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Il Tatuatore

Junichiro Tanizaki
a cura di Armando Liccardo

Maggio 2013

MenteSuggeSostanza Edizioni

in copertina:
...

Pubblicato con Licenza Creative Commons 3.0


Attribuzione, Non Commerciale, Non Opere Derivate
Jun'ichirō Tanizaki
1886 – 1965
Introduzione
Una bellezza trascendentale sublimata in un corpo femminile divenuto tela
superba grazie all'arte di un maestro dell'inchiostro. Un'opera eccelsa, un
rituale magico indelebile che si dispiega sottopelle in un'immagine dal
potere inarrestabile. Sensualità e dolore, per un piacere estremo a cui è
impossibile resistere, che con forza innaturale, quasi demoniaca, ammalia
ogni sguardo sino a rendere l'anima prigioniera delle proprie trame. Mani, in
trance, che schiudono un sè rivelatosi fascino terrificante, una terribile
tortura per la brama infuocata dell'uomo che mira alla sua possessione. Un
avvelenamento estatico che rende vittime di emozioni dirompenti.

Il racconto breve ma intenso della furia della bellezza, esaltazione della


donna-demone che danza con piedi perfetti sui corpi degli uomini che ha
reso suoi succubi, senza timore o paura alcuna, decisa come una vedova nera
a irretire ogni desio. E' la donna di Tanizaki, quella che inizia a dargli la
notorietà nel 1910, anno di pubblicazione di Seshi (Il Tatuatore), e che
mostra il suo fascino con una terribile malìa.

La decorazione del corpo non è fine a se stessa ma è l'atto con cui si


trasferisce la propria anima ad una tela vivente, è il momento in cui, l'ago
trafigge contemporaneamente due cuori, in cui, goccia dopo goccia, l'uno
scorre nell'altro per diventare segno indelebile di un potere che poi si
inverte alla fine, quando l'artista stesso si scioglie nelle fiamme di una
perfezione a cui ha dato se stesso.

Tanizaki ci conduce in un atmosfera seducente, intrisa di piacere pur non


presentando nessun atto propriamente erotico. Le sue descrizioni della donna
la materializzano in tutta la sua perfezione, avviluppata in un incantesimo che
non da scampo. Il lettore si lascia atterrire da questa bellezza descrittiva che
poi è la bellezza che irretisce e lascia di sasso con un innamoramento
istantaneo.
Il Tatuaggio in Giappone
Il tatuaggio in Giappone ha origini antichissime, pare infatti che le prime
tracce si possano far risalire al periodo Jomon (10.000 a.C - 300 a.C) dove
le dogu, figurine in ceramica, riportano segni simili alle trame di tatuaggi.
Nello Gishiwajinden, testo storico Cinese del III secolo è riportato che la
gente di Wa (Giappone) decorava il volto ed il corpo con vari disegni.
Questi segni differivano da tribù a tribù, nella dimensione e nella trama, ed
in base allo status del tatuato.

Nelle Tribù più antiche come Ryukyu e Ainu, il tatuaggio, simbolo di


purezza, era usato anche come protezione contro le atrocità operate dalle
tribù avversarie, e possedeva quindi una connotazione positiva legata alla
spiritualità e alla magia, rappresentando spesso anche passaggi da un'età
all'altra, o momenti importanti della vita, come l'età del matrimonio.

Ma è nell'VIII d.C secolo che compare il primo libro Giapponese sui


tatuaggi, il Kojiki, in cui si dice che esistono due tipi di tatuaggio, uno di
questi è segno di distinzione per gli uomini di elevato rango sociale, mentre
l'altro è marchio identificativo dei criminali. In quest'ultimo caso si trattava
di vere e proprie punizioni, una pratica che comunque pare abbia avuto
inizio dalla metà del periodo Kofun.

Dal 600 d.C al 1600 d.C c'è poca letteratura, ma si conferma l'uso del
tatuaggio per identificare i reietti della società che formavano quindi i gruppi
di minoranza. Certi studiosi affermano cha anche tra alcuni gruppi di
Samurai v'era l'usanza di tatuarsi per identificarsi.

