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e
Termodinamica
Mario Trigiante
3 marzo 2015
Indice
1 Introduzione 5
1.1 Metodo scientifico e misurazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
2 Richiami di Matematica 11
2.1 Punti e vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.1.1 Somma di due vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.1.2 Prodotto scalare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
2.1.3 La rappresentazione matriciale dei vettori . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.1.4 Prodotto vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.2 Sistemi di coordinate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
3 Cinematica 31
3.1 Velocita e accelerazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
3.1.1 Moto unidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
3.1.2 Moto nello spazio tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
3.2 Moti relativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
4 Dinamica 53
4.1 Principio di inerzia e leggi di Newton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
4.1.1 Prima e seconda legge di Newtons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
4.1.2 Interazione e terza legge di Newton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
4.2 Metodo statico e dinamico per misurare le forze . . . . . . . . . . . . . . . . 58
4.3 Il problema generale della meccanica della particella . . . . . . . . . . . . . 61
4.4 Sistemi di riferimento inerziali e forze inerziali . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
4.5 Forze di attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
4.6 Conservazione della quantita di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
5 Lavoro ed Energia 81
5.1 Lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
5.2 Lavoro ed energia cinetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
5.3 Forze conservative ed energia potenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
5.4 Forze centrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
5.5 Forze non conservative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
5.6 Moto Unidimensionale e Conservazione dellEnergia . . . . . . . . . . . . . . 107
3
4 INDICE
9 Approfondimento 169
9.1 Il Problema Generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169
9.1.1 Traiettorie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178
9.2 Le Leggi di Keplero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
11 Termodinamica 213
11.1 Temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
11.1.1 Dilatazione con la temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221
11.2 Calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222
11.3 Equilibrio termodinamico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227
11.4 Prima legge della termodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228
11.5 Gas ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234
11.6 La seconda legge della termodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
11.6.1 Ciclo di Carnot . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240
11.6.2 Postulati di Clausius e di Lord Kelvin . . . . . . . . . . . . . . . . . 244
11.6.3 Teorema di Carnot . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 246
11.6.4 Processi irreversibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247
11.6.5 Scala assoluta della temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 250
11.7 Formulazione quantitativa del secondo principio tramite lentropia . . . . . . 252
11.7.1 Entropia e disordine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262
Index 263
Capitolo 1
Introduzione
Questa prima parte del corso e intesa come introduzione alla meccanica classica e alla termo-
dinamica. Il suo obiettivo e dare allo studente una conoscenza approfondita delle principali
leggi fisiche su cui si fondano tali discipline, mettendo in rilievo il ruolo del metodo scientifico
in fisica come in qualsiasi altro ambito di ricerca scientifica.
Il testo di riferimento e:
5
6 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
corpi dotati di carica o della forza che agisce sullago di una bussola. Pertanto non vi era
piu alcuna motivazione fisica per separare nettamente lElettromagnetismo dallOttica.
Nel corso del ventesimo secolo furono scoperte nuove leggi che regolano sia il compor-
tamento dei costituenti elementari della materia (Meccanica quantistica) che i processi che
coinvolgono velocita vicine a quella della luce (Relativita).
Il progresso della scienza durante lultimo secolo ha comportato un radicale mutamento
del punto di vista da cui sono considerati i vari fenomeni. Oggi e generalmente accettata lidea
che tutti i fenomeni fisici comunemente osservati possano essere descritti, in teoria, mediante
un numero limitato di particelle, che costituiscono la materia, (particelle fondamentali ) e le
quattro forze fondamentali (elettromagnetica, gravitationale, nucleare debole e forte ).
Con il termine Fisica classica si intende la fisica conosciuta fino alla fine del secolo dician-
novesimo con le sue nette suddivisioni. La Fisica moderna invece include anche gli sviluppi
che la scienza ha avuto nel secolo ventesimo con le sue nuove prospettive concettuali. Le
ragioni per cui la fisica classica e ancora insegnata e che le sue leggi sono molto chiare e
semplici e offrono una accurata descrizione dei fenomeni naturali entro certi limiti (limiti
classici). Per esempio le leggi della meccanica classica, che risalgono in gran parte a Newton,
sono una buona approssimazione se noi analizziamo il movimento dei corpi su distanze non
troppo piccole (per esempio, non paragonabili alla dimensione di un atomo) e con velocita
molto inferiori alla velocita della luce. Esse non sarebbero adatte a descrivere correttamente
il moto di un elettrone in un atomo o la collisione di particelle ad altissima velocita. La
conoscenza basata sulla fisica classica e spesso inadeguata per lo sviluppo della moderna
tecnologia di alta precisione: microscopi elettronici, strumenti GPS ecc. Per esempio, se
dobbiamo progettare e costruire uno strumento GPS 2 usando solamente la legge di gravita-
zione di Newton, lo strumento avrebbe un margine di errore, nella rilevazione della posizione
dellutente, di circa due metri, e tale errore si accumulerebbe progressivamente, facendo s
che lutente possa facilmente smarrire la strada. La ragione di cio e che lo strumento lavora
scambiando un segnale elettromagnetico con un satellite. Un segnale elettromagnetico, come
per esempio un segnale di luce, sente leffetto della forza gravitazionale della terra, proprio
come fa ogni oggetto materiale. Conseguentemente, lutente ricevera linformazione sulla sua
localizzazione con un certo ritardo. Questo effetto non e previsto dalla teoria di Newton, ma
lo e dalla teoria della gravitazione di Einstein, chiamata teoria generale della Relativita che
costituisce una generalizzazione della teoria di Newton. Usando la teoria generale della Rela-
tivita , si puo ottenere la precisione richiesta per un funzionamento corretto dello strumento
GPS.
Trattare le vaste acquisizioni concettuali della fisica nel secolo ventesimo e lontano dallo
scopo del presente corso che si limita alla trattazione, nella prima parte, della meccanica
classica e, nella seconda, della termodinamica. Prima di affrontare largomento centrale di
questo corso, tuttavia, diamo una rapida panoramica delle attuali conoscenze sulla materia,
la sua struttura e le interazioni fondamentali.
2
Un GPS (Global Positioning System), e uno strumento capace di determinare la sua stessa posizione
misurando la sua distanza da almeno tre satelliti. Questa distanza e determinata calcolando lintervallo tra
linvio e la ricezione di un segnale elettromagnetico (essendo la velocita del segnale conosciuta).
7
Gli elementi di base che costituiscono la materia sono tre particelle fondamentali chia-
mate protoni , neutroni ed electroni . Esse formano le strutture elementari chiamate atomi.
Un atomo e costituito da un nucleo centrale di protoni e neutroni, legati insieme in un
Figura 1.1:
piccolo volume circondato da una nube di elettroni che si muovono intorno ad esso, ap-
prossimativamente come, nel sistema solare, i pianeti ruotano intorno al sole, vedi Figura
1.1. Lelettrone e una particella estremamente leggera, essendo la sua massa dellordine di
1030 Kg. Sia il protone che il neutrone sono circa duemila volte piu pesanti dellelettrone.
Per questa ragione, la massa di un atomo puo pensarsi come concentrata nel suo nucleo. La
dimensione di un atomo e dellordine di 1010 metri. Tale dimensione definisce una unita
di lunghezza chiamata angstrom (A). Daltra parte la dimensione del nucleo e dellordine di
1015 m, molto piu piccola dellintero atomo. In proporzione, se il nucleo avesse la dimen-
sione di una noce, gli elettroni orbiterebbero intorno ad esso ad una distanza di circa un
chilometro. Due o piu atomi possono legarsi tra loro per formare molecole che, aggregandosi
a loro volta, formano la materia nel suo stato solido, liquido o gassoso. E presente un enorme
numero di molecole in una quantita visibile di materia. Per esempio, 0.018 litri di acqua
contengono circa 6.022 1023 molecole e questo numero e chiamato numero di Avogadro N0 .
Luniverso contiene a sua volta un vasto numero di strutture formate dai corpi celesti: i
pianeti ruotano intorno al sole e costituiscono il nostro sistema solare, che ha una estensione
di circa 1010 Km; le stelle a loro volta sono raggruppate in galassie e le galassie in ammassi
di galassie. La nostra galassia, chiamata Via Lattea, ha una estensione di circa 100.000 anni
8 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
luce (1018 Km). Che cosa determina laggregazione della materia in sistemi, dalla piu piccola
scala di grandezza di un nucleo atomico (1015 m) sino alla piu vasta scala di miliardi di anni
luce? Perche i protoni ed i neutroni sono riuniti in nuclei, i nuclei e gli elettroni in atomi,
gli atomi in molecole, le molecole nella materia, le stelle ed i pianeti nelle galassie ecc.? La
risposta va cercata nel concetto di interazione, cioe di forze di attrazione o repulsione che le
particelle, o gli aggregati di particelle, esercitano le une sulle altre.
Benche questa sia una definizione oltremodo semplificata, dovremo limitarci ad essa,
tenendo presenti lo scopo di questo corso. I protoni ed i neutroni sono tenuti insieme da
una forza estremamente intensa, detta forza nucleare forte. Gli elettroni ed i protoni in-
teragiscono per via di una forza attrattiva, forza elettrica, che e una forza che agisce su
particelle dotate di carica elettrica. La stessa forza e responsabile dellaggregazione di atomi
in molecole e delle molecole nei corpi. Per questo la forza elettrica e responsabile della
coesione interna della materia e delle sue proprieta chimiche. La forza che conosciamo meglio,
visti i suoi effetti sulla nostra vita di ogni giorno e la forza di gravita. Storicamente, questa
e stata la prima interazione ad essere studiata scientificamente. E sempre attiva e la sua
azione su di un corpo dipende dalla sua massa . Anche gli elettroni ed i protoni in un atomo
avvertono una reciproca attrazione gravitazionale. Tuttavia, essendo particelle estremamente
leggere (avendo una massa molto piccola), lintensita di questa interazione gravitazionale e
trascurabile, se confrontata con lattrazione elettrica. Lattrazione gravitazionale, daltro
canto, mostra i suoi effetti su larghe scale. Essa spiega, per esempio, perche noi siamo
vincolati alla superficie della terra. Spiega anche il movimento reciproco dei corpi celesti e
la formazione di vasti aggregati come le galassie o gli ammassi galattici.
sue ipotesi ed elaborare un nuovo modello. Per esempio, supponiamo che il modello proposto
per descrivere il moto di caduta libera di un corpo preveda una dipendenza dellazione della
terra dalla forma del corpo. Successivamente, studiando il moto di caduta libera di numerosi
corpi, con forme diverse, in un contenitore in cui sia stato creato il vuoto ed in cui, pertan-
to, leffetto dellaria sia trascurabile, lo scienziato osserva che esso e lo stesso per tutti gli
oggetti. Da cio egli conclude che leffetto della forza gravitazionale della terra non dipende
dalla forma delloggetto su cui essa agisce e il modello sara scartato. Il metodo scientifico,
quindi, consiste in una parte teorica nella quale viene formulato un modello e in una parte
sperimentale mediante la quale le sue previsioni vengono verificate.
Entrambe, la previsione e losservazione, per avere un valore oggettivo, devono tradursi
in informazioni di tipo quantitativo. Cio e ottenuto associando a ogni quantita fisica un
numero che rappresenta la sua misura rispetto ad una quantita standard scelta come unita di
misura. La misurazione e un procedimento sperimentale mediante il quale ad una grandezza
e associata la sua misura. Le leggi della fisica che descrivono le relazioni tra quantita fisiche
sono quindi espresse come relazioni matematiche tra le corrispondenti misure. Secondo
questo punto di vista operativo, una quantita fisica e definita una volta che la procedura
per la sua misurazione e specificata (definizione operativa). Comunemente una distinzione e
fatta tra quantita fondamentali come le lunghezza o i tempi, le cui definizioni non coinvolgono
altre quantita e le quantita derivate come la velocita o l accelerazione le cui definizioni sono
date mediante quantita fondamentali. Per esempio, la velocita di un oggetto e il rapporto
fra la distanza percorsa divisa per il tempo impiegato a coprirla. La misura di una quantita
fondamentale comporta il suo confronto con il campione di riferimento della stessa grandezza
scelto come unita di misura. Vi sono alcuni requisiti riguardo a questo standard, affinche
sia una buona unita di misura: deve essere possibile determinarlo con la massima precisione,
deve essere facilmente riproducibile ed invariabile. Questi criteri di ottimalita determinano
quali quantita vanno considerate fondamentali e quali derivate. Per esempio, la quantita
fondamentale per descrivere i fenomeni elettrici e magnetici fu fin dallinizio individuata nella
carica elettrica, cioe la grandezza che descrive la capacita di alcune particelle di esercitare o
subire una forza elettrica. Daltra parte, lintensita della corrente elettrica fu definita come
una quantita derivata, cioe la sua unita (Ampere) nel sistema di unita MKSA fu definita
in termini di carica elettrica standard (che nel sistema MKSA e il Coulomb): la corrente di
un Ampere corrisponde alla carica di un Coulomb che percorre un circuito in un secondo.
Il successivo sviluppo della tecnologia ha permesso di determinare la corrente elettrica con
maggiore precisione rispetto alla carica elettrica. Pertanto la corrente venne assunta come
una quantita fondamentale e la carica elettrica come derivata: un Coulomb e definito ora
come la carica che percorre, in un secondo, un circuito in cui e presente una corrente di un
Ampere.
Per dare una definizione operativa di grandezza fondamentale, bisogna definire un pro-
cedimento sperimentale allo scopo di:
fissare una certa quantita di riferimento della grandezza come unita di misura.
In questo modo, una volta che lo standard e fissato come unita, e possibile creare dei sotto-
multipli dellunita stessa e quindi confrontare con essi una data quantita al fine di determi-
narne misura: dire che una sbarra e lunga 1, 3 metri equivale a dire che e uguale a un metro
piu una lunghezza residua che e di tre decimi di un metro. Il numero di grandezze fonda-
mentali e il minimo necessario al fine di definire tutte le altre grandezze. In questo corso
useremo il Sistema Internazionale (SI) delle unita o MKSA (metro, kilogrammo, secondo,
Ampere)3 .
Diamo ora le definizioni delle unita di misura delle quantita fondamentali relative alla
meccanica:
il Kilogrammo (kg) e lunita di massa. Per finalita pratiche esso puo essere definito
come la massa di un litro (cioe di 103 m3 ) di acqua distillata alla temperatura di 4 o C.
E anche uguale alla massa di 5.0188 1025 atomi di 12 C;
3
La lunghezza, il tempo, la massa, lintensita di corrente elettrica e la temperatura, sono le grandez-
ze fondamentali indipendenti nel senso che qualsiasi altra grandezza fisica e esprimibile in termini di esse.
Ciononostante la quantita di sostanza e lintensita luminosa, benche grandezze non indipendenti, sono comu-
nemente misurate per confronto con un corrispondente standard di riferimento (nel SI la mole e la candela,
rispettivamente) e per questo considerate anchesse fondamentali.
Capitolo 2
Richiami di Matematica
Come messo in risalto nel capitolo precedente, sia una previsione teorica che unosservazione
sperimentale, devono tradursi in informazioni quantitative da mettere a confronto per verifi-
care l ipotesi o il modello adottato. A questo scopo, la descrizione dei sistemi fisici dovrebbe
essere fatta usando il linguaggio matematico: le lunghezze, gli intervalli di tempo e le masse
sono descritti con numeri che ne rappresentano misura, la posizione di un piccolo oggetto
da un punto nello spazio che a sua volta e descritto in termini di coordinate rispetto ad un
sistema di coordinate fissato, una forza da un vettore ecc. Una legge fisica, che esprime una
relazione tra quantita fisiche, si traduce quindi in una relazione matematica tra i corrispon-
denti oggetti matematici. In questo capitolo ricordiamo alcune nozioni matematiche di base
che useremo durante questo corso.
11
12 CAPITOLO 2. RICHIAMI DI MATEMATICA
Figura 2.1:
Figura 2.2:
Questo ci permette di spostare in modo rigido un vettore liberamente nello spazio, purche
non ne si modifichi la norma, direzione e verso.
Un vettore unita o versore e un vettore ~u adimensionale di lunghezza unitaria |~u| = 1.
Esso definisce una direzione nello spazio ed un orientazione. Possiamo definire il prodotto
di un vettore V per un numero reale a ottenendo un nuovo vettore:
0
V = aV , (2.1.1)
che e parallelo a V , ma la cui lunghezza e
0
| V | = |a| | V | . (2.1.2)
Esso ha la stessa orientazione di V se a e positivo, orientazione opposta se a e negativo (vedi
0
Fig. 2.3). Un vettore V e opposto a V , e viene indicato con V , se ha la stessa lunghezza
e direzione di V ma verso opposto, cioe e ottenuto moltiplicando V per 1:
0
V = V = (1) V . (2.1.3)
Un vettore generico V puo essere rappresentato come il prodotto della sua norma, che e
un numero positivo espresso nelle unita della grandezza che esso rappresenta, per il vettore
unitario che ne definisce verso e l orientazione:
0
V = | V | ~u . (2.1.4)
14 CAPITOLO 2. RICHIAMI DI MATEMATICA
Figura 2.3:
Nellesempio del vento, il vettore velocita puo essere espresso come il prodotto della sua
lunghezza, in unita di Km/h, vale a dire 50 Km/h, per il vettore unitario adimensionale ~u
che indica la direzione ed il verso da sud-est verso noi, di lunghezza pari a uno: |~u| = 1.
Unaltra quantita descritta da un vettore e lo spostamento. Se un corpo e spostato da un
punto O ad un punto A, il relativo spostamento e descritto da un vettore, che si indica con
Figura 2.4:
Calcoliamo ora la lunghezza di V 3 = V 1 + V 2 in funzione delle norme di V 1 e V 2 e
dellangolo tra di essi. Con riferimento alla Fig. 2.5 vediamo che la lunghezza di V 3
e quella del segmento OC. Considerato che |AB| = | V 2 | cos() and |BC| = | V 2 | sin(),
usiamo il teorema di Pitagora per ottenere |OC|:
q
p
| V 3 | = |OC| = |OB| + |BC| = [| V 1 | + | V 2 | cos()]2 + | V 2 |2 sin2 () =
2 2
q
| V 1 |2 + | V 2 |2 + 2 | V 1 || V 2 | cos() . (2.1.6)
Ora definiamo la somma di piu di due vettori. La somma di tre vettori V 1 + V 2 + V 3 e
ottenuta sommando prima due dei tre vettori e poi sommando il risultato con il terzo:
V 1 + V 2 + V 3 ( V 1 + V 2) + V 3 . (2.1.7)
il risultato non dipende dalla coppia dei vettori con cui si comincia. Questa procedura puo
essere ripetuta per definire la somma di un numero generico dei vettori. Se abbiamo un
insieme di n vettori V i (i = 1, . . . , n), possiamo disporli nello spazio in modo che la punta
di un vettore coincida con lorigine di quello seguente. Allora la somma dei vettori, che
denotiamo con
n
X
V i V 1 + V 2 + ... + V n, (2.1.8)
i=1
e il vettore la cui lorigine coincide con lorigine del primo vettore ( V 1 ) della sequenza
e lestremita coincide con quella dellultimo vettore (sia V n ). Il risultato non dipende
chiaramente dallordine in cui i vettori sono organizzati.
16 CAPITOLO 2. RICHIAMI DI MATEMATICA
Figura 2.5:
Il prodotto di un vettore con un numero reale e distributivo rispetto sia alla somma dei
vettori che alla somma dei numeri. Cioe vale la seguente proprieta :
a ( V 1 + V 2) = a V 1 + a V 2 ,
(a1 + a2 ) V = a1 V + a2 V , (2.1.9)
dove a, a1 , a2 sono numeri reali. Queste proprieta si estendono a somme generiche di numeri
e vettori.
dove e langolo fra i due vettori. Come prima proprieta, il prodotto scalare e simmetrico
nei due vettori: V W = W V . Esso e positivo se > /2 mentre e zero se = /2,
vale a dire se i due vettori sono ortogonali. Il prodotto scalare di un vettore con se stesso
e il quadrato della norma del vettore. Ora mostriamo che il prodotto scalare e distributivo
rispetto alla somma di due vettori, cioe :
( V 1 + V 2) W = V 1 W + V 2 W . (2.1.11)
Infatti, riferendoci alla Fig. 2.6, siano 1 e 2 gli angoli che i due vettori V 1 , V 2 formano
2.1. PUNTI E VETTORI 17
Figura 2.6:
con W e sia langolo tra il vettore somma V 1 + V 2 e W . Dalla definizione abbiamo:
( V 1 + V 2 ) W = |W | | V 1 + V 2 | cos() ,
V 1 W = |W | | V 1 | cos(1 ) ,
V 2 W = |W | | V 2 | cos(2 ) . (2.1.12)
| V 1 + V 2 | cos() = | V 1 | cos(1 ) + | V 2 | cos(2 ) . (2.1.13)
Cos, dall equazione (2.1.13) e (2.1.12), segue la proprieta distributiva (2.1.11) . Questa
proprieta puo essere generalizzata alla somma di un numero generico di vettori e prende la
seguente forma generale:
n
! n
X
X
V i W = (V i W) . (2.1.14)
i=1 i=1
18 CAPITOLO 2. RICHIAMI DI MATEMATICA
Un vettore puo sempre essere espresso come la somma di due o piu vettori. E utile fissare
un insieme di assi reciprocamente ortogonali, definito da vettori unita e scrivere un vettore
generico come la somma di vettori che si trovano lungo questi assi. Fissiamo, per esempio,
nel piano due assi ortogonali X ed Y descritti dai corrispondenti vettori unita ~ux e ~uy . Dalla
definizione (2.1.10) segue che:
Figura 2.7:
V = V x+ V y. (2.1.16)
I vettori V x , V y sono detti le vettori componenti di V lungo le direzioni ~ux , ~uy . Essi sono
infatti le proiezioni di V lungo queste direzioni. E facile verificare che, se e langolo tra
cos che:
V = | V | (cos() ~ux + sin() ~uy ) . (2.1.18)
2.1. PUNTI E VETTORI 19
Se, oltre ai tre assi ortogonali, fissiamo unorigine O nello spazio, come loro punto di inter-
sezione, qualsiasi punto P potra essere completamente identificato dal suo vettore posizione
~r = OP (ved. Fig. 2.7). Le componenti di questo vettore rispetto agli assi coincidono con
le coordinate di P riferite al corrispondente sistema di coordinate cartesiane:
~r = OP = x ~ux + y ~uy + z ~uz . (2.1.24)
Per questa ragione denoteremo il vettore posizione anche con ~x. Dati due punti P, Q, nello
spazio, definiti dai vettori posizione ~r1 = OP e ~r2 = OQ rispettivamente, il vettore posizione
relativa QP ha la seguente forma:
QP = OP OQ = ~r1 ~r2 = (x1 x2 ) ~ux + (y1 y2 ) ~uy + (z1 z2 ) ~uz , (2.1.25)
20 CAPITOLO 2. RICHIAMI DI MATEMATICA
La rappresentazione dei vettori mediante le loro componenti rispetto ad uno stesso sistema
di assi e conveniente poiche permette di calcolare facilmente la somma di due o piu vettori.
Consideriamo come esempio due vettori V e W scritti mediante le loro componenti come
segue:
V = Vx ~ux + Vy ~uy + Vz ~uz ,
W = Wx ~ux + Wy ~uy + Wz ~uz . (2.1.27)
Usando le proprieta distributive (2.1.9) la somma V + W assume la seguente forma:
V + W = (Vx ~ux + Vy ~uy + Vz ~uz ) + (Wx ~ux + Wy ~uy + Wz ~uz ) =
(Vx + Wx ) ~ux + (Vy + Wy ) ~uy + (Vz + Wz ) ~uz , (2.1.28)
In altre parole, le componenti della somma dei due vettori sono la somma delle corrispondenti
componenti di ogni vettore. Questa proprieta e generalizzata alla somma di un numero n
dei vettori V i . Infatti se il vettore generico V i ha la seguente forma:
V i = Vi x ~ux + Vi y ~uy + Vi z ~uz , (2.1.29)
Ora esprimiamo il prodotto scalare di due vettori V and W in termini di loro componenti
date in (2.1.27). Usiamo la proprieta distributiva (2.1.14) ed il fatto che i vettori unita che
definiscono gli assi di riferimento sono ortonormali, vale a dire la proprieta (2.1.19):
V W = (Vx ~ux + Vy ~uy + Vz ~uz ) (Wx ~ux + Wy ~uy + Wz ~uz ) =
Vx Wx ~ux ~ux + Vy Wy ~uy ~uy + Vz Wz ~uz ~uz +
(Vx Wy + Vy Wx ) ~ux ~uy + (Vx Wz + Vz Wx ) ~ux ~uz + (Vy Wz + Vz Wy ) ~uy ~uz =
Vx Wx + Vy Wy + Vz Wz . (2.1.31)
Poiche la norma di un vettore V e data dalla radice quadrata del prodotto scalare del vettore
con se stesso, essa puo, usando l equazione (2.1.31), essere espressa come segue:
p q
|V | = V V = (Vx )2 + (Vy )2 + (Vz )2 . (2.1.32)
2.1. PUNTI E VETTORI 21
Possiamo ora ottenere facilmente la formula (2.1.6) che esprime la norma della somma di
due vettori:
q
| V 1 + V 2| = ( V 1 + V 2) ( V 1 + V 2) =
q
| V 1 |2 + | V 2 |2 + 2 V 1 V 2 , (2.1.33)
dove abbiamo usato la proprieta distributiva del prodotto scalare. Questa formula puo allora
essere generalizzata alla somma di n vettori:
n n
X
2 X
X
| V i| = | V i |2 + 2 V i V j. (2.1.34)
i=1 i=1 i<j
~r = (x, y, z) . (2.1.38)
Figura 2.8:
lorientazione fa uso della mano destra (regola della mano destra): se le dita della mano
destra sono orientate da V 1 a V 2 , allora il pollice definira il verso di V 1 V 2 lungo la
direzione ortogonale al piano su cui si trovano le altre dita.
La norma di V 1 V 2 e:
| V 1 V 2 | = | V 1 || V 2 | sin() , (2.1.39)
essendo langolo fra i due vettori. Come prima proprieta vediamo che i vettori paralleli
hanno il prodotto vettoriale nullo, essendo = 0.
Poiche V 1 V 2 e ortogonale ad entrambi V 1 e V 2 abbiamo:
( V 1 V 2) V 1 = ( V 1 V 2) V 2 = 0 . (2.1.40)
V 1 V 2 = V 2 V 1 , (2.1.41)
Dimostriamo la (2.1.42) nel caso piu semplice in cui i tre vettori giacciano sullo stesso piano.
Facendo riferimento alla Fig. 2.9 e osserviamo che tutti i tre prodotti che appaiono nella
formula (( V 1 + V 2 ) V 3 , V 1 V 3 , V 2 V 3 ) sono nella direzione perpendicolare al piano
della figura ed hanno tutti la stessa orientazione. Di conseguenza basta provare la proprieta
per le norme ed inoltre che la norma della somma di due qualunque di essi e la somma delle
loro norme. Osserviamo subito che:
Figura 2.9:
|( V 1 + V 2 ) V 3 | = | V 1 + V 2 || V 3 | sin() ,
| V 1 V 3 | = | V 1 || V 3 | sin(1 ) ,
| V 2 V 3 | = | V 2 || V 3 | sin(2 ) . (2.1.44)
Inoltre abbiamo che:
|OA| = | V 1 | sin(1 ) ,
|AB| = | V 2 | sin(2 ) ,
|OB| = | V 1 + V 2 | sin() . (2.1.45)
Da cio, dalle equazioni (2.1.44) e da |OB| = |OA| + |AB| deduciamo che:
|( V 1 + V 2 ) V 3 | = | V 1 V 3 | + | V 2 V 3 | . (2.1.46)
Dalla Fig. 2.8 vediamo che la norma del prodotto vettoriale V 1 V 2 misura larea del paral-
lelogramma definito dai due vettori, essendo | V 1 | un lato e h = | V 2 | sin() la corrispondente
altezza.
24 CAPITOLO 2. RICHIAMI DI MATEMATICA
Fissiamo ora un sistema di riferimento cartesiano ortogonale specificando tre assi orto-
gonali X, Y, Z, definiti mediante i vettori unita ~ux , ~uy , ~uz . Dalla definizione di prodotto
vettoriale, otteniamo facilmente che:
La formula di cui sopra e utile poiche esprime il prodotto vettoriale di due vettori in termini
di loro componenti. Puo anche essere scritta, in modo piu mnemonico, come il determinante
della matrice simbolica:
~ux ~uy ~uz
V W = Vx Vy Vz . (2.1.49)
Wx Wy Wz
Dati tre vettori V 1 , V 2 , V 3 , dopo qualche calcolo e possibile dimostrare la seguente utile
proprieta :
( V 1 V 2) V 3 = ( V 1 V 3) V 2 ( V 2 V 3) V 1 . (2.1.50)
Figura 2.10:
ortogonali unitari, ~ur , ~u , ~u , definiti come segue: ~ur descrive la direzione orientata, detta
radiale, lungo la quale un punto e spostato partendo da P quando e sono tenuti fissi ed
r viene aumentato di una piccola quantita : r r + dr. E facile verificare che ~ur definisce
la direzione ed il verso del vettore posizione.
~r
~ur = . (2.2.1)
|~r|
terzo e lo spostamento d~` lungo ~u la cui lunghezza e approssimata dallarco della circon-
ferenza giacente sul piano ortogonale allasse Z, centrata su di esso e passante per P (cerchio
di latitudine o parallelo), a cui sottende larco d. Essendo il raggio del parallelo passante
per P uguale a r sin(), la lunghezza di questo arco e r sin() d. Un generico spostamento
infinitesimo d~` dal punto P (r, , ) ad un punto P 0 (r + dr, + d, + d) infinitesima-
mente vicino ad esso puo essere rappresentato come il vettore somma dei tre spostamenti
infinitesimi:
d~` = d~`r + d~` + d~` = dr ~ur + r d ~u + r sin() d ~u . (2.2.2)
Per una certa classe di problemi e utile esprimere in coordinate polari larea dS di un elemento
infinitesimo di superfice sferica centrata nellorigine. Tale elemento puo essere preso come la
porzione rettangolare infinitesima di una sfera centrata in O e passante per P, con lati |d~` |
e |d~` |:
Coordinate polari nel piano Facendo riferimento al sistema di coordinate polari defi-
nite nel paragrafo precedente, vediamo che tutti i punti nel piano XY , avendo z = 0 (o
equivalentemente = /2), possono essere descritti mediante solo due coordinate r, , ved.
Fig. 2.11. Queste definiscono le coordinate nel piano e sono utili quando si voglia descrivere
particelle che si muovono in un piano. Ad ogni punto nel piano possiamo associare due
vettori unitari ortogonali, ~ur , ~u , i quali definiscono le direzioni ed i versi lungo cui il punto
e spostato se variamo r r + dr tenendo fisso e se variamo + d, tenendo r fisso,
rispettivamente. Il vettore unitario ~ur definisce la direzione radiale rispetto allorigine, con
verso uscente rispetto ad esso. Cos come per le coordinate sferiche a tre dimensioni, ~ur in
un generico punto del piano definito dal vettore posizione ~r puo essere scritto come
~r
~ur = . (2.2.6)
|~r|
d`r = dr ; d` = r d . (2.2.8)
Le relazioni tra (x, y) e (r, ) si ottengono da (2.2.5) ponendo = 2
e sono
x = r cos() ,
y = r sin() . (2.2.9)
dS = d`r d` = r dr d . (2.2.10)
dS = d` d`z = r dz d . (2.2.13)
Figura 2.11:
2.2. SISTEMI DI COORDINATE 29
Figura 2.12:
30 CAPITOLO 2. RICHIAMI DI MATEMATICA
Capitolo 3
Cinematica
Con il termine Cinematca noi intendiamo lo studio del moto senza considerare le cause che
lo determinano o, per meglio dire, gli agenti che lo influenzano, che saranno descritti, nel
prossimo capitolo, in termini di forze. Un oggetto e in movimento se la sua posizione, rispetto
ad un osservatore, cambia con il tempo. Il concetto di moto quindi ha un significato solo se
riferito ad un osservatore, ovvero esso e un concetto relativo. Per esempio, rispetto ad una
persona in strada, la macchina che passa e in movimento, mentre e ferma rispetto a ciascuno
dei suoi passeggeri. Supponiamo di essere in un laboratorio e di voler descrivere il moto di un
oggetto. Di che cosa abbiamo bisogno? Il moto e descritto compiutamente se specifichiamo la
posizione delloggetto in ogni istante. A tale scopo, abbiamo bisogno di definire un sistema di
riferimento nello spazio, fissando, ad esempio, tre assi ortogonali, X, Y,Z che si incontrano
nello spazio in unorigine O. Quindi abbiamo bisogno di uno strumento per misurare le
distanze in certe unita, per esempio un metro. Ed infine abbiamo bisogno di un orologio
per misurare gli intervalli di tempo. Equipaggiati con questi strumenti di base, il nostro
laboratorio costituisce un sistema di riferimento rispetto al quale noi possiamo studiare
il moto di ogni oggetto. Per esempio, se noi definiamo una particella come un oggetto
estremamente piccolo la cui dimensione e molto piu piccola rispetto alle altre lunghezze
considerate nel problema, possiamo descrivere completamente il suo moto, assegnando ad
ogni istante t la sua posizione vettoriale ~r(t):
~r(t) = x(t) ~ux + y(t) ~uy + z(t) ~uz = (x(t), y(t), z(t)) . (3.0.1)
31
32 CAPITOLO 3. CINEMATICA
mente determinata da un punto nello spazio. Se la sua forma e irregolare, abbiamo bisogno
in ogni momento di specificare la posizione dei vari punti su di essa e tali punti possono
non spostarsi in modo solidale durante il moto, ma, anzi, muoversi uno rispetto allaltro,
se loggetto ruota o vibra. In questo capitolo, per semplicita, noi ci limiteremo alle sole
particelle e definiremo, per questo semplice sistema, le quantita cinematiche fondamentali.
Figura 3.1:
E utile descrivere la posizione della particella in funzione del tempo in termini di una sola
coordinata x(t) rispetto ad un sistema di coordinate unidimensionali che noi fissiamo sulla
stessa traiettoria. Come abbiamo visto nel precedente capitolo, un sistema di coordinate
unidimensionale e definito da una sola linea retta su cui sono dati una origine O e una
orientazione positiva (cioe un vettore unitario ~u). Supponiamo che la particella nellistante
t1 sia collocata nel punto x1 e, in un tempo successivo t2 , essa sia in x2 . Noi vogliamo
introdurre una quantita che ci dica quanto velocemente la particella si e spostata da x1 a
x2 . Questa quantita e la velocita media nellintervallo di tempo t = t2 t1 definita come:
x2 x1
vmedia = . (3.1.1)
t2 t1
3.1. VELOCITA E ACCELERAZIONE 33
In alter parole, se v e costante durante t possiamo portare v fuori del simbolo dellintegrale.
In questo caso, noi vediamo che:
x
v = = vmedia , (3.1.5)
t
34 CAPITOLO 3. CINEMATICA
Cioe la velocita istantanea in ogni istante, durante t, e eguale alla velocita media. Questo
moto e chiamato uniforme durante t.
Consideriamo un istante t entro t, cioe t1 < t < t2 nel quale la particella e in x(t). Il
moto e ancora uniforme durante t0 = t t1 e possiamo applicare ad esso la relazione (3.1.5)
x(t) x(t1 )
v = x(t) = v (t t1 ) + x(t1 ) . (3.1.6)
t t1
Troviamo che, se il moto e uniforme, ad uguali intervalli di tempo t corrispondono eguali
spostamenti, cioe la dipendenza di x(t) dal tempo durante t e rappresentata da una linea
retta nel piano t, X.
Esercizio 2.1 Derivare la seconda equazione nel (3.1.6) rispetto al tempo e ricavare, dalla
definizione (3.1.2) che v e la velocita istantanea in ogni istante durante t.
Figura 3.2:
tendera alla linea tangente della curva x(t) in A. Poiche per definizione la velocita istantanea
v nellistante t1 e il valore limite della velocita media durante t = t2 t1 per t2 t1 , essa
assume il significato geometrico della pendenza della linea tangente in t1 (vedi Fig. 3.4). Per
semplicita, in cio che segue, noi useremo il termine velocita al posto di velocita istantanea.
Durante un certo intervallo di tempo t la velocita istantanea v in genere variera. Ora
introduciamo il concetto di accelerazione di un moto unidirezionale, come la quantita che
descrive il cambiamento della velocita nel tempo. Supponiamo che la particella abbia una
velocita v1 nellistante t1 e v2 in un istante successivo t2 > t1 . Definiamo accelerazione media
durante un intervallo di tempo t = t2 t1 la seguente quantita :
v2 v1
amedia . (3.1.7)
t2 t1
v(t0 ) v(t) dv d2 x
a(t) = lim = = 2 . (3.1.8)
t0 t t0 t dt dt
36 CAPITOLO 3. CINEMATICA
Figura 3.3:
Laccelerazione ha la dimensione di una lunghezza divisa per il quadrato del tempo. Se noi
indichiamo con [a] la dimensione di a, possiamo scrivere:
(lunghezza)
[a] = . (3.1.9)
(tempo)2
Figura 3.4:
v = a t . (3.1.11)
Esercizio 2.3 Come vedremo nei capitoli seguenti, tutti i corpi sulla superficie terrestre
cadono approssimativamente con la stessa accelerazione, che si indica con g 9.8 m/sec2
(in realta la terra non e ne sferica ne omogenea, pertanto il valore di g varia da punto
a punto, anche se di poco). Supponiamo che un corpo che e inizialmente a riposo, sia
lasciato cadere nellistante t1 = 2 sec dallaltezza h = 4 m. Il grave cadra verso il basso per
lazione della gravita della terra. Noi vogliamo descrivere il suo moto, vale a dire determinare
la sua posizione in ogni istante successivo a t1 . Poiche il moto e rettilineo e utile fissare
un sistema di coordinate unidimensionale, con lasse verticale X orientato verso lalto e
lorigine O sulla superficie della terra. Poiche il grave cadra verso il basso, la sua velocita
ad ogni t > t1 sara negativa rispetto al nostro sistema di coordinate, finche non tocchera il
terreno. Durante la sua caduta libera, la velocita assoluta del corpo aumentera, cioe sara
soggetta ad accelerazione. Tuttavia, dal momento che v(t) e negativo, un aumento di v in
valore assoluto corrisponde ad una diminuzione di v come numero reale. Pertanto, durante
dt > 0, dv < 0 e quindi laccelerazione rispetto al nostro sistema di coordinate sara negativa:
a = g = 9.8 m/sec2 . I dati iniziali del problema sono: al tempo t1 = 2 sec, v(t1 ) = 0 e
x(t1 ) = h = 4 m. Usando equazione (3.1.13), troviamo per x(t) la seguente espressione:
9.8
x(t) = (t 2)2 + 4 . (3.1.14)
2
Il grave tocchera il terreno nellistante t > t1 quando x(t) = 0. Lequazione x(t) = 0 ha due
soluzioni in t. A noi interessa la soluzione che e maggiore di t1 , che e t = 2.9 sec. Nella Fig.
3.5 la funzione x(t) e rappresentata rispetto a t.
Come anticipato nel precedente esercizio, un corpo e detto accelerato se il valore assoluto
della velocita aumenta con il tempo. Cio avviene se, in un certo istante, v > 0 e a > 0 o
v < 0 e a < 0. Si dice che un corpo e decelerato se |v| diminuisce nel tempo e questo e il
caso in cui v ed a in un certo istante hanno segno opposto.
Figura 3.5:
Figura 3.6:
Un moto e detto uniforme se la velocita, come vettore, e costante, cioe non deve cambiare
sia in grandezza che in direzione. Se il moto e uniforme dall equazione (3.1.20) abbiamo
~v1 = ~v2 = . . . = ~v e possiamo ottenere ~r come segue
X X Z t2
~r = d~rn = ~v dtn ~v dt = ~v t , (3.1.21)
n n t1
3.1. VELOCITA E ACCELERAZIONE 41
Cioe, essendo ~v costante durante t, abbiamo portato ~v fuori dal simbolo dellintegrale.
Supponiamo di avere un moto uniforme con velocita costante ~v e di conoscere la posizione
della particella in un generico istante t1 . Per determinare la posizione ~r(t1 ) della particella
in ogni istante t > t1 , dobbiamo solo applicare equazione (3.1.21) allintervallo di tempo
t = t t1 e troviamo:
~r(t) ~r(t1 ) = ~v (t t1 ) ~r(t) = ~v (t t1 ) + ~r(t1 ) . (3.1.22)
La precedente equazione ci dice che la traiettoria della particella che si muove con moto
uniforme e una linea retta lungo la direzione di ~v , orientato come ~v , vedi Fig. 3.7. E spesso
Figura 3.7:
utile descrivere il moto di una particella rispetto al sistema di coordinate cartesiane, con
versori ortogonali ~ux , ~uy , ~uz e origine O. Lo spostamento della particella da t1 a t2 diventa
~r = ~r(t2 ) ~r(t1 ) = x ~ux + y ~uy + z ~uz , (3.1.23)
dove x = x(t2 ) x(t1 ), y = y(t2 ) y(t1 ) e z = z(t2 ) z(t1 ). La velocita media in t e
x y z
~vmedia = ~ux + ~uy + ~uz . (3.1.24)
t t t
Prendendo il limite per t 0, troviamo la velocita istantanea ~v nelle componenti carte-
siane:
dx dy dz
~v = vx ~ux + vy ~uy + vz ~uz = ~ux + ~uy + ~uz , (3.1.25)
dt dt dt
42 CAPITOLO 3. CINEMATICA
Cioe le componenti cartesiane della velocita sono le derivate delle corrispondenti componenti
del vettore posizione. Il moto della particella e ora descritto come la composizione di tre
moti lungo le direzioni ortogonali, ciascuna delle quali e descritta dalla velocita istantanea
vx , vy , vz . Lequazione (3.1.25) puo essere ottenuta semplicemente derivando il vettore di
posizione della particella in (3.0.1) rispetto al tempo, ricordando che i versori del sistema
cartesiano non dipendono dal tempo, dal momento che non si muovono con la particella.
