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VITA E PENSIERO

Università
Le Settimane internazionali della Mendola. Nuova Serie, 4

RESPONSABILITÀ
E CREATIVITÀ
ALLA RICERCA DI UN UOMO NUOVO
(SECOLI XI-XIII)
Atti del Convegno Internazionale
Brescia, 12-14 settembre 2013

a cura di GIANCARLO ANDENNA, ELISABETTA FILIPPINI

RICERCHE
VITA E PENSIERO STORIA
Il presente volume ha goduto di un finanziamento erogato da
EULO (Ente Universitario della Lombardia orientale) e ha rice-
vuto un contributo finanziario dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore, sulla base di una valutazione dei risultati della ricerca in
esso espressi.

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del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto
dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
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© 2015 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano


ISBN 978-88-343-2981-8
INDICE

Premessa di Giancarlo Andenna VII

Diario degli interventi XI

Elenco dei partecipanti e dei borsisti XV

GIANCARLO ANDENNA
Il nuovo CESIME e le sue prime realizzazioni 3

LA NUOVA PERCEZIONE DI DIO E DELL’UOMO

NICOLANGELO D’ACUNTO
Dall’età dell’obbedienza al tempo della responsabilità.
Discorso di apertura 15

RAINER BERNDT
Die neue Wahrnehmung von Gott.
Der „intellectus fidei“ zwischen Natur und Offenbarung 29

GÁBOR KLANICZAY
Il santo: modello di un uomo responsabile? 49

MIRKO BREITENSTEIN
La disponibilità della trascendenza: la coscienza dei monaci
come garanzia di salvezza 65

LA DIMENSIONE ETICA DELLA RESPONSABILITÀ

CARLA CASAGRANDE
«Multe sunt questiones de divisionibus peccatorum»: vizi, virtù
e facoltà dell’anima in alcuni testi teologici del secolo XIII 89
VI INDICE

INDIVIDUO E ORDINAMENTI

ENRICO ARTIFONI
Didattiche della costumanza nel mondo comunale 109

LA DIMENSIONE MONDANA

BARBARA H. ROSENWEIN
Emozioni e sessualità alla corte di Tolosa (ca. 1200) 129

ALESSANDRO GHISALBERTI
L’antropologia cosmica di Hildegard von Bingen 139

MARINA MÜNKLER
L’‘amicitia’ come concetto d’individuazione in Aelredo
di Rievaulx 153

MARTIAL STAUB
Conclusions 167

Indice dei nomi di persona e di luogo 171


ALESSANDRO GHISALBERTI

L’antropologia cosmica
di Hildegard von Bingen

1. La cifra di Hildegard: le visioni sonore, le parole viste e ascoltate

Nata nel 1098 e morta nel 1179, Hildegard von Bingen è una figura mul-
tiforme: monaca e badessa, mistica depositaria di visioni soprannaturali,
‘profetessa’ (nell’accezione del tempo: interprete ufficialmente ricono-
sciuto della divina rivelazione), teologa, scienziata nell’area naturalistica
(medicina e farmacologia), compositrice musicale, ha destato costante in-
teresse negli otto secoli successivi alla sua morte, sino alla recente bolla di
canonizzazione per equipollenza del 10 maggio 2012, mediante la quale
Benedetto XVI ha esteso il culto liturgico della santa alla Chiesa universale.
Lo stesso Benedetto XVI, il 7 ottobre 2012, con apposita Lettera apo-
stolica ha proclamato santa Ildegarda Dottore della Chiesa universale.
Sono noti agli studiosi alcuni capisaldi del pensiero della visionaria
tedesca elaborato nelle sue tre opere profetico-teologiche, lo Scivias (Co-
nosci le vie), il Liber vitae meritorum (Libro dei meriti della vita) e il Liber divi-
norum operum (Il libro delle opere divine), nelle quali sono narrate le sue vi-
sioni e l’incarico ricevuto dal Signore di trascriverle1. Indicazioni impor-
tanti sulla vita di Ildegarda sono contenute nelle Lettere a personalità ci-
vili e religiose del tempo, e nei 58 Sermoni rivolti alle consorelle.
Il profilo di Hildegard comprende ulteriori molteplici interessi, af-
fidati a diverse opere di contenuto scientifico, circa il sapere medico,
farmaceutico e botanico del suo tempo: la Physica (Storia naturale o del-
le medicine semplici), le Causae et curae (Libro delle cause e dei rimedi), un

1
Le edizioni critiche delle tre opere sono pubblicate in diversi volumi del Corpus Christia-
norum. Continuatio mediaevalis, dell’Editore Brepols: Hildegardis Bingensis Liber Scivias,
eds. A. Fuerkoetter, A. Carlevaris, Turnhout 1991 (CCCM, 43 e 43 A); Hildegardis Bin-
gensis Liber vitae meritorum, ed. A. Carlevaris, Turnhout 1995 (CCCM, 90); Hildegardis
Bingensis Liber divinorum operum, eds. A. Derolez, P. Dronke, Turnhout 1996 (CCCM,
92). Di quest’ultima opera esiste una traduzione italiana, alla quale faremo riferimento
in questo scritto: Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine, a cura di M. Cristiani,
M. Pereira, A. Mondadori Editore, Milano 2003. L’edizione riporta anche il testo latino
nell’edizione di A. Derolez e P. Dronke, edita nel CCCM, vol. 92. È ora disponibile anche
la traduzione italiana del Liber vitae meritorum: Ildegarda di Bingen, Come per lucido spec-
chio. Libro dei meriti di vita, a cura di L. Ghiringhelli, Milano-Udine 2013.
140 ALESSANDRO GHISALBERTI