Il Periodo Edo (1600 - 1867) è una fase di grossi cambiamenti socio-


economici strettamente connessi all'unificazione del Paese e alla divisione in
quattro caste del sistema sociale. Contemporaneamente il primo shogun
sancisce regole ben precise per l'abbigliamento e sposando appieno la pietà
filiale del Confucianesimo invita a preservare il corpo como dono dei
genitori.
La prosperità economica del periodo favorisce un miglioramento dello
standard di vita degli abitanti della città che godono della fioritura delle arti
e della diffusione di materiali preziosi, una ricchezza che si esprime nella
gaiezza dei colori nelle decorazioni e nelle trame degli abiti.

Siamo nell'Era Genroku, cioè Ukiyo o "mondo fluttuante", termine buddista


che significa l'oscuro, oscillante mondo dell'esistenza, o della caducità
della vita. La gente della città circondata dalla ricchezza non si preoccupa
della salvezza futura preferendo invece crogiolare nei piaceri della carne
vivendo per il momento. In questo contesto si diffondono la prostituzione
legale, i quartieri di piecere e la figura della Geisha, artiste professioniste
dell'intrattenimento.

Parallelamente fa la sua comparsa il tatuaggio (irebokuro), amato e accettato


di buon grado soprattutto dalle yujos (prostitute legali), dalle Geishe e dai
loro clienti. Inizialmente si tratta più che altro di un'arte del punto e non di
disegno vero e proprio, e rappresenta un memento per gli innamorati e quindi
un voto d'amore eterno. Tatuarsi il nome del "cliente" era uno degli atti
d'amore che le Geishe erano tenute a fare, ed eventualmente a disfare nel
momento in cui il cliente cambiava.

Nel 1716 il nuovo shogun porta enormi cambiamenti, soprattuto inerenti alla
troppa ostentazione di ornamenti lussuriosi; qualche anno dopo, dal 1720 al
1870 circa, viene introdotto il tatuaggio penale, un anello nero attorno al
braccio o una lettera giapponese sulla fronte, indica il crimine compiuto dal
tatuato.

Il tatuaggio pittorico fa la sua comparsa nell'era Horeki grazie allo sviluppo


dell'arte Ukiyo-e caratterizzata dalla rappresentazione del mondo fluttuante,
quindi paesaggi, vita quotidiana e quartieri del piacere. In Giappone però la
limitatezza dei materiali portò allo sviluppo del sumie o suibokuga e cioè
dipinti ad inchiostro monocromo che influenzano anche il mondo del
tatuaggio. Solo successivamente saranno importati i colori da altri paesi.

I temi principali dell'arte del tatuaggio Giapponese vengono dalle arti


tradizionali, infatti il pennello del pittore viene alterato in un gruzzoletto di
aghi pronto a disegnare mitici personaggi dei racconti leggendari presi
dal Suikoden, testo Cinese tradotto nel 1757, tra cui Shishin tatuato con nove
dragoni in competizione tra loro.

Il tatuaggio su tutto il corpo prende il via proprio dal sumie e dalla moda
vestiaria del momento. L'idea viene dai costumi dei Samurai che avevano i
loro disegni preferiti, una divinità o un dragone a protezione, proprio sul
dorso del Jimbaori. Inizialmente infatti il tatuaggio pittorico si realizza solo
sulla schiena poi successivamente sul resto del corpo ad eccezione di una
striscia verticale sul torace che dà proprio l'idea di un abito sbottonato.
Tatuarsi interamente è vestirsi, è dare personalità ad un corpo che altrimenti
con la sua povera nudità non può essere nè bello nè divino.

Il termine iki indica lo stile, l'eleganza o l'essere chic, e simboleggia proprio


il carattere fondamentale del periodo Edo e dello spirito della gente comune
che entra in competizione per mostrare il proprio essere cool, dando un forte
colpo alle restrizioni di quel periodo. Dal 1804, periodo Bunka Bunsei,
aumenta il numero di persone tatuate e inizia a diffondersi la figura del
tatuatore professionista.

