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10. 4.

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Anno accademico 2003 – 2004

Insegnamento di Storiografia Filosofica Prof.ssa M.L. Barbera

Tesina di fine corso Un Viaggio nell’Impero

Di Nicola Campiotti
Premessa.

Nel momento in cui comincio a scrivere queste pagine di riflessione e di studio sul lavoro svolto in
questi mesi di lezioni, mi accorgo non solo della disparità degli argomenti discussi insieme ( dal
ruolo della Coscienza nella filosofia hegeliana alla virtualità nella post- modernità, dal neoliberismo
alla spinoziana concezione di libertà ) , ma anche della grandezza di queste tematiche. Ognuno di
questi temi per uno studioso attento rappresenta un punto di partenza, un incipit da approfondire con
ulteriori letture e da riempire con riflessioni proprie.
Sento che in questi mesi di lezioni abbiamo cavalcato uno spazio.
Senza una meta precisa ( ma la filosofia ha poi una meta? ) ci siamo avventurati nella
contemporaneità e nelle sue contraddizioni, ripercorrendo alcuni concetti chiave della filosofia
occidentale: la Sovranità, la Modernità, la Pace Perpetua, il Diritto, la Coscienza, la
Globalizazzione, sono alcune delle categorie che abbiamo cercato di Pensare o addirittura di Ri-
Pensare. Uno spazio cosi vasto da rendere stretta l’etichetta di storiografia filosofica, nome ufficiale
sotto il quale ci siamo nascosti; uno spazio che talvolta disorientava per la sua presunta astrattezza
e che improvvisamente risultava cosi terribilmente intimo da confondersi con le esperienze e le
scelte di vita di ciascuno di noi. L’attraversamento è un movimento, e ogni movimento per
definizione richiede uno sforzo. Lo Sforzo della riflessione ci è parso raro perché pare sia passata
l’abitudine di perseguire preferibilmente quello che è utile. In questo senso abbiamo riabilitato la
Filosofia e l’inutilità che essa rappresenta. Senza dare alla nottola di Minerva un ruolo, una
funzione edificante o consolatoria, ci siamo incamminati.
E’ presto per sentenziare se il nostro viaggio , o semplicemente il mio, sia stato un girare a vuoto o
se in qualche misura sia stato un approdo a nuovi lidi.
Quello che sembra certo è che siamo partiti.

Responsabilità.

E’ un momento storico eccezionale. Questo per due buone ragioni. Primo: la terra non è mai stata
cosi popolata di esseri umani1. Secondo: Il potenziale di distruzione presente nel pianeta ( ben
rappresentato da armi nucleari, chimiche e batteriologiche) non è mai stato cosi micidialmente
pronto ad assolvere il suo compito. Il denominatore comune di questi due dati sono gli uomini. Gli
uomini si riproducono e progettano armi per uccidere uomini. Lo spazio concettuale che separa il
primo dato dal secondo ( crescita demografica e dispositivi per l’autodistruzione, cioè l’alfa e
l’omega dell’umanità ) è dove si colloca idealmente la mia riflessione.
Del resto ogni riflessione sul mondo, ogni filosofia , mi appare uno studio sui pensieri, le azioni e i
prodotti degli uomini. Ammesso che la Filosofia possa avere almeno una meta, quella del filosofo
di oggi mi pare contribuire ad evitare la distruzione degli uomini, che in altre parole vuol dire che il
compito ( non categorico ma ontologico) della Filosofia non è che quello di salvare se stessa,
salvando gli uomini salviamo il pensiero.
Il celebre verso di Amleto recita cosi: “ Il mondo è fuori squadra, che terribile destino essere nati
per rimetterlo a posto!”. Se non fosse per la gravità dei due dati che cito a testimonianza
dell’eccezionalità del momento storico ( e delle conseguenze elementari che essi comportano 2 )
direi, parafrasando Shakespeare, che ogni uomo, di qualsiasi epoca si è trovato a vivere in un
1
Secondo un recente calcolo che mi è stato presentato dal Professor Tiezzi del dipartimento di scienze naturali
dell’Università di Siena, la popolazione terrestre è cosi cresciuta : nell’ anno zero si calcola che fossimo 256 milioni di
persone. Nel 1500 siamo passati a 427 milioni. Nel 1750 eravamo 731 milioni. Nel 1950 due miliardi e 525 milioni. Nel
1980 quattro miliardi, nel 2000 cinque miliardi, nel 2004 sei miliardi. Oggi si stima che la popolazione mondiale
aumenti di un miliardo di individui l’anno.
2
La crescita demografica è evidentemente in stretto legame ai problemi di tipo ambientale. La terra, specialmente se
gestita in questo modo, a detta dei maggiori esperti (Rifkin, Eldrige) è prossima ad un collasso. E’ più facile
immaginare invece le possibili conseguenze dell’uso degli arsenali atomici delle grandi potenze nucleari.

Un Viaggio nell’Impero 2
momento irripetibile, dunque unico. Ma oggi occorre uno sforzo nuovo. Quel mondo, che già allora
era fuori squadra, che forse lo è stato per ogni uomo pensante, ci chiede responsabilità enormi.
Riconoscere queste responsabilità è il punto di partenza, l’origine di ogni viaggio.

