Sei sulla pagina 1di 6

Riflessioni sull’epopea di Nolitta con cui Mister No si è congedato dai lettori

“Un tipo simpatico e un po’ stravagante,


eccezionale protagonista di meravigliose avventure”

Con queste parole Mister No, alias Jerry Drake, veniva annunciato nella primavera del 1975.
E sin da quelle prime, buffe immagini pubblicitarie (qui sotto riprodotte) che i lettori di western
bonelliani trovarono in mezzo alle pagine a fumetti era in forte evidenza la carica di originalità del
personaggio, autentico spartiacque nell’evoluzione delle testate di quella che sarebbe diventata la
Bonelli Editore tracciando, di fatto, la rotta per figure come Martin Mystère o Dylan Dog, molto
diverse dal classico eroe tutto d’un pezzo.

Ate’ logo, rapaz

Lo scenario delle storie di Mister No, innanzitutto, andava a spezzare la regola del western in cui si
muovevano i protagonisti di allora, da Tex a Zagor, dal Comandante Mark al Piccolo Ranger,
spostandosi nell’originale, evocativa e suggestiva cornice della foresta amazzonica e del
Sudamerica in generale. Il contesto storico, gli anni cinquanta del ventesimo secolo, era poi quasi
“contemporaneo” a quello dei lettori.

Questioni temporali e di locations a parte, è soprattutto nella caratterizzazione del protagonista che
si racchiude la forte innovazione di questa serie. Mister No è il primo anti-eroe della casa editrice,
vale a dire una persona che di mestiere non si occupa di riparare i torti o che, in nome di qualche
missione che ha scelto di intraprendere, ha dedicato la sua vita alla giustizia. Ricco di pregi, difetti e
contraddizioni, è una figura realistica ed umana che subisce sconfitte e ne esce con il sorriso sulle
labbra, che ha rigettato lo stile di vita del successo e del denaro che, dopo la seconda guerra
mondiale, si stava imponendo nel suo paese d’origine e che si riconosce in pochi ma essenziali
valori, tra cui l’amicizia e l’importanza di agire nel giusto.

Un’altra importante caratteristica del personaggio che fa da rottura con il passato è il rapporto con
le donne. Se Tex è fedele alla memoria di Lylith e non guarda in faccia altre donne, Zagor ha una
nuova storia d’amore ogni decennio mentre Mark e Kit Teller vivono platoniche storie d’amore con
le eterne fidanzate Betty e Claretta, Mister No non trascura affatto Venere ed è un incallito
rubacuori, non sempre onesto con il gentil sesso. E anche Bacco rientra le sue passioni: Mister No
è un forte bevitore, spesso ubriaco e coinvolto in risse, malvisto dalle forze dell’ordine ma tutto
all’insegna della leggerezza, spensieratezza e goliardia, in un periodo in cui c’era minore
consapevolezza nell’opinione pubblica e meno pressioni dei media sull’alcolismo. Questa
caratteristica sarebbe poi stata molto stemperata negli anni più recenti della serie e, in omaggio al
politicamente corretto, si sarebbe giunti all’inversione dei termini, presentando all’epoca del
“nuovo corso” un Mister No abbruttito dall’alcool.

La serie mensile di Mister No è terminata nel dicembre 2006 dopo un lungo periodo di medioevo
narrativo legato all’infelice rapporto tra gli autori che si sono succeduti a Nolitta ed il contesto
amazzonico, saltuariamente interrotto da brillanti storie isolate o cicli al di fuori della grande foresta
pluviale (come l’eccellente trasferta africana o la coraggiosa saga di New York). Dopo il ritorno
“definitivo” in Brasile gli autori hanno cucito addosso a Jerry una Manaus più precisa dal punto di
vista scenografico e con nuovi comprimari fissi, ma senza una vera progettualità. La saga di Mister
No si è così spenta lentamente e stancamente, e neppure una nuova trasferta (in Asia) le ha restituito
vigore.
Ma non intendiamo, con questo articolo, disquisire sui perché e per come la serie ha chiuso, come si
fa con i “coccodrilli”, anche perché quello che già si scriveva dieci anni fa sulla salute della serie ha
mantenuto, purtroppo, la sua attualità. Vogliamo tornare con la mente, invece, in questi giorni in cui
il pilota nordamericano torna in edicola con uno speciale inedito ed una nuova ristampa, alla
monumentale saga scritta da Sergio Bonelli con cui la serie regolare di Mister No si è congedata dai
suoi lettori.

