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Junichiro Tanizaki
a cura di Armando Liccardo
Maggio 2013
MenteSuggeSostanza Edizioni
in copertina:
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Dal 600 d.C al 1600 d.C c'è poca letteratura, ma si conferma l'uso del
tatuaggio per identificare i reietti della società che formavano quindi i gruppi
di minoranza. Certi studiosi affermano cha anche tra alcuni gruppi di
Samurai v'era l'usanza di tatuarsi per identificarsi.
Nel 1716 il nuovo shogun porta enormi cambiamenti, soprattuto inerenti alla
troppa ostentazione di ornamenti lussuriosi; qualche anno dopo, dal 1720 al
1870 circa, viene introdotto il tatuaggio penale, un anello nero attorno al
braccio o una lettera giapponese sulla fronte, indica il crimine compiuto dal
tatuato.
Il tatuaggio su tutto il corpo prende il via proprio dal sumie e dalla moda
vestiaria del momento. L'idea viene dai costumi dei Samurai che avevano i
loro disegni preferiti, una divinità o un dragone a protezione, proprio sul
dorso del Jimbaori. Inizialmente infatti il tatuaggio pittorico si realizza solo
sulla schiena poi successivamente sul resto del corpo ad eccezione di una
striscia verticale sul torace che dà proprio l'idea di un abito sbottonato.
Tatuarsi interamente è vestirsi, è dare personalità ad un corpo che altrimenti
con la sua povera nudità non può essere nè bello nè divino.
Per molto tempo Seikichi nutriva il desiderio di creare un'opera d'arte sulla
pelle di una bella donna. Una donna tale doveva però possedere varie
qualità sia nel carattere che estetiche. Un volto dolce e un corpo bello non
erano abbastanza per soddisfarlo. Sebbene avesse ispezionato tutte le
bellezze regnanti del quartiere del piacere di Edo non trovò ciò che cercava.
Passarono diversi anni senza successo, ma il volto e la figura della donna
perfetta continuavano ad ossessionarlo. Non perse mai la speranza.
Un pomeriggio estivo durante il quarto anno della sua ricerca Seikichi si
trovò a passare per il Ristorante Hirasci, nel distretto Fukagawa di Edo, non
lontano da casa sua, quando notò il piede nudo bianco-latte di una donna
spuntare dalle tende di una portantina che stava per partire. Al suo occhio
fine, un piede umano risultava tanto espressivo quanto un volto. Questo era
pura perfezione. Dita squisitamente cesellate, unghia come le iridescenti
conchiglie della spiaggia ad Enoshima, un tallone rotondo come una perla,
una pelle così splendente da sembrare bagnata nelle limpide acque di una
sorgente di montagna -- questo, infatti, era un piede da nutrire col sangue
umano, un piede che doveva caplestare corpi. Certamente era il piede di una
donna unica, che lo aveva eluso per molto tempo. Desideroso di catturare un
pezzetto del suo volto, Seikichi comiciò a seguire la portantina. Ma dopo
averla seguita per diverse strade e viuzze li perse di vista.
Il vecchio desiderio di Seikichi si tramutò in amore appassionato. Una
mattina della successiva primavera egli era sulla veranda di bamboo di casa
sua a Fukagawa, ad ammirare un vaso di lillà omoto, quando udì qualcuno al
cancello del giardino. Nell'angolo del recinto interno apparve una giovane
ragazza. Era venuta a fare una commissione per una sua amica, una geisha
del vicino quartiere di Tatsumi.
"La mia signora mi ha chiesto di portarle questo mantello, e inoltre si
chiedeva se lei fosse così gentile da decorarne la fodera", disse la ragazza.
Aprì un mantello giallo zafferano da cui prese un mantello di seta da donna
(avvolto in un foglio sottile con il ritratto dell'attore Tojaku) ed una lettera.
La lettera ripeteva la richiesta della sua amica e continuava dicendo che la
ragazza avrebbe presto intrapreso la carriera da geisha sotto la sua
protezione. Ella confidava nel fatto che, pur non dimenticando i vecchi
legami, lui stesso avrebbe preso sotto la propria protezione questa ragazza.
