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Gli appunti, presi da me durante le lezioni, sono corroborati dagli appunti trovati sul drive del
corso, da materiale preso dal libro di testo (M.Beghini - Lezioni ed esercitazioni di tecnica delle
costruzioni meccaniche), e dalle slide del professore, e sono corredati ove ritenuto necessario dagli
esercizi svolti in classe e durante le esercitazioni.
Non ritengo questo documento come un sostituto alla frequenza delle lezioni, né mi assumo la
responsabilità di ciò che contiene. Le informazioni riportate sono ragionevolmente coerenti con quello
che è stato spiegato a lezione e con quello che si trova nel libro di testo.
Questo documento è a disposizione di tutti gli studenti del dipartimento di Ingegneria Industriale
ed è disponibile sul drive del corso. La riproduzione e la condivisione sono consentite, non è consentito
l’uso a scopo commerciale.
Dedicato a tutti coloro che almeno una volta nella vita si siano chiesti:
LB
Indice
I Statica 1
0.1 Punto materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
0.2 Corpo esteso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
0.3 Forma e dimensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
3 Analisi cinematica 18
3.1 Sistemi di corpi rigidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
3.2 Il principio dei lavori virtuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
3.3 Strutture reticolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
4 La trave 33
4.1 Le azioni interne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
4.2 Principio di sovrapposizione degli effetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
4.3 Problemi simmetrici ed antisimmetrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
4.4 Limiti del modello di corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
4.5 Transitori di carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
4.6 Carichi ciclici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
Elenco di esercizi
1 Equilibrio del punto materiale: calcolo delle reazioni vincolari . . . . . . . . . . . . . . . . 6
2 Equilibrio del punto materiale: tipologie di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
3 Reazioni vincolari: trave e carrucola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
4 Reazioni vincolari: mensola ad L con massa oscillante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
5 Reazioni vincolari: carico distribuito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
6 Azioni interne: effetto di forze concentrate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
7 Azioni interne: trave e fune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
8 Azioni interne: tirante e carrucola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
9 Azioni interne: carico distribuito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
10 Azioni interne: carico distribuito 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
11 Problemi simmetrici: trave non rettilinea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
12 Azioni interne: caso tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
13 Piano di Mohr: rappresentazione dello stato di tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
14 Stato di tensione: barra in compressione e torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
15 Stato di deformazione: campo di spostamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
16 Stato di deformazione: ricostruzione del volume deformato . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
17 Criteri di resistenza: Guest-Tresca e Von Mises . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
18 Criteri di resistenza: Mohr e Mohr-Coulomb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149
19 Trave soggetta ad azione normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
20 Trave soggetta a flessione retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202
21 Trave soggetta a flessione deviata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205
22 Trave soggetta a torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
23 Problema iperstatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233
24 Instabilità dell’equilibrio: parametri concentrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299
25 Instabilità dell’equilibrio: carico termico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 301
26 Instabilità dell’equilibrio: controventatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302
I Statica
Per studiare i corpi reali si utilizzano modelli di corpi ideali che consentono una semplice ed
efficace trattazione del problema fisico, scelti in funzione della semplicità della trattazione matematica,
dell’adeguatezza rispetto al problema da risolvere e del grado di approssimazione voluto. I modelli
utilizzati sono:
• Punto materiale
• Corpo esteso
yP yP
P P φ P
x x x
xP θ θ
zP r
z z z
Coordinate cartesiane Coordinate polari Coordinate cilindriche
{P } = {xP , yP , zP } {P } = {r, θ, yP } {P } = {r, θ, φ}
Si definisce sistema di coordinate generalizzate (o lagrangiane) il sistema di coordinate che
permettono di identificare in maniera univoca la posizione di un sistema di punti nello spazio. Il
numero delle coordinate lagrangiane viene detto numero di gradi di libertà del sistema. Il punto
materiale ha 3 gradi di libertà (d’ora in avanti GDL).
I GDL di un punto materiale possono essere ridotti per mezzo di vincoli:
y
y
y0 π
←P→ y0
←P→
x
x
z0
z
z
Vincolo su una retta:
Vincolo su un piano:
y = y0
=⇒ x libera → 1GDL y = y0 =⇒ x, z libere → 2GDL
z = z0
1
0.2 Corpo esteso
Si definisce corpo esteso un sistema comunque complesso di punti materiali utilizzato come modello
in quei casi in cui l’estensione dimensionale, la forma e la struttura influenzano significativamente il
comportamento meccanico, il moto e le condizioni di equilibrio.
Il corpo esteso si dice discreto se è rappresentabile come un insieme di punti materiali identificabili,
o continuo se viene rappresentato come un insieme di volumi elementari, definiti come volumi
infinitesimi che conservano le caratteristiche globali del corpo esteso.
Si effettua inoltre una distinzione in corpo rigido, se i punti costituenti mantengono costanti le
loro distanze reciproche, e corpo deformabile se le distanze possono variare.
Data l’invarianza delle distanze tra i punti materiali che lo costituiscono, il corpo rigido è identificato
da 6 coordinate lagrangiane, corrispondenti ad altrettanti GDL:
Per quanto riguarda il corpo deformabile si verifica essere necessario disporre di infinite coordinate
per descriverlo nella sua interezza, quindi si conclude che possiede un numero infinito di GDL.
Anche per il corpo esteso i GDL possono essere ridotti per mezzo di vincoli:
Viene definita la molteplicità del vincolo Cn come il numero n di gradi di libertà che il vincolo
sottrae al sistema. Nell’esempio del doppio pendolo in B è presente un vincolo che rimuove 2 gradi di
libertà, per cui avrà molteplicità C2 . Conoscendo il numero di vincoli e le rispettive molteplicità si
possono calcolare i GDL di un generico sistema di corpi come:
GDL = m · 3 − n1 · 1 − n2 · 2 − n3 · 3
Nel caso di sistemi iperstatici si verificherà essere necessario l’utilizzo del modello di corpo
deformabile per la risoluzione dei problemi.
2
0.3 Forma e dimensione
Per semplificare l’analisi delle proprietà di un oggetto si possono adottare semplificazioni geometriche
rispetto alla forma che questo ha nello spazio. I corpi si possono distinguere in:
• Corpi intrinsecamente tridimensionali, non possono essere semplificati e l’analisi richiede modelli
3D o del metodo degli elementi finiti (FEM).
• Corpi riconducibili a corpi bidimensionali, i quali presentano una dimensione molto più piccola
rispetto alle altre due. Si possono distinguere le piastre, se l’elemento è soggetto a sole
azioni di flessione fuori piano, lastre, se l’elemento è soggetto a trazione/compressione sul
piano, membrane, se l’elemento è soggetto a sola trazione sul piano, e gusci, ossia superfici
bidimensionali sviluppate nella terza dimensione che hanno l’effetto di trasformare sollecitazioni
di flessione in azioni membranali (ovvero di trazione sul piano) in punti dell’elemento distanti
dal punto di applicazione della sollecitazione.
• Corpi riconducibili a corpi monodimensionali, i quali presentano una sezione molto piccola
rispetto alla terza dimensione. Si possono distinguere in travi, analogo monodimensionale delle
piastre, aste, analogo monodimensionale delle lastre, e funi, analoghe alle aste ma che agiscono
solo a trazione.
3
1 Equilibrio del punto materiale
1.1 Il concetto di forza
La forza è una misura dell’interazione tra due corpi. Il concetto di forza deriva dal concetto di
pressione, facendo tendere a zero l’area su cui la pressione agisce. Viene descritta vettorialmente,
ovvero combinando le informazioni sul modulo, sulla direzione e sul verso.
Il vettore forza idealmente può essere:
F’ F P
F
F’ F’
Nella realtà si verifica però che la forza è sempre un vettore applicato. Risulta tuttavia comodo
nella modellazione con corpo rigido trattare la forza come un vettore scorrevole, dato che spostando il
punto di applicazione lungo una stessa retta il risultato globale non cambia. Questa semplificazione
non è valida nel caso di modellazione con corpo deformabile, in quanto il punto di applicazione della
forza influenza la deformazione stessa:
Dall’esempio di cui sopra si deduce quindi che l’applicazione di una forza può portare a due possibili
risultati:
• Effetto deformante, ovvero una deformazione del reticolo cristallino che costituisce il materiale
di cui è fatto l’oggetto, allontanando o avvicinando tra loro gli atomi che lo compongono,
modificando la forma o la dimensione macroscopica dell’oggetto.
4
1.2 Equilibrio
In un sistema di riferimento inerziale l’accelerazione ~a è assoluta. In un sistema di riferimento
non inerziale vanno considerate le componenti di accelerazione non inerziale, ovvero le componenti di
trascinamento, relativa e di Coriolis:
~a = a~r + a~t + ~c
F~ − m · ~a = 0
Si può generalizzare la seconda legge ricavando la condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio
di un punto materiale soggetto ad un sistema di forze come:
F~ = 0
X
• Problemi del 1° tipo, ovvero problemi con corpi rigidi in condizione di equilibrio statico in
una configurazione geometrica definita. Una volta determinate le reazioni vincolari queste non
andranno ricalcolate. Non dipendono dalle condizioni esterne.
• Problemi del 2° tipo, ossia problemi in cui la configurazione del problema stesso dipende
dalla configurazione dei carichi applicati. Effettuata una prima analisi dei vincoli e delle relative
reazioni vincolari ne andrà eseguita una seconda per determinare se la configurazione è cambiata.
I problemi possono risultare inoltre staticamente non determinati, condizione di tutti i problemi
sovravincolati. Nel caso di sistemi iperstatici infatti non è possibile risolvere il modello del punto
materiale e diventa necessario passare ad un modello di analisi con corpo deformabile.
1.3 Vincoli
I vincoli ideali presenti nei problemi di statica del punto materiale sono:
Rv
• Appoggio, vincolo monolatero che impedisce lo spostamento in un
verso di una particolare direzione (molteplicità 1 fintanto che y = y0 ):
mg
R1
• Guida, vincolo bilatero che limita lo spostamento ad una sola direzione
(molteplicità 1):
R2
RV
• Fune inestensibile, vincolo monolatero che limita lo spostamento ad
una traiettoria circolare attorno al vincolo stesso solo fintanto che questo mg
è sottoposto a trazione (molteplicità 1 fintanto che R~v > 0):
RV
• Barra rigida, vincolo bilatero che limita lo spostamento ad una
traiettoria circolare attorno al vincolo stesso (molteplicità 1): mg
5
Esercizio 1. Equilibrio del punto materiale: calcolo delle reazioni vincolari
α
α
2 3
y
P
α
1
x
F~
z
Data la barra rigida 1, le funi 2 e 3, l’angolo α = 45◦ , calcolare le condizioni di equilibrio per il
punto P soggetto alla forza F~ .
Si inizia tracciando il diagramma di corpo libero preliminare, che rappresenta il punto, le forze
note a cui è soggetto, e le reazioni vincolari con le loro direzioni ed un verso scelto a piacere. La scelta
del verso è ininfluente poiché il verso effettivo si determina una volta eseguiti i calcoli.
R~3
R~2 y
P
R~1 x
F~
z
Diagramma di corpo libero preliminare
Si possono quindi riassumere le condizioni per l’equilibrio statico del punto P come:
n √ √ √
2 2 2 F
− R2 − R3
P
Fxi = 0 =⇒ R1 2 2 2
=0 =⇒ R3 = √
2
i=0
n √ √
F
R3 22 − R2 22
P
F = 0 =⇒ =0 =⇒ R2 = R3 = √
i=0 yi 2
n √
R1 22 =⇒ R1 = F √22
P
Fzi = 0 =⇒ −F =0
i=0
Se tutte le reazioni vincolari sono positive lo schema di corpo libero preliminare è quello definitivo,
altrimenti andrebbero invertiti i versi delle reazioni vincolari risultate negative.
Le reazioni vincolari devono inoltre essere compatibili con la tipologia di vincolo (monolatero o
bilatero) nonché con le sue caratteristiche funzionali (ad esempio una fune non può essere sottoposta
a compressione perché verrebbe meno il vincolo).
6
Esercizio 2. Equilibrio del punto materiale: tipologie di equilibrio
A
B
c
γ
C β F~
D
y
a b
Tutti gli elementi sono funi, sono note le dimensioni a, b e c. Calcolare le condizioni di equilibrio
per il punto C.
F~
RA
RD
y
m~g
Quindi si possono calcolare le risultanti delle forze agenti su C nelle due direzioni per ricavare i
valori delle reazioni vincolari RA ed RD :
P
mg cos (γ)−F sin (γ+β)
Fxi
= 0 =⇒ RD + F cos (β) − RA cos (γ) = 0 =⇒ RD = RA cos (γ) − F cos (β) = sin (γ)
i
mg−F sin (β)
= 0 =⇒ RA sin (γ) + F sin (β) − mg = 0
P
Fxi
=⇒ RA = sin (γ)
i
Vanno quindi verificate le condizioni critiche perché gli elementi vincolanti possano esercitare
l’azione di vincolo, in questo caso essendo i vincoli esercitati da funi la condizione critica è che la
reazione vincolare corrispondente sia positiva o al più nulla:
mg
RA ≤ 0 =⇒ F ≥ sin(γ)
mg cos (γ)
RD ≤ 0 =⇒ F ≥ sin (γ+β)
7
Se venisse rimossa la fune CD:
x
x
Supponendo costanti le lunghezze d ed ` si scrivono le risultanti nelle due direzioni:
x
x
Il problema risultante è iperstatico, dato che risulta un sistema di 2 equazioni in 3 incognite. Il
problema non è più risolvibile con il modello di punto materiale e diventa quindi necessario passare al
modello di corpo esteso e deformabile.
8
2 Equilibrio del corpo esteso
Le considerazioni fatte finora non sono più sufficienti a descrivere l’equilibrio per il corpo esteso,
poiché per la descrizione della sua posizione questo necessita di informazioni ulteriori sulla rotazione
nello spazio.
L’analisi dell’equilibrio è più complessa perché, a differenza del punto materiale, le azioni agenti
sul corpo esteso possono avere differenti punti di applicazione. Le forze nel corpo esteso si distinguono
inoltre in forze interne, ossia le forze di scambio agenti tra le zone interne al corpo, la cui somma
vettoriale è sempre nulla, e in forze esterne, ossia le forze che dall’esterno agiscono sul corpo.
Le azioni sul corpo esteso si distinguono infine rispetto alla loro applicazione sullo stesso in:
• Azioni concentrate, sono l’idealizzazione di un’azione di superficie agente su una superficie
infinitesima, ad esempio la forza scambiata tra due denti in una coppia di ruote dentate si può
modellare come un’azione concentrata.
• Azioni di linea, sono azioni ideali che vengono trasmesse lungo una linea (superficie ideale con
una dimensione infinitesima), come ad esempio l’azione della lama di un coltello:
F
=⇒ F
F
Le azioni di linea possono essere usate per modellare carichi distribuiti su corpi approssimabili
con elementi monodimensionali, ad esempio l’azione della neve su una trave di un tetto si può
approssimare con un’azione di linea dato che la trave si può considerare monodimensionale.
• Azioni di superficie, la cui azione viene trasmessa su di una superficie, come ad esempio la
spinta di un fluido sulla superficie di una parete:
• Azioni di volume, come ad esempio le azioni gravitazionali, si può ottenere l’azione complessiva
sommando vettorialmente le azioni agenti su ciascun volume infinitesimo che costituisce il corpo:
dm~g
dm~g
dm~g
Z M
dF~ = dm~g =⇒ F~ = ~g dm = M~g
0
9
2.1 Momento di una forza
Il momento di una forza è l’attitudine che questa ha ad imprimere ad un corpo rigido una rotazione
attorno ad un dato asse.
~
M
ĵ
O î
k̂ x
z
F~
~r θ
Il momento di una forza è un vettore, e si ottiene con il prodotto vettoriale tra il vettore ~r che
congiunge il punto di applicazione della forza all’asse di rotazione, rispetto al quale è ortogonale, e il
vettore forza F~ stesso:
î ĵ k̂
~ ~
M = ~r ∧ F = rx ry rz = î(ry Fz − rzFy ) + ĵ(rz Fx − rxFz ) + k̂(rx Fy − ryFx )
Fx Fy Fz
~ = F~ |~r| sin(θ)
M
Il momento prodotto da una coppia di forze è indipendente dal polo scelto, ma dipende solo dalla
distanza reciproca tra i punti di applicazione delle stesse:
O F~
x r~2
z
r~1 ~r
F~
~ = F~ |~r| sin(θ)
M
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2.2 Sistema equivalente di forze
Le forze agenti su un corpo possono essere spostate se questo rende più comoda l’analisi, sfruttando
le proprietà dei momenti e delle coppie di forze:
F~ ~
M
F~ F~ F~
⇐⇒ ⇐⇒
−F~
In presenza di più forze si ripete il procedimento per ciascuna, ottenendo una risultante dalla
somma vettoriale delle forze ed un momento risultante dalla somma vettoriale dei momenti delle forze.
2.3 Equilibrio
F~2
~1
M
~2
M
F~1
La condizione di equilibrio del corpo rigido è descritta dalle equazioni cardinali della statica:
n
X
Rx = Fxi = 0
i=1
n
~ =
X
R y R = Fyi = 0 =0 Equilibrio alla traslazione
i=1
Xn
Rz = Fzi = 0
i=1
n
X
Mx = Mxi = 0
i=1
n
~ = My =
X
M Myi = 0 =0 Equilibrio alla rotazione
i=1
Xn
Mz = Mzi = 0
i=1
11
2.4 Vincoli
L’analisi dei vincoli inizia stabilendo le tipologie di vincolo presenti nel sistema, se sono vincoli
esterni, ovvero reazioni dell’ambiente sul corpo, o vincoli interni, cioè reazioni tra i corpi di un
sistema.
Dei vincoli si identifica il grado di vincolo (o molteplicità, da qui in poi GDV), ovvero numero
di gradi di libertà che questi rimuovono al sistema, che permette di stabilire il comportamento del
sistema che viene distinto in:
• Sistema labile, se GDV < GDL del sistema, il quale potrà spostarsi dalla posizione di equilibrio
in cui si trova ad un altra posizione di equilibrio.
• Sistema isostatico, se GDV = GDL del sistema, il quale non potrà spostarsi dalla posizione
di equilibrio solo se i vincoli sono posizionati in maniera efficiente, altrimenti il sistema può
presentare labilità.
La cedevolezza dei vincoli reali si può studiare approssimandoli come una molla con costante
elastica k. Ad esempio in un collegamento trave-colonna, modellando la risposta tra momento e
rotazione il vincolo si può approssimare ad una cerniera se k < 0.5 oppure ad un incastro se k > 25.
Nelle situazioni intermedie il vincolo si può approssimare come una cerniera irrigidita da una molla di
rigidezza nota.
12
2.4.1 Incastro
2D My
3D
y y
Ry R Ry R
x x
x x Mx
z z
Rz
Mz Mz
ux = 0 → Rx
= 0 → Rx , θx = 0 → Mx
ux
uy = 0 → Ry uy = 0 → Ry , θy = 0 → My
θz = 0 → Mz
uz = 0 → Rz , θz = 0 → Mz
L’incastro rimuove tutti i gradi di libertà posseduti dal corpo, quindi l’incastro 2D ha molteplicità
2, mentre l’incastro 3D ha molteplicità 6.
2.4.2 Cerniere
My
2D 3D
y y
Ry Ry
Rx x Rx x Mx
z z
Rz
ux
= 0 → Rx
ux = 0 → Rx , θx = 0 → Mx
uy = 0 → Ry
uy = 0 → Ry , θy = 0 → My
θz = libero → Mz = 0
uz = 0 → Rz , θz = libero → Mz = 0
Le cerniere rimuovono i GDL di traslazione e liberano da 1 a 3 GDL di rotazione. La cerniera 3D
(perno) ha molteplicità 5 mentre la cerniera 2D ha molteplicità 2.
3D
y
ux
= 0 → Rx , θx = libero → Mx = 0
Ry
uy = 0 → Ry , θy = libero → My = 0
Rx
x
uz = 0 → Rz , θz = libero → Mz = 0
z Rz
La cerniera sferica è un particolare vincolo 3D che rimuove tutti i GDL di traslazione e lascia
liberi tutti quelli di rotazione, per cui ha molteplicità 3.
13
2.4.4 Giunto universale
My
3D
y
Ry R
x x Mx
y z
z x Rz
Mz
ux
= 0 → Rx , θx = 0 → Mx
uy = 0 → Ry , θy = libero → My = 0
uz = 0 → Rz , θz = libero → Mz = 0
Il giunto universale, o giunto cardanico, è un vincolo di molteplicità 4. È utilizzato per
trasmettere il moto di rotazione tra due alberi con assi concorrenti nel punto di intersezione degli assi
della crociera. Viene vincolata la traslazione relativa, ammessa la rotazione non omocinetica degli assi,
ed il momento torcente è trasmesso rigidamente dai due alberi.
r r
r r ϕ ϕ
Rr Rr Rr Rr
θ θ θ θ
≤ 0 → Rr (trazione), ωr = libero → Mr = 0
ur
≤ 0 → Rr (trazione) u
r
Cavi : uθ = libero → Rθ = 0 Cavi : uθ = libero → Rθ = 0, ωθ = libero → Mθ = 0
uϕ = libero → Rϕ = 0, ωϕ = libero → Mϕ = 0
ωz = libero → Mz = 0
≤ 0 → Rr = 0 → Rr ,
u
r
ωr = libero → Mr = 0
ur
Bielle : uθ = libero → Rθ = 0 Bielle : uθ = libero → Rθ = 0, ωθ = libero → Mθ = 0
uϕ = libero → Rϕ = 0, ωϕ = libero → Mϕ = 0
ωz = libero → Mz = 0
Bielle e cavi consentono traslazione e rotazione, rimuovono da 1 a 2 GDL di traslazione e da 0 a
2 GDL di rotazione. Va notato che i cavi esercitano vincolo solo a trazione.
14
2.4.6 Appoggio semplice
2D 3D
y y
Ry
x x
Ry
z
ux
= libero → Rx = 0 ux
= libero → Rx = 0, θx = libero → Mx = 0
uy ≥ 0 → Ry (compressione)
uy = libero → Ry = 0, θy = libero → My = 0
uz =≥ 0 → Rz (compressione), θz = libero → Mz = 0
θz = libero → Mz = 0
2.4.7 Carrello
2D
y
ux
= libero → Rx = 0
uy = 0 → Ry
x
θz = libero → Mz = 0
Ry
Il carrello è un vincolo bilatero nel piano di molteplicità 1 che rimuove 1 GDL di traslazione.
z
ux = 0 → Rx , θx = libero → Mx = 0
Rx
u = 0 → Ry ,
y
θy = libero → My = 0
Ry
x
uz = libero → Rz = 0, θz = libero → Mz = 0
y
I cuscinetti radiali sono vincoli nello spazio di molteplicità 2 che rimuovono 2 GDL di traslazione
(gli spostamenti radiali).
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2.4.9 Cuscinetti assiali
I cuscinetti assiali sono vincoli nello spazio di molteplicità 1 che rimuovono 1 GDL (lo spostamento
assiale).
Si possono avere cuscinetti assiali monolateri:
z
Rz
y
x
ux
= libero → Rx = 0, θx = libero → Mx = 0
uy = libero → Ry = 0, θy = libero → My = 0
uz ≥ 0 → Rz , θz = libero → Mz = 0
z
Rz
x
y
z
Rz
x
y
u
x
= libero → Rx = 0, θx = libero → Mx = 0
uy = libero → Ry = 0, θy = libero → My = 0
uz = 0 → Rz , θz = libero → Mz = 0
Invertendo il verso della forza F~ cambia quale delle due è la corona carica e quale la scarica.
16
2.4.10 Pattini, guide
Sono vincoli nel piano o nello spazio che rimuovono da 2 a 5 GDL: 1 o 2 GDL di traslazione e da 1
a 3 GDL di rotazione.
I pattini sono vincoli nel piano di molteplicità 2, rimuovono 1 GDL di traslazione ed 1 GDL di
rotazione.
Ry z
x uz = libero → Rz = 0
uy = 0 → Ry
y
Mx
θx = 0 → Mx
La guida cilindrica è un vincolo nello spazio di molteplicità 4 che rimuove 2 GDL di traslazione
e 2 GDL di rotazione.
Ry z
Rz
x
ux = 0 → Rx , θx = 0 → Mx
y uy = 0 → Ry , θy = 0 → My
Mx
uz = libero → Rz = 0, θz = libero → Mz = 0
My
La guida prismatica è un vincolo nello spazio di molteplicità 5 che rimuove 2 GDL di traslazione
e 3 GDL di rotazione.
Ry z Mz
Rz
x
ux = 0 → Rx , θx = 0 → Mx
y uy = 0 → Ry , θy = 0 → My
Mx
uz = libero → Rz = 0, θz = 0 → Mz
My
17
3 Analisi cinematica
Per l’equilibrio statico di sistemi di corpi rigidi, una condizione necessaria ma non sufficiente è che
GDV = GDL. I vincoli possono essere infatti essere disposti in maniera non efficiente, introducendo
labilità in un sistema altrimenti isostatico.
Si rende quindi necessaria l’analisi cinematica dei vincoli presenti nel sistema. Si verifica che
due vincoli sono disposti in modo inefficace se i loro centri di rotazione giacciono sulla stessa retta. Le
traslazioni possono essere viste come rotazioni attorno ad un centro posto ad infinito.
C∞ C∞ C∞
C C1
C2
incastro cerniera pattino guida carrello biella
B A
Il sistema è isostatico poiché il centro di rotazione B della cerniera non giace sulla retta r (che è la
retta che passa per il carrello e per il centro di rotazione all’infinito).
Se ora si ruota il carrello di 90°:
A r
B
nonostante si abbia GDV = GDL (2 GDV della cerniera più 1 GDV del carrello uguali ai 3 GDL del
sistema) il sistema risulta essere labile perché il centro di rotazione B della cerniera giace sulla retta r.
Il sistema può, per piccoli angoli, ruotare attorno al centro di rotazione B della cerniera.
C∞
B A r
Il centro di rotazione del pattino non si trova sulla retta r, per cui il sistema è isostatico.
Se il pattino viene ruotato di 90°:
C∞ C∞
B
A
il sistema diventa labile, poiché i centri di rotazione del pattino e del carrello si trovano sullo stesso
punto all’infinito (idealmente).
18
Esempio 3: sistema a 3 carrelli
C∞ C∞
A B C C∞
Il punto B di intersezione tra la retta del centro di rotazione del carrello A e la retta del carrello B
è il centro di rotazione tra le rette stesse, per cui ad A e B si può sostituire una cerniera in B. Il centro
di rotazione della nuova cerniera non giace sulla retta del centro di rotazione del carrello C, per cui il
sistema è isostatico. Questo sistema è applicabile ad esempio ai cuscinetti reggispinta che reggono un
albero, dei quali uno agisce come cerniera ed uno come carrello realizzando un sistema isostatico.
Se tutti i carrelli sono allineati:
C∞ C∞ C∞
A B C
il sistema diventa labile, dato che tutti e tre i centri di rotazione dei carrelli si incontrano ad
infinito.
L’arco a tre cerniere è costituito da due bielle, vincolate a telaio con una cerniera ad un estremo e
tra loro con una cerniera all’altro:
r
s
C2
C1 C3
Il numero di GDL del sistema è dato dalla somma dei GDL delle parti che lo compongono:
GDL = 3 + 3 = 6
19
Il numero di GDV è dato dalla somma delle molteplicità di ciascun vincolo presente, senza
distinzione tra vincoli esterni (C1 , C3 ) o interni (C2 ):
GDV = 2 + 2 + 2 = 6
Il numero di GDV è pari al numero di GDL, per cui si può ipotizzare inizialmente che la struttura
sia isostatica. Analizzando la posizione dei centri di rotazione si vede che i centri C1 e C2 (o C2 e C3 )
giacciono sulla stessa retta r (o s), mentre il centro C3 (o C1 ) no, per cui la struttura è effettivamente
isostatica.
L’arco a tre cerniere non è isostatico in generale, infatti se le cerniere sono allineate:
C1 C2 C3
r
tutti i centri di rotazione giacciono sulla stessa retta r, per cui il sistema è labile (sono infatti ammesse
piccole rotazioni di entrambe le bielle attorno al rispettivo vincolo a telaio).
L’arco a due cerniere e pattino è costituito da due bielle, vincolate a telaio con una cerniera ad un
estremo e tra loro con un pattino all’altro:
C∞
C1 C2
r
il sistema è labile, poiché C1 e C2 giacciono sulla stessa retta, la quale all’infinito incontra il centro
di rotazione del pattino.
Se il vincolo con pattino è posto a telaio:
r C∞
C2
C1
il sistema diventa isostatico, poiché anche se i centri C1 e C2 giacciono sulla stessa retta, questa
non è parallela alla retta r che individua all’infinito il centro di rotazione del pattino.
20
Esempio 3: quadrilatero articolato
4
1 P s
3 r
2
A B
4
C∞
1 3
C∞
2
A B
C∞
il sistema diventerebbe labile dato che tutti i centri di rotazione si incontrerebbero all’infinito.
21
Esercizio 3. Reazioni vincolari: trave e carrucola
Ricavare le reazioni vincolari per il sistema trave-carrucola in figura:
A B
y α
F~
m
z x
a b
y x
C∞
GDL = 3
GDV = 2 (cerniera) + 1 (carrello) = 3 = GDL =⇒ isostatica
Per quanto riguarda la carrucola, questa è vincolata alla trave da una coppia di cuscinetti,
modellabili con un carrello ed una cerniera per cui si ha che:
C∞
GDL = 3
GDV = 2 (cerniera) + 1 (carrello) = 3 = GDL =⇒ isostatica
Dato che tutte le componenti del sistema sono isostatiche, anche il sistema stesso è isostatico.
22
Per il calcolo delle reazioni vincolari è necessario imporre l’equilibrio ad ogni corpo che compone il
sistema. Si inizia disegnando i diagrammi di corpo libero preliminari della carrucola e della trave:
RB
α RY
A
r RX RAX RX B
F~ RAY RY
m~g
y y a b
x x
z z
Nel disegno dei diagrammi di corpo libero preliminari il verso delle reazioni vincolari può essere
scelto a piacere, dato che il verso reale è in ogni caso determinato dal calcolo effettivo delle reazioni
stesse. L’unica eccezione è rappresentata dai vincoli interni, poiché le azioni trasmesse da questi vincoli
devono rispettare il principio di azione-reazione. Scelto il verso delle reazioni vincolari RX ed RY per
la carrucola ad esempio, la trave subirà azioni pari in modulo ma di verso opposto a quello scelto.
È stato ignorato l’asse z data l’assenza di carichi e reazioni vincolari in quella direzione. Vista la
simmetria del problema inoltre carichi e reazioni vincolari si assumono agenti sull’asse di simmetria
del sistema, parallelo a z e coincidente con la linea mediana.
Si determina per prima cosa la forza F~ imponendo l’equilibrio del suo momento angolare e del
momento angolare prodotto dalla massa m rispetto al centro della carrucola(si assume positivo il
vettore con verso concorde all’asse z):
|F |r − m|g|r = 0 =⇒ F = m|g|
Nota la forza F si ottengono le reazioni RX ed RY subite dalla carrucola con la prima equazione
cardinale:
RX − F cos(α) = 0 =⇒ RX = mg cos(α)
RY − F sin(α) − mg = 0 =⇒ RY = mg(1 + sin(α))
23
Esercizio 4. Reazioni vincolari: mensola ad L con massa oscillante
Ricavare le reazioni vincolari per la struttura in figura:
y
r
α0
z x m
w
m
y x
La trave è vincolata al telaio da un incastro, che ne rimuove tutti e 6 i GDL. Il pendolo è vincolato
alla trave da una cerniera, che rimuove i 2 GDL di traslazione e lascia libero solo quello di rotazione
(dato che la massa m si muove solo nel piano xy questa ha 3 GDL). Il sistema è quindi labile.
Si disegnano quindi i diagrammi di corpo libero preliminari per la trave e la massa m:
MAY
RF
RAY
RAX MAZ
y RAZ
A
m~g y MAZ RF X
z x
RF Y
z x
Per prima cosa va ricavata la reazione RF della fune all’oscillazione della massa m, che è data
dalla somma della proiezione della forza peso in direzione della fune (mg cos(α))) e della forza centri-
fuga subita dalla massa. La forza centrifuga può essere ricavata facilmente con un approccio energetico:
24
Note le proiezioni in x e in y di RF :
Tenendo conto che le reazioni RF X e RF Y sono applicate alla trave con verso opposto, si ricavano
le reazioni vincolari del resto della struttura applicando le equazioni cardinali (i momenti sono stati
calcolati rispetto al polo A):
RAX − RF X = 0 =⇒ RAX = RF X
RAY − RF Y = 0 =⇒ RAY = RF Y
RAZ = 0 =⇒ RAZ = 0
MAX + RF Y w = 0 =⇒ MAX = −RF Y w = −RF cos(α)w
MAY + RF X w = 0 =⇒ MAY = −RF X w = −RF sin(α)w
MAZ − RF Y L = 0 =⇒ MAZ = RF Y L = RF cos(α)L
Calcolate le reazioni vincolari si può disegnare il diagramma di corpo libero definitivo per la trave,
invertendo il verso delle reazioni vincolari risultate negative. Definito α = 0 l’angolo corrispondente al
pendolo in verticale, si ha che i versi di MAY e di RF X sono concordi al segno di α, quindi:
MAY
α>0
α<0
RAY
RAY
MAX RAX
MAX RAX
y MAZ RF X
y MAZ RF X MAY
RF Y
RF Y z x
z x
25
Esercizio 5. Reazioni vincolari: carico distribuito
Calcolare le reazioni vincolari per la struttura in figura sottoposta ad un carico distribuito q~1 sulla
trave AB:
H
B
q~1
F~
w
w2
A α C
y L
z x
Si calcola quindi il momento risultante Q1 , usando come punto di applicazione uno tra i due vincoli
A e B:
ZL
L2 L2
dM1 = q1 x cos(α)dx =⇒ M1 = q1 x cos(α)dx = qL cos(α) = Q1 cos(α)
2 2
0
Risulta tuttavia più comodo trovare un punto di applicazione xP della risultante Q1 che annulli il
momento da lei prodotto sulla trave, che si verifica (e si capiva intuitivamente) essere il punto centrale
della trave:
dM1 = q1 (x − xP ) cos(α)dx
ZL
L2 L
M1 = q1 (x − xP ) cos(α)dx = q1 cos(α) − q1 xP cos(α)L = 0 =⇒ xP =
2 2
0
RBX RBX
F~
RBY RBY
Q1
RCY
RAX y RCX
y RAY
z x z x
26
Date le equazioni cardinali applicate alle due travi (assunto polo in B per il momento della trave
AB e polo in C per la trave BC):
RAX − RBX = 0
RAY + RBY − Q1 = 0
L
RAX L sin(α) − RAY L cos(α) + Q1 cos(α) = 0
2
RBX − RCX − F = 0
RCY − RBY = 0
RBY H − RBX w + F w1 = 0
In generale si possono raggruppare i coefficienti in una matrice [A], le incognite in un vettore [R] e
i termini noti in un vettore [F]. L’analisi cinematica ha già determinato l’isostaticità della struttura,
ma in particolare se la struttura è labile si ha det([A]) = 0, il che impedisce la risoluzione per via
matriciale dato che con determinante nullo non si può invertire la matrice [A] per calcolare le incognite
come [R] = [A]−1 [F ].
Risolvendo il sistema di equazioni si ottengono:
HQ1 − 2F w1
RAX =
2H tan(α) + 2w
4H tan(α) + 4w + HQ1 tan(α) − 2F w1 tan(α)
RAY =
2H tan(α) + 2w
HQ1 − 2F w1
RBX =
2H tan(α) + 2w
wHQ1 − 2F ww1 − 2F H tan(α) + 2wF
RBY =
2H 2 tan(α) + 2wH
HQ1 − 2F w1 − 2HF tan(α) + 2wF
RCX =
2H tan(α) + 2w
wHQ1 − 2F ww1 − 2F H tan(α) + 2wF
RCY =
2H 2 tan(α) + 2wH
27
3.2 Il principio dei lavori virtuali
Come visto la risoluzione dei problemi di statica può essere effettuata con un approccio differen-
ziale, con l’utilizzo del principio di D’Alembert e della seconda legge della dinamica. Un’altra strada è
l’approccio energetico, nel quale si utilizza il principio dei lavori virtuali, il quale afferma che:
"In un sistema in equilibrio statico, il lavoro virtuale fatto da tutte le forze agenti per qualunque
spostamento virtuale dei suoi punti, purché compatibile coi vincoli, è nullo."
Utilizzando il principio dei lavori virtuali si va quindi a calcolare il lavoro virtuale complessivo,
sommando i contributi dati dalle forze per i relativi spostamenti virtuali e i contributi dati dai momenti
per i relativi spostamenti angolari virtuali:
X X
∂L = Fi ∂si + Mk ∂θk = 0
i k
Ad esempio, si vuole calcolare il valore di F~C tale per cui il sistema in figura (entrambe le bielle
hanno lunghezza L) risulta in equilibrio:
A C
θ F~C
y E H
B
z x
P~1 P~2
La forza F~C produrrà uno spostamento in ascissa del punto C, per cui se ne calcola lo spostamento
virtuale (infinitesimo):
xC = 2L cos(θ) =⇒ ∂xC = −2L sin(θ)∂θ
La forza P~1 produrrà uno spostamento in ordinata del punto E, per cui se ne calcola lo spostamento
virtuale:
L L
yE = − sin(θ) =⇒ ∂yE = − cos(θ)∂θ
2 2
La forza P~2 produrrà uno spostamento in ordinata del punto H, per cui se ne calcola lo spostamento
virtuale:
L L
yH = − sin(θ) =⇒ ∂yH = − cos(θ)∂θ
2 2
Il lavoro virtuale complessivo vale quindi:
L L
∂L = FC ∂xC + P1 ∂yE + P2 ∂yH = −FC 2L sin(θ)∂θ − P1 cos(θ)∂θ − P2 cos(θ)∂θ
2 2
Ponendo pari a zero il lavoro virtuale complessivo si ottiene infine il valore di FC che garantisce
l’equilibrio del sistema:
P1 + P2
FC = − cot(θ)
4
Con l’uso del principio dei lavori virtuali si riesce quindi ad arrivare rapidamente alla soluzione
di alcuni problemi di statica delle strutture, dato che non è necessario risolvere l’intero sistema di
equazioni derivante dal principio di D’Alembert.
28
3.3 Strutture reticolari
Le strutture reticolari sono strutture composte da cerniere ed aste, ossia elementi monodi-
mensionali sollecitati unicamente assialmente a trazione o a compressione. I carichi applicati alle
strutture reticolari si possono ricondurre sempre a carichi nodali, applicati cioè ai nodi della struttura.
Le strutture reticolari sono costituite da triangoli nel caso bidimensionale e da tetraedri nel caso
tridimensionale, strutture riconducibili a archi a 3 cerniere e quindi forme isostatiche molto resistenti.
L’isostaticità di una struttura reticolare è comunque sempre dipendente dal posizionamento dei vincoli,
che possono introdurre labilità nei modi precedentemente analizzati.
D 4 E
α α
2 3 5 6
α α B α α
A C
1 7
y a F a
z x
D F4 F4 E
F2 F3 F5 F6
F2 F3 F5 F6
RAX B
C
A F1 F1 F7 F7
RAY RC
y F
z x
Il verso delle reazioni delle aste è stato scelto arbitrariamente, poi una volta determinati i segni
effettivi andrà disegnato il diagramma di corpo libero definitivo che riporti le forze con il verso corretto.
29
Si scrivono quindi le equazioni di equilibrio per ricavare le reazioni vincolari (è stato considerato il
nodo B come polo per il calcolo dei momenti):
F
RAY + RC − F = 0 =⇒ RAY = RC =
2
RAX = 0
RC a − RAY a = 0 =⇒ RC = RAY
Note le reazioni vincolari si scrivono le equazioni per l’equilibrio alla traslazione per ciascun nodo:
x : RAX + F1 + F2 cos(α) = 0
A:
y : RAY + F2 sin(α) = 0
x : F7 + F5 cos(α) − F1 − F3 cos(α) = 0
B:
y : F3 sin(α) + F5 sin(α) − F = 0
x : RC + R6 sin(α) = 0
C:
y : −F7 − F6 cos(α) = 0
x : F4 + F3 cos(α) − F2 cos(α) = 0
D:
y : −F2 sin(α) − F3 sin(α) = 0
x : F6 cos(α) − F4 − F5 cos(α) = 0
E:
y : −F5 sin(α) − F6 sin(α) = 0
F
F1 = cot(α) F
2 F5 =
F 2 sin(α)
F2 = − F
2 sin(α) F6 = −
F 2 sin(α)
F3 = F
2 sin(α) F7 = cot(α
F4 = −F cot(α) 2
Infine si può disegnare il diagramma di corpo libero definitivo, invertendo i versi delle azioni
risultate negative:
D F4 F4 E
D F4 (C) E
F2 F3 F5 F6
F2 (C) F3 (T ) F5 (T ) F6 (C)
F2 F3 F5 F6
B B
C A C
A F1 F1 F7 F7 F1 (T ) F7 (T )
RAY RC y F
y F
z x
z x
Frecce uscenti dai nodi indicano un’asta in compressione, viceversa frecce entranti indicano un’asta
in trazione. Va notato che le azioni subite dai nodi sono opposte per il principio di azione-reazione.
Alternativamente si possono indicare i valori calcolati sulle aste stesse indicando tra parentesi il tipo
di azione: (C)ompressione o (T)razione.
30
3.3.2 Il metodo delle sezioni
Il metodo delle sezioni è utilizzato se interessa trovare il valore delle azioni solo su una sezione
della struttura. il metodo consiste nell’effettuare un taglio della struttura che isoli la sezione d’interesse
e almeno un carico o reazione vincolare noti.
H 7
α α 6
A B
L L L L
F
y 2F
3F
z x
RAY RBY
F
y 2F
3F
z x
RAX = 0
5
RAY 4L − F · 3L − 2F · 2L − 3F · L = 0 =⇒ RAY = F
2
5
RBY 4L − 3F · 3L − 2F · 2L − F · L = 0 =⇒ RBY = F
2
Analizzando solo la sezione della struttura a sinistra della linea rossa si possono scrivere le solite
equazioni per l’equilibrio alla traslazione e alla rotazione (è stato scelto il punto D come polo per il
calcolo dei momenti) ottenendo i valori delle azioni sulle aste 6, 7 (trazione) ed 8 (compressione):
D F8
13 F L
F8 + F6 + F7 cos(α) = 0 =⇒ F6 =
F7 4 H
3 F
RAY − F − F7 sin(α) = 0 =⇒ F7 =
A 2 sin(α)
F6 3 FL
RAY F6 H + F L − RAY L = 0 =⇒ F8 = −4
F 2 H
y
L
cot(α) =
z x 2H
31
3.3.3 Carichi non nodali, elementi non caricati
Come descritto precedentemente, nelle strutture reticolari vengono considerati solo carichi di tipo
nodale, applicati cioè ai nodi della struttura. Tuttavia in alcuni casi è possibile ricondurre un carico
non nodale ad un carico nodale, permettendo l’analisi con i metodi sopra elencati anche per strutture
formate da non sole aste.
Ad esempio, nel caso di un carico perpendicolare all’asse dell’asta non applicato ai nodi ci si può
ricondurre ad una situazione di carico nodale:
F a b
⇐⇒ F a+b F a+b
a b
⇐⇒ Q Q
2 2
= =
Esistono infine configurazioni particolari in cui alcune aste della struttura reticolare risultano
scariche. Risulta immediato capire che le aste connesse ad un nodo non vincolato o non caricato
risultano non caricate a loro volta:
F2
2 F2 sin(α) = 0 =⇒ F2 = 0
=⇒
α F1 F1 + F2 cos(α) = 0 =⇒ F1 = 0
A A
1
F2
F1 α F3
Proiettando F3 sulla retta in cui giacciono F1 ed F2 risulta esistere una componente di F3 ortogonale
alla retta stessa che non è bilanciata dalle altre forze in gioco. La conclusione è quindi che la forza F3
è nulla, e l’asta 3 è perciò scarica. Gli elementi 1 e 2 potrebbero essere inoltre considerati come un
unico elemento continuo che subisce la forza F = F1 = F2 .
32
4 La trave
Numerosissime strutture sono riconducibili a combinazioni di elementi modellabili come corpi
monodimensionali, ovvero elementi tridimensionali che possiedono una dimensione preponderante
rispetto alle altre due. Risulta quindi fondamentale dare una modellazione matematica precisa della
trave, ovvero quel solido per il quale la sezione è trascurabile rispetto alla lunghezza e il quale è
soggetto a carichi generici. Le funi viste nell’analisi dell’equilibrio del corpo esteso e le aste viste
nell’analisi delle strutture reticolari possono essere viste come travi caricate in maniera particolare.
La sezione della trave è identificata da una figura piana non degenere (la cui area non è nulla) Ω,
della quale si individuano il baricentro geometrico G ed il diametro della sezione d, ovvero il
valore massimo della distanza tra tutte le coppie di punti che costituiscono la sezione.
Ω
d
G
Si suppone ora di muovere la sezione Ω in modo che il suo baricentro compia una traiettoria Γ,
detta linea d’asse, regolare (continua e differenziabile) quasi ovunque. Durante il movimento la
sezione può anche modificare la sua forma, per cui la linea d’asse non è necessariamente rettilinea.
Il moto della sezione deve essere però tale per cui la tangente locale alla linea d’asse sia parallela
punto per punto alla normale n̂ della sezione. Il solido così generato ha caratteristiche di trave se
la lunghezza della linea d’asse è molto maggiore del diametro massimo della sezione. Nel caso di
linee d’asse curvilinee la condizione è che punto per punto il diametro della sezione deve essere molto
minore del raggio di curvatura locale della linea d’asse.
z0
O
x0 y0
G1 G3
n̂1 G2 n̂2 n̂3
Con il modello di trave l’elemento viene ricondotto alla linea d’asse Γ, ad ogni punto della quale è
associata una sezione con l’insieme delle proprietà geometriche caratteristiche (area, assi e momenti
d’inerzia ecc.). Nel modello monodimensionale una zona di estensione inferiore o al più paragonabile
a d si può considerare puntiforme. Conseguentemente nel modello di trave le azioni applicate a
una sezione diventano azioni concentrate, nel caso di forze e momenti, o azioni di linea, nel caso di
azioni distribuite di superficie o di volume. Nelle zone della trave dove d è confrontabile con il raggio
di curvatura della linea d’asse il modello di trave può comunque essere applicato ma viene persa
precisione. In tali punti sarà necessaria un’analisi ulteriore e più precisa.
33
Le travi vengono classificate in base alla forma della sezione, che può essere costante o variabile,
aperta o chiusa. Le principali sezioni costanti aperte sono, in ordine, la sezione a T, la sezione ad
I, la sezione ad H e la sezione a C. Le principali sezioni costanti chiuse sono, in ordine, le sezioni
tubolari cilindriche, quadrate e rettangolari.
