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MPC
Materiali e Progettazione di elementi Costruttivi

Pavimentazioni
di Andrea Boeri
Aggiornamento ed editing:
Fabio Conato e Valentina Frighi

Dispense del corso

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Definizione
Si tratta di strutture a superficie piana e resistente, costituenti il piano di calpestio degli ambienti.
Sovrapposti alle strutture orizzontali (travi e solai), ne costituiscono l’elemento di finitura e di contatto
con l’utenza. Per pavimento si intende quella superficie, perfettamente piana, che si esegue al di
sopra del solaio, soggetta al calpestio ed al passaggio delle persone e delle cose. Possono essere
di tipologie estremamente varie e per tutte le tipologie è necessario un sottofondo di preparazione.
E’ buona norma, specie per i materiali più deteriorabili (come il legno e la ceramica), porre in opera il
pavimento solo a lavori ultimati, quando è cessato il transito degli operai e dei materiali, e comunque
tenerlo protetto fino alla consegna definitiva dei locali.
Classificazione
Dato lo sviluppo delle moderne tecnologie e la loro applicazione ormai diffusa, è opportuno suddividere
le pavimentazioni in tradizionali e galleggianti, considerando queste ultime come tipologie non
poggianti in modo continuo sulle strutture orizzontali dell’edificio, ma sorrette da una propria struttura
puntiforme, col risultato di ottenere uno spazio continuo tra piano strutturale e piano di calpestio.
All’interno di questa prima suddivisione per così dire strutturale delle pavimentazioni si inserisce la
scelta del materiale di finitura. I materiali più usati sono: il legno, il laterizio semplice o smaltato,
il cemento sia in mattonelle che battuto, il marmo, in lastre più o meno grandi o a mosaico, alla
“veneziana” o a “bollettonato”, la “ceramica” ed i “materiali speciali” a base di “gomma” o di “vetro”
ecc.. Per esterni e passi carrabili si utilizzano invece: i “ciottolati” ed i “selciati” su letti di sabbia o su
strato di malta di calce comune o cementizia, i “lastricati”, le “massicciate di calcestruzzo” di getto, i
“battuti”.
Pavimentazioni tradizionali

Requisiti
Le pavimentazioni, essendo poste a diretto contatto con gli utenti, devono innanzi tutto soddisfare
requisiti di sicurezza e benessere, cioè essere fruibili in modo appropriato (es. non si devono utilizzare in
esterni materiali che, se bagnati, diventano di poco agevole percorribilità) e non provocare indesiderati
effetti secondari (es. emissione, seppure in circostanze critiche, di sostanze tossiche). Devono essere
d’aspetto gradevole e, se poste in opera in ambienti di particolare valore artistico, di morfologia tale
da permetterne l’opportuna integrazione con l’intorno circostante. A questi requisiti, per così dire
generali, si aggiungono quelli più specifici, la cui gamma caratterizza ogni tipo di pavimentazione
in relazione alle caratteristiche tecniche ed alle possibilità di impiego. I materiali destinati a formare
il pavimento devono essere solidi, resistenti, leggeri, impermeabili. Devono inoltre presentare una
superficie omogenea con poche connessure, chiuse perfettamente con cemento liquido, per evitare
l’infiltrazione della polvere. Non devono provocare polvere ed è preferibile che, pur essendo duri, non
siano troppo freddi. Naturalmente non esistono materiali che posseggano tutte queste proprietà bensì
ognuno avrà pregi e difetti che lo faranno preferire o scartare a seconda dei casi. Le caratteristiche più
importanti sono: il controllo dell’assorbimento d’acqua, la resistenza a flessione ed a compressione,
la durezza secondo la scala Mohs, la dilatazione termica lineare, la resistenza agli sbalzi termici, al
cavillo, all’attacco chimico, all’abrasione e al gelo.
In relazione all’utilizzazione specifica possono essere richiesti requisiti inerenti la finitura superficiale,
che può essere liscia, a profilo ondulato, decorata o finita in altro modo; inoltre, può essere
completamente o solo in parte smaltata, lucida, opaca, semi-opaca o non smaltata.
Se la pavimentazione è composta da elementi geometrici regolari, sono richiesti particolari requisiti
relativi ai singoli elementi modulari, stabilendo deviazioni massime rispetto alla misura standard per:
dimensioni e qualità della superficie, rettilineità dei lati, ortogonalità, planarità della superficie, ecc.
Descrizione
Quando si parla di pavimento non ci si riferisce al solo manto di finitura ma a un sistema multistrato più

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complesso che coinvolge anche altri materiali e che è costituito da una struttura di supporto, da uno
strato isolante o di scorrimento (non sempre presente), da uno strato legante e dalla pavimentazione
vera e propria. Tutti questi materiali opportunamente assemblati contribuiscono alle prestazioni
tecniche ed estetiche del pavimento, alla loro durabilità e rispondenza alle sollecitazioni chimico-
fisiche e meccaniche dell’ambiente.
Materiali e principi costitutivi
a) Sottofondi - Il piano destinato alla posa dei pavimenti, di qualsiasi tipo essi siano, deve essere reso
piano mediante un sottofondo, in modo che la superficie di posa risulti regolare e parallela a quella
del pavimento da eseguire ed alla profondità necessaria. Il sottofondo è normalmente costituito da un
massetto di calcestruzzo idraulico o cementizio di spessore minore di 4 cm, gettato in opera e lasciato
stagionare per qualche giorno (almeno una decina). Prime della posa del pavimento le eventuali lesioni
nel sottofondo vengono stuccate con calce o cemento, quindi vi si stende, se necessario, lo spianato
di calce idraulica con spessore da 1,5 a 2 cm. Se sono richieste particolari condizioni di leggerezza
il massetto può essere eseguito in calcestruzzo alleggerito. Se i pavimenti poggiano sopra materie
comprimibili il massetto deve essere costituito da uno strato di congruo spessore, gettato sopra un
piano ben costipato, per evitare successivi cedimenti.
b) Pavimenti di laterizi - I pavimenti in laterizi sia con mattoni (posati di piatto o di costa) che con
pianelle, sono formati distendendo sopra il massetto uno strato di malta dello spessore di 2 o 3 cm, sul
quale vengono disposti i laterizi secondo disegno (a filari paralleli, a spina di pesce, in diagonale, ecc.)
comprimendoli in modo che la malta rifluisca nei giunti. Le fughe, di larghezza inferiore ai 3 mm, devono
essere allineate e stuccate. I formati dei laterizi sono numerosi come pure le soluzioni ed i disegni
impiegati. Inoltre, a seconda della qualità dell’argilla e della cottura assumono colorazione diversa, dal
giallo al rosso bruno, per cui si può giocare anche sugli accostamenti di colore. Gli schemi più semplici
sono: “alternato”, a “diagonale”, a “spina di pesce”, “promiscua”. Qualunque sia la disposizione e la
forma degli elementi, le fughe debbono essere ben chiuse con malta liquida di calce o di cemento.
c) Pavimenti in mattonelle di cemento con o senza graniglia - Vengono posati sopra un letto di malta
cementizia normale, distesa sopra il massetto, premendo le mattonelle in modo che la malta rifluisca. Le
fughe, di larghezza dl circa 1 mm, devono essere stuccate con cemento. Sono utilizzate in particolare
nell’edilizia economica e per ambienti di servizio, scantinati, ecc. Sono fabbricate con macchinari
che stampano nella forma e con la pressione volute il cemento. Generalmente sono costituite da
due strati di conglomerato cementizio a cui si sovrappone uno strato dl cemento puro, detto smalto,
colorato a tinta unica o a disegno. Su ogni mattonella può essere riportato un intero disegno o una
sua parte che si completa con la messa in opera dl 4-6-8 mattonelle a seconda del motivo che si
vuole ottenere. Il formato è generalmente quadrato, con i lati di 20x20, ma ci sono anche mattonelle
esagonali, ottagonali, rettangolari, ecc.; lo spessore varia da 20 a 25 mm. Sono resistenti e di facile
manutenzione.
d) Pavimenti in ceramica - La posa può essere realizzata con malta cementizia o con appositi collanti.
La scelta viene effettuata in relazione alla situazione del sottofondo e dell’ambiente di lavoro; per
esempio in presenza di forte umidità la scelta di un collante adatto può essere preferibile all’uso della
malta cementizia, permettendo una più rapida utilizzazione del pavimento. Se invece le piastrelle non
sono perfettamente planari, è preferibile l’uso della malta, che permette un allettamento più flessibile.
Si trovano in commercio materiali ceramici che presentano notevoli differenze qualitative, dovute a
varie cause quali materie prime, lavorazione, temperature e modalità di cottura, ecc. con conseguenti
variabili caratteristiche tecniche.
e) Pavimenti in mattonelle greificate - Sul massetto in calcestruzzo di cemento, si distende uno strato di
malta cementizia magra costipato (spessore di 2 cm circa). Quando il sottofondo ha preso consistenza,
si posano in opera le piastrelle con malta di cemento, che viene utilizzata anche in seguito per la
stuccatura delle fughe. Infine, la superficie viene pulita e tirata a lucido con segatura bagnata e quindi
con cera. Le mattonelle greificate, prima dell’impiego, vengono bagnate a rifiuto per immersione. Si
tratta di un ottimo materiale, durissimo, inattaccabile agli acidi, impermeabile, molto usato per ambienti