Un “lungo addio” fortemente documentato e simbolico, in cui la “morte” dell’Amazzonia come


terra dell’Avventura, sottoposta ad una politica economica di sfruttamento intensivo, si
accompagna alla “morte” (editoriale) del personaggio, incapace (almeno per la visione di Bonelli)
di trovare una nuova collocazione al di fuori di essa e di avere esaurito gli elementi di interesse.

Mister No chiude…
di Massimo Cappelli

Mister No chiude dopo 31 anni di permanenza ininterrotta nelle edicole italiane, dopo 379 albi
mensili, 15 speciali, 2 maxi, varie storie fuori serie tra gli almanacchi dell’avventura e le storie
brevi pubblicate anche al di fuori della casa editrice, senza dimenticare la riedizione dei 77 numeri
di Tutto Mister No e le ristampe con vario formato tra albi cartonati e Classici di Repubblica. Mister
No chiude dopo aver solcato i cieli del SudAmerica e dell’Indocina, aver vagabondato per gli
Stati Uniti e l’Africa e attraversato tutti i sentieri e i torrenti dell’Amazzonia. Mister No chiude
dopo innumerevoli fidanzate, colossali sbronze e inverosimili scazzottate, portandosi dietro le sue
contraddizioni e le sue scelte da imperfetto bastian contrario, idealista e anticonformista.

Mister No chiude dopo aver tenuto a battesimo gran parte dei migliori sceneggiatori bonelliani:
Castelli nel 1977, Missaglia nel 1978, Nizzi e Sclavi nel 1982, Capone e Ongaro nel 1986, Colombo
e Boselli nel 1993, tutti poi “emigrati” su altre serie.

Mister No chiude a causa di un calo ormai cronico delle vendite, e a causa dell’incapacità degli
autori di trovare nuovi stimoli negli scenari amazzonici, nell’epoca storica e nella caratterizzazione
del personaggio.

Grazie Sergio, non ti odieremo mai abbastanza


Di Vincenzo Oliva

Le avventure di Jerry Drake sono finite da alcuni mesi; ve ne saranno altre, ma nessuno crede che
potranno davvero rappresentare una continuazione, o anche soltanto una ripresa: Mister No ha
chiuso. Non è facile riprendere il filo di riflessioni fatte quando ancora l’ultima sequenza narrativa
– il finale nolittiano – era in pieno svolgimento da una decina di albi, avendo perciò già dispiegato e
mostrato la sostanza del suo potenziale.

Tant’è.

Recuperando quelle riflessioni..

Questa storia mi sta facendo incazzare. Perché è splendida: fluviale, intensa, ricchissima di
umanità, di avventura pura, di spunti di riflessione, di tristezza malinconica, di personaggi vivi e
vividi, quelli commoventi come quelli laidi. Perché questa storia riporta sulla scena il Mister No
più autentico, quello provato da mille vicissitudini eppure mai domo, quello che ha cambiato il
fumetto seriale da edicola dimostrando quale profondità potesse raggiungere la leggerezza, quale
complessità umana potesse nascondersi dietro la vita senza pensieri apparenti di un avventuriero
sciupafemmine. Quel personaggio modernissimo, new global nel cuore e nei fatti – d’istinto, per
istinto di giustizia – prima che in una qualsiasi scelta meditata. Prima, molto prima che tutto ciò
fosse fenomeno di massa.