SEZIONI APERTE:
SEZIONI CHIUSE:
Nelle travi a sezione variabile la sezione Ω varia con la posizione s lungo la linea d’asse e si possono
avere discontinuità nel passaggio da una sezione a quella successiva, come ad esempio succede nella
realizzazione di alberi, che presentano zone a diametro diverso a seconda delle funzioni che devono
svolgere. In corrispondenza di variazioni discontinue di sezione si definiscono le sezioni che precedono
e seguono la discontinuità come:
A
s
• sezione in A− : ΩA− = lim− Ω(s)
s→sA
ΩA − ΩA+
Un altro parametro che influenza l’analisi è l’orientamento della sezione, ad esempio per una punta
di trapano la sezione trasversale è di forma costante ma il suo orientamento cambia ad ogni punto,
per cui la sezione è da considerarsi variabile.
Un altra classificazione delle travi è rispetto alla forma della linea d’asse Γ, distinguendo in:
• Travi ad asse rettilineo
• Travi ad asse curvilineo piano, se la linea d’asse è giace in un piano
• Travi ad asse gobbo, se la linea d’asse non giace in alcun piano
Per lo studio del comportamento strutturale della trave si introduce un sistema di riferimento
locale cartesiano, ortonormale e destrorso. Per convenzione l’origine del sistema è coincidente con il
baricentro, gli assi x e y sono allineati con gli assi principali d’inerzia della sezione e l’asse z è parallelo
alla normale n̂ della sezione.
s
O≡G Γ
x
n̂ z
34
I versi degli assi locali non sono definiti dalla convenzione. Per comodità nel calcolo si stabilisce
il verso dell’asse z equiverso al senso crescente delle ascisse curvilinee della sezione della trave, in
modo che per zone limitrofe ad una data sezione ΩA la coordinata locale coincida con la variazione
dell’ascissa curvilinea:
z = s − sA
Se l’asse è regolare, anche solo localmente, vale inoltre l’utile relazione tra i differenziali:
dz = ds
Gli assi x ed y sono convenzionalmente allineati agli assi principali d’inerzia. Si può dimostrare che
ogni superficie non degenere possiede sempre almeno una coppia di assi centrali principali d’inerzia,
tra loro ortogonali. Per individuarli si possono ricordare alcune proprietà geometriche delle sezioni:
• Per una sezione con due assi di simmetria gli assi principali d’inerzia coincidono con gli assi di
simmetria
• Se la sezione ha un solo asse di simmetria un asse principale d’inerzia corrisponde con quell’asse,
il secondo asse d’inerzia coincide con la retta perpendicolare al primo e passante per il baricentro
della sezione
• Per certe sezioni (es. cerchio, poligoni regolari, particolari sezioni non regolari o simmetriche)
l’ellisse centrale d’inerzia è un cerchio, in tal caso tutte le rette che passano per il baricentro e
sono complanari al cerchio d’inerzia sono assi principali d’inerzia.
R
dθ
ds
dz
ds = dz ds = Rdθ
La sezione con ascissa curvilinea maggiore viene chiamata faccia positiva, mentre la sezione con
ascissa curvilinea minore viene chiamata faccia negativa.
Per l’analisi del comportamento strutturale della trave sarà necessario quindi utilizzare il sistema
di riferimento locale ed il concio elementare per poter descrivere completamente le azioni che la trave
nel suo complesso subisce.
35
4.1 Le azioni interne
Un solido reale è costituito da un reticolo di atomi, le cui interazioni elettromagnetiche reciproche
mantengono la coesione macroscopica del materiale di cui è composto il solido. Per verificare l’integrità
strutturale di una trave sottoposta a carichi è necessario che ogni sezione della trave sia in grado
di sopportare le sollecitazioni mantenendo la sua funzione strutturale. Diventa quindi necessario
individuare le azioni interne scambiate tra sezioni contigue della trave che ne garantiscono l’equilibrio
statico.
Si supponga di avere una trave caricata come in figura:
q π
F M
MR
q
F R
M
F R
MR
I due spezzoni di trave saranno soggetti ad una forza risultante R e ad un momento risultante MR ,
che sono le azioni che prima del taglio mantenevano unite le due sezioni ora libere. Nell’ipotesi di
corpo rigido, prima del taglio le sezioni non avevano possibilità di moto reciproco, per cui le azioni
che le tenevano assieme sono riconducibili alle azioni esercitate da un incastro:
Rz Mz
Rx
Ry
Mx
My
La forza Rz si oppone al distacco delle facce ed è chiamata azione normale, indicata con N. Le
forze Rx ed Ry si oppongono allo scorrimento reciproco dei piani delle facce e sono dette rispettivamente
taglio in x, indicato con Tx , e taglio in y, indicato con Ty . Il momento Mz si oppone alla rotazione
reciproca delle facce attorno alla linea d’asse e viene chiamato momento torcente, indicato con Mz .
I momenti Mx e My si oppongono alla flessione reciproca delle facce ortogonalmente alla linea d’asse e
vengono chiamati rispettivamente momento flettente in x, indicato con Mx , e momento flettente
in y, indicato con My . Per convenzione, si considerano positive le azioni interne se equiverse agli assi
del sistema di riferimento locale sulla faccia positiva o controverse agli assi sulla faccia negativa.
36
Per dare una definizione più rigorosa delle azioni interne si considera il concio elementare sottoposto
ad una generica distribuzione assiale di forza pz (z), a generiche distribuzioni trasversali di forze qx (z)
e qy (z), e a generiche distribuzioni di momenti nelle tre direzioni mx (z), my (z) e mz (z):
qy (z)
Ty
N qz (z) N + dN
Mx Mx + dMx
mx (z)
Ty + dTy
dz
qx (z)
Tx
N qz (z) N + dN
My My + dMy
my (z)
Tx + dTx
dz
Mz Mz + dMz
mz (z)
dz
37
Si possono impostare quindi le note equazioni di equilibrio per il concio (assumendo come polo per
il calcolo dei momenti il baricentro della faccia negativa e assumendo nulli gli infinitesimi di ordine
superiore al primo):
dN
N + dN − N + pz (z)dz = 0 =⇒ = −qz (z)
dz
dTx
Tx + dTx − Tx + qx (z)dz = 0 =⇒ = −qx (z)
dz
dTy
Ty + dTy − Ty + qy (z)dz = 0 =⇒ = −qy (z)
dz
dMx
Mx + dMx − Mx + mx (z)dz − (Ty + dTy )dz = 0 =⇒ = Ty − mx (z)
dz
dMy
My + dMy − My + my (z)dz − (Tx + dTx )dz = 0 =⇒ = Tx − my (z)
dz
dMz
Mz + dMz − Mz + mz (z)dz = 0 =⇒ = −mz (z)
dz
Assumendo nullo il momento distribuito in x e in y (assunzione valida dato che è raro avere a che
fare con momenti distribuiti), le relazioni per i momenti flettenti si riducono a:
dMx
= Ty
dz
dMy
= Tx
dz
Le relazioni di cui sopra dimostrano come, in un tratto di trave rettilineo non soggetto a momenti
esterni applicati, il taglio sia il gradiente del momento flettente.
Le relazioni ottenute per le azioni interne sono a tutti gli effetti delle equazioni differenziali lineari
del primo ordine la cui incognita è l’azione interna corrispondente. L’integrazione delle espressioni
differenziali è immediata e, in assenza di momenti distribuiti in x ed y si ottiene:
Zs Zs
0 0
N (s) = − qz (s )ds + N (0) Mx (s) = Ty (s0 )ds0 + Mx (0)
0 0
Zs Zs
Tx (s) = − px (s0 )ds0 + Tx (0) My (s) = Tx (s0 )ds0 + My (0)
0 0
Zs Zs
Ty (s) = − py (s0 )ds0 + Ty (0) Mz (s) = − mz (s0 )ds0 + My (0)
0 0
38
Esercizio 6. Azioni interne: effetto di forze concentrate
Calcolare le azioni interne per la struttura in figura sottoposta alla forza concentrata F:
F
A B C
z α
x
a b
y
z RAZ F cos(α)
x RCY
RAY
F sin(α)
y
b a
RAZ = F cos(α) RAY = F sin(α) RCY = F sin(α)
a+b a+b
Si procede ora al calcolo delle azioni interne. La presenza della forza F concentrata sul punto B
comporta una discontinuità in quel punto delle azioni interne, per cui per il calcolo andrà divisa la
trave in uno spezzone con 0 ≤ z < a e in uno spezzone con a ≤ z ≤ a + b. Per entrambi gli spezzoni le
azioni interne si otterranno impostando le condizioni di equilibrio e risolvendo le equazioni risultanti:
Per lo spezzone 0 ≤ z < a (origine in A) si ha che:
z F cos(α) N
x Mx
b
F sin(α) a+b
Ty
y
N + F cos(α) = 0 =⇒ N = −F cos(α)
b b
Ty − F sin(α) = 0 =⇒ Ty = F sin(α)
a+b a+b
b b
Mx − F sin(α) z = 0 =⇒ Mx = F sin(α) z
a+b a+b
Per lo spezzone a ≤ z ≤ a + b (origine in B) si ha che:
Ty
N z
Mx x
a
F sin(α) a+b
y
N =0
a a
Ty + F sin(α) = 0 =⇒ Ty = −F sin(α)
a+b a+b
a a
− Mx + F sin(α) z = 0 =⇒ Mx = F sin(α) z
a+b a+b
39
Data la discontinuità nell’andamento di alcune azioni interne, e della poca chiarezza delle espressioni
algebriche, si rende utile utilizzare un sistema di rappresentazione grafica delle azioni interne, con i
diagrammi quotati delle azioni interne. I diagrammi sono dei grafici che riportano in ascissa la
coordinata locale (in questo caso z) ed in ordinata un’azione interna. Convenzionalmente i versi per
gli assi utilizzati sono:
x z x z
Tx(+)
y
y
Mx(+)
Quindi per quanto riguarda la trave i diagrammi quotati delle azioni interne sono:
a a+b
z
-
F cos(α)
Ty
b
F sin(α) a+b
+
a a+b
z
-
a
F sin(α) a+b
a a+b
z
+ +
Mx 2
a ab
F sin(α) a+b = F sin(α) a+b
40
Esercizio 7. Azioni interne: trave e fune
Rappresentare il modello di analisi, calcolare le reazioni vincolari e rappresentare il diagramma di
corpo libero e i diagrammi quotati delle azioni interne della struttura in figura:
a b B
A
H
B c
C
A C
RAZ F MF
y
RAY F RC Y
z
MF = F c
RAZ − F = 0 =⇒ RAZ = F
a+c
RCY (a + b) − MF − F a = 0 =⇒ = RCY = F
a+b
b−c
RAY (a + b) + MF − F b = 0 =⇒ = RAY =F
a+b
Sono presenti due forze e un momento concentrato nel punto B, quindi l’analisi delle azioni interne
deve essere separata in due spezzoni di trave. Per lo spezzone con 0 ≤ z < a (origine in A) si ha che:
RAZ
N
MX
y
RAY
TY
z
N + RAZ = 0 =⇒ N = −F
b−c
RAY − Ty = 0 =⇒ Ty = F
a+b
b−c
RAY z − Mx = 0 =⇒ Mx = F z
a+b
41
Per lo spezzone con 0 ≤ z < b (origine in B) si ha che:
TY
MX N
y
RC Y
z
N =0
a+c
Ty + RCY = 0 =⇒ Ty = −F
a+b
a+c
RCY z − Mx = 0 =⇒ Mx = F z
a+b
Quindi si tracciano i diagrammi quotati delle azioni interne:
a a+b
z
-
Ty
b−c
F a+b
+
a a+b
z
-
F a+c
a+b
a a+b
z
+ +
FC
Mx
42
4.2 Principio di sovrapposizione degli effetti
Il principio di sovrapposizione degli effetti stabilisce che, per un sistema dinamico lineare,
l’effetto di una somma di perturbazioni in ingresso al sistema è pari alla somma degli effetti delle
singole perturbazioni.
Il principio di sovrapposizione è applicabile al sistema trave dato che, come visto precedentemente,
le equazioni differenziali che descrivono le azioni interne sono lineari. Questo significa che per studiare
le azioni interne generate dall’applicazione di più carichi è possibile sommare le azioni interne prodotte
sulla trave dai carichi applicati singolarmente, permettendo in alcuni casi di semplificare il problema.
Per la trave dell’esercizio 7, ad esempio, il modello di analisi era:
A F M C
B
F
Si può scindere il problema in due sotto problemi, uno con la trave caricata solo dalle forze F e
uno con la trave caricata solo dal momento M (che è pari a F · c):
A F C A M C
B B
F
RAZ1 F C C
RAZ2 M
y y
RAY 1 F RC Y 1 RAY 2 RC Y 2
z z
RAZ1 = F RAZ2 = 0
b c
RAY 1 = F RAY 2 = −F
a+b a+b
a c
RCY 1 =F RCY 2 =F
a+b a+b
43
Spezzone 0 ≤ z < a (origine in A): Spezzone 0 ≤ z < a (origine in A):
N1 = −F N2 = 0
b c
Ty1 = F Ty2 = −F
a+b a+b
b c
Mx1 = F z Mx2 = −F z
a+b a+b
N1 = 0 N2 = 0
a c
Ty1 = −F Ty2 = −F
a+b a+b
a c
Mx1 =F z Mx2 =F z
a+b a+b
N N
a a+b a a+b
z z
-
Ty
F
Ty
b
F a+b a a+b
z
+ -
a a+b
z c
F a+b
-
a
F a+b
a a+b - a a+b
z z
+ + +
Mx Mx
Sommando i diagrammi delle azioni interne ottenuti e confrontando il risultato con quelli ottenuti
nell’esercizio 7 si verifica la validità del principio di sovrapposizione.
44
Esercizio 8. Azioni interne: tirante e carrucola
Rappresentare il modello di analisi, calcolare le reazioni vincolari e rappresentare il diagramma di
corpo libero e i diagrammi quotati delle azioni interne della struttura in figura:
3
H1
1
H2
F
2
F
L1 L2
RE Z
RE Y
E RC Y
RAY RB Y
RC Z
RAZ RB Z
A B C RB Y RC Z
RC Y
D RB Z
F
F
F
F
Calcolo delle reazioni vincolari per l’elemento 2:
RBZ = F
RBY = F
Calcolo delle reazioni vincolari per l’elemento 1 (assunto il punto B per la seconda equazione e il
punto A per la terza come polo per il calcolo dei momenti):
H1 + H2 − L1
− RAZ + RBZ + RCZ = 0 =⇒ RAZ = F
H1
H2 + L2
− RAY L1 + F H2 − RCY L2 = 0 =⇒ RAY = F
L1 + L2
H2 − L1
F H2 − RBY L1 − RCY (L1 + L2 ) = 0 =⇒ RCY = F
L1 + L2
45
Calcolo delle reazioni vincolari per l’elemento 3 (assunto il punto C come polo per il calcolo dei
momenti):
H2 − L1
REZ − RCZ = 0 =⇒ RCZ = F
H1
H2 − L1
REY − RCY = 0 =⇒ REY =F
L1 + L2
H2 − L1
REZ H1 − REY (L1 + L2 ) = 0 =⇒ REZ = F
H1
Le reazioni vincolari risultano sempre positive se H2 > L1 , per cui se questa condizione è rispettata
il diagramma di corpo libero sopra disegnato è valido.
Non ci sono forze o momenti concentrati su nessun elemento, per cui l’analisi delle azioni interne
va fatta solo in prossimità delle giunzioni tra gli elementi stessi.
Calcolo delle azioni interne per l’elemento 1:
0 ≤ z < L1 0 ≤ z < L2
RAY
Ty
RAZ
N Mx Mx RC Z
N
y y
Ty RC Y
z z
H1 + H2 − L1 H2 − L1
N − RAZ = 0 =⇒ N = F N − RCZ = 0 =⇒ N = F
H1 H1
H2 + L2 H2 − L1
RAY − Ty = 0 =⇒ Ty = F Ty − RCY = 0 =⇒ Ty = F
L1 + L2 L1 + L2
H2 + L2 H2 − L1
RAY z − Mx = 0 =⇒ Mx = F z − RCY z − Mx = 0 =⇒ Mx = −F z
L1 + L2 H1
Calcolo delle azioni interne per l’elemento 2:
Mx
Ty N − F = 0 =⇒ N = F
Ty + F = 0 =⇒ Ty = −F
F z + Mx = 0 =⇒ Mx = −F z
z F
F
46
Per il calcolo delle azioni interne per l’elemento 3 (si utilizza la forza RE risultante di REZ ed
REY ):
RE Z
q
2 2
α RE = REZ + REY
RE Y H1
tan(α) =
RE L1 + L2
Si può dimostrare che la direzione di RE coincide con l’asse dell’elemento 3, ma non serve (basta
notare che l’angolo α è lo stesso angolo che separa gli elementi 1 e 3).
Si calcolano quindi le azioni interne:
y
z
RE
N + RE = 0 =⇒ N = −RE
Ty = 0
Mx = 0
N
Ty
Mx
Si disegnano quindi i diagrammi quotati delle azioni interne unendo le informazioni ricavate per
ciascun elemento:
N: Ty : Mx :
RE
-
H1 + H2 + L1 H2 + L2
F F
H1 L1 + L2
H2 − L1 H2 − L1 H2
F F F
+ H1
+ L1 + L2
+
2
+ +
-
H2
F
2
F H2
-
F + - F
47
Esercizio 9. Azioni interne: carico distribuito
Calcolare le reazioni vincolari e rappresentare il diagramma di corpo libero e i diagrammi quotati
delle azioni interne della struttura in figura:
z
A B
y
L
z
q(z) = q0
L
A B
z
RA RB
y
Calcolo delle reazioni vincolari (assunto il punto A come polo per il calcolo dei momenti):
ZL ZL
z L L
− RA − RB + q(z)dz = 0 =⇒ RA = q0 dz − qo = q0
L 3 6
0 0
ZL ZL 2
z L
RB L − q(z)zdz = 0 =⇒ RB = q0 dz = qo
L 3
0 0
Vista la simmetria del problema il calcolo delle azioni interne può essere fatto sia rispetto a B che
rispetto ad A. Rimuovendo il carrello in B si ha che:
q(z)
A N
z Mx
RA
y Ty
N =0
Zz Zz
0 z0 L z2
Ty − RA + q(z)dz = 0 =⇒ Ty = RA − q0 dz 0 = q0 − q0
L 6 2L
0 0
ZL ZL
z0
!
q0 L q0 3 q0 L2 z 2z 3
Mx − RA z + q(z 0 )(z − z 0 )dz 0 = =⇒ Mx = RA z − q0 (z − z 0 )dz 0 = z− z = − 3
L 6 3L 6 L L
0 0
48
Si disegnano quindi i diagrammi quotati delle azioni interne:
N
z
Ty
L
q0
6
+ z
-
L
q0
3
z
+
Mx L
q0 √
9 3
dN
= −p(z) = 0
dz
dTy
= −q(z)
dz
dMx
= −mx (z) + Ty = Ty
dz
Da cui:
d2 Mx dTy z
2
= = −q(z) = −qo
dz dz L
Zz 0
dMx z z2
= −qo dz + C2 = −qo + C2
dz L 2L
0
z3
Mx = −q0 + C2 z + C3
6L
Mx (0) = 0 =⇒ C3 = 0
q0 L
Mx (L) = 0 =⇒ C2 =
6
z3 z
Mx = −q0 + q0 L
6L 6
2
z L
Ty = −q0 + q0
2L 6
N =0
49
Esercizio 10. Azioni interne: carico distribuito 2
Calcolare e rappresentare sui diagrammi quotati le azioni interne e calcolare le reazioni vincolari
per la struttura in figura:
2q0
q0
A z B
y
L L
z
q(z) = q0 1 +
2L
Si può immediatamente dire che N = 0 dato che non sono presenti carichi assiali. Si possono
invece scrivere le equazioni differenziali per il taglio e per il momento flettente:
dTy z
= −q(z) = −q0 1 +
dz 2L
dMx
= Ty
dz
Che si possono risolvere tenendo conto delle condizioni al contorno, per le quali il taglio in z = 0 è
nullo, così come è nullo per la presenza della cerniera il momento flettente in z = L:
!
z2
Ty = −q0 z + + C1
4L
d2 Mx dTy z
= = −q 0 1 +
dz 2 dz !
2L
2
dMx z
= −q0 z + + C1
dz 4L
!
z2 z3
Mx = −q0 + + C1 z + C2
2 12L
Ty (0) = 0 =⇒ C1 = 0
7
Mx (L) = 0 =⇒ C2 = q0 L 2
! 12
z2
Ty = −q0 z +
4L
! !
2
z z3 7 1 z 3 1 z 2 7
2 2
Mx = −q0 + + q0 L = q0 L − − +
2 12L 12 12 L 2 L 12
50
Si disegnano quindi i diagrammi delle azioni interne:
Ty
2L
-
3qo L
25
q0 L2
12
L -
+ 2L
7
q0 L 2
12
Mx
Noti i valori limite del taglio e dell’azione normale è immediato calcolare le reazioni vincolari per
le guide in A e in B:
RAZ = RB Z = −N = 0
RAY = 0
RBY = −Ty (2L) = 3q0 L
7
MAX = − q0 L2
12
25
MBX = q0 L2
12
51
4.3 Problemi simmetrici ed antisimmetrici
Si consideri la struttura iperstatica in figura:
F F
A C
Si può notare che la struttura presenta un asse di simmetria verticale passante per B rispetto al
quale il sistema è simmetrico geometricamente e anche rispetto ai carichi applicati. Valutando la
sezione in B, per preservare la simmetria del sistema l’unico spostamento ammesso è uno spostamento
verticale lungo l’asse di simmetria. Spostamenti ortogonali all’asse di simmetria o rotazioni violerebbero
la condizione di simmetria e non sono quindi ammessi. Queste condizioni di vincolo sono le stesse
che rappresentano un pattino, per cui la struttura si può separare in due sotto-strutture lungo l’asse
di simmetria, sostituendo in B un pattino. L’analisi potrà essere effettuata solo su una delle due
sotto-strutture dato che le reazioni e le azioni interne che si ottengono in una sono uguali e speculari
nell’altra.
F F F
RB Z RB Z
MX MX
⇔
RAZ RAZ
A
RAY RAY
F
B
A C
Essendo il complemento del problema simmetrico, nel problema antisimmetrico in B sono bloccati
spostamento in y e rotazione in x, mentre è permesso lo spostamento in z. Il vincolo che si può
sostituire è quindi un carrello, e l’analisi può proseguire come nel caso simmetrico. Le strutture
presentate sono entrambe iperstatiche, e le sotto-strutture che si ottengono conservano l’iperstaticità.
52
Un caso isostatico è rappresentato dall’arco a tre cerniere caricato simmetricamente:
F F F F
B B RB z
=⇒ =⇒ H
RAz
A C A
RAy
L
In B viene sostituito un carrello poiché è il risultato della combinazione della cerniera già presente
in B e del pattino sostituito per l’analisi di simmetria. Una volta effettuata la sostituzione del vincolo
l’analisi è piuttosto semplice:
RAY − F = 0 =⇒ RAY = F
L
RAZ − RBZ = 0 =⇒ RAZ = F
2H
L L
F − RBZ H = 0 =⇒ RBZ =F
2 2H
Il diagramma di corpo libero dell’intera struttura (rappresentata comunque in due parti per
evidenziare il vincolo di simmetria) è quindi:
F L L F
F F
2H 2H
L L
F F
2H 2H
F F
Ty
Mx Mx
N N
Ty
Si può effettuare un’osservazione interessante se il concio è a cavallo del piano di simmetria. Nel
problema simmetrico infatti non possono sussistere azioni antisimmetriche, e quindi l’azione TY , l’unica
antisimmetrica sul concio, dovrà essere per forza nulla. Allo stesso modo nel problema antisimmetrico
saranno nulle le azioni simmetriche, ovvero N e Mx .
53
Questa osservazione è verificabile tracciando i diagrammi delle azioni interne per la struttura:
N Ty L Mx L
F F F
2 2
+ - -
- - -
- -
L L F
F F
2H 2H +
L L
F F
F F 2H 2H
Si verifica effettivamente che l’unica azione antisimmetrica presente, il taglio, si annulla sul piano
di simmetria, come previsto dall’osservazione del concio. Il momento risulta nullo in B solo perché in
B è presente una cerniera.
Se viene scelto un senso di percorrenza univoco per tracciare i diagrammi, i diagrammi delle azioni
simmetriche risulteranno simmetrici, mentre i diagrammi delle azioni antisimmetriche risulteranno
antisimmetrici. Non è errato variare il verso di percorrenza (ad esempio si potrebbe andare da A
a B per la metà a sinistra e da C a B per la meta a destra), ma è necessario riportare il verso di
percorrenza adottato, cioè specificare il verso positivo dell’asse z per ogni tratto del diagramma per
evitare ambiguità.
Nel caso antisimmetrico si sostituisce in B un carrello che impedisce la traslazione in y e il problema
si risolve come fatto per il problema simmetrico, ottenendo però l’annullamento delle azioni interne
simmetriche sul piano di sezione anziché di quelle antisimmetriche. Si ottengono i seguenti diagrammi
di corpo libero e delle azioni interne:
F F N Ty Mx
F F + + +
- - -
2 2
+
F F
2 2
Un’altra caratteristica da notare per i problemi simmetrici è che i diagrammi di azione interna
di un’azione interna simmetrica risultano a loro volta simmetrici, mentre i diagrammi per le azioni
antisimmetriche risultano a loro volta antisimmetrici.
Infine si ricorda il principio di sovrapposizione degli effetti, che consente di risolvere problemi non
simmetrici come somma di sottoproblemi simmetrici e antisimmetrici:
F F F
F 2 2 2
F
2
54
Esercizio 11. Problemi simmetrici: trave non rettilinea
Calcolare e rappresentare sui diagrammi quotati le azioni interne per la trave non rettilinea in
figura:
F F
a
F F Fa Fa
A F F
A
=⇒
B MB x
B RB z
F − RBZ = 0 =⇒ RBZ = F
MBX − F a − F 2R = 0 =⇒ MBX = F (a + 2R)
θ y N + F cos(θ) = 0 =⇒ N = −F cos(θ)
z
Ty Ty − F sin(θ) = 0 =⇒ Ty = F sin(θ)
N
Mx − F a − F (R − R cos(θ)) = 0 =⇒ Mx = F (a + R − R cos(θ)
MX
Quindi i diagrammi delle azioni interne:
N Ty Fa
F - Mx +
+
F F(a+R)
F +
F(a+2R)
55
Esercizio 12. Azioni interne: caso tridimensionale
Calcolare le reazioni vincolari e rappresentare il diagramma di corpo libero e i diagrammi quotati
delle azioni interne della struttura in figura:
C F α
A B
D
a b c
RAZ 0 = 0
RAX 0 − F cos(α) = 0 =⇒ RAX 0 = F cos(α)
RAY 0 − F sin(α) = 0 =⇒ RAY 0 = F sin(α)
F sin(α)(a + c) − MAX 0 = 0 =⇒ MAX 0 = F sin(α)(a + c)
MAY 0 − F cos(α)(a + c) = 0 =⇒ MAY 0 = F cos(α)(a + c)
F sin(α)b − MAZ 0 = 0 =⇒ MAZ 0 = F sin(α)b
Tratto AB:
MAY 0
RAY 0
RAX 0
MAZ 0 z
x N
y Tx
MAX 0 Ty
MX Mz
MY
56
Per il tratto AB si ha che:
N =0
Tx − RAX 0 = 0 =⇒ Tx = F cos(α)
Ty − RAY 0 = 0 =⇒ TY = F sin(α)
Mx + MAX 0 − RAY 0 z = 0 =⇒ Mx = F sin(α)z − F sin(α)(a + c)
My − MAY + RAX 0 z = 0 =⇒ My = F cos(α)(a + c) − F cos(α)z
Mz + MAZ 0 = 0 =⇒ Mz = −F sin(α)b
Tratto BC:
MAY 0
Mz
RAY 0
RAX 0 N
MAZ 0
z Tx
MAX 0 y x Ty
MX
MY
N + RAX 0 = 0 =⇒ N = −F cos(α)
Tx = 0
Ty − RAY 0 = 0 =⇒ TY = F sin(α)
Mx + MAZ 0 − RAY 0 z = 0 =⇒ Mx = F sin(α)z − F sin(α)b
My − MAY + RAX 0 a = 0 =⇒ My = F cos(α)c
Mz − MAX 0 + RAY 0 a = 0 =⇒ Mz = F sin(α)c
Tratto CD:
MAY 0
RAY 0
RAX 0
MAZ 0 x z
N Mz
MAX 0 y
Tx Ty
MX
MY
N =0
Tx − RAX 0 = 0 =⇒ Tx = F cos(α)
Ty − RAY 0 = 0 =⇒ TY = F sin(α)
Mx + MAX 0 − RAY 0 (a + z) = 0 =⇒ Mx = F sin(α)(z − c)
My − MAY + RAX 0 (a + z) = 0 =⇒ My = F cos(α)(c − z)
Mz + MAZ 0 − RAY 0 b = 0 =⇒ Mz = 0
57
Unendo le informazioni ottenute si possono disegnare i diagrammi delle azioni interne:
MAX 0 −F sin αb
N −F sin αc
− −
Mx −
−
−F cos α
Mz F sin αc
Ty F sin α
+
+ + + −
−F sin αb
My F cos αc
Tx MAY 0
F cos α F cos α
+ +
+ + +
F cos αc
Si può notare che nei diagrammi dei momenti flettenti vengono rispettate le relazioni differenziali
ricavate precedentemente:
dMx dMy
= −Ty = −Tx
dz dz
Un’altra osservazione è che cambi di direzione nella trave inducono discontinuità dei diagrammi in
corrispondenza del cambio di direzione.
Il modello di corpo rigido non permette di dire nulla sulla deformazione subita dalla mensola,
ma ragionevolmente ci si aspetta che questa sia abbastanza piccola, rendendo il discostamento dalla
verticale delle reazioni vincolari abbastanza piccolo da poter considerare valide le reazioni ottenute
con l’analisi dell’equilibrio. Questa osservazione non ha validità generale ma dipende dal problema, se
la mensola fosse molto deformabile, e quindi le reazioni si discostassero di molto dalla verticale, il
modello di corpo rigido farebbe perdere troppa "fedeltà" rispetto alla situazione reale.
58
4.5 Transitori di carico
Si consideri la trave semplicemente appoggiata in figura:
Si può modellare la trave come una molla con costante elastica k, alla quale in corrispondenza del
carrello è connessa una massa m. Si può ricavare la legge oraria per il moto di m come:
mẍ = −kx + P0
P0
x(t) = A cos(ωt + ϕ) +
k
Impostando le condizioni iniziali, per cui x(0) = 0 e ẋ(0) = 0, si ottiene:
s
P0 k
x(t) = (1 − cos(ωt)) conω =
k m
P P0
2
k
P0
k
Il risultato ottenuto è dovuto alla variazione istantanea di P . Se P fosse descritto da una legge più
generica:
0 per t = 0
P = P (t) per 0 < t ≤ t1
P0 per t > t1
Si ha che all’aumentare della velocità di applicazione del carico aumenta l’ampiezza delle oscillazioni.
59
I materiali reali hanno internamente una capacità dissipativa c delle oscillazioni, che causa lo
smorzamento dell’azione introducendo un termine del primo ordine nell’equazione dell’equilibrio:
mẍ = −kx − cẋ + P (t)
A seconda dell’entità dello smorzamento questo può essere subcritico, critico o supercritico
P0
subcritico
critico
supercritico
t
Tutto il ragionamento si può ripetere suddividendo la trave in i punti discreti, ognuno con una
molla di rigidezza ki e con massa mi , complicando il sistema ma permettendo di ricavare molte più
informazioni. La situazione estrema si raggiunge passando agli infinitesimi, suddividendo la trave in
elementi dx ai quali sono associati una molla e una massa infinitesime.
P (t) = P0 cos(Ωt)
La soluzione generale, come già visto, tende ad annullarsi a regime. Se si considera però una
soluzione particolare tipo:
x0
x(t) = 2
1 − Ωω2
Si ha che l’ampiezza dell’oscillazione dipende dal rapporto tra Ω ed ω. Se il rapporto è maggiore o
minore di uno il sistema si comporta come nella soluzione generale, oscillando attorno ad un valor
medio smorzando via via l’ampiezza delle oscillazioni. Se il rapporto è vicino ad uno però si ha che
l’ampiezza delle oscillazioni tende ad infinito, e il sistema anziché smorzare le oscillazioni tende ad
amplificarle nel fenomeno della risonanza.
xM AX
x0
Ω2
1 ω2
Nella realtà qualunque sistema possiede uno smorzamento intrinseco, per cui l’andamento non sarà
asintotico ma con un massimo assoluto in corrispondenza dell’asintoto.
Il carico può mandare in risonanza una qualsiasi parte del sistema, a seconda delle frequenze
naturali di ciascuna parte dello stesso, per cui se si arriva ad un punto della progettazione in cui si
ricava una soluzione che però non è accettabile per via della risonanza del sistema, quest’ultimo andrà
irrigidito, diminuendo il valore delle costanti elastiche e quindi diminuendo il valore di Ω.
60
II Meccanica del continuo e dei materiali
Lo studio della relazione tra carichi e deformazione passa per forza di cose attraverso l’analisi delle
interazioni interatomiche che mantengono coeso un corpo prima, durante ed eventualmente dopo la
deformazione stessa. Storicamente si è passati da una descrizione particellare dei solidi, ovvero da
una visione dei solidi come un insieme discreto di punti interconnessi idealmente da molle, ad una
descrizione continua. Questa descrizione è stata effettuata da Cauchy, il quale ha descritto i corpi
come solidi continui dei quali si possono identificare porzioni infinitesime (volume elementare) che
conservano le proprietà fisiche del corpo e che rappresentano un intorno di un generico punto del corpo
stesso. La descrizione continua dei solidi non contrasta con la natura atomica e quindi particellare
della materia, poiché il volume elementare che si considera è infinitesimo rispetto al volume del solido,
per cui si ipotizza contenere ancora un numero elevatissimo di atomi. Nell’analisi si arriveranno a
definire delle grandezze descrittive che, per la definizione fatta di volume elementare, non saranno
valori puntuali ma valori medi su tutto il volume infinitesimo considerato.
5 Stato di tensione
Le azioni esterne sul corpo, essendo questo esteso nelle tre dimensioni, non sono più schematizzabili
come forze concentrate e azioni di linea, ma andranno introdotte azioni di superficie e azioni di
volume. Preso un generico corpo:
A’
p~
dΩ
dV A
→
−
q v
Si identificano le azioni di superficie, per ogni punto A0 della superficie Ω su cui agiscono, come
il prodotto tra un vettore pressione (forza per unità di superficie) e la superficie infinitesima sulla
quale questo è applicato:
dF~V = q~V dV ∀A ∈ dV
Le azioni di volume possono essere ad esempio l’interazione gravitazionale, l’interazione elettro-
magnetica, azioni inerziali, in generale qualunque azione esprimibile con un campo vettoriale che
attraversa il volume elementare.
Si possono descrivere anche le reazioni vincolari come azioni di superficie e, dato il vettore pressione
p~R esercitato dai vincoli sulla sezione dΩ0 , si ha che:
~ = p~R dΩ0
dR ∀A0 ∈ Ω0
61
Per studiare l’effetto delle azioni esterne sul volume elementare, similmente a quanto fatto per le
azioni interne, si effettua un taglio del corpo con un generico piano π:
A
∆Ω
π
Il taglio darà origine a due superfici ∆Ω+ e ∆Ω− attorno al punto A, identificate dalle relative
normali al piano di sezione n̂+ e n̂− , che fino a prima del taglio erano a contatto tra loro. Sulla
faccia positiva si svilupperanno una risultante ed un momento risultante espressione delle azioni che
mantenevano coese le superfici prima del taglio. Per il principio di azione-reazione sulla faccia negativa
si formeranno le stesse azioni con verso opposto.
~−
∆R ∆Ω−
~+
∆M n̂−
n̂+ ~−
∆M
~+
∆R
∆Ω+
Per passare dalle superfici finite trovate a superfici intorno di A si effettua l’operazione di limite
sul rapporto tra risultante, momento risultante e superficie. Vengono definiti solidi di Cauchy quei
solidi per i quali valgono le relazioni (ipotesi di Cauchy):
~
∆R
lim = ~t
∆Ω→0 ∆Ω
~
∆M
lim =0
∆Ω→0 ∆Ω
∆M ~
lim =µ~
∆Ω→0 ∆Ω
62
La tensione dipende dal punto A in cui è misurata, con la distanza ~rA dall’origine del sistema di
riferimento adottato, e dal piano di sezione π adottato, ovvero dalla direzione della normale n̂. Dal
principio di azione-reazione, si può stabilire una relazione tra la tensione sulla faccia positiva e la
tensione sulla faccia negativa:
Dato che i piani di sezione passanti per il punto A sono infiniti, sono infiniti i vettori tensione che
si possono associare al punto A, e il vettore tensione relativo ad un dato piano con normale n̂ viene
quindi indicato con la notazione ~tn (~rA ).
Per avvicinarsi ad una definizione operativa del vettore tensione innanzitutto bisogna stabilire
come il vettore viene identificato. Dato un piano π di sezione, la sua normale n̂ e due direzioni a
piacere del piano, r e q, il vettore tensione si può scomporre come:
tn
π tnn tnn = ~tn · n̂
n r
q tqn = ~tn · q̂
τn
tqn trn = ~tn · r̂
q
trn |τn | = t2qn + t2rn
Le componenti sono generalmente indicate con un doppio pedice che indica prima la direzione e
poi la normale al piano di sezione. tnn esprime l’azione che tende a mantenere unite o a separare le
due facce, per cui descrive un azione di trazione/compressione. tqn e trn invece esprimono azioni di
scorrimento relativo tra le facce, e le informazioni che portano possono essere unite in un vettore τn
detto componente totale di scorrimento.
Alternativamente, presa una terna cartesiana Oxyz e noti i coseni direttori della terna nrq, si
possono calcolare le componenti di ~tn nel sistema nrq o, viceversa, noti i coseni direttori della terna di
versori ijk del sistema xyz si possono ricavare le componenti di ~tn nel sistema xyz:
z
→
−
tn ~tn = (txn , tyn , tzn ) ~tn = (tnn , tqn , trn )
π q k̂
n
tzn n = (αx , αy , αz ) i = (αx , βy , γz )
ĵ r = (βx , βy , βz ) j = (αx , βy , γz )
r î y
q = (γx , γy , γz ) k = (αx , βy , γz )
x txn
tyn
tnn = ~tn · n̂ = txn αx + tyn αy + tzn αz txn = ~tn · î = tnn αx + tqn βx + trn γx
trn = ~tn · r̂ = txn βx + tyn βy + tzn βz tyn = ~tn · ĵ = tnn αy + tqn βy + trn γy
tqn = ~tn · q̂ = txn γx + tyn γy + tzn γz tzn = ~tn · k̂ = tnn αz + tqn βz + trn γz
Per arrivare alla definizione operativa di tensione vengono definite le componenti speciali di
tensione, che sono le nove componenti dei vettori tensione che si ottengono utilizzando piani di
sezione rispettivamente coincidenti con il piano xy, con il piano xz e con il piano zy.
63
~tx = (txx , tyx , tzx ) = (σxx , τyx , τzx )
~ty = (txy , tyy , tzy ) = (τxy , σyy , τzy )
~tz = (txz , tyz , tzz ) = (τxz , τyz , σzz )
Le componenti speciali di tensione sono indicate con σ se direzione e normale al piano di sezione
coincidono, con τ altrimenti. Le σ sono le componenti di trazione/compressione ortogonale al piano di
sezione mentre le τ sono le componenti di scorrimento nel piano.
Per completare la definizione operativa del vettore tensione, va dimostrato che i tre vettori delle
componenti speciali costituiscono una base dello spazio vettoriale di tutti i vettori tensione possibili per
il punto A, ovvero che qualunque vettore tensione per il punto A è ottenibile come combinazione lineare
delle componenti speciali di tensione. Per fare ciò innanzitutto si raggruppano le componenti speciali
in una matrice [S], per la quale si può utilizzare per comodità una notazione con indici numerici:
σxx τxy τxz σ11 τ12 τ13
[S] = τyx σyy τyz = τ21 σ22 τ23
z
→
−∗
~n tn
−→
t∗−y −→
t∗−x
B A ∆Ωx
∆Ωy y
x ∆Ωn
∆Ωz
−→
t∗−z
Le azioni presenti sul volume elementare sono la tensione ~t∗n , le tensioni ~t∗−x , ~t∗−y , ~t∗−z e la generica
azione di volume B.
Si può scrivere l’equilibrio del tetraedro come:
Ricordando che:
Si può scrivere:
64
~t∗n − ~t∗x · ∆Ωx − ~t∗y · ∆Ωy − ~t∗z · ∆Ωz + B ∆V = 0
∆Ωn ∆Ωn ∆Ωn ∆Ωn
Si effettua quindi il limite per ∆Ωn → 0 per passare da un volume discreto attorno al punto A ad
un intorno infinitesimo di A, per cui le tensioni segnate con l’apice * diventano le tensioni effettive
(non più riferite ad un volume discreto), e si può annullare il termine relativo all’azione di volume B,
dato che ∆V = α∆H∆Ωn , per cui:
!
~t∗n ∆Ωx ~∗ ∆Ωy ~∗ ∆Ωz ∆V
lim − ~t∗x
· − ty · − tz · +B =
∆Ωn →0 ∆Ωn ∆Ωn ∆Ωn ∆Ωn
dΩx ~ dΩy ~ dΩz
= ~tn − ~tx · − ty · − tz · =0
dΩn dΩn dΩn
Ma dato che:
→
− →
−
tz + tz dzz
dy −→
−→ dx t−x
t−y
dz →
− →
−
→
− →
− ty + ty dy
tx + tx dx
y
x
B
−→
t−z
Si ha che:
~ ~ ~
! ! !
~tx + ∂ tx dydz − ~tx dydz + ~ty + ∂ ty dxdz − ~ty dxdz + ~tz + ∂ tz dxdy − ~tz dxdy + Bdxdydz
~ =0
∂x ∂y ∂z
65
Ricordando che ~t−n = −~tn e dividendo per dxdydz si può semplificare l’equazione sopra come:
Per quanto riguarda l’equilibrio alla rotazione, si può considerare la faccia x+ del volume elementare
sulla quale viene prodotto momento solamente da τyz e da τzy (sia sulla faccia negativa che sulla
positiva), poiché l’azione di volume B~ si può considerare applicata al centro A del volume elementare,
mentre le σ, essendo applicate al centro delle rispettive facce, hanno braccio nullo rispetto ad A.
z
∂τyz
τyz + dz
∂z
dy
y
τzy dz A
~ ∂τzy
dx B τzy +
∂y
dy
τyz
! !
∂τzy dy dy ∂τyz dz dz
τzy + dy dzdx + τzy dzdx − τyz + dz dydx + τyz dydx = 0
∂y 2 2 ∂z 2 2
Semplificando gli infinitesimi di ordine superiore e sommando i termini si ottiene:
La conclusione importante data dall’equilibrio alla rotazione è che la matrice [S] è simmetrica:
σxx τxy τxz
[S] =
σyy τyz
simm. σzz
Per completare la descrizione della tensione va valutato l’effetto di azioni esterne di superficie,
ovvero generiche pressioni P~ (derivanti da azioni esterne o da vincoli) applicate al solido. Queste
pressioni costituiranno le condizioni al contorno per la risoluzione integrale delle equazioni di equilibrio
indefinito alla traslazione e si verificherà in seguito che le azioni esterne di superficie sono generalmente
prevalenti rispetto alla generica azione di volume B, ~ la quale potrà essere nella maggior parte dei casi
trascurata.
66
5.1 Proprietà dello stato di tensione
5.1.1 Principi di reciprocità e di coniugazione
Considerato un punto A e due giaciture passanti per A individuate rispettivamente dalla normale
n̂ e dalla normale m̂:
m̂
n̂
Il principio di reciprocità stabilisce che, dati i vettori tensione ~tn e ~tm , la componente lungo la
seconda giacitura del vettore tensione relativo alla prima giacitura è uguale alla componente lungo la
prima giacitura del vettore tensione relativo alla seconda giacitura:
tmn = tnm
αx
tmn ~ T ~ T
= tn · m̂ = m̂ · tn = m [S]n = (βx , βy , βz )[S] αy
αz
βx
tnm ~ T ~ T
= tn · n̂ = n̂ · tn = n [S]m = (αx , αy , αz )[S] βy
βz
Se le giaciture sono ortogonali (ad esempio le facce di un volume elementare cubico), le com-
ponenti dei due vettori tensione sono ortogonali tra loro, hanno la stessa intensità e, se non sono
nulle, convergono oppure divergono entrambe dallo spigolo formato tra i due piani (principio di
coniugazione).
0
z
z
~n ≡ ~n0 →
− −
→
tn ≡ tn0
0
y
x y
0
x
67
I due sistemi di riferimento identificano lo stesso vettore tensione in due modi (notando che a
diversi sistemi di riferimento corrispondono diversi tensori di Cauchy):
αx
~tn = txn î + tyn ĵ + tzn k̂ = [S]~n = [S] ·
αy
αz
αx0
~tn0 = txn0 iˆ0 + tyn0 jˆ0 + tzn0 k̂ 0 = [S 0 ]~n0 = [S 0 ] ·
αy 0
αz 0
Presa una generica terna di vettori ijk, questi saranno individuati nel sistema di riferimento x0 y 0 z 0
(a cui è associata la terna di versori i0 j 0 k 0 ) da tre terne di coseni direttori:
i = α i0 i i 0 + α j 0 i j 0 + α k 0 i k 0
j = α i0 j i 0 + α j 0 j j 0 + α k 0 j k 0
k = αi0 k i0 + αj 0 k j 0 + αk0 k k 0
i0 i0
i αi0 i αj 0 i αk0 i
j = [L] j = αi0 j αj 0 j αk0 j k 0 j 0
0
k k0 αi0 k αj 0 k αk0 k k 0 k 0
0 T
i i αi0 i αj 0 i αk0 i i
0 T 0
j
= [L] j
=
α
ij0 α 0
jj α 0 k
kj j
k0 k αi0 k αj 0 k αk0 k k 0 k
[L] viene detta matrice di rotazione.
La matrice di rotazione consente di legare i diversi vettori tensione e le diverse matrici di Cauchy
(noto che [L]T = [L]−1 e [L]T [L]−1 = 1):
~tn = [S] · ~n
[L]~tn0 = [S][L] · n~0
[L]T [L]~tn0 = [L]T [S][L] · n~0
~tn0 = [L]T [S][L] · n~0 = [S 0 ] · n~0
La matrice [S’] quindi è il risultato della rotazione della matrice [S], rotazione che però avviene in
termini tensoriali:
[S 0 ] = [L]T [S][L]
Noti i tre versori del sistema principale, la matrice [L] si ricava direttamente mettendo nelle colonne
i coseni direttori delle tre normali.
68
5.2 Analisi degli autovalori
Ci si chiede ora se esiste una giacitura particolare, quindi un piano di sezione, per la quale l’unica
azione scambiata tra le due facce è un’azione normale. Ci si chiede ovvero se esiste un ~n tale per cui:
[S]~n − σn [I]~n = 0
σxx − σn τxy τxz αx
τxy
σyy − σn τyz αy = 0
Il sistema è omogeneo, nelle tre incognite αx , αy e αz . Una prima soluzione potrebbe essere la
soluzione banale (αx = αy = αz = 0), ma questa non è ammissibile poiché le incognite sono i coseni
direttori della normale ~n, la cui somma dei quadrati deve essere pari alla lunghezza del vettore, cioè
ad uno (αx2 + αy2 + αz2 = 1). Una soluzione non banale si trova imponendo che il determinante della
matrice sia nullo, ottenendo un polinomio del terzo ordine in σn (polinomio caratteristico):
det([S]~ni − σi [I]~ni ) = 0
σn3 − I1 σn2 + I2 σn − I3 = 0
I1 , I2 e I3 sono detti invarianti, poiché il loro valore non cambia al variare del sistema di riferimento.