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produttivi, ospedali e locali di grande traffico. Sotto varie dizioni (es. granito gres, granito ceramica,
ecc.) vengono commercializzate pavimentazioni in gres porcellanato in formati variabili, dal 20x20 al
40x40, composte da un impasto omogeneo di argille, caolini, quarzo e feldspati cotto ad oltre 1200°C.
Prodotti naturali o levigati, hanno elevate caratteristiche di in-assorbenza, durezza, antigelività,
resistenza agli urti, alla compressione, all’abrasione, all’attacco chimico, risultando particolarmente
indicati per spazi pubblici ed aree a traffico intenso. Come i graniti naturali possono essere levigati
anche in opera. Sono resistenti ad ogni sostanza chimica, fatta eccezione per l’acido fluoridrico, che
attacca tutti i materiali ceramici.
f) Pavimenti in pietra naturale - Per i pavimenti in lastre di marmo si usano le stesse procedure indicate
per i pavimenti in mattonelle di cemento. In genere si pongono in opera a lastre quadrate o rettangolari
più o meno grandi, a filari regolari o sfalsati. Possono adoperarsi tutti i marmi in commercio, ma si
preferiscono naturalmente i più resistenti e meno costosi. E’ possibile realizzare anche complessi
disegni policromi.
g) Pavimenti in ricomposti lapidei - Derivano dall’evoluzione dei “marmettoni”, mattonelle in genera
quadrate di 30 x 30 o 40 x 40 cm di lato, ottenute incorporando nella massa cementizia pietruzze
o scaglie di marmo pregiato, più o meno grandi, policrome o monocrome, pressate e tagliate da
macchinari appositi secondo i formati richiesti. Questi elementi richiedono una lunga stagionatura, di
almeno 30-40 giorni prima di essere messi in commercio. Posti in opera come le normali mattonelle di
cemento, vengono, a presa avvenuta, arrotati e levigati, mantenendo la lucidatura, specie se a grosse
scaglie, per lo stesso tempo della pietra di cui sono composti. Questi pavimenti però erano soggetti a
“tarlarsi”, o per vuoti rimasti durante la compressione del macchinario o per fessurazione delle scaglie;
ed era frequente che il distacco di qualche frammento lapideo provocasse cavità superficiali.
Attualmente sono materiali ottenuti dalla ricomposizione di materiali lapidei (marmi, quarzi, sabbie silicee,
graniti, porfidi) agglomerati con leganti idraulici ad elevata resistenza meccanica e successivamente
impregnati con polimeri (es. sfero granito, novalite, ecc.), oppure agglomerati con resine mediante
vibro-compattazione sottovuoto e successiva catalisi a caldo (es. marmo resina, cromastone, ecc.).
Prodotti in lastre, si posano come i materiali lapidei tradizionali, con il vantaggio di minor peso e
maggiore maneggevolezza, a parità di dimensioni, o con posa a colla. Presentano in genere finitura
lucida, levigata o bocciardata. Caratteristiche degli agglomerati sono le elevate resistenze meccaniche
ed all’abrasione, l’uniformità strutturale e di colorazione, l’assenza delle imperfezioni presenti nelle
lastre naturali e la possibilità di impiego in spessori sottili. Le dimensioni delle lastre variano da 30x30
cm fino a 120x300 cm, con spessori da 25 a 50 mm per gli agglomerati cementizi e da 10 a 30 mm
per gli agglomerati resinosi.
h) Pavimenti in getto di cemento - Sul massetto in conglomerato cementizio vengono distesi uno
strato di malta cementizia ben stesa e battuta ed un secondo strato di cemento più sottile
del precedente su cui, volendo si possono anche stampare dei motivi ornamentali, con l’aggiunta di
sostanze coloranti nell’impasto, lisciato, rigato o rullato, in modo da ottenere la finitura voluta. Lo
spessore dei due strati è:
• per “interni”: il primo di 4 o 6 cm; il secondo di 1 o 1,5 cm;
• per “esterni”: il primo di 10-12 cm; il secondo di 1,5 - 2 cm.
E’ consigliabile che la gettata di calcestruzzo sia interrotta da diversi giunti per prevenire le fessurazioni
dovute alle inevitabili dilatazioni termiche ed agli assestamenti dei solai.
i) Pavimenti alla veneziana - Sul sottofondo in conglomerato cementizio viene steso uno strato di
malta, composta di sabbia e cemento colorato misto a graniglia, nella quale vengono incorporate
scaglie di marmo ed eseguiti giunti con lamina dl zinco od ottone, dello spessore di 1 mm disposte
a riquadri con lato non superiore a 1 m ed appoggiate sul sottofondo; successivamente lo strato
viene battuto e rullato. Quando il disegno deve essere ottenuto mediante cubetti di marmo, questi
vengono disposti sul piano di posa prima di gettare la malta colorata. Per la colorazione dell’impasto si
utilizzano pigmenti durevoli e chimicamente compatibili (in modo da non provocarne la disgregazione);
i marmi in scaglie, di dimensioni comprese tra 10 mm e 25 mm devono essere duri e non gessosi

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(giallo, rosso e bianco di Verona; verde, nero e rosso di Levanto; ecc.). La levigatura viene effettuata
meccanicamente e rifinita con mole leggera, ultimata con due passate di olio di lino crudo, a distanza
di qualche giorno, e con ulteriore mano di cera. Sono resistenti e belli anche se freddi e relativamente
costosi. Sono adatti quindi per saloni, atrii, sale da pranzo e per tutti gli ambienti di rappresentanza.
Un difetto di questi pavimenti ottenuti a getto è costituito dal fatto che le deformazioni inevitabili dei
solai, i leggeri movimenti di assestamento dei fabbricati e il ritiro proprio del conglomerato provocano
delle fessure sulla sua superficie che non si possono coprire e che usura e attrito aggravano sempre
più; perciò è necessario prevedere i giunti, dividere cioè i getti mediante guide metalliche a maglie
quadrate o rettangolari che rimangano annegate nel getto; in questo modo le sollecitazioni, a cui sarà
soggetto ogni riquadro, saranno di ordine trascurabile e non si provocheranno fenditure.
l) Pavimenti a bollettonato - Sul sottofondo si distende uno strato di malta cementizia normale (spessore
minimo di 1,5 cm.) sul quale vengono posati a mano i pezzi di marmo colorato di varie qualità, forme
e dimensioni, ma di uguale spessore, disposti in modo da ridurre al minimo gli interspazi di cemento.
Su tale strato di pezzami di marmo, viene gettata un’abbondante boiacca di cemento colorato, in modo
che ciascun pezzo di marmo venga circondato da tutti i lati. Il pavimento viene poi rullato e sottoposto
a levigatura ed eventuale lucidatura.
m) Pavimenti in legno - Si eseguono con legno ben stagionato e profilato di tinta e grana uniforme.
Possono essere realizzati con il metodo tradizionale (chiodati su orditura lignea articolata di supporto)
od incollati su supporti già esistenti. Nel primo caso le tavole (larghezza 6/18 cm, spessore 2,5/3
cm) unite a maschio e femmina, sono chiodate disposte parallelamente od a spina di pesce, sopra
un’orditura di listelli (sezione minima 4 x 4 cm ad interasse non superiore a 35 cm) fissata al sottofondo
mediante grappe di ferro murate. II tavolame impiegato dove essere di essenza forte, ben stagionato
e di spessore sufficiente, connesso ad incastro e chiodato ai sostegni sottostanti. Nel secondo caso
il pavimento viene direttamente incollato, mediante appositi adesivi sul sottofondo, che può essere
costituito anche da una superficie preesistente, purché dotata dei requisiti di planarità ed affidabilità
necessari. Si può applicare su qualunque struttura presente sul solaio (assito, pianellato, battuto di
calcestruzzo, ecc.) e sovrapporre ad un preesistente pavimento senza alcuna demolizione. Lungo il
perimetro degli ambienti, all’unione tra pavimento e pareti si colloca un battiscopa in legno. La posa
in opera deve essere effettuata dopo il completo prosciugamento del sottofondo. Il trattamento finale
prevede levigatura e lucidatura.
Si possono utilizzare tutti i legni in commercio, ottenendo diverse tonalità di colore e disegni, con
preferenza per le essenze forti, ben stagionate e con una buona resistenza all’usura. Tra gli altri sono
usati quindi il “pich-pine” o larice” americano, il “tek” o “rovere” di Slavonia, il larice, il “noce”, il “frassino”
ed il “castano”. Il sottofondo deve essere perfettamente piano, asciutto e compatto Un’eccessiva
umidità del piano, sia esso cementizio o legnoso, può causare deformazioni e distacchi, mentre la
mancanza di compattezza ne compromette l’incollaggio. La colla viene stesa con spatole dentellate i
senso ortogonale alla lunghezza del listello ed in modo omogeneo. La vernice superficiale è composta
da resine che, polimerizzando, conferiscono al film durezza e resistenza agli agenti chimico-fisici,
con scarsa tendenza all’ingiallimento.
Si tratta di un materiale durevole, a patto che se ne sappiano valutare le adattabilità di impiego in
rapporto alle diversità delle qualità tecnologiche. Il pioppo, ad esempio, talvolta considerato di scarso
valore, viene utilizzato al meglio nella fornitura delle fabbriche di imballaggi. Essendo un legno tenero,
va infatti utilizzato in ambienti protetti mentre altri legni, con caratteristiche di più alta resistenza e
stabilità nel tempo, possono essere usati con ottima resa anche in esterno. I legnami più idonei sono
il larice, il rovere, il castagno e la robinia, conosciuti ed utilizzati fin dall’antichità. In particolare il larice,
quando facilmente reperibile, è sempre stato preferito agli altri tipi di legno.
Un’interessante applicazione del legno alle pavimentazioni esterne è costituita da cubetti di larice,
castagno o rovere, da posarsi su un piano appositamente predisposto, con la parte calpestabile
posata di punta. La piccola pezzatura degli elementi consente la perfetta adattabilità ad ogni forma
planimetrica e rende possibile seguire l’andamento di eventuali inclinazioni di livello nel piano di posa.

