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APPARATO RESPIRATORIO

Le funzioni dell’apparato respiratorio sono respiratorie o non respiratorie:


• la funzione respiratoria è quella di scambio di gas tra atmosfera-sangue-cellule;
• tra le funzioni non respiratorie, invece, c’è la regolazione omeostatica del pH corporeo, la
protezione da patogeni inalati e da sostanze irritanti, la vocalizzazione, la perdita di H2O e
cessione di calore.
Tale apparato ha anche una funzione metabolica, in quanto l’endotelio vascolare polmonare
converte l’angiotensina I in angiotensina II ad opera di enzima ACE ( enzima di conversione
dell’angiotensina).
Con il termine “respirazione”, in siologia, ci riferiamo a due tipologie diverse di respirazione:
• respirazione cellulare, che si riferisce alle reazioni intracellulari che vedono interagire
l'ossigeno con varie molecole organiche per produrre CO2, H2O ed energia sotto forma di
ATP;
• respirazione esterna, cioè l’insieme dei meccanismi respiratori che permettono lo scambio di
gas tra ambiente e cellule.
La respirazione esterna può essere suddivisa in quattro processi
integrati:
1. ventilazione o respirazione, lo scambio di aria tra atmosfera e
polmoni, che si divide in inspirazione, cioè l’ingresso dell'aria
nei polmoni, ed espirazione, cioè l'uscita di aria dai polmoni;
2. di usione, lo scambio di O2 e CO2 tra polmoni e sangue;
3. il trasporto di O2 e di CO2 nel sangue;
4. di usione, lo scambio dei gas tra sangue e cellule.

La respirazione esterna richiede il funzionamento coordinato dei


sistemi respiratori e cardiocircolatori.

Il sistema respiratorio è costituito dalle seguenti strutture coinvolte


nella ventilazione e nello scambio dei gas:
• vie aeree
• parete toracica.
La parete toracica contiene i polmoni e comprende, inoltre, coste,
sterno, vertebre toraciche e muscoli intercostali; è separata dalla
cavità addominale dal diaframma, un muscolo scheletrico.

Le vie aeree sono divise, anatomicamente, in superiori ed


inferiori:
• il tratto respiratorio superiore comprende bocca,
cavità nasali, faringe, laringe e trachea;
• il tratto respiratorio inferiore comprende trachea, i due
bronchi primari, le loro rami cazioni e i polmoni.

➡ Le cavità nasali sono costituite da mucosa, costituita


a sua volta da epitelio ciliato vibratile, numerose
ghiandole mucose ed ampia super cie dovuta alla
presenza di turbinati, ovvero espansioni ossee,
circondate da tessuto vascolare, il quale è rivestito, a
sua volta, da uno strato di mucosa respiratoria.
➡ La faringe è il tratto comune alle vie respiratorie e
digerenti, un condotto muscolo-membranoso, che
mette in comunicazione le cavità orale e nasale con la
laringe e l'esofago.
➡ La laringe è l'organo della gola, di forma tubulare, che ospita le corde vocali e regola il
passaggio dell'aria dentro e fuori la trachea.
➡ La trachea è l’organo dell’apparato respiratorio che mette in comunicazione la laringe con la
porzione iniziale dei bronchi, nei quali si biforca all’altezza della quinta vertebra dorsale,
dividendosi nei due alberi bronchiali, destro e sinistro.
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➡ Il bronco è ciascuna delle due rami cazioni terminali della trachea, sinistro e destro, che
permette all'aria inspirata di arrivare ad entrambi i polmoni; dai bronchi primari si dipartono 23
generazioni di condotti secondari no ai sacchi alveolari.

Caratteristiche anatomiche-funzionali dei vari organi


Laringe, trachea e bronchi principali sono mantenuti pervi da anelli cartilaginei incompleti,
chiusi da un tratto di muscolatura liscia. L’epitelio è ciliato vibratile.
I bronchioli mancano di cartilagine ma sono dotati di un’abbondante muscolatura liscia.
Nei bronchi primari, secondari e terziari non si realizza scambio di gas e sono costituiti da epitelio
colonnare o cilindrico; nei bronchioli terminali, l’epitelio si trasforma in epitelio cubico e negli
alveoli l’epitelio diventa pavimentoso.

Funzionalmente, invece, le vie aeree possono essere suddivise in zona di conduzione e di


respirazione. Le strutture comprese tra laringe e bronchioli terminali formano la zona di
conduzione, a cui ci si riferische anche con il termine di spazio morto anatomico, mentre quelle
comprese tra i bronchioli respiratori e gli alveoli formano la zona di respirazione. In realtà,
bronchioli respiratori e dotti alveolari sono sia zona di conduzione che di scambio, mentre i sacchi
alveolari sono solo di scambio gassoso.
La muscolatura liscia delle vie respiratorie è innervata dal SNA: l’ortosimpatico induce bronco-
dilatazione, mentre il parasimpatico broncocostrizione.

