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ALESSANDRO CRISTOFORI

Non arma virumque

Le occupazioni nell’epigrafia del Piceno

LO SCARABEO EDITRICE
BOLOGNA 2004
TARSIE
Studi di Antichistica

Diretti da LUCIA CRISCUOLO e GIOVANNI GERACI

Come l'arte che connette tasselli di varie forme e


materiali per formare un disegno compiuto, la
Collana di Antichistica “Tarsie” ospita studi che
analizzano, ricompongono e definiscono aspetti
molteplici delle civiltà classiche, sia in opere
monografiche sia in contributi miscellanei.
TARSIE Studi di Antichistica 2
Stampato con il contributo dell'Università di Bologna

In copertina
Sarcofago di un vinarius da Ancona. Ancona, Museo Archeologico Nazionale. Immagine per gentile
concessione della Fototeca del Deutsches Archäologisches Institut (Inst. Neg. 61.251).

Nell'eventualità che immagini di competenza altrui siano riprodotte in questo volume, l'autore è a
disposzione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire.

ISBN

© 2004 EDITRICE LOSCARABEO


Via delle Belle Arti, 27/a
Bologna – Tel/Fax 051/22.95.12

Prima Edizione: Settembre 2000


Seconda Edizione, riveduta ed ampliata: Marzo 2004
Proprietà letteraria riservata

La riproduzione di testo e figure anche parziale ed in qualsiasi forma,


se non autorizzata, sarà perseguita a norma di legge.
Ai miei genitori e a Carla
Sommario
Prefazione p. 13
Parte I. Introduzione p. 15
Premessa p. 15
1. I limiti della ricerca p. 24
1.1. Limiti tematici: le attività lavorative nel
senso più ampio del termine p. 24
1.2. Limiti geografici e cronologici p. 30
2. I caratteri della documentazione p. 30
3. Le attività economiche nel Piceno p. 35
3.1. Le attività agricole e il settore primario p. 35
3.2. La manifattura p. 49
3.2.1. Le anfore p. 50
3.2.2. Le anfore Lamboglia 2 e affini p. 50
3.2.3. Le anfore “ovoidali” p. 54
3.2.4. Le anfore Dressel 6A p. 55
3.2.5. Le anfore Dressel 6B p. 63
3.2.6. Le anfore da olive a corpo troncoco-
nico p. 65
3.2.7. Le anfore a collo ad imbuto p. 66
3.2.8. Le anfore a fondo piatto p. 67
3.2.9. La produzione di tegole e mattoni p. 68
3.2.10. Lucerne e vasellame ceramico p. 71
3.2.11. Altre manifatture p. 72
3.3. Il commercio p. 73
4. La menzione dell’occupazione nell’epigrafia:
aspetti sociali ed ideologici p. 79
8 Sommario

4.1. La considerazione sociale del lavoro nelle


fonti letterarie: un’ideologia coerente? p. 81
4.2. Ambiente “aulico” ed ambiente “volgare”:
una contrapposizione assoluta? p. 90
4.3. Le ragioni del ricordo di un mestiere nella
documentazione epigrafica p. 96
Parte II. I documenti p. 105
Segni diacritici p. 105
Ancona p. 107
Ancona 1 p. 107
Ancona 2 p. 111
Ancona 3 p. 118
Asculum p. 123
Asculum 1 p. 123
Asculum 2 p. 138
Asculum 3 p. 149
Asculum 4 p. 153
Asculum 5 p. 162
Auximum p. 166
Auximum 1 p. 166
Auximum 2 p. 176
Auximum 3 p. 185
Auximum 4 p. 190
Auximum 5 p. 193
Auximum 6 p. 200
Auximum 7 p. 205
Auximum 8 p. 209
Auximum 9 p. 211
Auximum 10 p. 219
Auximum 11 p. 222
Auximum 12 p. 230
Auximum 13 p. 234
Sommario 9

Auximum 14 p. 239
Auximum 15 p. 245
Cingulum p. 250
Cingulum 1 p. 250
Cluana p. 255
Cluana 1 p. 255
Cluana 2 p. 259
Cupra Maritima p. 261
Cupra Maritima 1 p. 261
Cupra Montana p. 273
Cupra Montana 1 p. 273
Falerio p. 283
Falerio 1 p. 283
Falerio 2 p. 289
Falerio 3 p. 295
Falerio 4 p. 300
Falerio 5 p. 303
Falerio 6 p. 307
Falerio 7 p. 309
Falerio 8 p. 320
Falerio 9 p. 326
Falerio 10 p. 330
Falerio 11 p. 346
Firmum p. 361
Firmum 1 p. 361
Firmum 2 p. 365
Firmum 3 p. 373
Firmum 4 p. 376
Hadria p. 384
Hadria 1 p. 384
Interamnia p. 387
10 Sommario

Interamnia 1 p. 387
Interamnia 2 p. 396
Interamnia 3 p. 400
Interamnia 4 p. 408
Interamnia 5 p. 410
Interamnia 6 p. 414
Interamnia 7 p. 425
Potentia p. 427
Potentia 1 p. 427
Ricina p. 433
Ricina 1 p. 433
Ricina 2 p. 445
Ricina 3 p. 448
Septempeda p. 452
Septempeda 1 p. 452
Tolentinum p. 455
Tolentinum 1 p. 455
Trea p. 465
Trea 1 p. 465
Trea 2 p. 472
Trea 3 p. 476
Trea 4 p. 478
Trea 5 p. 481
Truentum p. 482
Truentum 1 p. 482
Truentum 2 p. 496
Urbs Salvia p. 508
Urbs Salvia 1 p. 508
Urbs Salvia 2 p. 511
Urbs Salvia 3 p. 517
Urbs Salvia 4 p. 520
Sommario 11

Urbs Salvia 5 p. 530


Urbs Salvia 6 p. 535
Urbs Salvia 7 p. 545
Parte III. Conclusioni p. 551
1. La distribuzione delle testimonianze p. 553
1.1. La distribuzione geografica delle testimo-
nianze p. 553
1.2. La distribuzione cronologica delle testi-
monianze p. 555
2. La gente di mestiere del Piceno p. 563
2.1. Attestazioni individuali e attestazioni col-
lettive p. 563
2.2. La condizione giuridica dei lavoratori p. 564
2.3. Le relazioni delle gente di mestiere p. 569
2.4. Stranieri e indigeni p. 572
2.5. La gente di mestiere e i sacerdozi legati al
culto imperiale p. 572
2.6. Il mondo religioso della gente di mestiere p. 573
3. Le occupazioni attestate nell’epigrafia del Piceno p. 574
3.1. I grandi settori di attività nell’epigrafia del
Piceno p. 574
A. La produzione p. 576
B. Il commercio, i trasporti, le finanze p. 580
C. I servizi e gli spettacoli p. 582
D. Le arti liberali p. 584
3.2. Occupazioni private, occupazioni relative
alla res publica p. 588
3.3. Le occupazioni femminili p. 590
4. Le associazioni di mestiere p. 591
4.1. Le associazioni di mestiere del Piceno p. 591
4.2. Membri delle associazioni di mestiere p. 596
4.3. Magistrati delle associazioni di mestiere p. 597
4.4. Patroni delle associazioni di mestiere p. 598
12 Sommario

5. Prospettive p. 601

Appendice. I medici nella documentazione epigrafica


dell’Italia romana p. 603

Bibliografia p. 613

Tavole di concordanza p. 671

Indici p. 681
1. Nomi di mestiere p. 681
2. Associazioni di mestiere p. 685
3. Fonti letterarie p. 687
4. Fonti epigrafiche p. 691
5. Fonti papiracee p. 709
6. Fonti giuridiche p. 711

Indice delle tavole p. 713


Tavole p. 717
Prefazione
Qualche anno prima della distruzione della sua città, un anonimo pompeiano,
evidentemente uomo di cultura e soprattutto di spirito, incise sul muro di una ful-
lonica il verso Fullones ululamque cano, non arma virumque (CIL IV, 9131 = CLE
1936): gli eroi dell’improvvisato ma arguto poeta non erano dunque Enea e i suoi
compagni, ma i follatori di Pompei e il loro animale totemico, la civetta. Dal
graffito nasce il titolo di questo lavoro, i cui protagonisti sono modesti quanto i
fullones pompeiani e la loro ulula: artigiani, commercianti, impiegati e membri
delle associazioni di mestiere del Piceno romano che, facendo iscrivere sulla pietra
il loro nome e la loro professione, al più pensavano di tramandare il ricordo di sé
nella propria comunità per qualche generazione. Spero non dispiacerà loro se que-
sta ricerca li proietterà per un attimo in un mondo diverso da quello che immagina-
vano.
Al termine del libro, più che doveroso, mi è gradito ricordare le persone che
l’hanno reso possibile: esso è stato scritto tra il Dipartimento di Storia Antica
dell’Università di Bologna, al cui personale va la mia gratitudine per la sempre
puntuale collaborazione prestatami, e l’incomparabile atmosfera di Villa Canestrini
al Doss Tavon: un ringraziamento speciale dunque al padrone di casa, Francesco
Salvaterra. Molti studiosi mi hanno generosamente aiutato: vorrei ringraziare in
particolare Lidio Gasperini, che di questo lavoro è stato l’ispiratore, e poi Marco
Buonocore, Alfredo Buonopane, Maurizio Buora, Lucia Criscuolo, Ivan Di Stefano
Manzella, Lisa Maraldi, Arnaldo Marcone, Werner Eck, Giovanni Geraci, Silvia
Maria Marengo, Gianfranco Paci e Antonio Sabattini, che, con i loro consigli e le
loro preziose osservazioni hanno reso migliore questo lavoro. Alla responsabilità
personale dell’autore restano invece da imputare errori ed omissioni.
Non è per convenzione che vorrei sottolineare come questa ricerca non
avrebbe mai visto la luce senza la straordinaria disponibilità delle istituzioni e dei
funzionari locali, ma anche dei semplici cittadini delle Marche e dell’Abruzzo, che
mi hanno aiutato a rintracciare i monumenti oggetto della presente indagine: in
particolare ricordo con gratitudine a Civitanova Alta il dott. Alvise Manni, a Cupra
Marittima il sig. Giancarlo Morganti, il dott. Delio Micozzi del Museo Civico di
Macerata, a Massa Fermana la dott.ssa Procaccini, a Porto S. Elpidio il prof.
Giovanni Tombolini e la moglie Anna Rita Tombolini, a San Severino Marche
l’architetto Marta Stoppoloni della Comunità Montana Alte Valli del Potenza e
dell’Esino.
Scrivere una monografia non è opera di tutti giorni, in particolare per me. Mi
sia dunque consentito cogliere questa occasione per una duplice dedica: ai miei ge-
nitori (che fin da ora esento dalla lettura dell’opera) e a Carla, che in questi anni ha
assistito con allarmato stupore al lievitare della ricerca da “articolo”, a “lungo arti-
colo”, a “breve saggio”, fino alle attuali, preoccupanti, proporzioni.

Alessandro Cristofori
Bologna - Doss Tavon, agosto 2000
Prefazione alla seconda edizione
La buona accoglienza della mia ricerca tra il pubblico degli specialisti ed il
fatto che il volume, stampato in numero limitato di copie, sia andato rapidamente
esaurito, mi hanno indotto a preparare una seconda edizione nella quale sono ri-
fluiti 4 documenti di recente pubblicazione relativi alle occupazioni nella regio V:
si tratta delle iscrizioni Asculum 3, Potentia 1, Trea 3 ed Urbs Salvia 1. Nel com-
mento ai documenti già compresi nella prima edizione e nelle considerazioni di ca-
rattere più generale delle Parti I e III ho tenuto conto delle bibliografia più rilevante
sul soggetto edita da tre anni a questa parte, sebbene l’impostazione della ricerca
sia rimasta sostanzialmente immutata.

Alessandro Cristofori
Bologna - Doss Tavon, dicembre 2003
Parte I. Introduzione
Premessa
Sono ormai passati oltre venti anni da quando Lidio Gasperini,
nell’introduzione ad un’indagine sulle gentes senatorie originarie del Piceno, scri-
veva: “Una ricerca come quella in questione … presuppone necessariamente una
buona (se non una compiuta) conoscenza delle strutture socio-economiche dei ter-
ritori medesimi e quindi, a monte, una serie di ricerche specifiche come, per citarne
qualcuna, quelle sulla produttività del suolo e le forme di sfruttamento delle diverse
risorse agricole, sulla nascita e lo sviluppo del latifondo, sulle vicende di classi so-
ciali affini (come il ceto medio imprenditoriale) ecc., che ancora, purtroppo, man-
cano del tutto per la regione picena”1.
Da allora molta strada è stata percorsa nella ricerca sulle strutture economi-
che e sociali della regio V. Per ricordare solo alcuni degli studi significativi e pur
con le inevitabili omissioni, vorrei citare la fondamentale ricerca di L. Mercando,
L. Brecciaroli e G. Paci sull’occupazione del territorio in area marchigiana2, la
sintesi regionale di C. Delplace, punto di arrivo delle pluriennali ricerche
dell’Università di Strasburgo nel Piceno ed in particolare ad Urbs Salvia, e nel
contempo punto di partenza prezioso per ulteriori riflessioni3, le indagini condotte
da M.P. Guidobaldi sull’ager Praetuttianus4 e da L. Pupilli sul Piceno centrale5, la
messa a punto sui beni archeologici del territori di Ascoli Piceno e Fermo6, infine
le monografie o raccolte di scritti su alcune delle città più significative della regio
V, come Asculum7, Cluana8, Cupra Maritima9, Falerio10, Firmum11, Hadria12,
Interamnia13, Potentia14, Trea 15, Truentum,16 Urbs Salvia17.

1 L. Gasperini in L. Gasperini - G. Paci, Ascesa al senato e rapporti con i territori d’origine. Italia:
regio V (Picenum), «Atti del Colloquio Internazionale AIEGL su epigrafia e ordine senatorio. Roma,
14-20 maggio 1981», II, Roma 1982, p. 202.
2 L. Mercando - L. Brecciaroli Taborelli - G. Paci, Forme d’insediamento in territorio marchigiano
in età romana: ricerca preliminare, «Società romana e produzione schiavistica», I, a cura di A.
Giardina - A. Schiavone, Bari 1981, pp. 311-348.
3 C. Delplace, La romanisation du Picenum. L’exemple d’Urbs Salvia, Rome 1993, su cui vd. il re-
view article di L. Gasperini, Urbs Salvia et la romanisation du Picenum, «JRA», 11 (1998), pp. 499-
502. Tra i contributi di respiro regionale si deve ricordare anche la recente raccolta di saggi di N.
Alfieri, Scritti di topografia antica sulle Marche, a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli 2000 (Picus
Supplementi VII).
4 M.P. Guidobaldi, La romanizzazione dell’ager Praetutianus (secoli III - I a.C.), Perugia 1995.
5 L. Pupilli, Il territorio del Piceno centrale in età romana. Impianti di produzione. Villae rustiche.
Villae di otium, Ripatransone 1994; Ead., Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico al Medio-
evo. Dall’otium al negotium, Ripatransone 1996.
6 G. De Marinis - G. Paci (a cura di), Atlante dei beni culturali dei territori di Ascoli Piceno e di
Fermo. Beni archeologici, Ascoli Piceno 2000.
7 G. Conta, Asculum II, 1. Il territorio di Asculum in età romana, Pisa 1982.
16 Introduzione

Per quanto concerne la documentazione epigrafica, che apporta continua-


mente nuove informazioni utili per la ricostruzione della storia sociale ed econo-
mica, la pubblicazione di nuovi testi ed il riesame di quelli già editi ha trovato natu-
rale collocazione nella rivista «Picus. Studi e ricerche sulle Marche nell’antichità»,
il cui primo fascicolo è stato pubblicato nel 1981, e nella nuova serie dei Supple-
menta Italica18, particolarmente ad opera di L. Gasperini, S.M. Marengo e G. Paci.
Le iscrizioni della fascia meridionale della regio V, oggi facente parte dell’Abruz-
zo, sono state instancabilmente indagate da M. Buonocore19.

8 M.L. De Luca - A. Manni (a cura di), Civitanova romana. Archeologia e storia della Bassa Valle
del Chienti, Civitanova Marche 1993.
9 P. Fortini, Cupra Maritima. Origini, storia, urbanistica, Ascoli Piceno 1981; G. Paci (a cura di),
Cupra Marittima e il suo territorio in età antica. Atti del Convegno di Studi. Cupra Marittima, 3
maggio 1992, Villa Adriana - Tivoli 1993 (Picus Supplementi II).
10 G. Paci (a cura di), Scritti su Falerone romana, Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Supplementi
III); L. Maraldi, Falerio, Roma 2002.
11 L. Polverini - N.F. Parise - S. Agostini - M. Pasquinucci (a cura di), Firmum Picenum I, Pisa 1987.
12 G. Azzena, Atri. Forma e urbanistica, Roma 1987; G. Martella, L’ager Hatrianus: sfruttamento
economico del territorio, contatti e scambi commerciali, «Italy in Europe: Economic Relations, 700
B.C. - A.D. 50», a cura di J. Swaddling - S. Walker - P. Roberts, London 1995, pp. 23-39; si vedano
inoltre una serie di contributi dedicati al tema Ricognizioni nell’ager Hatrianus. Storia, insediamenti
ed economia di un territorio, recentemente pubblicati nella rivista «Münstersche Beiträge zur antiken
Handelsgeschichte», da valutare comunque con una certa prudenza: O. Menozzi, La ricerca: metodo-
logia, finalità e lettura dei dati. Viabilità e quadro degli insediamenti, «MBAH», 17 (1998), 1, pp.
33-45; G. Martella, L’età protostorica. Società e scambi culturali nel Sud-Piceno, ibid., pp. 46-67; F.
Grue, Età romana. Storia ed economia del territorio, ibid., 17 (1998), 2, pp. 12-19; M.C. Mancini, I
riflessi economici e sociali della transumanza nell’Italia centro-meridionale adriatica, ibid., pp. 20-
28.
13 W. Mazzitti, Teramo archeologica. Repertorio di monumenti, Teramo 1983.
14 E. Percossi Serenelli (a cura di), Potentia. Quando poi scese il silenzio… Rito e società in una co-
lonia romana del Piceno fra Repubblica e tardo Impero, Milano 2001.
15 G. Bejor, Trea. Un municipium piceno minore, Pisa 1977; U. Moscatelli, Trea, Firenze 1988
(Forma Italiae).
16 G. Paci (a cura di), Archeologia nell’area del basso Tronto. S. Benedetto del Tronto, 3 Ottobre
1993, Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Supplementi IV).
17 M.F. Fenati, Lucio Flavio Silva Nonio Basso e la città di Urbisaglia, Macerata 1995; G. Paci (a
cura di), Studi su Urbisaglia romana, Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Supplementi V); Antiqua
frustula. Urbs Salvia. Materiali sporadici dalla città e dal territorio. Abbazia di Fiastra, 4 ottobre -
31 dicembre 2002, Pollenza 2002.
18 Pubblicati per il momento i contributi di G. Paci, Regio V: Picenum. Cingulum, «Supplementa Ita-
lica», n.s. 6, Roma 1990, pp. 37-53; Id., Regio V: Picenum. S. Vittore di Cingoli, «Supplementa Ita-
lica», n.s. 8, Roma 1991, pp. 73-88; Id., Regio V: Picenum. Tolentinum, «Supplementa Italica», n.s.
11, Roma 1993, pp. 61-86; S.M. Marengo, Regio V: Picenum. Septempeda, «Supplementa Italica»,
n.s. 13, Roma 1996, pp. 193-228; Ead., Regio V: Picenum. Trea, «Supplementa Italica», n.s. 18, Ro-
ma 2000, pp. 155-188.
19 I contributi dello studioso si trovano oggi comodamente raccolti in M. Buonocore, L’Abruzzo e il
Molise in età romana tra storia ed epigrafia, L’Aquila 2002.
Introduzione 17

Oltre ad una sintesi sui caratteri dell’economia del Piceno romano20, ricerche
specifiche in questo settore di studi sono state condotte da P. Fortini sulla produ-
zione laterizia in genere21 e soprattutto sulla fabbricazione delle anfore, inestrica-
bilmente collegata a quella che sembra essere l’attività economica di maggior
spicco nel Piceno, la viticoltura; si distinguono in quest’ultimo campo di studi le
indagini di L. Brecciaroli Taborelli, M.B. Carre e M.T. Cipriano22.
L’attività agricola, nonostante dovesse senza dubbio essere il principale set-
tore di occupazione nel Piceno come in genere in tutte le regioni del mondo antico,
non ha ricevuto un’attenzione proporzionale alla sua importanza, in ragione del ca-
rattere problematico delle fonti in nostro possesso; riguardo questo tema possiamo
tuttavia contare sulle stimolanti osservazioni recentemente avanzate da G. Paci23.
Per quanto concerne le attività commerciali, M.J. Strazzulla e C. Delplace
hanno messo particolarmente in luce i rapporti che collegavano la regio V con la
Cisalpina e le regioni dell’alto Adriatico24.
Nel settore della storia sociale da rammentare almeno i contributi di C.
Delplace sulle élites municipali del Piceno, con una particolare attenzione ai feno-
meni dell’evergetismo 25, e le indagini prosopografiche di W. Eck e L. Gasperini su
singole famiglie appartenenti alle classi dirigenti della regione26.

20 P. Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, «Il Piceno in età romana, dalla sottomissione a
Roma alla fine del mondo antico. Atti del 3° seminario di studi per personale direttivo e docente della
scuola. Cupra Marittima, 24-30 ottobre 1991», Teramo 1992, pp. 95-116. Di vasta portata anche il
recente contributo di M. Pasquinucci - S. Menchelli, Anfore picene e paesaggio agrario: alcune con-
siderazioni a proposito dell’ager Firmanus, «Vivre, produire et échanger: reflets méditerranéens.
Mélanges offerts à Bernard Liou», a cura di L. Rivet - M. Sciallano, Montagnac 2002, pp. 457-463
che, seppure rapidamente e limitatamente ad un solo settore della V regio, tracciano un interessante
profilo di storia economica attraverso il confronto tra produzione di anfore e dati sullo sfruttamento
agricolo del territorio.
21 P. Fortini, I laterizi bollati di Cupra Maritima. Apporti alla storia economica della città picena,
«Picus», 4 (1984), pp. 107-134; Ead., Cupra Maritima: aspetti di vita economica di una città romana
del Picenum attraverso l’esame dell’instrumentum domesticum. Approfondimenti, «Civiltà contadina
e civiltà marina nella Marca meridionale e nei rapporti fra le due sponde dell’Adriatico. Atti del 7°
Seminario di studi per il personale direttivo e docente della scuola. Cupra Marittima, 26 ottobre - 11
novembre 1995», Cupra Marittima 1998, pp. 39-170.
22 L. Brecciaroli Taborelli, Una produzione di anfore picene ed il vino palmense, «Picus», 4 (1984),
pp. 55-93; M.-B. Carre, Les amphores de la Cisalpine et de l’Adriatique au début de l’Empire,
«MEFRA», 97 (1985), pp. 207-245; M.T. Cipriano - M.B. Carre, Production et typologie des ampho-
res sur la coté adriatique de l’Italie, «Amphores romaines et histoire économique: dix ans de recher-
che», Rome 1989, pp. 67-104.
23 G. Paci, Alcune considerazioni sull’agricoltura romana in area medio-adriatica, «Civiltà conta-
dina e civiltà marina nella Marca meridionale e nei rapporti fra le due sponde dell’Adriatico. Atti del
7° Seminario di studi per il personale direttivo e docente della scuola. Cupra Marittima, 26 ottobre -
11 novembre 1995», Cupra Marittima 1998, pp. 31-38.
24 M.J. Strazzulla, Rapporti tra Aquileia e l’area medio-adriatica repubblicana, «AAAd», 37 (1991),
pp. 219-234; C. Delplace, Riflessioni sugli apporti della Gallia Cisalpina all’economia delle Marche
in epoca romana, «Le Marche. Archeologia. Storia. Territorio», 1991-1993, pp. 179-184.
25 Cf. C. Delplace, Les élites municipales et leur rôle dans le developpement politique et économique
de la région V Auguste, «Les élites municipales de l’Italie peninsulaire des Gracques à Néron. Actes
de la table ronde de Clermont-Ferrand (28-30 novembre 1991)», a cura di M. Cébeillac-Gervasoni,
18 Introduzione

Nonostante i progressi degli ultimi venti anni, molta strada rimane ancora da
compiere affinché sia delineato un quadro il più possibile esaustivo, almeno sulla
base dei dati in nostro possesso, della società e dell’economia della regio V in età
romana. La presente indagine intende apportare un sia pur modesto contributo in
questa direzione, studiando un particolare gruppo di documenti, le iscrizioni in cui
vengono menzionati mestieri o associazioni professionali, ed un particolare gruppo
di persone, che scelsero appunto di legare il ricordo di sé ad un’occupazione. È im-
portante rilevare come queste epigrafi, a differenza per esempio di quelle concer-
nenti l’ordo senatorio, non siano pertinenti un gruppo sociale definibile né secondo
i criteri antichi né secondo classificazioni storiografiche moderne, bensì ci rivelino
un mondo che in larga parte coincide con quello che emerge dalle iscrizioni in cui
non vi è menzione di mestieri27; tuttavia esse rappresentano una preziosa fonte di
informazione per la ricostruzione del quadro sociale ed economico del mondo an-
tico e ritengo possano dunque essere a buon diritto oggetto di un’analisi specifica.
In effetti, anche se, per quanto concerne il Piceno, questi documenti finora
non erano stati oggetto di un’indagine sistematica e complessiva, il tema generale
della ricerca non rappresenta una novità. Le indagini svolte sulle iscrizioni antiche
che fanno menzione di un mestiere si possono suddividere in tre grandi gruppi, a
seconda del tema che vi viene affrontato.
Il primo gruppo comprende gli studi concernenti una singola occupazione, o
un gruppo di occupazioni, in tutto il mondo antico o in una delle sue regioni; fre-
quentemente la documentazione epigrafica vi viene analizzata alla luce della testi-
monianze letterarie ed archeologiche, in uno sforzo di ricostruzione complessiva
delle implicazioni legate all’esercizio di una particolare attività. Il settore
dell’agricoltura, per la relativa scarsezza di attestazioni, non ha richiamato un par-
ticolare interesse28; né molto numerosi sono gli studi concernenti i mestieri colle-

Naples - Rome 1996, pp. 71-79; Ead., Quelques cas d’évergétisme dans la région V Augustéenne (Pi-
cenum), «Epigrafia romana in area adriatica. Actes de la IXe Rencontre franco-italienne sur
l’épigraphie du monde romain», a cura di G. Paci, Macerata 1998, pp. 189-198. Tali ricerche sono re-
centemente approdate ad un’importante monografia, che vede tra gli autrici, oltre alla Delplace, due
studiose maceratesi: F. Cancrini - C. Delplace - S.M. Marengo, L’evergetismo nella regio V (Pice-
num), Tivoli 2001 (Picus Supplementi VIII).
26 L. Gasperini, Gaio Fufio Gemino, console del 29 d.C., ad Urbs Salvia, «Picus», 1 (1981), p. 175;
Id., Sulla carriera di Gaio Fufio Gemino console del 29 d.C., «Ottava Miscellanea Greca e Romana»,
Roma 1982, pp. 285-302; W. Eck, Urbs Salvia und seine führenden Familien in der römischen Zeit,
«Picus», 12-13 (1992-1993), pp. 79-108; trad. it., Urbs Salvia e le sue più illustri famiglie in età ro-
mana, «Studi su Urbisaglia romana» (Picus Supplementi V), Villa Adriana - Tivoli 1995, pp. 49-83.
A questi studi si aggiunga il recente contributo di F.A. Branchesi, Presenze senatorie nel Piceno cen-
trale, «Picus», 21 (2001), pp. 63-81.
27 Cf. a questo proposito S.R. Joshel, Work, Identity and Legal Status at Rome. A Study of Occupa-
tional Inscriptions, Norman - London 1992, p. 17.
28 Tuttavia la documentazione epigrafica relativa ad institores, vilici ed actores è stata raccolta e stu-
diata da J.-J. Aubert, Business Managers in Ancient Rome. A Social and Economic Study of Institores,
200 BC - AD 250, Leiden - New York - Köln 1994.
Introduzione 19

gati all’allevamento 29; al contrario, per le attività artigianali possiamo contare su


contributi dedicati ai cestai30, agli orefici31, alle manifatture tessili32, ai vasai33, ai
mosaicisti 34, alle attività edilizie e della decorazione35, al lavoro artistico36; in
quello che, nella terminologia moderna, è definito settore terziario si segnalano
studi sui membri dell’apparato amministrativo37, ma anche sui mestieri collegati ai

29 Cf. tuttavia sui mestieri connessi alla produzione e alla vendita di carne R. Belli Pasqua, Il riforni-
mento alimentare di carne a Roma nel I-V secolo d.C., «Agricoltura e commerci nell’Italia antica»,
Roma 1995, pp. 257-272, e soprattutto L. Chioffi, Caro: il mercato della carne nell’Occidente ro-
mano. Riflessi epigrafici e iconografici, Roma 1999.
30 D. Monacchi, Un vitor e l’artigianato della cestineria ad Ameria, «MEFRA», 108 (1996), pp. 943-
977.
31 H. Gummerus, Die römische Industrie. Wirtschaftsgeschichtliche Untersuchungen I. Das
Goldschmied- und Juweliergewerbe, «Klio», 14 (1915), pp. 129-189; 15 (1918), pp. 256-302; C.
Roueché, Aurarii in the auditoria, «ZPE», 105 (1995), pp. 37-50 sugli aurarii nelle province orientali
dell’Impero.
32 D.B. Kaufman, Roman Tailors and Clothiers, «Classical Weekly», 25 (1932), p. 182; J.-P. Wild,
Colorator, «Glotta», 70 (1992), pp. 96-99; F. Vicari, Economia della Cispadana romana: la produ-
zione tessile, «RSA», 24 (1994), pp. 239-260; Id., Produzione e commercio dei tessuti nel mondo ro-
mano, Oxford 2001; G. Labarre - M.-T. Le Dinahet, Les métiers du textile en Asie mineure de
l’époque hellénistique à l’époque impériale, «Aspects de l’artisanat du textile dans le monde méditer-
ranéen (Égypte, Grèce, monde romain)», Lyon 1996, pp. 49-116; A. Pelletier, Les métiers du textile
en Gaule d’après les inscriptions, ibid., pp. 133-136; P. Grandinetti, Nuove osservazioni su un me-
stiere poco conosciuto: lo stragularius, «Epigraphica», 61 (1999), pp. 160-165; F. Grelle - M.
Silvestrini, Lane apule e tessuti canosini, «Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità
romane», VI, a cura di M. Pani, Bari 2001, pp. 91-136; F. Kudlien, Drei antike textilverarbeitende
Berufe und ihre Vertreter, «Fünfzig Jahre Forschungen zur antiken Sklaverei an der Mainzer Akade-
mie 1950-2000. Miscellanea zum Jubiläum», a cura di H. Bellen - H. Heinen, Stuttgart 2001, pp. 269-
280.
33 C. Delplace, Les potiers dans la société et l’économie de l’Italie et de la Gaule au Ier s. av. et au
Ier s. ap. J.-C., «Ktema», 3 (1978), pp. 55-76, principalmente sulla base dei dati offerti
dall’instrumentum domesticum.
34 M. Donderer, Die Mozaisten der Antike und ihre wirtschaftliche und soziale Stellung. Eine Quel-
lenstudie, Erlangen 1989.
35 N. Blanc, Les stucateurs romains. Témoignages littéraires, épigraphiques et juridiques,
«MEFRA», 95 (1983), pp. 859-907; E. Frézouls, L’apport de l’épigraphie à la connaisance des mé-
tiers de la construction, «Splendida civitas nostra. Studi archeologici in onore di A. Frova», a cura di
G. Cavalieri Manasse - E. Roffa, Roma 1995, pp. 35-44.
36 J.M.C. Toynbee, Some Notes on Artists in the Roman World, «Latomus», 8 (1949), pp. 307-316; 9
(1950), pp. 389-394; A. Giuliano, Iscrizioni romane di pittori, «ArchClass», 5 (1953), pp. 263-270; I.
Calabi Limentani, Studi sulla società romana: il lavoro artistico, Milano - Varese 1958; J. Gómez
Pallarès, Nombres de artistas en inscripciones musivas latinas e ibericas de Hispania, «Epigraphica»,
53 (1991), pp. 59-96; A. Buonopane, Statuarius: un nuovo documento epigrafico, «ZPE», 120 (1998),
pp. 292-294; H. Jouffroy, La pratique des métiers d’art dans les villes d’Occident, «Caesarodunum»,
35-36 (2001-2002), pp. 187-193.
37 Cf. per esempio A. Russi, Note sul personale servile nelle tenute imperiali dell’Italia romana,
«Quarta Miscellanea Greca e Romana», Roma 1975, pp. 281-299; N. Purcell, The apparitores: A
Study in Social Mobility, «PBSR», 51 (1983), pp. 125-173; P. Itri, Gli addetti alle miniere nell’alto
impero romano attraverso le fonti epigrafiche, «Messana», 13 (1992), pp. 171-220; S. Giorcelli
Bersani, Ceti medi e impiego pubblico nella Cisalpina occidentale: il caso degli apparitores, «Ceti
20 Introduzione

trasporti 38 e naturalmente al commercio39; particolare attenzione è stata dedicata


alle professioni intellettuali, come l’architettura40, la giurisprudenza 41,
l’insegnamento42 e soprattutto la professione medica43; non mancano contributi

medi in Cisalpina. Atti del Colloquio Internazionale, 14-16 settembre 2000, Milano», a cura di A.
Sartori - A. Valvo, Milano 2002, pp. 59-66.
38 P. Kneissl, Die utriclarii. Ihr Rolle im gallo-römischen Transportwesen und Weinhandel, «BJ»,
181 (1981), pp. 169-204; P. Le Roux, L’huile de Bétique et le Prince: sur un itinéraire annonaire,
«REA», 88 (1986), pp. 247-271, dedicato sia agli aspetti del trasporto come a quelli più propriamente
commerciali, vd. nota seguente; A. Pellegrino, I navicularii maris Hadriatici ad Ostia, «XI Miscella-
nea Greca e Romana», Roma 1987, pp. 229-236.
39 W. Kuhoff, Der Handel im römischen Süddeutschland, «MBAH», 3 (1984), 1, pp. 77-101 sui
mercanti nelle aree ora facenti parte della Germania delle province di Germania superior, Raetia e
Noricum. Sui commercianti che si occupavano di un genere particolare vd. per esempio S. Panciera,
Olearii, «The Seaborne Commerce of Ancient Rome: Studies in Archaeology and History», a cura di
J.H. D’Arms - E.C. Kopff, Rome 1980 = «MAAR», 36 (1980), pp. 235-250; E. Rodriguez-Almeida,
Diffusores, negotiatores, mercatores olearii, «BCAR», 92 (1987-1988), pp. 299-306; Le Roux, Huile,
cit.; K. Ruffing, … qui emere vina et vendere solet … Zum Berufsbild des Weinhändlers nebst einigen
Bemerkungen zur Terminologie, «Miscellanea oeconomica. Studien zur antiken Wirtschaftsgeschichte
Harald Winkel zum 65. Geburtstag», a cura di K. Ruffing - B. Tenger, St. Katharinen 1997, pp. 116-
134; Id., Einige Überlegungen zum Weinhandel im römischen Ägypten (1.-3. Jh. n. Chr.), «MBAH»,
20 (2001), 1, pp. 55-80, partic. 67-79.
40 M.-C. Hellmann, Les signatures d’architectes en langue grecque: essai de mise au point, «ZPE»,
104 (1994), pp. 151-178; M. Donderer, Die Architekten der späten römischen Republik und der Kai-
serzeit. Epigraphische Zeugnisse, Erlangen 1996. Cf. anche, per i mestieri connessi alla costruzioni di
impianti per l’approvvigionamento idrico, W. Eck, Magistrate, “ingenieure”, Handwerker: Wasser-
leitungsbauer und ihr Sozialstatus in der römischen Welt, «Mitteilungen. Leichtweiss-Institut für
Wasserbau der Technischen Universität Braunschweig», 103 (1989), pp. 177-217.
41 K. Vössing, Africa nutricula causidicorum? Die römische Jurisprudenz in Africa, «L’Africa ro-
mana. Atti del IX convegno di studio. Nuoro, 13-15 dicembre 1991», I, a cura di A. Mastino, Sassari
1992, pp. 127-154.
42 L. Zerbini, Tecnica ed artigianato nell’epigrafia africana: grammatici, retori, “magistri”,
«L’Africa romana. Atti del IX convegno di studio. Nuoro, 13-15 dicembre 1991», I, a cura di A.
Mastino, Sassari 1992, pp. 155-162, S. Agusta-Boularot, Les references épigraphiques aux gramma-
tici et grammatikoi; de l’Empire romain (Ier siècle av. J.-C. - IVe ap. J.-C.), «MEFRA», 106 (1994),
pp. 653-746; W. Rieß, Stadtrömische Lehrer zwischen Anpassung und Nonkonformismus: Über-
legungen zu einer epigraphischen Ambivalenz, «Inschriftliche Denkmäler als Medien der Selbstdar-
stellung in der römischen Welt», a cura di G. Alföldy - S. Panciera, Stuttgart 2001, pp. 163-207.
43 Dopo la raccolta di H. Gummerus, Der Ärztestand im römischen Reiche nach der Inschriften, Hel-
sinki 1932, integrata da R.J. Rowland Jr., Some New medici in the Roman Empire, «Epigraphica», 39
(1977), pp. 174-179, da ricordare in particolare i numerosi studi di B. Rémy sulle attestazioni epigra-
fiche nella parte occidentale del mondo romano, nell’ambito di un progetto di ricerca del Centre Jean
Palerne: Les inscriptions de médecins en Gaule, «Gallia», 42 (1984), pp. 115-152; Nouvelles inscrip-
tions de médicins dans les provinces occidentales de l’empire romain (1973-1983), «Epigraphica», 49
(1987), pp. 261-264; Les inscriptions de médecins dans la province romaine de Bretagne, «VIIIèmes
Rencontres internationales d’archéologie et d’histoire d’Antibes. Archéologie et médicine», Juan-les-
Pins 1987, pp. 69-94; Les inscriptions de médicins dans les provinces romaines la Péninsule ibérique,
«REA», 93 (1991), pp. 321-364; Les inscriptions de médecins découvertes sur le territoire des pro-
vinces de Germanie, «REA», 98 (1996), pp. 133-172, Nouvelles inscriptions de médecins dans la par-
tie occidentale de l’empire romain (l’«Année Épigraphique» 1983-1996), «Epigraphica», 63 (2001),
pp. 277-283; cf. inoltre G. Baader, Ärzte auf pannonischen Inschriften, «Klio», 55 (1973), pp. 273-
279; E. Pettenò, Acque termali e medici nell’Africa romana, «L’Africa romana. Atti dell’XI convegno
Introduzione 21

concernenti mansioni di servizio caratteristiche delle grandi casate senatorie, come


per esempio quella di nomenclator44, o i mestieri connessi allo spettacolo45.
Il secondo gruppo include i contributi in cui vengono raccolte e studiate le
attestazioni di tutti i mestieri testimoniati dall’epigrafia di una regione o di una lo-
calità del mondo antico; per quanto concerne l’Italia si segnalano le ricerche con-
dotte sulla documentazione di Roma, sulla Transpadana, su Ostia, sulla Sicilia e su
Ravenna46; un giusto interesse ha inoltre destato l’abbondante documentazione
delle province della Gallia e della Germania47; singoli studi sono tuttavia apparsi

di studio, Cartagine, 15-18 dicembre 1994», I, a cura di M. Khanoussi - P. Ruggeri - C. Vismara,


Ozieri 1996, pp. 385-402; A. Buonopane, Medicae nell’Occidente romano: un’indagine preliminare,
«Donna e lavoro nella documentazione epigrafica. Atti del I Seminario sulla condizione femminile
nella documentazione epigrafica», a cura di A. Buonopane - F. Cenerini, Faenza 2003, pp. 113-130;
H. Gallego Franco, Los médicos y su integración socio-profesional en el Occidente romano: de Hi-
spania a las provincias del alto y medio Danubio, «HAnt», 23 (1999), pp. 225-249; la documenta-
zione relativa alla città di Roma è studiata da J. Korpela, Das Medizinalpersonal im antiken Rom.
Eine sozialgeschichtliche Untersuchung, Helsinki 1987; in particolare sui medici militari si veda ora
J.C. Wilmanns, Der Sanitätsdienst im römischen Reich. Eine sozialgeschichtliche Studie zum römi-
schen Militärsanitätswesen nebst einer Prosopographie des Sanitätspersonals, Hildesheim - Zürich -
New York 1995; sugli oculisti V. Nutton, Roman oculists, «Epigraphica», 44 (1972), pp. 16-29.
Un’analisi di alcuni aspetti salienti della documentazione epigrafica relativa ai medici, rapida, ma
ricca di spunti d’interesse, è compiuta da A. Sartori in M. Kobayashi - A. Sartori, I medici nelle epi-
grafi, le epigrafi dei medici, «Acme», 52 (1999), pp. 253-258. Per l’Italia settentrionale vd. ora A.
Buonopane, Ceti medi e professioni: il caso dei medici, «Ceti medi in Cisalpina. Atti del Colloquio
Internazionale, 14-16 settembre 2000, Milano», a cura di A. Sartori - A. Valvo, Milano 2002, pp. 79-
92.
44 J. Kolendo, Nomenclator, «memoria» del suo padrone o del suo patrono. Studio storico ed epigra-
fico, Faenza 1989; cf. inoltre A. Bérenger, Les “calculatores”, «XI Congresso Internazionale di Epi-
grafia Greca e Latina. Roma, 18-24 settembre 1997. Atti», I, Roma 1999, pp. 639-647.
45 A. Bélis, Les termes grecs et latins désignant des spécialités musicales, «RPh», 62 (1988), pp.
224-250; Ead., Les Musiciens dans l’Antiquité, Paris 1999; G. Horsmann, Die Wagenlenker der römi-
schen Kaiserzeit. Untersuchungen zur ihrer sozialen Stellung, Stuttgart 1998. Cenni alla scarna do-
cumentazione epigrafica sui mestieri dello spettacolo in una zona ben delimitata dell’Italia antica in L.
Fiore, Gente di teatro nell’Abruzzo antico, «ARID», 22 (1994), pp. 35-44.
46 F. Bisconti, Mestieri nelle catacombe romane. Appunti sul declino dell’iconografia del reale nei
cimiteri cristiani di Roma, Città del Vaticano 2000 (vd. partic. il Catalogo, pp. 159-265, che, sebbene
incentrato prevalentemente sulla documentazione iconografica, ha corpose sottosezioni epigrafiche);
le menzioni di mestieri in una particolarissima classe di documenti epigrafici urbani, quelli su collari
di schiavi, sono state recentemente esaminate da J. Hillner, Die Berufsangaben und Adressen auf den
stadtrömischen Sklavenhalsbändern, «Historia», 50 (2001), pp. 193-216, partic. 202-205. Calderini,
Arti e mestieri nelle epigrafi della Gallia Transpadana (specialmente nelle raccolte milanesi), «RIL»,
ser. II, 40 (1907), pp. 522-544; N. Kampen, Image and Status: Roman Working Women at Ostia, Ber-
lin 1981; F.P. Rizzo, La menzione del lavoro nelle epigrafi della Sicilia antica (Per una storia della
mentalità), Palermo 1993; F. Vicari, Economia e mondo del lavoro nella Ravenna romana, «Ravenna
Studi e Ricerche», 4 (1997), 1, pp. 133-156.
47 P. Kneissl, Die Berufsangaben auf den Inschriften der Städte Narbonne, Lyon und Trier, «Akten
des VI. Internationalen Kongresses für Griechische und Lateinische Epigraphik. München 1972»,
München 1973, pp. 549-551, breve presentazione della ricerca conclusa con la dissertazione Die Be-
rufsangaben auf den Inschriften der gallischen und germanischen Provinzen, Diss. Marburg 1977
(non vidi); A. Mehl, Handwerker und Künstler in der Gesellschaft der nordwestlichen Provinzen des
Römischen Reiches - einige Phänomene und Vorschläge zu ihrer Deutung, «Akten des 1. internatio-
22 Introduzione

sull’epigrafia di altre regioni del mondo antico, come la penisola iberica48, la Si-
ria 49, Palmira 50, Tiro, la cui necropoli tardoantica offre una straordinaria messe di
informazioni51, come anche il sepolcreto tardo della cittadina costiera di Korykos,
in Cilicia 52.
Il terzo gruppo è composto da studi non esclusivamente dedicati alle iscri-
zioni menzionanti un mestiere, nei quali tuttavia questi documenti vengono messi a
frutto, insieme alla informazioni provenienti da altre fonti, per una ricostruzione del
quadro economico e sociale di una comunità antica: oltre a qualche contributo di
carattere generale 53, la maggiore attenzione è stata naturalmente prestata alla
abbondante documentazione della città di Roma54, ma anche di Aquileia55 e delle

nalen Kolloquiums über Problemen des provinzialrömischen Kunstschaffens. Graz, 27.- 30. April
1989», I, Wien 1989 = «Mitteilungen der Archaeologischen Gesellschaft Steiermark», 3-4 (1989-
1990), pp. 59-82; E. Frézouls, Les noms des métiers dans l’épigraphie de la Gaule et de la Germanie
romaine, «Ktema», 16 (1991), pp. 33-72. Il divulgativo opuscolo di A. Rieche - H.J. Schalles, Colo-
nia Ulpia Traiana. Arbeit, Handwerk und Berufe in der römischen Stadt, Köln 1987 esamina breve-
mente sia le iscrizioni con ricordo di un mestiere, sia la documentazione iconografica ed archeologica
relativa al mondo del lavoro.
48 S. Crespo Ortiz de Zarate - L. Sagredo San Eustaquio, Las profesiones en la sociedad de Hispania
romana, «HAnt», 6 (1976), pp. 53-78 (uno studio dedicato solamente alle professioni liberali e da va-
lutare con un certa cautela); H. Gimeno Pascual, Artesanos y técnicos en la epigrafía de Hispania,
Barcelona 1988; S.M. Martínez, Los diferentes artes y ofícios en el Noroeste hispanorromano, «Co-
nimbriga», 34 (1995), pp. 147-168; J.L. Ramírez Sádaba, La actividad profesional e industrial en Au-
gusta Emerita, «Économie et territoire en Lusitanie romaine», a cura di J.-G. Gorges - F.G.
Rodríguez Martín, Madrid 1999, pp. 473-481. Qualche spunto anche in J. D’Encarnação - C. Cunha
Leal, Technique et métiers dans l’épigraphie romaine de l’occident hispanique, «L’Africa romana.
Atti dell’XI convegno di studio, Cartagine, 15-18 dicembre 1994», I, a cura di M. Khanoussi - P.
Ruggeri - C. Vismara, Ozieri 1996, pp. 175-181; V. Gil Mantas, As actividades profissionais da
época romana no actual território português, «Actas dos V Cursos Internacionales de Cascais (29 de
Junho a 4 de Julho de 1998), I, O Trabalho», Cascais 1999, pp. 29-74; J.F. Rodríguez Neila - C.
González Román - J. Mangas - A. Orejas, El trabajo en la Hispania Romana, Madrid 1999 (partic. il
contributo di J.F. Rodríguez Neila, El trabajo en las ciudades de Hispania Romana, pp. 9-118).
49 E. G. Tate, Les métiers dans le villages de la Syrie du Nord, «Ktema», 16 (1991), pp. 73-80.
50 A. Bounni, Métiers et fonctions à Palmyre, «E&T», 15 (1990), pp. 77-86, sulla base della docu-
mentazione epigrafica in lingua palmirena.
51 J.-P. Rey-Coquais, Fortune et rang social des gens de métiers de Tyr au Bas Empire, «Ktema», 4
(1979), pp. 281-292.
52 F.R. Trombley, Korykos in Cilicia Trachis: The Economy of a Small Coastal City in Late Antiquity
(saec. V-VI) - A Précis, «AHB», 1 (1987), pp. 16-23.
53 Vd. per esempio H. Gummerus, Industrie und Handel, «P.W.», IX, 2 (1916), coll. 1381-1535, par-
tic. coll. 1439-1535 per l’età romana; E.M. Staerman, L’esclavage dans l’artisanat romain, «DHA», 2
(1976), pp. 103-127; J.-P. Sodini, L’artisanat urbain à l’époque paléochretienne, (IVe - VIIe s.),
«Ktema», 4 (1979), pp. 71-119; per una breve e tutto sommato ottimistica valutazione di questo tipo
di documenti, vd. anche H. Kloft, Die Wirtschaft der griechisch-römischen Welt. Eine Einführung,
Darmstadt 1992, p. 59.
54 P. Huttunen, The Social Strata in the Imperial City of Rome. A Quantitative Study of the Social
Representation in the Epitaphs Published in the Corpus Inscriptionum Latinarum Volumen VI, Oulu
1974, partic. pp. 47-128; S.M. Treggiari, Urban Labour in Rome: mercennarii and tabernarii, «Non-
Slave Labour in the Greco-Roman World», a cura di P. Garnsey, Cambridge 1980, pp. 48-64; L.
Neesen, Demiurgoi und artifices. Studien zur Stellung freier Handwerker in antiken Städten,
Introduzione 23

province galliche56; si può dire tuttavia che non vi è analisi socio-economica del
mondo romano in cui le epigrafi della gente di mestiere non si ritaglino uno spazio
più o meno ampio57 ed il discorso vale anche per gli studi concernenti il Piceno58.
Per la novità del loro approccio una speciale menzione meritano infine due
lavori recenti: in primo luogo la monografia di S.R. Joshel, che a buona ragione
può essere inserita fra le ricerche di storia della mentalità più che di storia sociale o
economica, mirando essenzialmente a comprendere, attraverso lo studio delle iscri-
zioni di Roma con la menzione di un mestiere, in che modo il lavoro costituisse un
elemento per la costruzione di un’identità59; e ancora il contributo che U. Agnati ha
dedicato nel 1996 al rapporto tra mestiere esercitato e condizione giuridica di chi lo
esercitava, fondandosi in larga misura sulla documentazione epigrafica dell’Italia
romana60.
Il presente lavoro si inserisce nel secondo dei filoni di studio individuati,
proponendosi di analizzare tutta la documentazione epigrafica concernente il lavoro
nella regione picena, al contempo inquadrandola nel contesto economico, sociale
ed ideologico da cui essa nasce.

Frankfurt am Main - Bern - New York - Paris 1989, pp. 177-285; B. Kühnert, Die plebs urbana der
späten römischen Republik. Ihre ökonomische Situation und soziale Struktur, Berlin 1991, pp. 42-53.
55 A. Calderini, Aquileia romana. Ricerche di storia e di epigrafia, Milano 1930, pp. 297-332; T.
Frank, An Economic Survey of Ancient Rome, V, Rome and Italy of the Empire, Baltimore 1940, p.
114 (paragrafo dedicato all’attività manifatturiere di Aquileia, esemplificativo dell’uso che nel vo-
lume si fa delle iscrizioni della gente di mestiere); S. Panciera, Vita economica di Aquileia in età ro-
mana, Aquileia 1957, particolarmente nei capitoli dedicati all’industria e al commercio; E. Buchi, Im-
pianti produttivi del territorio aquileiese in età romana, «AAAd», 15 (1979), pp. 439-459, partic. pp.
441-446.
56 P. Kneissl, Zur Wirtschaftssktruktur des römischen Reiches: das Beispiel Gallien, «Alte Ge-
schichte und Wirtschaftsgeschichte. Festschrift für Karl Christ zum 65. Geburtstag», a cura di P.
Kneissl - V. Losemann, Darmstadt 1988, pp. 234-255.
57 Cf. per esempio M. Gayraud, Narbonne antique des origines à la fin du IIIe siècle, Paris 1981, pp.
479-558; C. Camacho Cruz, Los libertos en Conventus Cordubensis: su incardinación y su compor-
tamiento social, «Polis», 9 (1997), pp. 51-98, partic., pp. 67-78; G.L. Gregori, Brescia romana. Ri-
cerche di prosopografia e storia sociale. II. Analisi dei documenti, Roma 1999, pp. 229-251.
58 Cf. exempli gratia Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme d’insediamento, cit., p. 324,
sulla base delle poche attestazioni di mestiere nell’epigrafia extraurbana delle Marche; L. Polverini,
Fermo in età romana, «Firmum Picenum I», a cura di L. Polverini - N.F. Parise - S. Agostini - M.
Pasquinucci, Pisa 1987, pp. 70-71.
59 Joshel, Work, cit. Per i caratteri dell’opera vd. partic. pp. 22-23. Per l’attenzione agli aspetti ideo-
logici si potrebbero accostare allo studio della Joshel le pagine che E. Galletier, Étude sur la poesie
funéraire romaine d’après les inscriptions, Paris 1922, pp. 171-179 dedicò al mondo del lavoro negli
epigrammi funerari latini; riflessioni di carattere metodologico generale si ritrovano anche nel sinte-
tico contributo di D. Mazzoleni, Il lavoro nell’epigrafia cristiana, «Spiritualità del lavoro nella cate-
chesi dei Padri del III-IV secolo», a cura di S. Felici, Roma 1986, pp. 263-271; ora in Epigrafi del
Mondo Cristiano antico , Roma 2002, pp. 39-48. Un taglio particolare ed affascinante, quello del la-
voro minorile nell’Italia romana, anche attraverso la documentazione epigrafica, è proposto da W.
Petermandl, Kinderarbeit in Italien der Prinzipatszeit. Ein Beitrag zur Sozialgeschichte des Kindes,
«Laverna», 8 (1997), pp. 113-136.
60 U. Agnati, Alcune correlazioni tra mestiere e status libertatis nella Roma tardo-repubblicana e
imperiale, «RAL», s. IX, 7 (1996), pp. 601-624.
24 Introduzione

L’indagine si suddivide in tre parti: nella prima, di carattere introduttivo,


dopo aver fissato i limiti tematici, geografici e cronologici della ricerca, si esami-
nerà la tipologia delle iscrizioni che ci hanno lasciato il ricordo di occupazioni pro-
fessionali e si richiamerà brevemente il quadro delle attività economiche del Pi-
ceno; si cercherà inoltre di valutare l’apporto che le epigrafi della gente di mestiere
possono recare alle indagini sull’ideologia del lavoro nel mondo romano, analiz-
zando in particolare i motivi del ricordo individuale di un mestiere nelle iscrizioni
sepolcrali, onorarie e votive.
Il cuore dell’indagine è costituito dalla seconda parte, nella quale viene rac-
colta e commentata la documentazione rilevante.
Sulla base di questa analisi, nella terza parte si proporrà una sintesi conclu-
siva dei dati emersi, soffermandosi in particolare sulla distribuzione cronologica e
geografica delle testimonianze, sull’emergere del lavoro femminile del Piceno,
sullo statuto sociale della gente di mestiere, sulla tipologia delle occupazioni atte-
state in rapporto alle attività economiche nella regio V e sul carattere, attinente alla
sfera privata o piuttosto alla res publica, di esse, sul ruolo delle associazioni pro-
fessionali ed i rapporti fra occupazione ed appartenenza ai collegi dei Seviri e degli
Augustali, infine si cercherà di tracciare un quadro della vita religiosa della gente di
mestiere nel Piceno.