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I cubetti sono appoggiati su un letto di sabbia che, oltre ad avere funzione drenante, interponendosi
tra i singoli elementi come un giunto a secco, assorbe i micromovimenti del legno favorendone
l’adattamento alle diverse condizioni di temperatura ed umidità cui è esposto. La semplicità della
messa in opera e la facilità di manutenzione, insieme alle garanzie di resistenza, di durata e di sicuro
risultato estetico sono le sue caratteristiche principali.
n) Pavimenti d’asfalto - Il sottofondo dei pavimenti di asfalto è formato da conglomerato cementizio
dosato a 250 kg con spessore non inferiore a 5 cm. Su di esso viene colato uno strato di 4 cm di
pasta d’asfalto, risultante dalla fusione del mastice d’asfalto naturale e bitume, mescolati a ghiaietta o
graniglia (nel rapporto di 50 parti d’asfalto, quattro di bitume e 46 di ghiaietta passata tra vagli di 5 e
10 mm), disteso a strati di 2 cm di spessore a giunti sfalsati. Sopra l’asfalto caldo appena disteso, si
sparge della sabbia silicea di granulatura uniforme che viene battuta e incorporata nello strato.
o) Pavimenti in linoleum - Il linoleum è un materiale scoperto alla metà dell’800, costituito da una
miscela a caldo di olio di lino ossidato (linossina) per l’80%, di colofonia per il 15% e di coppale
Kaurl per il 5% La preparazione dei sottofondi, costituti da impasto di cemento o gesso e sabbia,
richiede una cura particolare: è necessaria una superficie perfettamente piana, liscia ed asciutta (se
necessario si utilizzano vernici ausiliarie anti-umido). Quando il linoleum deve essere applicato sopra
vecchi pavimenti si applica su di essi uno strato di gesso (spessore da 2 a 4 mm), sul quale viene
fissato, con mastice di resina o con altre colle speciali, il linoleum. Il pavimento viene poi pulito e
trattato, in modo da mantenerne la plasticità ed aumentare l’impermeabilità. Si possono ottenere colori
e disegni diversi e viene venduto in nastri arrotolati a pezze. Ha numerosi pregi quali la facilità di posa
in opera e manutenzione, l’afonicità, l’incombustibilità e la resilienza.
p) Pavimenti in gomma - Sono costituiti da miscele che non hanno grande resistenza a trazione
ma buona all’usura. Vengono perciò incorporate nella massa notevoli quantità di cariche inerti quali
il carbonato di calcio, caolino, oppure segatura di legno. I teli possono essere costituiti da due strati
uniti fra loro tramite vulcanizzazione. Quello superiore colorato, di spessore notevole, deve presentare
caratteristiche di afonicità, coibenza ed elasticità. Il sottofondo deve essere preparato, come per il
linoleum, in modo molto accurato, pena la buona riuscita della pavimentazione. Vengono utilizzati in
campi di impiego con forte traffico come magazzini, sale d’attesa, sale esposizione, edifici pubblici.
Sono antisdrucciolevoli, in particolare nelle versioni a rilievo (bolli). Vengono prodotte diverse tipologie
in relazione ai possibili impieghi; per interni, esterni, resistenti ai grassi ed agli oli, conduttivi, per
attività sportive, ecc.
q) Pavimenti in moquette - La finitura tessile necessita di un’accurata preparazione dei sottofondi, che,
come per il linoleum, devono essere perfettamente piani, lisci ed asciutti. Oltre ai teli continui, viene
fornita in quadrotte modulari con conseguente praticità di posa e facilità gestionale. Utilizzata in ogni
tipo di ambienti, viene prodotta in varie tipologie, variando dalle finiture soffici agli agugliati. Attualmente
le ditte principali sono in grado di personalizzare la produzione con inserimento di disegni richiesti dal
committente, mediante sistemi computerizzati di iniezione del colore alla base della moquette.
r) Pavimenti in masselli di calcestruzzo - Costituiscono un’alternativa all’asfalto e alla pietra naturale
per la pavimentazione di spazi esterni, ad un prezzo intermedio (rispettivamente +20 % e -50 %)
e caratterizzata da facile pose e scarsa manutenzione nel tempo. Tra i vantaggi che i masselli di
calcestruzzo presentano sull’asfalto c’è la capacità di lasciar filtrare l’acqua tra i giunti senza alterare
l’equilibrio ecologico dell’area pavimentata, oltre alla possibilità di essere rimossi per riparazioni e
messi nuovamente in opera senza spreco di materiale. Tra gli svantaggi vi sono la mancanza dl
resistenza al traffico veloce e, talvolta, la formazione di efflorescenza sulla superficie del calcestruzzo.
In mancanza di una regolamentazione legislativa, le caratteristiche più importanti riguardano la
resistenza a compressione del massello, che non deve essere inferiore ai 55 N/mm2; il peso specifico
a secco, che deve essere superiore a 2,20 Kg/dm3,: l’assorbimento d’acqua, che non deve superare
il 5 % del peso. Rispettate queste prescrizioni si considera il massello non gelivo, ma è necessaria
una corretta posa in opera: devono essere posati su di un letto compatto di spessore da 30 a 50
mm, compattati e sigillati con sabbia di granulometria massima fino a 0,5 mm. In spessori dai 5 agli

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8 cm, generalmente vengono utilizzati per pavimentare luoghi pubblici e spazi aperti; vi sono inoltre
prodotti speciali per aree industriali per traffico particolarmente pesante. Le tipologie sono varie: dal
classico cubetto disposto ad archi, ai sagomati, ai forati per realizzare funzionali “parcheggi verdi”.
Sono disponibili nei colori grigio, rosso, cotto, marrone, testa di moro, giallo e nero.
Criteri di produzione
In generale la posa in opera delle pavimentazioni comprende tre fasi: preparazione del piano di
applicazione con eventuale regolarizzazione e livellamento per ottenere una base di attacco rigida
e resistente; scelta delle piastrelle e opportuno ciclo di imbibizione idrica e taglio; posa in opera con
strato legante di natura minerale (cemento, sabbia, calce), organica (miscele di diversi collanti) o
mista.
Forma e dimensioni
Data l’eterogeneità dei materiali che possono costituire le pavimentazioni, le dimensioni dei singoli
elementi sono estremamente variabili andando dalle piastrelle in gres o dai listelli di legno alle grandi
lastre in pietra od ai manti forniti a metratura (moquette, gomma, ecc.). Caratteristica morfologica
comune è comunque il presentare una superficie essenzialmente planare, anche se composta in vari
modi e differenziata nelle finiture e nei trattamenti.
Proprietà caratteristiche
Le caratteristiche che qualificano un materiale da pavimentazione sono di tipo chimico, fisico e
meccanico.
Caratteristiche chimiche: il materiale deve essere innanzi tutto chimicamente stabile, cioè non deve
risentire negativamente dell’azione aggressiva dell’ambiente circostante. In generale i materiali di
natura organica non presentano un’ elevata resistenza all’attacco chimico, mentre si comportano
meglio, da questo punto di vista, quelli di natura inorganica. Costituisce elemento determinante la
porosità del materiale, permettendo agli agenti aggressivi una più agevole penetrazione in profondità
e quindi una maggiore superficie di contatto.
Caratteristiche fisiche: le caratteristiche salienti sono il peso specifico ad apparente, la porosità, il
coefficiente di imbibizione, la durezza nella Scala di Mohs, la resistenza all’usura, la durevolezza, le
proprietà termiche (coefficiente di dilatazione lineare, resistenza al fuoco, conducibilità termica).
Caratteristiche meccaniche: il modulo di elasticità, la resistenza a compressione, trazione, flessione,
all’urto.
In dettaglio:
Il peso specifico: può influire sulle scelte del manto di pavimentazione in presenza di situazioni
staticamente precarie o comunque in caso non si voglia caricare oltre un certo limite il solaio.
La rigidità: aspetto talvolta collegato al precedente, in quanto in genere i materiali per pavimentazione
pesanti sono rigidi, mentre quelli leggeri sono elastici e flessibili. Su strutture elastiche e leggere (es.
lignee) risulta opportuna la scelta di un pavimento con uguali caratteristiche. Un parquet, per esempio,
grava con poco peso proprio la struttura e la segue in modo flessibile se soggetta a deformazioni
elastiche, con una adattabilità che non sarebbe offerta da pavimentazioni più rigide. Sarebbe
sconsigliabile porre un pavimento continuo a gettata cementizia su un solaio di legno, perché il solaio,
con la sua elasticità, provocherebbe immediatamente la fessurazione del getto.
Il coefficiente di imbibizione: riveste un ruolo essenziale se la pavimentazione può venire a contatto
con acqua. I materiali organici e quelli molto porosi presentano in genere una capacita di assorbimento
che in determinate situazioni provoca effetti dannosi. Ad esempio, il legno si gonfia aumentando di
volume ed essendo vincolato dal contatto perimetrale, si solleva dal supporto, vincendo la resistenza
del collante di posa. Si tratta di un fattore determinante anche nel caso il pavimento sia esposto
direttamente alle variazioni termiche esterne (es. verande, balconi), infatti l’acqua contenuta nel
materiale, ghiacciando, aumenta di volume provocandone la disgregazione superficiale.
La durezza: la resistenza all’abrasione ed all’usura risulta fondamentale nei casi di traffico intenso od

