susseguitesi in un paese dove tran-
sitarono nomi come Pancho Villa e Emiliano Zapata, ma anche Tina Modotti e
Diego Rivera, uno dei numerosi amanti occasionali di Nahui». Non condivi-
diamo il giudizio lusinghiero di Pent ma è vero che Cacucci, anche quando si
avvia per sentieri battuti, recuperando per esempio, in Tina cit., pp. 182-185,
la figura di Trotskij e del suo assassino, Ramón Mercader, riesce, con pochi in-
terventi, mirati, a ricostruire un quadro. Cela dit, non fa un’operazione alla Jor-
ge Semprún, La deuxième mort de Ramón Mercader, Paris, Gallimard, 1969, e
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Anche se in fondo sembra davvero essere la Storia, con le
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«Folio», 1984 e 1999, né alla Julián Gorkin, L’assassinat de Trotsky, Paris, Jul-
liard, 1970. Ma cfr. infine Luis Mercader e Germán Sánchez, Mio fratello l’as-
sassino di Trotskij (1990), Torino, UTET, 2006, [pp. 307-310], p. 307.
41
Si veda per intero l’esemplare percorso di Anna Bravo, Anna Maria
Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne. 1940-1945, Roma-Bari, Later-
za, 1995; ma cfr. in particolare il primo capitolo, Donne, guerra, memoria, alle
pp. 3-30.
42
Paul Preston, Colombe di guerra: storie di donne nella guerra civile spa-
gnola (2002), Milano, Mondadori, 2006, [pp. 307-310], p. 307.
43
Cfr. Sophie Vallès, Les femmes républicaines espagnoles, de la seconde Ré-
publique à l’exil: la question de leur identité sociale à travers l’espoir, la guerre civi-
le et l’exode, in Les espagnols et la guerre civile, a cura di Michel Papy, Biarritz,
Atlantica, 1999, pp. 351-360.
44
P. Cacucci, Tina, Milano, Interno Giallo, 1991 e Milano, Tea 1995 e
2001, pp. 140-169 e 170-174; cfr. poi, dello stesso, Ribelli cit., pp. 43-57 e 59-63.
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Il volume del 2001, invece, Ribelli !, non opta per il monoli-
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45
Il rinvio è a Esmond Romilly, Boadilla, London, Macdonald & Co.
(Publishers) Ltd, 1937. Cfr. la trad. it. in Boadilla. La mia guerra di Spagna. In-
troduzione di Hugh Thomas, Torino, Einaudi, 1974. «Boadilla del Monte è
un piccolo e misero villaggio castigliano a circa venticinque chilometri da Ma-
drid », avverte subito Hugh Thomas nelle prime righe della sua Introduzione
(pp. VII-XIII); quel Hugh Thomas che è l’autore di The Spanish Civil War
(1961 e 1977), che resta un libro importante ( pubblicato in italiano a Torino,
da Einaudi, nel 1963, e in francese a Paris, da Laffont, nel 1961 e nel 1985).
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Qui, ci si è relativamente attardati su Pino Cacucci soprat-
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46
Leonardo Sciascia, L’antimonio cit., p. 181. Cfr. poi Renzo De Felice,
Mussolini il duce. Lo stato totalitario. 1936-1940, Torino, Einaudi, 1981 e poi
«Tascabili», 1996, pp. 378-379.
47
Per il film cfr. Javier Cercas, David Trueba, Dialogos de Salamina. Un
paseo por el cine y la literatura, Barcelona, Tusquets, 2003, e quanto ne diceva,
in toni profetici e relativamente disposti, una volta tanto, a un certo ‘compro-
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traduzione di Cacucci, edita nel 2002 48, partecipa al ritorno della
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romanzo di Valerio Evangelisti, Nicolas Eymerich, inquisitore,
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del 1994.
50
Valerio Evangelisti, Nicolas Eymerich, inquisitore, Milano, Mondadori,
«Urania», 1994 e «Piccola Biblioteca Oscar Mondadori», 2004, p. 206.
51
Per Madrid si scorra almeno Madrid, 1936-1939. Un peuple en résistan-
ce ou l’épopée ambiguë, dirigé par Carlos Serrano, Paris, Autrement, «Série Mé-
moires», 1991; si vedano in particolare gli interventi dello stesso Serrano, Ma-
drid 1936-1939: un des repères de la conscience européenne, pp. 12-18, e di Émi-
le Temime, Le mythe et la réalité, pp. 20-30, nella prima parte, che funge da
Prologue, di José Carlos Mainer, Madridgrad ou le regard des autres, pp. 102-
122, nella seconda, Un souffle épique, e di Julio Arostegui, L’agonie, pp. 256-
265, nella quarta parte, Du mythe à l’histoire; da leggere per intero la terza parte,
La projection symbolique.
52
Per Guernica cfr. Herbert R. Soutworth, La destruction de Guernica.
Journalisme diplomatie propagande et histoire. Présentation de Pierre Vilar, Paris,
Ruedo Ibérico, 1975, che ancora oggi contiene le versioni più attendibili; cfr. a
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breve o racconto lungo di Lucarelli, pubblicato da Il Minotauro
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di un apparecchio leggero, che volava in tondo come una fale-
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55
Cfr. l’ottimo lavoro di Laura Dolfi, Agosto 1936: silenzio e mistificazione
(La stampa sulla morte di García Lorca), in Federico García Lorca e il suo tempo,
a cura di Laura Dolfi, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 305-412. Ma cfr. ora L. Dolfi,
Il caso García Lorca. Dalla Spagna all’Italia, Roma, Bulzoni, 2006, pp. 9-172.
56
Cfr. Bruno Arpaia, La misteriosa doppia fine di Eusebio, «Domenica»,
supplemento de «Il Sole-24 ore», 336, 2004, p. 32; Natalia Cancellieri, Un uo-
mo di carta, «L’Indice», 4, 2005, p. 10.
