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Dubito che ci sia qualcuno tra voi seduti a leggere queste righe che sia

completamente estraneo al nome "Stan Lee"... a meno che, ovviamente, non siate una
di quelle anime sfortunate che hanno passato la propria gioventù in un cesto della
biancheria. Se così fosse, allora lasciate che vi metta al corrente di un paio di
dettagli fondamentali.

"Stan Lee" è il nome di quel genio fallace che sta dietro all'intero impero Marvel
Comics. Senza Stan Lee non stareste leggendo tutto questo. Senza Stan Lee non ci
sarebbero stati i Fantastici Quattro, gli X-Men, Hulk, Thor, niente. Senza Stan Lee
probabilmente non ci sarebbe mai stato un film su Conan [il Barbaro] e quasi
sicuramente l'industria del fumetto sarebbe molto, molto diversa, ammesso che
sarebbe esistita.

D'altro canto, senza Stan Lee non avreste dovuto sorbirvi quell'agghiacciante serie
televisiva sull'Uomo Ragno. Suppongo sia una di quelle situazioni dove si butta giù
il salato con il dolce.

La mia conoscenza a lunga distanza con quest'uomo risale a circa vent'anni fa, al
fatidico giorno in cui, crogiolandomi nella mia ripugnante infanzia, mandai mia
madre a comprarmi la razione settimanale di fumetti. In particolare, quello che
volevo era un numero di Blackhawks, della DC.

Sapendo però che la mia genitrice femmina non si sarebbe potuta ricordare nulla di
così complicato quale una parola bisillaba come "Blackhawk", cercai di stare sul
sicuro informandola che il fumetto che volevo aveva un mucchio di tizi con delle
uniformi blu in copertina.

Si ripresentò con "Fantastici Quattro #3". Immaginate la mia sorpresa.

Mia madre, ovviamente, si scusò profusamente, per questo la lasciai perdere


limitandomi ad ammanettarla, invece che sguinzagliarle contro i doberman, come
facevo di solito. Un paio d'ore dopo avevo finito di leggere FQ 3 per quella che mi
accorsi con sorpresa essere l'ottava volta e mi resi conto che quella donna mi
aveva reso un servizio mica da poco! Quel fumetto era stupendo, da bava alla bocca!

Ora, io non ero quel tipo di bambino che si lasciava andare spesso a dimostrazioni
di gratitudine, ma ricordo che quel pomeriggio diedi a mia madre un pezzo in più di
carne cruda dopo aver perfino accettato di allungare la sua catena di un paio di
anelli...

A questo punto dovrei forse spiegare esattamente cosa mi aveva tanto preso di quel
terzo numero dei Fantastici Quattro. Del resto, all'epoca in cui uscì quel fumetto,
molti di voi che leggete non eravate altro che un mucchio di geni e cromosomi che
vagavano senza niente di meglio da fare in attesa che succedesse quaclosa.
Oltretutto siete cresciuti in un mondo dove avete almeno una quarantina di
supereroi tra cui scegliere ogni mese.

Dubito che possiate immaginare l'impatto che un singolo fumetto poteva scatenare
all'interno del desolato mercato della carta stampata del 1961, o quand'era, specie
per qualcuno la cui unica esperienza con i supereroi era quella dei maschioni senza
macchia e dalla mascella squadrata della DC Comics del tempo. La differenza
principale da notare era la surrealità del tratto di Jack Kirby: aveva una qualità
squadrata e imperfetta che sembrava quasi sgradevole alla vista di chi si era
abituato alle forme aggraziate di Carmine Infantino o all'inchiostrazione pulita di
Murphy Anderson. Detto questo, mi ci affezionai in fretta.

Nel giro di appena pochi mesi mi ritrovari incapace di guardare a Infantino o Kane
o Swan o a qualunque altro artista della DC del tempo senza pensare che gli
mancasse qualcosa... gli mancasse grinta. Come dicevo, lo stile di Kirby era molto,
molto strano. Chi di voi ha letto giusto "Gli Eterni" di suo non può neanche
immaginare di quanto strano io stia parlando.

