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Marco Monterosso

Feudi e famiglie nobili


del territorio siracusano
Processi d’investitura secoli XIII- XIX

La nostra terra

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Feudi e famiglie nobili del territorio siracusano
Processi d’investitura secoli XIII-XIX

di Marco Monterosso

Edizioni LA NOSTRA TERRA Siracusa (SR) Italia

Finito di stampare nel mese di settembre 2017

In copertina:
Mappa della Sicilia (1580 circa) Galleria delle mappe, Musei Vaticani

TUTTI I DIRITTI RISERVATI ALL’AUTORE


A Tancredi e Niccolò

3
4
Indice

Premessa pag. 11

Introduzione pag. 12

I feudi siracusani

Almidara (Noto) pag. 43


Arbiato (Noto) pag. 43
Arcimusa (Lentini) pag. 47
Armiggi (Lentini) pag. 49
Baulì (Noto) pag. 52
Belfronte (Siracusa) pag. 54
Belliscara (Noto) pag. 55
Belludia (Noto) pag. 58
Benalì (Siracusa) pag. 62
Benisiti (Noto) pag. 64
Bibia (Noto) pag. 66
Bibino Magno (Noto) pag. 67
Bigemi (Augusta) pag. 71
Bimmisca (Noto) pag. 72
Binvini (Noto) pag. 73
Biviere di Lentini (Lentini) pag. 75
Bombiscuro (Noto) pag. 78
Bondifè (Augusta) pag. 81
Bonfalà (Noto) pag. 83
Bonfalura (Noto) pag. 86
Bosco di Schifano o di Alfano (Lentini) pag. 88
Bufalefi metà (Noto) A pag. 92
Bufalefi metà (Noto) B pag. 95
Bulgarano (Lentini) pag. 97
Buonvicino (Lentini) pag. 100
Burgio - Maucini (Noto) pag. 103
Burgio - Torrevecchia (Noto) pag. 107
Buscaglia (Augusta) pag. 108
Busulmone (Noto) pag. 111
Caddeddi metà (Noto) A pag. 113
Caddeddi metà (Noto) B pag. 117

5
Cadra o Cadera (Lentini) pag. 119
Callari (Lentini) pag. 123
Callura (Lentini) pag. 126
Cammaratini (Noto) pag. 129
Camolio (Noto) pag. 131
Canali (Noto) pag. 131
Canicattini (Siracusa) pag. 132
Capopassero (Noto) pag. 134
Carancino-Belvedere (Siracusa) pag. 137
Carcicera (Noto) pag. 141
Cardinale (Noto) pag. 144
Carmito (Lentini) pag. 147
Carrubba (Lentini) pag. 149
Casal Gerardo (Noto) pag. 152
Cassibile (Siracusa) pag. 156
Castellana (Lentini) pag. 159
Castelluccio (Noto) pag. 160
Catatausi (Noto) pag. 164
Cava della Donna (Siracusa) pag. 166
Cipolla (Noto) pag. 168
Ciurca (Noto) pag. 170
Commaldo (Noto) pag. 172
Cucco (Lentini) pag. 174
Diddino (Siracusa) pag. 175
Ferla tumoli 12 di terre del feudo (Noto) pag. 178
Fiumefreddo (Lentini) pag. 179
Floridia (Siracusa) pag. 183
Formica (Noto) pag. 187
Frescuccia (Siracusa) pag. 189
Frigintini (Noto) pag. 189
Galermo (Noto) pag. 192
Galerno (Lentini) pag. 192
Gisira (Noto) pag. 195
Gisira di Pagano (Noto) pag. 197
Gisirotta di Pagano (Noto) pag. 198
Grampoli (Noto) pag. 198
Graneri (Noto) pag. 199
Grottaperciata (Siracusa) pag. 201
Gualtieri-Baruni (Lentini) pag. 203
Imposa (Noto) pag. 203
Ingegno (Lentini) pag. 204

6
Iroldo (Lentini) pag. 205
Lauro (Lentini) pag. 207
Leone (Lentini) pag. 207
Leone metà (Lentini) pag. 208
Leone 2/3 di metà (Lentini) pag. 208
Leone 1/3 di metà (Lentini) pag. 208
Longarini (Siracusa) pag. 209
Maccari (Noto) pag. 212
Maeggio (Siracusa) pag. 216
Magnisi (Siracusa) pag. 219
Magrentino (Siracusa) pag. 220
Mandra di Donna (Noto) pag. 222
Mangino o Maucini (Noto) pag. 223
Melilli metà (Noto) pag. 223
Melilli metà (Noto) pag. 223
Meti e Santa Domenica (Noto) pag. 223
Milocca (Siracusa) pag. 224
Misilini metà (Noto) A pag. 227
Misilini metà (Noto) B pag. 229
Molisena (Noto) pag. 231
Monaco o Lupponaro (Lentini) pag. 234
Monastero (Siracusa) pag. 235
Monastero Germano (Noto) pag. 239
Monteclimato (Siracusa) pag. 240
Montesano o Pulichi (Noto) pag. 243
Moriella (Siracusa) pag. 247
Muni o Limone (Lentini) pag. 249
Murgo (Augusta) pag. 251
Palazzelli (Lentini) pag. 255
Pancali (Lentini) pag. 255
Pantano o Pantano Salso (Lentini) pag. 259
Pantano etc. 5/9 di 1/5 (Lentini) pag. 265
Pantano etc. 4/9 di 1/5 (Lentini) pag. 266
Passaneto (Lentini) pag. 268
Passaneto salme 30 di terra (Lentini) pag. 271
Passanitello (Lentini) pag. 272
Pedagaggi (Lentini) pag. 275
Pilaida metà o Mezzapilaida (Lentini) pag. 275
Pilaida metà o Mezzapilaida (Lentini) pag. 275
Pira (Siracusa) pag. 276
Pirato inferiore (Noto) pag. 276

7
Pirato superiore (Noto) pag. 276
Pittari (Lentini) pag. 276
Poggio dell’Ipso (Augusta) pag. 276
Prato o Santamino (Noto) pag. 277
Priolo (Augusta) pag. 280
Ramasuli o Comito (Lentini) pag. 283
Randazzini (Lentini) pag. 285
Randè o Cardonetto (Lentini) pag. 289
Rapisi (Lentini) pag. 290
Regalcaccia o Spinagallo metà (Siracusa) A pag. 293
Regalcaccia o Spinagallo metà (Siracusa) B pag. 297
Renda (Noto) pag. 300
Rettilini (Noto) pag. 303
Rigilifi (Siracusa) pag. 306
Rosolini (Noto) pag. 310
Rovetto (Noto) pag. 312
Sabuci (Lentini) pag. 316
Saccolino (Noto) pag. 318
San Basilio (Lentini) pag. 321
San Cusumano (Augusta) pag. 324
San Dimitri (Lentini) pag. 326
San Giacomo di Belmineo (Noto) pag. 328
San Giorgio (Lentini) pag. 331
San Giuliano (Augusta) pag. 332
San Lorenzo (Noto) pag. 334
Sant’Alfano (Noto) pag. 336
San Marco lo Celso o Catarchini (Noto) pag. 340
Santa Domenica (Noto) pag. 342
Santarelli (Lentini) pag. 342
Santolio (Lentini) pag. 342
Scarpello (Lentini) pag. 343
Scibini e Bimmisca (Noto) pag. 345
Sigona metà (Lentini) pag. 349
Sigona metà o Lauro (Lentini) pag. 351
Solarino (Siracusa) pag. 353
Spalla (Siracusa) pag. 356
Staffeuda metà (Noto) A pag. 358
Staffeuda metà (Noto) B pag. 361
Stellaini già Scalaymo (Noto) pag. 363
Tardello (Noto) pag. 365
Targia (Siracusa) pag. 367

8
Timparussa (Noto) pag. 371
Torrevecchia (Noto) pag. 371
Trifiletti (Noto) pag. 371
Tummarello (Lentini) pag. 373
Vausi o delle Balze (Noto) pag. 375
Vignali (Augusta) pag. 375
Vignali di Belludia (Noto) pag. 375
Xirumi (Lentini) pag. 377

Tabelle pag. 381

Appendice pag. 405

9
10
Premessa

Questo studio intende focalizzare la propria attenzione sui feudi come unità terriere
circoscritte, legate alle sorti dei lignaggi familiari che le possedettero. Due le linee
guida, terre e famiglie, l’analisi di un binomio indissolvibile che ha segnato profon-
damente i processi storici del territorio siciliano.
Oltre a queste linee guida, altre coordinate ne definiscono ulteriormente il campo
d’azione, si è scelto di circoscrivere l’analisi ai soli feudi “rusticani” il cui territorio
ricadeva all’interno delle città demaniali ora parte della provincia siracusana - Siracusa,
Noto, Augusta e Lentini - ripercorrendone i “fideomaggi” ed i processi d’investitura
susseguitesi dalla fine del Duecento alla costituzione abrogativa del regime feudale
del 1812. Attraverso i processi d’investitura, è possibile seguire oltrechè i variegati
passaggi di proprietà dei possedimenti feudali, anche i diversi rimaneggiamenti
territoriali, l’estensione delle prerogative connesse al possesso e più in generale le
complesse relazioni intra ed extra familiari dell’aristocrazia siracusana.
In riferimento ai soli feudi laici, e tra questi quelli rusticani, sono stati esclusi
quelli “poggianti” su beni territorialmente non definibili o su opifici di varia natura,
i cosiddetti “meri titoli”, gli uffici, le rendite e le “terre” feudali, sia di nuova che di
antica fondazione.
Nella parte introduttiva sono analizzate brevemente alcune specificità del feuda-
lesimo siciliano, in relazione all’evoluzione di tale istituto nel corso dei secoli, in
appendice, oltre a tabelle e grafici, credo possano facilitare il lettore, due schemi, uno
riepilogativo “famiglie-feudi”, ed uno riportante le probabili localizzazioni dei sin-
goli feudi, attraverso la persistenza dei toponimi, nelle carte topografiche dell’I.G.M.
1:25.000.

11
Introduzione

La lunga era del feudalesimo siciliano costituì, per gli oltre sette secoli della sua
esistenza, una realtà politica, territoriale, giuridica ed economica che non mancò di
segnare indelebilmente il tessuto sociale isolano.1
Appare tuttavia indispensabile una opportuna contestualizzazione dei vari aspetti
citati, il feudalesimo non può considerarsi infatti una istituzione monolitica e immu-
tabile nell’incedere dei secoli.2 L’alternarsi delle dinastie regnanti e dei più generali
scenari internazionali in cui la Sicilia fu di volta in volta inserita, le congiunture
economiche, a cui sono connessi gran parte dei più significativi movimenti demo-
grafici, ma anche ragioni di carattere prettamente locale se non di fazione, incisero
profondamente sugli sviluppi del feudalesimo siciliano.
Nell’XI secolo la suddivisione di porzioni del territorio conquistato dai normanni,
ancor prima della definitiva disfatta araba, a congiunti e compagni d’armi degli Alta-
villa, evidenzia la principale ragion d’essere dell’instaurazione del sistema feudale: il
riconoscimento tangibile dell’impegno militare degli alleati degli Altavilla nella con-
quista della Sicilia.3 La contemporanea ricostituzione delle diocesi, eclissatesi durante
il dominio mussulmano, rispondeva anch’essa a logiche di natura politico-militare
piuttosto che a ragioni puramente religiose. Riconoscendosi vassalli del papato gli