Zona di conduzione
I condotti della zona di conduzione hanno importanti funzioni, che sono preriscaldare,
umidi care e depurare l’aria:
• il riscaldamento dell'aria avviene alla temperatura corporea di 37°C, così che la temperatura
corporea centrale non vari e gli alveoli non siano danneggiati dall'aria fredda;
• l’umidi cazione consente all'epitelio di scambio, che è umido, di non disidratarsi, così da
permettere ai gas di dissolversi più rapidamente;
• la depurazione, quindi la ltrazione del materiale estraneo, non permette a virus, batteri e
particelle inorganiche di raggiungere gli alveoli.
L'aria inalata viene riscaldata dal calore del corpo e umidi cata dall'acqua che evapora
dall'epitelio mucoso che riveste le vie aeree. In circostanze normali, l'aria inspirata raggiunge il
100% di umidità e la temperatura di 37 °C già a livello della trachea. La ventilazione attraverso la
bocca non è così e cace nel riscaldare e umidi care l'aria come quella attraverso il naso.
L'aria è ltrata sia dalla trachea sia dai bronchi; queste vie aeree sono rivestite da un epitelio
ciliato, le cui ciglia sono immerse in uno strato di soluzione salina diluita. Al di sopra dello strato di
soluzione salina, è presente uno strato di muco, che riesce a intrappolare le particelle inalate più
grandi, mentre le ciglia, grazie alla soluzione salina, spostano il muco verso la faringe. In
particolare, il muco contiene immunoglobuline che possono inattivare diversi agenti patogeni.
Lo strato di muco è secreto dalle cellule caliciformi dell’epitelio, mentre la soluzione salina è
prodotta dalle cellule ciliate.
Il movimento delle ciglia può essere compromesso da fattori irritanti quali il fumo di sigaretta,
mentre alcune patologie alterano la produzione di soluzione salina. Ad esempio, nella brosi
cistica, malattia genetica letale, gli strati di muco diventano più spessi e ostruiscono le vie aeree;
ciò è dovuto a difetti nel canale del cloro coinvolto nella secrezione.
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Zona di scambio
Gli scambi gassosi avvengono a livello dell’unità alveo-capillare, in quanto ogni sacco alveolare
riceve un singolo ramo capillare. Questa zona è principalmente rappresentata dagli alveoli, la cui
funzione primaria è lo scambio di gas tra l'aria che contengono e il sangue.
Ogni minuscolo alveolo è costituito da un singolo sottile strato di epitelio di scambio, il quale è
privo sia di muco sia di ciglia, poiché la densità del muco ostacolerebbe il movimento
dell’ossigeno e dell’anidride carbonica.
Negli alveoli ci sono due tipi di cellule epiteliali: circa il 95% della super cie alveolare è costituita
da cellule alveolari o pneumociti di I tipo, più grandi. Queste cellule sono così sottili che i gas
possono di ondere rapidamente attraverso di esse. Nella maggior parte dell'area di scambio uno
strato di lamina basale fa aderire l'epitelio alveolare all'endotelio dei capillari. Le cellule alveolari
di II tipo, più piccole ma più spesse, sintetizzano e secernono una sostanza chimica chiamata
surfactante. Il surfactante è una miscela di fosfolipidi e proteine che diminuisce la tensione
super ciale del liquido alveolare, dovuta alla forte attrazione tra le molecole di acqua che
rivestono la super cie degli alveoli; infatti, si mescola con il sottile strato di liquido che riveste gli
alveoli per facilitare I'espansione polmonare durante la ventilazione.
Fanno parte dell’epitelio alveolare anche dei macrofagi, che individuano le particelle depositate,
vi aderiscono e le digeriscono.
L'associazione tra alveoli e capillari dimostra lo stretto legame tra sistema respiratorio e apparato
circolatorio. I vasi sanguigni coprono l'80-90% della super cie alveolare, formando una lamina
quasi continua di sangue in stretto contatto con l'aria che riempie gli alveoli. La vicinanza tra
capillari e aria alveolare è essenziale per avere uno scambio gassoso rapido.
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POLMONI
I polmoni sono costituiti da tessuto spugnoso, hanno
forma di cono irregolare, occupano la cavità toracica
quasi completamente e hanno la base appoggiata sul
muscolo diaframma.
Ciascun polmone si trova all'interno di un sacco
pleurico, formato da due foglietti pleurici, di cui uno
riveste l'interno della cavità toracica, la pleura
parietale, e l'altro la super cie esterna del polmone, la
pleura viscerale. Ciascuna membrana pleurica, o
pleura, è costituita da diversi strati di tessuto connettivo
elastico e da numerosi capillari. I due foglietti sono
tenuti assieme da un sottilissimo strato di liquido
pleurico, il cui volume totale in un uomo di 70 kg è di
circa 25-30 mL. Ha la stessa composizione del liquido
interstiziale ed è prodotto per ltrazione dai capillari
della pleura parietale, quello in eccesso è riassorbito dai
vasi linfatici.
Il liquido pleurico ha diverse funzioni: la prima è creare
una super cie umida e scivolosa in modo da diminuire
l'attrito con cui i foglietti membranosi scorrono l'uno
sull'altro durante il movimento dei polmoni nella cavità
toracica, la seconda è mantenere i polmoni a stretto
contatto con la parete toracica. Altra funzione del liquido
pleurico è mantenere una pressione negativa all’interno
della sua cavità (-4 mmHg), che contribuisce a
mantenere il polmone “gon o”, cioè assicura
l’accoppiamento meccanico tra polmone e parete
toracica, mantenendole funzionalmente «incollate».
I polmoni e la parete toracica hanno, infatti,
comportamento elastico e tendono a tornare al proprio
volume di equilibrio: il polmone tende a collassare e la
parete toracica ad espandersi. L’adesione, assicurata dal
liquido pleurico, impedisce che ciò avvenga. Le due strutture esercitano, quindi, l’una sull’altra,
una trazione reciproca. In assenza di tale pressione negativa intratoracica, che si veri ca in
presenza di aria nello spazio pleurico, condizione conosciuta come pneumotorace, il polmone
tenderà a retrarsi e collassare.
I polmoni sono organi pari ma asimmetrici:
• il polmone sinistro è più piccolo rispetto al destro, per la presenza della fossa cardiaca, è
diviso in due lobi, superiore e inferiore, da un solco detto scissura obliqua;
• il polmone destro presenta due scissure, orizzontale e obliqua, che lo dividono in tre lobi,
superiore, medio e inferiore.
Ciascun lobo ospita un bronco secondario ed è diviso in zone più piccole; ciascuna zona è
rifornita da un bronco terziario ed è suddivisa in lobuli polmonari, ciascuno contenente 5-7
bronchioli terminali.
Ogni bronchiolo terminale si suddivide in rami cazioni microscopiche chiamate bronchioli
respiratori, a loro volta rami cati in diversi dotti alveolari, i quali terminano in grappoli di piccole
sacche detti sacchi alveolari costituite dagli alveoli, dotati di una parete sottilissima dove avviene
lo scambio dei gas e circondati da una tta rete di capillari sanguigni.
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MECCANICA RESPIRATORIA
La respirazione è una successione di atti respiratori, ciascuno dei quali è costituito da una
inspirazione seguita da una espirazione, che il corpo esegue grazie all'azione dei muscoli
intercostali e del diaframma. Gli atti respiratori, in condizioni di riposo, sono automatici e
involontari: si succedono regolarmente al ritmo di 12/16 al minuto e permettono di introdurre 7/8
litri d’aria al minuto. In condizioni normali, ad ogni inspirazione entrano 500 ml di aria, de nito
volume corrente, che si diluiscono in un volume di 2.3 L già contenuto nel polmone, de nito
come capacità funzionale residua. Il ricambio completo necessita di 12-16 atti respiratori.
Le variazioni di volume del polmone dipendono dal movimento della gabbia toracica, essendo
esso privo di strutture di sostegno o muscolari; infatti, utilizza le contrazioni dei muscoli respiratori
e le proprietà elastiche dell’apparato toraco-polmonare per generare i gradienti pressori che
permettono all’aria di entrare ed uscire dai polmoni.
• L’inspirazione è conseguenza dell'espansione del polmone, che segue l’aumento di volume
della gabbia toracica, ottenuto per contrazione dei muscoli inspiratori, che compiono un
lavoro per vincere le forze di retrazione elastica del polmone.
• L'espirazione è un fenomeno passivo, associato al rilasciamento della muscolatura
respiratoria, che consente alla gabbia toracica, e quindi al polmone, di tornare al volume di
partenza.

Muscoli respiratori
Si dividono in inspiratori ed espiratori, ciascuno dei quali può attuare inspirazione o espirazione
tranquilla o forzata; quest’ultima è la respirazione messa in atto quando c'è necessità di un
maggiore apporto di ossigeno, come per esempio in occasione di uno sforzo sico o di una
condizione clinica che deprime le capacità respiratorie a riposo.
• Inspirazione tranquilla:
- diaframma;
- intercostali esterni (coste);
- intercostali parasternali (sterno).
• Inspirazione forzata:
- sternocleidomastoidei;
- scaleni.
• Espirazione tranquilla: no muscoli perchè
processo passivo
• Espirazione forzata:
- addominali (retto, trasverso, obliqui);
- intercostali interni.
Durante l’inspirazione tranquilla, la contrazione del
diaframma comprime il contenuto addominale verso il
basso e, unitamente ai muscoli intercostali esterni e parasternali, spinge la gabbia toracica in alto
e verso l’esterno, mentre durante l’espirazione tranquilla, il diaframma si rilascia e riassume la sua
forma a cupola, e la gabbia toracica si abbassa. Nell’inspirazione tranquilla, il 60-75% della
modi cazione del volume toracico è dovuta all’abbassamento del diaframma, il resto al
movimento verso l’alto della cassa toracica.