La sceneggiatura però, ecco, quella era ancora più strana. Non che la trama fosse
chissà cosa... se non ricordo male parlava di un cattivo di bassa lega chiamato
"L'Uomo dei Miracoli" con il potere di creare illusioni: attaccava i Fantastici
Quattro, li sconfiggeva, loro si raggruppavano, lo sconfiggevano, fine. Nulla di
che.

Ciò che aveva di speciale era la caratterizzazione... il modo in cui i personaggi


parlavano, pensavano e si comportavano. Voglio dire, pensateci un attimo... c'era
una specie di scienziato di buon cuore stereotipato chiamato Reed Richards a cui
venivano fatte fare lunghe e pretenziose spiegazioni su tutto, dalle radizioni
Epsilon all'Amore Universale.
C'era questa sua ragazza un po' rammollita e dal cuore tenero, Susan Storm, che
dava sempre l'idea di volersene stare seduta in poltrona con una bottaglia di
valium e l'ultimo numero di Vogue piuttosto che farsi catturare dall'Uomo Talpa o
qualcuno della stessa sponda.
C'era suo fratello teenager, Johnny, che era magrolino, brusco e chiacchierone, se
non un poco odioso: il genere di persona che riesce a spostare un autoarticolato a
mani nude ma non a trovarsi una ragazza per bene.
E per ultimo, ma non certo per importanza, c'era Ben Grimm, la Cosa.

A quei tempi, la Cosa non era il coccoloso e affabile "Orsacchiottone Arancione" di


oggi. A quei tempi era rappresentato come una specie di Hulk con crisi maniaco-
depressive, un'emicrania costante e sempre prono a sparare battute come "Bah!
Togliti di mezzo, misero mortale!" per poi mettersi a distruggere macchine e
palazzi con una passione capace di lasciare l'hooligan medio con la bocca aperta in
ammirazione.

In più di una occasione era arrivato pericolosamente vicino all'ammazzare la Torcia


Umana se di cattivo umore e, in generale, si aveva l'impressione che fosse sempre
sul punto di trasformarsi in un cattivo in piena regola e abbandonare i Fantastici
Quattro per sempre.

Per qualcuno che si era svezzato con la moderata genitlezza della Justice League of
America, questa era roba davvero pesante. Voglio dire, alla DC Comics, se Superman
diceva qualcosa di anche lontanamente sgradevole a Batman o Wonder Woman, sapevi
che doveva essere o sotto gli imprevedibili influssi della Kryptonite Rossa o
controllato mentalmente da una delle ultime armi a raggi di Lex Luthor.

Con Ben Grimm invece sapevi che abrebbe potuto tranquillamente staccare braccia e
gambe una alla volta a qualcuno solo perché quella mattina gli si erano squagliati
i cereali dopo aver aspettato troppo a mangiarli.

Ci fu una scena memorabile, proprio in quel famoso numero tre, dove la Donna
Invisibile presentava con orgoglio ai suoi compagni dei nuovi costumi disegnati da
lei (fino a quel momento i Fantastici Quattro si vestivano normalmente con abiti
comuni).

Il costume della Cosa era un completo attillato con tanto di stivaloni neri e di un
elmetto blu che faceva del suo meglio per nascondere quell'orribile e rigonfio
volto arancione. Alla fine della storia finiva ridotto a stracci durante una fitta
di rabbia, lasciando solo gli stivali neri e le mutandone a Y che oggi ben
conosciamo e amiamo.
Contemporaneamente, la Torcia Umana si metteva a fare dei capricci che meglio si
confacevano ad un bimbo di cinque anni e decideva di lasciare i Fantastici Quattro
per sempre. Con tutta questa carne al fuoco capirete bene perché non ero poi così
interessato all'Uomo dei Miracoli e alla sua orda di mostri illusori.
Quello fu il mio primo assaggio della sceneggiatura di Lee, e ne rimasi rapito.

