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Vito Zita

Biografie di alcuni
Capi, notabili e personaggi
dell’Eritrea e dell’Etiopia

1892
Vito Zita

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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Indice

Indice p. 3
Elenco dei nomi in ordine alfabetico p. 5
Introduzione p. 7
Avvenimenti principali svoltisi nel Tigrai durante questo secolo p. 19
Genealogia della famiglia paterna di Re Giovanni p. 23
Genealogia della famiglia materna di Re Giovanni p. 24
Grandi personaggi viventi del Tigrai p. 25
Capi secondari del Tigrai p. 38
Genealogia di Degiac Abraà Scirè p. 44
Clero del Tigrai p. 49
Grandi personaggi etiopici di paesi a sud del Tacazzè p. 54
Bibliografia p. 59

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Vito Zita

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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Elenco dei nomi in ordine alfabetico

Abai (Degiac) p. 42
Abatè (Licamȇquàs) p. 61
Abbagos (Balghedà) p. 40
Abbai (Degiac) p. 43
Abbai Agamè (Degiac) p. 43
Abbraà (Ligg) p. 40
Abbraà Scirè (Degiac) p. 46
Adgù Marù (Degiac) p. 39
Agamè Romhà (Degiac) p. 49
Agos (Ras dello Scirè) p. 33
Ailù (Balghedà) p. 40
Ali (Degiac) p. 48
Alula Turch-bascià (Ras) p. 32
Amdi Brahan Areja p. 55
Andèr Gacciò (Scium Seloa) p. 42
Aregani (Melach Brahanat Licacanat) p. 53
Areja (Amdi Brahan) p. 55
Arerè (Degiac) p. 41
Bajanè (Degiac) p. 40
Bogallè (Degiac) p. 40
Burrù (Uaghscium) p. 58
Cassa (Degiac) p. 42
Darghiè (Ras) p. 59
Desta (Degiac) p. 49
Egzao (Degiac) p. 49
Embajè (Degiac) p. 42
Fanta (Degiac) p. 46
Fanta (Nebraid) p. 53
Fessahà (Melach Brhanat) p. 54
Gabre Esghier (Memer) p. 55
Gabre Ghiorghis (Ghetai) p. 53
Gabre Micael (Memer) p. 55
Gabresghi (Memer) p. 54
Gabrè Zama p. 55
Garè Chidan (Ras) p. 37
Garenchiel (Cagnasmac) p. 41
Gheramanù (Degiac) p. 61
Iteghè Denchenesc p. 32
Iosef (Grasmai) p. 60
Maconnen (Ras) p. 59
Mangascià (Ras) p. 25

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Vito Zita

Mangascià Atichè p. 59
Marù (Degiac) p. 43
Melach-Brahanat Fessahà p. 53
Mesciascià (Ras) p. 59
Mesciascià Uorchiè (Degiac) p. 60
Micael (Ras) p. 57
Negussiè (Degiac) p. 48
Oliè (Ras) p. 59
Petròs (Abuna) p. 52
Sabat (Ras) p. 33
Servellà (Fitaurari) p. 44
Sinchiè (Azagè) p. 61
Taclè Aimanot (Degiac) p. 44
Tanfù (Fitaurari) p. 61
Tedla Abbaguben (Degiac) p. 40
Tedla Aiba (Degiac) p. 41
Tedla Fingial (Degiac) p. 44
Tedla Csarà (Degiac) p. 41
Tedla Uachid (Degiac) p. 36
Teofilos (Ecceghiè) p. 52
Tesamma (Degiac) p. 44
Tesamma Grimai (Scium Seloà) p. 42
Tesamma Nadò (Degiac) p. 60
Tesfai (Degiac) p. 47
Uizorò Taclè p. 32
Uold Abi Esghi (Memer) p. 55
Uolda Ghiorghis (Nebraid) p. 51
Uoldè Gabriel (Ras) p. 60
Uolde Zadech (Azagè) p. 61
Uoldenchiel (Ras) p. 37
Uoldiè (Degiac) p. 43
Uoldu Micael (Ras) p. 37
Zammaniel (Azagè) p. 61
Zuoldiè (Degiac) p. 43
Z…. p. 66

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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Introduzione

Uno dei primi pionieri dell’espansione italiana in Africa è stato padre


Giovanni Stella, lazzarista come padre Giuseppe Sapeto. Il celebre geologo
ed esploratore genovese Arturo Issel1 così parlava di padre Stella:
Fra i Bogos giacenti nella più inveterata barbarie, pigri, superstiziosi,
dediti soltanto alle guerre civili, alle rapine, capitò, verso il 1846 il P. Stel-
la, e si consacrò con mirabile zelo ed instancabile pazienza al loro morale
e materiale miglioramento. Egli fondò nel paese dei Bogos la prima chiesa
e la prima missione cattolica; ma, quel che è più, seppe ispirare loro mas-
sime di giustizia, di rispetto per la proprietà e la vita altrui, amore al lavo-
ro, e seppe, co’ suoi istituti benefici, non meno che con gli ottimi insegna-
menti, cattivarsi l’affetto e la fiducia di quei rozzi montanari, cosicché ne
divenne il maestro, il protettore, l’arbitro. Anche adesso, lui morto, il suo
nome è riverito a Cheren e nei villaggi circonvicini, e ciascuno ricorda
come si adoprasse a lenire i mali della carestia e della guerra, a comporre
le contese tra famiglia e famiglia, tribù e tribù: com’egli, non perdonando
a pericoli, a fatiche, strappasse dalle mani di spietati rapitori i Bogos tratti
schiavi dalle masnade egiziane 2.
Nel 1851 padre Stella e padre Sapeto percorsero buona parte dei paesi
che poi presero il nome di Colonia Eritrea, e cioè le regioni dei Mensa, de-
gli Habab e dei Bogos. Padre Stella si dedicò in modo speciale a
quest’ultima regione, nella quale trascorse buona parte della sua vita. Nu-
merosi e importanti sono gli scritti di padre Sapeto, che divenne poi pro-
fessore di arabo a Genova; di padre Stella, invece, non si hanno che poche
lettere.
L’opera svolta dal missionario savonese fra i Bogos gli attirò la simpatia
dello stesso re Teodoro II, imperatore dell’Abissinia, e anche del deggia-
smac Hailu, governatore dell’Hamasen, il quale nel 1865 cedette a padre
Stella il territorio di Sciotel, sua proprietà, perché vi fondasse una colonia
agricola europea che servisse da modello agli agricoltori indigeni.
L’interesse politico, militare ed economico del Regno di Sardegna verso
i territori del Corno d’Africa risale al gennaio 1857, quando Leone Carpi3

1
A. Issel (Genova 1842 - Genova 1922). Naturalista, geologo e paleontologo, fu lo scopritore della
Caverna delle Arene Candide a Finale Ligure (SV). Partecipò a diverse spedizioni in Africa, fra cui
quella dell’Antinori del 1870.
2
Cfr. A. Issel, Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos, Fratelli Treves, Milano, 1885, pag. 212.
3
Leone Carpi (Cento, 7 settembre 1810 - Roma, 19 gennaio 1898) è stato un economista, politico e
giornalista italiano. Eletto nella VII legislatura del Regno di Sardegna nel Gruppo dei liberali, alla
fine del suo mandato fu un collaboratore del giornale Il Popolo romano. Mise in luce le condizioni
sociali e morali dell’Italia unita con le informazioni raccolte presso tutti gli uffici governativi. Nella
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chiese al governo piemontese di occupare una parte delle coste sud-


occidentali del Mar Rosso. Il Conte di Cavour, Presidente del Consiglio dei
Ministri e Ministro degli Affari Esteri e delle Finanze del Regno sardo, si
adoperò affinché il barone Cristoforo Negri4, allora direttore capo di divi-
sione per i consolati e per il commercio degli affari esteri, scrivesse a mon-
signor Guglielmo Massaia 5, vescovo e vicario apostolico nella regione dei
Galla 6, al fine di redigere un trattato di amicizia con Negussiè Uoldemi-
caèl 7, allora capo del Tigrè.
Cavour non aveva sdegnato di avviare trattative col cardinal Massaia e
con padre Stella 8, i quali gli avevano fatto balenare la possibilità di com-
merci con l’Impero etiopico e anche la fondazione di colonie di agricoltori.
Infatti, nel 1859, il cardinale Massaia aveva scritto a padre Leon des Avan-
chères, che allora si trovava a Torino, di comunicare al ministro Cavour
che il degiasmac Negussiè, signore del Tigrai e pretendente al titolo di Ne-
gus Neghesti, era disposto a cedere, mediante un compenso pecuniario, un

sua opera di maggior interesse, Dell’emigrazione italiana all’estero, nei suoi rapporti coll’agri-
coltura, coll’industria, e col commercio, pubblicata nel 1871, riportò che circa 550.000 italiani vi-
vevano in ciò che chiamò “colonie” dell’Italia all’estero, riportando anche i paesi e le percentuali di
emigrati.
4
Cristoforo Negri (Milano, 13 giugno 1809 - Torino, 1896) è stato un politico e scrittore italiano. Fu
il primo presidente della Società Geografica Italiana dal 1867 al 1872. Fu console generale ad Am-
burgo dal 1873 al 1874 e in seguito si ritirò a vita privata a Torino. Nel 1884 partecipò come delega-
to italiano alla Conferenza dell’Africa Occidentale di Berlino e sei anni dopo fu nominato senatore
del Regno d’Italia.
5
Guglielmo Massaia, al secolo Lorenzo Antonio Massaia (Piovà, 8 giugno 1809 - San Giorgio a
Cremano, 6 agosto 1889). Nel 1846 fu nominato vicario apostolico da papa Gregorio XVI; la popo-
lazione etiopica dei Galla, presso la quale doveva svolgere il vicariato, era a nord dell’Etiopia e Gu-
glielmo dovette risalire il Nilo e attraversare il deserto per raggiungerla. Ivi passò 35 anni di missio-
ne.
6
Vasta regione dell’altipiano etiopico, comprendente gran parte del territorio a sud e sud-est del
Goggiam e dello Scioa, abitata prevalentemente da popolazioni Galla.
7
Negussiè Uoldemicaèl, feudatario etiopico, era originario del Lasta. Autonominatosi deggiasmac,
tentò di esercitare il proprio comando sul Tigrè, Semien, Lasta e parte dell’Amara, contro il re Teo-
doro II. Per combatterlo Negussiè cercò aiuti dall’Europa, rivolgendosi principalmente a Napoleone
III e Vittorio Emanuele II, con la mediazione dei missionari cattolici. Fu catturato e ucciso da re Te-
odoro II nel 1863.
8
Padre Giovanni Stella (Carcare, 1822 - Sciotel, 1869). Dopo aver studiato nel seminario di Genova
e Torino, nel 1847 partì per Agamà, località vicino ad Adigrat nel Tigrè etiopico, dove nel 1844
Giustino de Jacobis aveva fondato una missione cattolica e una scuola. Nel 1849 accompagnò il
Massaia che tentava di raggiungere il sud dell’Etiopia. Nel 1851 accompagnò padre Sapeto nel suo
viaggio tra i Mensa, i Bogos e gli Habab. In seguito però i due decisero insieme che il Sapeto avreb-
be proseguito la missione più nel Sud, invece padre Stella avrebbe costituito una base agricola e
missionaria nel Tigrè. Nel 1865 padre Stella ricevette da degiasmac Hailu una concessione di 235
km² nella regione dello Sciotel. Nel 1866 dovette abbandonare lo stato ecclesiastico, poiché da tem-
po conviveva con una donna indigena. Si dedicò quindi interamente alla realizzazione della colonia
agricola incontrando la vivissima opposizione del Munzinger, che all’epoca rappresentava gli inte-
ressi del governo egiziano.
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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

tratto di costa fra Zula e Amfilè, per fondarvi una colonia penale. L’offerta
del Massaia era stata provocata da due richieste in questo senso avanzate
nel 1852 e nel 1867 dallo stesso Ministero degli Esteri del Piemonte che si
riprometteva, oltre alla fondazione di una colonia di deportati, anche, even-
tualmente, una colonia di liberi cittadini, in modo da allacciare relazioni di
commercio tra l’Etiopia e il Piemonte. Anche padre Stella, che si trovava
in missione apostolica nel paese dei Bogos, aveva avanzato un’analoga
proposta a Cavour, per mezzo di un suo fiduciario, Antonio Rizzo, riu-
scendo a ipotizzare la fondazione di una vera e propria colonia sarda nel
Tigrai.
Cavour morì nel 1861 sicché, negli anni successivi, di colonia penale o
commerciale non si parlò più nel Regno d’Italia, ancora sconvolto per le
lotte dell’indipendenza e certamente non così omogeneo, compatto e pre-
parato da pensare ad avventure, sia pur pacifiche, nella non vicina Etiopia.
Tuttavia padre Stella non abbandonò l’idea e avuta in concessione una zo-
na di terreno presso Cheren vi impiantò una colonia agricola con trenta co-
loni, guidati dallo Zucchi e dal Bonichi.
La prevista apertura del canale di Suez nel 1869, che avrebbe prodotto
una rivoluzione commerciale epocale e avrebbe cambiato in modo radicale
le rotte commerciali fra Europa, Indie ed Estremo Oriente, attirò l’atten-
zione dei governanti europei anche sul Mar Rosso, che per la sua posizione
e per le condizioni delle sue coste poteva offrire stazioni commerciali e ap-
prodi per il rifugio e il rifornimento delle navi.
La prima presenza italiana nel Corno d’Africa risale così al 15 settem-
bre 1869, quando il padre lazzarista Giuseppe Sapeto 9 acquistò la baia di
Assab e i terreni limitrofi dai sultani fratelli Ibrahim e Hassan ben Ahmad.
Per ragioni politiche, però, si scelse di far apparire come acquirente la So-
cietà di navigazione Rubattino e non il Governo italiano. Tale acquisto non
portò a un’occupazione effettiva del territorio ma in compenso causò per
circa un decennio le forti proteste dell’Egitto e della Turchia, che vantava-
no su quei luoghi diritto di sovranità. Il governo sabaudo, temendo compli-
cazioni internazionali proprio nel momento in cui si stava per compiere la
liberazione di Roma e infuriava la guerra franco-prussiana, rinunciò
all’idea di palesare il proprio dominio sul territorio acquistato, limitandosi

9
Giuseppe Sapeto (Carcare, 27 aprile 1811 - Genova, 25 agosto 1895), è stato un missionario, e-
sploratore e commissario di Assab per il governo italiano in Africa dal febbraio 1870 al 9 gennaio
1881, svolgendo al contempo anche il ruolo di agente commerciale della Compagnia Rubattino. Cfr.
Archivio storico diplomatico del Ministero degli Esteri, che contiene l’archivio dell’ex Ministero
Africa Italiana, d’ora in poi ASMAI, vol. 1, Eritrea, Etiopia, Somalia, posizione 1/1, fascicolo 1.
9
Vito Zita

a conservare la sua protezione e i suoi incoraggiamenti alla società Rubat-


tino.
Assab si presentava come un buon ancoraggio per le grandi navi e do-
veva, secondo i concetti di chi ne aveva promosso l’acquisto, essere sopra-
tutto una stazione navale; ma poiché ad Assab facevano capo a vie caro-
vaniere che la mettevano in comunicazione con l’Etiopia meridionale e
centrale, coi quali paesi l’Italia era pure entrata in rapporti per mezzo dei
suoi missionari e dei suoi viaggiatori, si riteneva che alla funzione marit-
tima essa avrebbe potuto accoppiarne una commerciale non meno impor-
tante, quando più vario ed intenso si fosse manifestato il movimento dei
traffici tra Assab italiane e l’Etiopia meridionale10.
Questa situazione rimase immutata fino a gennaio 1880, quando il Go-
verno Cairoli inviò uomini e materiali ad Assab per impiantarvi uno stabi-
limento commerciale di deposito per la società Rubattino. Questo primo
atto ufficiale dell’Italia non mancò di suscitare diffidenze e controversie
con l’Inghilterra, che malvolentieri vedeva la presenza di un’altra nazione
europea in grado di intralciare i suoi progetti sui territori dipendenti
dall’Egitto. Tuttavia tali diffidenze furono sopite da un atto di remissività
da parte del Governo italiano nei confronti del Gabinetto di Londra 11. Egit-
to e Turchia invece continuarono a sollevare numerose proteste alla nostra
occupazione, generando non poche opposizioni a tutti gli atti del Governo
italiano, specialmente alla nomina di un commissario civile per il nostro
territorio d’oltremare.
Nel maggio 1881 avvenne l’eccidio della spedizione Giulietti12 nei
pressi di Beilul, una località a circa cinque giorni di marcia a nord di As-
sab. La spedizione si era avviata nell’interno allo scopo di aprire una via di
comunicazione commerciale con l’Abissinia. Il Governo Depretis reagì e-
nergicamente con una richiesta al Kedivè egiziano, affinché venisse predi-
sposta una severa inchiesta, da svolgersi con il concorso italiano, per accet-
tarne i fatti e le cause. Purtroppo la vicenda si chiuse senza alcun risultato,