Introduciamo ora il concetto di accelerazione, che e particolarmente importante, dal
momento che esso rappresenta la qualita del moto che e direttamente influenzata da unazione
esterna, cioe da una forza, come vedremo nel prossimo capitolo. Laccelerazione esprime il
tasso del cambiamento della velocita rispetto al tempo. A differenza del caso unidirezionale,
un vettore in tre dimensioni, come la velocita, puo variare non solo in lunghezza, ma anche in
direzione. Definiamo laccelerazione media di una particella durante un intervallo di tempo
t = t0 t come il rapporto tra la variazione della velocita istantanea e lo stesso intervallo
di tempo:
~v 0 ~v ~v
~amedia = 0
= , (3.1.26)
t t t
Dove ~v 0 and ~v sono le velocita istantanee negli istanti t0 e t rispettivamente. Se t0 e abbastanza
vicino a t, la velocita puo essere considerata approssimativamente costante durante t e
quindi nel limite t 0 laccelerazione media puo essere considerata una caratteristica del
moto nellistante t. Pertanto noi definiamo la accelerazione istantanea ~a(t) nellistante t
come il limite dellaccelerazione media per t 0, che e nientaltro che la derivata della
velocita istantanea nellistante t.
~v d~v d2~r
~a = lim = = 2. (3.1.27)
t0 t dt dt
Se dt e un intervallo di tempo abbastanza piccolo da poter considerare al suo interno la
velocita istantanea allincirca costante, possiamo esprimere la variazione della velocita in dt
come d~v = ~a dt. Durante un intervallo finito ~a in generale variera. Pero se vogliamo calcolare
la corrispondente variazione ~v di ~v , possiamo decomporre t = t2 t1 in un numero
infinito di piccoli intervalli dt1 , dt2 , dt3 , . . . in ognuno dei quali ~a e costante e rappresentata
dai vettori ~a1 , ~a2 , . . .. Allora ~v e espresso come soma vettoriale delle variazioni elementari
d~v1 = ~a1 dt1 , d~v2 = ~a2 dt2 , . . . in ogni intervallo di tempo elementare infinitesimo.
Z t2
~v = ~v (t2 ) ~v (t1 ) = d~v1 + d~v2 + . . . = ~a1 dt1 + ~a2 dt2 + . . . = ~a dt . (3.1.28)
t1
Cos come abbiamo gia fatto per la velocita, e utile esprimere laccelerazione, ad un dato
istante, in termini delle sue componenti cartesiane. Cio e fatto osservando che la variazione
totale ~v = ~v 0 ~v della velocita durante lintervallo di tempo t = t0 t puo essere scritto
in componenti cartesiane come segue:
Figura 3.8:
moto uniforme, descritto dal vettore posizione ~r(t) dato nell equazione (3.1.22). Lequazio-
ne (3.1.22) e una uguaglianza tra due vettori. Poiche leguaglianza tra due vettori sussiste
44 CAPITOLO 3. CINEMATICA
se e solo se vale luguaglianza per ciascuna delle sue corrispondenti componenti, possia-
mo riscrivere (3.1.22) come un sistema di tre equazioni che corrispondono alle tre direzioni
cartesiane
x(t) = vx (t t1 ) + x(t1 ) ,
y(t) = vy (t t1 ) + y(t1 ) ,
z(t) = vz (t t1 ) + z(t1 ) . (3.1.32)
(3.1.33)
Queste sono le equazioni parametriche di una linea retta nello spazio tridimensionale, lungo la
direzione di ~v , che passa per il punto: ~r(t1 ) = x(t1 )~ux +y(t1 )~uy +z(t1 )~uz . Ciascuna equazione
nel sistema (3.1.32) ha la forma (3.1.6) e cos descrive un moto uniforme uni-dimensionale.
Esercizio 2.3 Si consideri una particella che si muove sul piano XY (la cui coordinata z e
pertanto nulla (z(t) 0) il cui vettore posizione come funzione del tempo e dato da:
(ved. Fig.3.9.a). Vediamo dalla figura 3.9 che ~r(t) e un vettore che giace sul piano XY, la cui
origine e fissata nellorigine del sistema di coordinate e la cui punta ruota in senso antiorario.
Langolo (t) tra ~r(t) e lasse X e (t) = t ed e misurato in radianti. La quantita puo
essere interpretata come il tasso di variazione nel tempo dellangolo (t) che definisce la
posizione della particella lungo il cerchio
d
, (3.1.36)
dt
ed e chiamata velocita angolare. Per calcolare la velocita usiamo lequazione (3.1.25) e
deriviamo il vettore posizione rispetto il tempo, derivando ciascuna delle sue componenti.
d~r dx dy dz
~v = vx ~ux + vy ~uy + vz ~uz = = ~ux + ~uy + ~uz ,
dt dt dt dt
vx = R sin(t) ,
vy = R cos(t) ,
vz = 0 .
(3.1.37)
3.1. VELOCITA E ACCELERAZIONE 45
Figura 3.9:
Possiamo notare che solo la direzione della velocita varia con il tempo, non il suo modulo:
q
|~v | = (vx )2 + (vy )2 = R = 2 m/sec . (3.1.38)
Questo moto e chiamato moto circolare uniforme. Se noi rappresentiamo il vettore velocita
in ogni istante, possiamo constatare che e certamente tangente alla traiettoria, vedi Fig.
3.9.b. E facile verificare che ~v e ~r sono perpendicolari in ogni istante, poiche langolo tra essi
e sempre /2
~v ~r = 0 . (3.1.39)
Calcoliamo ora laccelerazione, usando equazione (3.1.31)
d~v dvx dvy dvz
~a = ax ~ux + ay ~uy + az ~uz = = ~ux + ~uy + ~uz ,
dt dt dt dt
ax = R 2 cos(t) ,
ay = R 2 sin(t) ,
az = 0 .
(3.1.40)
Se noi raffiguriamo a(t) in ogni istante, possiamo vedere che essa e sempre diretta lungo la
direzione radiale, verso il centro, vedi Fig. 3.9.c. Infatti si puo verificare che ~a(t) = 2 ~r(t).
46 CAPITOLO 3. CINEMATICA
|~v |2
|~a| = R 2 = . (3.1.41)
R
Questa accelerazione e anche chiamata radiale o centripeta. Possiamo comprendere la for-
mula anche in un modo piu intuitivo. Consideriamo il vettore velocita ~v e ~v 0 nei due istanti
t, t0 = t+t > t, come nella Fig. 3.10.a. I tre vettori ~v , ~v 0 , v = ~v 0 ~v formano un triangolo
Figura 3.10:
isoscele ABC (vedi Fig. 3.10.b). Ora osserviamo che l angolo = t tra ~v and ~v 0 e
uguale allangolo tra il vettore posizione ~r e ~r0 nei due istanti. Il triangolo OP P 0 definito
da ~r, ~r0 e la corda |P P 0 | della circonferenza e parimenti isoscele e pertanto e simile a ABC.
Cos possiamo scrivere:
Ora, prendiamo t molto piccolo, cioe prendiamo il limite t 0. Questo vuol dire che
consideriamo un intervallo infinitesimo dt. In questo limite la corrispondente variazione
d dellangolo sara d = dt ed e infinitesima come la lunghezza della corda |P P 0 |
e quindi puo essere ben approssimata dalla lunghezza dellarco ds della circonferenza che
sottende d.
3.1. VELOCITA E ACCELERAZIONE 47
Usando equazione (3.1.18) possiamo scrivere ds = |~v | dt, e riscrivere la seconda delle
equazioni (3.1.42) nel limite t 0 in termini di quantita infinitesimali:
e concludere che
d~v |~v |2
|~a| = = . (3.1.44)
dt R
Inoltre, poiche la somma degli angoli interni del triangolo e 2, nel limite 0, gli
altri due angoli interni al triangolo ABC diventeranno angoli retti e quindi d~v ed ~a sono
perpendicolari a ~v . Questa e una proprieta generale: la variazione infinitesimale di un vettore
con grandezza costante e sempre perpendicolare allo stesso vettore. Il periodo di un moto
circolare uniforme e definito come il tempo che impiega la particella a coprire una volta tutta
la circonferenza. Quando la particella ritorna nella sua posizione iniziale dopo aver percorso
una volta lintero cerchio, la variazione totale di e = 2 e quindi
2
= 2 = T ; T = . (3.1.45)
Nel nostro caso troviamo che T = 1 sec. E utile descrivere il moto circolare uniforme in
termini di coordinate polari r, nel piano del moto. In queste coordinate il moto e descritto
dallequazione r(t) R e (t) = t. Queste equazioni, usando (2.2.9), danno (3.1.34). In
questo sistema di coordinate laccelerazione centripeta e la velocita hanno la semplice forma:
v2
~a = ~ur = 2 R ~ur , (3.1.46)
R
~v = v ~u = R ~u , (3.1.47)
~ ~v .
~a = (3.1.48)
Exercise 2.4 Si consideri una palla di cannone che e sparata da un punto della superficie
della terra in un istante iniziale t0 con una velocita iniziale ~v (0) . Studiate la traiettoria
descritta dalla palla di cannone durante il suo moto.
Per semplicita fissiamo il nostro sistema di coordinate in modo che il cannone sia posto
nellorigine O e la velocita iniziale si trovi sul piano YZ. Lasse Z e allora scelto in modo che
48 CAPITOLO 3. CINEMATICA
sia ortogonale alla superficie terrestre. Poiche la velocita iniziale si trova sul piano YZ, la
(0)
sua componente lungo lasse X e zero, vx = 0, ed avra la seguente formula generale:
~v (0) = vy(0) ~uy + vz(0) ~uz = v (0) cos() ~uy + v (0) sin() ~uz , (3.1.49)
Dove v (0) = |~v (0) | e e langolo tra ~v (0) e lasse Y.
Se la distanza percorsa dalla palla e trascurabile rispetto alla estensione della terra (il rag-
gio della terra e approssimativamente R = 6371 Km), allora possiamo trascurare la curvatura
della superficie terrestre. Dalla la teoria della gravitazione di Newton sappiamo che, in que-
sta situazione, la forza di gravita esercitata dalla terra sulla palla produrra unaccelerazione
costante e diretta verso il basso
~a = g~uz ; g = 9.8 Km/sec2 . (3.1.50)
Vogliamo determinare la posizione della palla ~r(t) in ogni istante t > t0 . Partendo dalla
definizione di accelerazione, possiamo scrivere:
d~v d2~r
~a == 2. (3.1.51)
dt dt
Possiamo scomporre il moto nei moti rettilinei componenti lungo i tre assi, riscrivendo la
precedente equazione nei suoi componenti
dvz d2 z
Z axis : g = = 2,
dt dt
dvy d2 y
Y axis : 0 = = 2,
dt dt
dvx d2 x
X axis : 0 = = 2 . (3.1.52)
dt dt
Questi tre moti possono essere studiati indipendentemente. I moti lungo gli assi X e Y sono
(0) (0)
uniformi con velocita vx e vy rispettivamente e sono dati da
x(t) = x(t0 ) = 0 ,
y(t) = vy(0) (t t0 ) + y(t0 ) = vy(0) (t t0 ) = v (0) cos() (t t0 ) , (3.1.53)
(0)
dove noi abbiamo usato il fatto che vx = 0 e che la palla e situata a t0 nellorigine: x(t0 ) =
y(t0 ) = z(t0 ) = 0. Poiche x(t) 0 in ogni istante, lintera traiettoria giacera nel piano Y
Z. Il moto lungo lasse Z e uniformemente accelerato e pertanto z(t) e dato dallequazione
(3.1.13)
g
z(t) = (t t0 )2 + vz(0) (t t0 ) . (3.1.54)
2
Usando lequazione (3.1.53), possiamo esprimere tt0 come una funzione di y ed allora, sosti-
tuendo il risultato nellequazione (3.1.54), possiamo determinare lequazione della traiettoria
z = f (y) sul piano YZ:
(0)
g vz g
z = f (y) = 2 y 2 + (0) y = 2 y 2 + tan() y . (3.1.55)
(0)
2 (v ) cos()2
2 vy
(0) vy
3.1. VELOCITA E ACCELERAZIONE 49
Figura 3.11:
La traiettoria e parabolica (vedi Fig. 3.11) e la palla colpira il terreno alla distanza d in cui
z(d) = 0
2
v (0) sin(2 )
d = . (3.1.56)
g
dx
vx (t) = = 0,
dt
dy
vy (t) = = vy(0) = v (0) cos() ,
dt
dz
vz (t) = = g (t t0 ) + vz(0) = g (t t0 ) + v (0) sin() , (3.1.57)
dt
Quanto tempo impieghera la palla a toccare il suolo? Per rispondere a questa domanda
noi possiamo trascurare la componente verticale del suo moto e considerare la componente
orizzontale, cioe il moto lungo lasse Y, che, come abbiamo visto, e uniforme con velocita
(0)
costante vy = v (0) cos(). Indichiamo con t1 istante in cui la palla tocca il terreno. Usando
la seconda delle equazioni. (3.1.53), possiamo calcolare la durata totale t = t1 t0 di volo
50 CAPITOLO 3. CINEMATICA
dal lancio iniziale allatterraggio finale. E il tempo che impiega un oggetto che si muove
(0)
lungo una linea retta con velocita costante vy a coprire una distanza pari a d:
d d
t = (0)
= . (3.1.58)
vy v (0) cos()
Figura 3.12:
t t0 . (3.2.1)
Tutti i punti solidali ad S 0 , incluso O0 , si muovono rispetto ad S con velocita V . In particolare
quindi possiamo rappresentare V come la derivata del vettore posizione OO0 (t) rispetto al
tempo:
d 0
V = (OO ) . (3.2.2)
dt
Supponiamo che in un istante t la particella in esame si trovi in punto P , definito dal vettore
posizione ~r(t) = OP rispetto ad S e dal vettore ~r 0 (t) = OP 0 rispetto ad S 0 . Dalla Figura
3.12 risulta che
~r(t) = OP = OO0 (t) + OP 0 = OO0 (t) + ~r 0 (t) . (3.2.3)
Derivando primo ed ultimo membro rispetto a t troviamo una relazione tra le velocita ~v e ~v 0
della particella rispetto ad S ed S 0 rispettivamente:
d~r d d~r0
~v = = (OO0 ) + = V + ~v 0 . (3.2.4)
dt dt dt
Sia ~aS 0 laccelerazione di S 0 rispetto ad S:
dV d2
~aS 0 = = 2 (OO0 ) . (3.2.5)
dt dt
Derivando ulteriormente la (3.2.4) rispetto al tempo, troviamo una relazione le accelerazioni
~a e ~a0 della particella rispetto ad S ed S 0 rispettivamente:
d~v dV d~v 0
~a = = + = ~aS 0 + ~a0 . (3.2.6)
dt dt dt
Se S 0 si muove di moto uniforme rispetto ad S, V = cost. e quindi ~aS 0 = 0. In tal caso
~a = ~a0 . (3.2.7)
Ritorneremo a discutere di questa proprieta quando, nel prossimo capitolo, discuteremo dei
SR inerziali.
1
Questa ipotesi fu abbandonata allinizio del secolo scorso da A. Einstein il quale suppose che, proprio
come lo stazio, anche il tempo non fosse assoluto. Questo gli permise di formulare la sua Relativita Ristretta,
che generalizza della meccanica classica a fenomeni in cui le velocita in gioco sono paragonabili a quella della
luce.
52 CAPITOLO 3. CINEMATICA
~r(t) = x(t) ~ux + y(t) ~uy + z(t) ~uz (x(t), y(t), z(t)) ,
~r 0 (t) = x0 (t) ~u0x + y 0 (t) ~u0y + z 0 (t) ~u0z = x0 (t) ~ux + y 0 (t) ~uy + z 0 (t) ~uz (x0 (t), y 0 (t), z 0 (t)) .
Se supponiamo il moto di S 0 rispetto ad S unoforme, ricordando che a t = 0, OO0 = ~0,risulta:
0
OO = V t (Vx t, Vy t, Vz t) . (3.2.8)
La (3.2.3) si riscrive in questo caso, in componenti, come una relazione tra le coordinate
della particella rispetto ai due SR:
x(t) = Vx t + x0 (t) ,
y(t) = Vy t + y 0 (t) ,
z(t) = Vz t + z 0 (t) . (3.2.9)
Le relazioni (3.2.9), (3.2.10) sono note come leggi di trasformazione di Galileo, da Galileo
Galilei che per primo le scrisse.
Capitolo 4
Dinamica
Il problema tipico della meccanica e determinare il moto di un corpo che interagisce con
lambiente circostante caratterizzato dalla presenza di altri corpi, per esempio il moto della
terra sotto lazione della forza di gravita del sole e degli altri pianeti del sistema solare.
Nel capitolo precedente abbiamo affrontato il problema di descrivere il moto di un corpo
puntiforme senza considerare gli agenti che lo influenzano cioe lazione su di esso dellam-
biente nel quale si muove. In questo capitolo completeremo questa descrizione introducendo
le leggi fondamentali della meccanica classica, formulate da Galileo Galilei ed Isaac Newton,
che mettono in relazione lazione dellambiente su un dato corpo con il suo moto. La parte
della meccanica che studia il moto di un oggetto in relazione alle cause che lo determinano,
e chiamata dinamica.
53
54 CAPITOLO 4. DINAMICA
a noi senza che nessuna forza agisca su di essi. Sembra che il principio di inerzia non valga
nel nostro sistema di riferimento. Tuttavia, il nostro sistema di riferimento, cioe noi stessi
e tutti gli strumenti che noi usiamo per misurare lunghezza e tempo, si muove insieme alla
piattaforma. Rispetto ad un osservatore che e fermo rispetto alla terra, il nostro moto e spie-
gato in termini di una forza, la forza dattrito , che e esercitata dalla piattaforma sulla sedia
sulla quale siamo seduti e, attraverso la sedia, si trasferisce al nostro corpo. Rispetto a tale
osservatore tutti gli oggetti nel laboratorio, inclusi noi e i nostri strumenti, obbediscono alla
prima legge di Newton, senza eccezione. Possiamo concludere che il principio di inerzia vale
rispetto ai sistemi di riferimento che non sono essi stessi soggetti a forze, cioe che sono isolati.
Questi sistemi sono chiamati inerziali. Come in natura non esistono corpi liberi, cos non
esistono sistemi inerziali . Essi piuttosto vanno considerati come casi-limite. Un laboratorio
che e in quiete rispetto alla superficie terrestre, come la terra stessa, e soggetto allinfluenza
gravitazionale del sole, della luna e cos via. Inoltre le forze di coesione lo trascinano con
la terra nel suo moto di rotazione intorno allasse terrestre. Tuttavia, per una certa classe
di fenomeni, come il semplice moto di un oggetto su un tavolo, leffetto di queste influenze
esterne e trascurabile e il laboratorio puo essere considerato, con buona approssimazione,
un sistema inerziale. Sistemi inerziali diversi possono, al piu, muoversi con moto uniforme
gli uni rispetto agli altri. Approfondiremo la nostra discussione sui SR inerziali dopo aver
introdotto le leggi di Newton nella sezione 4.4.
Diamo ora una definizione quantitativa di forza, cioe definiamo un procedimento spe-
rimentale per misurarla. Possiamo misurare una forza mediante laccelerazione che essa
produce su un corpo di prova A. Prendiamo, per esempio, il corpo A che e libero di muo-
versi su di un tavolo senza attrito e leghiamo ad esso lestremita di una molla elastica che
noi teniamo dallaltro capo. Se tendiamo la molla fino ad una certa lunghezza, tirando la
sua estremita, essa esercitera una forza su A, causandone una accelerazione. Questa accele-
razione non dipende dallo stato di moto iniziale di A, ma solo dalla lunghezza di cui e stata
estesa la molla, al di la della sua naturale lunghezza. Diremo che due forze sono uguali se
producono la stessa accelerazione su A. Inoltre, definiamo la direzione di una forza come la
direzione dellaccelerazione prodotta. Definiamo la somma di due o piu forze come la forza
risultante dallazione simultanea di queste forze sullo stesso corpo. Se applichiamo due forze
uguali ad A, aventi la stessa direzione, ne risultera unaccelerazione doppia di quella prodotta
da ogni singola forza. Allo stesso modo, applicando tre forze uguali, lungo la stessa direzione
sullo stesso oggetto, laccelerazione risultante e tre volte quella causata da ciascuna di esse e
cos via. Possiamo concludere che su un dato corpo la forza e proporzionale allaccelerazione
prodotta.
Fissiamo ora una unita di forza uF che causa una certa accelerazione su A, ad esempio di
1 m/sec2 , ed esprimiamo ogni altra forza in funzione di essa. Leffetto di una forza dipende
anche dalla direzione lungo la quale e esercitata. Per esempio, laccelerazione del corpo
A dipende dalla direzione lungo la quale tiriamo lelastico e coincide con essa. Possiamo
dedurre che una forza e quindi, una quantita vettoriale, F , definita da una lunghezza che
misura la sua intensita in unita uF , una direzione ed un verso lungo il quale essa e esercitata.
Inoltre, come abbiamo detto, e naturale assumere che la direzione e il verso coincidono
con la direzione ed il verso dellaccelerazione che la forza produce: F ~a. Da semplici
56 CAPITOLO 4. DINAMICA
esperimenti possiamo convincerci che le forze si sommano come quantita vettoriali e non come
numeri: leffetto dellazione simultanea di due forze lungo direzioni diverse e unaccelerazione
data dalla somma vettoriale delle accelerazioni che le singole forze produrrebbero se agenti
separatamente. Supponiamo che una forza F 1 che agisce lungo la direzione X su A, produca
unaccelerazione lungo X di 4 m/sec2 . Se noi applichiamo le due forze su A simultaneamente,
il risultato e unaccelerazione ~a di 5 m/sec2 lungo una direzione il cui angolo con Y ha
tangente 4/3. Questa accelerazione e prodotta da una forza F con la stessa direzione ed
orientazione di ~a, ed intensita F = 5 uF . Questo vettore risulta essere la somma delle forze
F 1 ed F 2 . Infatti, poiche F 1 = 4 (uF ) ~ux e F 2 = 3 (uF ) ~uy , troviamo
F = F1+ F2,
q
F = | F | = | F 1 |2 + | F 2 |2 = 5 uF . (4.1.1)
Possiamo generalizzare questo risultato dicendo che laccelerazione prodotta dallazione si-
multanea di due o piu forze e la somma vettoriale delle accelerazioni che ciascuna forza
produrrebbe se agisse separatamente e che e la stessa accelerazione che sarebbe causata da
una forza uguale alla somma vettoriale di tutte le forze.
In conclusione, possiamo consistentemente definire la forza che agisce su un dato corpo
come un vettore che e proporzionale allaccelerazione che essa causa. Finora abbiamo con-
siderato forze diverse che agiscono su di uno stesso corpo prova A. Che cosa accadrebbe se
applicassimo la stessa forza a corpi diversi? Lesperienza ci insegna che, se noi applicassimo
la stessa forza ad una palla da tennis, essa causerebbe una accelerazione che e piu grande di
quella prodotta dalla stessa forza su di una palla da foot-ball. Esiste una qualita, che ogni
corpo ha, che misura la resistenza che esso oppone al cambiamento del suo stato di moto,
cioe allessere accelerato dallazione di una forza. Questa qualita e chiamata inerzia e la
corrispondente quantita fisica e chiamata massa inerziale (o semplicemente massa) m. Piu
grande e la massa inerziale, piu piccola e laccelerazione prodotta dallazione di una stessa
forza. Dallesempio precedente concludiamo che la palla da foot-ball ha una massa inerziale
piu grande della palla da tennis. Supponiamo di applicare la stessa forza F a due corpi A
e B con masse inerziali mA e mB , rispettivamente, e chiamiamo aA e aB le accelerazioni
corrispondenti lungo la stessa direzione. Definiamo il rapporto delle masse inerziali come
segue
mB aA
= . (4.1.2)
mA aB
Se applicassimo una forza diversa F 0 ai due oggetti, essi subirebbero diverse accelerazioni a0A
e a0B , cio nonostante troveremmo:
mB aA a0
= = 0A . (4.1.3)
mA aB aB
Concludiamo quindi che il suddetto rapporto dipende solo dai due oggetti e non dalla loro
accelerazione. Possiamo allora fissare la massa inerziale di un oggetto A campione come unita
4.1. PRINCIPIO DI INERZIA E LEGGI DI NEWTON 57
Fx = m ax ,
Fy = m ay ,
Fz = m az . (4.1.6)
Lequazione (4.1.5) e lequazione di moto di una particella che ha massa inerziale m, nella
quale F~ denota la somma di tutte le forze che agiscono sulla particella in un certo istante e
~a e laccelerazione risultante.
Definiamo ora la quantita di moto (o momento) p~ di una particella di massa m che si
muove alla velocita ~v come:
p~ m ~v . (4.1.7)
Se la massa inerziale non dipende dal tempo, possiamo portare m dentro il simbolo di derivata
nellequazione (4.1.5), e quindi riscriverla come:
d(m ~v ) d~p
F~ = = . (4.1.8)
dt dt
Questa e la formulazione originale della seconda legge di Newton che risulta avere una validita
piu generale dell equazione nella forma (4.1.5). Ad esempio, essa descrive correttamente il
moto di sistemi in cui la massa m varia con il tempo, come per esempio un razzo che vola e
che riduce la sua massa espellendo i gas dovuti alla combustione. Inoltre, lequazione (4.1.5)
e inadeguata nel descrivere il moto di particelle le cui velocita sono paragonabili alla velocita
della luce c = 3 108 m/sec. In questo limite, chiamato limite relativistico, la meccanica
newtoniana cessa di valere e la massa inerziale di una particella acquista una dipendenza
dalla sua velocita. In questo limite la corretta descrizione del suo moto e fornita dalla teoria
della Relativita Speciale di Einstein. Tuttavia si puo dimostrare che lequazione (4.1.8) vale
ancora nel limite relativistico a patto che la definizione di p~ venga generalizzata. La corretta
forma dellequazione del moto e pertanto (4.1.8). Essa diviene lequazione (4.1.5) nel limite in
cui la velocita della particella e molto piu piccola della velocita della luce (v c, limite non
58 CAPITOLO 4. DINAMICA
relativistico) e la massa non dipende sensibilmente dal tempo. In questo corso limiteremo la
nostra analisi a sistemi non relativistici per i quali vale la meccanica newtoniana.
Ce unultima osservazione da fare sulla definizione di forza. Una forza dovrebbe sempre
essere intesa come un vettore che si origina nel punto in cui e applicata. Allora si dice che
il vettore che rappresenta la forza e applicato a quel punto. Solo le forze che sono esercitate
sullo stesso punto, p.es. che agiscono sulla stessa particella, possono essere sommate.
Come anticipato nellintroduzione, lunita di misura della massa nel sistema MKSA e il
Kilogrammo (Kg). Poiche la dimensione di una forza, secondo leq (4.1.5) e:
(massa) (lunghezza)
[F ] = (massa) (accelerazione) = , (4.1.9)
(tempo)2
La sua unita di misura nel sistema MKSA, il Newton (N), e definita come:
1 N = 1 Kg m/sec2 . (4.1.10)
Figura 4.1:
Figura 4.2:
Figura 4.3:
d2~r
m ~a = m 2
= F [~r(t), ~v (t), t] , (4.3.2)
dt
62 CAPITOLO 4. DINAMICA
o, in componenti,
d2 x
m ax = m = Fx [x(t), y(t), z(t), vz (t), vy (t), vz (t), t] ,
dt2
d2 y
m ay = m 2 = Fy [x(t), y(t), z(t), vz (t), vy (t), vz (t), t] ,
dt
d2 z
m az = m 2 = Fz [x(t), y(t), z(t), vz (t), vy (t), vz (t), t] . (4.3.3)
dt
Queste equazioni possono essere viste come relazioni tra le tre funzioni x(t), y(t), z(t), e le
loro derivate, prima e seconda, rispetto al tempo, cioe vz (t), vy (t), vz (t) e az (t), ay (t), az (t).
Esse sono quindi sono chiamate equazioni differenziali di secondo ordine.
La soluzione ~r(t) = (x(t), y(t), z(t)) delle (4.3.3) esiste sempre ed e unica entro un certo
intervallo di tempo, una volta che siano fissati i dati iniziali relativi alla particella, cioe la
sua posizione e velocita in un certo istante di riferimento t0 : ~r(t0 ) = ~r(0) = (x(0) , y (0) , z (0) ) e
(0) (0) (0)
~v (t0 ) = ~v (0) = (vx , vy , vz ).
Il problema e che ci sono veramente pochi casi nei quali le equazioni (4.3.3) ammettono
soluzioni che possono essere espresse in termini di funzioni analitiche (polinomi, seni, coseni,
esponenziali ecc...). Nella maggioranza dei casi le equazioni (4.3.3) possono solo essere risolte
numericamente.
Quando si studia il moto di un sistema di particelle che interagiscono, il primo passo e
considerare ogni particella e scrivere il sistema di forze che agiscono su di essa. Allora per
ogni particella noi scriviamo il sistema di equazioni (4.3.3) e le risolviamo con una certa
scelta di dati iniziali, cioe posizione e velocita di tutte le particelle in un dato istante t0 .
E importante, nel risolvere questo problema, scegliere un sistema di coordinate nel quale le
equazioni (4.3.3) abbiano la forma piu semplice.
Esempio 2 Consideriamo, come secondo esempio, una particella di massa m che descrive
un moto circolare uniforme con velocita angolare costante e con un raggio R. Abbiamo
visto nel paragrafo precedente che tale particella ha unaccelerazione, laccelerazione centri-
peta, lungo la direzione radiale verso il centro della traiettoria, data dallequazione (3.1.46).
Per la seconda legge di Newton questa accelerazione e causata da una forza F c , chiamata
centripeta, data da:
v2
F c [(t)] = m ~a = ~ur = 2 R ~ur . (4.3.6)
R
La dipendenza di F c da (t) puo essere compresa notando che, al variare della posizione
della particello lungo la traiettoria circolare, ruota il vettore ~ur , cioe esso dipende da (t).
Questa forza e costante in intensita ed e perpendicolare alla velocita ~v in ogni istante. Nel
precedente paragrafo, quando abbiamo trattato il moto circolare uniforme da un punto di
vista cinetico, abbiamo iniziato conoscendo la posizione ~r(t) = (x(t), y(t)) in ogni istante
e abbiamo dedotto da essa la velocita e laccelerazione. Qui vogliamo percorrere la strada
opposta. Partendo dalla forza centripeta F c vogliamo trovare un moto circolare uniforme
come soluzione di (4.3.3). Infatti, rispetto al sistema di assi cartesiani, F c ha la forma
F c [(t)] = 2 R cos((t)) ~ux 2 R sin((t)) ~uy , (4.3.7)
ove la dipendenza da (t) della forza e evidente dal momento che i vettori unita ~ux , ~uy sono
costanti e non dipendono dalla posizione delloggetto. Le eqs. (4.3.3) hanno la forma
d2 x
m ax = m = 2 R cos((t)) ,
dt2
d2 y
m ay = m 2 = 2 R sin((t)) . (4.3.8)
dt
Vediamo che il moto circolare uniforme descritto dalle equazioni (3.1.34) rappresenta una
soluzione delle (4.3.8), corrispondente ai seguenti dati iniziali a t0 = 0: x(0) = R, y(0) =
0, vx (0) = 0, vy (0) = R . Questo si puo facilmente verificare calcolando le derivate seconde
di x(t) e y(t) in (3.1.34) e sostituendo il risultato nella parte sinistra delle equazioni (4.3.8).
Figura 4.4:
e, in particolare, lungo un cerchio, e conveniente, per descrivere il moto nel piano, ricorrere
a coordinate polari r, , con origine O. Scegliamo inoltre gli assi X e Z rispettivamente
lungo le direzioni orizzontale e verticale, cos che i punti con = 0 giacciano nella parte
negativa dellasse Z. La posizione della massa durante il suo moto e completamente definita
dalle coordinate r L, = (t). Quando la massa e a riposo in direzione verticale, = 0,
mentre > 0 se la massa e a destra della direzione verticale, e < 0 se e sul lato opposto
3
. Possiamo descrivere la posizione della particella mediante la lunghezza s dellarco di
circonferenza tra la posizione di m e lasse negativo Z, presi con segno positivo o negativo a
seconda che m sia a destra o sinistra di Z, ovvero a seconda del segno si .
Con questa convenzione possiamo descrivere la posizione di m nellistante t in termini di
s(t) = L (t). La velocita in ogni punto e diretta lungo la retta tangente alla circonferenza,
cioe lungo ~u . Usando l equazione (3.1.18) possiamo indicare la velocita come
ds d
~v = ~u = L ~u = L ~u , (4.3.9)
dt dt
Dove = d dt
e la velocita angolare (dipendente dal tempo). Benche questo moto sia circolare,
esso non e uniforme, poiche ~v varia anche in modulo. Come conseguenza di cio, laccelera-
zione ~a ha una componente (centripeta) in direzione radiale e una componente tangente alla
traiettoria, cioe in direzione ~u . Per calcolare queste componenti valutiamo ~a come derivata
3
Langolo e definito come angolo orientato, ovvero e descritto nel verso che va dal semiasse Z negativo
fino al filo. Per convenzione, e negativo se esso e descritto in verso orario, positivo in caso contrario.
4.3. IL PROBLEMA GENERALE DELLA MECCANICA DELLA PARTICELLA 65
rispetto al tempo di ~v in (4.3.9), tenendo conto che anche ~u varia nel tempo con la posizione
della particella, e quindi contribuisce alla variazione della velocita
d2 s
d d ds ds d
~a = ~v = ~u = 2 ~u + ~u . (4.3.10)
dt dt dt dt dt dt
Ora vogliamo calcolare il secondo termine della parte destra della precedente equazione, cioe
la derivata rispetto al tempo del vettore unita: ~u :
d ~u (t + t) ~u (t)
~u = lim . (4.3.11)
dt t0 t
Langolo tra i due vettori successivi ~u (t + t) e ~u (t) e = (t + t) (t). Pertanto
piu piccolo prendiamo t, piu piccolo sara langolo tra ~u (t + t) e ~u (t) e meglio possiamo
approssimare la loro differenza ~u = ~u (t + t) ~u (t) mediante larco della circonferenza
di raggio 1, sotteso allangolo ved. Fig. 4.5. Per quel che riguarda la direzione della
differenza ~u (t + t) ~u (t), essa diventera ortogonale a ~u (t), al limite t 0, e sara
quindi orientata verso O. In alter parole, sara orientata come ~ur . Infatti se consideriamo
il triangolo isoscele di lati ~u (t + t), ~u (t) e ~u , al tendere a zero dellangolo al vertice
, gli angoli alla base, e quindi langolo tra ~u (t) e ~u , tenderanno ad angoli retti. Cos
nel limite di t infinitesimo, ~u (t + t) ~u (t) ~ur , e possiamo scrivere la (4.3.11)
nella forma
d ~u (t + t) ~u (t) d
~u = lim = lim ~ur = ~ur = ~ur . (4.3.12)
dt t0 t t0 t dt
Lespressione (4.3.10) per ~a puo ora essere riscritta nella seguente forma:
d2 s
~a = a ~u + ar ~ur = 2
~u L 2 ~ur ,
dt
d2 s d2
a = = L ,
dt2 dt2
ar = L 2 . (4.3.13)
Dopo questa analisi cinematica preliminare, vogliamo scrivere lequazione di Newton relativa
a questo moto. La massa m e soggetta alla forza di gravita F W = m g ~uy ed alla tensione
dellelastico T = T ~ur , diretta nella direzione radiale verso il centro. Proiettiamo la forza
risultante F = F W + T lungo Le direzioni ~ur e ~u :
F = Fr ~ur + F ~u ,
Fr = T + m g cos((t)) ,
F = m g sin((t)) . (4.3.14)
Figura 4.5:
moto si sviluppera unicamente nel piano X Z, come abbiamo supposto. Possiamo ora scrivere
equazioni (4.3.3)
2
2 d
m ar = m L = m L = Fr = T + m g cos((t)) (4.3.15)
dt
d2
m a = m L = F = m g sin((t)) . (4.3.16)
dt2
Dalla prima equazione vediamo che leffetto della tensione dellelastico T non solo bilancia
la spinta verso lesterno, dovuta alla gravita, ma causa anche laccelerazione centripeta, ne-
cessaria al moto circolare. Lequazione (4.3.16) puo essere risolta in (t), mentre lequazione
(4.3.15) puo essere usata per determinare T . Concentriamoci ora sullequazione (4.3.16)
d2 g
2
= sin((t)) . (4.3.17)
dt L
4.3. IL PROBLEMA GENERALE DELLA MECCANICA DELLA PARTICELLA 67
Questa e unequazione differenziale di secondo ordine che non ha soluzioni analitiche e quindi
puo essere risolta soltanto con metodi numerici. Lequazione (4.3.17) puo essere risolta
analiticamente per piccole oscillazioni, cioe se noi perturbiamo m dalla sua posizione di
quiete (lungo la linea verticale), di un piccolo angolo 0 0.
Quando (t) e piccolo, possiamo approssimare la funzione seno mediante il suo argomen-
to:
sin((t)) (t) (piccolo (t)) , (4.3.18)
E lequazione (4.3.17) sara scritta nella forma
d2
+ 02 (t) = 0 , (4.3.19)
dt2
g
02 = . (4.3.20)
L
Lequazione (4.3.19) e come vedremo, lequazione del moto di un oscillatore armonico. La
sua soluzione generale ha la forma
(t) = A sin(0 t) + B cos(0 t) , (4.3.21)
come si puo facilmente verificare. A e B sono due parametri che si determinano specificando
le condizioni iniziali, cioe posizione e velocita di m nellistante t = 0. Supponiamo di rilasciare
il pendolo ad un angolo iniziale (t = 0) = 0 senza velocita iniziale: d dt
(t = 0) = 0. Con
queste condizioni si ottiene A = 0, B = 0 e la soluzione assume la forma:
(t) = 0 cos(0 t) . (4.3.22)
Questa soluzione descrive le piccolo oscillazioni del pendolointorno alla direzione verticale.
Il periodo T di questo moto, cioe il tempo che occorre perche m completi la sua oscillazione
e ritorni alla sua posizione e velocita originaria e costante ed e dato da
s
2 L
T = = 2 . (4.3.23)
0 g
Figura 4.6:
non e deformata la sua lunghezza e x0 . Come abbiamo gia detto, la molla e caratterizzata,
come tutti gli oggetti elastici, dalla proprieta di resistere ad ogni deformazione sviluppando
una forza che si oppone ad essa. Infatti, se la molla viene allungata fino ad una lunghezza
x > x0 , essa esercitera alle sue estremita una forza verso linterno F e la cui intensita e
proporzionale alla deformazione x x0 , se la deformazione non e troppo grande. Daltra
parte, se compressa ad una lunghezza x < x0 , la forza alle sue estremita sara diretta verso
lesterno, ma sempre proporzionale in intensita a x x0 . La direzione della forza che essa
esercita alle sue estremita e sempre tale da opporsi alla deformazione e tendera a riportare la
molla alla sua originaria lunghezza. La forza elastica che la molla sviluppa alle sue estremita,
se deformata, avra quindi la seguente espressione:
F e = ke (x x0 ) ~ux , (4.3.24)
Dove ke e detta la costante elastica della molla e misura quanto essa sia rigido: piu grande
e ke , piu difficile e deformare la molla. Se portiamo il blocco in posizione x = x1 > x0
4.3. IL PROBLEMA GENERALE DELLA MECCANICA DELLA PARTICELLA 69
nellistante t = 0, tirando in tal modo lelastico e poi rilasciandolo, per azione della forza
elastica esso oscillera intorno alla posizione x0 : finche x > x0 il blocco sara tirato dallelastico
verso O. Appena x = x0 il corpo non e soggetto ad alcuna forza e procede con la velocita
che ha acquistato. Come per il caso del pendolo, la posizione in cui la forza totale agente
sulla massa, nel nostro caso la sola forza elastica, e zero e chiamata posizione dequilibrio.
Quando x < x0 il blocco e spinto verso lesterno, la sua velocita si reduce in intensita finche il
suo moto si inverte e il corpo inizia a muoversi verso linterno. Dopo un tempo caratteristico
T (periodo), il blocco tornera nella sua posizione originaria. Questo sistema e chiamato
oscillatore armonico. Analizziamo ora il solo blocco e scriviamo le forze che agiscono su
di esso in ogni istante. Il blocco e soggetto alla forza gravitazionale F W , alla reazione del
tavolo N , che e perpendicolare al piano, ed alla forza elastica del filo elastico F e . Poiche
non ce moto in direzione verticale la reazione normale N compensa esattamente il peso:
F W + N = 0. Il moto e unidimensionale ed e descritto dalla posizione x(t) del blocco in
funzione del tempo. Laccelerazione pertanto ha la forma:
d2 x
~a = ~ux . (4.3.25)
dx2
Ora possiamo scrivere lequazione di Newton (4.3.3) per il blocco, lungo la direzione X:
d2 x
m ~a = F e m 2 = ke (x x0 ) . (4.3.26)
dt
Se definiamo x = x x0 , la suddetta equazione puo essere riscritta nella forma:
d2 x
2
+ 02 x = 0 , (4.3.27)
dt
ke
02 = . (4.3.28)
m
Notiamo che lequazione (4.3.27) ha la stessa forma dellequazione (4.3.19) che descrive le
piccole oscillazioni del pendolo. La sua soluzione generale ha la forma:
Dove, come nel caso del pendolo, i coefficienti A, B sono fissati dalle condizioni iniziali. De-
rivando x(t) rispetto al tempo, calcoliamo la componente X della velocita e dellaccelerazione
dx
v(t) = = A 0 cos(0 t) B 0 sin(0 t) ,
dt
dv
a(t) = = 02 x(t) . (4.3.30)
dt
Se scegliamo come dati iniziali la posizione e la velocitadel blocco x(t = 0) = x1 , cos che
x(t = 0) = x1 x0 , e v(t = 0) = 0, i coefficienti diventano A = 0 e B = x1 x0 . La soluzione
risultante e :
Notiamo che se noi iniziamo con il blocco a riposo, v = 0, nella posizione di equilibrio
Figura 4.7:
legge:
F~ = m ~a . (4.4.1)
Se S 0 si muove rispetto ad S di moto uniforme, ~aS 0 = ~0 ed ~a0 = ~a. Questo comporta che
anche laccelerazione misurata in S 0 sia spiegabile in termini della stessa forza
F~ = m ~a = m ~a0 . (4.4.2)
Poiche una qualsiasi accelerazione osservata in S 0 , per questo motivo, risulta spiegabile in
termini di una azione di altri corpi sulla particella, anche S 0 sara inerziale.