Strumenti

Chi parte, chi si incammina, generalmente si munisce di alcuni strumenti. Noi, come gruppo di
studio, abbiamo preso libri. Alcuni ci sono stati consigliati, altri ce li siamo portati da noi e altri
ancora non c’era nemmeno il bisogno di portarli perché ormai li possedevamo in un modo altro e
profondo (virtuale?). Ognuno di questi libri è una traccia di un pensiero, o di più pensieri, sul
mondo. In cambio della nostra attenzione i libri ci parlano (ecco la differenza con la televisione che
invece ci parla senza pretendere il nostro ascolto) . E come succede con le persone, alcuni libri sono
cosi interessanti che vorremmo non finissero mai di parlarci e di illuminarci, sensazione che più di
ogni altra dà pienezza alla vita, altre ci annoiano mortalmente.

La tesi di fondo di uno dei libri che ci siamo portati in questo nostro viaggio, Impero3, è che “ la
sovranità ha assunto una forma nuova, composta da una serie di organismi nazionali e
sovranazionali uniti da un'unica logica di potere.”4 E’ questa nuova forma di sovranità che gli
autori chiamano Impero. Il libro esprime una lunga serie di analisi ( soprattutto nella prefazione e
nelle prime due parti ) che sono certamente preziose per cogliere le novità e le contraddizioni del
mondo cui apparteniamo: L’idea per esempio che nessun confine territoriale limita il regno di
questo nuovo potere5, o che il primo suo impegno sia quello di allargare l’ambito del consenso che
lo sostiene6 , oppure che l’Impero radicalizza la coincidenza dell’elemento etico e di quello
giuridico7 assicurando cosi al pianeta sia una Pace Perpetua fuori dalla Storia, sia una giustizia
universale.8 Oltre a tutto questo, pietra angolare dell’analisi di questi due professori e forse il più
importante riferimento di matrice marxiana è l’idea che questo potere imperiale “non si limita a
regolare le interazioni umane, ma cerca di dominare direttamente la natura umana. L’oggetto del
suo potere è la totalità della vita sociale, cioè l’Impero costituisce la forma paradigmatica del
biopotere.”9
Alla luce di queste analisi, come viaggiatori di fronte ad un paesaggio particolarmente interessante,
abbiamo rallentato e ci siamo nutriti di strumenti nuovi. Altre parole, altri uomini altri sguardi.
Altro. Hegel, Spinoza, Marx, e non solo. La strada incominciava ad essere sentiero e questo sentiero
lentamente non era altro che uno Spazio. Compresi che il nostro viaggio non era percorrere un
tragitto ma che il percorrere era il viaggio. Fu un passaggio logico importante, un comprendere
forse per la prima volta la natura della Filosofia. Poco dopo imparai dalla vita quanto drammatica
può rivelarsi per un essere umano l’ossessione del tragitto da compiere, che oscura fino ad annullare
il piacere del viaggio.

E’ il momento di misurarsi con gli strumenti usati cercando di percorrere i sentieri che hanno
dischiuso.

Le analisi degli autori di Impero pongono due questioni. La prima è analizzare queste osservazioni
alla luce del loro lato propositivo: capire cioè come gli autori intendono sviluppare quel discorso
3
M. HARDT / T. NEGRI, Impero, Bur Milano, 2003
4
Ivi. pag 16
5
Ibidem
6
Ivi pag 32
7
Ivi pag 27
8
“Entrambe ottenute con il rinato interesse alle “guerre giuste” che comportano la banalizzazione della guerra e la sua
valorizzazione come strumento etico, due assunti risolutamente respinti dal pensiero politico moderno.” Ivi pag 29
9
Ivi pag 16

Un Viaggio nell’Impero 3
politico che in fase programmatica scrivono debba essere tale da organizzare le moltitudini in un
contropotere radicale10 , e cogliere le eventuali contraddizioni di questo passaggio.
Il secondo compito è invece quello di elaborare le altre idee e visioni che abbiamo usato come
strumenti di viaggio. Figlie di tempi lontani ma non per questo meno utili per il nostro tentativo di
comprendere qualche cosa di più sul mondo che muta, queste idee, queste pagine lette, hanno
rappresentato dei paesaggi nuovi.
Grazie a questo nostro studio ho definitivamente confermato la possibilità di essere ricambiati da un
dono tanto prezioso quanto pericoloso11: il dono del cambiamento. Chi impara a guardare i paesaggi,
senza grandi sforzi troverà l’opportunità di cambiare anche il suo giardino. E’ forse il dono più
grande che riceve chi legge o pensa: l’opportunità di rinnovarsi in ogni lettura o visione. 12

Procedo percorrendo ora le due strade che le due questioni suddette aprono davanti ai miei occhi.

Nuovi territori o nuovi paradigmi?

Le domande che sorgono dalla prima questione sono, molto sinteticamente: l’Impero è un nuovo
Leviatano capace di inglobare tutto quello che trova asservendo al suo potere ogni cosa, o al
contrario l’Impero apre scenari del tutto nuovi rendendo inadeguate per la sua comprensione le
analisi, le categorie o anche le istituzioni che lo hanno preceduto? E di conseguenza, per
combattere l’Impero, per uscire da questo panorama, lo si può fare con i vecchi strumenti di sempre,
cioè attraverso soggetti che hanno come interlocutori oggetti, con politiche programmatiche, con
diritti e tribunali espressioni di coscienze appunto politiche, o tutto questo è inutile e per contrastare
questa razionalità imperiale ( che per gli autori. ci conduce al cuore della biopolitica) 13 occorre
piuttosto una razionalità del tutto nuova? 14
E’ in sostanza l’Impero un nuovo territorio cui si adattano vecchi paradigmi o piuttosto un nuovo
paradigma insediato in vecchi territori?

