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Zona di conduzione
I condotti della zona di conduzione hanno importanti funzioni, che sono preriscaldare,
umidi care e depurare l’aria:
• il riscaldamento dell'aria avviene alla temperatura corporea di 37°C, così che la temperatura
corporea centrale non vari e gli alveoli non siano danneggiati dall'aria fredda;
• l’umidi cazione consente all'epitelio di scambio, che è umido, di non disidratarsi, così da
permettere ai gas di dissolversi più rapidamente;
• la depurazione, quindi la ltrazione del materiale estraneo, non permette a virus, batteri e
particelle inorganiche di raggiungere gli alveoli.
L'aria inalata viene riscaldata dal calore del corpo e umidi cata dall'acqua che evapora
dall'epitelio mucoso che riveste le vie aeree. In circostanze normali, l'aria inspirata raggiunge il
100% di umidità e la temperatura di 37 °C già a livello della trachea. La ventilazione attraverso la
bocca non è così e cace nel riscaldare e umidi care l'aria come quella attraverso il naso.
L'aria è ltrata sia dalla trachea sia dai bronchi; queste vie aeree sono rivestite da un epitelio
ciliato, le cui ciglia sono immerse in uno strato di soluzione salina diluita. Al di sopra dello strato di
soluzione salina, è presente uno strato di muco, che riesce a intrappolare le particelle inalate più
grandi, mentre le ciglia, grazie alla soluzione salina, spostano il muco verso la faringe. In
particolare, il muco contiene immunoglobuline che possono inattivare diversi agenti patogeni.
Lo strato di muco è secreto dalle cellule caliciformi dell’epitelio, mentre la soluzione salina è
prodotta dalle cellule ciliate.
Il movimento delle ciglia può essere compromesso da fattori irritanti quali il fumo di sigaretta,
mentre alcune patologie alterano la produzione di soluzione salina. Ad esempio, nella brosi
cistica, malattia genetica letale, gli strati di muco diventano più spessi e ostruiscono le vie aeree;
ciò è dovuto a difetti nel canale del cloro coinvolto nella secrezione.
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Zona di scambio
Gli scambi gassosi avvengono a livello dell’unità alveo-capillare, in quanto ogni sacco alveolare
riceve un singolo ramo capillare. Questa zona è principalmente rappresentata dagli alveoli, la cui
funzione primaria è lo scambio di gas tra l'aria che contengono e il sangue.
Ogni minuscolo alveolo è costituito da un singolo sottile strato di epitelio di scambio, il quale è
privo sia di muco sia di ciglia, poiché la densità del muco ostacolerebbe il movimento
dell’ossigeno e dell’anidride carbonica.
Negli alveoli ci sono due tipi di cellule epiteliali: circa il 95% della super cie alveolare è costituita
da cellule alveolari o pneumociti di I tipo, più grandi. Queste cellule sono così sottili che i gas
possono di ondere rapidamente attraverso di esse. Nella maggior parte dell'area di scambio uno
strato di lamina basale fa aderire l'epitelio alveolare all'endotelio dei capillari. Le cellule alveolari
di II tipo, più piccole ma più spesse, sintetizzano e secernono una sostanza chimica chiamata
surfactante. Il surfactante è una miscela di fosfolipidi e proteine che diminuisce la tensione
super ciale del liquido alveolare, dovuta alla forte attrazione tra le molecole di acqua che
rivestono la super cie degli alveoli; infatti, si mescola con il sottile strato di liquido che riveste gli
alveoli per facilitare I'espansione polmonare durante la ventilazione.
Fanno parte dell’epitelio alveolare anche dei macrofagi, che individuano le particelle depositate,
vi aderiscono e le digeriscono.
L'associazione tra alveoli e capillari dimostra lo stretto legame tra sistema respiratorio e apparato
circolatorio. I vasi sanguigni coprono l'80-90% della super cie alveolare, formando una lamina
quasi continua di sangue in stretto contatto con l'aria che riempie gli alveoli. La vicinanza tra
capillari e aria alveolare è essenziale per avere uno scambio gassoso rapido.
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POLMONI
I polmoni sono costituiti da tessuto spugnoso, hanno
forma di cono irregolare, occupano la cavità toracica
quasi completamente e hanno la base appoggiata sul
muscolo diaframma.