Mostriamo adesso che, se il moto di S 0 rispetto ad S inerziale e accelerato, S 0 non e
inerziale. Infatti, dalla (3.2.6), troviamo che
Vediamo che laccelerazione ~a0 e espressa come somma di un contributo ~a, dovuta allazione
di una forza, essendo S inerziale, piu un termine ~aS 0 non dovuto ad alcuna azione esterna,
ma legata al moto accelerato del SR. Per questo, anche se la particella non fosse soggetta ad
alcuna forza, F~ = 0 = ~a, si osserverebbe rispetto ad S 0 una accelerazione pari a:
Non essendo tale accelerazione dovuta ad una forza agente sulla particella, concludiamo che
non vale in S 0 il principio di inerzia, ovvero che S 0 non e un SR inerziale.
Quanto detto dimostra la seguente importante proprieta dei SR inerziali:
I sistemi di riferimento inerziali sono in moto relativo uniforme gli uni rispetto agli altri.
Supponiamo che unosservatore solidale con S 0 insista a voler scrivere la seconda legge di
Newton nel proprio SR. Egli spieghera la componente ~aS 0 dellaccelerazione ~a0 , legata al
moto del proprio SR, come leffetto di un nuovo tipo di forza, non dovuto allazione di altri
corpi sulla particella in esame. Tale forza e detta forza inerziale o fittizia ed e definita nel
seguente modo:
Losservatore solidale con S 0 potra quindi ancora scrivere la seconda equazione di Newton,
a patto di includere tra le forze, oltre a quelle fisiche dovute allazione di altri corpi sulla
particella, le forze fittizie legate al moto accelerato del proprio SR.
Consideriamo come esempio una macchina che procede con velocita costante V . Sul suo
cofano e poggiata una valigetta che procede, come ogni oggetto sulla macchina, con la stessa
velocita V . Ad un certo istante la macchina decelera fino a fermarsi. La valigetta scivola sul
cofano senza attrito fino a cadere per terra. Vediamo come questo stesso fenomeno e visto
72 CAPITOLO 4. DINAMICA
Figura 4.8:
da due osservatori: uno fisso rispetto al suolo (SR S), laltro alla guida della macchina (SR
S 0 solidale con la macchina). Per losservatore in S la macchina frena, ovvero e soggetta ad
una accelerazione opposta alla sua velocita, dovuta ad una forza F~ che si origina dallattrito
delle ruote contro lasfalto e che si trasmette ad ogni cosa allinterno della macchina, incluso
il guidatore. Essa pero non si trasmette alla valigetta, a causa dellattrito trascurabile di
questa con la superficie del cofano. La valigetta continuera il suo moto iniziale con velocita
V , scivolando sul cofano e cadendo per terra per effetto della gravita, vedi Figura 4.8 in alto.
Ogni accelerazione che losservatore fermo sulla strada osserva e effetto di una forza. Per
questo fenomeno il SR S e una buona approssimazione di un SR inerziale. Vediamo invece
cosa osserva il guidatore (SR S 0 ). Esso osserva la valigetta che, nel momento in cui egli inizia
a frenare, si mette in moto in avanti, ovvero subisce una accelerazione, apparentemente non
dovuta ad una qualche azione su di essa. Il SR S 0 e quindi chiaramente non inerziale.
Analizziamo il fenomeno quantitativamente. Rispetto ad S la valigetta, mentre la mac-
china frena con una accelerazione ~aS 0 in verso opposto a V , prosegue con velocita costante
(ignoriamo leffetto della gravita), ovvero ~a = 0. Rispetto ad S 0 laccelerazione della valigetta
sara data dalla (4.4.4): ~a0 = ~aS 0 . Il guidatore, per poter descrivere il moto della valigetta
da lui osservato, deve ricorrere ad una forza inerziale F~inerziale = m ~aS 0 diretta in avanti,
che causa lo scivolamento della valigetta: m ~a0 = F~inerziale , vedi Figura 4.8 in basso.
Riprendiamo lesempio della piattaforma rotante con velocita angolare costante. Un
osservatore solidale con il laboratorio (SR S) osserva un osservatore seduto sulla piattaforma
che rota assieme ad essa (SR S 0 ). Per losservatore in S losservatore in S 0 si muove assieme
4.5. FORZE DI ATTRITO 73
Figura 4.9:
2
alla piattaforma con moto circolare uniforme. La sua accelerazione centripeta ~a = vR ~ur
e dovuta alla forza di attrito statico esercitata dalla piattaforma sulla sedia e trasmessa
2
allintero osservatore in S 0 . Essa funge da forza centripeta: F~attrito = m ~a = m vR ~ur , vedi
Figura 4.9 in alto. Rispetto ad S ogni accelerazione ossservata e effetto di una forza. Questo
SR puo essere considerato, ai fini di questo esperimento, inerziale. Consideriamo adesso
come losservatore in S 0 vede se stesso. Nel proprio SR egli e fermo, quindi ~a0 = 0. Infatti
laccelerazione ~aS 0 di S 0 rispetto ad S e proprio ~a: ~aS 0 = ~a. Il suo essere fermo e interpretato,
alla luce dellequazione di Newton in S 0 (4.4.6), come un equilibrio tra la forza di attrito
dovuta alla piattaforma e la forza inerziale:
2
v
F~inerziale = F~attrito = m ~a = m ~ur . (4.4.7)
R
Questa forza inerziale, uguale ed opposta alla forza centripeta osservata in S, e detta forza
centrifuga ed e quindi diretta verso lesterno, vedi Figura 4.9 in basso. Essa e la forza che
tutti noi proviamo quando in macchina curviamo, e ci spinge verso lesterno della curva.
Essa e tanto piu intensa quanto piu stretta e la curva (piu piccolo R) o tanto maggiore e la
nostra velocita v.
Moto nei fluidi: attrito viscoso Un corpo che si muove attraverso un fluido (noi trat-
teremo le proprieta fisiche dei fluidi in un capitolo successivo) sotto lazione di una forza
esterna, F~ , e soggetto alla forza esercitata dal fluido intorno ad esso, chiamata attrito vi-
scoso F f . Questa forza si oppone al moto del corpo, poiche e sempre diretta nella stessa
direzione della sua velocita, ma in verso opposto. La sua dipendenza dalla velocita ~v del
corpo, a condizione che v = |~v | non sia troppo grande, e descritta dalla formula:
F f = K ~v , (4.5.2)
dove K dipende dalla forma del corpo (per un oggetto sferico di raggio R, risulta essere
K = 6 R) ed e il coefficiente di viscosita. Esso misura la viscosita del fluido la quale si
origina dallo scorrimento di strati del fluido luno rispetto allaltro. Nel nostro caso possiamo
pensare ad uno strato di spessore infinitesimo di fluido, aderente alla superficie delloggetto,
che viene trascinato dalloggetto stesso alla sua stessa velocita, a seguito dellinterazione tra
le molecole sulla sua superficie e quelle del fluido. Questo strato sara quindi in moto relativo
rispetto agli strati di fluido piu esterni. Le forze di interazione tra le molecole di due strati
di fluido adiacenti in moto relativo, allorigine del fenomeno della viscosita, hanno leffetto di
coinvolgere gli strati via via piu lontani nel moto delloggetto, ma con velocita che diminuisce
allaumentare della distanza dalloggetto stesso.
Considerando F f , lequazione di Newton per il corpo sara:
m ~a = F + F f = F K ~v . (4.5.3)
Possiamo scomporre questo moto in una componente nella direzione di F e in una com-
ponente ortogonale ad esso. Questultima componente e soggetta solo alla forza dattrito
che ridurra la corrispondente componente della velocita. Pertanto, dopo un certo tempo,
~v sara diretta nel verso F . Leffetto della forza esterna cos aumentera v fino a che essa
raggiungera il valore vL , chiamato velocita limite, nel quale lattrito bilancera esattamente
la forza esterna:
1
F K ~vL = 0 ~vL = F . (4.5.4)
K
Quando la velocita limite viene raggiunta, il corpo continuera il suo moto a velocita costante.
Se il corpo cade sotto lazione della gravita della terra: F = (mmf ) g ~uz , essendo Z lasse
verticale orientato verso lalto e la velocita ~vL = vL ~uz ha la seguente intensita
(m mf ) g
vL = . (4.5.5)
K
La componente mf g ~uz nella forza, che si oppone alla forza peso m g ~uz , descrive leffetto
della spinta di Archimede esercitata dal fluido circostante sul corpo in moto al suo interno.
Infatti, come vedremo in seguito, questa spinta verso lalto, secondo il principio di Archimede,
e uguale in intensita al peso della massa mf del fluido spostato dalloggetto. I tre tipi di
attrito trattati finora sono riassunti dalla Fig. 4.10.
76 CAPITOLO 4. DINAMICA
Figura 4.10:
Figura 4.11:
genere un sistema di particelle in cui ogni elemento componente e soggetto soltanto alle forze
esercitate dalle altre particelle dello stesso sistema e chiamato un sistema isolato. Quindi
un sistema isolato e un sistema di particelle che non interagisce con il resto delluniverso.
Questa e chiaramente una situazione idealizzata. Nella realta un sistema di corpi distanti
da ogni altro oggetto puo essere una buona approssimazione di un sistema isolato. Per
esempio, consideriamo il sistema terra-luna. Questo non e un sistema isolato dal momento
che entrambe, la terra e la luna, sono soggette alla influenza gravitazionale del sole e degli
altri pianeti. Tuttavia se noi siamo interessati a studiare il moto della luna e della terra
limitatamente ad un periodo di pochi giorni, leffetto su di esso dei corpi esterni puo essere
trascurabile e il sistema puo essere considerato isolato. Torniamo al sistema isolato di due
particelle. Supponiamo che le particelle nellistante t abbiano quantita di moto p~1 , p~2 e in un
istante successivo t0 abbiano quantita di moto diversi p~01 , p~02 . La conservazione della quantita
di moto totale implica la seguente relazione:
P~ = p~1 + p~2 = p~01 + p~02 . (4.6.4)
Definendo la variazione della quantita di moto di ciascuna particella ~p1 = p~01 p~1 , ~p2 =
p~02 p~2 , la suddetta relazione puo anche essere scritta nella forma:
~p1 = ~p2 , (4.6.5)
Cioe la variazione della quantita di moto della particella m1 e uguale ed opposta alla variazio-
ne nella quantita della particella m2 . E come se la quantita di moto fosse stata trasferita da
78 CAPITOLO 4. DINAMICA
una particella allaltra. Questa e una caratteristica generale delle interazioni: una interazione
implica un trasferimento della quantita di moto tra le particelle che interagiscono.
Consideriamo ora tre particelle di massa m1 , m2 and m3 . Ciascuna di esse avverte solo
la forza delle altre due: la massa m1 e soggetta alle forze F 21 e F 31 esercitate da m2 and m3
rispettivamente, m2 subisce le forze F 12 e F 32 dovute a m1 and m3 ed infine m3 e soggetta
alle forze F 13 e F 23 dovute a m1 e m2 , vedi Fig. 4.11. Il sistema costituito da m1 ed m2
non e isolato, poiche ciascuna delle due particelle e soggetta allazione esterna di m3 che
non appartiene al sistema. Tuttavia il sistema costituito da tutte le particelle e isolato. Le
forze tra i componenti dello stesso sistema sono chiamate interne. La terza legge di Newton
implica che le forze interne si trovano in coppie uguali ed opposte, cioe che F 21 = F 12 ,
F 31 = F 13 , F 23 = F 32 . Siano F 1 , F 2 , F 3 le forze risultanti che agiscono su m1 , m2 e
m3 rispettivamente. Le equazioni del moto delle tre particelle sono:
d~p1
= F 1 = F 21 + F 31 , (4.6.6)
dt
d~p2
= F 2 = F 12 + F 32 , , (4.6.7)
dt
d~p3
= F 3 = F 13 + F 23 . (4.6.8)
dt
Sommando le suddette equazioni e definendo la quantita di moto totale P~ = p~1 + p~2 + p~3 ,
troveremo
dP~
= F 1 + F 2 + F 3 = 0, (4.6.9)
dt
dove la proprieta F 1 + F 2 + F 3 = 0 deriva dalla terza legge di Newton. L equazione (4.6.9)
ci dice che la quantita di moto totale di questo sistema isolato si conserva durante la sua
evoluzione: P~ = const.. In generale possiamo dimostrare la seguente importante proprieta:
La quantita di moto totale di un sistema isolato si conserva.
Questa proprieta e conosciuta come legge di conservazione della quantita di moto. Dimo-
striamola per un sistema isolato di n particelle di massa m1 , m2 , . . . , mn che interagiscono.
Poniamo che F i denoti la forza risultante che agisce sulla particella iima del sistema. Dal
momento che per la terza legge di Newton tutte le forze interne si trovano in coppie opposte,
abbiamo
n
X
F i = F 1 + F 2... + F n = 0. (4.6.10)
i=1
cioe che il quantita di moto totale del sistema e conservata: P~ ni=1 p~i = const. La legge
P
di conservazione della quantita di moto e stata verificata sperimentalmente in tutti i processi
fisici finora senza eccezione. E comunemente considerata un principio naturale.
Sebbene noi abbiamo derivato tale principio dalla seconde e terza legge di Newton, pos-
siamo seguire un approccio diverso: postulare il principio della conservazione della quantita
di moto e derivare da esso le leggi di Newton.
Consideriamo infine un sistema non isolato di n particelle che interagiscono. Poniamo
che la particella iima del sistema di massa mi e quantita di moto p~i , sia soggetta ad una forza
int
ext
interna risultante F i dovuta alle altre due particelle, e ad una forza esterna F i . La sua
equazione del moto sara
d~pi
int
ext
= Fi + Fi . (4.6.13)
dt
Grazie alla terza legge di Newton avremo ancora:
n
X
int
Fi = 0. (4.6.14)
i=1
Tuttavia questo non vale per le forze esterne, che in generale hanno una risultante non nulla:
n
ext X
ext
F = F i 6= 0 . (4.6.15)
i=1
Concludiamo che la variazione rispetto al tempo della quantita di moto totale di un sistema di
particelle e uguale alla risultante della forza esterna che agisce su di esso. Se noi applichiamo
i suddetti risultati ad un sistema di una sola particella, ri-otteniamo il principio di inerzia: la
quantita di moto totale del sistema e la quantita di moto della particella p~; poiche il sistema
non e ulteriormente decomponibile, non vi sono forze interne e quindi ogni forza sul sistema
e da considerarsi forza esterna. Pertanto il principio della conservazione della quantita di
moto totale in questo caso implica che un cambiamento nello stato di moto della particella,
cioe di p~, puo essere solo dovuto ad una forza agente su di essa. Inoltre lequazione (4.6.16)
si riduce allequazione del moto per la singola particella.
80 CAPITOLO 4. DINAMICA
Capitolo 5
Lavoro ed Energia
5.1 Lavoro
Lavoro compiuto da una forza costante Consideriamo un corpo su cui agisce una forza
F lungo lasse X: F = F ~ux . Sia ora il corpo spostato di una lunghezza ` dal punto A al
punto B lungo X, ved. Fig. 5.1. Se la forza non varia durante lo spostamento, definiamo
lavoro fatto dalla forza nello spostamento ` la quantita
W` = F ` . (5.1.1)
W` = F ` cos() . (5.1.2)
Notiamo che se = 0 si ritorna all equazione (5.1.1). Sappiamo che lo spostamento si descri-
ve in maniera naturale mediante i vettore ~` che si origina dal punto iniziale A e termina nel
punto B. Dalla definizione (2.1.10) del prodotto scalare tra due vettori, segue che possiamo
riscrivere lespressione del lavoro (5.1.2) come il prodotto scalare tra F e ~`
W~` = F ~` = (F cos()) ` = F (` cos()) . (5.1.3)
Abbiamo scritto la definizione di W in due forme equivalenti per indicare che esso puo sia
essere calcolato come il prodotto della proiezione F cos() della forza lungo la direzione dello
spostamento per lo spostamento stesso `, sia come il prodotto della proiezione ` cos() dello
spostamento lungo la direzione della forza con il modulo di F . Questo lavoro e fatto da una
forza quando un oggetto su cui essa agisce viene spostato e dipende percio dallorientazione
relativa tra la forza e lo spostamento. In particolare se la forza e ortogonale alla direzione del
moto del corpo, cioe se = /2, il lavoro fatto e nullo. Cio avviene, per esempio, nel caso del
moto circolare uniforme, in cui la forza centripeta e ortogonale in ogni istante alla velocita ~v
e percio ad ogni spostamento infinitesimo d~` = ~v dt delloggetto in moto. La forza centripeta
quindi non compie lavoro su un corpo rotante. Un altro caso rilevante e quello in cui il lavoro
81
82 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
Figura 5.1:
e negativo. Cio avviene se la componente della forza lungo la direzione dello spostamento
ha verso opposto ad esso, cioe se F cos() < 0. In questo caso la forza si oppone al moto del
corpo. Per esempio, quando saliamo con un ascensore, su di noi agisce la forza di gravita che
e diretta verso il basso e quindi compie un lavoro negativo su di noi perche oppone resistenza
al nostro moto. Un altro esempio di lavoro negativo e dato dalle forze di attrito dinamico
(o viscoso, nel caso di un moto allinterno di un fluido). Come abbiamo visto nel capitolo
precedente queste forze sono sempre dirette in direzione opposta al moto, cos che langolo
sia sempre uguale a e cos = 1. Il loro effetto e infatti sempre tale da opporsi al
moto delloggetto. Lattrito statico, daltra parte, non compie lavoro, manifestandosi, per
definizione, quando il corpo e a riposo e percio non vi e alcuno spostamento~` = 0.
Supponiamo ora di muovere loggetto da B indietro fino ad A lungo una linea retta. Lo
spostamento ~`0 sara ora opposto a quello precedente ~`: ~`0 = ~`. Langolo 0 tra F e ~`0 e
0 = e percio cos(0 ) = cos(). Il lavoro risultante sara
W~` = F (~`) = F (~`) = W~` . (5.1.4)
In altre parole, il lavoro compiuto dalla forza quando loggetto viene spostato da A a B lungo
5.1. LAVORO 83
una linea retta, e lopposto del lavoro fatto dalla stessa forza quando loggetto e riportato
da B ad A lungo la stessa linea.
Il lavoro ha la dimensione di una forza per una lunghezza e, nel sistema MKSA, la sua
unita di misura e il Joule:
1 Joule = 1 N ewton 1 m . (5.1.5)
Notiamo che il moto del corpo puo essere dovuto allazione simultanea di P piu forze,
diciamo F 1 , F 2 , . . . F n . Il lavoro totale W fatto dalla forza risultante F = ni=1 F i e
(`)
(`)
uguale alla somma dei lavori Wi = F i ~` compiuti da ogni singola forza F i , come se queste
agissero sul corpo indipendentemente.
Questo e conseguenza della proprieta distributiva del prodotto scalare (2.1.14)
n n
X
~ X (`)
W~` = F ~` = ( F 1 + F 2 + . . . + F n ) ~` = Fi`= Wi . (5.1.6)
i=1 i=1
Generalizziamo ora la definizione di lavoro al caso in cui la forza non e costante lungo lo
spostamento del corpo su cui agisce. Per semplicita partiremo dal considerare il caso di uno
spostamento ~` = ` ~ux lungo lasse X da A a B, con la forza diretta lungo X: F = F (x) ~ux .
Possiamo calcolare il lavoro compiuto dividendo lo spostamento totale in un numero di
intervalli x1 , x2 , . . . sufficientemente piccoli in modo da poter approssimare la grandezza
della forza F nel generico xi mediante la media Fi nellintervallo stesso. Questo ci consente
di applicare lequazione (5.1.1) per esprimere il lavoro compiuto dalla forza nel generico
intervallo xi come Fi xi . In questa approssimazione, il lavoro totale e esprimibile come
la somma dei lavori compiuti dalla forza in ognuno degli spostamenti elementari:
xB
X
(approx.)
W(A,B) = F1 x1 + F2 x2 + F3 x3 + . . . = Fi xi (5.1.7)
xA
dove abbiamo scritto la somma su infiniti contributi infinitesimi come un integrale. Percio
il lavoro compiuto dalla forza e lintegrale della forza lungo tutto lo spostamento.
84 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
Figura 5.2:
costante. Lo spostamento totale e definito da una curva orientata C(P1 , P2 ), che e la curva C
su cui fissiamo un verso, indicato sulla curva da una freccia da P1 a P2 . Se avessimo mosso la
particella da P2 a P1 lungo la stessa curva, la curva orientata risultante sarebbe indicata con
C(P2 , P1 ) ed il verso risultate sarebbe stato lopposto. Denoteremo il lavoro fatto dalla forza
lungo questo spostamento mediante il simbolo WC(P1 ,P2 ) , per evidenziare il fatto che esso
dipende non solo dalle posizioni iniziali e finali P1 , P2 della particella, ma anche dalla curva
C su cui essa si muove. Per calcolare WC(P1 ,P2 ) e utile decomporre lo spostamento totale in
una successione di spostamenti infinitesimi d~`, ved. Fig. 5.3. Ogni spostamento infinitesimo
Figura 5.3:
e abbastanza piccolo da poter considerare F costante su di esso. Percio il lavoro compiuto
dalla forza lungo ciascun d~` e dato dallequazione (5.1.3): dW = F d~` = | F | d` cos(),
dove e langolo tra F e d~` ed e funzione del punto lungo la curva, poiche esso varia con
d~`. Il lavoro totale e la somma degli infiniti contributi dW e scriveremo questa somma come
86 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
un integrale:
Z
X X
~
~
WC(P1 ,P2 ) = dW = F d` = F d` .
C(P1 ,P2 )
spostamenti elementari spostamenti elementari
d~` lungo C d~` lungo C
(5.1.10)
E utile ora scrivere la forza e lo spostamento infinitesimo in ogni punto della curva mediante
le loro componenti cartesiane:
F = Fx ~ux + Fy ~uy + Fz ~uz = (Fx , Fy , Fz ) ,
d~` = dx ~ux + dy ~uy + dz ~uz = (dx, dy, dz) . (5.1.12)
Usando queste equazioni, il lavoro elementare (5.1.13) puo essere scritto nella forma
~ dx dy dz
dW = F d` = Fx (s) + Fy (s) + Fz (s) ds , (5.1.15)
ds ds ds
ed il lavoro totale puo essere ora espresso mediante un integrale ordinario nella variabile s.
Z Z s(P2 )
~ dx dy dz
WC(P1 ,P2 ) = F d` = Fx (s) + Fy (s) + Fz (s) ds .
C(P1 ,P2 ) s(P1 ) ds ds ds
(5.1.16)
Il lavoro compiuto da F~ quando alla particella viene fatto descrivere uno spostamento
C(P1 , P2 ) e dato dalla (5.1.10):
Z
~
~
WC(P1 ,P2 ) (F ) = F d` . (5.1.18)
C(P1 ,P2 )
Esempio 2 Consideriamo una particella in un piano su cui agisce una forza che dipende
dalla posizione della particella nel modo seguente:
F = (Fx , Fy ) = k (y, x) , (5.1.20)
dove x, y sono le coordinate cartesiane di un punto nel piano. Supponiamo che la particella e
spostata dallorigine P1 = O = (0, 0) del sistema di coordinate al punto P2 = (1, 1) lungo la
parabola di equazione y = c x2 . Vogliamo determinare il lavoro fatto da F sulla particella.
88 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
Il lavoro puo ora essere scritto nella forma (5.1.16) di un integrale nella variabile s:
Z Z s(P2 )
~ dx dy
WC(P1 ,P2 ) = F d` = Fx + Fy ds = .
C(P1 ,P2 ) s(P1 ) ds ds
Z 1 Z 1
2
s2 ds = ck (Joule) , (5.1.22)
= ck s (1) + cks (2 s) ds = 3 ck
0 0
Calcoliamo ora il lavoro elementare compiuto in uno spostamento infinitesimo d~`, usando le
espressioni di F W e d~` nella base ~ur , ~u :
d~` = ds ~u = L d ~u ; F W = m g sin((t)) ~u + m g cos((t)) ~ur ,
FW d~` = [m g sin((t)) ~u + m g cos((t)) ~ur ] [L d ~u ] = m g L sin((t)) d ,
(5.1.26)
dove abbiamo usato la proprieta distributiva (2.1.14) del prodotto scalare. Lequazione
(5.1.26) permette di riscrivere lintegrale di linea in (5.1.25) come integrale in una variabile
Z 2
WC(P1 ,P2 ) = m g L sin() d = m g L (cos(2 ) cos(1 ))) = m g L (z1 z2 ) ,
1
(5.1.27)
dove abbiamo usato il fatto che L cos() misura la distanza dallasse X, cioe L cos() = z,
essendo z negativo al di sotto dellasse X (ved. Fig. 4.4). Dallequazione (5.1.27) vediamo
che il lavoro e negativo se z2 > z1 , cioe se m si e spostata verso lalto. Cio perche la forza
gravitazionale si oppone sempre ad ogni spostamento verso lalto. In questo esempio, il
parametro affine s lungo la traiettoria e s = L , cioe larco della circonferenza che definisce
la posizione di m.
d v2
Z Z Z Z
~ d~v m m
WC(P1 ,P2 ) = F d` = m ~v dt = dt = d(v 2 ) =
C(P1 ,P2 ) C(P1 ,P2 ) dt 2 C(P1 ,P2 ) dt 2 C(P1 ,P2 )
m 2 m 2
= v v1 , (5.2.1)
2 2 2
m 2 p2
Ek = v = , (5.2.3)
2 2m
lequazione (5.2.1) identifica il lavoro compiuto dalla forza agente sulla particella con la
variazione della sua energia cinetica ed esprime il teorema lavoro-energia:
Indicheremo questo lavoro con W(P1 ,P2 ) perche esso dipende solo da P1 and P2 . Da questa de-
finizione segue che una forza conservativa non puo dipendere ne dalla velocita della particella,
ne esplicitamente dal tempo, cioe una forza conservativa puo solo dipendere dalla posizione
della particella su cui agisce ed, inoltre, essa puo dipendere dal tempo solo attraverso la sua
posizione.
5.3. FORZE CONSERVATIVE ED ENERGIA POTENZIALE 91
Figura 5.4:
Dalla proprieta (5.1.23) segue che il lavoro W(P2 ,P1 ) compiuto quando loggetto e riportato
indietro da P2 a P1 e di segno opposto a W(P1 ,P2 ) , indipendentemente dalla curva seguita nel
ritorno:
In conseguenza di questo, il lavoro fatto da una forza conservativa lungo un cammino chiuso
C e sempre zero, poiche in questo caso i punti iniziali e finali coincidono: P1 = P2 . General-
mente il lavoro WC fatto lungo un cammino chiuso C, su cui e definito un verso di percorrenza,
e descritto come un integrale di linea, vale a dire una somma degli infiniti contributi al lavoro
lungo spostamenti infinitesimiHsuccessivi. Lintegrale di linea lungo un cammino (orientato)
chiuso e indicato dal simbolo :
I
~
WC = F d` , (5.3.3)
C
ed e chiamato circuitazione di F intorno a C. Abbiamo visto che, se F e conservativa,
WC = 0 lungo ogni curva chiusa C
I
~
F conservative F d` . (5.3.4)
C
Mostriamo ora che linverso e anche vero, vale a dire che se una forza ha circuitazione nulla
lungo una curva chiusa, essa e conservativa, cioe che il lavoro che essa compie lungo un
percorso aperto dipende soltanto dai punti iniziali e finali. Fissiamo due punti P1 e P2 nello
spazio, e siano C1 (P1 , P2 ) e C2 (P1 , P2 ), due curve generiche passanti per P1 e P2 , vedi Fig. 5.5.
92 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
Figura 5.5:
dove abbiamo usato equazione (5.1.23).Concludiamo percio che, date due curve generiche
passanti per P1 e P2 abbiamo:
Z Z
~
~
F d` = F d` , (5.3.6)
C1 (P1 ,P2 ) C2 (P1 ,P2 )
Il lavoro fatto su ogni oggetto dipende soltanto dalle sue posizioni iniziali e finali e non
dal cammino seguito;
Se una forza e conservativa, possiamo associare ad essa una quantita Ep , denominata energia
potenziale, che dipende soltanto dalla posizione della particella, di modo che il lavoro fatto
su un oggetto mentre e spostato da P1 a P2 puo essere espresso come la differenza fra i valori
di Ep in P1 e P2 :
Lenergia potenziale e definita a meno di una costante additiva arbitraria, indipendente dal
punto. Effettivamente la quantita Ep0 = Ep + C, C essendo una costante arbitraria, soddisfa
ancora equazione (5.3.7)
Lequazione precedente puo anche essere scritta, per ogni coppia di punti lungo la traiettoria
di una particella, nella forma
Essendo P1 e P2 le posizioni della particella in due istanti differenti lungo il suo percorso,
equazione (5.3.10) ci dice che la quantita E Ek + Ep , detta energia meccanica totale, e
conservata durante il moto della particella
m 2
E Ep + Ek = Ep + v = const. , (5.3.11)
2
Abbiamo visto che lenergia meccanica totale e una quantita conservata che caratterizza
il moto di una particella, se la forza risultante che agisce su di essa e conservativa. Ri-
cordare che Ep e una quantita scalare dipendente soltanto dalla posizione della particella
Ep = Ep (x(t), y(t), z(t)) mentre Ek = Ek (v(t)) dipende soltanto dalla velocita della particel-
la. Di conseguenza, anche se Ep e Ek possono separatamente dipendere dal tempo attraverso
la posizione e la velocita della particella, la loro somma E e costante. Cio facilita conside-
revolmente lo studio del moto di una particella, perche riduce il problema di risolvere un
equazione differenziale di secondo ordine (4.3.3) al problema piu semplice di risolvere una
equazione differenziale primo ordine per vari valori del E costante. Infatti E = Ep + Ek , per
un dato valore di E, puo essere visto come una relazione fra le coordinate x(t), y(t), z(t) della
particella, e delle loro derivate rispetto al tempo. Questa relazione non coinvolge le derivate
del secondo ordine della posizione, vale a dire laccelerazione della particella e quindi e in
94 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
generale piu semplice da risolvere rispetto all equazione di Newton. Lequazione (5.3.11 )
puo essere risolta facilmente e fornisce il modulo della velocita in funzione della posizione.
Quando diciamo che Ep dipende soltanto dalla posizione della particella, dobbiamo essere
piu precisi. Effettivamente la particella interagisce con il suo ambiente, che puo essere
composto da altre particelle. Sia la forza F che Ep in generale dipenderanno non solo dalla
posizione della particella in considerazione, ma da tutte le particelle interagenti. Possiamo
focalizzare la sua dipendenza dalla posizione della particella che stiamo considerando, se
assumiamo che le altre particelle siano fisse. Durante il moto di una particella sotto leffetto di
una forza conservativa, abbiamo visto che lenergia meccanica e conservata, mentre lenergia
cinetica puo essere convertita in energia potenziale e viceversa. Per esempio, se durante
uno spostamento la forza risultante fa un lavoro negativo, lenergia cinetica della particella
diminuisce, mentre la sua energia potenziale aumenta dalla stessa quantita. Cio significa
che, per effetto del lavoro negativo, lenergia cinetica e convertita in energia potenziale e,
in qualche modo, immagazzinata nel sistema che esercita la forza, in modo tale che, se la
particella ritorna alla sua posizione iniziale, lenergia potenziale e convertita nuovamente in
energia cinetica.
Mostriamo ora che la risultante di forze conservative e ancora conservativa. Siano
F1 (~r), . . . , F~n (~r) forze conservative agenti simultaneamente su una particella. Ad esse sono
~
associate energie potenziali Ep,1 (~r), . . . , Ep,n (~r). Calcoliamo il lavoro compiuto dalla forza
risultante F~ = ni=1 F~i lungo uno spostamento C(P1 , P2 ). Dalla (5.1.19) deriva che:
P
n
X n
X
WC(P1 ,P2 ) (F~ ) = WC(P1 ,P2 ) (F~i ) = (Ep,i (P1 ) Ep,i (P2 )) =
i=1 i=1
n
! n
!
X X
= Ep,i (P1 ) Ep,i (P2 ) = Ep (P1 ) Ep (P2 ) , (5.3.12)
i=1 i=1
ovvero che il lavoro compiuto da F~ , essendo esprimibile come la differenza dei valori di una
funzione energia potenziale Ep tra il punto iniziale e finale, non dipende dal percorso. F~ e
quindi conservativa e la sua energia potenziale e la somma delle energie potenziali associate
alle forze conservative che la compongono:
n
X
Ep (~r) = Ep,i (~r) . (5.3.13)
i=1
Esempio 4 Consideriamo il caso di una forza F costante in intensita e direzione. Le-
spressione del lavoro WC(P1 ,P2 ) , dato nell equazione (5.1.10), puo essere riscritta portando
dove abbiamo usato il fatto che la somma vettoriale di tutti gli spostamenti infinitesimi e
proprio la posizione relativa di P2 rispetto a P1 , qualunque sia la curva C che li collega:
5.3. FORZE CONSERVATIVE ED ENERGIA POTENZIALE 95
d~` = ~r(P2 ) ~r(P1 ). Vediamo che il lavoro non dipende dal percorso seguito, ma
R
C(P1 ,P2 )
dalle posizioni iniziali e finali. Una forza uniforme e percio conservativa.
Dalla equazione (5.3.14) deduciamo lenergia potenziale associata a F :
Ep (~r) = F ~r + C , (5.3.15)
essendo C una costante arbitraria. Un esempio di forza (in buona approssimazione) uniforme
e la gravita sulla superficie della terra agente su una particella di massa m: F W = m g ~uz ,
dove lasse Z e diretto verso lalto nella direzione verticale. La sua energia potenziale e:
Ep (~r) = F W ~r + C = (m g ~uz ) ~r + C = m g z + C , (5.3.16)
ke 2
Ep (x) = x +C. (5.3.18)
2
Possiamo fissare C in modo che Ep = 0 nella posizione di equilibrio. In questo caso C = 0 e
Ep (x) = k2e x2 . Lenergia meccanica totale delloscillatore armonico ha la forma
ke 2 m 2
E = x + v . (5.3.19)
2 2
Possiamo verificare che E e costante durante il moto delloscillatore. Consideriamo la solu-
zione (4.3.31) che descrive il moto della massa m, inizialmente nella posizione x1 con velocita
nulla
x(t) = x1 cos(0 t) ,
dx
v(t) = = x1 0 sin(0 t) . (5.3.20)
dt
96 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
m 1 2 2 ke 2
Ek (t) = v(t)2 = x1 0 m sin2 (0 t) = x sin2 (0 t) ,
2 2 2 1
ke ke 2
Ep (t) = x(t)2 = x cos2 (0 t) ,
2 2 1
dove abbiamo tenuto conto che 02 = ke /m. Lenergia meccanica totale quindi e data dalla
seguente costante del moto
ke 2 m 2 ke 2
E = x + v = x . (5.3.21)
2 2 2 1
Esempio 6 In genere se abbiamo una forza agente lungo la direzione dellass X F =
F (x) ~ux , qualunque sia la sua dipendenza F (x) da x, la forza e conservativa.
Z x2 Z x1 Z x1
W(P1 ,P2 ) = F (x) dx = F (x) dx F (x) dx = Ep (x1 ) Ep (x2 ) ,
x1 x0 x0
(5.3.22)
e sempre ben definita e dipende dal valore arbitrario che assegnamo a Ep in un certo punto
di riferimento x0 . E facile verificare che se applichiamo la formula precedente alla forza
elastica Fe (x) = ke x sulloscillatore armonico, scegliendo x0 = 0 e Ep (x = 0) = 0, troviamo
lequazione (5.3.18).
Definiamo ora una relazione tra una forza conservativa sulla massa m e lenergia poten-
ziale associata in forma locale, ovvero che valga in un punto qualunque nello spazio. A questo
scopo iniziamo con il considerare una forza diretta lungo lasse X F = F (x) ~ux .
Come abbiamo visto, questa forza, qualunque sia la sua dipendenza da x, e conservativa
e puo essere descritta da unenergia potenziale Ep (x). Se prendiamo i due punti P1 e P2 in
x e x + dx, vale a dire infinitamente vicini, l integrale di linea ha solo un contributo essendo
F (x) costante lungo dx:
dEp
W(x,x+dx) = F (x) dx = Ep (x) Ep (x + dx) = dEp = dx , (5.3.24)
dx
5.3. FORZE CONSERVATIVE ED ENERGIA POTENZIALE 97
dove abbiamo denotato con dEp il differenziale di Ep , definito come Ep (x + dx) Ep (x) ed
abbiamo usato la definizione di derivata rispetto a x. Usando (5.3.24) possiamo identificare,
in un punto qualunque x, la forza come la derivata di Ep (x) rispetto a x, cambiata di segno:
dEp
F (x) = . (5.3.25)
dx
Per la gravita sulla superficie terrestre, il ruolo dellasse X e assunto dallasse verticale di Z
e possiamo verificare che F (z) = m g = dE dz
p
dove Ep (z) e dato in (5.3.16).
Lo studente e invitato a verificare lequazione (5.3.25) nel caso delloscillatore armonico.
Lequazione (5.3.25) permette di dedurre il comportamento di una forza unidimensionale
su una particella dalla relativa energia potenziale. Vediamo che nei punti in cui la curva di
Ep (x) ha pendenza negativa o positiva, la forza e diretta rispettivamente lungo la direzione
positiva o negativa dellasse X . Di interesse speciale sono quei punti in cui dE dx
p
= 0, nei quali
F = 0. Essi sono massimi, minimi o flessi della curva Ep (x) e sono detti punti di equilibrio.
Se una particella, inizialmente a riposo, e lasciata in un punto di equilibrio, essa rimarra in
quel punto indefinitamente.
2
Se sono minimi, vale a dire se ddxE2p > 0, essi sono detti punti di equilibrio stabile . Se la
particella e spostata di una piccola quantita da un punto stabile la forza sara diretta sempre
verso quel punto e la particella si muovera in un piccolo intorno di esso. Un massimo della
curva Ep (x) e detto punto di equilibrio instabile. Se e spostata di una piccola quantita da
quella posizione, la particella sara allontanata indefinitamente con una forza diretta in verso
opposto.
f f f
df (x, y, z) dx + dy + dz . . (5.3.27)
x y z
98 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
In virtu di un teorema di analisi matematica, la differenza tra il valore di f nei due punti
infinitamente vicini e approssimabile con df (x, y, z):
f f f
f (x + dx, y + dy, z + dz) f (x, y, z) df (x, y, z) = dx + dy + dz(5.3.28)
.
x y z
La proprieta appena scritta generalizza lequazione, piu volte usata, che esprime da differenza
dei valori di una funzione ad una variabile tra due punti infinitamente vicini, in termini della
df
derivata della funzione in uno dei punti: f (x + dx) f (x) df = dx dx.
In coordinate cartesiane, dx, dy, dz sono le componenti dello spostamento infinitesimale
~
d` che collega (x, y, z) a (x +dx, y +dy, z + dz). Associamo ad f un vettore, denotato da f ,
e denominato gradiente della funzione f , definito in ogni punto dello spazio dalla proprieta :
f d~` = df . (5.3.29)
Poiche luguaglianza precedente e valida per ogni spostamento elementare d~`, possiamo fare
la seguente identificazione:
Ep Ep Ep
F = Ep = , , . (5.3.32)
x y z
Lequazione (5.3.32 ) generalizza la relazione (5.3.25) e si riduce ad essa nel caso in cui
lenergia potenziale dipende soltanto da una variabile. Supponiamo che il moto avvenga in
un piano e che stiamo lavorando con coordinate polari bidimensionali r, . In questo caso
la variazione di una funzione f (r, ) tra due punti molto vicini (r, ) (r + dr, + d) si
esprime in termini del suo differenziale totale che vale:
f f
f (r + dr, + d) f (r, ) df (r, ) = dr + d = f d~` . (5.3.33)
r
In questo sistema di coordinate uno spostamento infinitesimo d~` e dato dalle equazioni (2.2.7)
e (2.2.8): d~` = (dr, r d).
f 1 f f 1 f
f = ~ur + ~u = , , (5.3.34)
r r r r
5.3. FORZE CONSERVATIVE ED ENERGIA POTENZIALE 99
Ep 1 Ep
F = Ep = ~ur ~u . (5.3.35)
r r
In modo simile possiamo calcolare lespressione del gradiente in coordinate polari sferiche e
cilindriche, usando la definizione (5.3.29) e la forma corrispondente di spostamento infinite-
simale nelle equazioni (2.2.2), (2.2.11) e (2.2.12). Troviamo per le coordinate polari sferiche:
f 1 f 1 f f 1 f 1 f
f = ~ur + ~u + ~u = , , , (5.3.36)
r r r sin() r r r sin()
Ep 1 Ep 1 Ep
F = Ep = ~ur ~u ~u . (5.3.37)
r r r sin()
Ep 1 Ep Ep
F = Ep = ~ur ~u ~uz . (5.3.39)
r r z
~r
F = F (r) ~ur = 3 = 2 ~ur , (5.3.40)
r r
rispetto ad un sistema di coordinate sferiche. Trovare lenergia potenziale corrispondente.
Scriviamo lequazione (5.3.37):
Ep 1 Ep 1 Ep
F = 2
~ur = Ep = ~ur ~u ~u . (5.3.41)
r r r r sin()
Uguagliando componente per componente i due membri, troviamo le seguenti equazioni per
Ep
Ep
0 = , (5.3.42)
Ep
0 = , (5.3.43)
Ep
F (r) = 2 = . (5.3.44)
r r
100 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
potenziale:
Z r
Ep (r) = Ep (r0 ) F (r0 ) dr0 . (5.4.4)
r0
dove
~r12
~u12 = , (5.4.8)
r12
e il versore che definisce la direzione che collega le due masse, orientata da m1 a m2 . La
forza che m2 esercita su m1 sara F 21 = F 12 . Questa e la forma tipica dellinterazione
2
gravitazionale o elettrostatica fra due particelle (cariche), per cui F12 (r12 ) = /r12 :
m1 m2
Forza gravitazionale: F 12 = G 2 ~u12 , (5.4.9)
r12
1 q1 q2
Forza elettrostatica: F 12 = 2
~u12 , (5.4.10)
4 0 r12
dove G = 6.67 1011 N m2 /Kg 2 , q1 , q2 sono le cariche elettriche delle due particelle espresse
in Coulomb e 0 = 8.85 1012 f arad/m e la costante dielettrica del vuoto. Se consideriamo
m2 come nostro sistema e m1 come la fonte della forza e parte dellambiente, possiamo
applicare a questa interazione generale la nostra discussione precedente circa le forze centrali
poiche F 12 puo essere considerata come forza centrale agente su m2 , con il centro in m1 .