Entriamo cosi nel terreno eminentemente filosofico dei punti di vista, dove non esiste una risposta
giusta e una sbagliata. Per gli autori di questo libro, se da una parte l’Impero rappresenta certamente
un nuovo non luogo, ricco di molteplici novità ( dove cambiano forma il diritto e la sovranità degli
stati nazione, dove cambia il rapporto tra economia e politica, dove crolla la dialettica hegeliana ) 15
dall’altro le soluzioni, le vie d’uscita sono meno eccezionali e soprattutto molto meno approfondite
della diagnosi: gli autori accennano al progetto di “un’unificazione biopolitica, gestita organizzata e
diretta dalla moltitudine”16 e poco più avanti affermano che il : “il solo evento che aspettiamo è la
costruzione- o meglio, l’insorgenza- di una potente organizazzione”17. Vicinissimi alla fine
esplicitano la loro incapacità di formulare proposte più concrete “ non abbiamo nessun modello da
proporre per questo evento: sarà la moltitudine […] a determinare quando e dove il possibile
diventerà reale.”18
10
Ivi pag 76
11
Del resto questa duplice natura appartiene ad ogni vero dono: penso al mito di Pandora. Sulla drammaticità legata
all’atto del pensiero ci sono letterature intere: mi limito qui ad indicare su tutti il canto del pastore errante dell’Asia di
Leopardi.
12
L’etimologia del termine Idea deriva proprio da un verbo greco che significa “vedere”…
13
M. HARDT / T. NEGRI Op. Cit pag 54
14
Ibidem
15
Per gli autori di Impero il post moderno è fondamentalmente non dialettico. Scompare cioè quella dialettica hegeliana
che “riconduceva ad una totalità coerente le identità pure ed essenziali che si fronteggiano in reciproca opposizione.” Ivi
pag 142 .
16
Ivi. pag 378
17
Ivi. pag 379
18
Ivi pag 380

Un Viaggio nell’Impero 4
Ora, lungi dal sostenere che gli autori avrebbero dovuto rivelare la soluzione ( ammesso che ne
esista una) alle crisi della post modernità e alle sue contraddizioni, trovo sia troppo grande lo iato
che si delinea tra il loro studio e le loro proposte. Se invece non mi fosse concesso di aspettarmi
proposte dai filosofi ( non tocca a loro cambiare il mondo ma solo pensarlo- mi obbietterebbero
alcuni ) dirò diversamente: sono gli autori di Impero a parlare della necessità di un programma
concreto e sono loro dunque a disattendere se stessi: non c’è accenno alcuno alla struttura della
costituzione dell’operaio sociale19, non è spiegato come la cooperazione possa annullare i titoli
della proprietà 20 , non c’è in quattrocento pagine un progetto che sia minimamente più profondo di
quel “non aspettiamo altro che l’insorgenza della moltitudine”. Mi pare poco e ambiguo. Come ho
trovato ambiguo il capitolo sulla corporeità 21 e sull’apologia del povero22.
Mi pare che alla brillantezza di alcune analisi sulla contemporaneità ( in particolare l’attenzione alla
componente giuridica della nuova sovranità e al suo sempre più stretto legame con l’economia) si
contrapponga un vuoto ambiguo ( qual è la vostra posizione sulla non- violenza? Verrebbe da
chiedersi) o addirittura contraddittorio ( se le moltitudini sono irrimediabilmente inglobate
dall’Impero come possono poi organizzarsi senza essere risucchiate dal potere che combattono,
oppure, se l’Impero crea diritti che disattende o peggio strumentalizza per legittimare la sua
oppressione perché poi parlare del bisogno urgente di estendere “il diritto universale alla
cittadinanza globale? ).
Per quel che riguarda la prospettiva di superare l’Impero con strumenti del tutto nuovi, battendolo
cioè sulla novità di nuove categorie, devo dire che la cosa mi affascina tanto quanto mi trova
impreparato a sostenerla. Abbiamo discusso nel nostro viaggio delle possibilità di vivere in un
mondo privo dei vecchi strumenti: senza per esempio l’incubo della soggettività ( che per sua stessa
natura darebbe immediatamente vita a degli oggetti da possedere e svuotare ) o senza i meccanismi
inevitabili della politica che, riconoscendone il fallimento riassume bene Revelli “riproduce ormai
senza controllo il male da cui dovrebbe proteggerci: disordine, violenza, paura”23.
Sono temi che mi affascinano e che sento da vicino dal momento che durante questo nostro viaggio
ho sperimentato la grandezza di eventi che proprio per la loro totalità ci restituiscono, alla normalità
della vita che prosegue, profondamente mutati. Non si può vivere dopo aver incontrato la morte
facendo finta di non averla incontrata. Tutto cambia. La primavera degli alberi e dei prati diventa la
prima – vera vita. I vecchi strumenti sono inadeguati, occorrono forze ed energie nuove, nuovi
pensieri…
Cosi, davanti alla drammaticità dei conflitti di oggi sposo idealmente le idee di chi propone di
cambiare tutto radicalmente; ma che mi vengano proposte o raccontate con chiarezza, senza
ambiguità, queste nuove categorie. Fino a quel momento, sebbene siano facce della stessa medaglia
e dunque del medesimo Impero preferirò mille volte Madre Teresa a Bush, e continuerò
ostinatamente a credere che attraverso questa politica si può fare ancora molto: per esempio
richiamare le truppe della coalizione dall’Iraq, battersi con energie nuove per la creazione di uno
stato palestinese, abolire la pena di morte, cancellare il debito dei paesi del terzo mondo, fermare
attraverso commissioni internazionali le attività di alcune multinazionali, incentivare un istruzione
che sia laica e pubblica, tutelare la sanità pubblica, agire contro i monopoli di comunicazione
riabilitando i dispositivi dell’antitrust, dare maggiore attenzione alle problematiche ambientali,
battersi contro i monopoli e le privatizzazioni delle fonti di energia rinnovabile e molte cose ancora
che, sono convinto, si possono fare con nuove o vecchie categorie, l’importante è non perdere altro
tempo e farle. Se tutto questo sembra inconciliabile con il potere dell’Impero immune a chi cerca di
agire con i vecchi strumenti dirò molto meno: quello che penso è che prima di tutto dobbiamo
cambiare noi stessi. Lasciando per un attimo i discorsi sulle categorie della post modernità, credo
19
Ivi pag 378
20
Ivi pag 379
21
Ivi pag 206
22
Ivi pag 152
23
M. REVELLI, La politica perduta, Einaudi Torino, copertina