Gli invarianti si calcolano come:
Dalla geometria è noto che, essendo la matrice simmetrica, esistono almeno tre soluzioni reali
non banali del polinomio caratteristico, dette autovalori. A ciascun autovalore verrà assegnata,
sostituendolo nella matrice e calcolando i coseni direttori, una normale, la quale prende il nome di
autovettore. Gli autovettori indicano le direzioni principali, che si trovano risolvendo il sistema:
(
det([S]~ni − σi [I]~ni ) = 0
2 2 2
∀i ∈ {1, 2, 3}
αxi + αyi + αzi =1
• se σ1 6= σ2 6= σ3 : la matrice ha rango due per cui risulta una terna di autovettori distinti.
• se σ1 = σ2 6= σ3 : la matrice ha rango uno per cui esistono infinite soluzioni. L’autovettore ~n3 è
ortogonale ad infinite coppie di autovettori.
69
Si può dimostrare con il principio di reciprocità che, se esistono due autovalori distinti, questi
identificano direzioni ortogonali. Infatti si ha che:
σi →
−
ni
σji
→
−
ni
θij σj →
−
nj
σij
→
−
nj
Per il principio di reciprocità la proiezione di ~σj (pari a σj ~nj ) lungo ~ni deve essere pari alla
proiezione di ~σi (pari a σi~ni ) lungo ~nj :
σij = σji
~σj · ~ni = ~σi · ~nj
σj cos(θij ) = σi cos(θij )
π
(σi − σj ) cos(θij ) = 0 =⇒ θij =
2
Questa conclusione vale, per i casi sopracitati, per ogni coppia di autovalori non uguali.
Le direzioni principali permettono di semplificare notevolmente l’espressione della matrice di
Cauchy, e quindi la descrizione dello stato di tensione:
1
σ1
z 2
σ2
σzz
τxz τzy
τxz τyz
τxy
τyx σyy y
σxx σ3
x
3
σxx τxy τxz σ1 0 0
[S] = τyx σyy τyz
[SP ] =
σ2 0
τzx τzy σzz simm. σ3
α1
~tn = [SP ]~n = [SP ] α2
α3
~tn = (σ1 α1 , σ2 α2 , σ3 α3 )
Anche il calcolo degli invarianti risulta più semplice:
I1 = σ1 + σ2 + σ3
I2 = σ1 σ2 + σ1 σ3 + σ2 σ3
I3 = σ1 σ2 σ3
70
Il modulo di ~tn (al quadrato) vale:
α3
Infine si può calcolare anche la componente totale di scorrimento τn come:
τn2 = |~tn |2 − σn2 = (σ12 α12 + σ22 α22 + σ32 α32 ) − (σ1 α12 + σ2 α22 + σ3 α32 )2
τn2 = (σ1 − σ2 )2 α12 α22 + (σ1 − σ3 )2 α12 α32 + (σ3 − σ2 )2 α32 α22
σ2
2
σ1
1
Ai tre autovalori sono associati tre autovettori distinti, tra loro ortogonali, ~n1 , ~n2 e ~n2 .
Lo stato di tensione triassale viene detto cilindrico se due autovalori sono uguali (σ1 = σ2 6= σ3 ):
3
σ3
σ10
10 σ2
2
σ20
1
20
Dei tre autovalori, σ3 è l’unico che determina univocamente un autovettore, ~n3 . Agli altri due
autovalori si può associare qualunque coppia di vettori, ortogonali tra loro e con ~n3 , nel piano.
L’inviluppo di queste infinite coppie di vettori è una superficie cilindrica, da cui il nome dello stato
di tensione. Lo stato di tensione cilindrico si può vedere facendo ruotare attorno ad uno dei suoi
autovettori il volume elementare relativo allo stato di tensione cubico.
71
Lo stato di tensione triassale viene detto sferico se tutti gli autovalori sono uguali (σ1 = σ2 = σ3 ):
3
30
20
1
10
Nello stato di tensione sferico qualunque terna di vettori nello spazio, tra loro ortogonali, è una
terna di direzioni principali.
Se dalle soluzioni del polinomio caratteristico risultano due autovalori non nulli ed uno nullo
6 0, σ2 6= 0, σ3 = 0) lo stato di tensione si dice biassiale. Questa condizione si verifica, ricordando
(σ1 =
il polinomio caratteristico, quando l’invariante I3 è nullo, ovvero se il determinante di [S] è nullo. In
questo caso il polinomio caratteristico si può riscrivere come:
σn (σn2 − σn I1 + I2 ) = 0
da cui deriva una soluzione banale (σn = 0) e due soluzioni all’equazione di secondo grado. Questo
stato di tensione è detto anche piano poiché qualsiasi ~tn è contenuto nel piano con normale ~n3 .
Se dal polinomio caratteristico risulta un solo autovalore non nullo (σ1 6= 0, σ2 = 0, σ3 = 0) lo stato
di tensione si dice monoassiale. Per lo stato di tensione monoassiale il polinomio caratteristico si
riduce a:
σn3 − σn2 I1 = 0
La cui soluzione è immediata σn = σ1 = I1 . Questo stato di tensione è chiamato anche lineare,
poiché qualsiasi ~tn giace sulla retta coincidente con ~n1 .
Si verificherà in seguito che gli stati di tensione che si incontrano sono quasi sempre riconducibili
alla somma di uno stato piano e di uno stato lineare.
72
5.4 Scomposizione degli stati di tensione
Per gli stati di tensione vale il principio di sovrapposizione degli effetti. Ad esempio, dato uno
stato di tensione triassiale cubico:
σ1 0 0
[S] =
σ2 0
σ3
Si definisce tensione idrostatica il valore:
I1 σ1 + σ2 + σ3
= σ0 =
3 3
Con la tensione idrostatica si può riscrivere lo stato di tensione rappresentato da [S] come somma
di una componente idrostatica [SI ] e di una componente deviatorica [SD ]:
σ0 0 0 σ1 − σ0 0 0
[S] =
σ0 0 +
σ 2 − σ0 0 =
σ0 σ3 − σ0
σ +σ +σ 2σ +σ +σ
1
3
2 3
0 0 1
3
2 3
0 0
σ1 +σ2 +σ3 σ1 +2σ2 +σ3
=
3
0 +
3
0
= [SI ] + [SD ]
σ1 +σ2 +σ3 σ1 +σ2 +2σ3
3 3
σxx τxy τxz
[S] =
σyy τyz
=
σzz
σxx +σyy +σzz 2σxx +σyy +σzz
3
0 0 3
τxy τxz
σxx +σyy +σzz σxx +2σyy +σzz
= 0 + τyz
3 3
σxx +σyy +σzz σxx +σyy +2σzz
3 3
J1 = 0
1 I2
J2 = − [(σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ] = I2 − 1
6 3
J3 = (σ1 − σ0 )(σ2 − σ0 )(σ3 − σ0 )
Degli invarianti risulterà importante J2 quando verrà trattata l’analisi dei criteri di resistenza.
73
5.5 La tensione ottaedrale
Una rappresentazione utile dello stato di tensione è quella che fa uso del piano ottaedrale, ovvero
il piano di sezione definito dalla normale ~nOT T = (α, α, α) (per il primo ottante, per gli altri quadranti
cambiano i segni del coseno direttore α):
~nOT T
α
α 2
α
1
Il valore di α si calcola facilmente noto che la norma della normale deve essere unitaria:
1 1
α2 + α2 + α2 = 1 =⇒ α = √ =⇒ ~n = √ (1, 1, 1)
3 3
Si può quindi calcolare il vettore tensione:
σ 2 + σ22 + σ32
|~tn,OT T |2 = ~tn,OT T · ~tn,OT T = 1
3
e la sua componente lungo ~n:
σ1 + σ2 + σ3 I1
σn,OT T = ~tn,OT T · ~n = =
3 3
Si può quindi trovare la componente totale di scorrimento:
2 1 2 2 2 2
τn,OT T = ((σ1 − σ2 ) + (σ2 − σ3 ) + (σ3 − σ1 ) ) = − J2
9 3
Si nota come la componente totale di scorrimento abbia una relazione con l’invariante J2 del
deviatore, ottenuto durante la precedente scomposizione dello stato di tensione.
In un sistema di riferimento xyz generico, σn e τn,OT T si possono scrivere come:
σxx + σyy + σzz
σn,OT T =
3
q
2
T = ± (σxx − σyy ) + (σxx − σzz ) + (σzz − σyy ) + 6(τxy τxz τyz
τn,OT 2 2 2 2 2 2
L’analisi è stata fatta solo sul primo ottante, ma è valida anche per gli altri ottanti cambiando i
~ T.
segni dei coseni direttori di n, OT
74
5.6 Analisi di uno stato tensionale piano
L’analisi di stati tensionali piani è frequente nei problemi con travi, lastre e gusci. Come detto in
precedenza, si ha uno stato di tensione piano quando uno degli autovalori è nullo, e il vettore tensione
è rappresentato da due tensioni nel piano, al quale il vettore tensione stesso appartiene sempre.
3 z≡3
σ1 σ2 τxy σyy
2 y
1 τ yx
1 x σxx
2
σ1 0 0 σxx τxy 0
[S] = 0 σ2 0
[S] = τxy σyy 0
0 0 0 0 0 0
Delle matrici di Cauchy per gli stati tensionali piani si può considerare solo la sottomatrice 2x2 in
alto a sinistra, dato che tutti gli altri termini sono nulli.
Si vuole ora studiare la sovrapposizione di uno stato tensionale piano e di uno lineare (con σ3 = σzz
nota), per il quale la matrice è:
σxx τxy 0 σxx τxy 0 0 0 0
[S] = τxy σyy 0 = τxy σyy 0 + 0 0 0
0 0 σzz 0 0 0 0 0 σzz
La scelta di avere lo stato di tensione lineare lungo z (scelto per semplicità coincidente alla direzione
principale 3) è del tutto arbitraria. Se fosse stato scelto x si avrebbe avuto:
σxx 0 0
0
[S] = σyy τyz
0 τyz σzz
Si vuole analizzare quindi il vettore tensione nel piano risultante dallo stato di tensione rappresentato
da [S]:
y
tn
θ
" #
σxx τxy
[S] =
τxy σyy
σn
τn
m n θ
x
I versori ~n e m
~ valgono:
! !
cos(θ) − sin(θ)
~n = ~ =
m
sin(θ) cos(θ)
~tn = [S]~n
75
σn e τn si trovano come:
!
cos(θ)
σn = ~tn · ~n = (cos(θ), sin(θ), 0)[S]
sin(θ)
!
cos(θ)
τn = ~tn · ~n = (− sin(θ), cos(θ), 0)[S]
sin(θ)
Svolgendo i prodotti si ottengono:
σxx + σyy σxx − σyy
σn = + cos(2θ) + τxy sin(2θ)
2 2
σxx − σyy
τn = − sin(2θ) + τxy cos(2θ)
2
Dato che ~tn può avere qualunque direzione, si introduce la matrice di rotazione nel piano:
" #
cos(θ) − sin(θ)
[L] =
sin(θ) cos(θ)
Con la matrice di rotazione si può, seguendo la regola già descritta, ottenere un tensore delle
tensioni relativo al sistema di riferimento ruotato:
[S 0 ] = [L]T [S][L]
" # " #" #" #
σx0 x0 τx0 y0 cos(θ) sin(θ) σxx τxy cos(θ) − sin(θ)
=
τx y σy y
0 0 0 0 − sin(θ) cos(θ) τxy σyy sin(θ) cos(θ)
Svolgendo il doppio prodotto si possono quindi ricavare le tre componenti dello stato di tensione:
det([S] − σn [I]) = 0
2
(σzz − σn )((σxx − σn )(σyy − σn ) − τxy )=0
(σzz − σn )(σn2 − (σxx + σyy )σn + σxx σyy − τxy
2
)=0
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σxx = + cos(2θ∗ )
2 2
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σyy = − cos(2θ∗ )
2 2
σ1 − σ2
τxy =− sin(2θ∗ )
2
~
tn = (σ1 α1 , σ2 α2 , σ3 α3 )
|~
t |2 = ~t · ~t = σ 2 α2 + σ 2 α2
+ σ32 α32 = σn2 + τn2
n n n 1 1 2 2
σn = ~tn · ~n = σ1 α12 + σ2 α22 + σ3 α32
α1 + α22 + α32 = 1
2
Si possono ricavare espressioni dei coseni direttori in funzione di σn e τn , osservando che sono tutti
maggiori o uguali a zero (e implicitamente minori o uguali ad uno):
Dato che tutti i coseni direttori devono essere positivi vanno analizzate le rispettive espressioni per
rispettare le disuguaglianze. Supponendo che sia σ1 > σ2 > σ3 si ottengono le seguenti condizioni:
77
Le tre condizioni ottenute rappresentano aree su un grafico σn − τn , la cui forma non è immediata-
mente individuabile. Aggiungendo un termine alla prima si ottiene:
σ2 − σ3 2
2
σ2 − σ3
+ (σn − σ2 )(σn − σ3 ) + τn2 ≥
2 2
Sviluppando la disequazione il risultato rappresenta una circonferenza:
σ2 + σ3 2 σ2 − σ3 2
σn + + τn2 ≥
2 2
Similmente, per le altre due disequazioni si ottengono altre due circonferenze come:
σ3 − σ1 2 σ3 + σ1 2 σ1 − σ3 2
+ → σn + + τn2 ≤
2 2 2
2
σ1 − σ2 2
2
σ2 − σ1 σ2 + σ1
2
+ → σn + + τn ≥
2 2 2
Si possono quindi rappresentare le circonferenze nel piano σn − τn , tenendo in considerazione che
la prima e l’ultima disequazione indicano la porzione di piano esterna alle rispettive circonferenze,
mentre la seconda disequazione indica la porzione di piano contenuta nella circonferenza, per cui si
individua un’area di questa forma:
τn
σ3 σ2 σ1 σn
Per quanto riguarda τn , il suo segno non è rilevante a livello locale, per cui può essere scelto sia il
valore positivo che il valore negativo. Convenzionalmente si scelgono i τn positivi, che consentono di
semplificare la rappresentazione delle possibili combinazioni σn − τn . L’area nel piano così definita che
contiene i valori ammissibili è detta arbèlo di Mohr:
τn
σ3 R3 σ2 R2 R1 σ1 σn
C3 C2 C1
78
I centri delle circonferenze si trovano come:
σ2 + σ3 σ1 + σ3 σ1 + σ2
C1 = C2 = C3 =
2 2 2
I raggi delle circonferenze si trovano come:
σ2 − σ3 σ1 − σ3 σ1 − σ2
R1 = R2 = R3 =
2 2 2
Osservando l’arbelo di Mohr si possono effettuare alcune osservazioni importanti:
Si possono rappresentare graficamente, usando gli arbeli di Mohr, alcuni casi notevoli. Il primo
caso è quello di uno stato di tensione biassiale (con σ3 = 0, σ1 6= σ2 =
6 0), il quale, in funzione del
valore degli autovalori, può essere rappresentato come:
τn τn τn
σn σn σn
σ3 σ2 σ1 σ2 σ3 σ1 σ1 σ2 σ3
Il secondo arbelo rappresentato presenta a sua volta dei casi notevoli. Se σ2 = −σ1 infatti l’arbelo
diventa:
τn
σ2 σn
σ3 σ1
Questo stato di tensione è detto di taglio puro, e si verifica ad esempio nelle travi sottoposte a
pura torsione. Il valore massimo di τn è pari a σ1 , ovvero pari al raggio della circonferenza grande.
Se σ1 = σ2 una delle circonferenze degenera in un punto:
τn
σn
σ3 σ1 = σ2
79
Una condizione simile si ha con σ2 = σ3 = 0, che fa degenerare ancora una volta una delle
circonferenze in un punto:
τn
σn
σ2 = σ3 σ1
σn
σ1 = σ2 = σ3
L’analisi con gli arbeli di Mohr è caduta in disuso, per via della disponibilità di strumenti al
computer, soprattutto nel caso dell’analisi tridimensionale. Viene invece ancora impiegata per l’analisi
degli stati tensionali piani, poiché consente di ottenere agevolmente le trasformazioni dello stato di
tensione al variare del sistema di riferimento.
Si consideri l’arbelo di Mohr in figura:
τn
σ3 σ2 σ1 σn
Si suppone di lavorare con uno stato di tensione piano, ad esempio nel piano 1 − 2. Si considerano
quindi tutte le possibili normali nel piano 1 − 2, ovvero si ha che α3 = 0. Questo equivale a lavorare
sulla frontiera dell’arbelo e nello specifico considerare solo la circonferenza in rosso, il cui raggio e
centro valgono:
σ2 + σ1 σ1 − σ2
C3 = ,0 R3 =
2 2
I coseni direttori di una generica normale ~n nel piano 1 − 2 sono espressi dalla relazione:
1 ~tn
~n ~n = (σ1 α1 , σ2 α2 , 0)
α1 = cos(θ)
θ α2 = sin(θ)
2
80
Si vuole ora analizzare un generico vettore tensione ~tn . Ricordando le relazioni ricavate per la
rotazione nel piano del vettore tensione (vedi 5.6), si può dire che:
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σn = + cos(2θ) = C3 + R3 cos(2θ)
2 2
σ1 − σ2
τn = − sin(2θ)
2
L’espressione di σn permette di notare che, sul piano di Mohr, l’angolo formato tra la normale e
l’asse delle ascisse è pari a 2θ:
τn
2θ
σ3 σ2 σ1 σn
C3 R3 cos(2θ)
Ricordando le formule viste per passare dal piano 1 − 2 al piano rispetto ad esso ruotato x − y:
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σxx = + cos(2θ)
2 2
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σyy = − cos(2θ)
2 2
σ1 − σ2
τxy =− sin(2θ)
2
Si ha che σ1 si trova su un punto della circonferenza diametralmente opposto a σ2 . Questo si può
spiegare osservando che i due assi principali 1 e 2 ortogonali tra loro nella realtà, nel piano di Mohr
formano un angolo di 180°. Due valori di σ (anche non principali) su due assi ortogonali sul piano di
Mohr formeranno un diametro della circonferenza corrispondente. σxx e σyy dovranno quindi a loro
volta trovarsi su punti diametralmente opposti.
Nasce però un’ambiguità sul segno di τn . Con le considerazioni fatte finora infatti non è possibile
distinguere tra queste due situazioni:
τn
σn
81
Si stabilisce quindi una convenzione, che dice che viene dato segno negativo alla τn se fa ruotare il
volume elementare in senso antiorario, positivo altrimenti:
y
σyy
orario : B = (σyy , τxy )
τxy antiorario : A = (σxx , −τxy )
τxy
σxx
x
Quindi si può stabilire l’angolo e la direzione con cui ruotare il sistema x − y per passare al sistema
1 − 2, che sarà pari a θ:
τn 2 y
B
1
σ1 σ2 θ
σn x
2θ
A
Esiste una costruzione geometrica che permette di passare agevolmente da un sistema di riferimento
xy qualunque al sistema principale. Data la rappresentazione di Mohr dello stato di tensione nel
sistema xy, che individua i punti A = (σxx , −τxy ) e B = (σyy , τxy ), si traccia un asse parallelo all’asse
σn passante per A (asse x) e un asse parallelo all’asse τn passante per B (asse y). L’intersezione dei
due assi giace sulla circonferenza nel punto P dal quale si tracciano due assi, uno passante per σ1 (asse
1) e l’altro passante per σ2 (asse 2). Si ha che l’angolo piccolo formato tra l’asse x e l’asse 1 è proprio
l’angolo θ di inclinazione del sistema principale. Il punto P viene detto polo delle normali.
τn
y
2
B 1
σ1
σ2 σn
x
P A
θ
Il metodo del polo delle normali vale anche per passare da un generico sistema xy ad un altro
generico sistema x0 y 0 . Entrambi i sistemi sono infatti rappresentati sul cerchio di Mohr da diametri,
basterà trovare il polo delle normali partendo dai punti relativi al sistema xy e tracciare gli assi del
sistema ruotato in modo che passino per P e per i punti relativi al sistema x0 y 0 , ottenendo l’inclinazione
di quest’ultimo rispetto al sistema xy.
82
Esercizio 13. Piano di Mohr: rappresentazione dello stato di tensione
Dato il tensore di Cauchy:
σxx
τxy τxz 100 −25 0
[S] =
σyy τ yz =
−25 60 40
[M P a]
simm. σzz 0 40 −20
e data la normale ~n:
1 2 2
~n = , ,−
3 3 3
Rappresentare sul piano di Mohr lo stato di tensione.
20
40
40
60
25
25 y
100
σn3 − I1 σn2 + I2 σn − I3 = 0
Calcolo degli invarianti:
83
L’equazione di terzo grado si può risolvere in molti modi (es. metodo di Newton), gli autovalori
che si ottengono sono:
σ = 114.62 MPa
1
114.6 0 0
σ2 = 62.64 MPa [SP ] = 0
62.6 0 [M P a]
0 −37.3
σ3 = −37.26 MPa 0
Gli autovalori sono stati ordinati in ordine decrescente, non è ovviamente l’unica scelta possibile e
esistono casi in cui altre scelte sono più adatte.
Si calcolano i versori delle direzioni principali risolvendo il sistema:
(
([SP ] − σi [I])~ni = 0
2 2 2
∀i ∈ {1, 2, 3}
αxi + αyi + αzi =1
Ottenendo:
αx1 ∓0.8536 αx2 ±0.5139 αx3 ∓0.07197
~n1 = αy1 = ±0.4992
~n2 = αy2 = ±0.7711
~n3 = αy3 = ∓0.39514
αz1 ±0.1484 αz2 ±0.3732 αz3 ±0.9158
Si possono controllare i risultati ottenuti con la verifica di ortogonalità:
~n1 · ~n2 = αx1 αx1 + αy1 αy2 + αz1 αz2 = 6.4 · 10−7 ≈ 0
~n1 · ~n3 = αx1 αx3 + αy1 αy3 + αz1 αz3 = 2.4 · 10−7 ≈ 0
~n2 · ~n3 = αx2 αx3 + αy2 αy3 + αz2 αz3 = 8.4 · 10−7 ≈ 0
Rimane un’indeterminatezza sul segno da dare ai coseni direttori delle tre normali, derivante
dall’espressione al quadrato delle loro norme nel sistema risolutivo. L’indeterminatezza si può risolvere
scegliendo arbitrariamente i segni e verificando che la terna di normali risultante sia destrorsa. Se non
lo fosse sarà sufficiente cambiare il segno ad una delle tre normali. Ad esempio prendendo le normali:
−0.8536 +0.5159 −0.07197
~n1 = +0.4992
~n2 = +0.7711
~n3 = −0.39514
+0.1484 +0.3732 +0.9158
Si ottiene la terna:
z
3
2
x y
che non è destrorsa. Basterà quindi cambiare il verso ad una delle normali, ad esempio ad 1, per
renderla destrorsa ottenendo:
+0.8536 +0.5159 −0.07197
~n1 = −0.4992 ~n2 = +0.7711 ~n3 = −0.39514
84
Si può quindi rappresentare lo stato di tensione sul volume elementare nel sistema principale:
37.3
62.3
114.6 2
1
Avendo le espressioni delle tre normali si può scrivere direttamente la matrice di rotazione [L]
come:
+0.854 +0.516 −0.072
−0.499 +0.771 −0.395
[L] =
σ1 + σ2 σ1 − σ2
C1 = = 88.5 R1 = = 25.5
2 2
σ2 + σ3 σ2 − σ3
C2 = = 13 R2 = = 50
2 2
σ1 + σ3 σ1 − σ3
C3 = = 38.5 R3 = = 75.5
2 2
e disegnando quindi l’arbelo:
τn
σn
−37 63 114
Si ottiene che il punto A = (σn , τn ) = (−17.8, 39.83)M P a calcolato inizialmente per una generica
normale ~n giace all’interno dell’arbelo di Mohr, per cui il calcolo si verifica essere corretto.
85
Esercizio 14. Stato di tensione: barra in compressione e torsione
Si consideri una barra sottoposta a momento torcente e a compressione, sulla cui superficie si può
individuare un volume elementare sollecitato come descritto in figura:
y
P
90
y x M 180 180
x
90
M
P
Descrivere e rappresentare lo stato di tensione.
2
(σzz − σn )(σn − (σxx + σyy )σn + σxx σyy − τxy )=0
La prima soluzione è banale, ovvero σ3 = σzz = 0. Le altre due soluzioni si trovano risolvendo
l’equazione:
σn
−217 37
2θ
B
Sono stati individuati, tenendo conto della convenzione sul segno del taglio, i punti A = (−180, 90),
corrispondente alla faccia x+ del volume elementare, e B = (0, −90), corrispondente alla faccia x− del
volume elementare, che permettono, tracciato il diametro che li congiunge, di trovare l’angolo 2θ di
inclinazione del sistema principale rispetto al sistema xy.
86
L’angolo 2θ si trova con la nota formula:
2τxy π
tan(2θ) = = 1 =⇒ 2θ =
σxx − σyy 4
Quindi:
π π π
θ= = 22.5◦ o θ = + π = 112.5◦ o θ = − π = −67.5◦
8 8 8
◦
La prima soluzione (22.5 ) è da scartare, poiché esprime l’angolo con cui far ruotare l’asse x per
farlo coincidere con l’asse 2. Le altre due soluzioni esprimono rispettivamente gli angoli da imprimere in
senso antiorario e orario per far combaciare l’asse x con l’asse 1, e sono pertanto entrambe accettabili:
y
10
2
112.5
x
67.5
20
Lo stesso risultato si poteva ottenere utilizzando la costruzione del polo delle normali:
y
τn
0
1
P 2
A x
20 1
σn
−217 37
Alternativamente si poteva arrivare alla soluzione per via analitica trovando i versori delle direzioni
ruotate risolvendo il sistema:
(σxx
− σi ) cos(θ) + σyy sin(θ) = 0
σyy cos(θ) − σi sin(θ) = 0 ∀i ∈ 1, 2
cos2 (θ) + sin2 (θ) = 1
87
6 Analisi della deformazione
Finora sono stati considerati solo corpi rigidi, ovvero aventi rigidezza infinita. Nella realtà però è
immediato capire che le sollecitazioni applicate ad un corpo producono delle deformazioni oltre ai
moti rigidi.
Si consideri ad esempio la trave in figura, caricata dalla forza F:
F
Ty F
+ z - z
Mx
Si verifica sperimentalmente che la forza F produce una deformazione della trave dal vincolo a
telaio fino al punto di applicazione della forza stessa. Si determina ovvero che sussiste un rapporto
di causa effetto tra sollecitazione e deformazione. Va notato che il volume elementare verde non
deforma ma compie solamente un moto rigido a seguito della sollecitazione, mentre il volume elementare
blu compie un moto rigido e subisce contemporaneamente una deformazione. La sollecitazione non
è necessariamente l’applicazione di un carico, ad esempio se fosse stato presente un gradiente di
temperatura tra la superficie superiore della trave, posta alla temperatura T1 , e la superficie inferiore,
posta a temperatura T0 , con T0 > T1 l’effetto di deformazione sarebbe stato simile, dovuto alla
tendenza dei materiali sottoposti ad un gradiente di temperatura positivo ad espandere (secondo il
coefficiente di espansione termica lineare α).
Si cerca ora di dare una definizione rigorosa di alcune funzioni e grandezze utili per la descrizione
e l’analisi della deformazione. Si consideri un punto P qualunque in un generico corpo di volume V,
identificato dalla sua distanza dall’origine del sistema di riferimento ~rP = OP = (xP , yP , zP ). Alla
deformazione del corpo il punto P si sposterà al punto P’ e, generalmente, la distanza dall’origine potrà
essere diversa, definita da ~rP 0 = OP 0 = (xP 0 , yP 0 , zP 0 ). Con la deformazione può anche cambiare il
volume del corpo, che viene identificato con V’. Si definisce il vettore da P a P 0 vettore spostamento
~u.
V
P ~u V’
~rP P0
z
O
~rP 0
x y
88
Si definisce funzione di trasporto la funzione che lega ~rP 0 a ~rP (ed eventualmente al tempo):
~rP 0 = f (~rP , t)
Si definisce inoltre la jacobiana di f, ovvero il gradiente della funzione di trasporto:
∂x ∂xP 0 ∂xP 0
P0
∂ f~ ∂x
∂y
P0
∂y
∂yP 0
∂z
∂yP 0
[F ] = = ∂x ∂y ∂z
∂~rP ∂zP 0 ∂zP 0 ∂zP 0
∂x ∂y ∂z
~rP 0 = ~rP + ~u = (x + u, y + v, z + w)
Se si calcola il gradiente della funzione di trasporto con il vettore ~rP 0 così definito si ottiene una
relazione tra [F] ed [H]:
∂x ∂xP 0 ∂xP 0
P0
∂u ∂u ∂u
∂x ∂y ∂z 1+ ∂x ∂y ∂z
∂y ∂yP 0 ∂yP 0 ∂v ∂v ∂v
P0
[F ] = ∂x ∂y ∂z
=
∂x
1+ ∂y ∂z
= [I] + [H]
∂zP 0 ∂zP 0 ∂zP 0 ∂w ∂w ∂w
∂x ∂y ∂z ∂x ∂y
1 + ∂z
Sulla funzione di trasporto vanno fatte alcune considerazioni per poter dire che descriva adegua-
tamente un corpo reale deformabile. Innanzitutto si impone che il corpo non si laceri né ci siano
compenetrazioni di materia, ovvero si impone che il materiale conservi sempre la sua continuità.
Questa condizione implica che la funzione di trasporto deve essere biiettiva, ovvero deve sussistere
una corrispondenza biunivoca tra ogni punto P del corpo prima della deformazione ed ogni punto P’
del corpo dopo deformazione.
Conseguenze della biiettività della funzione di trasporto sono la conservazione della topologia del
corpo (ad esempio un cubo non può diventare un tetraedro) e il fatto che volumi, aree e linee finite pre
deformazione restano finite post deformazione. Non sono poste condizioni sulle dimensioni del corpo,
che possono variare, garantendo comunque la continuità del corpo (figure regolari si trasformano in
figure regolari).
Infine la deformazione deve conservare l’orientamento degli assi del sistema di riferimento, ovvero
un sistema destrorso non può trasformarsi in un sistema sinistrorso e viceversa.
89
Riassumendo, la funzione di trasporto deve essere:
• Biiettiva
• Continua
• Derivabile localmente
• Mantenere orientamento terna
Se la funzione rispetta queste condizioni viene detta congruente internamente.
La funzione di trasporto dovrà inoltre rispettare delle condizioni al contorno, ad esempio in presenza
di vincoli. Ad esempio si può imporre che una porzione Ω della superficie del corpo rimanga fissa,
per cui si imposterà che ~u = ~uΩ ∀P ∈ Ω con ~uΩ = 0. Se la funzione rispetta le condizioni al contorno
si dice congruente esternamente. Se la funzione di trasporto è congruente sia esternamente che
internamente, il campo di spostamento si dice cinematicamente ammissibile.
La teoria delle deformazioni infinitesime è applicabile nel caso in cui, data una generica direzione
~n, il gradiente del campo di spostamento ha un valore piccolo rispetto all’unità:
∂u
≈ 1 · 10−3
∂xn
La condizione posta vale sia per le deformazioni che per le rotazioni locali.
Si considerino i punti P e Q sul corpo di volume V, che dopo deformazione passano ai punti P 0 e
Q0 :
Q
~uQ
V Q0
~rQ d~rP
z P ~uP V’
~rP d~rP 0
~rQ0
P0
O
~rP 0
x y
Si ha che:
90
Si vuole ora calcolare d~rP 0 , che si può fare come:
I coefficienti della matrice [F ]P sono costanti poiché calcolati nel punto P. Questo significa che
il segmento infinitesimo rimane un segmento infinitesimo, allungato o accorciato in base ai valori
contenuti nel gradiente. La legge che descrive la trasformazione del segmento così costruita è una legge
proiettiva, poiché i vettori che congiungono ciascun punto del segmento prima della trasformazione
con i punti del segmento dopo la trasformazione sono tutti tra loro paralleli. Una trasformazione di
questo tipo è detta trasformazione affine (in piccolo). Una trasformazione affine mantiene inoltre
inalterato il parallelismo tra due segmenti paralleli prima della trasformazione, nonché il rapporto
di proporzionalità tra le loro lunghezze. Una trasformazione affine non mantiene gli angoli. Se si
considera un volume infinitesimo nell’intorno di P:
z
C’ dm0
0
C dm dn
dp0
dp
A B P’ B’
P y
x dn A’
Si ha che:
" #
0 0 ∂u ∂v ∂w
|P A| = dm |P A | = [F ]P |P A| = 1 + , , dm
∂x ∂x ∂x P
" #
∂u ∂v ∂w
|P B| = dn |P 0 A0 | = [F ]P |P A| = ,1 + , dm
∂y ∂y ∂y P
" #
0 0 ∂u ∂v ∂w
|P C| = dp |P A | = [F ]P |P A| = , ,1 + dm
∂z ∂z ∂z P
dV = P C(P A ∧ P B) = dmdndp
dV 0 = P 0 C 0 (P 0 A0 ∧ P 0 B 0 ) = dmdndp · det([F ]P )
91
Si definiscono ora due misure della deformazione, una lineare ed una angolare.
La deformazione estensionale (o elongazione specifica) descrive la variazione nella lunghezza
di un segmento rettilineo come:
→
−0
n
~n
ds0 − ds
εnn =
ds
d~rP 0
d~rP
0 b0
ad ˆ − aˆ0 b0
ab
c b’ γab = ab
P b P
Se γab > 0 si ha contrazione angolare, altrimenti se γab < 0 si ha espansione angolare.
Ora si vogliono estrarre le informazioni relative alla deformazione dal gradiente del campo di
spostamento, separandole dalle informazioni relative alla rotazione.
Noto che:
d~rP 0 = [F ]P d~rP
d~rP = ds~n
d~rP 0 = ds0 n~0
Si nota che, se [F ]TP [F ]P = [I], i moduli ds e ds0 sono uguali, per cui non si ha deformazione ma
solo moto rigido. Ricordando che [F ] = [I] + [H] si può scrivere il prodotto come:
Nell’ipotesi di piccole deformazioni il gradiente [H]P è un valore piccolo, per cui si può approssimare
[H]TP [H]P ≈ 0 ottenendo:
92
La quantità:
1 ∂u ∂v 1 ∂u ∂w
0 ∂y
− ∂x
−
1 2 2 ∂z ∂x
[R] = ([H]P − [H]TP ) = 12 ∂x
∂v
− ∂u 0 1 ∂v
− ∂w
∂y 2 ∂z ∂y
2
1 ∂w
2 ∂x
− ∂u
∂z
1
2
∂w
∂y
− ∂v
∂z
0
∂u 1 ∂u ∂v 1 ∂u ∂w
+ ∂x +
1 ∂x 2 ∂y 2 ∂z ∂x
[E] = ([H]P + [H]TP ) = ∂v 1 ∂v
+ ∂w
2 ∂y 2 ∂z
∂w
∂y
sim ∂z
Si può anche utilizzare una notazione con indici per rappresentare sinteticamente entrambe le
matrici:
!
1 ∂ui ∂uj i, j = 1, 2, 3
εij = +
2 ∂xj ∂xi con: u1 = u, u2 = v, u3 = w
!
1 ∂ui ∂uj x1 = x, x2 = y, x3 = z
rij = +
2 ∂xj ∂xi
Q
d~rP
x P y
93
Lo spostamento d~uQ del punto Q si trova come:
î ĵ k̂
d~uQ = dθ~ ∧ d~rP = dθx dθy dθz
dx dy dz
Quindi:
d~uQ = (dθy dz − dθz dy)î + (dθz dx − dθx dz)ĵ + (dθx dy − dθy dx)k̂
L’espressione trovata si può riscrivere in forma matriciale come:
0 −dθz dθy dx
dθz
d~uQ = 0 −dθx
dy = [R]d~
rP
−dθy dθx 0 dz
Ricordando che:
1 ∂u ∂v 1 ∂u ∂w
0 ∂y
− ∂x
−
2 2 ∂z ∂x
∂v ∂u ∂v ∂w
[R] = 12 − 0 1
−
∂x ∂y 2 ∂z ∂y
1 ∂w ∂u 1 ∂w ∂v
2 ∂x
− ∂z 2 ∂y
− ∂z
0
Si ottiene che:
!
1 ∂w ∂v
dθx = −
2 ∂y ∂z
!
1 ∂w ∂u
dθy = −
2 ∂x ∂z
!
1 ∂v ∂u
dθz = −
2 ∂x ∂y
La matrice [E] contiene quindi tutte le informazioni sulla deformazione, e si vuole quindi ora capire
come differenziare le informazioni sulla deformazione estensionale e sulla deformazione angolare.
Dato il vettore spostamento:
94
Si ha infatti che:
∂u
1 1 ∂u∂x ∂v
~ex = [E] 0 =
2 ∂y
+ ∂x
0 1 ∂u
+ ∂w
2 ∂z ∂x
1 ∂u ∂v
+ ∂x
0 2 ∂y
∂v
~ez = [E] 1 =
∂y
0 1 ∂v
+ ∂w
2 ∂z ∂y
1 ∂u ∂w
+
0 2 ∂z ∂x
1 ∂v
~ey = [E] 0 = 2 ∂z +
∂w
∂y
1 ∂w
∂z
Quello che si ottiene è il teorema di Cauchy per le piccole deformazioni, che afferma che il
vettore deformazione per una qualunque direzione ~n = (αx , αy , αz ) è dato dalla combinazione lineare
dei vettori deformazione riferiti agli assi:
ds0 − ds
εnn = = ~n[E]~n = ~n~en
ds
95
Si può intuire che, se la componente estensionale della deformazione è data dalla proiezione del
vettore deformazione lungo ~n, la componente angolare della deformazione sarà data dalla proiezione
del vettore deformazione lungo una direzione ortogonale a ~n.
Considerate due direzioni ortogonali identificate dai vettori ~n ed m:
~
n
n0
m0
θ
m
Osservando che:
dsn0 dsm0
= 1 + εnn = 1 + εmm
dsn dsm
Si può scrivere:
γmn = 2~n[E]m
~ = 2m~
~ en
L’angolo trovato rappresenta la deformazione angolare in radianti che i due segmenti, inizialmente
ortogonali, subiscono dopo la trasformazione. Lo scorrimento angolare totale si troverà prendendo due
direzioni m
~ e ~q, ortogonali tra loro e con ~n, rispetto le quali calcolare la deformazione angolare:
q
γn = 2 + γ2
γmn qn
Sono state quindi separate le componenti estensionali della deformazione da quelle angolari. Se si
considera la matrice [E]:
∂u 1 ∂u ∂v 1 ∂u ∂w
∂x ∂y
+ ∂x +
2 2 ∂z ∂x
[E] = ∂v 1 ∂v ∂w
∂y 2 ∂z
+ ∂y
∂w
sim ∂z
Si possono ricavare le posizioni delle due componenti di deformazione nella matrice stessa, e si
verifica che le componenti di deformazione estensionale sono i termini sulla diagonale della matrice,
mentre le componenti di deformazione angolare sono i termini fuori diagonale.
96
Si ha infatti che:
d~x = dx(1, 0, 0)
1
εxx = d~x[E]d~x = (1, 0, 0)[E] 0
0
! !!
∂u 1 ∂u ∂v 1 ∂u ∂w ∂u
= (1, 0, 0) , + , + =
∂x 2 ∂y ∂x 2 ∂z ∂x ∂x
d~y = dy(0, 1, 0)
∂v
εyy =
∂y
d~z = dz(0, 0, 1)
∂w
εzz =
∂z
1
0
γxz = 2d~z[E]d~x = 2(0, 0, 1)[E]
0
! !! !
γxz ∂u 1 ∂u ∂v 1 ∂u ∂w 1 ∂u ∂w
= 2(0, 0, 1) , + , + = +
2 ∂x 2 ∂y ∂x 2 ∂z ∂x 2 ∂z ∂x
!
γxy 1 ∂u ∂v
= +
2 2 ∂y ∂x
!
γyz 1 ∂v ∂w
= +
2 2 ∂z ∂y
I termini:
!
∂u γxy 1 ∂u ∂v
εxx = = εxy = +
∂x 2 2 ∂y ∂x
!
∂v γxz 1 ∂u ∂w
εyy = = εxz = +
∂y 2 2 ∂z ∂x
!
∂w γyz 1 ∂v ∂w
εzz = = εyz = +
∂z 2 2 ∂z ∂y
Sono detti componenti speciali di deformazione, con i quali si può riscrivere la matrice [E]
come:
97
Dato che la matrice [E] ha le caratteristiche di un tensore, si ha un’analogia formale con la matrice
[S], ovvero la matrice [E] ha le stesse proprietà di [S].
Nello specifico valgono:
Per [E] vale la stessa regola per la trasformazione per rotazione vista per la matrice [S]:
[E 0 ] = [L]T [E][L]
Gli invarianti di [E] si calcolano in maniera uguale a quanto visto per [S]:
I vettori deformazione che si ottengono per le tre direzioni principali sono quindi:
ε1 0 0
~e1 = 0 ~e2 = ε2 ~e3 = 0
0 0 ε3
0 0 ε3
98
Si possono identificare quindi anche per la deformazione stati triassiali:
3 3 3
ε3 ε3
ε3
ε1 ε2 ε1 ε2 ε1 ε2
1 2 1 2 1 2
I1E = ε1 + ε2 + ε3
I2E = ε1 ε2 + ε1 ε3 + ε2 ε3
I3E = ε1 ε2 ε3
Si può quindi, analogamente a quanto fatto per il vettore tensione ~tn , dare l’espressione del vettore
deformazione e delle sue componenti utilizzando la matrice [E] principale:
ε1 0 0 α1
~en = [E]~n = [EP ]~nP = 0 ε2 0 α2 = (ε1 α1 , ε2 α2 , ε3 α3 )
0 0 ε3 α3
|~en |2 = ~en · ~en = ε21 α12 + ε22 α22 + ε23 α32
εnn = ~en · ~nP = ε1 α12 + ε2 α22 + ε3 α32
γn2
= |~en |2 − ε2nn = (ε1 − ε2 )α12 α22 + (ε2 − ε3 )α22 α32 + (ε3 − ε1 )α32 α12
4
Le deformazioni implicano una variazione di volume. Nel sistema principale si ha che:
dV 0 = det([F ]P )dV
Si può quindi definire la deformazione volumetrica come:
dV 0 − dV
εV =
dV
(1 + ε1 )dx1 (1 + ε2 )dx2 (1 + ε3 )dx3 − dx1 dx2 dx3
=
dx1 dx2 dx3
≈ 1 + ε1 + ε2 + ε3 + d 2 − 1
= ε1 + ε2 + ε3 = traccia([EP ]) = I1E
∂u ∂v ∂w
= εxx + εyy + εzz = + + = ∇~u
∂x ∂y ∂z
Si può quindi calcolare la variazione del volume finito come:
Z y
V = dV 0 =
0
(1 + εV )dx1 dx2 dx3
V0
y y
∆V = V 0 − V = εV dx1 dx2 dx3 = ∇~udx1 dx2 dx3
99
Così come lo stato di tensione è stato scomposto in una componente idrostatica e in una componente
deviatorica, lo stato di deformazione si può scomporre in deformazione media e deviatore di
deformazione.
La deformazione media è data da:
ε1 + ε2 + ε3 εxx + εyy + εzz
εM = =
3 3
Si possono quindi scomporre i tensori [E] e [EP ] come:
εM 0 0 εxx − εM εxy εxz
0 εM
[E] = 0+
0 εyy − εM εyz
0 0 εM 0 0 εzz − εM
εM 0 0 ε1 − εM 0 0
[EP ] = 0 εM 0 + 0
ε2 − εM 0
0 0 εM 0 0 ε3 − εM
Per quanto riguarda la matrice [E], la prima parte descrive la variazione volumetrica, mentre la
seconda parte descrive la distorsione della forma mediante i termini fuori diagonale.
Continuando il parallelo con lo stato di tensione, anche lo stato di deformazione si può rappresentare
sul piano di Mohr. Partendo dalla definizione del vettore deformazione:
~en = (ε1 α1 , ε2 α2 , ε3 α3 )
|~en |2 = ε21 α12 + ε22 α22 + ε23 α32
εnn = ε1 α12 + ε2 α22 + ε3 α32
α12 + α22 + α32 = 1
Si possono ricavare espressioni dei coseni direttori in funzione di εn e γn , osservando che sono tutti
maggiori o uguali a zero (e implicitamente minori o uguali ad uno):
2 2
2
ε2 +ε3 γn ε2 −ε3
εnn − 2
+ 4
− 2
α12 = ≥0
(ε1 − ε2 )(ε1 − ε3 )
2 2
2
ε1 +ε3 γn ε1 −ε3
εnn − 2
+ 4
− 2
α22 = ≥0
(ε2 − ε3 )(ε2 − ε1 )
2 2
2
ε1 +ε2 γn ε1 −ε2
εnn − 2
+ 4
− 2
α32 = ≥0
(ε3 − ε1 )(ε3 − ε2 )
Le tre disequazioni, come già visto, si possono ricondurre a aree circolari sul piano di Mohr, la cui
intersezione costituisce l’arbelo di Mohr, per il quale valgono tutte le considerazioni fatte per lo stato
di tensione:
γn
2
εn
ε3 ε2 ε1
100
Così come è stato visto per lo stato di tensione, è utile analizzare lo stato di deformazione nel
piano, definito dal tensore:
εxx εxy 0
[E] = εxy εyy 0
0 0 εzz
La trasformazione per rotazione nel piano del tensore [E] è definita da:
" #
cos(θ) − sin(θ)
[L] =
sin(θ) cos(θ)
[E 0 ] = [L]T [E][L]
Si ottiene quindi:
ε 1 + ε2 ε1 − ε 2
εxx = + cos(2θ0 )
2 2
ε1 − ε2
εxy =− sin(2θ0 )
2
ε1 + ε2 ε1 − ε2
εyy = − cos(2θ0 )
2 2
2εxy γxy
tan(2θ0 ) = − =−
εxx − εyy εxx − εyy
Gli angoli di rotazione potevano essere ricavati con la costruzione del polo delle normali, seguendo
le stesse convenzioni seguite per lo stato di tensione.
101
6.2 Estensimetri
Gli estensimetri sono apparecchi sperimentali che misurano la variazione di lunghezza in una
data direzione, la quale andrà rapportata alla dimensione iniziale per ottenere la deformazione. La
tipologia più diffusa è quella che utilizza la variazione di resistenza elettrica per misurare la variazione
di lunghezza di un filo conduttore:
∆L L
a
∆R
In direzione a si ha:
∆L = K∆R
Quindi la deformazione vale:
∆L K∆R
εa = =
L L
L’estensimetro fornisce informazioni solo in una direzione, per cui sono necessari più estensimetri
per ottenere le informazioni complete sulla deformazione. Saranno necessari (a meno di stati piani che
fissino una direzione principale) tre estensimetri. L’apparecchio che contiene i tre estensimetri viene
detto rosetta estensimetrica. I principali tipi di rosette sono le rosette rettangolari, nelle quali
viene disposto un estensimetro a 0 gradi, uno a π4 ed uno a − π4 (o a π2 ), e le rosette delta, nelle quali
i tre estensimetri sono disposti a 120° l’uno dall’altro, oppure sono disposti a 0-60°-120°.