Il movimento di aria dall’esterno verso l’interno e viceversa, è assicurato dal gradiente pressorio
tra l’esterno, cioè la P atmosferica, e l’interno del polmone, cioè la P alveolare. Come sappiamo,
i gas uiscono da zone ad alta pressione verso zone a bassa pressione. Il usso d’aria nei
polmoni è determinato da ∆P/R, dove R dipende dalla lunghezza e dal calibro dei condotti, e dal
tipo di respirazione (naso o bocca).
• Se Palv = Patm ———— no usso
• Se Palv < Patm ———— inspirazione
• Se Palv > Patm ———— espirazione
Per capire come il cambiamento delle dimensioni dei polmoni porti ad un cambiamento delle
pressioni alveolari, si deve considerare la legge di Boyle, la quale a erma che il volume occupato
da un gas, mantenuto a temperatura costante, è inversamente proporzionale alla pressione alla
quale il gas è sottoposto. In termini matematici, la legge di Boyle può essere scritta nel seguente
modo: P · V = K. Quindi:
• nell’inspirazione, l’aumento del volume del polmone induce una diminuizione della Palv, perciò
l’aria entra;
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• nell’espirazione, la diminuizione del volume de polmone induce un aumento della Palv, perciò
l’aria esce.

Pressioni e gradienti pressori coinvolti nella ventilazione


Pressioni:
1. P intrapolmonare o alveolare (PA)= pressione
all’interno del polmone
2. P barometrica o atmosferica (PB)= pressione esterna
3. P intrapleurica o intratoracica (PIP)= pressione nello
spazio pleurico
Gradienti pressori (di erenza tra la P più interna e quella
più esterna):
1. Gradiente o pressione transpolmonare (PTP)= PA-PIP
2. Gradiente o pressione transtoracica (PTT) = PIP-PB
3. Gradiente o pressione transmurale (PTM) = PA-PB
Tra queste, due hanno un’importanza notevole: la
pressione transpolmonare, in quanto mantiene aperti i
polmoni opponendosi al ritorno elastico verso l’interno dei
polmoni, e la pressione transtoracica, che mantiene la cavità toracica in posizione opponendosi al
suo ritorno elastico verso l’esterno.
A riposo, la Palv=Patm=0, perciò, per fornire la forza che mantiene aperti i polmoni, la PIP deve
essere negativa. Quali sono le forze che portano la PIP ad essere negativa?
Poiché anche a riposo i polmoni, che contengono comunque aria, tendono a collassare mentre la
parete ad espandersi, essi si allontanano tra loro; questo fa aumentare, di pochissimo, lo spazio
intrapleurico. Tuttavia, anche questo piccolo aumento di volume dello spazio intrapleurico fa
ridurre la pressione di pochi mmHg al di sotto di quella atmosferica. Quindi, il ritorno elastico dei
polmoni e l’espansione della parete toracica creano una P intrapleurica subatmosferica.

Capacità funzionale residura CFR


La capacità funzionale residua è il volume di aria contenuto nei polmoni in condizioni di riposo,
cioè al termine di un’espirazione tranquilla. Corrisponde al punto di equilibrio delle forze
elastiche che tendono, rispettivamente, ad espandere la gabbia toracica e a collassare il polmone;
quindi quando il polmone contiene un volume di aria pari alla CFR, la forza di retrazione elastica
del polmone è perfettamente controbilanciata da quella della gabbia toracica, per cui non c’è
movimento di aria perchè non c’è gradiente pressorio. Ogni variazione di volume rispetto alla CFR
prevede lo sviluppo di forza muscolare:
• per volumi > della CFR, è necessario vincere la maggiore forza di retrazione elastica del
polmone (muscolatura-inspiratoria);
• per volumi < della CFR è necessario vincere la maggiore forza di retrazione elastica della
gabbia toracica (muscolatura espiratoria).

Ventilazione, lo scambio di gas tra atmosfera e alveoli


Come il sangue, anche l’aria si muove per usso di massa e la forza che guida il movimento
dell’aria dipende dalla di erenza tra Patm (760mmHg sul livello del mare) e Palv.
Essendo Patm costante, sono le modi cazioni della Palv a determinare la direzione del
movimento d’aria, modi cazioni che, a loro volta, sono determinati dai cambiamenti delle
dimensioni della parete toracica e dei polmoni. Durante la ventilazione, si modi cano la PIP, la
Palv e il volume:
1. prima dell’inspirazione, Palv = Patm, nessun usso;
2. con l’inspirazione, Pip si riduce a -6mmHg nella respirazione tranquilla e Palv scende a -1
mmHg; la PTP (Palv-Pip) aumenta [-1 -(-6)] e mantiene aperti i polmoni;
3. il gradiente Patm - Palv permette l’ingresso di aria perchè Palv <Patm;
4. terminata l’inspirazione, il sistema torace-polmone, non più soggetto alla forza applicata dai
muscoli inspiratori, risente solo della forza elastica che lo fa tornare spontaneamente in
posizione;
5. la Palv aumenta e il gradiente rispetto alla Patm permette l’uscita dell’aria nchè la Palv=Patm
e Pip = -4mmHg.
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Compliance e resistenza polmonare
Una ventilazione adeguata richiede la capacità dei polmoni di espandersi. Il grado di
espansione dei polmoni dipende da:
1. compliance, CP;
2. resistenza delle vie respiratorie, dipendente dal raggio.
La compliance è proprio de nita come la capacità del polmone di espandersi e, a sua volta,
dipende da:
• elasticità polmonare, cioè la forza che si oppone all’espansione;
• tensione super ciale, dovuta all’interfaccia aria-liquido che riveste la super cie interna degli
alveoli; anch’essa si oppone anche all’espansione.
Un’elevata CP indica un’espansione facilitata, mentre un bassa CP indica un’espansione ridotta.
La CP è anche espressione della tendenza del polmone a tornare al proprio volume quando la
forza che lo fa espandere termina, quindi l’elasticità: un’elevata CP è indice di una minore
elasticità (espirazione più lenta), una bassa CP è indice di una maggiore elasticità (espirazione più
rapida).
La CP di un organo cavo è descritta dalla relazione tra variazioni di volume durante l’espansione e
variazioni di pressione che la provoca; per il polmone, la CP indica la variazione di Volume al
variare della Pressione transpolmonare (Palv-PIP):

CP= ∆V/∆PTP

Ovviamente, la CP corrisponde, inoltre, al lavoro compiuto dai muscoli inspiratori per vincere le
resistenze elastiche esercitate dal polmone contro l’espansione: un polmone con elevata CP si
dilata facilmente, mentre un polmone con bassa CP richiede un maggior lavoro da parte dei
muscoli inspiratori.

RESISTENZA DELLE VIE RESPIRATORIE


Come nel sistema circolatorio, essa dipende dal raggio delle vie
respiratorie.
• R è massima nelle vie respiratorie di conduzione superiori, per
via di una sezione trasversa piccola;
• R è bassa nelle vie respiratorie inferiori, perché, nonostante
diminuisca il raggio, aumenta la sezione totale dei tubi, perchè
sono disposti in parallelo;
• R è ~ 0 ai bronchioli terminali, che hanno la massima CP.
Nelle vie aeree vige la legge di Poiseuille, secondo cui la resistenza
al usso in un tubo direttamente proporzionale alla lunghezza del
tubo e alla viscosit del uido ed inversamente proporzionale alla
quarta potenza del raggio:

Elasticità polmonare
L’elasticità del polmone dipende da:
• componenti elastiche del tessuto polmonare, formato da bre di elastina;
• bre collagene, poco distensibili, prodotte dai broblasti del connettivo;
• tensione super ciale.
Nei polmoni a riposo, le bre di elastina nelle pareti alveolari, nei
bronchioli e nei capillari sono contorte e attorcigliate l’una all’altra;
durante l’inspirazione si stirano e si ridispongono in un modo che ricorda
la distensione delle bre di una calza di nylon quando viene indossata.
Riguardo la tensione super ciale, questa in uenza per i 2/3 l’elasticità
polmonare; è determinata dal sottile strato di liquido che ricopre la
super cie interna dell’alveolo, dovuto al vapore dell’aria che nell’alveolo
si trova in condizioni di vapore saturo e condensando forma un lm
liquido aderente all’alveolo. La tensione super ciale si oppone
all’espansione e tende a far collassare il polmone;
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quindi, perchè il polmone possa espandersi, è necessaria energia che vinca questa attrazione
delle molecole di acqua. Se si vuole vincere la tensione super ciale e distendere le pareti di una
struttura elastica a conformazione circolare bisogna esercitare una pressione che sarà
direttamente proporzionale alla T da vincere e inversamente proporzionale al r; la relazione tra T e
P è stabilita dalla legge di Laplace:

Per la legge di Laplace, a parità di tensione super ciale, la P è maggiore negli alveoli piccoli
rispetto a quelli grandi.
Gli alveoli più piccoli tenderebbero a svuotarsi in quelli più grandi, se non ci fosse un tensioattivo
che riduce la tensione super ciale, il surfactante. Il tensioattivo è maggiormente concentrato negli
alveoli piccoli, per unità di super cie, quindi T è minore e la pressione necessaria ad evitare il
collasso (atelettasia) dell’alveolo più piccolo sarà minore.
Altra funzione del surfactante è quella di stabilizzare gli alveoli: gli alveoli sono connessi fra loro,
a riposo hanno la stessa pressione, ma sono di dimensioni diverse, perciò, se non ci fosse
tensioattivo, secondo la Legge di Laplace, ogni alveolo richiederebbe una pressione diversa per
essere mantenuto perfuso.
Il sistema così sarebbe instabile perché gli alveoli a raggio minore, nei quali si genererebbe una P
maggiore, tenderebbero a trasferire il loro contenuto d’aria a favore di quelli a diametro maggiore,
nei quali la P è minore, e quindi a scomparire seguendo il gradiente pressorio. Il polmone
raggiungerebbe l’equilibrio solo al formarsi di un unico grosso alveolo: questa organizzazione non
è compatibile con gli scambi gassosi, perché ridurrebbe drasticamente la super cie di scambio.
Ciò non avviene siologicamente per la presenza del tensioattivo, che consente a riposo la
coesistenza di alveoli di raggio diverso.

SURFACTANTE
La componente lipidica principale del surfactante è la dipalmitoil-fosfatidilcolina, un fosfolipide
con la componente idro la (testa) immersa nella fase liquida e la parte idrofoba (coda) rivolta
verso la fase gassosa. Il surfactante si forma tra il IV-VII mese di gravidanza.
Il de cit di surfactante rappresenta la maggiore causa di sindrome da distress respiratorio nei
neonati. In molti casi la RDS è transitoria ed è legata all’immaturità del polmone, invece
un’insu cienza respiratoria progressiva in neonati a termine e vicini al termine, potrebbe essere
causata da difetti nei geni delle proteine correlate al surfactante. Infausta se non si interviene
rapidamente, in quanto non è compatibile con un’autonoma funzione respiratoria.
In particolare due proteine svolgono un ruolo critico per le proprietà tensioattive del surfactante, le
proteine B (SP-B) e C (SP-C), che rappresentano circa il 4% del surfactante.
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Nell’adulto la produzione di tensioattivo si riduce in modo cronico, ma in condizioni compatibili
con la vita, in pazienti a etti da:
• diabete, come conseguenza dell’alterato metabolismo lipidico generale;
• fumatori cronici, in cui si sviluppa la ARDS, determinando anche la morte del soggetto in
concomitanza di gravi traumi a carico del tessuto polmonare, sepsi ed infezioni polmonari
virali.
Nell’adulto, la formazione del surfatctante è ridotta anche dall’ipossia.
ll ricambio delle molecole di surfactante è favorito dall’espansione polmonare, dal sospiro e dallo
sbadiglio.

PATOLOGIE POLMONARI
Sono due le categorie principali di patologie polmonari, de nite ostruttive e restrittive; le
patologie polmonari ostruttive sono caratterizzate da una ostruzione delle vie aeree, che si
traduce in di coltà non tanto nella fase di ispirazione quanto in quella di espirazione, in seguito a
perdita di elasticità, mentre le patologie polmonari restrittive sono caratterizzate da una perdita
della capacità di espansione polmonare, quindi della CP.
Le principali patologie polmonari ostruttive sono:
1) Asma: restrizione delle vie aeree, di solito in modo reversibile, in risposta ad alcuni stimoli, ad
esempio un’allergia o una infezione;
2) Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), caratterizzata da un’ostruzione irreversibile
delle vie aeree, di entità variabile a seconda della gravità;
3) En sema, distruzione delle pareti fragili e delle bre elastiche degli alveoli, causando il loro
collasso quando si espira e compromettendo il usso d’aria che fuoriesce dai polmoni;
4) Bronchiolite, un’infezione, di solito di origine virale, che colpisce l’apparato respiratorio
inferiore, solitamente nei lattanti e nei bambini piccoli di età inferiore ai 2 anni;
5) Bronchite cronica, in cui i bronchi si in ammano e si restringono, costringendo i polmoni a
produrre più muco, che può ostruire ulteriormente i tubi ristretti. La tosse cronica che si
sviluppa è un tentativo del nostro organismo di liberare le vie respiratorie.

Le principali patologie polmonari restrittive sono:


1) ARDS (Adult Respiratory Distress Syndrome), malattia acuta da danno alveolare di uso
dovuto alla liberazione sistemica di citochine;
2) Fibrosi pleurica, ovvero un ispessimento e irrigidimento della pleura, causati da una
in ammazione o dall’esposizione all’amianto;
3) Fibrosi polmonare, una malattia respiratoria che insorge quando, all’interno del polmone, si
forma del tessuto cicatriziale;
4) Polmonite, una in ammazione, di solito acuta, del tessuto polmonare;
5) Asbestosi, una forma di brosi interstiziale polmonare causata dall’esposizione all’amianto;
6) Patologie neuromuscolari dei muscoli respiratori;
7) Silicosi, una cicatrizzazione permanente dei polmoni causata dall’inalazione della polvere di
silice;
8) Tubercolosi, una malattia provocata da un batterio e che interessa in genere i polmoni.

VOLUMI POLMONARI E CAPACITA’ POLMONARI


Volumi polmonari
1. Volume corrente VC, volume di aria che entra dall’albero respiratorio nel corso di un atto
respiratorio, in condizioni di riposo; nell’uomo adulto è di 500 ml.
2. Volume di riserva inspiratoria VRI, quantità massima di aria che, dopo un'inspirazione
normale, può essere ancora introdotta nei polmoni con una inspirazione forzata (2000-3000 ml).
3. Volume di riserva espiratoria VRE, quantità massima di aria che, dopo un'espirazione
normale, può essere ancora espulsa grazie ad una espirazione forzata (1200-1500 ml).
4. Volume residuo VR, volume di aria che rimane nell’albero respiratorio al termine di una
espirazione forzata; essa ammonta a circa 1200 ml.

Capacità polmonari
1. Capacità polmonare totale CPT, volume di aria contenuto nei polmoni al termine di
un'inspirazione massima; CPT = CV + VR = 6000 ml.
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2. Capacità vitale CV, volume massimo che può essere inspirato ed espirato; CV = VRI + VC +
VRE) = 4800 ml.
3. Capacità inspiratoria CI, volume massimo che può essere inspirato partendo dalla ne di una
normale espirazione; CI = VRI + VC = 3500 ml.
4. Capacità funzionale residua CFR, volume di aria che rimane nell’albero respiratorio alla ne di
una normale espirazione; CFR = VRE + VR = 2500 ml
I volumi e le capacità polmonari sono analizzati con la spirometria, un’indagine clinica che
permette di studiare la ventilazione polmonare analizzando i volumi d’aria che si muovono dentro
e fuori i polmoni.