57
Cfr. Juan Goytisolo, Le settimane del giardino (1997), trad. it. e note di
Glauco Felici, Torino, Einaudi, 2004.
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municato a Soler che Federico è morto, e gli ho vietato di
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58
B. Pastor, La canzone del cavaliere cit., pp. 159-160; ma cfr. anche i dia-
loghi, dall’altra parte della barricata, di Bora e Serrano, alle pp. 167-169.
59
Cfr. Carlo Lucarelli, Guernica, Milano, Il Minotauro, 1996 e poi Tori-
no, Einaudi, «Tascabili-Stile Libero», 2000; Pierre Magnan, Guernica (1991),
in Les secrets de Laviolette, Paris, Denoël, 1992 e poi Paris, Gallimard, «Folio
Policier»,1999, pp. 77-152, e trad. it. di Mariella Aleggiani in Guernica, Roma,
Biblioteca del Vascello, 1994 e Roma, Robin, 2001. E d’altro canto, e al di là
dei giochi delle date per individuare possibili fonti di genere, anche il testo
dell’autore italiano ha avuto una traduzione in francese, nata, mi sembra, da un
interesse per il genere, il noir, e per i romanzieri italiani che lo frequentano, più
che per il tema in sé, per la guerra civile spagnola e la città ferita del titolo. An-
che se, è giusto ricordarlo, Guernica non viene pubblicata in quella «Série Noi-
re» di Gallimard che aveva già ospitato, all’epoca, due titoli lucarelliani (Pha-
lange armée, Le jour du loup): cfr. C. Lucarelli, Guernica, traduit de l’italien par
Arlette Lauterbach, Paris, Gallimard, 1998.
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Andrea Camilleri, intitolata Uno strano scambio di persona, ci ri-
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Cos’è che mi chiedeva ? No, no. Io l’ho incontrato dopo, il suo te-
desco, sarà stato il settembre del ’40, in cima ai Pirenei, alla fron-
tiera tra Catalogna e Francia. Ora ci arrivo... Mica la sto annoian-
do, no ? È che erano anni intensi: la fine della monarchia, e dopo
le elezioni del ’31... Le vincemmo alla grande [...]
60
Questi ultimi due testi si possono leggere nei quotidiani sopra citati ma
sono anche disponibili in rete: http://www.massimocarlotto.it/racconto1.html
e http://www.massimocarlotto.it/racconto1b.html; http://www.vigata.org/ras-
segna_stampa/2000/Archivio/Cunto02_Cam_ago2000_Sta.htm. E cfr. infine
il fumetto tratto dal racconto di Carlotto – con la collaborazione dello stesso –
da Giuseppe Palumbo, L’ultimo treno, Scandiano (Reggio Emilia), Edizioni
BD, 2003, che firma anche, a p. 3, un testo che sostanzia «Sceneggiatura e dise-
gni» – Passarono – dedicato a José Ortega – e la traduzione in immagini della
«Storia» del coautore, il cui racconto è alle pp. 47-48.
61
Bruno Arpaia, L’angelo della storia, Parma, Guanda, 2001; cfr. poi dello
stesso Tempo perso, Milano, Tropea, 1997 e poi Parma, Guanda, 2002.
62
B. Arpaia, Tempo perso, Milano, Tropea, 1997, p. 7 (e p. 13 per la clas-
se di Laureano).
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Lo so, che sono storie inutili. Lei viene dall’Italia, ha fatto non so
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63
Ivi, pp. 10, 12, 14.
64
J. Cercas, Soldati di Salamina cit., p. 151.
65
Sempre per il 2001, e sempre al di là di quel dato, ma in seno al ritorno
dell’epoca fascista nella narrativa italiana, col significativo ‘pendant’ dell’Etio-
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ne maiorchina che fa pensare a Bernanos, come si diceva, ma che
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Tastò nelle sue tasche e tirò fuori una lettera [...] di Nikos. [cugi-
no delle bimbe, ogni estate sull’isola]
«Mie care cuginette, sono salito sulla tigre per andare in Spagna. Vi
ricorderete che vi ho detto che laggiù c’è la guerra. Vado per com-
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battere al fianco di quelli che cantano. Un giorno tornerò, andremo
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Ivi, p. 170.
68
Cito dalla Nota di quarta di copertina di Natalia Ginzburg a F. Ramon-
dino, Storie di patio, Torino, Einaudi, 1983.
69
Fausta Cialente, Ballata levantina, Milano, Feltrinelli, 1961 ed ora, con
Prefazione di Franco Cordelli, Il suo meraviglioso comunismo, e Postfazione di
Paolo Terni, Milano, Baldini & Castoldi, 2003; la Parte prima, titolata, per
l’appunto, La nonna, è alle pp. 17-105.
70
F. Ramondino, Guerra d’infanzia e di Spagna cit., pp. 199-208.
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scorso, approdando ancora a una città ferita il cui triste destino
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provenienti dall’estero e concluderemo con una rapida appendi-
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71
Per quella storica cfr. per esempio quanto dice Giorgio Giovagnoli su La
guerra di Spagna nella sua Storia del partito comunista nel riminese 1921/1940.
Prefazione di Giancarlo Pajetta, Rimini, Maggioli, 1981, pp. 326-338.
72
Alberto Casadei, La domenica di questa vita, Lecce, Manni, 2002, [pp.
69-78], pp. 71 e 75. Come critico, Casadei si è occupato del tema della guerra,
a cui ha dedicato due contributi: La guerra, Roma-Bari, Laterza, «Alfabeto let-
terario», 1999, e Romanzi di Finisterre. Narrazione della guerra e problemi del
realismo, Roma, Carocci, 2000.