Un Viaggio nell’Impero 5
che la sfida contro ogni Impero sia prima di tutto una sfida con noi stessi . Capire se, citando una
bellissima frase di Gandhi, possiamo essere nelle nostre giornate il cambiamento che vogliamo
vedere nel mondo. Riuscire a disinnescare quella dinamica per cui un soggetto per forza si deve
porre come detentore, distruttore di un oggetto. In questo senso è bello il saggio della Benjamin 24.
Se forse insiste troppo sulla meraviglia del “riconoscersi” nei legami d’amore (spesso invece è
proprio nel nome del riconoscimento che comincia lo svuotamento dell’altro) dall’altro lato si
esprime a favore di amori rispettosi e discreti, anzi (e questo trovo geniale) imperfetti.
Se tutto questo pare retorico mi scuso. Ognuno troverà la sua strada e il suo posto nel mondo. Io ho
molto poco da insegnare. Per ora ho imparato che non ha senso disperarsi su quello che non
possiamo cambiare e che allo stesso tempo è inutile disperarsi per quello che possiamo cambiare.25

Convinto che l’Impero dia vita a nuovi scenari senza stravolgere però la tradizionale natura umana
( l’uomo ha sempre commerciato, ha sempre combattuto, ha sempre sottomesso) credo sia il
momento di misurarsi con il contributo degli altri testi e con l’inevitabile traccia che hanno lasciato
su questo viaggiatore confuso ma non stanco.

La Coscienza di Hegel

“Se si considera il comportamento della coscienza, si vedrà ch’esso è cosi costituito, che la
coscienza non più meramente percepisce; anzi è anche consapevole della sua riflessione in sé, e
separa inoltre la riflessione della semplice assunzione stessa.” 26
Se noi siamo abituati a pensare che la vita sia una cosa e la coscienza un’altra per Hegel questa
realtà esterna non ha alcuna caratterizzazione. Non è nemmeno viva. Perché la vita è un prodotto
della coscienza. E questa coscienza è inquieta per definizione, ha la scissione in lei stessa. Quello
che emerge dai passi letti della Fenomenologia dello spirito è un conflitto molto aspro: in quanto
vitale la vita non si identifica con la Coscienza, ma in quanto suo prodotto non ne può fare a meno.
Nella frase che ho citato ci sono alcuni verbi chiave: se prima la coscienza meramente percepiva il
dato sensibile della cosalità 27, essa diviene poi consapevole della sua riflessione, cioè diviene
autocoscienza e si misura perciò con un duplice oggetto. L’uno è immediato, l’oggetto della
certezza sensibile e della percezione, che per altro per l’autocoscienza è contrassegnato con il
carattere del negativo; e il secondo oggetto è se stessa, oggetto che è la vera essenza e che
inizialmente è dato solo in opposizione al primo. In questo passaggio l’autocoscienza si presenta
come il passaggio nel quale l’opposizione viene tolta: e a lei ne diviene l’uguaglianza di se stessa
con se. 28
Hegel nel suo linguaggio non pensa a dare delle definizioni, ma piuttosto sembra che le parole, nel
loro articolarsi si muovano. Lo stesso linguaggio intende rispecchiare la mobilità delle sue parole.
L’essere vivo risulta dunque l’esser vivo per altro: per la Coscienza e per la propagazione della
specie; la vita appare in funzione di altro e il primo rapporto con l’oggetto (che serve a riempire un
vuoto psichico, non sono cioè oggetti in prima istanza da conoscere) è il desiderio (l’autocoscienza
è concupiscenza o appetito e l’oggetto dell’immediato appetito è un vivente)29. L’Autocoscienza
raggiunge il suo appagamento solo in un altra autocoscienza.. Ecco la sua drammatica natura: la
coscienza non è che la scissione tra l’oggetto del suo desiderio e il soggetto che desidera.