Mi sta facendo incazzare perché questo personaggio era stato lasciato ingrigire, inaridirsi, in una
serie di storie prive di ispirazione, di nerbo, storie annoiate dove la noia primaria era quella dei
suoi autori; storie che fornivano il solito alibi, al solito falso come una moneta di cioccolata: cosa
volete che abbia più da dire dopo trent’anni (per altri saranno venti, per altri ancora cinquanta o
sessanta)?
Ed ecco cosa ha (aveva :-/) da dire Mister No oggi. Basta leggere questa storia, i suoi drammi
umani e sociali che ci scaraventano dritti agli albori di quella rivoluzione umana e sociale che
stiamo vivendo; i drammi privati dei singoli che li vivono, li respirano, li soffrono, gli eroismi degli
uni e le piccinerie degli altri. Il senso di questa storia è nell’avventura matura e complessa che
essa racconta, avventura classicissima e modernissima, orchestrata con senso del ritmo perfetto,
dosando pause e accelerazioni, scavando nei personaggi e lasciandoli liberi semplicemente di
mostrarsi attraverso le loro azioni.

Questo racconto che vorremmo infinito ci restituisce completo il senso profondo del narrare,
esplorandone ogni piega, ogni possibilità, al servizio di – e servito da – un protagonista che come
nessuno è in grado di farsi ritratto delle inquietudini, delle paure dell’uomo, e della sua capacità di
superare le seconde affrontando con spirito positivo le prime, con il coraggio di pagare sulla
propria pelle le inevitabili sconfitte che il pragmatismo del mondo esterno impone agli idealisti.

In realtà non c’è nulla di fondamentale da aggiungere: gli albi finali hanno ulteriormente
sottolineato la grande forza narrativa e la modernità di un personaggio iconoclasta e sopra le
righe; un uomo incapace di piegarsi alle convenzioni e sempre teso a oltrepassarle. Per ribellismo
e amore della verità; per gli occhi di una donna o per la stretta di mano di un amico. Fino a un
ultimo albo che è un fluire di malinconia e dolcezza, un precipitato della scrittura libera e
anarchica e profondamente romantica di Guido Nolitta, creatore fino all’ultimo di personaggi che
palpitano vita e soffrono amore. Un’ultima bottiglia di cachaça scolata al ricordo di una Manaus e
un Brasile che non ci sono più. Ma anche a una Manaus e un Brasile letterari che avevano ancora
infinite cose da dirci, ma che l’insipienza è riuscita a tacitare.
Grazie Sergio per questa ultima storia; non ti odieremo mai abbastanza per aver lasciato che uno dei
personaggi più belli della storia del fumetto si riducesse al lumicino.

I vantaggi di essere l’editore


di C.Di Clemente

Essere sia l’editore che lo scrittore di fumetti che ha abbandonato la penna da tanti anni può
riservare dei vantaggi. Si può tornare a scrivere il personaggio della propria maturità di autore e
condurlo nel suo ultimo viaggio. Si possono infrangere le regole ed i controlli editoriali che
soffocano e imbrigliano la fantasia degli autori della propria scuderia, permettendosi di raccontare
in albi quello a cui altri potrebbero dedicare solo poche pagine, di dilatare i tempi ed i dialoghi, di
raccontare fatti non essenziali.

Si può scrivere una storia senza avere un’idea di quanto sarà lunga, aggiungendo centinaia di
pagine non previste e rendendola in pratica una miniserie, costringere i collaboratori a completare
vecchie storie giacenti nel cassetto per dare tempo agli sventurati disegnatori (e in particolare ai
fratelli Di Vitto, che proprio nell’occasione principale hanno raggiunto i più alti livelli della loro
attività), impegnati in autentici tour de force, di svilupparle graficamente. Si può dare una lezione di
stile ai “giovani” autori mostrando come dovrebbe essere una “vera” miniserie: un unico, lungo
racconto con un’idea forte alle spalle, degna di emergere dal catino delle idee e composta magari da
tante storie separate ma tra loro intrecciate, con rimandi interni e sviluppi che la rendono qualcosa
di notevole e dotata di una forte identità. Un ciclo di storie che non solo intrattiene ma incuriosisce
e fa riflettere, svelando aspetti sociali ed umani poco noti, intrigando e invogliando
all’approfondimento con tante informazioni su un preciso periodo storico, con la potenza di un
romanzo.