Per le rosette rettangolari si ha che:
x0
εA = εxx εxx = εA
εxx + εyy εA + εC
C ε B = ε x0 x0 = + εxy εxy = εB −
B 2 2
x εC = εyy εyy = εC
A
x” x0
C B
A x
εA = εxx εxx = εA
εxx + εyy εxx − εyy 2π 2π εB − εC
ε B = ε x0 x0 = + cos( ) + εxy sin( ) εxy = √
2 2 3 3 3
εxx + εyy εxx − εyy 4π 4π 2(εB + εC ) − εA
εC = εx”x” = + cos( ) + εxy sin( ) εyy =
2 2 3 3 3
102
6.3 Equazioni di congruenza
Tutta l’analisi dello stato di deformazione è stata effettuata sulla base dell’ipotesi che il campo di
spostamento descriva piccoli gradienti e che sia continuo e derivabile localmente, che hanno permesso
di determinare il tensore [E]. Ci si chiede ora se sia possibile effettuare l’operazione inversa, ovvero
passare dal tensore [E] al campo di spostamento ~u. Questa operazione non è possibile in generale,
poiché esistono trasformazioni che non permettono di ricostruire il volume deformato come somma
delle deformate dei volumi elementari (ad ognuno dei quali è associata una matrice [E]), ovvero esistono
trasformazioni non congruenti. È necessario quindi imporre delle condizioni che permettano di fare
questo passaggio inverso, e si dimostra con un’analisi piuttosto complessa che queste condizioni sono
raccolte in sei equazioni alle derivate parziali del secondo ordine dette equazioni di congruenza
interna:
!
∂ 2 εxx ∂ 2 εyy ∂ 2 γxy ∂ 2 εxx 1 ∂ γxy γxz γyz
+ = = + −
∂y 2 ∂x2 ∂x∂y ∂y∂z 2 ∂x ∂z ∂y ∂x
!
∂ 2 εxx ∂ 2 εzz ∂ 2 γxz ∂ 2 εyy 1 ∂ γxy γyz γxz
+ = = + −
∂z 2 ∂x2 ∂x∂z ∂x∂z 2 ∂y ∂z ∂x ∂y
!
2 2
∂ εyy ∂ εzz ∂ 2 γxz 2
∂ εzz 1 ∂ γxz γyz γxy
+ = = + −
∂z 2 ∂y 2 ∂x∂z ∂x∂y 2 ∂z ∂y ∂x ∂z
103
Esercizio 15. Stato di deformazione: campo di spostamento
Dato il campo di spostamento:
a = 10−6 mm−2
ax2 y
u
b = 10−6
~u(x, y, z) = bz + cy 2 = v con
c = 2 · 10−6 mm−1
−dzy w
d = 10−6 mm−1
Calcolare per il punto P = (1, 1, 1) la traslazione, il gradiente
√
di spostamento, √
la deformazione
3 1 1 3
estensionale e gli scorrimenti angolari per le direzioni ~n = ( 2 , 0, 2 ), ~r = ( 2 , 0, − 2 ) e ~q = (0, 1, 0), la
deformazione volumetrica, le deformazioni principali e rappresentare sul piano di Mohr lo stato di
deformazione.
I valori di a, b, c e d sono piccoli, per cui i gradienti risultanti saranno piccoli e quindi la teoria
delle piccole deformazioni è applicabile.
Dato che il campo di traslazione non presenta termini noti, ma solo termini dipendenti dalle
coordinate del punto in esame, la traslazione attorno a P è nulla, e sono presenti solo componenti di
deformazione/rotazione.
Il gradiente di spostamento si trova come:
∂u ∂u ∂u
∂x ∂y ∂z 2a a 0 2 1 0
[H] = ∂v ∂v ∂v
= 0 2c b = 0 4
1 10
−6
∂x ∂y ∂z
∂w ∂w ∂w 0 −d −d P 0 −1 −1 P
∂x ∂y ∂z P
θx = −10−6
θy = 0
1
θz = − 10−6
2
Il vettore deformazione è dato da:
√ 1
√
3
1
0 2
2 2 √ 3
T 1 −6 3
~en = [E]~n = ([H] + [H] ) = 2 4 0 10 0 =
2 1 41
0 0 −1
−2
2
104
Si può rappresentare il vettore deformazione come:
z
~en
~n
~r
x y
~q
Avendo ottenuto un valore positivo si può dire che in direzione di ~n si ha una dilatazione.
Gli scorrimenti angolari sono dati da:
√
√ 3 √
T 1 3 √3 3 3 −6
γrn = 2~r ~en = ( , 0, − ) 4 = 10
2 2 1 4
−2
√
√ 3
√
3 −6
T 3
γqn = 2~r ~en = (0, 1, 0) 4 = 10
1 4
−2
I valori positivi trovati indicano che gli angoli tra ~n e ~r e tra ~n e ~q diminuiscono.
La deformazione volumetrica è data dalla traccia della matrice [E]:
√
5 −6
ε1 = (3 + )10
√2
5 −6
ε2 = (3 − )10
2
ε3 = −1 · 10−6
~n3 = (0, 0, 1)
105
È noto che nel sistema principale εx0 y0 = 0, per cui si può ottenere l’angolo 2θ di rotazione del
sistema 12 rispetto al sistema xy come:
2εxy 1
tan(2θ) = =−
εxx − εyy 2
Le soluzioni che si ottengono sono θ1 = 76.7 e θ2 = −13.3◦ , per cui le due coppie di autovettori
◦
accettabili sono:
~n11 = (cos(θ1 ), sin(θ1 ), 0) = (0.23, 0.973, 0) ~n21 = (cos(θ2 ), sin(θ2 ), 0) = (−0.23, −0.973, 0)
~n12 = (− sin(θ1 ), cos(θ1 ), 0) = (−0.973, 0.23, 0) ~n22 = (− sin(θ2 ), cos(θ2 ), 0) = (0.973, −0.23, 0)
Ricordando la convenzione (con εxy che si allontana dagli assi perché tende a ridurre l’angolo tra x
ed y):
y
εyy
εxy
x
εxx
Si individuano i punti A = (εxx , −εxy ) = (2, − 12 ) e B = (εyy , εxy ) = (4, 21 ), con i quali si può
rappresentare lo stato di deformazione sul piano di Mohr:
γn
2
B
ε2 ε1
εn
A 2θ
Gli angoli che separano gli assi del sistema xy dagli assi del sistema 12 si potevano ricavare anche
attraverso la costruzione del polo delle normali:
1
γn
2 y
B
ε2 ε1
2 εn
x
A
P
106
Esercizio 16. Stato di deformazione: ricostruzione del volume deformato
Dato il tensore delle piccole deformazioni nel sistema principale:
ε1 0 0 1 0 0
−5
[EP ] =
ε2 0 =
3 0 10
ε3 −2
Calcolare la variazione volumetrica, rappresentare il volume deformato e ricavare il tensore delle
piccole deformazioni nel sistema xyz definito dai versori:
î = (0, 0, 1)
√
3 1
ĵ = ( , , 0)
2 √ 2
1 3
k̂ = (− , , 0)
2 2
Notando che il versore î è allineato con l’asse 3 del sistema principale, e che i restanti versori sono
inclinati di θ = π6 rispetto ai rispettivi assi, si possono calcolare le componenti di deformazione nel
sistema ruotato come:
εxx = ε3
ε1 + ε2 ε1 − ε2
εyy = + cos(2θ)
2 2
ε1 + ε2 ε1 − ε2
εzz = − cos(2θ)
2 2
ε1 − ε2
εyz = − sin(2θ)
2
La variazione volumetrica si valuta calcolando la deformazione volumetrica:
εV = ε1 + ε2 + ε3 = 2 · 10−5
Avendo trovato un valore positivo si può dire che il volume aumenta.
107
Si può rappresentare quindi la deformazione nel sistema principale (ricordando che le componenti
del tensore delle deformazioni sono valori per unità di lunghezza):
ε2 dx2
ε3 dx3
1
3 dx1 dx2 ε1 dx1
dx3
dz dx
dy
x≡3
Si può vedere meglio l’effetto della deformazione angolare considerando il solo piano yz:
z
εyz dz
εzz dz γyz = 2εyz
εyz dy
y
εyy dy
Si osserva che, avendo una componente εyz positiva, si ha una contrazione angolare.
108
7 Meccanica dei materiali
7.1 Notazione di Voigt
La notazione di Voigt (o notazione ingegneristica) è una notazione utilizzata per semplificare
l’utilizzo di quantità tensoriali.
Il tensore di Cauchy viene rielaborato nel vettore ~σ come:
σxx τxy τxz
[S] = −→ {~
σyy τyz σ } = {σxx , σyy , σzz , τyz , τxz , τxy }
σzz
Usando questa notazione si possono riscrivere le equazioni di equilibrio indefinito utilizzando
l’operatore differenziale:
∂ ∂ ∂
0 0 0
∂x ∂ ∂
∂z ∂y
∂
[δ]T =
0 ∂y
0 ∂z
0 ∂x
∂ ∂ ∂
0 0 ∂z ∂y ∂x
0
Le equazioni di equilibrio indefinito diventano quindi, per ogni punto P del volume elementare:
[δ]T ~σ + ~b = 0
La stessa operazione si può fare anche rispetto alle condizioni al contorno. Infatti, data una
generica pressione p~ applicata alla superficie del volume elementare, si può dire che le condizioni al
contorno sono soddisfatte se, per ogni punto P appartenente alla superficie Ω su cui è applicata la
pressione, si ha che:
[α]T ~σ = p~
Dove:
αx 0 0 0 αz αy
[α] = 0 αy 0 αz 0 αx
0 0 αz αy αx 0
Si può riscrivere con la notazione di Voigt anche il tensore [E] delle piccole deformazioni come:
εxx εxy εxz
[E] = −→ {~
εyy εyz ε} = {εxx , εyy , εzz , γyz , γxz , γxy }
εzz
Utilizzando l’operatore differenziale [δ] si possono quindi riscrivere le equazioni di congruenza
come:
[δ]~u = ~ε
In questo caso le condizioni al contorno sono assicurate se ~u = ~u0 ∀P ∈ ΩP .
109
7.2 Identità dei lavori virtuali
La similitudine nella trattazione matematica con la notazione di Voigt tra il tensore di Cauchy e il
tensore delle piccole deformazioni può essere approfondita ulteriormente attraverso l’identità dei
lavori virtuali.
Si considera un sistema A di forze, ipotizzato in equilibrio con le tensioni, ed un sistema B di
spostamenti virtuali, ipotizzato compatibile cinematicamente con le deformazioni. Si arriverà a
dimostrare che il lavoro delle forze del sistema A per gli spostamenti virtuali del sistema B, detto
lavoro virtuale esterno, è pari al lavoro delle tensioni del sistema A per le deformazioni del sistema
B, detto lavoro virtuale interno, uguaglianza che permetterà di definire una relazione tra tensione
e deformazione.
Per l’equilibrio del sistema A deve essere:
[δ]~uB = ~εB ∀P ∈ V
~u = ~uB,0 ∀P ∈ ΩV
L’identità dei lavori virtuali (o principio dei lavori virtuali) afferma che:
Lv,i = Lv,e
Il prodotto scalare tra vettore tensione ~tA e vettore deformazione ~eB rappresenta il lavoro virtuale
interno associato alla deformazione. Se si considerano le componenti dei due vettori applicate al centro
delle facce positive del volume elementare (considerando come riferimento le facce negative):
z ~tZA
~eZB
~tY A
dz ~eY B
y
dx
x dy
~eXB
~tXA
110
L’effetto delle azioni sul volume elementare si ottiene, per la faccia x ad esempio, come:
Si ottengono ovvero una forza ed uno spostamento, per cui si può quantificare il lavoro virtuale di
deformazione sulla faccia x come:
Il lavoro può essere espresso come prodotto scalare dei vettori di Voigt:
dLAB = ~σ T · ~ε · dV
Si va quindi a dimostrare il principio dei lavori virtuali:
Z Z Z Z
~b T ~uB dV + p~AT ~uB dΩ + ~rAT ~uB dΩ = ~σAT · ~εB · dV
A
V ΩP ΩV V
Ricordando le condizioni di equilibrio per cui p~A = [α]~σA e ~rA = [α]~σA e invertendo il prodotto
scalare a destra dell’uguale si ottiene:
Z Z Z Z
~b T ~uB dV + ~uBT [α]~σA dΩ + ~uBT [α]~σA dΩ = ~εBT · ~σA · dV
A
V ΩP ΩV V
Per il teorema della divergenza l’integrale di superficie su Ω0 si può riscrivere come somma di
integrali di volume su V ottenendo:
Z Z Z Z
~bA~u T dV + ~uBT [δ]T ~σA dΩ + ([δ]~uB )T ~σA dΩ = ~εBT · ~σA · dV
B
V V V V
111
Si possono unire i primi due integrali e riscrivere il terzo ricordando che per le condizioni di
equilibrio si ha che ([δ]~uB )T = εBT ottenendo:
Z Z Z
(~bA + [δ]T ~σA )~uB dV + εTB ~σA dΩ = ~εBT · ~σA · dV
V V V
La relazione di cui sopra è corretta, dato che per le condizioni di equilibrio si ha che ~bA + [δ]T ~σA = 0,
quindi il principio dei lavori virtuali è dimostrato.
Il principio dei lavori virtuali ha validità generale, indipendentemente dal materiale considerato.
Nel calcolo del lavoro virtuale esterno spesso è conveniente approssimare, se le superfici considerate
sono piccole, le pressioni applicate al corpo con una forza risultante FA ed un momento risultante MA .
Con questa semplificazione si può riscrivere il lavoro virtuale esterno nel caso più generale come:
Z Z Z n n
~bA~uB dV + F~i,A · ~ui,B + ~ i,B
~ i,A · φ
X X
Lv,e = p~A~uB dΩ + ~rA~uB dΩ + M
V ΩP ΩV i=1 i=1
Le equazioni di congruenza e di equilibrio sono tra loro linearmente indipendenti, mentre il principio
dei lavori virtuali è una loro combinazione lineare. Questo implica che note due qualunque di queste
relazioni è possibile ricavare la terza. Va notato che il principio dei lavori virtuali non descrive il
legame di causa-effetto che sussiste tra tensione e deformazione, ma solo una relazione molto forte
che esiste tra questi due fenomeni. Per completare la descrizione va determinata questa relazione di
causa-effetto, con la descrizione del legame costitutivo.
Diventa necessario definire la relazione descritta dal legame costitutivo poiché per completare il
problema mancano 6 equazioni per poter ottenere tutte e 15 le incognite.
112
7.3 Il legame costitutivo
La ricerca del legame costitutivo può essere effettuata per vie matematiche o vie più ingegneristiche.
La via più immediata per ricavare una relazione tra sforzo e deformazione è la prova di trazione,
nella quale un provino cilindrico del materiale in esame viene sottoposto a trazione monoassiale:
F
F
σn =
A
F L0 ∆L
εn =
L0
∆L
Le curve di risposta caratteristiche risultanti dalla prova di trazione danno già informazioni sul
comportamento del materiale, più precisamente sul comportamento a carico-scarico:
A
A
εn
εn εn
Nel caso non reversibile non lineare si nota che il comportamento del materiale dipende anche
dalla storia di carico. Se ad un certo punto si scarica il provino infatti, il materiale non segue lo stesso
percorso seguito nel carico.
Altre informazioni si ricavano con altre prove sperimentali. Con la prova di creep ad esempio si
ricavano informazioni sulla dipendenza dal tempo:
σn
A B
σn
0 C t
A B
εn
B C εn
0
A
C t
0
113
Il materiale in esame si dice omogeneo se, presa una serie di provini tutti orientati nella stessa
direzione, i risultati delle prove di trazione sui provini sono indistinguibili tra loro. Un materiale
omogeneo si dice anche invariante per traslazione. Un materiale si dice isotropo se, presa una serie
di provini orientati in diverse direzioni, i risultati delle prove di trazione sui provini sono indistinguibili
tra loro. Un materiale isotropo si dice anche invariante per rotazione. Esistono materiali che
presentano simmetrie, ovvero presentano direzioni preferenziali. I materiali che hanno due direzioni
preferenziali ortogonali ad esempio vengono detti ortotropi.
Il legame costitutivo può essere quindi descritto dal funzionale F come:
~b(~r, t = 0) = 0 ~b(~r, t = tF )
p~(~r, t = 0) = 0 p~(~r, t = tF )
Per descrivere il processo verrà utilizzata la variabile temporale, anche se non ha influenza diretta
sul processo stesso dato che sono assenti effetti cinetici. Al generico istante t, considerando l’equilibrio,
dalla generica condizione di carico definita da ~b e p~ si otterrà uno stato di tensione, dal quale si
otterranno un campo di deformazione e un campo di spostamenti reciprocamente legati dalle equazioni
di congruenza.
~u(~r, t)
~b(~
r, t) EQUILIBRIO
−−−−−−−−→ ~σ (~r, t) → m EQ. CONGRUENZA
~(~r, t)
p
~ε(~r, t)
Al generico istante dt le azioni esterne d~b e d~p produrranno una piccola variazione della tensione e
dei campi di deformazione e di spostamento:
d~σ
d~σ = dt = ~σ˙ dt
dt
d~ε
d~ε = dt = ~ε˙dt
dt
d~u
d~u = dt = ~u˙ dt
dt
114
Si può applicare ora il principio dei lavori virtuali, che permette di uguagliare il lavoro virtuale
esterno al lavoro virtuale interno:
Z Z Z
dLe = ~b T ~u˙ dV + p~ T ~u˙ dΩ dt = ~σ T ~ε˙dV dt = dLi
V Ω V
La generalità del principio dei lavori virtuali è conservata, ovvero la relazione trovata è indipendente
dal legame costitutivo considerato. Generalmente non sarebbe lecito integrare prima sul volume e poi
sul tempo, poiché non è difficile che la trasformazione considerata causi una variazione del volume nel
tempo. In questo caso l’ordine di integrazione adottato è valido perché si considerano spostamenti
infinitesimi. Una conseguenza di questa considerazione è che la relazione per il lavoro interno sopra
riportata può essere riscritta invertendo l’ordine di integrazione:
t
Z ZF
Li = ~ σ T ~ε˙dt dV
V 0
Ricordando che sia σ che ε sono dipendenti dal tempo, si può riscrivere la densità di lavoro interno
eliminando la dipendenza dal tempo come:
Z~εF
`i = ~σ T (~ε)d~ε˙
0
ε ε
PROCESSO DISSIPATIVO PROCESSO NON DISSIPATIVO
I I
`i,ciclo = ~σ T (~ε)d~ε˙ 6= 0 `i,ciclo = ~σ T (~ε)d~ε˙ = 0
V V
115
7.4 Il materiale elastico lineare isotropo
Il materiale elastico è quel materiale che presenta le seguenti caratteristiche:
• Indipendenza di ~
σ ed ~
ε dalla storia di carico
• Reversibilità, ovvero il ritorno alle condizioni iniziali dopo un percorso di carico chiuso
La prima e più semplice definizione del legame costitutivo per un materiale elastico è quella del
legame elastico lineare, che mette in relazione ~σ (~r, t) a ~ε(~r, t) mediante una matrice a termini
costanti [D] detta matrice di rigidezza:
~σ (~r, t) = [D]~ε(~r, t)
La relazione inversa utilizza la matrice [C], pari all’inversa di [D], detta matrice di cedevolezza:
d`i = ~σ (~ε)d~ε
è un differenziale esatto.
Se d`i è un differenziale esatto, il lavoro svolto per unità di volume può essere determinato dalla
differenza tra il valore finale e il valore iniziale di una funzione di stato Φ, funzione di ε, la quale
viene detta potenziale elastico.
La densità di lavoro interno si può quindi riscrivere rispetto al potenziale elastico come:
Z~εF ZΦF
`i = ~σ (~ε)d~ε˙ =
T
dΦ = ΦF − Φ0
0 Φ0
Z ZΦF Z
Li = dΦdV = (ΦF − Φ0 ) dV = UE
V Φ0 V
La quantità UE viene definita energia elastica potenziale. Ricordando il principio dei lavori
virtuali, per cui Li = Le , si ottiene che il lavoro esterno si trasforma in energia potenziale elastica
che viene immagazzinata dal materiale durante il carico e restituita durante lo scarico. I materiali
con queste caratteristiche sono un sottogruppo dei materiali elastici, e vengono detti materiali
iperelastici o materiali di Cauchy-Green.
Si esplicitano ora i differenziali dΦ e d`i :
∂Φ ∂Φ ∂Φ ∂Φ ∂Φ ∂Φ
dΦ = dεxx + dεyy + dεzz + dγxy + dγxz + dγyz
∂εxx ∂εyy ∂εzz ∂γxy ∂γxz ∂γyz
d`i = σxx dεxx + σyy dεyy + σzz dεzz + σxy dτxy + σxz dτxz + σyz dτyz
116
Dato che d`i = dΦ, dalle precedenti espressioni si ricavano le seguenti relazioni:
∂Φ ∂Φ
σxx = τxy =
∂εxx ∂γxy
∂Φ ∂Φ
σyy = τxz =
∂εyy ∂γxz
∂Φ ∂Φ
σzz = τyz =
∂εzz ∂γyz
Queste relazioni sono le sei equazioni che definiscono il legame costitutivo. La funzione Φ viene
detta anche potenziale elastico delle tensioni poiché se è noto Φ è possibile ricavare le tensioni a
partire dalle deformazioni.
Per rispondere alle caratteristiche imposte di reversibilità e di monotonia crescente, la funzione Φ
deve essere concava verso l’alto e, ipotizzando che nella condizione naturale Φ0 = 0, con un minimo
assoluto in corrispondenza dell’origine. Queste condizioni sono garantite se:
" #
T ∂ 2Φ
d~ε d~ε ≥ 0
∂~εi2
Esplicitando i differenziali:
∂Ψ ∂Ψ ∂Ψ ∂Ψ ∂Ψ ∂Ψ
dΨ = dσxx + dσyy + dσzz + dτxy + dτxz + dτyz
∂σxx ∂σyy ∂σzz ∂τxy ∂τxz ∂τyz
~ε T d~σ = εxx dσxx + εyy dσyy + εzz dσzz + γxy dτxy + γxz dτxz + γyz dτyz
∂Ψ ∂Ψ
εxx = γxy =
∂σxx ∂τxy
∂Ψ ∂Ψ
εyy = γxz =
∂σyy ∂τxz
∂Ψ ∂Ψ
εzz = γyz =
∂σzz ∂τyz
117
Per il potenziale elastico complementare valgono le stesse considerazioni fatte per Φ:
" #
T ∂ 2Ψ
d~σ d~σ ≥ 0
∂~σi2
Z ZΨF Z
Li = dΨdV = (ΨF − Ψ0 ) dV = UC,E
V Ψ0 V
UE = ΦF − Φ0
ΦF = 12 σε
Si ottiene che:
1 1
Ψ(σF ) = Φ(εF ) = ~σ T ~ε = ~ε T ~σ
2 2
Ricordando che ~σ = [D]~ε e ~ε = [C]~σ l’espressione sopra si può riscrivere come:
1 1
Ψ(σF ) = Φ(εF ) = ~σ T [C]~σ = ~ε T [D]~ε
2 2
Si ottiene che il potenziale elastico è determinabile conoscendo le matrici di cedevolezza e di
rigidezza:
1
Ψ(σF ) = ~σ T [C]~σ
2
1
Φ(εF ) = ~ε T [D]~ε
2
Queste espressioni sono interscambiabili essendo Ψ(σF ) = Φ(εF ).
118
Si cerca ora la relazione tra i coefficienti delle matrici [C] e [D] e il potenziale elastico. Si scrive lo
sviluppo in serie di Taylor al secondo ordine di Φ(~ε) valutato in 0:
6 6 X 6
∂Φ 1X ∂ 2Φ
εi εj + O(|ε|3 )
X
Φ(~ε) = Φ(0) + dεi +
0 i=1 ∂ε i 0 2 i=1 j=1 ∂ε i ∂ε j 0
∂Φ
I primi due termini sono nulli, essendo Φ(0) = 0 e ∂εi
= σi = 0.
0 0
Si eguaglia il termine rimanente all’espressione del potenziale elastico rispetto alla matrice [D]
trovata precedentemente:
6 X 6
1 1X ∂ 2Φ
Φ(~ε) = ~ε T [D]~ε = εi εj
2 2 i=1 j=1 ∂εi ∂εj 0
Si ottiene che i coefficienti della matrice di rigidezza sono dati da:
∂ 2Φ
Dij =
∂εi ∂εj 0
∂ 2Φ ∂ 2Φ
= =⇒ Dij = Dji
∂εi ∂εj ∂εj ∂εi
La matrice [D] è quindi simmetrica.
Analogamente si ottiene per la matrice di cedevolezza che:
1 ∂ 2Ψ ∂ 2Ψ
Ψ(~ε) = ~σ T [C]~σ −→ Cij = = = Cji
2 ∂σi ∂σj 0 ∂σj ∂σi 0
Sia la matrice [C] che la matrice [D] sono quindi descrivibili con 21 coefficienti, determinabili
sperimentalmente con prove meccaniche. Con la prova di trazione ad esempio si trova la curva che
lega σxx a εxx , la cui pendenza valutata in 0 sarà il valore di D11 (o C11 , se il materiale è lineare).
Questo sistema andrebbe però ripetuto 21 volte per attivare singolarmente ogni componente di
tensione deformazione, e si rivela perciò complesso nella pratica. Nella realtà si sfruttano le simmetrie
interne ai reticoli cristallini dei materiali per semplificare il problema, riuscendo a ridurre il numero
di coefficienti necessari a 2, nel caso del materiale elastico lineare isotropo, o 3 nel caso del
materiale ortotropo simmetrico.
Nel generico sistema xyz i potenziali sono espressi come:
Per semplificare l’analisi si passa al sistema principale, nel quale i potenziali elastici sono funzione
delle tensioni/deformazioni principali nonché degli angoli di Eulero che descrivono l’orientamento del
sistema principale rispetto al sistema xyz:
Φ = Φ(ε1 , ε2 , ε3 , α, β, γ)
Ψ = Ψ(σ1 , σ2 , σ3 , α, β, γ)
119
Nel caso di materiale isotropo si ha invarianza per la rotazione delle funzioni potenziale, per cui si
può eliminare la dipendenza dagli angoli di Eulero:
Φ = Φ(ε1 , ε2 , ε3 )
Ψ = Ψ(σ1 , σ2 , σ3 )
Un’altra conseguenza dell’invarianza per rotazione è che l’ordine delle tensioni e delle deformazioni
è ininfluente.
Ricordando che il potenziale elastico complementare ha una forma quadratica (poiché risulta dal
termine al secondo ordine dell’espansione in serie di Taylor), per studiare la sua relazione con le
componenti principali si ipotizza che la sua forma sia:
1
Ψ = (a11 σ12 + a22 σ22 + a33 σ32 + 2(a12 σ1 σ2 + a13 σ1 σ3 + a23 σ2 σ3 ))
2
Per rispettare l’isotropia, e quindi poter arbitrariamente scambiare l’ordine di σ1 , σ2 e σ3 , sarà
necessario che:
1
a11 = a22 = a33 =
E
ν
a12 = a13 = a23 =−
E
E viene definito modulo di elasticità (o modulo di Young) mentre ν viene definito rapporto
di Poisson.
L’espressione del potenziale elastico complementare nel sistema principale diventa quindi:
1 2
Ψ= (σ + σ22 + σ32 − 2ν(σ1 σ2 + σ1 σ3 + σ2 σ3 ))
2E 1
Ricordando le espressioni degli invarianti ottenute nel calcolo degli autovalori di [E] e di [S]:
1 2
Ψ= (I − 2I2 − 2ν(I2 ))
2E 1
1
= ((σxx + σyy + σzz )2 − 2(1 + ν)(σxx σyy + σyy σzz + σzz σxx − τxy
2 2
− τxz 2
− τyz ))
2E
1 2 2 2 2 2 2
= (σ + σyy + σzz − 2ν(σxx σyy + σyy σzz + σzz σxx ) + 2(1 + ν)(τxy + τxz + τyz ))
2E xx
120
Si trovano ora le relazioni tra le componenti dello stato di tensione e quelle dello stato di deforma-
zione derivando il potenziale elastico complementare rispetto a ciascuna componente dello stato di
tensione:
∂ 2Ψ σxx ν ν ∂ 2Ψ 2(1 + ν)
2
= εxx = − σyy − σzz 2
= γxy = τxy
∂σxx E E E ∂τxy E
∂ 2Ψ σyy ν ν ∂ 2Ψ 2(1 + ν)
2
= ε yy = − σxx − σzz 2
= γxz = τxz
∂σyy E E E ∂τxz E
∂ 2Ψ σzz ν ν ∂ 2Ψ 2(1 + ν)
2
= εzz = − σxx − σyy 2
= γyz = τyz
∂σzz E E E ∂τyz E
Le espressioni trovate dipendono da due sole costanti, E e ν, le quali possono essere combinate in
una singola costante G che prende il nome di modulo di elasticità al taglio:
E
G=
2(1 + ν)
Si può quindi riempire la matrice di cedevolezza con i termini trovati:
− Eν − Eν
1
E
0 0 0
ν
− E E
1
− Eν 0 0 0
ν
− − Eν 1
0 0 0
[C] = E E
0 1
0 0 G
0 0
1
0 0 0 0 0
G
1
0 0 0 0 0 G
La matrice di cedevolezza soddisfa la relazione:
~ε = [C]~σ
La matrice [C] esprime quindi le leggi che mettono in relazione le tensioni alle deformazioni, le
quali prendono il nome di leggi di Hooke per il legame inverso.
Si può rifare la stessa trattazione per ricavare la matrice di rigidezza [D] a partire dal potenziale
elastico, oppure più semplicemente ricordando che [D] = [C]−1 si ottiene che:
2(1−ν) 2ν 2ν
0 0 0
1−2ν 1−2ν
2(1−ν)
1−2ν
2ν
1−2ν 1−2ν
0 0 0
2(1−ν)
0 0 0
[D] = G
1−2ν
1 0 0
1 0
simm. 1
Analogamente al legame inverso, la matrice [D] esprime le leggi di Hooke per il legame diretto.
Il potenziale elastico nel sistema xyz vale quindi:
1−ν 2 2ν 1 2
Φ=G (εxx + ε2yy + ε2zz ) + (εxx εyy + εyy εzz + εzz εxx ) + (γxy 2
+ γxz 2
+ γyz )
2ν 1 − 2ν 2
O, in funzione degli invarianti:
E 1−ν 2
Φ= I − 2I2E
2(1 + ν) 1 − 2ν 1E
Dato che i potenziali sono invarianti per rotazione (poiché esprimibili come funzione degli invarianti
delle matrici [E] e [S]), anche le matrici [C] e [D] sono invarianti per rotazione, non dipendono cioè
dalla rotazione del sistema di riferimento. Una conseguenza importante dell’invarianza alla rotazione
è che le direzioni principali di σ e di ε coincidono.
121
Si cerca ora di trovare una relazione tra la deformazione volumica e la tensione idrostatica:
εV = ε 1 + ε2 + ε3
σV = σ1 + σ2 + σ3
Con la relazione:
~ε = [C]~σ
Si ricava che:
1 − 2ν
ε1 = σV
E
1 − 2ν
ε2 = σV
E
1 − 2ν
ε3 = σV
E
Per cui:
3(1 − 2ν) σV
εV = ε1 + ε2 + ε3 = σV =
E k
k viene definito modulo di elasticità volumica, che esprime la relazione tra una tensione
idrostatica e la deformazione che questa causa.
Ci si pone ora il problema di misurare il valore delle costanti E e ν. Considerando la prova di
trazione:
F A0
F
L0
F L − L0 ∆L D − D0 ∆D
σn = εN = = εT = =
A0 L L D0 D0
Per le relazioni trovate precedentemente si ha che:
σxx
εxx =
E
−νσxx
εyy =
E
σxx
Dato che σN = σxx , εN = εyy e εT = E
si ricavano le relazioni:
σN
E=
εN
εT
ν=−
εN
122
Si possono rappresentare gli andamenti delle costanti, rispetto all’andamento della curva σε:
σN
εN
ν
1
2
εn
σ
Si ha che, nel passaggio dal campo elastico della curva σε al campo plastico, il valore di ν subisce
un incremento repentino che lo porta asintoticamente al valore di 21 .
Si ricavano ora dei limiti termodinamici ai valori che le costanti elastiche possono assumere.
Nel caso della prova di trazione il potenziale elastico complementare si riduce a:
2
1 σxx
Ψ=
2 E
Dato che il potenziale elastico complementare, per rispettare le condizioni imposte sulla sua
reversibilità e monotonia, deve essere sempre maggiore di zero, si conclude che anche E deve esserlo.
Allo stesso modo con una prova di torsione il potenziale elastico complementare si riduce a:
2
1 τxz
Ψ=
2 G
Per la stessa considerazione fatta prima quindi anche G deve essere strettamente positivo.
Applicando uno stato di tensione idrostatico (ovvero con σ1 = σ2 = σ3 = σV ) il potenziale elastico
complementare diventa:
1 σ2
Ψ= (3σV2 − 2ν3σV2 ) = V
2E k
Si deduce quindi che anche k deve essere positivo.
Unendo le condizioni trovate si trova l’intervallo di valori ammissibili per ν:
E
(E > 0) ∩ (G > 0) =⇒ > 0 =⇒ ν > −1
2(1 + ν)
E 1
(E > 0) ∩ (k > 0) =⇒ > 0 =⇒ ν <
3(1 − 2ν) 2
123
I materiali con 0 < ν < 12 sono detti materiali standard, per i quali ad un allungamento
longitudinale corrisponde un restringimento trasversale, mentre ad un accorciamento longitudinale
corrisponde un’espansione trasversale. I materiali con −1 < ν < 0 sono detti materiali auxettici,
per i quali ad un allungamento longitudinale corrisponde un’espansione trasversale, mentre ad un
accorciamento longitudinale corrisponde un restringimento trasversale.
Tipicamente E, G e k sono misurate in MPa o GPa, mentre ν è adimensionale.
Di seguito vengono riportati a titolo di esempio valori tipici per E e ν per alcune tipologie di
materiali:
E(GPa) ν
acciaio 195-210 0.3
lega Al 68-72 0.31-0.33
lega Cu 100-120 0.32-0.35
vetro 74 0.22-0.24
resina epossidica 2-4 0.38-0.40
2(1 + ν) 2ν
σxx = G εxx + G (εyy + εzz )
1 − 2ν 1 − 2ν
2(1 + ν) 2ν
σyy =G εyy + G (εxx + εzz )
1 − 2ν 1 − 2ν
2(1 + ν) 2ν
σzz =G εzz + G (εyy + εzz )
1 − 2ν 1 − 2ν
Aggiungendo e sottraendo ν all’interno della parentesi a numeratore del primo termine e rielabo-
rando si ottiene:
2ν 2ν
σxx = 2Gεxx + G (εxx + εyy + εzz ) = 2Gεxx + G V
1 − 2ν 1 − 2ν
2ν 2ν
σyy = 2Gεyy + G (εxx + εyy + εzz ) = 2Gεyy + G V
1 − 2ν 1 − 2ν
2ν 2ν
σzz = 2Gεzz + G (εxx + εyy + εzz ) = 2Gεzz + G V
1 − 2ν 1 − 2ν
µ=G
Eν
λ=
(1 + ν)(1 − 2ν)
124
Nella formulazione di Lamé la matrice di rigidezza diventa:
λ + 2µ λ λ 0 0 0
λ + 2µ λ 0 0 0
λ + 2µ 0 0 0
[D] =
λ 0 0
λ 0
λ
Il coefficiente k diventa:
2
k= µ+λ
3
La formulazione di Lamé non sarà utilizzata in seguito ma si trova utilizzata per semplificare la
trattazione di alcuni problemi.
τxz τyz
γxz γyz
σyy
σxx εyy
εxx τxy γxy
y
x
Si individua un gruppo di componenti simmetriche rispetto al piano, costituito dalle tensioni σxx ,
σyy , σzz e τxy e dalle deformazioni εxx , εyy , εzz e γxy , e un gruppo di componenti non simmetriche,
costituito dalle tensioni τxz e τyz e dalle deformazioni γxz e γyz .
Questi due gruppi esprimono l’accoppiamento tra le tensioni e le deformazioni che essi contengono,
e perciò le tensioni e le deformazioni di un gruppo non sono accoppiate con quelle nell’altro. La
matrice di rigidezza si può quindi ridurre (ricordando che la matrice [D] è simmetrica) a sole 13
costanti elastiche di accoppiamento tra tensioni e deformazioni:
σxx
D11 D12 D13 0 0 D16 εxx
σyy
D21
D22 D23 0 0 D26
ε yy
σ D31 D32 D33 0 0 D36 ε
zz zz
=
0
τ yz
0 0 D44 D45 0 γyz
τ 0 0 0 D54 D55 0 γ
xz
xz
τxy D61 D62 D63 0 0 D66 γxy
125
Se il materiale presenta tre piani di simmetria questo viene detto ortotropo. Per i materiali
ortotropi la matrice di rigidezza si riduce a:
D11 D12 D13 0 0 0
D22 D23 0 0 0
D33 0 0 0
{~σ } = {~
ε}
D44 0 0
D55 0
sim. D66
Si nota che per i materiali ortotropi si ha un completo di disaccoppiamento tra le componenti
normali (σxx , σyy , σzz e εxx , εyy , εzz ) e le componenti tangenziali (τxy , τxz , τyz e γxz , γyz , γxy ). Per il
materiale ortotropo sono necessarie quindi solo 9 costanti elastiche.
Esiste una sottocategoria di materiali ortortopi nei quali le proprietà meccaniche sono uguali nelle
tre direzioni, che sono detti materiali ortotropi simmetrici. Per il materiale ortotropo simmetrico
la matrice di rigidezza necessita di 3 costanti elastiche:
a b b 0 0 0
a b 0 0 0
a 0 0 0
{~σ } = {~
ε}
c 0 0
c 0
sim. c
Per questa classe di materiali la matrice di cedevolezza è la stessa vista per il materiale isotropo:
− Eν − Eν
1
E
0 0 0
ν
− E
1
E
− Eν 0 0 0
ν
− − Eν 1
0 0 0
[C] = E E
0 1
0 0 G
0 0
1
0 0 0 0 0
G
1
0 0 0 0 0 G
La differenza con il materiale isotropo sta nel fatto che per il materiale ortotropo E, ν e G non
sono linearmente indipendenti, per cui per il materiale ortotropo si perde la proprietà di invarianza
alla rotazione della matrice, che resta uguale a quella del caso isotropo solo se il sistema di riferimento
è allineato al sistema ortotropo. In questo caso se il sistema di riferimento è coincidente con il sistema
principale delle tensioni anche il sistema principale delle deformazioni coincide con il sistema di
riferimento. Se il sistema è orientato diversamente la matrice si riempie, con termini che dipendono
comunque solo da E, ν e G, e si perde la coincidenza tra i sistemi principali, poiché nascono termini
di accoppiamento tra le componenti normali e le componenti tangenziali.
126
7.6 Stati di tensione o deformazione piani
Nel caso di stati di tensione piani il calcolo delle componenti di deformazione è semplificato.
Assumendo che l’asse z coincida con la direzione principale 3, e che σ3 = 0, si ha che σzz = τyz = τxz = 0.
Il calcolo si può quindi ridurre a:
1 −ν −ν
εxx 0 σxx
ε 1 −ν 1 −ν 0 σyy
yy
=
εzz E −ν −ν 1 0 σzz = 0
γxy 0 0 0 2(1 + ν) τxy
1
εxx = (σxx − νσyy )
E
1
εyy = (σyy − νσxx )
E
ν
εzz = − (σxx + σyy )
E
2(1 + ν) 1
γxy = τxy = τxy
E G
1 − ν −ν −ν
εxx 0 σxx
εyy 1 + ν −ν 1 − ν −ν 0 σyy
=
εzz = 0 −ν −ν 1 − ν 0 σzz
E
γxy 0 0 0 2 τxy
Le relazioni sopra riportate sono le leggi di Hooke per lo stato di deformazione piano.
127
7.7 Il problema generale del solido elastico lineare
Il problema generale del solido elastico lineare consiste nella determinazione, sul dominio del
volume V considerato, di 15 incognite, composte da:
Il problema così formulato è lineare, per via delle ipotesi dei piccoli spostamenti e piccoli gradienti
di spostamento e per la definizione del legame costitutivo. Una conseguenza importante della linearità
del problema è la validità del principio di sovrapposizione degli effetti, per cui uno stato di sollecitazione
dovuto a più carichi applicati può essere ottenuto sommando le soluzioni al problema rispetto ai
singoli carichi. Un risultato fondamentale che deriva dalla sovrapposizione degli effetti è la possibili-
tà di dimostrare che, se questa esiste, la soluzione al problema generale del solido elastico lineare è unica.
Teorema di Kirchoff: Se la soluzione al problema generale del solido elastico lineare esiste, questa
è unica.
Dimostrazione:
Si ipotizzi per assurdo che esistano due soluzioni al problema generale, indicate rispettivamente
con i pedici 1 e 2, per le quali si ha:
Data la linearità del problema si può fare la differenza tra la prima soluzione e la seconda, ottenendo
per la sovrapposizione degli effetti una nuova soluzione:
[δ]T ∆~σ = 0
[α]∆~σ = 0
[δ]∆~u = ∆~ε
128
Se (∆~u, ∆~σ , ∆~ε) identificano una soluzione, per il legame costitutivo si ha che:
∆~σ = [D]∆~ε
Sarà inoltre definito un potenziale elastico come:
1
Φ = Φ(∆~ε) = ∆~ε T [D]∆~ε
2
Se ∆~σ rispetta l’equilibrio, deve essere ~b = 0 e p~ = 0. Se le azioni esterne sono nulle sarà di
conseguenza nullo anche il lavoro virtuale esterno, Lve = 0.
Per il principio dei lavori virtuali si ha che:
Z Z
Lve = Lvi = 0 = ∆~σ ∆~εdV = 2ΦdV
V V
Quindi per il principio dei lavori virtuali il potenziale elastico è nullo. Questo è possibile se e solo
se ∆~ε = 0, poiché se così non fosse il potenziale elastico sarebbe un valore positivo. Si è dimostrato
quindi che ∆~ε = 0 =⇒ ~ε1 = ~ε2 .
Ricordando che:
∆~σ = [D]∆~ε
Si può dire che ∆~ε = 0 =⇒ ∆~σ = 0 =⇒ ~σ1 = ~σ2 .
Le due soluzioni sono quindi coincidenti, e perciò la soluzione al problema generale del solido
elastico lineare è unica
Esistono tuttavia situazioni in cui l’unicità della soluzione viene meno e hanno luogo fenomeni di
biforcazione, che renderanno necessaria l’introduzione di nuovi modelli (ad esempio nell’instabilità
dell’equilibrio). L’esistenza della soluzione è dimostrabile, ma la dimostrazione esula dallo scopo del
corso.
Si conclude quindi che la soluzione del problema generale del solido elastico lineare esiste ed è unica.
L’esistenza e l’unicità della soluzione non implicano che la soluzione in forma chiusa sia semplice
da trovare. Si effettuano quindi delle ipotesi sulla soluzione, o su parte di essa, per poi verificare le
equazioni di equilibrio, di congruenza e del legame costitutivo. Terminata la verifica si valuta il livello
di approssimazione entro il quale la soluzione è accettabile (metodo semi inverso).
129
7.8 Teoremi energetici
Vengono ora introdotti una serie di teoremi legati all’energia che forniranno una base per la
soluzione di alcuni problemi.
Si ricordano le definizioni di densità di lavoro interno, di potenziale elastico e potenziale elastico
complementare, di lavoro interno ed esterno e la relazione tra potenziale elastico e potenziale elastico
complementare per il materiale elastico lineare isotropo:
ZεF ZΦF
T
d`i = ~σ T (~ε)d~ε = dΦ `i = ~σ (~ε)d~ε = dΦ = ΦF
0 0
Φ = Φ(~ε) Z Z
Li = `i dV = ΦdV = UE
dΨ = ~ε T (~σ )d~σ
V V
Ψ = Ψ(~σ ) Le = Li = UE
1 1 1 1
Φ(~ε) = Ψ(~σ ) = ~σ T ~ε = ~ε T ~σ = ~σ T [C]~σ = ~ε T [D]~ε
2 2 2 2
Teorema di Clapeyron: In un processo quasi statico su un materiale elastico lineare, l’energia
potenziale elastica è pari alla metà del lavoro che le forze esterne, prese rispetto al loro valore finale,
compirebbero per gli spostamenti, presi nel loro valore finale.
Dimostrazione:
η
~u
130
Teorema di Betti: Dati due sistemi equilibrati di forze, il lavoro che le tensioni del primo sistema
compiono rispetto alle deformazioni causate dal secondo è pari al lavoro che le tensioni del secondo
sistema compiono rispetto alle deformazioni causate dal primo.
Dimostrazione:
Dati due sistemi di tensioni A e B, per il teorema di Clapeyron i lavori nei due sistemi valgono:
1 Z
~b T ~uA dV +
Z
1 Z
~b T ~uB dV +
Z
LA =
A p~AT ~uA dΩ LB =
B p~BT ~uB dΩ
2 2
V ΩP V ΩP
Il lavoro del sistema A + B sarà dato dalla somma del lavoro compiuto dal sistema A, del lavoro
compiuto dal sistema B, e , ipotizzando che il sistema complessivo venga caricato prima con A e poi
con B, il lavoro compiuto dalle tensioni del sistema A rispetto agli spostamenti del sistema B:
LA+B = LA + LB + LAB
Analogamente, se si applica prima il sistema B e poi il sistema A, si ottiene che il lavoro totale
è dato dalla somma dei lavori nei singoli sistemi e il lavoro compiuto dalle tensioni del sistema B
rispetto agli spostamenti del sistema A:
LB+A = LA + LB + LBA
Queste componenti addizionali di lavoro sono date da:
1 Z
~b T ~uB dV +
Z
1 Z
~b T ~uA dV +
Z
LAB =
A p~AT ~uB dΩ LBA =
B p~BT ~uA dΩ
2 2
V ΩP V ΩP
LA+B = LB+A
LA + LB + LAB = LA + LB + LBA
E quindi:
LAB = LBA
La validità del teorema di Betti si può intuire costruendo i diagrammi forza-spostamento per i
sistemi A+B e B+A:
F F
FA + FB FA + FB
LB
FA LA
FB
LA+B LB+A
LA LB
uA uA + uB u u
uB uA + uB
Essendo ovviamente LA = LA e LB = LB deve essere LAB = LBA . Si osserva però che esistono
sistemi che non interagiscono tra loro, che vengono detti sistemi tra di loro ortogonali, per i quali
LAB = LBA = 0.
131
L’uguaglianza tra i lavori mutui si può dimostrare anche con il principio dei lavori virtuali. Per il
principio dei lavori virtuali, per il processo A+B si può scrivere:
Z Z Z
~b T ~uB dV + p~AT ~uB dΩ = ~σAT ~εB dV
A
V ΩP V
Il termine a sinistra è esattamente il lavoro mutuo LAB , mentre il termine a destra, ricordando la
relazione di ~σ e ~ε con la matrice di cedevolezza, si può riscrivere come:
Z
LAB = ~σAT [C]~σB dV
V
L’uguaglianza tra i lavori mutui può essere impiegata per semplificare l’analisi di alcuni problemi,
poiché consente di individuare simmetrie.