Lapidario. Cospicuo il numero di liriche musicate da Ildegarda: Sympho-


nia harmoniae celestium revelationum, in due parti: i Carmina e l’Ordo Virtu-
tum (La schiera delle virtù), opera drammatica musicata, sempre connes-
se con una teorizzazione dei legami strettissimi tra canto di lode e spiri-
to profetico, in una prospettiva teologica del tutto originale2.
La sorpresa maggiore che incontra il lettore delle opere visionarie
della badessa di Bingen (in realtà, prima dell’approdo finale ad Eibin-
gen nel 1165, Hildegard fu badessa nei monasteri di Disibodenberg e di
Rupertsberg) sta nelle ripetute attestazioni circa il carattere delle sue vi-
sioni, assai diverse da quelle dei testi conosciuti della mistica medievale:
«Avvenne nell’anno 1141, quando avevo quarantadue anni e sette me-
si, che una luce infuocata, fortissima e abbagliante, scendendo dal cie-
lo che si era aperto, infiammò tutto il mio cervello e mi riempì di calore
il cuore e il petto: era simile a una fiamma che non brucia ma scalda»3.
E, subito, Hildegard fu in grado di interpretare le scritture dell’An-
tico e del Nuovo Testamento, pur non avendo avuto una precedente
istruzione in materia. Caratteristiche ulteriori delle visioni, che conti-
nuano ininterrottamente nei dieci anni in cui attende alla scrittura dello
Scivias, sono il fatto che non avvengono durante il sonno, non sono per-
cepite dagli occhi o dalle orecchie del corpo, ma sono ricevute a occhi
aperti, attraverso i sensi interiori. A sessant’anni la badessa continua a
godere delle visioni, che la portano ai vertici della volta del cielo, «dove
l’aria è diversa e si distende tra i popoli», e dove vede una luce senza con-
fini, il cui nome è «ombra della Luce vivente», al cui interno risplendo-
no «le scritture, i sermoni, le virtù e alcune opere degli uomini», che la
visionaria percepisce anche sonoramente, sentendo le parole latine che
mette poi per scritto («Quello che scrivo, l’ho visto e sentito nella visio-
ne»). Che cosa vede e sente?
I contenuti sono molteplici e assai diversificati; ricordo i più noti: le
corone, ossia i segni distintivi degli ordini ecclesiastici, un velo bianco
sul capo della vergine, e sopra il suo capo una ruota di tre colori uniti in-
sieme, che indica la Trinità. Ad essa si collegano quattro ruote, ciascuna
recante una figura: l’agnello di Dio, un cherubino, un angelo, un uomo;

2
Per l’elenco completo e l’edizione delle singole opere, comprese le Epistolae e le Vitae (la
maggior parte degli scritti ildegardiani è edita da Brepols nella prestigiosa collana CCCM,
Corpus Christianorum. Continuatio mediaevalis), rinvio ai siti Internet, alla copiosa biblio-
grafia presente nell’edizione italiana del Libro delle opere divine curata da Marta Cristiani
e da Michela Pereira (2003) e agli studi dedicati a Hildegard soprattutto negli ultimi
decenni del secolo scorso, in occasione del duplice centenario, della morte (1179-1979) e
della nascita (1098-1998) della badessa. Va menzionato il recente contributo sullo studio
della composizione Symphonia armonie caelestium revelationum, offerto da M. Del Franco,
O Cohors milicie floris. Un’antifona di Hildegard von Bingen per i dodici apostoli, «Aevum», 86
(2012), pp. 549-580.
3
Hildegardis Scivias, protestificatio (CCCM, 43), pp. 3-4.
L’ANTROPOLOGIA COSMICA DI HILDEGARD VON BINGEN 141

raffinatissime e coloratissime illustrazioni accompagnano negli antichi


codici le descrizioni dei contenuti delle visioni. Sembra che la stessa Hil-
degard ne facesse un primo abbozzo su tavolette di cera, mentre dettava
i testi delle visioni al suo segretario.

2. L’antropologia cristiana nella prima metà del secolo XII e il problema


delle ‘fonti’ di Hildegard

È un dato acquisito che l’antropologia dell’Alto Medioevo ha avuto due


componenti: la prima è quella agostiniana, che insiste sul carattere so-
stanziale dell’anima umana, una sostanza di natura spirituale destinata a
governare un corpo; la seconda è quella che attingendo ai Padri orien-
tali, recuperati soprattutto dalle traduzioni latine e dagli scritti di Gio-
vanni Scoto Eriugena, prospetta una visione più unitaria dell’uomo, con
una maggiore interconnessione tra anima e corpo e una prospettiva di
crescita dell’uomo in chiave escatologica.
Nella prima metà del secolo XII lo studio dell’antropologia fonda-
mentalmente in collegamento con la dottrina agostiniana passa attraver-
so Cassiodoro, il cui De anima4 ha rappresentato la fonte principale dei
trattati sull’anima composti nel secolo IX (Rabano Mauro, Ratramno di
Corbie, Incmaro di Reims, Gotescalco di Orbais), ed è presente anche
nei trattati del secolo XII, particolarmente impegnati nella discussione
circa l’origine dell’anima e della modalità della contrazione da parte del
singolo uomo della colpa originale5.
Il dualismo mitigato che sta alla base dell’antropologia agostiniana
sostiene l’attribuzione al corpo della trasmissione del peccato alla singo-
la anima, creata direttamente da Dio e, di conseguenza, vede la destina-
zione dell’anima al corpo segnato dalla concupiscenza come prestabilita
da Dio; dunque viene enucleato un fine positivo nell’unione dell’anima
col corpo, che consente di riservare un margine di «naturalità» all’atti-
vità sessuale dell’uomo. Questa linea di agostinismo antropologico può
essere riassunta dalle parole di Cassiodoro, il quale dice che

questa carne, benché sia minacciata da diversi vizi e soggetta alle lacerazioni
di molte ferite, tuttavia è quella stessa che canta il celeste salterio, che produce