In generale tuttavia, a meno che m1 sia molto maggior di m2 , come nel caso del sistema
terra/sole, m1 non puo essere considerata come fissa, poiche si muovera sotto lazione di
102 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
Usiamo ora la proprieta che la proiezione ~u12 (d~`2 d~`1 ) dello spostamento relativo d~`2 d~`1
di m2 rispetto a m1 , lungo la direzione che connette le due particelle, misura la variazione
dr12 delle distanze relative: ~u12 (d~`2 d~`1 ) = dr12 . Lespressione di W diventa
la quale puo sempre essere espressa come la differenza fra i valori di unenergia potenziale
nella configurazione iniziale e finale:
La quantita Ep (r12 ) e lenergia potenziale associata non piu as una singola particella, ma
allintero sistema delle due particelle e dipende soltanto dalla loro distanza. Essa e collegata
alla forza F12 come segue
dEp
F12 (r12 ) = . (5.4.14)
dr12
0
Il lavoro fatto quando le due particelle sono portate da una distanza r12 ad una distanza r12
0
e ottenuto decomponendo la variazione totale r12 = r12 r12 nelle variazioni infinitesimali
dr12 e sommando i contributi elementari dW al lavoro totale fatto lungo ciascuno di loro
Z Z 0
r12
0
Wr12 r12
0 = dW = F12 (r) dr = Ep (r12 ) Ep (r12 ). (5.4.15)
r12
Lequazione (5.4.15) ci dice che il lavoro totale fatto dalle forze di interazione, che sono forze
conservative, dipende solo dalle configurazioni iniziali e finali e non dal modo in cui il sistema
2
si e evoluto da una configurazione allaltra. Nel caso in cui F12 = /r12 si ha
Ep (r12 ) = +C. (5.4.16)
r12
Si puo fissare C scegliendo lenergia potenzialedel sistema con due particelle in modo che
sia nulla quando e nulla la forza tra le due particelle, cioe quando le due particelle sono a
distanza infinita r12 . Cio equivale a porre C = 0. Abbiamo definito cos unenergia
potenziale di un sistema di due particelle la cui differenza in valore fra le configurazioni
5.4. FORZE CENTRALI 103
iniziali e finali fornisce il lavoro totale fatto dalle forze di interazione. Il suo valore in
una data configurazione rappresenta il lavoro Wr12 che le forze farebbero qualora le due
particelle fossero portate a distanza infinita luna dallaltra
Z
Wr12 = F12 (r12 ) dr12 = Ep (r12 ) Ep () = Ep (r12 ) . (5.4.17)
r12
Per calcolare il lavoro Wr12 r12 0 in (5.4.15) mentre la distanza relativa fra le due particelle e
0
variata da r12 to r12 , possiamo pensare di portare prima le particelle ad una distanza infinita
0
a partire da r12 e poi riportarle indietro da una distanza infinita a r12 . Poiche il lavoro totale
dipende dalle configurazioni iniziali e finali soltanto, esso sara ancora dato da Wr12 r12 0 in
(5.4.15):
Z r120 Z 0
Z r12 Z
Wr12 r12 =
0 F12 (r) dr = F12 (r) dr + F12 (r) dr = F12 (r) dr
r12 r12 r12
Z
0
F12 (r) dr = Wr12 Wr12 0 = Ep (r12 ) Ep (r ) .
12 (5.4.18)
0
r12
F 12 e F 32 e cos via. Supponiamo che la generica forza F ij che mi esercita su mj abbia la
forma generale (5.4.7)
F ij = Fij (rij ) ~uij , (5.4.19)
dove, come al solito, ~uij e il versore nella direzione congiungente le due particelle, orientato
da mi a mj ed rij e la loro distanza. Supponiamo che il sistema evolva da una configurazione
definita dalle distanze relative {rij } = {r12 , r13 , r23 } ad una differente configurazione definita
0 0 0 0
da {rij } = {r12 , r13 , r23 }. Poiche il lavoro fatto dalla somma delle forze agenti su una stessa
particella e la somma dei lavori che ciascuna forza compirebbe se agisse separatamente, il
lavoro totale e il lavoro Wr12 r12 0 fatto dalla coppia di forze F 21 e F 12 , che dipende solo dalle
0
distanze iniziali e finali r12 , r12 tra m1 e m2 , piu il lavoro Wr13 r13
0 compiuto da F 31 e F 13 ,
0
che dipende solo da r13 , r13 , piu il lavoro Wr23 r23
0 compiuto da F 32 e F 23 e dipendente solo
0
da r23 , r23 . Ciascuno di questi contributi e espresso in termini di energia potenziale associata
alle relative coppie
W{rij }{rij0 } = Wr12 r12
0 + Wr r 0 + Wr r 0
13 13 23 23
=
0 0 0
= Ep (r12 ) Ep (r12 ) + Ep (r13 ) Ep (r13 ) + Ep (r23 ) Ep (r23 )=
0 0 0
= Ep (r12 , r13 , r23 ) Ep (r12 , r13 , r23 ) . (5.4.20)
l lavoro totale, cos come nel caso di due particelle, dipende soltanto dalle configurazioni
iniziali e finali attraverso il valore di unenergia potenziale del sistema che dipende soltanto
dalle distanze relative fra le particelle
X
Ep ({rij }) Ep (r12 , r13 , r23 ) = Ep (r12 ) + Ep (r13 ) + Ep (r23 ) = Ep (rij ) . (5.4.21)
i<j
104 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
Lenergia potenziale associata al sistema e quindi la somma delle energie potenziali relative
a ciascuna coppia di particelle. Questa energia potenziale e definita a meno di una costante
additiva che non dipende dalla configurazione e che puo essere fissata scegliendo Ep uguale a
zero quando le particelle sono alla distanza infinita luna dallaltra: rij . In questo caso
Ep ({rij }) misura il lavoro fatto dalle forze di interazione quando le particelle, non importa
come, sono portate a distanza infinita:
W{rij }{} = Ep ({rij }) Ep ({}) = Ep ({rij }) . (5.4.22)
Lequazione precedente puo essere derivata alternativamente come segue. Supponiamo di
voler calcolare questo lavoro a partire da una configurazione {rij }. Possiamo portare prima
m3 allinfinito, mantenendo m1 e m2 fissi. Cio significa che r13 e r23 sono mandati allinfinito
ed il lavoro totale fatto sara
Wr13 + Wr23 = Ep (r13 ) + Ep (r23 ) . (5.4.23)
Mandiamo poi m1 e m2 a distanza infinita. Il corrispondente lavoro vale Wr12 = Ep (r12 ).
Il lavoro totale sara
W{rij }{} = Ep ({rij }) Ep ({}) = Wr13 + Wr23 + Wr12 =
= Ep (r13 ) + Ep (r23 ) + Ep (r12 ) = Ep ({rij }) . (5.4.24)
La generalizzazione dell analisi precedente ad un sistema isolato di n le particelle di masse
m1 , m2 , . . . , mn e facile. Sia F ij , i, j = 1, . . . , n la forza esercitata da mi su mj , la quale
abbia la forma generica data in (5.4.19). Il lavoro totale compiuto dalle forze interne quando
0
la configurazione del sistema varia da {rij } a {rij } dipende solo dalle configurazioni iniziali
e finali attraverso lenergia potenziale del sistema Ep ({rij }) = Ep (r12 , r13 , . . . , rn1,n ):
0
W{rij }{rij0 } = Ep ({rij }) Ep ({rij }) , (5.4.25)
dove Ep ({rij }) e la somma delle energie potenziali associate ad ogni coppia di particelle
X
Ep ({rij }) Ep (r12 ) + Ep (r13 ) + . . . + Ep (rn1,n ) = Ep (rij ) . (5.4.26)
i<j
Come di consueto la costante additiva indeterminata nella definizione di Ep puo essere fissata
richiedendo che Ep ({rij }) = 0, di modo che Ep ({rij }) misura il lavoro totale fatto
quando si portano le particelle a distanza relativa infinita.
Applichiamo ora il teorema lavoro-energia a questo sistema di n particelle. Il lavoro totale
compiuto dalle forze di interazione, se il sistema e isolato, e uguale la variazione dellenergia
cinetica totale del sistema
W{rij }{rij0 } = Ek0 Ek , (5.4.27)
dove
n n
X 1 X 1 2
Ek = mi vi2 = pi . (5.4.28)
i=1
2 i=1
2 m i
5.4. FORZE CENTRALI 105
vale a dire troviamo che lenergia meccanica totale interna del sistema, somma di energie
cinetiche e potenziali, e conservata:
Se il sistema non e isolato, ma e soggetto anche a forze esterne, il lavoro totale W sara la
somma dei lavori fatti dalle forze interne W int , date da (5.4.25), e dalle forze esterne W ext .
Applicando il teorema del lavoro-energia troviamo
cioe
E = E 0 E = W ext . (5.4.32)
Cio avviene in un sistema termodinamico all equilibrio. Anche se la velocita media delle
molecole e zero, il valore medio delle norme corrispondenti non lo e
n
1 X
h|~v |i = |~vi | =
6 0. (5.4.34)
n i=1
In conseguenza di questo, lenergia cinetica media delle molecole nella materia non e zero.
In effetti essa e collegato con la temperatura T del sistema. Poiche le molecole interagiscono,
possiamo definire per il sistema unenergia meccanica interna totale, che chiameremo ener-
gia interna U , come la somma dellenergia cinetica e dellenergia potenziale del sistema di
molecole N 1 molecole:
N
X (i)
U Ek + Ep ({rij }) = N hEk i + Ep ({rij }) . (5.4.35)
i=1
essendo hEk i lenergia cinetica media di ciascuna molecola. Nei solidi e nei liquidi, linte-
razione fra le molecole e importante per la determinazione delle proprieta del sistema, cioe
lenergia potenziale rappresenta una frazione importante dellenergia interna totale. Nei gas
le molecole interagiscono soltanto durante il breve tempo delle loro collisioni e possono essere
considerate come particelle libere durante il tempo fra due urti successivi, vale a dire durante
la gran parte del loro moto.
In conseguenza di cio, il contributo dellenergia potenziale allenergia interna totale U e
molto piu piccolo per i gas che per i liquidi o i solidi. Riducendo gradualmente la densita di
un gas, la distanza media fra le relative molecole aumenta e questa riduce lenergia potenziale
media del sistema fino a che non diventa trascurabile rispetto allenergia cinetica media.
In questo limite, il gas si comporta come un gas ideale, descritto come un insieme di
molecole libere che interagiscono soltanto con scontri istantanei. Generalmente la dipendenza
dell energia interna U di sistema dal suo volume V e dovuta allenergia potenziale, poiche
quando variamo V , la distanza media hrij i fra le molecole varia e, di conseguenza, lenergia
potenziale media cambia.
Daltra parte, U dipende dalla temperatura attraverso lenergia cinetica media di ciascuna
molecola. Per un gas ideale il contributo dell energia potenziale a U e trascurabile in (5.4.35)
e, di conseguenza, U dipende soltanto dalla temperatura
U = U (T ) . (5.4.36)
Questa e una caratteristica importante di un gas ideale e descrive bene le proprieta dei gas
reali a densita e pressione basse.
di forza non-conservativa e lattrito. E facile convincersi che il lavoro compiuto dall attrito
quando un oggetto e spostato su un tavolo orizzontale lungo un circuito chiuso non e zero.
Infatti le forze di attrito sono dirette sempre nella direzione opposta al moto, in modo da
resistergli. In altre parole, esse compionosempre lavoro negativo sulloggetto su cui agiscono.
Il viaggio totale di andata e ritorno puo essere decomposto in una successione di piccoli
spostamenti lungo cui il lavoro elementare fatto dall attrito e una quantita negativa non
nulla. Di conseguenza il lavoro totale compiuto sulloggetto mentre esso viene riportato alla
sua posizione originale rimane negativo, essendo la somma dei contributi negativi lungo ogni
spostamento.
Segue da questo che il lavoro compiuto dalle forze di attrito, quando loggetto e spostato
fra due punti, dipende dal percorso seguito. Di conseguenza non possiamo esprimere il lavoro
fatto come la differenza nei valori di una funzione fra le posizioni iniziale e finale. In altre
parole non e possibile associare alle forze di attrito, cos come con altre forze non-conservative,
unenergia potenziale.
Supponiamo che una particella sia soggetta, quando si muove, a forze conservative e non-
conservative, il cui lavoro e indicato con Wc e da Wnc rispettivamente. Possiamo scrivere
il lavoro totale fatto dalla forza risultante come la somma dei lavori fatti dai due tipi di
forze: Wtot = Wnc + Wc . Soltanto Wc puo essere espresso come la variazione di unenergia
potenziale fra le posizioni iniziali e finali della particella: Wc = Ep . Per il teorema
lavoro-energia, espresso in (5.2.4 ), possiamo scrivere
Wtot = Wnc + Wc = Ek Wnc = Wc + Ek = Ep + Ek = E .(5.5.1)
La relazione precedente identifica il lavoro fatto dalla forza non-conservativa con la variazione
dellenergia meccanica totale. Di conseguenza, in presenza di forze non-conservative, lenergia
meccanica totale non e conservata. Se la forza non conservativa e l attrito, Wnc e sempre
negativa, vale a dire lenergia meccanica totale si ridurra mentre loggetto si muove.
Notiamo tuttavia che, quando due oggetti sono sfregati uno contro laltro, essi si riscal-
dano: si produce calore e le loro temperature aumentano. Come vedremo, il calore e una
forma di energia e possiamo pensare allenergia meccanica persa in presenza delle forze di
attrito come convertita in una quantita Q di energia termica. Si puo verificare che il calore
prodotto e Q = Wnc , cos che possiamo scrivere
E + Q = 0 . (5.5.2)
Sappiamo che F e conservativa e che la corrispondente energia potenziale Ep (x) e data
dallopposto della funzione primitiva associata alla sua componente F (x):
Z
dEp
Ep (x) = F (x)dx + C F (x) = (x) . (5.6.2)
dx
Lenergia meccanica si conserva durante il moto della particella:
m 2
E = Ek (v) + Ep (x) = v + Ep (x) = cost. (5.6.3)
2
Vogliamo mostrare che il moto unidimensionale e completamente derivabile dalla conserva-
zione dellenergia meccanica E. Infatti dalla (5.6.3) possiamo ricavare la velocita v della
particella in funzione di x:
r
dx 2
v= = (E Ep (x)) , (5.6.4)
dt m
dove il + vale in quegli istanti in cui x aumenta con t (v > 0), il nella parte del moto
in cui x diminuisce con t (v < 0). In unintervallo infinitesimo tra t e t + dt, la variazione
corrispondente dx di x si scrive dx = dx dt
dt = v(t) dt, per cui, moltiplicando ambo i membri
della (5.6.4) per dt, troviamo:
r
dx 2
dx = dt = (E Ep (x)) dt . (5.6.5)
dt m
q
Dividiamo adesso ambo i membri per la funzione m2 (E Ep (x)):
dx
q = dt . (5.6.6)
2
m
(E Ep (x))
Abbiamo trovato una relazione che lega dx a dt per ogni intervallino infinitesimo di tempo
dt in cui possiamo pensare di dividere il moto intero. Sommiamo queste equazioni membro
a membro su tutti gli intervallini in cui e diviso lintervallo tra listante iniziale t = 0 ed un
generico istante t > 0. Questo equivale ad integrare il secondo membro della (5.6.6) tra 0 e
t, ed il primo membro tra il valore x0 di x nellistante iniziale ed il valore x(t) di x allistante
t: Z x(t) Z t
dx
q = dt = t . (5.6.7)
2
x0
m
(E E p (x)) 0
Il primo membro e un integrale piu o meno complicato da calcolare, che comunque dipende
solo da x(t) e dalle condizioni iniziali del moto x0 = x(0) e v0 = v(0) sia attraverso lestremo
inferiore dellintegrale, sia attraverso il valore costante dellenergia meccanica E, che si puo
pensare fissata dalle stesse condizioni iniziali (essendo una costante del moto):
m 2
E= v + Ep (x0 ) . (5.6.8)
2 0
5.6. MOTO UNIDIMENSIONALE E CONSERVAZIONE DELLENERGIA 109
Calcolando lintegrale a primo membro della (5.6.7) e risolvendo lequazione in x(t), possiamo
in linea di principio determinare lespressione esplicita di x(t) in termini di t e dei dati iniziali
x0 , v0 , ovvero determinare il moto della particella.
Applichiamo questa procedura ad un moto che abbiamo esplicitamente risolto per altra
via: quello delloscillatore armonico. In questo caso sappiamo che lenergia potenziale vale
Ep (x) = k2e x2 , avendo fissato la costante additiva arbitraria richiedendo che tale energia sia
nulla nella posizione di equilibrio x = 0. Lequazione (5.6.7) si scrive:
Z x(t) Z t
dx
q = dt = t . (5.6.9)
2 ke 2
x0
m
(E 2 x ) 0
Osserviamo adesso che |y| 1. Infatti sappiamo che lenergia potenziale durante il moto e
sempre minore dellenergia meccanica totale essendo lenergia cinetica mai negativa:
ke 2 ke 2
Ep (x) = x = E Ek E y 2 = x 1. (5.6.14)
2 2E
Possiamo calcolare facilmente lintegrale:
Z
dy
p , (5.6.15)
1 y2
cambiando ulteriormente variabile di integrazione da y ad un angolo 0 , legato ad y
dalla relazione:
dy
y = cos() dy = dx = sin() d ; (5.6.16)
dx
110 CAPITOLO 5. LAVORO ED ENERGIA
troviamo
Z Z Z Z
dy ( sin()d) ( sin()d)
p = p = = d . (5.6.17)
(1 y 2 ) (1 cos2 ()) sin()
Campo gravitazionale ed
elettrostatico
In questa classe rientrano le forze conservative e, tra queste, le forze centrali discusse nella
Sezione (5.4), come la forza gravitazionale ed elettrostatica (quando una delle due particelle
puo essere considerata fissa, ovvero come parte dellambiente). Possiamo descrivere lazione
di questo tipo di forza su una particella in modo che non dipenda dalla particolare posizione
~r(t) della particella in un generico istante, associando ad ogni punto ~r dello spazio la forza
che agirebbe sulla particella se fosse posta in ~r. In questo modo definiamo una corrispondenza
tra punti dello spazio e vettori forza:
~r F (~r) , (6.1.2)
tale che ad ogni punto dello spazio corrisponde uno ed un solo vettore forza. Questa cor-
rispondenza definisce un campo di forze. Esso e un esempio di campo vettoriale, ovvero di
grandezza matematica definita in ogni punto dello spazio (o di una regione di spazio) da un
vettore. Indicheremo un campo di forze con il simbolo F (~r) ed un generico campo vettoriale
con V (~r).
Incontreremo diversi esempi di campi vettoriali in Fisica. Pensate alla descrizione della
situazione dei venti in una certa regione geografica. Questa viene fatta disegnando, in punti
caratteristici ~r della cartina geografica, i vettori ~v che definiscono le velocita medie del vento
in quei punti, ovvero descrivendo una corrispondenza tra punti dello spazio ~r e vettori velocita
~v (~r). Tale corrispondenza definisce il campo vettoriale delle velocita ~v (~r). Vedremo che il
111
112 CAPITOLO 6. CAMPO GRAVITAZIONALE ED ELETTROSTATICO
Mm
F G (~r) = G 2 ~ur , (6.1.3)
r
ove abbiamo scelto, per semplicita, lorigine O di un sistema di coordinate polari sferico in
corrispondenza della posizione di M . Il vettore F G (~r) non e altro che la forza che, per la
legge di gravitazione universale di Newton (5.4.9), agisce su m quando questa e posta in ~r.
Analogamente la forza elettrostatica esercitata da una carica puntiforme Q fissa (posta
anchessa nellorigine) su unaltra q, e descritta, in funzione di una generica posizione di
questultima, dal campo di forze:
Qq
F es (~r) = k 2 ~ur , (6.1.4)
r
essendo k = 1/(40 ) 9109 N m2 /C 2 , secondo la legge di Coulomb (5.4.10). Chiameremo
sorgente la particella (fissa), di massa M o carica Q, che esercita la forza, gravitazionale o
elettrostatica, mentre la particella su cui tale forza e esercitata, di massa m o carica q nei
due casi, verra chiamata campione.
E utile descrivere la forza gravitazionale che la sorgente M esercita su una generica massa
puntiforme m posta in un punto dello spazio P , usando una quantita che non dipende dalla
massa campione m, ma solo da M e dal punto nello spazio P . Tale grandezza e il campo
gravitazionale ~g (~r) definito come il rapporto tra la forza gravitazionale esercitata da M su
m, posta in un punto di vettore posizione ~r, e la stessa massa m:
F G (~r) M
~g (~r) = = G 2 ~ur . (6.1.5)
m r
Osserviamo che essa non dipende da m. Il campo gravitazionale ~g (~r) e un altro esempio di
campo vettoriale, in termini del quale la forza gravitazionale che M esercita su una generica
massa m posta in ~r, si descrive come:
F G (~r) = m ~g (~r) . (6.1.6)
Abbiamo in altre parole isolato, nellespressione della forza, la parte che dipende dalla sola
sorgente (campo gravitazionale) da quella che dipende dalla particella campione. Il campo
gravitazionale descrive la forza esercitata da M su una massa unitaria. La sua dimensione
fisica e quella di una forza per unita di massa, ovvero di accelerazione. Esso si misura quindi
in unita m/s2 .
Analogamente possiamo descrivere lazione elettrostatica di una carica sorgente Q su una
generica carica campione q posta in ~r, usando una quantita che dipenda solo da Q e da ~r,
6.1. CAMPI DI FORZE, CAMPO GRAVITAZIONALE E CAMPO ELETTROSTATICO113
ma non da q. Questa quantita e il campo elettrostatico E (~r), definito come rapporto tra
forza esercitata su q in ~r e la carica q stessa:
~ F es (~r) Q
E(~r) = = k 2 ~ur . (6.1.7)
q r
Mi m
F G,i (~r) = G 2 ~ui = m ~gi (~r) , (6.1.9)
di
~r ~ri
~ui = . (6.1.11)
|~r ~ri |
Possiamo quindi descrivere la forza F G,i anche nel seguente modo, che rende esplicita la sua
dipendenza da ~r e ~ri :
Mi m
F G,i (~r) = G (~r ~ri ) = m ~gi (~r) , (6.1.12)
|~r ~ri |3
1. Una carica Q genera intorno a se un campo E(~ ~ r) che va pensato adesso come unentita
fisica vera e propria, portatrice di energia e quantita di moto;
2. Il campo E ~ agisce sulla carica campione q posta al suo interno attraverso una forza
F~es = q E(~
~ r).
Quanto detto per il campo elettrostatico vale per quello gravitazionale: sia E ~ che ~g sono
entita fisiche generate da un sistema di sorgenti, definiti in ogni punto dello spazio e misurabili
attraverso la forza che essi esercitano su una particella al loro interno.
Figura 6.1: Rappresentazione dellinterazione tra due cariche Q e q come azione a contatto
mediata dal campo elettrico: in una prima fase la carica Q genera un campo elettrico E ~ nello
~ generato da Q agisce su q tramite
spazio ad essa circostante; in una seconda fase il campo E
~ ~
una forza F = q E. Linterazione coinvolge solo il campo E ~ e la carica q ed e localizzata
nel punto occupato da q.
F~ (~r) conservativo. Abbiamo anche visto che un campo di forze centrale F~ (~r) = F (r) ~ur
e conservativo. Per quanto detto nella sezione 5.3, la sovrapposizione di forze centrali e
ancora conservativa e la sua energia potenziale e la somma delle energie potenziali associate
a ciascuna forza componente ( si veca eq. (5.3.12)).
Consideriamo uno spostamento C(P1 , P2 ) nello spazio, da un punto iniziale P1 ad uno
finale P2 lungo un percorso C, e definiamo, per un campo vettoriale generico V~ (~r), lintegrale
di linea lungo C(P1 , P2 ) come la quantita
Z
V~ d~` , (6.3.1)
C(P1 ,P2 )
di linea dimostrate per le forze. Se lo spostamento e chiuso (P1 = P2 ), esso sara descritto
da un percorso chiuso orientato C. Lintegrale di linea corrispondente e detto circuitazione
di V~ lungo C e si indica con il simbolo:
I
V~ d~` . (6.3.2)
C
Diciamo che un campo vettoriale V~ (~r) e conservativo se e solo se lintegrale di linea lungo un
generico spostamento non dipende dal persorso seguito ma solo dal punto iniziale e finale:
Z Z
~
V conservativo ~ ~
V d` = V~ d~` . (6.3.3)
C(P1 ,P2 ) (P1 ,P2 )
Analogamente a quanto fatto per le forze, si dimostra che un campo vettoriale e conservativo
se e solo se il la sua circuitazione lungo un generico percorso chiuso e nulla:
I
~
V conservativo V~ d~` = 0 . (6.3.4)
C
Cos come ad un campo di forze conservativo e associata una funzione energia potenziale
(definita a meno di una costante additiva indipendente dal punto), ad un generico campo
vettoriale conservativo associamo una funzione del punto (~r) tale che il suo integrale di
linea da un punto P1 ad un punto P2 (lungo un qualsiasi percorso) si scrive:
Z
V~ d~` = (P1 ) (P2 ) = . (6.3.5)
(P1 ,P2 )
Questa relazione si puo scrivere in forma locale usando il concetto di gradiente (la dimostra-
zione e analoga a quella data nel caso delle forze):
V~ (~r) = (~
~ r) . (6.3.6)
G Mi m
Ep,i (~r) = G . (6.3.7)
di
Lenergia potenziale associata a F~G sara quindi (la costante additiva e stata fissata ri-
chiedendo che lenergia potenziale sia nulla quando m e a distanza infinita dalle masse
sorgenti):
n
G
X Mi m
Ep (~r) = G . (6.3.8)
i=1
di
118 CAPITOLO 6. CAMPO GRAVITAZIONALE ED ELETTROSTATICO
Analogamente la forza elettrostatica F~es esercitata dal campo E,~ generato da un sistema di
sorgenti {Qi }, su una carica campione q, e conservativa e la sua energia potenziale si scrive:
n
X Qi q
Epes (~r) =k . (6.3.9)
i=1
di
Essa e detta potenziale gravitazionale e ha le dimensioni del quadrato di una velocita, come
lo studente puo facilmente verificare.
In modo del tutto analogo si dimostra che il campo elettrostatico E ~ generato da un
sistema di cariche fisse Qi , e conservativo:
Epes (P1 ) Epes (P2 )
Z Z
~ ~ 1 ~ ~
E d` = Fes d` = = V (P1 ) V (P2 ) . (6.3.12)
C(P1 ,P2 ) q C(P1 ,P2 ) m m
Il suo potenziale, detto potenziale elettrostatico, e lenergia potenziale elettrostatica per unita
di carica positiva e vale:
n
1 es X Qi
V (~r) = Ep (~r) = k . (6.3.13)
q i=1
di
Esso ha le dimensioni di una energia diviso una carica e la sua unita di misura e detta Volt
(V):
J
1 V olt = 1 . (6.3.14)
C
Riassumiamo le corrispondenze tra i campi vettoriali conservativi considerati in questa
sezione e i corrispondenti potenziali:
V~ (~r) (~r) ,
F~G (~r) EpG (~r) ,
F~es (~r) Epes (~r) ,
~g (~r) VG (~r) ,
~ r)
E(~ V (~r) .
(6.3.15)
6.4. LEGGE DI GAUSS 119
ovvero ciascuno dei campi elementari V~i (~r) e diretto lungo la congiungente il punto ~r con la
sua sorgente i , ed in modulo dipende solo dalla distanza di del punto dal i . La dimostra-
zione che ciascun campo V~i (~r), dovuto ad i , e conservativo non dipende dal particolare an-
damento del suo modulo |fi (di )| dalla distanza di . Essa varrebbe anche se p.es fi (di ) 1/d5i .
Il potenziale i (~r) associato a V~i (~r) e dato da:
Z
i (~r) = fi (r) dr + C . (6.4.1)
La legge di Coulomb per la forza elettrostatica e la legge di Newton per quella gravitazionale
non implica solo che il campo (elettrostatico o gravitazionale) V~i generato da una sorgente
puntiforme i sia radiale, ma anche che |V~i | 1/d2i (la legge dellinverso del quadrato della
distanza).
Questultima proprieta e espressa invece dalla legge di Gauss. Supponiamo di avere un
sistema di sorgenti (i ) = (1 , 2 , . . . , n ) distribuite nello spazio ed una superficie chiusa
S, vedi Figura 6.2. Convenzionalmente scegliamo la normale ~n in ogni punto di S diretta in
verso uscente. La legge di Gauss afferma che il flusso del campo V~ dovuto a tutte le sorgenti
i attraverso S e 4 per la somma delle sorgenti i interne ad S :
I X
~
FS (V ) = V~ ~ndS = 4 i .
S int
Per dimostrare questa proprieta, consideriamo il campo V~ generato da una singola sorgente
puntiforme posta nellorigine:
V~ (~r) = 2 ~ur , (6.4.2)
r
120 CAPITOLO 6. CAMPO GRAVITAZIONALE ED ELETTROSTATICO
Il rapporto dSr2 misura langolo solido sotto cui la sorgente vede la superficie dS o dS
in unita steradianti ( rimandiamo lo studente alla sottosezione 6.4.1 per un richiamo della
nozione di angolo solido e della sua misura in steradianti). Questo rapporto infatti non
dipende da r, ma solo dallangolo solido d, definito come regione di spazio delimitata dalle
rette che collegano ai punti del bordo di dS, o equivalentemente, dS . Possiamo quindi
riscrivere
~ +|| d cos() > 0
dF(V ) = . (6.4.4)
|| d cos() < 0
Il flusso dF non dipende dalla distanza di dS da ma solo dallangolo solido sotto cui
vede dS. Questa proprieta e comprensibile pensando alla caratterizzazione del flusso in
termini di numero di linee di campo che attraversano una superficie. E facile convincersi
infatti che tutte le superfici viste dalla sorgente sotto lo stesso angolo solido d, sono
attraversate dallo stesso numero di linee (sempre entranti o uscenti per tutte le superfici), si
veda Figura 6.4.
6.4. LEGGE DI GAUSS 121
Consideriamo adesso una superficie chiusa S. Al solito la normale ~n e fissata, in ogni suo
punto, in verso uscente. Supponiamo che sia allinterno di S, vedi Figura 6.5, e calcoliamo
il flusso, attraverso S, del campo da essa generato come somma dei flussi elementari dF
attraverso ciascun elemento di superficie dS in cui pensiamo sia suddivisa S
I
FS (V~ ) = V~ ~ndS .
S
e hanno lo stesso segno, qualsiasi sia dS, poiche se > 0, V~ ed ~n hanno prodotto scalare
positivo (cos() > 0), mentre se < 0, V~ ~n = |V | cos() < 0. Possiamo scrivere quindi che,
per ogni dS:
dF = d , (6.4.6)
per cui
I I
FS (V~ ) = d = d = 0 = 4 ,
S S
R
essendo langolo solido giro 0 = S d = 4.
Se invece e esterna ad S, vedi Figura 6.6, per ogni elemento della superficie dS
attraverso cui il flusso e positivo (V~ ~n > 0)
dF(V~ ) = || d > 0 ,
122 CAPITOLO 6. CAMPO GRAVITAZIONALE ED ELETTROSTATICO
Figura 6.4: Stesso numero di linee di campo che attraversano superfici viste da sotto lo stesso angolo solido.
esiste un elementino dS 0 visto da sotto lo stesso angolo solido d ma attraverso cui V~ ~n < 0
e quindi
dF 0 (V~ ) = || d = dF(V~ ) < 0 .
Nella somma, quindi, i contributi elementari al flusso si elidono a due a due e si ottiene:
FS (V~ ) = 0 . (6.4.7)
Se abbiamo un sistema (i ) = (1 , 2 , . . . , n ) di sorgenti puntiformi, il campo totale V~
e la somma dei campi V~i dovuti a ciascuna sorgente i
X n
~
V = V~i . (6.4.8)
i=1
P
ove il simbolo int indica la somma sulle sorgenti interne ad S. Per la dimostrazione del
teorema di Gauss e stato essenziale usare la proprieta che V~ e la sovrapposizione di campi
elementari, ciascuno dei quali, in modulo, e proporzionale allinverso del quadrato della
distanza dalla corrispondente sorgente. Questo ha permesso di esprimere il flusso elementare
dF in termini del solo angolo solido d.
S
= .
r2
Questo rapporto si dimostra non dipendere da r, ma solo da . Se langolo solido d e
infinitesimo, la superficie dS da esso staccata sulla sfera e infinitesima. Essa giace sul piano
124 CAPITOLO 6. CAMPO GRAVITAZIONALE ED ELETTROSTATICO
tangente alla sfera ed e quindi perpendicolare alla direzione che la congiunge con il vertice
O. d quindi lo si puo misurare come il rapporto tra una superficie dS a cui e sotteso d,
perpendicolare alla congiungente dS con O, ed il quadrato r2 della distanza r di dS da O.
E utile esprimere dS elemento di superficie sferica in coordinate polari usando lequazione
(2.2.3):
dS = r2 sin()dd .
Sistemi di particelle
Finora abbiamo trattato il moto di una singola particella, soggetta allazione del suo am-
biente. Abbiamo supposto che tutti gli oggetti con cui la particella interagisce siano fissi
nello spazio, di modo che la forza esercitata su essa dipenda soltanto dalla sua posizione
o velocita. Ora estendiamo la nostra analisi includendo lambiente (o parte di esso) in cui
la particella si muove, vale a dire considereremo levoluzione nel tempo di un sistema di
particelle interagenti. Vedremo che generalmente levoluzione di un tal sistema puo essere
decomposto sempre nel moto relativo di particelle una rispetto allaltra, includendo rotazioni
e vibrazioni, ed in un moto globale del sistema nel suo complesso. Questultima componente
puo essere associata ad un punto caratteristico del sistema, denominato centro di massa.
Vedremo anche che nei problemi in cui non siamo interessati al moto interno del sistema
di particelle, vale a dire nel loro moto relativo, il moto di traslazione globale del sistema puo
essere descritto come moto di una singola particella avente massa uguale alla massa totale
del sistema, situata nel relativo centro di massa e soggetto alla risultante delle forze esterne
che agiscono sul sistema.
127
128 CAPITOLO 7. SISTEMI DI PARTICELLE
Se la massa di una particella e indipendente dalla sua velocita, come nel caso del limite
non-relativistico v c che stiamo considerando, la velocita del centro di massa puo essere
associata al moto di un punto nello spazio, il centro di massa, definito dal seguente vettore
di posizione ~rCM = (xCM , yCM , zCM )
Pn
i=1 mi ~
ri
~rCM = , (7.1.4)
M
dove ~ri = (xi , yi , zi ) e il vettore posizione dell ima particella e le coordinate si riferiscono ad
un sistema di coordinate cartesiane S con origine O ed assi X,Y,Z. Dalla 7.1.4) deduciamo
lespressione delle coordinate del centro di massa
Pn
i=1 mi xi
xCM = , (7.1.5)
Pn M
i=1 mi yi
yCM = , (7.1.6)
Pn M
i=1 mi zi
zCM = . (7.1.7)
M
(7.1.8)
Effettivamente, se deriviamo entrambi i membri dellequazione(7.1.4) rispetto al tempo ed
identifichiamo ~vCM con d~rdt CM
troviamo (7.1.1). In un dato istante, la posizione del centro
di massa e indipendente dalle coordinate con cui scegliamo di descrivere il sistema stesso.
Consideriamo un nuovo sistema di riferimento cartesiano con origine O0 , differente da O, ed
assi X 0 , Y 0 , Z 0 paralleli ai rispettivi X, Y, Z e denotiamo con ~r = OO0 la posizione di O0
rispetto ad O. I vettori posizione ~r0 e ~r di un punto P sono legati da
~r0 = ~r ~r , (7.1.9)
Le componenti (x0 , y 0 , z 0 ) of ~r0 rispetto al nuovo sistema di coordinate S 0 sono le nuove coordi-
nate di P , e (x, y, z) sono le vecchie coordinate di P nel vecchio sistema S. Se (x, y, z)
sono le componenti di ~r rispetto a S, le relazioni tra le nuove e le vecchie coordinate di P
sono ottenute scrivendo (7.1.9) nelle sue componenti
x0 = x x , (7.1.10)
y 0 = y y , (7.1.11)
z 0 = z z . (7.1.12)
E facile controllare che la posizione ~rCM ~ri del centro di massa rispetto ad ogni particella del
sistema e la stessa nei due sistemi di coordinate S 0 e S: ~rCM 0
~ri0 = ~rCM ~ri . Per mostrarlo
e sufficiente provare che, se ~ri0 = ~ri ~r, ~rCM
0
= ~rCM ~r. Questa e una proprieta generale
del centro di massa: la sua posizione rispetto ad ogni particella del sistema non dipende dal
sistema di coordinate usate per descriverlo.
7.1. CENTRO DI MASSA 129
Supponiamo ora che ogni particella sia soggetta ad una forza interna dovuta alle altre par-
ticelle del sistema ed a forze esterne. Se deriviamo entrambi i membri di equazione (7.1.3)
ed usiamo equazione (4.6.16) del Cap. 4, troviamo
d d ~ ext
(M ~vCM ) = P =F , (7.1.16)
dt dt
ext
dove F e la risultante delle forze esterne. Dalla precedente equazione concludiamo che il
moto del centro di massa e quello di una particella di massa M , uguale alla massa totale del
sistema, su cui agisce la risultante delle forze esterne.
La quantita di moto di questa particella uguaglia la quantita di moto totale del sistema.
Il suo moto quindi non e influenzato dalle forze interne e descrive il moto di traslazione del
ext
sistema nel suo complesso. Se il sistema e isolato, vale a dire se F = 0, qualunque siano
le interazioni fra le particelle, il suo centro di massa persistera nel suo moto uniforme, in
conseguenza del principio di conservazione della quantita di moto totale M ~vCM = P~ = const.
Si consideri, per esempio, un razzo che esplode nellaria in un certo istante. Le sue varie
parti sono espulse dalle forze prodotte nella deflagrazione e ciascuna di esse continua lungo
130 CAPITOLO 7. SISTEMI DI PARTICELLE
una traiettoria differente. Queste forze tuttavia sono interne al sistema, essendo originate
dalle reazioni chimiche che sono avvenute allinterno del razzo e quindi non influenzano il
moto del centro di massa.
Questultimo risente soltanto della forza esterna totale che agisce sul sistema, cioe la forza
di gravita, e quindi persistera nel suo originario moto uniformemente accelerato, ovvero lungo
la sua traiettoria parabolica.
Possiamo applicare questa analisi al moto di un oggetto esteso. Dividiamo il volume V
delloggetto in infinite cellule elementari di volume V , sufficientemente piccole in modo da
potere considerare uniformi tutte le quantita fisiche allinterno di ciascuna di esse. Sia m
la massa contenuta in V e definiamo la densita media media di materia in V come la
quantita
m
media = , (7.1.17)
V
Riducendo V , variera il valore di media . Se V e abbastanza piccolo, e lo denoteremo con
dV , ogni ulteriore riduzione di esso non modifichera apprezzabilmente il valore di media , che
denoteremo con , cioe nel limite V 0, media tendera ad un valore limite che definisce
la densita della materia in un punto allinterno di dV
m dm
= lim = . (7.1.18)
V 0 V dV
(x, y, z) e una funzione del punto e descrive la distribuzione della materia allinterno dellog-
getto. Ogni volume elementare dV puo essere considerato come una particella puntiforme di
massa dm = dV , essendo la sua estensione trascurabile rispetto a quella dellintero oggetto.
Fin ora abbiamo implicitamente assunto che la distribuzione di materia sia continua.
Tuttavia sappiamo che, osservando la materia su una scala sufficientemente piccola (cioe ad
una distanza dell ordine di 108 1010 m), essa rivelera la sua natura discreta fatta di atomi
e di molecole. Definiamo lelemento di volume dV , che rappresenta la piu piccola porzione di
materia che stiamo considerando, come un volumetto molto piu piccolo dellintero oggetto,
la cui dimensione lineare sia comunque piu grande della distanza media fra le molecole, in
modo da contenere tantissimi costituenti elementari e presentare quindi al sui interno una
distribuzione in buona approssimazione continua di materia.
Tenendo questo in mente, noi ignoreremo per il momento la natura microscopica discreta
della materia e considereremo la porzione dV di materia come una particella di massa dm.
Avendo descritto un oggetto esteso come un sistema di infinite particelle, possiamo estendere
ad esso la definizione del centro di massa. La massa totale M delloggetto e data data da
X Z Z
M = lim m = dm = dV . (7.1.19)
V 0 V V
Queste non sono altro che le leggi di trasformazione di Galileo (3.2.9) applicate al moto
relativo del sistema del centro di massa rispetto al sistema del laboratorio.
Se deriviamo entrambi i membri della (7.1.22) rispetto al tempo, troviamo la relazione
tra la velocita di una particella nei due sistemi di riferimento:
~v 0 = ~v ~vCM . (7.1.23)
Pertanto, un osservatore che si sposti con centro di massa a riposo rispetto a S 0 vedra m1 e
m2 in moto con velocita ~v10 , ~v20 date da
1 m2 m2
~v10 = ~v1 ~vCM = ~v1 (m1 ~v1 + m2 ~v2 ) = (~v1 ~v2 ) = ~v12 ,
m1 + m2 m1 + m2 m1 + m2
m1
~v20 = ~v2 ~vCM = ~v12 , (7.1.24)
m1 + m2
ove ~v12 = ~v1 ~v2 e la velocita relativa di m1 rispetto a m2 .