Ciascun polmone si trova all'interno di un sacco
pleurico, formato da due foglietti pleurici, di cui uno
riveste l'interno della cavità toracica, la pleura
parietale, e l'altro la super cie esterna del polmone, la
pleura viscerale. Ciascuna membrana pleurica, o
pleura, è costituita da diversi strati di tessuto connettivo
elastico e da numerosi capillari. I due foglietti sono
tenuti assieme da un sottilissimo strato di liquido
pleurico, il cui volume totale in un uomo di 70 kg è di
circa 25-30 mL. Ha la stessa composizione del liquido
interstiziale ed è prodotto per ltrazione dai capillari
della pleura parietale, quello in eccesso è riassorbito dai
vasi linfatici.
Il liquido pleurico ha diverse funzioni: la prima è creare
una super cie umida e scivolosa in modo da diminuire
l'attrito con cui i foglietti membranosi scorrono l'uno
sull'altro durante il movimento dei polmoni nella cavità
toracica, la seconda è mantenere i polmoni a stretto
contatto con la parete toracica. Altra funzione del liquido
pleurico è mantenere una pressione negativa all’interno
della sua cavità (-4 mmHg), che contribuisce a
mantenere il polmone “gon o”, cioè assicura
l’accoppiamento meccanico tra polmone e parete
toracica, mantenendole funzionalmente «incollate».
I polmoni e la parete toracica hanno, infatti,
comportamento elastico e tendono a tornare al proprio
volume di equilibrio: il polmone tende a collassare e la
parete toracica ad espandersi. L’adesione, assicurata dal
liquido pleurico, impedisce che ciò avvenga. Le due strutture esercitano, quindi, l’una sull’altra,
una trazione reciproca. In assenza di tale pressione negativa intratoracica, che si veri ca in
presenza di aria nello spazio pleurico, condizione conosciuta come pneumotorace, il polmone
tenderà a retrarsi e collassare.
I polmoni sono organi pari ma asimmetrici:
• il polmone sinistro è più piccolo rispetto al destro, per la presenza della fossa cardiaca, è
diviso in due lobi, superiore e inferiore, da un solco detto scissura obliqua;
• il polmone destro presenta due scissure, orizzontale e obliqua, che lo dividono in tre lobi,
superiore, medio e inferiore.
Ciascun lobo ospita un bronco secondario ed è diviso in zone più piccole; ciascuna zona è
rifornita da un bronco terziario ed è suddivisa in lobuli polmonari, ciascuno contenente 5-7
bronchioli terminali.
Ogni bronchiolo terminale si suddivide in rami cazioni microscopiche chiamate bronchioli
respiratori, a loro volta rami cati in diversi dotti alveolari, i quali terminano in grappoli di piccole
sacche detti sacchi alveolari costituite dagli alveoli, dotati di una parete sottilissima dove avviene
lo scambio dei gas e circondati da una tta rete di capillari sanguigni.
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MECCANICA RESPIRATORIA
La respirazione è una successione di atti respiratori, ciascuno dei quali è costituito da una
inspirazione seguita da una espirazione, che il corpo esegue grazie all'azione dei muscoli
intercostali e del diaframma. Gli atti respiratori, in condizioni di riposo, sono automatici e
involontari: si succedono regolarmente al ritmo di 12/16 al minuto e permettono di introdurre 7/8
litri d’aria al minuto. In condizioni normali, ad ogni inspirazione entrano 500 ml di aria, de nito
volume corrente, che si diluiscono in un volume di 2.3 L già contenuto nel polmone, de nito
come capacità funzionale residua. Il ricambio completo necessita di 12-16 atti respiratori.
Le variazioni di volume del polmone dipendono dal movimento della gabbia toracica, essendo
esso privo di strutture di sostegno o muscolari; infatti, utilizza le contrazioni dei muscoli respiratori
e le proprietà elastiche dell’apparato toraco-polmonare per generare i gradienti pressori che
permettono all’aria di entrare ed uscire dai polmoni.