1. I limiti della ricerca


1.1. Limiti tematici: le occupazioni umane nel senso più ampio del ter-
mine
Nel presente lavoro si sono raccolte le attestazioni epigrafiche in lingua
greca e latina relative alle occupazioni umane nel senso più ampio del termine,
dalle attività manifatturiere e commerciali all’agricoltura, dagli incarichi
nell’amministrazione centrale o municipale ai servizi prestati all’interno di una
grande casata, dai mestieri intellettuali a quelli connessi con i giochi del circo e
dell’anfiteatro, fino a comprendere anche la singolare menzione, in un’epigrafe fu-
neraria di Urbs Salvia, di un P. Petronio Primo che fu lusor folliculator, un gioca-
tore di palla: attività che esiteremmo a qualificare come lavorativa, ma che evi-
dentemente dava di che vivere a Petronio Primo e il cui ricordo mi sembra possa
essere accostato, dal punto di vista della sua funzione nell’epitafio, alle attestazioni
di mestieri propriamente detti61. Sono state prese in considerazione nel corpus
delle testimonianze anche le attestazioni relative a possessores di terreni, anche se
tale termine, noto per lo più nella forma plurale, non compare mai fra le notazioni
biografiche relative ai defunti o ai dedicanti delle iscrizioni sepolcrali nelle quali
generalmente si conserva il ricordo dei mestieri 62. Questo elemento mi induce a
dubitare che l’essere possessor nel Piceno romano, e in genere nel mondo antico,
fosse sentita come un’autentica occupazione. Un certo imbarazzo nel valutare la
natura del termine è tradito dagli stessi autori degli indici del Corpus Inscriptionum

61 Sull’iscrizione del lusor folliculator Petronio Primo vd. infra, pp. 530-534, Urbs Salvia 5.
62 Vd. la discussione delle testimonianze infra, pp. 304-306, a proposito dell’iscrizione Falerio 5.
Introduzione 25

Latinarum, che solo in alcuni casi decisero di includere la voce negli indici di artes
et officia privata63. Alcuni fattori mi hanno tuttavia convinto a ritenere che l’in-
clusione di queste testimonianze nel dossier tutto sommato poteva utilmente com-
pletare la documentazione epigrafica relativa alle strutture economiche della regio
V in età romana: in primo luogo il singolare addensarsi delle testimonianze a Fale-
rio, città dalla quale provengono ben tre attestazioni64, ma soprattutto la comparsa
dei possessores, accanto ai negotiatores e ai collegia che avevano sede presso il
forum pecuarium della stessa Falerio, tra coloro che avevano contribuito alle spese
per lastricare una via cittadina, quasi ad indicare che lo sforzo finanziario per l’ope-
ra pubblica era stato sostenuto dai rappresentanti dei tre principali settori economici
dell’antichità, i possidenti terrieri, i commercianti e gli artigiani riuniti nelle loro
associazioni di mestiere65; di non minore rilievo il fatto che l’inclusione dei pos-
sessores nella raccolta delle testimonianze contribuisce in qualche misura a colma-
re la lacuna concernente le attività agricole, gravemente sottorappresentate nelle
iscrizioni che attestano occupazioni propriamente dette.
Oltre alle menzioni individuali di un mestiere ho ritenuto opportuno prendere
in esame anche la documentazione relativa ai collegia e ad altre associazioni di ca-
rattere professionale attestati nell’epigrafia della regio V. Secondo un’opinione ab-
bastanza diffusa questi sodalizi, almeno per tutta l’età del Principato, ebbero in
pratica scarsa importanza nei rapporti economici né alcun reale rilievo politico
nelle città del mondo romano, in contrasto con le corporazioni medievali66. Sono
del parere che tale affermazione dipenda in larga misura dai caratteri della docu-
mentazione in nostro possesso, in gran parte rappresentata da iscrizioni latine pro-
venienti dalla province occidentali dell’Impero e che queste testimonianze lascino

63 Così per esempio in CIL VIII, Indices, p. 288; CIL IX, p. 794: in entrambi i casi, tuttavia, noi ven-
gono registrate tutte le attestazioni del termine che compaiono nelle iscrizioni raccolte nel corrispon-
dente volume. Il termine non è registrato invece né tra le occupazioni di carattere privato, né in altri
indici, nei volumi III, V, X, nei quali pure sono schedate alcune iscrizioni in cui occorrono possesso-
res, anche se non sempre nel significato di “possidente terriero” (il che, sia detto per inciso, complica
non poco la raccolta dei materiali rilevanti; ci soccorrono fortunatamente l’eccellente voce di K.-H.
Kruse, Possessor, «TLL», X, 2, coll. 102-105, nonché gli indici dei vocaboli di CIL I2 e di CIL VI).
64 Vd. infra, pp. 303-319, le iscrizioni Falerio 5-7.
65 Vd. infra, pp. 304-306, il commento all’iscrizione Falerio 7.
66 Cf. per esempio F.F. Abbott, The Common People of Ancient Rome. Studies in Roman Life and Li-
terature, New York 1911, pp. 221-223; A. Burford, Craftsmen in Greek and Roman Society, London
1972, pp. 160-161; O. Behrends, Die Rechtsformen des römischen Handwerks, «Das Handwerk in
vor- und frühgeschichtlicher Zeit», I, a cura di H. Jankuhn - W. Janssen - R. Schmidt-Wiegand - H.
Tiefenbach, Göttingen 1981 = «Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Göttingen», 122
(1981), p. 141; F. Vittinghoff, Gesellschaft, «Handbuch der europäischen Wirtschafts- und Sozialge-
schichte. I. Europäischen Wirtschafts- und Sozialgeschichte in der römischen Kaiserzeit», a cura di F.
Vittinghoff, Stuttgart 1990, p. 211; H. Pavis D’Escurac, Dénominations des organisations artisanales
dans l’Occident romain, «Ktema», 15 (1990) [1994], p. 110; J.S. Kloppenborg, Collegia and Thiasoi:
Issues in function, Taxonomy and Membership, «Voluntary Associations in the Graeco-Roman
World», a cura di J.S. Kloppenborg - S.G. Wilson, London - New York 1996, p. 19.
26 Introduzione

nell’ombra molti degli aspetti più interessanti del fenomeno67. In realtà, non ap-
pena si hanno a disposizione fonti di tipo diverso, il ruolo delle associazioni profes-
sionali nella vita economica e politica delle comunità antiche appare di grande ri-
lievo, ritengo dunque che alcune delle affermazioni sulle finalità e le funzioni as-
solte delle associazioni di mestiere vadano quantomeno attenuate 68. Certo,
l’appartenenza ad un collegio professionale non significava automaticamente
l’esercizio di un dato mestiere: le attestazioni epigrafiche di persone che facevano
parte di associazioni che nulla avevano a che fare con la loro reale occupazione non
sono molto numerose, ma ugualmente non lasciano dubbi in questo senso69. Mi
pare tuttavia indimostrato ed improbabile che il fenomeno abbia assunto massicce
proporzioni. Credo dunque legittimo, dal punto di vista di un’indagine sociale, ac-

67 Come rileva J.R. Patterson, The collegia and the Transformation of the Towns of Italy in the Se-
cond Century AD, «L’Italie d’Auguste à Diocletien», Rome 1994, p. 233.
68 Cf. quanto nota A.H.M. Jones nel saggio The Economic Life of the Towns of the Roman Empire,
«Recueils de la Société Jean Bodin», 7 (1955), pp. 161-192, ora in The Roman Economy. Studies in
Ancient Economic and Administrative History, a cura di P.A. Brunt, Oxford 1974, pp. 35-60, partic.
pp. 44-45, dal quale si cita; vd. inoltre le sfumate posizione di F.M. De Robertis, Il fenomeno associa-
tivo nel mondo romano. Dai collegi della Repubblica alle corporazioni del Basso Impero, Napoli
1955, pp. 41-50 e di R. MacMullen, Roman Social Relations, 50 BC to AD 284, New Haven - London
1974, pp. 73-80; L. Cracco Ruggini, Stato e associazioni professionali nell’età imperiale romana,
«Akten des VI. Internationalen Kongresses für Griechische und Lateinische Epigraphik München
1972», München 1973, pp. 272-273, che parla di una “generale evoluzione della professionalità delle
associazioni di mestiere da un significato ‘sociale’ a quello più propriamente economico”, anche se la
studiosa ritiene che fino alla prima età imperiale le finalità dei collegia “si configurano prevalente-
mente (se non esclusivamente) come religiose, cultuali, funeraticie, assistenziali, conviviali e ‘sociali’
in senso lato”; vd. inoltre il volume collettivo Die Arbeitswelt der Antike, Wien - Köln - Graz 1984,
pp. 132-139, opera di una équipe di antichisti della Martin-Luther-Universität di Halle-Wittenberg,
che, nel solco di un’interpretazione marxista del fenomeno associativo, insistono sulla valenza “de-
mocratica” dei collegia nella vita politica della città romana; M. Mazza, Sul proletariato urbano in
epoca imperiale. Problemi del lavoro in Asia minore, «La fatica dell'uomo. Schiavi e liberi nel mondo
romano», Catania 1986, pp. 88-94, che sottolinea il peso politico delle associazioni professionali; J.-
P. Morel, L'artigiano, «L'uomo romano», a cura di A. Giardina, Roma - Bari 1989, pp. 264-266 e la
sintesi di G. Clemente, Arti, mestieri, vita associativa, collegia, «Civiltà dei Romani. Il potere e l'e-
sercito», a cura di S. Settis, Milano 1991, pp. 85-91, che, pur riproponendo la teoria di una prevalente
rilevanza sociale delle associazioni di mestiere, riconosce tuttavia loro un ruolo importante nella vita
economica e politica, almeno a livello locale; Drexhage, Selbstverständnis, cit., pp. 19-20, con ri-
chiamo alla documentazione di Pompei; P. Kneissl, Die Berufsvereine im römischen Gallien. Eine In-
terpretation der epigraphischen Zeugnisse, «Imperium Romanum. Studien zu Geschichte und Rezep-
tion. Festschrift für Karl Christ zum 75. Geburtstag», a cura di P. Kneissl - V. Losemann, Stuttgart
1998, pp. 445-446, con riferimento alle associazioni di Arelate e Lugdunum. Risente ancora
dell’impostazione marxista, pur con alcune correzioni, I.F. Fikhman, Sur quelques aspects socio-éco-
nomiques de l’activité des corporations professionelles de l’Egypte byzantine, «ZPE», 103 (1994), pp.
19-40 (con le importanti considerazioni di J.-M. Carrié, Économie et societé de l’Égypte romano-
byzantine (IVe-VIIe siècle). A propos de quelques publications récentes, «AnTard», 7 (1999), pp. 342-
349).
69 Vd. gli esempi registrati da Pavis D’Escurac, Dénominations, cit., pp. 118-120 e da P. Kneissl, Die
fabri, fabri tignuarii, fabri subaediani, centonarii und dolabrarii als Feuerwehren in den Städten Ita-
liens und der westlichen Provinzen, «E fontibus haurire. Beiträge zur römischen Geschichte und zu
ihren Hilfswissenschaften (H. Chantraine zum 65. Geburtstag)», a cura di R. Günther - S. Rebenich,
Paderborn - München - Wien - Zürich 1994, pp. 134-135.
Introduzione 27

costare i membri dei collegia professionali a coloro che, pur come singoli, avevano
parimenti scelto di presentarsi e rappresentarsi come esponenti del mondo del la-
voro. Sono state tuttavia escluse dalla ricerca tutte le testimonianze che si riferi-
scono ad associazioni che certamente non avevano un carattere professionale, come
per esempio i sodalizi religiosi.
Dall’ampio spettro di attività prese in esame ho escluso almeno tre impor-
tanti campi di occupazione: le dignità politiche e sacerdotali, le cariche superiori
dell’amministrazione pubblica, connesse con il rango equestre o con l’ordine dei
decurioni 70, e infine le funzioni militari. Certo si tratta dei tre settori di attività me-
glio documentati per l’età romana, mentre per i rimanenti mestieri le attestazioni
sono relativamente scarse, ma già questo solo rilievo mette in luce come la men-
zione degli honores, degli incarichi civili e militari degli equites o del mestiere di
soldato rispondesse a motivazioni differenti, che richiedono studi specifici71; del
resto per questi settori dell’attività umana possediamo già alcuni eccellenti contri-
buti che raccolgono il materiale rilevante e lo analizzano, anche a livello regio-
nale72.
In questa sede non verranno sistematicamente schedati i dati offerti dai bolli
riprodotti in serie su instrumentum domesticum, pure di importanza fondamentale
nella ricostruzione della storia economica e sociale del Piceno: i noti problemi in-
terpretativi che sono posti da questa documentazione73 consigliano infatti di dedi-
carvi ricerche specifiche74, che del resto per la regio V sono già state avviate da un

70 Per tale motivo è esclusa dalla raccolta, per esempio, l'iscrizione di Asculum del curator pecuniae
Ennianae T. Rufrenus P. f. Serenus, un documento che merita di essere ristudiato dopo l'edizione, non
esente da pecche, di E. Homann-Wedeking, Archäologische Grabungen und Funde in Italien, Alba-
nien und Libyen (Okt. 1941 - Okt. 1942), «AA», 57 (1942), col. 310, ripresa da AE 1946, 186 (qui il
nome del personaggio è letto Trufenus P. f. Serenus; la correzione nella lettura mi è stata gentilmente
segnalata da G. Paci in un messaggio del 3 gennaio 2000); tuttavia credo che lo studio della carriera di
T. Rufreno Sereno, che fu tra l'altro edile e duoviro ad Ascoli, vada più propriamente inserito in uno
studio delle classi dirigenti cittadine della regio V; cf. le considerazioni di S. Mrozek, «Gnomon», 68
(1996), p. 278 a proposito dell'inclusione dell'ufficio di curator kalendarii nella raccolta delle atte-
stazioni epigrafiche di mestieri in Rizzo, Lavoro, cit.
71 Tali delimitazioni della materia sono del resto comuni, pur con qualche oscillazione, nella biblio-
grafia recente sul soggetto: si veda, exempli gratia, Gimeno Pascual, Artesanos, cit., p. 5 (che tuttavia
esclude anche i commercianti); Rizzo, Lavoro, cit., p. 11; Frézouls, Noms, cit., p. 33; Joshel, Work,
cit., p. 16 (che non prende in considerazione nemmeno gli apparitores e i mestieri legati agli spetta-
coli); Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 9.
72 Per i membri delle gentes senatorie originarie del Piceno e le loro carriere politiche rimando a
Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., pp. 201-244. Sulla scarna documentazione della regio V rela-
tiva ai veterani vd. ora E. Todisco, I veterani in Italia in età imperiale, Bari 1999, pp. 73-77.
73 Per un approccio alla problematica si vedano ora i contributi pubblicati nella seconda parte degli
atti del convegno «The Inscribed Economy. Production and Distribution in the Roman Empire in the
Light of instrumentum domesticum», a cura di W.V. Harris, Ann Arbor 1993 (Journal of Roman Ar-
chaeology Supplementary Series 6).
74 Un recente esempio nella ricerca di D. Nonnis, Attività imprenditoriale e classi dirigenti nell'età
repubblicana. Tre città campione, «CCG», 10 (1999), pp. 71-109, che fondamentalmente si basa sui
dati delle iscrizioni su oggetti mobili per ricostruire la prosopografia dei ceti produttivi di Preneste,
Pompei ed Aquileia.
28 Introduzione

paio di decenni, in particolare da un gruppo di studiosi che opera presso l’Istituto di


Storia Antica dell’Università di Macerata75; si avrà comunque occasione di richia-
mare più volte questi mate riali nel sintetico quadro relativo alle attività economiche
del Piceno che verrà tracciato in questa stessa introduzione. Rientrano invece pie-
namente nei limiti della presente ricerca le attestazioni individuali di mestieri re-
centemente rivelate da graffiti su ceramica76.
Da segnalare infine come la considerazione delle non numerose rappresenta-
zioni iconografiche del mondo del lavoro del Piceno77 non rientri propriamente ne-

75 Il rilievo per la ricostruzione della storia economica e sociale del mondo antico di questa classe di
materiali è brevemente delineato da G. Paci, Da Colfiorito al Catria. Per la storia di alcune comunità
dell'Appennino marchigiano in età romana con particolare riguardo alla documentazione epigrafica,
«Le Marche. Archeologia. Storia. Territorio», 1990, p. 21, con specifico riferimento ai laterizi bollati
e ad un’area che ricadeva nell’antica Umbria, ma con notazioni che possono senza dubbio essere va-
lide anche per altre classi di materiali iscritti e per il vicino Picenum. Sull’instrumentum domesticum
marchigiano, per segnalare solo alcuni degli studi più significativi, si veda L. Brecciaroli Taborelli,
Contributo alla classificazione di una terra sigillata chiara italica, «Rivista di Studi Marchigiani», 1
(1978), pp. 1-38; L. Taborelli, Vasi di vetro con bollo monetale (Note sulla produzione, la tassazione
e il commercio degli unguenti aromatici nella prima età imperiale), «Opus», 1 (1982), pp. 315-340;
Id., Su alcuni unguentari di vetro delle necropoli urbinati: la forma 28b della classificazione Isings,
«NSc», 107 (1982), pp. 408-415; Id., Elementi per l’individuazione di un’officina vetraria e della sua
produzione a Sentinum, «ArchClass», 32 (1982), pp. 138-166; S.M. Marengo, I bolli laterizi di
Quinto Clodio Ambrosio nel Piceno, «Picus», 1 (1981), pp. 105-113; Ead., Note epigrafiche settem-
pedane, «Picus», 3 (1983), pp. 133-150; L. Taborelli, Nuovi esemplari di bolli già noti su contenitori
vitrei dall'area centro-italica (regg. IV, V, VI), «Picus», 3 (1983), pp. 23-69; Brecciaroli Taborelli,
Anfore picene, cit., pp. 55-93; Fortini, Laterizi bollati, cit., pp. 107-134; S.M. Marengo, Etichette
plumbee ed altro instrumentum iscritto su metallo da varie località del Maceratese, «Picus», 9
(1989), pp. 35-63; P. Fortini, Bolli su ceramica fine da mensa da Cupra Maritima, «Picus», 10
(1990), pp. 7-70; L. Mazzeo Saracino et alii, Aspetti della produzione e della commercializzazione
dell’instrumentum domesticum di età romana nelle Marche alla luce dei rinvenimenti di Suasa, «Atti
del Convegno. L’entroterra marchigiano nell'antichità: ricerche e scavi (Arcevia, 16-17 novembre
1991» = «Le Marche. Archeologia. Storia. Territorio», 1991, pp. 53-94; F. Cordano, I bolli rodii di
Ancona, «Picus», 12-13 (1992-1993), pp. 189-193; K. Capriotti, Due bolli laterizi da Monterubbiano,
«Picus», 20 (2000), pp. 305-311; S.M. Marengo, Nuovi bolli rodii dalle Marche, «Picus», 20 (2000),
pp. 312-319; Ead., I laterizi degli Aufidii e un bollo da Urbs Salvia, «Munus amicitiae. Scritti per il
70° genetliaco di Floriano Grimaldi», a cura di G. Paci - M.L. Polichetti - M. Sensi, Loreto 2001, pp.
183-188.
76 Vd. infra le schede sulle iscrizioni Potentia 1 (pp. 427-432) e Urbs Salvia 1 (pp. 508-510).
77 La scarsità delle scene di mestiere nell’arte figurativa del Piceno è notata da L. Mercando, Gli in-
sediamenti rurali di età romana nelle Marche, «Insediamenti rurali in Emilia Romagna Marche», Ci-
nisello Balsamo 1989, pp. 37-40, che ricorda il bel sarcofago anconitano raffigurante la bottega di un
mercante di vini (descrizione in G. Zimmer, Römische Berufsdarstellungen, Berlin 1982, pp. 218-219,
con fig. 177; cf. anche A. Tchernia, Le vin de l’Italie romaine. Essai d’histoire économique d’après
les amphores , Rome 1986, p. 286); a questa raffigurazione si possono aggiungere la scena di carico di
un otre su di un carro (o meglio, di travaso in un’anfora del vino contenuto nell’otre), rappresentata
nell’urna funeraria di uno schiavo di nome Syrus rinvenuta a Firmum, sulla quale si veda CIL IX,
5411; S. Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen aus Picenum, «MDAI(R)», 89 (1982), p. 83, n°1; tav.
30, fig. 1; Ead., La sfera dei sepolcri: apporti alla conoscenza dell’aspetto socio-economico del terri-
torio, «Le Marche. Archeologia. Storia. Territorio», 1991-1993, pp. 87-88; L. Pupilli, Fermo. Anti-
quarium, «Musei d’Italia - Meraviglie d’Italia», 23, Bologna 1990, p. 101, n°347; S.M. Marengo,
Donne e produzione: esempi dalla regio V: «Donna e lavoro», a cura di Buonopane - Cenerini, cit.,
Introduzione 29

gli scopi del presente lavoro, dedicato ad un linguaggio, quello epigrafico, che pos-
siede una grammatica propria, diversa da quella delle rappresentazioni figurate, an-
che se le connessioni tra i due diversi tipi di narrazione, quella epigrafica e quella
figurata, appaiono evidenti78.

pp. 78-86, con acuta interpretazione della scena e interessanti osservazioni sul testo epigrafico che
l’accompagna; la stele fermana CIL IX, 5374, nella quale era ricordato un magistrato locale, con la
raffigurazione di un maialino, forse riflesso dell’allevamento di questi animali nella regione (cf.
Diebner, Sfera dei sepolcri, cit., p. 88); la stele funeraria CIL IX, 5112 di C. Petisedius Successus da
Interamnia, nella quale sono raffigurati un’ascia ed un perpendiculum, forse connessi con un mestiere
nel settore delle costruzioni esercitato dal defunto, cf. Zimmer, Berufsdarstellungen, cit., p. 214, n°66.
Secondo A. Santucci, Un monumento a forma di nave a Montecassiano, «Picus», 10 (1990), pp. 211-
220, questo singolare monumento, rinvenuto nel territorio di Ricina, era in rapporto con il mestiere
del committente, forse un personaggio in qualche modo legato ai commerci marittimi.
78 Il punto di riferimento in questo settore di studio è costituito dalle ricerche di M. Reddé, Les scènes
de métier dans la sculpture funéraire gallo-romaine, «Gallia», 36 (1978), pp. 43-63; G. Zimmer,
Römische Berufsdarstellungen, Berlin 1982, incentrato sulla documentazione dell’Italia (con la recen-
sione di P. Kneissl, «BJ», 185 (1985), pp. 640-641); Id., Römische Handwerker, «ANRW», II, 12, 3,
Berlin - New York 1985, pp. 205-228; R. Chevallier, Perspectives de recherche sur le scènes de mé-
tiers (Gaule Cisalpine et Transalpine), «ArchClass», 49 (1997) = «Le province dell’Impero. Miscel-
lanea in onore di Maria Floriani Squarciapino», Roma 1998, pp. 47-63; Bisconti, Mestieri, cit. (vd.
partic. il capitolo II, pp. 31-60: Iconografia dei mestieri: genesi e fortuna); J.-C. Béal, La dignité des
artisans: les images d’artisans sur les monuments funéraires de Gaule romaine, «DHA», 26 (2000),
2, pp. 149-182. Per un approccio di carattere semiologico a questa classe di documenti, in un ambito
geografico ben definito ed unitario, vd. S. Pannoux, La représentation du travail: récit et image sur le
monuments funéraires des Médiomatriques, «DHA», 11 (1985), pp. 293-329; cf. inoltre G. Susini, Il
lapidario greco e romano di Bologna, Bologna 1960, pp. 18-20; G.A. Mansuelli, Les monuments
commémoratifs romains de la vallée du Pô, «MonPiot», 53 (1963), pp. 60-62; B.M. Felletti Maj, La
tradizione italica nell’arte romana, Roma 1977, pp. 194-196; 239-253; 320-326; N. Kampen, Image
and Status: Roman Working Women at Ostia, Berlin 1981, per la documentazione iconografica del
lavoro femminile ad Ostia; AAVV., Arbeitswelt, cit., pp. 159-177; P. Zanker, Bürgerliche
Selbstdarstellung am Grab im römischen Kaiserreich, «Die römische Stadt im 2. Jahrhundert n. Chr.
Der Funktionswandel des öffentlichen Raumes. Kolloquium in Xanten vom 2. bis 4. Mai 1990», a cura
di H.-J. Schalles - H. Von Hesberg - P. Zanker, Köln 1992, pp. 352-354; P. Giacomini Donati, Il
mondo del lavoro e le sue raffigurazioni: arti e mestieri nella Cispadana romana, «Il Carrobbio», 19-
20 (1993-1994), pp. 25-32, con una rassegna delle diverse teorie sulle motivazioni che spinsero i
committenti a far decorare le proprie tombe con scene di mestiere; L. Mercando - G. Paci, Stele ro-
mane in Piemonte, Roma 1998, pp. 97-122 raccolgono e studiano la documentazione relativa alle
scene di mestiere su di una particolare tipologia monumentale del Piemonte; interessanti per un con-
fronto con la documentazione di età romana le considerazioni di A. Kosmopoulou, ‘Working Wo-
men’: Female Professionals on Classical Attic Gravestones, «ABSA», 96 (2001), pp. 281-319; rapide
ma importanti considerazioni sul rapporto fra menzione del mestiere e sua rappresentazione iconogra-
fica in F. Feraudi-Gruénais, Sepulkrale ‘Selbstdarstellung’ von Unterschichten: Beobachtungen zu In-
schriften in stadtrömischen Grabmonumenten der Kaiserzeit (Vorbericht), «Inschriftliche Denkmäler
als Medien der Selbstdarstellung in der römischen Welt», a cura di G. Alföldy - S. Panciera, Stuttgart
2001, pp. 121-124; recenti analisi di un complesso figurativo “di mestiere” di straordinaria rilevanza
in A. Mehl, Wirtschaft, Gesellschaft, Totenglauben: die “Igeler Säule” bei Trier und ihren Grabher-
ren, «Laverna», 8 (1997), pp. 59-92; A. Marcone, Tra archeologia e storia economica: il mausoleo
dei Secundini a Igel, «Athenaeum», 88 (2000), pp. 485-497.
30 Introduzione

1.2. Limiti geografici e cronologici


L’indagine è limitata alla regio V dell’ordinamento augusteo dell’Italia, il
Picenum, una fascia di territorio delimitata dall’Esino e nord e dal Saline a sud e
che si estendeva tra gli Appennini ad occidente e il mare Adriatico ad oriente.
La scelta di una delle regiones augustee come quadro per una ricerca di ca-
rattere prevalentemente economico e sociale potrà sembrare arbitraria: anche se i
criteri etnografici e geografici seguiti nella discriptio Italiae di Augusto possono,
indirettamente, aver delineato dei territori con alcune caratteristiche sociali ed eco-
nomiche simili 79, niente garantisce che le comunità del Piceno presentino, sotto
l’aspetto della documentazione epigrafica del mondo del lavoro, un quadro unitario
e nello stesso tempo nettamente differenziato da quello delle regioni circostanti80.
D’altra parte mi pare che ogni altro tentativo di stabilire a priori un ambito geogra-
fico entro il quale considerare una realtà ancora tutta da studiare sarebbe pervenuto
a risultati altrettanto arbitrari; mi è sembrato dunque che la suddivisione regionale
augustea fornisse l’inquadramento più pratico, soprattutto considerando
l’organizzazione degli studi epigrafici, se non più significativo per le strutture eco-
nomiche e sociali del mondo antico.
L’arco cronologico preso in esame va dagli inizi della dominazione romana
sul Piceno, al principio del III sec. a.C., alla fine del mondo antico; di fatto la do-
cumentazione rilevante si distribuisce in modo ineguale tra la fine del II sec. a.C.
(Cluana 1, Firmum 2) e l’età costantiniana (Interamnia 1), con una significativa
concentrazione di testimonianze nei primi due secoli della nostra era.

2. I caratteri della documentazione

Le attestazioni di mestieri ritornano, anche nell’epigrafia del Piceno, in


iscrizioni di diverso carattere, nelle quali l’indicazione dell’attività lavorativa ri-
sponde a motivazioni molteplici: un dato che non è privo di importanza nella for-

79 Sui caratteri della divisione regionale augustea vd. R. Thomsen, The Italic Regions from Augustus
to the Lombard Invasions, Copenhagen 1947, pp. 15-144; G. Tibiletti, Le regioni augustee e le lingue
dell’Italia antica, «Convegno per la preparazione della Carta dei Dialetti Italiani. Università di Mes-
sina 16-17 maggio 1964», Messina 1965, pp. 41-45; ora in Storie locali dell’Italia romana, Pavia
1978, pp. 25-29; F. De Martino, Note sull’Italia augustea, «Athenaeum», n.s. 53 (1975), pp. 245-261,
partic. 245-249; Id., Storia della costituzione romana, Napoli 1972-19752 , IV, 2, pp. 692-694; W.
Simshäuser, Untersuchungen zum Entstehung der Provinzialverfassung Italiens, «ANRW», II, 13,
Berlin - New York 1980, pp. 410-412; C. Nicolet, L’inventaire du monde. Géographie et politique
aux origines de l’Empire romain, Paris 1988; trad. it. L’inventario del mondo. Geografia e politica
alle origini dell’impero romano, Roma - Bari 1989, pp. 209-213; 242-244; Id., L’origine des regiones
Italiae augustéennes, «CCG», 2 (1991), pp. 73-97; H. Galsterer, Regionen und Regionalismus im rö-
mischen Italien, «Historia», 43 (1994), pp. 311-316.
80 Le ricerche condotte su altre aree sembrano piuttosto indicare il contrario, vd. per esempio quanto
scrive Frézouls, Noms, cit., p. 68 a proposito della sua indagine sulle menzioni dei mestieri
nell’epigrafia delle province della Gallia e della Germania: “on ne peut raissonner uniquement en
termes de géographie administrative: les données imposent à la fois distinctions à l’interieur d’une
même province et des regroupements entre zones structurellement apparentées dans des provinces li-
mitrophes”.
Introduzione 31

mazione del corpus di testimonianze in nostro possesso. Ritengo dunque utile ri-
chiamare brevemente, classe per classe, la documentazione che costituisce la base
di partenza dell’indagine.
Le iscrizioni funerarie costituiscono la nostra maggiore fonte di informa-
zioni sui mestieri nel Piceno romano, con ben 39 documenti81, più della metà delle
testimonianze in nostro possesso; il dato è probabilmente ancora più netto di
quanto non appaia, se si considera che alcune delle epigrafi di incerto carattere
sono forse da ascrivere a questa classe 82.
Nella maggior parte delle attestazioni il mestiere menzionato è relativo al de-
funto stesso, che in alcuni casi potrebbe aver dettato le indicazioni concernenti la
propria occupazione, o almeno espresso il desiderio che questa venisse ricordata
nel suo epitafio: è certamente il caso dell’unguentarius T. Asinio Severo di Ancona
(Ancona 3) che pose da vivus la sua iscrizione funebre, ma probabilmente anche
quello dell’epitafio del mercante di marmi Aurelio Andronico di Nicomedia, che
curò l’erezione del sepolcro per sé e per la moglie (Interamnia 1) e del sagarius di
Milano Q. Lucilio Carino, che allestì un’area sepolcrale per sé e per l’amicus Q.
Sulpicio Celado (Ricina 1).
In pochi casi è il dedicante a menzionare la propria occupazione, una scelta
che sembra spesso dettata dalla volontà di sottolineare con forza i rapporti di ami-
cizia e di affetto che legavano il dedicante stesso al defunto: si veda il caso
dell’iscrizione Ancona 2, in cui l’arbitro in seconda (secunda rudis) Berillo, in-
sieme al personale della famiglia gladiatoria di Claudio Saturnino, pone l’iscrizione
sepolcrale al banditore (praeco) della medesima compagnia di gladiatori Ti.
Claudio Celere; o ancora l’epigrafe Urbs Salvia 6, nella quale la nutrix Multasia
Felicitas dedica la sepoltura ad un giovane il cui nome è andato perduto, ma che
deve forse identificarsi col proprio pupillo. In un interessante epitafio da Asculum
solo uno dei due dedicanti, l’arcarius (o vicarius) e poi dispensator Ianuario, fa
menzione della propria occupazione (Asculum 2): il contesto tuttavia permette di
avanzare l’ipotesi che il defunto stesso, il liberto pubblico M. Valerio Verna,
avesse rivestito la funzione di dispensator presso l’arca publica della colonia di

81 Hanno carattere funerario certamente o con grande probabilità i documenti Ancona 2, Ancona 3,
Asculum 2, Asculum 3, Asculum 4, Asculum 5, Auximum 3, Auximum 6, Auximum 9, Auximum 10, Au-
ximum 15, Cingulum 1, Cupra Maritima 1, Cupra Montana 1, Falerio 1, Falerio 2, Falerio 3, Falerio
4, Falerio 9, Falerio 11, Firmum 1, Firmum 2, Firmum 3, Hadria 1, Interamnia 1, Interamnia 2, Inte-
ramnia 3, Ricina 1, Septempeda 1, Trea 1, Trea 2, Trea 3, Truentum 1, Truentum 2, Urbs Salvia 4,
Urbs Salvia 5, Urbs Salvia 6; Urbs Salvia 7. A questi epitafi si può accostare l’iscrizione Interamnia
5, tabella che indicava i limiti di un’area sepolcrale riservata ai membri del locale collegio dei cento-
nari. Una proporzione simile si rileva anche nella documentazione relativa ai mestieri artigianali della
penisola iberica, vd. Gimeno Pascual, Artesanos, cit., p. 75. Sul significato del ricordo di un mestiere
nelle iscrizioni sepolcrali vd. Burford, Craftsmen, cit., pp. 176-183 e le considerazioni espresse infra,
pp. 96-103.
82 Tra i documenti di carattere incerto vanno annoverati Interamnia 4, Ricina 2, Trea 5. Falerio 5 è
una lettera dell’imperatore Domiziano al locale ordine dei decurioni.
32 Introduzione

Ascoli, avendo alle sue dipendenze Ianuario. Anche questo esempio è dunque as-
similabile alla casistica precedentemente presa in esame 83.
Si devono considerare a parte l’iscrizione Auximum 15, epitafio di N.
Fresidius Successus postogli decreto fabrum, e Falerio 9, epitafio di Sermo, verna
del vilicus Apollo il cui ruolo non è esplicitato nell’iscrizione, anche se è forse ipo-
tizzabile che si trattasse del dedicante. Interamnia 5 è invece la tabella dell’area se-
polcrale riservata ai membri del locale collegium centonariorum. Infine da ricor-
dare la lacunosa Urbs Salvia 7, nella quale è forse da riconoscere l’attestazione di
un collegium fabrum ad Urbs Salvia.
Il più delle volte le iscrizioni sepolcrali del mondo romano altro non conten-
gono che la semplice menzione di un mestiere, in un formula rio di impressionante
monotonia, come quasi tutti i documenti del Piceno raccolti per la presente inda-
gine. Tuttavia in qualche occasione possono fornire qualche informazione supple-
mentare sul luogo in cui il personaggio esercitava la sua attività o sull’abilità rag-
giunta nel suo campo; queste ultime notazioni compaiono con relativa frequenza
per giovani morti in età prematura, dei quali la pietas dei genitori è naturalmente
portata a ricordare l’eccellenza nel proprio settore nonostante la loro giovane età84.
In qualche raro caso l’epitafio accoglie una vera e propria breve biografia nella
quale il lavoro aveva una parte importante, come nel celeberrimo caso
dell’iscrizione del mietitore di Mactar 85. Le informazioni testuali potevano essere
eventualmente integrate da un apparato iconografico che illustrava il defunto in-
tento al lavoro o gli attrezzi caratteristici della sua attività, un tipo di documenta-
zione che ritorna con una relativa frequenza in Gallia, in Germania e, per quanto
concerne l’Italia, nella Cisalpina, ad Ostia ed in Campania, ma che è molto rara
nelle altre regioni del mondo romano86.
Rispetto agli epitafi, le epigrafi relative a monumenti onorari hanno ruolo di
minore rilievo (le iscrizioni appartenenti a questa classe incluse nella raccolta sono
12) 87 e presentano alcuni caratteri distinti. Tra di esse solo in Auximum 1 è il dedi-
cante ad indicare la propria occupazione, in questo caso l’accensus Leonas, che
pone la dedica al proprio patrono, il console polionimo C. Oppius C.f. Vel. Sabinus

83 Anche nella documentazione epigrafica della città di Roma considerata da Huttunen, Social Strata,
cit., p. 48, tabella 4, il numero di attestazioni di mestieri esercitati dal dedicante è più rara rispetto alla
menzione dell’attività del defunto, il 4, 4% contro il 9, 5%. Lo studioso finlandese, ibid., p. 49, da
questi dati conclude che i dedicanti menzionavano la propria occupazione solo se la consideravano di
eccezionale prestigio sociale. Tale ipotesi non mi sembra suffragata dagli esempi dalla regio V presi
in esame nel testo, ma merita di essere verificata alla luce di una documentazione più ampia.
84 Cf. per esempio CIL VI, 6182 = ILS 7589; CIL VIII, 724 (cf. 12135) = ILS 7759.
85 Sulla quale vd. da ultimo P. Desideri, L’iscrizione del mietitore (CIL VIII 11824): un aspetto della
cultura mactaritana del III secolo, «L’Africa romana. Atti del IV Convegno di studio. Sassari, 12-14
dicembre 1986», I, a cura di A. Mastino, Sassari 1987, pp. 137-149; G.-C. Picard, La civilisation de
l’Afrique romaine, Paris 19902, pp. 114-115.
86 A questo proposito vd. la bibliografia citata supra, p. 29, nota 78.
87 Appartengono alla classe delle iscrizioni di carattere onorario i documenti Auximum 1, Auximum 5,
Auximum 7, Auximum 8, Auximum 11, Auximum 12, Auximum 13, Auximum 14, Falerio 10, Firmum
4, Ricina 3, Trea 4.
Introduzione 33

Iulius Nepos Vibius Sollemnis Severus, presso il quale egli aveva svolto il suo ser-
vizio: in questo esempio l’indicazione della propria attività era chiaramente funzio-
nale a sottolineare i rapporti che intercorrevano tra dedicante ed onorato.
Nell’iscrizione Auximum 5 viene invece indicata l’occupazione dell’onorato, il li-
berto imperiale ed exceptor L. Aurelio Marciano. In altri esempi il ricordo di una
attività è solamente indiretto, come nelle epigrafi Auximum 7 e Auximum 8, in
onore di due personaggi il cui nome è andato perduto, nelle quali è attestato
l’ingaggio di gladiatori. Nelle rimanenti iscrizioni di carattere onorario sono atte-
state associazioni professionali, sia nel ruolo di dedicanti (Auximum 11, Auximum
12, Auximum 14, Falerio 2, Trea 4), sia, indirettamente, attraverso il ricordo di un
loro patrono (Auximum 13, Firmum 4).
Evidentemente la gente di mestiere, spesso di modesta condizione economica
e sociale, aveva pochi motivi ed occasioni per apparire individualmente nelle
iscrizioni relative a monumenti onorari nel ruolo di dedicanti o di onorati 88. Ben
maggiore era invece il peso economico ed il prestigio sociale delle associazioni
professionali, soggetti attivi nella vita municipale del Piceno romano.
Colpisce anche la concentrazione delle testimonianze relative alla classe
delle onorarie ad Auximum, un dato peraltro spiegabile in base alle vicende
dell’esplorazione delle aree pubbliche della città romana nel corso delle ristruttura-
zioni edilizie del XV secolo89.
Ancora più ridotto il numero delle iscrizioni votive incluse nel corpus qui
riunito, solamente 390, alle quali si può aggiungere anche il documento Asculum 1,
che pur rientrando per contenuto nella classe dei documenti relativi all’erezione di
opere pubbliche, è formalmente una dedica alla Fortuna Redux. Le epigrafi votive,
oltre a fornirci preziose indicazioni sulle credenze religiose nel mondo antico, sono
considerate generalmente indizio implicito di una certa agiatezza economica del
dedicante ed è pertanto ancor più significativo che due di esse, i documenti Ancona
1 e Auximum 4, al pari della già menzionata dedica alla Fortuna Redux, siano state
poste da schiavi che assolvevano l’ufficio di dispensator. Per il resto le iscrizioni
votive con la menzione del mestiere del dedicante condividono alcuni caratteri
delle iscrizioni funerarie, anche in questo caso in effetti il ricordo dell’occupazione
è generalmente individuale, anche se sono note alcune dediche religiose da parte di
collegia; per questa classe di documenti possiamo inoltre essere certi che la scelta
di fare parola del proprio mestiere era stata presa dal dedicante stesso91.

88 Cf. Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 9.
89 Cf. Gasperini - Paci, Ascesa al Senato, cit., p. 220, nota 48.
90 Tra le iscrizioni votive vanno annoverati i documenti Ancona 1, Auximum 2, Auximum 4.
91 In genere sui caratteri delle iscrizioni votive con la menzione di un mestiere si veda Burford,
Craftsmen, cit., pp. 169-176; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas -
Orejas, Trabajo, cit., p. 9 nota la scarsa incidenza di questa classe della documentazione epigrafica
nella conoscenza dei mestieri del mondo romano.
34 Introduzione

Le iscrizioni che fanno menzione della costruzione di un’opera pubblica in-


cluse nel dossier sono 1192. Tra di esse si devono distinguere nettamente quelle in
cui è il dedicante o il curatore dell’opera stessa a ricordare la propria occupazione,
come per esempio il documento Asculum 1, nel quale il dispensator della colonia di
Ascoli Rufo rievoca la costruzione di un tempio dedicato alla Fortuna Redux e
l’erezione di una statua alla divinità, in buona parte a sue spese. In altri documenti
il ricordo di un’attività lavorativa è solo indiretto o incidentale: per esempio
nell’iscrizione Falerio 7, dalla quale apprendiamo che i possessores, i negotiatores
ed i collegia attivi nel forum pecuarium della cittadina picena vennero chiamati a
contribuire alla costruzione di una strada lastricata93. La classe di documenti più
interessanti è tuttavia rappresentata dalla cosiddette firme di artisti ed artigiani, an-
che se nella regio V queste sono piuttosto rare94. Segno di una presa di coscienza
del proprio valore individuale e di orgoglioso riconoscimento della propria opera,
queste firme sono piuttosto caratteristiche delle aree di cultura greca, mentre nella
parte occidentale del mondo romano ebbero solo una diffusione piuttosto limitata,
tranne forse che nel caso degli architetti, anche per la rigida regolamentazione del
diritto di apporre il proprio nome su di un’opera pubblica che si ebbe in età impe-
riale 95.
Il dossier delle testimonianze è completato da due graffiti su instrumentum
domesticum; il primo, Potentia 1, a designare l’appartenenza dell’oggetto ad un fa-
ber; il secondo, Urbs Salvia 1, con il ricordo di un architectus su tegola, rimane di
dubbia natura, a causa della sua lacunosità e dell’assenza di paralleli precisi.
Nel suo complesso la documentazione offre dunque la possibilità di formu-
lare considerazioni sia relative all’economia del mondo antico, sia in ordine alle
strutture sociali e alla storia delle mentalità; lo studio di questi due aspetti peraltro
non deve essere disgiunto, dal momento che l’interpretazione del primo è funzio-
nale allo studio del secondo, e viceversa.

92 Appartengono alla classe delle iscrizioni relative ad opere pubbliche i documenti Asculum 1,
Cluana 1, Cluana 2, Falerio 6, Falerio 7, Falerio 8, Interamnia 6, Interamnia 7, Tolentinum 1, Urbs
Salvia 2, Urbs Salvia 3.
93 Si veda anche l’iscrizione Cluana 2, nella quale si trova forse la menzione del restauro di un’area
del vicus Cluentensis in cui espletavano la loro attività non meglio specificati lavoratori il cui nome
terminava con [---]rii. Nelle due iscrizioni Interamnia 6 e 7 i socii campi finanziano la costruzione
stessa del campus. L’epigrafe Tolentinum 1 attesta la costruzione di una sede per il locale collegio dei
fabri tignuarii. Infine nelle iscrizioni Urbs Salvia 2 e 3, i notissimi documenti relativi alla costruzione
dell’anfiteatro cittadino a cura L. Flavio Silva Nonio Basso, si trova la menzione dei gladiatori chia-
mati a combattere durante l’inaugurazione della struttura.
94 Rappresentata nella documentazione picena dalle iscrizioni Cluana 1, relativa alla costruzione di
un’area destinata al culto dei Lari compitali, con il marciapiede che la circondava, da parte di un tal
Pilonicus, che non dichiara esplicitamente il proprio mestiere ma nel quale si potrà facilmente ricono-
scere uno structor oppure un architectus; Falerio 8, iscrizione musiva che attribuisce il mosaico
stesso all’opera del tesserarius Felix. In genere sulle firme di artisti ed artigiani vd. Burford,
Craftsmen, cit. pp. 207-218.
95 Per un inquadramento generale di questa classe di documenti vd. G. Siebert, Signatures d’artistes,
d’artisans et de fabricants dans l’Antiquité classique, «Ktema», 3 (1978), pp. 111-131.
Introduzione 35

3. Le attività economiche nel Piceno

Mi pare necessario riepilogare brevemente il quadro delle attività produttive,


commerciali e di servizio del Piceno così come emerge dal complesso delle fonti a
nostra disposizione, allo scopo di fornire un panorama orientativo che serva da
cornice alle iscrizioni studiate nella seconda parte e che consenta nelle conclusioni
di valutare l’effettivo apporto della documentazione esaminata per la ricostruzione
della storia economica del Piceno romano.
A tale proposito si deve immediatamente rilevare come la storia economica
della regio V, come del resto la storia economica del mondo antico in genere, sia in
larghissima misura una storia nascosta: per la sua ricostruzione possiamo contare
essenzialmente su un pugno di accenni incidentali delle fonti letterarie, general-
mente più interessate a dettagli curiosi ed eccezionali piuttosto che ai dati strutturali
della vita economica di una regione, e su di una documentazione archeologica,
necessariamente limitata ai materiali non deperibili e che in parte attende ancora
uno studio sistematico.