Il teorema di Betti è la generalizzazione del teorema di Maxwell, ad esso antecedente, il quale ne è
quindi un caso particolare.
Teorema di Maxwell: In una struttura lineare elastica caricata da due forze generalizzate (ovvero
forze o momenti) unitarie, il modulo dello spostamento del punto in cui è applicata la prima forza
nella sua direzione per effetto della seconda forza è pari al modulo dello spostamento del punto in cui
è applicata la seconda forza nella sua direzione per effetto della prima.
Dimostrazione:
Dato un sistema su cui sono applicate le forze unitarie Fi = 1 ed Fj = 1, i lavori mutui saranno
dati dal prodotto di ciascuna forza per lo spostamento del punto su cui è applicata prodotto dall’altra
forza:
Lij = Fi (uji Fj )
Lji = Fj (uij Fi )
Per il teorema di Betti si ha che:
Lij = Lji
uji Fi Fj = uij Fj Fi
E quindi:
uji = uij
uij e uji sono detti coefficienti di influenza, e descrivono l’effetto sulla deformata provocato
da una forza. I coefficienti sono dimensionalmente degli spostamenti per unità di forza, per cui per
trovare lo spostamento per forze non unitarie basterà moltiplicarli per il modulo della forza.
132
Teorema di Castigliano: In un sistema lineare elastico caricato, lo spostamento nella direzione di
una forza generalizzata è pari alla derivata parziale dell’energia potenziale elastica nella direzione
della forza stessa.
Dimostrazione:
Considerando una piccola variazione dQi di queste azioni si avrà una variazione corrispondente
nel campo di spostamento e negli stati di tensione e deformazione. Se si considera come sistema B il
sistema dopo la piccola variazione, si avrà un lavoro dato da:
1
LB = dQi dηi
2
dove ηi è la proiezione di ui in direzione di Qi .
Nasceranno inoltre dei contributi al lavoro dati dal lavoro compiuto da ciascuna azione del sistema
A rispetto agli spostamenti del sistema B prodotti da dQi , dLAB .
Ricordando che, per il teorema di Betti, dLAB = dLBA , si può calcolare più facilmente il contributo
aggiuntivo al lavoro totale, che sarà dato da:
dLBA = dQi ηi
A questo punto il lavoro totale è dato da:
n
1 Z
~b T ~udV +
Z
~ i~ui 1
p~ T ~udΩ +
X
LE = LA + LB + LBA = Q + dQi dηi + dQi ηi
2 2
V ΩP i=1
L’energia potenziale elastica subisce una piccola variazione che può essere espressa con lo sviluppo
in serie di Taylor al primo ordine:
0
UE = UE (Q1 , Q2 , ..., Qi + dQi , ..., Qn−1 , Qn , ~b, p~)
∂UE
= UE (Q1 , Q2 , ..., Qi , ..., Qn−1 , Qn , ~b, p~) + dQi
∂Qi
0
Dato che LE = UE si può scrivere che:
1 ∂UE
LA + dQi dηi + dQi ηi = UE + dQi
2 ∂Qi
Si osserva che LA è pari ad UE , essendo entrambi riferiti al solo sistema A, per cui possono essere
semplificati. Il secondo termine prima dell’uguale può essere anch’esso semplificato dato che è un
infinitesimo di ordine superiore.
Rimane:
∂UE
dQi ηi =
dQi
∂Qi
La precedente espressione deve valere ∀dQi =
6 0, per cui dQi si può semplificare ottenendo:
∂UE
ηi =
∂Qi
133
Si nota subito che il teorema Castigliano è più forte rispetto al teorema di Clapeyron, perché
consente di ricavare lo spostamento anche in presenza di più forze applicate al corpo. Il teorema di
Castigliano è inoltre estendibile ulteriormente per permettere di calcolare lo spostamento anche nei
punti non caricati.
Per fare ciò si considera, nel punto interessato, l’applicazione di un carico fittizio Qn+1 , che produrrà
uno spostamento secondo Castigliano dato da:
∗
ηn+1 = ηn+1 + Qn+1
A questo punto, se si fa tendere Qn+1 a zero si ottiene:
∗ ∂UE∗
lim ηn+1 = lim = ηn+1
Qn+1 →0 Qn+1 →0 ∂Qn+1
Lo spostamento in un generico punto non caricato si ottiene quindi calcolando l’energia potenziale
elastica considerato un carico fittizio applicato nel punto e facendo tendere a zero la sua derivata
parziale lungo la direzione del carico fittizio.
SNERVAMENTO
εn
Il materiale dopo il tratto lineare elastico raggiunge un punto, detto snervamento, al quale
si perdono le caratteristiche di linearità ed elasticità. A seguito dello snervamento si passa al
tratto di deformazione plastica, ovvero permanente. Lo snervamento non è sempre immediatamente
individuabile sul diagramma σ − ε, e in questi casi si definisce il carico di snervamento il carico
individuato dall’intersezione tra la curva sforzo deformazione e una retta parallela al tratto elastico
passante per il punto sull’ascissa corrispondente allo 0.2% di deformazione. Lo snervamento si può
quindi considerare un evento di crisi. Un altro esempio di evento di crisi è ovviamente la rottura, che
interrompe la coesione del materiale.
I materiali che presentano snervamento, e quindi passaggio da tratto elastico lineare a tratto
plastico, sono detti duttili, mentre i materiali che arrivano a rottura sono detti fragili.
Va tenuto conto che εn e σn , definite come:
F
σn =
A0
∆L
εn =
L0
134
fanno riferimento a piccole deformazioni. Per descrivere meglio la realtà la deformazione va
descritta in modo incrementale, introducendo il true strain e il true stress:
ZL
dL
εt = = ln(1 + εn )
L
L0
σt = σn (1 + εn )
G(~σ ) = g0
Come detto in precedenza possono coesistere più funzioni per la descrizione del dominio elastico, in
tal caso il limite elastico è definito come il massimo valore raggiunto tra tutte le funzioni ammissibili:
G(σ1 , σ2 , σ3 ) = g0
Ipotizzando che la superficie della frontiera sia una sfera (che non è l’unica superficie possibile) e
definendo una costante moltiplicativa del limite elastico k, con 0 < k ≤ 1, con k < 1 si è in campo
elastico, mentre con k = 1 ci si trova sulla frontiera.
Variando k si percorrono quindi tutte le superfici sferiche fino al raggiungimento della frontiera
elastica. Per un dato valore di k, presi due punti A e B sulla superficie da esso individuata, si ha che:
G(σ~A ) = G(σ~B )
Ciò significa che σA e σB sono isocritici, presentano ovvero lo stesso livello di criticità rispetto al
raggiungimento del limite elastico.
135
Tra tutti i punti racchiusi nel dominio elastico si trovano anche quelli relativi alle prove monoassiali,
per cui si può dire che esiste una terna di σ isocritica con il caso monoassiale:
G(σ1 , σ2 , σ3 ) = G(σ, 0, 0)
Il confronto diretto con la prova monoassiale è possibile riscrivendo la funzione G come una funzione
f che abbia le dimensioni di una tensione σeq , la quale viene detta tensione equivalente.
f (σ1 , σ2 , σ3 ) = σeq
Costruita la tensione equivalente si può fare un confronto diretto con la prova monoassiale dalla
quale è noto il valore di tensione critico al quale si esce dal campo elastico.
La tensione equivalente può essere interpretata come la tensione monoassiale isocritica allo stato
di tensione pluriassiale analizzato.
Per definire la funzione f va prima definita la funzione G, e per fare ciò devono essere noti i criteri
di resistenza adottati.
I principali criteri di resistenza che saranno analizzati in seguito sono:
– Criterio di Galileo-Rankine-Navier
– Criterio di Guest-Tresca
– Criterio di Von Mises-Huber-Hencky (Ros-Eichinger)
Tutti i criteri appena menzionati si intendono applicati al solido elastico lineare isotropo.
136
7.10 Criterio di Galileo-Rankine-Navier
Detto anche criterio della massima tensione normale, il criterio per il materiale simmetrico
va a cercare la massima tensione tra le tensioni principali nel sistema considerato, che dovrà essere
minore di un valore critico σ0 :
max{σ1 , σ2 , σ3 } ≤ σ0
Per i materiali asimmetrici va considerata l’asimmetria verificando che la minima tensione principale
sia maggiore di un valore critico σ0− :
max{σ ≤ σ0+
1 , σ2 , σ3 }
min{σ1 , σ2 , σ3 } ≥ −σ −
0
Il criterio definisce G rispetto alle tensioni equivalenti, per cui è già utilizzabile come definizione
della funzione f , per cui la tensione equivalente nel caso simmetrico sarà data da:
σeq = max{σ1 , σ2 , σ3 }
Mentre nel caso asimmetrico sarà data da:
+ −
σeq = max{σ1 , σ2 , σ3 } σeq = min{σ1 , σ2 , σ3 }
σ0+
σ0−
σ0−
σ0+
σ0+
σ2
σ0−
σ1
137
La rappresentazione può essere semplificata con l’utilizzo del piano di Mohr, sul quale i valori
critici di tensione individuano le zone critiche dove il materiale perde il comportamento elastico:
τn
σn
−σ0− σ0+
Degli stati rappresentati solo lo stato in verde può essere considerato in sicurezza, dato che gli
altri hanno una delle tensioni pari al valore critico.
Dalla rappresentazione sul piano di Mohr si nota che il criterio non considera la componente di
scorrimento τn , e questo implica che il criterio descrive bene solamente i materiali fragili per i quali
questa componente non è rilevante, mentre andranno adottati criteri diversi per i materiali duttili.
max{τ1 , τ2 , τ3 } ≤ τ0,max
Dato che l’ordine delle tensioni principali è irrilevante, la tensione massima si può definire come:
( )
|σ1 − σ2 | |σ2 − σ3 | |σ3 − σ1 |
τmax = max , ,
2 2 2
Da una prova di trazione si può misurare il valore σ0 al quale si ha lo scorrimento, con il quale si
può calcolare il valore del taglio massimo.
Quindi il criterio è definito come:
( )
|σ1 − σ2 | |σ2 − σ3 | |σ3 − σ1 | σ0
max , , ≤ = τmax
2 2 2 2
Si può definire la tensione equivalente come:
σn
138
Si può anche dare una rappresentazione tridimensionale, notando che i valori assoluti delle differenze
delle tensioni descrivono coppie di piani il criterio infatti definisce il dominio elastico con un prisma a
base esagonale:
TRISETTRICE
σ1 = σ2 = σ3
σ3
σ2
σ1
Osservando la proiezione del dominio elastico nel piano σ1 − σ2 si vede che, rispetto a Galileo-
Rankine, viene "tagliata" la zona in cui sono presenti contemporaneamente σ1 e σ2 , viene ovvero
raggiunta la zona critica a taglio prima con Guest-Tresca che con Galileo-Rankine:
σ2
σ0
σ0
σ1
−σ0
GALILEO
−σ0
139
7.12 Criterio di Von Mises-Huber-Hencky (Ros-Eichinger)
L’ipotesi alla base del criterio può essere espressa in tre modi.
Per Ros-Eichinger si ipotizza che la crisi sia raggiunta quando la tensione tangenziale sul piano
ottaedrale raggiunge un valore critico al quale si ha lo scorrimento.
Per Von Mises-Huber-Hencky si ha la crisi quando l’energia di distorsione associata al deviatore di
tensione raggiunge un valore critico.
Alternativamente si ipotizza l’evento di crisi al raggiungimento di un valore critico della tensione
tangenziale media.
Formulazione di Ros-Eichinger:
Si considera il piano ottaedrale, ovvero il piano avente come normale la trisettrice del sistema 123,
avente giacitura:
1
~n = √ (1, 1, 1)
3
Dato un generico stato di tensione descritto dal tensore di Cauchy nel sistema principale [SP ], la
tensione sul piano ottaedrale si ottiene come:
σ1 + σ2 + σ3
σn = ~tn · ~n = = σIDR
3
τn2 = t2n − σn2 = (σ1 − σ2 )2 α12 α22 + (σ2 − σ3 )2 α22 α32 + (σ3 − σ1 )2 α32 α12
√
1q 2
(σ1 − σ2 ) + (σ2 − σ3 ) + (σ3 − σ1 ) ≤
2 2 2 σ0
3 3
1 q
√ (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ≤ σ0
2
La tensione equivalente secondo Ros-Eichinger vale quindi:
1 q
σeq = √ (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2
2
140
Formulazione di Von Mises-Huber-Hencky:
Φ = ΦI + ΦD
Per il criterio viene considerata solo la parte di energia relativa alla distorsione, ovvero la sola
componente deviatorica. L’energia elastica deviatorica può essere espressa come:
1 1−ν
ΦD = ~σDT [C]~σD = [(σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ]
2 6E
Il criterio prevede che l’energia non superi un valore critico, per cui si lo si può scrivere come:
1−ν
[(σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ] ≤ Φ0
6E
Con una prova di trazione si può ricavare il valore critico σ0 al quale si ha lo scorrimento, per cui
il potenziale elastico critico è dato da:
1−ν 1−ν 2
Φ0 = [(σ0 − 0)2 + (0 − 0)2 + (0 − σ0 )2 ] = σ
6E 3E 0
Sostituendo nell’espressione del criterio si ottiene:
1−ν 1−ν 2
[(σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ] ≤ σ
6E 3E 0
Rielaborando si ottiene la stessa espressione ricavata con la formulazione di Ros-Eichinger:
1 q
σeq = √ (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ≤ σ0
2
141
Si osserva che, sostituendo all’espressione della σeq gli invarianti, si può riscrivere facilmente σeq
nel sistema xyz, cosa che era difficilmente fattibile con Guest-Tresca:
1 q
σeq = √ I12 − 3I2 ≤ σ0
2
1 q
σeq = √ (σxx − σyy )2 + (σyy − σzz )2 + (σzz − σx x)2 + 6(τxy
2 + τ2 + τ2 ) ≤ σ
yz xz 0
2
Il criterio di Von Mises può essere quindi applicato facilmente sia che ci si trovi nel sistema
principale che nel sistema ruotato.
La rappresentazione del criterio sul piano di Mohr è difficile e generalmente non viene data. Si
adotta quindi la rappresentazione nel sistema 123, che si può effettuare notando che il criterio individua
un cilindro obliquo avente asse coincidente con la trisettrice del sistema:
σ3
σ2
σ1
σ0
−σ0
σ1
σ0
−σ0
Si nota come il criterio di Von Mises contiene la superficie individuata dal criterio di Tresca, per
cui quest’ultimo è più cautelativo. Si verifica sperimentalmente che la differenza massima tra i due
criteri è del 14%. Nella pratica si usa più spesso il criterio di Von Mises.
142
7.13 Criterio di Mohr
Il criterio di Mohr è un criterio empirico che definisce la frontiera elastica come l’inviluppo dei
risultati di più prove sperimentali.
Ad esempio, si possono sottoporre dei provini alle prove di trazione, dalla quale si otterrà una
−
σ0+ , compressione, dalla
" quale
# si otterrà una σ0 , e torsione, la quale prevede " l’applicazione
# di una
0 α α 0
sollecitazione del tipo che produce uno stato di tensione della forma .
α 0 0 −α
Con i valori limite trovati si potranno tracciare tre cerchi sul piano di Mohr, il cui inviluppo
definisce il luogo dei punti che costituiscono la frontiera elastica:
τn
σn
−α α
σ0− σ0+
Più prove sperimentali si effettuano, migliore sarà l’approssimazione della frontiera elastica.
Tipicamente non si chiude la frontiera elastica nella zona a compressione, dato che generalmente la
resistenza del materiale, specie del materiale fragile, aumenta a compressione.
Per il criterio di Mohr l’evento di crisi nasce quando uno dei tre cerchi tocca la linea di frontiera.
Dipende ovvero dai valori massimi/minimi delle tensioni principali.
τ0
a φ R1 φ
σn
σ0− b σ0+ P0
Noti:
σ0+
R1 =
2
σ0− − σ0+
a=
2
σ0− + σ0+
b=
2
143
I valori dell’inclinazione della retta tangente e delle sue intercette con gli assi sono dati da:
a σ − − σ0+
sin(φ) = = 0−
b σ0 + σ0+
R1 σ+ σ+ 1 σ+σ−
P0 = R1 + = 0 + 0 = −0 0 +
sin(φ) 2 2 sin(φ) σ0 − σ0
τ0 = P0 tan(φ)
τn = τ0 + σn tan(φ)
Nel campo della geotecnica l’equazione ricavata assume un significato fisico. τ0 descrive la coesione
del materiale, ovvero la sua proprietà di non scorrere, mentre tan(φ) descrive un cono di attrito. Ad
esempio per le rocce lungo una linea di faglia lo scorrimento è impedito dal carico di compressione
esercitato dalla roccia soprastante, che fa nascere un attrito che si oppone allo scorrimento. In campo
ingegneristico questo criterio è utilizzato per materiali asimmetrici, specialmente per quanto riguarda
le ghise.
Si può rappresentare il criterio nel sistema principale, ottenendo una piramide a base esagonale
con asse coincidente con la trisettrice del sistema:
σ3
σ2
σ1
Rispetto al criterio di Tresca quindi si nota che la tensione idrostatica assume un ruolo importante,
poiché esiste un punto sulla trisettrice che non è possibile superare. Se il materiale è simmetrico
il criterio di Mohr-Coulomb si riconduce al criterio di Tresca, poiché la tangente ai cerchi di Mohr
sarebbe orizzontale, e quindi si otterrebbe nello spazio un prisma a base esagonale con asse coincidente
con la trisettrice del sistema.
144
7.15 Criterio di Drucker-Prager
Il criterio di Drucker-Prager è simile al criterio di Mohr-Coulomb con la differenza che, anziché
considerare una giacitura ~n qualunque, si considera la giacitura del piano ottaedrale, ottenendo
un’espressione della tensione tangenziale del tipo:
s
2
τOT T = (3ασI + Y )
3
α e Y sono parametri caratteristici del materiale.
Ricordando che:
1q
τOT T = (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2
3
σ1 + σ2 + σ3
σI =
3
i parametri sono determinabili svolgendo due prove sperimentali (es. trazione e compressione) e
sostituendo i valori ottenuti nell’equazione della tensione ottaedrale. Si può verificare che si ottengono
le seguenti espressioni:
1 σ + − σ0−
α = √ 0+
3 σ0 + σ0−
2 σ0+ σ0−
Y = √
3 σ0+ + σ0−
L’espressione del criterio si può riscrivere utilizzando l’invariante J2 del deviatore e l’invariante I1
del tensore come:
q
−J2 − αI1 = Y
Si può rappresentare il criterio nel sistema principale ottenendo un cono con base un ellisse e asse
coincidente con la trisettrice del sistema:
σ3
σ2
σ1
Si nota come il criterio di Mohr-Coulomb è contenuto nel criterio di Drucker-Prager, per cui
quest’ultimo è meno cautelativo. Il criterio di Drucker-prager è più utilizzato rispetto a Mohr-Coulomb
nella modellazione numerica per la comodità di avere una superficie continua che individua il criterio
anziché una superficie a falde.
145
7.16 Fattore di sicurezza
La frontiera elastica individua il limite del comportamento elastico del materiale, ma nella progetta-
zione solitamente si tende a restare sufficientemente distanti dalla condizione limite. Si introduce quindi
un fattore di sicurezza, che consente di avere un margine di sovraccarico, ovvero un’informazione
su quanto è possibile aumentare il carico applicato prima di arrivare all’evento critico, e di avere
informazioni sul peggioramento delle caratteristiche del materiale all’aumentare del carico.
Dato il generico criterio definito da:
σeq ≤ σ0
Se il fattore di sicurezza definisce un margine di sovraccarico, questo definisce un limite del tipo:
σ1
σ0− σ0+
σ0− σ0+
ϕ ϕ
La normativa definisce valori del fattore di sicurezza, che sono ottenuti da considerazioni di tipo
statistico, poiché ad esempio i materiali fragili arrivano a rottura al termine del campo elastico con una
distribuzione anche abbastanza ampia di valori di resistenza, e da considerazioni pratiche sull’evento
di rottura, poiché ad esempio se la rottura pone in pericolo le persone è sensato prevedere un margine
di sicurezza più restrittivo.
146
Esercizio 17. Criteri di resistenza: Guest-Tresca e Von Mises
Dall’analisi di un particolare strutturale in acciaio (carico di rottura σR = 500 MPa, carico di
snervamento σys = 375 MPa, allungamento a rottura εR% = 18%) risulta che nel punto più critico lo
stato di tensione è definito dal tensore:
√
50 3
175
√ 2
0
[S] = 50 3
2 125 0 [M P a]
0 0 −100
Condurre la verifica con i criteri di Guest-Tresca e di Von Mises e stabilire come cambia il fattore
di sicurezza supposto un aumento delle tensioni normali σxx , σyy e σzz pari a 35 MPa.
Dato che la terza riga e la terza colonna del tensore delle tensioni sono nulle ad eccezione del
termine diagonale, quest’ultimo è una tensione principale:
s
2
σxx + σyy σxx − σyy
σ1,2 = + 2 = (150 ± 50) MPa −→ σ = 200 MPa, σ = 100 MPa
+ τxy 1 2
2 2
Quindi il tensore di Cauchy nel sistema principale è:
200 0 0
[SP ] =
100 0 [M P a]
−100
Il criterio di Guest-Tresca è soddisfatto se:
1 q
σys = √ (σxx − σyy )2 + (σyy − σzz )2 + (σzz − σxx )2 + 6(τxy
2 + τ2 + τ2 ) ≤ σ
yz xz ys
2
1 q
= √ (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ≤ σys
2
147
Si ottiene:
√ √
50 3 50 3
175
√ 2
0 35 0 0 210
√ 2
0
[S1 ] = 50 3
125 0 [M P a] + 0 35 0 [M P a] = 2 3
50
160 [M P a]
0
2
0 0 −100 0 0 35 0 0 −65
Non è necessario ricalcolare le tensioni principali, poiché l’aumento delle tensioni è solo rispetto ai
termini diagonali. Le nuove tensioni principali saranno quindi:
Dato che sia il criterio di Guest-Tresca che il criterio di Von Mises si basano sulle differenze tra le
tensioni principali, e che nel nuovo stato di tensione queste sono state aumentate dello stesso valore, i
criteri restano verificati, e i fattori di sicurezza di conseguenza sono invariati. Quello che si conclude
è che la sovrapposizione di uno stato di tensione idrostatico ad uno stato di tensione generico non
produce effetti sullo snervamento.
Rappresentando lo stato di tensione prima e dopo l’aggiunta dello stato idrostatico sul piano di
Mohr si vede come l’aggiunta comporta solamente una traslazione orizzontale dei cerchi di Mohr:
τn
187.5
σn
-100
-65
135
200
100
235
148
Esercizio 18. Criteri di resistenza: Mohr e Mohr-Coulomb
Dall’analisi di una ghisa G300 (resistenza a trazione σ0+ = 300 MPa, resistenza a compressione
σ0− = 1000 MPa, resistenza a torsione τM + = 260 MPa) risulta che nel punto più critico lo stato di
tensione è definito dal tensore:
100 0 0
[SP ] =
50 0
[M P a]
−50
Costruire il luogo di resistenza secondo i criteri di Mohr e di Mohr-Coulomb, calcolare il fattore
di sicurezza rispetto al criterio di Mohr-Coulomb e ricalcolare il fattore di sicurezza nell’ipotesi che
inizialmente sia presente uno stato di tensione idrostatico residuo di trazione σI = 100 MPa.
Le tre resistenze riportate si possono vedere come risultato di prove di trazione, compressione e
torsione descritte dai tensori:
300 0 0 1000 0 0 0 260 0
[ST ] = 0 0 0
[M P a] [SC ] = 0
0 0
[M P a] [SM + ] = 260 0 0
[M P a]
0 0 0 0 0 0 0 0 0
Gli stati di tensione relativi alle prove di trazione e compressione sono già principali, mentre lo
stato di tensione relativo alla prova di torsione si può ricondurre, risolvendo il polinomio caratteristico,
allo stato di tensione principale:
260 0 0
[SM + ] = 0 −260 0
[M P a]
0 0 0
Riportando sul piano di Mohr i tre stati di tensione si può individuare la frontiera elastica secondo
il criterio di Mohr:
τn
σn
-260
260
300
-1000
La frontiera elastica secondo Mohr-Coulomb è identificata da due sole prove, che possono essere
due qualunque tra quelle riportate. Tipicamente si utilizzano le prove di trazione e compressione,
ottenendo in questo caso:
τn
σn
260
-1000
149
La retta che descrive la frontiera di Mohr-Coulomb è descritta da:
σ0− − σ0+ 7
sin(φ) = − + = =⇒ φ = 0.569 rad
σ0 + σ0 13
σ+ σ+ 1 σ+σ−
P0 = 0 + 0 = −0 0 + = 428.6 MPa
2 2 sin(φ) σ0 − σ0
τ0 = P0 tan(φ) = 273.9 MPa
L’equazione della retta è quindi:
τn = τ0 − σn tan(φ)
= 273.9 − σn tan(0.569)[M P a]
Si vuole ora cercare il fattore di sicurezza, che corrisponde al fattore moltiplicativo che fornisce
il margine di sovraccarico relativo al particolare stato di tensione. Intuitivamente si cerca il fattore
moltiplicativo che porta lo stato di tensione originale allo stato di tensione critico, che sul piano di
Mohr avrà il cerchio più grande a contatto con la frontiera elastica:
Il cerchio più grande del nuovo stato di tensione, di centro Cα , sarà tangente alla frontiera, e questo
implica che il suo raggio Cα è perpendicolare a quest’ultima.
Il centro e il raggio del cerchio più grande dello stato di tensione originale sono dati da:
σ1 + σ3
C= ,0
2
σ1 − σ3
R=
2
Il centro e il raggio del cerchio più grande dello stato di tensione originale sono dati da:
ασ1 + ασ3 σ1 + σ3
Cα = ,0 = α ,0
2 2
ασ1 − ασ3 σ1 − σ3
Rα = =α
2 2
Si può trovare una relazione tra i due cerchi osservando che:
(P0 − Cα ) sin(φ) = Rα
Si ottiene quindi un’equazione in α dalla quale si ricava, sostituendo i valori, che α = 2.61. Si può
quindi aumentare il carico del 161% prima di raggiungere la condizione di crisi.
Alternativamente si può vedere il fattore moltiplicativo come una descrizione del peggioramento
delle caratteristiche del materiale. Risolvendo l’equazione:
P0 7
−C =R
α 13
Si ricava un valore minimo, a φ costante, di P0 , che rappresenta una P0 ammissibile, cioè una
traslazione orizzontale della frontiera elastica che descrive per l’appunto il peggioramento delle qualità
del materiale.
Le due strade (sovraccarico e peggioramento delle proprietà) vanno percorse in funzione del valore
del fattore di sicurezza. In questo caso è preferibile fare considerazioni sulle possibilità di sovraccarico
poiché il valore del fattore di sicurezza è ben maggiore della dispersione statistica attesa per le prove
sperimentali su una ghisa. In altri casi, come ad esempio nel caso di carichi impulsivi, è più opportuno
fare considerazioni sul peggioramento delle proprietà del materiale in risposta al carico.
150
Se fosse stato presente inizialmente uno stato di tensione residuo:
50 0 0 200 0 0
[S] = [SP ] + 0 50 0 =
150 0 [M P a]
0 0 50 50
Come visto prima, il raggio dei cerchi di Mohr dipende dalla differenza delle tensioni principali,
per cui l’applicazione di uno stato idrostatico non ne cambia il valore. Cambia il valore dei centri, e
si avrà quindi una traslazione orizzontale dei cerchi di Mohr. Dato che la tensione aggiunta è una
condizione preesistente e non viene amplificata dal fattore α (che agisce solo sul carico applicato a
posteriori), il centro del cerchio più grande dello stato di tensione critico sarà dato da:
σ1 + σ3
Cα = σ I + α ,0
2
Risolvendo in α l’equazione:
(P0 − Cα ) sin(φ) = Rα
Si ottiene il nuovo valore del fattore di sicurezza pari a α = 2.00. Il valore trovato è coerente con
quello che ci si aspettava, dato che l’applicazione di una tensione idrostatica produce uno spostamento
orizzontale dei cerchi di Mohr era prevedibile una diminuzione del sovraccarico ammissibile visto che
lo stato di tensione è più vicino alla frontiera.
Nell’approccio del peggioramento delle proprietà del materiale invece il fattore α agisce sul carico,
e questo porta ad una diminuzione del valore del fattore di sicurezza che diventa pari a α = 1.62.
Questo approccio però non è del tutto corretto dato che, intuitivamente, non ha senso amplificare
l’azione dello stato di tensione residuo presente nel materiale prima dell’applicazione del carico.
151
III La trave e il problema di de St. Venant
Z Z Z
A= dA = dxdy dA
Ω x y
y
Z
Sx = ydA
Ω
x dA
Z y
Sy = xdA
Ω x
Il momento statico viene detto anche momento di ordine uno. Non è invariante per rotazione e
per traslazione.
Il momento d’inerzia rispetto ad un asse è uno scalare positivo definito come l’integrale sulla
superficie Ω del quadrato della distanza dall’asse per l’elemento infinitesimo di area:
y
Z
Ix = y 2 dA
Ω
x dA
Z y
Iy = x2 dA
Ω x
152
La quantità:
Z
Ixy = xydA
Ω
viene definita momento centrifugo, che è una quantità scalare.
Il momento d’inerzia rispetto ad un polo P a distanza r dall’elemento infinitesimo di area è dato
dalla somma dei momenti d’inerzia rispetto a due assi perpendicolari passanti per il polo:
Z Z
IP = r2 dA = (x2 + y 2 )dA = Ix + Iy
Ω Ω
Tale momento è definito momento polare d’inerzia.
Questi momenti sono detti "d’inerzia" poiché misurano la resistenza della sezione ad essere messa
in rotazione attorno agli assi rispetto ai quali i momenti sono calcolati. Per tale motivo non sono inva-
rianti per rotazione e traslazione. Tutti questi momenti vengono anche detti momenti di ordine due.
I vari momenti non sono invarianti per rotazione o per traslazione, per cui vanno studiate le
trasformazioni per traslazione/rotazione per poterli definire completamente.
Un punto P nel sistema di riferimento xy definito dal vettore posizione ~r, sarà definito in un
nuovo sistema di riferimento x0 y 0 , traslato rispetto al primo, dalla somma del vettore posizione ~r0 che
identifica la posizione dell’origine del secondo sistema nel primo sistema e del vettore posizione nel
nuovo sistema:
y0
( )
x
y ~r =
y
P ( )
~r
0 x0
~r0 =
O’ y0
~r0 x0 ( )
~r 0 x − x0
~r = ~r − ~r0
O x y − y0
Il vettore posizione del punto P in un sistema x0 y 0 ruotato rispetto al sistema xy si ottiene attraverso
la matrice di rotazione, costruita mettendo in colonna i versori del sistema ruotato:
( )
~i = cos(θ)
0
y sin(θ)
y0 ( )
P ~j 0 = − sin(θ)
~r ≡ ~r0 cos(θ)
x0 "
cos(θ) − sin(θ)
#
~i [L] =
~j θ sin(θ) cos(θ)
x 0
~r = [L]T ~r
O≡O’ ( ) " #( ) ( )
x0 cos(θ) sin(θ) x x cos(θ) + y sin(θ)
0 = =
y − sin(θ) cos(θ) y −x sin(θ) + y cos(θ)
Per applicare le trasformazioni appena viste ai momenti statici, di questi ultimi va introdotta una
rappresentazione vettoriale, ottenuta mettendo in colonna i momenti statici rispetto ai due assi:
R
( ) xdA
~ = Sy =
Z
S ΩR = ~rdA
Sx
ydA
Ω Ω
153
Con questa rappresentazione è immediato ricavare che il vettore momento statico in un sistema
traslato rispetto al sistema originale è dato dalla differenza tra il vettore momento statico nel sistema
originale e il prodotto tra il vettore ~r0 e l’area della sezione:
( )
~ = Sy0
Z Z Z Z
0 0
S = ~r dA = (~r − ~r0 )dA = ~rdA − ~r0 ~ − ~r0 A
dA = S
Sx0
Ω Ω Ω Ω
In termini scalari:
Sy0 = Sy − x0 A Sx0 = Sx − y0 A
Analogamente con una trasformazione per rotazione si ottiene che il vettore momento statico
nel nuovo sistema ruotato è dato dalla rotazione, per mezzo della matrice di rotazione, del vettore
momento statico nel vecchio sistema:
( )
~ = Sy 0
Z Z
0 0
S = ~r dA = [L]T ~
~rdA = [L]T S
Sx0
Ω Ω
In forma scalare:
Sy
Sy0 = 0 =⇒ Sy − x0 A = 0 =⇒ x0 =
A
Sx
Sx0 = 0 =⇒ Sx − y0 A = 0 =⇒ y0 =
A
Le coordinate del centro del sistema traslato rispetto al quale i momenti statici si annullano
definiscono le coordinate del baricentro G della sezione:
Sy Sx
xG = yG =
A A
Si fanno alcune osservazioni:
• Il baricentro è il punto della sezione dove si possono considerare applicate le risultanti delle
azioni distribuite come la forza peso.
• Il momento statico rispetto ad un asse di simmetria è nullo, poiché si annullano a vicenda gli
infinitesimi di area specchiati.
• I momenti statici godono della proprietà additiva, ovvero si ha che il momento statico di una
somma di aree è dato dalla somma dei momenti statici di ogni singola area
• Per la proprietà additiva la presenza di sezioni cave (es. fori) può essere considerata sommando
i contributi dell’area piena e i contributi dell’area cava, questi ultimi considerati negativi.
154
Si definisce tensore dei momenti d’inerzia il tensore:
R
x2 dA
R
xydA " #
I I
Z
[I] = T
~r~r dA = Ω
R Ω
R 2 = yy xy
xydA y dA Ixy Ixx
Ω Ω Ω
Z Z
0 0 T
[I 0 ] = ~r ~r T dA = ~ r0 r −
r− ~ r0 dA
Ω Ω
Z Z Z Z
= T
~r~r dA + r~0 r~0 T
dA − T
r0 − ~r0
~rdA~ ~ r T − ~r0 S
~rdA = [I] + r~0 r~0 T − S~ ~T
0
Ω Ω Ω Ω
In forma scalare:
Ix0 x0 = Ixx cos2 (θ) + Iyy sin2 (θ) − 2Ixy sin(θ) cos(θ)
Iy0 y0 = Ixx sin2 (θ) + Iyy cos2 (θ) + 2Ixy sin(θ) cos(θ)
Ix0 y0 = Ixy (cos2 (θ) − sin2 (θ)) + (Ixx − Iyy ) sin(θ) cos(θ)
155
Se si rappresentano gli andamenti delle componenti scalari del tensore d’inerzia:
Ixx Iyy
Ixx +Iyy
2
θ
Ixy
Si vede che il momento centrifugo Ixy raggiunge il massimo/minimo quando Ixx = Iyy , mentre
si annulla quando la differenza tra i due è massima. I punti in cui il momento centrifugo si annulla
rappresentano i valori di θ per cui il sistema è principale, dato che in quei punti il tensore d’inerzia si
riduce a:
" #
I 0
[I] = X
0 IY
Alternativamente è possibile ricavare gli autovalori risolvendo il polinomio caratteristico, dal quale
si ottengono due possibili situazioni:
r
Ixx +Iyy 2
Ixx +Iyy 2
I = + + Ixy
X 2 2
Ixx > Iyy =⇒ r 2
Ixx +Iyy I +I
IY = − xx yy 2
+ Ixy
2 2
r
Ixx +Iyy 2
Ixx +Iyy
I = − 2
+ Ixy
X 2 2
Iyy > Ixx =⇒ r 2
Ixx +Iyy I +I
xx yy 2
IY = + + Ixy
2 2
L’angolo di rotazione del sistema principale rispetto ad un sistema generico si può trovare calcolando
gli autovettori oppure, più semplicemente, ponendo nullo il momento centrifugo:
Ixx − Iyy 2Ixy
Ix0 y0 = sin(2θ) + Ixy cos(2θ) = 0 =⇒ tan(θ) = −
2 Ixx − Iyy
Un angolo positivo corrisponde ad una rotazione del sistema in senso antiorario, uno negativo
ad una in senso orario. Se Ixx = Iyy l’angolo risulta indeterminato, per cui qualsiasi sistema è un
sistema principale. Le sezioni che hanno questa caratteristica vengono dette sezioni giroscopiche
(es. cerchio, quadrato).
Anche per il tensore d’inerzia principale valgono le convenzioni stabilita in precedenza per il piano
di Mohr, e tutte le considerazioni che ne derivavano.
Si osserva che per un asse di simmetria il prodotto misto Ixy è nullo, per cui un asse di simmetria
è anche un asse principale d’inerzia, e il secondo asse sarà quindi la retta perpendicolare al primo
passante per il baricentro.
Anche per i momenti d’inerzia vale l’additività, ovvero i momenti d’inerzia totali di somme di aree
sono pari alla somma dei momenti d’inerzia delle singole aree. Valgono quindi le stesse considerazioni
sulle sezioni cave fatte per i momenti scalari.
156
Presa una generica sezione A ed un asse n, rispetto al quale è calcolato il momento d’inerzia Inn ,
si definisce raggio d’inerzia la quantità:
s
Inn
ρn =
A
Il raggio d’inerzia permette di riscrivere il momento d’inerzia come:
Inn = ρ2n A
Il significato del raggio d’inerzia è quindi la distanza dell’asse alla quale si può considerare
concentrata la sezione senza variare il momento d’inerzia.
Nel sistema principale baricentrico saranno definiti i raggi d’inerzia principali come:
s
IX
ρX =
A
s
IY
ρY =
A
Presa una generica sezione, ad esempio la sezione di una trave a doppio T:
y
ρx
x
ρy
Si possono riportare sugli assi di simmetria (che sono assi principali) i raggi d’inerzia rispetto
all’altro asse. Dato che i raggi d’inerzia sono definiti al quadrato è irrilevante prendere il valore
positivo o il valore negativo. I raggi d’inerzia definiscono i semiassi di un’ellisse che viene detta ellisse
d’inerzia (o ellisse di Culmann). L’ellisse d’inerzia contiene tutte le informazioni sulla sezione,
dato che il suo centro è il baricentro, i suoi assi condividono la direzione con le direzioni principali e le
lunghezze dei semiassi sono pari ai raggi d’inerzia. L’ellisse d’inerzia consente inoltre di individuare
immediatamente quale dei momenti d’inerzia è il maggiore, che sarà quello in corrispondenza del
semiasse maggiore.
157
9 Il problema del solido elastico lineare
Si affronta ora l’analisi dei solidi considerabili monodimensionali, sotto l’ipotesi di solido elastico
lineare isotropo, sviluppando la teoria della trave/dei sistemi di travi.
L’obiettivo è la verifica e il dimensionamento di componenti strutturali attraverso:
[δ]T ~σ + ~b = 0
[δ]~u = ~ε
~σ = [D]~ε ~ε = [C]~σ
Sono state inoltre introdotte le condizioni al contorno per superfici caricate e superfici di vincolo:
[α]~σ = p~ ∀P ∈ ΩP
~u = ~u0 ∀P ∈ ΩV
Va ricordato che il modello lineare è valido fintanto che restano verificate le ipotesi di piccole
deformazioni e piccoli gradienti di spostamento. Sotto queste ipotesi è possibile condurre l’analisi
di equilibrio rispetto alla struttura indeformata, potendo applicare il principio di sovrapposizione
degli effetti. Era stato inoltre determinato che la soluzione al problema esiste ed é unica (teorema di
Kirchoff).
Per semplificare l’analisi e facilitare la determinazione di una soluzione in forma chiusa si fanno
ipotesi sulla dimensionalità degli elementi considerati, tipicamente con le approssimazioni di solido
monodimensionale (con una dimensione preponderante rispetto alle altre due) e di solido bidimensionale
(con una dimensione trascurabile rispetto alle altre due). Altre semplificazioni riguardano la geometria
dell’elemento e le condizioni di carico a cui è sottoposto.
158
10 Il problema di de St. Venant
Si considera un elemento monodimensionale definito come una successione di sezioni di forma
arbitraria (purché non confrontabile con la lunghezza della linea d’asse), dalla base A alla base B,
lungo una linea d’asse di lunghezza L. La superficie laterale Γ del solido viene detta mantello.
A ~nΓ
O
f~A B f~B
O’ ~nz
z
Γ x
Si ipotizza che l’elemento sia caricato solo sulle basi da due distribuzioni di azioni superficiali, fA
ed fB , mentre il mantello è scarico. Si ipotizza inoltre che siano assenti azioni di volume (~b = 0).
Per semplificare la trattazione si stabilisce che uno degli assi del sistema di riferimento è allineato
con la linea d’asse, mentre gli altri due sono allineati con gli assi principali d’inerzia della sezione.
Le azioni superficiali distribuite possono essere ridotte ad un sistema staticamente equivalente
calcolando per entrambe le basi una risultante e un momento risultante come:
Z Z
~ =
R f~dA ~ =
M ~r ∧ f~dA
Ω Ω
Il sistema sarà quindi in equilibrio (considerando come polo per i momenti il centro della faccia A)
se:
~A + R
R ~B = 0
~A +M
M ~ B + OO0 ∧ R
~B = 0
Il solido così definito è detto solido di de St. Venant e la sua risoluzione costituisce il problema
di de St. Venant.
Viene definito il postulato di de St. Venant:
Ad una distanza confrontabile con le dimensioni trasversali delle sezioni di base dalle
basi stesse, lo stato di tensione non dipende dalla distribuzione delle azioni sulle basi
ma solo dalla loro risultante e dal loro momento risultante.
La prima conseguenza del postulato di de St. Venant è che, considerando due distribuzioni di
carico diverse ma di uguale risultante agenti sulla base del solido, ad una distanza sufficientemente
grande dalla base lo stato di tensione interno al solido è lo stesso per entrambe le distribuzioni. Questa
distanza è detta distanza di estinzione.
Un’altra conseguenza del postulato è che se la risultante delle azioni sulla base è nulla, sarà nullo
anche lo stato di tensione oltre la distanza di estinzione.
Nella zona vicina alla base, ovvero entro la distanza di estinzione, serviranno modelli più raffinati
per descrivere lo stato di tensione.
L’effetto di estinzione è tanto più efficace quanto più compatta è la sezione, poiché a sezioni
complesse (es. trave a C, trave a doppio T) corrispondono distanze di estinzione maggiori.
159
Se si considera una trave a doppio T, caricata agli estremi da una coppia di momenti flettenti tali
per cui le basi sono scariche (M0 = M1 ):
M0
M0
S H
M1
M1
Si osserva che la distanza di estinzione dipende dal rapporto HS , nello specifico al diminuire di S
aumenta la distanza di estinzione. Effettuando il limite per S che tende a zero la distanza di estinzione
arriva a coprire tutta la trave perché, almeno idealmente, vengono a generarsi due elementi separati
ancora in equilibrio ma con basi non più scariche.
Il solido di de St. Venant può essere visto come un fascio di elementi infinitesimi longitudinali
monodimensionali:
σzz
τxz
τyz
Ciascun elemento sarà soggetto ad un’azione normale σzz e scambierà con gli altri elementi le
azioni tangenziali τyz e τxz . Le altre componenti dello stato di tensione sono trascurabili, poiché
intuitivamente sono causate da carichi sul mantello, che sono nulli nell’ipotesi di de St. Venant.
Il tensore di Cauchy si riduce quindi a:
0 0 τxz
[S] = 0 0 τyz
τxz τyz σzz
L’analisi dello stato di tensione si riduce all’analisi di un campo scalare:
160
Queste relazioni si ricavano effettuando un taglio in corrispondenza della sezione in esame e
scrivendo l’equilibrio per lo (gli) spezzone di trave che ne risulta:
Z Z
N= σzz (x, y)dA Mx = yσzz dA
A A
Z Z
Ty = τ yz(x, y)dA My = − xσzz dA
A
Z Z A
Tx = τ xz(x, y)dA Mz = (τyz x − τxz y)dA
A A
~ A = (N, Tx , Ty )
R ~ A = (Mx , My , Mz )
M
Noto che lo stato di tensione è ridotto al vettore tensione ~tn = (τxz , τyz , σzz ) e dato il raggio vettore
~r che congiunge un generico punto della sezione al suo baricentro, si può scrivere che:
Z Z
~A =
R ~tz ~A =
M ~r ∧ ~tz
A A
∂τxz
=0
∂z
∂τyz
=0
∂z
∂τxz ∂τyz ∂σzz ∂σzz
+ + = 0 −→ div(~τ ) = −
∂x ∂y ∂z ∂z
Si nota subito che τxz e τyz non variano lungo l’asse z. Dalla terza si può dire che se la divergenza
di ~τ è nulla, cioè se σzz non varia lungo z, il campo vettoriale è solenoidale, ovvero le linee di flusso
sono linee chiuse. In caso contrario il campo è non solenoidale.
Per quanto riguarda le condizioni al contorno, dato che il mantello è scarico si può scrivere che:
[S]~nΓ = 0
0 0 τxz αx
0 0 τyz αy
= τxz αx + τyz αy = 0 =⇒ ~τ · ~nΓ = 0
τxz τyz σzz
0
Si ottiene che il vettore ~τ è ortogonale alla normale alla superficie, quindi ~τ è tangente alla superficie.
161
Le equazioni del legame costitutivo che si ottengono sono quindi:
−ν τxz
εxx = σzz γyz =
E G
−ν τyz
εyy = σzz γxz =
E G
σzz
εzz = γxy = 0
E
Per integrazione si ottengono le componenti del campo di spostamento. Il passaggio dal campo di
deformazione al campo di spostamento in questo caso è lecito, ovvero ammette soluzione, perché si
verificherà in seguito che gli andamenti delle componenti dello stato di tensione sono costanti o al più
lineari, per cui le equazioni di congruenza, essendo equazioni alle derivate parziali del secondo ordine,
sono automaticamente soddisfatte.
162
10.1 Soluzione nelle tensioni
Si utilizzerà un approccio semi inverso che, a partire da informazioni sperimentali, porterà ad
ipotizzare uno stato di tensione e a verificare se lo stato ipotizzato soddisfa il problema di de St.
Venant.
Si ipotizza che ~τ = 0, per cui Mz = Ty = Tx = 0 e rimangono solamente N , Mx ed My . Il fatto
che il taglio è nullo sia in x che in y implica che, per le relazioni differenziali tra le azioni interne, Mx
ed My siano costanti in z.
Sulla deformazione si ipotizza che le sezioni piane perpendicolari all’asse della trave, dopo che la
deformazione è avvenuta, rimangono piane e perpendicolari all’asse deformato della trave. L’ipotesi
parte dall’osservazione del concio elementare, che presenta un asse di simmetria rispetto alla forma e
rispetto al carico, dato dalla sola normale N (o dal momento flettente). Vista la simmetria, la forma
del concio deve essere conservata anche dopo la deformazione. Perché questa ipotesi sia verificata è
necessario che la componente di deformazione sia costante o eventualmente lineare in xy:
εxx = ax + by + c
Quindi la tensione sarà data da:
εxx = εy = −ν(ax + by + c)
La terza equazione di equilibrio si riduce a:
∂σzz
=0
∂z
Il che implica che σzz è costante in z.