Spazio morto anatomico e siologico


Il volume di aria inspirata, che non raggiunge gli alveoli, ma rimane nelle vie aeree di conduzione,
è de nito spazio morto anatomico e, nell’adulto, è di circa 150ml. Si de nisce, invece, spazio
morto siologico l’insieme dello spazio morto anatomico e degli spazi alveolari che, per problemi
di perfusione, non partecipano agli scambi. Nel polmone normale, il numero degli alveoli in cui gli
scambi non avvengono è molto ridotto, quindi lo spazio morto siologico, in un soggetto sano,
corrisponde allo spazio morto anatomico.
Il volume di aria che entra ed esce dai polmoni nell’unità di tempo può essere espresso come:
• ventilazione totale o polmonare (VP)= VC x Frequenza respiratoria, 500 x 12 = 6000 ml/min;
è detta anche volume minuto respiratorio;
• ventilazione alveolare (Va)= (VC – SMA) x Frequenza respiratoria, (500-150) x 12 = 4200 ml/
min.
La frequenza respiratoria è il numero di atti respiratori al minuto, cioè 12.
La ventilazione alveolare è il fattore più importante per l’e cacia degli scambi gassosi: tutti hanno
la stessa ventilazione totale, ma ventilazioni alveolari di erenti.

Ad esempio:
1. Il soggetto A ha una respirazione rapida e super ciale, a cui corrisponde una ventilazione
alveolare pari a 0, che comporta il rischio di perdere conoscenza dopo pochi minuti.
2. Il soggetto B ha una respirazione e ventilazione alveolare normale.
3. Il soggetto C ha una respirazione lenta e profonda, a cui corrisponde una ventilazione
alveolare maggiore rispetto al valore normale.

Le modi cazioni della ventilazione alveolare hanno e etti su pCO2 e pO2: in condizioni normali,
pO2 è pari a 100 mmHg e la pCO2 è pari a 40 mmHg; quando la ventilazione alveolare aumenta,
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iperventilazione, la pO2 sale no a circa 120 mmHg e la pCO2
scende no a circa 20 mmHg, mentre in ipoventilazione, al
contrario, quando cioè diminuisce l’aria nuova che raggiunge gli
alveoli, la pO2 diminuisce e la pCO2 aumenta.

Rapporto ventilazione/perfusione (V/Q)


È il rapporto tra ventilazione alveolare e perfusione polmonare,
fondamentale in quanto ventilare un polmone non perfuso o
perfondere un polmone non ventilato non è di nessuna utilità.
Il valore medio normale di V/Q è pari a circa 0.8, e deriva dal
rapporto tra ventilazione alveolare e perfusione polmonare: 4,2 L/
min (Va) / 5L/min (GC) = circa 0,8. Il valore 0.8 è un valore medio,
cioè non tutto il polmone è perfuso o ventilato alla stessa
maniera; infatti, in un polmone in stazione eretta la distribuzione
di V/Q varia da regione a regione, dall’alto al basso, per in uenza
della gravità e del peso del polmone.
• PERFUSIONE (Q): in stazione eretta, il usso ematico
aumenta marcatamente scendendo dagli apici alle basi,
quindi, per e etto della gravità, è notevolmente più intenso nelle regioni basali.
• VENTILAZIONE (Va): in stazione eretta, anche la ventilazione alveolare è irregolarmente
distribuita, a causa della modi cazione che si veri ca nel polmone dovuta alla gravità e al
peso dell’organo stesso. La ventilazione alveolare, per e etto della gravità, è notevolmente
maggiore nelle regioni basali.
Ventilazione e perfusione aumentano andando verso le basi, ma non in modo proporzionale: la
ventilazione aumenta più lentamente rispetto al usso.
Il rapporto V/P è elevato all’apice: 0.24 L di aria / 0.07 L di sangue/min = rapporto V/P pari a 3.4
Il rapporto V/P è basso alla base: 0.82 L di aria /1.29 L di sangue/min = rapporto V/P pari a 0.63

PERFUSIONE POLMONARE E IPOSSIA


La perfusione polmonare può variare anche al variare della pO2 alveolare: le arteriole polmonari si
costringono se la pO2 alveolare scende, per ridurre il usso di sangue agli alveoli che sono poco
ventilati, e si dilatano se la pO2 alveolare aumenta.
E’ un e etto opposto a quello delle arteriole sistemiche, che si dilatano se i tessuti sono ipossici.

TRASPORTO DEI GAS


Nella siologia dell'apparato respiratorio, occorre considerare non soltanto la pressione
atmosferica totale, ma anche le singole pressioni dell'O2 e della CO2. La pressione di un singolo
gas in una miscela è conosciuta come pressione parziale, determinata soltanto dalla sua relativa
abbondanza nella miscela ed è indipendente dalle dimensioni della molecola, dalla massa del gas
e dalle pressioni parziali degli altri gas. Le pp dei gas nell'aria variano leggermente in relazione alla
quantità di vapore acqueo presente, perché la pressione del vapore acqueo contribuisce come gli
altri gas alla pressione totale.
L'atmosfera che circonda la Terra è una miscela di gas e vapore acqueo e, perciò, su di essa vige
la legge di Dalton, la quale a erma che la pressione totale esercitata da una miscela di gas
corrisponde alla somma delle pressioni esercitate dai singoli gas che la compongono. Per la
Legge di Dalton, la P parziale di un gas è proporzionale alla concentrazione percentuale del gas
nella miscela: P parziale gas = % gas x Pressione della miscela
Ad esempio, a livello del mare la pressione totale è 760 mmHg, e la concentrazione di O2 è il 21%
di 760 mmHg, per cui la pO2 è di 159 mmHg.
Gli scambi gassosi avvengono passivamente per di usione semplice, che obbedisce alla legge di
Fick:
F = [DA (a1-a2)]/x dove

D = coe ciente di di usione


A = super cie di di usione
(a1-a2) = di erenza di pressione parziale dei gas sui due lati della super cie respiratoria
X = distanza di usionale
Secondo la legge di Graham, il coe ciente di di usione di una sostanza, secondo un gradiente
di concentrazione, è inversamente proporzionale alla radice quadrata del suo peso molecolare:
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• O2 (PM 32) = 6.6
• CO2 (PM 44) = 5.6
CO2 e O2 hanno dimensioni simili (coe ciente di di usione simile) per cui di ondono con uguale
velocità, ma nel passaggio fase gassosa-liquido, la di usione del gas è proporzionale anche alla
sua solubilità in ambiente liquido. Più un gas è solubile, maggiore sarà la sua velocità di
di usione. Infatti, per la legge di Henry, a temperatura costante, la quantità di gas disciolto in un
liquido è direttamente proporzionale al coe ciente di solubilità (α) per la pressione parziale del
gas (p): Gasdisciolto = α * p(gas)

I gas hanno, però, diversa solubilità nei liquidi, la CO2 è più solubile in acqua rispetto all’O2 a
37°C:
• αCO2 = 0.032
• αO2 = 0.0013
La CO2, quindi, di onde ∼ 20 volte più velocemente dell’O2; perciò, a parità di pressione parziale,
la quantità di CO2 disciolta sarà maggiore. Inoltre, la solubilità è inversamente proporzionale
all’aumento della temperatura e della salinità del liquido.