10
Cfr. A. Mori, Le comunicazioni marittime dell’Eritrea, in F. Martini, «L’Eritrea economica»,
Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1913, pag. 92.
11
«Per l’occupazione di Massaua caddero poco per volta col trascorrere del tempo le supposizioni
create dalla fantasia popolare, ed ormai si può ritenere per assodato che l’occupazione di quella
plaga fu compiuta dagli italiani in seguito ad accordi con l’Inghilterra». Cfr. E. Cagnassi, I nostri
errori. Tredici anni in Eritrea, Francesco Casanova Editore, Torino, 1898, pag. 14.
12
Giuseppe Maria Giulietti (Casteggio, 28 dicembre 1847 – Beilul 1881) è stato un geografo ed e-
sploratore, a capo di varie spedizioni in Africa. Durante l’ultima di esse, venne ucciso dalle popola-
zioni dancale insieme al tenente di vascello Ettore Biglieri e a dieci marinai dell’Ettore Fieramosca.
Il massacro avvenne nei pressi della città di Beilul. Cfr. ASMAI, vol. 1, Eritrea, Etiopia, Somalia,
posizione 1/2, fascicolo 9; posizione 1/3, fascicolo 17 e 19.
10
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

soprattutto per l’atteggiamento delle autorità egiziane. Questo episodio fu


seguito anche da altre controversie con l’Egitto per la determinazione della
sovranità di quei territori, specialmente in conseguenza del fatto che il Ke-
divè ordinò un’ispezione ai commissari egiziani, accompagnati anche da
truppe militari, con l’obbligo di sbarcare nel territorio Raheita 13 allo scopo
di affermarvi la sua sovranità. Questo progetto fu frustato dall’iniziativa
del capitano Frigerio della corvetta Ettore Fieramosca 14 che tenne conve-
nientemente a distanza le truppe egiziane. Il Governo italiano non solo ap-
provò l’opera del cap. Frigerio
ma gli diede ordini categorici e risoluti di impedire lo sbarco a qualsia-
si costo, spedendo a tal uopo nelle acque di Suez la nave Affondatore pron-
ta a prestargli aiuto15.
Queste energiche misure, più che le note e le rimostranze, valsero a dis-
suadere il Governo kediviale dalla sua progettata impresa; alla fine, infatti,
vi rinunziò, pur protestando e dichiarando di riserbarsi libertà d’azione per
l’avvenire 16. Alla pacifica soluzione di questo grave incidente concorsero
anche i buoni uffici e i consigli dell’Inghilterra 17, con la quale venne stipu-
lata il 15 maggio 1882 un’apposita convenzione che garantiva all’Italia il
possesso territoriale e la sovranità sulla baia di Assab e adiacenze, malgra-
do le riserve e la non accettazione della convenzione stessa per parte
dell’Egitto e della Sublime Porta 18. Infine, con la legge del 5 luglio 1882 il
nostro piccolo possedimento africano venne dichiarato ufficialmente colo-
nia italiana 19.
A seguito del fallimento della spedizione in cui l’esploratore Gustavo
Bianchi trovò la morte nell’ottobre 1884 20 e la cui notizia si diffuse solo tre
13
Cfr. ASMAI, vol. 1, Eritrea, Etiopia, Somalia, posizione 6/1, fascicolo 8-11; posizione 10/2, fa-
scicolo 7.
14
Cfr. ASMAI, vol. 1, Eritrea, Etiopia, Somalia, posizione 1/4, fascicolo 27.
15
B. Melli, L’Eritrea dalle sue origini a tutto il 1901. Appunti cronistorici, Hoepli, Milano, 1902, p.
4.
16
Il 20 settembre 1881 tra il R. Commissario civile di Assab cav. Branchi e il sultano Berehan fu
stabilita una convenzione che metteva tutto il territorio di Raehita sotto la protezione dell’Italia,
coll’obbligo al Sultano di non cederlo a nessun’altra potenza.
17
Cfr. ASMAI, vol. 1, Eritrea, Etiopia, Somalia, posizione 2/2, fascicolo 12 e 18; posizione 2/4,
fascicolo 30.
18
Cfr. B. Melli, La Colonia Eritrea dalle sue origini fino al marzo 1899, Luigi Battei, Parma, 1899,
pp. 4-5.
19
Cfr. Trattati e convenzioni tra il Regno d’Italia e gli Stati esteri, raccolti per cura del Ministero
degli Affari Esteri, vol. IX, contenente gli atti conclusi dal l° gennaio 1882 al 27 novembre 1883,
pp. 19-45.
20
L’esploratore Gustavo Bianchi organizzò una spedizione diretta in Dancalia, assieme a Cesare
Dian e Gherardo Monari, con l’intento di trovare una via commerciale che da Assab potesse portare
fino all’interno dell’Etiopia, anche per evitare i luoghi in cui era stata trucidata, quattro anni prima,
11
Vito Zita

mesi dopo, si ebbe larga risonanza nell’opinione pubblica italiana. Nella


seduta del 15 gennaio 1885 alla Camera dei Deputati, infatti, il Ministro
degli Affari esteri, Pasquale Stanislao Mancini, affermò che, dopo aver ri-
cevuto la notizia della morte di Bianchi e dei suoi colleghi, aveva interpel-
lato il re d’Abissinia e il sultano degli Aussa 21, affinché gli autori fossero
individuati e puniti, soggiungendo di aver comunque «provveduto alla spe-
dizione di un presidio militare in Assab».
Il 5 febbraio 1885 le prime truppe italiane sbarcarono a Massaua al co-
mando del colonnello Tancredi Saletta che a Roma, prima di partire, aveva
ricevuto istruzioni sia sulla conduzione militare delle operazioni sia sulla
conduzione civile del possedimento. Infatti il Governo italiano intendeva
fare di Massaua un’importante piazza commerciale. Poche settimane dopo,
una seconda spedizione militare, agli ordini del tenente colonnello Mario
Leitenitz, sbarcò ad Assab.
La vita della colonia, dunque, si svolgeva con carattere prevalentemente
militare. La sconfitta subita dalle forze militari italiane nei pressi di Dogali
provocò una serie di proteste di piazza contro la politica coloniale del go-
verno, obbligando il Ministro degli Esteri Robilant alle dimissioni e il pre-
sidente del consiglio Agostino Depretis a un rimpasto di governo. Il suc-
cessore di Depretis, Francesco Crispi, seppur anch’egli critico verso questa
campagna coloniale, decise di continuare le operazioni, inviando in Eritrea
un corpo di spedizione forte di 20.000 uomini al comando del generale A-
lessandro Asinari di San Marzano 22. Il corpo di spedizione giunse in Eri-
trea a partire dall’ottobre del 1887 ma rimase per diversi mesi nei suoi ac-
quartieramenti di Massaua, in attesa dell’esito di una missione diplomatica
britannica inviata al negus al fine di riportare la pace tra Italia ed Etiopia.
Fallite le trattative, il 1º febbraio 1888 San Marzano mosse le sue truppe e
rioccupò Saati, fortificandolo pesantemente. Nel marzo dello stesso anno,

la spedizione di Giuseppe Maria Giulietti. Il tentativo, tuttavia, non diede gli esiti sperati: nella notte
tra il 6 e il 7 ottobre 1884 Bianchi, Diana e Monari vennero uccisi dai Dancali presso i pozzi di
Thiò. Cfr. ASMAI, vol. 1, Eritrea, Etiopia, Somalia, posizione 1/6, fascicolo 49 e posizione 1/7,
fascicolo 62.
21
Il Sultanato di Aussa era un regno che esisteva nella Regione Afar dell’Etiopia orientale. È stato
considerato come la monarchia leader del popolo Afar, al quale gli altri governanti Afar formalmen-
te riconoscevano il primato. Dopo l’acquisto italiano di Assab da parte di un sultano locale, il Sulta-
no Mahammad firmò con noi numerosi trattati. In conseguenza di ciò, l’imperatore Menelik II stabi-
lì una parte del suo esercito nei pressi del territorio Afar per «assicurarsi che il sultano degli Aussa
non onorasse la sua promessa di piena collaborazione con l’Italia» durante la prima guerra italo-
etiopica.
22
Alessandro Asinari di San Marzano (Torino, 20 marzo 1830 - Roma, 16 febbraio 1906) è stato un
politico, militare italiano e senatore del Regno. Dopo aver preso parte alla seconda guerra di
indipendenza e alla presa di Roma, nel 1877 venne promosso Maggiore Generale, poi Tenente
Generale nel 1883. Fu governatore di Massaua, nella colonia Eritrea, dal 1887 al 1888.
12
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

il negus avanzò con un grosso esercito verso Saati, attestandosi a poca di-
stanza dalle posizioni italiane. I due eserciti si fronteggiarono dalle rispet-
tive posizioni fino a che, nell’aprile seguente, l’esercito del negus, falcidia-
to dalle malattie, decise di ritirarsi, senza essere inseguito dagli italiani. Di
lì a poco anche lo stesso San Marzano venne richiamato in Italia insieme a
gran parte del corpo di spedizione, lasciando il comando al generale Anto-
nio Baldissera 23, che assunse anche l’incarico di riorganizzare la colonia.
Gli sviluppi militari e la continua penetrazione nei territori dell’alto-
piano etiopico portarono a continui scontri sia con i seguaci del Mahdi che
con gli abissini, ma con alterne fortune 24. Infatti le campagne militari con-
tro i predoni sudanesi ebbero un discreto successo per le armi italiane, cosa
che non avvenne invece con gli abissini, che ci sconfissero pesantemente
ad Adua il 1° marzo 1896. La notizia del disastro provocò ancora una volta
grandi manifestazioni e proteste contro la politica coloniale del governo;
non mancarono le rinnovate polemiche sul tipo di possibilità economiche e
sociali effettivamente offerte dall’Eritrea e sull’indirizzo da dare all’opera
di valorizzazione di quella regione: colonia di popolamento o colonia di
sfruttamento, colonizzazione agricola o semplice penetrazione commercia-
le? Erano temi vecchi e dibattuti, ma certo non logori, e si ripresentarono
con carattere di rinnovata urgenza e attualità nel momento in cui sembrava
che il destino stesso della presenza italiana in Eritrea – e di riflesso in Etio-
pia – potesse tornare in discussione 25. Il 5 marzo Crispi rassegnò le dimis-
23
Antonio Baldissera (Padova, 27 maggio 1838 - Firenze, 8 gennaio 1917) è stato il capo delle
truppe italiane in Eritrea nel 1888. Inquadrato nei ranghi della colonna Asinari di San Marzano,
quando questi abbandona il comando gli subentra, coi gradi da generale di brigata, con l’incarico di
riorganizzare la colonia Eritrea. Rientrato in Italia riceve l’incarico di sostituire Oreste Baratieri alla
fine di febbraio del 1896. All’indomani della sconfitta di Adua, Baldissera divenne governatore
generale dell’Eritrea italiana riuscendo a fermare l’avanzata delle forze etiopiche.
24
Relativamente alle possibilità di commercio, «col Sudan orientale era quasi interamente sospeso
per lo stato di anarchia interna e di ostilità verso gli europei creato dalla rivolta Mahdista. E, se
avesse potuto rinascere anche soltanto in parte, ben poco giovamento ne avrebbe ottenuto Massaua,
avendo le sue comunicazioni con quelle regioni interrotte dalle continue scorrerie degli Abissini,
che intercettavano tutte le strade derubando le carovane. Con l’Abissinia nessun traffico era possi-
bile fuorché quello delle armi e delle munizioni da guerra; precisamente il solo che avremmo mai
dovuto permettere. E siccome era da presumersi che un simile stato di cose avrebbe perdurato assai
a lungo; così era da prevedersi che per un tempo indefinito la nostra occupazione di Massaua, se
avessimo rinunziato a qualunque azione per rompere il cerchio di ferro da cui eravamo serrati, sa-
rebbe stata completamente infruttifera e soltanto apportatrice di gravami e di disagi». Cfr. E. Ca-
gnassi, op. cit., pag. 36.
25
L’Economista di Firenze, nell’articolo “La questione coloniale” del 23 febbraio 1896 (XXIII, n.
1138, pp. 113-114), torna alla carica con maggior vigore del numero precedente, per denunciare i
danni e i pericoli della politica coloniale seguita negli ultimi dieci anni, «esclusivamente di conqui-
sta, che fu ispirata esclusivamente dai militari e da criteri militari». Non si tratta di fare
dell’anticolonialismo precostituito ma di scegliere il tipo di colonizzazione più confacente alla situa-
zione esistente in Eritrea, e a questo proposito la rivista era esplicita: «Crediamo che a puro scopo
13
Vito Zita

sioni da Presidente del Consiglio, e il suo governo venne sostituito dal se-
condo governo di Rudinì. I pochi reparti italiani rimasti intatti ripiegarono
in Eritrea tra il 2 e il 3 marzo, tranne la guarnigione di Adigrat (dove si e-
rano rifugiati molti dei feriti italiani) che rimase al suo posto e venne asse-
diata dagli etiopici. Il 4 marzo Baldissera giunse nella colonia rilevando il
comando Baratieri 26 il giorno seguente. Rientrato in Italia, Baratieri venne
imputato da una corte marziale di aver preparato un piano d’attacco “ingiu-
stificabile” e di aver abbandonato le sue truppe sul terreno; fu assolto da
queste accuse, ma fu descritto dai giudici come “del tutto inadatto” per il
comando. La sua carriera militare ebbe di fatto fine.

L’introduzione storica termina con la rimozione dal comando del Gene-


rale Baratieri solo per rimanere in un ambito temporale consono al mano-
scritto 27 con cui questo studio continua. In esso, infatti, si esaminano i pro-
fili dei Capi, notabili e personaggi di interesse sia eritrei che etiopici del
1892 e, pur essendo senza firma, è quasi sicuramente da attribuire al Go-
vernatore della Colonia Eritrea, il Generale Oreste Baratieri.
Da un attento esame risulta quasi certamente essere una relazione sotto
dettatura da parte del Generale Baratieri; infatti dal confronto con altri suoi
documenti coevi, la sua calligrafia non corrisponde a questo testo.
È importante sottolineare che la trascrizione dei nomi citati è quella del-
la grafia italiana di quell’epoca e può anche essere notevolmente differente
rispetto alla grafia dell’italiano di epoca coloniale successiva. Si è scelto
quindi di non modificare il contenuto dei documenti esaminati lasciando il
testo originale.
In questo resoconto, si leggerà con una certa ricorrenza la parola razzia.
Così essa viene descritta da Cristoforo Barbieri28

commerciale l’Italia poteva e doveva cercare di istituire sulle coste del Mar Rosso uno o più scali
propri, doveva cioè tentare la formazione di una colonia commerciale, che servisse ad agevolare le
relazioni commerciali tra l’interno dell’Africa e il nostro paese. Era una impresa limitata, ma
tutt’altro che facile a compiersi e certo il suo esito dipendeva dalla scelta delle località nelle quali
dovevano esercitare le nostre attività commerciali. Preferimmo invece la colonia agricola e, doppio
errore, parve ch’essa non potesse prosperare se non allargando sempre più il nostro dominio in
Africa». Cfr. A. Aquarone, Dopo Adua: politica ed amministrazione coloniale, Ministero per i beni
culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma, 1989, p. 82.
26
Oreste Baratieri assunse l’incarico di Governatore il 28 febbraio 1892, in sostituzione del
precedente Governatore Antonio Gandolfi, e rimase in quella carica fino al 22 febbraio 1896 e,
come visto, il 5 marzo fu sostituito dal Generale Antonio Baldissera nella carica di Governatore
della Colonia Eritrea.
27
L’originale è conservato presso l’Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, con
collocazione L7, Busta 125 Cartella 31.
28
È uno dei curatori del sito Mai Taclì, ovvero la comunità di Asmarini raccolti in Associazione
14
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Pratica consuetudinaria della vecchia Abissinia. Razzia: “dal


magrebino gazziyya, per il classico gazwa; scorreria compiuta da
truppe irregolari o da ladri armati per devastare, saccheggiare ed
estorcere con la violenza prede di varia natura. Furto ruberia spe-
cialmente di animali. Retata, requisizione di uomini”. Con queste
parole il vocabolario Zingarelli descrive il significato di questo ter-
mine della nostra lingua.
Nessun vocabolo è quindi più propriamente adatto a descrivere
una vecchia, consolidata, pratica abissina che l’Italia Umbertina
non poteva più tollerare, almeno in quelle terre che andavamo con-
quistando.
Il fenomeno si verificava, da parte delle popolazioni degli altipia-
ni dell’acrocoro, dove avevano sede i Regni di Abissinia, a danno
delle popolazioni dei Bassipiani circostanti.
Culturalmente una popolazione più progredita, stabile ad econo-
mia agricola e numerosa, di antica tradizione cristiana, retta da Re
che mobilitavano eserciti e di razza semita, in caso di scelta o di bi-
sogno aggrediva le popolazioni sparse in tribù nomadi dedite alla
pastorizia dei sopradetti Bassopiani.
Le spedizioni avvenivano per razziare: uomini e donne per ren-
derli schiavi o il loro bestiame, che veniva allevato allo stato brado
in grandi mandrie. Si deve ricordare che nella zona i capi di bestia-
me, per lunghi periodi della storia, sono stati più numerosi delle
persone. Anche la Chiesa Copta mostrava tolleranza verso queste
pratiche 29.
Non trattiamo della schiavitù, che costituisce un capitolo a sé, ma
anche la razzia è un’azione infame, umiliante della dignità delle per-
sone e foriera di lutti, paure, odi, sentimenti di rivalsa e di vendetta.
L’Italia si oppose energicamente a questo stato di cose e mentre
sparì del tutto la schiavitù, dai nostri territori, le razzie si verifica-
rono sempre più raramente ed ai confini con via soddisfazione delle
popolazioni più umili, Cafre ed animiste che da noi amministrate
cominciarono a fare un’altra vita.