Possiamo verificare che la quantita di moto totale nel sistema del centro di massa S 0 e
pari a zero:
m1 2 m2 2 m1 0 m2 0
Ek = v1 + v2 = |~v1 + ~vCM |2 + |~v2 + ~vCM |2 =
2 2 2 2
m1 + m2 2 2 M 2 2
= 0
vCM + m1 ~v1 ~vCM + m2 ~v20 ~vCM + v12 = vCM + v12 ,
2 2 2 2
(7.1.26)
m1 m2
= . (7.1.27)
m1 + m2
Vediamo che lenergia cinetica totale e la somma di un contributo dovuto al moto del centro
di massa e di un altro contributo associato al moto relativo delle due particelle, vale a dire
il moto del sistema rispetto al centro di massa. Il primo moto e quello di una particella di
massa M situata nel centro di massa del sistema ed in moto con quantita di moto costante
P~ = const. Il secondo moto e quello di una particella di massa pari alla massa ridotta del
sistema, che si muove con velocita ~v12 .
Consideriamo questo moto in maggior dettaglio. Possiamo scrivere le equazioni del moto
per le due particelle nel seguente modo
d~v1 1
= F 21 ,
dt m1
d~v2 1 1
= F 12 = F 21 . (7.1.28)
dt m2 m2
d~v12
= F 21 , (7.1.29)
dt
che descrive il moto relativo delle due particelle come il moto di una singola particella di
massa che si muove con una velocita uguale alla velocita relativa di m1 rispetto a m2 e
soggetta alla forza interna esercitata da m2 su m1 . Se m2 m1 , m1 ed il moto relativo
puo essere descritto come il moto di m1 rispetto ad m2 a riposo.
Si consideri ad esempio un atomo di idrogeno, che consiste in un protone ed un elettrone
vincolato dalla reciproca attrazione elettrica. La massa del protone e mp = 1.67 1027 Kg
e la massa dell elettrone e me = 9.11 1031 Kg. Vediamo che il protone e circa 2000 volte
piu pesante dell elettrone e quindi il centro di massa puo essere considerato, con una buona
approssimazione, coincidente con il protone. Inoltre la massa ridotta e approssimativamente
uguale alla massa dell elettrone. Il moto dell atomo puo quindi essere scomposto in un
moto globale di traslazione di una massa M = mp + me mp concentrata nel centro di
massa e nel moto dell elettrone rispetto al protone a riposo.
7.2. COLLISIONI 133
7.2 Collisioni
Prendiamo ora in considerazione le collisioni, e cioe i processi che coinvolgono particelle libere
che, durante un breve intervallo di tempo t, e in una regione limitata V dello spazio,
interagiscono e cambiano il loro stato di moto, ved. Fig. 7.1. Gli stati iniziale e finale del
Figura 7.1:
sistema sono supposti essere descritti da particelle libere, mentre durante t ha luogo il
processo di interazione in cui ogni particella e soggetta ad una forza F dovuta alle altre
particelle del sistema (forza interna). Questa forza produce una variazione della quantita di
moto che puo essere calcolata come segue. L equazione Newton ci permette di ricavare la
variazione della quantita di moto di un particella soggetta ad una forza F durante un lasso
di tempo infinitesimo dt:
d~p = F (t) dt , (7.2.1)
in cui la forza dipende dal tempo perche e esercitata dalle altre particelle del sistema, a loro
volta in moto. Integrando la precedente equazione sul periodo di interazione t, troviamo
Z
~p = F (t) dt = F t , (7.2.2)
t
dove F la forza media sulla particella durante t. Se t e molto piccolo, F deve essere
molto intenso per produrre un effetto apprezzabile sul moto della particella. Sulle particelle
134 CAPITOLO 7. SISTEMI DI PARTICELLE
possono agire anche forze esterne. Tuttavia t e cos piccolo che leffetto di ogni azione
esterna sul moto delle particelle durante la collisione e trascurabile rispetto a quello della loro
interazione. Pertanto, fino a quando si considerano gli stati iniziale e finale delle particelle,
come i loro stati di moto immediatamente prima e dopo la collisione, il sistema puo essere
considerato isolato e si puo applicare il principio di conservazione della quantita di moto. Se
conoscessimo la natura esatta delle forze reciproche che agiscono sulle particelle durante la
collisione, risolvendo le equazioni del moto, per ciascuna di esse, noto il loro stato iniziale,
che e sempre sotto controllo, saremmo in grado di prevedere con precisione lo stato finale del
sistema. Nella maggior parte dei casi, la natura delle interazioni, soprattutto nei processi
subatomici, non e nota e preziose informazioni su di essa possono essere dedotte osservando
il moto delle particelle dopo le collisioni in funzione del il loro stato iniziale.
Consideriamo n particelle di masse m1 , . . . , mn e quantita di moto iniziale p~1 , , . . . , p~n
le quali si scontrano in un certo istante. Noi ci limiteremo a collisioni che non cambiano la
natura ed il numero delle particelle, anche se questa non e la situazione piu generale nelle
interazioni che coinvolgono particelle elementari (come il protone, il neutrone e lelettrone,
per esempio) o anche nei processi chimici. Supponiamo che le particelle (libere) provenienti
dalla collisione siano descritte dalle quantita di moto ~q1 , , . . . , ~qn . La conservazione della
quantita di moto totale nellinterazione implica che
La collisione e chiamata ( elastica) se anche l energia cinetica totale e conservata, cioe se non
ci sono forze dissipative agenti durante linterazione. In questo caso abbiamo una ulteriore
condizione che collega le quantita iniziali e finali:
n n
X p2i X qi2
Ekin = = = Ekout . (7.2.4)
i=1
2 m i i=1
2 m i
Spesso e utile studiare il processo nel sistema del centro di massa, in cui la quantita di
moto complessiva e zero e le relazioni (7.2.3) diventano
Figura 7.2:
136 CAPITOLO 7. SISTEMI DI PARTICELLE
m1 v1 + m2 v2 = m1 u1 + m2 u2 , (7.2.9)
m1 v12 + m2 v22 = m1 u21 + m2 u22 . (7.2.10)
Queste sono due relazioni che possono essere risolte per ottenere le velocita finali u1 , u2 in
funzione di quelle iniziali v1 , v2 . Dalla (7.2.9) otteniamo
Lultima relazione implica che la velocita relativa di approccio delle due particelle e pari alla
velocita relativa di separazione dopo la collisione. Le equazioni (7.2.11) e (7.2.12) possono
ora essere facilmente risolte e dare
m1 m2 m2
u1 = v1 + 2 v2 , (7.2.13)
m1 + m2 m1 + m2
m2 m1 m1
u2 = v2 + 2 v1 , (7.2.14)
m1 + m2 m1 + m2
Possiamo verificare il risultato precedente in alcuni casi specifici in cui lintuizione ci puo
aiutare a indovinare lo stato finale del sistema. Consideriamo la prima particella m2 molto
piu pesante di m1 (m2 m1 ) e inizialmente a riposo v2 = 0. Vediamo dalla nostra soluzione
che u1 = v1 e u2 = 0 cioe che la massa m2 rimane a riposo imperturbata, mentre m1
rimbalza indietro. Un altra situazione e quella in cui m2 m1 e v2 = 0. Dalla nostra
soluzione risulta che u1 = v1 e u2 = 2 v1 , ossia la massa m1 procede imperturbata nel suo
moto, mentre la massa m2 e respinta. Infine se m1 = m2 abbiamo u1 = v2 e u2 = v1 , vale a
dire le due particelle si scambiano le loro velocita iniziali.
Figura 7.3:
Le posizioni delle due particelle dopo lurto coincideranno con il centro di massa del sistema.
Supponiamo che m1 provenga da sinistra e m2 da destra: v1 > 0, v2 < 0. Se p1 > p2
allora M si spostera nella direzione originale di m1 . Possiamo ora calcolare la variazione
dell energia cinetica del sistema
m1 2 m2 2 M 2 M 2
Ekin = v1 + v2 ; Ekout = u = v ,
2 2 2 2 CM
2
Ek = Ekf in Ekin = v12 < 0, (7.2.16)
2
dove abbiamo usato (7.1.26). La variazione di energia cinetica, cambiata di segno, e denotata
con Q e misura la non elasticita del processo: Q = 0 per collisioni elastiche. Q e massima
per collisioni totalmente anelastiche. Lenergia meccanica perduta, come abbiamo illustrato
in precedenza, si trasforma in calore. Il parametro Q misura lenergia calorica prodotta in
una collisione anelastica.
Osserviamo ora questa reazione nel sistema del centro di massa. Le quantita di moto
iniziali e finali in questo sistema sono connesse come segue
p01 = p02 = p0 ; q10 = q20 = q 0 . (7.2.17)
Le energie cinetiche iniziali e finali sono
p02 q 02
Ekin = ; Ekout = . (7.2.18)
2 2
138 CAPITOLO 7. SISTEMI DI PARTICELLE
Per una collisione elastica Q = 0 e q 0 = p0 . Questo significa che v10 = u01 e v20 = u02 . In
una collisione totalmente anelastica q 0 = 0 e lo stato finale composto delle due particelle e a
riposo. Possiamo calcolare vi0 e u0i utilizzando le leggi di trasformazione (7.1.23) e le formule
(7.2.14). Nel caso elastico abbiamo
m2 m1
v10 = v12 ; v20 = v12 ,
m1 + m2 m1 + m2
m2 m1
u01 = v12 ; u02 = v12 , (7.2.19)
m1 + m2 m1 + m2
che confermano le nostre analisi precedenti.
Se la collisione ha luogo su un piano o in uno spazio tridimensionale, il moto finale delle
particelle e totalmente determinato in termini dei dati iniziali solo se la collisione e del tutto
anelastica. In questo caso, la velocita finale ~u delle due particelle e data da
~u = ~vCM . (7.2.20)
Esempio 5 Consideriamo ora una collisione tra due particelle su un piano. Abbiamo scelto
il sistema di laboratorio S in modo che la particella m2 sia inizialmente a riposo (~p2 = 0)
nellorigine O ed m1 si avvicina ad m2 lungo lasse X con una quantita di moto iniziale
p~1 = p1 ~ux . Dopo la collisione le quantita di moto finali ~q1 e ~q2 formano angoli 1 e 2 con
lasse X, ved Fig. 7.4. Dalla conservazione della quantita di moto totale troviamo
p21 = |~q1 + ~q2 |2 = q12 + q22 + 2 ~q1 ~q2 = q12 + q22 + 2 q1 q2 cos(1 + 2 ) , (7.2.22)
q22 = |~p1 ~q1 |2 = p21 + q12 2 p~1 ~q1 = p21 + q12 2 p1 q1 cos(1 ) . (7.2.23)
Il parametro Q e dato da
p2 q2 q2 p2 q2
m2 m1 m2 + m1
Q = Ekin Ekout = 1 1 2 = 1 1 +
2 m1 2 m1 2 m2 2 m1 m2 2 m1 m2
q1 p1
+ cos(1 ) . (7.2.24)
m2
Nel caso elastico Q = 0, abbiamo tre equazioni in quattro incognite q1 , q2 , 1 , 2 , che possono
essere risolte ed esprimere tutte le grandezze dello stato finale in termini, ad esempio, di 1 .
Al fine di determinare completamente il moto della particella dopo la collisione avremo
7.2. COLLISIONI 139
Figura 7.4:
cioe le direzioni di rinculo delle due particelle dopo le collisioni sono ad angolo retto: 1 +2 =
2
.
In natura non tutte le interazioni risultano da un contatto tra due o piu oggetti. Per
esempio due pianeti o due particelle elettricamente cariche si influenzano reciprocamente a
distanza. Nel mondo atomico e subatomico le particelle non si toccano mai: esse agiscono
a distanza una con laltra mediante forze uguali ed opposte tipicamente di natura elettrica
o nucleare (la forza gravitazionale tra le particelle subatomiche e trascurabile).
Anche quando due o piu oggetti si colpiscono a vicenda nella nostra esperienza quotidiana,
come quando una mazza da golf colpisce una pallina, non vi e alcun reale contatto a livello
microscopico. Pertanto, nel nostro esempio, ci sono casi in cui avviene una collisione, anche
se la particella m2 a riposo e a una distanza b dalla linea iniziale del moto di m1 . Il parametro
b e chiamato parametro di impatto, see Fig 7.4.
140 CAPITOLO 7. SISTEMI DI PARTICELLE
cioe le due particelle si allontanano lungo la stessa direzione, dopo la collisione, con quantita
di moto ~q0 . Lo stato finale e quindi del tutto determinato da q 0 = |~q0 | e dallangolo
Figura 7.5:
formato da ~q0 con la direzione iniziale del moto, definita da p~0 . Il parametro Q diventa
p02 q 02
Q = . (7.2.28)
2 2
Se il moto della particella avviene in un piano, diciamo XY, la direzione del momento angolare
rispetto ad ogni punto del piano sara ortogonale al piano del moto, lungo lasse Z, vedi Fig.
141
142 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
Figura 8.1:
La velocita pertanto puo essere decomposta in una componente radiale e una angolare:
d~`
~v = = vr ~ur + v ~u ,
dt
dr d
vr = ; v = r = r, (8.1.4)
dt dt
Dove la velocita angolare e definita, come al solito, = d dt
. v descrive la componente
rotazionale del moto intorno ad O. Ricordando che ~r = r ~ur e che il prodotto vettoriale di
vettori paralleli e zero, il momento angolare puo essere scritto nella forma:
L = m ~r ~v = m ~r (v ~u ) = m r2 ~ur ~u = m r2 ~uz , (8.1.5)
Dove abbiamo usato la proprieta che, in ogni punto del piano, ~uz = ~ur ~u . Lorientazione
di L e legata al senso di rotazione nel piano dalla regola della mano destra. Consideriamo
8.1. MOMENTO ANGOLARE 143
Figura 8.2:
ora un moto circolare con centro in O, caratterizzato da r const, vedi Fig. 8.3. La velocita
avra solo la componente v lungo la linea tangente alla traiettoria circolare: ~v = r ~u . Se
~ come il vettore la cui grandezza e ||, con
definiamo il vettore della velocita angolare
direzione ortogonale al piano del moto e orientazione legata al senso di rotazione dalla regola
della mano destra, possiamo scrivere: ~ = ~uz . Questo vettore e legato a ~v and ~r dalla
relazione:
~ ~r .
~v = (8.1.6)
Il momento angolarerelativo a O assumer a la semplice forma L = m r2 ~.
Consideriamo ora un moto generico di una particella sotto linfluenza di una forza F e cal-
coliamo la derivata temporale del suo momento angolare relativo al punto O. Dallequazione
(8.1.1) troviamo
dL d d~r d~p
= (~r p~) = p~ + ~r = ~v p~ + ~r F , (8.1.7)
dt dt dt dt
Dove abbiamo usato lequazione di Newton. Ora usiamo la proprieta che ~v e p~ sono vettori
paralleli, cos che ~v p~ = 0, per riscrivere la suddetta relazione nella forma:
dL
= ~r F = ~ , (8.1.8)
dt
144 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
Figura 8.3:
dove la quantita
~ = ~r F , (8.1.9)
e chiamata la momento torcente o semplicemente momento della forza F relativa ad O. Il
modulo del momento torcente ~ vale
dove ~ri indica la posizione, rispetto ad O, della particella. Supponiamo che la particella
iima sia soggetta a forze che possono essere sia esterne che interne, con risultante F i . Per
ciascuna particella possiamo scrivere l equazione (8.1.8):
dLi
= ~ri F i = ~i . (8.1.12)
dt
Derivando ambi i membri della (8.1.11) e, usando la (8.1.12), deriviamo la seguente equazione
per il momento angolare totale
n
n
dL X dLi X
= = ~i = ~ , (8.1.13)
dt i=1
dt i=1
dove abbiamo definito il momento ~ del sistema di forze F 1 , . . . , F n , relative ad O, come
la somma dei momenti associati a ciascuna forza. Notiamo che il momento torcente totale,
~ , puo essere diverso da zero anche se il sistema delle forze ha risultante nulla.
Figura 8.4:
146 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
Iniziamo considerando il moto globale di traslazione del sistema. Oltre a F 1 , F 2 vi
sono anche le forze di tensione T 1 = T 2 = T esercitate dallasticella sulle particelle, che
sono uguali ed opposte ed entrambe dirette lungo lasticella. Osserviamo che le forze hanno
risultante nulla
F 1 + F 2 + T 1 + T 2 = 0, (8.1.14)
cos che il centro di massa del sistema si muove con velocita costante. Ora siamo interessati al
moto relativo delle due particelle e quindi e conveniente adottare come sistema di riferimento
il sistema di riferimento del centro di massa S 0 , che e inerziale. Rispetto a S 0 il centro di
massa del sistema sara in quiete e le particelle si muoveranno intorno ad esso. Chiamiamo
O il centro di massa e poniamo che ~r1 e ~r2 siano le posizioni di m1 , m2 relative ad O. Le
forze di tensione non contribuiscono a ~ , dal momento che la loro linea dazione contiene
O, essendo questo punto lungo lasticella, e quindi e parallela ai vettori posizione ~r1 and ~r2 .
Calcoliamo ora il momento di torsione del sistema:
~ = ~r1 F 1 + ~r2 F 2 = (~r1 ~r2 ) F = ~` F , (8.1.15)
che giace lungo Z. Cio significa che, nellistante dt, ~` e la velocita della particella giacciono
su XY, e, quindi, dopo un altro intervallo infinitesimo dt il nuovo momento angolare sara
ancora diretto lungo lasse Z. Ripetendo questa argomentazione, possiamo concludere che il
momento angolare del sistema sara sempre diretto lungo lasse Z e pertanto il moto avverra
nel piano XY. Poiche le distanze r1 , r2 delle particelle da O sono costanti, la posizione del
sistema e totalmente determinato dallangolo (t) formato da ~` con ~ux . Ciascuna particella
descrivera un moto circolare con lo stesso momento angolare = d dt
. Usando l equazione
(8.1.5) per ciascuna particella troviamo
L 1 = m1 r12 ~uz ; L 2 = m2 r22 ~uz ,
L = L 1 + L 2 = (m1 r12 + m2 r22 ) ~uz = I ~uz , (8.1.17)
Dove la quantita I = m1 r12 + m2 r22 e chiamata momento di inerzia del sistema ed e costante.
Riscriviamo ora lespressione (8.1.15) per la coppia di torsione scegliendo lasse X lungo F :
Ora usiamo la proprieta distributiva del prodotto vettoriale e le relazioni (2.1.47) per scrivere
~`
F = [` cos((t)) ~ux + ` sin((t)) ~uy ] (F ~ux ) = ` F cos((t)) ~ux ~ux +
` F sin((t)) ~uy ~ux = ` F sin((t)) ~uz . (8.1.19)
dove ~ri , ~rCM and L O sono calcolati in riferimento a O mentre L CM O indica il momento
angolare di una particella di massa M situata nel centro della massa, relativa a O. Se noi
deriviamo la suddetta equazione rispetto al tempo, troviamo:
d X d X d
L CM = mi (~ri ~rCM ) ~vi + mi (~ri ~rCM ) ~vi =
dt i
dt i
dt
X X
= mi (~vi ~vCM ) ~vi + mi (~ri ~rCM ) ~ai = M~vCM ~vCM +
i i
X
+ (~ri ~rCM ) F i = ~CM , (8.1.24)
i
148 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
dove CM e la coppia di torsione totale relativa al centro di massa. Notiamo che entrambe,
X X
L CM = mi (~ri ~rCM ) ~vi = mi (~ri ~rCM ) ~vi0 ,
i i
d X X
L CM = mi (~ri ~rCM ) ~ai = mi (~ri ~rCM ) ~a0i = ~CM . (8.1.25)
dt i i
Quindi, nonostante il centro di massa sia un punto in moto, possiamo ancora scrivere l
equazione (8.1.13) relativa ad esso.
Figura 8.5:
1 2 dA 1 d
dA = AP OA = r d = r2 . (8.2.4)
2 dt 2 dt
Grazie alla conservazione del momento angolare relativo a O, espresso dallequazione (8.2.3),
possiamo ricavare la seguente proprieta :
dA
= const. (8.2.5)
dt
La suddetta legge, se applicata al moto dei pianeti intorno al sole, e conosciuta come seconda
legge di Keplero, dal matematico e astronomo tedesco J.Keplero (1571-1630) che, per primo,
diede una descrizione matematica delle orbite dei pianeti intorno al sole in termini di ellissi.
Questa fu enunciata con la proposizione: I pianeti coprono aree uguali in tempi uguali (vedi
Fig. 8.6). 8.6). Si puo obiettare che la nostra analisi sino ad ora si e limitata a particelle,
cioe ad oggetti che virtualmente non hanno estensione, mentre i pianeti non somigliano per
niente alle particelle. Tuttavia la nostra nozione di particella e sempre relativa al problema
150 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
Figura 8.6:
intorno ad un asse, che puo variare con il tempo, vedi Fig. 8.7. La traslazione di un corpo
Figura 8.7:
rigido e caratterizzata dal fatto che la linea che unisce ogni coppia di punti rimane parallela
a se stessa. Possiamo sempre adottare il sistema di riferimento del centro di massa, nel quale
il moto del sistema ha solo la componente rotazionale.
Analizziamo nel dettaglio il moto rotatorio di un corpo rigido intorno ad un asse che
non varia nel tempo e che noi scegliamo coincidente allasse Z di un sistema cartesiano di
coordinate. Mentre il corpo ruota, ogni particella di massa dmi al suo interno si muove
di un moto circolare sul piano ortogonale a Z e contenente la particella, con centro in Z e
velocita angolare i . Possiamo calcolare il momento angolare totale L del corpo rispetto
allorigine O come somma dei momenti angolari di ciascuna particella dmi , vedi Fig. 8.8.
Supponiamo che ~ri sia la posizione di dmi rispetto a O, Ri la sua distanza dallasse Z e
~vi = vi~u = Ri i ~u la sua velocita. Possiamo quindi scrivere:
n n
X
X
L = Li = dmi ~ri ~vi . (8.3.1)
i=1 i=1
Figura 8.8:
massa elementare dm = dV :
Z Z
L = ~r ~v dm = ~r ~v dV . (8.3.2)
M V
Il vettore L in genere non e diretto lungo Z. Possiamo comunque calcolare la sual componente
lungo Z, come somma delle corrispondenti componenti Li z di ciascun contributo elementare
L i . Ricordando che L i giace in una direzione perpendicolare al piano definito da ~ri e ~vi e
appartiene al piano che contiene ~ri e Z. Se i e langolo formato da ~ri con Z, langolo tra L i
and Z sara quindi 2 i e potremo scrivere:
Li z = Li cos( i ) = dmi ri vi cos( i ) = dmi vi ri sin(i ) = dmi vi Ri = dmi Ri2 i .
2 2
(8.3.3)
Dal momento che il corpo e rigido, non vi puo essere nessun moto relativo fra i suoi costituenti
dmi . Come conseguenza di cio , ciascun dmi si muove con la stessa velocita angolare i .
8.3. MOTO DI UN CORPO RIGIDO 153
Possiamo ora scrivere lespressione per la componente Z del momento angolare totale
n
X n
X
Lz = Li z = dmi Ri2 = I . (8.3.4)
i=1 i=1
I = M K2 , (8.3.6)
cioe il momento angolare e parallelo alla velocita angolare, essendo diretto lungo lasse di
rotazione. Se, daltra parte, il corpo ruota intorno ad un generico asse, esiste unutile formula
che ci permette di esprimere il vettore del corrispondente momento angolare:
L = I1 x0 ~ux0 + I2 y0 ~uy0 + I3 z0 ~uz0 , (8.3.8)
dove ~ux0 , ~uy0 , ~uz0 sono i vettori unita relativi agli assi principali rispetto ai quali il vettore
velocita angolare ha la seguente forma:
~ = x0 ~ux0 + y0 ~uy0 + z0 ~uz0 . (8.3.9)
154 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
Figura 8.9:
Figura 8.10:
Figura 8.11:
centro come origine del nostro sistema di coordinate. Ogni elemento dm dellasta verra
definito mediante la coordinata x che varia da L2 a L2 . Il momento di inerziae calcolato
usando lequazione (8.3.14) in cui lintegrale e esteso al nuovo intervallo per x
L L
M x3 2
Z Z
2 M 2 M 2
IC = dI = x dx = = L (8.3.15)
rod L
2
L L 3 L 12
2
Poiche la distanza fra una estremita dellasta e il suo centro e a = L/2, possiamo verificare
che I e IC soddisfano il teorema di Steiner (8.3.10). Infatti troviamo:
M 2 M 2 M 2
I = L = L + L = IC + M a2 . (8.3.16)
3 12 4
Figura 8.12:
Ora ricordiamo lespressione di dS nelle coordinate polari nel piano, date dallequazione
(2.2.10): dS = r dr d. IZ puo allora essere scritto nella forma
Z 2 Z R
R4 1
IZ = d r3 dr = 2 = M R2 . (8.3.20)
0 0 4 2
Calcoliamo ora il momento di inerzia IX rispetto allasse X, che giace nel piano del disco. La
distanza di una particella dm dallasse x e data da |y| = r| sin()|, e pertanto contribuisce
158 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
a I con la quantita infinitesima dIX = dm y 2 = dmr2 sin2 (). Il momento totale di inerzia
sara dato da:
Z Z Z 2 Z R
2 2 2 1
IX = = dIX = r sin ()dS = sin () d r3 dr = M R2 ,
disk disk 0 0 4
(8.3.21)
Dove abbiamo usato le seguenti proprieta
1 cos(2)
cos(2) = 1 2 sin2 () sin2 () = ,
Z 2 Z 2 2
cos(2)d = 0 sin2 ()d = . (8.3.22)
0 0
Avendo descritto un corpo rigido come un sistema di infinite particelle, possiamo scri-
vere lequazione che governa il suo moto di rotazione applicando lequazione (8.1.13), cioe
eguagliando la derivata rispetto al tempo del momento angolare totale rispetto ad un punto
O in quiete in un sistema di riferimento inerziale, al momento di torsione totale esercitato
sul corpo e relativo allo stesso punto:
X d
dL Li X
= = ~i = ~ . (8.3.23)
dt i
dt i
Supponiamo che il corpo rigido stia ruotando intorno allasse Z che contiene il punto in quiete
O. In questo caso, se lasse Z e un asse principale di inerzia, possiamo scrivere L = I ~ e
lequazione del moto diventa:
d(I
~)
= ~ . (8.3.24)
dt
Se Z e fisso, possiamo portare I fuori della derivata, essendo una costante, e la suddetta
equazione assumera la forma:
d~
I
~ =I = ~ , (8.3.25)
dt
dove ~ = d~
dt
e il vettore di accelerazione angolare diretto lungo lasse di rotazione. In un
caso piu generale, dove Z non coincide con un asse di inerzia principale, L e ~ non saranno
paralleli, ma possiamo ancora proiettare lequazione (8.3.23) lungo Z
d(I )
= z . (8.3.26)
dt
Se non vi e alcun punto nellasse di rotazione che e fisso rispetto a qualche sistema inerzia-
le, possiamo in generale scrivere la (8.3.23) rispetto al centro di massa usando lequazione
(8.1.25):
d L CM
= ~CM . (8.3.27)
dt
8.3. MOTO DI UN CORPO RIGIDO 159
Come al solito, il moto totale di un corpo rigido puo essere decomposto in un moto di
traslazione del centro di massa e in un moto di rotazione del corpo rispetto al centro di
massa. Se lasse di rotazione contiene il centro di massa ed e uno degli assi principali, allora
L CM = IC ~.
Di particolare interesse e il caso in cui la torsione totale relativa a qualche punto fisso
nello spazio e zero in ogni istante: ~ 0. In questo caso lequazione (8.3.23) implica che il
momento angolare del corpo relativo a qualche punto O e costante
L const. (8.3.28)
Se lasse di rotazione contiene il punto ed e un asse principale, la precedente equazione
implica che
I
~ = const. (8.3.29)
Se, inoltre, lasse di rotazione e anchesso costante, dal momento che il corpo e rigido, I sara
costante e la conservazione del momento angolare implica che = const., cioe che il corpo
rigido si muova ad una velocita angolare costante. Se, tuttavia, I varia col tempo, variera
corrispondentemente.
Un esempio ben noto di questo fenomeno e quello del pattinatore sul ghiaccio. Per
aumentare la sua velocita di rotazione, il pattinatore tiene le braccia e le gambe vicine al
corpo, cioe al suo asse di rotazione. Facendo cio, egli diminuisce il suo momento di inerzia.
Poiche non ci sono momenti di torsione che agiscono su di lui e il momento angolare e
conservato, aumentera al diminuire di I.
Se lasse di rotazione contiene il punto, ma non e lasse principale, possiamo scrivere la
conservazione del momento angolare, usando lequazione (8.3.8)
L = I1 x0 ~ux0 + I2 y0 ~uy0 + I3 z0 ~uz0 = const. , (8.3.30)
In termini di grandezza di L la suddetta equazione implica che :
L2 = I12 x0
2
+ I22 y0
2
+ I32 z0
2
= const. , (8.3.31)
Lequazione (8.3.31), nei componenti x0 , y0 , z0 , e lequazione di un ellissoide con semi-
asse I11 , I21 , I31 . Questo significa che, come il vettore
~ varia nel tempo, la sua estremita
giace su questo elissoide e descrive su di esso una traiettoria caratteristica.
Consideriamo ora il moto di un corpo rigido dal punto di vista della sua energia. Lenergia
cinetica del corpo, proprio come per un generico sistema di particelle, puo essere scritta
come somma dellenergia cinetica di una particella di massa M situata al centro di massa e
dellenergia cinetica associata al moto nel sistema del centro di massa. Come abbiamo visto,
questo moto puo solo essere del tipo rotatorio intorno ad un asse che contiene il centro di
massa. Lenergia cinetica totale del corpo avra quindi la forma:
1 2
Ek = M vCM + Ekint ,
2
1 X 1 X 1
Ekint = dmi vi02 = dmi Ri2 2 = I 2 , (8.3.32)
2 i 2 i 2
160 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
dove abbiamo supposto che nel sistema CM tutte le particelle dmi si muovano con la stessa
velocita angolare rispetto allasse di rotazione. Possiamo scrivere la relazione lavoro-energia:
Dove Ekf in and Ekin sono i valori finali ed iniziali della energia cinetica e W e il lavoro totale
fatto sul corpo dalle forze che agiscono su di esso. Queste non includono le forze interne di
coesione poiche , per un corpo rigido, le distanze relative tra le sue varie parti non cambiano
e cos le forze reciproche che agiscono su di esse non fanno alcun lavoro. Se il corpo e
sottoposto a forze conservative, il lavoro puo essere espresso come variazione di una energia
potenziale Ep :
1 1
Ekf in Ekin = W = Epin Epf in E = Ek + Ep = 2
M vCM + I 2 + Ep = const. ,
2 2
(8.3.34)
dove abbiamo definito lenergia meccanica totale del corpo come la somma della sua energia
cinetica e potenziale.
Lequazione (8.3.32) comprende anche il caso in cui il corpo ruoti intorno ad un asse fisso
Z non contenente il centro di massa C. In questo caso C ruotera intorno allasse con velocita
angolare . Indichiamo con ZC lasse parallelo a Z che contiene C. Se calcoliamo lenergia
cinetica totale, troviamo
I 2
Ek = , (8.3.35)
2
dove I e il momento di inerzia relativo a Z. Usando il teorema di Steiner, troviamo
IC 2 M 2 2
Ek = + a , (8.3.36)
2 2
dove a e la distanza di C da Z. Poiche vCM = a e poiche, come non e difficile provare,
nel sistema CM il corpo ruota intorno a ZC con la stessa velocita angolare , la suddetta
equazione coincide con (8.3.32).
Valutiamo ore il lavoro fatto dalle forze che agiscono su di un corpo rigido durante la sua
rotazione di un angolo infinitesimo d = dt, intorno allasse fisso Z, dal tempo t a t + dt.
Durante dt la velocita angolare cambia da a + d. La variazione dellenergia cinetica e
cos il lavoro infinitesimo dW fatto, e calcolata usando lespressione (8.3.35) di Ek :
I
dW = Ekf in Ekin = ( + d)2 2 = I d ,
(8.3.37)
2
Dove abbiamo trascurato i termini di ordine superiore in d. Ora ricordiamo che , secondo
lequazione (8.3.26),
dLz
I d = dt = z dt . (8.3.38)
dt
8.3. MOTO DI UN CORPO RIGIDO 161
Quindi troviamo
dW = z dt = ~
~ dt = z d . (8.3.39)
Esempio 4 Studiamo il moto di un giroscopio. Questo strumento consiste in una ruota che
gira velocemente e che e montata su di un supporto che permette al suo asse di rotazione di
muoversi, vedi fig. 8.13. Esso e progettato in modo tale che, se non perturbato, il momento
Figura 8.13:
di torsione totale che agisce su di esso sia zero, e pertanto il suo asse di rotazione rimanga
costante. Se si sposta un giroscopio, esso ruotera in modo da mantenere fissa la direzione del
suo asse. Infatti, durante il moto di rotazione della terra intorno al proprio asse, le direzioni
orizzontali si muoveranno con essa mentre lasse di un giroscopio, che allinizio giaceva sul
piano orizzontale, ruotera rispetto alla superficie della terra lungo il piano verticale di 90o in
sei ore, vedi figura 8.14.
F W = M g ~uz , che grava sul centro di massa, avra un momento torsione ~ non null che
causera un cambiamento in L . Poiche F W giace nel piano Z0 O Z, ~ sara perpendicolare a
Figura 8.14:
variera di d L = ~ dt che e un vettore perpendicolare a L . La situazione e molto simile al
caso del moto circolare uniforme nel quale la forza e perpendicolare alla velocita durante il
moto e cio fa s che la velocita possa variare solo nella direzione, ma non in intensita. Per la
stessa ragione ilmomento torsione fara s che il momento angolare varieri solo in direzione,
ma non in modulo. In particolare lestremita del vettore angolare ruotera intorno allasse
verticale, lungo una circonferenza di raggio L sin(), dove L e la lunghezza di L . Questo
moto dellasse di rotazione della trottola, dovuto alla torsione, e chiamato precessione, vedi
Fig. 8.15. In dt il piano Z0 O Z nel quale L giace, ruotera intorno a Z di un angolo
|d L |
d = = dt . (8.3.41)
L sin() L sin()
= M g ` sin() , (8.3.42)
` essendo la distanza del centro di massa da O, cos che La velocita angolare della precessione
= ddt
diventa
d M g` M g`
= = = . (8.3.43)
dt L I
~ = ~uz , associato alla precessione, possiamo
Se definiamo il vettore di velocita angolare
scrivere
~
~ =
L. (8.3.44)
La suddetta equazione e analoga alla relazione F = ~ p~ tra la velocita angolare e la forza
centripeta di una particella in moto circolare uniforme con quantita di moto p~. Concludendo,
abbiamo visto che il moto della trottola consiste in una rotazione intorno al suo asse e in
8.3. MOTO DI UN CORPO RIGIDO 163
Figura 8.15:
una rotazione, o precessione, dellasse intorno alla direzione verticale. Il momento angolare
totale avra un contributo dovuto alla precessione e quindi non giacera lungo Z0 . In effetti, la
velocita angolare totale sara ~ Tuttavia, se tale contributo e piccolo e quindi trascurabile
~ + .
rispetto alla rotazione della trottola intorno al sua asse, cioe se , esso puo essere
ignorato. Il suo effetto e quello di far oscillare lasse di rotazione nel piano verticale durante
la precessione in modo tale che non e costante ma varia tra due valori limiti. Questa
oscillazione e chiamata nutazione.
Figura 8.16:
di inerzia del sistema, rispetto ad X. Il momento di torsione totale che agisce sul corpo e
dovuto alla gravita ed e dato da:
~ = OC F W = M g ` sin() ~ux . (8.3.45)
Scriviamo lequazione (8.1.13) lungo la direzione X dellasse di rotazione
d d2
I = I 2 = x = M g ` sin() . (8.3.46)
dt dt
Questa equazione ha la stessa forma dellequazione del pendolo semplice e, per piccole
oscillazioni, diventa:
d2 1
2
= `M g, (8.3.47)
dt I
dove abbiamo approssimato sin() . La suddetta equazione descrive un moto armonico
con periodo:
s s s
I K2 `0
T = 2 = 2 = 2 , (8.3.48)
`M g `g g
Figura 8.17:
disco e attaccato, con un perno, ad un asse orizzontale intorno al quale puo ruotare senza
frizione. Esso e fatto ruotare per mezzo di una forza verticale F che agisce su di una corda
arrotolata intorno ad esso. Calcolare laccelerazione angolare = d dt
del disco.
Soluzione: Stabiliamo un sistema di coordinate cartesiane in cui Z sia lasse verticale, Y
lasse di rotazione del disco ed X lasse orizzontale, parallelo alla superficie del disco. Poiche
il centro di massa e fissato nellasse, la sua posizione e totalmente determinata dallangolo
che definisce la posizione angolare di un punto di riferimento nel disco rispetto allasse X. Sia
lorientazione di Y connessa al verso positivo di dalla regola della mano destra. Sul centro
di massa il peso del disco F W e compensato dalla reazione F p del perno cos che queste due
forze non hanno effetto sul moto del disco. La forza F = F ~uz (F > 0) esercitata sulla
corda ha un momento di torsione ~ non nullo sul disco, che ne determina la rotazione:
~ = R F ~uy . (8.3.49)
Poiche il momento angolare e L = I ~uy , possiamo scrivere lequazione di moto nella forma:
d
L = ~ I = R F , (8.3.50)
dt
dalla quale, e dallespressione di I relativa allasse del disco, possiamo derivare il risultato:
2F
= . (8.3.51)
MR
166 CAPITOLO 8. MOTO DI ROTAZIONE
Esempio 8 Con riferimento alla fig. 8.17 (b), consideriamo il disco dellesempio precedente
che e messo in moto da un peso di massa m e che e attaccato allestrremita di una corda
arrotolata intorno ad esso. Calcolare la tensione T della corda e laccelerazione a della massa
m.
Soluzione: Scriviamo lequazioni del moto per il disco e la massa. Questultima e soggetta
al suo peso F W = m g ~uz ed alla tensione T = T ~uz della corda. La sua posizione lungo
2
lasse Z e descritta dalle sue coordinate z(t) e la sua accelerazione e ~a = a ~uz = ddt2z ~uz .
Lequazione del moto per la massa e :
m~a = F W + T m a = m g + T . (8.3.52)
Per quanto riguarda il disco, il suo momento angolare e: L = I ~uy , mentre il momento di
torsione, dovuto alla tensione della corda, e ~ = R T ~uy . Pertanto il moto rotatorio del disco
e descritto dallequazione:
I = RT . (8.3.53)
Le quantita a e non sono scorrelate. Infatti, mentre il disco ruota con un angolo ,
ciascun punto sul suo bordo si sposta di una distanza R e la massa si abbassa alla stessa
lunghezza: z = R. Pertanto la velocita e laccelerazione della massa dipendono dalle
corrispondenti quantita angolari del disco
dz d d2 z d2
z = R v = = R = R ; a = 2 = R 2 = R .
dt dt dt dt
(8.3.54)
Esempio 9 Consideriamo il disco della fig. 8.17 (c), che e omogeneo, di massa M e di
raggio R. Una corda e arrotolata al suo bordo ed e attaccata per la sua estremita superiore ad
una parete orizzontale fissa. Appena il disco e lasciato cadere, la corda si srotola, causando
un moto verso il basso. Trovare laccelerazione del centro di massa del disco.
Soluzione Osserviamo che, come nel caso del moto di rotolamento senza slittamento, il
moto e di pura rotazione perche esiste in ogni istante un punto del disco che ha velocita
nulla. Questo punto e quello in cui il filo si stacca dal bordo e ha velocita nulla poiche il
tratto di filo verticale e fermo. Scegliamo comunque di descrivere tale moto decomponendolo
nella componente traslatoria associata al centro di massa ed in quella di rotazione rispetto al
centro di massa, descritta dallequazione (8.3.27). Se la posizione del centro di massa lungo
Z e descritta da z(t), troviamo ancora le stesse relazioni (8.3.54) tra v, a e , . Il centro di
massa e soggetto a F W mentre il moto di rotazione e determinato dal momento di torsione
~ associato alla tensione T . Quindi troviamo le seguenti equazioni del moto:
M a = M g + T ; I = R T ; a = R . (8.3.59)
In questo capitolo analizzeremo piu in dettaglio il moto di una particella soggetta ad una forza
centrale il cui modulo sia proporzionale allinverso del quadrato della distanza dal centro della
forza. Questa classe di moti include quello dei pianeti intorno al sole, detto moto Kepleriano
dallastronomo-matematico Johannes Kepler (1571-1630), che per primo lo caratterizzo in
modo esaustivo dal punto di vista cinematico-descrittivo, rispetto al SR del sole. La nostra
analisi includera anche il moto relativo di due particelle cariche, soggette alla reciproca forza
elettrostatica, descritta dalla legge di Coulomb. In questo caso il riferimento e allinterazione
tra particelle subatomiche cariche, come un elettrone (carico negativamente) in un atomo
ed i protoni (carichi positivamente) nel nucleo dell atomo stesso (interazione attrattiva),
o tra particelle subatomiche con cariche dello stesso segno (p.es. due nuclei atomici che
si avvicinano abbastanza da poter avvertire la loro reciproca repulsione elettrostatica). In
questi casi, essendo le particelle subatomiche molto leggere, la forza elettrostatica prevale di
gran lunga su quella gravitazionale, che risulta quindi essere completamente trascurabile.
Studieremo questa ampia classe di moti in modo unificato, mostrando come la loro analisi
dinamica si possa ricondurre ad uno stesso problema matematico.
169
170 CAPITOLO 9. APPROFONDIMENTO
essendo k = 1/(40 ) nel vuoto. A sua volta la particella 2 esercitera una reazione sulla
1 uguale e contraria: F 21 = F 12 . Scriveremo, per semplicita, la forza di interazione nel
seguente modo:
F 12 = 2 ~u12 , (9.1.3)
r
ove
= G m1 m2 k q1 q2 . (9.1.4)
I sistemi fisici che abbiamo in mente sono costituiti o da due corpi celesti in interazione (come
sole e pianeti o asteroidi) o da due particelle subatomiche cariche (elettrone e nucleo in un
atomo). Nel primo caso le cariche sono nulle e linterazione e puramente gravitazionale:
= G m1 m2 . Nel secondo, la forza gravitazionale e trascurabile e linterazione e di tipo
elettrostatico: = k q1 q2 . Tutti questi problemi possono essere affrontati dal punto di
vista dinamico in modo unificato, considerando una forza di interazione di tipo (9.1.3).