3.1. Le attività agricole e il settore primario


Lo sviluppo delle attività agricole nel Piceno96 era in parte condizionato
dalle caratteristiche geografiche e morfologiche della regione: la fascia che si af-
faccia sull’Adriatico è occupata da una stretta ma fertile pianura costiera; verso
l’interno si trova una regione collinare e montuosa, solcata da diverse valli paral-
lele, con andamento da sud-ovest a nord-est.
Le nostre conoscenze sull’organizzazione della proprietà fondiaria nel Pi-
ceno sono piuttosto scarse97. Attraverso la documentazione letteraria ed epigrafica

96 Sull’agricoltura del Piceno si veda T. Frank, An Economic Survey of Ancient Rome, V, Rome and
Italy of the Empire, Baltimore 1940, p. 123 (molto sintetico); N. Alfieri, Le Marche in età romana,
Bologna 1975 (si tratta delle dispense relative alla II parte monografica del corso di Topografia
dell’Italia Antica tenuto presso l’Università di Bologna nell’anno accademico 1974/1975), pp. 19-24;
Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme d’insediamento, cit., pp. 315-317; N. Alfieri, La re-
gione V dell’Italia augustea nella Naturalis Historia, «Plinio il Vecchio sotto il profilo storico e lette-
rario. Atti del convegno di Como 5/6/7 ottobre 1979» , Como 1982, pp. 203; 214; Conta, Il territorio
di Asculum, cit., pp. 44-50; Mercando, Insediamenti rurali, cit., p. 37; Polverini, Fermo in età ro-
mana, cit., pp. 64-67; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., pp. 97-99; Delplace, Ro-
manisation, cit., pp. 133-134; Grue, Storia ed economia del territorio, cit., pp. 15-18; Paci, Alcune
considerazioni, cit., pp. 31-38; Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., pp. 460-462.
97 Sintesi in Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., pp. 95-97; cf. anche, per il territorio
di Firmum, le considerazioni di Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., pp. 457-463, partic. 457-458.
Alla luce della scarsità della documentazione la tentazione di far rientrare tra le testimonianze rile-
vanti anche Catull., 114-115 è dunque comprensibile: nel primo dei due componimenti il poeta vero-
nese descrive il saltus Firmanus di Mentula, nel quale si trovano terreni arativi, pascoli, pesci e sel-
vaggina; nel secondo si precisa che Mentula possedeva 30 iugeri di pascolo e 40 di arativo e che in un
solo fondo egli aveva svariati tipi di proprietà: prata, arva, ingentis silvas saltusque paludesque. I ca-
ratteri della testimonianza, sulla quale si veda in particolare P. Harvey, Catullus 114-115: Mentula,
bonus agricola, «Historia», 28 (1979), pp. 329-345, con la bibliografia ivi citata, consigliano tuttavia
di non fare troppo affidamento su di essa: la descrizione della proprietà di Mentula, sempre ammesso
che il saltus descritto in 114 e in 115 sia il medesimo, potrebbe essere del tutto fittizia ed anche se la
36 Introduzione

è certo possibile ricostruire una prosopografia dei grandi proprietari terrieri della
regione, largamente basata sulla supposizione che le famiglie senatorie di origine
picena dovessero avere almeno una parte delle loro proprietà nella regione98. Si ha
tuttavia l’impressione che nel Piceno il latifondo non dovesse avere una forte diffu-
sione, almeno in età tardo repubblicana e alto imperiale; tale impressione nasce
principalmente dalla considerazione del tipo di produzione agricola della regione e
della densità del popolamento, conseguenza degli intensi fenomeni di colonizza-
zione e di distribuzione viritana di terreni che interessò il Piceno nell’età medio e
tardo repubblicana; una conferma potrà forse venire dallo studio sistematico dei
numerosi toponimi che continuano gli antichi prediali romani99. L’indagine arche-

sua composizione poteva risultare credibile per l’Italia tardorepubblicana non è affatto sicuro che sia
da ritenere tipica per il territorio di Firmum: si veda a questo proposito il giudizioso richiamo di
Polverini, Fermo in età romana, cit., pp. 66-67 a non sopravvalutare l’importanza della testimonianza
catulliana. Ad una sostanziale storicità del saltus Firmanus di Catullo sembra invece credere S.L.
Dyson, Community and Society in Roman Italy, Baltimore - London 1992, p. 78.
98 Per quanto concerne i membri dell’ordine senatorio che avevano proprietà nel Piceno (ma non ne-
cessariamente originari di quella regione) vd. A.M. Andermahr, Totus in praediis. Senatorischer
Grundbesitz in Italien in der Frühen und Hohen Kaiserzeit, Bonn 1998; cf. in particolare per la regio
V, p. 146, n°32: [An?]nius Bassus; p. 155, n°44: Antonia Picentina; p. 199, n°109: Calestrius Tiro (cf.
anche a proposito di questo personaggio Branchesi, Presenze senatorie, cit., pp. 73-81, che pubblica
l’epigrafe sepolcrale di un probabile liberto dei Calestrii Tirones proveniente da Campofilone, nel
territorio di Cupra Maritima); p. 268, n°210: L. Flavius Silva Nonius Bassus; pp. 273-274, n°222:
Fufii Gemini; pp. 280-281, n°234: M. Gavius Appalius Maximus; pp. 283-284, n°238: M. Gavius
Maximus; pp. 289-290, n°247: T. Helvius Basila; pp. 291-292, n°250: M. Herennius Picens; pp. 353-
355, n°360: Nonii Asprenates; pp. 366-367, n°375: C. Iulius Oppius Clemens; p. 367, n°376: C .
Oppius Sabinus Iulius Nepos M’. Vibius Solemnis Severus; p. 383, n°407: C. Plautius Rufus; pp. 420-
421, n°468: C. Salvius Liberalis Nonius Bassus e C. Salvius Vitellianus; p. 436, n°497: [.] Sollius [---
]; pp. 445-446, n°514: L. Tarius Rufus; p. 455, n°534: L. Tusidius Campester; p. 479, n° 574: M’.
Vibius Balbinus; pp. 493-496, n° 598: Volusii Saturnini. I dati raccolti dalla Andermahr devono essere
integrati con quelli relativi alle grandi famiglie di età tardorepubblicana, principalmente sulla base
delle ricerche di I. Shatzman, Senatorial Wealth and Roman Politics, Bruxelles 1975: p. 292, n°82: L.
Afranius; pp. 311-313, n°105: M. Caelius Rufus; p. 375, n°160: T. Labienus; p. 386, n°176: L .
Minucius Basilus; p. 283, n°69; pp. 389-393, n°186: Pompeii; p. 443: Q. Sergius. A questi si aggiunga
almeno il nome di Tuscilius Nominatus, sulla base di CIL IX, 5746 = ILS 5675 da Ricina e, forse, di
CIL IX, 5654 da Trea ( = Trea 2 della presente raccolta), cf. Gasperini - Paci, Ascesa al Senato, cit.,
p. 208, nota 16 e infra, pp. 472-473. Dal dossier ricavabile dalla ricerca di A.M. Andermahr va invece
espunto il nome di M. Clodius Pupienus Maximus, il cui rapporto con il Piceno si fonda solamente su
CIL IX, 5765 ( = CIL I2, 1927, ripresa da G. Paci in L. Gasperini et alii, Il lapidario del Palazzo Co-
munale di Macerata, «AFLM», 5-6 (1972-1973), pp. 77-79, n°9), in cui si farebbe menzione di un Ti.
Clodius Pup(ieni) l(ibertus) Ballaeus; in realtà la formula onomastica del personaggio deve essere in-
tesa Ti. Clodius pup(i) l(ibertus) Ballaeus (così CIL I2, 1927 e G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario,
cit., p. 79) o piuttosto Ti. Clodius pup(illi) l(ibertus) Ballaeus (così O. Salomies, Die römischen Vor-
namen. Studien zur römischen Namengebung, Helsinki 1987, p. 64): viene così a cadere l’unica prova
di un legame tra i Clodii Pupieni e la regio V, cf. la recensione di O. Salomies, «Arctos», 33 (1999),
p. 225 al volume della Andermahr. Si potrà invece aggiungere famiglia dei Livii Ocellae, ai quali si è
recentemente ascritta una produzione di anfore e, di conseguenza, di una proprietà agricola i cui pro-
dotti erano destinati ad essere trasportati in quei contenitori, nel territorio di Firmum, vd. infra, pp.
61-62.
99 Così Delplace, Romanisation, cit., pp. 159-160. Per un primo approccio ai prediali del Piceno, con
l’analisi di alcuni casi esemplificativi vd. G. Paci, Schede per l’identificazione di antichi predii in
Introduzione 37

ologica, anche se i risultati raggiunti non consentono per il momento l’elaborazione


di una sintesi, rivelano sempre più un territorio punteggiato da modesti insedia-
menti rurali, ma anche da villae rusticae di considerevoli dimensioni, con annessi
impianti per la trasformazione dei prodotti agricoli e lo sfruttamento delle altre ri-
sorse naturali dei fondi, come per esempio i banchi d’argilla 100.
Dalle fonti letterarie emerge il quadro di una regione prospera dal punto di
vista agricolo: la prima testimonianza in nostro possesso è quella di Polibio, il
quale narra di come Annibale, dopo aver battuto i Romani sul lago Trasimeno,
avanzò verso la costa adriatica, approfittando del fatto di trovarsi in una regione in
cui abbondavano i prodotti agricoli di ogni specie per ristorare uomini e cavalli du-
ramente provati dall’inverno trascorso nella Cisalpina e dalle marce attraverso le

area picena, «Geografiva. Atti del Secondo Convegno Maceratese su Geografia e Cartografia Antica
(Macerata, 16-17 Aprile 1985)», a cura di P. Janni - E. Lanzillotta, Roma 1988, pp. 161-198; U.
Moscatelli, Approcci complementari per lo studio della toponomastica prediale romana nelle Mar-
che, «Le Marche. Archeologia. Storia. Territorio», 1991-1993, pp. 99-140.
100 Fondamentali in questo senso gli inventari redatti da L. Mercando, Marche - Rinvenimenti di in-
sediamenti rurali, «NSc», 104 (1979), pp. 89-296 (vd. tuttavia anche le pessimistiche considerazioni
della studiosa a pp. 295-296 sull’utilità dei dati per la ricostruzione della proprietà fondiaria nel Pi-
ceno); Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme d’insediamento, cit., pp. 311-348; U.
Moscatelli, Resti di una villa romana in contrada Morico di Pollenza (Macerata), «Picus», 1 (1981),
pp. 115-122; Delplace, Romanisation, cit., pp. 107-124; U. Moscatelli, The Evolution of the Rural Set-
tlement in regiones V and VI from the Roman to the Early Medieval Period, «Settlement and Economy
in Italy 1500 BC - AD 1500. Papers of the Fifth Conference of Italian Archaeology» , a cura di N.
Christie, Oxford 1995, pp. 303-309; cf. anche la sintesi proposta da Mercando, Insediamenti rurali,
cit., pp. 40-44. Vd. inoltre le ricerche campione sul territorio di Cupra Maritima condotte da P.
Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeo-
logica, «Cupra Marittima e il suo territorio in età antica. Atti del Convegno di Studi. Cupra Marit-
tima, 3 maggio 1992», a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli 1993 (Picus Supplementi II), pp. 85-
88 e, in particolare sulla villa suburbana attigua all'area di servizio Erg, E. Percossi Serenelli, Cupra
Maritima, «Atlante», a cura di De Marinis - Paci, cit., pp. 108-109; N. Frapiccini in E. Percossi
Serenelli - N. Frapiccini, Cupra Marittima (AP), «Picus», 20 (2000), pp. 367-369. Sul Piceno centrale
nel tardoantico vd. Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico al Medioevo, cit., partic.
pp. 39-42; getta uno sguardo generale sulla medesima area Ead., Le ville e i centri romani minori,
«Atlante», a cura di De Marinis - Paci, cit., pp. 141-144; sempre sull’ager Firmanus M. Pasquinucci -
S. Menchelli - W. Scotucci, Viabililità e popolamento tra Asculum e Firmum Picenum, «La Salaria in
età antica. Atti del convegno di studi. Ascoli Piceno - Offida - Rieti, 2-4 ottobre 1997», a cura di G.
Paci - E. Catani, Macerata 2000, pp. 353-357. Per l’ager di Hadria, vd. Martella, L’ager Hatrianus,
cit., p. 223 e fig. 3; Menozzi, Viabilità, cit., pp. 41-42; Grue, Storia ed economia del territorio, cit., p.
15. È recente il rinvenimento di una grande villa a Montetorto, nei pressi di Osimo, della quale al
momento è stata scavata solamente la pars rustica, cf. R. Virzì Hägglund, La villa rustica di Monte
Torto. Gli impianti produttivi, Ancona 1995.
38 Introduzione

zone paludose 101. Il tema ritorna, sostanzialmente con gli stessi accenti, nella nar-
razione liviana degli eventi della seconda guerra punica102.
Precisazioni sui caratteri dell’agricoltura del Piceno ci vengono da Strabone,
il quale, in connessione con le caratteristiche geografiche e morfologiche della re-
gione che si estende dalle montagne dell’Appennino sino alla costa dell’Adriatico,
nota come il territorio, pur fertilissimo in genere, fosse più propizio alla frutticol-
tura che alla coltivazione dei cereali; particolare attenzione nella descrizione stra-
boniana merita la città di Ancona, il cui territorio produceva grano e vino in grandi
quantità103.
La produzione del grano era probabilmente limitata alla piana costiera e ai
fondovalle e destinata in larga parte all’autoconsumo104. In zone più elevate e
meno favorevoli al frumento dovevano essere coltivati altri tipi di cereali: il riferi-
mento di Plinio a dei pani piceni ex alica materia dimostra in effetti che nella re-
gione veniva prodotta anche la spelta105; la prevalenza della spelta sul grano è del
resto notata da Strabone a proposito della sezione montuosa dell’antica Umbria,

101 Pol., III, 87, 1-2: ejn w|/ kairw'/ katastratopedeuvsa" para; to;n ∆Adrivan ejn cwvra/ pro;" pavnta
ta; gennhvmata diaferouvsh/ megavlhn ejpoiei'to spoudh;n uJpe;r th'" ajnalhvyew" kai; qerapeiva" tw'n
ajndrw'n, oujc h|tton de; kai; tw'n i{ppwn. wJ" a]n ga;r uJpaivqrou th'" paraceimasiva" gegenhmevnh" ejn
toi'" kata; Galativan tovpoi", uJpov te tou' yuvcou" kai; th'" ajnhleiyiva", e[ti de; th'" meta; tau'ta dia;
tw'n eJlw'n poreiva" kai; talaipwriva" ejpegegovnei scedo;n a{pasi toi'" i{ppoi", oJmoivw" de; kai; toi'"
ajndravsin oJ legovmeno" limovywro" kai; toiauvth kacexiva.
102 Liv., XXII, 9, 3-5: in agrum Picenum avertit iter, non copia solum omnis generis frugum abun-
dantem sed refertum praeda, quam effuse avidi atque egentes rapiebant. Ibi per dies aliquot stativa
habita refectusque miles hibernis itineribus ac palustri via proelioque magis ad eventum secundo
quam levi aut facili adfectus. Sulle due testimonianze vd. i commenti di Delplace, Élites municipales,
cit., p. 75; M. Buonocore - G. Firpo, Fonti latine e greche per la storia dell’Abruzzo antico, II, 2,
L’Aquila 1998, p. 713, con bibliografia. Sugli aspetti topografici del passaggio di Annibale vd. partic.
N. Alfieri, Annibale dall’Umbria al Piceno (217 a.C.), «L’età annibalica e la Puglia. Atti del II Con-
vegno di Studi sulla Puglia romana (Mesagne, 24-26 marzo 1988)», Mesagne 1988, pp. 127-132; ora
in Scritti di topografia, cit, pp. 343-351.
103 Strab., V, 4, 2: oijkou'si dæ ajpo; tw'n ojrw'n ajrxavmenoi mevcri tw'n pedivwn kai; th'" qalavtth", ejpi;
mh'ko" hujxhmevnhn e[conte" ma'llon h] plavto" th;n cwvran, ajgaqh;n pro;" a{panta, beltivw de; toi'"
xulivnoi" karpoi'" h] toi'" sitikoi'" … povlei" dæ ∆Agkw;n me;n ÔEllhniv", Surakousivwn ktivsma tw'n
fugovntwn th;n Dionusivou turannivda: kei'tai dæ ejpæ a[kra" me;n limevna ejmperilambanouvsh" th'/
pro;" ta;" a[rktou" ejpistrofh'/, sfovdra dæ eu[oinov" ejsti kai; purofovro".Sui caratteri della testimo-
nianza straboniana vd. ora F. Raviola L’Italia adriatica in Strabone, «Hesperìa», 15, Roma 2002, p.
204.
104 Vd. la testimonianza di Strab., V, 4, 2, citata nella nota precedente, a proposito della produzione
granaria della zona di Ancona.
105 Cf. Plin., Nat. Hist., XVIII, 106: durat sua Piceno in panis inventione gratia ex alicae materia.
Eum novem diebus maceratum decumo ad speciem tractae subigunt uvae passae suco, postea in fur-
nis ollis inditum, quae rumpantur ibi, torrent. Neque est ex eo cibus nisi madefacto, quod fit lacte ma-
xime mulso. Si tratta di quei medesimi panes picentini cui Marziale dedica l’epigramma XIII, 47: Pi-
centina Ceres niveo sic nectare crescit, / ut levis accepta spongia turget aqua. I pani picentini sono
menzionati anche da Apic., IV, 2 e da Macrob., Sat., III, 13, 12. Cf. J. André, L’alimentation et la
cuisine à Rome, Paris 1961, p. 72; Pasquinucci - Menchelli - Scotucci, Viabilità, cit., p. 357.
Introduzione 39

che confinava con il Piceno106: si può dunque presumere con un ragionevole grado
di sicurezza che un quadro produttivo sostanzialmente simile si riproponesse anche
ad oriente dello spartiacque appenninico.
Tra gli alberi da frutto è ben attestata la coltivazione dell’ulivo, più che per la
produzione di olio, eventualmente destinata solo all’autoconsumo107, per le olive
da tavola che secondo Plinio il Vecchio erano le migliori d’Italia, insieme a quelle
prodotte nella regione dei Sidicini108. Questa opinione era senz’altro sottoscritta da
Marziale, che doveva apprezzare in modo particolare le olive del Piceno e al quale
dobbiamo molte informazioni a proposito 109. Per quanto personali, i gusti di
Marziale dovevano essere largamente condivisi a Roma e possiamo credere che la
grande fama di cui tuttora godono le olive della regione marchigiana risalga
all’antichità; uno dei sistemi di conciatura riferiti da Palladio, anche se non espli-
citamente connesso con le olive picene, mostra in effetti più di un punto in contatto
con la moderna ricetta di preparazione delle olive ascolane110. Un’allusione alla
coltivazione dell’ulivo nel territorio della regio V si coglie anche nei versi di Silio

106 Strab., V, 2, 10: a{pasa dæ eujdaivmwn hJ cwvra, mikrw'/ dæ ojreiotevra, zeia'/ ma'llon h] purw'/ tou;"
ajnqrwvpou" trevfousa.
107 Cf. A. Degrassi, L’esportazione di olio e olive istriane in età romana, «AMSI», n.s. 4 (1956), p.
107; ora in Scritti vari di antichità, II, Roma 1962, p. 968, che giudica scarsa la produzione di olio
nell’antico Piceno.
108 Cf. Plin., Nat. Hist., XV, 16-17 il quale, a proposito del fatto che la grandezza del frutto non sem-
pre corrisponde alla sua ricchezza d’olio rileva: Quam ob causam Italicis transmarinae praeferuntur
in cibis, cum oleo vincantur, et in ipsa Italia ceteris Picenae et Sidicinae. Sale illae privatim condiun-
tur et ut reliquae amurca sapave, nec non aliquae oleo suo et sine arcessita commendatione purae
innatant, colymbades. Franguntur eadem herbarumque viridium sapore condiuntur. Fiunt et praeco-
ques ferventi aqua perfusae quamlibeat inmaturae; mirumque dulcem sucum olivas bibere et alieno
sapore infici. Purpureae sunt et in iis, ut uvis, in nigrum colorem transeuntibus posiis. Sunt et super-
bae praeter iam dicta genera. Sulle olive del Piceno vd. in particolare Conta, Il terri torio di Asculum,
cit., pp. 47-50; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 99; Pasquinucci - Menchelli -
Scotucci, Viabilità, cit., p. 357.
109 Marziale ricorda le olive picene in numerosi epigrammi: I, 43, 8, nel quale il poeta lamenta tra
l’altro la loro assenza nel povero banchetto offerto da Mancino: nec de Picenis venit oliva cadis; IV,
46, 12-13, dove, tra i doni giunti a Sabello, si ricorda anche una cassettina con poche olive, inviatagli
da un suo cliente del Piceno: Piceno quoque venit a cliente / parcae cistula non capax olivae; IV, 88,
7, dove si rimprovera ad anonimo personaggio di non aver ricambiato i doni di Marziale nemmeno
con un piccolo canestro di olive picene: nec rugosarum vimen breve Picenarum; vd. inoltre V, 78, 19-
20: Succurrent tibi nobiles olivae, / Piceni modo quas tulere rami; IX, 54, 1: Si mihi Picena turdus
palleret oliva …; riguardo alle olive nere, maturate al gelo vd. XI, 52, 11: et quae Picenum senserunt
frigus olivae, nel menu che Marziale intende offrire all’amico Giulio Cereale; l’epigramma XIII, 36,
intitolato cistella olivarum, ricorda come fosse uso iniziare e concludere il pasto con le olive del Pi-
ceno: Haec quae Picenis venis subducta trapetis / inchoat atque eadem finit oliva dapes. Un’allusione
alle olive picene anche in Auson., Ep., 1, 1-2 (secondo la numerazione della recente edizione oxo-
niense a cura di R.P.H. Green, Decimi Magni Ausoni opera, Oxonii 1999).
110 Pallad., XII, 22, 3: passi sextarium unum, cineris bene creti, quantum manus utraque gestabit,
vini veteris unum unim semisicilicum et aliquantum cupressi foliorum. Mixtis omnibus olivas infundis,
inculcas: et subinde crustam faciendo saturabis, donec ad vasculorum summa ora pervenias.
40 Introduzione

Italico in cui il poeta ricorda che Annibale Palladios se fundit in agros / Picenum
dives praedae, con ovvio riferimento all’albero sacro di Pallade Atena111.
La frutticoltura nel Piceno è inoltre testimoniata da accenni casuali di Plinio
il Vecchio alla produzione di pere112, e di Orazio e Giovenale riguardo alle mele
provenienti dalla regione113, che avevano un aspetto meno invitante di quelle di
Tibur, ma che per gusto erano loro superiori114.
Tra le attività economiche del Piceno meglio illustrate va annoverata indub-
biamente la viticoltura115: i passi degli autori antichi nei quali i vini della regione
sono ricordati, generalmente con accenti altamente positivi, sono in effetti piuttosto
numerosi; ciò peraltro non è sufficiente da solo a farci comprendere quale dovesse
essere l’importanza economica della viticoltura nella regio V: l’eccellenza di un
vino, anche per le sue qualità terapeutiche (spesso sottolineate proprio per i vini pi-
ceni, come si vedrà in seguito) non è garanzia del suo successo commerciale, anzi
l’impatto economico dei vini di pregio, anche nel mondo antico, doveva essere as-
sai più modesto di quello delle produzioni di mediocre qualità ma quantitativa-
mente superiori116. Fortunatamente la sempre maggiore attenzione prestata dalla
ricerca alla produzione e alla diffusione delle anfore che contenevano il frutto delle
vigne picene ci consente di inserire qualche elemento meno vago nel discorso117,
mentre la ricerca sugli impianti per la spremitura dell’uva attende ancora una si-
stematizzazione118.

111 Sil. It., VI, 648-649.


112 Cf. Plin., Nat. Hist., XV, 55: Patriae nomina habent serissima omnium Amerina, Picentina …
113 Hor., Sat., II, 3, 272-273: Quid? cum Picenis excerpens semina pomis / gaudes, si cameram per-
custi fortem, penes tu es? (Orazio allude ad un gioco da innamorati che consisteva nel premere fra i
polpastrelli i semi delle mele e farli schizzare in alto; se raggiungevano il soffitto si traevano auspici
di successo in amore). Iuven., 11, 73-76 nel menu che preparerà all’amico Persico ricorda anche Si-
gninum Syriumque pirum, de corbibus isdem / aemula Picenis et odoris mala recentis / nec metuenda
tibi, siccatum frigore postquam / autumnum et crudi posuere pericula suci.
114 Hor., Sat., II, 4, 70-71: Picenis cedunt pomis Tiburtia suco; / nam facie praestant.
115 In genere sulla viticoltura dell’Italia N. Purcell, Wine and Wealth in Ancient Italy, «JRS», 75
(1985), pp. 1-19 e soprattutto, con una periodizzazione e una linea di sviluppo differente da quella del
Purcell, A. Carandini, L’economia italica tra tarda repubblica e medio impero considerata dal punto
di vista di una merce: il vino, «Amphores romaines et histoire économique: dix ans de recherche»,
Rome 1989, pp. 505-521; Tchernia, Vin, cit.; Id., Le vignoble italien du Ier siècle avant notre ère au
IIIe siècle de notre ère: répar tition et évolution, «La production du vin et de l’huile en Méditerranée»,
a cura di M.-C. Amouretti - J.-P. Brun, Athènes 1993 (Bulletin de Correspondence Hellénique
Supplément XXVI), pp. 283-296. In particolare sul vino del Piceno vd. Tchernia, Vin, cit., pp. 57-58;
110-111; 113-114; 157; 167-168; 259-260; 348-349; Id., Vignoble, cit. pp. 285-287; Fortini, Aspetti
della vita economica del Piceno, cit., pp. 98-99; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., pp.
719-723; 738-739, M. Buonocore, Organizzazione politico-amministrativa del territorio atriano in
età romana, «Dalla valle del Piomba alla valle del basso Pescara. Documenti dall’Abruzzo Tera-
mano», V, Teramo 2001; ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp. 865-866, edizione dalla quale si
cita; Marengo, Donne, cit., pp. 82-83.
116 Come ha recentemente ricordato Carandini, Economia italica, cit., pp. 505-506.
117 Vd. infra, pp. 50-68.
118 Cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 133, che segnala torcularia per la produzione del vino o
dell’olio nei pressi di Ancona, a Cingulum e a Firmum.
Introduzione 41

La produzione, se non già celebre, doveva già essere molto abbondante alla
fine del III sec. a.C.: nel 217 a.C. Annibale utilizzò il vino vecchio del Piceno per
guarire i cavalli del suo esercito dalla scabbia119. Ad una straordinaria produttività
accenna Varrone, citando le Origines di Catone: secondo l’autore del De re rustica
nell’ager Gallicus Romanus, qui viritim cis Ariminum datus est ultra agrum Picen-
tium, la produzione di vino poteva arrivare a 10 cullea per iugero, ossia all’incirca
200 hl per ettaro120; il dato catoniano è ripreso anche da Columella, che riferisce
come nella regione di Faventia e nell’ager Gallicus, qui nunc Piceno contribuitur,
si potessero ricavare ben 600 urnae di vino da ogni iugero piantato a vigneto, ov-
vero circa 300 hl per ettaro121. Anche tralasciando i giustificati dubbi
sull’attendibilità delle cifre tramandate, queste notazioni mi sembrano riferirsi, più
che al Piceno propriamente detto, alle regioni a nord di questo, corrispondenti
all’ager Gallicus e alla parte meridionale dell’Aemilia122.
Dell’uva prodotta nella V regione dell’Italia augustea scrive Plinio il
Vecchio, ricordando che nella regione si coltivava un uva chiamata hirtiola, co-
mune anche alla vicina Umbria e alla regione di Mevania123, ed il paradosso per il
quale in Italia si apprezzava l’uva detta Gallica, mentre al di là delle Alpi si predi-

119 Pol., III, 88, 1-2: ∆Annivba" de; kata; bracu; metaqei;" th;n parembolh;n ejndievtribe th'/ para; to;n
∆Adrivan cwvra/ kai; tou;" me;n i{ppou" ejklouvwn toi'" palaioi'" oi[noi" dia; to; plh'qo" ejxeqeravpeuse
th;n kacexivan aujtw'n kai; th;n ywvran, paraplhsivw" de; kai; tw'n ajndrw'n tou;" me;n traumativa"
ejxugivase, tou;" de; loipou;" eujevkta" pareskeuvase kai; proquvmou" eij" ta;" ejpiferomevna" creiva".
Per l’identificazione della regione in cui sarebbe avvenuto l’episodio vd. Azzena, Atri, cit., p. 21. Se-
condo Tchernia, Vin, cit., pp. 57-58 il passo polibiano dimostrerebbe come alla fine del III sec. a.C. il
vino del Piceno non avesse ancora sbocchi commerciali; a questo proposito cf. tuttavia le considera-
zioni di Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., pp. 90-91.
120 Varro, Rust., I, 2, 7 = Cato, Orig., II, fr. 14 nella recente edizione dei frammenti delle Origines a
cura di M. Chassignet, Caton. Les Origines (Fragments), Paris 1986: in qua terra iugerum unum de-
nos et quinos denos culleos fert vini, quot quaedam in Italia regiones? an non M. Cato scribit in libro
Originum sic: ‘ager Gallicus Romanus vocatur, qui viritim cis Ariminum datus est ultra agrum Picen-
tium. In eo agro aliquotfariam in singula iugera dena cullea vini fiunt’? Nonne item in agro Faven-
tino? a quo ibi trecenariae appellantur vites, quod iugerum trecenas amphoras reddat. Simul aspicit
me: Certe, inquit, Libo Marcius, praefectos fabrum tuos, in fundo suo Faventiae hanc multitudinem
dicebat suas reddere vites. Il dato dei 15 cullei per iugero si riferisce all’ager Faventinus , dal mo-
mento che il culleus, o culleum, equivaleva a 20 amphorae.
121 Colum., II, 3, 2: Interim studiosi agricolationis hoc primum docendi sunt uberrimum esse reditum
vinearum. atque, ut omittam veterem illam felicitatem arvorum, quibus et ante iam Cato Marcus et
mox Varro Terentius prodidit singula iugera vinearum sescenas urnas vini praebuisse - id enim ma-
xime adseuerat in primo libro rerum rusticarum Varro - nec una regione prouenire solitum, verum et
in Faventino agro et in Gallico, qui nunc Piceno contribuitur. Il record di produzione di 600 urnae
per iugero citato da Columella dovrebbe propriamente riferirsi all’ager di Faventia, nel quale si pote-
vano ricavare anche 300 amphorae di vino per iugero, come scriveva Varrone nella testimonianza ci-
tata alla nota precedente: la misura di capacità dell’urna equivaleva in effetti a 2 amphorae.
122 Cf. Tchernia, Vin, cit., pp. 110-111.
123 Cf. Plin., Nat. Hist., XIV, 37: Hirtiola Umbria Mevenatique et Piceno agro peculiaris est.
42 Introduzione

ligeva la Picena124. Il nome dell’helvennaca, un vitigno assai diffuso nel mondo


antico, è stato ricondotto al nome di un fiume che scorre nel Piceno, l’Helvinus125.
Le principali zone di produzione sembrano essere tre, anche se è probabile
che tra di esse non vi fosse soluzione di continuità: la fascia costiera dell’ager
Praetuttianus a sud, la zona di Firmum nel Piceno centrale, infine, più a nord, la
regione intorno ad Ancona. Uno sguardo d’insieme ci è dato Plinio il Vecchio, Nat.
Hist., XIV, 67: Ex reliquis autem a supero mari Praetutia atque Ancone nascentia,
et quae a palma una forte enata palmensia appellavere; per la verità la spiegazione
di Plinio a proposito dell’origine del nome del vitigno Palmensis è stata general-
mente respinta; in effetti sembra assai più probabile che esso abbia preso il nome
dell’ager Palmensis, ricordato dallo stesso Plinio nella sua trattazione geografica
del Piceno accanto all’ager Praetuttianus126. Questo distretto vinicolo doveva co-
stituire piuttosto una sorta di collegamento tra l’area di produzione settentrionale e
quella meridionale, se vi è continuità tra il nome dell’ager Palmensis e la topono-
mastica medievale dell’area costiera poco a sud di Fermo, ove Nereo Alfieri ha in-
dividuato località come il vocabulum Palme, il fundus Palme, il castellum de
Palme, Palma vetula, la turris de Palme o Palmarum; il toponimo antico soprav-

124 Cf. Plin., Nat. Hist., XIV, 39: … et in Italia Gallicam placere, trans Alpis vero Picenam.
125 Vd. il commento di J. André, Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre XIV, Paris 1958, p. 86; cf.
anche Id., Contribution au vocabulaire de la viticulture: les noms des cépages, «REL», 30 (1952), p.
130. Della vite helvennaca scrivono Colum., III, 2, 25-26: Tertium gradum facit earum Celsus, quae
fecunditate sola commendantur, ut tres helvennacae, quarum duae maiores nequiquam minori boni-
tate et abundantia musti pares habentur - earum altera, quam Galliarum incolae marcum vocant,
mediocris vini est, et altera, quam longam appellant, eandemque canam, sordidi vini nec tam largi
quam ex numero uvarum prima specie promittit; minima et optima e tribus facillime folio dinoscitur:
nam rotundissimum omnium id gerit atque est laudabilis, quod siccitates maxime perfert, quod fri-
gora sustinet dum tamen sine imbribus, quod nonnullis locis etiam vinum eius in vetustatem diffundi-
tur, quod praecipue sola macerrimum quoque solum fertilitate sua commendat; Id., V, 5, 16: nonnul-
los tamen in vineis characatis animadverti, et maxime helvennaci generis, prolixos palmites quasi
propagines summo solo adobruere, dein rursus ad harundines erigere et in fructum summittere. Quos
nostri agricolae mergos, Galli candosoccos vocant eosque adobruunt simplici ex causa, quod existi-
mant plus alimenti terram praebere fructuariis flagellis; Plin., Nat. Hist., XIV, 32-33: Fertilitas
commendat ceteras principemque helvennacam. Duo eius genera: maior quam quidam longam, mi-
nor quam marcum appellant, non tam fecundam, sed gratiorem haustu. Discernitur folio circinato,
verum utraque gracilis. Furcas subdere iis necessarium; alioqui ubertatem suam non tolerant. Mari-
timo adflatu gaudent, roscida odere. Nulla vitium minus Italiam amat, rara, parva, putrescens in ea,
vino quoque quod genuit aestatem non exuperans; nec alia macro solo familiarior; ibid., XIV, 84: ab
aliis ipse palmes inciditur ad medullam, ab aliis uva torretur in tegulis, omnia ex helvennaca vite.
126 Cf. Plin., Nat. Hist., III, 110: flumen Vomanum, ager Praetutianus Palmensisque, item Castrum
Novum, flumen Batinum, Truentum cum amne, quod solum Liburnorum in Italia relicum est, flumina
Albula, Tessuinum, Helvinum, quo finitur Praetutiana regio et Picentium incipit. Sull’origine del
nome Palmensis vd. André, Pline l’Ancien XIV, cit., p. 103, seguito da Alfieri, Regione V, cit., p. 214,
nota 53; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 721. L’etimologia pliniana è invece accolta
da H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlin 1883-1902, II, p. 428 e da M. Hofmann, Praetuttiana re-
gio, «P.W.», XXII, 2 (1954), col. 1664. Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 98
suggerisce di spiegare il nome in base al fatto che le viti palmensi provenivano da uno stesso ram-
pollo.
Introduzione 43

vive ancora oggi nel nome di una frazione di Fermo, Torre di Palme127, nei pressi
della quale tra l’altro sono stati individuati i resti di fornaci che potrebbero aver
prodotto le anfore nelle quali il vino locale veniva esportato128. Alla vite Palmensis
è stato accostato il ricordo del vino Palmatianov" ricordato dai medici Alessandro
di Tralle e Paolo di Egina per le sue qualità terapeutiche 129; quest’ultimo tuttavia
doveva essere originario della regione del Bruttium, come emerge da un passo dello
stesso Alessandro, in cui il vino è detto Brettiano;" h] Palmatianov", e come
conferma una lettera di Cassiodoro al cancellarius Lucaniae et Bruttiorum in cui si
parla di un vinum Palmatianum130.
Venendo ai vini della zona del Piceno settentrionale, Strabone accenna alla
buona produzione della regione di Ancona131 ed una breve allusione agli eccellenti
e corposi vini di questa medesima zona si trova anche in Ateneo, in un passo cor-
rotto nel quale cita Galeno132.
Alla zona di produzione vinicola meridionale allude Silio Italico nella sua
descrizione della marcia del console Nerone verso nord nel 207 a.C., prima di af-
frontare l’esercito di Asdrubale al Metauro133. In questa area era noto un vino
Praetutium, adatto per le sue caratteristiche organolettiche ad essere mescolato con
il miele per produrre il mulsum, come molti altri grandi vini dell’Italia134. Si do-
veva trattare del medesimo vino Praitutianov" ricordato dal medico Dioscoride
Pedanio per le sue virtù medicamentose135.

127 N. Alfieri, A proposito del passo pliniano sul Piceno e in particolare sul fiume Helvinum,
«RAL», 7 (1952), pp. 51; 54-55; Id., Regione V, cit., pp. 214-215, seguito da Conta, Il territorio di
Asculum, cit., p. 46, nota 116; Brecciaroli Taborelli, Anfore picene, cit., p. 89; Fortini, Cupra Mari-
tima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., p. 106. La
descrizione di Plin., Nat. Hist., III, 110, citato alla nota precedente, aveva indotto alcuni studiosi a col-
locare più a sud l’ager Palmensis, cf. Nissen, Italische Landeskunde, cit., p. 428, che lo situava nei
pressi di Castrum Novum, e Hofmann, Praetuttiana regio, cit., col. 1641, che suggeriva di porlo tra
Castrum Novum e il fiume Tronto; sulle diverse localizzazioni dell’ager Palmensis vd. anche Buono-
core - Firpo, Fonti latine e greche, cit., pp. 716-717, con bibliografia. Il passo di Plinio il Vecchio tut-
tavia non pare essere in contrasto con l’ipotesi “settentrionale” suggerita dal confronto con la topo-
nomastica medievale, che mi pare essere la più probabile.
128 Vd. infra, p. 51.
129 Alex. Trall., II, 325; 327; 421 Puschmann; Paul. Aeg., III, 39, 2. Per un inquadramento generale
sulle virtù terapeutiche del vino secondo gli antichi vd. ora J. Jouanna, Le vin et la médecine dans la
Grèce ancienne, «REG», 109 (1996), pp. 410-434.
130 Alex. Trall., II, 421 Puschmann; Cassiod., Var., XII, 12, 3; cf. Alfieri, Regione V., cit., p. 214,
nota 53; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 723.
131 Strab., V, 4, 2, citato supra, p. 38, nota 103.
132 Athen., I, 26f: oJ ∆Agkwnitano;" crhstov", liparov".
133 Sil. It., XV, 568-569: … tum, qua vitiferos domitat Praetutia pubes, / laeta laboris, agros … .
134 Plin., Nat. Hist., XIV, 75: Apamenum mulso praecipue convenire dicitur, sicut Praetutium in Ita-
lia; est enim et haec proprietas generum: dulcia utique inter se non congruunt.
135 Dioscor., V, 6, 8: oJ de; Praitutianov", kai; aujto;" ejk tw'n katæ ∆Adrivan komizovmeno" tovpwn,
eujwvdh" kai; leiovterov" ejstin, o{qen lanqavnei ãme;nà polu;" pinovmeno", fulavttei de; ejfæ iJkano;n th;n
mevqhn. kai; oJ ∆Istriko;" de; legovmeno" e[oike tw'/ Praitutianw'/, oujrhtikwvtero" uJpavrcwn; cf. anche
V, 6, 11: pro;" de; th;n ejn uJgieiva/ crh'sin eu[qetoi oiJ ajqavlassoi, aujsthroi; kai; leukoiv:
44 Introduzione

Un’altra delle denominazioni della zona vinicola del Piceno meridionale era
l’Hadrianum, un vino che viene ricordato da due poeti dell’età augustea, Antifilo di
Bisanzio136 e Filippo di Tessalonica, che precisa come esso fosse contenuto in vasi
di Hadria137. Le qualità terapeutiche del vino prodotto nella zona di Hadria picena
sono dimostrate dalle frequenti citazioni che se ne trovano nell’opera di Galeno138,
di Dioscoride 139 e di Alessandro di Tralle140; nel medesimo contesto medico si in-
serisce l’elogio del vino Adriano in Ateneo141. Le affermazioni degli scrittori di
medicina confermano le già citate testimonianze di Antifilo di Bisanzio, Filippo di
Tessalonica e degli stessi Ateneo e Dioscoride circa la grande popolarità dei vini
del Piceno nella parte orientale ellenizzata dell’Impero, dove paradossalmente le
denominazioni originarie della regio V sembrano meglio note che nella stessa
Roma142.
Un ulteriore argomento a sostegno di questa ipotesi viene da alcuni docu-
menti dell’Egitto tardoromano riguardanti il vino Hadrianum, studiati qualche anno
orsono da D. Rathbone143. In ordine cronologico, il primo documento rilevante è P.
Iand. 99, datato su base paleografica agli inizi del III sec. d.C.: si tratta una lettera

diafevrousi de; touvtwn oiJ ∆Italikoiv, wJ" oJ Faleri'no" Surenti'no" Kaivkoubo" Signi'no" kai; a[lloi
polloi; oiJ ajpo; th'" Kampaniva" kai; oJ Praitutiano;" oJ ajpo; tou' ∆Adriva.
136 Anth. Gr., VI, 257: Tiv" me, Diwnuvsw/ peplasmevnon ajmfiforh'a, É tiv" me, to;n ∆Adriakou'
nevktaro" oijnodovkon, É Dhou'" ejplhvrwse… tiv" h] fqovno" eij" ejme; Bavkcou É h] spavni" oijkeivou
teuvceo" ajstacuvwn É ajmfotevrou" h[/scune… sesuvlhtai me;n oJ Bavkco", É Dhmhvthr de; Mevqhn
suvntrofon ouj devcetai.
137 Anth. Gr., IX, 232: ∆Adriakoi'o kuvtou" laimo;" to; pavlai melivghru", É hJnivkæ ejgastrofovroun
Bakciaka;" cavrita", É nu'n klasqei;" kei'mai neoqhlevi kartero;n e{rko" É klhvmati pro;" truferh;n
teinomevnw/ kaluvbhn. É aijeiv ti Bromivw/ latreuvomen: h] gerao;n ga;r É frourou'men pistw'" h] nevon
ejktrevfomen.
138 Galen., De sanitate tuenda, VI, p. 275, l. 16; p. 334, l. 14; p. 335, l. 4; De methodo medendi, X, p.
485, l. 2; p. 501, l. 12; p. 833, l. 9; Ad Glauconi de medendi methodo, XI, p. 87, l. 7; De antidotis,
XIV, p. 167, l. 10. Le citazioni sono dall’edizione a cura di C.G. Kühn, Claudii Galeni opera omnia,
Lipsiae 1821-1833.
139 Dioscor., V, 6, 7: oJ de; ∆Adriano;" kai; oJ Mamerti'no", gennwvmeno" de; ejn Sikeliva/, katæ i[son
eijsi;n aJdromerei'", metrivw" stuvfonte", kai; tavcion palaiou'ntai, h|tton de; tou' neurwvdou"
a{ptontai dia; to; ejn aujtoi'" lei'on.
140 Alex. Trall., II, 217 Puschmann: eij de; pro;" to; gluku; ajnorevktw" e[coien oiJ kavmnonte", kaiv
tina tw'n leptw'n oi[nwn h] Sarefqi'non h] Knivdion h] Sabi'non gnhvsion h] ∆Adriano;n eij" eu[kraton,
eij kai; mavlista diywvdei" eijsi; kai; katavxhroi; cf. anche II, 269 Puschmann.
141 Athen., I, 33a: ÔO de; ∆Adriano;" kalouvmeno" eu[pnou", eujanavdoto", a[lupo" to; suvnolon.
142 Tchernia, Vin, cit., p. 168. Secondo Tchernia, Vin, cit., p. 349 la scarsa conoscenza del vino pi-
ceno che si aveva in Italia spiegherebbe l’errore di Plin., Nat. Hist., XIV, 67 che localizzava
l’Hadrianum ab intimo sinu maris [scil. Hadriatici], scambiando evidentemente l’Hadria picena con
l’Atria veneta (cf. anche André, Pline l’Ancien XIV, cit., p. 104, che pure identifica il vino qui men-
zionato da Plinio con quello prodotto nel Piceno meridionale). Concordo tuttavia con G. Firpo (in
Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., pp. 720-721) nel trovare non del tutto soddisfacente
questa spiegazione, che costringerebbe a supporre un errore davvero incredibile da parte dell’autore
della Naturalis Historia.
143 D.W. Rathbone, Italian Wines in Roman Egypt, «Opus», 2 (1983), pp. 81-98; cf. anche per le at-
testazione delle anfore Hadrianai nella documentazione papiracea N. Kruit - K. Worp, Geographical
Jar Names: Towards a Multi-Disciplinary Approach, «APF», 46 (2000), pp. 97-98.
Introduzione 45

indirizzata al grande proprietario terriero Calpurnio da parte di un tal


Philorhomaios, nel quale si dovrà riconoscere l’intendente ai fondi che Calpurnio
possedeva presso il villaggio di Sento, nell’Ossirinchite; nella missiva
Philorhomaios ricorda tra l’altro come presto nella tenuta ci sarebbe stato bisogno
di vino straniero: le Hadreianai e le Aminnaiai erano infatti terminate, mentre an-
cora vi era un numero sufficiente di Tymolitikai144. Il documento attesta dunque
l’importazione in una tenuta dell’Ossirinchite di anfore di Hadrianum e di altre an-
fore di vino straniero, che tra l’altro, come apprendiamo dal medesimo documento,
potevano essere riutilizzate come contenitori di vino locale (ll. 3-7).
Il dato è confermato dal papiro viennese contenente nel recto un registro
compilato da Eronino, sovrintendente di una tenuta di Theadelphia nell’Arsinoite
tra il 249 e il 268 d.C., in cui egli ricorda tra l’altro le anfore di vino consegnategli
da un tal Apollo[nios]: tra queste anche Hadrianai (col. II, l. 32); non è peraltro si-
curo se queste anfore Adriane contenessero vino del Piceno meridionale o piuttosto
non fossero state riusate per un vino locale145.
Un terzo documento rilevante è un lacunoso ostrakon da Karanis,
nell’Arsinoite, O. Mich. 250, datato in base alla paleografia al III-IV sec. d.C.;
sembra trattarsi di una sorta di promemoria, nel quale, a l. 9, si fa menzione di Ha-
drianai; ancora una volta non è chiaro se si tratti di semplici anfore Adriane o di
anfore contenenti vino Hadrianum.
All’incirca coevo dovrebbe essere il frammentario ostrakon P. Eleph.
Wagner 110 che ricorda 18 Hadrianai, insieme ad altre anfore vinarie di diverso
tipo146. L’editore del documento, G. Wagner, ritiene che esso confermi pienamente
una suggestione di P. Sijpesteijn, secondo il quale Hadriane finì per divenire sola-
mente una unità di misura147, ma non mi pare che il testo in questione, assai sem-
plice, autorizzi a supporre l’esistenza di misura di capacità a prescindere dalla pre-
senza fisica dei corrispondenti contenitori.
Quello che mi sembra emergere da questi documenti è che ancora nel III-IV
sec. d.C. dal Piceno meridionale si esportavano verso l’Egitto vini contenuti in an-

144 P. Iand. VI, 99 (ripreso come SB XII, 10918), ll. 7-11, nella nuova lettura proposta da Rathbone,
Italian Wines, cit., p. 90, accolta anche da Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., pp. 736-737,
n°28: ªmelºÉlomen ga;r creivan e[cein xen≥ªikou'º É oi[nou eij" ta;" creivªaº" ÔAdreian≥w≥n≥ É kai;
∆Aminnaivwn: Tªuºmolitªika;"º É ga;r e[comen. Sul documento vd. anche Ruffing, Einige Überlegungen,
cit., pp. 64-65.
145 P. Vindob. Gr. 32018, pubblicato da P.J. Sijpesteijn, Neue Heroneinospapyri. Mit Bemerkungen
zum Archiv, «CE», 55 (1980), pp. 179-188, n°1 = SB XVI, 1, 12380, e ripreso per le linee rilevanti da
Rathbone, Italian Wines, cit., p. 92; cf. Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 737, n°29. Sul
documento vd. ora D. Rathbone, Economic Rationalism and Rural Society in Third-Century A.D.
Egypt. The Heroninos Archive and the Appianus Estate, Cambridge 1991, pp. 303-304.
146 ∆Adrianaiv ih o, É passavlia e i", É rJovdin a ", É mau`rai " m", É ª---º.. ª---º.ª---ºkd. Il nome del tipo
di anfora è seguito da due numeri, il primo presumibilmente riferito alla quantità delle anfore stesse,
mentre il secondo resta dubbio (la quantità di vino contenuta nelle anfore espressa con una diversa
unità di misura? O forse un prezzo?). Da notare che l’editore considera il termine ∆Adrianaiv non aspi-
rato.
147 G. Wagner, commento a P. Eleph. Wagner 110, p. 59; cf. Sijpesteijn, Neue Heroneinospapyri,
cit., p. 187.
46 Introduzione

fore di produzione locale; i contenitori, una volta giunti nella valle del Nilo, pote-
vano poi essere riutilizzati per conservare i vini egiziani. Il dato contrasta con i se-
gni di crisi dell’agricoltura dell’Italia e della commercializzazione dei suoi prodotti
in questo medesimo periodo ed attende un inquadramento generale nel problema
delle esportazioni vinicole dalla penisola nel tardoantico148. Mi limito qui ad os-
servare come le attestazioni di un vino Picenum, una denominazione che forse
comprendeva i vecchi Palmensis, Praetutium e Hadrianum, nell’Edictum de pretiis
dioclezianeo e nell’Expositio Totius Mundi dimostrino una continuità nella produ-
zione e, dobbiamo credere, nelle esportazioni del vanto dell’agricoltura picena in
età tardoantica149.
Se le denominazioni Praetutium e Hadrianum non lasciano alcun dubbio
sull’origine di tali vini, discussa è invece la zona di produzione del vino prediletto
da Livia, il Pucinum; il passo pliniano che ne fornisce testimonianza in effetti pre-
senta apparentemente una contraddizione 150: l’autore della Naturalis Historia af-
ferma infatti che questo vino veniva prodotto nella zona dell’Adriatico settentrio-
nale (gignitur in sinu Hadriatici maris) e più precisamente a poca distanza dalle
fonti del Timavo (non procul Timavo fonte saxoso colle); ritiene peraltro che que-
sto fosse il vino che i Greci apprezzavano con il nome di Praetetianum, che logi-
camente dovremmo riferire all’ager Praetuttianus; il contrasto nei dati è risolvibile
in diversi modi: potremmo supporre che Plinio sbagliasse nell’identificare il vino
noto in Grecia come Praetetianum, prodotto nel territorio pretuzio, con il Pucinum
della zona del Timavo; o ancora, ma la confusione appare ancora più incredibile,
che egli erroneamente collocasse la zona d’origine del vino Pucinum / Praetetia-
num nell’Adriatico settentrionale invece che nell’ager Praetuttianus. La contraddi-
zione tuttavia è forse solo apparente: Praetetianum è infatti frutto di una congettura
del Sillig, che così correggeva la lezione Prausetianum dell’antichissimo Codex

148 Per quanto concerne in particolare l’esportazione verso l’Egitto preziose indicazioni verranno cer-
tamente dallo studio dell’enorme collezione di bolli anforici del Museo Greco-Romano di Alessan-
dria, in corso di compimento, cf. N. Zeitoun - C. Christophi - J.-Y. Empereur, Les anses d’amphores
du Musée gréco-romain d’Alexandrie, «Commerce et artisanat dans l’Alexandrie hellénistique et ro-
maine. Actes du Colloque d’Athènes organisé par le CNRS, le Laboratoire de céramologie de Lyon et
l’École française d’Athènes 11-12 décembre 1988», Athènes 1998 (Bulletin de Correspondence Hel-
lénique Supplement 33), pp. 367-369. La continuità delle esportazioni di vino dalle regioni
dell’Adriatico dall’età tardorepubblicana al III sec. d.C. è dimostrata dalla presenza nei depositi del
museo di Alessandria di alcune anfore intere ascrivibili alle tipologie Lamboglia 2 e Dressel 6 (cf. J.-
Y. Empereur, Les amphores complètes du Musée d’Alexandrie: importations et productions locales,
ibid., p. 394), caratteristici contenitori dei vini adriatici tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C.
149 Edictum de pretiis, 2, 1; Expositio totius mundi, 55: Invenies enim in ipsa Italia vinorum multa
genera: Picenum, Sabinum, Tiburtinum, Tuscum …; sulla denominazione Picenum vd. particolar-
mente Tchernia, Vin, cit., p. 207, nota 33; pp. 296; 301; cf. inoltre Buonocore - Firpo, Fonti latine e
greche, cit., p. 721; in genere sulla produzione vinicola nel Piceno tardoantico e la sua commercializ-
zazione vd. anche gli spunti di Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico al Medioevo,
cit., pp. 22-23.
150 Cf. Plin., Nat. Hist., XIV, 60: Iulia Augusta LXXXVI annos vitae Pucino vino rettulit acceptos,
non alio usa. gignitur in sinu Hadriatici maris non procul Timavo fonte saxoso colle, maritimo
adflatu paucas coquente amphoras; nec aliud aptius medicamentis iudicatur. Hoc esse crediderim
quod Graeci celebrantes miris laudibus. Praetetianum appellaverint ex Hadriatico sinu.
Introduzione 47

Moneus della Naturalis Historia 151, sulla base delle forme in Praitet- che sono
prevalenti nella lingua greca 152; conservando l’originaria lezione avremmo un vino
Pucinum / Prausetianum, che nulla aveva a che vedere con le produzioni dell’agro
pretuzio153.
Scarse sono le testimonianze relative al settore dell’allevamento, se esclu-
diamo l’epigrafe Falerio 8, che attesta l’esistenza di un foro pecuario nella citta-
dina del Piceno centrale. Un indizio indiretto ci viene da una costituzione del Co-
dice Teodosiano, datata al 399 d.C., dalla quale sappiamo che veniva proibito ai
pastori del Piceno di utilizzare cavalli, presumibilmente per meglio tenere sotto
controllo i loro spostamenti ed impedire che si dessero ad azioni di brigantaggio154.
L’importanza dell’allevamento in età antica si può peraltro dedurre dal rilievo che
esso ebbe fino ad un periodo relativamente recente nella regione corrispondente
all’antico Piceno; la semplice considerazione delle caratteristiche morfologiche del
territorio consente di ipotizzare che l’allevamento degli ovini assumesse spesso la
caratteristica forma della transumanza, ben nota per le vicine regioni
dell’Appennino centro-meridionale155. Un accenno di Marziale all’esistenza di lu-
canicae provenienti dal Piceno permette poi di inferire che nella regione venissero
allevati anche i maiali156. Un cenno di Plinio il Vecchio alla fecondità delle galline
di Hadria potrebbe invece riferirsi alla città della Venetia et Histria piuttosto che a
quella della regione Pretuzia 157.

151 Vd. l’apparato critico nell’edizione curata da André, Pline l’Ancien XIV, cit., p. 44.
152 Cf. Pol., III, 88, 3; Steph. Byz., s.v. Praitetiva; Aelius Herodianus, De prosodia catholica, III, 1,
p. 289, l. 37. La forma Praitut- ritorna solamente in Dioscoride Pedanio, cf. V, 6, 8; 11.
153 Questa la soluzione preferita da Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., pp. 719-720; ad un
errore di Plinio pensa invece Tchernia, Vin, cit., p. 349.
154 C. Th., IX, 30, 5: Pastores Valeriae provinciae vel Piceni uti equinis animalibus non iubemus.
Alioquin, si interdictus usus animalium vindicetur, conscios usurpationis huius seu dominos vel pro-
curatores relegationis poena retinebit. Sul significato di questo provvedimento vd. M. Pasquinucci,
La transumanza nell’Italia romana, «Strutture agrarie e allevamento transumante nell’Italia romana
(III-I sec. a.C.)», a cura di E. Gabba - M. Pasquinucci, Pisa 1979, pp. 157-158.
155 Cf. Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 44; Mercando, Insediamenti rurali, cit., p. 37;
Delplace, Romanisation, cit., pp. 150-155; Mancini, Riflessi economici, cit., pp. 20-28. Riguardo allo
sfruttamento di pascoli indivisi vd. E. Gabba, Sulle strutture agrarie dell’Italia romana fra III e I sec.
a.C., «Strutture agrarie», cit., pp. 26-28; Conta, Il territorio di Asculum, cit., pp. 464-466; sul più im-
portante tratturo che attraversava anche l’ager Hatrianus, il Frisa - Rocca di Roseto, sul quale si alli-
neano importanti rinvenimenti di età romana e che in parte si sovrappone alla viabilità antica, vd. ora
Menozzi, Viabilità, cit., pp. 35-37.
156 Mart., XIII, 35: Filiae Picenae venio Lucanica porcae: / pultibus hinc niveis grata corona datur;
cf. Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 50; Delplace, Romanisation, cit., pp. 134; 153; Pasquinucci
- Menchelli - Scotucci, Viabilità, cit., p. 357.
157 Plin., Nat. Hist., X, 146. All’Hadria picena pensano Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 50;
Grue, Storia ed economia del territorio, cit., pp. 17-18.
48 Introduzione

I pochi cenni delle fonti antiche riguardo alle attività della caccia158 e della
pesca159 nel Piceno non sono altro che una riprova di quanto poteva essere facil-
mente dedotto in base ai caratteri del territorio regionale.
Ben poco si conosce anche dello sfruttamento del manto boschivo, che nelle
zone collinari e montuose del Piceno doveva essere assai più esteso di oggi160. Si
ha comunque l’impressione che tale attività non rappresentasse una voce significa-
tiva nell’economia della regione, anche in considerazione del fatto che il legname
dell’Italia adriatica, a causa dell’umidità del clima, era considerato dagli antichi di
minor qualità rispetto a quello della fascia tirrenica161; dal De architectura di

158 Cf. Plut., Pomp., 4, 1 che ricorda la presenza di reti da caccia nel bottino preso da Pompeo
Strabone ad Asculum; ereditate da Pompeo Magno, queste proprietà vennero tuttavia contestate: kai;
ta; me;n plei'sta fwravsa" e{na tw'n ajpeleuqevrwn oJ Pomphvi>o" nenosfismevnon ∆Alevxandron,
ajpevdeixe toi'" a[rcousin, aujto;" de; livna qhratika; kai; bibliva tw'n ejn “Asklw/ lhfqevntwn e[cein
kathgorei'to. tau'ta de; e[labe me;n para; tou' patro;" eJlovnto" to; “Asklon, ajpwvlese de; tw'n
Kivnna dorufovrwn, o{te kath'lqen, wjsamevnwn eij" th;n oijkivan aujtou' kai; diarpasavntwn. Cf. Conta,
Il territorio di Asculum, cit., p. 51; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 101.
159 Iuven., 4, 37-41 ambienta nelle acque di Ancona la pesca di un gigantesco rombo, che finì sulla
mensa dell’imperatore Domiziano: cum iam semianimum laceraret Flavius orbem ultimus et calvo
serviret Roma Neroni, incidit Hadriaci spatium admirabile rhombi ante domum Veneris, quam Do-
rica sustinet Ancon, implevitque sinus; su questa testimonianza vd. Alfieri, Le Marche, cit., p. 23;
Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 51.
160 Cf. Conta, Il territorio di Asculum, cit., pp. 42-43; Fortini, Aspetti della vita economica del Pi-
ceno, cit., p. 100; Delplace, Romanisation, cit., pp. 155-156, che, pur riconoscendo le difficoltà di va-
lutazione dell’impatto economico di queste attività, ne sottolineano l’importanza, appoggiandosi es-
senzialmente sulle testimonianze epigrafiche di associazioni di fabri tignuarii e dendrophori. Vd. tut-
tavia, per quanto concerne in particolare i dendrofori, le osservazioni espresse infra, pp. 343-344.
Sulle forme di sfruttamento delle aree montuose dell’Appennino marchigiano (pastorizia, raccolta del
legname, vd. le osservazioni di P. Campagnoli - E. Giorgi, Alcune considerazioni sul saltus
nell’Appennino umbro-marchigiano e sulle forme di uso collettivo del suolo tra Romanità e Medio-
evo, «Ocnus», 9-10 (2001-2002), pp. 35-46, partic. 40-43, fondate soprattutto, in assenza di una signi-
ficativa documentazione storica ed archeologica, sull’analisi geo-morfologica e sulla vitalità
dell’istituto della proprietà collettiva (le cosiddette Comunanze, di origine medievale) nel territorio in
esame.
161 Vd. in particolare Vitruv., II, 9, 17 - 10, 2: De singulis generibus, quibus proprietatibus e natura
rerum videantur esse comparatae quibusque procreantur rationibus, exposui. Insequitur animadver-
sio, quid ita quae in urbe supernas dicitur abies, deterior est, quae infernas, egregios in aedificiis ad
diuturnitatem praestat usus, et de his rebus, quemadmodum videantur e locorum proprietatibus ha-
bere vitia aut virtutes, uti ea sint considerantibus apertiora, exponere. Montis Appennini primae radi-
ces ab Tyrrenico mari inter Alpis et extremas Etruriae regiones oriuntur. Eius vero montis iugum se
circumagens et media curvatura prope tangens oras maris Hadriani pertingit circumitionibus contra
fretum. Itaque citerior eius curvatura, quae vergit ad Etruriae Campaniaeque regiones, apricis est
potestatibus; namque impetus habet perpetuos ad solis cursum. Ulterior autem, quae est proclinata
ad superum mare, septentrionali regioni subiecta continetur umbrosis et opacis perpetuitatibus. Ita-
que quae in ea parte nascuntur arbores, umida potestate nutritae non solum ipsae augentur amplis-
simis magnitudinibus, sed earum quoque venae umoris copia repletae turgentes liquoris abundantia
saturantur. Cum autem excisae et dolatae vitalem potestatem amiserunt, venarum rigore permanente
siccescendo propter raritatem fiunt inanes et evanidae, ideoque in aedificiis non possunt habere diu-
turnitatem. Quae autem ad solis cursum spectantibus locis procreantur, non habentes interveniorum
raritates siccitatibus exsuctae solidantur, quia sol non modo ex terra lambendo sed etiam ex arbori-
bus educit umores. Itaque, quae sunt in apricis regionibus, spissis venarum crebritatibus solidatae
Introduzione 49

Vitruvio sappiamo piuttosto che le città dell’ager Gallicus e del Piceno importa-
vano dalle regioni alpine il pregiato larice, per fluitazione lungo il Po fino a Ra-
venna e da qui verosimilmente via mare verso i diversi centri della costa adria-
tica162. Più che per le costruzioni, la legna della regio V doveva dunque essere uti-
lizzata per il riscaldamento e per alimentare le numerose fornaci per la produzione
di laterizi, che, come si vedrà nel capitolo seguente, è una delle attività meglio do-
cumentate nella regio V.
A proposito dei materiali per l’edilizia merita infine un cenno il tufo bianco
del Piceno, una pietra tenera e facile da lavorare, nell’opinione di Vitruvio, ma
poco adatta alle strutture che erano esposte alle intemperie e alla salsedine163. Le
ricerche sulla cava recentemente scoperta sulle pendici del monte Conero promet-
tono senza dubbio una migliore conoscenza delle attività estrattive nella regio V; la
cava del Conero, secondo le prime anticipazioni, restituisce tra l’altro un piccolo
nucleo di iscrizioni in cui sembrano tornare i nomi di alcune delle famiglie che ap-
partenevano all’élite municipale della vicina Ancona e che forse consentiranno di
comprendere meglio in quale misura le classi dirigenti locali della regio V potevano
essere coinvolte in attività economiche diverse dall’agricoltura164.