Nel 1868, inizio dell'era Meiji, il Giappone inizia la propria


modernizzazione assorbendo molti elementi della cultura occidentale e
coltivando nuovi modi di pensare e nuove attitudini. Nel cercare di diventare
una delle più importanti potenze modiali ed un paese sofisticato, il governo
giapponese proibisce ogni forma di tatuaggio eccetto per gli stranieri. In
risposta lo stile nipponico si diffonde oltre oceano. Nel 1948 il divieto di
tatuarsi si attenua ma resta valido per i giovani sotto i 18 anni, ma a causa
del suo passato il tatuaggio conserva oggi un'accezione negativa e oscura
sebbene sia comunque una pratica legale. Infatti nonostante la moda giovane
oggi veda nel tatuaggio e nel piercing una forma di auto-espressione, la gente
resta in parte legata al codice etico nipponico e quindi non è mai
completamente a proprio agio, tutto ciò ha portato alla diffusione del
tatuaggio temporaneo che permette alle persone di essere alla moda e di non
correre il rischio di infrangere il codice culturale.
Il Tatuatore
C'era un tempo in cui gli uomini onoravano la nobile virtù della frivolezza,
quando la vita non era così dura come oggi. Era un tempo piacevole, un
tempo in cui gli spiritosi rendevano la vita eccellente ai ricchi e giovani
gentiluomini tenendoli di buon umore e mostrando loro che il sorriso delle
dame di Corte e delle geishe non spariva mai. Nei racconti illustrati di oggi,
nel teatro Kabuki, dove rudi eroi maschi come Sadakuro e Jiraiya erano
trasformati in donne -- ovunque la bellezza e la forza rappresentavano una
sola cosa. Le persone facevano il possibile per abbellirsi, alcuni si facevano
iniettare pigmenti sotto la propria preziosa pelle. Sui corpi degli uomini
danzavano vistosi schemi di linee e colori.
I visitatori dei quartieri del piacere di Edo preferivano noleggiare quei
portatori di portantine che erano splendidamente tatuati; le concubine dei
quartieri di Yoshiwara e Tatsumi si innamoravano di questi uomini. Tra
questi uomini adornati non vi erano solo giocatori d'azzardo, pompieri, e
simili, ma anche membri della classe dei mercanti e addirittura samurai. Le
esibizioni si tenevano di continuo; ed i partecipanti, si spogliavano per
mostrare i propri corpi di filigrana, si colpivano orgogliosi, si vantavano dei
propri nuovi disegni criticando i meriti degli altri.
C'era un tatuatore giovane e molto bravo di nome Seikichi. Era elogiato
ovunque come maestro del calibro di Charibun o Yatsuhei, e la pelle di
decine di uomini gli era stata offerta come seta per il suo pennello. La gran
parte dei lavori ammirati alle esibizioni erano suoi. Gli altri potevano essere
noti per la capacità di rendere le ombre, o per l'uso del cinabro, ma Seikichi
era famoso per la nitidezza senza rivali e lo charm sensuale della sua arte.
Seikichi in passato si era guadagnato da vivere come pittore ukiyoye della
scuola di Toyokuni e Kunisada, un background che, nonostante il suo declino
allo status di tatuatore, era evidente nella sua coscienza e sensibilità
artistica. Nessuno, il cui corpo non lo avesse interessato, avrebbe potuto
comprare i suoi servigi. I clienti che egli accettava dovevano lasciar
scegliere a lui il disegno ed il costo -- e resistere uno o anche due mesi
all'atroce dolore causato dai suoi aghi.
Nel profondo del suo cuore il giovane tatuatore nascondeva un piacere ed un
desiderio segreti. Il suo piacere era nell'agonia degli uomini allorquando i
suoi aghi penetravano la loro pelle, torturandone la carne gonfia e
insanguinata; più forte grugnivano più forte era lo strano piacere di Seikichi.
L'ombreggiatura e la vermigliatura -- che pare fossero dolorossissime, erano
le tecniche che più amava.
Dopo che un uomo era stato punto cinque o seicento volte nel corso di un
intero giorno di trattamento e poi aveva ravvivato i colori con un bagno,
avrebbe potuto collassare ai piedi di Seikichi mezzo morto.
Ma Seikichi lo avrebbe guardato con disinvoltura. "Ti avevo detto che
faceva male," avrebbe apostrofato con aria soddisfatta. Quando un uomo
senza spina dorsale si lamentava o stringeva i denti e torceva la bocca come
stesse morendo, Seikichi gli diceva: "Non fare il bambino. Trattieniti, hai a
malapena cominciato a sentire i miei aghi." Avrebbe proseguito a tatuare,
come sempre imperturbabile, con uno sguardo occasionale alla faccia in
lacrime dell'uomo.
Qualche volta un uomo molto forte stringeva i denti e resisteva stoicamente,
senza neanche accigliarsi. Seikichi allora sorrideva e diceva: "Tu sei uno
tenace! Ma aspetta. Presto il tuo corpo comincerà a pulsare di dolore. Dubito
che rimarrai in piedi..."