Sappiamo che il moto del sistema di due particelle si puo decomporre nel moto del suo
centro di massa (CM) e nel moto interno rispetto al centro di massa. Se consideriamo il
sistema isolato, il moto del CM e rettilineo uniforme ed il SR ad esso solidale sara quindi
un SR inerziale. Rispetto ad esso il moto delle due particelle e descritto come il moto di
una sola particella di massa pari alla massa ridotta = m1 m2 /(m1 + m2 ), posizione pari
alla posizione relativa ~r(t) = ~r2 (t) ~r1 (t) della particella 2 rispetto alla 1 e soggetta alla
forza F 12 . Conviene, nel SR del CM che chiameremo S, fissare un sistema di coordinate
cartesiano ortogonale {0, X, Y, Z} in cui ~r(t) e il vettore posizione di questa particella ideale
e gli assi puntano verso le stelle fisse (SR inerziale), in modo che l equazione del moto della
particella sia:
~a = F 12 (~r) = 2 ~u12 , (9.1.5)
r
2
essendo ~a = ~a2 ~a1 = ddt2~r . Se la massa della particella 1 e molto maggiore di quella della
particella 2, m1 m2 (come e il caso del sole rispetto ai pianeti o del nucleo di un atomo
rispetto ad un elettrone), si puo pensare il CM localizzato con buona approssimazione sulla
prima ed il SR S quindi solidale con essa. In questo limite, infatti, laccelerazione della
particella 1, a1 = | F 12 |/m1 , e molto minore di quella della particella 2, a2 = | F 12 |/m2 , e
quindi si manifesta sul moto della prima su tempi molto piu lunghi dei tempi caratteristici
del moto della particella 2. Di conseguenza, nello studiare questultimo, ci si puo mettere
nel SR solidale con la particella 1 piu pesante, essendo questo in buona approssimazione
inerziale. In questo SR la massa 1 e fissa mentre la 2 si muove di moto descritto dalla (9.1.5)
in cui la massa ridotta e approssimativamente uguale a m2 :
m1 m2
m1 m2 = m2 . (9.1.6)
m1 + m2
ove ~ur e il versore radiale uscente rispetto allorigine O, centro della forza: ~ur = ~u12 . Sap-
piamo che in presenza di una generica forza radiale il momento angolare L della particella
su cui essa agisce, riferito al centro della forza, e un vettore costante. Il moto e quindi ca-
ratterizzato da due leggi di conservazione: quella del momento angolare e quella dellenergia
meccanica;
conservazione del momento angolare : L = ~r(t) p~(t) = cost. ,
conservazione dellenergia meccanica : E = |~v |2 = cost. , (9.1.8)
2 r
dove abbiamo usato la proprieta che lenergia potenziale associata alla forza centrale F (~r)
vale Ep (r) = /r, avendone fissato il valore essere nullo nella configurazione del sistema
in cui la forza di interazione e nulla, ovvero quella in cui la distanza r e infinita. Sappiamo
che la conservazione di L in direzione e verso implica che il moto si svolge su un piano
perpendicolare a L . Conviene fissare lasse Z lungo la direzione e verso di L , in modo che
il moto abbia luogo sul piano X, Y . Fissiamo quindi su tale piano un sistema di coordinate
polari rispetto al quale la posizione della particella in ogni istante sia definita univocamente
dalla sua distanza r(t) dallorigine e dalla sua posizione angolare (t): la prima descrivera
la componente radiale del moto, la seconda quella angolare. Rispetto a questo sistema di
coordinate avremo che:
L = L ~uz , L = m r(t)2 (t) = cost. > 0 , (9.1.9)
essendo (t) = d dt
la velocita angolare. La particella di massa si muovera quindi sempre
nel verso dei crescenti che, rispetto ad un osservatore in piedi lungo lasse Z (ovvero lungo
Figura 9.1:
Si osservi che lenergia meccanica e stata scritta solo in termini di r(t) e della sua derivata
rispetto al tempo. In particolare essa ha lespressione dellenergia meccanica associata ad
un moto rettilineo di coordinata r(t) e soggetto ad una forza con energia potenziale data
dalla somma degli ultimi due termini. Se indichiamo con Ek0 lenergia cinetica associata
(1d)
a questo moto rettilineo e con Ep (r) (energia potenziale del moto unidimensionale) la
corrispondente energia potenziale, potremo scrivere:
e quindi si muove rispetto ad S di moto rotatorio intorno allasse Z con velocita angolare
~ (t) = (t) ~uz . Il SR S 0 e quindi non-inerziale essendo S inerziale. Inoltre risulta chiaro che
lasse X 0 coincide con lasse radiale uscente (~ux0 = ~ur ), mentre Y 0 con la direzione angolare
(~uy0 = ~u ). Di conseguenza lascissa x0 (t) della particella non e altro che la sua distanza r(t)
da O. Rispetto allosservatore S 0 , il moto del pianeta si svolge completamente lungo lasse
X 0 (si veda Fig. 9.3). Egli, in altre parole, non vede la componente rotazionale del moto
della particella in S, poiche ruota assieme ad essa. Nel caso del moto di un pianeta intorno al
sole, per esempio, vedremo che la traiettoria descritta dal pianeta e una ellissi. Losservatore
S 0 vede il pianeta oscillare lungo il suo asse X 0 allinterno di un segmento compreso tra una
distanza minima rmin dal sole (perielio) ed una distanza massima rmax (afelio). E istruttivo
analizzare in dettaglio il moto della particella nel sistema ruotante S 0 . Sappiamo che la
velocita ~v 0 misurata in questo SR e legata a quella in S dalla relazione:
~v 0 = ~v
~ ~r , (9.1.13)
Figura 9.3: Moto della massa (p.es. di un pianeta o una cometa) rispetto ad un osservatore
ideale localizzato nel centro della forza (p.es. il sole) e che ruota assieme ad essa. Il moto e
rettilineo ed e descritto dalla sola componente radiale r(t) del moto in S.
ove abbiamo usato la proprieta ~uz ~ur = ~u . Come previsto la velocita in S 0 ha solo com-
ponente radiale (ovvero e diretta lungo X 0 ) pari a v 0 = dr/dt, ed il moto e unidimensionale
lungo tale direzione. Losservatore S 0 calcola laccelerazione ~a0 derivando ~v 0 rispetto al tempo:
d~v 0 dv 0 d2 r
0
~a = = ~ur = 2 ~ur = a0 ~ur , (9.1.15)
dt S0 dt dt
ove la derivata e fatta da S 0 considerando ~ur costante essendo lasse radiale X 0 fisso nel suo
SR. In S 0 viene quindi scritta l equazione di Newton tenendo conto delle forze inerziali oltre
alla forza fisica F :
~a0 = F + F inerziali ,
Mostriamo che la risultante delle forze inerziali consiste nella sola forza centrifuga. Ricor-
diamo lespressione generale di F inerziali :
F inerziali =
~ ~r + F Coriolis + F centrif uga , (9.1.16)
9.1. IL PROBLEMA GENERALE 175
Figura 9.4: Energia potenziale del moto unidimensionale lungo la direzione radiale, nel caso
di forza attrattiva (gravitazionale o elettrostatica tra cariche di segno opposto), figura sopra,
o repulsiva (elettrostatica tra cariche dello stesso segno), figura sotto.
F Coriolis = ~0. Lequazione del moto in S si riscrive quindi nella seguente forma:
0
(1d)
~a0 = F + F centrif uga = F ,
176 CAPITOLO 9. APPROFONDIMENTO
dove
(1d) L2
F = ( 2 + r 2 ) ~ur = ( 2 + ) ~ur = F (1d) (r) ~ur . (9.1.20)
r r r3
Vediamo che il moto in S 0 e un moto unidimensionale (lungo la direzione radiale), soggetto
(1d)
ad una forza risultante F (somma della forza fisica e di quella centrifuga), diretta lungo
la direzione del moto e che dipende dalla sola posizione della particella. Sappiamo che tale
(1d)
forza e conservativa ed e quindi derivabile da un energia potenziale Ep (r), legata ad essa
dalla nota relazione:
(1d)
L2
Z
(1d) dEp
F (r) = (r) Ep (r) = F (1d) (r)dr + cost. = +
(1d)
, (9.1.21)
dr r 2 r2
ove la costante additiva arbitraria e stata fissata richiedendo che lenergia potenziale sia
(1d)
nulla nella configurazione in cui la forza F e nulla, ovvero per r . Vale quindi, per il
0
moto unidimensionale in S , il principio di conservazione dellenergia meccanica, che prende
2
proprio la forma (9.1.12) trovata in precedenza, dove il termine 2 L r2 ha due interpretazioni
a seconda dellosservatore: rispetto ad S 0 esso rappresenta il contributo corrispondente alla
forza centrifuga (repulsiva) allenergia potenziale, mentre rispetto ad S, esso e il contributo
allenergia cinetica Ek della componente angolare del moto. In Fig. 9.4 e rappresentata
(1d)
lenergia potenziale Ep associata al moto unidimensionale radiale in S 0 nel caso di una
forza attrattiva ( > 0, grafico di sopra) e repulsiva ( < 0, grafico di sotto). Da questo
grafico possiamo ricavare informazioni qualitative importanti sulla componente del moto
radiale per fissata energia totale E. Nel caso attrattivo la particella e soggetta a due forze
(1d)
contrastanti: quella attrattiva F e la forza centrifuga repulsiva. La curva di Ep presenta
un minimo, corrispondente ad una distanza r dal centro della forza alla quale le due forze
sono in equilibrio:
(1d)
dEp L2 L2
F (1d) (r ) = (r ) = 2 + = 0 r = . (9.1.22)
dr r r3
Sappiamo che la particella puo muoversi solo in quellintervallo di valori di r per cui E
(1d)
Ep (r). Questo fissa un valore minimo dellenergia meccanica corrispondente al minimo
(1d)
dellenergia potenziale Ep :
2
E min(Ep(1d) ) = Ep(1d) (r ) = . (9.1.23)
2 L2
La componente radiale del moto e figurativamente descrivibile dal moto di una pallina ideale
(1d)
che viene lasciata rotolare lungo il profilo dellenergia potenziale Ep , a partire da ferma, in
uno dei punti in cui lenergia potenziale uguaglia quella meccanica E. Nel caso attrattivo,
quindi, lenergia meccanica puo assumere valori negativi. Se 0 > E > Emin , il moto radiale
si svolge in un intervallo finito tra una distanza minima rmin ed una massima rmax , alle quali
(1d)
lenergia potenziale Ep uguaglia lenergia meccanica totale E. Troviamo:
s ! s !
2 L2 E 2 L2 E
rmin = 1 1+ ; rmax = 1+ 1+ . (9.1.24)
2E 2 2E 2
9.1. IL PROBLEMA GENERALE 177
In questo caso, quindi, la traiettoria e limitata, non estendendosi fino a distanza infinita.
Come vedremo essa e descritta da una ellisse. Un esempio importante e il moto dei pianeti
intorno al sole, posizionato nel centro O della forza gravitazionale ed rmin , rmax sono il
perielio e lafelio. Cosa succede se E = Emin ? Lasciando la pallina ideale nel minimo da
ferma, l rimane in ogni istante, ovvero e assente la componente radiale del moto e la distanza
dal centro e costante e pari a r :
L2
E = Emin r(t) = r = . (9.1.25)
Lorbita in S e quindi un cerchio di raggio r . Concludiamo che, fissato il momento angolare
L, lorbita circolare e quella di minore energia.
Il fatto che lorbita corrispondente ad un valore negativo dellenergia meccanica sia li-
mitata si puo interpretare con il fatto che lenergia cinetica non e sufficiente affinche la
particella sfugga allazione attrattiva della forza F , ovvero far raggiungere alle due parti-
celle 1, 2 distanza infinita. Questo e legato al fatto che, essendo E < 0, lenerga cinetica e
sempre minore del valore assoluto dellenergia potenziale e questultimo, ricordiamo, misura
il lavoro che compirebbe F se la particella fosse portata da una distanza r allinfinito. Nel
caso dellorbita circolare, per esempio, lenergia cinetica Ek in S ha solo il contributo dal-
la componente angolare del moto e vale la meta del valore assoluto dellenergia potenziale
Ep (r):
2
m 2
2 2 2 2 L Ep (r )
Ek = v = r = r = = = . (9.1.26)
2 2 2 r2 2 L2 2r 2
Si dice che per E < 0 le due particelle 1, 2 formano uno stato legato. Il minimo valore di
energia E da fornire al sistema per liberare le particelle interagenti dalla loro reciproca
attrazione e quellenergia che consente ad esse di raggiungere distanza infinita con velocita
(min)
nulla. Lenergia meccanica corrispondente a questo stato libero Elib. e nulla, essendo
le particelle ferme (energia cinetica nulla) a distanza infinita (energia potenziale nulla).
Troviamo quindi che E e lenergia da fornire per aumentare lenergia meccanica da E
(min)
a Elib. = 0:
(min)
E = Elib. E = E > 0 . (9.1.27)
Essa e detta energia di legame del sistema. Se lo stato legato e invece quello costituito
dal nucleo di un atomo e dallelettrone piu esterno, E e lenergia da fornire allatomo per
liberarlo di questultimo, ovvero per ionizzarlo e E e detta energia di ionizzazione.
Restando nel caso attrattivo ( > 0), se E = 0, la pallina, lasciata da ferma, raggiunge
distanza infinita con energia cinetica nulla (Ek0 e la distanza tra la retta orizzontale che
(1d)
rappresenta E e il grafico di Ep ). Se E = 0 lenergia cinetica Ek in S ha il minimo valore
che permette alle due particelle di raggiungere distanza infinita, ed esse la raggiungeranno
con velocita nulla. Essa, infatti, e sempre pari allopposto dellenergia potenziale Ep (r) e
tende a zero per r . La distanza minima rmin raggiunta tra le due particelle vale:
L2 r
E = 0 r rmin = = . (9.1.28)
2 2
178 CAPITOLO 9. APPROFONDIMENTO
9.1.1 Traiettorie
Avendo ridotto, usando la conservazione del momento angolare, la componente radiale del
moto ad uno moto rettilineo, possiamo determinarlo usando la conservazione dellenergia
meccanica, ovvero risolvendo lequazione integrale del tipo (5.6.7):
Z r(t)
dr
q = t r(t) , (9.1.30)
2 (1d)
r0
(E Ep (r))
essendo r0 = r(t = 0) la distanza iniziale tra le due particelle. Ricavato il moto radiale r(t),
possiamo ricavare la componente angolare nel modo descritto sopra.
Noi non affronteremo qui questo problema, bens ci limiteremo a determinare lequazione
della traiettoria, ovvero la relazione tra le coordinate r, della particella di massa durante
suo moto.
Se questo moto e descritto dalle funzioni r = r(t), = (t), lequazione della traiettoria
si ottiene invertendo la seconda equazione e sostituendo il tempo t() in funzione di nella
prima. Determiniamo cos la distanza come funzione di attraverso t: r() = r(t()). La
derivata di r rispetto a si ottiene applicando quindi la formula della derivata delle funzioni
composte:
dr dr dt dr 1 1 dr r2 dr
= = = = . (9.1.31)
d dt d dt d
dt
dt L dt
Ora ricordiamo lespressione di dr
dt
ricavata dalla conservazione dellenergia meccanica:
r
r2
q
dr 2 (1d) dr (1d)
= (E Ep (r)) = 2(E Ep (r)) . (9.1.32)
dt d L
q
2 (1d)
Moltiplichiamo ambo i membri dellultima equazione per L d/r e dividiamo per 2(E Ep (r)):
L dr
q = d . (9.1.33)
(1d)
r2 2(E Ep (r))
9.1. IL PROBLEMA GENERALE 179
Per procedere conviene riscrivere lespressione sotto radice nel seguente modo:
2 L2 2 2 2 2 2 L2
2(E Ep(1d) (r)) = 2E + 2 = 2E + 2 2 + 2 = C 2 B(r)2 ,
r r L L r r
dove abbiamo definito:
2 2 2 L r2 1d
C = 2E + 2 ; B(r) = = F (r) . (9.1.35)
L r L L
Notiamo che C 2 non e mai negativo in virtu della condizione E Emin e indichiamo con C
la sua radice positiva:
r s
2
2 || 2EL2
C = 2E + 2 = + 1 > 0. (9.1.36)
L L 2
(1d)
Inoltre, se r = rmin sappiamo che E = Ep e B(rmin ) = C (se E < 0 abbiamo anche il
(1d)
valore r = rmax al quale E = Ep , ma B(rmax ) = C). Riscriviamo quindi (9.1.34) nella
forma: Z r() Z r()
L dr L dr
2
p
C 2 B(r)2
= r 2 = . (9.1.37)
rmin r
rmin
C r2 1 B(r)
C
ove, nellultimo passaggio, abbiamo moltiplicato ambo i membri per L/(). Abbiamo rica-
vato lespressione di r(), ovvero lequazione della traiettoria, come soluzione dellequazione:
d d
= cos() r() = , (9.1.42)
r || ||
+ cos()
Questa e lequazione della traiettoria che troviamo nel caso repulsivo (9.1.45) e i punti che
la soddisfano definiscono un ramo di iperbole di cui il centro O della forza occupa il fuoco
esterno.
Iniziamo con il considerare il caso attrattivo > 0 e distinguiamo i casi rilevanti.
< 1. Dalla (9.1.43) risulta che questo caso corrisponde ad un valore negativo dell energia
meccanica E < 0. Al variare di da a r() rimane sempre finito (orbita limitata) e
varia da un valore minimo rmin = r( = 0) ad un valore massimo rmax = r( = ) dati da:
d d
rmin = ; rmax = . (9.1.49)
1+ 1
Sostituendo il valore di dato nella (9.1.43) in funzione dei parametri del moto, e imme-
diato verificare che i valori dati sopra coincidono con quelli ricavati dal grafico dellenergia
(1d)
potenziale Ep , eq. (9.1.24). La conica corrispondente e una ellissi con eccentricita , si
veda Figura 9.7 (1). Il semiasse maggiore a e dato da
rmin + rmax d
a= = . (9.1.50)
2 1 2
182 CAPITOLO 9. APPROFONDIMENTO
Il semiasse minore b si puo ottenere come il valore massimo dellordinata y dei punti sullellisse
al variare di . Tale ordinata in funzione di vale:
d sin() dy d
y() = r() sin() = = ( + cos()) . (9.1.51)
1 + cos() d (1 + cos())2
d
b = y(0 ) = . (9.1.52)
1 2
1
cos() > , (9.1.53)
ovvero
0 < < 0 , (9.1.54)
ove 0 e sempre langolo positivo per cui cos(0 ) = 1/. La distanza minima raggiunta tra
184 CAPITOLO 9. APPROFONDIMENTO
delliperbole. Consideriamo tante cariche identiche +q che incidono sulla carica +Q con
la stessa velocita iniziale ~vi . Nellistante iniziale le particelle sono cos lontane da +Q che
possiamo trascurare il contributo dellenergia potenziale allenergia meccanica. Questa e
quindi totalmente cinetica e dipende dal solo modulo di ~vi . Tutte le cariche +q indicenti
hanno percio la stessa energia meccanica E. Cio che cambia da particella a particella e il
parametro durto b, definito come la distanza di +Q dalla loro direzione di incidenza. Questo
parametro determina il momento angolare. Infatti, essendo esso costante, possiamo calcolare
L nellistante iniziale:
L = ~r p~i L = r|~pi | sin() = |~pi | b , (9.1.55)
ove e langolo tra ~r e p~i = ~vi . A parita di velocita iniziale vi , allaumentare di b, aumenta
L e quindi , diminuisce cos(0 ) = 1/ e quindi aumenta lapertura 20 delliperbole. Di
conseguenza diminuisce langolo di deflessione . Inoltre allaumentare di L aumenta anche
rmin , come si puo facilmente verificare. Diminuendo invece b, si riduce L e la particella riesce
186 CAPITOLO 9. APPROFONDIMENTO
ad avvicinarsi di piu a +Q, subendo una deflessione maggiore. Possiamo definire un valore
minimo del parametro durto b0 tale che, se b > b0 , langolo di deflessione e trascurabile
e si puo pensare che linterazione tra le due cariche non abbia avuto luogo. Se abbiamo
un fascio di cariche +q incidenti con la stessa velocita iniziale, quelle che interagiranno in
modo apprezzabile con +Q sono quelle deviate di un angolo sensibilmente diverso di zero,
ovvero che hanno b < b0 . La linea di indicenza di queste particelle intersechera quindi un
disco ideale di raggio b0 , perpendicolare alla direzione di incidenza e centrato sul centro di
diffusione. Larea di questo disco b20 e detta sezione durto e caratterizza il processo di
interazione. Essa dipendera anche dalla velocita iniziale in quanto, a parita di b, particelle
piu veloci sono deviate di meno perche si avvicinano a +Q per meno tempo, ovvero il tempo
di interazione e minore.
a3 3 2 E3
G(m1 + m2 )
= = = , (9.2.4)
T2 8E 3 2 2 4 2 4 2
ove abbiamo usato che = Gm1 m2 . Se la particella 1 e il sole e la particella 2 il pianeta,
abbiamo che m1 = Ms m2 ed il rapporto diventa
a3 GMs
2
= . (9.2.5)
T 4 2
9.2. LE LEGGI DI KEPLERO 187
Si osservi che questo rapporto non dipende dal pianeta. Questo fu osservato per la prima
volta da Keplero ed e il contenuto della sua terza legge.
Riassumiamo quanto abbiamo imparato sul moto dei pianeti intorno al sole attraverso le
tre leggi di Keplero:
Prima legge: i pianeti descrivono orbite ellittiche di cui il sole occupa uno dei fuochi;
Seconda legge: il raggio vettore che definisce la posizione del pianeta intorno al sole spazza aree uguali
in tempi uguali (costanza della velocita areolare);
Terza legge: Il rapporto tra il cubo del semiasse maggiore dellorbita ellittica ed il quadrato del
periodo del moto di rivoluzione non dipende dal pianeta.
Leccentricita dellorbita della terra e di 0.017. Questo vuol dire che il rapporto tra il
semiasse minore e maggiore vale:
b
= 1 2 1 , (9.2.6)
a
ovvero lorbita terrestre e ben approssimata da un cerchio di raggio R a b 1.5
108 Km. Ad avere eccentricita maggiore nel nostro sistema solare sono Mercurio con 0.21
e Plutone con 0.25. Per essi il rapporto b/a vale rispettivamente 0.98 e 0.97. Possiamo
comunque dire che le orbite dei pianeti sono ben approssimabili con orbite circolari. Se
indichiamo con Rorb a la distanza media del pianeta dal sole (raggio della circonferenza
che approssima lorbita) e v la velocita media, possiamo scrivere, approssimando il moto con
un moto circolare uniforme:
2 Rorb 2 a a2 4 2 a3 G Ms
v= = v 2 = 4 2 2 = 2
= , (9.2.7)
T T T a T a
ove abbiamo usato la terza legge di Keplero. Vediamo che i pianeti che orbitano piu vicini
al sole (come Mercurio) si muovono con velocita maggiore di quelli piu lontani.
188 CAPITOLO 9. APPROFONDIMENTO
Capitolo 10
In meccanica e di solito fatta distinzione tra i due stati di materia: solidi e liquidi. La prima
categoria comprende i corpi rigidi e i materiali elastici, mentre la seconda comprende sia
sostanze gassose che liquide. I fluidi, al contrario dei solidi, sono caratterizzati da forze di
coesione molto piu deboli tra le loro componenti (molecole), che consentono loro di fluire
Come conseguenza di cio, le sostanze fluide non hanno una forma precisa, ma di solito
si adattano alla forma del recipiente che li contiene. Un altro modo di caratterizzare la
differenza tra i solidi e liquidi e di dire che la distanza tra due punti qualsiasi in un solido e o
costante (corpi rigidi) o che puo variare in un intervallo limitato (materiali elastici), mentre
la distanza tra due punti allinterno di un fluido puo variare indefinitamente col tempo.
Le sostanze liquide sono ulteriormente distinti dai gas dalla proprieta di essere incompres-
sibili, vale a dire il loro volume non puo essere modificato da qualsiasi azione esterna. Inoltre
la loro densita e approssimamente uniforme. Questo non e vero per le sostanze gassose che
possono essere compresse da sollecitazioni esterne e tendono ad espandersi fino a riempire
il recipiente chiuso in cui sono contenute. Questo comportamento e dovuto alle frequenti
collisioni che avvengono tra le molecole allinterno di un gas.
La densita dei gas in genere varia da punto a punto e dipende sia dalla pressione che dalla
temperatura. Se siamo interessati a studiare il comportamento meccanico di liquidi e gas, e
cioe le leggi che governano il loro moto, le loro caratteristiche distintive non sono rilevanti,
mentre occorre prendere in considerazione solo le proprieta li accomunano come fluidi.
189
190 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
provocando una deformazione localizzata, senza farlo muovere nel suo complesso. In altre
parole, il fluido non puo sostenere una tale azione.
Se, daltro canto, tiriamo un sacchetto contenente acqua, lacqua si muovera sotto leffetto
delle forze che il sacchetto esercita sull acqua che possono essere pensate distribuite sulla
superficie di contatto dellacqua con la borsa. Le sollecitazioni esterne che possano agire sullo
stato di moto di un fluido sono tipicamente descritte da una forza distribuita con continuita
su una porzione estesa della superficie che lo racchiude.
Se il fluido e a riposo, le sollecitazioni sono descritte da forze che sono perpendicolari alla
superficie che lo racchiude. Infatti le forze tangenziali causerebbero uno slittamento degli
strati del fluido, uno rispetto allaltro, in modo da determinare un moto del fluido che non
e osservato quando esso e a riposo. E utile, per descrivere questa situazione, introdurre il
concetto di pressione che e grosso modo definito come la misura della forza normale (i.e.
perpendicolare alla superficie) per unita di superficie su cui agisce. Consideriamo la borsa
riempita di acqua (ved. Fig. 10.1).
Figura 10.1:
Lacqua sara soggetta ad una forza esercitata dal sacchetto sulla superficie di contatto e
reagira con una forza verso lesterno applicata alla superficie della borsa. Sia lacqua a riposo
e prendiamo in considerazione un elemento S della superficie di contatto. Supponiamo che
S sia sufficientemente piccolo da essere approssimativamente piatto. Sia ~n il vettore unita
normale a S e rivolto verso lesterno.
Su ogni punto di S sara applicata una forza verso lesterno del contenitore. Tutte
queste forze sono normali a S e, pertanto, sono dirette lungo ~(n). Sia F = F ~n la loro
risultante, vale a dire la forza esercitata dal fluido contro la superficie S del contenitore.
Al diminuire dellestensione di S il rapporto F/S in generale cambiera, in quanto
lintensita della forza che agisce su ciascun punto di S non e uniforme. Al limite S 0,
10.1. FORZE ESTERNE SUI FLUIDI E STATICA DEI FLUIDI 191
F dF
p = lim = . (10.1.1)
S0 S dS
La pressione ha la dimensione di una forza divisa per una superficie, e quindi, nel sistema
MKSA, viene misurata in unita N/m2 detta Pascal.
Ricordiamo ora la definizione di densita di . Essa misura la massa di un corpo, che puo
essere solido o fluido, per unita di volume e descrive come la materia e distribuita al suo
interno. Si tratta di una quantita scalare, definita in ogni punto allinterno delloggetto e
che puo essere calcolata, in un punto P , prendendo un elemento di volume V intorno a P
e quindi misurando il valore limite del rapporto m/V , dove m e la massa contenuta
allinterno di V , mentre riduciamo gradualmente V fino al punto P , vale a dire calcolando
il limite V 0.
In pratica, puo essere misurata prendendo lelemento di volume V = dV abbastanza
piccolo da poter considerare la massa distribuita in modo uniforme allinterno di esso e poi
calcolando il rapporto dm/dV , dm essendo la massa contenuta allinterno di dV
m dm
= lim = . (10.1.2)
V 0 V dV
La densita ha la dimensione di una massa divisa per un volume e pertanto e misurata, nel
sistema MKSA , in unita di Kg/m3 . E importante notare che stiamo sempre considerando
distribuzioni continue di materia e la materia appare continua solo se vista a scale di lun-
ghezza molto piu grandi rispetto alla distanza media tra molecole o atomi allinterno di essa,
vale a dire a scala macroscopica in cui si puo ignorare la sua struttura microscopica discreta.
Per questo motivo, dobbiamo sempre pensare gli elementi infinitesimi di superficie o di
volume dS o dV come aventi dimensioni piccole ma ancora macroscopiche, e cioe contenenti
un numero sufficientemente elevato di molecole in modo che si possa considerarle come
continuamente distribuite allinterno della materia.
La densita di un fluidoin generale dipende dalla sua temperatura T e dalla pressione
esterna a cui e soggetto. Per quanto riguarda i liquidi, tuttavia, risulta variare molto
poco, quando la temperatura e la pressione esterna variano in un ampio intervallo di valori,
e quindi puo essere considerata, in una buona approssimazione per tutti i nostri scopi,
come indipendente di tali quantita. Questo non e nel caso dei gas, la cui densita e, in
generale, sensibile sia alla temperatura che alla pressione. Ad esempio, la densita dellaria
(a T = O o C) e 1.293 Kg/m3 mentre la densita dellacqua e 103 Kg/m3 = 1Kg/litro.
192 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
Figura 10.2:
Il peso del disco e F W = dmg ~u = A g dz ~u, ove ~u e il versore del nostro asse.
Oltre alla forza gravitazionale F W che e una forza di volume che agisce sul centro di massa
dellelemento fluido, il disco e soggetto allazione del fluido circostante, descritta da una certa
pressione esercitata sulla sua superficie. Osserviamo che non vi e una forza totale dovuta alla
pressione sulla superficie laterale del disco, dal momento che una forza orizzontale risultante
non nulla dovrebbe causare il movimento del sul piano orizzontale, mentre in una situazione
di equilibrio questo movimento non avviene.
In realta, in virtu della simmetria del sistema, le forse sul volumetto appariranno esat-
tamente le stesse se lo ruotiamo rispetto al proprio asse. Pertanto, la forza che agisce su un
punto qualsiasi sulla sua superficie laterale e esattamente compensata dalla forza che agisce
sul punto diametralmente opposto. Consideriamo ora la forza risultante che agisce nella dire-
zione verticale. Il fluido al di sopra del disco esercitera una pressione p(z + dz) = p + dp sulla
sua faccia superiore, a causa di una forza diretta verso il basso F + che e uniformemente di-
stribuiti sulla faccia superiore ed ortogonale ad essa. Dalla definizione (10.1.1) siamo in grado
di esprimere questa forza in termini della corrispondente pressione: F + = (p + dp) A ~u. Il
fluido al di sotto del disco esercitera una pressione p = p(z) su di esso la cui risultante e una
forza verso lalto F = p A ~u. Le forze verticali agenti sul centro di massa del disco sono
percio F W , F + , F . Il disco rimarra fermo se la loro risultante sara nulla:
0 = F W + F + + F = ( A g dz + (p + dp) A p A)~u = ( A g dz + dp A)~u .
(10.2.1)
Dividendo entrambi i membri di questa equazione per dz, otteniamo lequazione dellequili-
brio.
dp
= g (z) . (10.2.2)
dz
Questa e lequazione principale che governa la statica dei fluidi. Si tratta di un equazione
differenziale che descrive come la pressione deve essere distribuita allinterno di un fluido,
soggetto alla forza gravitazionale sulla superficie della terra, in modo che esso sia a riposo. La
soluzione p(z) dell eq. (10.2.2) dipende dal modo in cui la densita (z) varia con z. Suppo-
niamo di conoscere (z) e la pressione in un punto P0 ad una data di altezza z0 (p(z0 ) = p0 ).
Usando l equazione (10.2.2) siamo in grado di determinare la pressione p in ogni punto P
del fluido.
Supponiamo che P sia situato ad una altezza z, sulla stessa linea verticale di P0 . Di-
vidiamo il segmento verticale P0 P in un numero infinito di spostamenti infinitesimi dz, in
cui puo essere considerato uniforme. La differenza di pressione tra P0 and P puo essere
espressa come la somma delle variazioni infinitesime dp di p in ciascun intervallo, le quali, a
loro volta. sono espresse in termini della densita mediante lequazione (10.2.2):
Z p Z z
p(z) p0 = dp = g (z 0 ) dz 0 . (10.2.3)
p0 z0
Se il punto P non si trova sulla stessa linea verticale di P0 i due punti possono essere
congiunti da una successione di segmenti infinitesimi orizzontali e verticali ed quindi si potra
194 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
esprimere pp0 come lintegrante sulle variazioni dp lungo ogni spostamento (ved Fig. 10.3).
Dal momento che p dipende solo z, la sua variazione lungo i segmenti orizzontali sara pari
Figura 10.3:
a zero, e quindi lintegrale ha contributi non nulli solo dagli spostamenti verticali, ossia si
riduce allintegrale (10.2.3) nella sola variabile z. Si noti che la differenza di pressione tra
due punti non dipende dalleffettiva quantita di fluido tra i due punti, ne dipende dalla forma
del contenitore, ma solo dalla distribuzione di densita e dalla loro altezza.
Esprimiamo la soluzione di (10.2.3) in qualche situazione specifica in cui (z) ha una
forma particolare. Ogni strato di liquido e sottoposto a una pressione dovuta al peso del
liquido sovrastante. Pertanto ci aspettiamo che gli strati piu bassi siano piu compressi, e
quindi avere una maggiore densita di (z). I liquidi tuttavia, come gia sottolineato, sono
caratterizzati dall essere incompressibili, vale a dire la loro densita non e apprezzabilmente
influenzata dalle variazioni della pressione esterna a cui sono soggetti. Per questo motivo
possiamo assumere, in una buona approssimazione, che la densita di un liquido e indipendente
dallaltezza (z) . In questo caso lequazione (10.2.3) ha la semplice forma
p(z) = p0 g (z z0 ) . (10.2.4)
Se abbiamo un liquido contenuto in un recipiente, si puo prendere il livello di riferimento z0
in corrispondenza alla sua superficie libera che lo separa dallaria sovrastante. La corrispon-
dente pressione di riferimento p0 sara la pressione dellaria e lequazione (10.2.4) esprime la
pressione allinterno del liquido in funzione della profondita (z z0 ) del punto dalla superficie
libera.
Come abbiamo gia sottolineato, i gas differiscono dai liquidi in quanto non sono incom-
pressibili, vale a dire la loro densita dipende dalla pressione esterna. Ci aspettiamo che per
il gas sulla superficie della terra, come per laria nellatmosfera, dipendera da z.
10.2. EQUILIBRIO DI UN FLUIDO 195
Tuttavia, poiche la densita del gas e in generale molto piu piccola della densita dei liquidi,
la sua variazione con laltezza e apprezzabile solo su scala relativamente larga.
Esempio 1 Se noi supponiamo che la temperatura sia uniforme nell atmosfera, che e
unassunzione fortemente semplificativa, la densita dellaria puo essere ritenuta, in buona
approssimazione, proporzionale alla pressione. Cio significa che, se la densita e la pressione
a un certo livello di riferimento z0 hanno valori 0 , p0 rispettivamente, i loro valori ad una
generica altezza z sono legati come segue:
0
= p. (10.2.5)
p0
Sostituendo tale valore nella equazione (10.2.2) troviamo la seguente equazione differenziale
dp 0
= g p. (10.2.6)
dz p0
Lequazione e risolta moltiplicando entrambi i membri per dz/p e ricordando che d(log(p)) =
dp/p
0
d(log(p)) = g dz . (10.2.7)
p0
Integriamo entrambi i membri da z0 a z
Z log(p) Z z
0 0 0 0
log(p) log(p0 ) = d(log(p )) = g dz = g (z z0 )(10.2.8)
.
log(p0 ) p0 z0 p0
Figura 10.4:
un livello z0 < z, e risolvere lequazione (10.2.2) lungo le curve (1) e (2) che collegano A
a P1 e P2 rispettivamente. Troviamo la stessa soluzione (10.2.4) per la pressione p = p(z)
nei due punti. Tuttavia, sebbene il punto P3 nel tubo di destra e allo stesso livello di P1 e
P2 , esso e contenuto allinterno di un fluido diverso con densita 0 6= . La pressione in P3 ,
p0 (z) = p(P3 ), e ottenuta risolvendo prima lequazione (10.2.2), con densita uniforme lungo
il percorso (3) fino a z = L1 , e poi, prendendo come livello di riferimento L1 , risolvendo
(10.2.2) allinterno del liquido con densita uniforme 0 fino a P3
Vediamo che p(z) 6= p0 (z). Un altra caratteristica di un liquido in stato di riposo e che tutte
le sue superfici libere che vengono a contatto con latmosfera si trovano allo stesso livello.
Infatti, la pressione su S1 e S2 coincide con quella dellatmosfera pA . Pertanto, usando
(10.2.3), il loro livello e lo stesso ed e dato da L = z0 (pA p0 )/(g ). E utile esprimere il
rapporto tra le due densita in termini di livelli delle superfici libere S1 , S2 ed S3 , osservando
che su S3 la pressione e pA . Se scriviamo equazione (10.2.10) prendendo P3 su S3 , ossia
z = L1 + L2 and p0 (z) = pA troviamo
pA = p0 g 0 L2 g (L1 z0 ) . (10.2.11)
0 L L1
= . (10.2.12)
L2
10.2. EQUILIBRIO DI UN FLUIDO 197
Si noti che se S3 e al di sopra del livello di S1 and S2 , come in Fig. 10.4, allora L L1 < L2
e questo si verifica se 0 < . Se, invece, 0 > , avremmo L L1 > L2 e la superficie
libera del liquido con densita 0 sarebbe al di sotto del livello di S1 e S2 . Siamo in grado
di comprendere questo risultato in un modo piu intuitivo. Si consideri la pressione in un
punto situato allinterno del tubo di sinistra al livello L1 e in un punto situato allinterno
del tubo di destra, sullinterfaccia tra i due liquidi. Poiche i due punti appartengono allo
stesso liquido e si trovano allo stesso livello, i due valori della pressione saranno uguali. Dal
momento che la pressione su S1 e S3 e anche la stessa, ne consegue che la colonna di altezza
L L1 , e base S1 , contenente il liquido di densita di , deve avere lo stesso peso, per unita di
superficie di base, della la colonna di altezza L2 e superficie di base S3 contenente il liquido
di densita di 0 . Eguagliando i due pesi per unita di superficie si ottiene leq.(10.2.12).
Come precedentemente sottolineato, lequazione (10.2.2), o equivalentemente (10.2.3),
implica che, in un fluido a riposo, la differenza di pressione tra due punti al suo interno
dipende solo dalla loro posizione relativa e dalla distribuzione di materia (descritta dalla
funzione densita). Se il fluido e incompressibile, una variazione della pressione in un punto,
non potendo modificare , indurrebbe un nuovo stato di equilibrio in cui la pressione varia
della stessa quantita in qualsiasi altro punto allinterno del fluido, in modo che la differenza
di pressione rimanga costante allinterno del volume.
Si consideri ad esempio un liquido contenuto allinterno di un contenitore a forma cilin-
drica, chiuso nella parte superiore da un pistone. Per mezzo del pistone, e possibile variare
la pressione esercitata sulla superficie superiore del fluido. Se mettiamo un peso sul pistone,
la pressione sul liquido aumentera di una certa quantita. Il liquido si portera, quasi istan-
taneamente, ad un nuovo stato di equilibrio in cui il pressione in un punto qualsiasi del suo
volume e sulla superficie interna del contenitore aumentera della stessa quantita. Lo stesso
accade per un fluido comprimibile, come un gas. In questo caso una variazione della pressione
esterna induce una variazione di densita locale (per esempio nella regione vicino al pistone),
che rappresenta un perturbazione dello stato di equilibrio del fluido. Questa perturbazione
si propaga, dalla regione in cui e prodotta, a tutto il fluido come unonda, con la velocita
data dalla velocita del suono nel fluido. Dopo qualche tempo la variazione di pressione e la
densita sara trasmessa al resto del fluido determinando un nuovo stato di equilibrio in cui
la pressione in tutti i i punti allinterno del liquido e sulla superficie interna del contenitore,
cambiera della stessa quantita. In questo caso, tuttavia, la funzione densita nel nuovo stato
di equilibrio non sara costante. Questo risultato e formulato nel seguente principio, detto
principio di Pascal essendo dovuto allo scienziato francese Blaise Pascal (1623-1662):
La pressione applicata ad un fluido chiuso e trasmessa intatta in ogni porzione del fluido
e sulle pareti del contenitore.
Dalle leggi che regolano la statica del fluido si puo dedurre anche il principio di Archimede:
Un corpo, parzialmente o totalmente immerso in un fluido, e soggetto ad una forza verso
lalto, uguale in grandezza al peso del fluido spostato dal corpo.
Se un oggetto e immerso in un fluido, ad esempio lacqua, esso subira una pressione sulla
sua superficie esposta al fluido, da parte del fluido circostante. Si consideri un corpo che e
totalmente o parzialmente immerso in un fluido. La pressione esercitata dal fluido circostante
sulla parte immersa S della sua superficie, non dipende dal materiale di cui loggetto e fatto,
198 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
Figura 10.5:
ma solo dal volume V della sua parte immersa e dalla sua forma. Possiamo prendere in
considerazione una porzione del liquido racchiuso nella stessa superficie S, e quindi avente
volume V , che rappresenta la quantita di fluido spostato quando loggetto fu immerso.
Questa porzione di liquido sara fermo, in equilibrio statico con il fluido circostante, perche
sarebbe come tracciare una superficie immaginaria, avente la forma del contorno del corpo,
allinterno del fluido fermo. Pertanto, la forza risultante F B , dovuta alla pressione del fluido
(f )
circostante sul volume V di fluido e compensata dal suo peso F W = g f V ~u, dove f e
la densita (media) del fluido in V .
(f )
F B = F W = g f V ~u . (10.2.13)
Questa e la stessa forza, detta forza di Archimede, che agisce sulla parte immersa dell
oggetto, dovuta al fluido circostante. Essa e uguale in intensita al peso del fluido spostato.