degli Italiani dell’ex Colonia Eritrea, paesi limitrofi e dei loro amici che si propone di condividere
notizie, immagini, mantenere i ricordi, le amicizie. L’articolo riportato, a firma di Cristoforo
Barbieri, è dell’aprile 2013.
29
Dalla lettura delle biografie risulta lampante come il clero etiope avesse una notevole influenza
politico-sociale non solo sul popolo ma anche e soprattutto sui capi che li consultavano nei momenti
delle decisioni importanti. In molti casi la parentela con i Capi determinava anche interessi personali
e per la stessa Chiesa Copta.
15
Vito Zita

A partire da Menelik, allora, nostro alleato e desideroso di am-


modernare quella che si può incominciare a chiamare l’Etiopia,
questi fenomeni pur non scomparendo diminuirono anche perché
l’Eritrea e la Somalia erano ormai una realtà consolidata e teatro di
queste nefandezze era rimasta principalmente e solo la Dancalia E-
tiopica.
Questi comportamenti considerati leciti e praticati in modo con-
siderato naturale dagli Abissini alienavano le simpatie internaziona-
li nei loro riguardi e possono in parte spiegare il consenso che, in
seguito, ottenne la Campagna d’Etiopia anche da parte dei Cattoli-
ci 30.
Ma cerchiamo qualche testimonianza per non attingere solo ai
nostri ricordi ed alle nostre esperienze che restano personali e spes-
so non veniamo creduti o considerati propagandisti di chissachè, ri-
leggiamo il diario del barone Raimondo Franchetti: “Nella Danca-
lia Etiopica” sapendo di attingere ad un’opera redatta con fini
scientifici, presentata al mondo, da nessuno mai contestata e che
racconta cosa accadeva in quella zona sin nel 1928, imperante Me-
nelik, e di cui raccomandiamo la lettura.
L’esploratore Franchetti nel corso della sua missione si trovò
spesso a contatto con questo fenomeno che a volte impedì a lui stes-
so di procedere nella sua missione. Così come più volte, le popola-
zioni dancale chiesero aiuto alla sua scorta.
Spesso poi le vittime della razzie ricorrevano al medico della
spedizione italiana per essere curati, con grande speranze anche per
le cose impossibili come quella di porre rimedio all’evirazione che i
pochi sopravvissuti avevano subito
Scrivere queste note rappresenta una grande opportunità per approfondi-
re i profili storici e psicologici dei personaggi esaminati, tanto più per il
momento storico al quale essi sono appartenuti. Si ha così l’occasione per
analizzare anche la struttura sociale di una pluralità di popolazioni conter-
mini sullo stesso territorio e soprattutto verificare quali modificazioni in-
tervennero nella loro struttura sociale quando esse vennero nuovamente a
contatto con gli europei dopo una chiusura secolare 31.

30
Cfr. Mai Tacli n°4 del 2010: “Il Papa non deve parlare” e n°1 del 2011: “Il consenso dei
Cattolici”.
31
Tale isolamento ha origine con la conversione al Cattolicesimo operata nel 1624 da Re Susenyos,
per ottenere l’appoggio militare del Portogallo e della Spagna. Egli infatti impose ai sudditi di
seguirlo nella sua scelta determinando, per la prima volta nella sua storia, che la Chiesa ortodossa
etiope interrompesse la millenaria comunione con la Chiesa Copta. La decisione di Re Susenyos fu
16
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Nulla di nuovo, invece, questo studio apporta per quanto riguarda gli in-
trighi, i tradimenti, le convenienze, le brutali repressioni e le facili sotto-
missioni dei Capi ribelli. La storia millenaria dei paesi europei, e non solo,
ci ha regalato una tale abbondanza di paragoni da rendere al lettore, e a
maggior ragione allo studioso, più chiaramente comprensibile il perché di
quegli atteggiamenti.
Più difficile è giustificare, a volte, la leggerezza con la quale molti dei
personaggi che si recarono in quelle terre lontane usarono nei rapporti e re-
lazioni con i Capi, i notabili e le persone maggiormente influenti dell’Eri-
trea come dell’Etiopia con le quali ebbero modo di confrontarsi. Infatti la
naturale diffidenza tipica di quelle popolazioni indigene portava a compor-
tamenti sicuramente espressione di ritrosia, astuzia e inganno. Qualcosa di
normale per le interazioni sociali e personali che essi avevano con i loro
consimili. Deprecabile, quindi, la sciatteria e l’alterigia di molti che, anche
in qualità di rappresentanti del Governo o della Casa Reale Savoia, ebbero
incarichi ufficiali addirittura prima che nascesse la Colonia Eritrea susse-
guente allo sbarco ed occupazione di Massaua nel 1885.
La lettura di questi profili regala anche una serie di giudizi sui perso-
naggi trattati ed aggiungono anche importanti stime sul potenziale militare
che questi Capi potevano gestire. Quest’ultimo è un argomento di sicuro
interesse storico-militare poiché fa intendere quanta attenzione veniva po-
sta su questo argomento, dato che influiva sulla vita della Colonia Eritrea,
sempre tumultuosa in quei primi anni di occupazione. Soprattutto è un im-
portante elemento di giudizio sulla volontà di espansione territoriale che
portava sempre più gli italiani verso l’altopiano.
Lo stimolo maggiore di questo studio, in definitiva, deve essere quello
di suscitare nel lettore non solo interesse verso quei primi approcci di colo-
nialismo di una Italia liberale, ormai trascurato dalla letteratura contempo-
ranea, ma soprattutto risvegliare interesse verso la conoscenza sociale, cul-
turale ed etnografica di quelle popolazioni che convissero con gli italiani,
nel bene e nel male, attraverso un impulso di sviluppo moderno ed attra-
verso numerose guerre, per quasi un secolo.

malvista dalla sua corte, dal clero etiope che vedeva la sua influenza politico-sociale scemare, e dal
popolo. Una decisione che ebbe come conseguenza numerose congiure contro l’imperatore da parte
dell’aristocrazia etiope e sanguinose rivolte da parte del popolo, che vedevano la conversione
forzata come un “europeizzazione”, un sacrilegio, ed una perdita della propria identità. Fu così che
Susenyos dovette abdicare, nel 1632, in favore del figlio Fasilides che abbandonò immediatamente
al progetto del padre, riconvertendosi al cristianesimo ortodosso copto ed imponendolo come
religione di stato. Ulteriore decisione fu, appunto, quella di bandire tutti gli europei dal proprio
territorio, tutti i libri cattolici vennero bruciati, i gesuiti presenti nel paese vennero cacciati e per
quasi due secoli non fu permesso a nessuno straniero di metter piede nell’Impero d’Etiopia.
17
Vito Zita

18
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Avvenimenti principali
svoltisi nel Tigrai durante questo secolo

Nella seconda metà del secolo scorso l’autorità degli Imperatori di Gon-
dar, tra per le frequenti invasioni dei feroci Galla, tra per le ribellioni con-
tinue dei capi principali dell’Impero e la strapotenza dei Ras, era divenuta
puramente nominale.
Il primo e più famoso di questi Ras fu Ras Micael del Tigrai, che verso
il 1753, chiamato in aiuto dall’Imperatore Ioas, passò nell’Amhara colle
sue masnade tigrine, sconfisse in parecchie battaglie i ribelli del Lasta e del
Damot, respinse i Galla e i Musulmani del Fazogle e si proclamò difensore
dell’Impero; dando così principio all’egemonia del Tigrai sull’Etiopia.
Alla sua morte gli successero come capi del Tigrai Degiac Gabriel e
Degiac Gabre Mascal e nella carica di Ras e difensore dell’Impero Ras
Gucsa dell’Amhara.
Ma presto sorgeva nel Tigrai un altro valoroso guerriero, Uold Sellassiè,
figlio di Caflè Fasu che vinti e sottomessi Degiac Gabriel e Degiac Gabre
Mascal, si fece capo dell’intiera regione e poi, estesi ancora i suoi domini,
prese il titolo di Ras.
Ras Uold Sellassiè governò tutta l’Abissinia settentrionale fino al 1816
(anno della sua morte) e fu il principe più umano, generoso e guerriero
dell’Abissinia. Sotto di lui il Tigrai godette di alcuni anni di pace e di pro-
sperità, ma presto le guerre ricominciarono.
Ras Gucsa gli si dichiarò nemico; i Galla avanzando sempre erano quasi
giunti nel cuore del Tigrai; Sabagadis, uno dei suoi primi guerrieri, gli si
era ribellato. In questo mentre egli morì 32 e dopo qualche anno morì pure
Ras Gucsa; il Tigrai e le provincie settentrionali erano così lasciate al più
forte e questi fu Sabagadis.
Egli era nativo del Taltal e si dimostrò uomo di grande accorgimento
militare, liberale coi soldati ed avido di gloria e fu amatissimo dai tigrini
per la sua affabilità e per l’odio che professò sempre contro gli Amhara,
odio che è ingenito in tutti gli abitanti del Tigrai.

32
Ras Uoldie Sellassiè
19
Vito Zita

Moderna cartina dell’Etiopia indicante regioni e distretti

A Ras Gucsa era succeduto nel governo dell’Amhara Ras Mariè dei
Galla, che fece il possibile per obbligare Sabagadis a pagargli il tributo.
Non riuscendovi fece lega con Ubiè capo del Semien ed unite le forze mar-
ciarono nel 1831 contro Sabagadis.
Ras Mariè morì nel combattimento, ma Sabagadis fu fatto prigioniero e
quindi ucciso per ordine di Ubiè che in breve si rse padrone di tutto il Ti-
grai, meno alcune provincie orientali che continuarono ad obbedire ai figli
di Sabagadis.
Nel 1839 Degiac Cassai (figlio di Sabagadis) unitosi con Aitè Ailù (poi
Degiac Ailù) e Uold Micael (poi Ras Uold Micael o Uoldenchiel come di-
cesi volgarmente) ambedue dell’Amasen e con Balghedà Araria del Uog-
gerat, mosse contro Ubiè per riacquistare i domini paterni, ma venne scon-
fitto ed Ubiè da allora in poi fu il padrone assoluto di tutta l’Abissinia set-
tentrionale fino a Cheren ed a Moncullo con il nome di Negus Ubiè.
Crescendogli l’animo e l’ambizione pensò di fa guerra a Ras Ali
dell’Amhara (che era successo a Ras Mariè) e sui primi del 1842 marciò
contro di lui, incontratolo presso Debra Tabor fu vinto e prigioniero, ma il
Ras generoso lo mandò libero.

20
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Intanto andavasi rafforzando nell’Amhara un altro capo, Degiac Cassai


(di Quarata presso il Lago Tsana) che si ribellò a Ras Ali nel 1847.
Il Ras gli muove contro ma è sconfitto; gli manda contro Degiac Cosciù
del Goggiam, ma anche questi è vinto e ucciso. In seguito il Cassai vince
Aligos Farre principe del Lasta e tutti gli altri capi più potenti e per ultimo
obbliga Ras Ali a rifugiarsi fra i fedeli Galla.
Allora Ras Cassai fece cosa non mai tentata fino ad allora dagli avven-
turieri abissini. Radunata in Gondar grande assemblea dei capi ed il clero,
egli, quantunque di bassa origine, si proclama Negus Neghesti di Etiopia
Eletto da Dio e s’incorona solennemente in Gondar stesso il 7 febbraio
1855, prendendo il nome di Teodoro.
Marcia poi contro Ubiè, lo vince, lo fa prigioniero e diviene così il pa-
drone di fatto di tutta l’Abissinia riunita. Ubiè venne poi ucciso per ordine
suo.
Ma un nipote di Ubiè, Degiac Negussiè, riunì intorno a se numerosi par-
tigiani tigrini e nel 1866, si proclamò Re del Tigrè ribellandosi a Teodoro e
chiedendo aiuti in Europa (Francia).
Teodoro gli mosse incontro e dopo molte marcie, ritirate e combatti-
menti di varia fortuna, lo vinse e lo uccise nel 1861.
Teodoro regnò dipoi con potere dispotico e feroce in mezzo a continue
ribellioni affogate nel sangue fino al 1868, odiato da tutti.
Prima che incominciasse la spedizione inglese in Abissinia Ligg Cassa
(del Tembien) Governatore di Adua si era fatto potente vincendo Degiac
Ailù dell’Amasen ed altri capi del Tigrai. Quando seppe la venuta degli in-
glesi si ribellò a Teodoro ed offerse i suoi servizi ai primi, che li accettaro-
no.
Alla morte dell’Imperatore (13 aprile 1868) quando gli inglesi si ritira-
rono, regalarono al Cassa qualche cannone, fucili, munizioni, bardature,
viveri e provviste in abbondanza e così crebbe la sua potenza.
Uoghscium Gobesiè (Atziè Taclè Ghiorghis II) del Lasta marciò contro
di lui; ma il 14 luglio 1871 presso Adua rimase vinto e prigioniero. Il 21
gennaio del successivo anno 1872, Cassa si incoronò in Axum Negus Ne-
ghesti col nome di Giovanni II.
Sottomise poi Ras Adal del Goggiam (attuale Negus Taclè Aimanot)
che non voleva riconoscerlo Imperatore; vinse gli egiziani a Gudda Guddi;
obbligò alla sua dipendenza Menelich Re dello Scioa (della legittima dina-
stia salomonica); domò i Galla e respinse più volte i Dervisci a Metemmah.
Volle anche cacciare gli italiani da Saati e sui primi del 1888 scese
dall’altopiano con più di 50 mila soldati per attaccarli, ma, dubitando della

21
Vito Zita

vittoria, se ne ritornò come era venuto con grande scapito per il suo presti-
gio di Re invincibile e vittorioso.
Marciò poi contro Menelich, che in quel frattempo erasi ribellato, ma
non sentendosi forte abbastanza neppure contro di lui, retrocesse ed andò
ad attaccare i Dervisci che si erano impadroniti di Metemma che
s’avanzavano verso il cuore dell’Etiopia.
Andando contro l’odiato musulmano sperava di trarre nuovamente con
sé tutta l’Etiopia, ma s’ingannò. I capi non lo seguirono con l’usato entu-
siasmo, l’esercito era debole e stanco, travagliato dalla fame e dalle malat-
tie, la fiducia nella vittoria scomparsa, i nemici numerosi ed acerrimi.
Il 9 marzo 1889 all’alba cominciò la memorande battaglia durata tre
giorni. Giovanni morì e l’esercito si sbandò.
Menelich allora si proclamò imperatore d’Etiopia. Ras Mangascià o-
steggiato da noi, non ebbe la forza di opporglisi, e fece anzi atto di sotto-
missione. Ma il Tigrè, personificato da Alula, non riconobbe l’atto e rimase
sdegnoso ad attendere miglior fortuna.
Certo nel Tigrai l’autorità di Menelich è nulla: i capi, il clero, i soldati, i
contadini, non riconoscono altra autorità che quella di Giovanni personifi-
cata ora in Ras Mangascià.

22
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Famiglia materna di Re Giovanni

23
Vito Zita

Famiglia paterna di Re Giovanni

24
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Grandi personaggi del Tigrai viventi

Ras Mangascià 33

Figlio naturale di Re Giovanni.