4
Magni Aurelii Cassiodori Senatoris Variarum libri XII. De anima, edito da J.W. Hal-
porn, Turnhout 1973 (CCL 96), pp. 533-575. L’ultima traduzione italiana, con il testo
latino a fronte, è stata curata da A. Tombolini, Cassiodoro, De anima, Milano 2013.
5
Tra i riferimenti, oltre al testo di Guglielmo di St. Thierry, De natura corporis et animae,
di cui parleremo di seguito, cfr. una singolare testimonianza anonima: A. Ghisalberti,
Un’inedita “epistola de origine animae” del XII secolo, in AA.VV., Studi di filosofia in onore di Gu-
stavo Bontadini, Milano 1975, pp. 368-381.
142 ALESSANDRO GHISALBERTI

martiri gloriosi, che si rese degna di essere visitata dal suo creatore e che rice-
vette anche la stessa croce vivificante del santo redentore; giustamente si crede
che essa diventerà spirituale [...]. Purificate le sozzure dei peccati, prepara una
mente limpida perché sia degna di accogliere il proprio creatore, diventando
tempio della fede nella misura in cui non ha offerto ospitalità ai crimini. Fu la
divina misericordia – e ne sono profondamente convinto – a stabilire che il cor-
po soggiacesse all’anima, che l’anima fosse soggetta a sé stessa e che tutto guar-
dasse salutarmente a Dio creatore6.

Tre temi alti di questo passo, che hanno uno svolgimento molto lucido
nella parte centrale del trattato di Cassiodoro, sono: la nobiltà del cor-
po, sancita dalla scelta di Dio creatore di stabilire che l’anima fosse sog-
getta al corpo; la sua nobilitante capacità di esprimersi in melodie come
nel canto del celeste salterio; la sua capacità di ricevere Dio incarnato e
fare dell’uomo il tempio della fede. Si tratta di tre motivi centralissimi
dell’antropologia di Hildegard von Bingen. Cassiodoro sembra dunque
essere fonte di fatto di Hildegard, anche se è tutto da ricostruire il per-
corso testuale che da Cassiodoro arriva a Hildegard.
Esemplificata in questi elementi la linea agostiniana dell’antropolo-
gia altomedievale, passiamo all’altra linea che abbiamo collegato all’in-
flusso dei Padri orientali e alla decisiva mediazione operata da Giovanni
Scoto Eriugena; questi sviluppa il tema dell’uomo mediatore del cosmo,
per natura e per via di conoscenza, nel senso che tutto quanto è colto co-
noscitivamente dai sensi o dall’intelletto è in qualche modo creato e ri-
prodotto dalla mente che lo conosce e lo comprende: il mondo ha la sua
essenza più vera nella conoscenza umana. Il conoscere dell’uomo si con-
figura come un vero e proprio creare, e, di conseguenza, gli esseri non
sono se non nell’intelligenza o nella loro attitudine ad essere conosciuti.
Come la sapienza creatrice, ossia il Verbo di Dio, possiede in sé la ve-
ra ed eterna essenza di tutte le cose prima che queste inizino la loro esi-
stenza, così la natura umana, in quanto sapienza creata, conosce in se
stessa tutte le cose create prima del loro ingresso nella storia; ed è que-
sta conoscenza il vero essere degli enti.
Per Eriugena, l’uomo con la conoscenza non stabilisce un rappor-
to estrinseco con il mondo, ma realmente crea e conserva nel proprio
essere tutto ciò che è a lui inferiore. L’intelletto umano però non crea
traendo dal nulla le cose: questa è prerogativa della potenza conosciti-
va di Dio, la quale illumina i diversi ordini delle cose create e conferisce
loro la capacità di realizzarsi; l’azione demiurgica dell’intelletto umano
si inserisce in questo ordinamento e costituisce la totalità delle cose di
cui la natura creata è gravida per volere della natura prima, increata e

6
Cassiodoro, De anima, XI; tr. di A. Tombolini, Milano 2013, pp. 75-77.
L’ANTROPOLOGIA COSMICA DI HILDEGARD VON BINGEN 143

creatrice. Come i numeri sono eternamente contenuti nell’unità e tutta-


via occorre continuamente crearli attraverso un’iniziativa dello spirito,
così l’anima intellettiva è dotata da Dio non delle semplici nozioni delle
cose, bensì di tutto ciò che le occorre per produrle. Dall’unità i numeri
scaturiscono nelle loro serie infinite, nei loro rapporti e nei loro modi;
dallo spirito umano la natura trae la sua consistenza, sfociando poi nel-
le molteplici diversificazioni.
Si tratta di pagine che non vanno lette con una precomprensione di
tipo razionalistico, che porterebbe a parlare di idealismo o di pantei-
smo; siamo di fronte ad una metafisica orientata teologicamente, che
cerca di individuare una chiave di lettura nel processo creativo, in cui
nulla può essere estraneo alla mente creatrice, ed insieme nulla può sve-
larla interamente. La natura umana, in quanto immagine del creatore,
ripete le caratteristiche dell’archetipo e corrisponde al luogo di produ-
zione di tutte le cose (officina omnium), che conferisce l’essere alle cose
senza identificarsi con esse e senza che esse la esauriscano:

e come l’intelletto divino precede ogni realtà, ed è ogni cosa, così la conoscen-
za intellettuale dell’anima precede tutto ciò che conosce ed è tutto ciò che pre-
conosce, affinché ogni cosa sussista, nell’intelletto divino secondo la causa, nel-
la conoscenza umana secondo l’effetto7.