1 La letteratura sul feudalesimo siciliano risulta certamente vasta, tra le diverse opere appare fonda-
mentale la lettura di:
M. BLOCH, La società feudale, Torino 1949
H. BRESCH La feudalizzazione in Sicilia dal vassallaggio al potere baronale, in Storia di Sicilia,
Vol.III, Napoli 1980
R. GREGORIO, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti, in
Opere scelte, Palermo 1853
D.ORLANDO, Il feudalesimo in Sicilia. Storia e diritto pubblico. Palermo 1847, (Rist.anast. Bologna
1970)
2 A tal proposito appare molto signi cativa la critica mossa da Carmelo Trasselli contro certa storio-
gra a:
...Il falso più grossolano fu fabbricato a proposito della feudalità che venne presentata come se
fosse stata sempre uguale, sempre identica a se stessa, come se il feudo non si fosse evoluto dagli
Angioini ai Borbone, come se gli uomini, cioè i feudatari e i loro vassalli, non avessero subito alcun
mutamento dal XII al XIX secolo”.
C.TRASSELLI, Siciliani fra quattrocento e Cinquecento, Messina, 1981
3 Sull’argomento vedasi tra gli altri:
AA.VV., La monarchia normanna e sveva, in: Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, in Storia
d’Italia, a cura di G. GALASSO, vol. III, Torino 1983
AA.VV. “Quei maledetti Normanni”. Cavalieri e organizzazione militare nel Mezzogiorno normanno,
in L’altra Europa, a cura di G.Galasso, IV, Napoli 1989.
D. MATTHEW, I Normanni in Italia, Bari 1997
J. J. NORWICH, I Normanni nel Sud 1016-1130, Milano 1971.
J. J. NORWICH, Il Regno nel sole 1130-1194, Milano 1972.
S. TRAMONTANA, La Sicilia dall’insediamento normanno al Vespro (1061-1282), in Storia della
Sicilia, vol. III, Napoli 1980

12
Altavilla assicurarono infatti alla loro impresa, e non di meno al loro casato, fino ad
allora considerato certo non di primo piano, quella legittimità di cui necessitava.4 La
concessione dei feudi quale “diritto di conquista” sopravvisse ben oltre l’età norman-
na si riprodusse infatti, seppur nelle forme e negli usi propri di ogni nuova dinastia
regnante, con la venuta degli Svevi, degli Angioini e degli Aragonesi che avviarono
veri e propri rivolgimenti nel tessuto feudale isolano insediando nel possesso territo-
riale elementi di spicco delle nuove élites dominanti.5 Alla conquista seguiva sempre,
oltreché un nuovo assetto istituzionale, anche una redistribuzione territoriale, seppur
su basi via via meno totalizzanti, confermandosi nei loro possedimenti quelle famiglie
che, nonostante espressione di precedenti dinastie, avevano saputo opportunamente
adeguarsi ai mutati rapporti di forza. Gli atti attestano delle significative assegnazioni
feudali praticate dai primi sovrani aragonesi, il giorno dell’incoronazione dei sovrani
Giacomo I e Federico II, a cavallo tra XIII e XIV secolo, vennero creati circa quattro-
cento nuovi militi rivestiti della dignità feudale.6 La definitiva affermazione aragonese
seguita al periodo di anarchia feudale incarnato dai quattro vicàri, avviò un vero e
proprio rivolgimento del ceto feudale, con il dirompente inserimento tra le sue fila
di nuovi elementi, che scalzarono le antiche famiglie insediatesi nel corso dei quasi
tre secoli trascorsi dall’instaurazione del feudalesimo. Le grandi famiglie siciliane che
avversarono i disegni egemonici dei primi sovrani aragonesi, anche quando di origine
iberica esse stesse, accusate di tradimento o fellonia, furono sottoposte a repentine
spoliazioni dei loro feudi che la corte itinerante dei sovrani si affrettò a concedere ad
elementi loro fedeli. Al definitivo tramonto dei Chiaramonte con la decapitazione nel suo
palazzo dello Steri a Palermo di Andrea Chiaramonte e la conseguente disfatta della loro
agguerrita fazione, al “tradimento” di Jaymo Alagona e di Guglielmo Raimondo Mon-
cada, che segnò una temporaneo tramonto dei loro casati, seguì la repentina ascesa delle
famiglie Cabrera, Luna, Cardona, Requesens, Nava e Santapau solo per citarne alcune.
Gli studi di Domenico Ligresti sulle dinamiche delle famiglie feudali, comparando
la composizione dei ruoli feudali del 1335 e del 1408 con l’elenco dei partecipanti al
parlamento del 1499, mostrano chiaramente del forte rivolgimento impresso al ceto
feudale dai Martini. Nel corso del XIV secolo la grande feudalità isolana, quella cioè
investita di feudi abitati, e come tale titolare di un seggio in parlamento, vide uscire

4 Vedasi: S.TRAMONTANA, Ruggero il Gran Conte e l’inizio dello Stato normanno, Atti delle gior-
nate normanno-sveve 1975, Bari 1991
N. KAMP, I vescovi siciliani nel periodo normanno: origine sociale e formazioni spirituali, in G.
ZITO (a cura) Chiesa e società in Sicilia, vol. I, L’età normanna, Atti del I Convegno internazionale
dell’Arcidiocesi di Catania 1992, Torino 1995
5 Vedasi: AA.VV., L’aristocrazia militare del primo Trecento: fra dominio e politica, atti del conve-
gno di studi “Federico III d’Aragona re di Sicilia (1296-1337)” Palermo 1996, Società Siciliana per la
Storia Patria, Palermo 1997
E. SIPIONE, La smobilitazione del servizio militare della feudalità siciliana (1342), in Archivio
storico siracusano, I, 1971
6 D.ORLANDO, op. cit., cita B. DI NEOCASTRO, Historia Sicula, cap. 102

13
di scena il 67% dei suoi componenti che furono rimpiazzati per il 56% da elementi
“ispanici”, per l’8% da elementi “italiani” e per il restante 36% da elementi provenienti
dagli “uffici, dall’attività bancaria e mercantile e dal patriziato urbano”.7
L’azione normalizzatrice degli Aragonesi avviò un epoca di relativa ma genera-
lizzata accettazione dello status quo impresso dai Martini, non mancarono invero,
almeno fino alla metà del XVI secolo, fazioni più o meno apertamente ostili ai re-
gnanti, tuttavia non si verificarono più nel corso dei secoli significativi rivolgimenti
dell’ordine feudale siciliano.
Se i massicci interventi regi nell’ottica della redistribuzione terriera di conquista
sfumarono sempre più, si fecero invece più significativi i mutamenti legati all’evolversi
dei rapporti dei feudatari con gli altri protagonisti dell’età feudale siciliana, primo tra
tutti, con il potere centrale.
Il rapporto tra sovrano e feudatario, avviatosi quale forte legame politico tra le
parti, dominato dall’autorità regia e vissuto su basi emminentemente personali, divenne
sempre più labile, i feudatari riuscirono ad ottenere una progressiva, ma sostanziale,
gestione diretta dei loro feudi, fino a riconoscere al sovrano un dominio meramente
simbolico.
Allo stesso tempo, lungo gli oltre sette secoli di vita del regime feudale le diverse
case regnanti non mancarono di riformare anche bruscamente, le prerogative econo-
miche, fiscali e giuridiche vantate dai feudatari siciliani. Se la feudalità siciliana riuscì
ad avere mano libera nella gestione diretta dei suoi feudi già alla fine del duecento e
ottenere nel 1458 una ampia sanatoria sulla dubbia legittimità dei titoli di possesso di
molti dei suoi membri, subì allo stesso tempo significative limitazioni da parte sovrana.
Estensioni e limitazioni delle prerogative e dei doveri dei feudatari si successero così
le une con le altre all’interno di quegli inarrestabili processi di modernizzazione cui
tendono tutte le società.

7 D. LIGRESTI, Feudatari e patrizi nella Sicilia moderna. Secoli XVI-XVII. Catania 1992.
Secondo Ligresti l’esasperata mobilità del ceto parlamentare siciliano, con ricambi nell’ordine del 90%
per il Val di Mazzara, appare mitigata in Val di Noto dove il 50% degli antichi lignaggi del XIII e
XIV secolo continuarono a mantenere, ancora agli albori del Cinquecento, il possesso dei loro feudi
popolati.

14
1 I Feudi

Secondo una consolidata vulgata il termine feudo sarebbe sinonimo di grande


estensione terriera o latifondo. In realtà, da un interpretazione “ortodossa” delle fonti
di diritto feudale, il feudo non è altro che una concessione “da un signore al suo vas-
sallo al fine di procurargli il legittimo mantenimento e di metterlo nelle condizioni
di fornire al signore il servizio richiesto”8. Oggetto di concessione non era dunque
sempre e soltanto un bene fondiario ma anche una fortezza, una autorità o ufficio, un
opificio, una rendita. Alla base della concessione del feudo stava dunque non tanto
una proprietà quanto un diritto che consentiva il legittimo (poichè proveniente dal
potere sovrano) esercizio delle prerogative connesse.
Nella prima fase del feudalesimo i feudi furono distinti in feudi e subfeudi, concessi
questi non già dal sovrano ma da grandi signori titolari di estesi possedimenti, tra
quelli cosiddetti de “jure francorum” e quelli de “jure longobardorum”, con differenze
inerenti la possibile frammentazione successoria. Tra feudi ecclesiastici e laici e questi
ultimi a loro volta tra rusticani e feudi abitati, detti nobili.
La possibilità di subinfeudare terre,9 negata già da re Ruggero con la sua costitu-
zione Scire Volumus,10 fu nel tempo oggetto di numerosi provvedimenti regi. Con la
Constitutionem divae memoriae dell’imperatore Federico, fu sancita l’impossibilità
di subinfeudare nuovi territori limitandosi tale pratica, ai feudi già concessi in tal
modo. La Quia frequenter, sancì la proibizione di imporre servizi ai vassalli, mentre
la Post mortem, stabilì che alla morte di qualunque suffeudatario il suo bene venisse
ricondotto al demanio per essere da questo concesso nelle dovute forme. Nonostante i
numerosi provvedimenti tale pratica pare sopravvisse, seppur marginalmente, almeno
fino al XVII secolo, per il territorio siracusano, sono attestate, nel 1395, delle cosid-
dette “patenti comitali” rilasciate dai Moncada a membri dei Landolina per i feudi
Belliscara e Burgio. I feudi di diritto franco venivano considerati beni indivisibili e
come tali da assegnare ad un solo erede, con precedenza per il maschio primogenito,
mentre quelli di diritto longobardo potevano essere frazionati tra diversi coeredi.
L’esistenza di due diversi modi di intendere la successibilità ai feudi, va ricercata
nella composizione stessa delle armate normanne, composte da elementi di origine
franca ma anche da genti longobarde. Gli Altavilla concessero infatti ai loro alleati
nella conquista del mezzogiorno d’Italia, la possibilità di vivere secondo le consue-

8 F.L. Ganshof, Che cos’è il feudalesimo, Einaudi 1989, p.117.


9 Vedasi: E. MAZZARESE FARDELLA, Osservazioni sul suffeudo in Sicilia, in Rivista di storia del
diritto italiano, n° 34, 1961
10 Le antiche costituzione non avevano in realtà un vero e proprio titolo, generalmente vengono in-
dicate con le prime parole del loro testo. “Scire volumus Principes nostros, Comites, barones, Archie-
piscos ...” Vedasi: H. ENZENSBERGER, Il documento regio come strumento del potere, in Potere,
società e popolo nell’età dei due Guglielmi, Atti delle quarte giornate normanno-sveve, Bari - Gioia
del Colle 1979, Bari 1981