• L’inspirazione è conseguenza dell'espansione del polmone, che segue l’aumento di volume
della gabbia toracica, ottenuto per contrazione dei muscoli inspiratori, che compiono un
lavoro per vincere le forze di retrazione elastica del polmone.
• L'espirazione è un fenomeno passivo, associato al rilasciamento della muscolatura
respiratoria, che consente alla gabbia toracica, e quindi al polmone, di tornare al volume di
partenza.
Muscoli respiratori
Si dividono in inspiratori ed espiratori, ciascuno dei quali può attuare inspirazione o espirazione
tranquilla o forzata; quest’ultima è la respirazione messa in atto quando c'è necessità di un
maggiore apporto di ossigeno, come per esempio in occasione di uno sforzo sico o di una
condizione clinica che deprime le capacità respiratorie a riposo.
• Inspirazione tranquilla:
- diaframma;
- intercostali esterni (coste);
- intercostali parasternali (sterno).
• Inspirazione forzata:
- sternocleidomastoidei;
- scaleni.
• Espirazione tranquilla: no muscoli perchè
processo passivo
• Espirazione forzata:
- addominali (retto, trasverso, obliqui);
- intercostali interni.
Durante l’inspirazione tranquilla, la contrazione del
diaframma comprime il contenuto addominale verso il
basso e, unitamente ai muscoli intercostali esterni e parasternali, spinge la gabbia toracica in alto
e verso l’esterno, mentre durante l’espirazione tranquilla, il diaframma si rilascia e riassume la sua
forma a cupola, e la gabbia toracica si abbassa. Nell’inspirazione tranquilla, il 60-75% della
modi cazione del volume toracico è dovuta all’abbassamento del diaframma, il resto al
movimento verso l’alto della cassa toracica.
Il movimento di aria dall’esterno verso l’interno e viceversa, è assicurato dal gradiente pressorio
tra l’esterno, cioè la P atmosferica, e l’interno del polmone, cioè la P alveolare. Come sappiamo,
i gas uiscono da zone ad alta pressione verso zone a bassa pressione. Il usso d’aria nei
polmoni è determinato da ∆P/R, dove R dipende dalla lunghezza e dal calibro dei condotti, e dal
tipo di respirazione (naso o bocca).
• Se Palv = Patm ———— no usso
• Se Palv < Patm ———— inspirazione
• Se Palv > Patm ———— espirazione
Per capire come il cambiamento delle dimensioni dei polmoni porti ad un cambiamento delle
pressioni alveolari, si deve considerare la legge di Boyle, la quale a erma che il volume occupato
da un gas, mantenuto a temperatura costante, è inversamente proporzionale alla pressione alla
quale il gas è sottoposto. In termini matematici, la legge di Boyle può essere scritta nel seguente
modo: P · V = K. Quindi:
• nell’inspirazione, l’aumento del volume del polmone induce una diminuizione della Palv, perciò
l’aria entra;
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• nell’espirazione, la diminuizione del volume de polmone induce un aumento della Palv, perciò
l’aria esce.
CP= ∆V/∆PTP
Ovviamente, la CP corrisponde, inoltre, al lavoro compiuto dai muscoli inspiratori per vincere le
resistenze elastiche esercitate dal polmone contro l’espansione: un polmone con elevata CP si
dilata facilmente, mentre un polmone con bassa CP richiede un maggior lavoro da parte dei
muscoli inspiratori.
Elasticità polmonare
L’elasticità del polmone dipende da:
• componenti elastiche del tessuto polmonare, formato da bre di elastina;
• bre collagene, poco distensibili, prodotte dai broblasti del connettivo;
• tensione super ciale.
Nei polmoni a riposo, le bre di elastina nelle pareti alveolari, nei
bronchioli e nei capillari sono contorte e attorcigliate l’una all’altra;
durante l’inspirazione si stirano e si ridispongono in un modo che ricorda
la distensione delle bre di una calza di nylon quando viene indossata.