Per molto tempo Seikichi nutriva il desiderio di creare un'opera d'arte sulla
pelle di una bella donna. Una donna tale doveva però possedere varie
qualità sia nel carattere che estetiche. Un volto dolce e un corpo bello non
erano abbastanza per soddisfarlo. Sebbene avesse ispezionato tutte le
bellezze regnanti del quartiere del piacere di Edo non trovò ciò che cercava.
Passarono diversi anni senza successo, ma il volto e la figura della donna
perfetta continuavano ad ossessionarlo. Non perse mai la speranza.
Un pomeriggio estivo durante il quarto anno della sua ricerca Seikichi si
trovò a passare per il Ristorante Hirasci, nel distretto Fukagawa di Edo, non
lontano da casa sua, quando notò il piede nudo bianco-latte di una donna
spuntare dalle tende di una portantina che stava per partire. Al suo occhio
fine, un piede umano risultava tanto espressivo quanto un volto. Questo era
pura perfezione. Dita squisitamente cesellate, unghia come le iridescenti
conchiglie della spiaggia ad Enoshima, un tallone rotondo come una perla,
una pelle così splendente da sembrare bagnata nelle limpide acque di una
sorgente di montagna -- questo, infatti, era un piede da nutrire col sangue
umano, un piede che doveva caplestare corpi. Certamente era il piede di una
donna unica, che lo aveva eluso per molto tempo. Desideroso di catturare un
pezzetto del suo volto, Seikichi comiciò a seguire la portantina. Ma dopo
averla seguita per diverse strade e viuzze li perse di vista.
Il vecchio desiderio di Seikichi si tramutò in amore appassionato. Una
mattina della successiva primavera egli era sulla veranda di bamboo di casa
sua a Fukagawa, ad ammirare un vaso di lillà omoto, quando udì qualcuno al
cancello del giardino. Nell'angolo del recinto interno apparve una giovane
ragazza. Era venuta a fare una commissione per una sua amica, una geisha
del vicino quartiere di Tatsumi.
"La mia signora mi ha chiesto di portarle questo mantello, e inoltre si
chiedeva se lei fosse così gentile da decorarne la fodera", disse la ragazza.
Aprì un mantello giallo zafferano da cui prese un mantello di seta da donna
(avvolto in un foglio sottile con il ritratto dell'attore Tojaku) ed una lettera.
La lettera ripeteva la richiesta della sua amica e continuava dicendo che la
ragazza avrebbe presto intrapreso la carriera da geisha sotto la sua
protezione. Ella confidava nel fatto che, pur non dimenticando i vecchi
legami, lui stesso avrebbe preso sotto la propria protezione questa ragazza.
"Credo di non averti mai vista prima", disse Seikichi, scrutandola
attentamente. Sembrava avere appena 15-16 anni, ma il suo volto era di una
bellezza stranamente matura, un aspetto da donna di esperienza, come se
avesse già speso anni nel quartiere del piacere e affascinato innumerevoli
uomini. La sua bellezza rispecchiava i sogni di generazioni di uomini e
donne eleganti che avevano vissuto ed erano morti in quella vasta capitale,
dov'erano concentrati i peccati e la ricchezza della nazione.
Seikichi la fece accomodare in veranda, e ne studiò i piedi delicati, che
erano nudi eccetto per gli eleganti sandali di paglia. "Tu hai lasciato
l'Hirasci su una portantina una notte del luglio scorso non è vero?", le