Si possono ora applicare le relazioni di equivalenza statica per ottenere le espressioni delle costanti
a, b, e c:
Z Z Z Z
N= σzz dA = EaxdA + EbydA + EcdA = EaSy + EbSx + EcA
A A A A
Dato che il sistema locale della trave è baricentro Sx = Sy = 0, per cui la costante c vale:
N
c=
EA
Dalla relazione di equivalenza statica del momento flettente in x:
Z Z Z Z
Mx = σzz ydA = EaxydA + Eby 2 dA + EcydA = EaIxy + EbIx + EcSx
A A A A
Dato che il momento d’inerzia centrifugo è nullo, si ricava l’espressione della costante b:
Mx
b=
EIx
163
Dalla relazione di equivalenza statica del momento flettente in y:
Z Z Z Z
My = − σzz ydA = − Eax2 dA + EbxydA + EcydA
A A A A
Si ottiene con gli stessi passaggi fatti per il momento in x l’espressione della costante a:
My
a=−
EIy
Il problema è quindi risolto, dato che sono state definite la tensione σzz e la deformazione εzz
utilizzando solo valori noti:
N Mx My
+ y− σzz =
x
A Ix Iy
N Mx My
εzz = + y− x
A EIx EIy
Le componenti di deformazione negli altri assi si trovano con la legge di Hooke:
- Mx +
z -
x
+
My
y y
Si calcola l’energia di deformazione integrando sul volume il potenziale:
2
Z Z
σzz
UE = dAdz
2E
L A
Se σzz è costante in z:
2
L Z σzz
UE = dA
2E 2E
A
Altrimenti se la tensione non è costante si prende l’integrale in A e lo si sostituisce con il
corrispondente differenziale:
Z
∂UE
UE = dz
∂z
L
!2
∂UE 1 Z 2 1 Z N Mx My
= σzz dA = + y− x dA
∂z 2E 2E A Ix Iy
A A
1 Z
N 2 Z
Mx2 2 Z
My2 2 Z
N Mx Z
N My Z
Mx My
= dA + y dA + x dA + 2 ydA − 2 xdA − 2 xydA
2E A2 2
Ix 2
Iy AIx AIy Ix Iy
A A A A A A
My2 M2
" # " #
2
1 N Mx2 N Mx
N My Mx M y 1 N 2
Mx2
= + + + 2 Sx − 2 Sy − 2 Ix y = + + y
2E A Ix Iy AIx AIy Ix Iy
2E A Ix Iy
Si nota come la variazione di energia elastica è data dalla somma dei lavori delle singole azioni
interne, vale quindi in questo caso il principio di sovrapposizione degli effetti.
164
Per il calcolo del lavoro virtuale interno si considera un sistema A definito da:
Z Z
Lv,i = σzz,A · εzz,B dAdz
L A
2 2
! !
Z Z
NA2 2
MxA MyA NB2 2
MxB MyB
= + y− x + y− x dAdz
A Ix Iy EA EIx EIy
L A
Svolgendo i calcoli, con considerazioni simili a quelle fatte per l’energia, si ottiene:
!
Z
NA NB MxA MxB MyA MyB
Lvi = + + dz
EA EIx EIy
L
Per il principio dei lavori virtuali il lavoro virtuale esterno sarà pari al lavoro virtuale interno,
Lvi = Lve .
165
11 Travi soggette ad azioni di compressione/trazione
Si studia ora il caso in cui la sollecitazione applicata alla trave sia un’azione normale applicata al
baricentro:
N
x z
= −νN
∂u
εxx =
∂x EA
∂v −νN
εyy = =
∂y EA
= −νN
u x + u0 (y, z)
∂w N
ε = R EA
= EA
zz ∂z −νN
∂u ∂v
=⇒ v = EA y + v0 (x, z)
+ =0
∂y ∂x N
∂u ∂w
w = EA z + w0 (x, y)
∂z
+ ∂x
=0
∂w
∂v
∂y
+ ∂z
=0
Dalle operazioni di integrazione nascono tre funzioni (u0 , v0 , w0 ), che sono costanti nelle rispettive
direzioni (e funzione delle altre due). Questi contributi rappresentano un moto rigido di traslazione
del campo di spostamento, al quale quindi non contribuiscono effettivamente. Questo si può vedere
applicando l’operatore differenziale al campo di spostamento ottenendo:
N
N
166
Le deformazioni che la trave subisce in ogni caso sono omotetiche, si mantengono cioé inalterati
gli angoli. Ad esempio, nel caso in cui N > 0, nel piano xy un punto P subisce una deformazione
lungo il segmento che lo congiunge all’origine del sistema:
xP
x O
θ
u
v P’
yP
P
r
y
OP 0 − OP
εrr =
OP
La deformazione lungo la retta r si trova con il prodotto tra il tensore [E] e i coseni direttori della
retta r stessa:
εxx 0 0 cos(θ)
εxx cos(θ)
~εr = [E]~r =
εyy 0 sin(θ) = εyy sin(θ)
εzz 0 0
w(0) = w0 = 0
La deformazione volumetrica è data dalla traccia del tensore [E]:
N
εV = εxx + εyy + εzz = (1 − 2ν)
EA
La variazione di volume si ottiene, ipotizzando che la trave abbia area A costante e lunghezza L,
integrando la deformazione volumetrica sul volume:
Z
N NL
∆V = εV dV = (1 − 2ν) · A · L = (1 − 2ν)
EA E
V
167
Per materiali standard (0 ≤ ν ≤ 21 ) quindi, se N > 0 si ha una deformazione dilatante con
∆V > 0, altrimenti se N < 0 si ha ∆V < 0. Il caso limite ν = 12 non può essere raggiunto in campo
elastico (per le considerazioni termodinamiche sul valore di ν fatte in precedenza), ma viene raggiunto
in campo plastico. Nella deformazione plastica si ha quindi che ∆V = 0 e si ha deformazione senza
variazione di volume.
N
z N w(z) = z+c
EA
NL
y w(0) = c = 0 w(L) = = ∆L
EA
L N
w(z) = z
EA
Il valore dello spostamento w in corrispondenza di L è la variazione di lunghezza che la barra
subisce. Si può vedere la barra come una molla elastica con costante elastica pari a:
k EA
k= −→ N = k∆L
L
∆L
L
La barra si comporta quindi da accumulatore di energia elastica, la quale corrisponde all’area
sottesa alla curva F − ∆L (teorema di Clapeyron):
1 N2 1
UE = L = N ∆L
2 EA 2
Si può quindi condurre la verifica della trave con uno qualsiasi dei criteri di resistenza visti, poiché
per tutti la tensione equivalente corrisponde alla tensione σzz , dato che è l’unica presente:
N σcr
σeq = ≤ σamm =
A ϕ
La tensione critica σcr può essere ad esempio il carico di snervamento o il carico di rottura,
comunque un valore noto che, essendo noti N ed A, permette il calcolo del fattore di sicurezza ϕ.
Si può condurre anche il dimensionamento della trave noti il materiale di cui è costituita, l’azione
N e il fattore di sicurezza ϕ:
N σcr N
≤ =⇒ A ≥ ϕ
A ϕ σcr
168
Il principio di de St. Venant vale fintanto che sono verificate le ipotesi che lo giustificano. Se
anziché su un estremo la barra fosse stata sollecitata da una fune passata atteaverso un foro ad
esempio, l’irregolarità della sezione causa il venir meno del principio di de St. Venant nelle zone del
materiale prossime al foro e nelle zone vicine al vincolo a telaio:
a b c
Tracciando il diagramma dell’azione normale si vede come questa non ha un andamento costante
nelle sezioni vicine al foro, ma presenta picchi, con il massimo raggiunto in corrispondenza del centro
del foro:
a b c
N N
A A0
La presenza del foro può essere vista come un fattore che fa deviare le linee di forza nella trave
attorno ad esso, portando a degli "ingorghi" che causano i picchi di tensione e, per equilibrio, alla
formazione di zone meno cariche o addirittura scariche:
ZONE SOVRACCARICATE
ZONE SCARICHE
169
11.1 Limiti applicativi della soluzione di de St. Venant
Quanto visto finora è valido solo sotto l’ipotesi di sezione regolare e di carichi applicati solo alle
basi.
Si vogliono ora estendere i risultati ottenuti ai casi reali, quindi con variazioni brusche o lineari di
sezione e con carichi distribuiti o concentrati lungo l’asse della trave.
Nel caso di brusche variazioni di sezione, in corrispondenza del cambio di sezione si identificheranno
delle distanze di estinzione entro le quali il principio di de St. Venant non è valido, ma andrà integrato
da modelli più raffinati:
A1
A2
A3 F
F F F
A1 A2 A3
La forma del modello più raffinato dipende interamente da cosa si vuole conoscere dello stato di
tensione in presenza di cambi di sezione.
In prima approssimazione si potrebbe voler trovare qual è la tensione massima sul cambio di sezione.
Per un albero con un raccordo ad esempio, la tensione dipenderà dai diametri d e D della sezione
prima e dopo il cambio e dal raggio del raccordo. Questi parametri geometrici saranno argomento di
una funzione f che definisce il valore di un parametro detto fattore di forma, il quale contiene tutte
le informazioni sulla geometria della sezione.
σzz,nom = AN2
A1
A2
N N r D
D d kT = f ,
d d
r σmax
Il fattore di forma esprime il rapporto di proporzionalità tra la tensione media σzz,nom sul tratto a
destra del cambio di sezione e la tensione massima σmax che si vede in corrispondenza del cambio di
sezione:
σmax
kT =
σzz,nom
Noti A1 , N e kT attraverso i parametri geometrici r, d e D si può quindi ricavare la tensione
massima sul cambio di sezione nota la tensione nominale. Il parametro kT è ricavabile attraverso curve
sperimentali, il cui andamento tipico è il seguente:
kT
D
d
r
d
170
Nel caso di variazioni blande di sezione, come ad esempio un profilo troncoconico con conicità
contenuta, dato che la sezione dipende dalla coordinata z lungo la linea d’asse, anche la tensione
presenterà dipendenza da z.
N
A(z) =⇒ σzz (z) = A(z)
α
σzz
Si verifica che non viene più rispettata la condizione al contorno che impone il mantello scarico,
ovvero che il vettore tensione sul mantello, uguale alla pressione agente su di esso, sia nullo:
~tnΓ = p~ 6= 0
Il vettore tensione si trova come:
nΓ
~tnΓ = [S]~nΓ
0 0 0 αx
0
0
α = 0 0 0 αy =
0 = 0
0 0 σzz αz αz σzz σzz sin(α)
z
F1 F2 F3
N1
−
N1
σzz,1 = A1 +
+
N3
N2 N3
σzz,3 = A3
N2
σzz,2 = A2
Si osserva che, note le azioni interne, sono note le tensioni, e queste avranno segno concorde a
quello delle azioni interne.
171
Nel caso di carichi distribuiti lungo l’asse, come ad esempio una barra soggetta al proprio peso:
R
R
z
+
L
z
P N =R 1− L
La tensione σzz eredita la dipendenza dalla coordinata z dall’azione normale N , per cui il modello
di de St. Venant è ancora valido.
Si possono quindi calcolare la variazione di lunghezza, l’energia potenziale e il potenziale elastico
integrando le relative espressioni lungo z:
ZL
N (z)
∆L = dz
EA
0
ZL Z
R2 R2 L
2
z
UE =
2
1− dA dz =
2EA L 6A
0 A
2
σzz
Φ=Ψ=
E
Tutte queste condizioni sulla variabilità di sezione e carico consentono quindi di estendere l’appli-
cabilità della soluzione di de St. Venant ad un numero di casi molto maggiore rispetto al singolo caso
della barra cilindrica soggetta a carico costante.
172
11.2 Soluzione di problemi iperstatici
Come visto in precedenza esistono problemi iperstatici, ovvero con vincoli sovrabbondanti, che
non consentono la determinazione delle reazioni vincolari con i metodi visti:
z A F B
C
y
RAy RBy
RAz F RBz RAy = RBy = 0
• Metodo di Castigliano
A F B x
C
a b
Per il principio di sovrapposizione degli effetti si può separare il problema in un primo problema
(sistema 0) con la sola forza F , che produrrà uno spostamento in B, e un secondo problema (sistema 1)
nel quale agisce la sola forza x, la quale produce uno spostamento in B opposto al primo. Uguagliando
gli spostamenti sarà possibile determinare il valore della forza x.
Sistema 0:
A F B
F
N + B
a
C
Si traccia il diagramma dell’azione normale, che sarà positiva fino al punto di applicazione della
forza (che mette in trazione quel tratto di barra), nulla oltre
173
Lo spostamento in B sarà quindi dato da:
F
wB,0 = a
EA
Sistema 1:
A B x
a+b
N −
Lo spostamento in B vale:
−x
wB,1 = (a + b)
EA
La forza x si trova ponendo la somma degli spostamenti di B a zero (poiché il punto B deve restare
fisso):
a
wB,0 + wB,1 = 0 =⇒ x = F
a+b
A questo punto la reazione vincolare RAz sarà data da:
a b
RAz = F − x = F − F =F
a+b a+b
Quindi il diagramma di corpo libero finale è:
F a
b
F a+b F a+b
174
11.2.2 Metodo degli spostamenti
Nel metodo degli spostamenti si calcola lo spostamento subito da un punto arbitrario del sistema e
si scrive l’equazione di equilibrio delle forze che generano tale spostamento per annullarlo.
Si traccia il diagramma dell’azione normale del sistema:
RAZ A F B RBZ
C
RAZ
+
−
RBZ
Scelto il punto C come punto rispetto al quale calcolare lo spostamento, si calcolano le azioni
normali nei due tratti che producono lo spostamento:
wC wC wC
εzz,AC = → σzz = E → NAC = EA = RAZ
a a a
wC wC wC
εzz,BC =− → σzz = −E → NBC = −EA = −RBZ
b b b
Si ricava quindi lo spostamento del punto C scrivendo l’equilibrio in z:
wC wC F ab
F = RAZ + RBZ = EA + EA =⇒ wC =
a b EA a + b
Quindi le reazioni vincolari valgono:
ab 1 b
RAZ = F =F
a+ba a+b
ab 1 a
RBZ =F =F
a+bb a+b
Nel metodo delle forze si risolve il problema scrivendo un’equazione di congruenza degli
spostamenti, mentre nel metodo degli spostamenti si scrive un’equazione di equilibrio. Nel metodo
delle forze l’incognita è una forza mentre nel metodo degli spostamenti l’incognita è uno spostamento.
Il metodo degli spostamenti è meno intuitivo del metodo delle forze, ma viene utilizzato di più
nell’analisi matriciale delle strutture (es. elementi finiti).
175
11.2.3 Metodo della deformata elastica
Il metodo della deformata elastica prevede la rimozione del vincolo sovrabbondante e la sua
sostituzione con l’introduzione di un’incognita iperstatica, per poi calcolare le deformate elastiche dei
due tratti di trave (a e b).
F
a b
Il diagramma di corpo libero (con RA = F − x) è:
RA F x
A B
C
Si traccia il diagramma dell’azione normale:
F −x
F −x F
+
− x
x
La deformata elastica si ottiene partendo dall’espressione della deformazione:
R
dw N N
εzz = = =⇒ w = z+c
dz EA EA
Le deformate nei due tratti valgono quindi:
Na
wa = z + ca 0≤z≤a
EA
Nb
wb = z + cb a≤z ≤a+b
EA
Sostituendo i valori delle azioni normali (Fa = F − x e Fb = −x) si ottiene:
F −x −x
wa = z + ca wb = z + cb
EA EA
Servono tre condizioni per determinare le tre incognite presenti (ca , cb e x). Le condizioni da
imporre sono che lo spostamento si annulli in corrispondenza dei vincoli, ovvero che wa (0) = 0
e wb (a + b) = 0, e che le due deformate si eguaglino nel punto di applicazione di F, ovvero che
wa (a) = wb (a).
La costante ca si ottiene come:
wa (0) = ca = 0 =⇒ ca = 0
La costante cb si ottiene come:
−x x(a + b) Fa
wb (a + b) = (a + b) + cb = 0 =⇒ cb = =⇒ cb =
EA EA EA
L’incognita iperstatica si ottiene come:
F −x −x x(a + b) Fa
wa (a) = a= a+ = wb (a) =⇒ x =
EA EA EA a+b
Di conseguenza la reazione vincolare vale:
Fb
RA = F − x =
a+b
176
11.2.4 Metodo di Castigliano
Il metodo di Castigliano si basa sull’omonimo teorema, che dice che lo spostamento ηi in direzione
di una forza generalizzata Qi è pari alla derivata parziale dell’energia potenziale elastica UE in direzione
della forza Qi :
∂UE
= ηi
∂Qi
Nel metodo di Castigliano si sfrutta il fatto che lo spostamento in direzione dell’incognita iperstatica
è nullo:
∂UE (F, x)
=0
∂x
L’energia elastica è data dalla somma dei contributi all’energia dei tratti a e b:
1 Na2 1 Nb2
UE = La + Lb
2 EA 2 EA
1 (F − x)2 1 (−x)2
= a+ b
2 EA 2 EA
∂UE (F − x)a x Fa
= (−1) + b(1) = 0 =⇒ x =
∂x EA EA a+b
Il metodo di Castigliano consente quindi di determinare molto rapidamente il valore dell’incognita
iperstatica. Nel caso di sistemi di travi, l’energia totale sarà data da:
n
X Ni2
UE = Li
i=1 EA
177
A prescindere dal metodo utilizzato quindi il diagramma dell’azione normale è:
RAZ A F B RBZ
C
RAZ
+
−
RBZ
F b
wa = z
EA a + b
F a
wb = (a + b − z)
EA a + b
Si può trovare il lavoro delle forze esterne (il lavoro di F ) con il teorema di Clapeyron, noto lo
F ab
spostamento finale del punto di applicazione di F pari a wa (a) = wb (a) = EA(a+b) :
1 F ab 1 F 2 ab
LE = F =
2 EA(a + b) 2 EA(a + b)
Allo stesso risultato si poteva arrivare attraverso il calcolo dell’energia elastica (ricordando che
LE = UE ):
!
Z
1 Na2 1 Nb2 F2 b2 a ba2 1 F 2 ab
UE = Φ= a+ b= + =
2 EA 2 EA 2EA (a + b)2 (a + b)2 2 EA(a + b)
V
178
11.3 Effetto della temperatura
Si studia ora l’effetto della temperatura. Presa in considerazione una variazione termica uniforme
sulla superficie della trave, con coefficiente di dilatazione termica lineare α, la deformazione subita
dalla trave per effetto della temperatura sarà omogenea in tutte le direzioni e proporzionale alla
differenza di temperatura:
∆L = α∆T L
Questa deformazione è detta anelastica poiché non è dovuta alla risposta elastica del materiale
ma a fattori esterni a quest’ultimo. La deformazione da temperatura non causa quindi la formazione di
stati tensionali, nell’ipotesi che la barra sia libera di espandersi o contrarsi. Se il sistema è iperstatico
infatti, nasce una reazione vincolare (determinabile come incognita iperstatica) che si oppone alla
deformazione:
∆T > 0
A B
L
wB,α = α∆T L
Lo spostamento dovuto all’incognita iperstatica è dato da:
−x
wB,x = L
EA
Si ricava quindi x impostando e risolvendo l’equazione di congruenza:
179
11.4 Variabilità di carico/sezione/modulo elastico
Si valutano ora le situazioni in cui si hanno:
• Variabilità delle azioni interne in z: N = N (z)
• Variabilità della sezione in z: A = A(z)
• Variabilità del modulo elastico in z: E = E(z)
dN
dz
= −n(z)
dw N (z) dw
= =⇒ N (z) = E(z)A(z)
dz E(z)A(z) dz
Si può derivare l’espressione sopra e sostituire la derivata di N (z) ottenuta dall’analisi del concio:
!
dN 1 dw
= E(z)A(z) = −n(z)
dz dz dz
Si ottiene un’equazione differenziale del secondo ordine, chiamata equazione di Poisson, che
definisce completamente il comportamento della trave, dalle cause esterne (n(z)) alle caratteristiche
del materiale (E(z)) alle caratteristiche geometriche (A(z)). Nel caso più semplice in cui E = cost e
A = cost l’equazione di Poisson si riduce a:
d2 w
EA 2 = −n(z)
dz
La soluzione dell’equazione di Poisson richiede integrazione, e quindi l’introduzione di condizioni
al contorno. Le condizioni al contorno si trovano agli estremi della trave, che saranno un estremo
libero in corrispondenza del carrello, nel quale l’azione normale dovrà essere nulla, e un estremo
vincolato in corrispondenza della cerniera, nel quale dovrà essere nullo lo spostamento.
Integrando due volte l’equazione si ottengono:
dw
EA = −n0 z + C
dz
n0
EAw = − z 2 + Cz + D
2
Nell’estremo vincolato si ha che:
w(z = 0) = 0 =⇒ D = 0
Nell’estremo libero invece:
dw
N (z = L) = EA = 0 =⇒ C = n0 L
dz
180
Lo spostamento è dato quindi da:
n0 1
w(z) = − z 2 + n0 Lz
2 !
EA
n0 L2 z 1 z2
= +
EA L 2 L
+
A B
RA = N (0) = n0 L
RB = N (L) = 0
w(0) = 0 =⇒ D = 0
n0
w(L) = 0 =⇒ C = L
2
Lo spostamento e l’azione normale sono quindi dati da:
!
n0 L2 z z2 dw 1 z
w(z) = − 2 N (z) = EA = n0 L −
2EA L L dz 2 L
n0 L
2
+
−
− n02L
181
Esercizio 19. Trave soggetta ad azione normale
Un elemento (1) in lega di alluminio (E = 70 000 MPa, σys = 260 MPa, Di = 0.8De ) è posto in
parallelo ad un elemento (2) in acciaio (E = 210 000 MPa, σys = 370 MPa, D2 = 0.9Di ), ed entrambi
sono caricati da una forza F :
2
1
D2
Di
De
Determinare:
Il problema è iperstatico, quindi si può utilizzare uno dei metodi visti in precedenza per la sua
risoluzione.
Utilizzando il metodo degli spostamenti, e notando che entrambi gli elementi subiscono la stessa
variazione di lunghezza, si può dire che:
F1 F2 E1 A1
εzz = = =⇒ F1 = F2
E1 A1 E2 A2 E2 A2
Deve essere rispettata la condizione di equilibrio F = F1 + F2 , per cui le due forze saranno pari a:
E1 A1
F1 = F
E1 A1 + E2 A2
E2 A2
F2 = F
E1 A1 + E2 A2
Si può usare anche il metodo di Castigliano, svincolando l’elemento 2 dal telaio e sostituendo il
vincolo con l’incognita iperstatica:
1 2
x
F −x
182
L’energia elastica è data da:
1 (F − x)2 L 1 (−x)2 L
UE = +
2 E1 A1 2 E2 A2
Lo spostamento sarà quindi:
F1 σys1 σys1
= =⇒ φ1 = A1
A1 φ1 F1
F2 σys2 σys2
= =⇒ φ2 = A2
A2 φ2 F2
Si calcola quindi il rapporto tra i fattori di sicurezza:
φ1 σys1 A1 F2 σys1 E2
= = = 2.11 =⇒ φ1 = 2.11φ2
φ2 σys2 F1 A2 σys2 E1
Dato che il suo margine di sicurezza è la metà di quello dell’elemento 1, l’elemento 2 è l’elemento
critico. Si osserva inoltre che la criticità non dipende dalle dimensioni, ma dalle grandezze caratteristiche
del materiale, poiché la geometria del sistema influenza solo la ripartizione delle forze.
183
12 Travi soggette a flessione
Riprendendo la soluzione nelle tensioni del problema di de St. Venant:
N Mx My
σzz = + y− x
A Ix Iy
Si va ora ad analizzare l’effetto dei momenti Mx ed My .
Se uno dei momenti è nullo (quindi se Mx 6= 0, My = 0 oppure Mx = 0, My = 6 0) si parla di flessione
retta, altrimenti se sono presenti entrambi i momenti si parla di flessione deviata. Ricordando che
gli assi x ed y si considerano coincidenti agli assi principali d’inerzia (ipotesi che toglie generalità alla
soluzione ma la rende meno complicata da affrontare), si può condurre l’analisi della flessione retta
rispetto ad uno qualsiasi degli assi ottenendo una soluzione che, rielaborata, è valida anche per l’altro
asse, per poi ottenere la soluzione al problema della flessione deviata per sovrapposizione degli effetti
sommando le soluzioni dei due casi della flessione retta.
σzz < 0
z z
x
σzz > 0
y
L’equazione che descrive l’andamento della tensione σzz è detta formula di Navier.
Si può ottenere flessione pura applicando una coppia di forze ad un estremo di una trave vincolata:
F
a/2
a/2
F
+
Mx = F a
184
Un’altra configurazione tipica per ottenere una sollecitazione di puro momento Mx in una trave è
la flessione in quattro punti:
+
F
Mx = 2
a
Ty +
dz
dθx
z
C D Rx
A B
C0 ds D0
A0 B0
y
ds = dz = Rx dθx
_
0 0
La lunghezza dell’arco A B sarà quindi data da:
_
A0 B 0 = (Rx + y)dθx
185
La deformazione εzz si può calcolare come:
_
A0 B 0 − AB (Rx + y)dθx − dz (Rx + y)dθx − Rx dθx y
εzz = = = =
AB dz Rx dθx Rx
La deformazione ottenuta presenta linearità in y ed è quindi equivalente al campo di deformazione
definito analiticamente, per cui il modello del concio deformato è corretto.
Uguagliando le due espressioni della deformazione si può quindi definire la curvatura delle fibre
(l’inverso del raggio di curvatura):
y Mx 1 Mx EIx
εzz = = y =⇒ kx = = , Rx =
Rx EIx Rx EIx Mx
Si nota che il raggio di curvatura è tanto più grande quanto il materiale è rigido e quanto maggiore è
il momento d’inerzia. Il momento d’inerzia quindi si oppone effettivamente alla rotazione del materiale.
Se il momento Mx è costante l’analisi del concio vale per ogni z lungo la trave, quindi la deformata
elastica complessiva è la somma delle deformate di ciascun concio. Rappresentando la deformazione
(esagerata per chiarezza):
Rx
dθx
Questo tipo di deformazione, nel quale la trave assume la forma di un arco di circonferenza, viene
detta ipotesi deformativa di Eulero-Bernoulli.
Il campo di spostamento si trova per integrazione a partire dal campo di deformazione:
∂u νMx ∂u ∂w
εxx = =− γxz = +
∂z EIx ∂z ∂x
∂v νMx ∂v ∂w
εyy = =− γyz = +
∂z EIx ∂z ∂y
∂w Mx ∂v ∂u
εzz = = γxy = +
∂z EIx ∂x ∂y
u = −νU (x, y)
Mx 2
v=− z − νV (x, y)
2EIx
Mx
w= zy
EIx
Si ottiene ovvero un campo primario che incide sugli spostamenti v e w, indipendente dal modulo
di Poisson e funzione di y e z, e un campo secondario che dipende dal modulo di Poisson ed è funzione
di x ed y. Dato che nell’ipotesi di trave z >> x, y ci si aspetta che il campo primario sia molto più
186
influente rispetto al campo secondario. Lo spostamento avverrà quindi nel solo piano yz, il quale
viene per questo detto piano di flessione. Le funzioni U e V definite da:
Mx Mx 2
U (x, y) = xy V (x, y) = (y − x2 )
EIx EIx
permettono di osservare che la linea d’asse z, essendo U (x = 0, y = 0) = V (x = 0, y = 0) = 0, subisce
solo lo spostamento:
Mx 2
v=− z
2EIx
Lo spostamento w descrive lo spostamento dei punti della sezione a causa della rotazione attorno
all’asse x. Tale rotazione è data da:
!
1 ∂w ∂v Mx
θx = − = z
2 ∂y ∂z EIx
∂v Mx
= −θx = − z
∂z EIx
Si può quindi studiare la deformata elastica della trave:
187
L’espressione generale della curvatura è quindi:
2
1 − ddzv2
= kx = 2 32
Rx
dv
1+ dz
dv
Poiché nell’ipotesi di piccole deformazioni dz
<< 1 la curvatura diventa:
1 d2 v
= kx = − 2
Rx dz
d2 v Mx EIx Mx
2
=− raggio di curvatura:Rx = curvatura:kx =
dz EIx Mx EIx
Queste relazioni valgono sotto le ipotesi di piccole deformazioni e piccoli gradienti di spostamento.
In questa formulazione la deformata elastica assume la forma di un arco di parabola che si può
confondere con un arco di circonferenza con le ipotesi di piccole deformazioni.
Per quanto riguarda il campo secondario, si considera per semplicità la sezione rettangolare:
Mx Mx 2
u = −ν xy w = −ν (y − x2 )
EIx 2EIx
Il segmento verticale in x = 0 non subisce spostamenti, mentre
i due segmenti verticali x = 2b e x = − 2b subiscono spostamenti
lineari opposti in y e sono ancora segmenti lineari dopo la
deformazione. Questi tre segmenti convergono in un punto
EIx
sull’asse y a distanza ρx = νM x
dal baricentro. I tre segmenti
h h
in y = 0, y = 2 e y = − 2 assumono la forma di archi di
parabola, assimilabili ad archi di circonferenza nell’ipotesi di
piccole deformazioni.
L’asse x(y = 0) dopo deformazione assume curvatura data
da:
1 Mx ν
= kx0 = −ν =−
ρx EIx Rx
Considerando un valore tipico del modulo di Poisson ν = 0.3 il
raggio di curvatura dell’asse x è 3 volte il raggio di curvatura
della linea d’asse, quindi la sua curvatura è molto meno
accentuata. Per questo motivo da qui in poi l’effetto del
campo secondario verrà trascurato.
188
Per quanto riguarda la verifica e il dimensionamento della sezione, l’andamento delle tensioni
dipende ovviamente dalla forma della sezione:
Lo stato di tensione è monoassiale, e la tensione equivalente è pari a σeq = σzz . Per valutare il
raggiungimento delle condizioni critiche va effettuata la distinzione tra materiale:
− +
• simmetrico: σcr = σcr = σcr , verifica:
σcr
σzz,max = max{|σzz |, ∀y ∈ [−y0 , y1 ]} ≤
Φ
− +
• asimmetrico: σcr 6= σcr , verifica:
+
σcr
σzz,max = max{|σzz |, ∀y ∈ [−y0 , y1 ]} ≤
Φ
−
σcr
σzz,min = min{|σzz |, ∀y ∈ [−y0 , y1 ]} ≥
Φ
Il rapporto tra il momento d’inerzia e la coordinata del punto di massima tensione ycr raggruppa
tutte le informazioni geometriche che incidono sul raggiungimento della condizione critica, e viene per
questo detto modulo di resistenza Wx .
Nella flessione retta massimi e minimi si trovano in corrispondenza delle fibre più distanti dall’asse
neutro baricentrico, e anche in questo caso per il calcolo del modulo va fatta la distinzione tra materiale:
• simmetrico:
Ix |Mx | σcr
Wx = ycr = max{y0 , y1 } σzz,max = ≤ = σamm
ycr Wx Φ
189
Rispetto all’azione normale il materiale sollecitato a flessione è utilizzato in maniera non efficiente.
Infatti la distribuzione di tensione rende scarico l’asse neutro e rendendo poco sollecitate le sezioni in
sua prossimità.
Per limitare l’uso di materiale, e quindi ridurre ad esempio il peso della struttura e i costi di
approvvigionamento, si utilizzano sezioni in cui il materiale è disposto più lontano possibile dall’asse
neutro, massimizzando così il momento d’inerzia a parità di sezione e quindi a parità di peso.
Dall’esperienza è noto che se lo spessore scende sotto un livello critico si attivano fenomeni di
instabilità dell’equilibrio nella regione soggetta a compressione,
Va inoltre considerato che nella progettazione spesso è definita una sagoma d’ingombro, ovvero
un vincolo spaziale oltre il quale non può uscire la sezione della trave.
190
La soluzione di cui sopra non è tuttavia accettabile poiché prevede due aree separate. Nella realtà
si usa un compromesso realizzando una sezione unica con una sezione molto sottile che congiunge le
due sezioni di carico.
Queste sezioni hanno un momento d’inerzia principale preponderante rispetto all’altro e rispondono
bene a flessione retta se il momento flettente è applicato sull’asse del momento d’inerzia principale
maggiore.
Una soluzione più efficiente è rappresentata dalle sezioni cave:
In applicazioni in cui il peso è un fattore critico si utilizzano sezioni con anima alleggerita, nelle
quali viene rimosso materiale a intervalli regolari lungo l’asse neutro e le sezioni circostanti dove le
sollecitazioni presenti sono sufficientemente ridotte da permettere la riduzione di sezione.
L’applicazione limite di questo principio è quella delle costruzioni leggere a traliccio nelle quali
sono previsti degli elementi rompitratta per ovviare all’instabilità dell’equilibrio. La struttura reagisce
bene al momento flettente ma gran parte della sollecitazione è di trazione/compressione.
191
12.2 Limiti del modello di de St. Venant
I risultati della soluzione per la flessione ottenuti per il solido di de St. Venant possono essere
estesi ad un ampio spettro di casi pratici.
• Asse non rettilineo, accettabile per raggi di curvatura molto ampi (errore attorno all’1.7%
per Rd = 0.05 con d diametro della sezione circolare).
• Variabilità della sezione, accettabile per sezioni blandamente variabili (es. per tronco di cono
con conicità attorno ai 5◦ errore inferiore allo 0.15%).
Vanno tuttavia valutati gli effetti locali per i casi in cui sono presenti brusche variazioni di direzione
dell’asse, brusche variazioni di sezione o momenti concentrati lungo l’asse.
Il principio di de St. Venant conserva validità oltre la zona d’estinzione, sarà sufficiente utilizzare
nella relazione di Navier M1 a sinistra e M2 a destra. La deformata elastica risente limitatamente
dell’errore locale.
192
12.2.3 Brusche variazioni di sezione
Come per l’azione normale lo stato locale di tensione si può correggere, benché in modo parziale,
usando informazioni ricavate con analisi locali più accurate. Ad esempio si può stimare l’entità della
tensione locale σmax rispetto al valore nominale σzz , utilizzando il fattore di forma KT .
193
12.4 Flessione deviata
194
Le tensioni crescono linearmente a partire dall’asse neutro, per cui si possono rappresentare con
delle rette parallele all’asse neutro che costituiscono linee di livello per la tensione:
Una rappresentazione sintetica si ottiene tracciando due parallele all’asse neutro tangenti esterne
alla sezione, le quali si usano per tracciare il diagramma di azione interna:
195
Come visto per la flessione retta, lo spostamento può essere separato in un campo primario e in un
campo secondario dovuto all’effetto Poisson. Lo spostamento primario si divide ulteriormente in una
parte relativa allo spostamento dell’asse e alla traslazione della sezione (componenti u e v) e una parte
relativa alla rotazione della sezione attorno all’asse neutro necessaria a mantenere le sezioni ortogonali
all’asse deformato (componente w).
196
Riassumendo, gli assi caratteristici della flessione sono:
197
12.5 Azione normale eccentrica
Ricordando la soluzione nel caso generale nelle tensioni normali (N 6= 0, Mx 6= 0, My 6= 0):
N Mx My
σzz = + y− x
A Ix Iy
Si completa ora l’analisi determinando l’asse neutro, e estendendo la soluzione al caso dell’azione
normale eccentrica, ovvero di un’azione normale non applicata al baricentro.
A seconda del valore dell’azione normale, la retta n può essere interna, tangente o esterna alla
sezione.
My Ix N Ix
y = x tan(β) + y0 tan(β) = x y0 = −
Mx Iy A Mx
Se N > 0 → y0 < 0, se N < 0 → y0 > 0.
Mx = N yc My = −N xc
yc Mx 1
=− =− = tan(γ 0 )
xc My tan(γ)
dove γ è l’inclinazione dell’asse momento m, mentre γ 0 è
l’inclinazione dell’asse di sollecitazione s.
M = OC ∧ N = N yc~i − N xc~j
198
L’asse neutro si trova imponendo σzz = 0:
!
N yyc xxc yyc xxc
1+ 2 + 2 = 0 =⇒ 1 + + 2 =0
A ρx ρy ρ2x ρy
ρ2x ρ2y
y0 = − x0 = −
yc xc
le quali hanno segno opposto rispetto alle rispettive coordinate del centro di sollecitazione, e sono
legate a queste ultime attraverso i raggi d’inerzia:
y0 yc = −ρ2x x0 xc = −ρ2y
Si osserva che, al crescere del valore delle coordinate del centro, l’asse neutro tende ad avvicinarsi al
baricentro. Nel caso limite in cui (xc , yc ) → (∞, ∞) l’asse neutro diventa baricentrico e si ha flessione
deviata. Nel caso opposto in cui (xc , yc ) → (0, 0) l’asse neutro si allontana sempre di più dal baricentro
e si ha pura azione normale centrata.
x0 xc = −ρ2y
y0 yc = −ρ2x
La sua frontiera si determina analizzando le condizioni in cui l’asse neutro tocca il perimetro della
sezione senza tagliarla, ovvero nei punti in cui è tangente esterna alla sezione. L’area delimitata da
questa frontiera è detta nòcciolo d’inerzia.
Si identificano quattro rette disposte lungo i lati della sezione e quattro fasci di rette concorrenti
negli spigoli A,B,C e D.
199
I raggi principali d’inerzia per la sezione rettangolare valgono:
bh3 1 h2 hb3 1 b2
ρ2x = = ρ2x = =
12 bh 12 12 bh 12
Ciascun lato rettilineo determina un punto della frontiera:
2
1 : x0 = 2b =⇒ xc1 = − 12b 2
b
= − 6b , yc1 = 0
: y0 = − 2b = 6b , yc2 = 0
2
=⇒ xc2
2
3 : y0 = h2 =⇒ xc3 = 0, yc3 = − h12 h2 = − h6
4 : y0 = − h2 = h6 , yc4 = 0
=⇒ xc4
Intuitivamente essendo 1 e 3 gli estremi del fascio di rette concorrenti in A, a cui corrispondono i
centri C1 e C3 , tutti i centri corrispondenti al fascio giacciono sul segmento che congiunge C1 e C3 .
La generica retta del fascio è espressa da:
! !
h b y x
y− =m x− =⇒ h + h = 1
2 2 2
− m 2b b
2
− 2m
Ricordando le relazioni:
−ρ2x h b −ρ2y b h
y0 = = −m x0 = = −
yc 2 2 xc 2 2m
si può eliminare il parametro m, ottenendo il luogo dei centri, che è la retta passante per C1 e C3 :
yc xc
h + =1
−6 − 6b
Ripetendo i passaggi per i vertici 2,3 e 4 si ottiene il luogo dei punti totale che è un rombo centrato
sul baricentro.
I noccioli d’inerzia per le sezioni più comuni si trovano tabellati, di seguito alcuni esempi:
200
Nei materiali con resistenza a trazione irrisoria rispetto alla resistenza a compressione, come
calcestruzzo, materiali lapidei e conglomerati, diventa necessario verificare che la tensione σzz risulti
di compressione su tutta la sezione dell’elemento strutturale.
Ciò equivale a verificare che il centro di sollecitazione C sia interno al nocciolo d’inerzia. Se il
centro è inizialmente esterno infatti, si produce una sollecitazione di trazione in una porzione della
sezione resistente. Dato che questi materiali hanno pessima resistenza a trazione si produrranno
delle fessurazioni in questa porzione che portano alla riduzione della sezione resistente, ovvero alla
parzializzazione della sezione. La sezione resistente effettiva si dice sezione parzializzata.
Il processo di fessurazione si arresta quando il centro di sollecitazione rientra nel nocciolo d’inerzia
della sezione resistente residua. Si tratta di un modello semplificato che conserva validità fintanto che
il materiale mantiene la risposta elastica fino alla fessurazione.
201
Esercizio 20. Trave soggetta a flessione retta
Una trave a sbalzo (L = 1000 mm, b1 = 90 mm, s1 = 20 mm, s2 = 40 mm, b2 = 30 mm) in
ghisa (modulo elastico E = 165 GPa, carico di rottura a trazione σRT = 230 MPa, carico di rottura
a compressione σRC = 360 MPa) è sottoposta ad un momento Mx = −3000 N m = −3 · 106 N mm
applicato al baricentro:
L b1
x Mx
G s1
s2
b2
y0
Le coordinate del baricentro della porzione orizzontale della sezione, 0 ≤ y ≤ s1 , sono date da:
s31 b1
Ix1 = + s1 b1 (yG − yG1 )2 = 319 200 mm4
12
s32 b2
Ix2 = + s2 b2 (yG − yG2 )2 = 548 800 mm4
12
202
Il momento totale sarà dato dalla somma dei due momenti:
La situazione è quella di flessione retta, e con la regola della mano destra si vede che le fibre con
y < yG sono compresse, mentre le fibre con y > yG sono compresse, mentre le fibre con y = yG non
sono sollecitate, ovvero per il baricentro passa l’asse neutro.
y0
σzz,max
+
x
y1 σzz,min −
y
θx (0) = 0 =⇒ c = 0
v(0) = 0 =⇒ d = 0
203
Quindi si ottengono:
1 Mx2
UE = L = 31.4 J
2 EIx
L’energia si poteva trovare anche utilizzando il teorema di Clapeyron:
1
UE = LE = Mx θx (L) = 31.4 J
2
204
Esercizio 21. Trave soggetta a flessione deviata
Un profilo angolare (UNI-5783-66 50x4) in acciaio (E = 210 000 MPa, σys = 235 MPa) viene
caricato con un momento Mx = 90 000 N mm sul baricentro:
a
L Mx
x G
r
a
y
L
Di primo impatto il problema potrebbe sembrare di flessione retta, tuttavia bisogna osservare che
gli assi x ed y non sono assi principali d’inerzia non essendo assi di simmetria. Ponendo un primo asse
di simmetria x0 passante per il baricentro e per lo spigolo del profilo si trova il secondo asse principale
d’inerzia y 0 corrispondente alla retta ortogonale ad x0 passante per G. Il momento Mx andrà quindi
proiettato su questi nuovi assi e il problema si verifica essere di flessione deviata:
My0
Mx G
x
Mx0 y
x0 y0
I momenti d’inerzia Ix ,Iy e Ixy e le coordinate del baricentro ex e ey nel sistema xy sono note da
normativa:
Ix = Iy = 89 400 mm4 ex = ey = 15.2 mm Ixy = 52 300 mm4
La normativa fornisce inoltre i valori dei momenti d’inerzia nonché l’eccentricità dello spigolo
rispetto al baricentro nel sistema x0 y 0 :
Ix0 = 142 000 mm4 Iy0 = 37 200 mm4 ey0 = 21.5 mm
La tensione σzz è data da:
√
y0 x0
!
Mx0 0 My0 0 2
σzz = y − x = Mx +
Ix0 Iy0 2 Ix0 Iy0
205
L’asse neutro si trova imponendo σzz = 0:
√
2 y0 x0
!
Ix0
Mx + = 0 =⇒ n : y 0 = − x0 = −3.82x0
2 Ix0 Iy0 Iy0
Noto l’asse neutro, i punti di maggiore sollecitazione si trovano sulle tangenti esterne al profilo ad
esso parallele:
A n
x0 y0
− σzz,min
σzz,max +
Il punto B è stato preso per comodità sullo spigolo e non sul raccordo, approssimazione accettabile
poiché produce un’analisi più cautelativa.
Le coordinate del punto A nel sistema x0 y 0 sono note a priori, mentre per ottenere le coordinate
del punto B va applicata la matrice di rotazione di 45◦ alle sue coordinate nel sistema xy:
A = (ey0 , 0) = (21.5, 0)
( ) ( ) √ " # ( )
x0B xB 2 1 −1 −16.7
B = (ey − a, ex − a)xy = (11.2, −34.8) → = [L]T45◦ = = mm
yB0 yB 2 1 1 −32.5
Il momento potrebbe essere quindi aumentato di quasi 5 volte e mezza prima di raggiungere la
condizione critica.
206
L’asse di flessione si trova ortogonale all’asse neutro e passa per il baricentro:
n
0
x0 y
Formalmente l’equazione dell’asse di flessione è l’inversa con il segno opposto dell’equazione dell’asse
neutro:
Iy0 0
f : y0 = x = 0.262x0
Ix0
Gli spostamenti sono dati da:
My 2
u0 = z
EIy
Mx 2
v0 = − z
EIx
Lo spostamento complessivo vale:
v
!2
2 u Mx0 2
u
z My0
δ=− t
+
2E EIx0 EIy0
δ(1500) = −9.47 mm
207
13 Travi soggette a torsione
Finora sono stati analizzati i casi che producono il solo campo scalare σzz . Ci si può aspettare
tuttavia che esistano casi che producono anche un campo vettoriale ~τ = τxz~i + τyz~j, ovvero le situazioni
in cui sono presenti Mz , Tx e Ty , nelle quali i tensori di Cauchy assumono la forma:
0 0 τxz 0 0 τxz
Mz : 0 0 τyz Tx , Ty : 0 0 τyz
τxz τyz 0 τxz τyz σzz
Presa una sezione generica, si ricavano per equivalenza statica le espressioni del momento Mz e dei
tagli Tx e Ty :
Z
Tx = τxz dA
A
z Z
x Ty = τyz dA
A
τxz Z
Mz = (τyz x − τxz y)dA
τyz A
y
Le equazioni di equilibrio si riducono a:
∂τxz
∂z
=0
∂τyz
∂z
=0
∂τxz
+ ∂τ∂yyz + ∂σzz
∂x ∂z
=0
Le componenti τxz e τyz sono uniformi in z. Si nota inoltre che la divergenza del campo vettoriale
~τ = τxz~i + τyz~j è nulla in presenza di Mz , mentre non lo è in presenza di Tx e Ty . In presenza di Mz
quindi il campo è solenoidale, ovvero le linee di flusso sono chiuse, in presenza di Tx e Ty invece le
linee di flusso sono aperte e il campo è non solenoidale.
Per quanto riguarda le condizioni al contorno, per rispettare l’ipotesi di mantello scarico deve
essere τxz αx + τyz αy = 0, ovvero ~τ ~nΓ = 0, dove ~nΓ = (αx , αy , αz ) è la normale al mantello. Il campo
vettoriale ~τ deve essere quindi tangente al mantello in ogni punto di quest’ultimo.
Il fatto che la soluzione del problema della torsione riguarda un campo vettoriale porta all’impos-
sibilità di ottenere una soluzione generale come è stato fatto per l’azione normale o la flessione. Si
analizzeranno le soluzioni per le sezioni di interesse maggiore, mentre per gli altri casi si cercherà una
soluzione analitica approssimata.
208
13.1 Torsione uniforme su sezione circolare
L’ipotesi per la soluzione della torsione uniforme, ovvero con Mz costante, su una trave a sezione
circolare è che le sezioni della trave non subiscono deformazione, ma solo una rotazione relativa attorno
all’asse. Questo significa che le generatrici della trave passano da una forma rettilinea ad una forma
elicoidale.