15
tudini dei loro popoli. Nello specifico, sia i feudi concessi secondo l’uso dei franchi,
che quelli secondo l’uso longobardo, escludevano dalla successione le femmine, allo
stesso modo, in caso di mancanza di eredi maschi, entrambe le due specie di feudi
ritornavano al patrimonio regio. I sovrani aragonesi, sotto la pressante spinta della
stessa feudalità isolana, avviarono un generale processo di riforma del diritto di succes-
sione.11 La costituzione In aliquibus di re Federico, seppur confermando la preferenza
dei maschi sulle femmine, ammise nella successione le donne con precedenza sui
maschi collaterali e riconobbe loro una dote detta di “paraggio” alla successione del
fratello.12 La Si aliquem di re Giacomo, limitò fortemente la riconducibilità dei feudi
al demanio, estendendo fino al sesto grado di parentela la possibilità di successione.
I sovrani espressero anche una chiara preferenza per l’indivisibilità dei feudi, conce-
dendoli soltanto secondo l’uso franco, e considerando tali, anche quelli già concessi,
senza specificare il modo di regolarne la successione cosi come è possibile vedere
dalla concessione del feudo Callari in territorio di Lentini, assegnato a Giovanni
Guarna da re Federico, nel 1312.
Secondo la già citata Scire volumus di re Ruggero, confermata poi dalla costituzio-
ne Divae memoriae dell’imperatore Federico, tutti i feudi, sia laici che ecclesiastici,
appaiono nella prima età feudale inalienabili, i feudatari ne erano cioè possessori, ma
non proprietari. La liberalizzazione del mercato dei possedimenti feudali fu avviata
solo nell’ultimo scorcio del Duecento, in età aragonese, con il capitolo Volentes di re
Federico, che introdusse di fatto la possibilità per il feudatario di vendere o donare a
chiunque il feudo anche senza l’autorizzazione sovrana.13 Superati i problemi legati

11 Due celebri giuresperiti siracusani, Bernardo de Medico e Guglielmo Perno furono, tra il XV ed XVI
secolo, tra i maggiori studiosi dell’istituto della successione feudale. Del primo si ricorda tra le altre
opere il testo Super caput Volentes regis Federici del 1537, del secondo i Consilia Feudalia del 1537 ed
il Tractatus de Feudis del 1601.
12 Altra dote, spettante però ai gli cadetti del feudatario deceduto, e dovuta dal maggiore, unico suc-
cessore, era la cosiddetta “vitamilizia”, rendita annua sui frutti del patrimonio ereditato che si estin-
gueva alla morte dell’avente causa.
13 Il capitolo di re Federico stabiliva che: “… qualsiasi Conte, Barone, Nobile o feudatario avente feu-
di, potesse, senza alcuna permissione o licenza sovrana, pegnorare il feudo intero o quella parte che
possedesse, vendere, donare, permutare, lasciare per testamento, o legare e trasferire a qualsiasi titolo,
purché la trasmissione per atto tra vivi o per causa di morte avesse avuto luogo in favore di una sola
persona, più degna o della stessa dignità dell’alienante, con esclusione però delle chiese e delle persone
ecclesiastiche. Era però dovuta la decima parte del prezzo di vendita a favore del sco, al quale era an-
che riservato, nel caso di vendita, di poter comprare entro un mese il feudo, allo stesso prezzo di vendita
convenuto tra le parti contraenti.” In riferimento ai titoli nobiliari, solo nel 1788, fu fatto divieto di
“porre in vendita o donare titoli di qualunque onori cenza si siano.”
C. ARNONE, La storia dei titoli nobiliari e dei feudi nobili di Sicilia e l’opera del Duca Don Francesco
San Martino, in: F. SAN MARTINO DE SPUCHES, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla
origine ai nostri giorni. Palermo, 1941, 10 Voll.
Sul fenomeno noto come “allodizzazione del feudo” vedasi:
H.BRESCH, Un monde méditerranéen. Economie et societé en Sicilie (1330-1450), 2 Vol., Palermo 1986
T.DAVIES, Famiglie feudali siciliane. Patrimoni, redditi, investimenti tra ‘500 e ‘600. Roma 1985

16
ad una pressoché assoluta alienabilità dei feudi, e ad un loro mantenimento in am-
bito intrafamiliare, con il capitolo 456 di re Alfonso fu fortemente ristretta anche la
possibilità che questi fossero ricondotti al regio demanio, limitandola ai soli casi di
“fellonia, lesa maestà e colpa grave”.
Anche i feudi ecclesiastici discendevano dalle prime concessioni effettuate dai
conquistatori normanni,14 intendendo garantirsi con i frutti del feudo la sussistenza
economica delle diocesi. I feudatari di condizione ecclesiastica godevano delle stesse
prerogative e degli stessi obblighi cui erano sottoposti i feudi laici, nella prima fase
del feudalesimo infatti anche questi furono soggetti tra gli altri all’obbligo dell’in-
vestitura e del servizio militare.15 Nel corso del XV secolo tuttavia i feudatari eccle-
siastici riuscirono ad affrancarsi da tali obblighi, nel 1457 un capitolo di re Alfonso
li sollevò dall’obbligo dell’investitura, mentre i documenti non attestano più della
presenza di ecclesiastici nella presentazione di armati per il servizio militare, già dai
primi decenni del Quattrocento.
I feudi laici erano generalmente distinti in rusticani e nobili, questi ultimi popolati
da vassalli, i feudi popolati potevano essere sia di antica che di nuova fondazione, e
consentivano al loro signore di sedere tra le fila del parlamento siciliano.
Il seggio parlamentare non appare tuttavia, di per sé, connesso al possesso di una
terra abitata, sia di antica che di nuova fondazione, ma la sua concessione rispondeva a
logiche più complesse, generalmente riconducibili all’elaborato intreccio di esenzioni
ed immunità a vario titolo rivendicate dalle città demaniali siciliane nei confronti
del potere centrale. Il ruolo della città di Siracusa appare a tale riguardo emblematico,
i feudatari siracusani colonizzatori di nuove terre non sedevano infatti tra le fila del
parlamento siciliano, almeno quando possessori di sole “terre siracusane”, credo pro-
prio in ossequio alla immunità dai donativi vantata dal senato cittadino sin dal 1298 e
16
confermata nel 1518 e 1520.
I feudi potevano essere popolati solo dietro autorizzazione sovrana, fino a tutto il
XVI secolo attraverso la cosiddetta “nobilitazione del feudo”17 istituto che tendeva,
più che ad un effettivo popolamento colonico a fini produttivi, a creare capisaldi for-

14 I diplomi di ricostituzione delle diocesi siciliane da parte dei normanni includevano anche estesi
territori soggetti al potere secolare dei prelati, inoltre nel corso dei secoli numerosi documenti atte-
stano delle generose donazioni dei discendenti degli Altavilla ai nascenti monasteri dell’isola.
15 Un diploma del 1393 attesta la partecipazione al servizio militare del vescovo di Girgenti, che in-
tervenne con dieci balestre e dell’arcivescovo di Palermo con otto armati appiedati. D.ORLANDO,
op.cit. pag. 144
16 Sui privilegi della città di Siracusa vedasi, presso la Biblioteca comunale di Siracusa,
Liber Privilegiorum et Diplomatum nobilis et delissima Syracusarum urbis.
- De exemptione ab omni jure dohane per totum regnum (1298) Vol. I, foglio 19
- Esenzione dal donativo (1518) Vol. III, foglio 187.
- Conferma dell’esenzione dal pagamento del regio donativo (1520) Vol. II, foglio 269
17 M.RENDA, I nuovi insediamenti nel ‘600 siciliano. Genesi e sviluppo di un comune (Cattolica
Eraclea) in: M.GIUFFRÈ (a cura) Città nuove di Sicilia XV-XIX secolo, Palermo 1979

17
tificati nell’immenso territorio spopolato dell’isola. Tutte le concessioni riportavano
infatti la possibilità, o forse meglio la necessità, di costruire nella nuova terra un vero
e proprio sistema difensivo: “...costruere Castellum seu turrim vel casam fortem cum
18
mergulijs barbacanis, fossatis vel sine...”
La lunga serie di concessioni regie in favore dell’istituto feudale nel corso dei
secoli interessò la natura stessa dei beni infeudabili e il loro supposto rango, fino alla
formale determinazione di considerare di carattere esclusivamente venale gran parte
dei rapporti di natura feudale.
Il feudalesimo cambiava radicalmente faccia: da alleanza politico-militare tra
sovrano e vassallo basata sul possesso di un bene, da intendersi come ricompensa ed
indispensabile fonte di sostentamento per quest’ultimo, a status sociale. Uno status
conquistabile non più attraverso la “spada” ma attraverso la “borsa”, e come tale
aperto agli esponenti dei ceti mercantili e bancari, agli esponenti delle professioni
ed ai detentori di pubblici uffici. Se l’aspetto motivazionale dei borghesi e dei togati
va generalmente ricercato nell’affermazione su base locale dei loro affari, è indubbio
che conducesse anch’esso verso il feudo, verso cioè quel mito del possesso terriero su
vasta scala, anche quando le condizioni congiunturali lo indicavano chiaramente quale
investimento poco redditizio se non proprio fallimentare. Ultima tappa nella sfrenata
corsa verso l’affermazione sociale del proprio lignaggio consisteva nel passaggio alla
ristretta élite dei detentori di feudi abitati, titolari di un seggio in parlamento. L’acquisto
di una “terra”, cosi venivano chiamati i feudi popolati, seppur praticato, fu fortemente
limitato, la vendita generalizzata delle licentiae populandi19 aprì invece uno spiraglio
di nobilitazione parlamentare ad un gran numero di famiglie. In poco più di due secoli
vennero fondate oltre 130 nuove città, anche se spesso si trattava di borghi abitati da
poche decine di abitanti e dunque di investimenti poco remunerativi, tale fenomeno
attesta della dinamicità e della fondamentale apertura, della classe feudale siciliana.20

18 Dall’atto di nobilitazione del feudo Rosolini, concesso a Margherita de Podio e al marito Antonio
Platamone il 15 Gennaio 1485, da re Ferdinando il Cattolico. Riportato in: F. MALTESE, Memorie
storiche sulla origine di Rosolini, consultabile presso la biblioteca comunale di Rosolini.
19 Editto di Filippo III dell’11 Novembre 1611
20 Riguardo al fenomeno delle fondazioni feudali in Sicilia vedasi tra gli altri:
C.A. GARUFI, Patti agrari e comuni feudali di nuova fondazione in Sicilia, in Archivio storico siciliano,
II-III, 1947
T.DAVIES, La colonizzazione feudale della Sicilia, in “Storia d’Italia”, Annali VIII, 1978
G.GIARRIZZO, La Sicilia dal viceregno al regno, in AA.VV, Storia della Sicilia, Napoli 1978, Vol.VI
pagg.95-98
M.GIUFFRÈ (a cura) op. cit.
M. AYMARD, Le città di nuova fondazione in Sicilia, in “Storia d’Italia”, Annali VIII, 1985
F. BENIGNO, Vecchio e nuovo nella Sicilia del Seicento: il ruolo della colonizzazione feudale, in “Studi
storici” I, 1986

18
2 I processi d’investitura

L’istituto dell’investitura del feudo, sancito già nelle primordiali norme di diritto
feudale, rappresentava il riconoscimento formale della dipendenza esistente tra il
sovrano ed i suoi feudatari ed era richiesta ogni qualvolta interveniva una variazione
sia nella persona del concedente che in quella del concessionario. Tale istituto si ag-
giunse prima, per poi definitivamente sovrapporsi, all’originario obbligo per i feudatari
di prestare personalmente il cosiddetto fideomaggio,21 un giuramento di “fedeltà ed
omaggio” di cui si osservano tracce già dall’epoca della conquista normanna. Con il
primo giuramento il feudatario riconosceva il concedente quale suo signore e se ne
dichiarava dipendente, con il secondo s’impegnava solennemente a difenderne la vita
e l’onore ma sopratutto a prestargli aiuto militare, se ciò fosse stato richiesto. Nella
prima fase del feudalesimo il fideomaggio era dovuto anche per i suffeudi, già una
costituzione dell’imperatore Federico sancì tuttavia che era dovuto alla sola persona
del re.22
Se il fideomaggio rappresentava una manifestazione pubblica del rapporto scaturito
dalla stessa concessione feudale, l’obbligo dell’investitura rivestiva invece il carat-
tere di una sorta di attestazione di legittimità cui erano tenuti i discendenti dei primi
concessionari. Con il trascorrere dei secoli le rinnovazioni delle prime concessioni
avvenivano non più personalmente ed alla presenza del sovrano ma attraverso una
richiesta formale, cioè documentale, che il feudatario rivolgeva alla corona. I feudatari
attestavano il loro titolo di possesso allegando tutti quegli atti, testamenti, dotali di
nozze, donazioni e così via, che rimontavano dal primo concessionario fino a loro,
non mancando però di dichiararsi vassalli del loro sovrano (omaggio) e promettendo
di soccorrerlo in caso di necessità (fedeltà). L’investitura si affiancò così prima, per
poi definitivamente sovrapporsi, all’originario obbligo del fideomaggio che restò
formalmente in vita soltanto quale simbolico istituto che, attestando la dipendenza
dei singoli feudatari ad un unico sovrano, sanciva una sorta di primordiale schema
di stato unitario, slegato dalle logiche di fazione che sempre avevano preceduto i
mutamenti di case regnanti.
Nonostante, secondo le antiche costituzioni del regno, la mancata investitura com-
portasse la devoluzione del feudo alla corona, numerosi feudatari evasero nel tempo
tale norma, causando, specie dagli albori del XV secolo, un vasto processo di ricon-
duzione al demanio. Il giro di vite impresso dai sovrani aragonesi spinse il parlamento
del 1452 a farsi portavoce delle difficoltà del corpo feudale siciliano, richiedendo alla
corona di reintegrare nel loro possesso i feudatari privati dei beni, che ogni feudatario
potesse investirsi e prestare fideomaggio entro un anno, un mese, una settimana ed un

21 La nota 4 al capitolo VI de Il Feudalesimo di Diego Orlando, a cui si rimanda, riporta la formula di


una cerimonia di Fideomaggio.
22 Costituzione Comite vel barone viam universae carnis dell’imperatore Federico.