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« città del presente», forse: « città spagnola della zona cantabrica,
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73
Angelo Morino, Una geografia fallace, «L’Indice», 2002, 12, p. 15, su,
per l’appunto, Alessandro Baricco, Senza sangue, Milano, Rizzoli, 2002.
74
J. Cercas, Soldati di Salamina cit., p. 168.
75
Ivi, p. 40.
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vastità, che la memoria di Cercas (e forse la sua morale, per
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76
Cfr. ancora Angelo Morino, Una geografia fallace cit..
77
Fulvio Abbate, Il minitro anarchico, Milano, Baldini Castoldi Dalai,
2004, pp. 11, 101, 112.
280
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menticato, perdente della storia e della guerra di Spagna, tro-
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78
Teledurruti parla di un giovane che fonda un’emittente privata, alternati-
va, e decide di intitolarla a Buenaventura Durruti. In un paio di pagine, le ragio-
ni della scelta di Aldo Bologna, disoccupato, emergono in modo “fantasmagori-
co”: «[...] era il bianco e nero delle zebre risparmiate dal lavoro umano, poi ven-
ne il colore sfavillante d’arcobaleno come le copertine dei Santana. Finché, un
giorno, senza neppure preavviso, i monoscopi furono aboliti. Ma nel medioevo
televisivo, quando esistevano ancora, è certo che assomigliavano al sonno del di-
soccupato Aldo Bologna che, stufo della propria morte civile, si è messo a dormi-
re sull’erba della fine delle trasmissioni, di tutte le trasmissioni. Già, i monoscopi
erano come le foto su ceramica dei morti al cimitero: addio e ancora addio, anzi,
per il momento addio, ma domani sicuramente – sì, domani, questo è certo – ri-
sorgeremo, saremo di nuovo a casa vostra, a casa nostra, davanti al cancello, da-
vanti al citofono; siamo morti, è vero, ci avete messo l’abito scuro, il migliore, e,
infatti, con questo stesso abito risorgeremo, faremo ritorno in città per farvi un
culo così: in nome di Durruti e della sua rivoluzione». Cfr. F. Abbate, Teledurru-
ti, Milano, Baldini & Castoldi, 2002, pp. 30-31; ma si leggano anche le pagine
seguenti, col dialogo fra Aldo e Stefania « in golf e mutandine».
79
B. Arpaia, Giustizia accidentale di un ministro anarchico, «Domenica»,
supplemento de «Il Sole-24 Ore», 308, 2004, p. 39. Di diverso parere è Rober-
to Giulianelli («L’Indice», 9, 2005, p. 42), che pensa al « documentario trave-
stito da indagine» come a un lavoro sostenuto da « una seria ricerca storica» vol-
ta a raccogliere e ordinare le « tracce» di García Oliver « con efficace disordine».
Cfr. F. Abbate, Il minitro anarchico cit., che alle p. 165-167 fa seguire al testo
una Bibliografia e, dopo i Ringraziamenti, un In memoriam Juan García Oliver
– y ¡viva Fulvio Abbate ! di Fernando Arrabal, alle pp. 171-179.
80
Eraldo Affinati, Campo del sangue, Milano, Mondadori, 1997 e Compa-
gni segreti. Storie di viaggi, bombe, scrittori, Roma, Fandango, 2006. Per
quest’ultimo libro si veda l’intelligente recensione di Giorgio Ficara, Affinati,
tutte le strade del mondo conducono al « campo del sangue», « ttL tuttoLibri»,
1517, 2006, p. 4.
281
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perdita della funzione dell’intelligentsia nella società 81. Mentre
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81
Cfr. Christian Delporte, Intellectuels et politique, Firenze, Casterman –
Giunti, 1995, pp. 104-121. E mi sia concesso rinviare a L. Curreri, Il ritorno di
due «uomini contro»: Campanella e Bonhoeffer in Maffia e Affinati, intervento al
Convegno Lo spazio della religione e il senso del religioso nella letteratura narrati-
va italiana contemporanea (1970-2006), Grenoble, 23-24 novembre 2006, che
apparirà negli Atti dello stesso.
82
F. Abbate, Teledurruti cit., p. 32.
83
L. Curreri, Tra Madrid e Guernica. Guerra civile spagnola e città ferite
nella narrativa italiana (1996-2002), «Cahiers d’études italiennes. Novecen-
to... e dintorni», 1, 2004, pp. 175-202, e Que peut la guerre d’Espagne dans le
roman italien?, in La guerre d’Espagne en héritage: entre mémoire et oubli, Atti del
Convegno di Clermont-Ferrand, 10-12 marzo 2005, a cura di Viviane Alary e
Danielle Corrado (in corso di stampa).
282
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menti e responsabilità della storia (2005) 84, potremmo pensare
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84
G. Ricuperati, Apologia di un mestiere difficile. Problemi, insegnamenti e
responsabilità della storia cit.
85
Si scorra V. Evangelisti, Distruggere Alphaville, Napoli, l’ancora del me-
diterraneo, 2006; ma cfr. la micidiale stroncatura di A. Cortellessa, Solo padre
Dante più in alto del noir, « ttL tuttoLibri», 1519, 2006, p. 3.
283
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diaristica che può accompagnarla e pure tradursi in cinema –
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86
G. De Luna, Davvero scrivere la storia è una «mission impossible» ?, « ttL
tuttoLibri», 1497, 2006, p. 7.
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nale degli scrittori di Strasburgo, di cui Magris e Tabucchi han-
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87
Christian Salmon e Joseph Hanimann, Diventare minoritari. Per una
nuova politica della letteratura, seguito da Un parlamento immaginario ? Conver-
sazione con Salman Rushdie, Wole Soyinka e Russell Banks (2003), Torino, Bolla-
ti Boringhieri, 2004, pp. 31-49 e 90-107.
88
Cfr. ancora A. Glucksmann, Dostoïevski à Manhattan cit., pp. 18-24.