chiesè.
"Potrebbe essere", replicò, sorridendo per la strana domanda. "Mio padre
era ancora vivo allora, e spesso mi portava lì".
"Ti ho aspettato per cinque anni. Questa è la prima volta che vedo il tuo
volto, ma ricordo il tuo piede... vieni dentro un attimo, ho qualcosa da
mostrarti."
Lei si alzò per andarsene, ma egli le prese la mano e la guidò sulle scale
verso lo studio che dominava l'ampio fiume. Poi prese due rotoli dipinti e
ne srotolò uno davanti a lei.
Era un dipinto di una principessa Cinese, la favortia dell'imperatore Zhou
della dinastia Shang. Era piegata su di una balaustra con una posa
languorosa, la lunga gonna decorata trascinata per metà su una rampa di
scale, il suo corpo fine a malapena capace di sopportare il peso della corona
d'oro costellata di lapislazzuli e coralli. Nella mano sinistra teneva una
grossa coppa di vino, inclinata verso le labbra mentre guardava in basso un
uomo che doveva essere torturato nel giardino sottostante. Questi aveva mani
e piedi incatenati ad una colonna di rame vuota in cui sarebbe stato acceso
un fuoco. Sia la principessa che la sua vittima -- la testa chinata innanzi a lei,
gli occhi chiusi, pronto ad incontrare il proprio destino -- erano
rappresentati con terrificante vividezza.
Non appena la giovane guardò la bizzarra rappresentazione le sue labbra
iniziarono a tremare ed i suoi occhi a brillare. Gradatamente il volto prese
curiosamente ad assomigliare a quello della principessa. In quel dipinto
scoprì il suo sè segreto.
"Qui si rivelano i tuoi stessi segreti," Seikichi le disse con piacere quando
vide il suo volto.
"Perchè mi mostri questa terribile immagine?" le chiese la ragazza
guardandolo. Era diventata pallida.
"La donna sei proprio tu. Il suo sangue scorre nelle tue vene." Allora srotolò
l'altro dipinto.
Trattavasi di un dipinto intitolato "Le Vittime". Nel bel mezzo vi era una
giovane donna appoggiata al tronco di un ciliegio: gongolava su un mucchio
di corpi di uomini che giacevano ai suoi piedi. Piccoli uccellini le
volteggiavano intorno, canticchiando in trionfo; i suoi occhi brillavano di
orgolgio e gioia. Era un giardino primaverile o un campo di battaglia? In
questo dipinto la ragazza sentiva di aver trovato qualcosa che a lungo era
rimasto nascosto nell'oscurità del proprio cuore.
"Il dipinto mostra il tuo futuro," Seikichi disse, indicando la donna sotto il
ciliegio -- l'immagine della giovane ragazza. "Tutti questi uomini
manderanno la loro vita in rovina per te."
"Ti supplico di metterlo via!" Girò la schiena come per fuggire a
quell'allettante richiamo e si prostrò ai suoi piedi, tremante. Infine parlò
dinuovo. "Si, ammetto che hai ragione su di me -- Io sono come quella
donna... perciò, per piacere mettilo via."
"Non parlare come una codarda", le disse Seikichi, con il suo malizioso
sorriso. "Guardalo più da vicino. Non ti impressionerà a lungo."
Ma la ragazza rifiutò di girare la testa. Ancora prostrata, il volto tra le
maniche, ripeteva di essere spaventata e di voler andar via.
"No, devi restare -- Ti renderò stupenda", disse, avvicinandosi a lei. Sotto il
suo kimono aveva una fiala di anestetico che aveva avuto tempo fa da un
fisico Tedesco.