24
J. BENJAMIN, Legami d’amore, Rosenberg & Sellier, 1991
25
Si tratta di un proverbio buddhista. Ma ho trovato qualcosa di molto simile nella quinta parte dell’ “Etica” di
Spinoza: “Vediamo infatti che la tristezza per la perdita di un bene si mitiga non appena l’uomo che l’ha subita si rende
conto che in nessun modo avrebbe potuto conservare quel bene” B. SPINOZA, Etica, Boringhieri Torino, pag 301
26
G.W.F HEGEL, la fenomenologia dello spirito, La nuova italia Firenze, 1960, pag 76
27
Ivi pag 61
28
Ivi pag 111
29
Ivi pag 114

Un Viaggio nell’Impero 6
Nella prospettiva dei panorami già attraversati , quella di cui Hegel ci sta parlando non è altro che la
coscienza occidentale, la coscienza dell’Impero. La stessa che ha dominato il mondo, sterminato
civiltà cancellandone tracce e paesaggi. Se gli autori di Impero utilizzano Hegel soprattutto in
chiave metafisica, mostrando cioè come la sua soluzione politica fornì un dispositivo trascendente
con il quale imporre l’ordine alla moltitudine impedendole di organizzarsi30, noi lo abbiamo
utilizzato per riflettere sul travagliato cammino della Coscienza: come il mostro di Mary Schelly
essa si trova in un mondo in cui non c’è un vero inizio. Il suo mondo non ha incipit né presupposti
né legami di derivazione. Essa sembra superi i suoi vari passaggi ma in realtà li contiene. Tutto è
espressione della coscienza, lo è lo Stato come la Filosofia.
Hegel ci ha insegnato che alla base di ogni coscienza c’è una scissione e per ogni scissione una
paura.
Sta a noi capire quale sia nel mondo di oggi il rapporto tra individui e moltitudini, se ci sia
nell’Impero più individualità o moltitudine, e quale scenario apra la doppia scissione di coscienze
che sono in prima istanza prodotti di individui e contemporaneamente espressione di moltitudini.
E infine, e forse è il nodo cruciale, va compreso se il cammino della coscienza di Hegel sia un
passaggio obbligato, un percorso ineludibile o se esista invece una via d’uscita per cui la Coscienza
possa domare il suo appetito, controllare la sua paura e interrompere quel suo movimento distruttivo
e quindi autodistruttivo.
Siamo sempre al solito punto, mi si obbietterà. Esatto. Proprio qui volevo portarvi, al solito punto.
La banalità della mia osservazione si ripropone.
Ognuno, ancor prima di misurarsi con altre autocoscienze si misura con la propria coscienza, con la
propria visione del mondo. Più questa coscienza individuale e soggettiva riuscirà ad essere
indipendente, più sarà felice. Vincerà l’inquietudine cominciando a trovare dentro di se la ragione di
vita; e non in autocoscienze esterne che finirebbero con l’essere svuotate e possedute dalla nostra
stessa coscienza che bene sa trasformare i soggetti in oggetti .Solo se sarà attenta a contenere il suo
egoismo e la sua sete, il passaggio di questa coscienza autonoma (ma non egoista) sarà gentile nei
confronti del pianeta e delle altre coscienze.
Ancora una volta la partita più importante mi pare si giochi dentro di noi. E se mi si obbiettasse che
non esiste un dentro o un fuori dal momento che il Tutto è l’ambito della coscienza dirò in questo
modo: ognuno di noi, singolarmente, ha una possibilità ( o una responsabilità? ), quella di vivere la
vita. Non esistono regole o dogmi per viversi questo viaggio. E sia che uno creda che ciascuno si fa
la sua strada ( come pensava Orazio e molti altri) o se si creda che la strada per ognuno di noi è
nelle mani di qualcun altro, mi appare cruciale sopravvivere ai dettami della coscienza hegeliana.
La sfida della Benjamin mi pare sia questa: considerare l’unione come coesistente con il senso di
separatezza. 31
Come si può mangiare in un prato senza sporcare si può viaggiare senza conquistare e amare senza
imprigionare. Nessuno ci insegnerà come fare o forse quando lo impareremo sarà troppo tardi.
Quello che credo è che l’ambito delle possibilità umane sia l’uomo stesso. Sono numerosi e
affascinanti i miti che ci parlano della natura degli uomini, che ci illustrano questa paradossale
nostra natura per cui talvolta sembra che siamo prigionieri di una prigione di cui possediamo le
chiavi: Narciso poteva scegliere qualsiasi creatura sulla terra da amare e da tutte sarebbe stato
ricambiato, ma scelse se stesso, Orfeo avrebbe potuto aspettare una manciata di passi per
riabbracciare l’Amore ma non seppe aspettare, per non parlare di quei due che in quel meraviglioso
giardino scelsero l’unico frutto proibito. Prima di ogni Impero ci sono gli uomini. Il dramma è
quando si illudono d’essere Dei.
La realtà è assai diversa. Il nostro spazio è sotto l’Olimpo, la nostra essenza molteplice.
Il mondo che abitiamo sarà stanco di averci come padroni se continueremo a trattarlo in questo
modo. Venite alle pendici del vulcano a “lodare le sorti magnifiche e progressive” 32 scriveva

30
M. HARDT / T. NEGRI Op. Cit pag 91
31
J. BENJAMIN, Op Cit pag 50
32
La frase è di T. Mamiani, ed è ironicamente citata da Leopardi stesso nella poesia La Ginestra o Fiore del deserto.