Era Degiac capo dello Scirè e fu creato Ras dopo la morte di Ras Area
Sellassiè dal quale ereditò capi e soldati.
Si distinse per grande valore nei combattimenti che precedettero la bat-
taglia di Metemmah.
Re Giovanni, trasportato nella sua tenda mortalmente ferito il 10 marzo
1889, lo riconobbe suo erede legittimo e pregò i presenti (Ras Alula, Ras
Micael, Ras Agos, Abuna Petros, Ecceghiè Teofilos) di obbedirgli; però un
fatto di tanta importanza non è bene accertato.
Ras Mangascià, dopo Metemmah, si ritirò con Ras Alula nel Tembien,
quindi a Macallè; ma a causa della stanchezza generale, delle poche forze
che aveva dintorno e delle molte ribellioni non ebbe l’animo di proclamarsi
Re dei Re.
Nel luglio 1889 dovette far fronte a Debeb 34, che aiutato ed incoraggiato
da noi, competevagli il trono del Tigrai. Insieme a Ras Alula fortificatosi a
Macallè ve lo attese. Però Debeb, superiore in forze, invece di combattere
33
Interessante è la corrispondenza avuta dal Baratieri, attraverso i canali diplomatici, con
Roma. Cfr. Documenti Diplomatici Italiani, Seconda Serie, Vol. XXV, doc. 26, doc. 123,
doc. 136, doc. 169, doc. 338, doc. 364, che afferiscono alle comunicazioni del B. con il
Ministro degli Esteri, Brin. Cfr. Documenti Diplomatici Italiani, Seconda Serie, Vol.
XXVI doc. 580, doc. 589, doc. 683; Documenti Diplomatici Italiani, Seconda Serie, Vol.
XXVI doc. 752, doc. 767, che afferiscono alle comunicazioni del B. con il Ministro degli
Esteri, Blanc (NdR).
34
Già dal 1886 gli italiani avevano avuto rapporti con il Debeb, un ribelle che scorrazzava
nelle provincie tigrine e che aspirava al dominio sopra di esse. Il Generale Genè respinse
tutte le proposte del Debeb in osservanza alle linee politiche impartite dal Ministro
Robilant che tendevano a non compiere alcun atto che potesse dispiacere il Negus
Menelik e Ras Alula. Negli anni successivi furono ripresi contatti fino a quando, a Saati,
di fronte al nemico, tradì la nostra fiducia disertando ed andando ad offrire i suoi servigi al
Negus. In conseguenza a ciò, su decisione del Gen. Baldissera, venne ordinato di fare una
puntata su Saganeiti per l’8 agosto 1888, sede abituale di Debeb, per sorprenderlo e
catturarlo in modo da porre fine alle sue scorrerie. L’operazione fu affidata al cap.
Cornacchia, con 3 ufficiali e 400 basci-buzuc della banda di Adam Aga. Ma Debeb, avuta
notizia dell’attacco dagli informatori indigeni del cap. Cornacchia, si era predisposto per
la difesa e la sorpresa fu vanificata. Dopo due ore di scontro perdemmo tutti gli ufficiali e
subimmo la perdita di circa 300 militari indigeni. Avuta notizia, il gen. Baldissera
provvide ad inviare il cap. Ameglio con altri 100 basci-buzuc con medici, materiale
sanitario e viveri. (NdR).

25
Vito Zita

venne a trattative forse con la segreta intenzione di imprigionare i due Ras;


ma questi, più accorti, imprigionarono lui e lo confinarono sull’Amba Sa-
lama.
Nel settembre 1889 marciò contro Degiac Sejum, anche questi preten-
dente al trono del Tigrai e venuto avanti come avanguardia di Menelich,
proclamatosi Imperatore.
In quattro combattimenti avvenuti nel Uoggerat, ad Edda Maconni,
nell’Endertà, rimase soccombente e si ritirò verso Adua con soli 4 o 500
uomini. Sejum lo inseguì vivacemente e lo attaccò sull’altura di Madet Ne-
bersè presso Adua.
Mangascià si difese strenuamente, ma fu costretto alla pace, che fu con-
clusa per l’intromissione del clero.
Mangascià dovette presentasi al superbo Sejum che l’accolse bene, però
con l’intenzione di incatenarlo il giorno dopo. Nella notte però giunse im-
provvisamente in Adua Degiac Embajè, che aveva sospetto delle intenzioni
di Degiac Sejum; andato al campo di Ras Mangascià lo indusse a fuggire a
cavallo con poca gente.
Intanto Ras Alula da Tucul (ove si trovava in osservazione contro di
noi, che avevamo occupato Asmara) era giunto ad Axum.
Sejum gli mosse contro e trovatolo presso Abuna Pantaleon 35 impegnò
il combattimento, che sortì esito incerto.
Sejum con 2 mila armati senza viveri e senza munizioni riparò (ottobre
1889) in Asmara. Quivi ebbe i necessari rifornimenti e ricevè l’ordine di
ritornare nel Tigrai attraverso l’Acchelè Cusai meridionale e l’Agamè per
unirsi a Degiac Sabat, combattere Ras Mangascià e Ras Alula per facilitare
l’avanzata di Menelich, del quale il Conte Antonelli assicurava invano da
oltre due mesi il prossimo arrivo.
Sejum stesso sapeva che Menelich non sarebbe spuntato tanto presto,
come si pretendeva, e poiché una parte dei suoi, dopo il combattimento di
Abuna Pantaleon, avevalo abbandonato o per seguire Ras Alula o per raz-
ziare a conto proprio, tergiversava ed opponeva difficoltà a lasciare il no-
stro territorio, temendo un attacco di fianco per parte di Alula.
Ma il Generale Baldissera si dimostrò irremovibile; però lo fece appog-
giare, per incuorarlo da una colonna (bande abissine, due compagnie indi-
gene, Batteria indigena, due compagnie cacciatori, comandata dal Colon-
nello Albertone).

35
La chiesa dell’Abuna Pantaleon si trovava a Fremona presso Adua, sulla via di Axum (NdR).
26
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Questa colonna si portò a Mna Hielà e spinse la banda di Ligg Tesfù


Mariam ad Addi Quoalà, mentre Degiac Sejum da Godofelassi per Amba
Tacalè, Igalà, Dach Azmai, Gula, Mucado si portò nell’Agamè.
Nel frattempo Ras Alula riuniti i partigiani di Ras Mangascià, reso o-
maggio a questo e messosi agli ordini di lui, marciò col medesimo contro
Ras Sabat e Degiac Sejum.
S’incontrarono (novembre 1889) a Zaban Ciaà (a nord di Aguddi, ad est
di Ambasion dove sulla carta 1:250.000 è scritto pianura) si ebbero molte
perdite da ambo le parti; l’esito fu incerto; il clero si intromise e fece so-
spendere la lotta.
Sabat restò nell’Agamè, Alula andò nel Tembien, Mangascià inseguì
Sejum nel Uoggerat.
In questo mentre (dicembre 1889 e gennaio 1890) le nostre bande inva-
sero il Tigrai settentrionale (Endisciò, Condafta, dintorni di Adua e di A-
xum, Adibarte, Beesa) lo devastarono, però salvando il Beesa il cui capo,
Degiac Garamedin figlio di Ras Barian, era nostro amico, e si ritirarono
dopo una campagna di circa un mese.
Seguì la marcia su Adua (gennaio 1890) condotta dal Generale Orero
per dare una mano a Menelich, che avanzava sempre (così faceva dire il
Conte Antonelli) e non compariva mai.
Circa 3.000 fra capi e soldati tigrini accorsero intorno al Maggiore Di
Majo, il quale si trovò a capo di oltre 7.000 fucili. Anche Sabat affidato e
guidato dal Tenente Carchidio si mosse dall’Agamè per unirsi a noi.
Alula e Mangascià impotenti, se ne stettero quegli nel Tembien e questi
a Macallè.
Lo Squadrone esploratori36 si spinse nel Tembien ed ebbe qualche mo-
lestia ritirandosi, ma la scorta (100 uomini della banda Adgu Ambessa)
tenne testa agli assalitori dei quali uccise il capo; dopo di che rientrò inco-
lume in Adua, dove (essendo il Generale con tutti gli altri riparti regolari
ritornati sulla destra del Mareb) stavan solo le bande e gli ausiliari tigrini
(7.000 fucili) per raccoglierlo ed attendervi Degiac Sabat, che veniva attra-
verso l’Auzen.

36
Si tratta del primo reparto di cavalleria coloniale derivante dall’Orda Kaiala. Il 1°
ottobre 1889, in seguito al R.D. 6132, il Plotone si evolve cambiando la propria
denominazione in Squadrone Esploratori Indigeni d’Africa, ed è sotto il comando del
Capitano Pietro Toselli. Nel gennaio del 1890 lo Squadrone Esploratori, sempre sotto il
comando del cap. Toselli, partecipa con il corpo di spedizione del gen. Orero alla
ricognizione nel Tigrè e all’occupazione di Adua spingendosi in ricognizione fino nei
pressi di Macallè (NdR).
27
Vito Zita

Costui giunse in Adua l’ottavo giorno dacchè ne era partito il Generale


Orero, e (malfido e diffidente) la sera precedente il suo arrivo inviò, col
Tenente Carchidio, Scium Agamè Romhà (ora Degiac) per chiedere giu-
ramento che non gli si sarebbe fatto alcun male.
Il Comandante le bande, fra ceri tenuti da preti della chiesa di Medhanè
Alem, giurò sull’Evangelo e sulla immagine di Maria e fece giurare tutti gli
ufficiali dello Squadrone e delle bande, ma fece osservare a Scium Agamè
Romhà come fosse strano da parte di Degiac Sabat, noto per malafede, il
chiedere un giuramento ad ufficiali italiani, pei quali la parola è sacra.
Scium Agamè Romhà voleva giurare anch’egli in nome di Sabat, ma il
Comandante le bande gli disse ciò esser superfluo, sapendo benissimo tan-
to lui quanto Degiac Sabat che torna utile l’amicizia non l’inimicizia del
Governo italiano; si regolasse Degiac Sabat come gli sembrasse meglio.
L’indomani alle 10 antemeridiane comparve Sabat con circa 2.000 ar-
mati dalla parte orientale di Adua. Per rassicurarlo maggiormente gli si
mandò incontro lo Squadrone esploratori, che lo guidò alla casa dell’Ec-
ceghiè, dove trovavasi il Comandante le bande con queste spiegate a destra
ed a sinistra della casa, quelle dell’Acchelè Guzai alla sinistra estrema in
posizione elevata.
Il Comandante le bande rimproverò dolcemente il Degiac della diffi-
denza dimostrata, e quindi, essendo le bande sufficientemente provviste di
viveri, lo regalò di alquanti sacchi di farina e di galletta in nome del Gene-
rale.
Pure in nome del Generale gli affidò la città di Adua; lo ammonì di farla
rispettare dai suoi soldati; gli annunziò il giorno dell’arrivo in Adua del
Conte Antonelli e del Degiac Maconnen e dissegli come questi (così per
desiderio del Conte Antonelli era stato scritto dal Generale Orero al Mag-
giore Di Majo) desiderava gli andasse incontro o gli andasse incontro un
capo di fiducia. A questo il Degiac sorrise coprendosi la bocca con lo
sciamma e guardò Scium Agamè Romhà che gli era dirimpetto. Indi rin-
graziò per l’accoglienza amica e del regalo, promise di impedire ogni dan-
no alla città da parte dei soldati, si profuse in espressioni di amicizia per il
Governo italiano e dichiarò sarebbesi messo agli ordini di “Degiac” Anto-
nelli.
Le bande lasciarono Adua a mezzodì. Durante il viaggio Degiac Gara-
medin disse al Maggiore Di Majo che Sebat aveva sorriso al sentir ciò che
desiderava Degiac Maconnen, non arrivando a comprendere perché si vo-
lesse onorare a quel modo uno scioano.

28
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Le bande attesero al Mareb fino all’11 febbraio l’arrivo della missione


italo-scioana (Conte Antonelli, Degiac Maconnen e seguito) per fornirle
una scorta di 500 uomini.
Il Comandante le bande dovette vincere le ingiustificabili prevenzioni
del Conte Antonelli 37, del nord Abissinia incompetentissimo, per comporre
la scorta dei migliori elementi, cioè del bravo e fedele Adgu Ambessa coi
suoi 300 ottimi soldati e del buono e influente Degiac Garamedin, conosci-
tore del Tigrai, con 200 dei suoi migliori armati. Ma, affinchè i due capi
(specialmente Adgu Ambessa) partissero volentieri, il Comandante dovette
dichiarare loro che essi andavano non come scorta dello scioano Macon-
nen, sebbene del Conte Antonelli, rappresentante del Re d’Italia e come
soldati del Re d’Italia alla dipendenza diretta del Conte, col quali sarebbero
ritornati nel proprio paese.
La missione partì per Adua; però il giorno in cui vi giunse il superbo
Degiac Sabat non solo non mandò all’incontro il capo di fiducia, ma per
togliere anche il sospetto che egli un discendente di Sabagadis potesse ren-
dere onori ad uno scioano, se ne andò ad Axum con tutti i suoi, presentan-
dosi poi il giorno seguente al Conte Antonelli.
Questi aveva fatto di tutto per avere la compagnia del nobilissimo capo
dell’Agamè nell’intento di rilevare l’entità scioana della dispendiosa sua

37
Pietro Antonelli (Roma, 29 aprile 1853 – in mare, 11 gennaio 1901) è stato viaggiatore e
diplomatico. Partecipò alla grande spedizione africana della Società Geografica Italiana del 1879 per
raggiungere nello Scioa il marchese Antinori. Nel suo primo soggiorno nel Corno d’Africa partecipò
a numerose spedizioni di carattere scientifico ma si adoperò anche per scalzare influenze e posizioni
economiche di compatrioti e di viaggiatori stranieri. Avviò relazioni con Menelik tanto da giungere
a stipulare un contratto con lui nel 1881, approvato e raccomandato dall’Antinori al governo, per la
fornitura di armi e l’apertura d’una nuova via commerciale attraverso la Dancalia, l’Assab-Aussa-
Scioa, al di fuori di qualsiasi controllo di terze potenze. Dopo un breve soggiorno in Italia, ritorna in
Abissinia nel 1883 per una seconda spedizione e nel 1884 una terza fornitura di armi. Dopo la
sconfitta di Dogali diventa il rappresentante ufficiale e personale di Crispi. Condusse nuovi
negoziati nel 1887 per la fornitura di armi a Menelik per garantirsi la sua neutralità nella guerra fra
Italia ed Abissinia. Nonostante i tentennamenti di Menelik e le sue false promesse, l’A. si recò a
Roma nel 1888 dove elaborò con Crispi un trattato da sottoporre a Menelik, che riconoscesse
all’Italia una posizione privilegiata in Etiopia. Nel 1889 arrivò ad Addis Abeba ed il 20 febbraio lo
schema di trattato, tradotto dall’alecà Josiéf Negasí, fu discusso e approvato dal sovrano. Dopo la
morte del negus Giovanni in battaglia e l’assunzione di Menelik al trono di re dei re d’Etiopia,
riesaminato di nuovo e modificato in più parti, ebbe il 2 maggio la sanzione imperiale nella pianura
di Uccialli. A metà del ‘90 l’imperatore, ormai saldo sul trono e ansioso di scrollarsi di dosso la
tutela italiana, impugnò clamorosamente la validità giuridica del protettorato italiano, denunziando
la discordanza tra i due testi dell’art. 17 e accusò pubblicamente l’Italia di averlo ingannato.
Antonelli ritornò in Etiopia nel dicembre 189 per riprendere le trattative che però furono rotte
definitivamente nel febbraio 1891 con la violenta reazione dell’A. con il distacco del sigillo dal
documento firmato, violando la rigida regolamentazione dell’emblema del potere. Cfr. C. Zaghi,
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 3, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 1961
(NdR).
29
Vito Zita

politica, ma al Mareb, ad Adua ed in seguito nell’Auzen ed a Macallè, potè


convincersi che la deferenza ed il rispetto che egli si ebbe, lo dovette non
già alla dinastia salomonica scioana, di cui egli era estremo fautore, ma alla
sua qualità di italiano mercè l’opera perfettamente italiana spiegata qui nel
nord Abissinia dai Comandanti superiori della Colonia coadiuvati, è giusti-
zia dirlo, efficacemente e con abnegazione da tutti gli ufficiali italiani di-
pendenti.
Intanto Menelich si avanzava finalmente verso il Tigrai per incoronarsi
solennemente in Axum e sottomettere definitivamente Ras Mangascià e
Ras Alula stremati di ogni risorsa.
In febbraio giunse a Macallè e le sue avanguardie si spingono fino ad
Axum ed Aguddi; ma qui giunto rinuncia ad avanzare oltre, sia per la scar-
sezza dei viveri e l’imperversare di malattie micidiali fra le sue truppe assai
numerose, sia per il contegno ostile delle popolazioni che osano tenergli
testa sebbene egli avanzi con tutta la sua maestà dell’Impero, come scrisse
un corrispondente di allora.
Ras Mangascià sollecitato da lui si induce a far atto di sottomissione il
che avviene in Macallè stessa (marzo 1890) e Ras Mangascià viene ricono-
sciuto capo del Tigrai con le stesse prerogative e con posizione analoga a
quella che Menelich aveva dello Scioa di fronte a Re Giovanni.
Alula non volle presentarsi all’Imperatore e rimase nel Tembien.
Ras Mangascià rimasto capo del Tigrai pensò subito a consolidarsi
l’obbligare Degiac Sabat dell’Agamè a sottometterglisi ma in tutte le spe-
dizioni che fece contro di lui non riuscì nell’intento.
Nel 1891 Menelich insiste presso Ras Mangascià perché si rechi da lui
ai Borumieda che desiderava incoronarlo Re del Tigrai.
Due partiti fortissimi s’erano intanto formati intorno al Ras; uno che lo
consigliava ad accettare l’invito, l’altro capitanato da Ras Alula che ve lo
dissuadeva.
Sia che nel suo animo prevalesse il parere di quest’ultimo, sia che aves-
se avuto sentore che gli italiani si dimostravano freddi con Menelichche di
quei tempi aveva rinnegato per nostra buona sorte il Trattato di Uccialli e si
era condotto col Conte Antonelli e col Conte Salimbeni, fatto sta che vinse
il secondo partito e Mangascià non si recò dell’Imperatore.
In maggio 1891 Debeb riuscì ad evadere dall’Amba Salama. In giugno
Ras Alula (calunniato a torto presso Mangascià e non avendo potuto otte-
nere giustizia) gli si ribellò contro seguito da Ras Agos e da molti altri ca-
pi.
Poco dopo Debeb si sottomise a Ras Mangascià e nel luglio anche Alu-
la, Agos, Ras Uoldenchiel e gli altri capi tornarono alla obbedienza. Vi fu
30
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