Detta θz = θz (z)~k la distorsione angolare, lo spostamento di un generico punto P posto a distanza
~rP dal centro di una generica sezione circolare della trave è dato da:
~i ~j ~k
~uP = θz ∧ ~rP = θz (z)~k ∧ ~rP = θz (z) 0 0 1 = −θz y~i + θz x~j + 0~k
x y z
q
|~uP | = θz x2 + y 2 = θz rP , ~uP ⊥ ~rP
Se la torsione è uniforme, ogni disco dz della trave vede la stessa distorsione dθz , per cui ci si
aspetta che:
dθz
=Θ
dz
questa quantità è detta gradiente di torsione o angolo unitario di torsione. La rotazione relativa
tra due dischi consecutivi sarà espressa quindi dalla relazione:
θz (z) = Θz
Sotto l’ipotesi sopra descritta i dischi non subiscono deformazioni lineari, infatti si ha che:
du dv dw
εxx = =0 εyy = =0 εzz = =0
dx dy dz
Le deformazioni angolari invece sono date da:
du dw
γxz = + = −Θy
dz dx
dv dw
γyz = + = Θx
dz dy
du dv
γxy = + = −Θz + Θz = 0
dy dx
Le tensioni valgono quindi:
209
Per determinare Θ si impongono le condizioni di equivalenza statica (ricordando che i momenti
statici Sx e Sy sono nulli per un sistema baricentrico):
Z Z
Sy =0
Tx = τxz dA = −GΘ ydA = −GΘSy =⇒ Tx = 0
A A
Z Z
x S =0
Ty = τyz dA = −GΘ xdA = −GΘSx =⇒ Ty = 0
A A
Z Z
Mz dθz
Mz = (τyz x − τxz y)dA = GΘ (x2 + y 2 )dA = GΘ(Ix + Iy ) = GΘIP =⇒ Θ = =
GIP dz
A A
La relazione trovata include la causa del movimento, ovvero il momento Mx , le informazioni sul
materiale con il modulo G e la geometria del sistema con il momento polare IP .
Sostituendo nelle espressioni delle tensioni e ricavando le deformazioni si ottiene quindi la deformata
elastica della barra:
Mz Mz
τxz = −GΘy = − y → γxz = − y
IP GIP
Mz Mz
τyz = GΘx = x → γyz = x
IP GIP
Mz Mz
τ = GΘr = r→γ= r
IP GIP
Il campo di spostamento è dato da:
Mz
u = − GIP
zy
Mz
v = GIP zx
w =0
La rotazione relativa tra due sezioni a distanza L si ottiene integrando l’espressione generale della
rotazione relativa e imponendo la condizione al contorno per cui θ(0) = 0:
dθz Mz Mz
= =⇒ θz = z+c
dz GIP GIP
Mz Mz
θ(0) = 0 =⇒ c = 0 =⇒ θz (z) = z → θz (L) = L
GIP GIP
I potenziali elastici sono dati da:
2 2
τxz + τyz Mz2 2
Φ=Ψ= = r
2G 2GIP2
210
Si possono trarre conclusioni interessanti analizzando il caso della sezione circolare piena contro il
caso della sezione circolare cava:
D
De Di
πD4 π
IP = IP = (De4 − Di4 )
32 32
Mz D 16Mz Mz 32Mz De 16Mz De
τmax = πD4 = = τmax = 4
=
2 πD 3 WT π(De − Di ) 2
4 π(De4 − Di4 )
32
WT è detto modulo di resistenza a torsione.
Dal confronto si vede facilmente che la sezione circolare cava consente di risparmiare materiale
rimuovendolo dove la sollecitazione è minore, e riducendo la massima sollecitazione. Questo concetto
si può portare all’estremo con le sezioni cave a spessore sottile. Presa una sezione circolare cava
di diametro esterno De , diametro interno Di e spessore s, si individua il diametro medio D:
s
De Di
211
L’ottimizzazione dovuta all’uso di sezioni cave è ancora più rilevante nel caso della rigidezza. Infatti
si ha che:
dθz Mx
=
dz GIP
L’effetto è maggiore perché non c’è il termine D2 ma solo il momento polare che ha l’andamento di
4
D .
Questa nozione è chiara analizzando la molla di torsione:
Mz
z θz (L)
L
Mz
kT
θz (L)
212
Per quanto riguarda lo stato di tensione, questo si può ricondurre ad una singola componente
passando ad un riferimento cilindrico:
x
r θ
τxz z
P τ Mz
x τyz τθz
y
y
τθz
τθz
È possibile quindi semplificare l’espressione del tensore di Cauchy eliminando una componente:
0 0 τxz 0 0 0 " #
0 τθz
0
0 τyz −→ 0 0 τθz =
τθz 0
τxz τyz 0 0 τθz 0
Questa semplificazione permette di descrivere più semplicemente lo stato di tensione per un punto
generico della sezione, e inoltre permette di notare che ciascuna circonferenza centrata sul baricentro
complanare alla sezione è una linea di livello per le tensioni.
Ci si chiede ora qual è l’effetto della rotazione di un concio elementare associato ad un punto della
sezione. Ci si aspetta che la rotazione causi la generazione di tensioni σ:
0
σθ θ
0
0
σz z
0
τθz
τ θz
0 τ θz
z z
τθz
θ 0
θ
0 τ θz
σz z
0
τ θz
0
σθ θ
0
213
Lo stato di tensione nel sistema ruotato si ottiene applicando la matrice di rotazione allo stato di
tensione nel sistema originale:
Questo fatto è utilizzato nella progettazione di materiali compositi, nei quali se viene richiesta
resistenza a torsione vengono aggiunte lamine con fibre orientate a +45◦ / − 45◦ . Si spiega inoltre la
forma della frattura a torsione dei materiali fragili, nei quali si osserva una superficie elicoidale.
214
Per la verifica ed il dimensionamento va effettuato il calcolo a resistenza distinguendo tra materiali
duttili simmetrici, per i quali si possono utilizzare i criteri di Guest-Tresca:
1 q σ0
σeq = √ (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ≤ = σamm
2 ϕ
1 q σ
2 + τ2 + τ2 ≤ 0
σeq = √ (σxx − σyy )2 + (σyy − σzz )2 + (σzz − σxx )2 + 6(τxy xz yz
2 ϕ
√ σ0 σ0 σamm
σeq = 3τθz ≤ =⇒ τθz ≤ √ = √
ϕ 3ϕ 3
e materiali fragili, per i quali si utilizza il criterio di Galileo-Rankine:
σ0+
+
σeq = max{σ1 , σ2 , σ3 } ≤ ϕ min(σ0+ , σ0− ) quasi sempre σ0+
σ0−
−→ τθz ≤ −→ τθz ≤
−
σeq = min{σ1 , σ2 , σ3 } ≥ ϕ ϕ
ϕ
La differenza tra i criteri si vede sui rispettivi luoghi di resistenza, ricordando che la condizione di
sollecitazione è σ1 = −σ2 per cui al crescere del momento applicato ci si muove sulla bisettrice del
secondo e quarto quadrante:
Per materiali duttili la crisi avviene non appena si raggiunge il limite elastico sulle giaciture
previste dal criterio adottato. Nel caso di materiali fragili la crisi avviene per frattura in una giacitura
principale, orientata a +45◦ / − 45◦ rispetto all’asse della trave:
Per il calcolo a rigidezza in genere si sceglie una rotazione ammissibile tra le due facce terminali
della trave e si verifica che:
Mz
θz (L) = ≤ θz,amm
GIP
215
13.2 Limiti del modello di de St. Venant
• Forma variabile della sezione: il modello conserva validità per sezioni blandamente variabili (es.
cono con conicità piccola)
• Momenti distribuiti lungo l’asse: la soluzione è comunque valida per momenti distribuiti lungo
l’asse
• Momenti concentrati lungo l’asse: l’entità della perturbazione varia in base a come viene applicata
la variazione locale di momento. L’estensione della zona di estinzione dipende da come viene
τθz,max D r
kT = =f ,
τθz,n d d
Si verifica quindi che la tensione massima dipende dai parametri geometrici che definiscono la
sezione, oltre che ovviamente la sollecitazione applicata:
Mz d
τθz,max = kT
IP 2
Il fattore di forma è valido fintanto che il materiale rimane in campo elastico. Il suo valore si
ricava da grafici parametrici riportati nei manuali, usando dati ottenuti da prove sperimentali,
analisi numeriche e soluzioni analitiche.
216
13.3 Problemi staticamente indeterminati
Analogamente a quanto visto per l’azione normale, per la torsione si risolvono problemi iperstatici
con i quattro metodi visti in precedenza (delle forze, degli spostamenti, della deformata elastica o di
Castigliano), sostituendo Mz a N , θz a w, IP ad A e G ad E:
217
13.4 Torsione nelle sezioni compatte di forma qualsiasi
La soluzione di Coulomb applicata ai problemi di travi con sezioni qualsiasi fornisce risultati
inaccettabili. Ad esempio per la sezione rettangolare, dato il vettore ~τ funzione lineare del raggio
uscente dal baricentro e perpendicolare al raggio stesso, soddisfa le condizioni al mantello solo nei
punti A,B,C e D. Negli altri punti ~τ ~nΓ 6= 0.
Il problema è stato formulato da de St. Venant, il quale ha mostrato che le sezioni trasversali
di forma qualsiasi non si mantengono piane dopo torsione. L’unica sezione che ha questa proprietà
è la sezione assialsimmetrica (circolare piena o cava). La superficie piana dopo deformazione può
essere rappresentata da una superficie non piana nello spazio, e questa modifica geometrica è detta
ingobbimento.
Va osservato che si mantiene l’ipotesi, ancora da verificare, di rotazione rigida attorno all’asse
baricentrico e che si introduce uno spostamento w = w(x, y) dei punti della sezione indipendente da z
se Mz è costante. Va inoltre mantenuta l’ipotesi di piccoli spostamenti/deformazioni, poiché eccessive
torsioni impongono la deformazione delle fibre in eliche di lunghezza diversa e quindi alla generazione
di tensioni σxx , σyy , σzz , τxy .
218
L’analisi sperimentale fornisce indicazioni di massima sullo stato di tensione e di deformazione. Ad
esempio, prelevando due elementi infinitesimi del reticolo prima e dopo trasformazione:
u = −Θzy
v = Θzx
w = ΘΨ(x, y)
∂τxz ∂τyz ∂ 2Ψ ∂ 2Ψ
+ = 0 =⇒ + =0
∂x ∂y ∂x2 ∂y 2
Si nota inoltre che div(~τ ) = 0, cioé che il campo è solenoidale e quindi le linee di livello sono linee
chiuse.
Anche le condizioni al contorno possono essere espresse in funzione della sola funzione di ingobba-
mento: ! !
∂Ψ ∂Ψ
τxz ax + τyz ay = 0 =⇒ − y αx + − x αy = 0
∂x ∂y
dove αx e αy sono le componenti della normale al mantello nΓ .
219
Il problema:
2
∂ Ψ + ∂2Ψ = 0
∂x2 ∂y2
∂Ψ − y αx + ∂Ψ − x αy = 0
∂x ∂y
è detto problema differenziale di Newmann. La soluzione è una funzione armonica che può
essere espressa a meno di una costante, ovvero se Ψ(x, y) è soluzione, anche Ψ(x, y) + a lo è. A livello
del processo deformativo la costante può essere eliminata imponendo che lo spostamento medio sia
nullo:
1Z
wm = w(x, y)dA = 0
Aa
Si verifica quindi che il problema ammette soluzione e questa è unica.
Rimane da collegare la funzione d’ingobbamento alla causa del processo deformativo, che si può
fare attraverso le equazioni di equivalenza statica:
!
Z Z
∂Ψ ∂Ψ
Mz = (τyz x − τxz y)dA = GΘ x2 + y 2 + x −y dA = Mz ΘJT
∂y ∂x
A A
220
13.5 Centro di torsione
Per la sezione circolare è intuitivo pensare che la sezione ruoti attorno all’asse baricentrico, ma
questo fatto non è altrettanto valido per sezioni qualsiasi. Si può ipotizzare ovvero di avere un
asse di rotazione non baricentrico, e si può dimostrare che gli stati di deformazione e tensione sono
indipendenti dall’asse di rotazione scelto. Le soluzioni differiranno per un moto rigido, per cui per
individuare la sollecitazione lo studio può essere svolto assumendo un qualsiasi asse di torsione, ad
esempio quello baricentrico.
Tra gli infiniti assi di torsione ne esiste uno per cui il moto rigido medio di traslazione lungo z e
di rotazione attorno agli assi x(θxm ) e y(θym ) della sezione risulti nullo. In tal caso la sezione media,
ovvero il piano medio della sezione ingobbata, si mantiene ortogonale all’asse che passa per questo
punto C, il quale viene detto centro di torsione.
Imponendo le condizioni sopra descritte si ottiene:
Z
ΨC (x, y)dA = 0
A
Z
xΨC (x, y)dA = 0
A
Z
yΨC (x, y)dA = 0
A
ΨC (x, y) rappresenta la funzione di ingobbamento nel sistema traslato dal baricentro G al centro
di torsione C, ed è legata alla funzione di ingobbamento baricentrica Ψ(x, y) dalla relazione:
In base alla prima delle equazioni sopra riportate la costante è nulla, e sostituendo nelle altre due
si trovano le coordinate del centro di torsione:
1 Z
xC = − yΨ(x, y)dA
Ix
A
1 Z
yC = xΨ(x, y)dA
Iy
A
221
13.6 Funzione delle tensioni
Come menzionato non è possibile in generale trovare la soluzione in forma chiusa per sezioni di
forma qualsiasi, ma solo per alcune geometrie regolari.
Per ovviare al problema si può adottare la strategia della funzione delle tensioni.
Si ipotizza che esista una funzione F , detta funzione delle tensioni, che permette di ricavare le
tensioni per derivazione come segue:
! !
∂Ψ ∂F ∂Ψ ∂F
τxz = GΘ −y = τyz = GΘ −x =−
∂x ∂y ∂y ∂x
Dato che Ψ è proporzionale allo spostamento w(x, y), che è continuo e regolare sulla sezione, allora
2Ψ ∂2Ψ
Ψ è continua e regolare sulla sezione, perciò vale ∂y∂2 ∂x2 = ∂x2 ∂y 2 , quindi:
1 ∂ 2F ∂ 2Ψ ∂ 2Ψ 1 ∂ 2F
+ 1 = = = − −1
GΘ ∂y 2 ∂y 2 ∂x2 ∂x2 ∂y 2 GΘ ∂x2
Quindi si può scrivere che:
∂ 2F ∂ 2F
+ = −2GΘ
∂x2 ∂y 2
L’imposizione della condizione al contorno:
τxz αx + τyz αy = 0
Anche con questo sistema tuttavia la soluzione in forma chiusa per le sezioni non semplici è
complessa da trovare. Il problema posto in questo modo però consente di utilizzare un’analogia con
un altro problema, l’analogia della membrana.
222
13.7 Analogia della membrana
Si considera
h una
i membrana uniformemente tesa ai bordi da un’azione distribuita per unità di
N
lunghezza S mm , soggetta ad una pressione p ortogonale al piano:
Si può formulare analiticamente il problema per determinare lo spostamento w(x, y) della membrana
in funzione di p e di S:
2 2
∂ w+ ∂∂yw2 = − ps
∂x2
w = 0
Si possono ottenere per via sperimentale grandezze che si possono associare per analogia alle
grandezze tensionali. In particolare:
p
F −→ w 2GΘ −→
s
Scelta ps = 2GΘ si ricava la pressione p da applicare nell’esperimento, nel quale si misurerà lo
spostamento w(x, y) che definisce punto per punto il valore di F corrispondente, con la quale:
∂F ∂F
τxz = τyz = −
∂y ∂x
Ad esempio, per la sezione rettangolare:
223
Il punto di massimo si raggiunge in corrispondenza del punto medio dei lati lunghi A, A0 , a cui per
analogia corrisponde la massima pendenza della membrana:
Mz Mz
τmax,A = τmax,B =
αhb2 αhb2
In A e A0 il modulo della tensione è lo stesso così come in B e B 0 . Anche il fattore di rigidezza
torsionale si può esprimere in forma approssimata:
JT ∼
= βhb3
Di conseguenza:
Mz Mz
Θ= =
GJT βGhb3
α, α0 e β sono funzioni del rapporto hb :
224
13.8 Sezione rettangolare a parete sottile
Su utilizza l’approssimazione di parete sottile quando hb > 10. Dalla tabella dei coefficienti correttivi
per le sezioni rettangolari si ricava α ≈ 31 e β ≈ 13 , che permettono di esprimere la tensione sul lato
lungo.
Sfruttando l’analogia della membrana, in un ipotetico esperimento si osserva:
Si ottiene che:
3Mz Mz b3 h
Θ= = =⇒ JT =
Gb3 h GJT 3
225
Si ottiene quindi:
impone che:
h b
Z2 Z2
Z Z
6Mz 2 Mz
(τyz x)dA = Mz + (τxz y)dA = Mz − dx 3
y dy =
bh 2
A A −h − 2b
2
Ψ = −xy
226
13.9 Estensione ad altre sezioni a parete sottile
La trattazione approssimata si può estendere a profilati a sezione sottile aperta di forma tale da
poter essere svolta come forma rettangolare:
È inoltre possibile generalizzare anche a sezioni non riconducibili ad un unico rettangolo per
composizione di più tratti a sezione sottile.
Nell’analisi di queste sezioni vanno osservati i seguenti principi:
• τsz , con s coordinata lungo la linea media, varia linearmente sullo spessore.
• Per ragioni di congruenza l’angolo unitario di torsione Θ è lo stesso per tutti i tratti.
227
Negli angoli di connessione tra i tratti si realizza un effetto di perturbazione dello stato di tensione
con deviazione dall’andamento lineare previsto, che è il motivo per cui l’intradosso viene raccordato.
Per scegliere il raggio di raccordo nota la massima tensione ammissibile si utilizzano delle formule
correttive, come la formula correttiva di Treffetz:
s
bi
τmax,angolo = 1.74 τmax,i
ri
oppure la formula correttiva di Timoshenko:
!
bi
τmax,angolo = 1+ τmax,i
ri
228
13.10 Sezioni chiuse a parete sottile
Un caso di questo tipo è stato visto per la sezione circolare cava, per la quale si è ottenuta una
soluzione in forma approssimata data da:
229
Per equilibrio deve essere:
X
dFi,z = dF1,z + dF2,z = 0 =⇒ τzλ (λ1 )b(λ1 )dz = τzλ (λ2 )b(λ2 )dz =⇒ Φzλ (λ2 ) = Φzλ (λ1 )
Le quantità Φzλ (λ2 ) = Φzλ (λ1 ) sono il flusso di ~τ .
Si generalizza il flusso di ~τ attraverso una generica corda b(λ) ottenendo:
Φzλ = τzλ b(λ) = costante
la relazione sopra è l’analogia idrodinamica di Kirchoff.
Si può quindi ricavare la prima formula di Bredt (per la tensione):
La rigidezza torsionale può essere determinata utilizzando la relazione che lega il lavoro esterno
all’energia elastica, arrivando alla seconda formula di Bredt (per la deformata elastica):
230
Esercizio 22. Trave soggetta a torsione
Viene ottenuta una forma tubolare saldando assieme i lembi di una lamiera:
s
R
z Mz
Si vuole studiare lo stato di tensione sulla saldatura (assumendo che sia posizionata nel piano xz e
allineata con l’asse x) e il comportamento del profilato in assenza della saldatura.
Si assume s << R, per cui si possono utilizzare le formule viste per le sezioni sottili. La tensione
radiale sarà quindi data da:
Mz
τθz1 = = τyz
2sΩ
Tale tensione è per reciprocità anche la tensione che si ha sul piano di saldatura:
Mz
τzy = τyz = 2sπR2
τyz
231
La rigidezza torsionale è data da:
4Ω2 4s(πR2 )2
JT = R dλ = = 2sπR3
b(λ)
2πR
Γ
s
R 2πR
z Mz s
Θ1 Mz G2πRs3 s2 1
= 3
= 2
=
Θ2 2GsπR 3Mz 3R 300
La deformazione nella lamiera non saldata è quindi 300 volte la deformazione subita dalla lamiera
saldata. Ipoteticamente se la lamiera saldata deforma di 1◦ , la lamiera non saldata deforma di 300◦ ,
ma in tal caso viene meno l’ipotesi di piccoli spostamenti/deformazioni e il modello perde validità.
232
Esercizio 23. Problema iperstatico
A−A A A B B−B
B C
m(z)
Di A B D
De L1 L2
Dati:
De = 44 mm L1 = 120 mm
Di = 32 mm L2 = 80 mm
D = 80 mm m(z) = 7 kNm · m−1
σys = 375 MPa G = 80 000 MPa
Condurre la verifica a snervamento, calcolare la distorsione angolare nel punto B e calcolare la
massima distorsione angolare presente.
Il problema si presta bene alla soluzione con il metodo della deformata elastica. Lo schema di
corpo libero con l’incognita iperstatica che sostituisce il vincolo sovrabbondante è:
z1 z2
MzA m(z) xC
A B C
MzA = mz L2 − xC
m z L 2 − xC
− xC
m
z L2 − xC 0 ≤ z1 ≤ L1
Mz =
mz (L2 − z2 )xC 0 ≤ z2 ≤ L2
Note le espressioni del momento Mz si possono scrivere le equazioni della deformata elastica per i
due tratti di trave:
dθz1 Mz (z1 ) 1
= = (mz L2 − xC )
dz1 GIP 1 GIP 1
dθz2 Mz (z2 ) 1
= = (mz (L2 − z2 ) − xC )
dz2 GIP 2 GIP 2
233
Integrando:
1
θz1 = (mz L2 − xC )z1 + C
GIP 1
! !
1 z22
θz2 = mz L2 z2 − − xC z2 + D
GIP 2 2
Essendo presenti tre incognite (C, D e xC ) vanno poste tre condizioni al contorno:
incastro in A −→ θz1 (0) = 0 =⇒ C = 0
1
giunto rigido in B −→ θz1 (L1 ) = θz2 (0) =⇒ D = (mz L2 − xC )L1
GIP 1
L2 L2 IP 1 + 2L1 IP 2
incastro in C −→ θz2 (L2 ) = 0 =⇒ xC = mz
2 L2 IP 1 + L1 IP 2
La reazione vincolare in A vale quindi:
L2 L2 IP 1
MzA = mz L2 − xC = mz
2 L2 IP 1 + L1 IP 2
I momenti polari sono dati da:
π
IP 1 =(De4 − Di4 ) = 2.650 · 105 mm4
32
π
IP 2 = D4 = 1.649 · 105 mm4
32
Sostituendo nelle espressioni delle reazioni vincolari si ottengono:
MzA = 144 831 N m
xC = 415 169 N m
Si possono quindi calcolare le tensioni nei due tratti di trave come:
Mz,AB De Mz,C D
τmax,AB = = 12.0 MPa τmax,BC = = 45.43 MPa
IP 1 2 IP 2 2
Note le tensioni si può condurre la verifica a snervamento, ad esempio con il criterio di Von Mises
deve essere:
σys
τmax ≤
ϕ
Entrambe le tensioni sopra ricavate soddisfano il criterio. I fattori di sicurezza valgono:
σys σys
ϕAB = = 18 ϕBC = = 4.76
τmax,AB τmax,C
Utilizzando le equazioni della deformata elastica ottenute in precedenza si può calcolare la distorsione
angolare nel punto B:
1
θz1 (L1 ) = (mz L2 − xC )L1 = 8.2 · 10−4 rad
GIP 1
Per ricavare la distorsione angolare massima si può derivare l’espressione della deformata elastica e
porre la derivata pari a zero per determinare la coordinata del punto di massimo. Non è necessario in
questo caso derivare poiché la deformata elastica è stata ottenuta per integrazione, per cui per trovare
la coordinata del massimo è sufficiente imporre:
dθz2 1
= (mz (L2 − zθmax ) − xC ) = 0 =⇒ xθmax = 20.6 mm
dz2 GIP 2
Quindi sostituendo nell’equazione della deformata si ottiene:
! !
2
1 zθmax
θz2 (zθmax ) = mz L2 zθmax − − xC zθmax + D = 9.33 · 10−4 rad
GIP 2 2
234
14 Travi soggette a taglio e flessione
La situazione in cui sono presenti sia taglio che flessione è necessariamente da analizzare a parte
dato che, ricordando le relazioni differenziali tra le tensioni, esistono fenomeni di accoppiamento tra
tensioni di taglio e momenti flettenti:
dMy dMx
Ty = Tx = −
dz dz
Diventa quindi impossibile realizzare una prova di taglio puro per identificare i fenomeni deformativi
della trave.
Le azioni di taglio producono, come il momento torcente, tensioni tangenziali τxz e τyz , con
conseguenti deformazioni di distorsione angolare γxz e γyz .
I contributi di taglio e momento torcente non sono in generale ortogonali dal punto di vista
energetico, e può quindi nascere per il teorema di Betti un lavoro mutuo con le tensioni di taglio
che producono lavoro per le deformazioni torsionali e viceversa. Si verifica quindi che le azioni
possono essere trattate separatamente quando il lavoro mutuo è nullo e le azioni sono energeticamente
ortogonali. Tale condizione si realizza quando le tensioni di taglio passano per il centro di torsione
della sezione.
Si parla di pura sollecitazione di taglio e flessione se e solo se la risultante di taglio:
T~ = Tx~i + Ty~j
passa per il centro di torsione C della sezione, che viene quindi definito anche centro di taglio.
Si ricorda che il centro di torsione è posizionato sull’asse di simmetria della sezione, se presente, e
che se sono presenti due assi di simmetria allora il centro di torsione coincide con il baricentro.
La determinazione di una soluzione generale rispetto alle tensioni tangenziali nel solido di de St.
Venant è complessa dal punto di vista matematico, e si accettano quindi soluzioni approssimate per
sezioni interessanti tecnicamente quali:
235
Per osservare la deformazione di una trave in presenza di taglio e flessione si può considerare per
semplicità una trave in cui C ≡ G sulla quale è applicato taglio retto, ovvero taglio lungo gli assi
principali d’inerzia:
La deformazione si ottiene per sovrapposizione degli effetti delle azioni di taglio e flessione, e si
osserva il fenomeno di ingobbamento. L’effetto della sola azione di taglio si può ottenere sottraendo
dalla deformata totale l’effetto del momento Mx :
236
Se le fibre longitudinali fossero libere di scorrere una rispetto all’altra non si avrebbe deformazione
angolare, la quale nasce per impedire lo scorrimento reciproco. Per mantenere la continuità e la
congruenza nascono quindi delle tensioni tangenziali.
L’effetto di distorsione angolare diminuisce progressivamente allontanandosi dal piano medio della
trave, dato che le facce superiore e inferiore sono scariche e non soggette quindi a tensione.
Le tensioni normali sono prodotte dal momento flettente Mx e si possono ricavare tramite la
formula di Navier:
Mx (z)
σzz = y
Ix
Se il taglio è costante Mx = −Ty (L − z) allora:
Ty (L − z)
σzz = − y
Ix
Ricordando la relazione differenziale tra momento flettente e taglio quindi si ottiene:
dMx dσzz Ty
Ty = =⇒ = y
dz dz Ix
Se il taglio è positivo allora l’azione normale ha segno concorde al segno della coordinata y.
237
14.1 Teoria approssimata di Jourawsky
Il problema è descritto dalle seguenti equazioni generali:
La teoria esatta comporta notevoli difficoltà per tutte le tipologie di sezione. Si sviluppa quindi
una teoria approssimata basata unicamente sulle condizioni di equilibrio accettabile per molte sezioni
di interesse tecnico, la teoria approssimata di Jourawsky.
Il problema formulato solo rispetto alle condizioni di equilibrio è indeterminato, ed è quindi
necessario assumere l’andamento di una delle componenti di tensione per poter soddisfare le condizioni
di equilibrio in media.
Si considera prima il caso particolare in cui l’azione di taglio è diretta lungo un asse principale
d’inerzia e produce flessione retta non uniforme, che viene detto di taglio retto. L’analisi viene
svolta per una sezione simmetrica e verrà estesa in seguito come fatto per la torsione a sezioni non
simmetriche introducendo il concetto di centro di taglio.
L’applicazione del taglio Ty (Tx ) causa la flessione retta non uniforme Mx (My ). Le incognite
del problema, per il quale valgono le equazioni di equivalenza statica e di equilibrio indefinito e al
contorno, sono le tensioni τxz e τyz .
In particolare:
238
Si considera una generica corda P1 P2 perpendicolare all’asse di simmetria alla coordinata generica
y di lunghezza b(y). L’ipotesi di ortogonalità, successivamente rilassata, consente di identificare
chiaramente sulla corda le componenti del vettore ~τ rispetto agli assi principali d’inerzia.
τyz ⊥ P1 P2
τxz k P1 P2
Gli andamenti delle tensioni non sono noti a priori, la rappresentazione è intuitiva in base alla
direzione di Ty e a considerazioni sull’equilibrio al contorno.
Si calcola il valore medio delle tensioni sulla corda:
b
Z2
1
τyz,m = τyz dx 6= 0
b(y)
− 2b
b
Z2
1
τxz,m = τxz dx = 0
b(y)
− 2b
Il valore medio τyz,m si può ottenere con considerazioni sull’equilibrio in direzione z di un tratto
elementare dz di trave:
239
Si sostituisce ora l’andamento reale con l’andamento medio:
Si estrae il volume elementare di faccia ABCD, avente come basi, di area A∗ = A∗ (y), la parte
della sezione sottesa alla corda:
In direzione z agiscono σzz e σzz + ∂σ∂zzz dz sulle rispettive basi e τyz,m sulla faccia ABCD. La
risultante netta dN delle azioni σzz (z) sulle due aree A∗ uguali sottese alle corde AB e CD vale:
Z
∂σzz Z
Ty 0
dN = dzdA0 = y dzdA0
∂z Ix
A∗ (y) ∗
A (y)
la quale agisce nella direzione positiva di z poiché il gradiente è positivo per y > 0.
240
Di conseguenza τyz,m produce un’azione dF nella direzione negativa di z di modulo dF = τyz,m b(y)dz
Secondo Jourawsky il valore medio si può quindi assumere come rappresentativo della tensione
della corda. La formula ottenuta viene detta formula di Jourawsky.
Si può osservare che per:
y = ymax A∗ = 0 =⇒ τyz,m = 0
y = ymin A∗ = A Sx∗ (ymin ) = Sx = 0 =⇒ τyz,m = 0
Questo risultato conferma che le condizioni al contorno sono rispettate, essendo τyz = 0 in
corrispondenza delle due superfici libere.
Ty Sx∗ (y)
τλz,m =
Ix b(y)
241
Se il segno di τyz è positivo, le tensioni sono entranti nell’area A∗ , mentre se il segno è positivo sono
uscenti. Quest’ultimo caso accade se anziché considerare l’area A∗ si considera la sua complementare
rispetto all’area totale A∗∗ = A − A∗ . In tal caso S ∗∗ = −S ∗ , essendo S ∗∗ + S ∗ = Sx = 0, e quindi la
tensione è uguale in modulo ma opposta in segno.
∂ 2 τxz
2
=0
∂τxz
τxz αx + τyz αy = 0
242
14.2 Limiti di applicabilità della formula di Jourawsky
L’analisi secondo Jourawsky può essere estesa a sezioni non simmetriche, ma si dimostrerà in
seguito che per avere puro taglio e flessione e non avere effetti torsionali, la risultante del taglio dovrà
passare per un determinato punto (centro di taglio).
Poiché è basata su una sola condizione di equilibrio, per superare l’indeterminatezza della soluzione
è stata assunta costante la tensione ortogonale alla corda. Non sono quindi necessariamente soddisfatte
le condizioni di congruenza.
L’errore commesso è comunque piccolo se la corda b(λ) ha lunghezza limitata. Per sezioni a parete
sottile la formula di Jourawsky è quindi una buona approssimazione. Per sezioni compatte invece
il valore della τλz reale si discosta anche notevolmente dal valore medio. Se la corda è di lunghezza
limitata si può assumere trascurabile la componente di tensione ad essa parallela.
Dalle relazioni differenziali tra le azioni interne e dalla formula della flessione deviata si ottiene:
dMy dMx Mx My dσzz Ty Tx
Tx = − , Ty = , σzz = y− x =⇒ = y+ x
dz dz Ix Iy dz Ix Iy
243
14.4 Sezioni di interesse tecnico
Si analizzano di seguito applicazioni della teoria di Jourawsky su alcune sezioni di interesse tecnico.
b(y) = b
!
1 h
yC = +y
2 2
bh3
Ix =
12
τyz è sempre tangente agli assi verticali. τxz deve essere nullo su questi lati e di conseguenza è
nullo in tutta la corda dato che:
2x αy
τxz = − τyz =⇒ αy = 0
b αx
Il momento Sx ∗ (y) è dato da:
! ! 2 !
h 1 h bh2 2y
Sx ∗ (y) = A ∗ yC = b −y +y = 1−
2 2 2 8 h
3 Ty 3 τyz,max 3
τyz,max = τyz (0) = = τyz,n −→ ηT = =
2A 2 τyz,n 2
244
Si osserva come nel punto in cui σzz è nulla, τyz è massima e viceversa. Diventa interessante quindi
analizzare il rapporto tra le due azioni:
σzz,max L−z
=f
τyz,max h
Dal rapporto si evince che, considerando L >> h, il contributo della tensione normale è dominante,
almeno nel punto critico dell’intera trave z = 0.
Il flusso di taglio è dato da:
2 !
3 Ty 2y
Φyz = τyz b = 1−
2 h h
Le linee di flusso sono aperte e parallele ai lati verticali.
La validità della teoria di Jourawsky per la sezione rettangolare dipende dal rapporto tra larghezza e
altezza della sezione, con il quale cresce proporzionalmente l’errore del modello, ovvero il discostamento
della tensione media dalla tensione reale:
2
y = R cos(ϕ) Sx ∗ = (R − sin(ϕ))3
3
π 4
b(y) = 2R sin(ϕ) Ix = R
4
Ty Sx ∗ (y)
τyz =
Ix b
2
Ty 3 (R − sin(ϕ))3
= π 4
4
R 2R sin(ϕ)
4 Ty (sin(ϕ))2
=
3 πR2
4 Ty (1 − cos2 (ϕ))
=
3 πR2
2 !
4 Ty y
= 2
1−
3 πR R
245
L’andamento è parabolico in y, con il massimo in y = 0 (o in ϕ = π2 ) e valore nullo in y = ±R.
Con il valore massimo si può definire, come fatto per la sezione rettangolare, il fattore di taglio:
Ty 4 Ty
τyz,max = 34 πR 2 = 3 A
τyz,max 4
Ty =⇒ ηT = =
τyz,n = A τyz,n 3
2x αy 2x 4 Ty (sin(ϕ)2 1
τxz = − τyz =−
b αx b 3 πR2 tan(ϕ)
b
Sul bordo, ovvero in x = 2
= R sin(ϕ):
4 Ty
τxz = − sin(ϕ) cos(ϕ)
3 πR2
q 4 Ty
2 + τ2 =
2 Ty
τ= τxz yz 2
sin(ϕ) = b
3 πR 3 πR2
Il valore massimo si ottiene sul diametro, ovvero per b = 2R.
• A doppia simmetria (C ≡ G)
• Asimmetriche (C 6≡ G)
La distinzione in sezioni aperte simmetriche e non è essenziale a dare generalità alla trattazione,
nella quale si assume che l’azione tagliante passi per il centro di taglio C. La condizione di simmetria
diventa quindi un caso particolare nel quale il centro di taglio appartiene all’asse di simmetria della
sezione.
La stessa distinzione è più rilevante per le sezioni chiuse, le quali in generale non sono staticamente
determinate per il calcolo delle tensioni di taglio e richiedono l’introduzione delle condizioni di
congruenza per la risoluzione del problema. Se la sezione è simmetrica tuttavia si può ovviare a questa
necessità assumendo una ripartizione simmetrica del flusso di taglio.
246
14.4.4 Sezioni aperte a parete sottile: impostazione generale del problema
Si suppone che la sezione trasversale sia costituita da una striscia sottile sviluppata lungo una linea
media Γ, avente spessore b eventualmente variabile lungo la curva b = b(λ), con λ ascissa curvilinea.
Si ipotizza noto il centro di taglio C, coincidente con il centro di torsione e calcolabile quindi con
le note equazioni per xC e yC . Per evitare effetti torsionali il taglio è passante in C.
T~ = Tx~i + Ty~j
Si prende una generica corda ortogonale alla linea media, identificando così su di essa la tensione
τλz . La componente τqz è nulla al contorno per rispettare le condizioni al contorno che impongono che
~τ sia tangente al bordo. Poiché lo spessore è piccolo si può assumere trascurabile τqz .
Usando la relazione per il taglio deviato:
" #
1 Ty Sx ∗ (λ) Tx Sy ∗ (λ)
τλz = +
b(λ) Ix Iy
Si può scrivere l’equilibrio sul tratto elementare analogamente a quanto fatto per sviluppare la
teoria di Bredt:
247
14.4.5 Sezione ad I
Come espresso nella formulazione generale, si assumono corde b ortogonali alla linea media,
ottenendo:
" #
1 Ty Sx ∗ (λ) Tx Sy ∗ (λ)
τλz = +
b(λ) Ix Iy
Lungo le ali λ k x si ha τλz ≡ τxz mentre lungo l’anima λ k y si ha τλz ≡ τyz .
La direzione del flusso si può identificare per analogia di un fluido che percorre il canale assecondando
la direzione indicata da Ty e Tx . Per via analitica si può identificare attraverso l’equilibrio con il
metodo di Jourawksy per un volume elementare avente per base l’area sottesa alla corda.
Per il calcolo di τλz si può procedere per sovrapposizione degli effetti, studiando inizialmente
l’effetto di TY , al quale si associa un momento Mx , e quindi studiando σzz .
248
Le azioni τλz producono una risultante dF opposta e sono quindi orientate come in figura:
Z
dσzz Ty Z Ty H
dF = τλz b1 dz = dzdA∗ = dz ydA∗ = dN =⇒ τλz = λ1
dz Ix Ix 2
A1 ∗ A∗
249
Per quanto riguarda le ali inferiori si procede allo stesso modo, partendo dagli estremi, In questo
caso il momento statico è positivo, per cui il flusso è entrante nell’area. Dato che la geometria è la
stessa i valori di tensione sono uguali.
Ty Sx ∗ (λ)
τyz =
Ix b2
H
2 !
H Z H H 2 y2
Sx = b1 B + b2 y 0 dy 0 = b1 B + b2 −
2 y
2 8 2
250
Lo stato di tensione globale si rappresenta quindi come:
In corrispondenza del nodo il flusso di taglio entrante deve eguagliare il flusso uscente:
Ty BH Ty BH
τxz,1 = τxz,2 = −→ Φxz,1 = Φxz,2 = b1
Ix 4 Ix 4
Ty Ty BH
τλz,3 = BHb1 −→ Φyz,3 = b1
2Ix b2 2Ix 4
251
Sull’anima centrale la tensione è nulla per simmetria, essendo Sy ∗ = 0. Lo stato di tensione globale
è quindi:
La risultante di Tx e Ty si ottiene per sovrapposizione degli effetti come visto nella formula del
taglio deviato.
Si osserva che:
• Nella pratica lo spessore dell’ala è maggiore rispetto a quello dell’anima per massimizzare la
risposta a flessione. L’anima per cui è sede del valore più elevato di τλz .
• Nel nodo si concentrano le tensioni, e per correggere lo stato tensionale locale si utilizza la
relazione di Treffetz. Nella pratica i profilati standard hanno K = 1.
Le tensioni che sorgono lungo z hanno lo scopo di impedire lo scorrimento relativo tra le due parti
a contatto nel piano di sezione. Va posta attenzione quando si trattano travi ottenute per unione di
profili (per incollaggio, saldatura o chiodatura/rivettatura/bullonatura). In tal caso si calcola in prima
approssimazione la forza tagliante sul chiodo (o comunque sull’elemento che costituisce la giunzione)
tenendo conto del passo:
252
14.4.6 Sezione a C
Se la sezione è non simmetrica, o a semplice simmetria con carico di taglio non sull’asse di simmetria,
lo stato di tensione è di solo taglio e flessione solo se l’azione tagliante passa per il centro di taglio,
coincidente con il centro di torsione.
È valida la relazione per il taglio deviato:
" #
1 Ty Sx ∗ (λ) Tx Sy ∗ (λ)
τλz +
b(λ) Ix Iy
Integrando le tensioni sulla sezione si ottengono le azioni interne ad esse associate per equivalenza
statica:
253
L’effetto di un’azione tagliante passante per il baricentro anziché per il punto C si può vedere per
sovrapposizione degli effetti:
Un’evidenza sperimentale di questo effetto torsionale spurio si ha per la trave soggetta a peso
proprio, nella quale si genera un’azione tagliante passante per il baricentro G ma non per il centro di
taglio C:
254
Per evitare l’effetto torsionale indesiderato è quindi necessario far passare la forza per il centro di
taglio, esterno alla sezione. Si possono utilizzare ad esempio delle mensole sulle quali far passare la
forza.
Un problema non banale si ha per travi di grande lunghezza soggette a peso proprio, nelle quali la
torsione può essere notevole ad esempio in fase di montaggio della struttura.
L’individuazione di taglio si può fare in modo approssimato tramite le condizioni di equilibrio
derivanti dalla teoria approssimata del taglio di Jourawsky, oppure in maniera più rigorosa per mezzo
della teoria dell’elasticità (studiando ad esempio l’ingobbamento a torsione). A livello pratico va
ricordato che se esiste un’asse di simmetria, il centro di taglio vi appartiene, e che per il calcolo
delle sue coordinate si utilizza il taglio Ty per la coordinata xC , mentre si utilizza il taglio Tx per la
coordinata yC . Un’altra osservazione è che per sezioni formate da lati rettilinei sottili intersecanti in
un punto, il centro di taglio si trova in corrispondenza dell’intersezione tra le linee medie dei lati.
L’analisi ritorna ad essere staticamente determinata nel caso di sezioni biconnesse simmetriche,
che sono peraltro molto usate nella pratica, per le quali si può ripartire equamente il flusso di taglio
tra i rami della sezione ed applicare quindi il metodo di Jourawsky:
255
14.5 La deformazione dovuta al taglio
All’azione di taglio si accompagna sempre un’azione flettente, il cui effetto di deformazione è
generalmente maggiore rispetto alla deformazione di taglio. Sottraendo alla deformata totale il
contributo flessionale si ottiene una deformata di pura distorsione angolare:
L’entità della deformazione di distorsione angolare varia in modo coerente all’andamento di τλz .
256
Per il taglio Ty si ottiene:
L’analisi delle diverse sezioni con l’approccio di Jourawsky fornisce sempre una relazione della
forma:
Ty
τ = R(x, y)
Ix
Sostituendo nell’espressione del lavoro specifico si ottiene:
2 Z
1 Ty
Ty γy = R2 (x, y)dA
G Ix
A
Ty A Z 2 Ty
γy = R (x, y)dA = Xy
GA Ix2 GA
A
La relazione ottenuta rappresenta la deformata elastica a taglio, poiché mette in relazione l’angolo
di inclinazione con l’azione interna corrispondente. Xy è detto fattore di rigidezza a taglio,
adimensionale, che contiene informazioni sulla geometria della sezione.
Per il taglio Tx si ha deviazione dell’asse nel piano xz, e con considerazioni del tutto analoghe a
quelle appena svolte si ottiene la seguente deformata elastica:
Tx A Z 2 Tx
γx = 2
P (x, y)dA = Xx
GA Iy GA
A
257
Il fattore di rigidezza a taglio dipende dalla geometria della sezione ed è noto per le sezioni di
utilizzo comune. Il suo valore è sempre compreso tra 1 e il fattore di taglio η.
Alcuni esempi:
Per quanto riguarda il taglio deviato, si osservano lavori mutui, infatti vale:
" #
1 Ty Sx ∗ (λ) Tx Sy ∗ (λ)
τλz = +
b(λ) Ix Iy
258
IV Analisi delle strutture
Per quanto riguarda il campo vettoriale ~τ = τxz (x, y)~i + τyz (x, y)~j, non esiste una soluzione generale
del problema ed è necessario ricavare risultati approssimati adatti a specifiche sezioni di interesse
tecnico.
Per tutte le sezioni vale comunque:
~τ = τxz (x, y)~i + τyz (x, y)~j = (τxz,T + τxz,M )~i + (τyz,T + τyz,M )~j
Per alcune sezioni, come quelle a parete sottile, si verifica utile scegliere opportunamente il sistema
di riferimento locale che permette di scrivere:
~τ = 0~iq + τλz~iλ = (τyz,T + τyz,M )~iλ
Come per il carico normale eccentrico, anche le azioni di taglio e di momento torcente possono
essere sostituite da un sistema staticamente equivalente di azione di taglio agente con eccentricità d
rispetto al centro di torsione/taglio:
259
Il tensore delle tensioni espresso in sistema di riferimento centrale xyz (con z ortogonale alla
sezione, x e y allineati agli assi principali d’inerzia) è della forma:
0 0 τxz
[S] = 0 0 τyz
τxz τyz σzz
Si rivela conveniente esprimere il tensore in un sistema λq ruotato rispetto ad xy in modo tale che
λ sia allineata con il vettore ~τ .
Questa rappresentazione diventa utile ad esempio nel caso della torsione di travi di sezione circolare
o nel caso di torsione e taglio di sezioni a parete sottile.
Lo stato di tensione è piano, poiché il determinate del tensore di Cauchy è nullo. Di conseguenza
una delle tre tensioni principali è nulla, σ3 = 0, mentre le altre due sono date da:
s
2
σzz σzz
σ1,2 = ± 2 + τ2
+ τxz yz
2 2
Lo stesso risultato si ha con la matrice 2x2 nel sistema ruotato. Poiché il termine sotto radice è
sempre maggiore o uguale a σzz le due tensioni principali sono di segno opposto. L’uguaglianza vale
nel caso monoassiale per il quale σ2 = 0 e σ1 = σzz .
Si rappresenta quindi lo stato di tensione sul piano di Mohr:
260
Sul cerchio esterno sono riportate le terne di valori (σz0 z , σλ0 λ , τλ0 z ) ottenuti per rotazione attorno
all’asse q:
Sulla generica sezione si identificano le azioni interne che, in base al principio di de St. Venant, si
riconducono alle componenti del tensore delle tensioni.
Questi valori di tensione necessitano di correzioni locali per tener conto delle approssimazioni
introdotte con le ipotesi di de St. Venant. In particolare vanno considerate le zone di estinzione, gli
scostamenti geometrici locali e le condizioni di carico.
Utilizzando la soluzione generale di de St. Venant con le correzioni locali, si possono esprimere le
tensioni equivalenti in base al criterio di crisi adottato:
261
Per il criterio di Guest-Tresca vale:
1 q 2
σeq = √ (σxx − σyy )2 + (σyy − σzz )2 + (σzz − σxx )2 + 6(τλq + τλz + τqz )
2
1 q 2 q
σeq = √ 2σzz + 6τλz2
= σzz2 + 3τ 2
λz
2
q
2 + 3τ 2 ≤ σ
σcr
σzz λz amm =
Φ
Per il calcolo del coefficiente di sicurezza si valuta la condizione di tangenza cerchio e retta. Il
fattore di scala tra cerchio tangente e cerchio originale fornisce il margine di sicurezza.
Dato che σzz e τ variano sulla sezione, va cercata la combinazione che massimizza σeq sulla sezione
Ω:
σeq,cr = max{σeq (x, y); ∀(x, y) ∈ Ω}
262
263
16 Analisi a rigidezza
Nello studio dei casi particolari sono state analizzate le componenti di deformazione pura di un
tronco elementare di trave, e sono state associate al campo di spostamento dei punti della sezione
attraverso le equazioni di congruenza ([δ]~u = ~ε). Gli effetti delle singole componenti sono stati
scissi in uno spostamento primario, di traslazione e rotazione rigide della sezione media in una
posizione generica dell’asse della trave, e uno spostamento secondario, associato alla deformazione
trasversale per effetto Poisson con l’azione normale o momenti flettenti o al fenomeno di ingobbamento
della sezione dovuto a sollecitazioni di taglio o torsione. Lo spostamento secondario è generalmente
trascurabile poiché ha entità limitata rispetto alla deformata globale della trave, e non è quindi
considerato nell’analisi.