Se il corpo ha densita media densita e volume totale Vtot , la forza risultante che agisce su
di esso e
F = F B + F W = g (f V Vtot ) ~u . (10.2.14)
Se < f , come nel caso di ghiaccio immerso in acqua, ( = 0.92 103 Kg/m3 , f =
1 103 Kg/m3 ), il volume V della parte immersa delloggetto, allequilibrio dovrebbe essere
10.3. MISURA DELLA PRESSIONE 199
tale che F = 0, cioe si dovrebbe avere che
V
= . (10.2.15)
Vtot f
Se > f , questo equilibrio non sara mai raggiunto essendo V Vtot e loggetto affonderebbe
raggiungendo il fondo del fluido.
pA = g h , (10.3.1)
dove = 13.6 103 Kg/m3 e la densita del mercurio. Possiamo pensare pA , in un punto della
superficie della terra, come il peso per unita di superficie della colonna daria che si estende
dal punto alla fine dellatmosfera. La quantita di aria in questa colonna non e costante,
poiche laria nell atmosfera e in continuo movimento. Come conseguenza di cio, laltezza
della colonna di mercurio varia da un giorno allaltro, come osservato da Torricelli. Tuttavia,
al livello del mare laltezza media della colonna di mercurio e di circa 76 cm. Un atmosfera
standard (atm) e definita come la pressione corrispondente ad una colonna di mercurio alta
proprio 76 cm alla temperatura di 0 o C:
Esercizio 7.2 Determinare laltezza di una colonna dacqua che riproduce la pressione
atmosferica pA .
Solutione.h = 10.34 m
Figura 10.6:
particolare manometro che consiste di un tubo ad U contenente aria, con densita aria , e un
fluido con densita . Questo strumento consente di determinare la differenza pA pB della
pressione dellaria nei punti A and B, mediante le differenze di altezza h3 h1 tra le colonne
di liquido nei due tubi verticali. Applichiamo l equazione (10.2.3) nelle due colonne del
tubo ad U e assumiamo come livello di riferimento quello di un punto O nella parte inferiore
dellapparecchio. Troviamo
pA = pO g aria (h2 h1 ) g h1 ,
pB = pO g aria (h2 h3 ) g h3 , .
pA pB = g (h3 h1 ) . (10.3.4)
10.3. MISURA DELLA PRESSIONE 201
Esempio 3 Discutiamo un esempio di fluido in equilibrio le cui parti sono soggette a una
accelerazione, anche se non si muovono luna rispetto allaltra. Prendiamo in considerazione
un contenitore cilindrico, riempito con un liquido, che e fatto ruotare intorno al proprio
asse con una velocita angolare costante . Allequilibrio il fluido avra un moto rotatorio di
insieme solidale con il contenitore, e ogni elemento di volume al suo interno descrivera un
moto circolare uniforme con velocita angolare . E utile introdurre un sistema di coordinate
cilindrico, definito nel capitolo 2, con lasse Z coincidente con lasse di simmetria del conteni-
tore (ved. Fig. 10.7). Dobbiamo studiare le forze che agiscono allequilibrio, su un elemento
Figura 10.7:
Possiamo usare lequazione precedente per esprimere p(0, z) in (10.3.8) mediante la pressione
in p(0, z0 ) che e pari a pA essendo il punto r = 0, z = z0 sulla superficie libera del liquido:
Z r
1
p(0, z) = pA g (z z0 ) p(r, z) = p(0, z) + 2 r dr = pA g (z z0 ) + 2 r2 .
0 2
(10.3.12)
Determiniamo ora la geometria della superficie libera del liquido allequilibrio. Essa e definita
dallequazione p(r, z) = pA , cioe, usando (10.3.12),
1 2 2
z = z0 + r (10.3.13)
2g
la quale definisce il paraboloide in Fig. 10.7.
Figura 10.8:
Possiamo inoltre specificare, per ogni punto del fluido al tempo t la corrispondente pressione
p(x, y, z, t), o la densita (x, y, z, t) o la temperatura T (x, y, z, t) che forniscono esempi di
campi scalari.
Il moto del fluido e chiamato costante o laminare, se in ogni punto la velocita non dipende
dal tempo, e cioe se ~v (x, y, z, t) ~v (x, y, z).
Cio non significa che ogni elemento di volume dV di un fluido nel moto costante fluisca con
un velocita costante, ma piuttosto che ogni elemento di volume, quando passa per un punto
P = (x, y, z), in qualsiasi momento, ha velocita ~v (x, y, z). Supponiamo che un particella di
un fluido in moto costante passi da un punto A a t = tA , in cui la velocita e ~vA , a un punto
B a t = tB , in cui la velocita e ~vB 6= ~vA . Anche se ~vA and ~vB sono costanti nel tempo, la
velocita della particella cambia nel tempo da ~vA a ~vB durante il lasso di tempo tB tA .
Un flusso costante di un fluido e, in genere, realizzato quando la velocita del flusso non
e troppo elevata e puo essere descritto in termini di moto di strati paralleli. Al di sopra di
una velocita di flusso caratteristica, che dipende dal fluido, un moto laminare si trasforma
in un moto turbolento. Una definizione matematica di moto costante si ottiene mediante la
seguente condizione
~v vx vy vz
= ( , , ) 0. (10.4.2)
t t t t
10.4. DINAMICA DEI FLUIDI 205
Il moto di un fluido e detto di essere irrotationale se le sue varie particelle non hanno
momento angolare rispetto a qualsiasi punto. Al contrario, un moto rotationale e di solito
caratterizzato dalla presenza di vortici o mulinelli. Un flusso di fluido viene detto essere
incompressibile se la densita (x, y, z, t) e uniforme e costante, ossia essa non dipende ne dal
punto nello spazio ne dal tempo: (x, y, z, t) . Se questo non e il caso, il flusso e chiamato
compressibile.
Il fluido puo essere caratterizzato da una certa viscosita che si manifesta in una forza
di attrito tangente che gli strati del fluido in moto relativo esercitano uno sullaltro. Se
la viscosita non e trascurabile il fluido e chiamato viscoso. La viscosita tipicamente causa
dissipazione di energia meccanica che viene convertita in energia termica provocando un
aumento della temperatura. Ci limiteremo a considerare flussi di fluidi che sono costanti,
irrotazionali, non viscosi ed incomprimibili.
E utile a rappresentare il flusso di un fluido, in un dato istante, in termini di linee di
flusso, che sono linee orientate caratterizzate dall essere in ogni punto tangenti alla velocita
~v . La rappresentazione in termini di linee di flusso fornisce una istantanea, in un dato
istante, della distribuzione di velocita ~v (x, y, z, t) allinterno del fluido. Se il flusso e costante,
esse rappresentano le traiettorie descritte dalle particelle nel loro moto. Questo non avviene
nel caso non costante, o turbolento, in cui le linee di flusso variano nel tempo e il moto
delle particelle e tipicamente caotico (vedi Figure 10.9 e 10.10). Per definizione, una linea
Figura 10.9:
di flusso e tangente alla velocita in ogni punto. Come conseguenza di cio due linee di
flusso non si intersecheranno mai, altrimenti la velocita non sarebbe definita nel punto di
intersezione, dovendo essere tangente al tempo stesso a due curve diverse. Linsieme delle
206 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
linee di flusso passanti attraverso una superficie finita definisce un tubo di flusso (vedi Figura
10.10). La superficie di un tubo di flusso, essendo costituita da linee di flusso, non puo essere
Figura 10.10:
attraversata da alcuna delle particelle del fluido, altrimenti avremmo due linee di flusso che
si intersecano in un punto. Un tubo di flusso si comporta come un tubo in cui scorre il fluido
in moto costante e incompressibile. Due sezioni qualunque S1 e S2 di un tubo di flusso sono
quindi attraversate nello stesso intervallo di tempo dalla stessa quantita di fluido. Si noti
che, per definizione di tubo di flusso, il numero di linee di flusso che attraversano due sezioni
e lo stesso. Pertanto, le linee di flusso sono fitte nei punti lungo il tubo in cui la sezione
trasversale e piu piccola, mentre di diradano quando la sezione trasversale e piu larga.
m1 = 1 A1 v1 t , (10.4.3)
dove abbiamo preso t abbastanza piccolo da poter considerare e ~v uniformi nel cilindro.
Particelle che sono inizialmente ad una distanza da S1 maggiore di v1 t, e, pertanto, non
10.4. DINAMICA DEI FLUIDI 207
Figura 10.11:
sono contenute nel cilindro, non arriveranno ad attraversare S1 nell intervallo t. Durante
lo stesso lasso di tempo, la sezione S2 sara attraversata da una massa di fluido m2 data da
m2 = 2 A2 v2 t . (10.4.4)
Se non vi e alcuna perdita o fonte di liquido (cioe il fluido non e ne distrutto e ne creato,
come richiesto dal principio di conservazione della massa) tra S1 ed S2 , e se la densita ,
allinterno della porzione di tubo tra le due sezioni trasversali, non varia nel tempo, in modo
che non vi sia alcun accumulo o rarefazione di fluido, ci aspettiamo che, dal principio di
conservazione della massa,
m1 = m2 = m 2 A2 v2 = 1 A1 v1 . (10.4.5)
La precedente equazione non vale se rilasciamo alcune delle nostre ipotesi sul flusso del fluido.
Prendiamo, ad esempio, il caso di acqua che scorre in un tubo di plastica e consideriamo due
sezioni S1 and S2 lungo di esso. Se ce un buco nel tubo tra S1 e S2 , vi e perdita di acqua e
quindi m1 sara maggiore di m2 , essendo la differenza m1 m2 > 0 pari alla massa
dacqua fuoruscita attraverso il buco durante t. Allo stesso modo, se iniettiamo acqua in
un punto tra le due sezioni del tubo, avremo m2 > m1 , essendo m2 m1 la massa
di acqua iniettata nel tubo durante t. In entrambi questi casi il tubo di plastica non si
comporta da tubo di flusso.
Se il fluido e un gas, che e comprimibile, la densita puo, in generale, variare anche col
tempo in alcune regioni tra S1 and S2 . Se aumenta in t, ci sara accumulo di fluido tra
le due sezioni e quindi m2 < m1 , mentre se diminuisce, vi e rarefazione di fluido e
m2 > m1 .
Queste deduzioni sono tutte conseguenze della conservazione della massa. Cerchiamo di
ottenere la relazione tra m2 m1 e la variazione nel tempo della densita in modo un po
208 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
che vale per ogni coppia di sezioni trasversali del tubo di flusso. Noi vediamo che piu piccola
e la sezione trasversale, piu veloce il liquido scorre attraverso essa. Questo spiega il fatto noto
che se comprimiamo lestremita di un tubo di plastica, ossia ne riduciamo la corrispondente
sezione trasversale A, lacqua fuoriesce piu velocemente. Abbiamo anche visto che minore e
la sezione trasversale di un tubo di flusso, piu densamente le linee si forze la attraversano.
Deduciamo che la velocita del fluido e maggiore nelle regioni in cui le linee di flusso sono piu
fitte. Questa deduzione non vale per fluidi comprimibili.
Vediamo ora le implicazioni, su un flusso di liquido, della conservazione dellenergia.
Assumiamo che il flusso del fluido sia incompressibile, non viscoso e costante e siano p1 and
p2 i valori della pressione sulle due sezioni S1 and S1 lungo il tubo di flusso (vedi Figura
10.12). Supporremo anche che la densita sia uniforme lungo il tubo e prenderemo un
Figura 10.12:
intervallo di tempo di t abbastanza piccolo in modo che la pressione non vari sensibilmente
lungo la lunghezza vt percorsa da una particelle di fluido in t. Considereremo due punti
A e B nel fluido, e studieremo il flusso del volume V di fluido, delimitato dalle sezioni in A
e B, che si muove insieme con il fluido, come in Figura 10.12. Allistante iniziale t la sezione
per B coincide con S2 mentre quella per A precede S1 di una distanza v1 t. Al tempo t+t
la sezione per A e avanzata di v1 t e quindi coincide con S1 , mentre la sezione per B seguira
S2 a una distanza v2 t. Durante t la massa m = A1 v1 t tra A ed S1 , soggetta alla
pressione in avanti p1 del fluido che la precede, attraversera S1 . Il lavoro compiuto dalla
forza in avanti p1 A1 durante t e
W1 = p1 A1 v1 t . (10.4.13)
Nel frattempo, la stessa quantita m di fluido , tra S2 e B ha attraversato S2 . Questa volta
m e contenuta nel cilindro di volume A2 v2 t, delimitata da S2 e B, ed e soggetta ad una
210 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
forza allindietro p2 A2 dovuta alla pressione p2 del fluido di fronte ad essa, che percio resiste
al suo moto. Il lavoro compiuto da questa forza su m e
W2 = p2 A2 v2 t . (10.4.14)
dove abbiamo usato lequazione di continuita eq. (10.4.12). Il lavoro totale W deve tradursi
in una variazione dellenergia meccanica del sistema. Questa comprende lenergia cinetica
e lenergia potenziale dovuta alla gravita della terra. Supponiamo che le due sezioni siano
situate a due diverse altezze z1 , z2 .
La variazione di energia meccanica del volume V e calcolata come la differenza tra le-
nergia del cilindro di fluido con massa m tra A e S1 al tempo t e quella della massa m
passata per S2 al tempo t + t:
1
W = Ef in Ein = m(v22 v12 ) + g m (z2 z1 ) . (10.4.16)
2
Usando (10.4.15) e (10.4.16) arriviamo alla seguente relatione
1 1 1
(p1 p2 ) = (v22 v12 ) + g (z2 z1 ) p1 + v12 + g z1 = p2 + v22 + g z2 .
2 2 2
(10.4.17)
Ricordiamo che abbiamo preso il tubo di flusso sufficientemente sottile da poter trascurare
la variazione delle diverse quantita fisiche lungo le direzioni trasversali del tubo. Equazione
(10.4.17), nota come equazione di Bernoulli, vale quindi per due punti generici lungo la stessa
linea di flusso che puo essere una qualunque linea di flusso allinterno di un tubo, essendo i
due punti lintersezione della linea con S1 and S2 . Dal momento che la coppia di sezioni e
stata presa arbitrariamente, un altro modo di scrivere lequazione di Bernulli e il seguente:
1 2
p+ v + g z = const. (lungo una linea di flusso) . (10.4.18)
2
Abbiamo assunto il flusso di fluido non viscoso. Se la viscosita del fluido non fosse trascura-
bile, allora, come abbiamo sottolineato in precedenza, il lavoro svolto dalle forze di attrito
causerebbe la conversione di energia meccanica in energia termica, facendo aumentare cos
la temperatura del fluido. In questo caso il bilancio di energia dovrebbe tenere conto non
solo dellenergia meccanica, ma anche dellenergia interna U di m e lequazione (10.4.18)
deve essere modificata con laggiunta, a secondo membro, della densita di energia interna u:
1 2
p+ v + g z + u = const. (lungo una linea di flusso ) . (10.4.19)
2
10.4. DINAMICA DEI FLUIDI 211
In modo simile lequazione (10.4.17), che lega le quantita in due punti distinti lungo una
linea di flusso, ora diventa
1
(p1 p2 ) = (v22 v12 ) + g (z2 z1 ) + Q , (10.4.20)
2
dove Q = u2 u1 e il calore acquistato dallunita di volume del fluido nel passaggio da S1 a S2 .
Deduciamo ora alcune conseguenze dellequazione di Bernoulli. Si consideri prima il caso in
cui il fluido sia a riposo: ~v 0. In questo caso, l eq. (10.4.17) implica p2 p1 = g (z2 z1 ),
che e l equazione (10.2.3) per uniforme, dato che ci stiamo limitando a considerare fluidi
incomprimibili. Si consideri ora un fluido non viscoso, costante e incompressibile e due punti
lungo una stessa linea di flusso, allo stesso livello in modo che z1 = z2 . Lequazione (10.4.17)
implica
1 2 1
p1 + v1 = p2 + v22 , (10.4.21)
2 2
Dallequazione precedente si vede che, se v2 > v1 , p2 < p1 , cioe la pressione e piu bassa nei
punti in cui la velocita e piu elevata.
212 CAPITOLO 10. MECCANICA DEI FLUIDI
Capitolo 11
Termodinamica
Nella prima parte di questo corso abbiamo considerato in dettaglio la meccanica di sistemi
quali, ad esempio, particelle puntiformi e corpo rigido, la cui evoluzione e completamente
descritta specificando un numero limitato di variabili. Il moto di una particella puntiforme
e definito specificando le tre coordinate x(t), y(t), z(t) in funzione del tempo, mentre per il
corpo rigido necessario specificare in ogni istante le tre coordinate del suo centro di mas-
sa xCM (t), yCM (t), zCM (t) e gli angoli di Eulero che definiscono la posizione del suo asse
principale di inerzia rispetto a qualche sistema di coordinate.
Tutte queste variabili cinematiche sono soluzioni di certe equazioni del moto e la loro di-
pendenza dal tempo e completamente determinata una volta che siano specificate un insieme
di valori iniziali delle posizioni e delle velocita ad un determinato tempo di riferimento. Se
stiamo considerando un sistema costituito da un gran numero N di particelle abbiamo biso-
gno di risolvere un sistema di 3N equazioni del moto in cui le 3N variabili xi (t), yi (t), zi (t)
definiscono la posizione di ciascuna particella del sistema. Dato che le particelle in generale
possono interagire, queste equazioni devono tenere conto di tali interazioni.
Inoltre abbiamo anche bisogno di misurare i valori delle coordinate e le velocita di ciascuna
delle particelle ad un certo tempo, al fine di determinare completamente loro moto. Si
consideri, ad esempio, una quantita di materia visibile. Essa consiste in un certo numero
di molecole dellordine di N 1023 . Anche se potessimo descrivere in qualsiasi momento le
loro interazioni, in modo da poter scrivere le equazioni del moto, e poter determinare la loro
posizioni e le velocita ad un determinato tempo, la quantita di dati e il numero di equazioni
da risolvere sarebbero troppe da gestire per qualsiasi computer, anche il piu potente.
Vi e un altro problema in questo tipo di analisi. Ogni misura richiede un certo tempo
caratteristico t. Questo e un problema se si tenta di determinare le posizioni e le velocita
delle particelle ad un certo tempo, dato che durante il tempo di misurazione t, le molecole
in un fluido, per esempio, avranno subito un numero considerevole di collisioni e quindi il
loro stato di moto sara cambiato notevolmente dallistante iniziale.
Per questi motivi una descrizione di un sistema di un numero infinitamente grande di
particelle in termini di moto di ciascuna delle sue componenti, vale a dire una descrizione
microscopica del sistema, non e fattibile.
Abbiamo incontrato un problema simile quando abbiamo discusso il moto di un fluido
213
214 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
, per il quale abbiamo rinunciato alla descrizione microscopica in termini di moto di ogni
molecola e descritto il sistema in termini di quantita macroscopiche come la velocita del
fluido, la sua pressione ecc., che sono valori medi, nel tempo t, di quantita microscopiche
misurate su piccoli volumi dV , sondati da parte dello strumento e che ancora contengono un
gran numero di costituenti microscopiche.
Riassumendo, in generale, una descrizione microscopica di un sistema di un numero
elevato di particelle, come una quantita macroscopica di materia, richiede unenorme quantita
di dati e fornirebbe piu informazioni sullevoluzione del sistema di quanto noi siamo in grado
di misurare o di quelle di cui abbiamo effettivamente bisogno. In generale siamo interessati in
alcune proprieta globali di un tale sistema, che possono essere descritte mediante un numero
limitato di altre quantita.
Questa analisi e chiamata macroscopica e si basa su alcuni aspetti del comportamento
del sistema che siamo in grado di misurare direttamente e che sono direttamente correlati
alla nostra percezione sensoriale. Questi aspetti definiscono le stato macroscopico di un
sistema. La Termodinamica e la scienza che studia il cambiamento di stato macroscopico
di un sistema come conseguenza delle sua interazioni con lambiente. Piu in particolare si
occupa dello stato interno di un sistema e le sue trasformazioni, e non, ad esempio, il suo
moto. Considereremo infatti sistemi in equilibrio meccanico in cui tutti le parti sono a riposo
rispetto alle altre.
Il tipo di trasformazioni oggetto di indagine da parte della termodinamica sono, per esem-
pio, quelle che riguardano lo scambio di calore tra il sistema ed il suo ambiente. Supponiamo
di voler descrivere lo stato di una quantita di acqua in una pentola. Possiamo specificare la
sua massa, il volume e la pressione che essa esercita sulla superficie del contenitore. Questo
pero non e sufficiente. Se scaldiamo lacqua, dopo un po di tempo realizziamo un cambia-
mento nel suo stato dato che, toccandola, ci sembra piu calda di prima. Associamo alla
nostra percezione di caldo o di freddo una quantita macroscopica chiamata temperatura.
Continuando a scaldare lacqua, la sua temperatura aumenta. Quando lacqua inizia a bol-
lire, sara prodotto del vapore. Vorremmo quindi descrivere lo stato del sistema anche in
termini di composizione vapore/acqua.
Nei sistemi in cui hanno luogo reazioni chimiche, come e il caso del carburante nel ci-
lindro di un motore durante la combustione, abbiamo bisogno anche di specificare la sua
composizione chimica. Infatti la pressione del pistone favorisce la combustione del carburan-
te, provocando, di conseguenza, variazioni nella composizione chimica del sistema, oltre che
nella pressione, temperatura e volume,
In termodinamica lo stato (interno) di un sistema e pertanto descritto da un numero
limitato di variabili macroscopiche, chiamate coordinate! termodinamiche, le quali possono
essere misurate direttamente e le cui definizioni prescindono da ipotesi relative alla struttura
microscopica della materia. In effetti, le leggi fondamentali della termodinamica, e cioe i
rapporti tra le variabili termodinamiche di un sistema che disciplinano la sua interazione
con l ambiente, furono dedotte da postulati di origine empirica prima della scoperta della
struttura molecolare della materia.
Il punto di vista microscopico, daltro canto, si basa su quantita che non possono es-
sere direttamente misurate, come le posizioni e le velocita delle molecole, e quindi si basa
11.1. TEMPERATURA 215
Figura 11.1:
zione delle leggi di base della termodinamica dalla descrizione microscopica corpuscolare
della materia, ha fornito prove a favore dell ipotesi molecolare. La scienza che studia le pro-
prieta macroscopiche della materia in termini della sua struttura microscopica e la meccanica
statistica.
11.1 Temperatura
La temperatura e la quantita fisica che descrive lo stato associato alla sensazione di caldo
o freddo di un oggetto, lo stato!termico, che possiamo percepire attraverso i nostri sensi
216 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
quando tocchiamo loggetto stesso. I nostri sensi, essendo soggettivi, non possono tuttavia
costituire la base per una definizione operativa di temperatura. Nella nostra esperienza
quotidiana si osserva che due oggetti a temperatura diversa, posti in contatto, dopo un
po di tempo vengono percepiti come ugualmente freddi o ugualmente caldi, cioe assumono
la stessa temperatura. Si dice che i due oggetti hanno raggiunto un equilibrio termico.
Inoltre osserviamo anche che loggetto che era inizialmente piu freddo ora e piu caldo cioe la
sua temperatura e aumentata, mentre la temperatura delloggetto che era piu caldo, e ora
diminuita, vedi Figura 11.2. In altre parole, la temperatura finale raggiunta dai due oggetti
Figura 11.2:
serve come sostanza termometrica. Al variare della temperatura del sistema varia anche
il volume del liquido, che viene misurato dalla lunghezza della colonna di liquido nel tubo
capillare, anch essa variata conseguentemente. La lunghezza della colonna di liquido e, in
questo caso, la proprieta termometrica: maggiore e la temperatura, piu alta e la colonna. Se
il dispositivo viene posto a contatto con un oggetto A e attendiamo che lequilibrio termico
venga raggiunto, cioe i due oggetti raggiungano la stessa temperatura, si puo prendere la
corrispondente lunghezza X della colonna di liquido come misura della temperatura di A.
Supponiamo ora di porre lo stesso dispositivo in contatto con un altro oggetto B e di leggere
allequilibrio lo stesso valore per la proprieta termometrica di X. Si deduce che entrambi A e
B sono separatamente in equilibrio termico con il dispositivo, dal momento che, spostandosi
da A a B il suo termico stato non e cambiato. Se poi tocchiamo A e B percepiamo la
stessa sensazione di freddo o di caldo. Inoltre, se li mettiamo direttamente a contatto in
modo che possano raggiungere lequilibrio termico, si osserva che i loro stati non cambiano
sensibilmente. Concludiamo che gli oggetti A e B erano gia in equilibrio termico prima
che fossero messi in contatto. Questa esperienza supporta il cosiddetto principio zero della
termodinamica:
Se due oggetti sono separatamente in equilibrio termico con un terzo oggetto, per esempio
un termometro, essi sono in equilibrio termico con laltro.
Quindi possiamo dire che due oggetti A e B sono in equilibrio termico luno con laltro
e quindi hanno la stessa temperatura, se posti a contatto con un termometro, essi inducono
lo stesso valore della proprieta termometrica di X, ad esempio, la lunghezza della colonna
di liquido.
Alcune cautele devono essere adottate quando si progetta un termometro. Sappiamo
che un dispositivo, per essere un buon strumento di misura, deve perturbare il meno pos-
sibile il valore della grandezza fisica che deve misurare. Nel nostro caso abbiamo visto che
quando i due oggetti in contatto raggiungono lequilibrio termico, essi si assestano ad una
stessa temperatura che e intermedia tra le loro temperature originarie. E importante che,
quando un termometro e messo in contatto con un oggetto, la temperatura finale raggiunta
non sia significativamente diversa dalla temperatura iniziale delloggetto, vale a dire che il
termometro non perturbi lo stato termico delloggetto che si vuole misurare. A tal fine e
sufficiente prendere un termometro contenente una quantita di sostanza termometrica che e
molto piccola rispetto alla massa delloggetto di cui vogliamo misurare la temperatura.
Per dare una definizione operativa di temperatura, partiamo postulando una relazione
lineare tra il valore X della proprieta termometrica, che viene letta sul termometro, e la
corrispondente temperatura T (X), in modo che, se T (X1 ) e T (X2 ) sono le temperature
corrispondenti alle due letture X1 , X2 di X, valga la seguente relazione
T (X1 ) X1
= . (11.1.1)
T (X2 ) X2
Poi si fissa un valore per la temperatura corrispondente ad uno stato termico di riferimento,
che e preso essere il punto triplo dellacqua. Questo e lo stato in cui acqua, ghiaccio e vapore
coesistono. Se X0 e la corrispondente lettura di X, essa e convenzionalmente associata con
il valore T (X0 ) = 273.16 o K in unita Kelvin. Usando (11.1.1) siamo in grado di calibrare
218 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Figura 11.3:
pA = pB = patm + g m d , (11.1.4)
Nella fig. 11.4, le risposte dei vari termometri a gas sono tracciate per diversi valori di p0 .
La temperatura misurata e quella del punto di ebollizione di acqua a pressione atmosferica.
Vediamo che le risposte convergono nel limite del gas ideale p0 0. Un termometro a
Figura 11.4:
gas ideale puo essere usato per definire temperature basse come 1 K o (temperatura alla
quale lelio diventa liquido). A temperature piu basse questo tipo di termometri non puo
essere utilizzato perche tutti i gas si condensano allo stato liquido. Una definizione di basse
temperature, intorno a 0 K o , deve basarsi su processi diversi.
La scalaCelsius (o centigradi ) utilizza la stessa unita di temperatura della scala Kelvin,
anche se la temperatura pari a zero e associata con il punto di congelamento dellacqua a
Patm = 1 Atm, Atm, che corrisponde a T = 273.15 o K:
T (o C) = T (o K) 273.15 . (11.1.6)
Per calibrare diversi termometri nella scala Celsius, si scelgono due punti fissi vicini, a
cui tutti i termometri dovrebbero fornire la stessa lettura: il punto di fusione del ghiaccio
(T = 0 o C) e il punto debollizione dell acqua (T = 100 o C) alla pressione atmosferica. Tra
questi due punti fissi diversi termometri daranno risposte diverse, vedi figura 11.5, tuttavia
esse differiscono di qualche percentuale. La scala Fahrenheit invece e definita come segue:
5
T (C o ) = (T (F o ) 32) . (11.1.7)
9
11.1. TEMPERATURA 221
Figura 11.5:
Abbiamo gia accennato che diverse proprieta fisiche dei materiali dipendono dalla tempera-
tura. Per esempio una variazione di temperatura produce, su oggetti solidi, una variazione
nelle dimensioni. Consideriamo questo fenomeno piu in dettaglio. La struttura microscopica
di un oggetto solido puo essere descritta da un modello semplificato in cui le molecole sono
poste nei vertici di un reticolo e oscillano nelle loro posizioni di equilibrio, soggette a una
forza esercitata dalle molecole vicine che, per piccole oscillazioni, puo essere approssimata da
una forza elastica proporzionale, in intensita, alla distanza della molecola dalla sua posizione
di equilibrio. Per piccole oscillazioni, la molecola puo quindi essere rappresentata da un oscil-
latore armonico. Allaumentare della temperatura, lenergia cinetica media di ogni molecola
aumenta e, di conseguenza, aumenta lampiezza della sua oscillazione e quindi diventa piu
grande la distanza media tra molecole vicine. Cio si traduce in una dilatazione generale dei
solidi, vale a dire in una dilatazione in tutte le sue dimensioni. Se il solido e isotropo, vale a
dire le sue proprieta e la struttura microscopica non dipendono dalla direzione da cui lo si
guarda, la dilatazione e la stessa in tutte le direzioni e, pertanto, si traduce in un aumento
di volume dell oggetto che mantiene la sua forma originale. Sperimentalmente si trova che
la variazione di lunghezza di un oggetto ` e legata alla sua variazione di temperatura T
(se questa variazione non e troppo grande) in modo lineare:
`
= T , (11.1.8)
`
222 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
dove e detto coefficiente di dilatazione lineare . Per solidi isotropi e la stessa in tutte
le direzioni. La variazione di area e volume di un materiale isotropo, corrispondente ad una
variazione T di T , e
A V
= 2 T ; = 3 T . (11.1.9)
A V
dipende da T , tuttavia, allinterno di una ampia gamma di valori della temperatura, la
corrispondente variazione percentuale di e piccola e puo essere trascurata nella maggior
parte delle applicazioni. Lordine di grandezza di e di circa 105 , e cio significa che,
se T varia di 100 gradi, una barra lunga un metro variera la propria lunghezza di 1 mm.
Questo fenomeno puo causare forti tensioni alle giunture tra materiali differenti che possono
tradursi in deformazioni di una intera struttura. Per evitare questi inconvenienti vengono
usate alcune leghe con bassissimi valori di .
La dilatazione dei liquidi con laumentare della temperatura e maggiore che per i solidi,
ma meno che per i gas. A questo proposito lacqua ha un comportamento singolare, dato
che subisce una dilatazione riducendo la temperatura da 4 o C al punto di congelamento a
0 o C mentre si espande, come tutti gli altri fluidi, con laumento T sopra 4 o C. Questo
eccezionale comportamento puo essere spiegato con il fatto che al di sotto di 4 o C le molecole
di acqua iniziano a sentire la loro reciproca interazione (la loro energia potenziale diventa
paragonabile alla loro energia cinetica media) e questo le induce ad organizzarsi secondo
certe strutture in cui la loro distanza media e piu grande.
11.2 Calore
Abbiamo gia accennato al fatto sperimentale che due oggetti a diverse temperature, quando
messi in contatto per un periodo sufficientemente lungo, raggiungono una temperatura finale
che e intermedia tra le loro temperature originali. Storicamente, questo processo fu dapprima
spiegato associando la temperatura alla presenza, allinterno di un oggetto, di una sostanza
fluida, chiamata fluido calorico.
Piu alta e la temperatura di un oggetto, maggiore e la quantita di fluido calorico di cui
dispone. Questo modello presume che la quantita totale di fluido calorico sia conservata
nel corso di un processo e che, quando due oggetti a diverse temperature iniziali sono messi
insieme, una quantita di fluido calorico, calore, viene trasferito dal corpo a temperatura
superiore a quella a temperatura inferiore, in modo che, raggiungendo lequilibrio termico,
essi assumono una temperatura intermedia. Questa descrizione e stata adottata fino allinizio
del diciannovesimo secolo ed e sufficiente a spiegare i processi che coinvolgono conduzione di
calore.
Tuttavia lidea che il calore corrisponda ad un quantita di una sorta di fluido, presente
nella materia e conservato in tutti i processi, non sopravvivere alle evidenze sperimentali.
Se strofiniamo le nostre mani una contro laltra, si produce calore e la temperatura delle
due mani aumenta. Se continuiamo lo sfregamento e se non ci sono state perdite di calore
nellaria, la temperatura aumenterebbe indefinitamente, cioe non vi e alcun limite alla quan-
tita di calore che puo essere prodotta in tale processo. Questa osservazione e incompatibile
11.2. CALORE 223
con lipotesi che, mentre strofiniamo le mani, parte del fluido calorico presente in esse viene
rilasciata sotto forma di calore, poiche o ci dovrebbe essere una quantita infinita di essa o si
dovrebbe presumere che essa non sia conservata. Sebbene il concetto di fluido calorico e stato
abbandonato, il concetto di calore e sopravvissuto, essendo stato definito indipendentemente
dal fluido.
La definizione di calore e legata al cambiamento che esso provoca nello stato termico di un
sistema. Se non si verificano transizioni di fase nella trasformazione, questo cambiamento in
genere comporta una variazione di temperatura. Il calore e definibile come quella grandezza
che, se fornita o sottratta ad un sistema, in assenza di trasizioni di fase, ne provoca una
variazione della temperatura. Lunita di calore e la caloria (cal) e viene definita come la
quantita di calore necessaria per innalzare la temperatura di un grammo di acqua, a pressione
atmosferica, da 14.5 o C to 15.5 o C. 1 Il Kilo-calorie (Kcal) e definita come: 1Kcal = 103 cal.
La quantita di calore Q necessaria per aumentare la temperatura di un oggetto di T dipende
dalloggetto. Definiamo la capacita termica di un corpo il rapporto tra il calore fornito e la
corrispondente variazione di temperatura
Q
C = . (11.2.1)
T
1 Q
c = , (11.2.2)
m T
m essendo la massa del sistema. La capacita termica molare e definita come il calore specifico
per mole di un materiale. Il valore di c dipende, per un determinato oggetto, non solo dalla
temperatura iniziale T , ma anche dal modo in cui il calore viene fornito. Possiamo definire il
calore specifico di un oggetto di massa m, ad una data temperatura T , calcolando la quantita
dQ di calore necessario per aumentare la sua temperatura di una quantita infinitesimale dT :
1 dQ
c(T ) = . (11.2.3)
m dT
Esempio 1 Un blocco di rame pesante 0.075 Kg e tratto da un forno e immerso in una cop-
pa di vetro pesante 0.3 Kg e contenente 0.2 Kg di acqua fredda. La temperatura dellacqua
aumenta da 12 to 27 o C. Trovare la temperatura del forno Tf .
La temperatura iniziale del blocco di rame e Tf e la sua temperatura finale, essendo in
equilibrio termico con lacqua, e T = 27 o C. Pertanto, essendo scesa la sua temperatura, ha
rilasciato una quantita di calore Q, dato da
Q = Qb + Qacqua cCu mCu (Tf 27) = (cvetro mvetro + cvetro mvetro ) (27 12) ,
Tf = 532 o C . (11.2.6)
Il calore specifico, come gia menzionato, dipende anche dal modo in cui il calore viene
fornito al sistema. Un gas, per esempio, puo essere riscaldato a volume costante o a pressione
costante. Misureremo due diversi valori per il calore specifico, vale a dire il calore specifico
a pressione costante cp ed il calore specifico a a volume costante cV .
Abbiamo gia detto che in tutti i processi in cui sono coinvolte forze non conservative di
tipo dissipativo, viene persa energia meccanica (E < 0).
Tuttavia, si osserva sempre un alterazione dello stato del sistema in cui lenergia mecca-
nica viene dissipata. Vi sono processi in cui tale modifica consiste solo in una variazione della
temperatura del sistema, vale a dire la produzione di una quantita Q di calore. Si osserva
che in questi processi Q e sempre proporzionale all energia meccanica |E| dissipata nel
sistema, cioe al lavoro meccanico |W nc | svolto dalle forze non conservative, e che il fattore
di proporzionalita e universale, ovvero non dipende dal particolare sistema, ne dal modo in
cui lavoro meccanico e dissipato in esso. Questo fenomeno fu studiato sperimentalmente per
la prima volta da Joule nel 1843 e porto allipotesi che il calore fosse una forma di energia,
o meglio, un modo di scambiare energia tra il sistema ed il suo ambiente, diverso dal lavoro
meccanico. Esso infatti e sempre legato ad una differenza di temperatura tra il sistema e l
ambiente. Per illustrare lequivalenza tra calore ed energia, dobbiamo considerare lesperi-
mento eseguito da Joule, vedi Figura 11.6 Consideriamo una quantita di acqua allinterno di
11.2. CALORE 225
Figura 11.6:
un contenitore con pareti isolanti, in modo da impedire lo scambio di calore tra lacqua ed
il suo ambiente. Un sistema di pale, collegato a un asse verticale, viene immerso nellacqua.
Facendo ruotare lasse per mezzo di un peso legato ad esso, l acqua e agitata dalle pale. Un
sistema di diaframmi allinterno del contenitore riduce il moto globale delle acque. Il lavoro
meccanico impiegato per ruotare le pale W esterno , se si trascura il moto dell acqua, e bilan-
ciato dal lavoro negativo W nc = W esterno < 0 svolto dalle forze di attrito dell acqua che
si oppongono al moto. Se lacqua e isolata termicamente e ha una temperatura iniziale TA ,
allo stato finale acqua e pale saranno ferme riposo, ma lacqua avra un diversa temperatura
TB .
Si potrebbe portare la stessa quantita di acqua dallo stesso stato iniziale allo stesso finale,
semplicemente riscaldando per mezzo di un bruciatore in modo da aumentare la temperatura
dellacqua da TA a TB . In questultimo caso il contenitore, invece di avere pareti isolanti,
dovrebbe avere una base non isolante in modo da consentire il riscaldamento. I due processi
producono lo stesso stato finale B dell acqua a partire dallo stesso stato iniziale A: nel
primo lenergia meccanica W e stata fornita al sistema, mentre nel secondo e stato fornita
una quantita di calore Q.
Lanalisi delle diverse varianti dell esperimento suggerisce che il rapporto tra Q e il suo
equivalente meccanico W e una costante universale, che permette di misurare il calore nella
226 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
stessa unita del lavoro. Lunita del calore puo essere espressa in termini di unita di energia
attraverso una costante universale:
1 cal = 4.186 Joule , (11.2.7)
Lequazione (11.2.7) implica che, se si dissipano 4.186 Joule di lavoro meccanico in un gram-
mo di acqua alla pressione atmosferica e alla temperatura di 14.5 C o , la sua temperatura
aumentera di un grado. Se esprimiamo il calore in unita di energia, per il processo di cui
sopra si puo scrivere:
Q = W nc > 0 . (11.2.8)
Un altro risultato e che, se il contenitore e un buon isolante termico, il lavoro svolto nel
primo processo, o il calore fornito nel secondo, dipendono solo dagli stati iniziali e finali.
Questo risultato ha una profonda implicazione. Consideriamo il primo processo e includiamo
nel sistema anche il peso. Negli stati iniziali e finali tutte le componenti del sistema sono a
riposo, il peso avra pero una diversa altezza. La differenza dellenergia meccanica tra gli stati
A e B coincide pertanto con la differenza di energia potenziale del peso: E = EB EA =
Eppeso = W nc . Se scriviamo lequivalente quantita di calore Q per il secondo processo come
la differenza tra i due stati di una funzione U detta energia interna, cioe Q = UB UA = U ,
lequazione (11.2.8) implica
U + E = 0 . (11.2.9)
In altre parole, se definiamo come energia totale del sistema la somma dellenergia meccanica
e interna: E (tot) = E + U , questa nuova quantita e conservata durante il primo processo
(tot) (tot)
E (tot) = EB EA = 0. (11.2.10)
Lenergia totale non e evidentemente conservata nel secondo processo dato che stiamo for-
nendo calore al sistema attraverso il bruciatore. Riassumendo, nel primo esperimento, una
quantita di energia meccanica viene convertita, mediante lazione delle forze di attrito, in
una quantita equivalente di energia interna, misurata in base al calore prodotto, in modo
che lenergia totale sia conservata. Lenergia interna puo essere interpretata come lenergia
associata al il moto delle molecole allinterno di un determinato materiale. Leffetto delle
forze dissipative e stato quello di convertire energia meccanica delle pale in energia mecca-
nica di ogni molecola di acqua. Cio si traduce in un aumento del temperatura dellacqua,
che e legata all energia cinetica media delle sue molecole.
Calore e lavoro sono quindi quantita che non sono associati ad un particolare stato del
sistema in esame, ma piuttosto ai cambiamenti nel suo stato derivanti dalla sua interazione
con lambiente.
Ci sono fondamentalmente due modi in cui un sistema termodinamico puo scambiare
energia con lambiente circostante. Il lavoro e sempre associato ad un azione meccanica sul
sistema o dal sistema, mentre il calore e associato a differenze di temperatura. Nel primo dei
due esperimenti considerati, lacqua era stata chiusa allinterno di pareti isolanti in modo che
potesse scambiare energia con lambiente circostante solo attraverso il lavoro. Nel secondo
esperimento il contenitore non e isolato termicamente e lacqua in esso puo scambiare energia
con lambiente circostante attraverso il calore.
11.3. EQUILIBRIO TERMODINAMICO 227
equilibrio meccanico: le forze che agiscono su ogni elemento del sistema sono bilanciate,
in modo che non vi possa essere nessun moto di parti del sistema. In questa situazione
non vi e alcun lavoro svolto allinterno del sistema o tra il sistema e il suo ambiente.