Riguardo la tensione super ciale, questa in uenza per i 2/3 l’elasticità
polmonare; è determinata dal sottile strato di liquido che ricopre la
super cie interna dell’alveolo, dovuto al vapore dell’aria che nell’alveolo
si trova in condizioni di vapore saturo e condensando forma un lm
liquido aderente all’alveolo. La tensione super ciale si oppone
all’espansione e tende a far collassare il polmone;
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quindi, perchè il polmone possa espandersi, è necessaria energia che vinca questa attrazione
delle molecole di acqua. Se si vuole vincere la tensione super ciale e distendere le pareti di una
struttura elastica a conformazione circolare bisogna esercitare una pressione che sarà
direttamente proporzionale alla T da vincere e inversamente proporzionale al r; la relazione tra T e
P è stabilita dalla legge di Laplace:
Per la legge di Laplace, a parità di tensione super ciale, la P è maggiore negli alveoli piccoli
rispetto a quelli grandi.
Gli alveoli più piccoli tenderebbero a svuotarsi in quelli più grandi, se non ci fosse un tensioattivo
che riduce la tensione super ciale, il surfactante. Il tensioattivo è maggiormente concentrato negli
alveoli piccoli, per unità di super cie, quindi T è minore e la pressione necessaria ad evitare il
collasso (atelettasia) dell’alveolo più piccolo sarà minore.
Altra funzione del surfactante è quella di stabilizzare gli alveoli: gli alveoli sono connessi fra loro,
a riposo hanno la stessa pressione, ma sono di dimensioni diverse, perciò, se non ci fosse
tensioattivo, secondo la Legge di Laplace, ogni alveolo richiederebbe una pressione diversa per
essere mantenuto perfuso.
Il sistema così sarebbe instabile perché gli alveoli a raggio minore, nei quali si genererebbe una P
maggiore, tenderebbero a trasferire il loro contenuto d’aria a favore di quelli a diametro maggiore,
nei quali la P è minore, e quindi a scomparire seguendo il gradiente pressorio. Il polmone
raggiungerebbe l’equilibrio solo al formarsi di un unico grosso alveolo: questa organizzazione non
è compatibile con gli scambi gassosi, perché ridurrebbe drasticamente la super cie di scambio.
Ciò non avviene siologicamente per la presenza del tensioattivo, che consente a riposo la
coesistenza di alveoli di raggio diverso.
SURFACTANTE
La componente lipidica principale del surfactante è la dipalmitoil-fosfatidilcolina, un fosfolipide
con la componente idro la (testa) immersa nella fase liquida e la parte idrofoba (coda) rivolta
verso la fase gassosa. Il surfactante si forma tra il IV-VII mese di gravidanza.
Il de cit di surfactante rappresenta la maggiore causa di sindrome da distress respiratorio nei
neonati. In molti casi la RDS è transitoria ed è legata all’immaturità del polmone, invece
un’insu cienza respiratoria progressiva in neonati a termine e vicini al termine, potrebbe essere
causata da difetti nei geni delle proteine correlate al surfactante. Infausta se non si interviene
rapidamente, in quanto non è compatibile con un’autonoma funzione respiratoria.
In particolare due proteine svolgono un ruolo critico per le proprietà tensioattive del surfactante, le
proteine B (SP-B) e C (SP-C), che rappresentano circa il 4% del surfactante.
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Nell’adulto la produzione di tensioattivo si riduce in modo cronico, ma in condizioni compatibili
con la vita, in pazienti a etti da:
• diabete, come conseguenza dell’alterato metabolismo lipidico generale;
• fumatori cronici, in cui si sviluppa la ARDS, determinando anche la morte del soggetto in
concomitanza di gravi traumi a carico del tessuto polmonare, sepsi ed infezioni polmonari
virali.
Nell’adulto, la formazione del surfatctante è ridotta anche dall’ipossia.
ll ricambio delle molecole di surfactante è favorito dall’espansione polmonare, dal sospiro e dallo
sbadiglio.
PATOLOGIE POLMONARI
Sono due le categorie principali di patologie polmonari, de nite ostruttive e restrittive; le
patologie polmonari ostruttive sono caratterizzate da una ostruzione delle vie aeree, che si
traduce in di coltà non tanto nella fase di ispirazione quanto in quella di espirazione, in seguito a
perdita di elasticità, mentre le patologie polmonari restrittive sono caratterizzate da una perdita
della capacità di espansione polmonare, quindi della CP.