285
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il « non farsi leggere», significa, nel caso dei citati Magris e Ta-
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89
Claudio Magris, Utopia e disincanto. Saggi 1974-1998, Milano, Garzan-
ti, 1999. Ma dello stesso cfr. ora La storia non è finita. Etica, politica, laicità,
Milano, Garzanti, 2006.
90
L. Stegagno Picchio, Lui amò Rosamunda cit..
91
V. Coletti, Nel sangue della storia il narratore folle e il re d’Islanda, «L’In-
dice », 9, 2005, p. 15.
92
A. Tabucchi, Tristano muore cit., pp. 40-41, 57, 60-65, 67, 70-73,
108, 111-114, 132-133, 139; C. Magris, Alla cieca, Milano, Garzanti, 2005,
pp. 13-14, 25-26, 34, 44-45, 68, 70, 120-122, 123, 129-130, 132-134, 144,
171, 215, 304-305. Ma cfr. U. Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana.
Romanzo illustrato, Milano, Bompiani, 2004 e « Libri d’oro», 2005, pp. 44,
145-147, 151, 185, 191, 206-207, 210, 260, 334. E mi sia concesso rinviare a
L. Curreri, La sfida di non farsi leggere. Appunti intorno a «Tristano muore »
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Certo, Magris ripensa di recente alla Spagna e alla sua guer-
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diati dintorni, è bene anche porsi – rischiando ancora un giudi-
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97
María Pilar Soria Millán, Ideali perduti nei viaggi di José Ovejero, « il ma-
nifesto», sabato 30 aprile 2005, p. 13.
98
José Ovejero, Nostalgia dell’eroe (1997), trad. it. di Barbara Bertoni,
Roma, Voland, 2005, p. 9: « Forse Neftalí Larraga non era un uomo coraggio-
so. Che in certi momenti della sua vita si fosse comportato da eroe poteva
persino dipendere da una certa debolezza di carattere [...] Molto probabil-
mente la storia di Neftalí sarebbe finita nel dimenticatoio se Ramón, uno dei
nipoti, non si fosse ostinato a seguire le tracce di quell’individuo di cui in ca-
sa non si parlava mai. All’inizio fu solo la curiosità a spingerlo a indagare sul
nonno, tema tabù in famiglia, di cui sapeva appena che era stato un rivoluzio-
nario cubano e che aveva combattuto nella Guerra civile spagnola ». Ma cfr.
pp. 10-15, pp. 47-52.
288
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ria di Ramón che va alla ricerca di suo nonno, Neftalí. Le in-
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99
Si vedano almeno le due presentazioni che ne fa, all’interno di un nu-
trito contesto, Marcel Oms, La guerre d’Espagne au cinéma cit., pp. 219-220,
288-291, che ha anche curato l’edizione dei Recuerdos de la guerra civil di
Saura in M. Oms, Carlos Saura, Paris, Édilig, 1981. Faccio seguire solo alcu-
ne citazioni dalle pp. 219-220 e 289 de La guerre d’Espagne au cinéma cit.:
« Ce n’est qu’en 1973, avec La Cousine Angélique, que Carlos Saura montre-
ra, du point de vue d’un vaincu, sa mémoire de la guerre, reconstituant les
bombardements sur Barcelone de 1939 [...] et décrivant des comportements
identifiables comme « franquistes » [...] Avant La Cousine Angélique, Carlos
Saura avait décrit métaphoriquement dans La Caza (La Chasse, 1965), les
comportaments des vainqueurs. Une séquence d’extermination de lapins en
rase campagne renvoyait très explicitement à d’autres fusillades [...] Enfin,
dans Le Jardin des délices (1970) un écran sur lequel étaient projetées des ac-
tualités de la guerre cédait la place à un groupe de gens en armes qui sem-
blaient surgir du passé pour réveiller la mémoire assoupie du personnage cen-
tral» ; « Après la mort de Franco (1975), l’optique du cinéaste a changé et son
projet aboutit finalement à cette espèce de revirement créateur extraordinaire
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glie significativamente di esordire come romanziere con una
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viaggiavano a passo d’uomo sui cassoni stracolmi dei camion.
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101
Cfr. Antonio Soler, Il nome che ora dico (1999), trad. it. di Paola To-
masinelli, Milano, Marco Tropea, 2003, pp. 7, 12-13 e 15-16. Cfr. la bella, en-
tusiastica recensione di Paolo Collo, Amore e guerra nella Madrid morente, in
« ttL tuttoLibri», 1397, 2004, p. 3.
102
Si cita da Angela Bianchini, Marías a Oxford. Echi di guerra civile, in
« ttL tuttoLibri», 1382, 2003, p. 3, recensione a Javier Marías, Il tuo volto doma-
ni 1. Febbre e lancia (2002), trad. it. di Glauco Felici, Torino, Einaudi, 2003.
103
Per esemplificare rapidamente la reazione della stampa mi servo
dell’appena citata e favorevole Angela Bianchini, da un lato, e dall’altro della
recensione assai dura di Danilo Manera, Un’orgia di parole, « L’Indice », 3,
2003, p. 17.
291
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no bisogno di tempo per diventare materiale romanzesco più o
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«‘La nostra guerra’» aveva detto Hemingway. «Dite tutti così. Co-
me se fosse l’unica, la più importante, almeno, delle cose che po-
tete condividere. Il vostro pane quotidiano...». [...]
«‘La nostra guerra’» borbottava. «Dite tutti così. Come se fosse
l’unica, la più importante, almeno, delle cose che potete condivi-
dere. Il vostro pane quotidiano. La morte, ecco cosa vi unisce, la
morte antica della guerra civile».
104
Cfr. ancora A. Bianchini Marías a Oxford. Echi di guerra civile cit. Ma
cfr. quanto dice invece, in positivo, sulla decisione di lasciare da parte il passato
(guerra civile e franchismo) Víctor Pérez-Díaz, La lezione spagnola. Società civile,
politica e legalità (1999), a cura di Michele Salvati, Bologna, il Mulino, 2003.