Pigmenti respiratori
I pigmenti respiratori, fortemente colorati, sono trasportatori di ossigeno che lo legano per
aumentarne la quantità presente nei liquidi circolanti; questi si combinano con l’O2 quando la
pressione parziale è alta e lo rilasciano quando questa è bassa. Si de nisce capacità di ossigeno
la quantità massima di gas che si lega al pigmento a saturazione, si esprime in volume % di O2
nel sangue e dipende dalla quantità di pigmento respiratorio presente nel sangue.
Si de nisce a nità del pigmento per l’O2 la quantità del pigmento che è presente nella forma
ossigenata a vari valori di pO2.
I pigmenti respiratori sono metallo-proteine in cui il
metallo (ferro o rame) è posto in un anello por rinico
oppure legato direttamente alla catena peptidica. Se
il ferro è legato all’anello por rinico il gruppo
prostetico è detto eme altrimenti è detto non eme.
Il rame è sempre legato alla parte proteica.
Sulla base di queste informazioni si distinguono tre
gruppi di pigmenti respiratori:
1. emoglobine e clorocruorine, caratterizzate da
gruppi eme;
2. emeritrine, caratterizzate da gruppi non eme;
3. emocianine, contenenti rame.
Tutte le emoglobine sono costituite da una parte proteica, detta globina, e un gruppo prostetico,
il gruppo eme. L’eme è costituito dal ferro, sempre nella forma bivalente, e dalla protopor rina IX.
Le emoglobine possono essere: tissutali, eritrocitarie o plasmatiche.
Le emoglobine tissutali, dette anche mioglobine, si ritrovano per lo più nei muscoli di tutti i
vertebrati, dove hanno funzione di deposito di O2, in quanto hanno alta a nità per l’O2, e
contengono un gruppo eme.
Le emoglobine eritrocitarie hanno 4 gruppi eme e svolgono una funzione di trasporto di O2, in
quanto hanno bassa a nità per l’O2. Se legate all’O2, prendono il nome di ossiemoglobine,
quando lo cedono, prendono il nome di deossiemoglobine.
Quando il ferro ferroso viene ossidato a ferro ferrico, l'emoglobina eritrocitaria non è più in grado
di legare l’O2 ed è detta metaemoglobina; questa è ridotta nella forma ferrosa funzionale
dall'enzima metaemoglobina reduttasi presente negli eritrociti. L’emoglobina eritrocitaria ha,
inoltre, un’a nità 200 volte maggiore per il monossido di carbonio (CO) rispetto all’O2 e, in questa
forma, è detta carbossiemoglobina.
Le emoglobine plasmatiche, dette anche eritrocruorine, si ritrovano sporadicamente in alcuni
invertebrati; hanno un’elevata a nità per l’O2 per cui si pensa che funzionino più come deposito
di O2 piuttosto che come trasportatori.

Trasporto di O2 nel sangue


Hb può legare 4 molecole di O2, a cui corrisponde il 100% di saturazione, e la quantità di O2
legata all’Hb dipende dalla pressione parziale dell’O2.
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La relazione tra saturazione dell’Hb e pO2 nel sangue
viene rappresentata gra camente con una curva,
detta curva di dissociazione dell’emoglobina. La
caratteristica forma sigmoide di questa curva ci dà
importanti informazioni:
• la pendenza della curva non è ripida, il che è
indice di una bassa a nità;
• tra 10 e 60mmHg la pendenza ripida indica che
l’Hb si lega velocemente in questo range;
• a 60mmHg il 90% circa di Hb è già legata all’O2,
quindi, anche se la pO2 dovesse essere più bassa
del normale, (es. ad alta quota o in patologie
polmonari), la quantità di ossigeno trasportato
sarebbe solo il 10% in meno poichè già il 90% è
legato a PO2 di 60 mmHg.
La curva di dissociazione della mioglobina, invece, è
detta curva a iperbole, caratterizzata da una
pendenza più ripida, che indica alta a nità per l’O2.
A riposo, i tessuti prelevano solo il 25% dell’ossigeno
trasportato, lasciando una grande riserva se le
richieste dovessero aumentare. Mentre sia Hb sia Mb
sono sature alla pressione parziale di O2 nei polmoni, solo Hb rilascerà signi cative quantità di O2
alla pressione parziale dell'O2 nei tessuti. L'O2 rilasciato da Hb può essere assunto da Mb per
immagazzinarlo nei tessuti, come i muscoli che hanno una quantità signi cativa di mioglobina.
L’a nità dell’Hb per l’ossigeno è in uenzata dai seguenti fattori:
- pCO2;
- temperatura;
- H+;
- DPG (2,3 difosfoglicerato)1.
L’a nità viene ridotta a livello dei capillari tissutali dove ciascuno di questi fattori è maggiore
rispetto ai capillari arteriosi; così l’Hb arrivata ai tessuti cede più O2 di quanto farebbe se la pO2
fosse l’unico fattore coinvolto.

Trasporto di CO2
La CO2, prodotto di scarto del metabolismo, genera H+ che se non sono tamponati, fanno variare
il pH. Nnonostante la CO2 abbia una solubilità maggiore dell’O2 in acqua, tuttavia solo il 10%
circa è disciolto, circa il 22% forma composti carbaminici e il resto è convertito in acido carbonico
e poi in bicarbonato. Il bicarbonato è la forma predominante di CO2 nel sangue a pH ematico
normale.
La conversione a bicarbonato ha due scopi:
‣ fornire un meccanismo per il trasporto di CO2;
‣ rendere il bicarbonato disponibile come tampone.
Per neutralizzare la CO2 che si forma, i prodotti della reazione, H+ e HCO3-, devono essere
rimossi dal citoplasma del globulo rosso:
• HCO3- torna nel plasma scambiandosi con ioni Cl- (shift del cloruro);
• ioni H+ sono tamponati da Hb e si forma HHb (emoglobina deossigenata), che facilita il
rilascio di O2.
Per quanto riguarda l’azione tampone dell’Hb, gli ioni H+ si legano alla deossiHb, con una
maggiore a nità rispetto alla ossiHb, lasciando liberi solo pochi H+; questo spiega perché il
sangue venoso (pH 7.36) è solo poco più acido di quello arterioso (pH 7.4). Se la CO2 aumenta
troppo, l’Hb non riesce a neutralizzare tutti gli idrogenioni che si accumulano, determinando
acidosi respiratoria.
Per quanto riguarda, invece, l’HCO3-, a livello dei capillari polmonari, lo scambiatore anionico
funziona al contrario, invertendo la direzione con cui trasporta gli anioni, al ne di trasformare

1 Il 2,3 difosfoglicerato (2,3 DPG) è un composto derivato da un prodotto intermedio della glicolisi;
si concentra particolarmente a livello eritrocitario, dato che i globuli rossi - essendo privi di
mitocondri - sfruttano il metabolismo anaerobico lattacido (fermentazione omolattica del glucosio)
per ricavare energia.
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nuovamente lo ione HCO3– in CO2 che
deve di ondere verso gli alveoli; questo è
conosiuto come e etto Haldane.
Un altro e etto in uenzato dalla presenza di
CO2 e ioni H+ è l’e etto Bohr, in cui l’O2
viene rilasciato più facilmente a causa di
una riduzione dell’a nità del gruppo eme
per l’O2, indotta da una maggiore
concentrazione di H+, a sua volta indotta
da un’aumentata concentrazione di CO2.

GENESI E CONTROLLO DELLA


RESPIRAZIONE
I meccanismi di controllo della respirazione
devono:
1. fornire lo schema motorio responsabile
del ritmo automatico, che porta alla
contrazione ordinata dei di erenti
muscoli respiratori;
2. rispondere alle richieste metaboliche e a
cambiamenti di condizioni meccaniche (postura).
I siti di controllo della ventilazione sono:
• centri respiratori, diversi nuclei nel bulbo e nel ponte, che generano e modi cano il ritmo
respiratorio di base;
• chemocettori centrali, nel bulbo;
• chemocettori periferici, nei glomi aortici e carotidei;
• meccanocettori polmonari, sensibili alla distensione polmonare e alla presenza di sostanze
irritanti.
I comandi che partono dalla corteccia cerebrale possono anche bypassare i centri autonomi del
tronco encefalico e controllare volontariamente, entro un certo limite, il respiro:
- un soggetto può iperventilare (aumentare frequenza e volumi respiratori) volontariamente,
causando una riduzione della pCO2 che, a sua volta, autolimita l’iperventilazione;
- un soggetto può ipoventilare (trattenere il respiro) volontariamente, aumentando la pCO2 e
riducendo la pO2, che stimolano la ventilazione.