È un Mister No più che mai brasiliano in questo “lungo addio”, immerso in quella realtà nella
musica, nelle persone, negli intercalari usati nei discorsi. Nolitta ha applicato, con noi lettori, la
regola che aveva dettato a Mister No per spiegare al piccolo Tommy Collins il significato della
parola società, al termine di una delle sue ultime zampate come sceneggiatore (n.184):

“osserva con attenzione ciò che succede intorno a te, parla con tutti, con quelli della tua
razza e con i kikuyu, con i ricchi e con i miserabili… e ficcati tutto qui, nella tua
testolina… e anche qui, dentro il tuo cuore! Il resto verrà da solo.”

In questa saga abbiamo osservato Mister No (e noi tramite lui) parlare con tutti: piloti di aerei,
autisti, baristi, poliziotti, avvocati, trafficanti, contrabbandieri, prostitute, militari, indios,
disgraziati… tanti volti ed aspetti che ci raccontano di una realtà complessa ed in evoluzione,
cogliendo i punti di vista, le contraddizioni, le motivazioni e le aspirazioni delle parti in causa, i
sogni dei poveracci di migliorare le proprie condizioni ed i soprusi a danno dei più deboli, senza
propendere per qualcuno in particolare quando il confine tra giusto e sbagliato diventa troppo labile.
Guido Nolitta, in una Amazzonia che intorno a Mister No si fa sempre più veloce, ha concesso al
suo personaggio ancora dei gesti lenti, come fumarsi una sigaretta in un molo per un’intera tavola,
polleggiarsi su un’amaca per pensare all’Amazzonia che fu o farsi una doccia purificatrice con il
solito acquazzone improvviso. Lui non si permette di giudicare semplicisticamente il cambiamento
di Manaus, pur avendo proprie idee che ci ha esposto con forza sino all’inevitabile resa, ma non lo
accetta e se ne va.

Pazienza per l’umorismo datato, i “gulp!” o l’ingenuità di certe battute, e chiudiamo un occhio di
fronte all’eccesso di consapevolezza di tutti (proprio tutti, dal pescatore al pilota d’aereo) nei
riguardi dei profondi cambiamenti del Brasile.

Qualche fastidio è rimasto tuttavia per l’anonima copertina finale di Diso, tutt’altro che all’altezza
dell’evento, e per il fatalismo imperante di Nolitta, che ha perseguito fino in fondo la sua
convinzione che la serie avesse esaurito motivi di interesse (la fine “simbolica” del tucano, o il
ragazzino che si addormenta durante il discorso d’addio del “vecchio” Mister No)… come se i
valori fondamentali della lealtà e dell’amicizia di cui Jerry è sempre stato testimone possano avere
una data di scadenza o cessare d’avere una valenza universale. Come se un prezioso compagno di
vita per i suoi lettori, a cui molti nuovi “eroi” bonelliani a termine non sono neppure degni di
allacciare le scarpe, debba sempre restare immutabile pur essendo, a tutti gli effetti, una persona
prima che un personaggio. Ma questo è un altro discorso…
Si spera che il riposo dei giusti in cui ora è Mister No non venga interrotto per proporre inutili
storie inedite prive di reali spunti di interesse. Dopo il maestoso epitaffio di Nolitta che ha spezzato
la noiosa assuefazione in cui eravamo rimasti troppo tempo, ora sarebbero troppo dure da digerire e
guasterebbero quel gusto allo stesso tempo dolce ed amaro rimastoci dopo “Qualcosa è cambiato“.
Si può dire infatti che non si poteva sperare di leggere un “addio” più sentito di questo, che resterà
probabilmente negli annali della Bonelli come il più grandioso episodio finale di sempre. Per
fortuna dei lettori di Mister No, Nolitta ha sfruttato tutti i vantaggi di essere l’editore.
L’ultimo volo di Jerry Drake
di S. Sestieri