La pressione e definita uniformemente, in modo che si possa descrivere il sistema (che
si suppone essere sempre omogeneo ed isotropo) mediante un unico valore di p;
f (p, V, T ) = 0 . (11.3.1)
Quindi, al fine di descrivere lo stato di equilibrio, possiamo scegliere due delle tre coordinate
p, V, T come indipendenti, mentre la terza sara fissata dall equazione (11.3.1). Lo stato
di equilibrio di un sistema puo quindi essere descritto da un punto nel piano p, V , se si
scelgono queste come variabili indipendenti, nel piano p, T o nel piano T, V se si scelgono
rispettivamente le coppie p, T or T, V .
Si puo cambiare lo stato del sistema variando le condizioni esterne che caratterizzano il
suo ambiente.
Se si aspetta abbastanza a lungo dopo una trasformazione, il sistema raggiungera un
nuovo stato di equilibrio definito dai nuovi valori delle sue coordinate termodinamiche .
Prima del raggiungimento dellequilibrio, il sistema, in generale, non puo essere descritto
dalle coordinate termodinamiche, in quanto p e T non saranno definiti globalmente nel
sistema, ma possono assumere valori diversi in punti diversi allinterno di esso.
Possiamo pensare di eseguire molto lentamente la trasformazione da uno stato di equili-
brio iniziale ad uno finale, cioe mediante una successione di trasformazioni infinitesime alla
fine di ciascuna delle quali si attende che si stabilisca lequilibrio termodinamicoe durante le
quali le coordinate termodinamiche sono variate di quantita infinitesime. La trasformazione
228 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
quindi potra essere descritta da una successione di un numero infinito di stati intermedi di
equilibrio.
Tali trasformazioni sono rappresentate nel piano descritto dalle due coordinate termodi-
namiche indipendenti, come una sequenza di infiniti punti vicini, cioe da una curva continua,
che collega lo stato iniziale allo stato finale. Queste trasformazioni sono chiamate reversibili
in quanto il sistema puo essere ricondotto alla stato iniziale, seguendo la stessa sequenza di
stati intermedi in ordine inverso.
W = F dx = p A dx = p dV . (11.4.1)
Il lavoro svolto dal gas sul pistone, che e parte dellambiente, e dato dall prodotto della
pressione per la variazione del volume. Allo stesso modo, se il gas e stato compresso, il
lavoro W sara negativo e si dice che esso e compiuto dallambiente sul sistema. Ci si avvale
11.4. PRIMA LEGGE DELLA TERMODINAMICA 229
Figura 11.7:
quindi della seguente convenzione per il lavoro: il lavoro e positivo se compiuto dal sistema
sullambiente, negativo quando compiuto sul sistema.
Durante la dilatazione, la pressione del gas variera. Siamo in grado di definire completa-
mente lo stato di equilibrio del gas mediante i corrispondenti valori di p e V e associarlo ad
un punto sul diagramma p, V (p, V possono essere scelte come coordinate termodinamiche
indipendenti del sistema, in modo che la temperatura sara espressa in funzione dei esse). A
seconda che il lavoro sia fatto o subito dal sistema, il suo stato cambia e cos il corrisponden-
te punto sul diagramma p, V , ved. Fig. 11.8. Supponiamo di rilasciare il pistone in modo
da fare variare il volume del gas da una quantita finita V . Facciamo questo abbastanza
lentamente in modo tale che in ogni fase di questa trasformazione il sistema ha abbastanza
tempo per raggiungere lequilibrio con il suo ambiente. Il punto corrispondente sulla p, V si
sposta lungo una curva che collega lo stato iniziale A a quello finale B, vedi Figura 11.8.
Figura 11.8:
e corrisponde alla zona sotto la curva (a) della trasformazione nel piano p, V . Possiamo
pensare di trasformare il sistema dallo stesso stato iniziale A allo stesso stato finale B,
aumentando il volume da VA to VB a pressione costante pA e poi diminuire la pressione da
pA to pB a volume costante VB , cioe di seguire la traiettoria (b) nella Figura 11.8.
Il lavoro compiuto dal sistema sara W (b) = pA V . Avremmo potuto seguire uno percorso
diverso tra gli stessi stati iniziale e finale, eseguendo la trasformazione in modo diverso. Si
potrebbe per esempio, prima ridurre p da pA a pB a volume costante VA e poi dilatare il gas
da VA a VB a pressione costante seguendo la curva (c) in Figura ??.
Il corrispondente di lavoro sarebbe W (c) = pB V . A seconda del percorso che abbiamo
scelto per portare il sistema dallo stato A allo stato B, troviamo valori diversi per il lavoro
che, pertanto, non dipendono solo dagli stati iniziali e finali dichiara A, B, ma anche dalla
strada seguita nel passare da uno allaltro:
Q W = UB UA = U . (11.4.4)
dove lultimo termine a destra e il contributo alla capacita termica dovuto al lavoro compiuto.
Esempio 2 Come esempio, consideriamo lapplicazione della prima legge della termodi-
namica a processi in cui la pressione e mantenuta costante. Questi sono chiamati processi
isobarici. Se p e la pressione costante e se, durante la trasformazione, il volume del sistema
viene variato da VA a VB , il lavoro fatto dal sistema sara :
Z VB
W = p dV = p (VB VA ) . (11.4.13)
VA
meccanico con lambiente circostante; cos la pressione esercitata dal pistone sul sistema
eguaglia la pressione p esercitata dal sistema sul pistone, che e quindi costante durante
lespansione e data da m g/A, essendo A larea del pistone. Per far s che il vapore si
espanda contro il pistone, del calore deve essere fornito costantemente. Leffetto del calore
aumentera la quantita relativa di vapore rispetto allacqua. In effetti, la fase di transizione
dall acqua al vapore avviene a precisi valori di temperatura e pressione (T = 100 o C a
pressione atmosferica) e richiede una determinata quantita di calore per unita di massa,
chiamata calore di vaporizzazione L (per lacqua a 1 atm, L = 539 Kcal/Kg). Per far s
che una massa M di acqua raggiunga la fase di passaggio al vapore, una quantita di calore
Q = M L deve essere fornita dal sistema. Appena lacqua si trasforma in vapore, il suo
volume aumenta da VA a VB > VA e cos il sistema si espande contro il pistone a pressione
costante p. In virtu dellequazione (11.4.4), il calore Q fornito e in parte trasformato in
lavoro, in parte in energia interna:
Q = M L = UB UA + W = UB UA + p (VB VA ) . (11.4.14)
Esempio 3 Unaltra importante categoria di processi sono quelli in cui non vi e scambio
di calore tra il sistema e lambiente circostante. Questi sono chiamati processi adiabatici .
Questa e tipicamente la situazione in cui il sistema, che e sottoposto a trasformazione, e
collocato entro un contenitore con pareti isolanti, come per lacqua nellesperimento di Joule
descritto nellultima sezione. Durante le trasformazioni adiabatiche Q = 0 e lenergia e
scambiata con lambiente solo sotto forma di lavoro.
W = U . (11.4.15)
Se il sistema si espande contro le pareti del suo contenitore, esso produce un lavoro positivo
W > 0, pertanto lenergia interna diminuisce U < 0. Un processo particolare e l espansione
libera di un gas in cui Q = W = 0. Consideriamo, ad esempio, un contenitore isolato
termicamente, consistente in due camere, separate da una parete isolante, con una valvola
ermetica (si veda Fig. 11.9). Una camera e riempita con un gas, laltra e vuota. Appena verra
aperta la valvola, il gas si propaghera nella camera vuota, espandendosi. Questa espansione,
tuttavia, non implichera, ne calore ne lavoro, poiche il gas non si espande contro alcunche.
Poiche Q = W = 0, grazie alla prima legge, lenergia interna rimane costante durante la
dilatazione libera.
Un gas ideale e caratterizzato, da un punto di vista microscopico, dalla proprieta che le sue
molecole possono essere considerate particelle libere, eccetto per le collisioni istantanee. Per
236 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Esercizio 1 Spiegare come ci si aspetta che T vari durante la dilatazione libera di un gas
ideale e di un gas reale.
Usando le equazioni (11.4.11), (11.4.12) e (11.5.1) possiamo scrivere la capacita termica
di un gas ideale:
dU 1
CV = , Cp = CV + p (n R ) = CV + n R . (11.5.3)
dT p
Ricordando che n = m/M e che il calore specifico molare e definito come capacita termica
per mole e quindi e calcolato dividendo C per n, possiamo anche scrivere la relazione tra i
due calori specifici di un gas ideale
cp = cV + R . (11.5.4)
Sperimentalmente si trova che CV e quasi indipendente da T , cos che per un gas ideale si
trova:
U (T ) = CV T + const. . (11.5.5)
R
dove abbiamo usato la proprieta K = 1 + cV
. La suddetta equazione puo essere integrata
come segue:
Da questa equazione vediamo che, come conseguenza di una espansione adiabatica, poiche
1K < 0, la temperatura del gas diminuisce. Usando lequazione di stato (11.5.1), possiamo
esprimere T in termini di V e p ed ottenere
p = (const.) V K , (11.5.12)
dove abbiamo incluso il fattore n R nella costante. Poiche K > 1 vediamo che le trasformazio-
ni adiabatiche (reversibili), per un gas ideale, sono rappresentate nel piano p, V da curve che
sono piu ripide delle linee isotermiche, rappresentate da iperboli equilatere. Infine possiamo
esprimere la relazione tra temperatura e pressione durante una trasformazione adiabatica.
E sufficiente sostituire nellequazione (11.5.11) lespressione di V come una funzione di T e
p, usando (11.5.1):
T
K1 = const. . (11.5.13)
p K
Esempio 4 Calcolare il lavoro compiuto da una mole di un gas ideale che si espande
isotermicamente (cioe a temperatura costante) da un volume iniziale Vi a uno finale Vf
(considerare la situazione in cui la trasformazione e reversibile, cioe, in ciascuno stadio della
trasformazione, il sistema e infinitamente vicino ad uno stato di equilibrio e quindi si puo
applicare lequazione di stato).
Possiamo applicare lequazione (11.5.1) per esprimere p come funzione di V a temperatura
costante:
1
p(V ) = n R T . (11.5.14)
V
Possiamo allora calcolare il lavoro
Z Vf Z Vf
dV Vf
W = p(V ) dV = n R T = n R T log( ) . (11.5.15)
Vi Vi V Vi
si espande. Dal momento che laria e un cattivo conduttore di calore, possiamo trascurare
la quantita di calore scambiata dallaria che si muove verso lalto con cio che la circonda e
descrivere questo processo in termini di una trasformazione adiabatica. In particolare, grazie
allequazione (11.5.11), questa espansione causa una diminuzione della temperature dellaria.
Per la stessa ragione, quando laria si muove verso il basso verso regioni con una pressione
piu alta, essa viene sottoposta ad una compressione adiabatica e, come conseguenza, la sua
temperatura aumenta. Nella condizione di equilibrio, la temperatura media T in ogni punto
nellatmosfera avra una dipendenza dallaltitudine z. Per determinare questa dipendenza
iniziamo dallequazione di statica dei fluidi che definisce la distribuzione, allequilibrio, della
pressione come una funzione dellaltezza:
dp = g dz . (11.5.16)
Esprimiamo ora la densita dellaria in condizioni di equilibrio in funzione della sua pressione
e temperatura, usando (11.5.1):
m Mp
= = 103 , (11.5.17)
V RT
dove abbiamo usato la relazione n = m/M , M 28.88 gr per laria e il fattore 103 e dovuto
al fatto che stiamo esprimendo m in Kg. Sostituendo questa espressione in (11.5.16) si trova
dp gM
= 103 dz . (11.5.18)
p RT
dT K 1 dp
= , (11.5.19)
T K p
K 1 3 g M
dT = 10 dz . (11.5.20)
K R
7
Assumendo K = 5
troviamo
o
dT K
9.7 . (11.5.21)
dz Km
Secondo questo calcolo, la temperatura dovrebbe decrescere di circa 9.7 gradi salendo di
1 Km. Questo valore di dT dz
e in una certa misura piu grande di quello osservato, perche
abbiamo trascurato il fenomeno della condensazione del vapore acqueo durante la dilatazione
delle masse di aria.
11.6. LA SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA 239
W scambiati dal sistema con lambiente, durante il ciclo reversibile, sono uguali a
Q = W. (11.6.1)
Un ciclo reversibile e rappresentato nel piano p, V da una curva chiusa, con una certa orien-
tazione. Il lavoro W fatto dal sistema durante il ciclo e dato dallarea racchiusa dalla curva
corrispondente, con un segno piu (cioe il sistema compie lavoro sullambiente circostante) se
esso e descritto in senso orario, o con un segno negativo (il lavoro e fatto sul sistema) altri-
menti. Se W > 0, significa che, sul ciclo, una quantita netta di calore Q fluisce nel sistema
ed e convertito in una equivalente quantita di lavoro W = Q. Questo processo realizza una
macchina termica.
Figura 11.10:
che il piu generale ciclo reversibile durante il quale il sistema scambia calore con sole due
sorgenti (i.e. ciclo reversibile che lavora tra due sorgenti ) e il ciclo di Carnot. La forma di
11.6. LA SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA 241
Figura 11.11:
questo ciclo sul piano p, V dipende chiaramente dalle proprieta fisiche del sistema sottoposto
alla trasformazione, ovvero dalla sua equazone di stato. Per descrivere il ciclo di Carnot
consideriamo un gas perfetto contenuto in un cilindro verticale, chiuso sopra da un pistone
ermetico, vedi Figura 11.12. Le pareti laterali del cilindro e il pistone sono termicamente
isolanti, mentre la base conduce calore. Lo stato iniziale e rappresentato dal punto A nella
Figura 11.11 e descrive lo stato di equilibrio in cui la base del cilindro e in contatto con una
sorgente di calore alla temperatura T2 . Cio significa che lo stesso gas e alla temperatura
T2 . Posizioniamo ora il pistone in modo che il gas si espanda lentamente cos che esso
abbia abbastanza tempo, in ogni fase del processo, di raggiungere lequilibrio termicocon la
sorgente di calore. Questa prima espansione e quindi isotermica, dal momento che avviene
alla temperatura costante T2 ed e descritta dalla linea AB nella Figura 11.11. Dopo aver
raggiunto lo stato di equilibrio B, sostituiamo la sorgente di calore con un isolante termico,
in modo che il gas sia isolato termicamente dallambiente circostante. Eseguiamo quindi
una lenta espansione del gas sino al volume VC in modo da realizzare la trasformazione
adiabatica reversibile rappresentata dalla linea BC nella Figura 11.11. Una volta raggiunto
lo stato di equilibrio C, lisolante e sostituito da una sorgente di calore alla temperatura
T1 < T2 e il gas e lentamente compresso lungo la linea isotermica CD sino al volume VD .
Infine, partendo dallo stato D, il sistema e nuovamente isolato e compresso fino a quando
242 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
W = Q2 Q1 . (11.6.2)
Il ciclo di Carnot puo essere ripetuto in modo da produrre costantemente lavoro meccanico
dal calore. Esso costituisce un esempio di macchina termica. Una quantita di calore Q
e trasformata in lavoro. Tuttavia, non tutto il calore Q2 ottenuto dalla sorgente a T2 e
trasformato in lavoro: parte di esso, Q1 , e trasferito alla sorgente alla temperatura inferiore
T1 . Questo e tipico delle macchine termiche, cioe non e possibile ideare una macchina termica
il cui unico effetto sia la conversione di una quantita di calore, estratta da una sorgente di
calore ad una data temperatura, in lavoro. Ce sempre una perdita di energia, rappresentata
dal calore Q1 che e trasmesso ad una sorgente alla temperatura piu bassa. Definiamo il
11.6. LA SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA 243
Esempio 6 Mostrare che, se la sostanza e un gas ideale, il rendimento del ciclo di Carnot
che lavora fra due temperature T1 e T2 > T1 e
T2 T1
= . (11.6.4)
T2
Poiche lenergia interna di un gas ideale e funzione della sola temperatura, essa e costante
lungo le trasformazioni isotermiche AB e CD. Per la prima legge della termodinamica, il
calore Q2 , assorbito alla temperatura T2 eguaglia il lavoro W2 fatto dal sistema durante la
sua espansione, che e (vedi esempio 4):
VB
Q2 = W2 = n R T2 log . (11.6.5)
VA
Allo stesso modo, il calore Q1 < 0 fornito dal sistema alla sorgente T1 lungo CD eguaglia
il lavoro W1 < 0 fatto dal sistema durante la compressione
VC
Q1 = W1 = n R T1 log . (11.6.6)
VD
Ora applichiamo lequazione (11.5.11) alle trasformazioni adiabatiche BC e DA:
BC : T2 VBK1 = T1 VCK1 ,
DA : T2 VAK1 = T1 VDK1 . (11.6.7)
Dal momento che il ciclo di Carnot e reversibile, possiamo realizzarlo in senso opposto,
eseguendo le trasformazioni descritte sopra in ordine inverso: A D C B A. La
trasformazione dara origine ad un lavoro W < 0 fatto sul sistema al fine di assorbire una
quantita di calore Q1 > 0 dalla sorgente a temperatura piu bassa e trasferire una quantita
di calore Q2 = Q1 + W alla sorgente a temperatura piu alta.
Questo ciclo e una rappresentazione schematica del processo fisico con cui lavora un
frigorifero. Un frigorifero e una macchina capace di trasferire calore da un oggetto ad una
certa temperatura ad un altro oggetto a temperatura piu alta, cosi da tenere, per esempio, il
sistema a temperatura inferiore a quella dellambiente circostante. Questo processo e opposto
al flusso di calore spontaneo quando due corpi a temperature diverse sono posti a contatto e,
percio, e necessario impiegare una quantita di lavoro per realizzarlo. Un frigorifero perfetto
sarebbe, quindi, una macchina capace di trasferire una quantita di calore, Q1 , da un oggetto
ad una certa temperatura ad un altro oggetto a temperatura piu alta, senza il bisogno di un
apporto esterno di lavoro.
Schematicamente descriveremo i cicli termici e frigoriferi tra due temperature come in figura
11.13.
Postulato di Lord Kelvin: Una trasformazione, il cui unico risultato finale e la tra-
sformazione in lavoro del calore proveniente da un unica sorgente a temperatura costante e
impossibile.
Dimostriamo ora lequivalenza fra i due postulati, provando che se uno di essi non fosse
valido, laltro parimenti non varrebbe. Supponiamo che il postulato di Clausius non fosse
valido e che fosse quindi possibile costruire un frigorifero perfetto che trasferisca una quantita
di calore da una sorgente alla temperatura di T1 ad una sorgente alla temperatura T2 > T1
senza impiego di lavoro. Allora, come prima cosa, potremmo eseguire un ciclo di Carnot tra
le due sorgenti in modo da assorbire una quantita di calore Q2 dalla sorgente T2 e produrre
11.6. LA SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA 245
Figura 11.13: Rappresentazioen schematica dei un cicli termici e frigoriferi tra due
temperature.
quantita di calore Q1 alla sorgente T1 , cos che W = Q2 Q1 . Possiamo mostrare che, come
caratteristica generale, Q2 e Q1 sono entrambi positivi. Supponiamo infatti Q1 0, cioe che
la quantita di calore Q1 sia assorbita dalla sorgente T1 . Allora, dopo ogni ciclo, possiamo
mettere le due sorgenti in contatto in modo che il calore possa passare dalla sorgente piu
calda a quella piu fredda.
Teniamo le due sorgenti a contatto finche una quantita, precisamente Q1 , di calore e
passata alla sorgente T1 . Alla fine di questo processo, il sistema ritornerebbe allo stato iniziale
poiche si e realizzata una trasformazione ciclica. La sorgente T1 non avra subito variazioni,
dal momento che, durante la trasformazione, ha emesso ed assorbito la stessa quantita di
calore Q1 . Lunico risultato della trasformazione, pertanto, sarebbe la conversione di una
quantita di calore attinto dalla sorgente T2 in lavoro, in contraddizione con il postulato di
Kelvin.
E immediato infine mostrare che per un generico ciclo, Q2 > 0. Per la prima legge,
infatti, abbiamo Q2 = W + Q1 . Poiche entrambi, W and Q1 , sono positivi, ne segue che
anche Q2 lo e .
Una macchina termica e chiamata reversibile se la sua trasformazione ciclica e reversibile.
Teorema di Carnot:
Dalle equazioni (11.6.12) e (11.6.13) segue che Q2 > Q02 . Questo a sua volta, usando le-
quazione (11.6.12), implica Q1 > Q01 . Alla fine di ogni ciclo congiunto la sorgente T2 ha
assorbito una quantita di calore Q02 Q2 > 0 e la sorgente T1 ha ceduto una uguale quantita
di calore Q01 Q1 = Q02 Q2 > 0. Poiche il lavoro totale compiuto e nullo, il solo risultato
di questo processo sarebbe un trasferimento di una quantita di calore da una sorgente piu
fredda ad una piu calda, in contraddizione con il postulato di Clausius. Concludiamo quindi
che 0 . Se anche la seconda macchina e reversibile, possiamo rifare il precedente ragiona-
mento, scambiando il ruolo delle due macchine per trovare: : 0 . Pertanto, se entrambe
le macchine sono reversibili = 0 . Tutte le macchine reversibili che lavorano tra due tempe-
rature hanno lo stesso rendimento. Il rendimento di una macchina non-reversibile non puo
essere maggiore di quella di una macchina reversibile che lavora tra le stesse temperature.
Figura 11.14: Lavoro e calore prodotti in una trasformazione reversibile sono, a parita di stati
di equilibrio iniziali e finali, tipicamente maggiori di quelli di una trasformazione irreversibile.
e quindi, essendo Wrev > We.l. , avremo che anche Qrev > Qe.l. .
Unaltra tipica situazione in cui la pressione interna ed esterna sono diverse e quella
in cui e presente attrito. Pensiamo ad un gas che si espande contro un coperchio mobile,
in presenza di attrito tra questo e le pareti del contenitore. Per spostare il coperchio il
gas deve esercitare una forza per unita di superficie sufficiente a compensare, oltre la forza
contrastante esercitata dallambiente, anche la forza di attrito. La pressione interna e quindi
superiore a quella dellambiente ed il lavoro compiuto dal gas diverso da quello effettivamente
realizzato sullambiente (e quindi utilizzabile) in quanto parte di esso e stato convertito dalla
forza di attrito in energia termica (inutilizzabile). Possiamo quindi pensare di sottoporre un
gas alla stessa sequenza di trasfromazioni isotermiche e adiabatiche descritte in figura 11.12
per un ciclo di Carnot (che ricordiamo essere per definizione un ciclo termico reversibile che
lavora tra due temperature), in presenza pero di attrito tra il pistone e le pareti del cilindro
(il ciclo termico risultante, non essendo reversibile, non sara piu chiamato di Carnot). Per
quanto detto, il lavoro totale compiuto dal gas sul pistone sara lo stesso di quello compiuto in
11.6. LA SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA 249
assenza di attrito (ciclo di Carnot), che chiameremo Wrev , ma il lavoro Wirr effettivamente
compiuto sullambiente (e quindi utilizzabile) sara invece inferiore, essendo parte di Wrev
persa per effetto dellattrito:
Analogamente, per il primo principio, il calore netto Qirr scambiato in presenza di attrito e
inferiore a quello assorbito in assenza di questa forza:
Questo succede perche la quantita di calore ceduta alla sorgente piu fredda e maggiore
rispetto al ciclo di Carnot, in quanto aumentata del calore equivalente prodotto dalla forza
di attrito (il calore Q2 assorbito dalla sorgente piu calda essendo lo stesso nei due casi). La
situazione e schematizzata in figura 11.15. Concludiamo che il rendimento 0 del ciclo con
Figura 11.15: Ciclo termico tra due temperature senza e con attrito.
attrito e strettamente minore di quello del ciclo di Carnot tra le stesse due temperature:
Wirr Wrev
0 = < = . (11.6.17)
Q2 Q2
Riassumendo, tipiche cause di irreversibilita di un processo, per un sistema ad una compo-
nente, sono:
250 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Trasferimento di calore per conduzione da un punto piu freddo ad uno piu caldo (puo
avvenire solo se la temperatura non e uniforme allinterno del sistema o tra il sistema
e lambiente, ovvero in assenza di equilibrio termico).
Unanalisi attenta di queste situazioni, che noi non facciamo, porterebbe a convincerci che,
come nei due esempi discussi sopra, a parita di stati iniziali e finali, valga la proprieta generale
enunciata allinizio:
Qirr < Qrev , Wirr < Wrev . (11.6.18)
Alla luce di questa discussione, possiamo completare il teorema di Carnot dando allultima
affermazione della sezione percedente una formulazione piu forte: se A0 e una macchina
termica irreversibile ed A reversibile tra le stesse due temperature, il rendimento della prima
e strettamente inferiore a quello della seconda, ovvero
0 < . (11.6.19)
Proprio perche non realizzati come successione di stati di equilibrio intermedi infinitamente
vicini, i processi irreversibili non sono mai osservati avvenire in verso opposto: non si osserva
mai calore passare spontaneamente da un corpo piu freddo ad uno piu caldo, cos come non si
osserva mai un gas comprimersi spontaneamente fino ad occupare una frazione del volume a
sua disposizione. Nel paragrafo 11.7 daremo una caratterizzazione quantitativa dei processi
irreversibili attraverso il concetto di entropia.
Supponiamo che A1 assorba una quantita di calore Q1 alla temperatura T1 e rilasci una
quantita di calore Q0 alla temperatura T0 < T1 , mentre A2 assorba una quantita di calore
Q2 alla temperatura T2 e rilasci la stessa quantita di calore Q0 alla temperatura T0 < T1 .
Per definizione della funzione f abbiamo per le due macchine:
Q0
= f (T0 , T1 ) ,
Q1
Q0
= f (T0 , T2 ) , (11.6.22)
Q2
che implica
Q1 f (T0 , T2 )
= . (11.6.23)
Q2 f (T0 , T1 )
Ora rovesciamo il ciclo di A1 , cos che, durante un ciclo composto che consiste di un ciclo
diretto A2 e dal ciclo inverso di A1 , A2 assorbe Q2 alla temperatura T2 e rilascia Q0 alla
temperatura T0 , mentre A1 assorbe Q0 alla temperatura T0 ed espelle Q1 alla temperatura
T1 . Il ciclo composto e un ciclo reversibile poiche entrambi, A1 e A2 lo sono. Esso lavora tra
le temperature T1 and T2 dal momento che dopo ogni ciclo lo stato della sorgente T0 rimane
inalterato. Applicando lequazione (11.6.20) al ciclo composto, troviamo:
Q1
= f (T1 , T2 ) . (11.6.24)
Q2
Confrontando questa equazione con (11.6.23), si trova lequazione (11.6.21). La proprieta
(11.6.21) e consistente con lo scrivere f (T1 , T2 ) come rapporto dei valori della funzione (T )
calcolata nelle due temperature.
Q1 (T1 )
= f (T1 , T2 ) = . (11.6.25)
Q2 (T2 )
Possiamo usare (11.6.25) per definire una nuova scala di temperature, chiamata scala ter-
modinamica assoluta di temperatura. Il vantaggio di questa definizione e che essa e in-
dipendente dalle particolare sostanza usata. Questa equazione definisce a meno di un
fattore moltiplicativo arbitrario. Questo fattore puo essere fissato scegliendo per esempio
(T0 ) = 273.16 K o = T0 al punto triplo dellacqua. Mostriamo che questa scala di tempera-
ture coincide con la scala definita usando i termometri del gas ideale. Poiche la definizione
della scala della temperatura termodinamica assoluta e indipendente dalla sostanza usata,
possiamo scegliere un gas ideale come sostanza della macchina termica. Usando lequazione
(11.6.9) e (11.6.25) troviamo
(T1 ) Q1 T1
= = , (11.6.26)
(T2 ) Q2 T2
la quale implica che (T ) T , dove T e la misura della temperatura riferita a un termometro
di gas ideale. Poiche le misure delle temperature nelle due scale coincidono in un punto, la
252 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Figura 11.16:
vedi Figura 11.17. Essi potranno lavorare o come cicli termici (verso orario) o come cicli
frigoriferi (verso antiorario). Consideriamo un ciclo composto, consistente in un ciclo del
sistema S ed in un ciclo di ciascuna macchina Ci . Useremo la convenzione, introdotta in pre-
cedenza, di descrivere con un numero negativo Q < 0 il calore che e trasmesso allambiente
e con un numero positivo Q > 0 il calore che fluisce nel sistema. Con questa convenzione in
mente, lequazione (11.6.20) per ciascun ciclo di Carnot Ci , operante tra T0 e Ti , diventa
T0 Qi,0
= 0 , (11.7.1)
Ti Qi
Dove Qi,0 , Q0i sono le quantita di calore scambiate, rispettivamente, alle temperature T0 , Ti
. Il segno meno nellequazione (11.7.1) deriva dal fatto che Qi,0 , Q0i hanno sempre segno
opposto: se T0 > Ti Qi,0 > 0, Q0i < 0 mentre se T0 < Ti Qi,0 < 0, Q0i > 0. Costruiamo
le varie macchine Ci in modo tale che essi forniscano alla (o assorbano dalla) sorgente Ti ,
durante ciascun ciclo, la stessa quantita di calore che S assorbe (o trasmette) alla stessa
temperatura: Q0i = Qi . Per ciascun ciclo Ci possiamo riscrivere lequazione (11.7.1) come
segue
Qi
Qi,0 = T0 , (11.7.2)
Ti
dove Qi sono le quantita di calore scambiate dal sistema S alla temperatura Ti . Durante
lintero ciclo composto, la sorgente a T0 avra scambiato con il sistema, consistente nelle
254 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Figura 11.17:
Supponiamo ora Q0 > 0. Cio implica che, dal momento che alla fine di un ciclo composto, il
sistema composto ritorna allo stato iniziale, e poiche ciascuna sorgente Ti rimane inalterata,
avendo assorbito ed emesso la stessa quantita di calore, il solo risultato del ciclo sarebbe la
conversione di una quantita di energia Q0 , ottenuta dalla sorgente T0 , in lavoro W = Q0 > 0.
Lintero sistema composto avrebbe agito come una macchina termica con rendimento pari
ad uno. Questo sarebbe in contraddizione con il postulato di Kelvin e pertanto la seconda
legge della termodinamica implica che, durante il ciclo S
n
X Qi
0. (11.7.4)
i=1
Ti
Supponiamo ora che la trasformazione ciclica di S sia reversibile. Cio comporta che lintera
trasformazione ciclica sul sistema composto consistente in S e nelle n macchine, sia reversibile,
poiche ciascuno dei cicli Ci lo e. Linverso di tutta la trasformazione complessa e descritta,
eseguendo il ciclo di S e ciascun ciclo Ci in senso opposto. Le quantita di calore, scambiate
con le varie sorgenti, cambiano segno rispetto al caso precedente (Q0 Q0 , Qi Qi ) e
11.7. FORMULAZIONE QUANTITATIVA DEL SECONDO PRINCIPIO TRAMITE LENTROPIA255
Pertanto troviamo che, per una trasformazione ciclica reversibile di S, la seguente relazione
e ancora valida
n
X Qi
= 0. (11.7.6)
i=1
Ti
Nel limite in cui il numero delle trasformazioni isotermiche e adiabatiche che descrivono
lintero ciclo di S sia infinito, cioe in cui S ha intaragito durante la trasformazione con un
infinito numero di sorgenti (n ), la somma in (11.7.6) e sostituita da un integrale sulla
trasformazione ciclica, rappresentata da una curva chiusa orientata nel piano p, V e possiamo
scrivere:
I
dQ
= 0. (11.7.7)
ciclo rev. T
Se il ciclo non e reversibile, ovvero e irreversibile, alla luce della discussione fatta nella sezione
11.6.4, la disuguaglianza (11.7.4) varra in senso stretto. Infatti abbiamo che
I I
dQ dQ
< = 0, (11.7.8)
ciclo irrev. T ciclo rev. T
avendo usato la proprieta (11.6.18) dQirr < dQrev che vale lungo ciascuna isotermica in-
finitesima in cui il sistema scambia calore con lesterno. Lequazione (11.7.7) puo essere
interpretata come segue: dividiamo lintera trasformazione ciclica reversibile di S in trasfor-
mazioni infinitesime (reversibili), durante le quali la temperatura del sistema e in buona
approssimazione costante e il sistema scambia con lambiente una quantita di calore Q, vedi
Figura 11.18. Se sommiamo i rapporti dQ T
su tutte le trasformazioni infinitesime, troviamo
zero. Questo e indubbiamente vero per un ciclo di una macchina termica reversibile che
opera tra due temperature T1 , T2 > T1 (i.e. macchina di Carnot). Dallequazione (11.7.1)
abbiamo:
Q1 Q2
+ = 0, (11.7.9)
T1 T2
dove Q1 < 0 and Q2 > 0. In questo caso infatti, lintegrale sul ciclo nellequazione (11.7.7)
ha solo i due contributi lungo le due isotermiche e ritroviamo un risultato noto.
Indichiamo ora con C(AB) la linea orientata nel piano p, V , che descrive una trasfor-
mazione reversibile che porta un sistema S da un stato di equilibrio iniziale A ad uno stato
256 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Figura 11.18:
di equilibrio finale B lungo una curva C, vedi Figura 11.19 (a). Poiche questa trasforma-
zione e reversibile, possiamo portare indietro il sistema da B ad A lungo la stessa curva,
effettuando una trasformazione inversa, descritta dalla linea orientata C(BA), vedi Figura
11.19 (b). C(BA) e C(AB) sono pertanto definite dalla stessa curva che unisce A a B,
ma hanno orientazione opposta. Consideriamo ora una trasformazione reversibile C(AB) e
la tdividiamo in trasformazioni infinitesime (reversibili) durante le quali la temperatura T
puo essere considerata costante ed il sistema scambia con lambiente una quantita di calore
dQ. Sommiamo i rapporti dQ T
di tutte le trasformazioni infinitesime. Questa somma e un
integrale espresso da:
Z
dQ
IC(AB) = . (11.7.10)
C(AB) T
dQ0
Z Z
dQ
IC(BA) = = = IC(AB) . (11.7.11)
C(BA) T C(AB) T
11.7. FORMULAZIONE QUANTITATIVA DEL SECONDO PRINCIPIO TRAMITE LENTROPIA257
Figura 11.19:
Ora vogliamo mostrare che il suddetto integrale dipende solo dagli stati iniziali e finali e non
dagli stati intermedi, cioe dalla curva che descrive la trasformazione del sistema da A a B.
A questo scopo consideriamo due trasformazioni generiche reversibili C(AB) e C 0 (AB) che
connettono A to B, descritte dalle curve C and C 0 rispettivamente, vedi Figura 11.20 (a).
Vogliamo mostrare che
Portiamo il sistema da A a B lungo la curva C, descrivendo cos C(AB). Una volta in B por-
tiamo il sistema indietro in A lungo la curva C 0 , descrivendo cos C 0 (BA). La trasformazione
reversibile totale e un ciclo, indicato da C, poiche si origina e termina nello stesso stato A,
vedi Figura 11.20 (b). Lintegrale IC sullintero ciclo e la soma dellintegrale lungo C(AB)
e lintegrale lungo C 0 (BA). Essendo la trasformazione reversibile, in virtu dellequazione
(11.7.7), esso e zero
I Z Z
dQ dQ dQ
0 = IC = = + =
C T C(AB) T C 0 (BA) T
= IC(AB) + IC 0 (BA) = IC(AB) IC 0 (AB) . (11.7.13)
Dalla suddetta equazione deduciamo la proprieta (11.7.12). Poiche IC(AB) non dipende da
C, potremo denotarlo con I(AB) . Esso soddisfa la proprieta I(AB) = I(BA) . Notiamo che
lintegrale di dQ da solo, che misura il calore totale scambiato durante la trasformazione,
dipende dalla traiettoria seguita! Lintegrale I(AB) soddisfa la stessa proprieta a cui soddisfa il
258 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Figura 11.20:
lavoro per una forza conservativa. Quindi, cos come abbiamo fatto per lenergia potenziale,
introduciamo una funzione di stato del sistema S, chiamata entropia, cosi che possiamo
scrivere:
Z B
dQ
I(AB) = = S(B) S(A) , (11.7.14)
A T
dove lintegrale e calcolato lungo ogni trasformazione reversibile che unisce A a B. Pro-
prio come per lenergia potenziale, lentropia e definita a meno di una costante additiva
indipendente dallo stato. S e completamente definita una volta che sia fissato il suo valore
S(O) = SO su uno stato di riferimento O:
Z A
dQ
S(A) = SO + , (11.7.15)
O T
Dove lintegrale e calcolato lungo una trasformazione generica reversibile che connette O
ad A. Cosa accade se dQ T
e calcolato lungo una trasformazione irreversibile? Consideriamo
una trasformazione irreversibile Irr(AB) e una trasformazione reversibile C(AB) tra gli
stessi stati A e B, vedi Figura 11.20 (c). possiamo considerare il ciclo di trasformazione
(irreversibile) Cirr. , facendo prima la trasformazione irreversibile Irr(AB) e poi, una volta in
11.7. FORMULAZIONE QUANTITATIVA DEL SECONDO PRINCIPIO TRAMITE LENTROPIA259
B portando indietro il sistema fino ad A lungo C(BA), vedi Figura 11.20 (d). Se calcoliamo
lintegrale di dQ
T
lungo Cirr. , usando lequazione (11.7.8) troviamo
I Z Z Z Z B
dQ dQ dQ dQ dQ
0 = + = . (11.7.16)
Cirr. T Irr(AB) T C(BA) T Irr(AB) T A T
Cioe lintegrale di dQ
T
lungo una trasformazione irreversibile non e mai piu grande dellinte-
grale calcolato lungo una trasformazione reversibile tra gli stessi stati. Se il sistema e com-
pletamente isolato, come nelle trasformazioni adiabatiche, la quantita di calore scambiato
con lambiente e zero: dQ = 0. Lequazione (11.7.17) ci dice che
S = 0 trasf. reversibile
n
sistema isolato S = S(A) S(B) 0 : (11.7.18)
S > 0 trasf. irreversibile
Questo implica che i sistemi isolati non evolvono verso stati con minore entropia. Percio essi
evolveranno fino a quando raggiungono uno stato di equilibrio in cui lentropia e massima
(compatibilmente con la loro energia). Partendo da un tale stato, ogni altra trasformazione
dovrebbe comportare una riduzione della sua entropia, cosa che non puo avvenire. Questo
chiaramente non e vero per sistemi non-isolati. Lentropia di un sistema puo esser fatta
decrescere attraverso unazione esterna. Tuttavia, se estendiamo la definizione di sistema fino
a includere tutto lambiente, questo sistema esteso, che coincide con lintero universo, sara
certamente isolato e cos la sua entropia non puo mai decrescere durante la sua evoluzione.
La proprieta (11.7.18) dellentropia e stata derivata dal secondo principio della termodi-
namica e, come vedremo fra poco, e equivalente ad esso. Applichiamola allespansione libera
di un gas.
Sappiamo che questo processo non comporta scambio di calore e di lavoro con lambiente:
Q = W = 0. Mostriamo ora che tale processo e irreversibile ovvero che, lentropia aumen-
ta. Per farlo consideriamo, per semplicita, un gas ideale. Sappiamo che, in questo caso,
lespansione non comporta una variazione di temperatura tra gli stati di equilibrio iniziale
e finale. Per calcolare la variazione di entropia dobbiamo calcolare lintegrale nellequazio-
ne (11.7.14) lungo una trasformazione reversibile che connette gli stessi due stati. Avendo
questi la medesima temperatura T , conviene, a tale scopo, considerare una trasformazione
isoterma reversibile. Questa di realizza pensando ad una situazione sperimentale diversa, in
cui il contenitore nel quale si trova il gas abbia pareti permeabili al calore e sia mantenuto
costantemente a contatto con una sorgente termica a temperatura T . Questa volta la valvola
sulla parete che le due camere interne, non viene aperta, bens la parete divisoria stessa viene
fatta scorrere senza attrito cos da far espandere gradualmente il gas dal volume iniziale Vi
della camera in cui e contenuto, al volume Vf > Vi dellintero contenitore (si veda Fig. 11.21
in basso). La parete viene spostata molto lentamente in modo tale che, in ogni stadio di
questa trasformazione, il gas sia sempre in uno stato prossimo allequilibrio termodinamico
260 CAPITOLO 11. TERMODINAMICA
Figura 11.21: Espansione libera ed isoterma reversibile tra gli stessi stati di equilibrio.
(trasfromazione reversibile). Lungo questa isoterma il gas interagisce con una sola sorgente
termica a temperatura T e scambia con essa un calore Q uguale al lavoro compiuto W , dato
dalla (11.5.15).
Usando la (11.7.14), troviamo che la variazione dellentropia vale:
Z
Q Q W 1 Vf Vf
S = = = = nRT log = nR log > 0. (11.7.19)
rev T T T T Vi Vi
Da quanto detto sopra ed in particolare dalla proprieta (11.7.18), concludiamo che lespan-
sione libera di un gas e un processo irreversibile. Percio non osserveremo mai un gas contrarsi
spontaneamente, perche tale processo dovrebbe avere S < 0 violando cos la (11.7.18) e con
essa la seconda legge della termodinamica. Possiamo, dopo la dilatazione libera, riportare
il gas al suo stato originario, comprimendolo lentamente e allo stesso tempo raffreddandolo,
dando luogo, cos, ad una trasformazione reversibile. Chiaramente, durante questa trasfor-
mazione, il sistema non e piu isolato, poiche stiamo facendo del lavoro su di esso e stiamo
estraendo calore da esso, e la sua entropia diminuisce.
Consideriamo ora un sistema A composto da due parti A1 e A2 . Supponiamo che lenergia
U di A sia la somma delle energie U1 , U2 delle due parti e lo stesso dicasi per il lavoro fatto
11.7. FORMULAZIONE QUANTITATIVA DEL SECONDO PRINCIPIO TRAMITE LENTROPIA261
2
Per essere precisi, tale probabilita, che e sempre un numero minore di uno, e il rapporto tra il numero
N di stati meccanici molecolari che realizzano lo stato macroscopico doviso il numero totale Ntot di stati
molecolari possibili del sistema.
Indice analitico
263
264 INDICE ANALITICO
unita di misura, 9
variabili
cinematiche, 213
velocita
angolare, 142, 152, 153, 160, 162
versore, 193
vettore, 11, 12, 18
accelerazione, 158
posizione, 19, 21, 25, 26, 4244, 46, 128,
203
rappresentazione matriciale, 21
unita, 13, 26, 32, 65, 74, 101, 103, 190
velocita, 14, 45, 46, 153