chi disse che la ribellione di Alula a Mangascià fu una finta per indurre i
moltissimi ribelli, di cui allora il Tigrai era pieno, a schierarsi o da una par-
te o dall’altra per averli poi tutti sottomessi.
Nei mesi di luglio e agosto 1891 tutto il Tigrai meno l’Agamè si riunì
intorno a Mangascià. A Debeb per accontentarlo erano stati dati vasti terri-
tori: Beesa, Icha, Gandapta, Entisciò, Gheralta, Endertà.
La quiete non durò molto.
Tutti i malcontenti ed i razziatori andavano radunandosi intorno a De-
beb e primo fra tutti Balghedà Bogallè suo fratello che si era ribellato a Ras
Mangascià.
Debeb indusse il Ras a perdonarlo e a dargli il titolo di Degiac; ma nel
medesimo tempo con pratiche segrete subornava tutti i capi di Mangascià,
raccoglieva partigiani, prometteva gradi e terre, lasciava la più larga libertà
di razziare a tutti i suoi subordinati e cercava di procurarsi il nostro appog-
gio.
Fallitogli questo intento non si perdè d’animo sperando di averci favo-
revoli quando fosse riuscito a debellare i Ras e continuò a raccogliere ar-
mati.
I Ras, specialmente Alula, erano al corrente di queste mene e non es-
sendo del tutto sicuri che Debeb non riuscisse una buona volta ad indurre
noi ad aiutarlo, decisero di finirla e gli mandarono l’ordine di presentarsi in
Adua.
Avendo Debeb rifiutato si venne presto a battaglia ad Alechsa o Abba-
garima a poche ore a S.O. di Adua. Debeb vi rimase ucciso ed i suoi capi e
soldati passarono ad ingrossare le forze dei Ras.
Sparito Debeb, Ras Mangascià tornò col pensiero alla sottomissione di
Sabat e marciò contro di lui; ma anche questa volta non si sentì forte abba-
stanza per abbatterlo e si contentò di indebolirlo togliendogli molte terre.
In seguito strinse cordiali relazioni col Governo italiano suggellandole
col convegno del Mareb 7-8 dicembre 1891.
Cresciuto così di potenza e di prestigio indusse Degiac Sebat dell’A-
gamè, da lui nominato Ras a sottometterglisi solennemente nell’Auzen il
10 marzo 1892.
Ras Mangascià aspira aperta mente alla corona di Re del Tigrai per ora,
in seguito a quella di Re dei Re d’Etiopia. Dipendono da lui presentemente
le seguenti provincie: Adiabo, Scirè, Tigrè, Agamè, Auzen, Terà, Gheraltà,
Adet, Tembien, Endertà, Sahartè, Avergallè, Haramat, Seloa, Uoggerat,
Ascianghi.
In caso di leva generale potrebbe riunire da sette ad ottomila fucili.

31
Vito Zita

Uizorò Taclè

Madre di Ras Mangascià. Appartiene a buona famiglia del Tigrai deca-


duta, ma che ebbe anche dei Ras nei tempi passati.
Il padre, Assellaffi Tomcò, era di End Alba Sahinà, presso Adua.
Si pose come gherèt (serva) con Degiac Gubsa fratello di Re Giovanni
ed ebbe intime relazioni coi due fratelli. Le nacque un figlio (Ras Manga-
scià) dopo dodici mesi dalla morte di Degiac Gubsa; il figlio, che Re Gio-
vanni avendo ragione di ritenere come proprio, in punto di morte a Me-
temmah riconobbe, legittimò, fece suo crede e presentò ai grandi
dell’Impero che lo circondavano pregandoli a prestargli obbedienza.
Uozorò Taclè non fu mai effettivamente moglie di Degiac Gubsa e dopo
la morte di questi continuò la sua vita irregolare passando ad altri onori.
Infatti, dopo la battaglia di Gudda Guddi, Ras Uoldenchiel ebbe il co-
mando di tutto l’Amasen, la famiglia di Sadzega rivale alla sua, si rifugiò
nel Tigrai dove Degiac Ailù era sostenuto in prigione da Re Giovanni, Aitò
Garemariam fratello di Degiac Ailù conobbe Uizorò Taclè e dalla loro pas-
seggiera relazione nacque Ligg Uoldusillassi che è perciò fratello uterino
di Ras Mangascià e fratello consanguineo di Grasmac Gubsa capobanda al
nostro servizio residente in Sad Azega.
Attualmente Uizorò Taclè vive nel End Alba Sahmà suo paese nativo e
dietro invito insistente di suo figlio Mangascià si è fatta monaca (felassit).

Iteghè Denchenesc

Sorella di Re Giovanni, moglie di Ras Garè Chidan e madre di Degiac


Sejum.
Vive a Macallè.

Ras Alula Turch-bascià

Capo del Tigrai propriamente detto, del Gheraltà, Tembien, Sahartè,


Avergalle, Selvà.
Nato a Meunè nel Tembien da contadini benestanti, per senso pratico,
coraggio, astuzia e fortuna in guerra acquistò il favore di Re Giovanni che
lo inalzò.
Devotissimo a Re Giovanni, ora e affezionato a Ras Mangascià, sebbene
lo ritenga di carattere debole.

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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Come Re Giovanni, per politica ed esteriorità religiosa, protesse e pro-


tegge il clero, sul quale si appoggia e dal quale è appoggiato, ed è base
principale della sua influenza sul Tigrai (Adua, Axum e dipendenze).
Ha moltissimi nemici principali fra questi i figli di Ras Area influentis-
simi nell’Endertà. La massa dei capi gl’invidia l’alta posizione che egli
plebeo ha saputo farsi.
Per vincere tale avversione ha cercato d’imparentarsi con famiglie nobi-
li: sposò dapprima una figlia di Ras Area dalla quale ebbe tre figlie e, mor-
ta quella, sposò una figlia di Degiac Zaalù dell’Aramat.
Delle sue figlie una sposò Degiac Adgù figlio di Fitaurari Marù e quindi
nipote di Re Giovanni; una sua nipote è moglie di Ras Sabat dell’Agamè.
Rappresenta il partito tigrino che nell’ultimo secolo e specialmente al
tempo di Re Giovanni dominò l’Abissinia ed è, per conseguenza, nemicis-
simo degli italiani e degli scioani.
In caso di leva generale può riunire 2 mila uomini a lui affezionati ar-
mati di fucili a retrocarica; 2.200 al più 2.300 armati, contando gli avventu-
rieri eventuali.
Ha 54 anni.

Ras Agòs

Nato ad Amba Ambarà nel Tembien.


È capo dello Scirè.
Non ha spiccate qualità militari; vecchietto (56 anni circa); buono, cal-
mo, poco avventuroso, è molto amico di Ras Alula di cui segue le sorti.
Ultimamente (novembre 1891) passato il Tacazzè, si impadronì del
Uolcait e del Tselemt (Salamat), ma ben presto, devastata la regione dai
suoi soldati, dovette abbandonarla (maggio 1892) e rientrare nello Scirè.
Lasciò il suo vicario nel Uolcait, sull’Amba Derentà, Asmac Enghedà
Uorcù suo compaesano.
Disponeva di 500 armati di fucile, ma ora ne ha appena 300 perché mol-
ti soldati per fame lo abbandonarono.

Ras Sabat

Di famiglia nobilissima. È capo dell’Agamè dove è molto amato, perchè


(così dice il Tenente Mulazzani 38) è poco esigente in fatto di tributi ed ab-
bastanza coscienzioso nell’amministrare la giustizia.

38
Il Ten. medico Natale Mulazzani era effettivo al IV Btg. indigeni e svolgeva il compito di
33
Vito Zita

Una profezia molto diffusa dice che egli diventerà Re del Tigrè «I Sa-
bagadis (dissemi un giorno Adgu Ambessa) avrebbero potuto diventare i
padroni di tutta l’Abissinia se non fossero stati gente di malafede, anzi di
nessuna fede (religione) come i Baria».
Accampa diritti sull’Acchelè Guzai, e più questa regione cresce in be-
nessere e più eccita l’ingordigia di lui impotente contro le forze e la vigi-
lanza dei capi della regione stessa. Più specialmente ambisce al dominio
dello Scimenzana che egli ed i suoi consiglieri ritengono da noi ingiusta-
mente usurpato perché fu quasi sempre considerato come dipendenza diret-
ta dello Scium dell’Agamè.
Aspirando alla corona del Tigrai, cercò l’amicizia del Governo italiano:
di dimostrò remissivo col Generale Baldissera e spalleggiò Degiac Sejum
contro Alula e Mangascià; sebbene in ritardo e con diffidenza venne ad
Adua invitato dal Generale Orero; e finalmente accompagnò il Conte An-
tonelli allorchè questi dopo la marcia su Adua, si recò con Degiac Macon-
nen all’incontro di Re Menelich in Macallè.
Quando però ebbe sentore che Ras Mangascià si sarebbe rappacificato
con Re Menelich lasciò bruscamente il Conte Antonelli e ritornò
nell’Agamè. Forse ebbe motivo di temere per la sua vita mentre era partito
persuaso di ottenere, se non tutto l’Acchelè Guzai, almeno lo Scimenzana,
in compenso per l’onore fatto a Maconnen con la sua compagnia.
Il Tenente Mulazzani dice: «l’amicizia di Sabat per gli italiani si mutò
in acerrima inimicizia dopo lo scontro sfortunato dei suoi razziatori coi
nostri indigeni ad Halat e dopo il convegno del Mareb, dal quale venne e-
scluso, onde pensò di riconciliarsi con Ras Mangascià, al quale si sottomi-
se il 10 marzo 1892 in Auzen e ne ebbe in premio il titolo di Ras».
Io credo invece che Ras Sabat, come tutti gli altri capi cerchi l’ami-
cizia del più forte. Non è già che ai suoi occhi gl’italiani non siano forti,
ma la malafede della sua casa, l’inimicizia di sangue con l’Acchelè Guzai
da noi protetto, la scarsità di contatto fra noi e lui ecc. sono tutti motivi che
lo consigliano ad accostarsi a quelli che crede rafforzati dalla nostra amici-
zia, anzicchè gettarsi direttamente in braccio a noi. Con quelli è sempre lui,
con noi sarebbe uno dei tanti. Perciò scrive lettere melate ma sta in guardia
sulle sue ambe, agogna l’Acchelè Guzai e ne teme la forza.

informatore. Nel 1894 era il residente di Adua e fu ritirato da tale località per ordine diretto di
Baratieri a causa della compromissione di Ras Mangascià a favore del bandito Batah Agos che si era
rifugiato in Halai dopo numerose scorrerie e razzie. Qui fu raggiunto dal IV Btg. indigeni
comandato dal Toselli e dopo un furioso combattimento vi trovò la morte. Il Ten. Mulazzani
ricevette la M.A.V.M. alla memoria per essersi distinto nel combattimento di Amba Alagè il 7
dicembre 1895 (NdR).
34
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Sono sicuro che se nello Scimenzana vi fosse una oculata Residenza ita-
liana appoggiata da un forte distaccamento regolare, Ras Sabat si accoste-
rebbe a noi tanto da romperla col capo od i capi del Tigrai. Del resto
l’Agamè è in tale situazione topografica e politica che o bisogna lasciarlo
come si trova per farsene un alleato eventuale, il che sarebbe sempre facile
se noi saremo i forti, ovvero assorbirlo completamente annullando i Saba-
gadis, ciò che consiglierà certamente l’avvenire.
Ras Sabat, così afferma il Tenente Mulazani, dispone di 1.200 soldati,
come armati non si sa: certamente i suoi fucili buoni non sono molti e sono
mal confezionati.
Il Tenente Barbanti39 (ottobre 1892) afferma che Ras Sabat dispone di
1.500 fucili, di cui non pochi ad avancarica.
Ha per moglie una nipote di Alula col quale si mantiene in ottimi rap-
porti. Ha un figlio giovinetto di 15 anniper nome Desta che venne nomina-
to Degiac in occasione del riconoscimento fatto dal padre in Auzen il 9
marzo 1892 di Mangascià a capo di tutto il Tigrai.
È circondato da persone a noi ostili, principale fra questi Cantiba (ora
Degiac), alcuni sottocapi di Debeb, che prima razziavano nell’Acchelè Gu-
zai, i fuoriusciti di quest’ultima regione. In una parola tutte le persone che
ci sono ostili trovano presso di lui aiuto e protezione.
Nell’Agamè vi è ricoverato Asmac Abarrà, della casa di Degiac Hailù,
nostro ribelle. Consigliatogli da Ras Mangascià la consegna di Aberrà Ras
Sabat non ha ascoltato, mentre prima al Tenente Grassi e poi nell’ottobre
del corrente 1892) al Tenente Barbanti disse che avrebbe consegnato Abar-
rà al Governo italiano quando questo gli avesse dato in mano il suo ribelle
cugino Ligg Agos figlio di Tafaù, il quale briganteggia sugli Hazo e sui
Gazo. È una delle tante furberie di Ras Sabat, il quale, mentre accoglie i
nostri nemici, cerca, in previsione dell’avvenire, assicurarsi le spalle con la
nostra amicizia, mercè vaghe parole da parte sua che non l’obbligano a nul-
la e che provocano promesse, le quali (egli lo sa) son mantenute da parte
nostra e tradotte in fatti.
Egli non vuol saperne di rinunciare alle sue pretese sullo Scimenzana e
nel convegno di Auzen le mise fuori arditamente e chiese ai Ras che lo so-
stenessero e gli dessero il loro appoggio.

39
Il Ten. Barbanti, come il suo pari grado Mulazzani, svolgeva opera di informatore. In seguito, con
il grado di Capitano ed al comando di una compagnia di militari indigeni, faceva parte della
spedizione in soccorso della piccola guarnigione, comandata dal Magg. Galliano, assediata nel forte
di Enda Jesus a Macallè dall’esercito abissino guidato da Menelik dal 15 dicembre 1895 al 22
gennaio 1896.
35
Vito Zita

Cerca di subornare le tribù musulmane che si sono messe sotto la nostra


protezione e si oppose a quelle altre che tendono al medesimo scopo.
Manda spesso sottocapi suoi a razziare ed intimidire quelli che non vo-
gliono obbedirgli.
I suoi capi cercano di spingerlo ad invadere lo Scimenzana per vendi-
carsi del sangue dei suoi rimasti uccisi ad Halat.
Nell’Agamè e presso di lui è ricoverato il ribelle Asmac Aberrà.

Degiac Tedla Uachid

Capo del Uoggerat, è nato a Macallè da parenti di modesta condizione e


perciò, come Alula, conta molti nemici fra gli altri capi, specialmente fra i
figli di Ras Area.
È giovane, valoroso, ardito, potente ed influente e dispone di 800 fucili.
Era molto amato di Re Giovanni.
Verso i primi del febbraio scorso trovandosi in Zobul ricevette dall’Im-
peratore invito di recarsi da lui in Borumieda. Egli che non aveva potuto
intendersi con Ras Mangascià per l’opposizione dei fratelli Debeb, accettò
l’invito nella speranza che l’Imperatore gli avrebbe concessi i paesi che
Mangascià gli negava, cioè Uoggerat e parte dell’Endertà. Ma Menelich gli
diede dei cavalli, delle armi e molte belle promesse, ma in quanto a terre
gli concesse lo Zabul (da lui stesso conquistato togliendolo a Ras Gare
Chidan) e piccola parte di Cobbo.
Per questo motivo Tedla Uachid appena partito da Borumieda ha riprese
le trattative per sottomettersi a Ras Mangascià.
Lo sicrede il probabile successore di Alula nel Tigrè alla morte di que-
sti.
In luglio 1892 rinforzato da gente dello Scioa e da disertori di Ras Man-
gascià ed Alula, si avanzò verso il Tigrè con l’intenzione di razziare il
Uoggerat e l’Endertà. Disponeva di 1.500 fucili. Ras Mangascià informato
dei suoi movimenti partì subito da Macallè colle forze che aveva sottoma-
no, circa 1.000 fucili, mandando in avanguardia i suoi sottocapi Fitaurari
Lenten, Blata Tessai e Degiac Adgù.
Incontrasi questi con Degiac Tedla Uachid si impegnò al combattimento
che riuscì completamente vittorioso per i soldati di Tedla Uachid. Fitaurari
Lenten cadde mortalmente ferito. Ma Ras Mangascià che era poco lontano
accorse in aiuto dei suoi dipendenti e riaccesasi la pugna Tedla Uachid fu
fatto prigioniero ed i suoi soldati sconfitti. Lo scontro avvenne il 28 luglio
1892 nelle piane di Sefà presso Aurba Arara nel Uoggerat. Degiac Tedla
aveva invaso i domini di Ras Mangascià per ordine di Menelich. In vista di
36
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

ciò e dell’affezione che Re Giovanni aveva avuta per l’Uachid, Ras Man-
gascià giunto a Macallè lo liberò, gli lasciò il grado come prima e gli ordi-
nò di recarsi di nuovo a Zobul ed Azebù Galla e di rimanervi ai suoi ordini.
In pari tempo il Ras pubblicava un bando nel quale dichiarava suo beneme-
rito chiunque avesse regalato dei fucili a Tedla Uachid.
In seguito a ciò tutti i capi andavano a gara ad offrire uomini ed armi al
Degiac che in un momento si trovò a capo di più di 500 uomini.
Partito da Macallè verso la metà di agosto Tedla Uachid dopo pochi
giorni giunse in Zobul, ma qui assalito quasi subito da Ras Oliè Butù con
forze preponderanti rimase ferito e prigioniero.