105
Jorge Semprún, Vent’anni e un giorno (2003), trad. it. e note di Rober-
ta Bovaia, Firenze, Passigli, 2005; le citazioni che seguono sono da pp. 9-11.
292
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Se non lo fa lui direttamente, del resto, c’è chi lo fa per lui:
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106
Dan Franck, Les Aventuriers de l’art moderne (1931-1939), 2. Libertad!,
Paris, Grasset & Fasquelle, 2004 e LGF, « Le livre de Poche», 2006, pp. 175-
290, per Paris-Madrid, e pp. 291-337, per Guernica. Ma cfr. Libertad!, trad. it.
di Antonia Tadini Perazzoli, Milano, Garzanti, 2005, pp. 145-236 e 237-273.
107
Ignacio Martinéz de Pisón, Morte di un traduttore (2005), trad. it. di
Bruno Arpaia, Parma, Guanda, 2006, [pp. 7-24], p. 11, e pp. 61-83; Alberto
Méndez, I girasoli ciechi (2004), trad. it. di Bruno Arpaia, Parma, Guanda,
2006, per cui cfr. A. Bianchini, Dentro l’armadio della guerra civile, « ttL tutto-
Libri», 1518, 2006, p. 5.
293
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Insieme, ancora, a diari, a testimonianze, a studi storici 108,
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108
Giusto rinviare, almeno in nota, a qualche titolo che tra Novecento e
Duemila, tra Francia e Italia, tra inediti e riproposte, ha richiamato significati-
vamente l’attenzione dei lettori e degli specialisti sulla guerra civile spagnola e
sulla tragica scomparsa della democrazia in Europa e nel mondo. Cfr. per esem-
pio Les espagnols et la guerre civile, a cura di Michel Papy, Biarritz, Atlantica,
1999; Jean-François Berdah, La démocratie assassinée. La République espagnole et
les grandes puissances. 1931-1939, Paris, Berg, 2000; Gabriel Jackson, La Repub-
blica spagnola e la guerra civile. 1931-1939, Milano, Net, 2003 (ma già Milano,
Il Saggiatore, 1967, trad. it. di The Spanish Republic and the Civil War. 1931-
1939, Princeton, Princeton University Press, 1965); Gabriele Ranzato, L’eclissi
della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini, Torino, Bollati Borin-
ghieri, 2004; B. Bennassar, La guerra di Spagna. Una tragedia nazionale (2004),
Torino, Einaudi, 2006.
109
Cfr. ancora M. Serra, L’esteta armato. Il Poeta-Condottiero nell’Europa
degli anni Trenta cit., [pp. 121-146], p. 130.
294
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passioni dell’ideologia. Cultura e società nella Spagna degli anni
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110
Si vedano rispettivamente Aldo Morandi, In nome della libertà. Diario
della guerra di Spagna 1936-1939, a cura di Pietro Ramella, Milano, Mursia,
2002, pp. 25-30 e seg.; Camillo Berneri, Mussolini alla conquista delle Baleari,
Casalvelino Scalo – Salerno, Galzerano, 2002, pp. 65-161; Le passioni dell’ideo-
logia. Cultura e società nella Spagna degli anni Trenta, a cura di Claudio Venza e
altri, Trieste, Editre, 1989. E di Giuseppe Galzerano è giusto segnalare anche,
come autore oltre che editore, il volume dedicato a Vincenzo Perrone. Vita e lot-
te, esilio e morte dell’anarchico salernitano volontario della libertà in Spagna, Ca-
salvelino Scalo – Salerno, Galzerano, 1999.
111
Ma cfr. anche, dello stesso Muntaner, El primer franquisme a Mallorca.
Guerra civil, repressió, exili i represa cultural, Barcelona, Publications de l’Abadia
de Montserrat, 1996, su cui si legga l’attenta recensione di Emanuela Sarti in
La ruta de les illes: de Mallorca a Sardenya, a cura di Joan Armangué i Herrero,
Càller, Arxiu de Tradicions, 2002, pp. 40-42.
112
Cfr. ancora Fabrizia Ramondino, Guerra d’infanzia e di Spagna cit.,
pp. 415-417 e 85. Il lungo pamphlet di Bernanos, in Francia, è costantemente
ristampato e si può leggere in edizione economica, con testo integrale, nei
«Points» Seuil; in Italia, l’ultima edizione, se non mi sbaglio, è Milano, Net,
2005 (che ha preso il posto di quella de Il Saggiatore, « L’Arco», 1996).
296
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di reperire i percorsi tematici centrati, per l’appunto, su Madrid,
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113
Così Picasso a un ufficiale tedesco in visita al suo studio e di fronte a
Guernica: «– L’avete fatto voi, maestro ? – No, l’avete fatto voi, con la Luftwaf-
fe». Ma sulla genealogia del quadro e sul suo valore di icona novecentesca cfr.
almeno i lavori di Jean-Louis Ferrier, De Picasso à Guernica. Généalogie d’un ta-
bleau, Paris, Denoël, 1985 e Paris, Hachette Littératures, «Pluriel», 1998, per
l’edizione aggiornata e Postface del 1998, seguita da un’appendice di documenti
della fine aprile e dell’inizio maggio 1937, alle pp. 207-221, e Gijs van Hen-
sbergen, Guernica. Biografia di un’icona del Novecento (2004), Milano, Il Sag-
giatore, 2006.
114
Cfr. ancora H. R. Soutworth, La destruction de Guernica. Journalisme
diplomatie propagande et histoire cit.
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bito dopo, a Teruel, il protagonista, il doppiogiochista Filippo
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115
C. Lucarelli, Guernica cit., pp. 5 e 13.
116
Ivi, pp. 12 e 17.