"Credo di non averti mai vista prima", disse Seikichi, scrutandola
attentamente. Sembrava avere appena 15-16 anni, ma il suo volto era di una
bellezza stranamente matura, un aspetto da donna di esperienza, come se
avesse già speso anni nel quartiere del piacere e affascinato innumerevoli
uomini. La sua bellezza rispecchiava i sogni di generazioni di uomini e
donne eleganti che avevano vissuto ed erano morti in quella vasta capitale,
dov'erano concentrati i peccati e la ricchezza della nazione.
Seikichi la fece accomodare in veranda, e ne studiò i piedi delicati, che
erano nudi eccetto per gli eleganti sandali di paglia. "Tu hai lasciato
l'Hirasci su una portantina una notte del luglio scorso non è vero?", le
chiesè.
"Potrebbe essere", replicò, sorridendo per la strana domanda. "Mio padre
era ancora vivo allora, e spesso mi portava lì".
"Ti ho aspettato per cinque anni. Questa è la prima volta che vedo il tuo
volto, ma ricordo il tuo piede... vieni dentro un attimo, ho qualcosa da
mostrarti."
Lei si alzò per andarsene, ma egli le prese la mano e la guidò sulle scale
verso lo studio che dominava l'ampio fiume. Poi prese due rotoli dipinti e
ne srotolò uno davanti a lei.
Era un dipinto di una principessa Cinese, la favortia dell'imperatore Zhou
della dinastia Shang. Era piegata su di una balaustra con una posa
languorosa, la lunga gonna decorata trascinata per metà su una rampa di
scale, il suo corpo fine a malapena capace di sopportare il peso della corona
d'oro costellata di lapislazzuli e coralli. Nella mano sinistra teneva una
grossa coppa di vino, inclinata verso le labbra mentre guardava in basso un
uomo che doveva essere torturato nel giardino sottostante. Questi aveva mani
e piedi incatenati ad una colonna di rame vuota in cui sarebbe stato acceso
un fuoco. Sia la principessa che la sua vittima -- la testa chinata innanzi a lei,
gli occhi chiusi, pronto ad incontrare il proprio destino -- erano
rappresentati con terrificante vividezza.
Non appena la giovane guardò la bizzarra rappresentazione le sue labbra
iniziarono a tremare ed i suoi occhi a brillare. Gradatamente il volto prese
curiosamente ad assomigliare a quello della principessa. In quel dipinto
scoprì il suo sè segreto.
"Qui si rivelano i tuoi stessi segreti," Seikichi le disse con piacere quando
vide il suo volto.
"Perchè mi mostri questa terribile immagine?" le chiese la ragazza
guardandolo. Era diventata pallida.
"La donna sei proprio tu. Il suo sangue scorre nelle tue vene." Allora srotolò
l'altro dipinto.
Trattavasi di un dipinto intitolato "Le Vittime". Nel bel mezzo vi era una
giovane donna appoggiata al tronco di un ciliegio: gongolava su un mucchio
di corpi di uomini che giacevano ai suoi piedi. Piccoli uccellini le
volteggiavano intorno, canticchiando in trionfo; i suoi occhi brillavano di
orgolgio e gioia. Era un giardino primaverile o un campo di battaglia? In
questo dipinto la ragazza sentiva di aver trovato qualcosa che a lungo era
rimasto nascosto nell'oscurità del proprio cuore.
"Il dipinto mostra il tuo futuro," Seikichi disse, indicando la donna sotto il
ciliegio -- l'immagine della giovane ragazza. "Tutti questi uomini
manderanno la loro vita in rovina per te."
"Ti supplico di metterlo via!" Girò la schiena come per fuggire a
quell'allettante richiamo e si prostrò ai suoi piedi, tremante. Infine parlò
dinuovo. "Si, ammetto che hai ragione su di me -- Io sono come quella
donna... perciò, per piacere mettilo via."
"Non parlare come una codarda", le disse Seikichi, con il suo malizioso
sorriso. "Guardalo più da vicino. Non ti impressionerà a lungo."
Ma la ragazza rifiutò di girare la testa. Ancora prostrata, il volto tra le
maniche, ripeteva di essere spaventata e di voler andar via.
"No, devi restare -- Ti renderò stupenda", disse, avvicinandosi a lei. Sotto il
suo kimono aveva una fiala di anestetico che aveva avuto tempo fa da un
fisico Tedesco.
Maggio 2013
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