Ras Garè Chidan

Sotto Re Giovanni ebbe il titolo di Ras bitanoddet ossia Ras prediletto e


fu capo della casa dell’Imperatore.
Aveva molta influenza mercè la moglie Iteghè Deutenesc sorella ama-
tissima di Re Giovanni.
Dopo la morte del cognato si stabilì a Zobul di cui era capo ed ultima-
mente si dichiarò indipendente tanto da Menelich quanto da Ras Manga-
scià.
Ma Degiac Tedla Uachid lo assalì, lo vinse e gli e gli tolse la regione su
cui comandava in dicembre 1891, ma non lo imprigionò tanto che il Garè
Chidan da allora venne rifugiarsi in Macallè presso Ras Mangascià che gli
da dei sussidi.
È più che settantenne. Il battagliero Degiac Sejum era figlio di lui e di
sua moglie Iteghè Deutenesc.
Re Menelich nel febbraio 1892 diede lo Zobul a Tedla Uachid conside-
rando Ras Garè Chidan come ribelle alla sua autorità.

Ras Uoldu Micael


Popolarmente Uoldenchiel

Nativo di Ad Azega presso Asmara.


Sono famose le lotte da lui sostenute contro Degiac Ailù di Sad Azega
per la superiorità dell’Amasen.
Re Giovanni prima di divenire Imperatore li sottomise ambedue e li im-
prigionò.
Ras Uoldenchiel liberato in seguito prese parte con l’Imperatore al
combattimento di Gudda Gaddi contro gli egiziani (novembre 1875) e vi si
distinse tanto che Giovanni lo nominò Degiac, gli diede tutto l’Amasen e
37
Vito Zita

lo nominò difensore della frontiera contro gli egiziani, dandogli inoltre


l’incarico di riprendere i Bogos di cui gli egiziani in quel tempo si erano
impadroniti.
Ma Uoldenchiel sentendo che gli egiziani si preparavano ad un’altra
spedizione contro Giovanni, fece lega con loro e si recò a Cheren ove ebbe
fucili munizioni.
Dopo la sconfitta di Gura (marzo 1876), nel qual fatto d’armi Uolden-
chiel si distinse assaltando e razziando completamente il campo del Re
mentre questi combatteva contro gli egiziani, Uoldenchiel si ritirò a Cheren
e l’Imperatore, per punirlo della sua ribellione, liberò il suo nemico Degiac
Ailù e lo fece capo dell’Asmara al posto suo. Ma appena Uoldenchiel lo
seppe, radunò molti partigiani (tutto l’Acchelè Guzai corse a lui) ed incon-
tratosi con Ailù a Uocchi Dubbà (1877) lo sconfisse e l’uccise insieme a
molti suoi parenti.
Re Giovanni informato dell’accaduto gli mandò contro Ras Barian (pa-
dre di Degiac Garamedin del Beesa), ma Uoldenchiel sconfisse ed uccise
anche lui presso Asmara (altura dell’attuale campo cintato) nel 1878.
In queste operazioni era sempre stato aiutato con fucili e cartucce dal
Comandante egiziano di Cheren che oltre i doni e gli onori conferitigli, lo
aveva anche fatto capo di Halhal a N.O. di Cheren dove Uoldenchiel vive-
va coi suoi partigiani e famiglia.
Saputa la morte di Ras Barian l’Imperatore mandò nell’Amasen Sciale-
ca Alula con nuove forze e questi riesce a fugare il ribelle verso Cheren.
Segue un periodo di scorrerie e lotte continue di Uoldenchiel
nell’Amasen e di Alula nei Bogos.
Intanto Gordon bascià Governatore Generale del Sudan era sbarcato a
Massaua con incarico del Chedive di cercare di migliorare le relazioni fra
l’Egitto e l’Abissinia.
Una delle prime condizioni di Re Giovanni per procedere ad un accordo
fu che gli egiziani s’impegnassero ad impedire che il ribelle Uoldenchiel
continuasse le scorrerie nel territorio abissino e cessassero dall’aiutarlo con
munizioni e viveri come avevano sempre fatto.
Gordon trovò giusta la domanda e diede disposizioni in proposito; ma il
bey di Cheren (autorizzato segretamente dal Ministro della Guerra del Cai-
ro) continuò sottomano ad aiutare Uoldenchiel e spingerlo a nuove razzie.
Re Giovanni se ne lagnò con Gordon, il quale a sua volta gli scrisse che,
siccome era impossibile indurre colle buone Uoldenchiel a star tranquillo,
avrebbe cercato di imprigionarlo.

38
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

La lettera capitò in mano di Uoldenchiel, il quale allora lasciò Cheren


ed aprì subito trattative coll’Imperatore per sottomettersi chiedendo il gra-
do di Ras ed il governo di tutto l’Amasen.
Giovanni accettò e mandò a dire a Uoldenchiel di presentarsi ad Alula
per poi proseguire con costui fino al suo campo. Uoldenchiel obbedì, ma
poco dopo Re Giovanni mandò ordine improvviso ad Alula di incatenare il
Ras ed i suoi figli e mandarli sull’Amba Salama, il che fu fatto (1879).
Tale ordine dicesi sia stato provocato da Alula, al quale toccarono tutti i
domini di Uoldenchiel insieme al grado di Ras e di difensore della frontiera
settentrionale dell’Impero; ed è in questa maniera che egli cambiò il suo
modesto grado di Scialeca (aiutante del Re) in quello altissimo di Ras e di-
venne capo di tutto il Mareb Mellasc (oltre Mareb), cioè Amasen, Acchelè
Guzai, Seraè e musulmani dipendenti, nonché del paese dei Bogos che però
avrebbe dovuto togliersi agli egiziani.
Dei figli di Ras Uoldenchiel, uno, Degiac Maconnen, rimase morto nel-
lo scontro di Uorchì Dubbà; un altro, Degiac Mesfin, intrigò contro di noi
all’epoca dell’occupazione di Asmara e fu imprigionato e deportato in Ita-
lia ove morì. Il terzo, Ligg Ailè Malecot, vive presso il padre.
Ras Uoldenchiel rimase sull’Amba Salama fino al maggio 1891 e se ne
liberò all’epoca dell’evasione di Debeb.
Ora vive nel Tigrai al seguito di Ras Alula, che lo soccorre e mantiene,
non per simpatia od amicizia che anzi lo odia e ne diffida ancora quantun-
que non sia più in grado di nuocergli, ma forse per riguardo dell’alto grado
di cui è rivestito o piuttosto nella speranza che in un dato momento o in de-
terminate circostanze col suo nome e con la memoria delle sue gesta possa
essere a noi d’imbarazzo.
Però è vecchio presso l’ottantina, quasi sordo, pieno di malanni cagiona-
ti dalla sifilide e l’antica energia e ferocia sono scomparse. Non è più che
un’ombra del passato.
Nell’Amasen vivono ancora alcuni suoi partigiani, ma sono senza forza
e poi man mano vanno accostandosi al Governo italiano.

Capi secondari ma importanti del Tigrai

Degiac Adgu Marù

È figlio di Fitaurari Marù fratello di Re Giovanni. Dopo Degiac Mescia-


scià MArù morto assassinato ad Amba Sion, sarebbe egli il successore le-
gittimo di Re Giovanni se questo non avesse riconosciuto Ras Mangascià.

39
Vito Zita

È giovane di 22 o 23 anni, turbolento, ambiziosissimo, spesso ribelle;


ma dispone appena di 40 o 50 fucili, coi quali razzia spesso i paesi del
Tembien.
Ha sposato la figlia minore di Ras Alula.

Degiac Bajanè

È figlio di Ras Ailù Mariam, nipote di Re Giovanni, del quale sarebbe


successore legittimo dopo Degiac Adgu Marù.
Ha circa 18 anni. Ha molti partigiani ma è troppo giovane per rappre-
sentare una parte importante.
Vi si prepara però, ribellandosi spesso ai Ras e razziando con crudeltà
veramente giovanile.

Degiac Bogallè
e Degiac Tedla Abbaguben

Sono fratelli e figli di Ras Area. Capi di Macallè e di metà dell’Endertà,


nella quale regione hanno molti partigiani.
Nemicissimi di Ras Alula di Degiac Tedla Uachid e degli italiani, spe-
cialmente Bogallè, che ha avuto parte dei paesi che prima erano stati dati a
Debeb.
Sono due capi giovani, turbolenti, ambiziosi, spesso ribelli, ma in poco
buon accordo fra di loro.
Fra tutti e due dispongono di circa 400 fucili.
Ultimamente avevano congiurato per disfarsi di Ras Mangascià e di Ras
Alula. Degiac Tedla Abbagaben rivelò la congiura a Degiac Bogallè, cattu-
rato prima, riuscì a scappare.
Il 14 luglio 1892 furono imprigionati, come loro complici nella congiu-
ra, Degiac Borrù Terà, Degiac Agos Gheraltà, Degiac Gorfù Endertà, Fi-
taurari Merscia Tembien che doveva uccidere Mangascià, reo confesso,
morì pochi momento dopo che gli fu mozzata la lingua, una mano ed un
piede in Macallè, ove era stato condotto prigioniero da Degiac Cassa figlio
di Degiac Mochedè.

Balghedà Ailù
Balgheda Abbagos
Ligg Abraà

Figli anch’essi di Ras Area. Molto giovani specialmente gli ultimi due.
40
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

L’ultimo è stato per due anni all’Istituto internazionale di Torino e parla


l’italiano discretamente.
Vivono tutti presso Ras Mangascià e dispongono di un centinaio di fuci-
li.
Il primo venne coinvolto nella congiura contro Ras Mangascià e quindi
imprigionato e confinato sull’Amba Ambera.
Al Ligg Abraà, Ras Mangascià ha dato quasi tutti i fucili dei suoi fratelli
sicchè ora dispone egli solo di più di 150 armati.
Ras Mangascià gli dimostra molta affezione.

Degiac Tedla Aiba o Tedla Csarà

È capo di Aiba e di Abbi Derà. Da Re Giovanni che molto lo amava,


ebbe molti fucili e numerosi paesi da comandare.
Ora i suoi fucili sono appena 200 e la sua influenza è molto diminuita.
Morto Re Giovanni fu uno dei più attivi partigiani di Debeb, che poi ab-
bandonò per seguire Ras Mangascià dal quale ora dipende.
A causa di una parte dell’Haramat che fu sua ed ora è stata data a Ras
Sabat dell’Agamè è nemico di questi, e segretamente in urto con Ras Man-
gascià. È valoroso soldato e buon condottiero, contrarissimo agli europei
ed alla religione cattolica. Fu egli che distrusse le missioni cattoliche
dell’Agamè, maltrattando e spogliando i missionari e traendo in dura pri-
gionia il vescovo Touvier.
È piuttosto vecchio, pieno di ferite e sommamente intrigante.

Degiac Arerè

Fratello di Ras Area. Vive a Macallè presso Ras Mangasciàche gli usa
riguardo in grazia alla parentela. È tenuto in conto di pauroso, non ha co-
mando di sorta, non ha influenza.

Cagnasmac Gherenchiel

Fratello di Ras Area. Vive a Tulicot presso Macallè sussidiato da Ras


Mangascià. Non ha influenza.
Per una caduta da cavallo era rimasto zoppo. Nell’inverno scorso si recò
a Massaua, ove fu medicato e guarì perfettamente.

41
Vito Zita

Degiac Abai

Figlio di Degiac Ailù Mariam fratello di Ras Area e zio di Re Giovanni.


È capo dell’Adibarte, regione poverissima e pochissimo popolata. Di-
spone di 150 soldati.
Non molto influente; d’indole buona; non avverso agli europei; vive
sempre presso Mangascià e fa parte della sua corte.
Nemico di Ras Alula. Imprigionato in Macallè (luglio 1892) come con-
giurato contro Ras Mangascià e Ras Alula e confinato sull’Amba Amberà
nel Tembien.
Rimesso in libertà da Ras Mangascià nell’ottobre 1892 e reintegrato nel
suo grado.

Degiac Embajè

Figlio di una figlia di Ras Area. È capo di Nadier nell’Adet.


Turbolento, ambizioso, rappresentò una parte importante all’epoca delle
lotte fra Degiac Sejum e Ras Mangascià. Si ribellò varie volte e stette qual-
che tempo relegato sull’Amba Salama.
Ora dispone dai 2 ai 300 soldati, ma potrebbe nell’occasione trovare
molto più fra i facinorosi sempre in abbondanza nel Tigrai.
I Ras diffidano di lui: Alula gli è apertamente nemico.

Degiac Cassa

È figlio di Degiac Uachedè zio paterno di Re Giovanni. Capo di alcuni


paesi del Tembien.
È stato trattato con riguardo da Ras Mangascià che lo tiene fra i suoi
consiglieri.
È ambizioso, scontento, spesso ribelle; ma ha molta influenza e dispone
appena di 50 o 60 armati.
Una sua sorella, Embetiè Altasè è moglie di Ras Uold Micael dei Uollo-
Galla.

Scium Seloà Tesamma Grimai


Scium Seloà Ander Gacciò

Fratelli, entrambi capi del Selsà, entrambi influenti nella loro regione.
Affezionatissimi a Ras Mangascià, nemici degli scioani, nemicissimi fra
di loro.
42
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Dispongono fra tutti e due di circa 300 armati.

Degiac Marù

È fratello di Ras Agos. Suo figlio, Degiac Ubnè, impadronitosi dello


Tselemet e del Semien, si avanzava vittorioso verso Sud quando, mentre i
suoi soldati inseguivano i fuggitivi ed egli era rimasto con pochi uomini di
scorta, venne ucciso proditoriamente con una fucilata da uno dei nemici
che gli si trovava vicino (marzo 1892).
Degiac Marù è capo dello Tselemet ma non ha forze sufficienti (appena
150 armati) per tener testa a lungo contro i capi di Re Menelich.

Degiac Abbai

È figlio del fratello di Ras Alula, Bascia Gare Mariam morto nella bat-
taglia di Gura il 7 marzo 1876.
È il più importante sottocapo di Ras Alula, il quale gli fa governare una
gran parte del Tembien, il Sahartè, l’Avergallè.
Ha circa 26 anni; è valoroso, buono, giusto, molto amato da Alula, che
se lo tiene sempre vicino e non fa nulla senza consigliarsi con lui.
Le forze ragguardevoli di cui egli dispone (500 fucili) si contano con
quelle del Ras suo zio.

Degiac Abbai Agamè

È fratello di Ras Sabat dell’Agamè e con questi sempre in discordia.


Ha circa 30 anni. Turbolento, razziatore, ambizioso, aspira alla Signoria
dell’Agamè. È nemico degli europei e degli italiani in specie dopo il com-
battimento di Halat.
Ora è capo di Amba Senaiti e di piccola parte dell’Agamè meridionale.
Dispone di 200 fucili e dipende da Ras Mangascià.

Degiac Zuoldie o Uoldiè

Capo di Bzet, Uombertà e piccola parte dell’Agamè.


Di grande e nobile famiglia e parente, per via di donne, di Ras Manga-
scià, è il pretendente nato della Signoria dell’Agamè.
È naturalmente nemicissimo di Ras Sabat.
Ai tempi di Re Giovanni il comando dell’Agamè era tenuto da lui e da
Degiac Uold Gabriel, fratello maggiore di Ras Sabat, ma ora defunto. Ma
43
Vito Zita

alla morte di Re Giovanni, Sabat si fece assoluto padrone di tutta la regione


e ne cacciò Zuoldiè.
Da allora in poi, tutte le volte che Ras Mangascià si è volto verso
l’Agamè per combattere Sabat, ha proclamato capo della regione Degiac
Zuoldiè, il quale però non è riuscito mai a prendere effettivo possesso della
Signoria.
Anche Re Menelich lo aveva riconosciuto capo di una metà dell’Aga-
mè, lasciando l’altra metà a Sabat.
Ultimamente (novembre 1891) Ras Mangascià tolse a Sabat una gran
parte dell’Agamè e la divise fra Degiac Abbai (fratello di Sabat) e Degiac
Zuoldiè. Questi prima disponeva di moltissime forze ed era uno dei capi
più importanti del Tigrai; ora ha circa 200 armati che si contano con quelli
di Ras Mangascià dal quale dipende direttamente.