CONTROLLO NERVOSO DELLA RESPIRAZIONE


Questo tipo di controllo è mediato da due centri:
1. il centro respiratorio bulbare, il centro
respiratorio primario formato da neuroni inspiratori
ed espiratori le cui e erenze giungono ai muscoli
respiratori;
2. il centro respiratorio pontino regola il centro
respiratorio bulbare.

Il centro respiratorio bulbare è formato da gruppi di


neuroni distinti in gruppo respiratorio dorsale (GRD)
e gruppo respiratorio ventrale (GRV). Il GRD è
formato da neuroni inspiratori che terminano sui
muscoli inspiratori; qui è presente il generatore del
ritmo respiratorio, detto complesso pre-Botzinger, una rete di neuroni che svolge attività di
pacemaker determinando la frequenza di scarica dei neuroni inspiratori. Il GRV è, invece, formato
da neuroni inspiratori ed espiratori che sono quiescenti durante la respirazione normale ed attivati
quando aumentano le richieste di ventilazione.
Il centro respiratorio pontino è formato da:
• centro apneustico, nella parte inferiore del ponte, stimola il centro inspiratorio ed impedisce
che i neuroni inspiratori siano disattivati completamente;
• centro pneumotassico, nella parte superiore del ponte, inibisce il centro respiratorio,
disattivando i neuroni inspiratori e limitando la durata dell’inspirazione. Il centro
pneumotassico regola e domina quello apneustico, arrestando l’inspirazione e permettendo
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l’espirazione. Se ciò non funziona si ha apneusi,
inspirazioni molto lunghe ed espirazioni brevi.
Nel corso di una respirazione tranquilla, l’inspirazione dura 2
secondi e l’espirazione 3 secondi: durante l’inspirazione,
l’attività di scarica dei neuroni inspiratori aumenta
costantemente, de nita scala a rampa, e poi cessa
bruscamente per 3 secondi permettendo l’espirazione.
La cessazione del segnale a rampa è operata dai neuroni
inibitori dello pneumotassico.

CONTROLLO CHIMICO DELLA RESPIRAZIONE


L’attività ritmica dei neuroni respiratori, e quindi la
ventilazione, è modi cata da segnali provenienti da chemocettori, attivati da cambiamenti di
pCO2 e pO2 arteriose e pH, con lo scopo di assicurare l’adattamento della ventilazione al
fabbisogno metabolico dell’organismo.
• I chemocettori centrali sono sensibili alle variazioni della pCO2; sono situati nel bulbo, sono
protetti dalla barriera ematoencefalica e sono a contatto con il liquido
cerebro-spinale. Ogni aumento di ioni H+ in quest’ultimo, determinato
dall’aumento della CO2, stimolerà la ventilazione. Bisogna ricordare
che gli ioni H+ non possono attraversare la barriera, ma la CO2 può
farlo; infatti, la CO2 nel liquido cerebro-spinale viene convertita in H+ e
bicarbonato dall’anidrasi carbonica, l’aumento di H+ stimola
direttamente i recettori centrali, i quali generano potenziali che
aumentano la ventilazione. L’attivazione delle bre a erenti è mediata
dal rilascio di serotonina. La sensibilità dei chemocettori centrali alla
pCO2 arteriosa è elevata, tra 40 e 80 mmHg; valori di pCO2 arteriosa
superiori a 90 mmHg causano coma cerebrale e morte. I chemocettori
centrali non sono sensibili alle variazioni della pO2.

• I chemocettori periferici sono sensibili alle variazioni della pO2 e del


pH del sangue arterioso e, indirettamente, anche alla pCO2. Ridotti
pO2 e pH stimolano la ventilazione. La sensibilità dei chemocettori
periferici è relativamente bassa per valori di pO2 tra 100 e 60 mmHg e
aumenta se aumentano i livelli di CO2; perciò l’O2 non è un fattore primario nel determinare la
ventilazione perché pO2 deve scendere sotto a 60mmHg prima di stimolare la ventilazione,
condizione compatibile con un’altitudine di 3000m. I chemocettori periferici, quindi, non
svolgono un ruolo quotidiano nel controllo della ventilazione. La riduzione della pO2 nel
sangue a valori inferiori di 50-60 mmHg stimola direttamente la respirazione. La risposta alla
pCO2 dei chemocettori periferici è meno potente di quella dei chemocettori centrali, anche se
la stimolazione di quelli periferici è molto più rapida.

CONTROLLO MECCANICO DELLA RESPIRAZIONE


Il controllo meccanico della respirazione prevede la stimolazone dei centri di controllo respiratori
attraverso le bre sensoriali del nervo vago. Distinguiamo tre tipi di meccanocettori:
1. recettori di stiramento a lento adattamento, che stimolano il ri esso di Hering-Breuer, cioè un
ri esso respiratorio capace di bloccare il processo d'inspirazione nel momento in cui venga
superato un VC di 0,8 litri. Sono attivati, quindi, in risposta all’espansione polmonare,
inibiscono l’inspirazione ed attivano l’espirazione; ad esempio, intervengono nel limitare
l’espansione in caso di inspirazione profonda;
2. recettori di irritazione a rapido adattamento, attivati da sostanze irritanti, come la capsaicina
del peperoncino, fumo, smog, mediano il ri esso della tosse;
3. meccanorecettori iuxtacapillari, detti recettori J, sono terminazioni sensitive delle pareti
alveolari, che vengono attivate in caso di congestione o edema polmonare e sembrano essere
responsabili della dispnea.

MECCANISMI DI CONTROLLO DI ACIDOSI E ALCALOSI


Nel controllo della respirazione comprendiamo tre meccanismi che prevengono condizioni di
acidosi e alcalosi, regolando la concentrazione di H+.
1. Sistemi tampone acido-base, reazioni che consumano H+.
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2. Controllo respiratorio: regolazione della pCO2.
3. Funzione renale nella regolazione dell’eliminazione di ione HCO3- attraverso le urine.
I primi due danno una risposta rapida, il terzo una risposta lenta. Tuttavia, in alcune circostanze, la
produzione o la perdita di H+ o HCO3- è così elevata che i meccanismi compensatori non
riescono a mantenere I'omeostasi del pH.
Uno stato di acidosi respiratoria si veri ca quando una ipoventilazione alveolare determina
ritenzione di CO2 ed elevata pCO2 plasmatica, determinando, a sua volta, la diminuzione del pH e
l'aumento dei livelli di HCO3-. La regolazione, in relazione al tipo di problema, potrà essere
mediata da un aumento della ventilazione, o dai meccanismi renali che operano l'escrezione di H+
e riassorbono HCO3-. L’aumento della CO2 sposta l’equilibrio della reazione a destra:

Questo accade, ad esempio, in caso di polmonite, asma, fumo.