Le principali patologie polmonari ostruttive sono:
1) Asma: restrizione delle vie aeree, di solito in modo reversibile, in risposta ad alcuni stimoli, ad
esempio un’allergia o una infezione;
2) Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), caratterizzata da un’ostruzione irreversibile
delle vie aeree, di entità variabile a seconda della gravità;
3) En sema, distruzione delle pareti fragili e delle bre elastiche degli alveoli, causando il loro
collasso quando si espira e compromettendo il usso d’aria che fuoriesce dai polmoni;
4) Bronchiolite, un’infezione, di solito di origine virale, che colpisce l’apparato respiratorio
inferiore, solitamente nei lattanti e nei bambini piccoli di età inferiore ai 2 anni;
5) Bronchite cronica, in cui i bronchi si in ammano e si restringono, costringendo i polmoni a
produrre più muco, che può ostruire ulteriormente i tubi ristretti. La tosse cronica che si
sviluppa è un tentativo del nostro organismo di liberare le vie respiratorie.
Capacità polmonari
1. Capacità polmonare totale CPT, volume di aria contenuto nei polmoni al termine di
un'inspirazione massima; CPT = CV + VR = 6000 ml.
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2. Capacità vitale CV, volume massimo che può essere inspirato ed espirato; CV = VRI + VC +
VRE) = 4800 ml.
3. Capacità inspiratoria CI, volume massimo che può essere inspirato partendo dalla ne di una
normale espirazione; CI = VRI + VC = 3500 ml.
4. Capacità funzionale residua CFR, volume di aria che rimane nell’albero respiratorio alla ne di
una normale espirazione; CFR = VRE + VR = 2500 ml
I volumi e le capacità polmonari sono analizzati con la spirometria, un’indagine clinica che
permette di studiare la ventilazione polmonare analizzando i volumi d’aria che si muovono dentro
e fuori i polmoni.
Ad esempio:
1. Il soggetto A ha una respirazione rapida e super ciale, a cui corrisponde una ventilazione
alveolare pari a 0, che comporta il rischio di perdere conoscenza dopo pochi minuti.
2. Il soggetto B ha una respirazione e ventilazione alveolare normale.
3. Il soggetto C ha una respirazione lenta e profonda, a cui corrisponde una ventilazione
alveolare maggiore rispetto al valore normale.
Le modi cazioni della ventilazione alveolare hanno e etti su pCO2 e pO2: in condizioni normali,
pO2 è pari a 100 mmHg e la pCO2 è pari a 40 mmHg; quando la ventilazione alveolare aumenta,
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iperventilazione, la pO2 sale no a circa 120 mmHg e la pCO2
scende no a circa 20 mmHg, mentre in ipoventilazione, al
contrario, quando cioè diminuisce l’aria nuova che raggiunge gli
alveoli, la pO2 diminuisce e la pCO2 aumenta.
I gas hanno, però, diversa solubilità nei liquidi, la CO2 è più solubile in acqua rispetto all’O2 a
37°C:
• αCO2 = 0.032
• αO2 = 0.0013
La CO2, quindi, di onde ∼ 20 volte più velocemente dell’O2; perciò, a parità di pressione parziale,
la quantità di CO2 disciolta sarà maggiore. Inoltre, la solubilità è inversamente proporzionale
all’aumento della temperatura e della salinità del liquido.
Pigmenti respiratori
I pigmenti respiratori, fortemente colorati, sono trasportatori di ossigeno che lo legano per
aumentarne la quantità presente nei liquidi circolanti; questi si combinano con l’O2 quando la
pressione parziale è alta e lo rilasciano quando questa è bassa. Si de nisce capacità di ossigeno
la quantità massima di gas che si lega al pigmento a saturazione, si esprime in volume % di O2
nel sangue e dipende dalla quantità di pigmento respiratorio presente nel sangue.
Si de nisce a nità del pigmento per l’O2 la quantità del pigmento che è presente nella forma
ossigenata a vari valori di pO2.
I pigmenti respiratori sono metallo-proteine in cui il
metallo (ferro o rame) è posto in un anello por rinico
oppure legato direttamente alla catena peptidica. Se
il ferro è legato all’anello por rinico il gruppo
prostetico è detto eme altrimenti è detto non eme.
Il rame è sempre legato alla parte proteica.