I numeri successivi non mi delusero. Nel quarto numero ricompariva per la prima
volta dagli anni '50 il Sub Mariner [Namor], presentandosi come un vagabondo privo
di memoria che stava marcendo silenziosamente in un bettola della Bowery, finché
tale edificio non veniva visitato proprio dalla Torcia Umana, ancora in fuga dai
tre compagni di squadra.

In quella che per per me è ancora oggi una delle scene più elettrizzanti del mondo
del fumetto, un impressionato Johnny Storm usava i propri poteri di fuoco per
accendersi un dito e usarlo per tagliare barba e capelli al vagabondo, rivelando
così il sovrannaturale volto triangolare e le eleganti sopracciglia incurvate del
Principe Namor, il leggendario Sub Mariner.

E la cosa continuò e continuò, non più limitandosi alle pagine dei Fantastici
Quattro: durante questo periodo Lee espanse l'intera line-up della Marvel
ravvivando i titoli più misteriosi e meno seguiti con una menagerie sempre più
vasta di super-umani e tutti, cosa ancora più rimarchevole, scritti da lui. Thor,
Ant Man, Devil, Iron Man, Hulk, i Vendicatori... tenete a mente che quasi tutti
questi titoli erano mensili: provate a mettervi seduti al tavolo con carta e penna
e a pensare a quante pagine di sceneggiatura Stan "The Man" Lee doveva consegnare
ogni singolo mese oltre a dover gestire i propri impegni di editor all'interno di
un mercato in caduta come quello del fumetto.

Voglio dire, io stesso posso dire di aver scritto una pagina o due nella mia vita,
ma il pensiero dover gestire un carico di lavoro come quello mi fa tremare senza
controllo e riduce la mia voce a dei buffi suoni leggermente acuti. "The Man"
doveva avere otto pinte di caffé nero al posto del sangue.

Ovviamente non tutte le storie venivano così bene, sebbene al tempo se qualcuno me
lo avesse fatto notare gli avrei strappato la spina dorsale per fargliela poi
mangiare un centimetro alla volta.

Come molti lettori del tempo ero stato completamente rapito dalla potenza
devastante della macchina pubblicitaria della Marvel. Se un commento di copertina
mi avesse infromato che "Millie la Modella incontra Rawhide Kid" era il "Titolo
d'Azione più Glorioso di Tutti i Tempi" allora, per Dio, era così e chi se ne
importa di Guerra e Pace, la Bibbia, Le Miniere di Re Salomone e Moby Dick. Per
quanto mi riguardava, se non era scritto da Stan Lee non poteva concorrere al
titolo.

Probabilmente il traguardo più importante raggiunto da Lee stava nel modo in cui
riusciva a tenersi stretto il lettore anche ben oltre l'età che era generalmente
associata ai lettori di fumetto del periodo. Ci riusciva grazie ad una costante
applicazione del cambiamento, della modifica e dello sviluppo.

A nessun fumetto era concesso di rimanere "statico" troppo a lungo: Iron Man
sostituì il suo aspetto da gigante di metallo tutto grigio con un più sinuoso e
raffinato completo rosso e oro. Hulk lasciò i Vendicatori per non tornarci più; un
Commando Ululante venne ucciso per la prima volta. Dite quello che vi pare
sull'Universo Marvel degli esordi, ma di certo non era noioso.

Con il finire degli anni '60 lo stile narrativo di Lee iniziò a riflettere i
cambiamenti che stavano intercorrendo nella società circostante. Il realismo da
strada e terra-terra iniziò a lasciar spazio al senso di avventura e meraviglia
delle avventure di scala cosmica, proprio come migliaia di ragazzini americani di
ceto medio stavano iniziando a portare abiti in caftano, a farsi crescere i capelli
e a cercare avventure "cosmiche" tutte loro a San Francisco.
Per molti, questo periodo "da visionario" di Lee rappresenta il suo momento più
alto. Personalmente, anche se mi prese parecchio per un po', posso dire con il
senno di poi che in realtà rappresentò l'inizio della fine. Detto questo, finche
durò fu probabilmente quanto di più divertente si potesse ottenere all'epoca senza
finire in prigione.