19
giorno, che le investiture fossero indirizzate e concesse dal viceré, infine che la pena
per chi non si fosse investito fosse non già la perdita del feudo ma di un anno di rendita
del feudo stesso. Re Alfonso il Magnanimo accordò ai feudatari una generale sanatoria
per le precedenti mancate investiture, stabilì che questa dovesse essere presa entro un
anno ed un giorno e che fosse facoltà del viceré accordarla o respingerla, portando la
questione, qualora ciò fosse ritenuto necessario, all’attenzione dello stesso sovrano
attraverso il sacro regio consiglio. Se le disposizioni di re Alfonso sanavano le posizioni
di quei feudatari che non avevano voluto investirsi, nessuna novità apportavano in
riferimento a quelle investiture che non potevano essere richieste perché mancanti dei
pregressi atti di possesso, cosicché lo stesso parlamento del 1452 richiese al sovrano
di rinnovare i titoli di tutti quei feudatari che, nonostante la mancanza dei loro antichi
privilegi, dimostrassero di esserne in possesso da almeno trent’anni.
Ancora una volta Alfonso il Magnanimo accordò il suo consenso alle richieste del
corpo feudale, tutti i titoli dei feudi siciliani, formalmente rinnovati, furono riuniti in
quello che venne chiamato “libro delle confirme”.23 Nel 1458, il corpo feudale siciliano
ottenne un ulteriore ed importante successo, re Giovanni, dietro supplica del braccio
baronale del parlamento siciliano, dispose infatti che da allora in poi nelle richieste
d’investiture fosse riportato soltanto l’ultima causale del passaggio del feudo ometten-
do tutti i titoli precedenti che risalivano fino al primo possessore. Nel 12° capitolo di re
Giovanni, da alcuni considerato formalmente abrogativo dell’obbligo dell’investitura,
era inoltre accordata una proroga di altri tre mesi per sanare le mancate investiture
ed evitare la confisca del feudo. È indubbio che le conseguenze di tale disposizioni
semplificarono sensibilmente l’istituto, la mole di documenti da allegare alle richieste
d’investitura diveniva con il trascorrere dei secoli di difficile gestione da parte degli
uffici preposti, tuttavia dietro la richiesta del braccio baronale traspare la malcelata
volontà di sanare l’usurpazione di vaste aree del territorio siciliano, praticata da un
gran numero di famiglie dello stesso corpo feudale. Confermare nel possesso di un
determinato territorio, o altro bene immobile, quei feudatari i cui antenati non potevano
dimostrare una originaria concessione sovrana consentì infatti una generale e formale
legittimazione dei loro supposti titoli, ma soprattutto un sostanziale consolidamento
dei loro diritti di possesso e godimento.24

23 D.ORLANDO, op.cit. pagg.122-123


24 Per i feudatari che potevano dimostrare le loro originarie concessioni sovrane, apparve in ogni caso
vantaggioso evitare le spese, necessarie alla trascrizione degli innumerevoli antichi atti da allegare
alle investiture.

20
3 Il territorio feudale siracusano

Se l’indubbia evoluzione dell’istituto feudale lungo gli oltre sette secoli della sua
esistenza impedisce generalizzazioni omnicomprensive del fenomeno, un’ampia ri-
cognizione sulla consistenza del patrimonio feudale siciliano dei secoli XIV e XV è
stata favorita dallo studio di alcune fonti documentali, in grado di fornire informazioni
di carattere generale sui feudi allora esistenti, sui loro possessori e sulle loro rendite.
La Descriptio feudorum sub rege Friderico, riferibile al 1335, l’Adohamentum sub
rege Ludovico, probabilmente compilato alla fine del 1345 e l’Amplissima sub rege
Martino Feudatariorum, omniumque feudorum recensio del 1408,25 seppur al centro
di un intenso dibattito sulla loro dubbia datazione,26 sono comunemente utilizzati
quali utili quadri generali di riferimento, trovandosi ampi riscontri delle notizie ri-
portatevi. Anche I Capibrevi di Gian Luca Barberi,27 compilati nel primo decennio
del Cinquecento, ed editi dal Silvestri tra il 1879 e il 1888, considerabili come la più
completa rassegna dell’intero corpo feudale siciliano del tempo, appaiono strumento
utilissimo di consultazione. L’analisi degli archivi del protonotaro del regno e della
camera reginale,28 in cui venivano riportati ufficialmente tutti i processi d’investitura
dei feudi siciliani, è stata invece limitata dalla dispersione già dal cinquecento, come
riportato dallo stesso Barberi, degli antichi registri relativi al regno di Federico III
(1296-1337) e dei suoi predecessori.

25 Pubblicati a stampa da R. GREGORIO, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia sub imperio Arago-
num gestas rettulere, 2 voll., Palermo 1791-1792, pag. 464-470, 486-497.
cit. B. MUSCIA, Sicilia nobilis sive nomina et cognomina Comitum, Baronum et Feudatariorum Regni
Sicilie Anno 1296 sub Friderico II vulgo III. Et anno 1408 sub Martino II Siciliae Regibus, Roma 1692.
26 In merito alla disputa sulla datazione di tali manoscritti vedasi:
I.PERI, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne 1282-1376, Bari-Roma 1981, pag. 293 e
seguenti.
A.COSTA, Sul catalogo dei feudi siciliani al tempo di Martino I, in “Medioevo. Saggi e Rassegne”,
9-1984, pag. 135-147.
Allo stato la datazione indicata da Marrone sembra la più convincente si è scelto così di riferire la
Descriptio di re Federico al 1335. Vedasi:
A. MARRONE, “Sulla datazione della descriptio feudorum sub rege Friderico (1335) e dell’Adohamentum
su rege Ludovico (1345)” in Mediterranea, Anno I, Giugno 2004
27 Gian Luca Barberi, maestro notaro della regia cancelleria dal 1491 no a pochi anni prima della
morte avvenuta nel 1523, compilò, su sollecitazione di re Ferdinando il Cattolico, una accurata
ricognizione dello stato dei feudi siciliani, al ne di determinarne la legalità del titolo di possesso,
attraverso i pregressi processi d’investitura. Vedasi: G. STALTERI RAGUSA (a cura) G.L. Barberi
Il ‘Magnum Capibrevium’ dei feudi maggiori, Documenti per servire alla storia di Sicilia, I s. – di-
plomatica – 23, 2 voll., Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1993.
28 Dotario nunziale concesso da Federico III d’Aragona alla moglie Eleonora d’Angiò nel 1305, compren-
dente le terre di Siracusa, Lentini, Mineo, Vizzini, Paternò, Castiglione, Francavilla, oltre ai casali
di Linguaglossa e Santo Stefano, alcuni tenimenti della città di Messina, più l’isola di Pantelleria.
Le terre della Camera reginale furono ricondotte al demanio, con capitoli di Carlo V, nel 1537.

21
Il monumentale studio di Francesco San Martino de Spuches,29 seppur spesso ca-
rente dal punto di vista di una razionale organizzazione delle informazioni contenutevi,
ripercorrendo i processi d’investitura dei feudi siciliani, rende invece possibile una
veloce ma efficace comparazione dei dati.
L’informatizzazione dei dati tratti dalle opere citate, riferibili ai possessori dei
feudi ricadenti all’interno dei territori delle città demaniali siracusane,30 integrati con
recenti studi sulle dinamiche feudali dei secoli XIII e XIV,31 ha consentito di fissare
delle “istantanee” che rendono possibile lo studio particolareggiato di un determinato
territorio o famiglia feudale.
Si è scelto di scattare queste istantane, nel 1335 e nel 1408, attraverso i due ruoli
feudali, nel 1622 (successione al trono di Filippo IV), e nel 1812 32 (abrogazione del
regime feudale siciliano), in modo da poter dare continuità allo studio comparato dei
singoli patrimoni feudali, già ampiamente praticato attraverso i ruoli feudali, anche in
età moderna. È cosi possibile cogliere, almeno per il territorio siracusano, cioè per i
feudi ricadenti all’interno delle citta demaniali di Siracusa, Noto, Lentini e dagli inizi
del XV secolo Augusta, il complesso sviluppo dei beni infeudati, la loro permanenza
all’interno di determinate famiglie, ma anche confutare o meno, su base locale, le più
generali tendenze studiate fin quì per il territorio siciliano.
Il ruolo di re Federico riporta un elenco di 246 feudatari siciliani in possesso di 438
feudi,33 con l’indicazione del loro reddito ed in alcuni casi della loro localizzazione.
I possessori di feudi siracusani sono 56 (compresa la regina Eleonora), titolari di 75

29 F. SAN MARTINO DE SPUCHES, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla origine ai
nostri giorni. Palermo, 1941, 10 Voll.
30 Una netta delimitazione dell’antico territorio feudale entro i con ni dell’attuale provincia siracusa-
na è apparsa oltrechè di difficile attuazione anche riduttiva. Si è scelto così di analizzare e computare
anche quei feudi i cui territori ricadevano solo parzialmente all’interno dei con ni dell’odierno
territorio provinciale. In ogni caso si è scelto di rispettare la localizzazione indicata dalle fonti. A
tal proposito si rimanda al quadro indicante, attraverso le carte topogra che I.G.M. 1/25.000, le
probabili localizzazioni dei feudi.
31 Vedasi:
A. MARRONE, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), Archivio Mediterranea, Palermo 2006
A. COSTA L’ira del re e la fedeltà dei sudditi. Un quaternus di deomagi della metà del Quattrocento ,
Archivio Mediterranea, Palermo 2013
32 Tale data deve intendersi a carattere puramente indicativo dato che la granparte delle investiture si
fermano intorno alla seconda metà del Settecento. Le note del De Spuches riportano tuttavia noti-
zie sui legittimi possessori ben oltre l’abolizione del regime feudale. Vedasi gra co 5.
33 Pare ormai accertato che nel ruolo feudale del 1335 manchino numerose trascrizioni di possedimenti
feudali, quelle del territorio siracusano sarebbero:
- Matteo Palizzi per i feudi Castelluccio e Churca
- Martina di San Silvestro per i feudi Bimisca, Arbacamea, Maccari, Binurrati, Bonfallura e Bimeria
- Teobaldo Speciale (o il glio Francesco) per il feudo Sacculino.
A. MARRONE, “Sulla datazione della descriptio feudorum sub rege Friderico (1335), Op.cit. pag. 145

22
feudi,34 17 casali,35 5 terre (Avola, Buccheri, Ferla, Palazzolo e Sortino, escludendo
Giarratana) e 4 tenimenti di terre. Tra i feudi sono compresi due “pantani” mentre tra i
“tenimentis” 1 salina ed un pantano. Il numero dei casali è certamente in difetto come
si puo desumere dall’annotazione del conte di Passaneto iscritto per i “casalibus” di
Palagonia e Passaneto e degli eredi di Accardo de Barba che oltre a Casal Gerardo
possedevano il “casalium, que habuit a ditto Berardo de Ajuto”.
Augusta e Melilli, in possesso di Guglielmo Raimondo Moncada e del fratello
Perriconio, sono indicati col termine “feudis” (e come tali sono stati considerati)
anzichè “terrae”.