Le due linee antropologiche, quella agostiniana e quella eriugeniana,


si incontrano proprio nella prima metà del secolo XII, in concomitan-
za con il diffondersi nelle scuole e nei monasteri delle opere di Giovan-
ni Scoto; la frequentazione dell’Eriugena spinse contemporaneamente
allo studio delle sue fonti, facilitato dal fatto che alcuni dei testi più in-
fluenti erano stati tradotti in latino dallo stesso Giovanni Scoto: gli Am-
bigua e le Quaestiones ad Thalassium di Massimo il Confessore, il De homi-
nis opificio di Gregorio di Nissa, l’Ancoratus di Epifanio, nonché il decisi-
vo Corpus areopagiticum.
L’incontro nel secolo XII dell’antropologia eriugeniana con quella di
matrice agostiniana è attestato dalla sicura compresenza dei testi delle
due fonti, ma trova un testimone privilegiato in uno scritto di Guglielmo
di Saint-Thierry, il De natura corporis et animae, composto a Saint-Thierry
intorno al 11258.
Lo scritto è presentato in questi termini dallo stesso autore nel prolo-
go della sua celebre Epistola aurea (Epistola ad fratres de Monte Dei):

7
Giovanni Scoto Eriugena, Sulle nature, IV; ed. Migne (col titolo: De divisione naturae),
in Patrologia Latina, vol. 122, col. 779 B-C.
8
Cfr. Guillaume de Saint-Thierry, De la nature du corps et de l’ame. De natura corporis et
animae, testo latino, tr. e note di M. Lemoine, Paris 1988.
144 ALESSANDRO GHISALBERTI

C’è un opuscolo scritto da noi, scritto sotto il nome di «Giovanni a Teofilo», che
tratta della natura dell’anima. Per parlare dell’uomo tutto intero, come sembra-
va opportuno, noi abbiamo anteposto alcune riflessioni sulla natura del corpo
umano, tratte dagli scritti di quanti curano le malattie. La seconda parte si ri-
fà analogamente agli scritti di coloro che hanno il compito di curare le anime9.

Queste indicazioni sono precedute dalla suggestiva espressione: «Orien-


tale lumen»10, con cui l’autore rende nota l’influenza ricevuta dal pen-
siero dei Padri greci, con i quali è entrato in contatto solo nell’ultimo
periodo dei suoi studi. Se nel primo libro l’esposizione riproduce dot-
trine tradizionali, presenti in Agostino e Cassiodoro, aggiornate dall’ac-
coglienza di dottrine ricavate dagli scritti di medicina e di fisiologia che
avevano trovato accoglienza nell’Occidente latino ad opera soprattut-
to dei maestri della scuola di Chartres, nel secondo libro si esplica l’in-
cidenza dell’Orientale lumen; il secondo libro è significativamente intito-
lato Physica animae, e il termine Physica mostra subito la sua potenza in-
trigante nel nostro percorso, perché attesta, oltre al legame di continui-
tà con il Periphyseon di Giovanni Scoto, il grande nesso dell’antropologia
con la cosmologia che aveva sensibilizzato il mondo monastico del seco-
lo XII, e che è l’aspetto macroscopico della visione ildegardiana dell’uo-
mo e del cosmo11.
In questo secolo hanno infatti trovato spazio molte produzioni che si
estendono al tema antropologico-cosmologico, sia nell’area delle scuole
monastiche (Scuola cistercense, Scuola dei maestri vittorini), sia nell’al-
veo del rinnovamento fisico e delle scienze mediche (Scuola di Char-
tres, Scuola salernitana, Testi della scienza araba). Ora tutte le conoscen-
ze che sono sviluppate negli scritti dei maestri di queste ultime Scuole
sono in vario modo presenti negli scritti di Hildegard, nel senso che so-
no tematiche che la nostra abbatissa riprende sia pure, giova ripeterlo,
con modalità recettiva, narrativa e discorsiva totalmente peculiari. Ora,
a tutti gli specialisti è noto che il genere letterario proprio di Hildegard
è quello della visione, e perciò la sua scrittura è dichiaratamente dipen-
dente dalla visione, per quanto riguarda le opere profetico-teologiche,
per cui in esse non è dato che si riscontrino citazioni di testi o di nomi
di autori, naturalmente prescindendo dalle diffusissime citazioni dalla
Sacra Scrittura. Il problema di accertare le ‘fonti’ delle dottrine di Hil-

9
Guillaume de Saint-Thierry, Lettre aux fréres du Mont-Dieu, testo latino e tr. francese a
cura di J. Déchanet, Paris 1975 («Sources Chrétiennes», 223), p. 138.
10
«Fratribus de Monte Dei, orientale lumen et antiquum illum in religione Aegiptium
fervorem tenebris occiduis et gallicanis frigoribus inferentibus» (ibi, I, p. 144).
11
Cfr. I.P. Sheldon-Williams, Eriugena and Cîteaux, «Studia monastica», 19 (1977), pp.
75-92. Una sinossi dei passi precipui e delle rispettive fonti si trova nello studio di J.
Déchanet, Guillaume de Saint-Thierry. Aux sources d’une pensée, Paris 1978.
L’ANTROPOLOGIA COSMICA DI HILDEGARD VON BINGEN 145