Degiac Tesamma

È nativo di Seloà. Marito di una figlia di Ras Alula, col quale non va
molto d’accordo ed al quale spesso si ribellò.
Prima era il braccio destro del Ras, disponeva di oltre 400 fucili e fu lui
che il 25 gennaio 1887 attaccò Saati. Aveva allora il grado di Barambaras.
Ha ora perduto la fiducia del Ras e dispone di pochi fucili, che si conta-
no con quelli di Ras Alula.
È capo di una parte del Sahartè.

Degiac Taclè Aimanot


(già Fitaurari Servellà)

Si trovò a Dogali a capo di 500 armati; dispone ora di 200 fucili che si
contano con quelli di Ras Alula.
Questi lo amava molto, glia ha dato in moglie una sua nipote, che prima
sposata da Fitaurari Debalicao era stata da questi abbandonata quando in
Asmara disertò da Alula per fuggire con Debeb nell’Assaorta, e lo tiene fra
i suoi più fidi consiglieri.
È d’una trentina d’anni, alto, forte e passa per uno dei più valorosi sol-
dati di Alula.

Degiac Tedla Fingial

È figlio di una sorella di Alula, dal quale è pochissimo amato perché


turbolento e spesso ribelle.
44
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Giovane erculeo, valoroso, si distinse a Cuffit e fu coperto di ferite a


Dogali. È capo di alcuni paesi nel Tembien.
Dispone di poche forze, che si contano con quelle dello zio.
È poco amato dai soldati e dalle popolazioni perché crudele e razziatore.

45
Vito Zita

Genealogia di Degiac Abraà Scirè

46
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Degiac Abraà Scirè

Marito di una figlia di Ras Agos, in sottordine del quale è capo di una
gran parte dello Scirè.
Disponeva di 300 fucili, che si contavano con quelli di Ras Agos. ulti-
mamente si ribellò (febbraio 1892), ma assalito da più parti fu sconfitto, i
suoi lo abbandonarono ed egli con poca gente andò a sottomettersi a Ras
Alula.
È probabile riacquisti la primitiva potenza perché è molto influente ed
amato nello Scirè.
È giovanissimo, valoroso e amato dai soldati per il valore e la liberalità.
I suoi dipendenti sono quelli che più spesso in unione agli armati
dell’Addiabò, vanno a razziare nei Basa e nei Baria.

Degiac Fanta

Già Ligg Fanta, poi Blata Fanta, benevolo carceriere dell’allora Mag-
giore Piano. Capo di metà della regione dipendente da Dobba Zamia a S. di
Adua.
È sempre stato uno dei capi più amati e beneficati da Ras Alula; ma du-
rante il 1891 cadde in disgrazia perché (dicevasi) teneva strette relazioni
col Tenente Colonnello Piano 40, allora comandante la zona di Asmara, ep-
però stette in prigione alcuni mesi. Liberato, fuggì e si presentò a Debeb;
ma dopo la sconfitta e la morte di costui si sottomise ad Alula, che gli per-
donò ma senza ridargli la fiducia primitiva.
Ora va rientrando nelle grazie del Ras, il quale ultimamente lo ha creato
capodi Adua (primi di maggio 1892).
Dispone di 100 fucili, che contansi con quelli del Ras. È giovine, forte,
aitante, uno dei migliori ufficiali di Alula, distintosi in molti combattimen-
ti.
Alula lo nominò capo di Adua e di tutte le terre fra detta città ed i Mai
Uerì insieme a Blata Alula.

40
Già dal 1885 con l’avvio dell’occupazione dei territori del Mar Rosso, molti giovani ufficiali di
Stato Maggiore vengono mandati a passare un periodo di esperienza o a comandare un reparto colo-
niale. È il caso del Colonnello Piano che già nel 1889 si sta guadagnando la fama di ufficiale com-
petente. Nel 1891 il Piano ha il comando di un reggimento in Eritrea ed entra in urto con il Governa-
tore Baratieri fino a giungere davanti al Consiglio di disciplina minacciatogli dal superiore. Ne esce
però assolto con formula piena, anche grazie all’interessamento del Gen. Sironi e del Col. Dal Ver-
me. Non torna più in Africa e dopo una possibile sistemazione a capo del 3° Ufficio a Roma, dove ci
sono colonnelli più anziani di lui, finisce nella fanteria Cfr. J. Lorenzini, Uomini e generali: L'élite
militare nell'Italia liberale (1882-1915), Angeli Editore, Milano, 2017, pag. 102-103.
47
Vito Zita

Degiac Tesfai

Di nobile famiglia del Tembien è figlio di Degiac Dersù ed è capo della


contrada Zazarà nel Tembien. Giovane robustissimo, ottimo guerriero, vie-
ne ritenuto come l’uccisore di Debeb nel combattimento di Abbagarima
(29 settembre 1891). Poco dopo questo combattimento assalì improvvisa-
mente Degiac Berisè (fratello del fu Bascia Burian Abasetan nostro capo
banda disertato) lo imprigionò, si impossessò dell’Amba Ferrahat presso
Debra Damo, dei fucili e di altre armi dei vinti.
È molto amato da Ras Mangascià, ma però è inimicassimo di Alula.
Per cagione di una contesa si ribellò con 300 fucili; inseguito da Alula,
abbandonato da molti dei suoi e circondato sopra un’amba, fu obbligato a
sottomettersi al Ras.
Ora sta presso di questo tramando nuove ribellioni.
Infatti fu imprigionato in Adua il 14 luglio 1892, perché congiurato con-
tro Ras Mangascià e Ras Alula.

Degiac Ali
Degiac Negussiè

Capi di Edda Maconnè nel Uoggerat, gelosissimi l’uno dell’altro.


Sono cugini perché figli di fratelli e provengono da una antica e nobile
famiglia.
Il primo marito di una figlia di Iteghè Deuchenesè e però cugino di Ras
Mangascià, è turbolento ed ambizioso e fu per molto tempo ribelle al Ras e
visse razziando quà e là con 500 armati. Poi avendo ottenuto di essere uni-
co capo di Edda Maconnè si sottomise e confinò il cugino Degiac Negussiè
sull’Amba Arasa. Ultimamente però Degiac Negussiè per aiuti avuti da
Degiac Tedla Uachid si liberò, piombò su Degiac Ali, lo vinse, lo ferì, lo
prese prigioniero ed aprì trattative con Ras Mangascià per sottometterglisi
a patto che lo riconoscesse capo di metà di Edda Maconnè.
I due cugini dispongono di quasi 200 fucili, che contasi con quelli di
Ras Mangascià.
In aprile 1892 un figlio di Degiac Ali sposò una figlia di Ras Manga-
scià, una ragazzina di 8 anni.

48
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Degiac Egzaò

È il più potente dei capi di Gheraltà. Dopo la morte di Re Giovanni fu


per qualche tempo ribelle, ma venne fatto prigioniero e confinato
sull’Amba Salama.
Liberatosi insieme a Debeb, si sottomise poi a Ras Magascià, che non
solo lo perdonò, ma gli lasciò il comando dei paesi che aveva prima della
ribellione.
Il Ras però lo tiene presso di sé e l’accarezza perché ne diffida.
È giovane, robusto, ottimo guerriero, amato dai guerrieri, irrequieto,
ambizioso.
Si sottomise a Mangascià in agosto 1892 un mese prima del combatti-
mento di Abba Garima, nel quale Debeb fu ucciso.

Degiac Agamè Romhà

È il capo più influente potente e dell’Agamè dopo Ras Sabat, il quale


chiede in ogni evenienza il suo parere, e (cosa notevole in un uomo così
diffidente come Ras Sabat) vi si conforma.
È Degiac Romhà che ha indotto Sabat a sottomettersi a Ras Mangascià,
il quale perciò lo nominò Degiac, mentre prima aveva il titolo generico di
Scium. Fu pure Romhà che nel febbraio 1889 indusse Ras Sabat a recarsi
in Adua, dove attendevalo il Generale Orero e dove (sempre perché diffi-
dente) giunse otto giorni dopo che il Generale ne era partito.
Il Romhà è ricco, accorto, buon parlatore, dispone di 300 fucili, che pe-
rò si contano con quelli del Ras, ed è sinceramente affezionato a Sabat.

Degiac Desta

Figlio di Ras Sabat dell’Agamè. Giovinotto di 15 anni, ardito, amatis-


simo dal padre. Quando Ras Sabat era in urto con Ras Mangascià e scrive-
va continue lettere al Generale Baldissera per avere cartucce, gli si fece in-
tendere che il Generale certamente gliele avrebbe inviate qualora, per di-
mostrare la ferma volontà di mantenersi amico degli italiani, egli avesse
inviato suo figlio Desta presso il Generale. Sabat si schermì dicendo che
suo figlio era tutto il suo mondo e troppo soffrirebbe se non potesse veder-
lo continuamente.

49
Vito Zita

Il suggerimento di chiedere Desta e non altri che Desta per ostaggio fu


dato da Degiac Batha Agos 41; la parata di di Ras Sabat fu abile, ma le car-
tucce non partirono.
41
Bahta Hagos, considerato il più fidato fra i capi indigeni, è stato nostro governatore nell’Acchelè
Guzai, sua terra di origine posta ai confini con il Tigrè. Ribellatosi nel dicembre 1894 alla nostra
autorità, soprattutto per le lusinghe di Ras Mangascià, fece prigioniero il residente italiano di Saga-
neiti, Ten. Sanguinetti e due telegrafisti, e si proclamò Sovrano dell’Acchelè Guzai. Con un bando
violentissimo contro gli Italiani chiamò alle armi la popolazione. Il giornalista Del Boca nel suo Gli
italiani in Africa Orientale vol. 1, Mondadori, Milano 2001, pag. 527 così descrive i motivi della
ribellione: «la sera stessa (quella in cui viene fatto prigioniero il Ten. Sanguinetti, NdR), presenti
tutti i capi eritrei della rivolta e i tre prigionieri italiani (il ten. Sanguineni e due telegrafisti), preci-
sa in modo chiarissimo i motivi della ribellione: i pesanti tributi e le tasse, l’Eritrea ridotta dagli
italiani una terra di schiavi, il furto delle migliori terre, i mille divieti ed obblighi, il disprezzo degli
occupanti per le loro religioni. Sanguinetti, che è costretto ad assistere a questa e ad altre riunioni,
può valutare quanto profondo sia l'odio degli eritrei per gli invasori». L’arrivo in soccorso della
colonna comandata dal Magg. Pietro Toselli (6 compagnie e una batteria indigena) davanti a Saga-
neiti indusse Bahta Hagos ad abbandonare quella località (il 16 dicembre) e a dirigersi su Halai, nel-
la speranza d’impadronirsi di quel forte presidiato da una compagnia agli ordini del Cap. Castellaz-
zi. Il 18, dopo vane intimazioni di Bahta Hagos per la resa del presidio, questo fu attaccato da circa
1.600 ribelli, e si difese valorosamente; le munizioni già scarseggiavano quando, nel pomeriggio,
alle spalle degli attaccanti, giunse la colonna Toselli. I ribelli, presi così fra due fuochi, furono sba-
ragliati e si sbandarono lasciando sul campo numerosi morti, fra cui lo stesso Bahta Hagos; il Ten.
Sanguineti fu liberato. Ne conseguì la completa pacificazione dell’Acchelè-Guzai. I ribelli superstiti
si ripararono presso ras Mangascià. Nel libro di testo di storia, in lingua inglese, attualmente in uso
nelle scuole eritree, Bahta Hagos figura come un eroe oppositore alla dominazione italiana e di con-
seguenza viene mitizzato. Di seguito la traduzione: «Di tutti i ribelli che hanno sfidato gli italiani,
Bahta è stato il più importante. Molto prima della venuta degli italiani, Degiat Bahta Hagos è stato
costretto a cercare rifugio per sé e per i suoi seguaci nel Sahel sotto Kentibai Hamid, dopo aver
ucciso un signore della guerra nel Tigray, Fitawrari Embaye. Bahta visse nel Sahel per 15 anni
come comandante dei soldati del Kentibay. Dopo che gli italiani occuparono Massaua, Bahta Ha-
gos li accolse e accettò la loro protezione e assistenza. Egli fu in grado di rafforzare le sue truppe
con le armi da loro ottenute. Nel 1889, a seguito dell’occupazione degli altipiani, gli italiani nomi-
narono Degiat Bahta come governatore di Segeneyti e gli diedero il titolo di Degiat. Tuttavia De-
giat Bahta Hagos non era soddisfatto di questo accordo. Nel 1893 l’Italia decise di espropriare un
quinto delle terre degli altopiani. Successivamente raddoppiarono la superficie dei terreni che ave-
vano precedentemente sequestrato. Questo significava che avevano espropriato quasi tutte le terre
coltivabili dell’intero altopiano. Il 14 dicembre 1894, Bahta dichiarò apertamente la sua rivolta
contro gli italiani che chiamò “il serpente bianco”. Imprigionò un comandante italiano di nome
Giovanni Sanguinetti. In preparazione per la resistenza, Bahta cercò di ottenere il sostegno di tutti
gli altipiani. Scrisse lettere ai leader tradizionali di Saho e Seraye, e, il 16 dicembre, fece un discor-
so a una riunione affermando, “Io ti libererò da colui che è venuto da oltreoceano per prendere i
nostri diritti, cogliere le nostre terre, espropriare la nostra agricoltura, e distruggere le nostre fore-
ste”. Il Governatore coloniale, generale Baratieri ordinò alle sue truppe di schiacciare la rivolta di
Bahta Hagos. La rivolta di Bahta era essenzialmente una rivolta contadina. Il 18 dicembre, Bahta
attaccò un’unità italiana di stanza a Halay. Il suo esercito contadino impegnò l’unità per diverse
ore. Entro la fine della giornata, però, arrivò un rinforzo italiano inviato da Asmara e Massaua.
Bahta fu ferito e poi morì. La sua rivolta è stata una delle più importanti rivolte contro il coloniali-
smo europeo nella nostra regione». Nei documenti conservati presso il ministero degli Esteri, A-
SMAI, vol. I Eritrea-Etiopia-Somalia, posizione 3-6, Questioni politico-militari (1891-1895) fasci-
colo 41, è presente una lettera del Sottosegretario di Stato Della Rocca indirizzata al Ministro degli
Affari Esteri; una relazione inviata dal ten. Grassi al Reggente il Governo della Colonia; una lettera
50
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Nebraid Uoldà Ghiorghis

Il capo religioso, civile e militare di Axum ha il titolo di Nebraid.


Tale dignità unica in tutta Etiopia, è una delle più elevate dell’Impero,
ed è ereditaria in una famiglia delle più antiche e nobili del Tigrai, la quale
perciò chiamasi dei Nebraid. Il Nebraid dipende direttamente dall’Impe-
ratore o dal Re del Tigrai, governa Axum (la città santa) e terreni annessi
con potere quasi sovrano.
L’Imperatore od il Re del Tigrai possono togliere al Nebraid la sua di-
gnità, ma debbono investirne uno della sua famiglia, non potendo esservi
assunto un estraneo.
Il Uolda Ghiorghis, attuale Nebraid, è un uomo sulla cinquantina, igno-
rante, rozzo, quasi ebete, ma è guidato da numerosi parenti astuti ed intelli-
genti.
Il titolo di Nebraid lo ha da tempo antico anche il capo del convento di
Abraà Azbaà in Aiba, il quale però ha diritti molto limitati avendo giuri-
sdizione soltanto sul convento.

inviata dal Governatore Gandolfi al Ministero degli Esteri nella quale vengono addirittura specificati
i beni razziati in denaro, merci e bestiame indicandone le quantità; nella relazione scritta sempre dal
ten. Grassi e indirizzata al Capo di Stato Maggiore della colonia circa la marcia di inseguimento dei
razziatori, risulta che l’avvio degli atti giudiziari nei confronti di Bahta Hagos ebbe inizio a seguito
di una razzia eseguita da lui e dai suoi uomini nei confronti di mercanti Assaortini di Archico.
51
Vito Zita

Clero del Tigrai


Personaggi importanti

Abuna Petros

Era l’Abuna di Re Giovanni e capo spirituale di tutto il clero etiopico:


ora lo è solo del clero tigrino. Ordinatore dei preti.
È tenuto in ostaggio da Re Menelich dello Scioa per impedire a Ras
Mangascià di farsi incoronare e per far prevalere in tutta l’Etiopia l’Abuna
dello Scioa Mattios.
L’Abuna, oltre a godere di posizione delle rendite di tutte le chiese del
Tigrai, ha in feudo il paese di Addi Abun a N. di Adua.
L’Abuna Petros è naturalmente, avverso a Re Menelich e devoto parti-
giano di Ras Mangascià.