Un Viaggio nell’Impero 7
Leopardi. La lezione della Ginestra mi sembra utile: è il momento di flettere docilmente il gambo
davanti alla potenza della Natura e perché no dinanzi alle pretese della Coscienza. Il gambo di un
fiore sa piegarsi senza spezzarsi.

Religione ed emancipazione

L’Impero è nato e si mostra come crisi.33 Oggi come ieri un terreno di micidiale crisi e di scontro
sembra essere l’ambito religioso: “ Proprio le regioni che videro il contrastato sorgere dell’Unico
Dio nelle terre di mezzo (che stanno tra il Tigri e il Giordano, tra il mare Arabico e il
Mediterraneo, tra Gerusalemme e Bagdad) sono sconvolte dall’odio, devastate dalle stragi,
disseminate di rovine. Odio chiama odio, sangue chiama sangue, i combattenti uccidono invocando
il nome del loro Dio, che non è più l’Unico da quando ciascuna delle parti in guerra ha scritto quel
nome sulla propria bandiera.” 34
Il saggio breve di Marx “La questione ebraica”35 è di estrema attualità.
La lotta dei diritti per gli Ebrei è l’occasione per migliorare i diritti dei non Ebrei . “Dobbiamo
emancipare noi stessi prima di poter emancipare altri”.36
L’oggetto della trattazione si spinge oltre, va cioè al cuore della questione: il nodo cruciale “ è la
questione del rapporto tra religione e Stato, della contraddizione tra il pregiudizio religioso e
l’emancipazione politica.” 37
Come può avvenire questa emancipazione? Lasciamolo dire a Marx: “L’uomo si emancipa
politicamente dalla religione confinandola dal diritto pubblico a quello privato.” 38
Il filosofo assume che la religione è divenuta: “ non più l’essenza della comunità, ma l’essenza
della distinzione, l’espressione della separazione dell’uomo dalla sua essenza comunitaria.”
Ma l’emancipazione dello Stato dalla religione non è l’emancipazione dell’uomo reale dalla
religione.39 Marx sostiene che “nella democrazia perfetta la stessa coscienza religiosa e teologica
ha tanto più valore religioso, teologico, quanto più in apparenza è priva di importanza politica e di
scopi terreni.” 40 Ma dice molto di più: “la coscienza religiosa si bea della ricchezza degli
antagonismi religiosi”41. Questo è forse il momento più emozionante di questa sua riflessione, dove
Marx sembra essere precursore di quella corrente ermeneutica che indaga con passione i numerosi
punti di contatto tra le diverse religioni del pianeta. Ripercorrendo gli archetipi di ogni credo,
ricostruendo le origini comuni nei pur differenti orizzonti culturali si può davvero godere di quella
ricchezza di cui ci parla Marx. Uno studio attento in questo senso rivela non solo l’affascinante
legame tra Filosofia e Religione, il fatto cioè che nascono dalle stesse domande, ma che l’Oriente e
l’Occidente sono molto più vicini di quello che sembra.

In un Europa che nella stesura della sua prima costituzione comune si è arenata proprio sul tema
della Religione, “La questione ebraica” andrebbe riletta almeno per capire i presupposto concettuali
e filosofici di uno Stato che voglia dirsi laico.
Apro una breve parentesi. La Francia, paese che Marx ha sempre osservato con grande attenzione,
recentemente ha affrontato questi problemi con una proposta di legge, poi entrata in vigore, che ha
diviso l’opinione pubblica e che continua a fare molto discutere: Lo stato vieta l’ostentazione di
ogni simbolo religioso da parte di qualunque cittadino francese. La legge è stata aspramente

33
M. HARDT / T. NEGRI Op. Cit pag 36
34
E. SCALFARI La Rebubblica 11 aprile ’04, pp. 1-17
35
K.MARX, La questione Ebraica, Editori riuniti Roma 1954
36
Ivi pag 5
37
Ivi pag 6
38
Ivi pag 17
39
Ivi pag 25
40
Ivi pag 24
41
Ibidem

Un Viaggio nell’Impero 8
criticata soprattutto dagli islamici i quali rivendicano il diritto (o il dovere?) delle loro donne ad
indossare il velo. La domanda è dunque: la Francia tiene cosi tanto alla laicità del suo stato da
imporla attraverso apposite leggi, oppure uno stato che si dichiara laico lo è al punto tale da non
dare rilevanza agli indumenti indossati dai suoi cittadini?
Le strade sono entrambe percorribili. Ognuno risponda come vuole. Marx credo si sarebbe
incamminato per il secondo sentiero, ritenendo che il comportamento dello stato francese è simile a
chi per spegnere un fuoco utilizzi della benzina.

Verso la fine

Come spesso accade nei racconti ho conservato per ultimo il racconto del luogo più bello. Prima di
cominciare dirò in altre parole qualcosa a cui avevo accennato qualche pagina fa.

La bellezza di un luogo non è contenuta solo nella specificità di quel posto ma essa rivive dentro di
noi; dallo splendere nei nostri occhi essa riecheggia nella nostra interiorità attraversandoci dentro
per poi scuoterci. Quando accade questo misterioso percorso, la bellezza di quel paesaggio, di
quelle righe, di quei versi, di quell’incontro, entra dentro di noi. Così da osservatori o lettori
diveniamo custodi di quel che abbiamo visto e letto, ci troviamo a contenere quello che prima era
solo ignoto. Sconosciuto. Il nuovo si misura e si confonde con le giornate e le storie di ieri.