Sulla base di queste informazioni si distinguono tre
gruppi di pigmenti respiratori:
1. emoglobine e clorocruorine, caratterizzate da
gruppi eme;
2. emeritrine, caratterizzate da gruppi non eme;
3. emocianine, contenenti rame.
Tutte le emoglobine sono costituite da una parte proteica, detta globina, e un gruppo prostetico,
il gruppo eme. L’eme è costituito dal ferro, sempre nella forma bivalente, e dalla protopor rina IX.
Le emoglobine possono essere: tissutali, eritrocitarie o plasmatiche.
Le emoglobine tissutali, dette anche mioglobine, si ritrovano per lo più nei muscoli di tutti i
vertebrati, dove hanno funzione di deposito di O2, in quanto hanno alta a nità per l’O2, e
contengono un gruppo eme.
Le emoglobine eritrocitarie hanno 4 gruppi eme e svolgono una funzione di trasporto di O2, in
quanto hanno bassa a nità per l’O2. Se legate all’O2, prendono il nome di ossiemoglobine,
quando lo cedono, prendono il nome di deossiemoglobine.
Quando il ferro ferroso viene ossidato a ferro ferrico, l'emoglobina eritrocitaria non è più in grado
di legare l’O2 ed è detta metaemoglobina; questa è ridotta nella forma ferrosa funzionale
dall'enzima metaemoglobina reduttasi presente negli eritrociti. L’emoglobina eritrocitaria ha,
inoltre, un’a nità 200 volte maggiore per il monossido di carbonio (CO) rispetto all’O2 e, in questa
forma, è detta carbossiemoglobina.
Le emoglobine plasmatiche, dette anche eritrocruorine, si ritrovano sporadicamente in alcuni
invertebrati; hanno un’elevata a nità per l’O2 per cui si pensa che funzionino più come deposito
di O2 piuttosto che come trasportatori.
Trasporto di CO2
La CO2, prodotto di scarto del metabolismo, genera H+ che se non sono tamponati, fanno variare
il pH. Nnonostante la CO2 abbia una solubilità maggiore dell’O2 in acqua, tuttavia solo il 10%
circa è disciolto, circa il 22% forma composti carbaminici e il resto è convertito in acido carbonico
e poi in bicarbonato. Il bicarbonato è la forma predominante di CO2 nel sangue a pH ematico
normale.
La conversione a bicarbonato ha due scopi:
‣ fornire un meccanismo per il trasporto di CO2;
‣ rendere il bicarbonato disponibile come tampone.
Per neutralizzare la CO2 che si forma, i prodotti della reazione, H+ e HCO3-, devono essere
rimossi dal citoplasma del globulo rosso:
• HCO3- torna nel plasma scambiandosi con ioni Cl- (shift del cloruro);
• ioni H+ sono tamponati da Hb e si forma HHb (emoglobina deossigenata), che facilita il
rilascio di O2.
Per quanto riguarda l’azione tampone dell’Hb, gli ioni H+ si legano alla deossiHb, con una
maggiore a nità rispetto alla ossiHb, lasciando liberi solo pochi H+; questo spiega perché il
sangue venoso (pH 7.36) è solo poco più acido di quello arterioso (pH 7.4). Se la CO2 aumenta
troppo, l’Hb non riesce a neutralizzare tutti gli idrogenioni che si accumulano, determinando
acidosi respiratoria.
Per quanto riguarda, invece, l’HCO3-, a livello dei capillari polmonari, lo scambiatore anionico
funziona al contrario, invertendo la direzione con cui trasporta gli anioni, al ne di trasformare
1 Il 2,3 difosfoglicerato (2,3 DPG) è un composto derivato da un prodotto intermedio della glicolisi;
si concentra particolarmente a livello eritrocitario, dato che i globuli rossi - essendo privi di
mitocondri - sfruttano il metabolismo anaerobico lattacido (fermentazione omolattica del glucosio)
per ricavare energia.
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nuovamente lo ione HCO3– in CO2 che
deve di ondere verso gli alveoli; questo è
conosiuto come e etto Haldane.