I Fantastici Quattro incontrarono in rapida successione: lo stupefacente divoratore


di pianeti noto come Galactus, il benevolo e protettivo Silver Surfer, l'utopia
tecnologica nascosta nel cuore delle giungle africane di Black Panther, gli
Inumani, l'Osservatore e una gran pletora di individui altrettanto sorprendenti.

Thor se la vide con i colonizzatori Rigelliani e, cosa ben più memorabile, con Ego
il Pianeta Vivente. Non dimenticherò mai quando ho voltato l'ultima pagina di quel
particolare numero di Journey into Mystery e mi sono trovato di fonte allo
spettacolo a vignetta unica di un gigantesco pianeta organico con incastrata sopra
la faccia di un malevolo ottantenne.

Credetemi, quando la gente della mia età sproloquia a proposito del senso di
meraviglia di quei vecchi fumetti intendono proprio questo. Erano idee così uniche
e capaci di friggerti il cervello che veniva da chiedersi per quanto Lee e i suoi
amici di penna potessero continuare a tirarle fuori a quel ritmo e con quello
stile.

La risposta fu, purtroppo, "non per molto".

Via-via che la Marvel cresceva e diventava un pezzo sempre più grosso, Lee si
ritrovò a passare sempre più tempo a prendere le decisioni editoriali dovute in
un'azienda così grande e sempre meno a scrivere.

Altri scrittori iniziarono a farsi notare. Alcuni di loro, come Roy Thomas, erano
davvero molto competenti. Altri meno. Ma una cosa che tutti questi nuovi autori
avevano in comune era che si dovevano rifare a quanto scritto da Lee.

Questo fu un bene in quanto fornì una piacevole continuità alle varie testate. Roy
Thomas si attenne allo stile di Stan Lee molto fedelmente, quasi da sembrare la
stessa persona... ma questo fu anche un male perché ci portò in una situazione che
sembrava dirci che quello era anche lo stile di "Stan-Lee-Una-Volta-Fuori-Dai-
Giochi". Era un processo che stava solo annacquando le cose.

Successivamente i nuovi autori iniziarono a rifarsi allo stile di Roy Thomas,


portando ad un'ulteriore dispersione dell'originale. Vennero alla luce scrittori
con meno talento per la stesura di una trama e per la caratterizzazione dei
personaggi di un verme comune; e tutti loro ritenevano che quanto bastava per
scrivere una bella storia in stile Stan Lee fosse metterci dentro il Dottor Destino
o Galactus, far arrivare gli eroi (che avrebbero passato un paio di vignette a
discutere obbligatoriamente tra di loro) e chiuderla lì.

Tuttavia, grazie al genio di Lee per la pubblicità, la macchina della Marvel era
riuscita a guadagnare una certa rincorsa. Ciascuna copertina annunciava come quella
storia fosse destinata ad essere "Il Più Grande Mazzuolamento Super Eroico della
Possente Era del Fumetto Marvel!". E, da bravi fessi, ci credevamo. Stan ci aveva
forse mai mentito?

Non importa quale scena di combattimento insensata e rivista già centinaia di volte
ci fosse. Non importa che personaggio veniva ridotto ad una piatta parodia di se
stesso. Continuavamo a inviare le nostre tessere di adesione al MMMS e ergevamo
croci nei giardini di chi sospettavamo essere un lettore della DC Comics o della
Brand Echh proprio come il nostro leader senza macchia ci aveva detto di rivolgerci
alla "Distinta Concorrenza".

Noi eravamo quei fanatici dall'occhio selvaggio capaci di rivaleggiare con i


peggiori membri della famiglia Manson.
Noi eravamo i True Believer.

La cosa peggiore è che tutto era arrivato ad un punto di fermo. [Avete presente
come Lee non lasciava i fumetti "statici"? Ecco,] I fumetti avevano smesso di
svilupparsi: se prendente un numero dell'Uomo Ragno di oggi vedrete che Peter
Parker è ancora un ventenne, si preoccupa di cosa è giusto e cosa no e ha un sacco
di problemi con la sua ragazza.