“..io amo attribuire al mio personaggio certi atteggiamenti ideologici, certe emozioni, e
certe reazioni che fanno parte della mia personalità..è come se volessi essere lui”
(Sergio Bonelli)

Forse è proprio da qui che bisognerebbe partire: da una dichiarazione d’amore nei confronti di un
pilota americano che ha trovato a Manaus la sua pace interiore, lontano dalla caoticità di un mondo
in pieno sviluppo, dalla conseguente follia che dilaga dal potere, dalla corruzione, dagli orrori di
una guerra mondiale che Jerry Drake porterà sempre con sé, stretti come il suo bizzarro
soprannome, Mister No. Non è un eroe, né pretende di esserlo: è un uomo, con la sua miriade di
pregi e difetti. E che cosa c’è di più difficile di scrivere su un uomo, non focalizzando tanto
l’attenzione sull’azione e sulla storia, ma quanto sui cambiamenti, sulle contraddizioni, sugli stati
d’animo di un personaggio che è vivo? Vivo sulla carta, s’intende.

Forse proprio per questo negli ultimi anni tutti i professionisti che sono succeduti a Guido Nolitta
non sono riusciti non tanto a creare storie avvincenti, quanto a rappresentare un personaggio in
progress come Jerry Drake. Non basta fargli urlare qualche volta “Puxa vida!”, imprecare strane
parole brasiliane e fargli dire “No!”: bisogna diventarlo il personaggio, assorbirlo, viverlo. E dopo
anni in cui, effettivamente, un calo drastico c’era stato (e non solo nella qualità delle storie, ma
anche nelle vendite) Sergio Bonelli informa i lettori della chiusura della serie. Le motivazioni che
dà sono alquanto discutibili: sostiene che dopo 30 anni la serie abbia già trattato tutte le tematiche
più interessanti che lo scenario sudamericano potesse offrire, e che il personaggio di Mister No,
perfettamente a suo agio presso un pubblico come quello degli anni ’70, ’80, non abbia più niente
da dire.

Ebbene, lo sceneggiatore Nolitta ha contraddetto l’editore Bonelli dimostrandoci con una sua ultima
storia-fiume che Mister No, se nelle mani appropriate, ha ancora moltissimo da dire. Non importa se
sia negli anni ’50 o negli ’70, ma ci sono una svariata quantità di tematiche da affrontare e,
soprattutto, Mister No può essere una voce di protesta, così come lo era una volta. Perché –
diciamolo – Nolitta ci mette tutto sé stesso in questa favolosa storia di chiusura: sarà eccessivo, sarà
pretenzioso ma, per la prima volta dopo anni e anni, questo è Mister No, autentico, vero. È il Mister
No dei tempi lenti di quando attraversava il Pantanal, è il Mister No ozioso delle bevute al bar di
Paulo Adolfo, è il Mister No un po’ marpione, inguaribile romantico, perenne sognatore.

E così si riassapora il fascino dell’avventura selvaggia, e di quella foresta immensa mai così
minacciata dal cosiddetto “uomo civilizzato” che con la sua brama di conquista non smette mai di
distruggere, di avanzare, di conquistare. E lui, Jerry Drake, è sempre al centro, un po’ matto e un
po’ schizzato. Deve scappare ancora una volta, inseguito da radioline, televisori e kit tecnologici,
dalla società malata del consumo e del progresso, del consumismo e della tecnologia. Ma stavolta
l’ultimo baluardo della sua indipendenza, della sua tanto ricercata libertà, viene risucchiato
dall’onda della modernità. Quindi fugge pronto a iniziare, il giorno dopo, una nuova vita. Questo è
Mister No, può piacere, può non piacere, ma lui è “diverso” come dice l’agente della Coen & Bros,
“lui è fatto così” come ripete Paulo Adolfo a Jacira: dunque un antieroe romantico in procinto di
salutare il suo vecchio Paradiso Terrestre, ormai trasformatosi in un vero e proprio Inferno Verde.