117
Ivi, pp. 86 e 93.
118
Ivi, p. 104.
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anche se non tutte in relazione al tema delle città ferite, dalle
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119
Ivi, pp. 65 e 71.
120
Ivi, pp. 73-74.
299
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sbattono in guardina» 121. E così Viva la muerte non diventa la
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121
Ivi, p. 40.
122
Aldo Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna cit., p. 421.
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soldati si aggiravano tra le macerie travolti dallo stupore della
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Passiamo dunque a Bruno Arpaia e al suo L’angelo della sto-
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ria, dicendo subito che la parte del romanzo che più ci interessa
coincide, pressappoco, con la sua prima metà, con quelle prime
centoquaranta pagine alla fine delle quali si assiste a un leggero,
tenue ma significativo passaggio di consegne, sul quale vale la
pena di intrattenersi per la particolare struttura del romanzo di
cui si è detto. Da un lato, infatti, abbiamo le città spagnole feri-
te fino alle soglie della primavera del 1939 e dall’altro la capita-
le francese colpita, l’alba del 3 giugno 1940, dalla Luftwaffe,
che bombarda Parigi, sintesi urbana altissima di « mille autres
fins du monde, au cours des millénaires» 123, secondo un libro
strano, da usarsi « con molta cautela», ma a tratti « suggestivo e
stimolante» 124, come Le matin des magiciens (1960) di Louis
Pauwels e Jacques Bergier; saggio romanzato, fantastorico, che
apocalitticamente mette insieme molte città ferite, diversi in-
cendi, e tanti dati senza indicare fonti, e nel caso specifico di
Parigi prosegue evocando il rogo di Berlino 125.
123
Louis Pauwels e Jacques Bergier Le matin des magiciens. Introduction au
réalisme fantastique, Paris, Gallimard, 1960 e «Folio», 1972, pp. 241-242.
124
È il giudizio di Furio Jesi, Cultura di destra cit., p. 53.
125
Che è poi solo il punto terminale, potremmo dire, di tutte le città te-
desche devastate da assedi terrestri e celesti di cui si incomincia a parlare con
più fervore in Germania e nel mondo per denunciare, a vari livelli d’indagine,
saggistico, storico e letterario, una realtà spesso taciuta dai vincitori – e dai
vinti – del secondo conflitto mondiale: penso, per le tante città tedesche feri-
te dai bombardamenti, al recente libro di Jörg Friedrich, Der Brand, del 2003
(La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati
1940-1945 cit.), e, per i rapporti tra bombardamenti, guerra aerea e letteratu-
ra, alle conferenze tenute a Zurigo nel 1997 da W. G. Sebald e raccolte nel
volume Luftkrieg und Literatur, München/Wien, Carl Hanser Verlag, 1997,
tradotto di recente con titoli discutibili, per quanto indicativi di un orienta-
mento del lavoro, in francese, De la destruction comme élément de l’histoire na-
turelle, Arles, Actes Sud, 2004, e in italiano, Storia naturale della distruzione,
Milano, Adelphi, 2004. Entusiasti molti recensori italiani (da Trevi a De Lu-
na). Più interessanti, a mio avviso, i rilievi di Gustavo Corni, Buchi della me-
moria, « L’Indice », 1, 2005, p. 5
303
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Del resto è pur vero che un amante un po’ particolare della
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126
Cfr. Arno Breker, Hitler: Paris à la sauvette, «Historia», 319, 1973, pp.
106-117. Ma cfr., dall’altra parte della barricata, la ricostruzione di Irène Némi-
rovsky, Tempête en juin, in Suite française (1941-1942), Préface de Myriam Anis-
simov, Paris, Denoël, 2004 e Paris, Gallimard, «Folio», 2006, pp. 31-303 (ma
cfr. anche pp. 519-537). Ha salutato l’edizione italiana di Suite francese, Milano,
Adelphi, 2005, e « il racconto cinematografico della fuga dei francesi da Parigi, nel
giugno del 1940, all’arrivo dei tedeschi» di Temporale di giugno, Gabriella Bosco,
Guarda la Francia che perde l’onore, « ttL tuttoLibri», 1488, 2005, p. 3.
127
Cfr. Dominique Lapierre, Larry Collins, Paris brûle-t-il? (25 août
1944), Histoire de la libération de Paris, Paris, Laffont, 1964, e Helga Schnei-
der, Il rogo di Berlino, Milano, Adelphi, 1995, dove sono pagine alte sulla pre-
sa della città da parte dei russi che ricordano talvolta l’anonima Una donna a
Berlino. Diario aprile-giugno 1945 (1954 e 1959), Milano, Mondadori, 1957
e Torino, Einaudi, 2004, con Introduzione di Hans Magnus Enzensberger, alle
pp. V-IX, scritta appositamente per la nuova edizione italiana, che segue la pri-
ma edizione tedesca del 1959. Sui russi a Berlino cfr. ancora Erich Kuby, Die
Russen in Berlin 1945, München-Bern-Wien, Scherz Verlag, 1965 ( trad. it.
Torino, Einaudi, 1966), e il più recente Antony Beevor, Berlino 1945 (2002),
Milano, Rizzoli 2003, autore che, usufruendo degli archivi russi e tedeschi,
riapproda anche, dopo un quarto di secolo, dopo The Spanish Civil War del
1982, alla riscrittura della guerra di Spagna con La guerra civile spagno-
la (2006), Milano, Rizzoli, 2006.
304
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ri» 128. È quasi un ‘punto limite’ del romanzo, dal quale, per i no-
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128
B. Arpaia, L’angelo della storia cit., p. 148.
129
Ivi, p. 145.
130
Ivi, pp. 138 e 136.
131
Ivi, p. 78. Cfr. a questo proposito S. Sontag, Sotto il segno di Saturno
(1978), in Sotto il segno di Saturno, Torino, Einaudi, 1982, [pp. 89-110], pp.