3.2. La manifattura
Le nostre conoscenze sulle attività manifatturiere nel Piceno sono per lo più
limitate alla produzione fittile, in particolare a quella delle anfore, settore del resto

raritatemque non habentes ex umore, cum in materiem perdolantur, reddunt magnas utilitates ad ve-
tustatem. ideo infernates, quod ex apricis locis adportantur, meliores sunt, quam quae ab opacis de
supernatibus advehuntur. Cf. anche, per quanto concerne gli abeti, Plin., Nat. Hist., XVIII, 198: et in
ipsis autem arboribus robustioribus aquiloniae partes, et in totum deteriores ex umidis opacisque
spissiores ex apricis ac diuturnae. Ideo Romae infernas abies supernati praefertur.
162 Vitruv., II, 9, 14: larix vero, qui non est notus nisi his municipalibus qui sunt circa ripam fluminis
Padi et litora maris Hadriani …; II, 9, 16: Haec (scil. larigna) autem per Padum Ravennam depor-
tantur. In colonia Fanestri Pisauri Anconae reliquisque quae sunt in ea regione municipiis praebetur.
Sulla testimonianza vd. R. Chevallier, Vitruve et l’Italie, «Mélanges offerts à Roger Dion. Littérature
gréco-romaine et géographie historique», a cura di R. Chevallier, Paris 1974, pp. 163-164; G. Paci,
Medio-Adriatico occidentale e commerci transmarini (II secolo a.C. - II secolo d.C.), «Strutture por-
tuali e rotte marittime nell’Adriatico in età romana», a cura di C. Zaccaria, Trieste - Roma 2001 =
«AAAd», 46 (2001), pp. 74-75.
163 Vitruv., II, 7, 1-2: Sunt etiam alia genera plura, uti in Campania rubrum et nigrum tofum, in Um-
bria et Piceno et in Venetia albus, quod etiam serra dentata uti lignum secatur. Sed haec omnia quae
mollia sunt hanc habent utilitatetem quod ex his saxa cum sunt exempta in opere faciliter tractantur.
Et si sunt in locis tectis, sustineat laborem, si autem in apertis et patentibus, gelicidiis et pruina con-
gesta friantur et dissolvuntur. Item secundum oram maritimam ab salsugine exesa diffluunt neque
perferunt aestus. Per la possibile identificazione di una cava di questo materiale nei pressi di Ascoli
vd. Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 21; p. 181, n°78.
164 Per una presentazione della cava del Conero vd. il contributo di N. Frapiccini Alfieri in P.L.
Dall’Aglio - N. Frapiccini Alfieri - G. Paci, Contributi alla conoscenza di Ancona romana, «Picus»,
12-13 (1992-1993), pp. 32-61. Un cenno alle iscrizioni della cava, attualmente in corso di studio, in
G. Paci, Indagini recenti e nuove conoscenze sulle città romane del territorio marchigiano, «AFLM»,
32 (1999), p. 220; vd. anche p. 240, fig. 8, immagine di uno dei testi di cava, dipinto col minio.
50 Introduzione

di particolare interesse poiché strutturalmente connesso con l’importante viticoltura


regionale.

3.2.1. Le anfore
A parte una sporadica notazione di Plinio il Vecchio a proposito della firmi-
tas delle anfore Hadrianae165, e qualche accenno ai contenitori del vino Hadria-
num in Filippo di Tessalonica166 e nella documentazione papiracea d’Egitto167, le
informazioni sulla produzione anforica nel Piceno provengono nella totalità dalla
documentazione archeologica. Questa è stata oggetto di un rinnovato interesse a
partire dalla metà degli anni ’80, con l’apparizione dei fondamentali contributi di L.
Brecciaroli Taborelli, M.B. Carre e A. Tchernia, che hanno avuto il merito di at-
tirare l’attenzione sul rilievo della produzione di anfore vinarie nella zona medio-
adriatica, in precedenza generalmente misconosciuta168. Si propone qui un quadro
sintetico delle tipologie fabbricate nella regio V, seguendo grosso modo l’ordine
cronologico della loro apparizione.

3.2.2. Le anfore Lamboglia 2 e affini


Nel Piceno è possibile rintracciare una produzione di anfore appartenenti alla
famiglia delle cosiddette Lamboglia 2, anfore vinarie prodotte nella fascia adriatica
dell’Italia tra seconda metà del II sec. a.C. e la fine del secolo seguente. M.T.
Cipriano ha recentemente proposto di distinguere all’interno di questa classe tre di-
verse tipologie: le Lamboglia 2 / greco-italiche, le Lamboglia 2 vere e proprie e in-
fine le Lamboglia 2 / Dressel 6A169; peraltro le diverse tipologie non sembrano le-

165 Cf. Plin., Nat. Hist., XXXV, 161: Erythris in templo hodieque ostenduntur amphorae duae prop-
ter tenuitatem consecratae discipuli magistrique certamine, uter tenuiorem humum duceret. Cois ea
laus maxima, Hadrianis firmitas, nonnullis circa hoc severitatis quoque exemplis. Su questo passo vd.
il commento di A. Tchernia, Amphores et textes: deux examples, «Recherches sur les amphores grec-
ques», a cura di J.-Y. Empereur - Y. Garlan, Athènes 1986 (Bulletin de Correspondence Hellénique
Supplément XIII), pp. 31-34, che identifica i contenitori con le anfore vinarie Dressel 6 del Piceno.
L’identificazione delle Hadrianae di Plinio con le ∆Adrianaiv attestate nella documentazione papira-
cea egiziana del III-IV sec. d.C. (cf. supra, pp. 44-46) è ovviamente impossibile per ragioni di crono-
logia, ma la continuità del nome del contenitore è significativa.
166 Vd. supra, p. 44, nota 137.
167 Vd. supra, pp. 44-46.
168 Brecciaroli Taborelli, Anfore picene, cit., pp. 55-93; Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., pp.
207-245; Tchernia, Vin, cit.
169 M.T. Cipriano, La raccolta dei bolli sulle anfore italiche trovate in Italia, «Epigrafia della pro-
duzione e della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde
romain organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’Ecole française de Rome, Rome 5-6
juin 1992», Rome 1994, pp. 205-218, che si sof ferma anche sulla diffusione e la cronologia di questo
tipo di anfore; vd. inoltre Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., pp. 80-85; S. Cipriano in S.
Pesavento Mattioli - S. Cipriano - P. Pastore, Quadro tipologico di riferimento, «Anfore romane a
Padova: ritrovamenti dalla città», a cura di S. Pesavento Mattioli, Modena 1992, pp. 40-41; Fortini,
Approfondimenti, cit., pp. 44-45 per i rinvenimenti nel territorio di Cupra Maritima; E. Di Filippo
Balestrazzi, Il museo della pesca e della civiltà marinara di S. Benedetto, «San Benedetto, città del
mare. Itinerari storici, percorsi urbani», Ripatransone 1998, pp. 171-172 (presenza di alcuni esem-
plari di forme di passaggio tra Lamboglia 2 e Dressel 6A nella collezione Perotti di S. Benedetto; D.
Introduzione 51

gate a differenti luoghi di produzione: gli stessi tipi di anfore vennero infatti pro-
dotti contemporaneamente in zone diverse170; piuttosto esse potrebbero essere la
spia di un’evoluzione cronologica.
Una produzione di anfore con una forma di passaggio tra le greco-italiche e
le Lamboglia 2 si suppone ad Hadria nel II sec. a.C., sulla base del rinvenimento di
un collo con il bollo Hatria, che potrebbe riferirsi sia al nome della colonia come al
(vinum) Hatria(num) 171.
Un esemplare di anfora Lamboglia 2 / greco-italica, con numerale inciso
sulla spalla, si conserva inoltre nel museo “G. Moretti” di San Severino Marche; la
provenienza del pezzo, certamente locale, non è ulteriormente precisabile; la data-
zione proposta si inquadra tra la fine del II sec. a.C. e gli inizi del secolo se-
guente172.
Fornaci che producevano anfore Lamboglia 2 e affini sono state individuate
nel Piceno presso Cologna Marina, tra Giulianova e Roseto degli Abruzzi173, e
probabilmente nell’insediamento rurale di Potenza Picena, ove sono stati rinvenuti
muri costruiti con pance e spalle di anfore identificate con Lamboglia 2, un parti-
colare che sembra indicare come una fornace per la produzione di questa tipologia
dovesse trovarsi nelle vicinanze174.
Di particolare interesse i ritrovamenti sulla sponda sinistra del fosso di S.
Biagio, poco a sud di Torre di Palme, dunque nel cuore del distretto vinicolo co-
stituito dall’ager Palmensis di cui si è detto175: qui, nei pressi di una fornace, è
stato rinvenuto un deposito di anfore che presentano forme di passaggio tra le
Lamboglia 2 e le Dressel 6A, databili alla seconda metà del I sec. a.C.; il ritrova-
mento lascia pensare all’esistenza alla foce del fosso di S. Biagio di un porto di im-
barco per la produzione vinicola del Piceno176.

Nonnis, Appunti sulle anfore adriatiche di età repubblicana: aree di produzione e di commercializza-
zione, «Strutture portuali e rotte marittime nell’Adriatico di età romana», a cura di C. Zaccaria, Trie-
ste - Roma 2001 = «AAAd», 46 (2001), pp. 480-488.
170 Cf. Cipriano, Raccolta dei bolli, cit., p. 207.
171 Per il bollo vd. CIL IX, 6389 = CIL I2, 2335; cf. Tchernia, Vin, cit., pp. 55-56; Azzena, Atri, cit.,
p. 106; Delplace, Romanisation, cit., p. 144, con dubbi sulla tipologia di appartenenza dell’anfora;
Ead., Élites municipales, cit., p. 76; Martella, L’ager Hatrianus, cit., pp. 224-225; Grue, Storia ed
economia del territorio, cit., p. 17.
172 Cf. R. Perna - S.M. Marengo, Anfora graffita da San Severino Marche (MC), «Picus», 16-17
(1996-1997), pp. 242-243.
173 Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., pp. 80-81.
174 Mercando, Rinvenimenti di insediamenti rurali, cit., pp. 281-282, con le figure di p. 283, figg.
198-199; cf. Tchernia, Vin, cit., pp. 54-55 per l’identificazione delle anfore, definite apule e brindisine
dalla Mercando, con le Lamboglia 2. Da notare che nel medesimo insediamento rurale di Potenza Pi-
cena è stata portata alla luce anche una fossa le cui pareti erano composte da colli di Dressel 6B, vd.
infra, p. 63, un elemento che permette di supporre una continuità di produzione nella medesima for-
nace di Lamboglia 2 e Dressel 6B.
175 Vd. supra, pp. 42-43.
176 Vd. Brecciaroli Taborelli, Anfore picene, cit., pp. 57-73; cf. anche Cipriano - Carre, Production et
typologie, cit., p. 81; Delplace, Romanisation, cit., p. 144; Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., p.
458; Marengo, Donne, cit., p. 83.
52 Introduzione

Alla produzione picena di Lamboglia 2 e affini dovrebbero ascriversi gli


esemplari bollati con il nome del proprietario L. Ta(rius) R(ufus), il cui nome ri-
torna anche su anfore del tipo Dressel 6A177; con ogni probabilità costui è da iden-
tificare con il console del 16 d.C. che bruciò 100 milioni di sesterzi, accumulati
grazie al favore di Augusto, cercando di creare un’azienda agricola modello nel Pi-
ceno178.
Una possibile provenienza picena è avanzata, in via del tutto ipotetica, a pro-
posito di una Lamboglia 2 rinvenuta nel letto del fiume Stella, nella provincia di
Udine, sulla quale appare il bollo Min(---). Conosciamo infatti una gens Minucia di
origine picena, particolarmente in vista nella prima metà del I sec. a.C., periodo nel
quale nella regio V probabilmente si producevano anfore di questa tipologia179.
Dal punto di vista cronologico può forse rientrare nel medesimo contesto qui
trattato l’analisi di un bollo su tappo d’anfora rinvenuto a Giulianova, con il nome
C. Sornati C. f. [---]180. Il personaggio è stato in effetti identificato con un legato di
Lucullo nella guerra Mitridatica di cui si sospetta un’origine picena181. Il problema

177 Elenco delle attestazioni in Cipriano, Raccolta dei bolli, cit., p. 209, nota 24; su un esemplare di
Padova si veda ora anche S. Cipriano, I depositi di piazza De Gasperi, «Anfore romane a Padova: ri-
trovamenti dalla città», a cura di S. Pesavento Mattioli, Modena 1992, pp. 63-64; p. 80, n°28 e S.
Pesavento Mattioli - S. Cipriano, Anfore bollate dal territorio patavino, «Epigrafia della produzione e
della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain or-
ganisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’Ecole française de Rome, Rome 5-6 juin 1992»,
Rome 1994, p. 517, n°2.1; per la produzione di Dressel 6A da parte di Tario Rufo vd. infra, p. 63.
178 Plin., Nat. Hist., XVIII, 36-37: Temerarium videatur unam vocem antiquorum posuisse, et fortas-
sis incredibile, ni paenitus aestimetur, “nihil minus expedire quam agrum optime colere.” L. Tarius
Rufus infima natalium humilitate consulatum militari industria meritus, antiquae alias parsimoniae,
circiter M HS liberalitate divi Augusti congestum usque ad detractionem heredis exhausit agros in
Piceno coemendo colondoque in gloriam. Sulla possibilità che la fabbrica di materiali fittili di Tario
Rufo fosse localizzata nel Piceno vd. Frank, An Economic Survey, cit., p. 26 e nota 46; Cipriano -
Carre, Production et typologie, cit., pp. 86-87; C. Zaccaria, Per una prosopografia dei personaggi
menzionati sui bolli delle anfore romane dell’Italia nord orientale, «Amphores romaines et histoire
économique: dix ans de recherche», Rome 1989, p. 483; Delplace, Romanisation, cit., p. 146; Ead.,
Élites municipales, cit., p. 77; Andermahr, Totus in praediis, cit., pp. 445-446; Pasquinucci -
Menchelli, Anfore, cit., p. 459. In genere sul personaggio vd. inoltre J. ‹a£el, Senatori ed appartenenti
all’ordine senatorio provenienti dalla province romane di Dacia, Tracia, Mesia, Dalmazia e Panno-
nia, «Atti del Colloquio Internazionale AIEGL su epigrafia e ordine senatorio. Roma, 14-20 maggio
1981», II, Roma 1982, p. 563; Purcell, Wine, cit., p. 4; F. Tassaux, Sur quelques rapports entre l’Istrie
et la Liburnie dans l’antiquité, «AAAd», 26 (1985), pp. 149-153.
179 L’ipotesi è prudentemente avanzata da C. Gomezel, Nuovi bolli su anfora dal territorio aqui-
leiese, «Epigrafia della produzione e della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne
sur l’épigraphie du monde romain organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’Ecole
française de Rome, Rome 5-6 juin 1992», Rome 1994, pp. 533-534.
180 CIL IX, 6080, 21 = A. Hesnard - P.A. Gianfrotta, Les bouchons d’amphore en pouzzolane, «Am-
phores romaines et histoire économique: dix ans de recherche», Rome 1989, p. 425, n°B33.
181 D. Manacorda, Le anfore dell’Italia repubblicana: aspetti economici e sociali, «Amphores ro-
maines et histoire économique: dix ans de recherche», Rome 1989, p. 461; M.P. Guidobaldi, C.
Sornatius C. f. Vel. Barba: una breve nota sul legato di Lucullo in Asia, «CCG», 7 (1996), pp. 263-
268 che suggerisce, come ipotesi di lavoro, di identificare la patria di Sornazio con Interamnia e pro-
pone di vedere nel personaggio il proprietario della cosiddetta domus del Leone, una lussuosa abita-
zione databile alla prima metà del I sec. a.C.
Introduzione 53

è in realtà un poco più complesso di quanto non appaia a prima vista: il legatus del
I sec. a.C. è attestato in alcuni passi della vita plutarchea di Lucullo sempre e sola-
mente con il gentilizio Swrnavtio"182; parimenti in una lacunosa epigrafe di Per-
gamo, in onore verosimilmente del medesimo personaggio, il prenome ed il co-
gnome, se vi era, sono andati perduti; rimangono tracce del patronimico, che pe-
raltro potrebbero adattarsi sia a Gaivou, come a Gnaivou o a Poplivou uiJov"183. Il
Syme tuttavia ha brillantemente collegato il luogotenente di Lucullo con un perso-
naggio di nome Gavio" Swrnavªtio" Gaivou?º uiJo;" Oujelivna B≥ª---º, che nella comu-
nità di Acmonia, in Frigia, curò la costruzione a proprie spese di uno statavrion,
cioè di un mercato degli schiavi, e di un’ara, un’ipotesi che ha generalmente tro-
vato consenso184 e che potrebbe rafforzare l’ipotesi di un’origine picena di
Sornazio, dal momento che la tribù Velina era assai diffusa nella nostra regione185;
del resto alcuni membri della gens Sornatia appaiono iscritti alla medesima
tribù186. In effetti la coincidenza dell’attestazione del raro gentilizio Sornatius187 e
del prenome Caius tra l’epigrafe di Acmonia e quella su instrumentum da Giulia-
nova non può che colpire; tuttavia nelle diverse identificazioni permangono alcuni
margini di incertezza: in primo luogo sorprende un poco che nell’iscrizione della
Frigia manchi il titolo di presbeuthv"; la stessa azione compiuta da C. Sornazio, la
costruzione a proprie spese di un mercato degli schiavi e l’erezione di un’ara, non è
esattamente quella che ci aspetteremmo da un legatus impegnato in operazioni mi-

182 Plut., Luc., 17, 1; 24, 1; 30, 3-4; 35, 1; su queste testimonianze vd. T.R.S. Broughton, The Magi-
strates of the Roman Republic, II, New York 1952, pp. 120; 134; 140.
183 I. Perg. 431: ªÔOº dh'mo" ejtªivmhsenº É ª--- Swºrnavtion + ª---º, presɪbeuthvn, geºgonovtªa
eujergevthnº th'" É ªpovlew", eujnºoivªa" e{neka th'"º É ªeij" eJautovnº.
184 L’iscrizione in oggetto è MAMA VI, 260 = AE 1940, 200: ª∆Akmonnevwn th'i boulh'iº É kai; tw≥'i
dªhvmwiº. Gavio" Swrnavªtio" Gaivou ?º É uiJo;" Oujelivna B≥ª- c. 6 - to;º É statavrion kai; to;n bwmo;n É ejk
tw'n ijdivwn kateskeuvsen; cf. R. Syme, Senators, Tribes and Towns, «Historia», 13 (1964), p. 123,
seguito con prudenza da T.P. Wiseman, New Men in the Roman Senate 139 B.C. - A.D. 14, Oxford
1971, p. 262, n°406; F. Coarelli, L’“Agora des Italiens” a Delo: il mercato degli schiavi?, «Delo e
l’Italia», a cura di F. Coarelli - D. Musti - H. Solin = «Opuscula Instituti Romani Finlandiae», 2
(1982), p. 135; Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., pp. 240-241; T.R.S. Broughton, The Magistra-
tes of the Roman Republic, III Supplement, Atlanta 1986, pp. 199-200; Delplace, Romanisation, cit.,
p. 52; Guidobaldi, Sornatius, cit., p. 264.
185 Ma non a Castrum Novum, origo del legato Sornazio ipotizzata da Wiseman, New Men, cit., p.
262, ove, accanto ad una possibile attestazione della Velina (CIL IX, 5147: L(ucius) Agid[ius -]
V[el(ina tribu)] / Kaeso), troviamo sicure testimonianze della Papiria (CIL IX, 5150; sulla base di
tale testimonianza Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 224 ascrivono in via ipotetica Castrum
Novum a questa tribù) e della Maecia (Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 801, n°13, ma
si tratta di un legionario). Sul problema vd. anche J.W. Kubitschek, Imperium romanum tributim de-
scriptum, Praha 1889, p. 63.
186 Cf. C. Sornatius C.f. Vel., primipilo della legio X Fretensis di CIL VI, 3633.
187 In Italia il gentilizio è attestato nell’epigrafia di Roma (vd. CIL VI, 3633; 14627; 21650; 26627) e
di Pola (CIL V, 116 = InscrIt X, 1, 200); incerto il caso di CIL XIV, 4585a da Ostia: L. Sorn[atius] o
L. Sorn[ius]; attestazioni letterarie in T. Münzer, Sornatius, «P.W.», III A, 1 (1927), coll. 1137-1138.
54 Introduzione

litari188; quanto all’origine picena della gens Sornatia, di per sé l’isolato rinveni-
mento di un bollo su tappo d’anfora a Giulianova non costituisce un elemento deci-
sivo189, come del resto l’iscrizione alla Velina, tribù che appare anche in molte
comunità al di fuori della regio V190. Nella speranza che qualche nuovo elemento
venga a sciogliere definitivamente questi dubbi, mi limito ad osservare come i
nomi che appaiono sui tappi d’anfora siano comunemente ritenuti dalla dottrina
scientifica in riferimento, più che al fabbricante del contenitore, a chi si prendeva
cura del trasporto della merce, una figura che in taluni casi può identificarsi con il
proprietario della merce stessa191: un elemento del quale si dovrà tener conto nel
valutare i dati offerti dagli opercula iscritti, materiali spesso trascurati ma il cui
studio si annuncia proficuo anche per la regione medioadriatica 192.

3.2.3. Le anfore “ovoidali”


Nella fase di passaggio dalla produzione di Lamboglia 2 ed affini a quella
delle Dressel 6A si inserisce forse la fabbricazione di un tipo di anfore ancora non
molto note, che M.T. Cipriano e M.-B. Carre hanno ribattezzato con il nome di an-
fore “ovoidali”193. Il ritrovamento di due esemplari nel relitto della Palombina,
scoperto nelle acque di Ancona, ha consentito di isolare questa nuova tipologia,
spesso confusa in passato con le cosiddette “anfore di Brindisi” o con le Lamboglia
2. Grazie al ritrovamento di due puntali a bottone appartenenti ad anfore “ovoidali”
uno dei luoghi di produzione è stato identificato nella già menzionata fornace di
Cologna Marina, tra Giulianova e Roseto degli Abruzzi. I frammenti rinvenuti in

188 W.V. Harris, Toward a Study of the Roman Slave Trade, «The Seaborne Commerce of Ancient
Rome: Studies in Archaeology and History», a cura di J.H. D’Arms - E.C. Kopff, Rome 1980 =
«MAAR», 36 (1980), pp. 127; 129-130 suggerisce piuttosto di identificare il personaggio menzionato
nell’iscrizione di Acmonia con un parente del legato di Lucullo.
189 Come ricordano Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 241.
190 Come per esempio Pola, dalla quale proviene l’iscrizione di un T. Sornatius C. f. Sabinus (CIL V,
116 = InscrIt X, I, 200); certo Pola non può essere ritenuta il luogo d’origine del legato di Lucullo, dal
momento che la comunità non aveva allora la cittadinanza romana, cf. Gasperini - Paci, Ascesa al
senato, cit., p. 241, ma potrebbe essere la patria del C. Sornatius C. f. di CIL IX, 6080, 21, dal mo-
mento che questa iscrizione su tappo d’anfora non è databile con precisione. Sugli stretti rapporti
commerciali tra Piceno e Adriatico settentrionale vd. infra, pp. 76-77.
191 Cf. Manacorda, Anfore dell’Italia repubblicana, cit., p. 461 e soprattutto Hesnard - Gianfrotta,
Bouchons d’amphore, cit., pp. 393-441.
192 Cf. le ricerche pionieristiche per le aree fermana e cuprense di M. Lilli: Sui tappi d’anfora del
Museo Archeologico di Fermo (AP). Spunti per una riconsiderazione delle possibilità di approdo del
litorale fermano in età romana, «Picus», 14-15 (1994-1995), pp. 233-282, partic. 233-238; 253-265;
Opercula da Cupra Maritima e Ripatransone (AP): appunti sulle aree di produzione e di commercia-
lizzazione, «Civiltà contadina e civiltà marina nella Marca meridionale e nei rapporti fra le due
sponde dell’Adriatico. Atti del 7° Seminario di studi per il personale direttivo e docente della scuola.
Cupra Marittima, 26 ottobre - 11 novembre 1995», Cupra Marittima 1998, pp. 171-244.
193 Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., pp. 77-80, contributo al quale si rimanda per
quanto segue nel testo. Per i rinvenimenti del relitto di Palombina vd. L. Mercando, Relitto di nave
romana presso Ancona, «Forma Maris Antiqui», 11-12 (1975-1981), pp. 69-78; M.C. Profumo, Rin-
venimenti sottomarini lungo la costa marchigiana, «BA», 37-38 (1986), Supplemento. Archeologia
subacquea 3, p. 43 e fig. 5, ove le anfore sono ritenute ancora di produzione brindisina.
Introduzione 55

una villa rustica presso Cesano di Senigallia consentono poi di avanzare un’ipotesi
di datazione delle anfore “ovoidali” al 50-30 a.C. Più difficile determinare il conte-
nuto delle anfore di questo tipo: le due studiose sopra citate, ricordando che per il
momento non si ha notizia di “ovoidali” con tracce di resina, suggeriscono che esse
fossero destinate a trasportare olio; l’ipotesi desta qualche perplessità in assenza di
altre notizie che attestino una consistente produzione di olio nel Piceno; non esclu-
derei dunque che le “ovoidali” contenessero in realtà le celeberrime olive da tavola
della regione194; certo le fonti letterarie non sembrano attestare l’uso di anfore
come contenitore per questa autentica specialità: Marziale, in effetti, ricorda a que-
sto proposito i cada, piccoli barili di legno o di terracotta195, dei piccoli canestri di
vimini196 oppure le cistulae o cistellae, cassettine verosimilmente in legno197; tut-
tavia l’utilizzo di anfore per il trasporto delle olive è testimoniate dai rinvenimenti
archeologici relativi alle cosiddette anfore a corpo troncoconico, delle quali si dirà
in seguito, e in età tardoantica dalle anfore della forma Dressel 23, riguardo alla
provenienza delle quali non possediamo purtroppo dati significativi198.

3.2.4. Le anfore Dressel 6A


Alcuni indizi permettono di localizzare nel Piceno almeno una parte consi-
stente della produzione delle anfore Dressel 6A 199, sia nella loro tipologia classica,
sia nella tipo denominato “piceno”, caratteristico appunto della regio V200.
Questo tipo di anfore, la cui produzione si inquadra tra la metà del I sec. a.C.
e la metà del secolo seguente 201, doveva verosimilmente contenere vino, come di-

194 Sulle olive da tavola del Piceno vd. supra, pp. 39-40.
195 Mart., I, 43, 8; sui contenitori delle olive picene vd. Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 48;
Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., p. 462.
196 Mart., IV, 88, 7.
197 Mart., IV, 46, 12-13; XIII, 36.
198 Sulle anfore Dressel 23 come contenitori di olive vd. F. Zevi, Appunti sulle anfore romane,
«ArchClass», 18 (1966), pp. 222-223.
199 Per utilizzare una classificazione coniata da E. Buchi, Banchi di anfore romane a Verona. Note
sui commerci cisalpini, «Il territorio veronese in età romana. Convegno del 22-23-24 ottobre 1971.
Atti», Verona 1973, pp. 547-549, generalmente ripresa dalla dottrina scientifica posteriore. Sulle
Dressel 6A nel Piceno vd. Brecciaroli Taborelli., Anfore picene, cit., pp. 73-88; Carre, Amphores de la
Cisalpine, cit., pp. 209-218, partic. pp. 216-218; L. Brecciaroli Taborelli, Per una ricerca sul com-
mercio nella Transpadana occidentale in età romana: ricognizione sulle anfore di Vercellae, «Atti del
convegno di studi nel centenario della morte di Luigi Bruzza, 1883-1983. Vercelli, 6-7 ottobre 1984»,
Vercelli 1987, pp. 137-142; Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., pp. 85-88; S. Cipriano in
Pesavento Mattioli - Cipriano - Pastore, Quadro tipologico, cit., pp. 42-43; Delplace, Romanisation,
cit., pp. 145-147; Fortini, Approfondimenti, cit., pp. 47-48 per il territorio di Cupra Maritima; Nonnis,
Appunti, cit., pp. 488-489.
200 Per la definizione di Dressel 6A “picene” vd. Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., pp.
85-86.
201 Generalmente la produzione di questa tipologia di anfore viene fatta iniziare solamente negli ul-
timi decenni del I sec. a.C., cf. Zevi, Appunti, cit., p. 217; Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 549; Carre,
Amphores de la Cisalpine, cit., pp. 211-213; Tchernia, Vin, cit., p. 134; questa datazione potrebbe, se-
condo Zaccaria, Prosopografia, cit., pp. 482-483, essere alzata di qualche decennio se, in particolare,
56 Introduzione

mostra il rinvenimento di tracce di resina in alcuni esemplari202. Una conferma di


questa ipotesi ed una precisazione sul luogo dal quale proveniva il vino stesso po-
trebbe venire dall’iscrizione dipinta su di una Dressel 6A al Magdelensberg, che A.
Tchernia ha proposto di sciogliere praet(uttianum vinum)203. Questo tipo di conte-
nuto è confermato del resto dai ritrovamenti di Dressel 6A del Castro Pretorio, in
cui si fa esplicita menzione di vino o del mulsum, il vino mielato per la prepara-
zione del quale, come si è visto, era particolarmente indicato il vinum Praetutium;
altre iscrizioni recano l’abbreviazione vet(us) che ovviamente ben si adatta ad an-
fore contenenti qualche vecchia annata204.
Altre indicazioni vengono dai nomi che compaiono sui bolli nelle Dressel
6A, anche se non sempre l’associazione del personaggio con un luogo di produ-
zione preciso è sicura. Si propone qui uno schematico riepilogo dei dati in nostro
possesso, seguendo l’ordine alfabetico del gentilizio o del cognomen dei proprietari
delle figlinae.
In primo luogo si deve prendere in esame il rinvenimento in località Torre di
Palme di una grande quantità di colli d’anfora, tegole e probabilmente anche di due
delle fornaci in cui questi materiali venivano prodotti. L’interessante ritrovamento
è purtroppo a noi noto solamente dal resoconto fattone da A. Brandimarte agli inizi
del XIX secolo205 ed ogni tentativo di localizzare ed esplorare scientificamente il
sito è fallito; sappiamo tuttavia che alcuni dei colli d’anfore erano bollati e che vi
ricorrevano i nomi ARB e C. LV. POLY. oppure Q. B. LV e C. LV. POLY206.
Già il ritrovamento a Roma di bolli simili su anfore Dressel 6A aveva con-
sentito di migliorare la lettura dei bolli, che presentano i due nomi BARB. e C.
IVL. POLY 207, e di avanzare fondate ipotesi sul tipo di anfore prodotte a Torre di
Palme. Una circostanza fortuita ha permesso di precisare ulteriormente il quadro:
nel 1980 uno smottamento sulla riva destra del Fosso di S. Biagio, a pochissima di-
stanza dal sito della scoperta ottocentesca, ha portato al recupero di frammenti di
anfore Dressel 6A “picene”, su alcuni dei quali ricorrono i medesimi bolli osservati
dal Brandimarte e rinvenuti a Roma: lo studio condotto da L. Brecciaroli Taborelli

fosse corretta l’identificazione del Q. Numerius attestato su alcuni bolli con un Q. Numerius Q. f. Vel.
Rufus che sappiamo essere vissuto intorno alla metà del I sec. a.C., vd. infra, p. 62.
202 Cf. Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., p. 218.
203 Tchernia, Vin, cit., p. 131; Id., Amphores et textes, cit., p. 33, seguito da Carre, Amphores de la
Cisalpine, cit., p. 217.
204 Vino: CIL XV, 4653; mulsum: CIL XV, 4582; 4583; l’abbreviazione vet(us) appare per esempio
in CIL XV, 4549; 4594; 4602; 4654; cf. Zevi, Appunti, cit., pp. 217-218; Anfore istriane, cit., pp. 30-
31; Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., p. 217.
205 A. Brandimarte, Plinio Seniore illustrato nella descrizione del Piceno, Roma 1815, pp. 155-156.
Sulle scoperte di Torre di Palma vd. Brecciaroli Taborelli, Anfore picene, cit., pp. 55-57, che riporta
integralmente la notizia del Brandimarte; cf. Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., pp. 216-217;
Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., pp. 85-86; Delplace, Romanisation, cit., p. 145;
Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., p. 460; Marengo, Donne, cit., pp. 83-84.
206 Vd. rispettivamente CIL IX, 6080, 4 e 6080, 5, schede che dipendono dalla descrizione del
Brandimarte e dagli esemplari visti e conservati dagli eruditi fermani Raffaello e Gaetano De Minicis.
207 CIL XV, 3410; cf. anche M.H. Callender, Roman Amphorae with Index of Stamps, London 1965,
p. 81, n°180.
Introduzione 57

sugli esemplari del Fosso di S. Biagio e su contrassegni simili conservati in diverse


località dell’Italia ha permesso di concludere che il bollo, nella sua forma più com-
pleta, doveva essere Bârbûl(ae) / C(ai) Iûl(i) Poly(---) 208. La produzione di
Dressel 6A “picene” di C. Iulius Poly(---) e di Barbula ha una discreta diffusione,
non solo nel Piceno e a Roma, ma anche nell’Italia settentrionale 209. La possibile
funzione dei due personaggi ricordati nei bolli del Fosso di S. Biagio è probabil-
mente chiarita da un dato toponomastico: a pochissima distanza dal luogo di rinve-
nimento delle Dressel 6A si trova una contrada Barbolano, che continua la memo-
ria di un Castellum Barbulanum o Barvulanum medievale e che in ultima analisi
deve risalire ad un fundus Barbulanum di età romana; pare dunque ipotizzabile ve-
dere in Barbula il proprietario della tenuta sulla quale si trovava la fabbrica di late-
rizi e, di conseguenza, in C. Iulius Poly(---) l’officinator che dirigeva l’impresa210.
Un altro possibile nome di produttore di anfore del Piceno ci viene dalle
Dressel 6A con bollo T.H.B., particolarmente numerose nel territorio di Cupra Ma-
ritima; qui, poco a nord del torrente Menocchia, venne scoperto un buon numero di
anfore perfettamente integre, di cui oggi si conservano due esemplari, forse un ca-
rico pronto per essere imbarcato211. Il personaggio ricordato nel bollo viene soli-
tamente identificato con il padre di un T. Helvius T. f. Basila che percorse una
brillante carriera politica in età giulio - claudia212: l’ipotesi, anche se la coincidenza

208 Brecciaroli Taborelli, Anfore picene, cit., pp. 73-86; Delplace, Romanisation, cit., pp. 145-146.
209 Raccolta delle attestazioni in Brecciaroli Taborelli, Anfore picene, cit., pp. 76-79 e in Cipriano -
Carre, Production et typologie, cit., p. 99; cf. anche M.-B. Carre - V. Gaggadis-Robin - A. Hesnard -
A. Tchernia, Recueil de timbres sur amphores romaines (1987-1988), Aix-en-Provence 1995, p. 81,
n°226; V. Blanc-Bijon - M.-B. Carre - A. Hesnard - A. Tchernia, Recueil de timbres sur amphores
romaines II (1989-1990 et compléments 1987-1988), Aix-en-Provence 1998, p. 131, n°865; per una
carta della diffusione delle Dressel 6A “picene” concernente, oltre alla produzione di Barbula / C.
Iulius Poly(---), quella degli Herennii e di L. Tarius Rufus, vd. ibid., p. 88, fig. 17.
210 Brecciaroli Taborelli, Anfore picene, cit., pp. 85-86; cf. anche Zaccaria, Prosopografia, cit., p.
474; Delplace, Romanisation, cit., pp. 145-146; Ead., Élites municipales, cit., pp. 77-78. Sul toponimo
Barbolano vd. inoltre Paci, Schede, cit., pp. 174-176; Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., p. 460.
211 Vd. Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed
archeologica, cit. pp. 91-92; 120-126, nn. 3-9. Alla medesima scoperta si riferiscono forse gli accenni
della studiosa in Cupra Maritima, cit., p. 25 ove si parla di una fornace per la fabbricazione di Dressel
6 rinvenuta e subito saccheggiata a Montecantino, tra il territorio di Cupra e quello di Montefiore
sull’Aso; cf. anche Ead., Laterizi bollati, cit., p. 131, ove si fa cenno alla scoperta, a pochi chilometri
dalla città, di una fornace che conteneva anfore timbrate T.H.B. e stoviglie di vario genere; Ead.,
Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 104, ove di parla di un probabile deposito di fornace,
ma si identificano le anfore come contenitori di olio istriano, importati nel Piceno; Ead., Approfondi-
menti, cit., p. 47: recupero di frammenti di anfore con il timbro T.H.B. nell’ambito della fornace sita
in località Montecantino. Si noti che nel contributo Cupra Maritima: aspetti di vita economica attra-
verso la documentazione storica ed archeologica, cit., pp. 91-92; 120-126 non si trova più alcuna
menzione di fornaci, forse perché le strutture risultano oggi gravemente compromesse, cf. Fortini,
Approfondimenti, cit., p. 41, nota 26: “Attualmente sul posto rimane solo una labile traccia delle strut-
ture”.
212 L’identificazione è stata proposta da O. Bohn, Amphorenschicksale, «Germania», 9 (1925), p. 83
e ripresa da P. Baldacci, Alcuni aspetti dei commerci nei territori cisalpini, «CSDIR», I, Milano - Va-
rese 1967-1968, p. 29, n°37; Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 572; Tchernia, Vin, cit., p. 192; Zaccaria,
Prosopografia, cit., p. 483; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 104; Ead., Cupra
58 Introduzione

delle iniziali dei tria nomina colpisce, non mi pare scontata. Il ritrovamento di Cu-
pra Maritima ha indotto C. Delplace a proporre per questa produzione un’origine
picena213, principalmente sulla base di notizie, fino questo momento tuttavia non
confermate, circa il rinvenimento di una fornace214. L’area di diffusione delle
Dressel 6A bollate T.H.B. è piuttosto ampia, con particolari addensamenti
nell’Italia settentrionale 215, ma le numerose incertezze che ancora accompagnano
questa produzione invitano a non trarre affrettate conclusioni dai dati.
Una produzione di anfore Dressel 6A appare legata alla gens Herennia: ne
danno testimonianza bolli con i nomi di M. Herennius Picens, presumibilmente il
proprietario della figlina, e di altri personaggi appartenenti alla gens nei quali si è
voluto vedere gli officinatores alle dipendenze di M. Erennio Picente216.

Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., pp.
91; 121; Ead., Approfondimenti, cit., p. 47; Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., p. 460; sulla di-
scussa datazione della carriera di T. Elvio Basila figlio vd. la bibliografia citata da Zaccaria, Prosopo-
grafia, cit., p. 481, nota 84.
213 Delplace, Romanisation, cit., pp. 146-147; cf. anche Ead., Élites municipales, cit., p. 77; Zaccaria,
Prosopografia, cit., p. 483. In precedenza le anfore bollate T.H.B. erano ritenute provenienti
dall’Istria, cf. per esempio F. Zevi, Anfore istriane ad Ostia (Nota sul commercio istriano), «AMSI»,
15 (1967), p. 22; Baldacci, Alcuni aspetti, cit., p. 29; Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 572. Rimane in-
certa tra le due ipotesi Andermahr, Totus in praediis, cit., pp. 96; 290; cf. anche tabella a p. 99; scetti-
cismo sulle possibilità di identificazione della zona di produzione delle Dressel 6A con questo bollo
viene espresso in Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., p. 85.
214 Vd. supra, p. 57, nota 211.
215 Vd. Baldacci, Alcuni aspetti, cit., p. 29; Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 573; Brecciaroli
Taborelli, Commercio nella Transpadana , cit., p. 167, nota 94; Zaccaria, Prosopografia, cit., p. 479,
nota 66; Carre - Gaggadis-Robin - Hesnard - Tchernia, Recueil, cit., p. 80, n°223; Blanc-Bijon - Carre
- Hesnard - Tchernia, Recueil II, cit., p. 127, nn. 851-854; S. Pesavento Mattioli, I commerci di Ve-
rona e il ruolo della via Postumia. Un aggiornamento sui dati delle anfore, «Optima via. Atti del con-
vegno Internazionale di Studi “Postumia. Storia e archeologia di una grande strada romana alle ra-
dici dell’Europa”. Cremona 13-15 giugno 1996», a cura di G. Sena Chiesa - E. Arslan, Cremona
1998, p. 319, nn. 37-39; I. Modrzewska-Pianetti, Due anfore bollate del Polesine, «Vivre, produire et
échanger: reflets méditerranéens. Mélanges offerts à Bernard Liou», a cura di L. Rivet - M.
Sciallano, Montagnac 2002, pp. 398-400 (un contributo che avrebbe richiesto una revisione ortogra-
fica e grammaticale) e la bibliografia citata da Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica at-
traverso la documentazione storica ed archeologica, cit., p. 91, nota 48 e p. 121.
216 Sulla diffusione dei bolli degli Herennii vd. Baldacci, Alcuni aspetti, cit., p. 28; Buchi, Banchi di
anfore, cit., pp. 574-575; Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., p. 88, fig. 17; p. 100;
Zaccaria, Prosopografia, cit., p. 479, nota 66, se i bolli con il nome Herennia si riferiscono alla mede-
sima produzione; M. Buora, Presenze di anfore tipo Dressel 6A con il marchio M. Her. Picen, «Qua-
derni Friulani di Archeologia», 5 (1995), pp. 183-189, partic. 188-189 (cf. Id., Nota sui bolli delle an-
fore rinvenute a Codroipo, «Quadrivium. Sulla strada di Augusto dalla preistoria all’età moderna», a
cura di M. Buora, Udine 1999 (Archeologia di Frontiera 3), pp. 129-131; M. Buora - G. Cassani, Co-
droipo - Piazza Marconi. Catalogo dei materiali, ibid., p. 116, n°X. 18, con p. 120, tav. XXXVII, 1);
si aggiunga P. Pastore, Anfore da varie località di Padova, «Anfore romane a Padova: ritrovamenti
dalla città», a cura di S. Pesavento Mattioli, Padova 1992, p. 140, n°245; Blanc-Bijon - Carre -
Hesnard - Tchernia, Recueil II, cit., pp. 128-130, nn. 857-864; Fortini, Approfondimenti, cit., p. 48;
Pesavento Mattioli, I commerci di Verona, cit., p. 318, n°25. Un frammento con il nome di M .
Herennius Phaedimus è stato ritrovato anche su una Dressel 6A “picena” di Cupra Maritima, cf.
Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeo-
logica, cit., p. 93; p. 94, fig. 6; p. 126, n°10.
Introduzione 59

Quest’ultimo è stato identificato con il console suffeto del 34 a.C. 217, del quale per
la verità non conosciamo il cognomen218 o con il suo probabile figlio M. Herennius
M. f. M’. n. Picens, che ebbe la massima magistratura nell’1 d.C., ipotesi che mi
appare più giustificata in base ai dati in nostro possesso e alla perfetta identità
dell’onomastica219, o addirittura con un figlio del console del 1 d.C., peraltro non
attestato 220; non si deve peraltro escludere la possibilità che due dei personaggi
summenzionati abbiamo contrassegnato col medesimo bollo la propria produzione
di anfore221. Alcuni elementi potrebbero deporre a favore di un’origine picena di
M. Erennio Picente e, forse, della sua produzione di Dressel 6A: in primo luogo
naturalmente il cognomen del personaggio, per quanto i cognomina di carattere ge-
ografico non possano essere considerati elementi sicuri per determinare la prove-
nienza di chi li portava; un secondo elemento è dato dalla supposta discendenza dei
consoli del 34 a.C. e dell’1 d.C. da un T. Herennius che fu uno dei comandanti
delle forze dei Marsi e dei Piceni durante la guerra sociale222 e che si suppone es-

217 Così Tchernia, Vin, cit., p. 192, sulla base del rinvenimento di un bollo a Cartagine in uno strato
databile fra il 43 e il 15 a.C.; cf. anche Zaccaria, Prosopografia, cit., p. 481; V. Morizio in M. Chelotti
- V. Morizio - M. Silvestrini, Le epigrafi romane di Canosa, II, Bari 1990, p. 61; Strazzulla, Rapporti,
cit., p. 223; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 103; Ead., Cupra Maritima:
aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., pp. 93; 126;
Ead., Approfondimenti, cit., p. 48; Branchesi, Presenze, cit., pp. 69-70; Nonnis, Appunti, cit., p. 489,
nota 489.
218 L’unica fonte che attesti il console suffeto del 34 a.C., i Fasti Venusini, nomina infatti solo un M.
Herennius, cf. InscrIt XIII, 1, p. 254, l. 6.
219 E. Groag, Herennius 34, «P.W.», VIII, 1 (1912), col. 676; Degrassi, Esportazione di olio, cit., p.
106 = Scritti vari, cit., pp. 966-967; Baldacci, Alcuni aspetti, cit., pp. 27-28; Buchi, Banchi di anfore,
cit., p. 574. Incerti tra un’identificazione con il console del 34 a.C. o con quello del 1 d.C. Delplace,
Romanisation, cit., p. 146 e Buora, Presenze, cit., p. 184; cf. Id., Nota, cit., p. 131.
220 L’ipotesi dell’esistenza di un figlio del console dell’1 d.C. è avanzata da Degrassi, Esportazione
di olio, cit., p. 106 = Scritti vari, cit., pp. 966-967 e seguita da E. Groag, a PIR2, H 118, da Baldacci,
Alcuni aspetti, cit., pp. 27-28 e da Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 574. L’attribuzione delle Dressel
6A bollate da M. Erennio Picente ad un presunto figlio del console del 1 d.C. pare peraltro contrad-
detta dalla cronologia dell’esemplare recentemente rinvenuto a Codroipo, in associazione con mate-
riali databili agli ultimi due decenni del I sec. a.C. e in un contesto archeologico, quello della via che
da Concordia conduceva al Norico, che pare essere chiuso nel 2 a.C., cf. Buora, Presenze, cit., p. 183;
per la data della apertura dell’asse stradale in questione si veda in particolare M. Buora, Quando fu
inaugurata la strada da Iulia Concordia verso il Norico? , «Quadrivium. Sulla strada di Augusto
dalla preistoria all’età moderna», a cura di M. Buora, Udine 1999 (Archeologia di Frontiera 3), pp.
144-145.
221 L’ipotesi, espressa da V. Maier Maidl, Stempel und Inschriften auf Amphoren vom Magda-
lensberg, Klagenfurt 1992, p. 84, è ripresa da Buora, Presenze, cit., p. 184 e si trova formulata in
modo indipendente da Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., pp. 459-460, che pensano al console del
34 a.C. e al figlio, massimo magistrato nell’1 d.C.
222 Eutr., V, 3, 2; sostengono una discendenza dei consoli del 34 a.C. e dell’1 d.C. da T. Herennius T.
Münzer, Herennius 13, «P.W.», VIII, 1 (1912), col. 664-665; cf. anche Id., Herennius 15, ibid., col.
665; R. Syme, The Roman Revolution, Oxford 1939, p. 92; L.R. Taylor, The Voting Districts of the
Roman Republic, Rome 1960, pp. 219-220, in via solo ipotetica; Fortini, Aspetti della vita economica
del Piceno, cit., p. 103; Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., pp. 460-461 rilevano che l’ipotesi, pur
non dimostrabile, resta comunque suggestiva.
60 Introduzione

sere originario del Piceno, e più precisamente di Asculum223; anche questa seconda
argomentazione ha tuttavia qualche punto debole: la differenza di praenomen tra il
T. Erennio comandante degli insorti italici durante la Guerra Sociale e gli Erennii
consoli in età tardorepubblicana ed augustea getta qualche dubbio sulla loro suppo-
sta parentela; certo è che T. Erennio non era il nonno del console dell’1 d.C., che
era nipote di un Manio; al limite si potrebbe pensare ad un bisnonno o ad un ante-
nato in linea indiretta224; inoltre l’origine ascolana, o in genere picena, di T.
Erennio mi pare tutt’altro che accertata; credo piuttosto sia da prendere in seria
considerazione l’ipotesi di una provenienza del personaggio dall’area del Fucino,
dalla quale vengono diverse attestazioni di T. Herennii risalenti ad un’età alta225.
Certo, un’eventuale origine extra-picena di M. Herennius Picens non impedirebbe
di pensare che egli possedesse delle tenute nella regio V, su una delle quali era in-
stallata una figlina; il fatto che una Dressel 6A, bollata da M. Herennius Phaedimus
e ritrovata nel territorio Cupra Maritima, presenti le caratteristiche della forma
detta “picena” potrebbe risultare decisivo, se veramente Fedimo altri non era che
un officinator di M. Erennio Picente226; tuttavia, come si vede, gli elementi di in-
certezza su questa produzione sono numerosi227.

