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Lou Chevalier

ITALO CALVINO E IL NEOREALISMO

1) Che è il neorealismo per Calvino ?

Per Calvino, il neorealismo è stato più che una scuola, è stata una modalità di percepire le cose e un
impellente bisogno di esprimerle. Descrive come gli scrittori della sua generazione, permeati dalle
esperienze della guerra e della resistenza, si siano sentiti animati da un imperativo desiderio di
raccontare storie. La generazione di Calvino si sentiva depositaria di una nuova realtà sociale,
testimone della guerra e quindi, in un certo senso, responsabile. Il neorealismo è nato in questo contesto
post-bellico di esplosione letteraria, che è stato definito "un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo",
poiché la guerra era stata un'esperienza collettiva, e ognuno aveva una storia da raccontare. Era uno
"stato d'animo collettivo", un "multicolore universo di storie". Leggendo Calvino si percepisce il
sentimento quasi sublime che animava questa generazione di scrittori.

Dunque, Calvino respinge l'idea che il neorealismo fosse una scuola o un movimento organizzato. Al
contrario, lo descrive come una diversità di prospettive regionali, linguistiche e sociali emerse dopo la
guerra. Queste voci diverse hanno catturato le molteplici realtà dell'Italia d'opera guerra, offrendo un
contrappunto all'immagine spesso idealizzata del paese. In un clima di rinnovata libertà, esprimersi era
diventato un imperativo.

Questo sentimento non era "facile ottimismo o gratuita euforia", ma una furia di vivere, un entusiasmo,
una rabbia, una follia multicolore, e il bisogno globale di "esprimersi" e raccontare la propria storia,
una "spavalda allegria", che tiene conto degli "elementi extraletterari" come parte integrante della
letteratura. Fa camminare poesia e realtà mano nella mano, "le letture e l'esperienza di vita non sono
due universi ma uno", per rispondere alla grande domanda del neorealismo: "come trasformare in
opera letteraria quel mondo che per noi era il mondo"? Il neorealismo è questo "senso di umanità
ribollente e di spietatezza e di natura". Era un tema di etica e di poetica, tra dovere di scrivere e
bisogno di esprimere, per mostrare la profonda realtà di una vera Resistenza, né buona né cattiva.

2) Da quali esperienze è nato il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno? Quali esigenze hanno
mosso lo scrittore? Qual’ è la posizione dello scrittore nei confronti della Resistenza?

Il romanzo di Calvino è nato dalla sua esperienza della guerra e della resistenza, e dal suo bisogno,
in quanto testimone, di esprimersi. C'è un cambiamento profondo della società, una svolta, che avviene
quasi inconsciamente, e sono necessari nuovi schemi di pensiero, nuove griglie narrative. Questa nuova
realtà pone sfide reali, tra gli altri, alla letteratura. Calvino si trova di fronte al classico dilemma
dell'artista, quello della scrittura impegnata. L’impegno politico nuoce all’opera d’arte? Qual è il vero
impegno? E, allo stesso tempo, come raccontare la realtà della Resistenza, senza diventare strumento
della politica?

La risposta che Calvino propone con Il sentiero dei nidi di ragno è quella del racconto: la storia della
Resistenza è raccontata attraverso gli occhi di un bambino, Pin, che ha uno sguardo infantile sulle cose,
ma che, proprio per questo, osserva la realtà con più obiettività, in modo più diretto e sincero rispetto
agli adulti. Era un tentativo di catturare la complessità della guerra e della resistenza evitando cliché e
convenzioni del realismo tradizionale. Ciò permette di evitare retoriche o celebrazioni drammatiche e di
affermare, allo stesso tempo, il grande valore della Resistenza come esperienza umana e storica. Per lui,
l’impegno “può saltar fuori a tutti i livelli; qui vuole innanzitutto essere immagini e parola, scatto,
piglio, stile, spezzatura, sfida”. La sua intenzione, tipicamente neorealista, era quella di presentare una
prospettiva più autentica e sfumata della realtà: il racconto, il fantastico e lo sguardo di un bambino
possono contenere più verità e realtà che una descrizione meticolosa.
Più in generale, il problema di Calvino è come trovare il modo di abbinare le parole alle cose,
come raccontare la realtà e catturarla, fissarla in una storia. La questione del realismo sta anche nel
problema di far coincidere il mondo della scrittura e della parola con quello delle cose. È impossibile
trasformare le esperienze vissute in opere letterarie senza fissarle sulla carta, semplificandole,
essenzializzandole. Lo scrittore corre il rischio di perdere la ricchezza e la complessità della vita reale.
L’atto dello scrivere diventa allora “distruttivo per la memoria”. La soluzione offerta dal neorealismo è
quindi solo parziale, motivo per cui non si tratta di una scuola, ma di un movimento eterogeneo di voci,
che tenta di dare senso a un'Italia molteplice, composta da numerosi elementi culturali e linguistici.

Qua, Calvino prende le distanze dal suo libro, ha uno sguardo chiaramente retrospettivo: era il
suo primo libro, sottolineando la sua giovinezza e il suo desiderio di provocare e polemizzare. Voleva
qui prendere in giro i "benpensanti" liberandosi dai vincoli di scrivere il "libro della Resistenza" e il
libro della "buona resistenza", eroica, magnifica, epica, e così mettere in discussione i tentativi di una
"direzione politica" della letteratura. In opposizione sia ai detrattori della Resistenza che ai sostenitori
di una narrazione agiografica che voleva fare del suo racconto un'esperienza partigiana didattica o
celebrativa, crea un romanzo popolato da personaggi atipici, dove nessuno è un eroe nel senso
convenzionale ma abbondano i "malandrini e vagabondi". Si oppone così al tentativo di assegnare alla
letteratura una funzione "celebrativa e didattica", mettendo il lettore di fronte alla cruda realtà, talvolta
sporca ma spesso sublime, della Resistenza. Dopotutto, "a chi importa già di chi è un eroe, di chi ha
già la coscienza"?

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