Graf.1

34 Il feudo Sabuci e il casale di Cadra posseduti in “metà”, sono stati considerati come distinti possedi-
menti feudali. Di un ipotetica metà del feudo “Cannatini”, di cui sarebbe stato in possesso Giovanni
Landolina, oltre a non riscontrarsi la proprietà della rimanente parte, si rimanda a pag. 26. Nel ruolo
feudale del 1335, il feudo che Barberi chiama Bulgilfeza, relativo ai beni di Pietro Mohac, è a mio avvi-
so indicato due volte, erroneamente indicato come Barchiferse e Burchiferse o Bulchiferse.
35 I beni feudali indicati quali casali appaiono, specie nei ruolo feudale del 1335, distinti dai semplici
feudi detti, da alcuni autori, “piani”. Con tale termine s’indicavano dei latifondi dotati di abitazioni
e opi ci vari, abitati da pochi contadini stabilmente residenti, spesso legati al proprietario da vincoli
di villanaggio. I casali medievali, derivazioni culturali delle villae romane e delle massae bizantine,
persistettero con i rahal mussulmani, per essere progressivamente abbandonati già dall’età norman-
na-sveva, seppur in Val di Noto persistettero almeno no al 1350. Tra gli altri vedasi:
M. AYMARD - H. BRESC, Problemi di storia dell’insediamento nella sicilia medievale e moderna, 1100-
1800, Quaderni storici Vol. 8, Nr. 24, Archeologia e geogra a popolamento (Sett./Dic.1973), pp. 945-976
H. BRESC, La feudalizzazione in Sicilia dal vassallaggio al potere baronale, Storia della Sicilia, vol.
III, Napoli 1980
M.GAUDIOSO, Per la storia del territorio di Lentini nel secondo Medioevo. Catania 1926 (rist.anast.
Catania 1992) pag. 31 e segg.

23
Le famiglie sono 46, i Cassaro appaiono presenti con Giovanni, titolare del feudo
e del castello omonimo, e con i fratelli Nicolò e Jacopino titolari in comune del feudo
Didino. I de Mulocta con Antonio per il feudo omonimo (Milocca) e il feudo Cipol-
la, Francesco per il feudo Tardello, gli eredi di Bongiovanni per i feudi Canicattini,
Regalcaccia, Baruni e Rachalgeri. I Rosso presenti con Andrea per i casali lentinesi
di Pedagaggi, Randazzini e Xirumi e gli eredi di Guglielmo per il feudo Pancali. I
Fimetta sono rappresentati da Ruggero per il feudo Passanelli e metà Limini e da
Simone per Fiumefreddo. Guglielmo Raimondo Moncada “e fratello” posseggono
diversi feudi tra cui Augusta e Melilli. I Sigona posseggono i feudi Montis Peregrini,
Timonelli e Rayalmichi con Federico e il feudo Sigona con Michele, anche i Landolina
sono due con Giovannuzzo (Joannucius, Joanucius, Joannutius, Joannicus) titolare
di Grampoli, Frigintini, Cammaratini e altre terre a Ragusa e Giovanni indicato però
anche lui come titolare di Frigintini “D.nus Joannes de Landolina de Notho pro feudo
Fragintini oz 15”. Ad un errore di trascrizione è probabilmente da ascrivere l’anno-
tazione di Giovannuzzo per medietate feudi Cannatini di cui non si trovano ulteriore
tracce e che andrebbe letto Cammaratini, feudo che, quando correttamente riportato,
è però indicato una volta in territorio di Siracusa un altra in quello di Ragusa.36

Possedimenti feudali dei Landolina nel 1408

36 Una plausibile localizzazione dei tre feudi dei Landolina nel 1335 evidenzia però come il feudo Cam-
maratini, posto lungo l’asse viario tra Ragusa e Noto, era equidistante tra le due città, mentre Frigintini
e particolarmente Grampoli sono proprio a ridosso dell’abitato di Ragusa.

24
La ratio che sembra trasparire dalle annotazioni del ruolo feudale di re Federico, a
parte evidenti errori di trascrizione e localizzazione, sembra essere quella di indicare
i diversi feudatari raggruppandoli in relazione all’appartenenza, di un determinato
feudo, o gruppo di feudi, ad una città. La Descriptio del 1335 cerca di organizzare il
territorio feudale elencando dapprima i feudi dell’area lentinese poi quelli siracusani
per poi passare a quelli di Noto, subito dopo i quali vengono elencati quelli di Ragusa.
La composizione del corpo feudale, evidenzia l’affermarsi di numerose famiglie
discendenti da quei catalani e navarresi che giunsero in Sicilia durante la conquista
di re Pietro o subito dopo che, attraverso aderenze a corte e spesso ottimi matrimoni,
assunsero un ruolo di primo piano nel regno. La granparte dei feudatari del 1335 sono
discendenti da antiche ed illustri famiglie siciliane già protagoniste delle recenti vi-
cende legate al Vespro e possedevano estesi possedimenti perlopiù nell’area lentinese.
Altri ancora sono esponenti di quel patriziato siciliano che attraverso il controllo delle
cariche pubbliche cittadine sopravvissero agli sconvolgimenti istituzionali seguiti alla
morte dell’imperatore Federico.
Il conte Ruggero (II) di Passaneto, il più facoltoso tra i feudatari “siracusani” pre-
senti nel ruolo del 1335, era nipote di quel Riccardo Passaneto capitano di Lentini nel
1283 e giustiziere della Valle di Agrigento nel 1287 che ricoprì la carica di “magister
marescallarum et araciarum” dal 1285 al 1292. Creato già nel 1301 conte di Garsiliato
(esteso possedimento feudale comprendente i feudi degli attuali comuni di Niscemi,
Mazzarino e San Cono) si spogliò dei suoi beni, dopo essere divenuto frate dell’ordine
militare di S. Giacomo, rimanendo un punto di riferimento della nobiltà siciliana.
I lentinesi Simone e Ruggero Fimetta discendevano da quel Ruggero Fimetta che
esiliato dall’imperatore Federico II, al suo ritorno in Sicilia, nel 1255, ottenne da papa
Alessandro IV i castelli di Modica, Palazzolo, Scicli e Vizzini. Protagonista delle
vicende del Vespro, Simone Fimetta, detto anche “da Calatafimi”, perchè avendo
sposato la figlia del castellano di quel luogo ne aveva ereditato la carica, fu coinvolto
nella cospirazione antiaragonese di Gualtiero di Caltagirone e decapitato nel 1284.
Nicola Lancia, nel ruolo del 1335 proprietario di numerosi feudi in Val di Noto, che
risulta nel 1321 giustiziere del Val di Mazara e dal 1343 al 1345 maestro razionale,
discendeva da un antica famiglia normanno-sveva, consanguinea di re Manfredi, che
subì la confisca dei suoi beni in età angioina.
Andrea Rosso, signore di tre casali lentinesi, la cui famiglia è attestata in Sicilia
gia dal 1222, era nipote (figlio di Damiano) del messinese Enrico de Rubeo, che alla
fine degli anni settanta del Duecento era stato secreto in Calabria con gli angioni, e
dopo essere stato anch’egli uno dei protagisti del vespro, maestro razionale dal 1296-
97 al 1312 per gli aragonesi.
Esponente di spicco di quelle famiglie catalane giunte in Sicilia subito dopo il
vespro, Guglielmo Raimondo (II) Moncada, era nipote del marchese di Aitona e
figlio di Guglielmo Raimondo (I) che, per il suo matrimonio con Lukina di Malta,
era stato signore delle isole di Malta e Gozzo finchè, nel 1319, le aveveva restituite

25
alla corona in cambio della signoria di Augusta. Guglielmo Raimondo (II) dopo la
compilazione del ruolo di re Federico, nel 1337, ottenne il titolo di conte di Augusta
e ricoprì la carica di regio vessillifero che probabilmente mantenne fino alla morte.
Catalani pure i de Jaconia (Giaconia) signori di Bufalefi, Caddeddi e Regalcaccia,
i de Linguida, dal 1299 in possesso del casale di Bulgarano e gli Arbes signori di
Monasteri. Di origini navarresi invece gli Assyn (o Asiain) che con Gilio erano entrati
in possesso di Floridia nel 1307.37
Gli eredi di Sancho d’Aragona, figlio naturale di re Pietro I appaiono possedere
estesi possedimenti (Cammarata, San Marco e Scibene) in Val Demone e Val di Maz-
zara. Guglielmo d’Aragona, figlio di re Federico III, nel testamento del padre dettato
nel 1334, nonostante costituito erede della contea di Calatafimi e dei castelli e terre
di Noto e Spaccaforno, di tutte le pertinenze di Capo Passero, e anche del castello
e della terra di Avola (quest’ultima solo dopo la morte della regina Eleonora), non
risulta invece iscritto.
Nel ruolo feudale di re Federico quattro feudatari sono appellati “miles”, dodici
“dominus” (oltre alla domina regina Eleonora), Bernardo de Syracusia è il solo indicato
con il titolo congiunto di “dominus miles”. Ruggero Passaneto è indicato“comes”
(di Garsiliato), il solo altro conte attestato nel ruolo è Francesco Ventimiglia, conte
di Geraci. Tre feudatari sono indicati con l’appellativo “filus”.
Cinque feudatari sono indicati quali messinesi: Rosso, de Guerchis, Bivjola,
Mustacius, e Ansalone. Tre come lentinesi: Januensis, Sigonia e Fimetta, due sono
indicati come residenti a Noto: de Barba e Castellanus. Nove infine come siracusani:
Sylvagius, Marrasius, Aspello, de Cassaro, de Baldo, de Guigia, Oliva e de Mulocca
(Franciscus e Antonius).
Dodici patrimoni feudali sono considerati in possesso di “heredes”, mentre uno
proviene da dote. La distribuzione del patrimonio feudale non appare certamente
uniforme, il solo Nicola Lancia dichiarava infatti di possedere nel territorio siracu-
sano: 2 terre (Ferla e Giarratana, quest’ultima allora in territorio di Noto), 2 casali,
8 feudi e 1 salina. È altresì indubbio che feudi e terre possedute non determinavo la
medesima rendita, il conte Ruggero di Passaneto con una rendita di 900 Onze38 appare
nell’ultimo scorcio del Trecento uno dei più facoltosi feudatari siciliani, seguito da
Guglielmo Raimondo Moncada e dal fratello, con una rendita di 400 Onze, mentre
Nicola Lancia dichiarava una rendita di “sole” 300 Onze. Oltre al Lancia due feuda-
tari erano tassati per una rendita tra 399 e 300 Onze, uno da 299 a 200, otto da 199 a
100, dieci da 99 a 50, diciotto da 49 a 20 e dodici da 49 a 3. Per Gamunti Lombardus
“pro medietate feudi quod dicitur Bulcusina” non è indicata nessuna rendita. L’analisi

37 L. SCIASCIA, Nobili navarresi nella Sicilia di Federico III, in: https://dialnet.unirioja.es


38 Il conte Francesco Ventimiglia, per Sperlinga, Cristia e Pettineo dichiarava un reddito di 1500 Onze,
Matteo Sclafani, per Paternò e Centuripe, 1200 Onze, Pietro Lancia per i “proventi delle terre” di
Naro, Caltanissetta e Delia un reddito di 1000 onze.