223 Cf. Münzer, Herennius 15, cit., col. 665, che ipotizza una sua origine picena; Taylor, Voting Di-
stricts, cit., pp. 219-220, che suggerisce con prudenza un’iscrizione del personaggio alla tribù Fabia
di Asculum; Fortini, Approfondimenti, cit., p. 48. Contra E.T. Salmon, Samnium and the Samnites,
Cambridge 1967, p. 356 e nota 1; E. Deniaux, À propos des Herennii de la République et de l’époque
d’Auguste, «MEFRA», 91 (1979), pp. 632-633, che pensa piuttosto ad un origine marsica di T.
Herennius, con argomentazioni che appaiono ben fondate. Giustificata dunque la prudenza con la
quale Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 225 e Delplace, Romanisation, cit., p. 48 considerano
i membri della gens Herennia nelle loro prosopografie dell’ordine senatorio nel Piceno.
224 Cf. Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 225.
225 Attestazioni raccolte e studiate da Deniaux, Herennii, cit., p. 632; cf. anche H. Devijver - F. Van
Wonterghem, Die Inschriften von Alba Fucens und die gens Herennia, «AC», 50 (1981), pp. 242-257,
partic. pp. 247-249; Delplace, Romanisation, cit., p. 36.
226 Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed ar-
cheologica, cit., p. 126, n°10.
227 A favore di un’origine picena del personaggio e delle anfore con il suo bollo Wiseman, New Men,
cit., p. 235, n°205; Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., p. 214; Tchernia, Vin, cit., p. 192; Carre -
Cipriano, Production et typologie, cit., p. 87; Zaccaria, Prosopografia, cit., p. 483; M. J. Strazzulla,
Rapporti, cit., pp. 219-234; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 103; Ead., Cupra
Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., pp.
93; 106-107; Delplace, Romanisation, cit., p. 48; Ead., Riflessioni, cit., p. 182; Ead., Élites municipa-
les, cit., p. 77, che ricorda a proposito anche l’esistenza di praedia Herenniana, testimoniati
dall’iscrizione di Auximum CIL IX, 5845 = ILS 3775 = G. Prosperi Valenti, Un esemplare inedito
delle “Antiquae inscriptiones vetustissimae civitatis Auximi”, Canale Monterano 1991 (Picus Sup-
plementi I), p. 87, n°39; vd. inoltre T. Bezeczky, Amphorenfunde von Magdalensberg und aus Pan-
nonien, Klagenfurt 1994, pp. 28-31 sulla base di un’analisi chimico-fisica delle anfore degli Herennii
rinvenute al Magdalensberg. Ad una localizzazione della produzione di M. Herennius Picens
nell’Istria pensava invece Degrassi, Esportazione di olio, cit., pp. 105-106 = Scritti vari, cit., pp. 966-
967, seguito da Zevi, Anfore istriane, cit., p. 28 e da Deniaux, Herennii, cit., pp. 643-645. Incerta tra
le due ipotesi Andermahr, Totus in praediis., cit., pp. 90; 292. Il ritrovamento di quello che sembra un
grande monumento funerario di una famiglia di Herennii nel territorio di Claterna induce G. Susini,
Herennii: una traccia cispadana, «AArchHung», 41 (1989), pp. 141-143 a riproporre una possibile
Introduzione 61

Al Piceno, e più precisamente all’agro fermano, è stata recentemente ascritta


la produzione di anfore dei Livii Ocellae228. L’ipotesi spetta a F.A. Branchesi, in
seguito al riconoscimento del bollo L≥(uci) Livi Oce[llae] su di un orlo d’anfora da
ascriversi alla tipologia Dressel 6A, proveniente da un complesso residenziale e
produttivo in contrada Girola di Fermo229. Il corretto riconoscimento del nome
presente nel bollo di Girola ha condotto a riconsiderare la carta della diffusione del
medesimo marchio, attestato in un secondo esemplare da Firmum230, oltre che a
Tortona, Milano, Cremona e Kersignean, in Bretagna231. Proprio la presenza di
almeno due bolli di L. Livio Ocella nell’agro firmano, in un territorio cioè contrad-
distinto da una forte produzione vinicola e nel quale la fabbricazione di Dressel 6A
è altrimenti attestata, ha condotto la Branchesi ad ipotizzare che anche questa pro-
duzione possa essere attribuita al Piceno232. Quanto all’identificazione del produt-
tore attestato dal bollo di Girola, le ipotesi oscillano tra il L. Livio Ocella che rive-
stì la pretura intorno al 42 a.C., all’omonimo figlio che fu questore nella Spagna
Citeriore nella prima età augustea, fino al futuro imperatore Galba che, adottato
dalla matrigna Livia Ocellina, assunse il nome di L. Livius Ocella Ser. Sulpicius
Galba 233: non abbiamo dunque elementi sicuri per datare con maggiore precisione

localizzazione delle figline degli Herennii nella Cispadana. Ad un’ipotesi cispadana pensa anche
Buora, Presenze, cit., p. 185 (cf. anche Id., Nota, cit., p. 131), il quale, dopo un esame della carta di
diffusione dei bolli di M. Erennio Picente, si dice scettico sull’origine picena del fabbricante e avanza
piuttosto la possibilità che la zona di produzione di queste Dressel 6A sia da ricercare nella regione a
ridosso della sponda meridionale del Po, tra Modena e Tortona.
228 F.A. Branchesi, Presenze, cit., pp. 63-73.
229 Il bollo era stato letto LIVI. OCE[---] da Pupilli, Il territorio del Piceno centrale in età romana,
cit., p. 38, fig. 51; pp. 68; 120, nota 420 ed attribuito in via ipotetica a Livia Ocellina, seconda moglie
del console del 5 a.C., C. Sulpicio Galba, e matrigna del futuro imperatore Galba; cf. Ead., Il territo-
rio fermano in età romana: nuove indagini archeologiche, «I beni culturali di Fermo e territorio. Atti
del Convegno di studio (Fermo, 15-18 giugno 1994)», a cura di E. Catani, Capodarco di Fermo 1997,
p. 112, fig. 11.
230 CIL IX, 6080, 35; cf. Callender, Roman amphorae, cit., p. 265, n°1790.
231 Vd. la raccolta delle testimonianze in Branchesi, Presenze, cit., p. 67.
232 Branchesi, Presenze, cit., pp. 68-70, con tutta la prudenza necessaria in una materia dai contorni
ancora incerti quale quella in oggetto; la studiosa (p. 70) non esclude quindi che l’officina dei Livii
Ocellae potesse essere ubicata anche in altre regioni dell’arco adriatico. Non sfuggirà in effetti al let-
tore avveduto una certa circolarità delle argomentazioni avanzate a proposito della produzione delle
Dressel 6A, per cui l’identificazione, talvola solo presunta, di un atelier nel Piceno, diviene fonda-
mento sicuro per l’attribuzione alla regio V di ogni altra produzione delle medesima tipologia di an-
fore. Peraltro già Baldacci, Alcuni aspetti, cit., p. 29, nel pubblicare l’esemplare milanese bollato
VIOCE, accostava questa produzione a quella di M. Herennius Phaedimus.
233 Cf. Branchesi, Presenze, cit., pp. 65-66 e nota 6; p. 73. Sul pretore di età tardorepubblicana vd.
Broughton, Magistrates, cit., II, p. 464; III, pp. 126-127; sul figlio, questore in Spagna Citeriore, M.
Fluss, Livius 28, «P.W.», XIII, 1 (1926), col. 888; Broughton, Magistrates, cit., II, p. 476; III, p. 127;
G. Alföldy, Fasti Hispanienses. Senatorische Reichsbeamte und Offiziere in den spanischen Provin-
zen des römischen Reiches von Augustus bis Diokletian, Wiesbaden 1969, p. 190. Sui due personaggi
vd. F. Münzer, Livius 25-26, «P.W.», XIII, 1 (1926), col. 887; lo stemma familiare di PIR2 L 305 e
soprattutto W. Eck, Sulpicii Galbae und Livii Ocellae: zwei senatorische Familien in Tarracina,
«LF», 114 (1991), pp. 93-99, ora anche in traduzione italiana I Sulpicii Galbae e i Livii Ocellae: due
62 Introduzione

questa produzione entro l’ampio arco cronologico, tra la seconda metà del I sec.
a.C. e la prima metà del secolo seguente, che vide il fiorire delle Dressel 6A.
Qualche dubbio sussiste anche a proposito del bollo relativo ad un Q .
Ninnius Secundus ritrovato su di una Dressel 6A ora conservata al museo di Aqui-
leia: M.B. Carre ha avanzato l’ipotesi di identificazione di uno dei luoghi di produ-
zione di queste anfore nella zona di confine tra Sannio e Piceno, rammentando che
il medesimo personaggio ritorna sul timbro di tegola CIL IX, 6078, 204, rinvenuto
sulle rive del fiume Saline, che in antico segnava il confine tra la regiones V e VI
dell’Italia augustea, e la forte concentrazione nel Sannio settentrionale delle atte-
stazioni della gens Ninnia. La medesima fornace produsse più tardi anche anfore a
fondo piatto, su almeno una delle quali compare un bollo impresso con la mede-
sima matrice utilizzata per la Dressel 6A: questa circostanza lascia credere che la
produzione di quest’ultimo tipo di anfore si inquadri nel I sec. d.C. avanzato234.
Alla prima fase di produzione delle Dressel 6A rimanda invece un esemplare
di anfora, peraltro di identificazione non sicura, da Cupra Marittima con bollo [---]
Numer[---]235. Il personaggio è verosimilmente da identificare con quel Q .
Numerius Q. f. Vel. Rufus che fu questore in Africa verso il 60 a.C., tribuno della
plebe nel 57 a.C., legato di Cesare e patrono della comunità di Issa, in Dalmazia,
qualche anno più tardi236. Anche se l’appartenenza alla tribù Velina ha fatto ipotiz-
zare che Numerio fosse originario del Piceno 237 ed il recente rinvenimento cu-
prense porta sostegno a tale argomentazione 238, la diffusione di questa produzione
laterizia consiglia di tenere conto anche dell’ipotesi che la patria di Numerio fosse
Aquileia239.
Deboli indizi onomastici, rafforzati tuttavia da considerazioni for mali sul
bollo a lettere libere incise, che pare caratteristico della produzione picena, con-

famiglie senatorie a Terracina, «Tra epigrafia, prosopografia e archeologia. Scritti scelti, rielaborati
ed aggiornati», Roma 1996, pp. 147-154.
234 Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., pp. 235-240, alla quale si rimanda anche per la diffusione,
invero piuttosto scarsa, di questo tipo di bolli; cf. anche Zaccaria, Prosopografia, cit., pp. 475; 477.
235 Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed ar-
cheologica, cit., p. 92 e fig. 4; pp. 126-127, n°11.
236 Sul personaggio vd. da ultimo Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 240 e C. Zaccaria, Te-
stimonianze epigrafiche dei rapporti tra Aquileia e l’Illirico in età imperiale romana, «AAAd», 26,
(1985), pp. 122-123, con la bibliografia ivi citata.
237 Così per esempio Taylor, Voting Districts, cit., p. 238; Wiseman, New Men, cit., p. 246, n°282;
Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 240.
238 Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed ar-
cheologica, cit., p. 92; cf. anche p. 127, con rimandi alle poche altre testimonianze di questo bollo su
Dressel 6A.
239 Zaccaria, Testimonianze, cit., pp. 122-123; cf. anche Id., Prosopografia, cit., pp. 482-483 (seguito
da D. Nonnis, Attività imprenditoriale e classi dirigenti nell’età repubblicana. Tre città campione,
«CCG», 10 (1999), p. 86 e tabella a pp. 106-107), che pur menzionando la teoria di un’origine picena
di Numerio Rufo, invita a non escludere l’ipotesi aquileiese; vd. inoltre Strazzulla, Rapporti, cit., p.
224 e Fortini, Approfondimenti, cit., p. 48, che dopo aver sostenuto l’ipotesi di una produzione picena,
sembra poi propendere piuttosto per la soluzione aquileiese. Incerta tra le due possibilità Delplace, Ri-
flessioni, cit., pp. 179-180.
Introduzione 63

sentono di suggerire una provenienza dalla regio V delle Dressel 6A in cui appare il
nome di una Safinia Pice(na) o Pice(ntina)240.
Un altro personaggio il cui nome compare su bolli delle Dressel 6A, oltre che
su anfore del tipo Lamboglia 2, ebbe sicuramente rapporti con la V regione: si
tratta del già citato L. Tario Rufo, il cui contrassegno è stato rinvenuto su anfore
vinarie provenienti da diverse località dell’area adriatica241.

3.2.5. Le anfore Dressel 6B


Una produzione locale di Dressel 6B, comunemente ritenuti i contenitori ca-
ratteristici dell’olio istriano242, è stata supposta da C. Delplace per due insedia-
menti rurali, l’uno nei pressi di Porto Recanati, dove è venuto alla luce un muro co-
struito con anfore di questo tipo243, l’altro nei pressi di Potenza Picena, dove è stata
rinvenuta una fossa rettangolare le cui pareti erano composte da colli di anfore
identificate con Dressel 6B244; questo genere di strutture generalmente si ritrova
solo nelle vicinanze di fornaci; si ritiene che la produzione vada inquadrata tra la
fine del I sec. a.C. e l’età dei Flavi245.

240 Su questa produzione vd. ora Pesavento Mattioli - Cipriano, Anfore bollate, cit., pp. 521-522, nn.
3.1-3.2; per la diffusione dei laterizi bollati da Safinia Picena / Picentina vd. Baldacci, Alcuni aspetti,
pp. 27-28, n°36g, che collega questa produzione con quella di M. Herennius Picens; Zaccaria, Proso-
pografia, cit., p. 479, nota 66; Cipriano, Depositi di piazza De Gasperi, cit., p. 65; p. 94, n°103; L.
Mazzeo Saracino - M. Vergari, Bolli d’anfora greci e romani da Suasa, «Ocnus», 5 (1997), pp. 159-
160, nn. 17-18, con la pubblicazione di due nuove Dressel 6A con questo tipo di bollo; Blanc-Bijon -
Carre - Hesnard - Tchernia, Recueil II, cit., p. 134, n°874; Pesavento Mattioli, I commerci di Verona,
cit., p. 318, n°34; p. 319, n°35; Marengo, Donne, cit., pp. 76-78.
241 Per quanto concerne le anfore Dressel 6A di Tario Rufo vd. Baldacci, Alcuni aspetti, cit., p. 27,
n°35, con raccolta delle attestazioni; Buchi, Banchi di anfore, p. 598, n°98; Carre, Amphores de la Ci-
salpine, cit., p. 217; Tchernia, Vin, cit., pp. 131-132; 192; Cipriano - Carre, Production et typologie,
cit., p. 88, con una carta della diffusione delle Dressel 6A bollate da Tario Rufo, e p. 99, con raccolta
delle attestazioni; Zaccaria, Prosopografia, cit., pp. 481; 483; Delplace, Romanisation, cit., p. 146;
Ead., Élites municipales, cit., p. 77; Pesavento Mattioli - Cipriano, Anfore bollate, cit., pp. 518-520,
nn. 2.2-2.3; Fortini, Approfondimenti, cit., p. 48; Blanc-Bijon - Carre - Hesnard - Tchernia, Recueil II,
cit., p. 135, nn. 878-880. Per gli esemplari di anfore Lamboglia 2 bollati con il nome di L. Ta(rius)
R(ufus) vd. supra, p. 52.
242 Sulle Dressel 6B vd. ora la sintesi di S. Cipriano in Pesavento Mattioli - Cipriano - Pastore, Qua-
dro tipologico, cit., pp. 44-45, con la bibliografia ivi citata; cf. inoltre F. Tassaux, Production et diffu-
sion des amphores à huile istrienne, «Strutture portuali e rotte marittime nell’Adriatico di età ro-
mana», a cura di C. Zaccaria, Trieste - Roma 2001 = «AAAd», 46 (2001), pp. 501-543; S. Cipriano -
S. Mazzochin, Analisi di alcune serie bollate di anfore Dressel 6B (Ap. Pulchri, Flav. Fontan e
Fontani, L. Iuni. Paetini, L. Tre. Optati), «AN», 73 (2002), coll. 305-340.
243 Mercando, Rinvenimenti di insediamenti rurali, cit., pp. 184-185; vd. anche le belle figure di p.
185, fig. 99; p. 186, figg. 100-101; p. 187, fig. 102.
244 Ibid., pp. 281-282, che parlava di Dressel 6; vd. anche le figure a p. 283, figg. 198-199; p. 292,
fig. 209. L’identificazione delle anfore della fossa di Potenza Picena con Dressel 6B è suggerita da
Brecciaroli Taborelli, Commercio nella Transpadana, cit., p. 170, nota 131. Nell’insediamento rurale
di Potenza Picena sono venuti alla luce anche muri costruiti impiegando pance e spalle di anfore
Lamboglia 2, vd. supra, p. 51.
245 Delplace, Romanisation, cit., pp. 144-145; Ead., Élites municipales, cit., p. 76. I rinvenimenti di
Dressel 6B e di altre tipologie segnalati da Delplace, Romanisation, cit., p. 145 in connessione con i
64 Introduzione

In una Dressel 6B rinvenuta a Verona si è creduto di riconoscere il nome di


L. Tarius Rufus, che abbiamo già incontrato come possibile proprietario di una fi-
glina picena che produsse Lamboglia 2 e Dressel 6A246. Per la verità la lettura del
bollo veronese è assai incerta247.
C. Zaccaria ha suggerito una possibile origine picena per la produzione di
Dressel 6B bollate M. Titi, nota unicamente da un contrassegno rinvenuto a Ve-
rona 248. Già E. Buchi in effetti aveva connesso il bollo veronese al console del 31
a.C. M. Titius L. f., il cui legame con il Piceno sarebbe attestato dall’iscrizione di
Auximum CIL IX, 5853: M(arco) Titio L(uci f(ilio) C≥[---] /, pontifici, / patrono
colon[iae]. / Decurionum dec[reto] / publice249. Tuttavia, quand’anche il perso-
naggio attestato nell’instrumentum sia veramente da identificare con il console
dell’anno di Azio, fatto che non mi pare scontato, la provenienza picena del con-
sole non mi sembra poggiare su solide basi: il patronato su di una comunità non co-
stituisce un elemento sicuro per determinare l’origine del personaggio, inoltre non
sono certo che il M. Titius L. f. onorato ad Osimo, nonostante l’omonimia, sia il
medesimo che ebbe la massima magistratura nel 31 a.C.: mi pare in effetti impro-
babile che in CIL IX, 5853 si possa integrare alla fine di l. 1 c[o(n)s(uli)], il ricordo
della più prestigiosa carica dello stato apparirebbe in effetti in posizione defilata ri-
spetto al meno illustre pontificato, titolo di cui si sottolinea il rilievo allineandolo
sull’asse centrale dello specchio epigrafico e ponendolo da solo a l. 2; queste ca-
ratteristiche dell’impaginato mi fanno sospettare che la carica di pontifex fosse la
più importante rivestita da M. Tizio e che a l. 1 si ricordasse piuttosto la tribù del
personaggio, iniziante con la lettera C o, eventualmente, con la O250; se questa in-
terpretazione fosse giusta, il pontificato di CIL IX, 5853 potrebbe essere il sacerdo-
zio locale di Auximum, attestato per altri due patroni della comunità nel II sec.
d.C.251 Quanto al bollo M. Titi, sarebbe interessante conoscere il rapporto tra que-

“muri d’anfore” di Porto Recanati e Potenza Picena, sulla scorta delle ricerche di Mercando, Rinveni-
menti di insediamenti rurali, cit., sono da considerare con estrema prudenza, potendosi trattare di
merci di importazione piuttosto che di produzione locale.
246 Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 598, n°98, seguito da Tassaux, Rapports entre l’Istrie et la Li-
burnie, cit., p. 151.
247 Come rileva a ragione Zaccaria, Prosopografia, cit., p. 475, nota 41.
248 Zaccaria, Prosopografia, cit., pp. 481; 483-484, seguito da Fortini, Approfondimenti, cit., p. 48, in
riferimento al bollo pubblicato da Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 599, n°99 (e ripreso da Pesavento
Mattioli, I commerci di Verona, cit., p. 322, n°90). L’esemplare veronese è schedato da Ezio Buchi e
da Stefania Pesavento Mattioli tra quelli della forma Dressel 6B, mentre Zaccaria, Prosopografia, cit.,
p. 483 e Fortini, Approfondimenti, cit., p. 48 accennano ad una produzione di Dressel 6A da parte di
M. Titius, forse per semplice refuso.
249 Buchi, Banchi di anfore, cit., p. 599, n°99; l’identificazione è ripresa da Tassaux, Production, cit.,
p. 502; una possibile origine picena del personaggio è adombrata a p. 505, nota 35. Sul personaggio
vd. anche PIR, T 196; R. Hanslik, Titius 18, «P.W.», VI A, 2 (1937), coll. 1559-1562.
250 Così G.V. Gentili, Osimo nell’antichità, Casalecchio di Reno 1990, p. 173, n°66, che integra alla
fine di l. 1 C[ol(lina tribu)]; per l’impaginazione dell’epigrafe si veda l’immagine pubblicata ibid., p.
219, tav. 105a.
251 Questa è l’interpretazione di Gentili, Osimo, cit., p. 173 e di Delplace, Romanisation, cit., p. 34.
Per le altre attestazioni di pontifices locali ad Auximum vd. CIL IX, 5831 = ILS 6572 = Prosperi
Introduzione 65

sta produzione di Dressel 6B ed i laterizi della gens Titia, i cui bolli sono ben atte-
stati nella Bassa friulana e la cui fabbrica potrebbe forse essere individuata poco a
sud di Latisana, presso la località di Titiano, un toponimo che continua chiaramente
il prediale Titianum252. Del resto il prenome Marcus è abbastanza frequente tra i
numerosi membri della gens Titia della Venezia, mentre non è altrimenti noto nella
documentazione del Piceno253.
Come si vede il problema di un’eventuale fabbricazione picena delle anfore
Dressel 6B, che costituirebbe un importante elemento di novità nel quadro della
produzione fittile dell’Italia romana, è destinato a rimanere aperto in attesa di ulte-
riori dati.

3.2.6. Le anfore da olive a corpo troncoconico


Le caratteristiche anfore a corpo troncoconico che sono state ritrovate, anche
se in modeste quantità, nella Cisalpina e nel Norico, contenevano olive, come ap-
prendiamo con certezza dalle iscrizioni dipinte sul collo delle anfore stesse254.
L’associazione di uno di questi recipienti con una caratteristica anfora rodia in un
deposito di Milano ha consentito di datare la produzione al I sec. d.C.255 M.B.
Carre, ricordando il favore di cui godevano le olive picene, ha preso in considera-
zione la possibilità che i contenitori fossero prodotti in quella regione; tuttavia il
fatto che le anfore troncoconiche per il momento non siano state ritrovate a Roma
induce la studiosa ad abbracciare piuttosto l’ipotesi di una loro origine istriana,
avanzata da A. Degrassi256. Il problema attende di essere chiarito sulla base di
nuovi rinvenimenti, tenendo anche presenti i dati in nostro possesso riguardo ai
contenitori delle olive da tavola del Piceno257.
La completa scomparsa delle anfore Dressel 6 nei primi decenni del II sec.
d.C., all’incirca in contemporanea con la sparizione delle anfore vinarie della costa
tirrenica, le Dressel 2-4, è stata vista come uno dei segni del profondo mutamento

Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 41, n°6; 5835; 5836 (le due ultime iscrizioni sono qui riprese ri-
spettivamente ai numeri Auximum 14 e Auximum 11). Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit. non ri-
cordano il personaggio nella loro prosopografia dei membri dell’ordine equestre originari del Piceno.
252 Vd. da ultimo C. Gomezel, I laterizi bollati romani del Friuli - Venezia Giulia (Analisi, problemi
e prospettive), s.l. 1996, pp. 63; 93.
253 Cf. da Aquileia CIL V, 8426: Titia M. f. Polla; 1010: L. Titius M. f..; 1411: M. Titius Laetus; da
Atria CIL V, 2371: M. Titius L. f. Marcellus; da Patavium CIL V, 2840: M. Titius Honoratus; da Pola
CIL V, 15 = InscrIt X, 1, 625: M. Titius Maximus.
254 Le attestazioni sono raccolte da P. Baldacci, Importazioni cisalpine e produzione apula, «Recher-
ches sur les amphores romaines», Rome 1972, pp. 27-28 ed in seguito studiate da Carre, Amphores de
la Cisalpine, cit., pp. 231-232; per gli esemplari vercellesi vd. Brecciaroli Taborelli, Commercio nelle
Transpadana occidentale, cit., pp. 146-147.
255 Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., p. 232 e nota 125, che identifica ipoteticamente il conteni-
tore rodio con un’anfora attestata ad Ostia tra l’età dei Flavi e la prima metà del II sec. d.C. Baldacci,
Importazioni cisalpine, cit., p. 28 datava invece l’anfora rodia all’età augustea.
256 Degrassi, L’esportazione d’olio, cit., pp. 108-109 = Scritti vari, cit., p. 969. Ad una produzione
picena sembra piuttosto pensare Delplace, Élites municipales, cit., p. 77.
257 Cf. supra, p. 55.
66 Introduzione

nell’economia agricola dell’Italia degli Antonini258. La fine di un contenitore tutta-


via non sembra aver significato la fine delle esportazioni agricole dall’area adria-
tica: il ruolo delle Dressel 6A sembra essere stato ereditato dalle cosiddette anfore a
collo ad imbuto e da quelle a fondo piatto, due tipologie che attendono ancora uno
studio approfondito.

3.2.7. Le anfore a collo ad imbuto


Alcune anfore che presentano un caratteristico collo ad imbuto, la cui produ-
zione sembra databile a partire dalla prima metà del I sec. d.C., sono state scoperte
in diverse località del Piceno259; si segnalano rinvenimenti nella necropoli di Porto
Recanati260, nell’insediamento rurale di Potentia, con un esemplare bollato261, a
Septempeda262 e a Cupra Maritima, dove è stata rinvenuta un’anfora a collo ad
imbuto bollata con il nome Iuli Paulini: tale contrassegno sembra per il momento
sconosciuto fuori dal territorio di Cupra, dove ritorna anche su una lucerna
d’imitazione 263.
Anfore di forma simile sono note ad Aquileia e a Pola; rimane peraltro in
dubbio se si possa trattare di produzioni locali, come ipotizza C. Delplace, o piutto-

258 Cf. tra gli altri Carandini, Economia italica, cit., pp. 517-520; sul problema vd. A Tchernia,
Quelques remarques sur le commerce du vin et les amphores, «The Seaborne Commerce of Ancient
Rome: Studies in Archaeology and History», a cura di J.H. D’Arms - E.C. Kopff, Rome 1980 =
«MAAR», 36 (1980), pp. 306-310; C. Panella - A. Tchernia, Produits agricoles transportés en am-
phores. L’huile et surtout le vin, «L’Italie d’Auguste à Diocletien», Rome 1994, pp. 145-165.
259 Su questa tipologia vd. Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., pp. 232-234; cf. anche Mazzeo
Saracino et alii, Produzione, cit., p. 79; S. Cipriano in Pesavento Mattioli - Cipriano - Pastore, Qua-
dro tipologico, cit., p. 47; S. Pesavento Mattioli - S. Mazzocchin - A. Failla, Anfore romane a Pa-
dova: le anfore con collo ad imbuto dallo scavo di Roncaglia di Ponte San Nicolò, «Quaderni di Ar-
cheologia del Veneto», 9 (1993), pp. 148-157; S. Mazzocchin in S. Pesavento Mattioli - A. Ruta
Serafini (a cura di), Padova, via Beato Pellegrino. Scavo 1994. Necropoli romana e depositi di an-
fore, «Quaderni di Archeologia del Veneto», 11 (1995), pp. 104-106.
260 L. Mercando, Portorecanati (Macerata) - La necropoli romana di Portorecanati, «NSc», 99
(1974), p. 193, n°13 (tomba 21); p. 206, n°6 (tomba 25); p. 230, n°6 (tomba 46); p. 230, n°2 (tomba
47); p. 235, n°2 (tomba 49); p. 236, n°10 (tomba 50); p. 247, n°4 (tomba 58); p. 270, n°9 (tomba 93);
p. 378, n°9 (tomba 293).
261 Mercando, Rinvenimenti di insediamenti rurali, cit., p. 225, n°2, con le figure a p. 223, fig. 138b;
p. 224, fig. 139a; p. 266, n°3 con la figure a p. 224, fig. 139b; p. 265, figg. 176-177: si tratta di un
esemplare che presenta il bollo LCSREV, che, a quanto mi risulta, non è stato ancora interpretato. Ho
qualche dubbio sulla pertinenza a questa tipologia del collo con il contrassegno HETL (ibid., p. 266,
n°2, con la fig. 173a a p. 262), come sembra sostenere Delplace, Romanisation, cit., p. 147, data
l’eseguità del frammento; nessuna identificazione è proposta da L. Mercando.
262 L. Mercando, S. Severino Marche (Macerata) - Rinvenimento di tombe romane, «NSc», 99
(1974), p. 131, n°4, con le figure a p. 126, fig. 46 e p. 127, fig. 50.
263 Fortini, Laterizi bollati, cit., pp. 128-130, n°13; un secondo frammento di anfora, ora disperso, ri-
portava il bollo [---] Paulini, cf. ibid., p. 130, n°14 = CIL IX, 6082, 61; non sappiamo tuttavia con
certezza se anche questo bollo comparisse su di un’anfora a collo ad imbuto; accenno a questi due e-
semplari anche in Fortini, Approfondimenti, cit., p. 50. Per la lucerna con il medesimo contrassegno
vd. infra, p. 71.
Introduzione 67

sto di importazioni, forse dall’area istriana264; incerto anche il contenuto di queste


anfore.

3.2.8. Le anfore a fondo piatto


Il bollo del fabbricante Q. Ninnius Secundus, che abbiamo già visto su di
un’anfora Dressel 6A forse prodotta nell’area di confine tra il Sannio e l’agro pre-
tuziano, compare anche su diverse anfore a fondo piatto, di cui un piccolo lotto è
noto ad Aquileia. L’impiego della medesima matrice ha fatto supporre che anche
questi contenitori venissero prodotti nella stessa fornace dalla quale uscì la Dressel
6A, all’incirca nello stesso periodo, ovvero verso la fine del I sec. d.C.; la produ-
zione di anfore a fondo piatto di Q. Ninnius Secundus sarebbe poi proseguita anche
dopo l’abbandono delle forme Dressel 6A, con l’impiego di contrassegni legger-
mente diversi. Anche se le anfore a fondo piatto conservate ad Aquileia non con-
tengono tracce di resina, la loro presunta origine in un’area limitrofa alla zona vini-
cola dell’ager Praetuttianus consente di ipotizzare che anch’esse contenessero
l’apprezzato vino del Piceno 265.
Dall’ager Hadrianus proviene invece il collo di un’anfora a fondo piatto con
il bollo Sex. Iuli. / Aequani / Lauti, che M.B. Carre e M.T. Cipriano ritengono di
possibile origine locale. Il fatto che si tratti di un rinvenimento isolato invita natu-
ralmente alla prudenza266.
Il medesimo discorso si potrebbe fare a proposito di un’anfora a fondo piatto
conservata nel Museo Civico Archeologico di Ripatransone (forse proveniente dal
territorio della cittadina) e bollata M. Arri. Ili.267. Anche in questo caso i riscontri
prosopografici sono labili268, ma le affinità tipologiche con i contenitori della

264 Delplace, Romanisation, cit., pp. 147-148; Ead., Élites municipales, cit., p. 77. Per l’ipotesi di
un’origine istriana vd. S. Mazzocchin in Pesavento Mattioli - Mazzocchin - Failla, Anfore romane,
cit., pp. 153-155; Ead. in Pesavento Mattioli - Ruta Serafini (a cura di), Padova, via Beato Pellegrino,
cit., pp. 104-105. Sul problema dei luoghi di produzione delle anfore a collo ad imbuto è annunciato
un riesame complessivo in M.-B: Carre - S. Pesavento Mattioli, Anfore e commerci nell’Adriatico, in
corso di stampa negli atti del convegno «L’archeologia dell’Adriatico dalla Preistoria al Medioevo»,
tenutosi a Ravenna il 7-9 giugno 2001.
265 Carre, Amphores de la Cisalpine, cit., pp. 235-241; cf. anche Cipriano - Carre, Production et
typologie, cit., p. 89; C. Panella, Le anfore italiche del II sec. d.C., «Amphores romaines et histoire
économique: dix ans de recherche», Rome 1989, p. 147; Delplace, Élites municipales, cit., p. 77. Vd.
tuttavia anche Baldacci, Importazioni cisalpine, cit., p. 28, che sembra ipotizzare una produzione
aquileiese.
266 Cipriano - Carre, Production et typologie, cit., p. 89 ( = Blanc-Bijon - Carre - Hesnard - Tchernia,
Recueil II, cit., p. 251, n°1285), che ricordano un bollo impresso con la medesima matrice ritrovato a
Cremona forse su una Dressel 6A: anche per questa fornace si potrebbe ipotizzare un passaggio dalla
produzione di Dressel 6A a quella di anfore a fondo piatto verso la fine del I sec. d.C. che si suppone
per la fabbrica di Q. Ninnius Secundus ?
267 Edita da S. Forti - S.M. Marengo, Bollo circolare su anfora a fondo piatto dal Museo di Ripa-
transone (AP), «Picus», 23 (2003), pp. 280-287.
268 Al momento la gens Arria è attestata nel Piceno solamente da un gruppo di liberti di AE 1980,
381, da Interamnia, che tuttavia portano il prenome Lucius.
68 Introduzione

stessa classe ritrovati a Porto Recanati consentono di ipotizzare una produzione lo-
cale269.
In effetti altri frammenti di anfore a fondo piatto sono stati scoperti ancora
più a nord, nelle necropoli di Porto Recanati e di Septempeda, frequentemente as-
sociati ad anfore a collo ad imbuto 270. Il numero dei frammenti, il ritrovamento di
un punzone 271 e la continuità fino ad oggi nella produzione di materiali fittili nella
zona ha indotto C. Delplace ad avanzare l’ipotesi che nel territorio di Potentia esi-
stesse una fabbrica di anfore che prima produsse Dressel 6B, poi anfore a collo
troncoconico e a fondo piatto272.

3.2.9. La produzione di tegole e mattoni


Anche se le anfore sono fra i materiali meglio conosciuti, la produzione fit-
tile del Piceno non si limitava certamente ad esse. Sono note alcune manifatture re-
gionali di tegole e mattoni, che qui ricordiamo brevemente, seguendo l’ordine alfa-
betico dei gentilizi attestati nei bolli.
Da contrada Monti, nei pressi di Monterubbiano, dunque nel territorio
dell’antica Firmum, venne rinvenuto un mattone bollato da un T. Arusius: il fatto
che il bollo sia altrimenti sconosciuto ha indotto l’editrice, K. Capriotti, ad ipotiz-
zare che si trattasse di una produzione di una figlina locale273, ipotesi che natural-
mente dovrà essere vagliata alla luce di eventuali nuove scoperte.
Da Cupra Marittima proviene un esemplare, per il momento isolato, di tegola
iscritta con lettere tracciate con uno stilo, prima della cottura: l’iscrizione ci fa co-
noscere un Aufidius Rufus, identificato con l’officinator274. La testimonianza cu-
prense assume diverso significato grazie alla recente rilettura di un bollo di tegola
da Urbs Salvia da parte di S.M. Marengo: la studiosa ha in effetti proposto per il
bollo in questione, in cui è rilevabile un forte uso di sigle e legature, lo sciogli-
mento T(egula) do(liaris) L(uci) Aufidi ed una datazione all’età augustea o ai primi
decenni dell’epoca giulio-claudia275. Si viene dunque a delineare una produzione in
area medioadriatica della gens Aufidia, verosimilmente di carattere locale in
considerazione della sua limitata diffusione276, una produzione che è suggestivo

269 Marengo in Forti - Marengo, Bollo circolare, cit., p. 287.


270 Cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 147, con rimandi alla documentazione rilevante di Mercando,
Necropoli romana di Portorecanati, cit. e Ead., S. Severino Marche, cit.
271 Mercando, Rinvenimenti di insediamenti rurali, cit., p. 285, con la fig. 202 a p. 286; cf. Delplace,
Romanisation, cit., p. 146; Élites municipales, cit., p. 77.
272 Delplace, Romanisation, cit., p. 148.
273 Capriotti, Due bolli, cit., pp. 305-308.
274 Fortini, Laterizi bollati, cit., p. 112, n°2; cf. anche Ead., Aspetti della vita economica del Piceno,
cit., p. 107; Ead., Approfondimenti, cit., p. 52; Marengo, Laterizi, cit., pp. 184-185, con l’immagine a
fig. 2.
275 Marengo, Laterizi, cit., pp. 183-188.
276 La serie bollata da L. Aufidius Deme[trius] rimanda sempre all’area medioadriatica, in particolare
a Suasa, cf. Marengo, Laterizi, cit., p. 184; p. 187, nota 7.
Introduzione 69

accostare al nome di un magistrato cittadino di Urbs Salvia, L. Aufidius L. f., attivo


proprio negli stessi anni a cui pare risalire la tegula doliaris del suo omonimo277.
Ad Urbs Salvia da rilevare i bolli dell’officinator M. Attius Fabatus con il ri-
cordo della Salus Augusta Salviensium; si discute su quale fosse il rapporto tra il
tempio della Salus Augusta di Urbs Salvia e la figlina in cui lavorava M. Attio
Fabato; la produzione tuttavia dovrebbe datarsi al secondo quarto del I sec. d.C.278
Ad Auximum e a Cupra Montana si segnalano i bolli su tegola di età tardore-
pubblicana con il nome C. Câmûri. Sal. f.279, noto anche nel territorio di Aesis,
nella vicina Umbria280. La diffusione di prediali riconducibili a proprietà della
gens Camuria nel Piceno e negli agri di Fabriano e Camerino induce ad ipotizzare
l’esistenza nella zona di una o più fabbriche di laterizi di proprietà dei Camurii, la
cui localizzazione, nella regio V o piuttosto nella regio VI, attende di essere preci-
sata sulla base di eventuali nuovi rinvenimenti281.
I bolli di una Claudia Ti. f. Corneliana, che potrebbe essere stata la proprie-
taria di una fabbrica attiva nell’età di Traiano, sono per il momento attestati sola-
mente a Cupra Marittima, il che lascia pensare che la figlina dovesse essere situata
nel territorio di questa stessa città 282.
Per Asculum ed il territorio immediatamente circostante possiamo menzio-
nare i bolli su tegole e mattoni che ricordano verosimilmente due officinatores
della gens Ennia, C. Ennius Primus e C. Ennius Iuvenalis, attivi verosimilmente
nella prima metà del I sec. d.C.283
L’attività di produzione di tegole e mattoni della gens Herennia è testimo-
niata ad Urbs Salvia e nel suo territorio dai bolli C(ai) Her(enni) Diog(---) e C(ai)
Her(enni) Reg(---). Le analogie formali di questi bolli con quelli che appaiono su
un’altra produzione fittile della medesima gens, ascrivibile forse al Piceno, quella
delle Dressel 6A, suggeriscono una datazione dei laterizi dei C. Herennii di Urbs
Salvia tra gli ultimi anni dell’età repubblicana e l’età augustea e aprono interessanti
prospettive sul complesso ruolo della gens nelle attività manifatturiere del Pi-
ceno284.

277 CIL IX, 5541, riportata infra, p. 421, con la bibliografia raccolta a nota 1419. L’accostamento si
deve a Marengo, Laterizi, cit., p. 186.
278 Delplace, Romanisation, cit., p. 136; Élites municipales, cit., p. 76.
279 Per l’esemplare di Auximum vd. CIL IX, 6078, 52 c = CIL I 2, 2299 = ILLRP 1171; cf. anche la
bella immagine pubblicata in Paci, Schede, cit., tav. II, fig. 1. Per l’esemplare di Cupra Montana vd.
CIL IX, 6078, 52 a-b.
280 CIL XI, 6689, 62.
281 Cf. anche Paci, Schede, cit., pp. 177-180, con l’analisi dei prediali riconducibili alla gens.
282 Fortini, Laterizi bollati, cit., p. 115; Delplace, Romanisation, cit., p. 138; Fortini, Aspetti della
vita economica del Piceno, cit., p. 107; Ead., Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la
documentazione storica ed archeologica, cit., p. 96; Ead., Approfondimenti, cit., p. 52; Marengo,
Donne, cit., p. 76.
283 Delplace, Romanisation, cit., p. 138, con rimandi ai singoli rinvenimenti.
284 Cf. S.M. Marengo in N. Frapiccini, I materiali da ‘Villa Magna’ - Urbisaglia (MC), «Antiqua
frustula», cit., p. 116.
70 Introduzione

Una produzione regionale potrebbe essere testimoniata anche dal bollo Q.


Basili Min[---], rinvenuto a Firmum e genericamente databile al I sec. d.C., dal
momento che nel Piceno è nota una famiglia di Minucii Basili 285.
Ad Auximum il bollo M. Oppi Saturnini richiama alla mente la grande fami-
glia senatoria osimate degli Oppii. M. Oppius Saturninus potrebbe essere un li-
berto, o un discendente di un liberto, della famiglia, probabilmente proprietaria
della figlina in cui Saturnino lavorava come officinator286.
A Cupra Maritima è stato rinvenuto il bollo su laterizio con il nome di un
L(ucius) Picent(ius), forse il medesimo personaggio ricordato in un’iscrizione ri-
trovata nello scorso secolo a Cupra, andata purtroppo perduta287. La localizzazione
cuprense di questa figlina rimane dunque assai dubbia.
Dalla medesima località viene anche una tegola che reca stampigliati in di-
versi cartigli i bolli con i nomi [---]ulli e Sabini288; il fatto che questi timbri sem-
brino altrimenti sconosciuti ha indotto P. Fortini ad ipotizzare, con la dovuta cau-
tela, una possibile produzione locale289.
A Septempeda si segnala la presenza di un bollo L. Terenti A(uli) f(ili)
Vel(ina tribu), che S.M. Marengo ha proposto di datare, in base ad un confronto
paleografico con altri esempi ritrovati in regione, ai primi decenni del I sec. a.C.,
connettendo il personaggio con l’omonimo che fece parte del consilium di Cn.
Pompeo Strabone 290. L’identificazione e, di conseguenza, la datazione del pezzo
sono discusse: recentemente C. Delplace ha proposto di abbassare di una cinquan-
tina d’anni la datazione del pezzo, sulla base della tipologia del bollo, di forma cir-
colare, della formula onomastica e di considerazioni sulle tappe dello sviluppo ur-
banistico del Piceno 291.
Testimonia forse una produzione di tegole nel Piceno meridionale il bollo di
una Ulpia Firmina, [.] Ulpi Firmi filia su tegolone conservato a S. Benedetto del
Tronto, ma di incerta provenienza; la comparsa del gentilizio imperiale e gli stessi
aspetti formali del bollo suggeriscono una datazione al più presto nell’avanzato II
sec. d.C.292

285 CIL IX, 6078, 47; cf. Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., pp. 227-228; Delplace, Romanisa-
tion, cit., p. 137; Ead., Élites municipales, cit., p. 76.
286 CIL IX, 6078, 124; cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 137; Ead., Élites municipales, cit., p. 76.
287 Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed ar-
cheologica, cit., p. 96 e p. 97, fig. 8; pp. 132-133, n°3; Ead., Approfondimenti, cit., p. 52.
288 Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed ar-
cheologica, cit., p. 96; p. 133, n°4, con fig. 33.
289 Fortini, Approfondimenti, cit., p. 52.
290 S.M. Marengo, Note epigrafiche settempedane, «Picus», 3 (1983), pp. 133-150, seguita da
Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 107.
291 Delplace, Romanisation, pp. 136-137; Ead., Élites municipales, cit., p. 76.
292 Il documento è pubblicato da F. Cancrini, Il municipio truentino: note di storia e di epigrafia,
«Archeologia nell’area del basso Tronto. S. Benedetto del Tronto, 3 Ottobre 1993», a cura di G. Paci,
Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Supplementi IV), p. 169, n°15 e brevemente riconsiderato da
Marengo, Donne, cit., p. 76.
Introduzione 71

Infine, ancora da Cupra Maritima, si segnala la recente scoperta di una te-


gola bollata in argilla rosata recante il nome di un M. Valerius Q(uinti) f(ilius), che
trova confronto locale con il timbro su tegola CIL IX, 6078, 168 da S. Benedetto
del Tronto293.
Accanto alla produzione di tegole e mattoni possiamo ricordare le antefisse
fittili che presentano una decorazione con palmetta tra due delfini oppure una testa
di Gorgone (queste ultime recano l’iscrizione augurale eme ita valea), forse pro-
dotte in laboratori artigianali di Cupra Maritima 294.

3.2.10. Lucerne e vasellame ceramico


Sporadiche notizie si hanno anche a proposito di fornaci per la produzione di
lucerne e di vasellame in ceramica.
Una produzione locale di lucerne d’imitazione è forse attestata a Cupra Ma-
ritima, come ipotizza P. Fortini sulla base del rinvenimento di un esemplare con il
bollo Paulin[---], anche in considerazione del fatto che nella stessa Cupra sono
note due anfore ad imbuto in cui appare il bollo Iuli Paulini, altrove sconosciuto295.
Per quanto concerne il vasellame, si ipotizza una produzione locale (o quanto
meno regionale) per la cospiscua ceramica a vernice nera rinvenuta nella necropoli
settentrionale di Potentia; la produzione, che al momento non è possibile connet-
tere con certezza ad una o più fornaci, dovrebbe inquadrarsi tra la fine del II sec.
a.C. e la metà del I sec. d.C.296
Nel territorio di Septempeda si segnala la scoperta di un complesso di fornaci
per la produzione di patere della tipologia definita “a vernice rossa interna”, la cui
attività sembra dispiegarsi dall’età neroniana fino al tardoantico297. Il rinvenimento
di Septempeda, che attende ancora una pubblicazione completa, potrebbe chiarire il
problema della produzione della cosiddetta ceramica medio-adriatica, un vasellame
da mensa a vernice rossa la cui diffusione in area marchigiana ha indotto ad ipotiz-
zare l’esistenza di fabbriche nella regione, nonostante per il momento l’unica for-
nace a noi nota in cui si produceva questo tipo di ceramica si trovi a Ravenna298.

293 Fortini, Approfondimenti, cit., p. 54 e fig. 10; p. 74, n°8; p. 77, fig. 18.
294 Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 105, figg. 1-2; p. 107.
295 Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed ar-
cheologica, cit., p. 104; il bollo su lucerna è pubblicato in CIL IX, 6081, 55. Per le anfore a collo ad
imbuto con il bollo Iuli Paulini vd. supra, p. 66.
296 Recente riesame di questa documentazione in N. Frapiccini, Nuove osservazioni sulla ceramica a
vernice nera da Potentia, «Potentia», a cura di Percossi Serenelli, cit., pp. 144-157, ove bibliografia
anteriore.
297 Cursoria notizia in M. Landolfi, Septempeda e l’agro settempedano: contributi alla ricostruzione
della rete viaria antica, «Le strade nelle Marche. Il problema nel tempo», Ancona 1987, p. 414.
298 Cf. Mazzeo Saracino et alii, Produzione, cit., pp. 56; 63-66; cf. inoltre Fortini, Aspetti della vita
economica del Piceno, cit., p. 110 e p. 111, fig. 4, dove i rinvenimenti nel Piceno della sigillata me-
dio-adriatica sono ritenuti prova di contatti commerciali con le regioni centro-settentrionali dell’Italia.
Punto di partenza per le indagini su quella classe di ceramica è la ricerca di Brecciaroli Taborelli,
Contributo alla classificazione, cit., pp. 1-38.
72 Introduzione

Da rilevare infine come la capillare indagine di G. Conta sul territorio di


Asculum abbia portato alla luce l’esistenza di diverse fornaci, con frammenti di te-
gole, mattoni, olle e ceramica comune 299; non è improbabile che indagini consimili
possano portare alla scoperta di numerosi altri punti per la fabbricazione di mate-
riali fittili, presumibilmente destinati in larga misura ad una circolazione solo lo-
cale300.

3.2.11. Altre manifatture


Ben pochi sono gli indizi concernenti altre attività manifatturiere: solo un
vago cenno di Silio Italico permette di ipotizzare che ad Ancona fosse presente
l’industria della porpora301. Nella stessa città era probabilmente attiva un’officina
vetraria, secondo un’ipotesi avanzata con prudenza già qualche anno orsono da L.
Taborelli ed ora rafforzata dalla scoperta di quello che sembra essere un forno per
la produzione di vetri302, mentre la presenza di scorie metalliche nei pressi di Au-
ximum e di Montalto Marche, segnalata da C. Delplace, lascia pensare all’esistenza
di botteghe per la lavorazione dei metalli303. Si può infine presumere che lungo le
coste del Piceno fossero attivi diversi cantieri navali, in connessione con le attività
di pesca e di commercio che si sviluppavano nei diversi porti della regione: un ri-
flesso di tale attività produttiva si ha nella testimonianza di Polibio a proposito
della permanenza di Annibale nella regione nel 217 a.C.: lo storico di Megalopoli
ricorda infatti che il comandante cartaginese approfittò del fatto di aver raggiunto
per la prima volta la costa dopo una lunga marcia nelle regioni interne dell’Italia
centro-settentrionale, per inviare via mare messaggeri a Cartagine; evidentemente
Annibale dovette ricorrere alla requisizione di una o più imbarcazioni presenti in
uno dei porti del Piceno304. Oltre un secolo e mezzo dopo Cesare, in occasione
delle operazioni della guerra civile nel 49 a.C. pensò di inseguire i pompeiani sulla

299 Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 103, n°11; p. 141, n°35; p. 148, n°51; p. 232, n°185; p.
237, n°194; p. 238, n°196; p. 249, nn. 224-225; p. 251, n°228; p. 251, n° 231; p. 258, n°240; p. 272,
n°272; p. 277, n°283; p. 298, n°327.
300 Cf. l’inventario preliminare delle fornaci attestate nel Piceno in Delplace, Romanisation, cit., p.
125.
301 Sil. It., XV, 436-437: stat fucare colus nec Sidone uilior Ancon / murice nec Libyco. Cf. N.
Alfieri, Topografia storica di Ancona antica, «Atti e memorie. Regia Deputazione di Storia Patria per
le Marche», serie V, 2-3 (1938), p. 168; Delplace, Romanisation, cit., p. 134. Secondo un’interessante
tradizione locale ricordata da S. Sebastiani, Ancona. Forma e urbanistica, Roma 1996, p. 28, nota 46,
in occasione della costruzione del Palazzo della provincia di Ancona sarebbero state ritrovate nume-
rose conchiglie di murex, il mollusco dal quale si ricavava la preziosa porpora. Paci, Medio-Adriatico
occidentale, cit., p. 76, ricorda che anche Nereo Alfieri contemplava la possibilità che il murice lavo-
rato ad Ancona fosse di provenienza locale.
302 L. Taborelli, Su alcuni unguentari di vetro delle necropoli urbinati: la forma 28b della classifica-
zione Isings, «NSc», 107 (1982), pp. 408-415, partic. p. 414, nota 529; Id., Un antico forno vetrario
ad Ancona, «Picus», 18 (1998), pp. 219-224.
303 Delplace, Romanisation, cit., p. 133.
304 Pol., III, 87, 4: ∆Exapev s teile de; kata; qav l attan ej n tw/ ' kairw/ ' touv t w/ kai; tou' "
diasafhvronta" eij" th;n Karchdovna peri; tw'n gegonovtwn: tovte ga;r prw'ton h{yato qalavtth",
ajf j ou| th;n eijsbolh;n ejpoihvsato th;n eij" ∆Italivan.
Introduzione 73

sponda orientale dell’Adriatico raccogliendo le imbarcazioni che si trovavano nei


porti del Piceno, oltre che della Gallia Cisalpina e della zona dello stretto di Mes-
sina, dal momento che Pompeo aveva requisito già tutte le navi che si trovavano
nei pressi di Brindisi305.

3.3. Il commercio
Le attività commerciali del Piceno dovevano avere il loro fulcro nel porto di
Ancona, importante scalo sia nella rotta transadriatica per le coste dell’Illirico, in
uno dei punti in cui la traversata del mare era più breve, sia nella rotta
dell’Adriatico occidentale, che metteva in comunicazione i litorali della Venetia e
dell’Histria con le coste dell’Apulia306. Sulla costa poco a sud di Ancona si tro-
vava Numana, porto naturale di notevole importanza nella frequentazione greca del

305 Caes., B.C., I, 29, 2: Relinquebatur ut ex longinquioribus regionibus Galliae Picenique et a freto
naves essent expectandae. Sulla testimonianza di Cesare e su quella di Polibio, citata alla nota prece-
dente, vd. N. Alfieri, Insediamenti litoranei tra il Po e il Tronto in età romana, «Picus», 1 (1981), pp.
22-25; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 101.
306 Cf. Strab., V, 4, 2: oJ de; paravplou" ajpo; th'" Pikentivnh" ejpi; tou'" ∆Apouvlou", ou}" oiJ ”Ellhne"
Daunivo" kalou'si, stadivwn ejstin o{son tetrakwsivwn ejnenhvkonta; Plin., Nat. Hist., III, 111: colo-
nia Ancona, adposita promunturio Cunero in ipso flectentis se orae cubito, a Gargano CLXXXIII; il
cosiddetto Itinerarium Maritimum (Itin. Ant. Aug., 497, 2, consultato nell’edizione teubneriana a cura
di O. Cuntz, Itineraria romana. I. Itineraria Antonini Augusti et Burdigalense, Stutgardiae 1929) re-
gistra l’esistenza di una rotta che collegava Ancona a Iader, l’attuale Zara, in Dalmazia: ab Ancona
Iader in Dalmatia stadia DCCCL; l’iscrizione dell’arco di Traiano CIL IX, 5894 ricorda gli interventi
dell’imperatore in favore del porto, accessum Italiae. Sul porto di Ancona e i suoi traffici vd. tra gli
altri Alfieri, Topografia storica, cit., pp. 153-156; 160-161; 167-170; 184-189; M. Moretti, Ancona
(Ancona). Regio V - Picenum , Roma 1945, p. 44; Alfieri, Insediamenti litoranei, cit., pp. 7-39, partic.
pp. 20-21 (contributo fondamentale per lo studio complessivo dei centri marittimi delle Marche in età
antica; cf. anche Id., L’insediamento urbano sul litorale delle Marche durante l’antichità e il medio-
evo, «Themes de recherches sur les villes antiques d’Occident. Strasbourg 1 er - 4 Octobre 1971», a
cura di P.-M. Duval - E. Frézouls, Paris 1977, pp. 87-96; Id., I porti nelle Marche nei portolani e nelle
carte nautiche medievali, «Le strade nelle Marche. Il problema nel tempo. Atti del Convegno (Fano -
Fabriano - Pesaro - Ancona, 11-14 ottobre 1984», Ancona 1987, pp. 669-697; ora in Scritti di
topografia, cit., pp. 265-268; Id., I porti e gli approdi, «Vie del commercio in Emilia, Romagna,
Marche», Cinisello Balsamo 1990, pp. 51-62; ora in Scritti di topografia, cit., pp. 302-305; su Ancona
vd. partic. pp. 302-303; 316; 320-322); Taborelli, Elementi, cit., p. 140; M. Luni, Frequentazione
greca della rotta lungo la costa del Piceno, «Il Piceno in età romana, dalla sottomissione a Roma
alla fine del mondo antico. Atti del 3° seminario di studi per personale direttivo e docente della
scuola. Cupra Marittima, 24-30 ottobre 1991», Teramo 1992, pp. 71-79, partic. 71-73; Id., Ceramica
attica nelle Marche settentrionali e direttrici commerciali, «La civiltà picena nelle Marche. Studi in
onore di Giovanni Annibaldi. Ancona 10/13 luglio 1988», Ripatransone 1992, pp. 341-344; Id., Il
porto di Ancona nell’antichità, «Memorie dell’Accademia Marchigiana di Scienze Lettere ed Arti»,
30 (1991-1992) [1996], pp. 119-132; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., pp. 102-
103; Sebastiani, Ancona, cit., p. 86, con rimandi alle descrizioni dei documenti archeologici rilevanti,
nella parte IV della monografia; M. Lilli, Il porto di Ancona in età romana. Documentazione archeo-
logica e dati di archivio, «JAT», 7 (1997), pp. 49-76; M. Luni, Greci nell’Italia medioadriatica, «He-
sperìa», 12, Roma 2000, pp. 166-168. In genere sugli insediamenti portuali nel Piceno e soprattutto
sulle rotte commerciali che da essi si dipartivano si vedano G. Paci, Medio-Adriatico occidentale e
commerci transmarini (II secolo a.C. - II secolo d.C.), «Strutture portuali e rotte marittime
nell’Adriatico in età romana», a cura di C. Zaccaria, Trieste - Roma 2001 = «AAAd», 46 (2001), pp.
73-87 (partic. 78-79 su Ancona).
74 Introduzione

medio Adriatico tra la fine del VI e il IV sec. a.C., che tuttavia in età romana pare
aver rivestito un ruolo modesto307. Altri scali si trovavano nel territorio di Cupra
Maritima308, al Castellum Firmanum, porto di Firmum Picenum 309, a Truentum,
alla foce del fiume Tronto310, e presso Hadria, il cui scalo commerciale, menzio-
nato da Strabone, è stato variamente identificato nelle strutture che sorgono presso
la località di Torre di Cerrano311 o con lo scalo di foce del Vomano312.
I collegamenti stradali con le regioni vicine erano assicurati principalmente
da due grandi vie consolari, la Salaria, che collegava Roma alla Sabina e ad Ascu-
lum, e la Flaminia, che non entrava nel territorio della regio V, ma che era collegata
ai centri del Piceno da alcuni tracciati attraverso l’Appennino. Il settore meridio-
nale del Piceno era collegato al versante tirrenico della penisola da uno o più per-
corsi, nei quali si è tentato di identificare l’enigmatica via Cecilia menzionata nelle
fonti. Una strada litoranea, che probabilmente nel tratto di attraversamento della
regio V prendeva il nome di via Salaria Picena, raccordava i diversi centri costieri
del Piceno e li metteva in collegamento, a nord, con Fanum Fortunae e da qui, at-
traverso la via Flaminia e poi la via Emilia, con l’Italia settentrionale, a sud con il
Sannio e l’Apulia fino a Brindisi313.