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associato all’uso di mezzi meccanici (es. carrelli). È il caso dei locali di fruizione pubblica, come uffici
comunali, poste, supermercati, ecc. In questo caso un materiale a struttura compatta, come un gres
porcellanato (granito gres), può offrire garanzie di notevole resistenza.
La durevolezza: aspetto collegato al precedente, in quanto comporta che le caratteristiche della
pavimentazione si mantengano costanti nel tempo. I materiali che offrono valide garanzie sono
quelli in grado di difendersi meglio dagli attacchi che l’ambiente circostante e l’attività svolta
rivolgono loro. Ad esempio un granito, pietra a struttura cristallina, compatta e chimicamente stabile,
presenta in condizioni normali di impiego una durevolezza maggiore dell’arenaria, a struttura porosa
e chimicamente attaccabile dagli acidi. Tale differenza di durevolezza aumenta con il crescere
dell’aggressività dell’ambiente.
Le proprietà termiche: molto importanti in quanto se non c’è compatibilità tra le deformazioni della
struttura e quelle del pavimento, al variare delle condizioni termiche dell’intorno, si creano tensioni che
possono portare alla rottura del manto superficiale. In particolare in presenza di materiali rigidi come le
piastrelle ceramiche, è necessario rendere possibili dilatazioni differenziate con l’inserimento di giunti.
La resistenza al fuoco: per i materiali da pavimentazione è in genere richiesta in base alla normativa di
sicurezza se non l’assoluta incombustibilità (classe 0), almeno la non partecipazione attiva all’incendio
(Classe 1). Risulta infatti evidente il pericolo costituito da un piano di copertura in materiale combustibile
che, in caso di incendio, diventi impercorribile precludendo la possibilità di fuga.
Le caratteristiche meccaniche: in genere i manti di pavimentazione per interni, soprattutto nel settore
residenziale, non vengono assoggettati a sollecitazioni meccaniche particolarmente rilevanti. Anche
se un parquet garantisce una resistenza a compressione molto minore di quella di un manto in klinker,
è tuttavia sufficiente alla normale utilizzazione. Inoltre, talvolta, in caso di rottura del pavimento sotto
l’azione di carichi concentrati, non è il manto a cedere ma il massetto sottostante, male eseguito o
povero di cemento. La casistica si presenta più complessa nel settore produttivo, dove la possibile
presenza di forti carichi concentrati anche dinamici (per esempio prodotti da macchinari per la
movimentazione delle merci) pone in condizioni di forte sollecitazione meccanica la pavimentazione. Si
utilizzano allora materiali con ottime caratteristiche di resistenza meccanica, come i prodotti ceramici a
struttura compatta. Molto valida è anche la pietra magmatica effusiva a struttura amorfa (porfido), che
però non può garantire un grado di planarità equivalente a quello di altre pavimentazioni. Se i carichi
sono troppo elevati e si ritengono non compatibili con l’utilizzazione di un manto di rivestimento, si
ricorre alla pavimentazione in cemento con eventuali additivi e, per ripartire i carichi, omogeneizzare lo
strato ed aumentarne la resistenza a flessione, all’inserimento di una o più reti elettrosaldate all’interno
del getto.
Le prestazioni tecniche legate ai modi di esecuzione e la messa in opera dei vari strati variano in funzione
della natura e delle caratteristiche dell’elemento portante a disposizione. Infatti, mentre le strutture
tradizionali in calcestruzzo o laterizio hanno caratteristiche generali coerenti con quelle delle piastrelle
ceramiche e dei leganti come le malte cementizie e i collanti, le strutture dell’edilizia industrializzata,
molto differenziata nelle finiture superficiali, nei materiali, nel peso e nelle proprietà meccaniche,
possono dar luogo a problemi (dilatazioni termiche, ritiri, elasticità od oscillazioni, movimenti nei giunti)
nell’interazione delle parti che costituiscono il sistema pavimenti. Ci si può trovare di fronte a superfici
in legno, sulle quali è opportuno posare piastrelle di piccolo formato e a giunto aperto a causa delle
facili deformazioni di questo materiale, oppure a solai in acciaio, per i quali sono ancora necessarie
piastrelle di piccolo formato con posa a giunto aperto e collanti elastici e giunti a croce anche in mezzo
ai vani, mentre prima della posa su pannelli in calcestruzzo alleggerito è consigliabile predisporre nel
sottofondo una rete elettrosaldata per la ripartizione dei carichi.
Campi di utilizzazione
Le pavimentazioni vengono utilizzate in ogni tipo di edificio nelle tipologie conformi all’attività che vi si
svolge.

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Fornitura e deposito in cantiere
La fornitura del materiale da pavimentazione non presenta particolari problemi, dato che si presenta in
genere in elementi modulari di piccole dimensioni, che arrivano in cantiere imballate nelle confezioni
delle ditte produttrici (parquet ceramica, cotto, gres, ecc.). Se si tratta di elementi in grandi formati è
richiesta una maggiore attenzione, data la fragilità di tali lastre. Il legante per il sottofondo, sia esso
cemento o calce idraulica, viene fornito in sacchi preconfezionati.
Tecniche di preparazione
La preparazione consiste essenzialmente nella stesura dello strato di sottofondo, che, pur rimanendo
nascosto, fa sentire i suoi effetti durante l’ostruzione e più ancora nel tempo. Assolve funzioni delicate
d’isolamento, insonorizzazione o più semplicemente serve da riempimento per raggiungere il livello
previsto. Senza dubbio il sottofondo occupa una posizione centrale strategica nei lavori di completamento
e finitura: le sue interferenze con gli impianti e le finiture costituiscono uno dei problemi da risolvere in
ogni programmazione dei lavori; mentre gli errori nella sua concezione e nella posa compromettono la
riuscita e la durata dell’opera. Eppure, contrariamente ai rivestimenti dei pavimenti il sottofondo viene
spesso trascurato e lasciato all’iniziativa dei posatori. Le varie funzioni del sottofondo, livellamento,
isolamento acustico e termico, ripartizione dei carichi, impermeabilizzazione, separazione, piano di
posa, si traducono in vari strati di materiali diversi. E’ tuttavia possibile stilare un elenco dei più diffusi.
Lo strato di livellamento o spessoramento; corregge eventuali dislivelli ed irregolarità del solaio,
può contenere le tubazioni; assolve funzioni di isolamento termico e acustico o, in alternativa, di
irrigidimento. È costituito da calcestruzzi leggeri e magri, da sabbia stabilizzata con cemento, da alcuni
centimetri di sabbia asciutta.
Lo strato di irrigidimento e di ripartizione dei carichi; è indispensabile sopra strati isolanti “soffici”
e nei pavimenti galleggianti; si usa anche quando la presenza di tubazioni o irregolarità fa temere
fessurazioni e quando la finitura superficiale richiede un appoggio molto rigido, come nei pavimenti
resilienti (linoleum, PVC, gomma). E’ composto di calcestruzzo eventualmente armato con una rete.
Lo strato di isolamento termico, che può identificarsi con lo strato di livellamento; quando è autonomo
è costituito da lastre di fibre minerali, poliuretano, polistirolo o da calcestruzzi alleggeriti.
Lo strato di isolamento acustico, quando la sua funzione non è assolta da altri strati è costituito da fogli
di materiale isolante.
Lo strato di separazione, evita la trasmissione di sollecitazioni e tensioni e quando non si identifica con
altri strati è costituito da fogli di polietilene, da un letto sottile di sabbia o da feltri bitumati.
Lo strato di impermeabilizzazione, se necessario, evita il passaggio di acqua e umidità. Poiché di
solito uno strato assolve più funzioni, gli elementi in gioco sono al massimo due o tre; sopra di essi
si mette in opera la finitura superficiale del pavimento. Tuttavia il controllo di questo “pacchetto” si
presenta piuttosto complesso, nonostante l’apparente semplicità che comportano getti o posa di
materiali su un piano. I principali fattori di instabilità sono i ritiri del calcestruzzo, le dilatazioni dovute
ai salti di temperatura, l’umidità di varia provenienza, i carichi di esercizio e le flessioni del solaio. Il
ritiro del calcestruzzo è un fenomeno che accompagna sempre le reazioni della presa. In molti casi gli
inconvenienti sono accentuati dai successivi tempi di realizzazione di solaio, sottofondo e malta di posa.
Il solaio ha praticamente completato il ritiro quando vengono posate le piastrelle. Di conseguenza, si
hanno contrazioni differenziate, che (quando mancano strati di separazione) si traducono in tensioni
e microfessurazioni. Per evitare inconvenienti si deve contenere al massimo il ritiro delle malte che
aumenta col dosaggio di cemento, con l’eccesso di acqua, con la finezza degli inerti e con la velocità
di evaporazione. L’eccessiva evaporazione, molto facile nelle giornate calde, asciutte, ventilate in
getti così sottili come quelli dei sottofondi, provoca la “bruciatura” del calcestruzzo con notevoli ritiri e
drastiche riduzioni delle resistenze.
Le differenze di temperatura provocano altre sollecitazioni nei vari strati del pacchetto. I solai che
separano piani abitati non sono soggetti a forti tensioni e queste hanno azioni prevalentemente
stagionali (ma gli strati messi in opera d’estate si contraggono d’inverno e viceversa). Invece i solai