Un altro e etto in uenzato dalla presenza di
CO2 e ioni H+ è l’e etto Bohr, in cui l’O2
viene rilasciato più facilmente a causa di
una riduzione dell’a nità del gruppo eme
per l’O2, indotta da una maggiore
concentrazione di H+, a sua volta indotta
da un’aumentata concentrazione di CO2.
L'alcalosi respiratoria si veri ca in seguito a iperventilazione che determina una riduzione della
pCO2 plasmatica e quindi di H+ e HCO3-. Il controllo di questa situazione, in relazione al tipo di
problema, prevede una diminuizione della velocità di respirazione e l’azione di escrezione di
HCO3- e l’aumento di H+. La diminuizione della CO2 sposta l’equilibrio della reazione a sinistra:
IPOSSIA
L’apporto di O2 ad un organo viene adattato al fabbisogno di O2 principalmente tramite variazioni
della perfusione. Il contenuto di O2 nel sangue arterioso non può essere aumentato di molto con
l’iperventilazione, poiché, in condizioni normali, la saturazione dell’Hb è già al 97%.
Gli squilibri fra le necessità e la disponibilità di O2 vengono de niti ipossie. Ci sono quattro
tipologie di verse di ipossia:
1. ipossia ipossica, caratterizzata da una bassa pO2 arteriosa dovuta ad ipoventilazione
alveolare, o riduzione della capacità di di usione alveolare o, siologicamente, ad elevata
altitudine;
2. ipossia anemica, caratterizzata da una riduzione della quantità totale di O2, causata da perdita
di sangue, anemia o inalazione di CO;
3. ipossia ischemica, caratterizzata da un mancato apporto di sangue, e quindi di O2, ad un
tessuto;
4. ipossia istotossica, caratterizzata da una riduzione della capacità delle cellule di utilizzare O2,
che si veri ca, ad esempio, a seguito di avvelenamento da cianuro o altri veleni metabolici.
ALTA QUOTA
Il principale problema legato all'alta quota è la riduzione della pO2 che si veri ca in proporzione
alla riduzione della pressione barometrica. Sappiamo che la pressione parziale di un gas è il
prodotto della pressione atmosferica per la percentuale del gas stesso; poiché la composizione
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dell'aria è relativamente costante, e quindi la concentrazione dell'ossigeno è sempre del 21%
circa, indipendentemente dall'altezza sul livello del mare, il fattore determinante è la pressione
atmosferica.
La pressione atmosferica diminuisce con l'aumentare dell’altezza: a livello del mare è 760 mmHg,
a 3000 m è 510 mmHg, a 5500 m è 390 mmHg, a 8848 m è 250 mmHg. Al diminuire della Patm
diminuiscono, in proporzione, anche le pressioni parziali di tutti i gas che compongono
l’atmosfera. La pO2 a livello del mare è di 21% x 760 = 159.6 mmHg, a 3000 m è 107 mmHg, a
5500 m è 82 mmHg e a 8848 m è 52 mmHg.
La riduzione della pressione parziale dell'ossigeno ad alta quota si ri ette a livello alveolare e
scatena una serie di meccanismi di acclimatazione che coinvolgono tutte le funzioni
dell’organismo. Per l'uomo acclimatazione è possibile solo no a circa 5500 m.
Questi meccanismi consistono in una serie di reazioni immediate e di reazioni più lente che
avvengono principalmente a seguito di alterazioni dell’espressione genica mediate dall’HIF, cioè
l’hypoxia-inducible-factor.
HIF
HIF è un fattore di trascrizione che svolge un ruolo fondamentale nella trascrizione genica in
risposta all’ipossia. E’ un eterodimero, HIF-1α e HIF-1β; HIF-1α è instabile in presenza di O2
perchè rapidamente degradato dalla prolil-idrossilasi. In condizioni ipossiche, essendo la propil-
idrossilasi inattiva, HIF-1α può accumularsi.
Dall’HIF dipendono:
1. la secrezione di eritropoietina e di VEGF (vascular endothelial growth factor) per la
stimolazione dell'eritropoiesi e della neo-angiogenesi, cioè il processo di formazione di nuovi
vasi sanguigni;
2. la diminuzione del consumo di ossigeno, partecipando alla transizione dalla fosforilazione
ossidativa alla glicolisi, come mezzo per produrre ATP.
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