307 Cf. Sil. It., VIII, 430. Sul ruolo di Numana come centro dei traffici tra Piceno e mondo greco in
età classica si vedano, tra gli altri, L. Braccesi, Grecità adriatica. Un capitolo della colonizzazione
greca in Occidente, Bologna 19772, pp. 222-226; E. Percossi Serenelli, Le vie di penetrazione com-
merciale nel Piceno in età protostorica. Nota preliminare, «Picus», 1 (1981), pp. 142-144; Luni, Fre-
quentazione greca, cit., partic. pp. 73-74; Id., Ceramica attica, cit., pp. 344-345; Id., Il porto di An-
cona, cit., pp. 121-123; Id., Greci nell’Italia medioadriatica, cit., pp. 160-163; Alfieri, I porti, cit., pp.
303-304; M. Landolfi, Le vie e i luoghi di scambio. III. Le importazioni di ceramica greca, «Piceni.
Popolo d’Europa», Roma 1999, pp. 147-148.
308 Per le installazioni portuali nel territorio di Cupra Maritima vd. Alfieri, I porti, cit., p. 304; 318-
320; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 102; Ead., Cupra Maritima: aspetti di
vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., pp. 110-114; Ead., Appro-
fondimenti, cit., pp. 40-41; N. Frapiccini in Percossi Serenelli - Frapiccini, Cupra Marittima, cit., pp.
365-366. Un breve cenno alle strutture portuali anche in Percossi Serenelli, Cupra Maritima, cit., pp.
109-110.
309 Strab., V, 4, 2: … kai; Fivrmon Pikhnovn: ejpivneion de; tauvth" Kavstellon. Sull’identificazione
di questo approdo e, in genere, sulla situazione degli scali nel Fermano, vd. Lilli, Sui tappi d’anfora,
cit., pp. 238-253.
310 Cf. Alfieri, I porti, cit., pp. 304-305; 316; A.R. Staffa, Abruzzo: strutture portuali e assetto del li-
torale fra antichità e altomedioevo, «Strutture portuali e rotte marittime nell’Adriatico in età ro-
mana», a cura di C. Zaccaria, Trieste - Roma 2001 = «AAAd», 46 (2001), pp. 344-351; 382.
311 Strab., V, 4, 2: … kai; oJ Matri'no" potamov", rJevwn ajpo; th'" ∆Adrianw'n povlew", e[cwn ejpivneion
th'" ∆Adriva" ejpwvnumon eJautou'. Cf. Azzena, Atri, cit., p. 103; O. Menozzi, L’antica Hatria Picena e
l’uso del suo porto nell’antichità, «Italy in Europe: Economic Relations 700 BC - AD 50», a cura di J.
Swaddling - S. Walker - P. Roberts, London 1995, pp. 217-222.
312 Staffa, Abruzzo, cit., p. 356.
313 Sulla viabilità nel Piceno e i collegamenti stradali con le regioni vicine vd. principalmente Alfieri,
Topografia storica, cit., pp. 177-178; D. Cecchi - C. Mozzicafreddo, Helvia Ricina e il Piceno in età
romana, «Ricerche sull’età romana e preromana nel Maceratese. Atti del IV convegno del Centro di
studi storici maceratesi (S. Severino Marche, 10 novembre 1968)», Macerata 1970 = «Studi Macera-
tesi», 4 (1968), pp. 144-151; C. Delplace, Le reseau routier du Picenum central d’après les itinéraires
antiques, «Les voies anciennes en Gaule et le monde romain occidentale. Paris, E. N. S., 5-6 Juin
Introduzione 75

Oltre a qualche informazione fornitaci dalle iscrizioni che fanno menzione di


commercianti nella regione314, abbiamo un cenno di Cicerone che ci conferma
l’importanza di Ancona come centro di traffici: nella Pro Cluentio l’oratore narra
di un tal L. Clodio di Ancona, pharmacopola circumforaneus, dunque un venditore
ambulante di medicamenti, ai cui servigi ricorse Oppianico, patrigno di A.
Cluenzio, per avvelenare a Larinum la suocera Dinea; l’orizzonte commerciale di
Clodio non era peraltro limitato alla sola cittadina dei Frentani: eseguito con preci-
sione il suo delittuoso compito, il commerciante anconitano riprese il suo giro
d’affari nel quale prevedeva di toccare numerose altre piazze315.
Ma a parte i pochi dati provenienti dalle fonti scritte316, la maggiore messe di
informazioni sui flussi commerciali nel Piceno ci viene dallo studio dei materiali di
importazione o dei materiali locali destinati all’esportazione.
Tra la fine del VI e il IV sec. a.C. la ricerca va mettendo in luce l’intensità
dei contatti tra il mondo greco e le regioni del medio Adriatico, con in flussi che

1982» = «Caesarodunum», 18 (1983), pp. 355-369; U. Moscatelli, Studi di viabilità antica. Ricerche
preliminari sulle valli del Potenza, Chienti e Fiastra, Cagli 1984; Id., Trea, cit., pp. 28-29; N. Alfieri -
L. Gasperini - G. Paci, M. Octavii lapis Aesinensis, «Picus», 5 (1985), pp. 7-50, partic. pp. 36-50; i
contributi pubblicati nella parte prima di «Le strade nelle Marche. Il problema nel tempo. Atti del
convegno. Fano, Fabriano, Pesaro, Ancona, 11-14 ottobre 1984», Ancona 1987 = «Atti e Memorie
della Deputazione di Storia Patria per le Marche», 89-91 (1984-1986); Azzena, Atri, cit., pp. 101-103,
in particolare sul problema della via Cecilia; N. Alfieri, La viabilità dall’Esino al Tronto, «Vie del
commercio in Emilia, Romagna, Marche», Cinisello Balsamo 1990, pp. 63-66; ora in Scritti di topo-
grafia, cit., pp. 327-342; P.L. Dall’Aglio in P.L. Dall’Aglio - N. Frapiccini Alfieri - G. Paci, Contri-
buti alla conoscenza di Ancona romana, «Picus», 12-13 (1992-1993), pp. 61-77; Delplace, Romanisa-
tion, cit., pp. 187-219; M. Luni, Viabilità antica dalla costa medioadriatica all’Umbria, «Assisi e gli
Umbri nell’antichità. Atti del convegno internazionale. Assisi 18-21 dicembre 1991», a cura di G.
Bonamente - F. Coarelli, Assisi 1996, pp. 341-358; Menozzi, Viabilità, cit., pp. 35-38; E. Catani - G.
Paci, La viabilità romana nelle Marche, «JAT», 9 (1999), pp. 175-192 (eccellente messa a punto e
rassegna di studi); E. Percossi Serenelli, La viabilità delle alte valli del Potenza e dell’Esino in età
romana, «La viabilità delle alte valli del Potenza e dell’Esino in età romana», a cura di E. Percossi
Serenelli, Milano 2000, pp. 11-19, i numerosi contributi publlicati nel volume La Salaria in età an-
tica. Atti del convegno di studi. Ascoli Piceno - Offida - Rieti, 2-4 ottobre 1997, a cura di G. Paci - E.
Catani, Macerata 2000; E. Giorgi, La via consolare Salaria e le sue diramazioni nel territorio, «At-
lante», a cura di De Marinis - Paci, cit., pp. 145-153. Sui milliari della regione A. Donati, I milliari
delle regioni IV e V dell’Italia, «Epigraphica», 36 (1974), pp. 155-222, partic. 205-222.
314 Vd. infra, pp. 580-581, con i rimandi ai documenti.
315 Cic., Cluent., 40: Tum repente Anconitanum quendam, L. Clodium, pharmacopolam circumfora-
neum qui casu tum Larinum venisset adgreditur et cum eo HS duobus milibus, id quod ipsius tabulis
est demonstratum, transigit. L. Clodius, cum properaret, cui fora multa restarent, simul atque intro-
ductus est rem confecit; prima potione mulierem sustulit neque postea Larini punctum est temporis
commoratus. Sul passo vd. le brevi considerazioni di Alfieri, Topografia storica, cit., p. 169.
316 Valuterei con estrema prudenza anche gli isolati rinvenimenti nella regio V di monete provenienti
da zecche extraitaliche segnalati da Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., pp. 110-114:
un denario della zecca di Lugdunum del 2 a.C. - 1 d.C., un asse di Antiochia sull’Oronte risalente
all’età augustea e una moneta di Alessandria del 139-140 d.C. non costituiscono, a mio parere, ele-
menti decisivi di prova dell’esistenza di correnti commerciali tra il Piceno e, rispettivamente, la Gallia
e il Mediterraneo orientale.
76 Introduzione

non appaiono limitati ai centri costieri, ma interessano l’intero territorio regionale,


sino allo spartiacque appenninico317.
In età romana il quadro, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze,
appare meno netto: è vero che il ruolo delle gentes picene nelle attività commerciali
di età tardorepubblicana nell’Egeo, ed in particolare a Delo, appare minoritario
rispetto a quello esercitato dalle famiglie della Campania o del Lazio 318; ma è vero
anche che i rinvenimenti della necropoli ellenistica di Ancona attestano l’intensità
dei legami commerciali che univano ancora nel III e II sec. a.C. questa “isola” di
cultura ellenica sulle coste del Piceno con i centri della Magna Grecia e, forse
attraverso la mediazione italiota e siceliota, con il mondo greco del Mediterraneo
orientale319. Di particolare interesse per la ricostruzione dei traffici tra Ancona e
l’Egeo il rinvenimento di due anfore rodie e di un’anfora cnidia databili alla metà II
sec. a.C. 320. Peraltro la recente pubblicazione di bolli rodii da Falerio, dal territorio
di Montalto Marche e da Ascoli Piceno, tutti inquadrabili nel II sec. a.C.321,
consente di ipotizzare una continuità nella penetrazione commerciale dei prodotti
del Mediterraneo orientale anche verso l’interno del Piceno, forse attraverso uno
scalo più meridionale rispetto ad Ancona, come quello del Castellum Firmanorum
o di Cupra Maritima. Il tema meriterebbe dunque ulteriori approfondimenti, anche
alla luce di uno studio dei materiali ancora inediti provenienti dal Piceno della
media e tarda Repubblica.
Le informazioni in nostro possesso riguardo all’età del Principato sono un
poco più dettagliate, in particolare grazie ai rinvenimenti della produzione fittile. I
contatti commerciali dovevano essere particolarmente intensi con la Cisalpina, ed
in particolare con l’Adriatico settentrionale ed Aquileia, dalla quale provenivano i
prodotti delle figlinae Pansiana, Faesonia, Solonas, Cinniana e delle fabbriche di
Q. Clodius Ambrosius, degli Epidii, dei Karminii, dei Ceionii e di altre minori fab-

317 Cf. M. Landolfi, Greci e Galli nel Piceno, «Il Piceno in età romana, dalla sottomissione a Roma
alla fine del mondo antico. Atti del 3° seminario di studi per personale direttivo e docente della
scuola. Cupra Marittima, 24-30 ottobre 1991», Teramo 1992, pp. 27-34; Luni, Ceramica attica, cit.,
pp. 331-363; Id., Fase protourbana nella regione medioadriatica nel V-IV secolo a.C. e frequenta-
zione commerciale greca, «Pro poplo Arimenese», a cura di A. Calbi - G. Susini, Faenza 1995, pp.
183-225; Id., Le vie e i luoghi di scambio. I. Itinerari transappenninici e scali marittimi, «Piceni. Po-
polo d’Europa», Roma 1999, pp. 143-145; Id., Le vie e i luoghi di scambio. II. Commerci greci nel
Piceno, ibid., pp. 145-147; Landolfi, Importazioni di ceramica greca, cit., pp. 145-150.
318 Cf. Delplace, Romanisation, cit., pp. 59-60. Cf. tuttavia le attestazioni di Greci d’Ancona a Delo
ricordate da Paci, Medio-Adriatico occidentale, cit., p. 81.
319 L. Mercando, L’ellenismo nel Piceno, «Hellenismus in Mittelitalien. Kolloquium in Göttingen
vom 5. bis 9. Juni 1974», a cura di P. Zanker, Göttingen 1976, pp. 160-218; cf. anche le considera-
zioni di J.-P. Morel, La céramique à vernis noir en Italie septentrionale, «Celti ed Etruschi nell’Italia
centro-settentrionale dal V secolo a.C. alla romanizzazione», a cura di D. Vitali, Bologna 1987, pp.
119-120; Landolfi, Greci e Galli, cit. pp. 34-35.
320 I tre documenti sono ora ristudiati da F. Cordano, I bolli rodii di Ancona, «Picus», 12-13 (1992),
pp. 189-193.
321 Marengo, Nuovi bolli, cit., pp. 312-319; cf. anche Paci, Medio-Adriatico occidentale, cit., pp. 79-
81, che avanza l’ipotesi di un coinvolgimento dello scalo del Castellum Firmanorum in questi traf-
fici.
Introduzione 77

briche, oltre a lucerne e alla cosiddetta ceramica sigillata nord-italica322. A questo


proposito, le primi indagini sistematiche sul vasellame da mensa sembrano anche
delineare il rilievo delle importazioni di terra sigillata di fabbrica zione aretina323.
Nuove prospettive riguardo ai rapporti commerciali tra Piceno e area altoadriatica
sono aperte dalla recente pubblicazione di una piccola anfora destinata al trasporto
di salsa di pesce, rinvenuta durante gli scavi del Criptoportico di Urbs Salvia; la ti-
pologia del contenitore, analogo a quelli rivenuti in un relitto navale di Grado, in-
vita a cercare il punto di partenza della rotta di esportazione ancora una volta nella
regione di Aquileia324.
Testimoniano forse contatti con Roma, apparentemente meno intensi di
quelli che legavano il Piceno all’Italia settentrionale, i bolli sulla produzione fittile
dei Vibii e dei Domitii 325. Un ruolo importante negli scambi commerciali tra le re-
gioni del medio Adriatico e la capitale dovette avere la corporazione dei navicularii
maris Hadriatici, una delle associazioni di mestiere meglio note nell’epigrafia di
Ostia326. Non è forse un caso che alcuni membri dell’associazione siano in connes-

322 Sintesi in Strazzulla, Rapporti, cit., pp. 224-228; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno,
cit., pp. 104-106; 110-113; Delplace, Romanisation, cit., pp. 138-143, ove si ricorda la possibilità che
le grandi fabbriche della Cisalpina possedessero delle filiali nel Piceno; cf. anche Ead., Riflessioni su-
gli apporti della Gallia Cisalpina all’economia delle Marche in epoca romana, «Le Marche. Archeo-
logia. Storia. Territorio», 1991-1993, pp. 180-183, che ipotizza invece che questi materiali da costru-
zione provenienti dall’Italia settentrionale costituissero merce di scambio per i pregiati vini piceni,
ipotesi già formulata da Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 104 e ora ripresa da
N. Frapiccini in Percossi Serenelli - Frapiccini, Cupra Marittima, cit., pp. 366-367. La possibilità che
le grandi fabbriche dell’Italia settentrionale, in particolare quella di Clodio Ambrosio, possedessero
succursali nel Piceno è ricordata anche da M. Pasquinucci in Pasquinucci - Menchelli - Scotucci, Via-
bilità, cit., p. 357 (contra Marengo, Bolli laterizi, cit., pp. 105-113); cf. anche, nel medesimo contri-
buto, i nuovi rinvenimenti di bolli laterizi di Balbus e della figlina Solonas pubblicati alle pp. 364-
365. Riguardo alle lucerne si veda l’indagine campione di Delplace, Romanisation, cit., pp. 157-158.
Sulla terra sigillata nord italica e le lucerne a Cupra Maritima vd. Fortini, Cupra Maritima: aspetti di
vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., pp. 99-104.
323 Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., pp. 107-110.
324 Cf. G.M. Fabrini - S.M. Marengo, L’uso della salsa di pesce nella testimonianza di un’anforetta
urbisalviense, «Picus», 22 (2002), pp. 115-130; i dati di rinvenimento e le caratteristiche paleografi-
che dell’iscrizione dipinta sul collo dell’anfora, insieme alle informazioni in nostro possesso su questa
tipologia, suggeriscono una datazione entro il I sec. d.C., probabilmente nella prima metà del secolo
stesso (ibid., pp. 122-123; 124).
325 Delplace, Romanisation, cit., p. 142. A proposito della produzione di C. Vibius Fortunatus, atte-
stato a Cupra Maritima, Fortini, Laterizi bollati, cit., p. 126, n°15 pensa piuttosto ad una produzione
locale; cf. anche Ead., Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 107; Cupra Maritima: aspetti
di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., p. 96 e p. 97, fig. 7.
326 Sui navicularii maris Hadriatici vd. A. Pellegrino, I navicularii maris Hadriatici ad Ostia, «XI
Miscellanea Greca e Romana», Roma 1987, pp. 229-236; L. De Salvo, Economia privata e pubblici
servizi nell’Impero romano. I corpora naviculariorum, Messina 1992, pp. 429-437, che ricorda prin-
cipalmente tra le merci trasportate dalla corporazione i vini dell’Adriatico settentrionale; alla luce del
rilievo che i vini del Piceno avevano nell’antichità si può ipotizzare che anche la produzione della co-
sta medioadriatica rientrasse tra gli interessi commerciali del collegio; M. De Fino, Gli Aquilii di
Ostia e la Spes, «Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane», IV, a cura di M.
Pani, Bari 1996, pp. 47-48, che avanza l’ipotesi di una localizzazione ad Ostia della sede
78 Introduzione

sione anche con il commercio vinario: il navicularius e curator corporis maris Ha-
driatici L. Scribonio Ianuario fu infatti anche negotians vinarius327, mentre il noto
ed influente Cn. Sentius Felix, che venne cooptato gratuitamente nel collegio dei
navicularii dell’Adriatico, era anche membro della corporazione che aveva sede ad
quadrigam fori vinarii e patrono del collegium dei negotiatores vinarii ab Urbe328.
A tali testimonianze si può forse aggiungere quella dell’iscrizione CIL VI, 1101 =
ILS 519 del 251 d.C., che ricorda la presenza a Roma di negotiantes vini Superna-
tis et Arimenensis: è infatti ipotizzabile che il vinum Supernas fosse quello prove-
niente dalla zona costiera dell’Umbria adriatica e del Piceno329, anche se non si
può escludere che il riferimento potesse essere anche alla produzione delle regioni
dell’Adriatico settentrionale.
In effetti il principale prodotto di esportazione del Piceno doveva essere pro-
prio il vino. Un sondaggio sulle anfore vinarie del Piceno meglio note, le Dressel
6A, in cui ho tenuto conto solamente del materiale edito per i fabbricanti di cui si
suppone un’origine picena 330, ha rivelato che le esportazioni erano dirette in primo
luogo alle città della Venetia, che da sole raccolgono circa un terzo della docu-
mentazione, ma anche della Transpadana e dell’Aemilia, regioni da ciascuna delle
quali proviene circa un decimo delle testimonianze; l’Italia centro meridionale e la
costa tirrenica sono meno rappresentate, tranne il Latium, con Roma ed Ostia e, in
misura minore, la Campania: debole per il momento il numero delle attestazioni in
Apulia, in Etruria, Umbria e Liguria. Al di fuori dell’Italia le produzioni di Dressel
6A del Piceno sono ben rappresentate nel Norico, al Magdalensberg, e in Africa, a
Cartagine; sporadiche attestazioni si hanno in Grecia e nell’area renana. Inutile ri-
levare il carattere puramente indicativo di questa indagine, i cui risultati mi paiono
largamente condizionati dallo stato di avanzamento degli studi dedicati alla docu-
mentazione e dalle identificazioni dei luoghi di produzione delle anfore Dressel 6A,
spesso solo ipotetiche. Comunque mi pare significativo che nella sola Italia
settentrionale sia concentrata oltre la metà delle attestazioni, un indizio del quale
tener conto nell’analisi di quella che sembra essere una delle direzione privilegiate
del commercio piceno in età romana331.

dell’associazione; la tesi è sostenuta, con buone argomentazioni, anche da Paci, Medio-Adriatico oc-
cidentale, cit., p. 76.
327 CIL VI, 9682 = ILS 7277.
328 CIL XIV, 409 = ILS 6146; su questa iscrizione vd. R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford 19732, pp.
182; 200-201; 276; 312; 322; 334-336; 361; vd. anche p. 555, per quanto concerne la datazione.
Sull’identificazione del forum vinarium ad Ostia vd. ora F. Coarelli, Il forum vinarium di Ostia:
un’ipotesi di localizzazione, «‘Roman Ostia’ Revisited. Archaeological and Historical Papers in Me-
mory of Russell Meiggs», a cura di A. Gallina Zevi - A. Claridge, London 1996, pp. 105-113.
329 Questa l’interpretazione di Alfieri, Insediamenti litoranei, cit., p. 22, nota 33.
330 Vd. supra, pp. 55-63; considerazioni sulla diffusione delle anfore vinarie Dressel 6 già in
Tchernia, Vin, cit., pp. 148-151; 155, ovviamente condizionate dallo stato delle conoscenze nel mo-
mento in cui venne redatta la ricerca.
331 Cf. Delplace, Riflessioni, cit., pp. 179-184, partic. pp. 181-182 a proposito della diffusione
nell’Italia settentrionale delle anfore vinarie Dressel 6A prodotte nel Piceno; Strazzulla, Rapporti, cit.,
pp. 219-234, partic. pp. 222-224 per le anfore picene ad Aquileia; Fortini, Cupra Maritima: aspetti di
vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., p. 108.
Introduzione 79

4. La menzione dell’occupazione nell’epigrafia: aspetti


sociali ed ideologici

Documenti rilevanti per la ricostruzione delle attività economiche nel mondo


romano, le iscrizioni che menzionano un’occupazione sono state rivalutate anche
negli studi di storia sociale e delle idee, in particolare per quanto concerne la con-
cezione del lavoro a Roma. Secondo una prospettiva di ricerca sviluppata soprat-
tutto da F.M. De Robertis, l’epigrafia fornirebbe infatti dati preziosi per completare
e correggere il quadro delineato dalle fonti letterarie332: in estrema sintesi, questa
linea di studio individua un ambiente “aulico” delle classi dirigenti di Roma 333, di
cui le fonti letterarie sarebbero espressione, nel quale vi era un sostanziale di-
sprezzo per la maggior parte delle occupazioni lavorative; a queste concezioni si
opporrebbero nettamente quelle vigenti nell’ambiente “volgare” delle classi infe-
riori e dei provinciali334, illustrate principalmente dalla documentazione epigrafica
e papiracea: in questo ambiente, che rappresentava la parte di gran lunga più consi-
stente della popolazione dell’impero, il lavoro sarebbe motivo d’orgoglio personale
e fonte di prestigio sociale, come dimostrerebbe il ricordo dell’occupazione eser-
citata dal defunto nelle iscrizioni sepolcrali e i numerosi rilievi con scene di me-
stiere provenienti da diverse aree del mondo romano.
Tale linea di ricerca ha avuto indubbiamente il grande merito di valorizzare
testimonianze spesso trascurate o ritenute di minore rilievo nelle indagini sull’idea

332 F.M. De Robertis, Sulla considerazione sociale del lavoro nel mondo romano, «Problemi econo-
mici dall’antichità ad oggi. Studi in onore del prof. Vittorio Franchini nel 75° compleanno», Milano
1959, pp. 54-70, partic. 61-63; Id., Ancora sulla considerazione sociale del lavoro nel mondo romano
(II: l’ambiente aulico), «Studi in onore di Amintore Fanfani», I, Milano 1962, pp. 3-37; il De Robertis
ha ripreso quasi alla lettera i due contributi nella sua monografia su Lavoro e lavoratori nel mondo
romano, Bari 1963, rispettivamente alle pp. 21-47 e 49-95. Vd. inoltre S. Dill, Roman Society from
Nero to Marcus Aurelius, London - New York 19052, pp. 252-253; H. Gummerus, Industrie und
Handel, «P.W.», IX, 2 (1916), coll. 1510-1514, partic. 1511; J.P.V.D. Balsdon, Life and Leisure in
Ancient Rome, London - Sidney - Toronto 1969, pp. 134-135; MacMullen, Roman Social Relations,
cit., pp. 114-120, partic. 120; Staerman, Esclavage, cit., p. 104; Reddé, Scènes, cit., pp. 52-53; T.
Schleich, Überlegungen zum Problem senatorischer Handelsaktivitäten. I: Senatorische
Wirtschaftsmentalität in moderner und antiker Deutung, «MBAH», 2 (1983), 2, pp. 65-90, partic. 86-
87; I. Lana, L’idea del lavoro a Roma, Torino 1984, p. 48; Neesen, Demiurgoi, cit., pp. 253-273,
partic. 272-273; H. Pavis D’Escurac, Origo et résidence dans le monde du commerce sous le Haut-
Empire, «Ktema», 13 (1988) [1992], p. 68; M. Prell, Sozialökonomische Untersuchungen zur Armut
im antiken Rom. Von den Gracchen bis Kaiser Diokletian, Stuttgart 1997, pp. 146-150, partic. 150.
333 Cf. De Robertis, Ancora sulla considerazione sociale, cit., partic. pp. 3-4, ove la nozione di “am-
biente aulico” è ricavata a contrario da quella di ambiente volgare e designa, oltre agli honestiores,
tutti coloro che ruotavano intorno a quel mondo, come gli intellettuali e la plebe urbana che poteva
permettersi di condividere i pregiudizi sul lavoro delle classi dirigenti, potendo contare sulle sovven-
zioni dello stato.
334 De Robertis, Sulla considerazione sociale del lavoro, cit., partic. pp. 55-56, nota 7 sulla genesi
dell’espressione “ambiente volgare”, desunta dagli studi giuridici, linguistici ed artistici. È chiaro che
molto vi sarebbe da discutere riguardo alla caratterizzazione dei due ambienti.
80 Introduzione

del lavoro nel mondo antico, come quelle epigrafiche, e di mostrare come
l’atteggiamento degli antichi fosse tutt’altro che monolitico a questo riguardo.
Tuttavia essa a mio avviso mostra due limiti: da un lato rischia anch’essa di peccare
di eccessivo schematismo, contrapponendo meccanicamente un’unica e coerente
ideologia delle classi alte ad un’altrettanto coerente ideologia delle classi popolari;
dall’altro finisce per considerare le concezioni espresse dagli autori antichi come il
frutto delle astratte speculazioni di qualche aristocratico, completamente avulso dai
problemi ed i valori della vita reale 335. Per collocare nella giusta prospettiva il
ricordo di un’occupazione nella documentazione epigrafica ritengo necessario
motivare queste due obiezioni, senza naturalmente avere la pretesa di sviscerare un
tema, come quello della considerazione sociale del lavoro, che ha suscitato una im-
mensa mole di studi, in particolare negli ultimi decenni336.

335 Sui pericoli di un eccessivo schematismo nel modello di De Robertis vd. D. Nörr, Zur sozialen
und rechtlichen Bewertung der freien Arbeit in Rom, «ZRG», 82 (1965), pp. 67-105, partic. 70-73.
Sul rischio di sottovalutare la rappresentatività delle concezioni espresse nelle fonti letterarie vd. G.
Galeno, Letture, «Labeo», 6 (1959), pp. 143-144 a proposito del contributo di De Robertis, Sulla con-
siderazione sociale del lavoro, cit.; la risposta del De Robertis, Ancora sulla considerazione sociale
del lavoro, cit., p. 3, nota 1, non mi sembra cogliere il fondo dell’obiezione.
336 Oltre agli studi segnalati nelle note precedenti, si vedano tra gli altri A.M. Duff, Freedmen in the
Early Roman Empire, Oxford 1928, pp. 103-108; H. Bolkestein, Wohltätigkeit und Armenpflege im
vorchristlichen Altertum. Ein Beitrag zum Problem “Moral und Gesellschaft”, Utrecht 1939, pp.
332-337; Frank, An Economic Survey, cit., pp. 29-29; 216-217; H. Volkmann, Arbeit und Beruf in der
Antike und im Christentum, «Gymnasium», 57 (1950), pp. 175-182; K. Visky, La qualifica della me-
dicina e dell’architettura nelle fonti del diritto romano, «Iura», 10 (1959), pp. 24-31; B. Bilinski,
Elogio della mano e la concezione ciceroniana della società, «Atti del I Congresso Internazionale di
Studi Ciceroniani. Roma. Aprile 1959», I, Roma 1961, pp. 195-212; C. Mossé, Le travail en Grèce et
à Rome, Paris 1966, pp. 44-51; S. Treggiari, Roman Freedmen During the Late Republic, Oxford
1969, pp. 88-91; P.A. Brunt, Aspects of the Social Thought of Dio Chrysostom and of the Stoics,
«PCPhS», 19 (1973), pp. 9-34; M.I. Finley, The Ancient Economy, London 1973, partic. pp. 40-60;
M. Fredriksen, Theory, Evidence and the Ancient Economy, «JRS», 65 (1975), pp. 164-171; P. Veyne,
Le pain et cirque. Sociologie historique d’une pluralisme politique, Paris 1976, pp. 118-127; H. Pavis
D’Escurac, Aristocratie sénatoriale et profits commerciaux, «Ktema», 2 (1977), pp. 342-344; K.
Visky, Geistige Arbeit und die artes liberales in den Quellen des römischen Rechts, Budapest 1977;
Reddé, Scènes, cit., pp. 51-54; E. Gabba, Riflessioni antiche e moderne sulle attività commerciali a
Roma nei secoli II e I a.C., «The Seaborne Commerce of Ancient Rome: Studies in Archaeology and
History», a cura di J.H. D’Arms - E.C. Kopff, Roma 1980 = «MAAR», 36 (1980), pp. 91-102; Y.
Thébert, Économie, société et politique aux derniers siècles de la République romaine, «Annales
(ESC)», 35 (1980), pp. 895-911; J. Andreau, Réponse à Yvon Thébert, ibid., pp. 912-919; Treggiari,
Urban Labour, cit., pp. 48-52; T. Schleich, Überlegungen zum Problem senatorischer
Handelsaktivitäten. II: Zwischen ‘otium’ und ‘negotium’: Gelegenheitsunternehmungen und domesti-
zierte Wirtschaft, «MBAH», 3 (1983), 1, pp. 37-76; AAVV., Arbeitswelt, cit., pp. 192-209; E.
Narducci, Commercio e status sociale in Cicerone e in Petronio (a proposito di un recente libro di
J.H. D’Arms), «QS», 19 (1984), pp. 229-253; H.W. Pleket, Urban Elites and the Economy of the
Greek Cities of the Roman Empire, «MBAH», 3 (1984), 1, pp. 3-35; «L’ideologia dell’arricchimento
e l’ideologia dell’ascesa sociale a Roma e nel mondo romano (II sec. a.C. - II sec. d.C.» = «Index»,
13 (1985); S. Mrozek, Die gesellschaftliche Rolle der Arbeit in der Augusteischen Zeit, «Klio», 67
(1985), pp. 65-69; M. Pani, La polemica di Seneca contro le artes (Ep. 90). Un caso di sconcerto,
«Xenia. Scritti in onore di Piero Treves», Roma 1985, pp. 141-150; ora in Potere e valori a Roma fra
Augusto e Traiano, Bari 1992, pp. 99-112; L. De Salvo, Il giudizio sulla mercatura nel mondo ro-
mano, «AFLM», 20 (1987), pp. 9-32; Morel, L’artigiano, cit., pp. 235-237; A. Giardina, Il mercante,
Introduzione 81

4.1. La considerazione sociale del lavoro nelle fonti letterarie:


un’ideologia coerente?
In primo luogo mi propongo di verificare se veramente le concezioni
espresse dall’élite dirigente del mondo romano attraverso le fonti letterarie possano
essere ricondotte ad un unico e coerente sistema di valori, nel quale sostanzial-
mente ogni occupazione lavorativa era oggetto di disprezzo.
Le testimonianze degli autori antichi che possono essere richiamate per
un’indagine sulla considerazione sociale del lavoro a Roma sono piuttosto nume-
rose, ma un notissimo passo del De officiis di Cicerone, per i suoi caratteri di rifles-
sione astratta e slegata dalle contingenze, sistematica e complessiva, è divenuto il
punto di partenza obbligato di ogni riflessione337: l’Arpinate, richiamandosi ad una

«L’uomo romano», a cura di A. Giardina, Roma - Bari 1989, pp. 269-298; Id., Il tramonto dei valori
ciceroniani (ponos ed emporia tra paganesimo e cristianesimo), «Continuità e trasformazioni fra re-
pubblica e principato. Istituzioni, politica, società», a cura di M. Pani, Bari 1991, pp. 275-296; Id., Il
commercio romano fra utopia e realtà, «Optima Hereditas. Sapienza giuridica romana e conoscenza
dell’ecumene», Milano 1992, pp. 203-222; H.-J. Drexhage, Zum Selbstverständnis arbeitender Men-
schen im Imperium Romanum, «Humanistische Bildung», 14 (1990), pp. 7-40; Vittinghoff, Ge-
sellschaft, cit., pp. 204-206; Joshel, Work, cit., pp. 63-69; M. Valencia Hernández, Agricultura, co-
mercio y ética. Ideología económica y economía en Roma (II a.e. - I d.e.), Zaragoza 1991; Ead., De
quaerenda, de collocanda pecunia, etiam de utenda: aproximación a la mentalidad productiva en
Cicerón, «Habis», 25 (1994), pp. 121-136; B. Van den Hoven, Work in Ancient and Medieval
Thought. An cient Philosophers, Medieval Monks and Theologians and their Concept of Work, Occu-
pations and Technology, Amsterdam 1996, partic. pp. 21-71; E. Höbenreich, Annona. Juristiche
Aspekte der stadtrömischen Lebensmittelversorgung im Prinzipat, Graz 1997, pp. 288-300; G. García
Brosa, Mercatores y negotiatores: ¿simples comerciantes?, «Pyrenae», 30 (1999), pp. 173-180; Gil
Mantas, Actividades, cit., pp. 36-40; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas
- Orejas, Trabajo, cit., pp. 12-17; S. MacCormack, The Virtue of Work: an Augustinian Transforma-
tion, «Antiquité Tardive», 9 (2001), pp. 219-237; H. Scholten, Die Bewertung körperlicher Arbeit in
der Antike, «AncSoc», 33 (2003), pp. 1-22. Utile la raccolta di testi, in traduzione inglese, curata da
J.W. Humphrey - J.P. Oleson - A.N. Sherwood, Greek and Roman Technology: a Sourcebook. Anno-
ted Translations of Greek and Latin Texts and Documents, London - New York 1998, in particolare il
cap. 13, Attitudes toward Labour, Innovation, and Technology, alle pp. 579-599.
337 Cic., Off., I, 150-151: Iam de artificiis et quaestibus, qui liberales habendi, qui sordidi sint, haec
fere accepimus. Primum improbantur ii quaestus, qui in odia hominum incurrunt, ut portitorum, ut
feneratorum. Inliberales autem et sordidi quaestus mercennariorum omnium, quorum operae, non
quorum artes emuntur; est enim in illis ipsa merces auctoramentum servitutis. Sordidi etiam putandi,
qui mercantur a mercatoribus, quod statim vendant; nihil enim proficiant, nisi admodum mentiantur;
nec vero est quicquam turpius vanitate. Opificesque omnes in sordida arte versantur; nec enim quic-
quam ingenuum habere potest officina. Minimeque artes eae probandae, quae ministrae sunt volupta-
tum ‘cetarii, lanii, coqui, fartores, piscatores’, ut ait Terentius. Adde huc, si placet, unguentarios, sal-
tatores, totumque ludum talarium. Quibus autem artibus aut prudentia maior inest aut non mediocris
utilitas quaeritur ut medicina, ut architectura, ut doctrina rerum honestarum, eae sunt iis, quorum
ordini conveniunt, honestae. Mercatura autem, si tenuis est, sordida putanda est; sin magna et co-
piosa, multa undique apportans multisque sine vanitate inpertiens, non est admodum vituperanda;
atque etiam si satiata quaestu vel contenta potius, ut saepe ex alto in portum, ex ipso se portu in
agros possessionesque contulit, videtur iure optimo posse laudari. Omnium autem rerum, ex quibus
aliquid adquiritur, nihil est agri cultura melius, nihil uberius, nihil dulcius, nihil homine, nihil libero
dignius. Il carattere rappresentativo del sistema di valori prevalenti in Cicerone e in genere nei ceti alti
82 Introduzione

tradizione di pensiero anteriore, in particolare paneziana, ricorda in primo luogo tra


i mestieri da disprezzare quello di esattore delle imposte e di usuraio, per l’odio di
cui costoro sono oggetto da parte della popolazione; inliberales e sordidi sono an-
che tutti i mestieri che comportano un salario, segno di una soggezione al datore di
lavoro, in una condizione assimilabile a quella degli schiavi; il lavoro degli arti-
giani in genere è considerato spregevole per lo stesso luogo in cui esso è esercitato,
l’officina, dalla quale nulla di buono può venire; in sommo grado saranno poi da
condannare quelle occupazioni che soddisfano le esigenze del lusso e del piacere;
sono invece honestae, anche se solo per alcuni strati sociali, quelle arti in cui pre-
vale la componente intellettuale e che si rivelano di sicuro vantaggio per la comu-
nità, come la medicina, l’architettura e l’insegnamento; non disprezzabile nem-
meno il commercio, purché esercitato su larga scala, purché metta a disposizione
grandi quantità di merci da ogni angolo della terra ed eviti quegli inganni che sem-
pre si accompagnano alla vendita al dettaglio; l’agricoltura infine merita la mas-
sima lode come occupazione più degna per un uomo libero.
Riservandomi di ritornare in seguito sulla valutazione ciceroniana dei me-
stieri intellettuali e della mercatura, che merita una speciale attenzione, mi limito
per il momento ad osservare come questo passo del De officiis abbia avuto
un’influenza decisiva nella storia degli studi sull’ideologia del lavoro nella Roma
antica, contribuendo non poco a delineare un quadro in cui, al disdegno per buona
parte delle attività lavorative, faceva riscontro l’incondizionato elogio della pro-
prietà terriera.
Grande importanza per lo studio della problematica ha avuto anche un passo
di una lettera a Lucilio in cui Seneca rievoca i quattro tipi di artes secondo
Posidonio: artes vulgares e sordidae sono considerati i mestieri manuali, nei quali
nulla di decoroso ed onesto si può trovare; artes ludicrae sono quelle che mirano al
soddisfacimento dell’occhio e dell’orecchio, anche attraverso l’uso di macchine
spettacolari che destano lo stupore degli sciocchi; vengono poi le artes pueriles,
quelle cioè che costituiscono materia di insegnamento nella scuola e che secondo
Posidonio per qualche aspetto si avvicinavano alle arti liberali; ma le sole vere ar-
tes liberales, o meglio liberae, come puntualizza Seneca, sono quelle che mirano
alla formazione della virtus individuale338: l’unica vera arte liberale è dunque lo
studium sapientiae339.

della società greco-romano di questo passo del De officiis è sottolineato da Giardina, Il tramonto dei
valori ciceroniani, cit., p. 275, nota 1.
338 Sen., Ep. ad Lucil., 88, 21- 23: Quattuor ait esse artium Posidonius genera: sunt vulgares et sor-
didae, sunt ludicrae, sunt pueriles, sunt liberales. Vulgares opificum, quae manu constant et ad in-
struendam vitam occupatae sunt, in quibus nulla decoris, nulla honesti simulatio est. Ludicrae sunt
quae ad voluptatem oculorum atque aurium tendunt; his adnumeres licet machinatores qui pegmata
per se surgentia excogitant et tabulata tacite in sublime crescentia et alias ex inopinato varietates, aut
dehiscentibus quae cohaerebant aut his quae distabant sua sponte coeuntibus aut his quae eminebant
paulatim in se residentibus. His inperitorum feriuntur oculi, omnia subita quia causas non novere
mirantium. Pueriles sunt et aliquid habentes liberalibus simile hae artes quas ejgkuklivou" Graeci,
nostri autem liberales vocant. Solae autem liberales sunt, immo, ut dicam verius, liberae, quibus
curae virtus est. Il passo è ripreso nelle raccolte dei frammenti di Posidonio curate da L. Edelstein -
I.G. Kidd, Posidonius. I. The Fragments, Cambridge 1972, pp. 96-98, F 90 (cf. il commento di I.G.
Introduzione 83

A tali testimonianze sono stati accostati talvolta i provvedimenti volti a li-


mitare i settori di attività di cui i membri della classe dirigente potevano occuparsi,
in primo luogo naturalmente il famoso plebiscitum Claudianum del 219 o del 218
a.C. caldeggiato da C. Flaminio, che di fatto proibiva ai senatori di impegnarsi, al-
meno direttamente, nel commercio marittimo su larga scala; Livio spiega la deci-
sione rilevando che allora ogni forma di guadagno pareva inappropriata per i padri
coscritti; anche se probabilmente non era questa la motivazione alla base del plebi-
scito Claudiano, essa doveva risultare verosimile in età augustea ed è spia di una
certa mentalità diffusa di cui lo storico patavino si fece interprete e portavoce340.
Almeno un cenno merita, a questo proposito, anche il celebre senatoconsulto del 19
d.C. rinvenuto a Larinum, principale oggetto del quale era appunto la regolamenta-
zione dell’incompatibilità tra la dignità senatoria ed equestre e le esibizioni sulla
scena teatrale o nell’arena, con richiamo a decisioni precedenti assunte dai padri
coscritti341.

Kidd, Posidonius. II. The Commentary. (i). Testimonia and Fragments 1-149, Cambridge 1988, pp.
359-365) e da W. Theiler, Poseidonios. Die Fragmente, Berlin - New York 1982, I, pp. 363-364, F
447 (cf. il commento ibid., II, pp. 383-384).
339 Ibid., 88, 2: Ceterum unum studium vere liberale est, quod liberum facit: hoc est sapientiae, su-
blime, forte, magnanimum.
340 Liv., XXI, 63, 3-4: invisus etiam patribus [scil. C. Flaminius] ob novam legem, quam Q.
Claudius tribunus plebis adversus senatum atque uno patrum adiuvante C. Flaminio tulerat, ne quis
senator cuive senator pater fuisset maritimam navem, quae plus quam trecentarum amphorarum es-
set, haberet. Id satis habitum ad fructus ex agris vectandos; quaestus omnis patribus indecorus visus.
Res per summam contentionem acta invidiam apud nobilitatem suasori legis Flaminio, favorem apud
plebem alterumque inde consulatum peperit. Per le diverse interpretazioni del significato del plebisci-
tum Claudianum tra gli altri Z. Yavetz, The Policy of C. Flaminius and the plebiscitum Claudianum,
«Athenaeum», n. s. 40 (1962), pp. 325-344; F. Cassola, I gruppi politici romani nel III secolo a.C.,
Trieste 1962, pp. 215-218; A. Pelletier, A propos de la lex Claudia de 218 avant J.C., «RSL», 35
(1969), pp. 7-14; Pavis D’Escurac, Aristocratie sénatoriale, cit., pp. 340-342.; F. De Martino, Storia
economica di Roma antica, I, Firenze 1979, pp. 126-127; Gabba, Riflessioni, cit., pp. 91-92; C.
Nicolet, Économie, société et institutions au IIe siècle av. J.C.: de la lex Claudia à l’ager exceptus,
«Annales (ESC)», 35 (1980), pp. 871-894, partic. 877-888; J.H. D’Arms, Commerce and Social Stan-
ding in Ancient Rome, Cambridge (Mass.) - London 1981, pp. 5; 20-21; 31-39; E. Gabba, Ricchezza e
classe dirigente romana fra III e I sec. a.C., «RSI», 93 (1981), pp. 545-548, ora in Del buon uso della
ricchezza, Milano 1988, pp. 31-34; A. Guarino, Questus omnis patribus indecorus, «Labeo», 28
(1982), pp. 7-16; Schleich, Überlegungen II, cit., pp. 47-53; G. Clemente, Il plebiscito Claudio e le
classi dirigenti romane nell’età dell’imperialismo, «Ktema», 8 (1983), pp. 253-259; Id., Lo sviluppo
degli atteggiamenti economici della classe dirigente fra il III e il II sec. a.C., «The Imperialism of
Mid-Republican Rome», a cura di W.V. Harris, Rome 1984, pp. 165-183, partic. 171-173; Id., Basi
sociali e assetti istituzionali nell’età della conquista, «Storia di Roma II. L’impero mediterraneo. 1.
La repubblica imperiale», Torino 1990, pp. 51-53; A. Di Porto, Impresa agricola ed attività collegate
nell’economia della «villa». Alcune tendenze organizzative, «Sodalitas. Scritti in onore di Antonio
Guarino», 7, Napoli 1984, pp. 3241-3244; E. Narducci, Valori aristocratici e mentalità acquisitiva
nel pensiero di Cicerone, «Index», 13 (1985), p. 122, nota 40; De Salvo, Giudizio, cit., pp. 14-16;
Valencia Hernandez, Agricultura, cit., pp. 91-92; Höbenreich, Annona, cit., pp. 292-293; García
Brosa, Mercatores, cit., pp. 179-180; N. El Beheiri, Die lex Claudia de nave senatorum, «RIDA», 48
(2001), pp. 57-63.
341 Senatus consultum di Larino, ll. 7-10 che si cita dall’edizione di M. Buonocore, Epigrafia anfitea-
trale dell’occidente romano. III. Regiones Italiae II-V, Sicilia, Sardinia et Corsica, Roma 1992, pp.
84 Introduzione

Anche a livello municipale, l’esercizio di alcune professioni poteva costituire


un impedimento all’accesso all’ordine dei decurioni: Cicerone ricorda che tra le
norme che regolavano l’accesso al senato locale di Halaesa, in Sicilia, dettate nel
95 a.C. dal pretore C. Claudio Pulcro, ve ne era anche una sul questus esercitato
dagli aspiranti decurioni; certamente tra le professioni bandite vi era quella di
praeco, poiché l’oratore ricorda come Verre violasse le disposizioni di Claudio
Pulcro ammettendo proprio uno di questi banditori nell’ordo della cittadina sici-
liana, naturalmente dietro compenso342. La clausola ritorna sostanzialmente alle ll.
94-96 della Tabula Heracleensis, dove si ordina che praecones, dissignatores e
impresari di pompe funebri non potranno essere eletti alle magistrature municipali
né potranno accedere ai senati locali343; parimenti erano esclusi dalla carriera poli-
tica municipale gli ingenui che, in seguito ad un atto di auctoramentum, si vincola-
vano ad un lanista per combattere nell’arena come gladiatori344. Ancora nell’età di

18-26, n°2 (ivi i rimandi alle precedenti edizioni): [pl]acere ne quis senatoris filium filiam nepótem
neptem pronepótem proneptem neve que[m cuius patri aut avo] / vel paterno ve[l materno aut fratri
ius] / fuisset unquam (!) spectandi in equestribus locis in scaenam produceret auctoramentove
rog[aret ut in scaenam? prodi]/ret aut ut pinnas gladiatórum raperet aut ut rudem tolleret alióve
quod eius rei simile min[istraret]. L’importante testo è stato oggetto di numerosi contributi, ora co-
modamente riuniti in N. Stelluti (a cura di), Epigrafi di Larino e della Bassa Frentana, II, Appendix.
Studi sul senatus consultum di Larino, Campobasso 1997; di particolare rilievo per il nostro tema
W.D. Lebek, Standeswürde und Berufsverbot unter Tiberius: Das SC der Tabula Larinas, «ZPE», 81
(1990), pp. 37-96; trad. it. Dignità di classe ed interdizione dei mestieri sotto Tiberio: il senatus con-
sultum della Tabula Larinas, «Epigrafi di Larino, II», cit., pp. 611-656.
342 Cic., 2 Verr., II, 122: Halaesini pro multis ac magnis suis maiorumque suorum in rem publicam
nostram meritis atque beneficiis suo iure nuper, L. Licinio Q. Mucio consulibus, cum haberent inter
se controversias de senatu cooptando, leges ab senatu nostro petiverunt. Decrevit senatus honorifico
senatus consulto ut iis C. Claudius Appi filius Pulcher praetor de senatu cooptando leges conscribe-
rent. C. Claudius, adhibitis omnibus Marcellis qui tum erant, de eorum sententia leges Halaesinis de-
dit, in quibus multa sanxit de aetate hominum, ne qui minor XXX annis natus, de quaestu, quem qui
fecissent ne legeretur, de censu, de ceteris rebus: quae omnia ante istum praetorem et nostrorum ma-
gistratuum auctoritate et Halaesinorum summa voluntate valuerunt. Ab isto et praeco, qui voluit, il-
lum ordinem pretio mercatus est …
343 Tabula Heracleensis (che ora si può consultare nell’edizione di M.H. Crawford (a cura di), Ro-
man Statutes, I, London 1996, pp. 355-391, con rimandi alle precedenti edizioni e ricca bibliografia),
ll. 94-96: neve quis que<i> praeconium dissignationem libitinamve faciet, dum eorum quid faciet, in
muni/cipio colonia praefectura IIvir(atum) IIIIvir(atum) aliumve quem mag(istratum) petito neve ca-
pito neve gerito neve habeto, / neve ibei senator neve decurio neve conscriptus esto neve sententiam
dicito. A proposito di questa clausola si è più volte richiamato il passo di una lettera di Cicerone ad un
tal Lepta (Fam., VI, 18, 1 del gennaio o del febbraio 45 a.C.), in riferimento all’identificazione della
Tabula Heracleensis con la lex Iulia municipalis: Simul atque accepi a Seleuco tuo litteras, statim
quaesivi e Balbo per codicillos quis esset in lege. Rescripsit eos qui facerent praeconium vetari esse
in decurionibus, qui fecissent non vetari. Sul problema e sull’esclusione dei praecones dai senati mu-
nicipali vd. E. Lo Cascio, Praeconium e dissignatio nella Tabula Heracleensis, «Helikon», 15-16
(1975-1976), pp. 351-371; F. Hinard, Remarques sur les praecones et le praeconium dans la Rome de
la fin de la République, «Latomus», 35 (1976), pp. 730-746; Crawford, Roman Statutes, I, cit., pp.
383-384.
344 Tabula Heracleensis, ll. 112-113: queive depugnandei / caussa auctoratus est erit fuit fuerit. Su
questa clausola ed in genere sull’infamia che colpiva i gladiatori vd. G. Ville, La gladiature en Occi-
dent des origines à la mort de Domitien, Rome 1981, pp. 339-343; B. Levick, The senatus consultum
Introduzione 85