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esposti verso l’esterno, su porticati o su locali aperti subiscono notevoli variazioni di temperature a ciclo
giornaliero e annuale. Dilatazioni molto forti possono verificarsi anche nelle zone superficiali colpite dai
raggi solari attraverso le finestre. Un altro caso di salto termico è dato dalle condotte di acqua calda e
dal riscaldamento a pavimento. Quasi sempre le sollecitazioni dovute ai cambiamenti di temperature
sono permanenti, ineliminabili e agiscono in modo differenziato sui vari strati e componenti.
Altra causa di sollecitazioni è l’umidità. A maturazione avvenuta e a completa evaporazione dell’acqua
d’impasto si possono avere apporti esterni di umidità permanente o temporanea. Può trattarsi di
umidità proveniente da cantine o da vespai saturi; di infiltrazioni dai servizi e dalle varie tubazioni;
di piccoli allagamenti e di lavaggi del pavimento. Si può avere infine condensa superficiale o interna
causata da differenze di temperatura e da passaggio di canalizzazioni fredde. In tutti i casi vengono
provocate dilatazioni e, con l’evaporazione, ritiri, che si sommano a quelli visti precedentemente. I danni
maggiori si registrano in genere quando il rivestimento superficiale in grosse pezzature di linoleum,
PVC, o gomma impedisce completamente l’evaporazione. Del tutto particolare ma sempre grave è
il caso di risalita per capillarità che apporta assieme all’acqua anche dei sali originando “fioriture”,
macchie e azioni disgregatrici. L’umidità va evitata eliminando le sue cause e mettendo in opera
impermeabilizzazioni. Tutte queste tensioni che agiscono sui pavimenti e sui vari strati del sottofondo
si sommano alle normali sollecitazioni indotte dai carichi di esercizio ed alle flessioni del solaio.
Alcune soluzioni
Le soluzioni possibili, data la varietà delle forze in gioco e il numero di strati e materiali, sono molte e
devono essere stabilite caso per caso in rapporto alle esigenze. Non esistono sottofondi validi per ogni
situazione e comunque anche una soluzione idonea, se eseguita non perfettamente può dare luogo
a molti inconvenienti. In generale si hanno le seguenti possibilità: a) eliminazione del sottofondo; b)
sottofondo ad un solo strato; c) sottofondo a due strati. Le tre soluzioni possono essere integrate da
sottili elementi di separazione, isolamento acustico e impermeabilizzazione.
Nella prima soluzione, che elimina il sottofondo, la finitura superficiale è posata direttamente sul
solaio che deve essere livellato senza giunti, frecce, umidità o passaggi di tubazioni. Sono condizioni
molto particolari che si realizzano solo nei solai realizzati con casseri industrializzati o in prefabbricati
monolitici. Dopo aver trattato il solaio con autolivellante, si fissano le piastrelle o le finiture resilienti
con un adesivo elastico che in teoria dovrebbe assicurare anche un minimo di insonorizzazione.
Ultimamente, dopo le esperienze negative del passato, si tende ad aumentare le prestazioni dei solai
tornando al sottofondo. Sempre nella logica dell’eliminazione del sottofondo si possono posare le
piastrelle direttamente sul solaio con la malta di posa ed, eventualmente, per migliorare l’isolamento
acustico, inserire a contatto del solaio un foglio di isolante che ha anche funzione di separazione e
che deve essere risvoltato sulle pareti. La malta di posa, che assume anche il compito di ripartire i
carichi, deve essere molto curata, di spessore adeguato e si devono eseguire giunti di separazione
corrispondenza delle pareti per consentire le dilatazioni,
La seconda soluzione prevede il sottofondo ad uno strato che si presta al livellamento, al passaggio
delle canalizzazioni, all’isolamento termico e alla correzione di rugosità e dislivelli del solaio. Se la
freccia del solaio, le canalizzazioni o i vari componenti del sistema generano sollecitazioni si introduce
uno strato sottile di separazione che può avere anche la funzione di isolamento acustico. Sopra
questo sottofondo si posano le piastrelle e sopra i tipi più rigidi (e meno isolati) anche altri tipi di
pavimentazione.
La soluzione a due strati prevede invece un massetto rigido di calcestruzzo, talvolta armato con una
rete, che poggia sopra uno strato meno coerente o addirittura “soffice” avente funzioni di passaggio
di tubazioni, isolamento termico e acustico, spessoramento, zona per l’impianto di riscaldamento a
pavimento eccetera. Questa soluzione per la rigidità e la compattezza del massetto superiore è un
ottimo supporto per rivestimenti resilienti, piastrellature e così via. Gli accorgimenti da usare nella
posa sono numerosi: ecco alcuni suggerimenti tratti dai “quaderni dei carichi” dei “Documenti Tecnici
Unificati” editi in Francia (non ne esistono analoghi nel nostro Paese), dove sono assunti abitualmente
come documenti contrattuali:

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• non è consentito far passare canalizzazioni nella malta di posa;
• le superfici superiori a 60 metri quadrati e i corridoi ogni otto metri circa devono essere frazionati;
• le superfici superiori a 12 metri quadrati devono essere separate dalle pareti e dai pilastri;
• i giunti devono essere eseguiti esclusivamente nel rivestimento del pavimento e nella malta di
posa e sono composti da un materiale comprimibile e semirigido;
• non è consentita la posa di piastrelle e lastre a diretto contatto senza giunto;
• il giunto minimo, definito “giunto unito”, è di un millimetro, quello largo, chiamato “giunto aperto”,
è di circa tre millimetri.
Tecniche di realizzazione
Nello stabilire un metodo di posa si devono considerate numerosi fattori, in relazione al tipo di
ambiente igro-termico, al tipo di struttura che sostiene il rivestimento ed al tipo di miscela legante.
Mentre le pavimentazioni resilienti come moquette, linoleum, ecc. vengono poste in opera mediante
semplice incollaggio con collanti specifici alla superficie del sottofondo, che deve essere molto rigido
e compatto, per le pavimentazioni in piccoli elementi (cotto, gres, monocottura, klinker) ci sono due
metodi alternativi.
Il metodo tradizionale
La posa tradizionale di un pavimento di solito è effettuata con malte cementizie la cui composizione
può variare in funzione delle diverse applicazioni. Dopo le operazioni di pulitura, il piano viene bagnato
uniformemente e si stende la malta con uno spessore non inferiore a 2 centimetri nei pavimenti
interni, e a 4 centimetri in quelli esterni. L’impasto deve essere appena umido e non lasciare affiorare
l’acqua alla superficie. La composizione classica delta malta prevede 100 Kg di cemento, 100 kg di
calce, 1 metro cubo di sabbia e 200 litri d’acqua. La calce può essere sostituita con cemento, con il
risultato di ottenere malte che formano un massetto motto compatto e chimicamente stabile ma il cui
indurimento provoca sensibili ritiri dimensionali. Qualche volta poi vengono usate miscele ricche di
calce, che danno un massetto più friabile ma hanno minor ritiro nel corso della maturazione, per cui
la composizione dello strato legante senza calce dovrebbe essere di una parte in volume di cemento,
quattro o cinque parti in volume di sabbia, e acqua appena sufficiente per inumidire l’impasto. Questo
strato deve essere costipato, con battitura a mano con badile o mediante vibratura meccanica, per
evitare la formazione di cavità all’interno, e quindi livellato con apposito rigone, stagge meccaniche o
munite di aghi vibratori. Si sparge poi uno strato di un millimetro di cemento asciutto immediatamente
prima della posa delle piastrelle, che si esegue appoggiandole con i bordi vicini (pose a giunto chiuso)
o contro listelli di legno o distanziatori (pose a giunto aperto). Va ricordato che, in presenza di un
supporto poroso, le piastrelle devono essere state immerse per almeno due ore in acqua ed essere
quindi posate con giunti di almeno tre millimetri. Le piastrelle vanno premute facendo attenzione che
la malta non fuoriesca dai bordi. Si bagna quindi il pavimento facendo entrare l’acqua tra gli interstizi
delle piastrelle e la si batte a mano con frattazzo e martello o con battitori o vibratori meccanici, per
conferirgli un perfetto livellamento e un buon ancoraggio. L’operazione è riuscita se, sollevando una
piastrella appena posata, è rimasto uno strato di malta sulla sua superficie.
Il giorno dopo la posa si passa alla sigillatura dei giunti, spargendo con una spatola di gomma la
boiacca formata da cinque parti di cemento, due di sabbia molto fine, tre di acqua. Quando quest’ultima
miscela non è ancora del tutto indurita si pulisce il pavimento a mano con tela juta a segatura oppure
con mezzi meccanici. Il pavimento va tenuto leggermente bagnato evitando il passaggio per almeno
tre-quattro giorni e attendendo un mese prima di sottoporlo a sollecitazione di carichi.
I pavimenti esterni devano essere protetti dagli agenti atmosferici nei primi giorni dopo la posa e
comunque è sconsigliabile effettuare il lavora con temperature al di sotto di meno 5 gradi centigradi o
superiori a più 35 gradi centigradi.
Per la strato di allettamento si può usare anche malta plastica, composta da quattro parti di sabbia,
una parte di cemento Portland 325 e acqua, che conferisca consistenza plastica. Questo tipo di malta
deve essere stesa (con uno spessore da uno a tre centimetri al massimo) su superfici di dimensioni
non troppo estese per permettere la battitura delle piastrelle quando la miscela è ancora plastica,