E poi è difficile non commuoversi: il discorso di Mister No, nell’ultimo numero, colpisce e
amareggia il lettore, soprattutto nella descrizione melanconica della Manaus dei tempi che furono…
Mi è piaciuta la reazione del giovane Aluisio, che si addormenta al discorso: in qualche modo
rappresenta, nell’ottica di Bonelli di cui parlavo prima, il lettore moderno, per cui Mister No non è
altro che un vecchio nostalgico dei tempi andati: un personaggio figlio di un’altra generazione, e il
lettore di oggi, travolto nel fumetto, nel cinema, nei romanzi, da un intrattenimento sempre più
cinico e freddo, è abituato a vedere le cose attraverso un’altra ottica, estranea a Jerry. E quando le
luci si spengono nel locale che Paulo ha riaperto in suo onore, allora ricompare quel vecchio
pianista tanto amato, quel Dana Winter che sulle note di “My funny Valentine” dà il suo personale
addio a un Jerry in preda a una visibile commozione che sente il bisogno di andarsene, di
interrompere quest’addio così “caldo”. Bacia Jacira e in una sequenza molto poetica esce dal bar di
Paulo e cammina solitario per una strada di Manaus, accendendosi una sigaretta. E Jacira tornerà a
casa estremamente colpita da questo personaggio così insolito, così diverso, così fuori dal comune.
Lei rappresenta il contraltare del lettore che s’addormenta, ovvero il lettore affascinato da questo
personaggio così… così umano. Il lettore innamorato, il lettore per cui Mister No ha rappresentato
un simbolo, quasi un mito da perseguire, come il suo modello di vita… un lettore che all’età di 9
anni lo ha letto per la prima volta ed è cresciuto con lui, con i suoi ideali, con i suoi NO! e con la
sua etica, nella sua moralissima amoralità. Un lettore a cui Mister No mancherà moltissimo. E nella
desolazione e nella sonnolenza di una Rurre che ricorda la prima Manaus Jerry troverà il conforto e
il riposo insieme a Esse-Esse; così entrambi ricominceranno le loro piccole, grandi avventure, in un
angolo di mondo dimenticato da Dio e da tutti gli altri.

I più romantici e sognatori potranno vedere questa “morte editoriale” come la rappresentazione del
massimo apogeo di umanità per un personaggio di carta: che cosa c’è di più umano che la morte
stessa? Perché proprio qui, nella miniserie che consta di ben 16 albi conclusivi, c’è un uomo, un
uomo che soffre, un uomo che urla a squarciagola “No” nel suo piper, su una canoa, per le strade di
Manaus, emblematico testimone che non può che reagire passivamente a una realtà che cambia
troppo in fretta.

Lui non è Tex Willer, lui non è Zagor, non può rimettere tutte le cose apposto, non può far tornare
tutto come prima. Ormai qualcosa è cambiato e Mister No è solo una persona, come altre, alla
ricerca di un posto dove bere una cachaca in santa pace e divertirsi con una bella donna al fianco. Sa
di essere impotente di fronte a una realtà che lo disgusta e ci soffre, e ci sta male.
Quando ho finito di leggere “Una nuova vita” era come se un caro amico, un Maestro di vita, se
ne fosse andato e avesse spiccato il volo per l’ultima volta. Lo so, ci saranno speciali futuri, ma non
sarà lo stesso. C’è qualcosa che mi conforta in tutto questo, perchè so che ogni volta che vorrò
rileggerlo basterà riaprire quegli albi che odorano di “vecchio” e allora Jerry potrà ricominciare a
vivere le sue avventure, a volare per i cieli dell’Amazzonia, sopra quel Paradiso Verde nei tempi in
cui era ancora vergine e immenso… volare, sbronzarsi con Esse-Esse al bar di Paulo, farsi offrire
una buona Cachaca e cantare a squarciagola per le strade di quella Manaus ancora povera e
silenziosa, “Oh when the saints…”

Quindi ciao Jerry, in bocca a lupo amico mio…

Potrebbero piacerti anche