Settimio Severo il giurista Callistrato pur preoccupandosi di precisare che a coloro


qui utensilia negotiantur et vendunt non era proibito accedere al decurionato e agli
altri honores municipali, riteneva riprovevole che tali persone, che potevano essere
soggette a pene corporali, avessero accesso all’ordine dei decurioni, in particolare
in quelle città nelle quali vi era un buon numero di honesti che avrebbero potuto
degnamente ricoprire le cariche pubbliche345.
Un riflesso dell’ideologia prevalente si ha anche negli attacchi nei confronti
degli uomini politici che avevano degli umili lavoratori tra i loro antenati346. Mi
limiterò qui a segnalare due tra gli esempi più chiari; il primo è tratto dalla biogra-
fia svetoniana di Augusto, che a più riprese prende in esame le occupazioni attri-
buite dalla propaganda avversa agli avi del fondatore dell’impero347: Svetonio re-
gistra senza commentare le affermazioni di Antonio, secondo il quale il bisnonno
del suo avversario era un semplice cordaio di condizione libertina da Thuri, mentre
il nonno sarebbe stato un argentarius348, ma si dice stupito del fatto che, secondo
qualche voce, pure il padre di Augusto, lo stimato C. Ottavio, aveva esercitato l’ars
argentaria ed era stato agente elettorale349; nemmeno gli antenati materni di
Ottaviano si salvarono dagli strali della propaganda: il nonno M. Azio Balbo era,
secondo Antonio, un africano impegnato ad Aricia nella modesta attività di profu-
miere o di fornaio; una lettera di Cassio Parmense si riferiva al futuro imperatore

from Larinum, «JRS», 73 (1983), pp. 108-110; H. Aigner, Zur gesellschaftlichen Stellung von Hen-
kern, Gladiatoren und Berufsathleten, «Soziale Randgruppen und Außenseiter im Altertum. Referate
vom Symposion “Soziale Randgruppen und antike Sozialpolitik” in Graz (21. bis 23. September
1987)», a cura di I. Weiler, Graz 1988, pp. 205-209; W. Pietsch, Gladiatoren - Stars oder Geächtete?,
«Steine und Wege. Festschrift für Dieter Knibbe zum 65. Geburtstag», a cura di P. Scherrer - H.
Taeubler - H. Thür, Wien 1999, pp. 373-378, partic. 374-375.
345 Dig., L, 2, 12: Eos, qui utensilia negotiantur et vendunt, licet ab aedilibus caeduntur, non oportet
quasi viles personas neglegi. Denique non sunt prohibiti huiusmodi homines decurionatum vel ali-
quem honorem in sua patria petere: nec enim infames sunt. Sed ne quidem arcentur honoribus, qui ab
aedilibus flagellis caesi sunt, quamquam iure suo ita aediles officio isto fungantur. Inhonestum tamen
puto esse huiusmodi personas flagellorum ictibus subiectas in ordinem recipi, et maxime in eis civita-
tibus, quae copia virorum honestorum habeant: nam paucitas eorum, qui muneribus publicis fungi
debeant, necessaria etiam hos ad dignitatem municipalem, si facultates habeant, invitat. Cf. W.
Langhammer, Die rechtliche und soziale Stellung der magistratus municipalis und der decuriones,
Wiesbaden 1973, pp. 193-194; 228-229; Drexhage, Selbstverständnis, cit., p. 25; Höbenreich, An-
nona, cit, p. 299.
346 Su ciò vd. particolarmente Burford, Craftsmen, cit., pp. 39-40, con altri esempi. Oggetto di parti-
colare disprezzo erano coloro che si trovavano in qualche rapporto con dei gladiatori, cf. M. Grant,
Gladiators, London 1967, pp. 96-97. Vd. inoltre Drexhage, Selbstverständnis, cit., p. 8 sul ritratto li-
viano di C. Terenzio Varrone, console del 216 a.C. e figlio di un macellaio.
347 Sui passi che seguono vd. la recente analisi di A. D’Hautcourt, Auguste et les banquiers. Un motif
de la propagande politique romaine, «Latomus», 56 (1997), pp. 800-810.
348 Suet., Aug., 2, 5: M. Antonius libertinum ei proavum exprobat, restionem e pago.
349 Ibid., 3, 1: C. Octavius pater a principio aetatis et re et existimatione magna fuit, ut equidem mi-
rer hunc quoque a nonnullis argentariam atque etiam inter divisores operasque campestris proditum;
amplis enim innutritus opibus honores et adeptus est facile et egregie administravit.
86 Introduzione

dicendolo nipote di un nummularius e di un pistor 350. Simili motivi propagandi-


stici del resto ricompaiono puntualmente in diverse fasi della storia di Roma: basti
vedere, per esempio, il tono scandalizzato con il quale Cassio Dione commenta il
tentativo di usurpazione del potere imperiale nell’età di Caracalla da parte del le-
gato della legione IV Scitica di stanza in Siria, L. Gellio Massimo, figlio di un me-
dico di Efeso351.
L’impressione di sostanziale coerenza nella valutazione del lavoro tra le
classi dirigenti di Roma che si ricava dalle testimonianze citate si rivela tuttavia in
buona parte illusoria ad un esame ravvicinato della documentazione: credo che
l’analisi di due casi campione sia sufficiente a dimostrarlo.
Le oscillazioni più significative si hanno a proposito di quelle professioni
che, in ragione dello sforzo intellettuale richiesto e della loro utilità per la comunità
intera, potevano essere considerate superiori alle semplici attività manuali. Un caso
paradigmatico è costituito dalle valutazioni sulla professione medica352: notissimo
è il pensiero di Catone, riferito da Plinio il Vecchio, sui rappresentanti della medi-

350 Ibid., 4, 3-4: Verum idem Antonius, despiciens etiam maternam Augusti originem, proavus eius
Afri generis fuisse et modo unguentariam tabernam modo pistrinam Ariciae exercuisse obicit. Cassius
quidem Parmensis quadam epistula non tantum ut pistoris, sed etiam ut nummulari nepotem sic taxat
Augustum: «Materna tibi farina est ex crudissimo Ariciae pistrino; hanc finxit manibus collybo
decoloratis Nerulonensis mensarius».
351 Dio, LXXX, 7, 1: tau'ta me;n ou{tw" ejgevneto, .... " de; Oujh'ro" ejpitolmhvsa" kai; aujto;" th'/
monarciva/ ejn tw'/ trivtw/ stratopevdw/ tw'/ Gallikw'/, ou| h\rce, kai; Gevllio" Mavximo" ejk th'" aujth'"
aijtiva", kaivper uJpostrathgw'n ejn th'/ Suriva/ th'/ eJtevra/ tou' tetavrtou tou' Skuqikou' teivcou",
ejdikaiwvqhsan. ou{tw gavr pou pavnta a[nw kavtw sunecuvqh w{ste ejkeivnou" th;n e[fesin th'" ajrch'"
to;n me;n ejx eJkatontavrcwn ej" th;n gerousivan ejsgrafevnta, to;n de; ijatrou' uiJo;n o[nta ej" to;n nou'n
ejmbalevsqai.
352 La bibliografia sullo statuto e la considerazione sociale dei medici a Roma è amplissima; ci limi-
tiamo dunque a segnalare alcuni degli studi fondamentali ed i contributi più recenti, dai quali si potrà
risalire alla dottrina scientifica anteriore e nei quali si troveranno i commenti ai passi citati nelle note
seguenti: K.-H. Below, Der Arzt im römischen Recht, München 1953, pp. 56-107; Visky, Qualifica,
cit., pp. 31-52; A. Gervais, Que pensait-on des médicins dans l’ancienne Rome?, «BAGB», 1964, pp.
197-231; Balsdon, Life and Leisure, cit., pp. 132-133; Visky, Geistige Arbeit, cit., pp. 73-94; G.
Penso, La medicina romana. L’arte di Esculapio nell’antica Roma, s.l. 1985, pp. 99-107 (da conside-
rare con una certa prudenza); F. Kudlien, Die Stellung des Arztes in der römischen Gesellschaft; frei-
geborene Römer, Eingebürgerte, Peregrine, Sklaven, Freigelassene als Ärzte, Stuttgart 1986; M. Hirt,
Le statut social du médicin à Rome et dans les provinces occidentales sous le haut-empire, «VIIIèmes
Rencontres internationales d’archéologie et d’histoire d’Antibes. Archéologie et médicine», Juan-les-
Pins 1987, pp. 95-107; J. André, Être médecin à Rome, Paris 1987, pp. 33-39; R. Jackson, Doctors
and Diseases in the Roman Empire, London 1988, partic. pp. 56-60; A. Krug, Medicina nel mondo
classico, Firenze 1990, pp. 205-207; 211-213; C. D’Amato, La medicina, Roma 1993, pp. 31-33; 41-
43; C. De Filippis Cappai, Medici e medicina in Roma antica, Torino 1993, pp. 74-85; G. Coppola,
Cultura e potere. Il lavoro intellettuale nel mondo romano, Milano 1994, passim (cf. anche Ead., Il
lavoro intellettuale nell’ideologia costantiniana, «Studi Tardoantichi», 6 (1989) [1995], pp. 289-304);
H.W. Pleket, The Social Status of Physicians in the Graeco-Roman World, «Ancient Medicine in its
Socio-Cultural Context. Papers Read at the Congress Held at Leiden University 13-15 April 1992», a
cura di P.J. van der Eijk - H.F.J. Horstmanshoff - P.H. Schrijvers, I, Atlanta 1995, pp. 27-34;
Kobayashi - Sartori, Medici, cit., pp. 249-258; R. Flemming, Medicine and the Making of Roman
Women. Gender, Nature, and Authority from Celsus to Galen, Oxford 2000, pp. 44-45; 50-57;
Buonopane, Ceti medi, cit., pp. 80-82.
Introduzione 87

cina scientifica greca, intenzionati a sterminare tutti i barbari, e i Romani tra loro,
per mezzo delle loro conoscenze mediche353; Plinio prosegue affermando che la
condanna degli antiqui, tra i quali sarà da annoverare in primo luogo Catone stesso,
non era tanto per la medicina, disciplina per sé utilissima, quanto per il mestiere di
medico, nel quale si pretendeva di trarre guadagno dalla vita umana354. Nel già ci-
tato passo del De officiis I, 151 di Cicerone, la medicina, insieme all’architettura e
all’insegnamento, è tuttavia considerata ars honesta e adatta a coloro che apparte-
nevano all’appropriato statuto sociale355, e nel De finibus bonorum et malorum la
disciplina, questa volta insieme alla matematica, alla poesia e alla musica, è collo-
cata tra le numerose artes di una qualche risonanza trattate dalla scuola accade-
mica, pur se su di un gradino inferiore rispetto all’oratoria e alla politica356. In età
imperiale i medici sono oggetto di un violento attacco da parte di Plinio il Vecchio,
che nota tra l’altro come essa sola, tra le discipline giunte dalla Grecia, non si addi-
cesse alla gravitas romana357. Seneca sembra annoverare la medicina tra le libera-
lissimae artes in una sua lettera a Lucilio358, ma pare negarle questa posizione
nella già citata epistola 88 sulle arti liberali, in cui non si fa menzione dell’ars me-
dica, probabilmente in ragione del fatto che i medici richiedevano un compenso per
le loro cure: i loro servigi, come quelli dei commercianti e dei mercanti di schiavi,
scadono infatti di valore per il fatto stesso di prevedere una ricompensa, puntua-
lizza Seneca nel De beneficiis359. Eppure Quintiliano, presentando il caso fittizio di

353 Plin., Nat. Hist., XXIX, 14: quandoque ista gens suas litteras dabit, omnia corrumpet, tum etiam
magis, si medicos suos hoc mittet. Iurarunt inter se barbaros necare omnes medicina, sed hoc ipsum
mercede faciunt, ut fides iis sit et facile disperdant.
354 Ibid., 16: non rem antiqui damnabant, sed artem, maxime vero quaestum esse manipretio vitae
recusabant.
355 Vd. supra, p. 81, nota 337.
356 Cic., Fin., V, 7: Ex eorum enim scriptis et institutis cum omnis doctrina liberalis, omnis historia,
omnis sermo elegans sumi potest, tum varietas est tanta artium ut nemo sine eo instrumento ad ullam
rem illustriorem satis ornatus possit accedere. Ab his oratores, ab his imperatores ac rerum publica-
rum principes exstiterunt. Ut ad minora veniam, mathematici, poëtae, musici, medici denique ex hac
tamquam omnium artificum officina profecti sunt.
357 Plin., Nat. Hist., XXIX, 17-18: Solam hanc artium Graecarum nondum exercet Romana gravitas,
in tanto fructu paucissimi Quiritium attigere, et ipsi statim ad Graecos transfugae, immo vero aucto-
ritas aliter quam Graece eam tractantibus etiam apud inperitos expertesque linguae non est, ac minus
credunt quae ad salutem suam pertinent, si intellegant. Itaque, Hercules, in hac artium sola evenit, ut
cuicumque medicum se professo statim credatur, cum sit periculum in nullo mendacio maius. Non
tamen illud intuemur; adeo blanda est sperandi pro se cuique dulcedo. Nulla praeterea lex, quae pu-
niat inscitiam capitalem, nullum exemplum vindictae. Discunt periculis nostris et experimenta per
mortes agunt, medicoque tantum hominem occidisse inpunitas summa est. Specifico sulla testimo-
nianza pliniana il contributo di V. Nutton, The Perils of Patriotism: Pliny and Roman Medicine,
«Science in the Early Roman Empire: Pliny the Elder, his Sources and Influence», a cura di R. French
- F. Greenaway, London - Sydney 1986, pp. 30-58.
358 Sen., Ep. ad Lucil., 95, 9: Adice nunc quod artes quoque pleraeque - immo ex omnibus liberalis-
simae - habent decreta sua, non tantum praecepta, sicut medicina.
359 Sen., Ben., IV, 13, 1: Itaque multa, quae summam utilitatem aliis adferunt, pretio gratiam per-
dunt. Mercator urbibus prodest, medicus aegris, mango venalibus; sed omnes isti, quia ad alienum
commodum pro suo veniunt, non obligant eos, quibus prosunt.
88 Introduzione

un padre che lascia un quarto del suo patrimonio a colui dei tre figli che si fosse
dimostrato più degno, poteva caratterizzare gli eredi rispettivamente come un phi-
losophus, un medicus ed un orator, accostando dunque la cura dei malati a due
delle occupazioni generalmente tenute in più alta stima nel mondo romano360. I
frequentissimi attacchi dei poeti satirici nei confronti dei medici, accusati di ciar-
lataneria e di disonestà, quando non addirittura di essere dei veri e propri assassini,
sembrano peraltro mostrare come tra le classi popolari di Roma la professione non
godesse affatto di una buona reputazione361.
Se non ci si può stupire che nel corso di tanti secoli di storia, in autori lontani
tra di loro nel tempo e per ideologia e in scritti di carattere tanto differente, si pos-
sano rilevare posizioni diverse, talvolta anzi palesemente in contraddizione, si deve
rilevare come anche una singola testimonianza possa presentare elementi di ambi-
guità o, quanto meno, di grande complessità: un caso paradigmatico è dato dai ce-
leberrimi passaggi di Cicerone riguardo alla mercatura in De officiis, I, 150-151,
oggetto di infinite analisi: Sordidi etiam putandi, qui mercantur a mercatoribus,
quod statim vendant; nihil enim proficiant, nisi admodum mentiantur; nec vero est
quicquam turpius vanitate … Mercatura autem, si tenuis est, sordida putanda est;
sin magna et copiosa, multa undique apportans multisque sine vanitate inpertiens,
non est admodum vituperanda; atque etiam si satiata quaestu vel contenta potius,
ut saepe ex alto in portum, ex ipso se portu in agros possessionesque contulit, vi-
detur iure optimo posse laudari. Per Cicerone è dunque riprovevole il comporta-
mento di colui che, acquistato un bene da un mercante, subito lo rivende (si do-
vranno dunque intendere in primo luogo i negozianti al dettaglio) poiché il suo pro-
fitto nasce dalla menzogna, ovvero da una sottovalutazione del valore della merce
al momento dell’acquisto e da una sopravvalutazione di quella stessa merce nel
momento in cui egli la rivende; la tenuis mercatura, il commercio al minuto, è
dunque occupazione sordida; non si deve invece condannare, e la litote sembra
tradire un certo qual imbarazzo di Cicerone nel valutare questa attività, il commer-
cio su grande scala, a patto che rispetti due condizioni: sia di pubblica utilità, met-
tendo a disposizione merci provenienti da ogni parte, e sia praticato senza ricorrere
alla menzogna; ma l’attività commerciale nel pensiero dell’Arpinate è veramente
lodevole solo quando cessa di esistere, paradosso davvero stridente per la nostra
mentalità, cioè quando il denaro ricavato della magna mercatura viene investito per
acquistare possedimenti fondiari ed il grande commerciante diviene proprietario
terriero; la trasformazione avviene in diverse fasi, che Cicerone esemplifica in
immagini: dall’alto mare l’aspirante gentleman farmer passerà al porto, e da questo
finalmente agli agri, come dire: dall’impegno in prima persona nella mercatura
marittima, alla direzione delle attività commerciali da terra, al possesso fondia-

360 Quintil., Inst. Orat., VII, 4, 39: Finguntur et testamenta, in quibus de sola <qualitate> quaeratur,
ut in controversia quam supra exposui, in qua de parte patrimonii quarta quam pater dignissimo ex
filiis reliquerat contendunt philosophus, medicus, orator.
361 Cf. per esempio Mart., I, 30; 47; V, 9; VI, 53; VIII, 74; IX, 96; X, 77; Iuven., 10, 221.
Introduzione 89

rio362. Il mutamento, precisa Cicerone, avverrà quando la sete di guadagno del


commerciante sia saziata, o meglio, semplicemente soddisfatta: cosa questo signi-
ficasse in termini concreti è dubbio, dal momento che l’appagamento del desiderio
di arricchirsi è un fattore del tutto soggettivo: dalla frase atque etiam si satiata
quaestu vel contenta potius, si ha tuttavia l’impressione che per l’autore del De of-
ficiis il momento di ritirarsi dalle attività commerciali dovesse avvenire prima di
quanto comunemente non si facesse363.
In conclusione, credo dall’esame della documentazione letteraria emerga
l’esistenza non di un’unica e coerente concezione del lavoro nel mondo romano,
ma piuttosto di una pluralità di concezioni, che mostrano alcuni punti in comune -
l’idea che il possesso fondiario fosse l’unica forma di ricchezza lecita per i membri
della classe dirigente e la condanna verso i lavori prettamente manuali attraversano
in effetti l’intera storia di Roma 364 - ma anche significative divergenze e contraddi-
zioni. In ultima analisi credo che ciò dipenda dall’assenza a Roma dello stesso con-
cetto unitario di lavoro, nel senso moderno del termine, più volte notata. Si aveva
piuttosto la percezione dell’esistenza di diverse occupazioni, di valore differente a
seconda del grado di indipendenza dal datore di lavoro o dal committente che esse
assicuravano, dell’impegno intellettuale che comportavano, dei vantaggi che ap-
portavano alla comunità, persino dal luogo fisico in cui si svolgevano.
Tale gerarchia tuttavia non aveva un valore assoluto per tutti i membri della
società romana, ma mutava in relazione agli strati sociali interessati: se dunque
un’attività poteva risultare sconveniente per i membri dell’élite, quella stessa atti-
vità poteva essere pienamente lecita per coloro che avevano uno status inferiore.
Quella che emerge dalle fonti letterarie non è solo una mentalità delle classi diri-
genti, ma è in larga misura anche una mentalità per le classi dirigenti, che tratta so-
prattutto delle occupazioni appropriate per l’élite. Tuttavia in una frase del già ci-
tato passo del De officiis Cicerone illustra con grande chiarezza la relatività della

362 Così Gabba, Riflessioni, cit., p. 95. Contra Narducci, Valori aristocratici, cit., p. 124, nota 95, se-
condo il quale Cicerone nella frase atque etiam si satiata quaestu vel contenta potius, ut saepe ex alto
in portum farebbe ancora riferimento a fatti concreti, mentre la metafora inizierebbe solo con ex ipso
se portu in agros possessionesque contulit, un’interpretazione che non mi convince pienamente, ma
che comunque non muta la sostanza del discorso.
363 Tra i numerosi commenti a questo passo si citano P.-M. Schuhl, Gains honorables et gains sordi-
des selon Cicéron, «RPhilos», 147 (1957), pp. 355-357; ora in Études Platoniciennes, Paris 1960, pp.
138-142; Balsdon, Life and Leisure, cit., p. 134; Nörr, Bewertung, cit., p. 80; Gabba, Riflessioni, cit.,
pp. 95-96; D’Arms, Commerce, cit., pp. 23-24; Narducci, Commercio, cit., pp. 230-231; Id., Valori
aristocratici, cit., pp. 97; 99; 116-119; Giardina, Il mercante, cit, pp. 280-287; Id., Il tramonto dei va-
lori ciceroniani, cit., pp. 280-283, con interessanti considerazioni sul riemergere di alcuni temi
nell’Opus imperfectum in Mattheum, probabile opera di un autore ariano intorno al 420 d.C.; M.
Valencia Hernández, Mercator y negociator: ambigüedad y realidad económica en la obra de
Cicerón, «Caesaraugusta», 66-67 (1989-1990), pp. 195-200, partic. pp. 196-198; 212-213; Ead., Agri-
cultura, cit., pp. 93-94; 108-109; A.R. Dyck, A Commentary on Cicero, De officis, Ann Arbor 1996,
pp. 336-338; García Brosa, Mercatores, cit., pp. 178-179; MacCormack, Virtue, cit., pp. 220-222.
364 Tuttavia persino l’agricoltura poteva essere definita da Sallustio (Cat., 4, 1) come un servile offi-
cium. Per un tentativo di inquadramento di questa sorprendente affermazione, di sapore chiaramente
provocatorio, si veda O. Bianco, Servilia officia (Sall., Cat., 4, 1), «Index», 13 (1985), pp. 127-133.
90 Introduzione

gerarchia esistente tra le diverse occupazioni: Quibus autem artibus aut prudentia
maior inest aut non mediocris utilitas quaeritur ut medicina, ut architectura, ut
doctrina rerum honestarum, eae sunt iis, quorum ordini conveniunt, honestae 365:
dunque, per l’impegno intellettuale che richiedevano e per la loro intrinseca utilità,
la medicina, l’architettura e l’insegnamento potevano essere qualificate come artes
honestae; tale giudizio tuttavia non si applicava sempre e comunque, ma poteva
valere se tali attività venivano esercitate da coloro che appartenevano all’ordo ap-
propriato. Questa affermazione di sapore tautologico lascia nel dubbio riguardo
coloro quorum ordini conveniunt366, ma possiamo affermare con certezza che
Cicerone non stava pensando ai membri degli ordines senatorio ed equestre.

4.2. Ambiente “aulico” ed ambiente “volgare”: una contrapposizione


assoluta?
In questa sezione mi propongo di valutare se realmente le concezioni
espresse dagli autori antichi fossero completamente estranee alla grande maggio-
ranza della popolazione del mondo romano o se rispecchiassero in certa misura ed
avessero una qualche influenza sui sistemi di valori dei lavoratori stessi, così come
essi emergono dalla documentazione epigrafica367, se è lecito parlare di “sistemi di
valori” per un quadro tanto frammentario e lacunoso, i cui dati si distribuiscono in
un arco cronologico ed in uno spazio fisico vastissimo.
Pur nella relativa scarsità di documenti epigrafici in cui si possa trovare
qualcosa di più che la semplice menzione di un mestiere, riusciamo in effetti ad in-
travvedere in qualche occasione una certa permeabilità tra quelli che il De Robertis
concepiva sostanzialmente come due ambienti contrapposti e complementari,
l’aulico ed il volgare, sia con la valorizzazione di alcuni elementi in
un’occupazione valutati positivamente nella tradizione letteraria, sia respingendo le
accuse di vizi che da quell’ambiente venivano a taluni mestieri. Alcuni esempi
della casistica relativa alle professioni del commercio sono stati esaminati con
acume da A. Giardina 368, mi limito pertanto a richiamare solamente due casi, uno
per ciascuno dei due procedimenti: il coraggio del mercante marittimo che affronta
i pericoli della navigazione, tema ben noto nella riflessione dei pensatori antichi
sulla mercatura369, ritorna implicitamente nell’iscrizione funeraria di un commer-
ciante di Brindisi, che dichiara di aver percorso più volte il mare e di aver toccato
molte terre; solo ora, da defunto, egli non deve più temere la furia degli elementi e

365 Cic., Off., I, 151.


366 Balsdon, Life and Leisure, cit., p. 132 vi vede senza esitazioni schiavi e liberti.
367 Tale linea di ricerca è stata formulata con ammirevole chiarezza da Burford, Cratfsmen, cit., p.
27: «The answer then is neither to accept the opinions of Plato and other aristocratic philosophers as
the only true view of the situation, nor to dismiss them as the idiosyncrasies of entirely unusual
thinkers, but to steer a course somewhere in between. For little as we may like it these thinkers are in
some sort spokesmen for their time».
368 Giardina, Il mercante, cit., pp. 287-293; cf. anche Id., Commercio romano, cit., p. 210; Galletier,
Étude, cit., pp. 176-177.
369 Sugli sviluppi del tema, da Catone al tardoantico, vd. Giardina, Il mercante, cit., pp. 283-284; Id.,
Commercio romano, cit. pp. 207-208.
Introduzione 91

le incertezze legate alla sua attività 370; nel secondo esempio le tradizionali accuse
di avidità che vengono avanzate nei confronti dei venditori di beni di lusso sono
implicitamente respinte dal margaritarius de Sacra Via C. Atilius Euhodus, che nel
proprio epitafio si dice homo bonus, misericors, amans pauperis 371.
Oltre a quella dei commercianti, un’altra categoria di lavoratori che sembra
aver sentito l’influenza della mentalità delle classi dirigenti nella propria autorap-
presentazione è quella dei medici372: il tema del rapporto di fiducia personale che il
buon medico deve saper instaurare con il proprio paziente, particolarmente vivo
nell’opera di Cicerone e di Seneca373 emerge con chiarezza, per esempio,

370 CIL IX, 60: Si non molestum est, hospes, consiste et lege. / Navibus velivolis magnum mare saepe
cucurri, accessi terras complures: terminus hicc(e) est, / quem mihi nascenti quondam Parcae ceci-
nere. Hic meas deposui curas omnesque labores; / sidera non timeo hic nec nimbos ne mare saevom, /
nec metuo, sumptus ni quaestum vincere possit. / Alma Fides, tibi ago grates, sanctissima diva: for-
tuna infracta ter me fessum recreasti: / Tu digna es, quam mortales optent sibi cuncti. / Hospes, vive,
vale/ In sumptum superet tibi sempre, / qua non sprevisti hunc lapidem dignumq(ue) dicasti. Il tema
della morte che libera dagli affanni del quaestus è topico negli epigrammi sepolcrali latini: vd. a que-
sto proposito la documentazione riunita da A. Grilli, Valori letterari nelle iscrizioni sepolcrali,
«AAAd», 43 (1997), pp. 20-22. L’iscrizione di Brindisi è ora ristudiata da B. Tisè, Osservazioni su
CIL IX, 60, «Dai Gracchi alla fine della Repubblica. Atti del V convegno di studi sulla Puglia ro-
mana. Mesagne, 9-10 aprile 1999», a cura di S. Alessandrì - F. Grelle, Galatina 2001, pp. 155-170.
371 CIL VI, 9545 = CIL I2 , 1212 = ILS 7602 = ILLRP 797: Hospes, resiste et hoc ad grumum ad
laevam aspice, ubei / continentur ossa hominis boni, misericordis, amantis / pauperis. Rogo te, viator,
monumento huic nil male feceris. / C. Ateilius Serrani l(ibertus) Euhodus, margaritarius de Sacra /
Via, in hoc monumento conditus est. Viator, vale/ / Ex testamento in hoc monumento neminem inferri
nequi condi licet, nisei eos lib(ertos), quibus hoc testamento dedi tribuique; in particolare su questa
testimonianza vd. A. Giardina, Amor civicus. Formule e immagini dell’evergetismo romano nella tra-
dizione epigrafica, «La terza età dell’epigrafia», a cura di A. Donati, Faenza 1988, pp. 82-84. A que-
sta testimonianza si potrebbe accostare CIL IX, 4796 = ILS 7542 = E. Courtney, Musa lapidaria. A
Selection of Latin Verse Inscriptions, Atlanta 1995, p. 126, n° 128, da Forum Novum, in Sabina: si
tratta dell’iscrizione sepolcrale di L. Nerusius Mithres che di sè scrisse notus in urbe sacra vendenda
pelle caprina, exhibui merces popularibus aptas, rara fides cuius laudata est semper ubique; e ancora
semper honorificus, semper communis amicis.
372 Il tema è stato approfonditamente analizzato da D. Gourevitch, Le triangle hippocratique dans le
mond greco-romain. Le malade, sa maladie et son médecin, Rome 1984, pp. 415-437, nel capitolo Le
portrait épigraphique du bon médicin, al quale si rimanda per altri esempi: la studiosa qui sviluppa i
temi già delineati in Some Features of the Ancient Doctor’s Personality as Depicted in Epitaphs,
«Nordisk Medicinhistorisk Årsbok», (1970), pp. 1-12. Cf. inoltre H. Von Staden, Character and
Competence. Personal and Professional Conduct in Greek Medicine, «Médecine et morale dans
l’antiquité», a cura di H. Flashar - J. Jouanna, Genève 1997 (Entretiens sur l’antiquité classique
XLIII), pp. 158-164; B. Lorenz, Zum Lob des Arztes in griechischen Inschriften, «XI Congresso In-
ternazionale di Epigrafia Greca e Latina. Roma, 18-24 settembre 1997. Atti», I, Roma 1999, pp. 761-
767.
373 Sulla fidelitas dei medici in Cicerone vd. Gourevitch, Triangle hippocratique, cit., p. 456. Sul
tema del medico amico in Seneca vd. partic. Ben., V, 16, 1-5, con i commenti di Gourevitch, Triangle
hippocratique, p. 288; P. Mudry, Medicus amicus. Un trait romain dans la médecine antique,
«Gesnerus», 37 (1985), pp. 17-20; Kudlien, Stellung, cit., p. 206; Jackson, Doctors, cit., p. 60;
D’Amato, Medicina, cit., p. 42; De Filippis Cappai, Medici, cit., p. 77. Sulle virtù morali dei medici a
Roma, essenzialmente attraverso la letteratura medica, vd. J. Pigeaud, Les fondaments philosophiques
de l’éthique médicale: le cas de Rome, «Médecine et morale dans l’antiquité», a cura di H. Flashar -
J. Jouanna, Genève 1997 (Entretiens sur l’antiquité classique XLIII), pp. 255-296, partic. pp. 257-268.
92 Introduzione

nell’epitafio del medico di Iguvium L. Sabinus L. l. Primigenius, arte feror nota,


nobiliore fide 374; il rilievo che le virtù morali, oltre che la perizia nella propria di-
sciplina, avevano per la figura del buon medico ritorna nell’iscrizione di C.
Calpurnio Asclepiade di Prusa; molto significativo il fatto che il documento si ri-
chiami al sistema di valori della classe dirigente con un riferimento esplicito: stu-
diorum et morum causa probatus a viris clarissimis375; il disinteresse nei confronti
del denaro, virtù tanto più lodevole in una categoria che spesso di distingueva per
gli onorari astronomici, è portato al parossismo in un epitafio rinvenuto sulla via
Nomentana, a poca distanza da Roma, in cui il medico Dionisio è detto
misovcruso" oJlovcruso", “odiatore dell’oro tutto d’oro”, per riprendere la tradu-
zione di M. Guarducci376; in un’iscrizione da Magnesia sul Meandro in onore del
medico Ti. Claudio Tiranno, liberto imperiale, la perizia professionale ma anche
l’ordinata condotta di vita dell’onorato si misurano addirittura sul metro delle di-
vine norme degli Augusti: Tiranno in effetti è detto ajnh;r dedokimasmevno" toi'"
qeivoi" kriterivoi" tw'n Sebastw'n ejpi; te th'/ tevcnh/ th'" iJatrikh'" kai' th'/
kosmiovthti tw'n hjqw'n377. Gli aspetti intellettuali della professione medica sono
invece sottolineati nell’iscrizione funeraria di P. Novio da Venafrum, che si defi-
niva philosophus e medicus378. Una summa delle qualità del buon medico tornano
infine nell’epitafio cristiano di un anonimo medecus (!) dalle catacombe di S.
Sebastiano, amicus et caru[s omnibus], ingeniosus, pru[dens], [in suis o]peribus
non cupidus ne[mini], cuius beneficia omnibus cop[iosa fuerunt]379. L’influenza
delle ideologie delle classi dirigenti sulla rappresentazione di sé dei lavoratori si

374 CIL XI, 5836 = ILS 7794: L. Sabinus L(uci) l(ibertus) / Primigenius, / ortus ab Iguvio, medicus,
fora multa secutus, / arte feror nota, nobiliore fide, / me consurgentem valida fortuna iuventa / desti-
tuit rapidis imposuitque rogis / Clusino cineres flammae cessere sepulcro / patronus patrio condidit
ossa solo.
375 CIL XI, 3943 = ILS 7789: C(aius) Calpurnius Asclepiades Prusa ad Olympum, medicus, / paren-
tibus et sibi et fratribus civitates VII a divo Traiano / impetravit, natus III non(as) Mart(ias)
Domitiano XIII co(n)s(ule), eadem die / quo et uxor eius Veronia Chelidon, cum quo vixit annis LI, /
studiorum et morum causa probatus a viris clarissimis, adsedit magis/tratibus ita ut in aliis et in pro-
vincia Asia custodiar(ius) / [tabellarum?] in urna iudicum; vixit annis LXX.
376 Il testo dell’iscrizione, rinvenuto negli anni ’20, è stato recentemente ripreso da M. Guarducci, Un
medico d’eccezione nella Roma imperiale, «QUCC», n.s. 39 (1991), 3, pp. 123-127 ( = AE 1991,
297).
377 O. Kern, Die Inschriften von Magnesia am Maeander, Berlin 1900, pp. 101-102, n°113 = SIG3
807, con le considerazioni di Von Staden, Character and Competence, cit., p. 160.
378 CIL X, 4918: P. Novio, philosop[ho], / medico. / Caiatia M(arci) l(iberta) Primigenia, con-
cub(ina) / eius, / fecit ex suo / sibi et suis. Cf. anche, in un diverso settore occupazionale CIL X, 3969
= ILS 7763 = Courtney, Musa lapidaria., cit., p. 84, n° 68, da Capua, l’epitafio di Furio Filocalo, ma-
gister ludi litterari, summa quom (!) castitate in discipulus suos. Dalla raccolta delle testimonianze
concernenti le virtù della gente di mestiere deve invece essere espunta l’iscrizione CIL XII, 4517 da
Narbo, epitafio di un tonsor humanus: questo barbiere, in effetti, più che sottolineare la sua humani-
tas, come pare ritenere Drexhage, Selbstverständnis, cit., p. 32, avrà voluto distinguersi da un sem-
plice tosapecore, cf. M.G. Arrigoni Bertini, Tonstrix: la barbiera?, «Donna e lavoro», a cura di
Buonopane - Cenerini, cit., p. 225.
379 ICUR V, 13800, i cui supplementi soni ripresi nel testo; l'iscrizione era già edita come CIL VI,
37805a, con letture diverse. Il testo è ricordato da Mazzoleni, Il lavoro, cit., p. 48.
Introduzione 93

rileva non solo, in positivo, da quanto essi fanno incidere nelle proprie iscrizioni,
ma anche, in negativo, dai loro silenzi: in effetti, tra i dati biografici che compaiono
negli epitafi e più raramente in altre classi di iscrizioni, le occupazioni che sono
oggetto della presente indagine hanno un ruolo assai limitato, rispetto per esempio
al ricordo dei legami familiari, delle virtù morali, addirittura della durata della vita
del defunto. Qualche esempio dalla regio V potrà confermare questa osservazione:
ad Hadria su circa 25 testi funerari a noi giunti integri o abbastanza completi sola-
mente uno ricorda un mestiere, quello dello scriba Sex. Publicius (Hadria 1); un
poco migliore la situazione ad Interamnia, dove siamo a conoscenza di almeno tre
iscrizioni sepolcrali in cui si indica il lavoro del defunto: Interamnia 3, relativa al
tubicen C. Cesio, Interamnia 1, epitafio in lingua greca del liqevnporo" Aurelio
Andronico di Nicomedia ed infine la lacunosa Interamnia 2, nella quale si fa men-
zione di un tabularius di nome Polibio; si deve peraltro rilevare che nel centro
principale dei Pretuzzi la base documentale è più ampia, potendo contare su almeno
una sessantina di testi funerari, pure tralasciando quelli fortemente lacunosi.
Certo il campione a nostra disposizione è fortemente limitato, dal momento
che la maggior parte degli epitafi incisi nel Piceno antico sono andati perduti; ma è
altrettanto vero che difficilmente la selezione sarà stata più severa sulle iscrizioni
che conservavano il ricordo di un’occupazione piuttosto che sulle altre. Credo dun-
que che, se anche possedessimo la totalità delle iscrizioni sepolcrali del Piceno, la
proporzione di testi che ricordano il mestiere del defunto non sarebbe molto diversa
e comunque difficilmente avrebbe superato il 5-10% del totale. La scarsa frequenza
con quale le occupazioni professionali appaiono nell’epigrafia latina sembra del re-
sto un fenomeno comune a tutto il mondo romano, pur con qualche leggera varia-
zione regionale380.

380 Un raffronto statistico preciso è naturalmente inproponibile, soprattutto in considerazione della


disparità di criteri adottati nelle indagini condotte sulle iscrizioni della gente di mestiere; ma l’entità
del fenomeno è tale che anche una semplice valutazione impressionistica dei dati è in grado di co-
glierne il senso: vd. per esempio i rilievi di Gimeno Pascual, Artesanos, cit., p. 62 riguardo
all’epigrafia della penisola iberica: sulle circa 10.000 iscrizioni prese in esame solo 67 presentano il
ricordo di un mestiere artigianale; certo la studiosa non ha preso in considerazione nella sua indagine
le occupazioni collegate al commercio ed i mestieri intellettuali e di servizio (come quelli di scriba,
architetto, medico), che generalmente offrono la maggiore messe di dati; credo tuttavia che anche ri-
comprendendo queste categorie l’ordine di grandezza non muterebbe in modo significativo.
L’indagine di Frézouls, Noms, cit. sulle province della Gallia e della Germania, che copre all’incirca il
medesimo spettro di occupazioni preso in esame nella presente ricerca, si basa sullo spoglio di circa
20.000 iscrizioni (Frézouls, Noms, cit., p. 33) ed ha portato alla schedatura di 723 attestazioni; la per-
centuale, assai più alta di quella che si rileva nell’epigrafia dell’Hispania, va spiegata anche sulla base
del fatto che uno stesso documento può contenere due o più attestazioni di mestiere. Per il patrimonio
epigrafico registrato in CIL XIII, Mehl, Handwerker und Künstler, cit., pp. 60-61; p. 75, nota 13 cal-
cola che le indicazioni di mestiere siano 240 su circa 14.000 persone che vengono nominate; A Roma,
sul campione di oltre 5.000 iscrizioni funerarie preso in esame da Huttunen, Social Strata, cit., p. 48,
tabella 4, solo il 9,5% indica l’occupazione del defunto, ma sono comprese qui anche le funzioni poli-
tiche, amministrative e militari. Tra i casi isolati in cui l’indicazione del mestiere assume un rilievo
molto significativo segnalo quello della necropoli di Tiro del V-VI sec. d.C., sulla quale vd. Rey-
Coquais, Fortune et rang social, cit., pp. 281-292 e Mazzoleni, Il lavoro, cit., pp. 41-42. In genere
94 Introduzione

Dunque era solo per una minoranza della popolazione romana che
l’occupazione rivestiva un’importanza essenziale, tale da essere ricordata nello
spazio necessariamente limitato del proprio epitafio o di un’iscrizione votiva od
onoraria; la maggioranza dei documenti epigrafici manifesta verso questa sfera
della vita la stessa indifferenza che l’élite dirigente del mondo romano lascia tra-
sparire dalle fonti letterarie381. Del resto questo è un tratto che accomuna gli epitafi
di molte culture distanti nello spazio e nel tempo, a prescindere dalla loro valuta-
zione ideologica del lavoro, anzi nel mondo romano il fenomeno sembra aver avuto
una rilevanza maggiore che in altre culture antiche: per esempio nell’epigrafia se-
polcrale della Grecia classica ed ellenistica il ricordo del mestiere del defunto sem-
bra essere stato del tutto eccezionale382.
Questo ovviamente non significa che la grande maggioranza della popola-
zione nel mondo antico, e segnatamente nel mondo romano, non avesse una qual-
che attività grazie alla quale guadagnarsi di che vivere383; significa soltanto che per

sulle variazioni regionali nella frequenza del ricordo dell’occupazione nell’epigrafia sepolcrale
Drexhage, Selbstverständnis, cit., p. 12.
381 Del tutto sorprendente mi sembra dunque l’affermazione di Calabi Limentani, Lavoro artistico,
cit., p. 17, secondo la quale l’indicazione del mestiere del defunto, ma anche dell’offerente o
dell’onorato, costituiva la regola in alcune aree del mondo romano ed era frequente in altre. Assai più
vicina alla realtà dei dati in nostro possesso la valutazione di Morel, L’artigiano, cit., p. 257, secondo
il quale “il numero delle iscrizioni lapidarie e di bassorilievi in cui un artigiano si presenta come tale è
irrisorio in termini relativi”. Cf. anche, per la documentazione epigrafica cristiana, Mazzoleni, Il la-
voro, cit., p. 40.
382 Cf. Burford, Craftsmen, cit., p. 176 che rileva come tra gli oltre 8.000 personaggi noti dagli epi-
tafi di Atene solo una sessantina di loro ricordarono la propria occupazione. Ancora più bassa la pro-
porzione degli artigiani noti dalla loro iscrizione sepolcrale nel resto della Grecia, cf. Burford,
Craftsmen, cit., pp. 178-179.
383 Anche se ciò può essere vero per almeno una parte dei defunti di cui possediamo l’iscrizione se-
polcrale, in primo luogo per coloro che erano morti in giovanissima età, secondariamente per le donne
che si dedicavano alle cure domestiche e all’allevamento dei figli, un’attività che, per quanto assai
impegnativa, solo recentemente è assurta alla dignità di lavoro. La comparsa dell’indicazione del me-
stiere nelle epigrafi in effetti è assai più rara per le donne che per gli uomini, cf. per le professioni in-
tellettuali dell’Hispania Crespo Ortiz de Zarate - Sagredo San Eustaquio, Profesiones, cit., p. 65; per
Roma Huttunen, Social Strata, cit., pp. 50; 52-55; S. Treggiari, Jobs in the Household of Livia,
«PBSR», 30 (1975), p. 58 e Ead., Jobs for Women, «AJAH», 1 (1976), pp. 91-92, con un interessante
confronto tra le pro fessioni maschili e quelle femminili attestate nella familia di Livia; H. Wilsdorf,
Die werktätige Frau in der Antike, «Die Frau in der Antike. Kolloquium der Winckelmann-Ge-
sellschaft, Stendal 1985», a cura di M. Kunze, Stendal 1988, p. 33; Gimeno Pascual, Artesanos y tec-
nicos, cit., p. 76, che rintraccia solamente 4 attestazioni del lavoro femminile nell’epigrafia della pe-
nisola Iberica (per la medesima area vd. ora anche le considerazioni di Rodríguez Neila in Rodríguez
Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 112-114); H.-J. Drexhage, Feminine
Berufsbezeichnungen im hellenistichen Ägypten, «MBAH», 11 (1992), 1, p. 72 per quanto concerne la
documentazione dell’Egitto ellenistico; Joshel, Work, cit., p. 16, nella documentazione di Roma rin-
traccia 1.262 uomini e solo 208 donne che indicano il proprio mestiere; J. Pérez Negre, Esclavas, se-
milibres y libertas en época imperial: aspectos sociojuridicos, «Actas del Primer Seminario de Estu-
dios sobre la mujer en la antigüedad (24-25 Abril, 1997)», a cura di C. Alfaro Giner - A. Noguera
Borel, Valencia 1998, pp. 146-147; S. Dixon, Reading Roman Women. Sources, Genres and Real Li-
fe, London 2001, pp. 115-116; Kosmopoulou, Working Women, cit., pp. 283-285 a proposito dell’A-
tene classica; Marengo, Donne, cit., p. 75, con riferimento alla situazione nella regio V; D. Pupillo,
Introduzione 95

buona parte degli antichi questa attività non costituiva un aspetto caratterizzante
della propria vita, così come un senatore, pur prestando denaro ad interesse ed
avendo interessi in attività commerciali o manifatturiere, principalmente attraverso
degli intermediari, prestanome ed agenti384, mai avrebbe pensato di definirsi ban-
chiere, mercante o imprenditore.
Nelle sue affermazioni, quanto nei suoi silenzi, la documentazione epigrafica
ci mostra dunque come alcune delle concezioni che troviamo espresse negli autori
antichi trovassero corrispondenza nell’ambiente dei lavoratori stessi.

Attività lavorative femminili all’ombra dell’uomo: esempi e ipotesi dalle iscrizioni funerarie romane,
«Donna e lavoro», a cura di Buonopane - Cenerini, cit., pp. 43-45; L. Chioffi, Capuanae, ibid., p. 163
sulla documentazione di Capua; M. Reali, Il mestiere dell’amicitia, l’amicitia nei mestieri, ibid., pp.
241-245 per la Cisalpina e il territorio insubre in particolare. In genere sul lavoro femminile vd.
inoltre J. Le Gall, Métiers de femmes au Corpus Inscriptionum Latinarum, «REL», 47 bis (1969) =
«Mélanges M. Durry», Paris 1971, pp. 123-130; Kampen, Image and Status, cit., pp. 28-32; 108-129;
J. Maurin, L abor matronalis: aspects du travail féminin à Rome, «La femme dans les sociétés
antiques. Actes du colloque de Strasbourg (mai 1980 et mars 1981)», a cura di E. Lévy, Strasbourg
1983, pp. 139-155; V.A. Sirago, Femminismo a Roma nel Primo Impero, Soveria Mannelli 1983, pp.
33-53; A. Pelletier, La femme dans la societé gallo-romaine, Paris 1984, pp. 59-71 sul lavoro
femminile in Gallia; Mazzoleni, Il lavoro, cit., pp. 45-47 (sondaggio sulla documentazione epigrafica
cristiana); R. Günther, Frauenarbeit - Frauenbindung. Untersuchungen zu unfreien und frei-
geleassenen Frauen in den stadtrömischen Inschriften, München 1987, pp. 40-137, partic. le
interessanti considerazioni generali a pp. 40-44; B.M. Comucci Biscardi, Donne di rango e donne di
popolo nell’età dei Severi, Firenze 1987, pp. 74-81; 91-99 (carrellata talvolta piuttosto generica); J.K.
Evans, War, Women and Children in Ancient Rome, London - New York 1991, pp. 117-142; pp. 210-
218 (appendici sulle attestazioni epigrafiche di donne che esercitano un mestiere); L. Larsson Lovén,
Lanam fecit. Woolworking and Female Virtue, «Aspects of Women in Antiquity. Proceedings of the
First Nordic Symposium on Women’s Lives in Antiquity. Göteborg 12-15 June 1997», a cura di L.
Larsson Lovén - A. Strömberg, Jonsered 1998, pp. 85-95; P. Grandinetti, Virtù femminili negli
epigrammi greci, «XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina. Roma, 18-24 settembre
1997. Atti», I, Roma 1999, pp. 725-727; Dixon, Reading Roman Women, cit., pp. 113-132;
Kosmopoulou, Working Women, cit., pp. 281-319; F. Cenerini, La donna romana. Modelli e realtà,
Bologna 2002, pp. 137-150; vd. inoltre i contributi editi in Donna e lavoro nella documentazione
epigrafica. Atti del I Seminario sulla condizione femminile nella documentazione epigrafica, a cura di
A. Buonopane - F. Cenerini, Faenza 2003. Una raccolta di testimonianze antiche (nella traduzione
inglese) sulle occupazioni femminili a Roma in M.R. Lefkowitz - M.B. Fant, Women’s Life in Greece
and Rome, London 1982, pp. 161-172.
384 Non è questa la sede per affrontare il complesso problema del grado e dei modi di coinvolgimento
dell’élite dirigente romana nelle attività commerciali e manifatturiere; mi limito dunque a rimandare
alle ricerche, ricche di spunti, di Pavis D’Escurac, Aristocratie sénatoriale, cit., pp. 344-355; J.H.
D’Arms, Senators’ Involvment in Commerce in the Late Republic: some Ciceronian Evidence, «The
Seaborne Commerce of Ancient Rome: Studies in Archaeology and History», a cura di J.H. D’Arms -
E.C. Kopff, Rome 1980 = «MAAR», 36 (1980), pp. 77-89; Id., Commerce, cit., partic. pp. 39-47;
154-159; Schleich, Überlegungen II, cit., pp. 61-69; P. Tassini, Produzione e vendita di alcune merci
di lusso a Roma, «Epigrafia della produzione e della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-
italienne sur l’épigraphie du monde romain organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et
l’Ecole française de Rome, Rome 5-6 juin 1992», Rome 1994, pp. 687-695; J.-P. Morel, Élites mu-
nicipales et manufacture en Italie, «Les élites municipales de l’Italie peninsulaire des Gracques à
Néron. Actes de la table ronde de Clermont-Ferrand (28-30 novembre 1991)», a cura di M. Cébeillac-
Gervasoni, Naples - Rome 1996, pp. 181-198.
96 Introduzione

4.3. Le ragioni del ricordo di un mestiere nella documentazione


epigrafica
Nella sezione precedente si è visto come la menzione individuale di un me-
stiere nelle iscrizioni romane fosse un fatto tutto sommato eccezionale. In
quest’ultima parte vorrei prendere in esame alcuni dei fattori che potevano spingere
ad eternare sulla pietra il ricordo di questo aspetto della propria vita.
Si è a ragione osservato che l’occupazione dei defunti viene indicata più
spesso in alcune località piuttosto che in altre, spiegando il fenomeno in termini di
costume epigrafico385. Questa motivazione in effetti potrebbe essere alla base del
diradarsi delle testimonianze a partire dalla fine del I sec. d.C. e nel secolo se-
guente, ma a mio parere sono altri i fattori decisivi che portarono in taluni casi a ri-
cordare il mestiere del defunto in un’iscrizione sepolcrale.
In primo luogo si deve considerare che il fenomeno appare in genere con
maggiore frequenza nei grandi centri urbani in cui le attività manifatturiere e com-
merciali avevano trovato un particolare sviluppo. La presenza di grandi mercati
come quelli di Roma con la corte imperiale o, in minor misura, di Ostia, Puteoli,
Mediolanum, Aquileia, Siracusa, per limitarci alla sola Italia, consentiva ad un
buon numero di lavoratori fortemente specializzati nella produzione o nella com-
mercializzazione anche di un solo bene di prosperare e di lasciare ricordo di sé
nella documentazione epigrafica386: in effetti sono questi specialisti ad apparire
negli epitafi piuttosto che i generici artifices, fabri, mercatores o opifices che do-
vevano popolare le piccole comunità dell’Italia romana e che dovevano svolgere
probabilmente una pluralità di mansioni, a seconda delle esi genze che si potevano
presentare387. In queste località la grandissima maggioranza dei lavoratori inoltre
doveva essere essenzialmente occupata nell’agricoltura ed il fatto che siano piutto-
sto rare le menzioni di attività legate alla coltivazione dei campi ci permette di con-
cludere che questo tipo di occupazione non era sentita come dato caratterizzante
dell’individuo, forse perché comune alla grandissima parte dei suoi conterranei, ma
anche perché difficilmente poteva rientrare, secondo la mentalità antica, nella defi-
nizione di “mestiere”388. Si aggiunga il fatto che tra la sterminata popolazione e la

385 Andreau, Vie financière, cit., p. 318 a proposito della maggiore frequenza con la quale i mestieri
del denaro appaiono nelle iscrizioni della città di Roma piuttosto che nel resto dell’Italia e delle pro-
vince; Labarre - Le Dinahet, Textile, cit., p. 55, riguardo alla sorprendente scarsità di indicazioni di
mestiere nel pur numeroso corpus di iscrizioni sepolcrali di Efeso e Smirne, in contrasto con l’uso
epigrafico di località come Hierapolis e Saittai.
386 Per il rapporto fra grandezza degli insediamenti e specializzazione dei mestieri artigianali vd.
Burford, Craftsmen, cit., p. 16. Per quanto concerne Mediolanum vd. inoltre le considerazioni di
Calderini, Arti e mestieri, cit., pp. 542-543. In genere sull’artigianato come fenomeno in larga misura
urbano Jones, Economic Life, cit., p. 39; Morel, L’artigiano, cit., p. 253.
387 Sullo scarsissimo numero di attestazioni di artigiani generici vd. Pavis D’Escurac, Denomina-
tions, cit., p. 112 e nota 32; per quanto concerne l’epigrafia della penisola iberica Gimeno Pascual,
Artesanos, cit., p. 65; sulle ragioni della sottorappresentazione dei lavoratori generici nella documen-
tazione epigrafica vd. P.A. Brunt, Free Labour and Public Works at Rome, «JRS», 70 (1980), pp. 91-
92; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 10.
388 Sulla distinzione tra contadini (e proprietari terrieri) e gente di mestiere vd. J. Andreau, Il liberto,
«L’uomo romano», a cura di A. Giardina, Roma - Bari 1989, pp. 201-202. La scarsezza delle attesta-
Introduzione 97

complessa struttura sociale di Roma e di altre metropoli del mondo antico


l’indicazione del tipo di lavoro svolto forniva un’informazione essenziale per in-
quadrare una persona nella società, mentre ciò era meno necessario nelle piccole
comunità di qualche centinaio o al massimo di poche migliaia di abitanti, in cui le
vicende personali di ogni individuo erano molto meglio note389.
Una conferma della concentrazione nelle maggiori realtà urbane delle iscri-
zioni della gente di mestiere ci viene dalle indagini complessive su alcune aree del
mondo antico. In Sicilia, delle 114 attestazioni di mestieri schedate da F.P. Rizzo,
ben 45 provengono da Siracusa390. Le ricerche condotte da E. Frézouls sulla com-
parsa dell’indicazione di mestiere nell’epigrafia delle province galliche e germani-
che hanno rivelato che, delle 723 attestazioni schedate, oltre il 50% si concentra nei
10 maggiori centri dell’area considerata; le due capitali provinciali di Narbo e
Lugdunum raggiungono da sole quasi 200 attestazioni 391. Nella penisola iberica H.
Gimeno Pascual ha rilevato la forte concentrazione delle testimonianze nei ca-
poluoghi della Betica e della Tarraconense, Corduba e Tarraco392.
Il numero di attestazioni varia fortemente da mestiere a mestiere, ma queste
differenze non rispecchiano affatto il peso reale dei diversi settori di attività: per
fare qualche esempio relativo alla regione picena, conosciamo qui almeno 4 di-
spensatores (testimoniati nelle iscrizioni Ancona 1, Asculum 1, Asculum 2 e Auxi-
mum 4), impiegati addetti al pagamento che lavoravano presso una cassa privata o
pubblica, altrettanti scribi (Asculum 4, Auximum 10, Cingulum 1, Hadria 1) e 3
medici (Auximum 9, Falerio 3, Falerio 4), ma riesce difficile pensare che nel Pi-
ceno in questi settori ci fosse un numero di occupati pari o addirittura maggiore ri-
spetto all’agricoltura, rappresentata nella nostra documentazione da quattro coloni
(Falerio 1, Septempeda 1, Trea 1 e Trea 2), ai quali si può aggiungere un vilicus
(Falerio 9)393, o all’edilizia per la quale abbiamo solo una menzione individuale di
un faber tignuarius (Auximum 6), o ancora alla produzione fittile, che non sembra
essere testimoniata da alcun mestiere nei documenti giunti fino a noi394.

zioni dei lavori agricoli nelle scene di mestiere su bassorilievi funerari è notata da Reddé, Scènes, cit.,
p. 51.
389 Questa spiegazione è respinta da Calabi Limentani, Lavoro artistico, cit., p. 35, con particolare ri-
ferimento alle iscrizioni sepolcrali di schiavi. Frézouls, Noms, cit., p. 36 ricorda anche che in certi casi
l’indicazione del mestiere del defunto poteva essere utile per evitare casi di omonimia; concordo con
lo studioso e con Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo,
cit., p. 10 nel ritenere che questa motivazione dovette avere solamente un rilievo marginale.
390 Rizzo, Lavoro, cit., p. 116, tav. II.
391 Frézouls, Noms, cit., pp. 37-39.
392 Gimeno Pascual, Artesanos, cit., p. 73; cf. anche, per la medesima area, le considerazioni di
Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 104-106.
393 Queste testimonianze relative alle attività agricole nel Piceno romano possono essere utilmente
completate dai documenti in cui si fa cenno a possessores di fondi, tutti provenienti da Falerio (vd.
infra,pp. 303-319, le schede relative alle iscrizioni Falerio 5-7); tale qualifica, che nella regio V ap-
pare sempre nella forma plurale, non sembra tuttavia rientrare tra le occupazioni propriamente dette,
cf. le considerazioni supra, pp. 24-25, e infra, pp. 304-306.
394 Per le attestazioni epigrafiche dei mestieri connessi con la produzione e il commercio dei mate-
riali fittili si veda ora A.M. Rossi Aldrovandi, Corpus Titulorum Figulorum, Bologna 1997, partic. p.
98 Introduzione

Evidentemente la frequenza con la quale alcune occupazioni ritornano nelle


testimonianze doveva dipendere in parte dalle condizioni economiche dei lavoratori
stessi395: per prendere in esame solo alcune delle occupazioni meglio attestate
nell’epigrafia del Piceno, sappiamo dalla lex coloniae Genetivae che gli scribi
erano la categoria di apparitores municipali meglio pagata396 ed anche se tale te-
stimonianza a rigore di termini si dovrebbe applicare solamente alla colonia di
Urso in Spagna, diversi elementi indicano che questi impiegati avevano un ruolo di
preminenza anche nelle decurie di apparitores di Roma e nei servizi municipali di
altre comunità del mondo romano. Per quanto concerne i dispensatores, anche se
questi erano in genere di condizione servile, la natura stessa del loro incarico presso
una cassa pubblica o privata doveva consentire buone possibilità di incrementare il
loro peculium. Infine i medici, anche se quelli attivi nel Piceno ovviamente non
potevano raggiungere le favolose ricchezze degli archiatri al servizio della famiglia
imperiale, dovevano essere spesso in grado di accumulare almeno una discreta
sostanza397.