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facendo in modo che questa esca parzialmente dai giunti. Le piastrelle devono essere divise da uno
spazio variabile da uno a tre millimetri.
Il metodo con collanti
Sono collanti per piastrelle costituiti da cemento, sabbie silicee, resine sintetiche e additivi vari. Quelli
reperibili in commercio si dividono in tre categorie. Alla prima appartengono gli adesivi a base di
cemento, che rispetto alle malte tradizionali ritengono maggiormente l’acqua di impasto indispensabile
all’idratazione , anche se vengono applicati in strati sottili e senza la bagnatura delle piastrelle e del
sottofondo. Commercializzati in polveri premiscelate, necessitano soltanto dell’aggiunta d’acqua. Ci
sono poi gli adesivi a base di gomma in soluzione e base di copolimeri vinilici o acrilici, commercializzati
in pasta pronta all’uso e, infine, gli adesivi a base di resine a due componenti: generalmente sono
resine di poliestere, poliuretaniche ed epossidiche con un prodotto indurente e cariche.
I vantaggi della posa con collanti in strato sottile sono la facile preparazione, la velocità di esecuzione,
l’impermeabilità e resistenza agli attacchi chimici, la possibilità di posare su qualsiasi materiale
(gesso, calcestruzzo, laterizio, legno, metallo, plastica, piastrelle preesistenti), il comportamento
elastoplastico di molti collanti che, per la loro flessibilità sono in grado di sopportare e compensare
eventuali spostamenti tra piastrelle e superfici d’appoggio. Inoltre, con questa tecnica non è sempre
necessario bagnare le piastrelle porose. Tuttavia esistono alcuni limiti, come l’alto costo del collante,
la preparazione a dosi rigorose e per tempi brevi, l’adattabilità solo a superfici perfettamente piane, e
quindi il difficile utilizzo su superfici preesistenti, visto che le piastrelle vengono direttamente ancorate
alla superficie da rivestire senza le possibilità di livellamento della posa con malta tradizionale.
Per questi motivi è ancora molto in uso la posa tradizionale, nonostante comporti tempi più lunghi e
quindi maggior costo della manodopera.
Le operazioni di posa con collanti sono costituite da varie fasi e prendono il via con la preparazione
della superficie d’appoggio, che in edifici nuovi viene preparata con applicazioni di intonaco frattazzato.
Nel caso di posa con collanti in polvere predosata o a due componenti è importante eseguire
accuratamente il dosaggio e fare attenzione al tempo di riposo (10-15 minuti), tenendo conto che dal
momento della preparazione l’impasto è utilizzabile per almeno tre ore. Il collante viene applicato con
una spatola dentellata su superfici limitate, facendo attenzione al “tempo aperto”, cioè il tempo durante
il quale è ancora possibile posare le piastrelle ottenendo un buon incollaggio (verificabile come per
il metodo tradizionale). La durata dipende dalla qualità degli adesivi, dall’assorbimento del supporto,
dalla temperature dell’ambiente, dall’umidità dell’aria e può variare dai 5 minuti in estate ai 60 in
inverno. Se le condizioni sono sfavorevoli si può allungare il tempo aperto bagnando il supporto delle
piastrelle. La fase successiva è quella della stuccatura dei giunti, con diversi tipi di sigillanti, per mezzo
di una spatola di gomma, dopo di che si procede a una prima pulizia con spugna umida.
A consolidamento avvenuto, sia nel caso della posa mediante malva che in quella della posa mediante
collanti, si lavano i pavimenti con acqua (piastrelle smaltate) o con una soluzione acida (composta per
0 10% di acido muriatico e per il 90% di acqua) per piastrelle non smaltate, mentre il cotto toscano
viene trattato con olio di lino.
I giunti
Non bisogna confondere i giunti di posa con quelli plastici o di deformazione. Infatti, il termine usato
nella prima definizione, indica quella linea o zona di giunzione delle piastrelle tra loro che viene
definita anche fuga. Si parla quindi di giunti aperti, usati per ragioni estetiche, nel caso di piastrelle
non calibrate o con lati non perfettamente paralleli e di giunti chiusi, quando le piastrelle sono posate
a contatto tre loro.
I giunti di deformazione invece vengono posizionati in modo da provocare interruzioni nella continuità
della superficie rivestite. Vengono utilizzati allo scopo di permettere e compensare le dilatazioni e i ritiri
provocati dai cambiamenti di temperatura che si ripercuotono sui materiali che costituiscono il sistema
di pavimentazione.
Sono dunque necessari per equilibrare i diversi quozienti dilatometrici dei vari tipi di materiale utilizzato
e rappresentano anche una via di sfogo alle eventuali tensioni che possono derivare dall’assestamento

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delle strutture. Devono interessare sia lo spessore delle piastrelle che quello dello strato legante.
Quest’ultimo deve essere separato del piano di appoggio mediante carta catramata, guaina bituminosa
o telo di polietilene. La larghezza dei giunti di dilatazione deve essere di 6/12 mm. Mediamente devono
delimitare aree di posa di 25 mq. per l’interno e 16 mq. per l’esterno. Si possono suddividere in:
Giunto di struttura: corrispondente alle interruzioni della struttura portante.
Giunto di ritiro: ha il compito di compensare il ritiro dovuto alla maturazione del cemento nonché di
compensare le diverse dilatazioni dovute ai gradienti termici.
Giunto di desolidarizzazione: ha la funzione di isolare le piastrelle ed il lotto di posa dagli elementi
fissi e di elevazione della costruzione (colonne, muri, scale, ecc.). Rivestono una duplice funzione
in quanto oltre a permettere i movimenti della strutture senza danneggiare le piastrelle, possono
contribuire all’isolamento termico ed acustico.
Giunto di costruzione: deriva dalla suddivisione delle aree di pose ed ha la stessa funzione del giunto
di ritiro.
Giunto di dilatazione: il suo ruolo è quello di compensare le deformazioni causate da variazioni termiche
/o igroscopiche delle piastrelle, dello strato legante e della struttura. Nella posa in opera, all’interno,
viene eseguito in corrispondenza dei muri perimetrali e solitamente nascosto alla vista del battiscopa.
Materiale per giunti: i giunti di dilatazione vengono riempiti con un materiale elastico, a base siliconica,
polisolfurica, acrilica o similare, la cui scelta dipende dall’uso che si farà del pavimento.
Rapporti con altri materiali ed elementi tecnici
La scelta del sottofondo va effettuata anche in rapporto all’organizzazione del lavoro nel cantiere,
a causa delle precedenze e degli incroci che si stabiliscono con le altre operazioni di finitura,
perché i sottofondi costituiscono la camera di compensazione di molte esigenze. Il passaggio delle
canalizzazioni dell’impianto idraulico, elettrico e di riscaldamento semplifica la progettazione, è facile
da eseguire ma genera numerose interdipendenze. In una soluzione assai diffusa il sottofondo segue
la posa degli impianti sul solaio e sulle pareti e perciò dipende anche dagli intonaci e dal collaudo
degli impianti, mentre la maturazione precede le finitura successive delle pareti e dei pavimenti. Si
capisce quindi che le variazioni nei modi di posa di questo elemento possono determinare notevoli
economie. In genere, si cerca di eliminare le interferenze tra una lavorazione e l’altra, trasformandole
in parti d’opera indipendenti; sub-componenti realizzabili in tempi brevi e prevedibili con materiali e
modalità ben determinate da imprese o posatori specializzati. Da questo punto di vista un elemento
con molte interferenze e con una maturazione di un paio di mesi (vincolante per i pavimenti resilienti)
che impedisce nei primi tempi anche il passaggio, può rappresentare un notevole problema. Si è
tentato di eliminarlo, trasferendo l’impianto elettrico e di riscaldamento nei getti della struttura, nelle
pareti, nei controsoffitti, e concentrando l’impianto idrico in corrispondenza delle canalizzazioni
verticali, con numerosi ed immaginabili inconvenienti. Ma lo sforzo necessario per queste soluzioni si
ripaga solo con costruzioni relativamente grandi e ripetitive e così, attualmente, la ridotta dimensione
degli interventi, la diffusione dell’impianto autonomo e la ricerca della qualità vanno nella direzione di
una rinnovata presenza del sottofondo.
Criteri di misurazione
La misurazione viene fatta in mq in base alla superficie netta degli ambienti da pavimentare.
Patologie
Sono molteplici e di varia natura, ma schematicamente riconducibili a due cause fondamentali: l’errata
o non accurata preparazione del sottofondo e la scelta di un materiale non adatto alle condizioni
ambientali e d’uso previste. In entrambi i casi le manifestazioni patologiche possono rendersi evidenti
subito o solo in seguito, per tutta l’estensione del pavimento o soltanto per settori localizzati.
II sottofondo provoca problemi generalizzati se, per esempio, presenta carenze di composizione
(mancanza della necessaria quantità di cemento) con ripercussioni sulle capacità statiche del
massetto, o puntuali, per interferenze di canalizzazioni sottopavimento eseguite in modo non corretto,