Le pagine dell’ “Etica” di Spinoza sono state il luogo più bello di questo percorso per due ragioni.
La prima è perché le ho trovate poetiche, la seconda perché non le ho ancora capite.
Se un autore riesce ad essere poetico pur esprimendosi nel linguaggio geometrico degli assiomi,
proposizioni, dimostrazioni e scolii vuol dire che è un genio; e se un lettore dopo una lettura attenta
non ha ancora finito di capire vuol dire che egli ha compreso che ci sono pagine che non vanno
capite.

Veniamo al dunque. Nel suo saggio breve Marx ci parla della religione senza parlare esplicitamente
di Dio mentre nella parte quinta dell’Etica Spinoza ci parla di Dio senza nominare la religione.
Il titolo di questa parte quinta “la potenza dell’ intelletto ossia la libertà umana” esprime
contemporaneamente la grandezza e la soluzione della riflessione spinoziana. (Marx scrisse che il
modo di formulare un problema è già la sua soluzione)42 . Per il filosofo olandese “poiché non vi è
nulla di cui non segua qualche effetto e tutto ciò che segue da un’ idea che in noi è adeguata lo
comprendiamo in modo chiaro e distinto ne deriva che ognuno ha la possibilità di comprendere sé
e i propri affetti se non assolutamente, almeno in parte, in modo chiaro e distinto, e quindi di far si
di esservi meno soggetto.” 43 Siamo cioè per Spinoza coscienti dei nostri desideri ma normalmente
ignoriamo le cause di essi. Il primo passo con cui l’intelletto può esprimere la sua potenza è proprio
quello di separare le emozioni dell’anima dal pensiero della causa esterna. “Se ciò che costituisce la
forma dell’Amore o dell’Odio è una Letizia o una Tristezza accompagnata dall’idea della causa
esterna, eliminata questa Idea viene eliminata anche la forma dell’Amore o dell’Odio.”44
Conoscersi, controllarsi, utilizzare la ragione per quanto possibile; questa la strada indicata da
Spinoza. E quando non abbiamo una conoscenza perfetta dei nostri affetti e delle nostre passioni?
“Il meglio che possiamo fare è stabilire un retto sistema di vita, ossia princìpi certi, impararli a
memoria e applicarli continuamente alle situazioni particolari.”45 Ma questo non basta e i miti lo
avevano spiegato. Spinoza scrive che se gli uomini nascessero liberi non formerebbero alcun
concetto di bene e di male. Ma la linea del bene e del male è stata tracciata. Dunque la libertà
diventa la consapevolezza della necessità. Ecco che la scissione dell’uomo si presenta nella

42
Ivi pag 5
43
B. SPINOZA, Op. Cit, pag 347
44
Ivi pag 346
45
Ivi pag 352

Un Viaggio nell’Impero 9
necessità di accettarsi come “ente finito”. E gli enti finiti non hanno in se stessi la ragione del loro
essere, ma derivano da altro; derivano dalla Sostanza, o Dio, che si definisce come ciò che è in sé
(non inerisce in altro) e si concepisce per sé , (anziché in base ad altro). Il pensiero e l’estensione, la
mente e il corpo, sono gli unici attributi (dell’unica Sostanza) che a noi uomini è dato conoscere, fra
gli infiniti che dobbiamo riconoscere alla Sostanza in ragione della sua infinità.
Le osservazioni e gli stimoli di riflessione sarebbero molteplici e come avevo premesso
richiederebbero uno studio più lungo e approfondito. Mi limito dunque solo ad alcune osservazioni.

Gli autori di Impero, che fanno un apologia del pensiero di Spinoza in quanto “rinnova gli splendori
dell’umanesimo rivoluzionario”46, osservano che il potere dominante, l’ancien régime non poté
tollerare che la moltitudine venisse concepita come la concepiva Spinoza e cioè “ in diretta e
immediata relazione con la divinità e la natura, come la forza produttiva etica del mondo.” 47
E’ un osservazione importante, che ripropone uno dei nodi cruciali di questo viaggio: quello spazio
insondabile, quell’aspetto intimo e misterioso della vita degli uomini è stato trasferito nella Storia.
Gli Imperi e gli Imperatori vennero chiamati sacri, la spiritualità fu legata alla temporalità e il nome
degli Dei oggi brilla sui carri armati. Anche i filosofi diedero il loro contributo a questo disegno
“imperiale”: “Cartesio benché intendesse realizzare un nuovo progetto umanistico della
conoscenza in realtà ristabilì un ordine trascendente48 […] e il pensiero kantiano si rivelò
un’apologia del trascendentale come orizzonte unico ed esclusivo della conoscenza e dell’azione.”49

La strada ancora una volta la si fa andando ed oggi il cammino sembra tortuoso anche per le
contraddizioni dello scenario: le guerre di religione proliferano e le chiese, almeno quelle europee,
sono sempre meno frequentate dai giovani. Alcuni filosofi italiani si dichiarano laici ma sono
contrari alla rimozione dei crocifissi dalle scuole, i sondaggi “rivelano una paura e diffidenza
diffusa tra gli abitanti del mondo: cresce l’incertezza globale e la mondializzazione è vissuta come
minaccia. Tutto questo favorisce la ricerca di antiche appartenenze, tradotte in differenze e
divisioni.”50