Il sole mattutino scintillava sul fiume, infiammando di luce lo studio di otto


tatami. I raggi si rifelttevano dall'acqua disegnando onde dorate ed
increspate sui fogli scorrevoli dei paraventi e sul volto della ragazza, che
rapidamente si addormentò. Seikichi chiuse le porte e prese i suoi strumenti
di tatuatore, ma per un attimo si sedette come in trance, assaporando la sua
completa e terribile bellezza. Pensava che non si sarebbe mai stancato di
contemplare il suo volto sereno come una maschera. Proprio come gli antichi
egizi avevano abbellito la loro magnifica terra con le piramidi e le sfingi,
egli avrebbe abbellitto la pura pelle di quella ragazza.
Rapidamente sollevò il pennello che teneva tra il pollice e le ultime due dita
della mano sinistra, ed appoggiò la punta alla schiena della ragazza, e, con
l'ago che reggeva nella mano destra, cominciò a creare un disegno. Egli
sentiva il proprio spirito dissolversi nell'inchiostro nero-carbone che
macchiava la sua pelle. Ogni goccia del cinabro di Ryukyu che mescolava
con alcool e spingeva dentro era una stilla del suo stesso sangue vitale.
Intravedeva nel suo pigmento le prove della sua stessa passione.
Presto divenne pomeriggio, e allora il tranquillo giorno di primavra
giungeva alla fine. Ma Seikichi non si fermò un attimo, nè il sonno della
ragazza fu interrotto. Quando sopraggiunse un servo della casa delle geishe
per chiedere di lei, Seikichi lo rimandò indietro dicendo che se ne era andata
molto tempo prima. Ore dopo, quando la luna era sospesa sulla casa
attraverso il fiume, bagnando le case lungo la riva con una radianza da
sogno, il tatuaggio non era nenache fatto per metà. Seikichi vi lavorò anche
alla luce delle candele.
Anche inserire una singola goccia di colore non era una cosa facile. Ad ogni
puntura del suo ago Seikichi sospirava pesantemente e si sentiva come se
avesse pugnalato il suo stesso cuore. Poco a poco, il tatuaggio iniziava a
prendere la forma di una grossa vedova nera; e nel momento che il cielo
notturno stava impallidendo all'alba questa misteriosa, maligna creatura
distese le otto zampe ad abbracciare l'intera schiena della ragazza.
Nella piena luce dell'alba primaverile le barche erano spinte su e giù per il
fiume, i loro remi rumoreggiavano nella quiete della mattina; le tegole del
tetto luccicavano al sole, e la foschia cominciava ad assottigliarsi lasciando
intravedere i gonfiori delle vele al primo frescore. Alla fine Seikichi posò il
pennello e guardò il ragno tatuato. Quell'opera d'arte era stato il suo sforzo
più grande. Ora che aveva finito il suo cuore era zuppo di emozioni.
Le due figure rimasero ferme per alcuni istanti. Poi la voce bassa e roca di
Seikichi vibrò per tutta la stanza:
"Per renderti davvero bella ho purificato la mia anima in questo tatuaggio.
Oggi non c'è donna in Giappone comparabile a te. Le tue vecchie paure sono
svanite. Tutti gli uomini saranno tue vittime."
Come in risposta a queste parole un lieve gemito venne dalle labbra della
ragazza. Lentamente cominciò a riprendere i sensi. Ad ogni respiro, le zampe
del ragno si muovevano come fosse vivo.
"Starai soffrendo. Il ragno ti ha nelle sue grinfie."
A quel punto la ragazza aprì leggermente gli occhi, con uno sguardo smorto.
Gli occhi comiciarono a brillare progressivamente, come la luna brilla al
pomeriggio, fino a scintillare in modo stupefacente sul suo volto.
"Fammi vedere il tatuaggio", disse, parlando come in sogno ma con una
punta di autorità nella voce.
"Dandomi la tua anima devi avermi resa davvero bella."
"Prima devi farti un bagno per ravvivare i colori", sussurrò Seikichi
compassionevolmente. "Ho paura che farà male, ma sii coraggiosa ancora un
pò."
"Posso sopportare tutto per ottenere la bellezza". Nonostante il dolore che le
percorreva tutto il corpo, ella sorrideva.