106-108.
132
B. Arpaia, L’angelo della storia cit., p. 78.
305
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te». Si seguono così, dall’inizio del romanzo, in un clima tragi-
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133
Ivi, pp. 10 e 16.
134
Ivi, p. 11.
135
Ivi, p. 24.
136
Ivi, p. 35.
137
Ivi, p. 36.
138
Ivi, p. 68.
306
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sentire – ma con segno mutato – un documentario di Giorgio
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139
Ivi, p. 75. Cfr. il DVD Spagna 1936-1939, Roma, Istituto Luce, 2004.
140
Ivi, p. 177. E per Port Bou cfr. ancora quel poco noto antecedente ita-
liano su cui attiravamo l’attenzione alla fine del secondo capitolo di questo vo-
lume: cfr. Vittorio Bodini, La lobbia di Masoliver (1968-1969) in La lobbia di
Masoliver cit., [pp. 89-96], p. 94.
141
Cfr. «Magazine littéraire », 408, 2002, [pp. 59-60], p. 59.
307
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ne 142, Benjamin insiste per consegnare il suo testamento, le tesi
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142
B. Arpaia, L’angelo della storia cit., p. 249.
143
Ivi, p. 205.
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dersi” [chi parla è Adrienne Monnier ma sembra Benjamin, che
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invece qui dice con inedita concretezza] – “[...] lei non conosce i
tedeschi quanto me” [...] le mani si agitavano attorno a un libro
di Stendhal [...] “Allora”, si decise a dire “già che ci siamo, le pos-
so chiedere di regalarmi anche Il rosso e il nero? Vorrei rileggerlo
ma la mia copia è dispersa da anni per l’Europa...”. Ventiquat-
tr’ore dopo, i tedeschi attraversavano la Senna [...]» 144.
La storia è andata così, la vita anche. Arpaia traduce in
letteratura ma regola la contaminazione del feticcio, sfuman-
dola, ed allontana gli eccessi del romanzesco ‘postmoderno’ di
Tutto il ferro della Torre Eiffel di Michele Mari, pubblicato da
Einaudi nel 2002. Ambizioso, divertente ma tutto raccolto in
una divagazione letteraria, come qualche recensore ha potuto
suggerire 145.
144
Ivi, pp. 159-161, con stralci. Per Adrienne Monnier e Sylvia Beach cfr. il
recente e ricco volume di Laure Murat, Passage de l’Odéon. Sylvia Beach, Adrienne
Monnier et la vie littéraire à Paris dans l’entre-deux-guerres, Paris, Fayard, 2003.
Cfr. Nicola Bertasi, Alla ricerca del libro perduto, «Alias», 21, 2005, p. 5.
145
Cfr. Alessandro Barbero, La letteratura come feticcio. Benjamin e il nano
malefico, «L’Indice», 1, 2003, p. 8. Sull’uso che di alcuni grandi critici e intellet-
tuali del Novecento, fra Walter Benjamin (1892-1940), per l’appunto, Giacomo
Debenedetti (1901-1967) e Roberto Bazlen (1902-1965), ha fatto la narrativa
degli ultimi vent’anni, da Del Giudice a Arpaia e Mari, passando per Antonio
Debenedetti, ho tenuto una lezione a Firenze il 12 novembre 2003, intitolata
Un angelo, un dandy e « un uomo a cui piaceva vivere negli interstizi della cultura e
della storia». Più recentemente, ho cercato di rilanciare e approfondire il discorso
in Il fascino della differenza nell’identità (in crisi) dello scrittore, del critico e dell’in-
tellettuale. Bazlen, Debenedetti, Benjamin nella narrativa italiana: 1983-(2001)-
2004, relazione al Convegno di Grenoble, Images et formes de la différence dans la
littérature italienne des années 1970 à nos jours, 24-25 novembre 2005 (di prossi-
ma pubblicazione negli Atti dello stesso a cura di Alain Sarrabayrouse).
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di Fabrizia Ramondino, Guerra di infanzia e di Spagna, che è,
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146
Cfr. F. Ramondino, Storie di patio cit., pp. 3-92.
147
Cfr. F. Ramondino, Guerra di infanzia e di Spagna cit., p. 23. Cfr. Mary-
line Maigron, Conflits armés et conflit intérieur dans «Guerra di infanzia e di Spa-
gna» de Fabrizia Ramondino, in Images littéraires de la société contemporaine, Atti
del Convegno di Grenoble, 21-22 novembre 2003, a cura di Alain Sarrabayrouse,
«Cahiers d’études italiennes. Novecento... e dintorni», 3, 2005, pp. 155-165.
148
Cfr. F. Ramondino, Guerra di infanzia e di Spagna cit., pp. 227-229;
ma cfr. anche, per esempio, p. 197.
149
Ivi, pp. 365-368 e 415-417.
150
Sull’infanzia e la guerra civile spagnola si vedano, in questa prospettiva,
ma senza la mediazione dell’isola incantata, alcune pagine di François-Marie Ri-
badeau, Le pain et la pierre, s.l., Atelier Marcel Jullian, 1979, pp. 67-75, relative
al cap. IV, Guerre civile dans le village. Ma cfr. almeno, per diverse considerazio-
ni generali, tutte importanti, Donald W. Winnicott, Les enfants et la guerre
(1940) in Les enfants et la guerre (1984), Paris, Payot et Rivages, 1994 e «Petite
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In questa prospettiva – con tonalità forti e crude che la avvici-
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luogo comune della nuova guerra moderna e tecnologica, no-
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154
Ivi, pp. 206-207.
155
Ivi, p. 207.
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a volersi prendere gioco di lui, gli era finita nel cavo del braccio
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156
Ibidem.