degard è di conseguenza rimandato al lettore, agli studiosi che hanno


affrontato le edizioni critiche e agli specialisti che si occupano specifica-
mente delle fonti. Si può dire che i riscontri resi pubblici sino ad oggi
attestano una presenza indiretta della quasi totalità della letteratura del
secolo di Hildegard, come pure della maggior parte delle fonti di que-
sta letteratura, secondo le modalità della loro circolazione nella prima
metà del secolo XII.
Non abbiamo perciò molto di nuovo da aggiungere a quanto è sta-
to fatto emergere negli ultimi trent’anni di bibliografia hildegardiana;
mi limito a richiamare un testo di cui si potrebbero meglio valorizzare
le scelte circa l’antropologia, che tratta dell’anima e del corpo, coinvol-
gendo la fisiologia del corpo vivente e il nesso di questa con la cosmolo-
gia. Negli apparati predisposti dai sapienti editori della trilogia profeti-
ca di Hildegard, ho riscontrato pochi rimandi al trattato di Guglielmo di
Saint-Thierry, De natura corporis et animae ; una carenza che in parte è col-
mata dall’insistenza di tutti nel richiamare la fonte eriugeniana, la quale
però, a mio avviso, potrebbe proprio aver avuto come trasmettitore ido-
neo il testo di Guglielmo di Saint-Thierry. Inoltre, le numerose presenze
in Hildegard di temi puntuali relativi al corpo e all’anima estremamen-
te affini alla trattazione fattane nel De anima di Cassiodoro possono esse-
re entrate nel circolo del monachesimo del secolo XII proprio grazie al
De natura corporis et animae di Guglielmo di Saint-Thierry, autore che go-
deva di grande ascendente, soprattutto dopo che era confluito tra i mo-
naci bianchi dell’abbazia di Clairvaux, legato da forte amicizia con Ber-
nardo di Clairvaux, personaggio che sappiamo essere stato in relazione
quantomeno epistolare con la nostra abbatissa.
Precisi e adeguati riferimenti nei rimandi al De natura corporis et ani-
mae ho invece riscontrato negli Indici dell’edizione delle Cause et cure,
pubblicata nel 2003 da Laurence Moulinier e Rainer Berndt12; mi augu-
ro che questo dato possa stimolare la ricerca di un confronto mirato an-
che con la altre opere di Hildegard.
Inoltre, negli apparati di tutti gli editori si riscontra la segnalazione
delle possibili dipendenze di Hildegard dal De anima di Cassiodoro; ri-
tengo tuttavia che un’analisi più particolareggiata della trattazione della
sessualità maschile e femminile, e della natura morale dell’atto sessua-
le, presente nel testo di Cassiodoro potrebbe rivelare un collegamento
più stretto con le stesse tematiche trattate dalla nostra abbatissa, pur con
tutte le autonomie che questa si concede nella scrittura. E si noti anco-

12
Beate Hildegardis Cause et cure, edidit Laurence Moulinier, recognovit Rainer Berndt,
Akademie Verlag, Berlin 2003. I riferimenti a Guglielmo di Saint-Thierry, De natura
corporis et animae, sono specificati negli Indici, a p. 354.
146 ALESSANDRO GHISALBERTI

ra una volta che molti passaggi puntuali del trattato di Cassiodoro sono
ripresi esplicitamente nel citato trattato di Guglielmo di Saint-Thierry.
Una segnalazione particolare merita, circa la ricostruzione delle fon-
ti di Hildegard, una ricerca condotta da Marco Rainini13. Affrontando il
problema dello studioso che, quando legge le opere di Hildegard, rico-
nosce i temi di ascendenza varia, ma non trova le citazioni, perché l’ab-
batissa compone i suoi testi riformulando le proprie visioni attraverso le
categorie che accoglie dai filosofi, dai teologi, dai cosmologi e dai fisio-
logi, senza tuttavia appoggiarsi in modo immediato ai loro testi scritti,
Rainini esplora le reti di relazioni e la collocazione di testi in bibliote-
che ed aree culturali che ritiene possano essere state accessibili ad Hil-
degard, oppure a singoli personaggi di cultura appartenenti alla cerchia
dei suoi collaboratori. Mirando alle rielaborazioni, alle epitomi e alle
ripetizioni operate dagli intellettuali tedeschi del secolo XII, Rainini si
concentra in particolare sull’area geografico-culturale dove si è espan-
sa la riforma di Hirsau, offrendo una documentazione convincente, in
particolare per la circolazione dell’opera di Giovanni Scoto Eriugena e
dell’anonimo Speculum virginum, un dialogo che tratta della vita mona-
stica femminile, composto agli inizi della quarta decade del secolo XII.

3. La visione olistica di Hildegard: l’uomo microcosmo orienta


il macrocosmo

Il lessico dell’antropologia cosmica di Hildegard von Bingen è ampio e


variegato, ed è stato oggetto di seri studi settoriali; per un resoconto ra-
gionato circa il lessico relativo al Liber divinorum operum, in cui le temati-
che in questione sono ampiamente riprese e sviluppate, rinvio al denso
saggio di Giulio Piacentini del 200214. Tentando una schematizzazione,
anzitutto risalta l’uomo posto al centro del creato, uomo-microcosmo in
un’unità stretta con il macrocosmo (e con le figure cosmologiche delle
visioni di Ildegarda); al tema sono dedicati tantissimi capitoli delle sue
opere, e le spiegazioni sono molto analitiche, a cominciare dall’afferma-
zione circa la creazione dell’uomo:

Dio fece l’essere umano formandolo a propria immagine e somiglianza, perché


stabilì che il suo corpo sarebbe stato la veste della sua santa divinità; per questo

13
M. Rainini, Ildegarda, l’eredità di Giovanni Scoto e Hirsau. «Homo medietas» e mediazioni,
in «Unversehrt und unverletzt». Hildegards Menschenbild und Kirchenverständnis heute, Inter-
nationales und interdisziplinäres Symposium (Mainz, 27. Februar-3 März 2013), Hgg.
R. Berndt, M. Zátonyi, in corso di stampa.
14
Cfr. G. Piacentini, L’universo e l’uomo nel “Liber divinorum operum” di Ildegarda di Bingen,
«Rivista di Filosofia Neo-scolastica», 94 (2002), pp. 195-236.
L’ANTROPOLOGIA COSMICA DI HILDEGARD VON BINGEN 147

ha impresso nell’uomo il segno di tutte le creature, come ogni creatura ha avuto


origine dal suo verbo […]. Dio infatti ha formato l’uomo e lo ha vivificato con il
respiro vivente, che è l’anima; ne ha fatto un coagulo di carne e di sangue e lo
ha reso saldo con la struttura delle ossa, alla maniera in cui la terra è consolida-
ta dalle pietre, perché come la terra non può sussistere senza pietre, così nep-
pure l’uomo senza le ossa15.

Ancora più potente nella forza espressiva è l’affermazione presente nel


libro Cause et cure :

Et Deus omnes creaturas illi [all’uomo] dedit, quatenus virili vi eas penetraret,
quoniam illas scivit et cognovit. Nam ipse homo creatura est, et spiramen vite in
eo est, quod finem vite non habet16.