Sapete cosa faceva l'Uomo Ragno quindici anni fa? Bhé, aveva circa diciannove anni,
si preoccupava un sacco di cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato e aveva un
sacco di problemi con la sua ragazza.

Se vogliamo essere buoni, quasi tutti quelli che lavorano in questo campo
oggigiorno devono molto a Stan Lee. Sono il primo ad ammettere che ogni stranezza
del mio stile di scrittura è nata probabilmente quel Giovedì pomeriggio di quando
avevo otto anni, mentre stavo seduto a rigirarmi tra le mani quel fumetto tanto
diverso da Blackhawks quanto Madre Teresa lo è da Hugh Hefner. Questo è un debito
che non prendo alla leggera e, se indossassi il cappello, certo me lo leverei di
fronte al signor Lee per avermi fornito l'ispirazione necessaria a trovare i mezzi
con cui oggi pago l'affitto.

Inoltre, come ho scritto nei primi paragrafi di questo articolo, senza quella
scintilla rinvigorente che Lee portò in quest'industria allora, oggi i fumetti
sarebbero completamente diversi o potrebbero non esistere affatto.

Molti degli scrittori che si ispirano a Lee di oggi, Chris Claremont, Marv Wolfman,
Jim Shooter... molto probabilmente non esisterebbero. Che sia un bene o un male
dipende dalla vostra personale opinione in merito al loro talento. Stan Lee ha
fatto veramente un sacco per quest'industria e non si può negare.

Ma penso che quando si parla di "aver fatto un sacco" si debba intendere in più
modi. Noto spesso come molti degli esempi di eccellenza offerti da quest'industria
sembrino avere nel tempo un effetto più deleterio che altro. Per esempio, gli
originali fumetti della E.C. di Mad erano indubbiamente brillanti, ma ci hanno
condannato ad una situazione dove ogni nuova rivista umoristica sembra essere
costretta per legge ad avere il titolo associato ad una qualche malattia mentale
(Cracked, Sick, Crazy, Frantic, Panic, Madhouse, ecc..) e a dover presentare una
squallida imitazione delle tipiche paordie di Mad, senza che esse rappresentino in
alcun modo la meravigliosa ispirazione dell'originale.
Lo stesso vale per Stan Lee.

Stan Lee è divenuto un nome che è sinonimo di "successo nel mondo dei fumetti". I
suoi rivali hanno dovuto iniziare a copiarlo oppure sono andati falliti. Il loro
principale concorrente, DC Comics, ha deciso di adeguarsi e ora gran parte dei loro
prodotti sono in buona parte scambiabili con le relative controparti Marvel.

Ecco, da qualche parte nel corso della storia, uno dei nuovi editor Marvel... Marv
Wolfman credo, forse mi sbaglio, si è inventato una di queste "perle di saggezza",
stupidaggini incredibilmente ridicole e decisamente stupide che agli editor piace
tanto tirare fuori dal cappello di tanto in tanto.

Questa gemma recita così: "I lettori non vogliono il cambiamento. I lettori
vogliono solo l'illusione del cambiamento." Come ho detto, di primo acchito sembra
un discorso ben ragionato e frutto di un'osservazione attenta. Ma è anche, almeno a
parer mio, una delle più schifose e ritardate teorie che abbia mai avuto la
sfortuna di trovarmi davanti.

Chi ha detto che i lettori non vogliono il cambiamento? Hanno fatto un sondaggio?
Perché a me nessuno ha chiesto niente?

Se i lettori sono così tanto avversi al cambiamento allora com'è che la Marvel è
diventata tanto famosa, dato che rappresentava una fonte di costante cambiamento e
innovazione? Se devo essere sincero non me ne capacito.

Forse potrei essere più comprensivo nei confronti di questi discorsi se ci fosse
dietro un vero ragionamento di carattere commerciale. Se, per esempio, i fumetti
Marvel iniziassero a vendere decisamente meno durante un periodo di "Non-
crogiolamoci-nella-solita-roba" allora potrei, a malincuore, essere costretto a
ricredermi.