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con cedimenti localizzati. Se è previsto l’uso di una pavimentazione resiliente al sottofondo sono
richiesti particolari requisiti di rigidità e planarità, pena l’imperfetta riuscita della pavimentazione.
L’altro fattore determinante per la buona riuscita è la scelta di un materiale di pavimentazione
appropriato nell’intera gamma delle caratteristiche fisiche, chimiche e meccaniche. Se il settore
residenziale non mostra in genere patologie rilevanti ricorrenti, il problema si può porre con più
incisività nel settore produttivo, dove l’aggressività delle lavorazioni interne agli ambienti richiede l’uso
di materiali appropriati.
Norme e specifiche di prestazione
Si riportano le norme europee per le pavimentazioni, a cui fare riferimento per le specifiche valutazioni:
EN 87 Definizione, classificazione, caratteristiche
EN 98 Determinazione di dimensione e di qualità di superficie
EN 99 Assorbimento d’acqua
EN 100 Resistenza a flessione
EN 101 Durezza secondo scala Mohs
EN 103 Determinazione dilatazione termica lineare
EN 104 Determinazione resistenza sbalzi termici
EN 105 Determinazione resistenza al cavillo
EN 122 Determinazione resistenza all’attacco chimico
EN 154 Determinazione resistenza all’abrasione
EN 163 Determinazione metodo di campionamento
EN 202 Determinazione resistenza al gelo
Pavimentazioni galleggianti

Requisiti
All’insieme dei requisiti necessari per le normali pavimentazioni posate su sottofondo, che devono
comunque essere soddisfatti, si aggiungono quelli specifici relativi alla tipologia in questione. Si
tratta essenzialmente di aspetti collegati alla facilità gestionale del sistema, poiché quelli inerenti alle
caratteristiche tecniche proprie dei materiali di pavimentazione sono già stati considerati nella scheda
relativa alle pavimentazioni tradizionali. E’ innanzi tutto richiesta la possibilità di ottenere uno stabile
piano di calpestio in grado di sopportare senza deformazioni i carichi previsti (determinati valori minimi
in Kg/cm2 o Nw/mm2) senza appoggio continuo sulle strutture orizzontali. In secondo luogo deve
essere possibile la semplice ispezione dell’intercapedine così delimitata, con la semplice rimozione
degli elementi modulari costituenti il pavimento. Sono dunque richieste modularità, interscambiabilità,
facilità di montaggio e smontaggio e compatibilità tecnica elevata con gli altri componenti dell’edificio.
Inoltre, l’effetto prodotto dalla pavimentazione deve essere il più possibile simile a quello della soluzione
tradizionale, quindi deve essere stabile, rigida e non rumorosa. L’insieme pavimento-struttura di
sostegno deve essere non combustibile (massimo Classe 1) e non emettere, in caso di incendio, gas
e vapori tossici.
Descrizione
Si tratta di pavimentazioni in cui il sostegno continuo della struttura dell’edificio viene sostituito
da una maglia puntiforme in acciaio in modo da ottenere, tra il solaio ed il piano di calpestio, un
cavedio comunicante ove sia possibile alloggiare gli impianti tecnici di distribuzione dei servizi. Data
l’importanza sempre maggiore che l’impiantistica assume nella progettazione dei luoghi di lavoro e
le continue implementazioni cui è soggetta, si rende necessaria, almeno nei settori produttivi, una
particolare attenzione alla possibilità della sua frequente manutenzione e revisione. L’impiego del
pavimento galleggiante, come pure quello di controsoffittature smontabili, risponde a questa necessità
di ordine tecnico ed economico.
Lo spazio libero tra il piano di calpestio e il pavimento grezzo consente di alloggiare i cavi dell’energia

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elettrica, le reti informatiche, le tubazioni per la climatizzazione e la regolazione della temperatura,
i sistemi di controllo e di automazione, le diverse condutture d’acqua calda e fredda; questa
intercapedine detta “plenum sottopavimento”, mantiene ampi spazi di riserva ed è accessibile da ogni
punto, così da permettere in qualsiasi momento di installare o di sviluppare la rete distributiva secondo
le nuove esigenze dell’ufficio senza interrompere l’attività: è sufficiente infatti sollevare i riquadri di
pavimentazione, far passare i condotti, richiudere ed allacciare gli accessori per il collegamento con
l’esterno.
Materiali e principi costitutivi
Struttura: la struttura puntiforme è necessaria per sostenere il piano di calpestio, in modo da lasciare
per quanto possibile ininterrotto il plenum. L’altezza del plenum dipende dalla tipologia delle colonne
di sostegno dei pannelli; per ampiezze di pochi centimetri e per aggiustamenti limitati, adatti a
compensare eventuali difetti sul pavimento grezzo, si impiegano i dischi cilindrici composti da elementi
avvitabili tra loro; mentre con carichi non eccessivi e per altezze medie si usano colonne in acciaio o
in alluminio pressofuso, dotate di un sistema di regolazione a gambo filettato e bullone autobloccante.
La loro testa porta dei risalti radiali con fermi per accogliere in alto gli spigoli dei pannelli e la base
risulta adatta ad essere incollata o fissata con tasselli al piano di posa. In presenza di carichi elevati,
e per altezze del plenum fino a 1 m, sui risalti radiali delle colonne vengono applicati, a scatto o con
bulloni, robusti traversi con eventuali elementi diagonali in modo da irrigidire la struttura, creando un
insieme di maglie quadrate collegate tra loro in un’orditura anche molto complessa. A contatto con
il pannello, sulla testa della colonna e sul bordo superiore di traversi e diagonali, vengono adattate
sempre guarnizioni in materiale plastico, con funzioni di tenuta all’aria e all’acqua e miglioramento
delle prestazioni acustiche.
Pannelli di supporto: i sistemi per il tamponamento orizzontale si avvalgono di una tecnologia costruttiva
sperimentata; la capacità delle strutture di sostegno di trasmettere una percezione di sicurezza e di
solidità, insieme alla sensazione di calpestare un pavimento eseguito con sistemi tradizionali, è legata
alla qualità del pannello di supporto, considerato il principale componente del pavimento sopraelevato.
La scelta tra i diversi tipi di pannello, generalmente in formato modulare di 60 x 60 centimetri, è dettata
soprattutto dai valori dei carichi previsti; quelli maggiormente impiegati sono in conglomerato di legno
ad alta densità addizionato con preparati idrofughi e ignifughi, mentre con i pannelli di solfato di calcio
anidro rinforzato con fibre e con quelli in silicato di calcio o in cemento armato si ottiene maggiore
resistenza alle sollecitazioni e al fuoco con un ottimo isolamento termico e acustico. Prestazioni
intermedie si raggiungono con i legno-cemento, oppure associando più strati alternati di truciolare e di
gesso. Normalmente la faccia inferiore del pannello viene rivestita con una sottile lamina di alluminio
che ha la funzione di barriera all’umidità e in parte al fuoco; limitando l’assorbimento d’acqua impedisce
al modulo di deformarsi o rigonfiare perdendo le sue caratteristiche di perfetta planarità. Per migliorare
le prestazioni meccaniche e antifuoco, assicurando al pannello elevata rigidità anche se sottoposto a
forti carichi sia concentrati che distribuiti, si ricorre a una placcatura in lamiera d’acciaio galvanizzato
sul lato nascosto del pannello oppure a una vaschetta metallica imbutita che fa da contenitore per
l’anima in truciolare inerte su cui verrà posto il rivestimento di marcia.
Rivestimenti: se la struttura di supporto deve essere costruita in modo da garantire la stabilità del
pavimento sopraelevato in ogni condizione d’impiego, il rivestimento superiore deve possedere doti
di resistenza e di durata e un aspetto pressoché inalterabile nel tempo. Per questo la scelta ricade
sempre su materiali di elevata qualità, resistenti all’usura, facilmente pulibili e prodotti in una vasta
gamma cromatica: quelli di maggior impiego e con prestazioni estetiche rilevanti sono il linoleum, i
materiali resilienti (gomma, PVC, ecc.), il laminato plastico composto da lastre rigide di carta Kraft
impregnate con una resina fenolica e decorate con uno strato superficiale melamminico, il marmo
e il granito, le lastre in marmo-resina o in agglomerati ricomposti, le moquette di tipo agugliato
da impiegare in riquadri incollati sul modulo o semplicemente appoggiate e i legni pregiati a tutto
spessore o lamellari nelle disposizioni tipiche dei parquet classici. Anche i prodotti ceramici a
elevata durezza superficiale trovano sempre più applicazione nei pavimenti sopraelevati grazie alla