Oltre al riconoscimento altissimo riservato alla creazione, alla costituzio-


ne e funzione delle singole parti del corpo umano, inusuale per gli auto-
ri monastici, la nostra badessa vede nell’interconessione cosmica anche
il lato maschile/femminile della corporeità, e la femminilità non è pen-
sata come la sola responsabile del peccato originale; anzi, mentre l’uo-
mo fu fatto con un impasto di terra, la donna è stata fatta dalla carne di
Adam, e perciò la sua mente è più acuta e leggera, non oppressa dal pe-
so della terra.
L’uomo e l’universo sono intrinsecamente uniti e interdipendenti:
tra le moltissime attestazioni, spicca quella che leggiamo in apertura del
Liber divinorum operum, dove viene tracciata con precisione la concezio-
ne che Hildegard svilupperà lungo tutto lo scritto visionario, con que-
ste parole precise pronunciate (dalla badessa sentite, viste e scritte) dal-
la Caritas divina:

Io sono la razionalità col suo vento che è il verbo risonante, attraverso il quale
ogni creatura è stata fatta; e in tutte le cose ho immesso il mio soffio, così che
nessuna di esse nel proprio genere sia mortale, perché io sono la vita […]. E
poiché Dio è razionale, come potrebbe avvenire che non operasse, dal momen-
to che tutta la sua opera giunge a perfetta fioritura nell’uomo, che ha fatto a
sua immagine e somiglianza, ponendo in esso secondo misura il sigillo di tut-
te le creature? Fin dall’eternità il volere di Dio fu che l’opera sua, cioè l’uomo,
fosse fatta; e quando ebbe compiuto questa sua opera le affidò tutte le creatu-
re perché facesse le sue opere con esse come Dio aveva fatto la sua opera, cioè
l’uomo17.

15
Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine, quarta visione della prima parte, p. 377.
16
Beate Hildegardis Cause et cure, II, 85, righe 4-5, ed. cit., p. 76.
17
Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine, I, 1, 2, pp. 139-141
148 ALESSANDRO GHISALBERTI

Si noti la forte istanza antropocentrica che presiede alla creazione del-


le realtà cosmiche altre dall’uomo: un antropocentrismo segnato medul-
litus dalla visione cristocentrica che caratterizza l’inizio di tutta la crea-
zione a partire dall’attività creatrice del Verbo divino, meglio spiega-
ta nell’ampio Commento al Prologo del Vangelo di Giovanni, che Hildegard
espone nel capitolo CV della quarta visione della prima parte sempre del
Liber divinorum operum, in vicinanza, pur nelle differenze, ai Commenti
al Prologo composti da sant’Agostino e Giovanni Scoto Eriugena18.
La forza vitale al centro dell’universo in tutte le opere di Hildegard
è chiamata Viriditas, forza verde vista come l’energia primordiale che fa-
vorisce la vita in ogni cosa, che fa crescere tutto ciò che popola la terra.
Il concetto di verde è collegato con la narrazione del terzo giorno della
creazione secondo il libro della Genesi, quando Dio disse: «che la terra
sia verde di giovani germogli». La forza verde esiste nel corpo e nell’a-
nima delle persone, nello spirito, nella ragione, nella volontà, nei sensi
e nella fertilità. La viriditas nelle piante è visibile, mentre negli altri luo-
ghi è invisibile («ciò che si vede è debole, ciò che non si vede è forte e
vivo»!). Parlando del Verbo incarnato per opera dello Spirito Santo co-
me come di colui che ha vivificato l’umanità, nutrendola della viriditas,
Hildegard vede l’incarnazione come fusione di anima e corpo, riporta-
ti a come erano uniti prima della caduta, fusione di cui Cristo princi-
pio vitale incarnato è simbolo, un Cristo cosmico, in relazione con tut-
to il creato, che sancisce lo stretto rapporto tra salvezza spirituale e cu-
ra corporea.
Le forze dell’universo intero si riversano sull’uomo, e dunque c’è
una continuità tra l’ordine delle nature (minerali, vegetali e animali) e
l’influenza delle loro energie sull’uomo. I libri della badessa si interessa-
no al potere terapeutico di tutti i prodotti che diventano alimenti, divi-
si in alimenti per sani, per ammalati e in alimenti sconsigliati perché au-
mentano i fluidi negativi nelle persone. I principi curativi sono elaborati
sulla base della teoria dei fluidi comune alla medicina classica, ossia del-
la presenza nell’uomo di quattro fluidi: il flegma, il sangue, la bile nera
(melanos) e la bile gialla (chole), in base al prevalere dei quali si classifi-
cano le persone in quattro tipi: flemmatiche, sanguigne, malinconiche
e colleriche. Le malattie sono causate dall’alterazione dell’equilibrio di
questi fluidi, mentre la cura deve preservarlo.
Oltre alle riflessioni naturalistiche, ricavate dalla biologia, dalla me-
dicina, dalla botanica e dagli erbari, sono state determinanti per l’ar-
te terapeutica sviluppata nelle opere della nostra badessa le regole e la
prassi del digiuno monastico, a partire dalla Regola di san Benedetto:
questa prescriveva (XXXIX, 11) l’obbligo per tutti di non cibarsi con

18
Cfr. ibi, I, 4, 105; pp. 621-663. Vedi anche le corrispondenti note fatte dalle curatrici.
L’ANTROPOLOGIA COSMICA DI HILDEGARD VON BINGEN 149

la carne degli animali con quattro zampe, eccetto i malati molto gravi;
inoltre chiedeva ai monaci di osservare i periodi di digiuno (almeno la
metà dei giorni di un anno, distribuiti nelle varie cadenze liturgiche) ri-
ducendo il cibo, le bevande, il sonno, le conversazioni e il divertimento.
Hildegard è sempre molto riservata nel dare notizie circa la prassi ali-
mentare propria e delle sue monache; ritorna tuttavia insistente nei suoi
scritti l’invito a seguire una linea equilibrata, la giusta misura tra ingor-
digia e astinenza: l’astinenza esagerata dal cibo indebolisce l’uomo, lo
secca; lo stesso vale per l’astinenza severa dalla vita sessuale, perché «in
tutto l’anima ama la misura discreta».