Ma non è così. Il miglior titolo di oggi della Marvel, in termini di vendite, sono
gli X-Men, o almeno lo erano l'ultima volta che ho visto delle cifre. Vende
qualcosa come 300'000 copie ed è considerato incredibilmente di successo.

State un po' a sentire: in un paese delle dimensioni dell'America 300'000 copie


sono patetiche. All'inizio degli anni '50 non era inaudito che perfino delle
pubblicazioni di bassa lega come il Daredevil di Lev Gleason (completamente slegato
dal Devil della Marvel) facessero 6 milioni di copie vendute al mese. Perfino
all'inizio dell'impero Marvel un titolo da 300'000 copie (Batman ne fa 400'000
oggigiorno, arrivando in vetta alle classifiche ndt.) sarebbe finito tra quelli
concretamente a rischio di cancellazione. Oggigiorno invece sono il meglio che c'è.

Ora, non voglio fare troppo l'allarmista indisponente annunciando l'imminente


crollo della Marvel. Recenti sviluppi là dove nascono gli hamburger si sono
rivelati assai promettenti e potrebbe anche essere possibile un salvataggio
all'ultimo minuto, proprio come succede sempre nei fumetti. Ma sarà un bel
salvataggio, e sta arrivando parecchio tardi. Forse troppo. Dovremo aspettare e
osservare.

Per quanto riguarda Stan Lee, leggendo i pochi interventi di "The Man" sembrava che
le cose andassero alla grande. Lentamente però si è fatto chiaro che Stan Lee non
era neanche più marginalmente associato all'industria del fumetto che lo aveva reso
ricco. Oh, certo, c'è sempre quel "Stan Lee presenta..." prima delle storie e le
sue comparsate da vecchietto da infilare in ospizio sugli schermi e sulle pagine
del Bullpen Bulletin, ma dubito fortemente che Lee si fosse disturbato a leggere
anche solo un fumetto Marvel dagli anni '70 ad oggi. Per quanto ne so ha fatto il
produttore esecutivo standosene nella soleggiata west coast americana, immerso nei
lingotti d'oro a godersi la vecchiaia. In breve, era fuori dai giochi.

Quindi si arriva infine allo scopo iniziale di questo articolo.


Cosa ci ha lasciato dietro?
Per il mondo del fumetto, è un Eroe o un Cattivo?

Bhé, tanto per citare un modo di dire che Lee usava durante gli anni '60, lui è un
"Eroe/Cattivo", un po' come Sub Mariner o Occhio di Falco (dell'epoca, ndt.). Ha
avuto un'enorme influenza su questo mezzo, sia nel bene che nel male.

Nella Justice League, i litigi tra Freccia Verde e Hawkman imitano spesso quelli
tra la Cosa e la Torcia di anni prima. Firestorm ha circa vent'anni, ha un sacco di
problemi da teenager e con la sua ragazza. Difatti, abbiamo due Marvel Comics, ma
con nomi e scopi diversi.

E tutte le altre compagnie degli anni '60... Charlton, ACG, Tower e così via, hanno
deciso di non fare come la Marvel e sono scoppiate, lasciando il campo dei fumetti
dominato solo dal pallido ricordo delle vecchie glorie create da Lee.

Perfino gli indipendenti che oggigiorno spuntano fuori come funghi sembrano
incapaci di creare qualcosa di radicalmente diverso e si limitano a giocherellare
con le formule base di Lee. Capitan Victory è come se uno facesse gli Eterni
sbagliandone il ritmo narrativo e il Missing Man di Ditko poteva tranquillamente
essere un personaggio secondario del Dottor Strange.

Stranamente però è proprio copiando superficialmente lo stile del "Rinascimento


Marvel" di Lee che molti di questi imitatori sembrano rivelarsi incapaci di
individuare le qualità più importanti che quello stesso stile ha portato ai
fumetti.

Stan Lee, durante il suo apogeo, era qualcosa di selvaggio e diverso.

E per quanto mi riguarda il trono vacante che ha lasciato rimarrà vuoto fintanto
che non spunterà qualcuno con le palle e l'immaginazione necessarie a fare qualcosa
di simile.

Qualcuno si offre?

-Alan Moore

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