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POSTFAZIONE
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dente con gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta (e con la loro prima
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1
Mi sia concesso rinviare a L. Curreri, «Démolitions» e ferrovie. Su alcune
deprecazioni del moderno tra Francia e Italia nella poesia del secondo Ottocento,
«Franco-Italica», 5, 1994, pp. 71-115; «Les images avant les idées», «Franco-Itali-
ca», 13, 1998, pp. 177-218.
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Proposte anche in via provocatoria, tali intersezioni servono so-
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stano muore (2004), poi, così vicino nel recupero ‘critico-criptico’ del-
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2
Cfr. Rada Ivekovic], Autopsia dei Balcani. Saggio di psico-politica (1999),
Milano, Cortina, 1999, p. IX, che come prima epigrafe del suo lavoro cita non
a caso María Zambrano, El español y su tradición: «Si dovrebbe guardare alla
Spagna e al suo dramma da lontano [...]».
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vile spagnola può ancora informare il nostro presente. Dobbiamo solo
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Stendhal di Grenoble – dedicato quell’anno al tema della guerra – pre-
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sentato grazie agli amici Paolo Collo e Maria Teresa Polidoro, è nau-
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fragato putroppo due volte, nel dicembre 2003 e nel luglio 2005, e
in quel mezzo è stato in lettura presso altre case editrici di area tori-
nese per interessamento di Claudio Gallo, Milva Maria Cappellini,
Enrico Badellino (Aragno, S.E.I., la vecchia Testo & Immagine) e ro-
mane (Donzelli e Quiritta, che putroppo è scomparsa, nonostante il
successo del suo piccolo ma interessante catalogo di scrittori italiani).
3
Cfr. ancora la sintesi di Christian Delporte, Intellectuels et politique cit.
321
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tional de l’Université de Clermont-Ferrand, La guerre d’Espagne en hé-
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INDICE DEI NOMI *
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*
Il nome di Leonardo Sciascia, che ricorre in quasi tutto il volume, non
compare nell’indice.
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Bach, Johann Sebastian 203 Benjamin, Walter 94, 237, 253n,
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Bobbio, Norberto 20n, 39 e n, Caballero, Largo 187n
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Caudwell, Christopher (Ch. St. Colombel, Jeannette 269n
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Deaglio, Enrico 260n Dethurens, Pascal 138 e n
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Facco de Lagarda, Ugo 39, 40n 217, 224, 225, 227, 230,
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Giacomo da Lentini 60 Guareschi, Giovannino 130, 177n
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Jesi, Furio 257, 258n, 303n Lincoln, Bruce 25n
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Maffi, Mario 38 e n, 41n, 168n, Martínez de Pisón, Ignacio 293 e n
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Mommsen, Hans 23n, 89n Nelken, Margarita 264
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Papy, Michel 264, 294n Pio V (Michele Ghislieri) 165
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Parise, Goffredo 216, 218, 219n, Pirandello, Luigi 12n, 13n, 255,
221, 222n, 223 e n, 224, 256 e n, 257 e n
226 e n, 319 Pirani, Mario 260n
Parisot, Henri 165n Pirani, Roberto 187n
Parnet, Claire 89n Platone 19n, 20n, 24 e n, 25n,
Pasinato, Antonio 259n 27, 32n, 34 e n, 35n, 43n,
La Pasionaria (Dolores Ibárruri) 47 e n, 83, 283, 317
142n, 180 Polidoro, Maria Teresa 321, 322
Pasolini, Pier Paolo 34, 44, 45, 46, Pompeo Faracovi, Ornella 15n
47, 62, 88 e n, 283, 317, 320 Porzio, Domenico 112n
Pastor, Ben 269 e n, 270, 271n Pratolini, Vasco 195n
Pautasso, Sergio 189n Praz, Mario 186n
Pauwels, Louis 303 e n Preston, Paul 162n, 261, 264 e n
Pavese, Cesare 180 e n, 181n, Primo de Rivera, José Antonio
182 e n, 185, 188, 215, 319 166n, 213
Pavolini, Luca 51n Proust, Marcel 144
Pavone, Claudio 246n Puccini, Mario 187n, 319
Paz, Abel (Diego Camacho) 281 Pupo, Ivan 257n
Pazzi, Roberto 248n
Pecoraro, Zino 21n Quattrini, Antonio G. 191 e n
Pederiali, Giuseppe 227 Queipo de Llano, Gonzalo 190,
Pellini, Pierluigi 85n 191
Pellizzi, Camillo 147n Quondam, Amedeo 109n
Pent, Sergio 263n, 269n
Pépin, Patrick 263n Raffaelli, Massimo 150n
Pérez-Díaz, Víctor 292n Raimondi, Ezio 22n, 152n
Perosa, Sergio 121 e n Ramat, Silvio 197n
Perrone, Domenica 45n, 49n, Ramella, Pietro 294, 296n
98n, 99n, 100n, 115 Ramondino, Fabrizia 9, 127n,
Perrone, Vincenzo 297n 152n, 258 e n, 259, 274,
Pessoa, Fernando 256, 262n 276 e n, 296 e n, 299, 310 e
Petrignani, Pietro 147n n, 311n, 312, 314, 319,
Picasso, Pablo 297 e n 320, 321, 322
Picelli, Guido 229, 233 Ranzato, Gabriele 53 e n, 109n,
Pichois, Claude 120 124, 125n, 130n, 137n,
Picon, Gaëtan 102n 187n, 244n, 246n, 269n,
Pignatelli, Valerio 163n 294n
Pintor, Giaime 194 e n Rapone, Leonardo 243 e n
333
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Rasy, Elisabetta 257 e n Russo, Luigi 149n
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Scianna, Ferdinando 16n, 50, 212 Soutworth, Herbert R. 268n,
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285, 286 e n, 287n, 317, Truppi, Carlo 90n
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224, 226 e n, 317, 318, 319, Yerushalmi, Yosef Hayim 23 e n,
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