Ecceghiè Teofilos
dell’Uoggara presso Gondar

Capo disciplinare ed ammnistrativo del clero delle chiese del Tigrai.


Era consigliere amato e fidatissimo di Re Giovanni. Nemico degli scio-
ani in genere e di Re Menelich in particolare; amicissimo di Ras Alula e di
Ras Mangascià.
Risiede ordinariamente in Axum. Non si fa nulla di notevole dai capi ti-
grini senza consultarlo.
Nel giugno passato (1892) Ras Alula recossi da lui per sentire il suo av-
viso circa la convenienza di recarsi nei Baria per compiere una razzia.
L’Ecceghiè Teofilos ve lo dissuase, anzi espresse il parere (così le infor-
mazioni) che non dovevasi far nulla che potesse turbare l’amicizia del Go-
verno italiano. Il clero tutto (così venne riferito) si mostrò unanime del pa-
rere dell’Ecceghiè, mentre è noto che nel Tigrai capi, soldati, contadini,
soffrirono per la carestia.
L’Ecceghiè sconsigliò il Ras per omaggio alla pace giurata? Il clero,
quello di Adua specialmente, fu del parere dell’Ecceghiè per disciplina o
perché il Governo italiano fa riattare la chiesa principale di Adua da una
squadra del Genio militare e regala i materiali occorrenti? Ras Alula si la-
sciò persuadere pensando che l’unica via d’onde arrivano granaglie nel Ti-
grai è quella di Massaua e guai se questa rimane chiusa; ovvero ha co-
scienza che i suoi recandosi di qua dal Mareb, invece di prendere granaglie
e bestiami, raccoglierebbero fucilate? Fu per essere soccorso in viveri che
dopo aver tardivamente catturato Bejanè ora tergiversa per consegnarlo?
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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Perché catturò solo Bejanè e non tutta la banda ribelle (e l’avrebbe potu-
to) la quale seguita a commettere ladroneggi?

Licacanat Melach Brahanat Aregani 42

Imposto, per volontà di Menelich, dall’Abuna Petros come Licacanat


(Vicario) nel suo Tigrè.
Ras Mangascià ritenendolo a se avverso ed uomo di poco conto non gli
permise di assumere la carica e lo confinò a Macallè dandogli a governare
qualche chiesa nell'Endertà.
Dicesi che l’Ecceghiè intenda nominare Licacanat il confessore di Ras
Mangascià, Memer Uolda Samuel.

Nebraid Fanta

Deposto da Re Giovanni per alcune colpe appostegli e sostituito da


Uold Ghirghis.
Nebraid Fanta vive ritirato nel chiostro di Axum, ma gode sempre di
grandissima influenza e viene consultato dai Ras negli affari importanti.
È stato in pellegrinaggio a Gerusalemme. È civile, intelligente, istruito e
buon parlatore.
Re Giovanni gli tolse l’importante carica perché non possedeva la forza
e l’energia necessaria per coprirla degnamente. Il Nebraid bisogna che sia
energico, risoluto e buon guerriero per far rispettare anche con la forza
l’autorità civile e religiosa di cui è investito.
Quando era Nebraid il Fanta, Axum ed i suoi territori erano pieni di la-
droni e ribelli, in gran parte partigiani o parenti di Nebraid Uold Ghiorghis.
Un giorno costoro circondarono il Fanta e lo fecero prigioniero. Re Gio-
vanni saputolo lo depose per sempre e nominò al suo luogo Uolde Ghior-
ghis.

Ghetai 43 Gabrè Ghiorghis

Capo del convento di Cacamà nel Tembien.


Godeva della completa fiducia di Re Giovanni.

42
«Melach Brahanat» significa “Angelo di luce”. «Cacanat» significa “prete”. «Licà»
significa “direttore, rettore”.
43
«Ghetai» significa “Signore”.
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Vito Zita

È vecchio, influentissimo, tenuto in conto di santo che presagisce il fu-


turo. I Ras non prendono una grave decisione senza consultarlo.

Memer 44 Gabresghi

Curato della chiesa di Madani Alem (Salvatore del mondo) in Adua. È


un intransigente politico e religioso dei più convinti, perciò avverso agli
europei.
Gode di grande influenza in Adua perché devoto e caricatevole. È stato
in pellegrinaggio a Gerusalemme, piuttosto vecchio.
Il 5 ottobre 1892 partito da Adua per soccorrere alcuni grossi mercanti
che erano stati minacciati di razzia della banda ribelle di Ligg Bejenè, im-
pegnatosi combattimento a Mai Comaul fra i ribelli e gli armati di Adua
che erano col Memer Gabresghi, questi ai primi colpi cadde mortalmente
ferito e morì poco dopo.

Melach Brahanat Fessahà

Curato della chiesa della Sellassiè (Trinità) e pure di quella di Mariam


Sion (Maria di Sion) in Adua.
Giovane di maschio aspetto, energico, intelligente, opportunista.
Molto ben visto da Ras Alula, del quale è parente, e dagli altri capi. fa-
vorevole anche a noi ma senza compromissione.
È in buone relazioni con il nostro capo banda Barambaras Tesfù Ma-
riam di Addiquoalà (odiato tanto da Alula) e gli manda spesso informazio-
ni. Tale amicizia è fatta di riconoscenza ed interesse.
Fin da quando Tesfù Mariam razziò nell’Adirbatè usò molte cortesie al
Brahanat restituendogli non so quanti capi di bestiame. Dopo d’allora spes-
se volte Melhà Brahanat in momenti torbidi mandò al sicuro in Adi Quala
le sue robe e bestiame.
Quando passano di qui suoi servi e quadrupedi provenienti da Massaua
oppure colà diretti, vengono accolti dal Tesfù Mariam, protetti e scortati.
Tesfù Mariam gli manda anche spesso dei regali.
Un figlio di Melahà Brahanat ha sposato nel gennaio 1892 la figlia di
una sorella dell’attuale moglie di Ras Alula.

44
«Memer» significa “Professore”
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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Amdi Brahan Areja 45

Prete nella chiesa della Sellassiè in Adua, sostituto nel precedente. È


vecchio e gode di molta considerazione.

Memer Gabrè Micael

Del Tembien. Capo del convento di Cieh nel Tembien. Gode di grande
influenza ed è molto rispettato da tutti i capi specialmente da Alula.
È consultato in tutte le gravi circostanze perché, uomo di senno, sa pre-
vedere gli avvenimenti. È capo del suddetto convento che trovasi a circa 5
ore di marcia a E. di Avi Addi nel Tembien. È vecchissimo, presso gli 80
anni.

Memer Gabrè Zama

È di Abba Garima presso Adua. È uno dei preti più influenti del Tigrai.
Molto amato da Re Giovanni venne da lui nominato, quantunque ancor
giovane, priore dell’importante e ricco convento di Abba Garima.
L’affezione che gli portava Re Giovanni lo rende anche oggi molto accetto
a Ras Mangascià, Ras Alula ed a tutti i capi del Tigrai.

Sono inoltre da tenersi in gran conto i seguenti personaggi del clero tigrino:

Memer Uold Abi Esghi

Priore di Debra Damo nell’Agamè. Si chiama Memer Uold Abi Esghi di


circa 45 anni, nativo di un paesello presso Debra Damo. Nominato Priore
da Re Giovanni in seguito a proposta del capitolo dei monaci del convento,
i quali riconobbero in lui un uomo giusto ed istruito. È in strette relazioni
con Re Sabat, Ras Alula e con tutti i capi del Tigrai.

Memer Gabrè Esghier

Priore di Debra Abbai, Memer Gabrè Esghier, nello Scirè. Sulla carta
1:175.000 il convento è segnato Debra Abaye a poca distanza sulla destra
del Tacazzè.

45
Significa “Sostegno della Luce”.
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Vito Zita

Z…………..

Priore di Ualdibba nello Tselemt. Sulla carta 1:1.750.000 è segnato sulla


destra del torrente Zazema affluente di sinistra del Tacazzè.
Non potuto sapere il nome del priore.

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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Grandi personaggi etiopici


di paesi oltre il Tacazzè

Ras Micael

Capo della vasta e ricca regione dei Uollo-Galla. Risiede abitualmente a


Magdala.
Musulmano di nobilissima famiglia galla venne fatto cristiano da Re
Giovanni che lo tenne al sacro fonte e lo amò poi sempre quasi come un
figlio e lo innalzò a tutti i gradi della gerarchia fino a quello di Ras dando-
gli il governo dei Uollo.
Allorchè Ras Adal (poi Re Tecla Aimanot) del Goggiam si ribellò, Re
Giovanni pensò di fare Re del Goggiam Ras Micael ed intanto lo nominò
governatore di quel paese mentre egli assediava Ras Adal sull’Amba Gi-
bella e cercava di averlo prigioniero. Ma andando in lungo l’assedio, Gio-
vanni si ritirò e Ras Micael non potè sostenersi con Ras Adal uscito
dall’amba.
All’epoca del matrimonio di Ras Area Sellassiè, figlio di Giovanni, con
la figlia di Menelich i Uollo furono tolti a Micael e dati come dote agli
sposi. Ras Micael ricevette in compenso Uorra Aimanò, Cercerà ed altre
terre. Riebbe il Uollo-Galla alla morte di Ras Area Sellassiè.
Dopo Metemmah Ras Micael non volle sottomettersi a Ras Mamgascià
e si ritirò sulla sua amba di Magdala tenendo contegno indipendente.
In seguito si sottomise a Menelich che gli lasciò il governo dei Uollo,
ma a detta di tutti la sua sottomissione non fu sincera.
È sempre stato nemico degli scioani; si accosterebbe più volentieri ai ti-
grini, ma preferisce soprattutto di non obbedire a nessuno.
Menelich diffida molto di lui e sarebbe contento se potesse disfarsene in
qualche modo: non potendolo lo tratta con gran distinzione e con blandizie
di ogni sorta e ultimamente gli ha dato in moglie una figlia (in febbraio
1892).
Però Ras Micael che aspira a farsi o ad essere fatto Re dell’Amhara dif-
fida a sua volta vedendo Re Menelich innalzar tanto Ras Oliè e sapendo
che egli ha in animo di nominare questo suo rivale al posto che egli ambi-
sce.
Dispone di circa 2.000 fucili e qualche centinaio di cavalieri.

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Vito Zita

Uaghscium Burrù

Capo della metà N. del Lasta con sede a Socota discende da una fami-
glia antichissima, che ebbe sempre la signoria del Lasta, dalla quale uscì
anche qualche Re d’Etiopia. È una specie di Vicerè.
Fratello di Uaghscium Burrù era quel Uaghscium Johesciè che, morto
Re Teodoro, si proclamò Atziè Taclè Ghiorghis e che nella battaglia presso
Adua nel 1871 fu vinto e fatto prigioniero da Giovanni Cassa, di poi Re
Giovanni II.
Uaghscium Burrù è cognato di Re Taclè Aimanot del Goggiam ed era
parente di Re Giovanni e quindi di Ras Mangascià per parte della moglie.
Si sottomise a Re Menelich ma di fatto vive indipendente.
Ultimamente Menelich gli tolse parte del Lasta per darla a Ras Oliè e in
compenso lo investì delle terre del ribelle Tedla Uachid, ma Burrù non fu
capace di conquistarle.
È perciò che Uaghscium Burrù è diventato contrario a Menelich ed in-
clina verso Ras Mangascià specialmente dopo il convegno avuto nel feb-
braio scorso in Borumieda con il Re dello Scioa.
Egli, invitato, vi si recò di buona voglia, sperando che Menelich gli a-
vrebbe restituito tutto il Lasta, ma invece ne ricavò in regalo cavalli, armi e
munizioni e delle grandi promesse. In realtà l’Imperatore gli tolse ancora
una parte delle terre che possedeva per darle ad altro Uaghscium suo pa-
rente ma suo nemico.
Dispone di un migliaio di fucili.
Uaghscium Burrù vanta con fondamento discendenza diretta dalla Reale
ed antichissima dinastia dei Zagne, il cui capostipite fu una donna: Tredda
Gabeg detta anche Essat (fuoco) che determinò la stirpe salomonica e tra-
sportò la capitale della dominazione etiopica da Axum nel Lasta. Dopo lei
regnarono 4 suoi discendenti: Imra, Lalibala il santo, Uaculo ed Harbai.
Regnando quest’ultimo nel 1255 A.C. il santo monaco Abba Taklè Ai-
manot persuase Re Harbai ad abdicare a favore di un discendente della le-
gittima dinastia che fu Ieon Amlac.
La maggior parte delle cronache dei Re etiopici non fanno menzione dei
4 Re della casa Zagnè perché dalla maggioranza delle popolazioni vennero
sempre considerati come usurpatori; in tutte però si accenna alla dinastia
Zagnè.
Re Menelich nel convegno di Borumieda (gennaio-febbraio 1892) im-
pose a Uaghscium Burrù di dare parte del Lasta a Uaghscium Ghebbedè
figlio di Uaghscium Tasari parente del Burrù. Tale atto si spiega colla dif-

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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

fidenza di Menelich ha del Burrù perché lo sa ambizioso, di spirito indi-


pendente, pronto a ribellarsi ed a far causa comune con i capi del Tigrè.

Ras Oliè

Fratello della Regina Taitù. Capo del Beghemeder e di una gran parte
dell’Amhara fino all’Eggiù.
Nemico di Ras Mangascià e dei tigrini. È il più potente capo di Mene-
lich.
Aspira al trono dell’Amhara ed è perciò che egli è geloso di Ras Micael
e questi di lui.

Ras Maconnen

Cugino di Re Menelich; capo dell’Harrar e dei somali dipendenti. È il


più istruito, intelligente ed avveduto dei capi scioani. Non ha fama guerrie-
ra, ma è molto amato dai suoi guerrieri.
Per la sua potenza, abilità politica e per le sue aderenze è certo uno dei
più forti pretendenti alla successione di Re Menelich suo cugino, che non
ha discendenza maschile.

Ras Mesciascià

Figlio secondogenito di Re Teodoro, capo del Fogerà e del Quarà. È uno


dei capi più importanti dello Scioa, ma non ha fama guerriera, né dispone
di grandi forze.

Ras Mangascià Atichè

Potentissimo ora alla corte di Menelich.


È uno dei bravi capi militari dello Scioa.
Le ragioni di suo comando sono fra i Galla.

Ras Darghiè

Zio di Menelich. È a capo delle regioni Sallahè, Arussi, Galla e metà It-
tu-Galla.
Vecchissimo, fu un bravo guerriero. È un ottimo consigliere ed un capo
dei più influenti e rispettati dello Scioa.

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Vito Zita

Contrario alle espansioni di Menelich, è fautore della prosperità e gran-


dezza delle antiche provincie scioane.

Ras Uolde Gabriel

Capo della provincia Ciarciar, di metà degli Ittu-Galla e di parte dei Da-
nachil fino a Mullu.
È Ras di recente nomina.

Degiac Tesamma Nadò

Capo degli ex regni Galla di Gumma e Luhabor.


Molto potente. Influentissimo presso Menelich.

Degiac Mesciascià Uorchiè

Capo di piccola parte del Beghemeder e Dembea con sede ad Ambacia-


rà.
Intelligente; come abissino, molto istruito, astuto, buon parlatore; influ-
ente e fidato consigliere di Menelich.
Sa di aver rappresentato, mercè il favore del Conte Antonelli, una parte
importante presso il nostro Governo da dopo la marcia su Adua fino alla
metà del 1891 quando dovette lasciare il Tigrai perché erasi reso inviso a
noi ed ai Ras di quel paese, specialmente Ras Alula.
Non ha fama militare. È piuttosto vecchio e soffre di podagra 46.

Grasmac Iosef

Conosce benissimo il francese. Fu in Francia, in Italia, altrove. intelli-


gentissimo, ambizioso, astuto, venale. Sebbene pochissimo simpatico per
la volgarità della sua indole, sa esercitare molta influenza.
Ora fa parte della casa dell’Imperatore e da agente del Conte Antonelli,
che se ne fidò troppo, è divenuto l’agente influente degli emissari francesi
presso Menelich.
Fu causa prima della rottura di quel famoso trattato di Uccialli, che il
Conte Antonelli aveva conchiuso principalmente accaparrandosi
l’appoggio di lui.

46
La podagra è un attacco infiammatorio acuto e doloroso localizzato alle articolazioni del
piede (NdR).
60
Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Licamequas Abatè 47

Capo dei favoriti di Menelich e suo consigliere.

Azagè Zammaniel

Provveditore della casa della Regina

Azagè Sinchiè
Azagè Uolde Zadech

Provveditori della casa di Menelich

Degiac Gheramanù
Fitaurari Tanfù

Vecchi consiglieri di Menelich. Fanno parte della sua casa.

47
Capo dei favoriti. Le persone che hanno questo grado siedono alle udienze a destra e a
sinistra del Re. In guerra cavalcano ai suoi fianchi vestiti perfettamente come lui per
togliere la probabilità che sia tosto riconosciuto dai nemici ed ucciso.
61
Vito Zita

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Capi, notabili e personaggi eritrei ed etiopici

Fonti

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Vito Zita

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