26
dei redditi dei feudatari siracusani iscritti nel ruolo di re Federico, mostra come ben
il 52% della rendita totale era posseduta da sole sei famiglie cioè il’13% del corpo
feudale siracusano: Passaneto, Moncada, Lancia, Modica, Siracusa e Santo Basilio. Il
caso della regina Eleonora, iscritta per la terra di Avola, il casale Silvestro, ed i feudi
di Castelluccio e Gisira, tassata per 120 Onze di reddito, evidenzia però la difficoltà
nel valutare le reali rendite fornite dai feudi siracusani quando queste siano poste
esclusivamente in relazione alla tassazione militare.39

Graf.2

Il ruolo del 1408 riporta un elenco di 421 feudatari siciliani titolari di 686 beni
infeudati, con l’indicazione della loro localizzazione ma non del loro reddito. A meno
di un secolo dal precedente ruolo, nel 1408 la situazione appare sensibilmente mutata,
i feudatari siracusani sono 84, le famiglie passano da 46 a 61 (escludendo la regina
Bianca). I Landolina sono presenti con 5 esponenti, con 2 esponenti le famiglie De
Baldo, Montalto, Ricca, Rosso, Salonia,Sigona, Speciale, Truxello e Ventimiglia. Due
nuove famiglie gli Arezzo e gli Spatafora risultano iscritte rispettivamente con 4 e 3
esponenti. titolari di 12 feudi.
I feudi sono 127, numero certamente in difetto come si può desumere dall’iscrizio-

39 In riferimento al reddito del feudo, da determinarsi al ne della prestazione del servizio milita-
re, deve notarsi come spesso i feudatari, specie in ragione delle loro aderenze a corte o della loro
supposta “consanguineità” con i monarchi, riuscirono a ridurre notevolmente il servizio militare
connesso alle loro terre essendo tenuti a presentare falchi, guanti o speroni, ed anche, in taluni casi,
ad esserne totalmente esentati. A tal proposito appare emblematico, tra i tanti, il caso di Nicolò Spe-
ciale, signore di Castelluccio, che si era visto accordare, con privilegio di re Alfonso, dato da Napoli
il 4 Aprile 1422, non solo la “nobilitazione” del suo feudo netino ma anche la riduzione del servizio
militare ad un paio di speroni dorati, tassati per soli 15 Tarì.

27
ne di Albario de Redia per il feudo di Bibino “ed altri”40, 5 terre, solo 4 casali41, 4
tenimenti, 1 corso d’acqua, 4 castelli, di cui 3 annessi a terre popolate, 2 mulini, 3
pantani o saline e una gabella, gli eredi di Arnaldo de Marino, “pro gabellis Rei et
Archi Bombicis nella città di Noto”
Agli albori del Quattrocento permangono, almeno nella denominazione, solo i
casali Silvestro, Cadra e Francofonte in territorio di Lentini e in territorio di Noto il
casale Muragello, nei pressi dell’odierna Pachino. Il casale Ossino, di Lentini, è ormai
indicato come feudo, Buscemi, che continua ad essere in potere dei Ventimiglia, è
indicata come “terra”, cioè come città popolata, e non più come casale.

Graf.3

Il drastico ridimensionamento del numero dei casali attesta, anche per il Val di Noto,
il fenomeno, gia ampiamente compiuto in altre parti della Sicilia, dell’insediamento
della popolazione all’interno delle terre fortificate.

40 Oltre al citato caso di Albario De Redia titolare del feudo Bibino “ed altri”, Giacomo Ariccio appare
possessore del feudo Carantino “e supplimenti” (probabilmente Belvedere). Il feudo Sigona risulta
suddiviso in due metà, in potere di Pino Campolo e Federico Sigona, anche il feudo Misilini, che
dopo la “ribellione” di Orlando Traversa nel 1398, venne frazionato in due metà dalla stessa corona,
appare nel ruolo del 1408, in potere dei fratelli Giovanni e Nucio Landolina e di Giovanni Truxello.
Inoltre alcuni feudi, accorpati nell’opera del De Spuches, appaiono nel ruolo del 1408 separati,
come San Giacomo e Beimmeo.
41 Secondo alcune stime, tra il 1282 e il 1434 la popolazione siciliana subì un crollo valutato attorno al
60%, tale crisi demogra ca portò già alla ne del Trecento all’abbandono di buona parte dei vecchi
casali. Il fenomeno, ampiamente marcato in Val di Noto, favorì lo sviluppo di un economia esten-
siva dominata dalla pastorizia. Nel 1407-08 Siracusa, con i suoi 1400 cantari (circa 110 Tonnellate)
di formaggio esportati dal suo caricatore “fuori regno”, risulta essere l’area di maggior produzione
casearia della Sicilia.
O. CANCILA, Baroni e popolo nella Sicilia del grano, Palermo 1983

28
Nel ruolo del 1408 non figurano 17 feudi registrati nel ruolo precedente tra cui Augusta
e Melilli, ricondotti al demanio nel 1407, e Sortino. Di 9 si perdono le tracce tra i due
ruoli feudali, 1 verrà considerato frazione del feudo Francofonte (Bulfida) di cui si
continuano a seguire i processi d’investitura fino all’abbolizione del regime feudale.
Appaiono invece per la prima volta 43 nuovi feudi, di questi 3 sono del nuovo terri-
torio di Augusta (Buscaglia, San Cusumano e San Giuliano più Curcuragi staccato da
Melilli e nel 1335 considerato del territorio di Lentini), 6 di Siracusa, 10 di Lentini
(tra cui due mulini) e 24 di Noto (tra cui una gabella)
I feudi Cadra e Sabuci iscritti in due metà nel ruolo del 1335 appaiono nel 1408 in
possesso di un unico feudatario, mentre vengono frazionai i feudi Sigona e Misilini
Il feudo di Cassibile, nel 1408 in potere degli Arezzo, è considerato in territorio di
Noto, mentre nel precedente ruolo era indicato come feudo siracusano.
Il gran numero di nuovi feudi, evidenzia il peso del fenomeno della feudalizzazione
delle terre delle città demaniali conseguente al periodo dei vicàri attuato, specie nell’a-
rea netina, da esponenti degli Alagona e dai loro seguaci Capoblanco e Landolina.42
Il cinquantennio del dominio pressochè assoluto esercitato dagli Alagona sul territorio
siracusano, cosi come l’effimera ascesa dei loro sodali Capobianco, non lascia quasi
traccia se posto solo in relazione ai due ruoli feudali del 1335 e del 1408. Dominio,
quello degli Alagona, costruito proprio a cavallo tra i due ruoli ed esercitato fino a
quando, attraverso l’uso politico delle accuse di tradimento, i Martini riuscirono a
ristabilire il potere sovrano sull’isola.
Giunti in Sicilia con Blasco (I) nel 1291, gli Alagona ricevettero dalla corona estesi
possedimenti in Val di Mazzara, nella prima metà del Trecento con Blasco (II), maestro
giustiziere del regno, fissarono definitivamente la loro dimora in Sicilia43
- Il figlio Artale (II) conte di Mistretta e maestro giustiziere (carica divenuta ere-
ditaria) fu uno dei quattro vicari e capo della parzialità dei catalani nel 1377, entrò in
possesso di numerosi feudi tra cui, in Val di Noto, i castelli e le terre di Mineo (1365)
e Augusta (1384) ed il feudo di San Cusumano ad Augusta.
- Manfredi subentrò al fratello nel vicariato, nella carica di maestro giustiziere
e nella castellania di Lentini e Siracusa. Sposò nel 1356 Lukina Moncada, da cui
ereditò i feudi Bulfida, Scordia Soprana e Gilermi. Nel 1361 gli venne assegnata la
castellania del castello vecchio di Noto e nel 1366 anche quella del castello nuovo.
Nel 1363 ricevette l’investitura del feudo Billudia, nel 1371 acquistò metà del feudo
Gisira, nel 1373 ebbe legati da Martina de Truxellis alcuni feudi presso Noto: Maccari,
Bimisca, Rovetto e Bonfallura. Nel 1375 ottenne il feudo Bulchachemi, nella marina
di Noto, in cambio del feudo Bonfallura, l’anno successivo ebbe in feudo anche tutti

42 Sul territorio netino nel periodo XIV-XV secolo vedasi:


P. CORRAO, Uomini e poteri sul territorio di Noto nel tardo medioevo, 2001, in Contributi alla geo-
gra a storica dell’agro netino, distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”.
43 Nel 1345 il conte Blasco, domiciliato a Catania, contribuì all’adoa con 15 cavalli armati (pari a 300
onze di reddito). A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), Op. cit. pag 27

29
i proventi doganali della terra di Noto e del litorale sino a Vendicari. Nel 1392 re
Martino lo dichiarò, col figlio Artale, ribelle confiscandogli i feudi Bimisca, Xibeni,
Renda, Billudia, Galermo e Larbiato che furono assegnati a Gallardet Monteclup.
- Blasco (III), altro figlio di Blasco II, risulta signore della terra di Montalbano
nel 1356 e dal 1369 anche della terra di Monforte. Subentrò nel 1389 nella contea di
Mistretta e di Butera avendo nel 1366 già ricevetto l’investitura feudale di 50 Onze
di reddito sul porto di Siracusa. Possedette il feudo Scarpello in territorio di Lentini.
Dichiarato ribelle nel 1392, re Martino gli confiscò i beni.

Possedimenti feudali degli Alagona nella seconda metà del XIV secolo

- Giacomo ricevette dal fratello Artale II i proventi della secrezia di Siracusa,


ricevette in dote dalla moglie Giovanna Lanza, le terre di Ferla, e Giarratana. Nel
1365 fu nominato, a vita, capitano di Siracusa, nel 1376 gli vennero assegnati i
diritti sul pontile del porto di Siracusa e sempre nelle stesso anno la terra di Avola
in cambio della gabella del vino di Siracusa concessagli nel 1369, che valeva 400
Onze. Giacomo Alagona figura cancelliere del Regno in vari periodi dal 1376 al 1387.
Possedette i feudi Bumfalà e Baulì in territorio di Noto e il tenimento Castellana,
presso Siracusa. Ribellatosi a re Martino, Giacomo Alagona ebbe confiscati i feudi
e fu decapitato nel 1393.
- Matteo Alagona, altro figlio di Blasco II, ricevette da questi il casale Silvestro,