4. Tra immagine e somiglianza: la perdita dell’armonia celeste


e la necessità della «memoria Dei»

In una lettera ai prelati di Magonza, commentando il divieto di canta-


re le divine liturgie inflitto alla sua comunità da una censura ecclesiasti-
ca, Hildegard trova modo di esprimere una visione contestuale in cui la
voce le illustra il nesso tra gli strumenti musicali, i loro suoni e la voce
dello Spirito vivente. Adamo disobbedendo ha perso la voce per canta-
re le lodi che aveva in comune con gli angeli; nelle successive tappe del-
la storia della salvezza, Dio provvide a consentire all’uomo di recupera-
re quella illuminazione interiore ispirando ai profeti la composizione di
salmi e canti, ed anche l’invenzione di diversi strumenti musicali per ar-
ricchire i canti con suoni variati. Sono nate così le melodie che canta-
no le lodi liturgiche, ricche del suono di ogni armonia che «fu forma-
to dal dito di Dio, ossia dallo Spirito santo». Il diavolo opera incessante-
mente all’incontrario, non smettendo mai di turbare o distruggere l’in-
segnamento e la bellezza delle lodi divine e degli inni spirituali, con sug-
gestioni malvagie, pensieri immondi, scandali e attività che distraggono
dalla vita interiore.
Hildegard traccia un’originale psicografia dell’anima segnata dalla
memoria della musica paradisiaca: talvolta, osserva la visionaria, gli uo-
mini ascoltando un canto si ritrovano a sospirare o a gemere, «ed è co-
me se si rammentassero della natura della celeste armonia dell’anima»19.
È per far riaffiorare nella memoria le lodi celestiali che i profeti hanno
stabilito un’analogia tra il suono grave della cetra e la disciplina del cor-
po, fra il suono acuto del salterio e l’intenzione dello spirito, fra le dieci
corde dell’arpa e l’obbedienza alle dieci parole del Decalogo.
Le voci dei profeti sono comprese quando viene conosciuto il verbum,
le parole che trasmettono; per questo il Verbo si fece carne, perché non

19
Hildegardis Bingensis Epistolarium, ep. 23 (CCCM 91), 61-66, 64-65.
150 ALESSANDRO GHISALBERTI

ci fosse possibilità di travisare la verità, confondendo le voci; e Hildegard


celebra il Verbo incarnato esaltando con liriche suggestive il ventre gra-
vido della Vergine Maria: nel suo ventre casto esplose il suono di tutta la
sinfonia celeste. Nello Scivias Hildegard attribuisce al ventre di ogni ver-
gine consacrata il carattere di tabernacolo in cui «sinfonizza lo Spirito
santo», poiché la verginità

rumina sempre il Verbo di Dio, ricercando con totale devozione l’amplesso con
Cristo ardendo d’amore, dimenticando la fragilità che nell’uomo contrassegna
l’ardore dell’incendio stante la concupiscenza della carne, ma, unendosi al solo
uomo che non fu mai toccato dal peccato, resta nell’unione senza alcuna con-
cupiscenza carnale, sempre con lui fiorendo nel giubilo delle nozze regali20 .

Riportando questa densa pagina alla sua autrice, la vergine Hildegard, le


sue visioni sonore non ci appaiono altro che espressioni del giubilo del
suo essere sposa abbracciata a Cristo: sono sapienza di parole e suoni tra-
dotti in lode di Dio, e attestano l’effondersi dello spirito profetico che
risuscita la sinfonicità naturale dell’uomo, scintilla che vince la latenza
nell’uomo dopo la perdita dell’armonia celeste di cui fu dotato nello sta-
to di paradiso. Quando ritornerà nel paradiso riaperto, oltrepassata ver-
ticalmente la soglia delle parole, l’uomo si assesterà nel giubilo (iubilia-
tio), termine molto usato dalla scrittura e dai Padri per dire lo stato di lo-
de perenne, non più di preghiera, ma, come dice sant’Agostino, riempi-
to di «alleluia, amen, voce all’unisono con gli angeli».
In molti passaggi delle sue opere la nostra abbatissa tratta del tema
fondativo dell’antropologia biblica, quello dell’uomo fatto «a immagi-
ne e somiglianza» del Creatore. Il legame primo e decisivo di questo te-
ma è con la memoria, e, da questo punto di vista, esso è presente in mol-
ta letteratura filosofica, da Platone ad Agostino, da Anselmo di Aosta a
Hildegard von Bingen, da Guglielmo di Saint-Thierry a Bonaventura da
Bagnoregio, e, dopo il Medioevo, da Malebranche a Pascal e a Goethe.
L’ermeneutica più tradizionale dell’asserto biblico insiste sul fatto che,
dopo la caduta, l’immagine di Dio nell’uomo è rimasta, ma come celata
da una patina che la rende opaca e perciò la somiglianza non è più visi-
bile; il compito pratico dell’azione del credente diventa pertanto quel-
lo di riattivare la somiglianza con l’esecuzione fedele della legge di Dio,
contrastando il peccato con ogni acquisizione di grazia, che costituisce
un tassello verso la riacquistata somiglianza dell’uomo con l’originale di
cui è immagine.