L'alcalosi respiratoria si veri ca in seguito a iperventilazione che determina una riduzione della
pCO2 plasmatica e quindi di H+ e HCO3-. Il controllo di questa situazione, in relazione al tipo di
problema, prevede una diminuizione della velocità di respirazione e l’azione di escrezione di
HCO3- e l’aumento di H+. La diminuizione della CO2 sposta l’equilibrio della reazione a sinistra:

La causa siologica più comune di alcalosi respiratoria è l'iperventilazione isterica causata da


ansia. In questi casi, i sintomi neurologici determinati dall'alcalosi possono essere parzialmente
compensati facendo respirare il paziente in un sacchetto di carta: così facendo, il paziente respira
nuovamente la CO2 espirata, un processo che aumenta la pCO2 arteriosa e corregge il problema.

IPOSSIA
L’apporto di O2 ad un organo viene adattato al fabbisogno di O2 principalmente tramite variazioni
della perfusione. Il contenuto di O2 nel sangue arterioso non può essere aumentato di molto con
l’iperventilazione, poiché, in condizioni normali, la saturazione dell’Hb è già al 97%.
Gli squilibri fra le necessità e la disponibilità di O2 vengono de niti ipossie. Ci sono quattro
tipologie di verse di ipossia:
1. ipossia ipossica, caratterizzata da una bassa pO2 arteriosa dovuta ad ipoventilazione
alveolare, o riduzione della capacità di di usione alveolare o, siologicamente, ad elevata
altitudine;
2. ipossia anemica, caratterizzata da una riduzione della quantità totale di O2, causata da perdita
di sangue, anemia o inalazione di CO;
3. ipossia ischemica, caratterizzata da un mancato apporto di sangue, e quindi di O2, ad un
tessuto;
4. ipossia istotossica, caratterizzata da una riduzione della capacità delle cellule di utilizzare O2,
che si veri ca, ad esempio, a seguito di avvelenamento da cianuro o altri veleni metabolici.

Meccanismi di compenso all’ipossia


La compensazione da mancanza di ossigeno avviene:
• a livello dell’apparato cardiovascolare, che aumenta la gittata cardiaca per portare più
ossigeno ai tessuti e modi cando il usso sanguigno a favore degli organi vitali (cuore e
cervello) e a scapito degli organi non indispensabili per la vita;
• a livello dell’apparato respiratorio, che aumenta il ritmo e della profondità del respiro;
• a livello del midollo osseo, dove l’eritropoietina, prodotta dal rene, stimola la produzione dei
globuli rossi.

ALTA QUOTA
Il principale problema legato all'alta quota è la riduzione della pO2 che si veri ca in proporzione
alla riduzione della pressione barometrica. Sappiamo che la pressione parziale di un gas è il
prodotto della pressione atmosferica per la percentuale del gas stesso; poiché la composizione
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dell'aria è relativamente costante, e quindi la concentrazione dell'ossigeno è sempre del 21%
circa, indipendentemente dall'altezza sul livello del mare, il fattore determinante è la pressione
atmosferica.
La pressione atmosferica diminuisce con l'aumentare dell’altezza: a livello del mare è 760 mmHg,
a 3000 m è 510 mmHg, a 5500 m è 390 mmHg, a 8848 m è 250 mmHg. Al diminuire della Patm
diminuiscono, in proporzione, anche le pressioni parziali di tutti i gas che compongono
l’atmosfera. La pO2 a livello del mare è di 21% x 760 = 159.6 mmHg, a 3000 m è 107 mmHg, a
5500 m è 82 mmHg e a 8848 m è 52 mmHg.
La riduzione della pressione parziale dell'ossigeno ad alta quota si ri ette a livello alveolare e
scatena una serie di meccanismi di acclimatazione che coinvolgono tutte le funzioni
dell’organismo. Per l'uomo acclimatazione è possibile solo no a circa 5500 m.
Questi meccanismi consistono in una serie di reazioni immediate e di reazioni più lente che
avvengono principalmente a seguito di alterazioni dell’espressione genica mediate dall’HIF, cioè
l’hypoxia-inducible-factor.

HIF
HIF è un fattore di trascrizione che svolge un ruolo fondamentale nella trascrizione genica in
risposta all’ipossia. E’ un eterodimero, HIF-1α e HIF-1β; HIF-1α è instabile in presenza di O2
perchè rapidamente degradato dalla prolil-idrossilasi. In condizioni ipossiche, essendo la propil-
idrossilasi inattiva, HIF-1α può accumularsi.
Dall’HIF dipendono:
1. la secrezione di eritropoietina e di VEGF (vascular endothelial growth factor) per la
stimolazione dell'eritropoiesi e della neo-angiogenesi, cioè il processo di formazione di nuovi
vasi sanguigni;
2. la diminuzione del consumo di ossigeno, partecipando alla transizione dalla fosforilazione
ossidativa alla glicolisi, come mezzo per produrre ATP.

Nobel per la medicina 2019


William G. Kaelin Jr, Sir Peter J. Ratcli e e Gregg L. Semenza sono stati insigniti del premio Nobel
per la medicina o la siologia per aver identi cato un meccanismo fondamentale alla base del
funzionamento di tutte le cellule animali: la regolazione dell'espressione genica al variare dei
livelli di ossigeno.
Gregg Semenza, professore della Johns Hopkins University a Baltimora, ha scoperto gli Hre
(Hypoxia- response elements), geni responsabili del ripristino dei livelli normali di ossigeno in
risposta all'ipossia. La risposta siologica all'ipossia è l'aumento della concentrazione di un
ormone, l'eritropoietina (Epo), prodotto nei reni, che stimola una maggiore produzione di globuli
rossi. L'importanza del ruolo degli ormoni in questo processo, de nito eritropoiesi, era noto sin
dagli inizi del XX secolo, ma come vi rientrasse l'ossigeno non era ancora stato compreso.
Parallelamente a Semenza, Peter Ratcli e, professore all'università di Oxford e direttore di ricerca
clinica al Francis Crick Institute di Londra, stava studiando come l'espressione dei geni
dell'eritropoietina fosse regolata dalle variazioni dell'ossigeno. I due gruppi scoprirono che proprio
alcune sequenze geniche situate accanto ai geni Epo erano responsabili della risposta all'ipossia:
erano gli Hre a promuovere la produzione di Epo quando la disponibilità di ossigeno calava.
Semenza identi cò anche Hif (hypoxia-inducible factor), complesso proteico che si lega agli Hre
grazie alla mediazione dell'ossigeno.
William Kaelin, professore alla Harvard Medical School e ricercatore nei laboratori del Dana-
Farber Cancer Institute di Boston, stava studiando la sindrome genetica di von Hippel-Lindau, le
cui mutazioni ereditarie portano allo sviluppo di certi tipi di tumore. Kaelin scoprì che un gene
coinvolto nella sindrome (gene Vhl) era responsabile del controllo della risposta cellulare
all'ipossia.
Ratcli e confermò che Vhl interagiva con Hif-1α e che questo legame era necessario per la
degradazione di Hif-1α.
L'ultimo tassello lo misero Ratcli e e Kaelin quando scoprirono che un'alta concentrazione di
ossigeno innescava una reazione chimica (l'idrossilazione di Hif-1α), necessaria all'azione di Vhl e
alla successiva degradazione.
Il meccanismo risultante è un ne sistema di controllo: a basse concentrazioni di ossigeno, Hif si
accumula e attiva una serie di geni (Hre) responsabili della risposta all'ipossia; all'aumento del
livello di ossigeno, Hif viene idrossilato, riconosciuto da Vhl e degradato dai proteasomi.

Quoziente respiratorio: rapporto tra O2 consumato e CO2 prodotta.


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In condizioni di riposo è 0,8 ma il suo valore può variare tra 0,7 e 1 in base al tipo di
macronutriente da ossidare. È di erente per eguale quantità di carboidrati, proteine, grassi
CARBOIDRATI = 1
LIPIDI = 0.7
PROTEINE = 0.82

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