30
dove ottenne di costruire un fortilizio, nel 1365 fu creato capitano con cognizione delle
cause criminali di Lentini. mentre nel 1370 risulta barone della terra e del castello
di Palazzolo e dei feudi Bibino, Bibinello, e Favara. Alla sua morte anche la moglie
Bartolomea Montaperto e i figli Macciotta, Blasco e Giovanni furono dichiarati ribelli
subendo la confisca dei loro beni.
Anche i Moncada, che con gli Alagona avevano esercitato un esteso dominio
territoriale nel periodo dei vicàri, ridimensionarono notevolmente il loro peso nell’a-
rea siracusana. Accusati anch’essi di ribellione nel 1397, subirono la confisca dei
loro beni. Riabilitati di li a breve, attraverso la complessa transazione che portò alla
permuta di Augusta, che ritornerà al demanio, con Caltanissetta, sposteranno i loro
interessi in Val di Mazzara, mantenendo per diversi secoli un ruolo di primo piano
tra la maggiore feudalità siciliana.44
33 famiglie, su 46 iscritte nel ruolo feudale del 1335, non sono presenti nel ruolo
del 1408, mentre ne entrano 48 di nuove. Un notevolissimo ricambio, con un indice
di mobilità che sfiora l’80% e che conferma, anche, per il territorio siracusano, del
notevole rivolgimento impresso dai Martini all’intero corpo feudale siciliano.
Tra le maggiori famiglie iscritte nel ruolo di re Federico, escono definitavamente
dalla scena feudale siracusana, i Mohac (Modica), i de Barba, i de Mulocta, i Lamia
ed i Fimetta. Permangono nei due ruoli solo 13 famiglie: de Baldo, Castello, Guerchis,
Lancia, Landolina, Moncada, Montalto, Passaneto, Rosso, Santo Basilio, Sigona,
Ventimiglia e Cacciaguerra. Subirono un forte ridimensionamento dei loro patrimoni
due delle più antiche e facoltose famiglie siciliane: i Lancia, attestati come signori di
Paternò gia nel 1234, che trasferirono gran parte dei loro feudi siracusani a Giacomo
Alagona per il suo matrimonio con Giovanna (figlia di Nicola Lancia) e i Passaneto
che perdettero anche il loro feudo omonimo, in territorio di Lentini, dopo che il conte
Ruggero (III) si ribellò a re Martino, feudo che fu concesso nel 1392 a Berengario
Cruillas. Nel 1408 i Lancia ed i Passaneto sono ormai in possesso solo di marginali
possedimenti feudali, Magrantino e il casale Ossino “maritale nomine” (i Passaneto),
Reddini e Rachalmandara (i Lancia).
I Sigona, i San Basilio e i Cacciaguerra riuscirono a mantenere il loro patrimonio
feudale pressochè inalterato. Incrementarono i loro possedimenti sempre nell’area
nord del siracusano i Rosso, che entrarono in possesso di Rachalusio e Callura nel
territorio di Lentini e di Buscala, San Giuliano e Curcassi in territorio di Augusta.
Anche i Montalto incrementarono i loro possedimenti con l’acquisto, nel 1365 da
Bernardo Rubeo, del feudo Prato, e con i feudi Milocca e Arcimusa provenienti loro,
per via marimoniale, dai de Mulocta. Preponderante invece nell’area sud l’ascesa dei
Landolina che incrementarono considerevolmente i loro possedimenti netini, degli
Ariccio (Arezzo) e dei Sortino che irruppero sulla scena feudale dalla seconda metà

44 Giovanni Moncada, terzogenito del conte “fellone”, appare nel 1408 possessore del castello e della
terra di Ferla, del casale Muragello e del feudo Burgio Mangino.

31
del Trecento.
Grandi benificiari degli Alagona, e successivamente dei Moncada, i Landolina,
presenti nel ruolo del 1335 con Giovanni e Giovannuzzo, titolari di tre feudi, non solo
riuscirono ad uscire indenni dalla “caduta” degli Alagona e dei Moncada ma ottennero
conferma dei possedimenti già avuti, mediante “patenti comitali”, oltrechè nuove
concessioni regie. Dopo aver ottenuto dal sovrano i feudi di Malta e Noto confiscati
ai de Barba, nel 1357 Giovanni Landolina ottenne anche le saline di Capopassero
già dei Romano. L’anno successivo, capitano e castellano di Noto, fu ucciso, proba-
bilmente presso il fortilizio di Castelluccio, dai seguaci dei Chiaramonte. Nel primo
decennio del Quattrocento i Landolina, che continuarono a mantenere i loro feudi
posti nell’entroterra verso il ragusano (Grampolo, Frigintini e Cammaratini), appa-
iono ormai aver spostato il baricentro dei loro interessi feudali a ridosso della fertile
valle del Tellaro (Gisira, Staffeuda, Misilini, Belliscala, Carcicera) fino a spingersi
ancora più a sud con il feudo Burgio, ricevuto dai Moncada e poi riconcesso dalla
corona, e con le saline di Capopassero, nel 1408 già in potere dei siracusani Ruffino.
Nel ruolo di re Ludovico i Landolina sono presenti con 5 esponenti titolari di 10
feudi, tutti in territorio di Noto, provenienti dai patrimoni dei Barba, (Staffenda) dai
Monachella, (Carcicera), dai Dena (Misilini) e dai Capoblanco (Belliscali).
L’ingresso tra il ceto feudale siracusano degli Arezzo appare prorompente, così
come l’ascesa dei Landolina. Provenienti dal ceto togato, nel 1392 Giacomo Ariccio è
indicato quale notaio, dopo essere entrati in possesso per via matrimoniale, da Franca
Cappello, dei feudi netini di Molisena, Alfano e Bombiscuro, acquistarono, nel 1393
dai Capoblanco il feudo Cardinale mentre l’anno successivo ricevettero dalla corona
il feudo Rettilini sempre in territorio di Noto. Nel 1398, ricevettero Cassibile dalla
corona e acquistarono Carancino, dalla camera reginale nel 1405, quando Giacomo
Arezzo riveste ormai l’alta carica di protonotaro del regno.
Anche i Sortino entrano con forza tra i grandi proprietari feudali del siracusano,
provenienti da Palazzolo, che difesero nel 1397 da un assedio di Guglielmo Raimon-
do (II) Moncada, nel 1408 risultano possedere estesi possedimenti nella area netina
provenienti dai patrimoni degli Alagona e dei Capobianco: Bibino, Renda, Maccari,
Scibini, Bimmisca, Rovetto, Billudia (una parte), Longarini, Mutaxari, Pantano de
Gallis, Canilla e Saline del Conte Enrico.
Gli Aragona discendenti da re Federico III sono presenti con Giovanni signore
dei feudi Rachalmudica, Bonfala, Baulì, Lausi, Bochini, per la terra di Avola e, per
conto della moglie, per il feudo Monastero.
I singoli patrimoni familiari appaiono già frazionati, se nel ruolo del 1335 solo
sette famiglie sono presenti con più esponenti, nel successivo ruolo appaiono iscritti
oltre ai già citati Landolina, quattro membri della famiglia Arezzo, tre dei Ricca, e
due delle famiglie: De Baldo, Castello, Montalto, Rosso, Salonia, Sigona, Spatafora,
Speciale, Truxello, Ventimiglia e Sortino. Nove feudi ed un corso d’acqua sono pos-
seduti da 8 feudatari per conto delle rispettive mogli, due feudi, una metà di feudo

32
ed una gabella sono posseduti da “eredi”. Cinque feudatari sono indicati con il titolo
di “nobile”, altrettanti come “don”, uno come “conte” (Passaneto), ed uno con il
titolo congiunto di “nobile don” (Calcerando Santapau).
La situazione nel 1622 appare ancora mutare, i feudi passano da 127 a 142, le
famiglie da 61 a 63, escono di scena 46 famiglie, rimpiazzate da 48 nuove, mentre
permangono nel possesso di feudi siracusani 15 famiglie tra cui quattro già presenti
nel ruolo del 1335 e 11 da quello del 1408. Le grandi baronie siracusane, nel ruolo
del 1408 ancora pressochè intatte, ma anche feudi di dimensioni alquanto modeste,
iniziano un inarrestabile processo di frazionamento.
Nel 1432 re Alfonso smembrò il feudo Bondifè dalla ex contea di Augusta ven-
dendolo a Guterra Nava, nel 1453 i figli di Accardo e Muzio Landolina, che insieme,
nel 1408, risultano possessori di Staffeuda s’investono ognuno di una metà del feudo.
Nel 1555 i feudi Caddeddi, Bufalefi e Regalcaccia vennero definitivamento divisi
in due metà dopo essere gia stati, dal 1453, posseduti “in comune e indiviso” dalle
famiglie Ricca e Pompeo.
Nel 1559 dal feudo Burgio (o Maucini) fu staccata una sezione denominata Torre-
vecchia per dotare Francesca Landolina andata in sposa a Stefano Monreale
Tra la fine del ‘500 e gli inizi del secolo successivo gli Alagona, oramai rientrati
in possesso di molti dei loro feudi, ottennero di poter alienare alcune “sezioni” della
loro enorme baronia di Bibino Magno: Camolio nel 1552, Bibia nel 1600, Mandra di
donna e Monastero Germano nel 1609.
Nel 1607 fu smembrato dalla baronia di Francofonte il feudo Iroldo (o Giroldo) di
cui prese investitura l’anno successivo Michele Gravina, nel 1622 Antonino Romeo
prese invece investitura del feudo Bigemi, acquistato dai conti di Augusta, che lo
smembrarono dalla loro baronia di Melilli. Sono attestati per la prima volta il feudo
siracusano di Rigilifi, di cui i Traversa ottennero “conferma di possesso” nel 1418 e
il feudo netino di San Lorenzo, concesso dalla corona ad un oscuro Giovanni de Liria
nel 1438. Tra le famiglie iscritte nel ruolo del 1335 solo i Landolina, i Montalto, i
Rosso, i Sigona ed i Ventimiglia, continuano a possedere feudi siracusani, anche se
solo i Rosso mantengono ininterrottamente per oltre tre secoli, all’interno del loro
patrimonio il feudo Xiruni. Tra quelle iscritte nel ruolo del 1408, permangono nel
possesso di feudi del territorio siracusano, le famiglie, Arezzo, Bonfiglio, Borgia,
Campolo, Cappello, De Marchisio, Gioeni, Salonia, Santapau, Sortino e Statella.
I feudi Cardinale (Arezzo), Galerno (Borgia), Bonfalura (Cappello), Castelluccio
(De Marchisio), Belliscara (Landolina), Milocca (Montalto), Xiruni (Rosso), Fegotto
(Salonia), Sigona metà (Sigona) continuano nel 1622 a rimanere nel possesso delle
famiglie già iscritte nel ruolo del 1408.
Incrementarono i loro possedimenti feudali i De Marchisio con l’acquisto dei feudi
Rapisi, nella prima metà del ‘400 e San Marco nel 1588. Mantennero le loro posizioni,
seppur all’interno di un vasto rivolgimento dei loro estesi possedimenti, gli Arezzo
ed i Landolina, mentre appaiono retrocedere i Montalto che riuscirono a conservare

33
il solo feudo siracusano di Milocca dopo aver perso la terra di Buccheri ed il feudo
Arcimusa, i Sigona costretti nel 1568 a cedere metà della loro baronia omonima ai
Cutelli, ed i Rosso che conservarono il solo feudo Xiruni (sin dal 1335), dopo aver
alienato nel corso del XV secolo i loro numerosi feudi in territorio di Lentini (i casali
Randazzini, Callura e Pedagaggi), ed Augusta (Buscaglia e San Giuliano). Netta anche
la retrocessione dei Ventimiglia e dei Sortino che, a causa di successioni femminili,
perdettero gran parte dei loro possedimenti siracusani.45 Preponderante l’ascesa delle
due famiglie protagoniste della lotta per la supremazia cittadina su Siracusa nell’ultimo
scorcio del Cinquecento, i Platamone ed i Bonanno 46.
L’abolizione della camera reginale nel 1537 aveva attirato in città quelle famiglie
emergenti che, dopo aver consolidato le loro posizioni economiche tra XV e XVI
secolo, ritenevano di poter sfruttare l’apertura di un nuovo mercato rifornendolo delle
provviste granarie prodotte nei loro feudi dell’entroterra.
I catanesi Platamone, discendenti da GiovanBattista presidente del regno nel 1436,
fecero il loro ingresso tra le file della feudalità territoriale attraverso ottimi matrimo-
ni. Nel 1453 Antonio sposò Margherita de Podio (de Puig) ereditera di Rosolini e
Commaldo in territorio di Noto, nel 1511 Francesco sposò Caterina Imposa che gli
portò in dote i feudi di Rettilini e Almidara sempre nel netino, nel 1580 entrano in
possesso di Priolo, poco lontano da Siracusa, e Buscaglia, in territorio di Augusta, per
il matrimonio di Silvio con Caterina de Gulfis. Nel 1622 sono in possesso, oltre dei
feudi già citati, anche di metà di Staffeuda, ancora una volta portato in dote, questa
volta da una Landolina.
I Bonanno giunti a Siracusa con Filippo, barone di Canicattì, nella prima metà del
‘500, tra l’altro proprio grazie ad un matrimonio con una Platamone, consolidarono
definitivamente la loro posizione con GiovanBattista.
Questi sposò in prime nozze Isabella La Rocca con cui generò Filippo e Pietro ed in
seconde nozze Giovanna Gioeni, vedova di Fabrizio Colonna, barone di Montalbano,
con cui generò Orazio e Giuseppe.
Giovanna Gioeni, la cui figura è stata a mio avviso sottovalutata da granparte degli
studiosi che si sono occupati delle vicende siracusane tra ‘500 e ‘600, dopo aver fatto
maritare le sue due figlie (Antonia e Maria), ereditiere di Montalbano, con i figli di
primo letto del marito (Filippo e Pietro) si assicurò che anche i propri figli (Orazio e
Giuseppe) entrassero in possesso, finanziandone le acquisizioni, di Linguaglossa nel
1606 e Carancino nel 1615.
Nel 1622 i Bonanno possedevano i feudi Arcimusa, Longarini, Floridia e Caran-