Per l’analisi della deformata globale si identificano quindi gli spostamenti del baricentro della
sezione e le rotazioni attorno agli assi coordinati della sezione media:
u(z) = u(0, 0, z)
v(z) = v(0, 0, z)
w(z) = w(0, 0, z)
(θx , θy , θz )
Tutte queste grandezze sono state associate alle azioni interne mediante il concetto di deformata
elastica.
264
16.2 Deformate elastiche
Gli spostamenti e le rotazioni elementari tra due basi a distanza dz sono dati dalle equazioni della
deformata elastica viste precedentemente caso per caso. Per l’azione normale vale:
N dw N
dw = dz =⇒ =
EA dz EA
Per i momenti flettenti valgono:
Mx dθx d2 v F Mx
dθx = dz =⇒ =− 2 =−
EIx dz dz EIx
2
My dθy d uF My
dθy = dz =⇒ =− 2 =
EIy dz dz EIy
Per le azioni di taglio valgono:
Tx Ty duT Tx Ty
duT = Xx + Xxy dz =⇒ = Xx + Xxy
GA GA dz GA GA
Tx Ty dvT Tx Ty
dvT = Xx y + Xy dz =⇒ = Xx y + Xy
GA GA dz GA GA
Infine per la torsione vale:
Mz dθz Mz
dθz = dz =⇒ =
GJT dz GJT
dove dθz è una rotazione attorno all’asse di torsione parallelo all’asse z baricentrico e passante per il
centro di taglio/torsione.
I momenti flettenti e le azioni di taglio contribuiscono separatamente agli spostamenti u e v del
baricentro, la deformata globale si ottiene per sovrapposizione degli effetti. Come visto per le travi
snelle in ogni caso spesso si trascurano i contributi di taglio visto che la dipendenza da x e y è
trascurabile rispetto alla dipendenza da z dei momenti flettenti.
265
L’integrazione delle equazioni della deformata elastica comporta l’introduzione di costanti di
integrazione che richiedono la specifica di condizioni al contorno per essere determinate. Per la
deformata elastica del primo ordine si impongono condizioni cinematiche sullo spostamento:
vincolo ideale w(z0 ) = 0
vincolo per z = z0
vincolo cedevole w(z0 ) = w0
Per la deformata elastica del secondo ordine invece si impongono condizioni statiche sull’azione
normale oppure condizioni cinematiche sullo spostamento:
punto libero N (z1 ) = 0
condizioni statiche
punto caricato N (z1 ) = N1
vincolo
ideale w(z0 ) = 0
condizioni cinematiche
vincolo cedevole w(z0 ) = w0
Nella situazione in cui siano presenti brusche variazioni di sezione (A = A(z)), cambi di materiale
(E = E(z)) o carichi concentrati, l’analisi si spezza in più parti.
266
La soluzione della linea elastica permette inoltre di risolvere problemi iperstatici, a seconda
dell’equazione usata si ha:
• Equazione al primo ordine: è necessario rendere isostatica la struttura, introducendo le incognite
iperstatiche Xk (k = 1, . . . , K), imponendo successivamente le condizioni di compatibilità sugli
spostamenti in corrispondenza dei vincoli rimossi:
= 0 vincolo ideale
w(lk ) = wk
6= 0 vincolo cedevole
• Equazione al secondo ordine: non è necessaria l’isostaticità della struttura, ma basta solamente
porre le condizioni al contorno corrette da cui ricavare l’andamento delle azioni interne:
dw
w = w(z) =⇒ N (z) = E(z)A(z)
dz
Infine, posto l’equilibrio ai vincoli, si ricavano le reazioni vincolari.
267
L’equazione del primo ordine è approssimata, ed è tanto più precisa quanto è alta la rigidezza
torsionale (G(z)JT (z)). È presente quindi sempre un modesto ingobbamento della sezione. Il caso
peggiore è quello delle sezioni aperte a parete sottile, che dovrebbero essere evitate nella trasmissione
dell’azione torcente.
Se sono presenti azioni torcenti distribuite mz (z) lungo l’asse, sussiste la relazione differenziale:
dMz
= −mz (z)
dz
Come visto per l’azione normale si può scrivere:
!
d dθz
G(z)JT (z) = −mz (z)
dz dz
d2 θz
GJT = −mz (z)
dz 2
Valgono anche a torsione le considerazioni fatte sulle condizioni al contorno, sulla partizione della
trave in tratti in presenza di variazioni di sezione, materiale o momenti concentrati/distribuiti, nonché
le osservazioni sull’uso delle equazioni del primo e del secondo ordine per la risoluzione di problemi
iperstatici.
Mx dθx d2 vF Mx
dθx = dz =⇒ = = −
EIx dz dz 2 EIx
2
My dθy d uF My
dθy = dz =⇒ =− 2 =
EIy dz dz EIy
Tx Ty duT Tx Ty
duT = Xx + Xxy dz =⇒ = Xx + Xxy
GA GA dz GA GA
Tx Ty dvT Tx Ty
dvT = Xx y + Xy dz =⇒ = Xxy + Xy
GA GA dz GA GA
Nel caso di taglio retto Ty :
Ty
dv = dvT + dvF = Xy − θx dz
GA
dv Ty
= Xy − θx
dz GA
268
Tenendo conto dei segni, per il taglio Tx vale:
Tx
du = duT + duF = Xx + θy dz
GA
du Tx
= Xx + θy
dz GA
Nel caso del taglio deviato, in assenza di simmetrie va considerato anche il contributo mutuo
essendo Xxy 6= 0.
In assenza di accoppiamento e noti gli andamenti di Mx (z), My (z), Tx (z) e Ty (z), si possono
integrare le due equazioni della deformata elastica del primo ordine a flessione e taglio:
dv Ty
= Xy − θx
dz GA
du Tx
= Xx + θy
dz GA
Poste le opportune condizioni al contorno, si ricavano quindi le funzioni θx (z), θy (z), v(z) e u(z).
Di norma si considera trascurabile il contributo del taglio, perciò ponendo v ≈ vF e u ≈ uF si
ottengono le espressioni già viste nello studio della flessione pura:
d2 v dθx Mx
2
=− =−
dz dz EIx
2
du dθy My
2
= =
dz dz EIy
che sono dette equazioni della deformata elastica del secondo ordine a flessione e taglio.
Come già visto, considerando le equazioni differenziali relative alle azioni interne:
che sono dette equazioni della deformata elastica del terzo ordine a flessione e taglio, e:
! !
d2 d2 v d2 d2 u
E(z)Ix (z) 2 = q0y (z) E(z)Iy (z) 2 = q0x (z)
dz 2 dz dz 2 dz
che sono dette equazioni della deformata elastica del quarto ordine a flessione e taglio.
Queste ultime, nel caso comune in cui sono costanti E, Ix ed Iy , si riducono a:
d4 v d4 u
EIx = q0y (z) EIy = q0x (z)
dz 4 dz 4
269
L’integrazione delle equazioni di secondo ordine richiede di specificare due condizioni al contorno
cinematiche, sugli spostamenti o sulle rotazioni:
v(z0 ) = 0 u(z0 ) = 0
vincolo ideale
θx (z0 ) = 0 θy (z0 ) = 0
vincolo per z = z0
v(z0 ) = v0 u(z0 ) = u0
vincolo cedevole
θx (z0 ) = θx0 θy (z0 ) = θy0
Per la linea elastica del quarto ordine sono necessarie quattro condizioni, tipicamente due condizioni
statiche aggiunte alle condizioni cinematiche appena viste:
Ty (z0 ) = 0
Tx (z0 ) = 0
GDL al vincolo
Mx (z0 ) = 0
My (z0 ) = 0
condizioni statiche
Ty (z0 ) = Fy0 Tx (z0 ) = Fx0
Punti di applicazione momenti/tagli noti
Mx (z0 ) = Mx0 My (z0 ) = My0
La linea elastica del quarto ordine non richiede la conoscenza delle reazioni vincolari e degli
andamenti delle azioni interne, ma solo l’imposizione delle condizioni al contorno. Determinati v(z) e
u(z) le altre grandezze si ottengono per derivazione:
dv du
rotazioni: θx = − θy =
dz dz
2
dv d2 u
momenti: Mx = −EIx 2 My = −EIy 2
dz
!
dz !
2
d dv d d2 u
tagli: Tx = − EIx 2 Ty = − EIy 2
dz dz dz dz
Si ricavano infine le reazioni vincolari impostando l’equilibrio con le azioni interne sul tratto
elementare in prossimità del vincolo.
La linea elastica del secondo ordine richiede la soluzione statica della struttura per determinare
reazioni vincolari e azioni interne.
Se la flessione è deviata, lo spostamento avviene sul piano di inflessione (ortogonale all’asse neutro)
ed è la composizione vettoriale degli spostamenti u e v ottenuti dalle rispettive deformate elastiche:
√
~δ = u~i + v~j δ= u2 + v 2
Come già visto l’analisi va spezzata nel caso siano presenti brusche variazioni di sezione, cambi di
materiale o carichi concentrati/distribuiti.
Ad esempio nel caso di flessione Mx e taglio Ty :
270
Imponendo le condizioni di congruenza si ottiene:
Come visto in precedenza si può adottare una coordinata zi per ciascuno spezzone di trave,
imponendo zi = li e zi+1 = 0.
Entrambe le linee elastiche (secondo e quarto ordine) viste si possono usare nella risoluzione di
problemi iperstatici.
L’equazione del secondo ordine richiede l’isostaticità della struttura con l’introduzione delle
incognite iperstatiche Xk (k = 1, . . . , K) e l’espressione dell’equazione dei momenti in funzione dei
carichi esterni Qi (i = 1, . . . , n) e delle incognite iperstatiche:
Mx (z) = Mx (Qi , Xk , z)
My (z) = My (Qi , Xk , z)
Dopo l’integrazione vanno imposte le condizioni di compatibilità sugli spostamenti e sulle rotazioni in
corrispondenza dei vincoli ridondanti rimossi:
= 0 vincolo ideale
∆(lk ) = ∆k
6= 0 vincolo cedevole
Usando la linea elastica del quarto ordine l’isostaticità non è necessarie, ma basta imporre le
opportune condizioni al contorno, tipicamente cinematiche. Una volta calcolati gli spostamenti v = v(z)
e u = u(z) si risale all’andamento delle azioni interne e, per equilibrio ai vincoli, alle reazioni vincolari.
271
Una variazione di temperatura uniforme su tutto il volume causa una deformazione omogenea su
ogni volume infinitesimo dxdydz associato all’intorno del generico punto P = P (x, y, z). Al contrario
una variazione non uniforme di temperatura causa dilatazioni/contrazioni diverse per ogni volume
infinitesimo, richiedendo quindi condizioni aggiuntive sulla compatibilità cinematica.
È possibile la nascita di stati di tensione localizzati in quelle zone del materiale dove i volumi non
sono liberi di contrarsi o espandersi.
Nel caso delle travi, in presenza di una variazione di temperatura uniforme sulla sezione produce
uno stato di deformazione definito da:
Il contributo della variazione di temperatura alla deformata può essere sommato per sovrapposizione
degli effetti al contributo meccanico. La linea elastica del primo ordine diventa:
dw N (z)
εzz,N + εzz,α = + α∆T (z)
dz E(z)A(z)
Se la variazione di temperatura non è uniforme, con ∆T = ∆T (x, y, z), allora si avrà εzz,α = εzz,α .
Si possono comunque fare considerazioni sulle componenti trasversali, ad esempio in caso di non
uniformità in direzione y (la trattazione è analoga per x):
Il contributo uniforme alla variazione si può evidenziare separando la variazione media dagli
scostamenti rispetto alla media:
La variazione media ∆Tm determina una deformazione uniforme sulla sezione che viene inglobata
nella linea elastica dell’azione normale:
dw N (z)
= + α∆Tm
dz E(z)A(z)
Lo scostamento dalla media determina una deformazione differenziata in funzione della posizione
y. La trave perde la rettilineità e possono nascere tensioni interne.
272
Intuitivamente si può dire che non nascono tensioni interne se ogni volume elementare, supposto
libero di deformarsi, può essere successivamente ricollocato mediante soli moti rigidi di rotazione e
traslazione per ricostruire la continuità del volume della trave.
273
Va considerato infine l’effetto dei vincoli. Se il vincolamento è isostatico la trave deforma liberamente
e non nascono tensioni legate a deformazioni impedite, quindi l’effetto termico contribuisce solo alla
deformata:
∆T (y) = ∆Tm + αy y
Nel caso di vincolamento iperstatico invece la trave non deforma liberamente e si introduce quindi
uno stato di tensione autoequilibrato:
I principi introdotti per le travi sono validi anche per solidi di forma qualsiasi.
274
16.7 Energia di deformazione
Per ciascuna azione interna è già stata definita l’energia di deformazione associata:
dUE N2 dUE T2 Tx Ty T2
N =⇒ = Tx , TY =⇒ = Xx x + Xxy + Xy y
dz 2EA dz 2GA GA 2GA
dUE Mx2 dUE Mz2
Mx =⇒ = Mz =⇒ =
dz 2EIx dz 2GJT
dUE My2
My =⇒ =
dz 2EIy
È già stato visto che le azioni responsabili del campo scalare σzz (N , Mx , MY ) sono energeticamente
ortogonali per cui i lavori mutui sono nulli. Le azioni Tx e Ty applicate al centro di torsione sono
energeticamente ortogonali a Mz ma non necessariamente tra loro. In questo caso l’ortogonalità si
realizza se la sezione presenta almeno un asse di simmetria.
Note le considerazioni sull’ortogonalità lo stato energetico derivante da uno stato composto di
sollecitazione è dato dalla somma dei singoli contributi:
dUE N2 Mx2 My2 Tx2 Tx Ty Ty2 Mz2
= + + Xx + Xxy + Xy +
dz 2EA 2EIx + 2EIy 2GA GA 2GA 2GJT
Se la sezione ha almeno un asse di simmetria Xxy = 0 quindi:
dUE N2 Mx2 My2 Tx2 Ty2 Mz2
= + + Xx + Xy +
dz 2EA 2EIx + 2EIy 2GA 2GA 2GJT
Applicando il teorema di Clapeyron il lavoro sul tratto elementare svolto dalle azioni interne vale:
1
dL = (N dw + Mx dθx + My dθy + Mz dθz + Tx du + Ty dv)
2
Sostituendo le espressioni per le componenti elementari di spostamento si ottiene:
Mx2 My2 T2
!
dUE N2 T2 Mz2
dL = = + + Xx x + X y y + dz = dUE
dz 2EA 2EIx + 2EIy 2GA 2GA 2GJT
275
16.9 Relazione fondamentale in campo elastico
Sotto le ipotesi di materiale elastico lineare e di piccoli gradienti di spostamento/deformazione, si
giunge all’equivalenza tra lavoro delle forze esterne e energia di deformazione elastica:
Le = Ue
Si assume che l’energia cinetica sia trascurabile e che i carichi siano applicati in modo statico o
quasi statico. Vale il teorema di Clapeyron:
N
1 Z
~bT ~udV +
Z Z Z Z
T T
= UE (Qi , p~, ~b) =
X
Le = p~ ~udΩ + ~r ~udΩ + Qi ηi ΦdV = ΨdV
2
V ΩP ΩV i=1 v v
Nel caso delle travi sia p~ che ~b si riducono a carichi di linea o ad azioni concentrate. L’espressione
può essere quindi formulata in termini di carichi generalizzati concentrati e distribuiti lungo l’asse:
N M Z N
1 X X
T
X Z
dUE
Le = Qi ηi + ~qj ~udz + ri ∆i = UE (Qi , ~qj ) =
dz
2 i=1 j=1 i=1 v
dz
V
Ricordando l’espressione dell’energia elastica in funzione delle azioni interne, che se esiste un asse
di simmetria Xxy = 0 e che nel caso di travi snelle (L ≥ 5h) il contributo di taglio è trascurabile, si
ottiene:
Mx2 My2
!
Z
N2 Mz2
UE (Qi , ~qj ) = + + dz
v
2EA 2EIx + 2EIy 2GJT
Nel caso di sistemi di travi:
K K Z 2 2 2
!
X X Nk2 Mx,k My,k Mz,k
UE,tot = UE,k = + + dz
k=1 k=1 v 2Ek Ak 2Ek Ix,k + 2Ek Iy,k 2Gk JT,k
276
Per calcolare lo spostamento di un punto non caricato si introduce un’azione fittizia Qi+1 nella
direzione ηn+1 verso la quale si vuole calcolare lo spostamento:
277
Ponendo QN +1 = 0 si scrive infine:
!
Z
N Mx My Mz
ηN +1 = nN +1 + mx,N +1 + my,N +1 + mz,N +1 dz
EA EIx EIy GJT
L
che è detto integrale di Mohr-Maxwell. Si ottiene ovvero che lo spostamento del punto N + 1
è pari all’integrale su L della somma dei prodotti tra le azioni interne prodotte dai carichi esterni
applicati alla struttura e le azioni interne dovute ad un carico unitario applicato al punto stesso nella
direzione dello spostamento cercato.
278
16.14 Variazioni termiche
Come visto nell’analisi della linea elastica, l’effetto termico può essere scomposto in un contributo
uniforme, che determina uno spostamento in direzione dell’asse, un contributo lineare, che determina
la curvatura, ed un contributo non lineare, che produce tensioni interne autoequilibrate.
Tralasciando l’ultimo caso, ipotizzando una variazione lineare sulla sezione:
con:
∂N ∂Mx ∂My ∂Mz
ni = mx,i = my,i = mz,i =
∂Qi ∂Qi ∂Qi ∂Qi
possono essere viste come le azioni interne associate ad un carico unitario in direzione di Qi .
Esprimendo le azioni interne come sommatoria su j, l’integrale di Mohr-Maxwell per il calcolo
dello spostamento ηi duale al carico Qi è:
n n n n
P P P P
Z nj Qj mx,j Qj my,j Qj mz,j Qj
j=1 j=1 j=1 j=1
ηi = ni + mx,i + my,j + mz,i dz
EA EIx EIy GJT
L
279
Ad esempio, per una trave con due forze applicate:
Si riconosce inoltre l’enunciato del teorema di Maxwell: una forza generalizzata unitaria applicata
in i causa uno spostamento generalizzato in j numericamente uguale allo spostamento i generato da
una forza generalizzata unitaria applicata in j:
∂ηi ∂ηj
aij = = = aji
∂Qj ∂Qi
Si riconosce infine l’applicazione del teorema di Betti sull’uguaglianza dei lavori mutui:
Lij = Qi ηij = Qi aij Qj = Qj aji Qi = Qj ηji = Lji
Usando il teorema di Betti-Maxwell vale il principio di reciprocità:
280
16.16 Problemi iperstatici
Il teorema di Castigliano può essere applicato nello studio di problemi iperstatici. La procedura
generale è:
1. Si rende isostatica la struttura rimuovendo gli m vincoli ridondanti e sostituendoli con le rispettive
incognite iperstatiche Xj j = 1, . . . , m, che andranno a caricare la struttura assieme alle azioni
esterne Qi i = 1, . . . , n.
2. Dopo aver risolto il sistema isostatico si ottiene l’espressione dell’energia in funzione dei carichi
presenti:
UE = UE (Qi , Xj ) i = 1, . . . , n j = 1, . . . , m
Z " #
N ∂N Mx ∂Mx My ∂My Mz ∂Mz
ηj = + + + dz
EA ∂Xj EIx ∂Xj EIy ∂Xj GJT ∂Xj
L
Ricordando che le azioni interne sono una combinazione lineare delle azioni Qi e Xj , si può
rielaborare l’integrale separando il contributo delle azioni esterne da quello delle incognite iperstatiche
(integrale di Muller-Breslau).
281
16.17 L’integrale di Muller-Breslau
Detti N0 , Mx,0 , My,0 e Mz,0 i contributi alle azioni interne dovuti a tutte le azioni Qi e Xj nj ,
Xj mx,j , Xj my,j e Xj mz,j , con j = 1, . . . , m, i contributi dovuti alla generica incognita iperstatica Xj ,
il contributo globale alle azioni interne vale:
m
X m
X
N (Qi , Xj ) = N0 (Qi ) + Xj nj Mx (Qi , Xj ) = Mx,0 (Qi ) + Xj mx,j
j=1 j=1
m
X m
X
My (Qi , Xj ) = My,0 (Qi ) + Xj my,j Mz (Qi , Xj ) = Mz,0 (Qi ) + Xj mz,j
j=1 j=1
dove:
∂N ∂Mx ∂My ∂Mz
nj = mx,j = my,j = mz,j =
∂Xj ∂Xj ∂Xj ∂Xj
sono le azioni interne dovute ad una forza unitaria in direzione di Xj .
L’integrale di Mohr-Maxwell si esprime quindi come:
m
P m
P m
P m
P
Z N +
0
Xk nk Mx,0 + Xk mx,k My,0 + Xk my,k Mz,0 + Xk mz,k
k=1 k=1 k=1 k=1
ηj = nj + mx,j + my,j + mz,j
dz
EA EIx EIy GJT
L
ηj,0 esprime lo spostamento nella direzione dell’incognita Xj prodotto nella struttura isostatica dai
soli carichi esterni:
ηj,k esprime lo spostamento nella direzione dell’incognita Xj prodotto nella struttura isostatica
caricata dalla sola incognita Xk . Dato che k = 1, . . . , m si individuano m contributi:
282
Questa elaborazione conferisce significato fisico ai singoli integrali, in termini di contributo allo
spostamento totale in corrispondenza del vincolo iperstatico j, e si presta ad una rielaborazione della
procedura.
Si possono risolvere m + 1 sistemi isostatici per trovare le rispettive azioni interne:
Sistema ’0’: sistema isostatico caricato dai soli carichi esterni. Azioni interne: N0 , Mx,0 , My,0 ,
Mz,0
...
...
Quindi:
m m
1
X X
ηj = nj0 + njk = Xk ηjk
k=1 k=1
dove:
Z " #
1 nk nj mx,k mx,j my,k my,j mz,k mz,j
ηjk = + + + dz
EA EIx EIy GJT
L
Poiché nj0 è un valore noto, così come sono noti gli spostamenti ηj , si può scrivere:
m
1
X
ηj − nj0 = Xk ηjk j = 1, . . . , m
k=1
Si ottiene ovvero un sistema di m equazioni nelle m incognite Xk che si può esprimere in forma
matriciale (simmetrica) come:
1 1 1
η11 . . . η1k . . . η1m X1 η1 − η10
. .. .. .. . ..
.. .
. . . .
.
1 1 1
ηj1 . . . ηjk . . . ηjm Xk = ηj − ηj0
..
.. .. .. ..
..
. . . . . .
1 1 1
ηm1 . . . ηmk . . . ηmm Xm ηm − ηm0
283
Eventuali effetti termici rientrano nel sistema ’0’ e sono trattati come visto in precedenza:
N0 Mx,0 My,0
+ α∆Tm + ay α − ax α
EA EIx EIy
Anche i cedimenti dei vincoli del sistema iperstatico si trattano in modo analogo a quanto visto
per i sistemi isostatici:
R
X
ηj + ∆i Rij
r=1
con R numero di vincoli cedevoli, ∆i cedimento al vincolo i-esimo e Rij reazione vincolare calcolata
sul vincolo stesso all’applicazione di un’azione unitaria in direzione j.
Ad esempio, per una trave 2 volte iperstatica:
284
16.18 Teorema di Menabrea
Teorema di Menabrea: In una struttura staticamente indeterminata, l’insieme delle incognite
iperstatiche che risolvono il problema è quello che minimizza l’energia potenziale elastica associata al
sistema.
Dimostrazione:
Si considerano note le forze esterne applicate alla struttura e si assumono ideali i vincoli iperstatici.
L’energia esterna può essere espressa come funzione delle incognite iperstatiche:
UE = UE (X1 , . . . , Xj , . . . , Xm )
Si cerca la combinazione di incognite iperstatiche che rendano il sistema equilibrato e congruente. Per
il teorema di Castigliano vale:
∂UE
=0
∂Xj
L’annullarsi delle derivate parziali comporta un gradiente nullo della funzione, e quindi un punto
stazionario. Poiché la funzione UE è rappresentata da una forma quadratica positiva, il punto
stazionario è un punto di minimo.
285
17 Instabilità dell’equilibrio
L’analisi strutturale si conclude con l’analisi dell’equilibrio delle strutture. Le condizioni di
equilibrio che può assumere un corpo sono tre, in funzione dei possibili punti di equilibrio che può
raggiungere si distingue in equilibrio stabile, con una sola posizione di equilibrio alla quale il corpo
ritorna dopo una perturbazione, equilibrio indifferente, con infinite posizioni di equilibrio, e
equilibrio instabile, con una sola posizione di equilibrio dalla quale il corpo si discosta anche di
molto non appena viene perturbato:
INSTABILE
INDIFFERENTE
STABILE
Per studiare la stabilità/instabilità del sistema si possono cercare i punti stazionari dell’energia po-
tenziale del sistema, e in corrispondenza dei minimi si avrà equilibrio stabile, mentre in corrispondenza
dei massimi si avrà equilibrio instabile.
Alternativamente si può valutare l’effetto dell’applicazione di una perturbazione al sistema. In
caso di equilibrio stabile il sistema assumerà un moto oscillatorio attorno alla posizione di equilibrio,
in caso di equilibrio indifferente il sistema si stabilizza su un’altra posizione di equilibrio mentre in
caso di equilibrio instabile il sistema si discosterà significativamente dalla posizione di equilibrio.
Mx x
Anche per travi a parete sottile a torsione può nascere instabilità dell’equilibrio. Se si pensa ad
una lattina ad esempio, se si torcono le due basi si crea una frattura attorno al centro della lattina,
orientata a 45 gradi, poiché la torsione induce instabilità dell’equilibrio in quelle sezioni.
La trazione in genere non causa instabilità dell’equilibrio, a meno di sezioni particolari in condizioni
di carico particolari. Per le sezioni considerate in seguito la trazione non causa instabilità.
286
17.2 Instabilità di sistemi a parametri concentrati
L’analisi di instabilità di sistemi a parametri concentrati è una branca dell’analisi di stabilità molto
adatta allo studio di meccanismi. Le ipotesi di base sono:
• Travi rigide
• Deformabilità localizzata in punti discreti modellabili con molle ideali definite da una rigidezza
equivalente
Si considera ad esempio una trave soggetta ad una perturbazione P di compressione:
P P
P
A
L
2
ϕ
L C
L ϕ
2
2ϕ
B
Si può studiare l’effetto della perturbazione ponendo in C una molla ideale di torsione di rigidezza
KT . Si eguagliano il momento di P rispetto a C e la coppia della molla in C:
PL 4KT ϕ
sin(ϕ) = 2KT ϕ =⇒ P =
2 L sin(ϕ)
Si è trovata una relazione tra il carico P e la perturbazione che questo causa. Rielaborando la
relazione ottenuta:
4KT
L
sin(ϕ) = ϕ
P
Si possono trovare le soluzioni che costituiscono i punti di equilibrio del sistema. La prima soluzione
è quella banale ϕ = 0. Si studiano i possibili valori del rapporto tra le caratteristiche geometriche del
sistema (rigidezza della molla e lunghezza della trave) ed il carico applicato:
4KT
1 =⇒ soluzione banale ϕ = 0
>
L
=1
P
< 1 =⇒ due soluzioni ϕ 6= 0
Il rapporto unitario costituisce una biforcazione tra le condizioni di equilibrio, ed il carico che
rende il rapporto unitario è detto carico critico:
4KT
Pcr =
L
Si determinano le tipologie di equilibrio studiando l’energia associata al sistema:
1 L
π(ϕ) = UE − LE = KT (2ϕ)2 − P (1 − cos(ϕ))2
2 2
Se P < Pcr prevale il contributo dell’energia elastica della molla e l’espressione si riduce ad una
parabola con un minimo in ϕ = 0, in una condizione di equilibrio stabile. Se P = Pcr , l’espressione
dell’energia diventa una quartica (sviluppando in serie il coseno), in una condizione di equilibrio
indifferente. Infine se P > Pcr l’espressione presenta due minimi, ovvero le soluzioni trovate in
precedenza che costituiscono punti di equilibrio stabile, ed un massimo, corrispondente alla condizione
ϕ = 0, che costituisce una condizione di equilibrio instabile.
287
L’analisi con la molla di torsione è sensata per i meccanismi ma meno per le travi. Un’alternativa
è l’analisi con una molla di trazione:
P
P
L
2
ϕ
L
ϕ
2ϕ
L
2
L
Sviluppando l’equilibrio al nodo C, detta KN δ con δ = 2
sin(ϕ) la forza sviluppata dalla molla per
opporsi alla perturbazione, si ottiene:
P
KN δ = 2 sin(ϕ)
cos(ϕ)
Riorganizzando l’equazione si ottiene:
!
KN L P
− sin(ϕ) = 0
4 cos(ϕ)
Una soluzione è quella banale ϕ = 0. La soluzione non banale ϕ 6= 0 dà origine ad una diramazione
instabile:
KN L
P = cos(ϕ)
4
Tale soluzione è instabile, dato che un incremento di ϕ fa diminuire il valore del carico, che deve
quindi "seguire" l’incremento di ϕ diminuendo costantemente a seguito di una piccola perturbazione.
Riassumendo se il carico P è inferiore ad un certo valore critico Pcr il sistema è stabile, se lo supera
invece nascono fenomeni di instabilità che generano nuove posizioni di equilibrio, a loro volta stabili o
instabili.
Va considerato inoltre l’effetto di imperfezioni nella condizione iniziale. Se inizialmente ϕ0 6= 0
infatti cambiano le espressioni delle reazioni delle molle. Nel caso della molla di torsione il sistema
tenderà a raggiungere la soluzione "ideale" asintoticamente, con uno scostamento iniziale tanto elevato
quanto grande è l’imperfezione. Il caso della molla di trazione invece è più problematico perché il
sistema tende a portarsi verso una condizione di deformazione elevata mentre il carico tende a zero.
P P
ϕ0
ϕ ϕ
288
17.3 Problema di Eulero
Il ragionamento di Eulero è che non ha senso studiare l’instabilità analizzando la struttura
indeformata. Rimangono valide, almeno per i primi momenti di deformazione, le ipotesi di materiale
elastico lineare isotropo e di piccoli gradienti di spostamento/deformazione. Secondo Eulero inoltre
si introduce una piccola perturbazione trasversale (rispetto alla linea d’asse della trave) e si studia
l’equilibrio della struttura deformata.
Si consideri ad esempio il caso della trave in figura:
P P
P z
P
v(z)
y
P P
δ N
Mx
T
Si applica una piccola perturbazione trasversale che si traduce in una deformazione in direzione
y della trave, ovvero in un contributo v(z) al campo di spostamenti. Si analizzano quindi le azioni
interne, come noto spezzando la trave e impostando l’equilibrio. Trascurando il contributo di azione
normale e taglio, per il momento Mx vale:
Mx = P δ = P v(z)
v(0) = 0 =⇒ C2 = 0
v(L) = 0 =⇒ C1 sin(ΩL) = 0
289
In funzione del valore discreto di n quindi i carichi critici possibili hanno una progressione
quadratica:
1 1 1
Pcr,1 = Pcr,2 = Pcr,3 = Pcr,4 = . . .
4 9 16
Rimane indeterminato il valore della costante C1 , per cui almeno teoricamente si realizza una
condizione di equilibrio indifferente una volta superato il carico critico. L’andamento delle deformate,
con n = 1, è del tipo:
C1
In realtà questa condizione deriva dalla linearità imposta al problema. Se, come visto nella flessione,
si utilizzassero formulazioni più complesse, si potrebbe determinare precisamente la deformata.
Sono interessanti i casi con n > 1. Per n = 2 ed n = 3 si ottiene infatti un andamento tipo:
N ODO
Si ha la presenza di nodi, ovvero punti della trave soggetti a sollecitazione nulla. Questi sono usati
nelle strutture per inserire rompitratta, ovvero vincoli a telaio o travi di collegamento a altre travi
della struttura. I rompitratta consentono di superare un dato carico critico impedendo la deformata
ad esso associata, aumentando così il carico massimo che la trave può sopportare. Ad esempio un
traliccio per il trasporto di energia elettrica può essere costruito nel modo più semplice in questo
modo:
La struttura reticolare centrale, connessa a un terzo e a due terzi della lunghezza delle travi
portanti esterne, ha lo scopo di impedire la deformata associata al carico critico n = 1, rendendo la
struttura in grado di sopportare il carico critico n = 3.
290
17.4 Casi di Eulero
Si vuole ora dare una formulazione generale del problema di Eulero. Innanzitutto si effettua la
distinzione del problema nei casi di Eulero, ovvero nelle differenti configurazioni di vincolo che la
trave può assumere:
P P P P
I II III IV
Esistono comunque altri casi, ma la formulazione che verrà definita li copre tutti. Per arrivare ad
una formulazione generale si considera il concio elementare deformato:
Mx (z + dz)
N (z + dz)
v(z + dz)
Ty (z + dz)
dz
v(z)
Ty (dz)
N (dz)
z
Mx (dz)
Se ne scrive l’equilibrio:
N (z + dz) = N (z) = P
Ty (z + dz) = Ty (z) = cost
Mx (z + dz) − Mx (z) − Ty (z + dz)dz − N (v(z + dz) − v(z)) = 0
La relazione differenziale trovata tiene conto del materiale (E), della geometria (Ix ) e del carico di
compressione P che genera il disassamento delle azioni normali N . Se non fosse presente il carico P la
relazione sarebbe stata quella del quarto ordine già vista.
291
Non è troppo restrittivo assumere che EIx = cost. La relazione in tal caso diventa:
d4 v P d2 v
+ =0
dz 4 EIx dz 2
la quale è un’equazione differenziale del quarto ordine armonica, la cui soluzione è data da:
dMx dv
Ty (z) = −P = −EIx Ω3 C3 = −P ΩC3
dz dz
d2 v
Mx (z) = −EIx 2 = EIx Ω2 (C1 sin(Ωz) + C2 cos(Ωz))
dz
P Condizioni al contorno:
v(0) = 0
L v 0 (0) = 0
Mx (L) = 0
z Ty (L) = 0
C2 + C4 = 0
C1 Ω + C3 Ω = 0 → C1 + C3 = 0
C1 sin(ΩL) + C2 cos(ΩL) = 0 → C2 cos(ΩL) = 0
292
17.4.2 Secondo caso di Eulero
P Condizioni al contorno:
v(0) = 0
Mx (0) = 0
v(L) = 0
z
Mx (L) = 0
Il caso è già stato affrontato, il carico critico è dato da:
n2 π 2
Pcr,n = EIx
L2
La deformata è data da:
v(z) = C1 sin(Ωz)
con C1 indeterminato. In rosso è disegnata una delle deformate plausibili.
P Condizioni al contorno:
v(0) = 0
v 0 0) = 0
v(L) = 0
z
Mx (L) = 0
Il carico critico è dato da:
n2 π 2 EIx
Pcr,n = 2
L
0.700
P Condizioni al contorno:
v(0) = 0
v 0 0) = 0
v(L) = 0
z
v 0 (L) = 0
Il carico critico è dato da:
π 2 EIx
Pcr,n = 2
L
2
293
Terzo caso a parte, la soluzione per il carico critico che si trova è della forma:
π 2 EIx
Pcr =
L2ef f
dove Lef f viene detta lunghezza efficace. nel primo caso Lef f = 2L, nel secondo Lef f = L
mentre nel quarto Lef f = L2 . Con la lunghezza efficace ci si riconduce sempre al secondo caso di
Eulero.
Si nota inoltre che in tutti i casi si ha il momento d’inerzia al numeratore. Dato che la quantità
che definisce il momento d’inerzia è il raggio d’inerzia, vale la pena riscrivere il carico critico come:
π 2 EAρ2x π 2 EA π 2 EA
Pcr = = =
L2ef f Lef f 2 λ2x
ρx
λx è detto fattore di snellezza, che raccoglie tutte le informazioni sulla geometria della trave
collegate al carico critico. Finora l’analisi è stata effettuata nel piano zx, ma considerazioni analoghe
possono essere fatte in y, ottenendo un fattore di snellezza λy . Una trave può quindi essere più soggetta
al carico critico in una direzione o nell’altra, e la condizione critica sarà definita da:
( )
π 2 EA π 2 EA π 2 EA
λ = max{λx , λy } =⇒ Pcr = = min ,
λ2 λ2x λ2y
Si consideri ad esempio una trave incernierata a telaio da una cerniera di molteplicità 5 (perno):
H
B
N
z z
L
y x
294
17.5 Verifica della trave
Va condotta l’analisi a resistenza contestualmente all’analisi di instabilità, perché è possibile che
il materiale arrivi a snervamento o rottura prima che possano innescarsi i fenomeni di instabilità
dell’equilibrio.
La condizione critica per l’instabilità è definita come:
P Pcr π2E
≤ σcr = = 2
A A λ
Come è noto, la criticità per lo snervamento si definisce come:
P
≤ σys
A
Nella pratica vengono definite in entrambi i casi delle tensioni ammissibili attraverso i fattori di
sicurezza:
σcr 1 σys
σcr,amm = =f 2
σamm =
ϕ λ ϕ
I valori ammissibili per la tensione si individuano immediatamente tracciando gli andamenti delle
due tensioni ammissibili:
σ
σamm
σcr,amm
λ
λ0
Il valore λ0 è quello che separa il campo di snervamento (λ < λ0 ), dove le travi vengono dette
tozze, da quello di instabilità (λ > λ0 ), nel quale le travi vengono dette snelle.
Questa analisi di resistenza è puramente teorica, e vengono quindi effettuate delle modifiche
empiriche per avvicinare la teoria alla realtà delle osservazioni sperimentali.
Una di queste modifiche ad esempio è la parabola di Johnson:
σ
σamm
2
295
Un’altra modifica empirica è la formula di Engesser per i materiali incrudenti, il quale definisce il
modulo elastico ET in campo plastico come la tangente punto per punto della curva sforzo-deformazione.
Tale modulo è poi usato nella formula di Eulero per definire la tensione ammissibile:
σ σ
ET
ε λ
1 πET
σamm =
ϕ λ2
Tutte le correzioni empiriche sono raggruppate dalla normativa in dei grafici di correzione,
dipendenti dal tipo di sezione, dalla precisione della lavorazione e dal materiale. Ad esempio per le
strutture in acciaio è disponibile l’eurocodice 3.
Nel caso di carico eccentrico ad esempio, detta e l’eccentricità del carico, si può risolvere il sistema
utilizzando la soluzione generale di Eulero:
P P
e
v(0) = 0 −→ C2 + C4 = 0 =⇒ C2 = −C4
v 0 (0) = 0 −→ C1 + C3 = 0 =⇒ C1 = −C3
L z Mx (L) = −P e
Ty (L) = 0 =⇒ C3 = 0 =⇒ C1 = 0
y
Quindi:
2 (((( Pe e
C1(Ω( sin(ΩL) + C2 Ω2 cos(ΩL) =− =⇒ C2 = −
(
EIx cos(ΩL)
La deformata vale:
e
v(z) = (1 − cos(Ωz))
cos(ΩL)
296
La deformazione massima si ha in z = L:
e e
v(L) = (1 − cos(ΩL)) = −e +
cos(ΩL) cos(ΩL)
v(L) tende ad infinito se cos(ΩL) tende a zero, ovvero se ΩL tende a π2 . Quando si realizza questa
condizione si ha:
π 2 EIx
Pcr =
4L2
Per la verifica della sezione va calcolato il massimo valore del momento Mx :
Pe
Mmax = Mx (0) = −EIx Ω2 (C2 cos(Ω · 0)) = − = −P e sec(ΩL)
cos(ΩL)
Rispetto al caso non centrato compare quindi un termine aggiuntivo al denominatore. Al variare
di e il termine cresce sempre di più, abbassando la curva σ-λ rispetto alla curva ideale.
e
λ
z
y αP
P
297
v(0) = 0 =⇒ C2 + C4 = 0 =⇒ C2 = −C4
v 0 (0) = 0 =⇒ C1 + C3 = 0 =⇒ C1 = −C3
Mx (L) = 0 =⇒ C1 Ω2 sin(ΩL) + C2 Ω2 cos(ΩL) = 0
α α sin(ΩL) sin(ΩL)
Ty (L) = αP =⇒ C3 = − C1 = C2 = −C1 C4 = C1
Ω Ω cos(ΩL) cos(ΩL)
La deformata è data da:
α α
v(z) =tan(ΩL)(1 − cos(Ωz))) + sin(Ωz) − αz
Ω Ω
La massima deformazione si ha in z = L:
α
v(L) = tan(ΩL) − αL
Ω
Per quanto riguarda la tensione, come menzionato la normativa raccoglie grafici correttivi per le
varie configurazioni di sezioni, materiali e eccentricità del carico.
Nel caso di carico distribuito:
q0
z
y
d4 v
= q0
EIx
dx4
Se è presente un’azione perturbativa P l’equazione differenziale diventa:
d4 v d2 v
EIx + P = q0
dx4 dz 2
La soluzione è data da:
v(0) = 0 v(L) = 0 v0 (z)
=⇒ v(z) = P
Mx (0) = 0 Mx (L) = 0 P cr
z
y
L’equazione descrittiva è:
d2 v
EIx + P (v(z) + v0 (z)) = 0
dz 2
Ipotizzando per semplificare che v0 (z) = v0 sin Lz π la soluzione è data da:
v0 sin π Lz
v(z) =
α−1
Pcr
dove α = P
.
298
Esercizio 24. Instabilità dell’equilibrio: parametri concentrati
1 q0 2
L/2 A L/2
Le bielle si considerano molto più cedevoli delle travi. Per semplificare il problema quindi le travi
possono essere viste come corpi rigidi, mentre le bielle come molle.
q0 k
k
θ F2
Detta P = q0 L la risultante del carico distribuito, si scrive l’equilibrio alla rotazione in B (tenendo
conto delle approssimazioni dei piccoli angoli):
!
L L L L k1
q0 LLθ = F1 + F2 = k1 θL + k2 θL =⇒ θL2 q0 − =0
2 2 2 2 2
La soluzione banale, corrispondente all’indeformata, si ha per θ = 0. Per θ qualsiasi si ha
un’equazione indifferente: qcr = k2 .
299
Il modello linearizzato vale solo per piccoli scostamenti dalla verticale. Per grandi spostamenti
vengono meno le approssimazioni dei piccoli angoli.
F1
∆x1 C1
C2 ∆x2
θ F2
b1 b2
Da cui si ottiene:
K
sin(θ) q0 − (4 − 3 cos(θ)) = 0
2
θ = 0 è la soluzione banale. Le soluzioni non banali si ottengono ponendo:
K 4K − 2q K
q= (4 − 3 cos(θ)) =⇒ cos(θ) = ≤ 1 =⇒ q ≥ = qcr
2 3K 2
La relazione trovata dice che entro il valore unitario del rapporto tra q e qcr vale la stessa soluzione
trovata nel caso linearizzato, per mantenere il coseno inferiore ad 1. Oltre a tale valore la soluzione non
linearizzata è definita per ogni valore di θ, e presenta massimi in ±π che si discostano notevolmente
dalla soluzione linearizzata:
q
qcr
1 LIN EARIZZAT O
−π π θ
300
Esercizio 25. Instabilità dell’equilibrio: carico termico
Un profilato quadrato cavo (lato w = 60 mm, spessore s = 2 mm, lunghezza L = 4000 mm)
in acciaio (coefficiente di dilatazione termica α = 1.2 · 10−6 ◦C−1 , modulo di Young E = 210 GPa,
carico di snervamento σys = 320 MPa) vincolato iperstaticamente è sottoposto ad una variazione di
temperatura ∆T = 80 ◦C:
Il problema è riconducibile al quarto caso di Eulero, per cui il carico critico vale:
π 2 EIx
Pcr = 2
L
2
w4 (w − 2s)4
Ix = Iy = − = 2.605 · 105 mm4
12 12
A = w2 − (w − 2s)2 = 464 mm2
s
Ix
ρx = = 23.69 mm
A
Il carico critico vale quindi Pcr = 134 960 N. Il fattore di snellezza vale:
L
λ= = 84.4
2ρx
Per determinare la variazione critica di temperatura si impone che la somma dello spostamento da
questa causata e dello spostamento dovuto all’incognita iperstatica nel caso critico (che in questo caso
è nota e pari al carico critico), sia nulla:
L Pcr L 1
w(∆Tcr ) + w(x) = 0 =⇒ α∆Tcr L − Pcr = 0 =⇒ ∆Tcr = = 115.4 ◦C
EA EA αL
La variazione di temperatura ∆T = 80 ◦C non causa quindi instabilità dell’equilibrio. Si poteva
anche fare il calcolo inverso calcolando l’incognita iperstatica critica e confrontandola con il carico
critico. L’incognita iperstatica con il ∆T non critico vale:
∆T
X80 = Pcr = 93 540 N
∆Tcr
Va verificato quindi che la tensione sia in sicurezza conducendo la verifica a resistenza:
X80
σzz = = 201 MPa ≤ σys = 320 MPa
A
La trave è quindi in sicurezza sia rispetto allo snervamento che all’instabilità dell’equilibrio.
301
Esercizio 26. Instabilità dell’equilibrio: controventatura
Un pilastro costituito da una trave IPE 240 (A = 3912 mm2 , Ix = 38.92 · 106 mm4 , Iy =
2.84 · 106 mm4 , ρx = 99.7 mm, ρy = 26.9 mm) in acciaio da costruzione (E = 210 GPa, σys = 235 MPa)
è vincolato a telaio tramite dei controventi, assimilabili a cerniere:
P P
IP E 240 :
e = 9.8mm
a = 6.2mm
x h = 240mm
ρ = 15mm y L = 5000mm y
y z x
b = 120mm
Condurre l’analisi di stabilità con senza la controventatura e nel caso in cui i controventi siano
assimilabili ad incastri.
Per la struttura senza controventi il modello di analisi è lo stesso sia per il piano yz che per il
piano yx, ovvero il primo caso di Eulero:
( )
π 2 EA π 2 EA
Pcr = min ,
λ2x λ2y
Le lunghezze efficaci sono uguali nei due piani, Lef f,x = Lef f,y = 2L = 10 000 mm, per cui i fattori
di snellezza valgono:
Lef f,x Lef f,y
λx = = 100.3 λy = = 371.75
ρx ρy
I carichi critici quindi valgono:
π 2 EA π 2 EA
Pcr,x = = 805.96 kN Pcr,y = = 58.770 kN
λ2x λ2y
Se sono presenti i controventi tipo cerniera (ovvero vincolati al pilastro come disegnato), il modello
in x non cambia, mentre in y diventa uguale al terzo caso di Eulero, per cui:
Lef f,y π 2 EA
Lef f,y = 0.7L = 3500 mm λy = = 130.1 Pcr,y = = 478.96 kN
ρy λ2y
L Lef f,y π 2 EA
Lef f,y = = 2500 mm λy = = 92.94 Pcr,y = = 938.7 kN
2 ρy λ2y
La condizione che rende più isocritico il problema è quindi quella con incastri.
302