Tornando al testo di Spinoza fa riflettere rispetto alla tradizione filosofica occidentale l’importanza
che Spinoza conferisce al corpo: “Chi ha un corpo atto a moltissime cose, ha una mente la cui
maggior parte è eterna”51. Per Spinoza Dio è corpo: la corporeità, l’estensione è un attributo divino.
Non ci stupiamo dunque se nel 1656 questo ebreo sefardita fu scomunicato dalla sinagoga di
Amsterdam accusato di eresia.
Affascinante inoltre l’attenzione che egli rivolge alla sfera dell’azione: “una cosa tanto più è
perfetta tanto più agisce.”52 e affascinanti sono i legami che questo testo instaura con la filosofia
indiana.53
Ma l’apice del fascino ai miei occhi è la quinta proposizione della parte V che riporto per intero:
“ L’affetto verso una cosa che immaginiamo semplicemente, e non come necessaria, né come
possibile, né come contingente, è, a parità di condizioni, il più grande di tutti .”54
Questo è uno di quei passaggi logici che, almeno per chi scrive, rappresentano la scoperta di spazi
nuovi: mi ero sempre persuaso a vedere la discrepanza, la non coincidenza tra il sogno e la realtà
come qualcosa di doloroso. Spinoza scrive il contrario: “immaginare una cosa come libera non può
essere altro che immaginare la cosa semplicemente […] quindi l’affetto verso una cosa che

46
M. HARDT / T. NEGRI Op. Cit pag 86
47
Ivi pag 87
48
Ibidem
49
Ivi pag 89
50
I.DIAMANTI, La Repubblica, numero citato.
51
B. SPINOZA, Op. Cit, pag 372
52
Ivi pag 373
53
Alludo a varie proposizioni della parte V per esempio la 14, 15, 16 e 17, pp. 355-356
54
Ivi pag 348

Un Viaggio nell’Impero 10
immaginiamo semplicemente è, a parità di condizioni, maggiore dell’affetto verso una cosa
necessaria, possibile o contingente, e di conseguenza, è il più grande.”55
Questa la lezione spinoziana, questo il volo poetico verso spazi nuovi . Questa la sua Ginestra: da
una parte l’uomo deve dirigere generalmente le sue azioni sotto il comando della ragione56
dall’altra esso deve riconoscersi nell’amore verso Dio; un Amore che deve essere unito e alimentato
da tutte le affezioni del corpo e che deve occupare la Mente in sommo grado.57 Non a caso
quest’opera a cui Spinoza ha lavorato una vita intera si chiama Etica!

Vorrei citare qui alcuni versi di Pessoa, poeta che come mi insegna il Professor Tabucchi
conosceva bene l’Etica di Spinoza.

[…]

Dolce è vivere solo.


Grande e nobile è sempre
Semplicemente vivere.
Lascia il dolore sulle are
Come ex voto agli dèi.

Guarda da lontano la vita,


senza mai interrogarla.
Essa niente può dirti.
La risposta
Sta al di là degli dèi.

Ma serenamente
imita l’Olimpo
dentro il tuo cuore.
Gli dèi sono dèi
Perché non si pensano.58

Imparo ad amare la Poesia, a cogliere la danza che spesso nasce tra questo linguaggio e la Filosofia.
Una danza che dà la vita alla vita, che la nobilita e la rasserena, che può confonderla e dilaniarla. E’
la danza di ogni arte, la danza dei racconti di viaggio: pittori poeti filosofi scrittori; tutti si misurano
con un cammino da raccontare, e ci vuole coraggio per raccontare il proprio mondo: Campanella si
fece ventisette anni di carcere, Bruno salutò la vita dall’alto di un rogo, Hikmet passò molti anni in
carcere e la lista sarebbe lunga.
Pensare il mondo ha fatto tremare il potere e il potere, quando si manifesta in tutta la sua brutalità e
potenza cerca il controllo del Pensiero: bruciando i libri o controllando l’informazione il risultato è
lo stesso, si limita si incanala o si controlla la vita umana. Ecco perché lo chiamano Biopotere.
Ancora oggi, in forme assai diverse dal passato ma concettualmente identiche, in Europa
sopravvivono forme di arbitraria censura. In molte parti del mondo si rischia ancora la vita per un
foglio scritto.
Pensare è forse la traccia eminentemente divina che l’uomo porta con sé. Ma una traccia non
equivale ad una natura . L’uomo dovrà continuare a misurarsi con i misteri di sempre: il rancore e la

55
Ibidem. Scolio.
56
Ivi pag 352
57
Ivi pag 356
58
F. PESSOA, Una sola moltitudine, Adelphi Milano 1984, Volume secondo, a cura di A. Tabucchi, pag 41

Un Viaggio nell’Impero 11
vendetta, l’odio e l’egoismo. Il destino. Le passioni travolgenti. L’origine della vita. La morte.
Questi sembrano essere i compagni di viaggio di ogni viaggio umano.

Queste le strade più difficili da attraversare poiché impongono un equilibrio delicato: il confine tra
quello che si può pensare e quello che invece non si può capire con nessun pensiero. Chi possiede il
dono di questo equilibrio possiede il segreto dell’Amore.

Chi ama non sa mai quello che ama


Né sa perché ama, né cosa sia amare…
Amare è l’eterna innocenza.
E l’unica innocenza, non pensare….59

59
Ivi pag 75

Un Viaggio nell’Impero 12

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