45 I Ventimiglia per il matrimonio di Giulia con Bernardo Requesenz perdettero nella prima metà del
Cinquecento la terra di Buscemi ed il feudo Biffara, i Sortino, con la successione di Ippolita nel 1558,
perdettero i loro estesi possedimenti netini, nel 1408, 8 feudi, tre tenimenti di terre ed una salina.
46 Sulla disputa per la conquista dell’oligarchia cittadina siracusana tra Bonanno e Platamone vedasi:
F. GALLO, Le gabelle e le mete dell’Università di Siracusa, in Il governo della citta, a cura di D. Ligre-
sti, CUECM, Catania, 1990

34
cino, su questi due ultimi feudi, di li a breve, otterrano la “licentia populandi”.
Nel periodo esaminato un solo feudo siracusano appare di proprietà ecclesia-
stica, la compagnia di Gesù di Noto, erede universale di Antonio de Florenza,
s’investì infatti del feudo Saccolino, il 4 Febbraio 1622.

Graf.4

L’ultima istantanea del territorio feudale siracusano, scattata oramai al


crepuscolo del feudalesimo siciliano, mostra una situazione in cui le famiglie
feudatarie passano da 63 a 65, i feudi da 142 a 167. Escono di scena 41 fami-
glie, sostituite da 43 nuove, ne permangono 22. Solo i Landolina i Montalto ed
i Ventimiglia continuano a possedere feudi siracusani sin dal 1335, tra quelle
iscritte nel ruolo del 1408 confermano la loro presenza, oltre alle già citate
famiglie provenienti dal ruolo del 1335, solo gli Arezzo e gli Statella.
Scompaiono dalla scena feudale i netini Salonia e Pipi, mantengono le loro
posizioni i Landolina e gli Arezzo. Incrementano i loro possedimenti i Bonanno
che entrano in possesso per via matrimoniale di San Basilio (dai Balsamo) nel
1647, di Bulgarano (dai Mugnos) nel 1688 e di Maeggio (dai Landolina) nella
prma metà del ‘700 e i Platamone che entrano in possesso di Passaneto, Longa-
rini e Cipolla, seppur vendettero nel 1727 a Giuseppe Gargallo il feudo Priolo.
Preponderante l’ascesa sociale di due nuove famiglie i Francica-Nava e
i Trigona nell’area netina. I Francica-Nava (a Giovanni Francica, per il suo
matrimonio con Giovanna Nava fu imposto di unire al suo nome anche quello
dei Nava) acquisirono nel 1674 attraverso una complessa vicenda giudiziaria
contro Simone Montaperto, marito di Violante Falcone, ultima discendente

35
della sua famiglia, il feudi Carrubba, Cava della donna, Magrentini e Tardello. Nel
1761 acquistarono dai Morreale i feudi Burgio-Torrrevecchia e Belliscara.
I piazzesi Trigona, attraverso l’ottimo matrimonio contratto da Gaspare con Anna
Deodato, entrarono in possesso nella prima meta del ‘700, dei feudi Baulì, Frigintini,
Maccari, metà Misilini e metà Staffeuda tutti in territorio di Noto. Il grande incremento
numerico dei feudi, da 141 a 166, la gran parte provenienti dallo smembramento delle
baronie di San Basilio e Ferla, attesta anche per il territorio siracusano del completo
sviluppo del fenomeno del frazionamento, tendenza già ampiamente riscontrabile
nei due secoli precedenti. Tale fenomeno comportò, almeno dalla seconda metà del
Settecento, l’effettivo smembramento dei feudi maggiori e delle antiche baronie con
la conseguente parcellizzazione del territorio feudale. La grande baronia di Bibino
Magno, (ultima investitura nel 1789) di cui si è gia detto e che fino al XV secolo si
estendeva grossomodo nel quadrilatero delimitato dalle terre di Palazzolo e Sortino e
dai feudi Canicattini e Solarino (non ancora popolati), fu frazionata in 6 parti.
L’antica baronia di San Basilio in territorio di Lentini (ultima investitura nel
1740), posta all’asta pubblica nel 1761, fu parcellizata in una vera costellazioni di
feudi, Giuseppe La Iacona acquistò metà dei feudi Leone, Cucco, Monaco, Palaz-
zelli, Randè e San Giorgio, riuscendo poi ad entrare in possesso delle rimanenti
metà. Nel 1771 il feudo Leone, posto anch’esso all’asta pubblica, fu acquistato da
Giuseppe Branciforte che nel 1793 lo rivendette a Salvatore Montaperto, questi nel
1811 vendette metà del feudo a Paolo Catalano, 2/3 di metà a Francesco Cannizzaro
ed 1/3 di metà a Gioacchino Caffarelli. Dalla baronia di Passaneto (ultima investitura
nel 1787) furono smembrati 30 salme di terre, elevate in feudo nel 1791, e il feudo
Pilaida, in due metà dette “Mezzapilaida” nel 1794. Dalla baronia di Ferla furono
distaccati il feudo Pirato nel 1807, a sua volta frazionato in due metà dette “superiore”
ed “inferiore”, e “12 tumoli di terre irrigue e 14,10 Onze annuali di censi dovuti su
4 salme di terre della stessa baronia”. Il feudo Pantano, già frazionato in due parti
nella seconda metà del Quattrocento, riunificato nel 1608, ed ancora smembrato di
una porzione di 1/5, porzione a sua volta divisa in 5/9 e 4/9, fu invece riunificato nel
1803 da Giovanni Ipellizzeri.
Se non mancarono nei secoli precedenti significativi smembramenti territoriali,
nel corso del XVIII secolo si assiste, almeno in gran parte dei casi, ad una sorta
di “frazionamento fittizio”, le investiture di tale epoca mostrano infatti come, pur
permanendo all’interno del patrimonio della stessa famiglia, ma anche nella dispo-
nibilità di un unico feudatario, le grandi unità terriere feudali del territorio siracusa-
no vengano artificialmente frazionate in feudi o marcati, anch’essi poi elevati alla
dignità feudale. Appare superfluo sottolineare come un tale incremento del numero
dei feudi, non comportò un corrispondente allargamento del territorio feudale, vero
e proprio ampliamento appare invece il fenomeno, seppur anch’esso di modeste
dimensioni, dell’innalzamento in feudo degli allodi di Busulmone (Francesco Sorti-
no, 1621), Ingegno (Mario Ingastone, 1651), Vignali (Pietro Rossi, 1763), Santolio

36
(Giuseppe Magnano, 1765), Poggio dell’Ipso (Tommaso Tumscitz, 1766), Pira
(Vincenzo Scandurra, 1767) e Meti (Melchiorre Sirugo, 1790), mentre appare dubbia

Graf.5

l’infeudazione dell’allodio delli Vausi concesso, nel 1713, a Clemente Di Pietro.47


Se il frazionamento feudale appare, almeno nei suoi tratti più esasperati, fenomeno
circoscitto all’ultima fase del feudalesimo siciliano, il ruolo della colonizzazione
feudale e della “migrazione” dell’aristocrazia siracusana verso la capitale assunsero,
nei secoli XVII e XVIII, tratti che segnarono profondamente il territorio feudale.
Nell’odierno territorio siracusano furono popolati: Floridia nel 1626, Belvedere nel
1627, Canicattini nel 1681, San Giuliano (Villasmundo) nel 1711, Rosolini nel 1713,
Scibini (Pachino) nel 1758, Solarino nel 1770 e Priolo nel 1809.48 Non ebbero invece
successo, tra altre, le colonizzazioni del feudo Monasteri appartenente alla famiglia
Gaetani e quello di Targia degli Arezzo. Tale imponente fenomeno colonico avviò un
autentico processo di mutazione del territorio feudale, con la costituzione di vere e pro-
prie enclaves che le maggiori famiglie feudali seppero opportunamente sfruttare anche
per sottrarsi alla pressione fiscale delle città demaniali. Il trasferimento dell’aristocrazia

47 Se l’infeudazione di un allodio poteva garantire la necessaria nobilitazione per quei borghesi prove-
nienti dalle professioni o dalla intermediazione fondiaria su vasta scala, non appare tuttavia fenomeno
a “senso unico”. Alcuni feudatari per sottrarsi all’obbligo dell’investitura, ed ai costi a questa connessi,
dichiaravano infatti la natura allodiale di certi loro possedimenti. A tal proposito, nel territorio siracu-
sano, appare emblematico il caso di Diego Padro, feudatario di Tri letti, che prese investitura del suo
possedimento netino, solo dopo una sentenza intimativa del tribunale del real patrimonio del 1657.
48 Sulla fondazione delle città nuove del siracusano si rimanda, oltrechè alle diverse pubblicazioni edite
tra la ne del XIX secolo e la prima metà del Novecento, a:
F. GALLO, Dal feudo al Borgo, Floridia 1997
M. MONTEROSSO, La fondazione di una città feudale. Il caso di Belvedere. Siracusa, 1999
G. DRAGO, Gli Starrabba di Rudinì, Siracusa, 1996

37
maggiore a Palermo e Napoli avviò un processo di progressivo distacco dei feudatari
siracusani dal centro dei loro interessi economici, con la conseguente concessione in
gabella dell’amministrazione dei loro feudi e terre. Agli albori dell’Ottocento nessu-
na delle maggiori famiglie, titolate di feudi popolati, risiedeva oramai stabilmente a
Siracusa, con la cosidetta collettazione delle terre feudali49, abolito l’istituto feudale
con la costituzione del 1812, anche ai feudatari siracusani fu possibile raggiungere il
traguardo di essere nominati pari del regno, con il loro accesso nel braccio baronale
del parlamento siciliano.50 Effimero e tardivo riconoscimento di un obiettivo che i loro
antenati dovevano essersi posti quale ulteriore e copsicuo beneficio socio-politico del
loro impegno di colonizzatori.

Tab.1 Tab.2

Tab.3 Tab.4

49 Sul lungo processo riformatore che condusse alla legge eversiva della feudalità vedasi tra gli altri:
R. CANCILA, Autorità sovrana e potere feudale nella Sicilia moderna, Quaderni – Mediterranea
Ricerche storiche, 2013
50 Nel 1812 risultano le seguenti “parie” siracusane:
Avola: da dichiarare , Belvedere: Bonanno, Buccheri: Alliata, Buscemi: Requesenz,
Canicattini. Daniele, Cassaro: Statella, Ferla: Tarallo, Floridia: Grifeo, Francofonte: Gravina
Pachino: Starabba, Palazzolo: da dichiarare, Rosolini: Platamone, Solarino: Requesenz,
Sortino: Gaetani, Villasmundo: Asmundo-Paternò
Vedasi anche la nota 16 del presente volume

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Città demaniali

Città feudali di “antica” fondazione

Città feudali di “nuova” fondazione

Rappresentazione schematica (senza nessuna corrispondenza con gli attuali con ni dei diversi comuni)

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