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possibilità di calibrare esattamente la piastrella secondo il modulo utilizzato o di inserire lungo il suo
bordo un elemento plastico di tenuta e di protezione; per le qualità di durata e per le scarse esigenze
di manutenzione sono utilizzati i klinker, i gres fini porcellanati nelle caratteristiche tonalità pastello
granigliate e le piastrelle in monocottura smaltata.
Le caratteristiche acustiche del pavimento sopraelevato dipendono essenzialmente dalla qualità del
rivestimento superiore; quanto più il materiale è rigido e poco elastico, tanto maggiore diviene la
risonanza al calpestio, anche se la natura del pannello, quasi sempre fonoassorbente, è in grado
di smorzare parte dei suoni. In presenza di finiture molto rigide la situazione viene migliorata dalle
guarnizioni situate sulle teste dei montanti di sostegno e lungo i traversi di irrobustimento non solo
in funzione di tenuta all’umidità e alla polvere, ma anche per garantire il taglio acustico tra i riquadri
accostati e la sottostruttura. Con questi semplici accorgimenti si riescono ad ottenere pavimenti
sopraelevati con doti fonoisolanti analoghe a quelle di una normale pavimentazione applicata su letto
di malta.
La conducibilità elettrica, indispensabile in determinate condizioni di impiego, viene garantita dai
pavimenti antistatici (linoleum, vinilici, laminati, tessili trattati chimicamente o con fibre metalliche
inserite nella struttura) anche se il funzionamento di molte apparecchiature elettroniche risulta alterato
già in presenza di cariche elettrostatiche non avvertite dall’uomo; in questi casi, si utilizzano materiali
con un buon grado di conducibilità i cui valori massimi sono in genere indicati dagli stessi fabbricanti.
Tutte le sottostrutture per pavimenti sopraelevati sono dotate di viti passanti o di pressione per il
collegamento stabile fra le teste e i traversi ed è possibile predisporle per la “messa a terra” di tutto il
sistema.
Criteri di produzione
Il sistema è costituito da struttura metallica, pannelli di supporto e finitura superficiale. L’accostamento
tra i primi due avviene mediante semplice appoggio, mentre ai pannelli di supporto vengono resi
solidali i manti di pavimentazione mediante adesivi specifici.
Forma e dimensioni
La pavimentazione si presenta in pannelli di supporto solitamente di dimensioni 60x60 cm, forniti
completi di manto di pavimentazione nel materiale prescelto. Normalmente tale manto viene anch’esso
riquadrato nel formato 60x60 cm, in modo da potere essere posto esattamente sul pannello di
supporto. Attualmente però nell’applicazione di moquette auto posante si preferisce rendere il manto
indipendente dai pannelli sottostanti, in modo da ottenere una migliore uniformità nel comportamento
complessivo. La struttura metallica di sostegno (montanti e traversi) è composta da elementi modulari
di dimensioni ridotte.
Proprietà caratteristiche
Assumono rilevante importanza, nella valutazione di una pavimentazione sopraelevata, le
caratteristiche di peso e la portata dichiarate dal costruttore, in relazione alla tipologia strutturale di
sostegno e alla natura fisica e chimica dei pannelli portanti. La struttura, di solito in acciaio zincato (in
alternativa in alluminio), con testa a crociera nervata, stelo filettato, dado di regolazione, base circolare
e travi modulari in acciaio zincato con varie sezioni (es. a omega) e la varia composizione dei pannelli,
scelta soprattutto in base ai valori dei carichi previsti tra il conglomerato di legno ad alta densità e
addizionato con preparati idrofughi e ignifughi, i componenti minerali misti a fibre, le strutture miste in
legno truciolare e gesso, sono i fattori che determinano tali caratteristiche, unitamente alla natura della
pavimentazione prescelta.
Il peso può indicativamente variare dai 20 Kg/mq (struttura in alluminio, pannello in conglomerato di
legno e pavimentazione in linoleum), ai 50 Kg/mq (struttura in acciaio, pannello in cemento e rinforzi
fibrosi e pavimentazione in moquette) ed agli 80 Kg/mq (struttura in acciaio, pannello in legno-cemento
e pavimentazione in gres porcellanato).
La portata per carichi distribuiti va dai 1500 Kg/mq agli oltre 2000 Kg/mq, quella per carichi concentrati

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dai 200 Kg agli 800 Kg.
Campi di utilizzazione
Le pavimentazioni sopraelevate sono strutture tecniche nate per risolvere i problemi legati
all’impiantistica ed alla sempre maggiore rilevanza che essa assume negli ambienti destinati al lavoro
dell’uomo. Sono prevalentemente utilizzate nel settore dell’edilizia non residenziale, nei centri di
calcolo, negli uffici, nelle banche e negli ambienti del terziario in genere.
Fornitura e deposito in cantiere
La fornitura del materiale ed il deposito in cantiere non necessitano di avvertenze particolari, dato che
i pannelli di supporto hanno dimensioni di 60x60 cm e spessori contenuti. Analoga considerazione
vale per la movimentazione interna al cantiere, considerando inoltre che la struttura di sostegno e
irrigidimento è completamente smontabile in piedini e traversi di ridotte dimensioni. Il materiale deve
essere custodito al riparo dall’azione diretta degli agenti atmosferici e dal gelo, per prevenire danni ai
pannelli di supporto ed alla finitura superficiale.
Tecniche di preparazione
La fase di preparazione per l’installazione di una pavimentazione galleggiante consiste principalmente
nelle operazioni relative all’adeguato approntamento della struttura puntiforme necessaria a sostenere
il piano di calpestio, in modo da lasciare per quanto possibile ininterrotto il plenum. Tale struttura,
essendo regolabile in altezza, può fare fronte a limitate variazioni di quota del piano sottostante di
appoggio, che comunque deve essere per quanto possibile planare ed uniforme, oltre che staticamente
in grado di sopportare il carico concentrato dovuto all’appoggio dei montanti della struttura. E’
necessario dunque preparare il piano in modo che soddisfi queste semplici condizioni per potere
iniziare il montaggio della struttura.
Tecniche di realizzazione
La fase di messa in opera comprende il montaggio della struttura e la posa ed il fissaggio dei pannelli
di supporto. Il montaggio inizia con la pose dei montanti verticali, disposti generalmente secondo la
maglia di 60x60 cm e collegati da traversi orizzontali d’irrigidimento mediante nodi appositamente
predisposti. Seguono il posizionamento delle giunture in materiale plastico, la regolazione della
struttura (altezza dei montanti) in base alle necessità specifiche, la posa ed il fissaggio dei pannelli.
Ove qualche ostacolo impedisca la normale disposizione dei montanti secondo la maglia prevista, si
può ricorrere a pezzi speciali per modificare l’appoggio in questione. I pannelli normalmente sono già
completi dello strato di rivestimento nel materiale prescelta (l’assemblaggio viene effettuato dalla ditta
fornitrice).
Rapporti con altri materiali ed elementi tecnici
Dato che l’integrabilità con gli altri componenti della costruzione riveste per le pavimentazioni
galleggianti un’importanza primaria, i sistemi vengono corredati da accessori integrativi in rapporto
alle varie esigenze.
Gli accessori funzionali e gli elementi speciali disponibili, sono svariati; dai setti sottopavimento, che
eliminano i ponti acustici e impediscono la propagazione del fuoco, ai giunti strutturali e di collegamento
in corrispondenza di quelli della costruzione o a contatto con altri tipi di pavimentazione. Oltre alle
controventature delle colonne e ai traversi rinforzati sono disponibili gradini, rampe interne ed esterne
su struttura metallica, zoccoli perimetrali e pannelli verticali di completamento che, insieme a griglie
di ventilazione, pannelli attrezzati con incorporati i diversi terminali di impianto, sportelli passacavi,
torrette e colonne esterne o a scomparsa con prese elettriche, telefoniche e informatiche concorrono
ad aumentare il grado di flessibilità del sistema e a migliorare il livello di prestazione per rispondere ad
ogni esigenza dovuta ai diversi tipi di impiego.

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Criteri di misurazione
La misurazione e la valutazione vengono effettuate i base ai mq effettivi dei locali da pavimentare.
Patologie
La realizzazione poco accurata può dare luogo a varie manifestazioni patologiche sia generali,
come la mancanza di planarità e l’accentuazione della rumorosità, che puntuali, come la presenza
di evidenti gradini e l’instabilità di alcuni elementi. In generale necessitano comunque di semplici
attenzioni, come la pulizia accurata ma senza eccessi d’acqua, che, se mancanti, ne pregiudicano il
buon funzionamento. Una pulizia accurata rende infatti minimo il rischio dell’introduzione della polvere
tra i giunti di contatto dei pannelli, ove darebbe luogo a fastidiosi scricchiolii, ed un eccesso d’ acqua
potrebbe danneggiare sia la pavimentazione, provocando un aumento di volume net pannelli, sia i
condotti tecnologici sottostanti.
Norme e specifiche di prestazione
Per i pavimenti sopraelevati al momento attuale non esistono precise norme in materia di resistenza
e di reazione al fuoco; in genere i fabbricanti fanno riferimento a metodologie di prova utilizzate
all’estero e indicano sempre le caratteristiche rilevate sui pannelli di loro produzione. La reazione al
fuoco tiene conto della capacità di combustione dei materiali che compongono la struttura; in base al
loro comportamento i pannelli possono essere inseriti nella “classe 0” incombustibile (ad esempio il
metallo e il fibrocemento) oppure nella “classe 1” (truciolar e, solfato di calcio, ecc.). Per ottimizzare le
caratteristiche del complesso anche i materiali di finitura della pavimentazione vanno scelti con classe
di reazione al fuoco uguale o superiore a quella dei pannelli di sostegno.
La valutazione della resistenza al fuoco diviene invece più complessa, in quanto intesa come analisi di
tre parametri quando la superficie del manufatto è sottoposta al calore: vengono controllati la stabilità
(R), la tenuta alle fiamme e al gas (E) e l’isolamento termico (I). La prova viene chiamata REI ed
esprime in minuti primi il periodo di resistenza al fuoco durante il quale il manto di pavimentazione
modulare e la struttura di sostegno non subiscono dissesti o degradi tali da impedire la pedonabilità
e quindi la fuga dai locali. In genere a seconda del tipo di pannello si passa dalla classe REI 60
(truciolare ad alta densità pannelli combinati legno/inerte) alla classe REI 90 (conglomerati inerti,
solfato di calcio, fibrocemento).

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