"Come punge l'acqua!... Lasciami sola -- aspetta nell'altra camera! Odio


avere un uomo che mi guarda soffrire così!"
Quando lasciò la vasca, troppo debole per asciugarsi da sola, la ragazza
spinse via la mano compassionevole di Seikichi, e cadde al pavimento in
agonia, gemendo come in un incubo. I suoi lunghi capelli scompigliati le
cadevano davanti alla faccia in un selvaggio groviglio. Le bianche piante dei
piedi erano riflesse nello specchio dietro di lei.
Seikichi era stupefatto del cambiamento avuto dalla timida e docile ragazza
del giorno prima, ma egli aveva fatto come ordinato ed era andato nel suo
studio. Un'ora dopo lei tornò, ben vestita, i capelli bagnati e morbidamente
pettinati le cadevano sulle spalle. Piegata sulla ringhiera della veranda,
guardò in alto, il cielo appena nebbioso. I suoi occhi erano brillanti; non
v'era più, in lei, nessuna traccia di dolore.
"Desidero darti anche questi dipinti", disse Seikichi, offrendole i rotoli.
"Prendili e vattene".
"Tutte le mie paure sono svanite -- e tu sei la mia prima vittima!" Scoccò uno
sguardo lucente come una spada. Un canto trionfale le ronzava nelle
orecchie.
"Fammi vedere il tuo tatuaggio ancora una volta", la supplicò Seikichi.
Silenziosamente la ragazza annuì col capo e fece scivolare il kimono dalle
spalle. Proprio in quell'istante la sua splendida schiena tatuata colse un
raggio di sole e il ragno fu avviluppato nelle fiamme.
Il Tatuatore
Junichiro Tanizaki
a cura di Armando Liccardo

Maggio 2013

MenteSuggeSostanza Edizioni

in copertina:
...

Pubblicato con Licenza Creative Commons 3.0


Attribuzione, Non Commerciale, Non Opere Derivate
Verso la Pienezza e altre Poesie
Henry Michaux

Il legame psichico-cosmico che s'instaura


tra la carne ed il libro, è un dolore
supremo che porta alla creazione, lo
sguardo velato dalla sofferenza di
Dioniso generatore.

Il nuovo linguaggio deve esprimere tutti


questi nuovi sensi, una parola che vuole
perire ed essere espressione di quella
deiezione abissale, portatrice dello
zarathustriano meriggio, la sconvolgente
verità del sole torrido.
Oltre La Strada...
Le Infinite Possibilità di Direzione
L'idea del Viaggio è già Viaggio, strade
mentali, percorsi psichici, voci veloci,
pensieri in corsa, parole su fogli
sgualciti... il viaggio come ricerca di un
orizzonte sempre nuovo, come
vagabondaggio degli occhi nei cieli... i
sapori, i colori, gli asfalti di traiettorie
senza meta, le curve del destino... Il
viaggio non è raggiungere una meta, ma
oscillare costantemente tra la partenza e
l'arrivo... il viaggio si vive in treno, su
strada, a piedi, in moto, il viaggio scopre
nuovi spazi interiori, espande la mente ed
arrichisce il sapere. Il viaggio è fisico
tanto quanto mentale. Percorriamo
contemporaneamente due strade
sovrapposte.

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