20
Hildegardis Scivias, III, visio VIII, c. 16 (CCCM, 43A), pp. 501-503: «Spiritus Sanctus
symphonizat in tabernaculo virginitatis: quoniam ipsa Verbum Dei semper ruminat, quo-
modo possit Christum amplexari cum omni devotione, ardens in eius amore» (p. 503).
L’ANTROPOLOGIA COSMICA DI HILDEGARD VON BINGEN 151

Una lettura meno accomodante è tuttavia rinvenibile già a partire


da sant’Agostino e ritengo che affiori in molti passaggi delle opere di
Hildegard, quando sviluppa il tema dell’uomo immagine di Dio. Il rin-
vio dell’immagine al suo modello originario è ineludibile, ma in questo
rinvio può accadere l’oblio, ossia l’ossimorica possibilità di dimenticare
l’indimenticabile. Emerge subito cioè come la «memoria Dei» non sia
un semplice rammemorare qualcosa di già visto, non è la reminiscen-
za del paradiso perduto, che in realtà è completamene perduto, e re-
sta solo come luogo di fede. Sicuramente è una peculiarità della scrit-
tura visionaria di Hildegard il ripetuto asserto che l’ascoltare, il presta-
re attenzione totale al resoconto delle visioni, assolve al compito di ri-
pristinare la «memoria Dei»; lo scorgiamo nelle infinite ripetizioni, con
le quali ribadisce la veridicità delle proprie visioni, veridicità conferma-
ta dalla voce durante le visioni stesse: «Et de prefata vivente luce vocem
mihi dicentem iterum audivi: Hec que vides vera sunt, et ut ea vides ita
sunt»21; «Hec de viva voce viventis et indeficientis lucis prolata et dic-
ta sunt, et fidelia sunt; et fidelis his attendat, et ea in memoriam bone
scientie componat»22. Dunque la luce che proviene dalle visioni conse-
gnate alla badessa, e da questa a tutti i fedeli, ha lo scopo di forgiare una
memoria inclusiva di contenuti che vengono dall’alto; la memoria uma-
na postlapsaria da sola non attiva una memoria sufficiente per recupera-
re l’immagine obliata e la somiglianza perduta.
La «memoria Dei» è in connessione con l’obbligo biblico di ascolta-
re («Ascolta, Israele-Shemà Israel»), cioè di non dimenticare un dato im-
portante, che Agostino ben definisce «interior intimo meo et superior
summo meo» (qualcosa che è più intimo del mio intimo, più elevato del-
la mia sommità): Dio è l’indimenticabile nel cuore della memoria, che
rende possibili tutte le sue operazioni; egli è presente comprendendo-
mi, rivestendo di interiorità il mio intimo con un’intimità più grande
(interior intimo meo), ma insieme eccedendomi, essendo più elevato, os-
sia oltre ogni mia elevatezza e profondità (superior summo meo). Il radica-
mento dell’immagine di Dio è dunque una presenza che si dà solo so-
vrabbondando, eccedendo, estremizzando: la presenza di Dio è escato-
logica23.
Per Hildegard l’anima ha visto Dio, ma è stata alterata quando uni-
ta al corpo si è lasciata accecare dalla superbia e si è ritrovata spoglia dei

21
Hildegardis Bingensis Liber vite meritorum, pars quinta, c. XLI, p. 246. Molte ripetizio-
ni dello stesso assunto nei capitoli successivi dell’opera (pp. 247, 249, 251, 254, 259, 286).
22
Ibi, pars sexta, c. XLV, p. 292.
23
Cfr. J.-L. Chretien, L’indimenticabile e l’insperabile, tr. it. di D. Iannotta, Assisi 2008.
152 ALESSANDRO GHISALBERTI

desideri celesti: «Ego per fetentem superbiam obcecata celestibus desi-


deriis, in qua Deum vidi et intellexi, despoliata sum»24.
L’anima dell’uomo ha visto Dio, nel momento della sua creazione ha
visto l’originale a cui immagine è stata fatta, ha avuto l’intelligenza di
ciò, ma la caduta ha innescato l’oblio che contrassegna attualmente an-
che l’anima. Va tenuto in grande conto un dato, ossia che l’oblio non
è qualcosa di accidentale, bensì è costitutivo della «memoria Dei»; basti
un riferimento a come Platone e Agostino, prima di Freud e Bergson,
hanno enucleato la coappartenenza essenziale dell’oblio alla memoria:
senza la perdita radicale prodotta dall’oblio (non: senza la dimentican-
za, che è una banale modalità del ricordare), non si costituisce memo-
ria, non si postula la fedeltà all’indimenticabile. La luce che testimonia
l’origine divina dell’uomo («homo autem designatum opus et lumen
a Deo est»), è attualmente coinvolta nell’esistenza dell’uomo vincola-
ta dalla carne, esistenza che un giorno verrà meno: dunque l’uomo sto-
rico dà testimonianza a Dio, ma lo fa testimoniando precisamente che
egli non è Dio: «et exinde Deo testimonium perhibet, quia Deus sic non
est»25. La testimonianza che l’anima-immagine può dare dell’originale
di cui è immagine è paradossalmente «sub contraria specie»: per Hilde-
gard la sua capacità rammemorativa arriva a testimoniare che Dio non è
così, e la perfetta somiglianza con Dio per l’anima resta un compito da
perseguire incessantemente, fino alla morte, nella speranza di recupera-
re la perfetta somiglianza nel momento del definitivo, nell’escatologico.
Per ora, finché la sua vita si esplica nella carne, con la quale il peccato
ha indotto l’oblio di Dio, l’uomo non può conseguire altro che la consa-
pevolezza che «Deus sic non est».
La ricerca dell’originale è un compito irrinunciabile, e l’uomo, nella
consapevolezza della sua distanza per ora invalicabile da Dio, manifesta
continuamente la volontà di ‘non dimenticare’ ottemperando all’obbligo
di ricordare l’indimenticabile. Siamo sulla linea di un triplice comando
ad ‘ascoltare’, ossia a ‘non dimenticare’: l’«Ascolta, Israele-Shemà Israel»
della Bibbia, l’«obsculta, fili» della Regula Benedicti, e il «dic et scribe quae
vides et audis»26 di tutti gli incipit visionari di Hildegard von Bingen.

24
Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine, quarta visione della prima parte, c. LXXV,
p. 521.
25
Ibi, quarta visione della prima parte, c. CV, p. 641
26
Hildegardis Scivias, protestificatio, ed. cit., p. 5; cfr.: «Hec, que interioribus oculis
vides et interioribus auribus anime percipis, stabili scripture ad utilitatem hominum com-
menda» (Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine, Prologo, p. 131).

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