45 (negotiator cretarius); p. 73 (fictor); p. 112 (figlinator); pp. 129-133 (figulus); p. 200 (lucerna-
rius); p. 214 (tegularius); pp. 277; 287 (vasclarius / vascularius); cf. anche Delplace, Potiers, cit., 56
e nota 7. La scarsità di attestazioni di questo genere di occupazioni è stata notata anche nelle rappre-
sentazioni figurative del mondo del lavoro, vd. Pannoux, La représentation du travail, cit., p. 295. Cf.
inoltre Gimeno Pascual, Artesanos, cit., pp. 29; 67-68, che in via d’ipotesi spiega il fenomeno richia-
mandosi al debole prestigio sociale di cui godevano i lavoratori della ceramica nel mondo antico;
sulla stessa linea Morel, Élites municipales, cit., p. 184; a mio parere cause di carattere economico
hanno almeno altrettanta importanza. Sulla sostanziale inattendibilità dei dati ricavabili dalle iscri-
zioni in cui viene indicato un mestiere per stabilire l’importanza relativa delle diverse attività econo-
miche vd., per esempio, Brunt, Free Labour, cit., p. 91; P. Kneissl, Die Berufsangaben auf den In-
schriften der Städte Narbonne, Lyon und Trier, «Akten des VI. Internationalen Kongresses für Grie-
chische und Lateinische Epigraphik. München 1972», München 1973, pp. 549-551; Trombley,
Korykos, cit., p. 19 (a proposito della sottorappresentazione di pescatori e marinai); Vicari, Produ-
zione, cit., p. 11 (per i mestieri legati al settore tessile).
395 Cf. Gummerus, Industrie und Handel, cit., col. 1506; Duff, Freedmen, cit., pp. 108-109 a propo-
sito della sottorappresentazione degli schiavi negli epitafi e nelle firme sull’instrumentum; Nörr, Be-
wertung, cit., pp. 72-73; Brunt, Free Labour, cit., p. 91; A. Händel, Zur Interpretation von Inschriften
mit Berufsbezeichnungen von Handwerken und Händlern im Rom der Prinzipatszeit, «Klio», 67
(1985), p. 498; Frézouls, Noms, cit., p. 35; Morel, L’artigiano, cit., p. 257; Id., Élites municipales, cit.,
p. 184, pur sottolineando, accanto alle motivazioni economiche, anche quelle ideologiche; Drexhage,
Selbstverständnis, cit., p. 17; Joshel, Work, cit., pp. 19-20, che pure invita a non esagerare la portata
dell’argomentazione, ricordando che le associazioni funeraticie, anche all’interno di una familia
servile, i collegi professionali ed i colombaria delle grandi casate senatorie potevano assicurare la
sepoltura anche a persone che altrimenti non ne avrebbero avuto i mezzi; queste considerazioni mi
sembrano peraltro applicabili maggiormente alla situazione della città di Roma, della quale la Joshel
si occupa, piuttosto che a quella del resto dell’Italia romana. Vd. inoltre Kosmopoulou, Working
Women, cit., p. 283 a proposito del fatto che gli alti costi di un sepolcro elaborato, nel quale potesse
trovar posto anche una rappresentazione figurata di mestiere, erano fuori dalla portata economica dei
comuni artigiani.
396 Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, ll. 32 ss., che si vedrà ora nell’edizione con traduzione inglese
e commento in M. H. Crawford (a cura di), Roman Statutes, I, London 1996, pp. 393-454, partic. pp.
400-401 per il testo qui richiamato, p. 422 per la traduzione e pp. 433-434 per il commento.
397 Sullo statuto sociale dei medici vd. la bibliografia segnalata supra, p. 86, nota 352.
Introduzione 99

Di contro molti lavoratori del mondo antico, in particolare gli schiavi che
operavano nel settore dell’artigianato, non potevano nemmeno permettersi la pur
modesta spesa di un epitafio, per non parlare dell’incisione di iscrizioni votive o
onorarie: per noi il loro ricordo individuale è irrimediabilmente perduto, a meno
che non abbiamo lasciato traccia di sé nell’instrumentum iscritto da loro prodotto o
in graffiti ed iscrizioni dipinte (in quei pochi siti archeologici, come Pompei, in cui
questo tipo di documentazione è giunto fino a noi in una proporzione significa-
tiva)398. Il problema dei costi dell’incisione di un’iscrizione sepolcrale costringeva
altri a ridurre il più possibile all’essenziale il testo, che spesso presentava unica-
mente il nome del defunto, tralasciando ogni altra indicazione di carattere biogra-
fico.
Per almeno una parte di coloro che erano impiegati nelle mansioni più umili
la redazione di un’epigrafe sepolcrale, oltre che fuori dalla propria portata econo-
mica, sarà risultata anche oltre i propri limiti culturali: l’anafabetismo, la cui diffu-
sione tra i lavoratori romani è peraltro difficilmente valutabile, avrà dovuto contri-
buire in qualche misura a farci perdere il loro ricordo399.
Ma oltre a queste considerazioni di ordine economico e culturale dovevano
probabilmente aggiungersene altre di carattere ideologico: non è casuale che tra i
mestieri maggiormente attestati nell’epigrafia sepolcrale del mondo romano vi
siano quello del medico o dello scriba, ai quali potremmo aggiungere anche quelli
di architetto e di insegnante e di negotiator, commerciante su larga scala, anche se
per la verità nel Piceno abbiamo un’unica testimonianza relativa a ciascuna di que-
ste occupazioni (vd. rispettivamente Truentum 1, Urbs Salvia 4 e Cupra Maritima
1): si tratta in effetti di mestieri in cui la componente intellettuale prevaleva rispetto
a quella manuale e che, anche per l’agiatezza economica che spesso consentivano
di raggiungere, trovarono un seppur parziale riconoscimento anche negli scritti de-
gli autori più tradizionalisti. Le occupazioni più prestigiose dovevano insomma
avere maggiori possibilità di essere ricordate rispetto a quelle oggetto di di-
sprezzo 400.

398 Vd. a questo proposito i rilievi di Morel, L’artigiano, cit., p. 257 sui caratteri della documenta-
zione pompeiana.
399 Vd. a questo proposito la rapida ma interessante analisi condotta da W.V. Harris, Literacy and
Epigraphy, I, «ZPE», 52 (1983), pp. 93-95 sull’epigrafia sepolcrale di Korykos e di Tiro, due località
che hanno restituito un numero insolitamente alto di attestazioni di mestieri; cf. inoltre le considera-
zioni di Morel, L’artigiano, cit., p. 257.
400 Cf. a questo proposito Balsdon, Life and Leisure, cit., p. 135, il quale nota come non si trovino
epitafi di lanistae, come di mangones o lenones (per la verità qualche attestazione epigrafica di mer-
canti di schiavi è nota, vd. il catalogo di Harris, Roman Slave Trade, cit. pp. 129-132, che tuttavia
spiega la scarsità della documentazione anche con la reticenza che circondava questa occupazione,
oggetto di disprezzo da parte dell’élite dirigente); Huttunen, Social Strata, cit., pp. 83-85, a proposito
della relativa frequenza con la quale gli scribi indicavano la propria professione negli epitafi di Roma;
Reddé, Scènes, cit., pp. 50-51 nota che nelle scene di mestiere sono assenti i lavori più umili;
Frézouls, Noms, cit., p. 35 rileva la frequenza con la quale appare la menzione del mestiere di negotia-
tor, che poteva portare ad una prospera condizione economica, ma anche ad un notevole prestigio
sociale e politico, almeno a livello municipale. Vd. inoltre Joshel, Work, cit., pp. 78-91 e le considera-
100 Introduzione

È ovvio che, sebbene le informazioni in nostro possesso riguardino quasi


esclusivamente le concezioni delle classi alte e, a mio parere, tali idee in qualche
misura avessero una certa influenza in tutta la società, la valutazione del prestigio
di un mestiere in particolare o del lavoro in genere non era la medesima fra tutti gli
abitanti dell’impero, ma poteva mutare a seconda dei contesti geografici e sociali.
Questo fenomeno potrebbe spiegare le variazioni a livello regionale nella percen-
tuale degli epitafi in cui si trova il ricordo di un mestiere: già il Gummerus rilevava
come dalle iscrizioni della Gallia si ricavasse l’impressione che in questa area le
imprese manifatturiere godessero di maggior prestigio che in Italia401 e recente-
mente R. Chevallier ha invocato, per spiegare il numero relativamente alto di rap-
presentazioni di scene di lavoro nella Gallia Cisalpina e Transalpina, la speciale
valorizzazione del lavoro nell’ambiente culturale celtico 402. Un sondaggio prelimi-
nare in effetti ha rivelato un buon numero di testimonianze di occupazioni
nell’epigrafia della regione immediatamente a nord del Piceno, l’ager Gallicus, ma
l’ipotesi dovrà naturalmente essere sottoposta ad una attenta verifica, considerando
anche le difficoltà legate ad una valutazione statistica dei dati in nostro possesso.
Oltre al contesto geografico, ebbe certamente un’influenza sul fenomeno an-
che il microcosmo sociale in cui la gente di mestiere agiva. La frequenza con la
quale i liberti indicarono la loro occupazione nei propri epitafi è stata talvolta spie-
gata con l’effettiva prevalenza degli schiavi affrancati nei settori dell’artigianato e
del piccolo commercio 403. Sono anch’io del parere che tale prevalenza potrebbe in
qualche misura rispecchiare la situazione reale: in effetti, mentre gli ingenui ave-
vano spesso nell’azienda agricola familiare il loro naturale sbocco professionale,
gli schiavi affrancati che potevano dedicarsi alla coltivazione di un loro appezza-
mento di terreno non dovevano essere tanto numerosi; per molti di essi la scelta di
continuare ad esercitare il mestiere che avevano appreso in schiavitù o di avviare
qualche piccola impresa commerciale, con il sostegno finanziario del loro patrono,
divenne quasi obbligatoria 404. Ritengo tuttavia che il motivo principale della pre-

zioni di Giorcelli Bersani, Ceti medi, cit, pp. 62; 64 sulla visibilità degli apparitores nella società della
Cisalpina.
401 Gummerus, Industrie und Handel, cit., col. 1513.
402 Chevallier, Perspectives, cit., pp. 52-53; il fenomeno è notato anche da Morel, Élites municipales,
cit., p.184.
403 Per queste motivazioni vd. Duff, Freedmen, cit., pp. 105-106; 108-115 (pur conscio della sovra-
rappresentazione dei liberti nella documentazione in nostro possesso); De Robertis, Sulla considera-
zione sociale del lavoro, cit., p. 63; Calabi Limentani, Lavoro artistico, cit., pp. 17-18; Treggiari, Ro-
man Freedmen, cit., pp. 95-101; Staerman, Esclavage, cit., pp. 110-116. Per la prevalenza dei liberti
tra gli artigiani della penisola iberica attestati dalla documentazione epigrafica vd. Gimeno Pascual,
Artesanos, cit., pp. 75-76; nelle scene di mestiere dall’Italia vd. Zimmer, Berufsdarstellungen, cit., pp.
6-7.
404 Vd. a questo proposito le osservazioni di De Robertis, Ancora sulla considerazione sociale del
lavoro, cit., pp. 28-29; Treggiari, Roman Freedmen, cit., pp. 91; 101-102; Huttunen, Social Strata,
cit., pp. 123-124; Pavis D’Escurac, Aristocratie sénatoriale, cit., p. 354. Per la continuità nel settore di
occupazione prima e dopo l’affrancamento vd. par ticolarmente G. Fabre, Libertus. Recherches sur les
rapports patron-affranchi à la fin de la République romaine, Rome 1981, pp. 338-357, che insiste sui
legami che continuavano ad unire il liberto al suo ex-padrone, una visione che a mio parere deve
Introduzione 101

ponderanza di personaggi provenienti dall’ambiente libertino tra coloro che indica-


rono la propria occupazione nelle iscrizioni sia diverso: per i liberti, che, al pari de-
gli schiavi, tecnicamente mancavano di una famiglia d’origine e che non potevano
aspirare agli honores della carriera politica nemmeno a livello municipale, il me-
stiere doveva costituire un elemento essenziale per la costituzione della propria
identità, anche se esso era considerato di poco conto secondo i canoni ideologici
della classe dirigente: gli schiavi affrancati che ricordano un mestiere nella docu-
mentazione epigrafica dovevano solamente ad esso la propria agiatezza economica,
per quanto modesta essa fosse, e la possibilità per i loro discendenti di entrare a far
parte della società in parità di condizioni con gli ingenui; senza dimenticare che in
molti di loro l’esperienza degli anni di schiavitù, quando essi, più che esercitare un
mestiere, erano un mestiere, doveva aver lasciato un segno indelebile405. Per le
persone di nascita ingenua il significato caratterizzante della propria occupazione
doveva essere molto minore, in particolar modo se si trattava di un’attività mera-
mente manuale: questi ambienti sociali dovevano in effetti essere maggiormente
permeabili ai pregiudizi in proposito che abbiamo visto espressi in alcuni autori406.
Se la propria attività doveva spesso essere considerata un elemento essen-
ziale di identità per i liberti ciò doveva valere a maggior ragione per gli schiavi, che
ancora più di quelli si trovavano in uno stato di emarginazione sociale e che so-
stanzialmente solo nel lavoro potevano trovare un motivo di affermazione della
propria individualità: mancando tecnicamente sia di una famiglia di provenienza sia
di legami riconosciuti dalla legge e potendo in qualsiasi momento essere sradicati
dal proprio ambiente sociale con la vendita ad un altro padrone, essi portavano con
sé solamente la propria abilità professionale; inoltre, in quella sorta di microcosmo
sociale costituito dalla familia servile di una grande casata, anche il più umile dei
lavori di servizio, se implicava una vicinanza con il padrone ed una qualche
responsabilità, poteva essere giudicato un motivo di vanto per chi lo esercitava; il
sistema di valori dello schiavo riguardo alle diverse occupazioni ci sfugge quasi
completamente, pare comunque ovvio che esso non si potesse identificare total-
mente con l’ideologia del suo padrone407. A limitare il numero dei servi che ap-

essere attenuata, cf. P. Garnsey, Independent Freedmen and the Economy of Roman Italy under the
Principate, «Klio», 63 (1981), pp. 359-371.
405 Cf. Garnsey, Independent Freedmen, cit., p. 359, Kneissl, Wirtschaftsstruktur, cit., p. 239, a pro-
posito del numero di liberti nelle iscrizioni di Narbo, e soprattutto Joshel, Work, cit., pp. 32-35; 56-61;
166-167, seguita da Drexhage, Selbstverständnis, cit., pp. 13-14; cf. inoltre Rodríguez Neila in
Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 10. L’orgoglio per il successo
economico, seppure modesto, assicurato dal proprio lavoro è ben illustrato da un carme epigrafico da
Bononia, CIL XI, 6842, relativo ad un anonimo personaggio di condizione libertina: Externis natus
ter/ris, monimenta loca/vi, e parvo nobis / quod labor arte / dedit. Patrono / et una coniugi feci meae;
l’iscrizione è ripresa e commentata da Susini, Lapidario, cit., pp. 10-14, n°4; cf. anche Drexhage,
Selbstverständnis, cit., p. 23.
406 Vd. Gummerus, Industrie und Handel, cit., col. 1501; Duff, Freedmen, cit., p. 109; cf. anche J.-P.
Morel, Les producteurs de biens artisanaux en Italie à la fin de la République, «Les “bourgeoisies”
municipales italiennes aux IIe et Ier siècles avant J.-C. Centre Jean Bérard. Institut Français de Na-
ples 7-10 décembre 1981», Paris - Naples 1983, pp. 21-39.
407 Cf. Joshel, Work, cit., pp. 28-32; 49-56; 163-166.
102 Introduzione

paiono tra la gente di mestiere nelle iscrizioni vi erano tuttavia i già ricordati fattori
di ordine economico e culturale: molti essi non potevano permettersi un epitafio, o
potevano permettersene solamente uno in cui si ricordava semplicemente il loro
nome, senza alcun’altra indicazione biografica; inoltre l’analfabetismo doveva es-
sere mediamente più diffuso nell’ambiente servile che in altri strati sociali; si ag-
giunga che gli schiavi, che avevano concrete speranze di essere liberati prima di
morire, sono una classe inevitabimente sottorappresentata a scapito dei liberti negli
epitafi, la tipologia documentale che ci restituisce il maggior numero di attestazioni
di mestieri 408.
Nella decisione di far iscrivere su di un’epigrafe votiva o nell’epitafio anche
la propria professione avranno infine avuto un ruolo la psicologia del singolo e le
vicende personali della sua vita, elementi che purtroppo sfuggono completamente
alla nostra valutazione409.
Riassumendo, potremmo dire che l’indicazione individuale di
un’occupazione nelle iscrizioni funerarie e, più raramente, nelle iscrizioni votive ed
onorarie, era un elemento accessorio per definire la propria identità, la cui fre-
quenza era legata alla condizione economica, sociale e culturale del defunto, al
grado di specializzazione e al prestigio del mestiere da lui esercitato nell’ambiente
sociale in cui egli era inserito. Tali considerazioni valgono in primo luogo per
quelle attestazioni individuali di mestieri che si ritrovano nelle iscrizioni sepolcrali
e nelle epigrafi votive ed onorarie, ma possono applicarsi in certa misura anche alle
cosiddette “firme di artisti”, in particolar modo per quanto concerne i rilievi sulla
considerazione sociale del loro lavoro410.
Il discorso cambia quando ci troviamo a che fare con persone che ricordano
la propria appartenenza ad un’associazione professionale: in questo caso l’accento
è posto non tanto sull’esercizio di un mestiere o sull’agiatezza economica ed il pre-
stigio che esso poteva apportare, quanto sull’inserimento in una cellula di ricono-
sciuto rilievo nella società romana: era tale appartenenza a divenire elemento ca-
ratterizzante della propria individualità, in particolare se il personaggio in questione
aveva rivestito una qualche carica all’interno del collegium. Si è a ragione
osservato come l’organizzazione interna delle associazioni tendesse a riproporre la
struttura della comunità cittadina, con i suoi magistrati e la sua plebs, e quasi co-
stituisse una sorta di surrogato alla vita politica municipale, dalla quale i membri
dei collegia erano in larga parte esclusi411: l’orgoglio con il quale T. Sillio Caro e

408 Cf. Huttunen, Social Strata, cit., pp. 105-106; Brunt, Free Labour, cit., p. 91.
409 Treggiari, Urban Labour, cit., p. 55 accenna ad una di queste possibili motivazioni personali ri-
cordando che negozianti ed artigiani che indicarono il proprio mestiere negli epitafi erano “not always
unconscious of the advantages of advertising”; il riferimento deve intendersi primariamente a quelle
iscrizioni sepolcrali in cui veniva segnalata anche la sede dell’attività del defunto, nella grandissima
maggioranza provenienti da Roma.
410 Cf. Morel, L’artigiano, cit., pp. 257-258, che individua il momento d’oro delle firme d’artisti a
Roma agli inizi dell’età ellenistica, prima dello scoppio della I guerra punica.
411 Cf. Abbott, Common People, cit., p. 226; De Robertis, Fenomeno associativo, cit., pp. 71-72;
Burford, Craftsmen, cit., p. 161; MacMullen, Roman Social Relations, cit., pp. 76-77; Mazza, Prole-
tariato urbano, cit., p. 94 e nota 54; H.L. Royden, The Magistrates of the Roman Professional Colle-
Introduzione 103

Ti. Claudio Filippo ricordano le loro cariche di magistri e quaestores del collegio
dei fabbri di Falerio nell’epitafio del padre T. Sillio Prisco, che a sua volta era stato
magister e quaestor del collegium fabrum ed aveva esercitato le medesime cariche
nel sodalicium fullonum, non era poi molto diverso da quello messo in mostra dai
magistrati municipali o da chi aveva detenuto una carica politica a livello cen-
trale 412.

gia in Italy from the First to the Third Century A.D., Pisa 1988, pp. 12-17, partic. 12-13; Vittinghoff,
Gesellschaft, cit., pp. 211-212; Drexhage, Selbstverständnis, cit., pp. 19-20; Patterson, Collegia, pp.
234-235; R. Lafer, Omnes collegiati, «concurrite»! Brandbekämpfung im Imperium Romanum,
Frankfurt am Main 2001, pp. 84-85. Nella stessa direzione punta lo sfoggio da parte di alcuni collegi
professionali di un epiteto come splendidissimum, ripreso dal vocabolario dei municipi e delle loro
istituzioni, cf. Pavis D’Escurac, Dénominations, cit., pp. 114-115.
412 Cf. Joshel, Work, cit., pp. 113-122; l’iscrizione citata è Falerio 11.
Parte II. I documenti
I testi sono presentati per località antica di provenienza, in ordine alfabe-
tico; all’interno delle sezioni dedicate alle singole località sono trascritte in
primo luogo le epigrafi in cui vengono menzionate le occupazioni individuali,
poi le iscrizioni attinenti ai collegia di mestiere.
Sotto la voce Bibliografia si troveranno solamente i rimandi a contributi
specifici sull’iscrizione in oggetto. Gli altri lavori utilizzati per l’inquadramento
cronologico e contenutistico dei testi vengono citati nel commento.
Le diverse liste di documenti relativi ad una particolare occupazione, in
genere limitate ai testi epigrafici dell’Italia, sono il frutto di uno spoglio dei
maggiori corpora e repertori di iscrizioni e non mirano all’esaustività, quanto
piuttosto ad un inquadramento del testo che si sta commentando.

Segni diacritici
Nella trascrizione dei testi ci si è attenuti al sistema dei segni diacritici
utilizzati per la serie dei Supplementa Italica, sul quale si veda ora S. Panciera,
Struttura dei supplementi e segni diacritici dieci anni dopo, «Supplementa Ita-
lica», n.s. 8, Roma 1991, pp. 9-21.
In particolare si sono utilizzati i seguenti segni diacritici:
ABC lettere appartenenti a parole non riconoscibili
a≥b ≥c ≥ lettere identificabili solamente attraverso il contesto
+++ lettere non identificabili
abc lettere ora perdute ma trascritte in precedenza
áéí vocali con apici
âb lettere in legatura; la lettera in nesso con la seguente è segnata con
un accento circonflesso
a(bc) scioglimento delle parole abbreviate
a(---) abbreviazione irrisolvibile
(!) nota dell’editore per segnalare una particolarità del testo
(vac.) nota dell’editore per segnalare che una parte della linea non è stata
iscritta
[abc] integrazione di lacuna
[---] lacuna di dimensioni non calcolabili
[- c.5 -] lacuna in cui il numero di lettere perdute può essere calcolato al-
meno approssimativamente.
[------] lacuna di una linea
------ lacuna di un numero indefinibile di righe
[-] prenome lacunoso, il cui numero di lettere non può essere determi-
nato
[[ abc]] lettere erase in antico ancora identificabili
106 Parte II. I documenti

[[ [abc] ]] lettere erase in antico integrate dall’editore


[[ [- c.3 -] ]] lettere erase in antico il cui numero può essere calcolato al-
meno approssimativamente
“abc” lettere incise in antico al posto di quelle erase
{abc} lettere aggiunte per errore dal lapicida ed espunte dall’editore
<abc> lettere omesse per errore dal lapicida ed aggiunte dall’editore
¢abcÜ lettere corrette dall’editore
((abc)) termine inserito dall’editore al posto di un simbolo non riproduci-
bile
/ divisione di linea
// divisione di pagina
Parte II. I documenti 107

Ancona

Ancona 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5892.


Bibliografia: Delplace, Romanisation, cit., pp. 244; 250-251.
Luogo di ritrovamento: ad Ancona nel 1778, in un luogo non meglio precisa-
bile.
Luogo di conservazione: l’epigrafe, nota ai curatori del CIL solo dalla tradi-
zione erudita, sembra essere andata perduta.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito viene dalla tradizione eru-
dita.
Elementi iconografici: il testo appare inquadrato tra due pila.
Mestiere: dispensator.
Datazione: la perdita dell’iscrizione e la lacunosità del testo superstite non
consentono di precisare la sua datazione, che dovrà genericamente essere collo-
cata nella prima o nella media età imperiale.
Testo: Vertumno / Augusto sacrum, / Karus A+[---], / disp(ensator) [---], /
v(otum) s(olvit).
Commento
Si tratta di un’iscrizione di carattere votivo, con un formulario del tutto
consueto per l’epigrafia religiosa del Piceno1.
Il documento attesta l’ufficio di dispensator, ben noto sia dalle fonti let-
terarie che dalla documentazione epigrafica: si trattava di un cassiere, che po-
teva essere alle dipendenze di una qualche facoltosa famiglia, oppure essere im-
piegato nell’amministrazione pubblica, sia a livello centrale sia nei singoli mu-
nicipi, o infine essere al servizio privato della famiglia imperiale2. Nella lacuna

1 Vd. Delplace, Romanisation, cit., p. 252 e nota 181 per altre attestazioni nella regio V della
formula con nome della divinità seguito da sacrum.
2 Sulla funzione di dispensator vd. N. Vulic, Dispensator, «Diz. Ep.», II (1922), pp. 1920-1923;
S. Treggiari, Roman Freedmen during the Late Republic, Oxford 1969, pp. 143-144; G. Boulvert,
Esclaves et affranchis impériaux sous le Haut-Empire romain. Rôle politique et administratif,
Napoli 1970, pp. 429-435; H. Chantraine, Zu CIL V 370 = Inscr. It. X 2, 220, «Hermes», 9 8
(1970), p. 254; P.R.C. Weaver, Familia Caesaris. A Social Study of the Emperor’s Freedmen and
Slaves, Cambridge 1972, passim, partic. pp. 104; 201-202; 225-226; H. Chantraine, Außer-
dienststellung und Altersversorgung kaiserlicher Sklaven und Freigelassener, «Chiron», 3
(1973), pp. 308-311; G. Boulvert, Domestique et fonctionnaire sous le Haut-Empire romain. La
condition de l’affranchi et de l’esclave du Prince, Paris 1974, pp. 149-150; S. Treggiari, Jobs i n
the Household of Livia, «PBSR», 30 (1975), pp. 49-50; J. Andreau, La vie financière dans le
monde romain: les métiers de manieurs d’argent (IVe siècle av. J.-C. - IIIe siècle ap. J.-C.), Rome
1987, pp. 204-206; Id., Banque et affaires dans le monde romain (IVe siècle av. J.-C. - IIIe siècle
ap. J.-C.), Paris 2001, cit., pp. 126-127; J. Muñiz Coello, Officium dispensatoris, «Gerión», 7
(1989), pp. 107-119; J. Carlsen, Dispensatores in Roman North Africa, «L’Africa romana. Atti
del IX convegno di studio. Nuoro, 13-15 dicembre 1991», I, a cura di A. Mastino, Sassari 1992,
pp. 97-104; Delplace, Romanisation, cit., p. 244; J.-J. Aubert, Business Managers in Ancient
108 Parte II. I documenti

di ll. 3-4 si dovevano trovare informazioni sulla condizione e la branca


dell’amministrazione pubblica o privata nella quale era attivo Karus.
Osservando che nella riproduzione del CIL i resti della lettera che segue la
A di l. 3 sembrano quelli di un’asta verticale e calcolando approssimativamente
il numero di lettere che sembrano essere andate perdute, si propone, in via ipo-
tetica, l’integrazione An≥[conitan(orum)] / disp(ensator) sul modello, per esem-
pio, di quanto si può leggere nell’iscrizione CIL II, 5164 da Balsa, in Spagna:
Speratus, Bals(ensium) dis(pensator). Saremmo dunque di fronte ad un cassiere
impegnato nell’amministrazione delle finanze di un municipio3. Per il Piceno
sono noti altri due dispensatores di una cassa municipale, Rufus, cól(oniae)
disp(ensator) arce summár(um) e Ianuarius, (servus) col(oniae) disp(ensator),
entrambi da Asculum4. La congettura si fonda naturalmente sul presupposto che
il CIL riproduca fedelmente ciò che si vedeva sulla pietra; se così non fosse, al-
tre ipotesi ricostruttive sarebbero ugualmente proponibili5.
Colpisce la frequenza con la quale i dispensatores appaiono come dedi-
canti di iscrizioni votive6, come nell’esempio anconitano che stiamo esami-
nando, nonostante essi fossero quasi senza eccezione reclutati tra le persone di
condizione servile. Tale ruolo dipende forse dal livello economico e di istru-
zione di questi funzionari, assai superiore a quello degli altri schiavi. La delica-
tezza di un incarico che prevedeva l’amministrazione di somme anche conside-
revoli faceva sì che in effetti l’officium di dispensator venisse affidato ai servi
non solo di più provata fedeltà ma anche che avevano le migliori capacità pro-
fessionali e l’intelligenza più pronta; la carica offriva poi svariate occasioni di
arricchimento ed era dunque assai ambita7.

Rome. A Social and Economic Study of Institores, 200 BC - AD 250, Leiden - New York - Köln
1994, pp. 196-199; C. Bruun, Imperial procuratores and dispensatores: New Discoveries,
«Chiron», 29 (1999), pp. 34-37.
3 Cf. gli esempi riportati da Vulic, Dispensator, cit., p. 1922 e infra, pp. 124-125.
4 Su queste due iscrizioni vd. infra, pp. 123-148, Asculum 1-2. Per un altro dispensator di incer-
ta funzione cf. infra, pp. 190-192, Auximum 4.
5 Per esempio Karus Au≥[g(usti) n(ostri) verna] / disp(ensator), o anche Au≥[ gg(ustorum)
nn(ostrorum) verna / disp(ensator): in effetti la delicatezza dell’incarico faceva sì che i dispen-
satores venissero frequentemente scelti fra gli schiavi maggiormente fidati, tra i quali ovvia-
mente si distinguevano i vernae, cf. Vulic, Dispensator, cit., pp. 1922-1923, con alcuni esempi
di vernae dispensatores e soprattutto E. Herrmann-Otto, Ex ancilla natus. Untersuchungen z u
den “hausgeborenen” Sklaven und Sklavinnen im Westen des römischen Kaiserreiches,
Stuttgart 1994, pp. 369-396; per la documentazione africana vd. anche Carlsen, Dispensatores,
cit., p. 99 e nota 7. In questa ipotesi, eventuali dettagli sulla cassa in qualche modo connessa al
patrimonio imperiale amministrata da Karus potevano trovarsi a l. 4, dopo la menzione
dell’officium di dispensator.
6 Oltre alle iscrizioni citate infra, p. 109, note 8-11, e limitando l’indagine all’Italia, vd. per
esempio InscrIt IV, I, 67 da Tibur; AE 1901, 97; AE 1904, 180; AE 1928, 109; AE 1933, 116; AE
1959, 308; AE 1977, 323 = AE 1978, 348; AE 1985, 657; AE 1986, 525; AE 1992, 362; Suppl.
It., n.s. 9, p. 62, n°3: dedica ad Ercole dall’ager di Amiternum.
7 Sulla formazione e la condizione sociale dei dispensatores vd. partic. Muñiz Coello, Officium
dispensatoris, cit., pp. 107-119; Aubert, Business Managers, cit., pp. 196-199; Bruun, Imperial
procuratores, cit., pp. 34-37.
Parte II. I documenti 109

Non di rado le iscrizioni votive poste da dispensatores, e in particolare dai


dispensatores appartenenti alla familia imperiale, attestano sentimenti di lealtà
nei confronti dell’imperatore stesso, ricordando che la dedica viene fatta in
favore del sovrano o dell’intera casata imperiale8 o ancora al Numen domus
Augusti9, al Genius domus divinae10 o al Numen Larum Augusti11. Nello stesso
orizzonte sembra ricadere la nostra iscrizione votiva, nella quale il dio
Vertumno ha l’epiteto di Augustus12.
Vertumnus, attestato anche nella forma Vortumnus, è maggiormente noto
dalle elegie di Properzio e dai Fasti e dalle Metamorfosi di Ovidio13 che dalle
non numerose attestazioni epigrafiche14. L’iscrizione di Ancona sembra essere
l’unica attestazione certa di Vertumnus nel Piceno ed anche la sola in cui il dio
compaia con l’epiteto di Augustus15. Il nome della divinità compare forse in
due lacunose iscrizioni votive ritrovate a Rusellae, nella vicina Etruria16; ricor-
diamo in effetti che, secondo gli antichi, il culto di Vertumno era giunto a Roma

8 Tra le altre vd. CIL VI, 40641 da Roma; AE 1927, 107 da Giano dell’Umbria; AE 1914, 217 dal
agro casertano; AE 1973, 471 da Viminacium; AE 1932, 15 da Aïn Téki, in Tunisia; AE 1935, 8 6
da Altava, in Algeria, o, come nel caso che stiamo esaminando, essendo votate ad una divinità
che porta il titolo di Augusta, cf. AE 1959, 308 da Ampelum, in Dacia; CIL VIII, 27750 da Henchir
Aïn Zéradou, nell’Africa proconsolare; AE 1957, 86 da Thamugadi.
9 AE 1908, 117 da Ostia.
10 AE 1914, 114 da Sarmizegetusa.
11 AE 1915, 20 da Thuburbo Maius. Accanto a questi documenti si può forse considerare anche
CIL XIII, 5194, relativa al rifacimento di un tempio di Giove a Vindonissa da parte del dispensa-
tor Asclepiades, in hono[rem domus divin(ae)], se prestiamo fede alla restituzione proposta dal
CIL.
12 Così anche Delplace, Romanisation, pp. 244; 250-251, che ricorda a proposito anche la dedica
alle Nymphae Augustae di CIL IX, 5891, sempre da Ancona. Sul significato dell’epiteto Augustus
applicato a divinità vd. da ultimo D. Fishwick, The Imperial Cult in the Latin West. Studies i n
the Ruler Cult of the Western Provinces of the Roman Empire, II, 1, Leiden 1991, pp. 446-454,
con la bibliografia ivi citata.
13 A questo proposito vd. T.A. Suits, The Vertumnus Elegy of Propertius, «TAPhA», 100 (1969),
pp. 475-486; E.C. Marquis, Vertumnus in Propertius 4, 2, «Hermes», 102 (1974), pp. 491-500; R.
Gentilcore, The Landscape of Desire: the Tale of Pomona and Vertumnus in Ovid’s Metamor-
phoses, «Phoenix», 49 (1995), pp. 110-120; W.R. Johnson, Vertumnus in Love, «CPh», 9 2
(1997), pp. 367-375.
14 Raccolte da W. Eisenhut, Vertumnus, «P.W.», VIII A, 2 (1958), coll. 1685-1686, alle quali sono
da aggiungere ora forse AE 1980, 433-434.
15 Vd. tuttavia la ripubblicazione da parte di L. Gasperini, Spigolature epigrafiche marchigiane
(V), «Picus», 6 (1986), pp. 39-42 di una frammentaria epigrafe da Cluana nella quale è da rico-
noscere, con ogni verosimiglianza, una dedica sacra: [------]no Aug(usto) / [sac]rum. [------] f.
Po[------] / ------ ?. Lo studioso, tra le possibili integrazioni del nome della divinità Augusta qui
onorata, suggerisce anche [Vertum]no Aug[usto], richiamandosi all’epigrafe di Ancona di cui s i
sta trattando, anche se, per ragioni di spazio e supponendo che il termine [sac]rum a l. 3 sia per-
fettamente centrato nel campo epigrafico, ricorda come siano preferibili integrazioni quali
[Neptu]no, [Portu]no, [Satur]no o [Volca]no (vd. a questo proposito le ipotesi ricostruttive
del frammento a p. 41, fig. 7); l’ipotesi è recentemente ripresa da A. Arnaldi, Ricerche storico-
epigrafiche sul culto di Neptunus nell’Italia romana, Roma 1997, p. 197.
16 AE 1980, 433-434.
110 Parte II. I documenti

proprio dall’Etruria17. Vertumnus nelle fonti antiche appare talvolta in connes-


sione con le attività commerciali, sia sulla base della sua supposta etimologia dal
verbo verto18, sia per il suo carattere di divinità del volgere delle stagioni e dei
nuovi frutti che esse portano19, ed in genere doveva essere popolare tra le per-
sone di modesta condizione sociale che frequentavano a Roma il vicus Tuscus,
dove il dio era venerato20. La dedica posta dallo schiavo dispensator Caro può
forse confermare il ruolo avuto da Vertumno tra le classi di bassa estrazione.
Per quanto concerne il nome Carus / Karus è sufficiente ricordare che
esso è già attestato nel Piceno per il magister et quaestor collegi fabrum di
Falerio T. Sillius Karus21.
Immagine: Tav. I.

17 Cf. L.R. Taylor, Local Cults in Etruria, Rome 1923, pp. 152-152; Eisenhut, Vertumnus, cit.,
coll. 1670-1673; Marquis, Vertumnus, cit., pp. 493-499; M. Cristofani, Voltumna: Vertumnus,
«Annali della Fondazione per il Museo Claudio Faina», 2 (1985), pp. 75-88; G. Colonna, Etruria
e Lazio nell’età dei Tarquini, «Quaderni del centro di studio per l’archeologia etrusco-italica»,
15 (1987), pp. 55-71; J.-R. Jannot, Devins, dieux et démons. Regards sur la religion de Étrurie
antique, Paris 1998, pp. 164-165.
18 Cf. Porph. a Hor., Epist., I, 20, 1: Vortumnus autem deus est praeses vertundarum rerum, hoc
est, emendarum ac vendendarum, qui in vico Turario sacellum habuit; Ps. Ascon., p. 255 Stangl
a Cic., 2 Verr., I, 154: Vertumnus autem deus invertendandarum rerum est, id est mercaturae.
19 Cf. Colum., X, 308-310: … mercibus ut vernis dives Vertumnus abundet et titubante gradu
multo madefactus Iaccho aere sinus gerulus plenos gravis urbe reportet, con il commento di F.
Boldrer, L. Iuni Moderati Columellae rei rusticae liber decimus (carmen de cultu hortorum),
Pisa 1996, p. 296. Per i rapporti tra Vertumnus e le attività di transumanza vd. l’iscrizione C.
Letta - S. D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, Milano 1975, pp. 103-106, n°65, con i l
relativo commento.
20 Cf. Propert., IV, 2, 5: haec me turba iuvat; ibid., 41-46 per il culto di Vertumno nel vico Tu-
sco. In generale sul dio vd. ora anche J.P. Small, Vertumnus, «LIMC», VIII, 1 (1997), p. 235, con
la bibliografia ivi citata.
21 CIL IX, 5450, sulla quale vd. infra, pp. 346-360, Falerio 11. Un omonimo personaggio, pro-
babilmente da identificare con quello dell'iscrizione Falerio 11, è noto anche dall'epitafio da ul-
timo ripreso in AE 1981, 300, sempre da Falerio; cf. infra, p. 347, nota 1053. H. Solin, Die stadt-
römischen Sklavennamen. Ein Namenbuch, Stuttgart 1996, I, pp. 103-104 registra 5 attestazioni
del nome Carus tra i personaggi di origine servile nella documentazione urbana.
Parte II. I documenti 111

Ancona 2

Edizione di riferimento: M. Buonocore, Epigrafia anfiteatrale dell’occidente


romano. III. Regiones Italiae II-V, Sicilia, Sardinia et Corsica, Roma 1992, pp.
93-94, n°63.
Altre edizioni: CIL IX, 5906; J.-P. Waltzing, Étude historique sur les corpo-
rations professionelles chez les Romains depuis les origines jusqu’à la chute de
l’Empire occidental, III, Louvain 1899, pp. 421-422, n°1614; ILS 5128.
Bibliografia: Moretti, Ancona, cit., p. 33; P. Sabbatini Tumolesi Longo, A
proposito di alcune iscrizioni gladiatorie veronesi, «AIV», 133 (1974-1975), p.
438; Ead., Gladiatorum paria. Annunci di spettacoli gladiatorii a Pompei,
Roma 1980, p. 148 e nota 101; G. Ville, La gladiature en Occident des origines
à la mort de Domitien, Rome 1981, pp. 274; 370; 375; J.-C. Golvin - C.
Landes, Amphitéâtres et gladiateurs, Paris 1990, p. 181; M.G. Mosci Sassi, Il
linguaggio gladiatorio, Bologna 1992, pp. 123-124; Sebastiani, Ancona, cit.,
p. 85.
Luogo di ritrovamento: ritrovata nel 1863 sulle pendici meridionali del Colle
del Cardeto, nei pressi di Ancona22.
Luogo di conservazione: Ancona, Museo Archeologico Nazionale23.
Tipo di supporto: lastra in marmo, di cui sussistono ora solo due frammenti
non combacianti.
Mestiere: praeco, secunda rudis.
Datazione: il formulario, gli elementi paleografici ed il fatto che la compagnia
di gladiatori è privata e non ancora statale, inducono a datare il documento alla
prima metà del II sec. d.C.24
Testo: D(is) M(anibus). / Ti(berio) Clau≥dio / Celeri, prec/oni≥ (!) e≥x≥ lac/inia
Cl≥(audi) Sat/urnini, Be/ryllus secun/da rudis, et o/fficiales cun≥/ti (!) b(ene)
m(erenti) [f(ecerunt)].
ll. 3-4: preconi per praeconi.
ll. 9-10: cunti per cuncti.
L’interpunzione presenta segni in forma di triangolo, con il vertice verso de-
stra, che compaiono anche in corpo di parola (vd. per esempio a l. 2 in Claudio
o a l. 4 in lacinia); a l. 10 un’hedera distinguens.
Commento
L’iscrizione, epitafio di Ti. Claudio Celere, ci fa conoscere alcuni interes-
santi dettagli sull’organizzazione di una compagnia di gladiatori attiva ad An-
cona.
Il defunto era praeco, araldo, di una lacinia, cioè di una sezione di fami-
glia gladiatoria25, in particolare di quella lacinia che era di proprietà di Claudio

22Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 93.


23Buonocore, ibid.
24Buonocore, ibid.
25Riguardo al significato di lacinia in questo contesto, T. Mommsen, nel commento a CIL IX,
5906, richiamava la testimonianza di Colum., VII, 5, 3: cum deinde grex ad locum fuerit perduc-
112 Parte II. I documenti

Saturnino26. Il fatto che nelle poche iscrizioni in cui il termine è attestato non
si faccia mai parola della familia gladiatoria di cui la squadra faceva parte mi fa
sospettare che le laciniae godessero di una notevole autonomia rispetto alle
compagnie di cui facevano parte, o addirittura che lacinia fosse un termine al-
ternativo per familia gladiatoria; data l’esiguita della documentazione queste
congetture necessitano ovviamente di conferme da nuovi rinvenimenti. Il for-
mulario con il quale viene espressa l’appartenenza di Ti. Claudio Celere a questa
compagnia gladiatoria trova qualche confronto in altre epigrafi dell’Italia ro-
mana27.
Nel mondo romano i praecones ebbero modo di far valere lo strumento
essenziale del loro mestiere, la voce, in diversi settori di attività: ben noti sono
gli araldi che facevano parte delle decuriae di apparitores al servizio dei magi-
strati nella città di Roma o quelli che intervenivano nelle vendita all’asta28.
Tuttavia le attestazioni epigrafiche di praecones nel contesto di giochi gladia-
tori sono fino ad ora rarissime: al nostro documento possiamo accostare alcune
testimonianze dal mondo greco, che, nonostante avesse in khvrux una parola

tus, in lacinias colonis distribuatur. Nam particulatim facilius quam universus convalescit.
L’interpretazione mommseniana ha trovato generale consenso, cf. Waltzing, Étude, cit., III, pp.
421-422, n°1614; G. Barbieri, Lacinia, «Diz. Ep.», IV (1942), p. 332; Sabbatini Tumolesi Longo,
Iscrizioni gladiatorie veronesi, cit., p. 438; L. Montefusco, Lacinia, «TLL», VII, 2, col. 834, ll.
62-67; Ville, Gladiature, cit., p. 274; Mosci Sassi, Linguaggio gladiatorio, cit., pp. 123-124. Er-
roneamente Golvin - Landes, Amphitéâtres, cit., p. 181 scambiano Lacinia per il nome proprio
della familia gladiatoria nella quale lavorava Ti. Claudio Celere.
26 Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 93 sembra intendere che l’intera familia gladiato-
ria fosse di proprietà di Claudio Saturnino, ma il dettato dell’iscrizione non mi sembra autoriz-
zare questa interpretazione. Ville, Gladiature, cit., p. 274 parrebbe ritenere che Saturnino fosse i l
direttore della lacinia piuttosto che il proprietario: “une inscription d’Ancone nous montre une
familia organisée en escouades (laciniae), chacune sous les ordres d’un affranchi assisté par des
officiales”; il confronto con un’iscrizione di Verona (CIL V, 3459 = G.L. Gregori, Epigrafia an-
fiteatrale dell’Occidente romano. II. Regiones Italiae VI - XI, Roma 1989, p. 67, n°49) consente
forse di confutare questa ipotesi. Il testo è il seguente: D(is) M(anibus) / Aedoni, secutoris,
pug[n(arum)] VIII, / ¢ ex laciniaÜ Arianillae, / qui vix(it) an(nis) XXVI. L’epigrafe, nota solamente
dalla tradizione erudita, nel punto cruciale per la soluzione del nostro problema presenta proba-
bilmente un’errata trascrizione EXACCINA, ma la correzione ex lacinia, suggerita da Sabbatini
Tumolesi Longo, Iscrizioni gladiatorie veronesi, cit., pp. 436-441, pare altamente probabile ed è
stata accolta da G.L. Gregori nella sua recente raccolta di epigrafi concernenti i giochi gladiatori.
Se questa lettura fosse giusta ci troveremmo davanti ad una lacinia di proprietà di Arianilla,
personaggio nel quale certo non potremmo riconoscere la direttrice di una squadra di gladiatori,
come a ragione conclude Sabbatini Tumolesi Longo, Iscrizioni gladiatorie veronesi, pp. 438-
439.
27 Cf. Sabbatini Tumolesi, Gladiatorum, cit., p. 148 e nota 101.
28 Sui praecones in genere vd. F. Hinard, Remarques sur les praecones et le praeconium dans l a
Rome de la fin de la République, «Latomus», 35 (1976), pp. 730-746; J. Muñiz Coello, Emplea-
dos y subalternos de la administración romana. II. Los praecones, «Habis», 14 (1983), pp. 117-
145; sui praecones delle amministrazioni municipali M. Buonocore, Un nuovo praeco munici-
pale: Q. Pomponius Q.l. Pylades, «XIV Miscellanea Greca e Romana», Roma 1989, pp. 235-243,
ora in L’Abruzzo e il Molise in età romana tra storia ed epigrafia, L’Aquila 2002, II, pp. 815-
824; sulla loro condizione sociale si sofferma brevemente Agnati, Correlazioni, cit., p. 615, nota
56. Da notare che Praeco ritorna nel Piceno come cognomen a Castrum Novum: L. Septimius
Praeco (CIL IX, 5151).
Parte II. I documenti 113

con la quale si poteva agevolmente rendere il sostantivo latino, preferì talvolta


il calco praivkwn per designare l’araldo della familia gladiatoria29: da Cizico
proviene l’epitafio dell’invitto gladiatore Pasinikes, postogli da un araldo di
nome Parthenopaios30; a Smirne invece conosciamo il breve titolo funerario
dedicato dal praivkwn Platanos ad un tal Euchrous, che il rilievo collocato sopra
l’iscrizione consente di identificare con un reziario31; a Beroea infine è stata
rinvenuta una stele che presenta a mio parere alcuni punti di contatto con
l’epitafio di Ti. Claudio Celere32: si tratta dell’iscrizione sepolcrale di un tal
Pouvplio", di cui si ricorda la funzione come soummarouvdh", dunque di un arbi-
tro di prima categoria nei giochi gladiatorii33; il rilievo con il ritratto a figura
intera del defunto ci mostra in effetti Publio stringere nella mano destra la ru-
dis, la bacchetta con la quale l’arbitro dirigeva il combattimento. L’iscrizione
venne dedicata da un gruppo di personaggi che presumibilmente facevano tutti
parte della medesima familia gladiatoria di Publio, almeno a giudicare da quelli
che indicarono, oltre al proprio nome, anche la propria occupazione: in parti-
colare l’altro soummarouvdh", di nome “Eklekto"34, il sekoundarouvdh"
∆Onhvsimo", dunque un arbitro in seconda, collega del Berillo attestato
nell’iscrizione anconitana35, il praivkwn L. Naibhno;" Spavtalo"36 ed infine il
salpisthv" Eujtuca'"37.

29 Cf. L. Robert, Les gladiateurs dans l’Orient grec, Limoges 1940, p. 39 e nota 3.
30 H. Lechat - G. Radet, Inscriptions de la Mysie, «BCH», 17 (1893), pp. 533-534, n°39 = Robert,
Gladiateurs, cit., pp. 228-229, n°294 = IK 18, 400 da Cizico, con il commento di L. Robert,
Pukteuvein, «RA» (1929), II, pp. 35-36; ora in Opera minora selecta, I, Amsterdam 1969, pp.
702-703.
31 A.E. Contoléon, Inscriptions inédites, «REG», 13 (1900), p. 497, n°6 = Robert, Gladiateurs,
cit., p. 212, n°249 = IK 23, 414.
32 L’iscrizione è stata edita da V. Allamani-Souri, Monomacikav mnhmeiva sto Mouseivo th"
Bevroia", «AMETOS. TIMHTIKOS TOMOS GIA TON KAQHGHTH MANOLH ANDRONIKO», I,
Thessaloniki 1987, pp. 36-37, n°A6, con un’immagine a tav. 5, fig. 2, e ripresa in SEG XXXVI,
595 (cf. anche Bull. ép., 1990, n°453); ora è ripubblicata da L. Gounaropoulou - M.B.
Hatzopoulos, Inscriptiones Macedoniae inferioris (inter Bermium montem et Axium flumen re-
pertae), I, Inscriptiones Beroeae, Athenis 1998, p. 342, n°383, con immagini a p. 623.
33 Su questo significato del termine greco e del latino summa rudis vd. infra, p. 115, nota 48.
Sul personaggio vd. ora A.B. Tataki, Ancient Beroea. Prosopography and Society, Athens 1988,
pp. 264-265, n°1134 e p. 507, che erroneamente interpreta summa rudis come riferimento ad u n
gladiatore di prima classe.
34 Sul personaggio vd. Tataki, Ancient Beroea, cit., p. 148, n°429 e p. 507.
35 Sul secunda rudis vd. infra, p. 115, nota 48. Sul personaggio Tataki, Ancient Beroea, cit., p.
239, n°973 e p. 507, che erroneamente lo considera un gladiatore.
36 A l. 8 l’iscrizione recita L. Naibhno;" vacat Spavtalo" praivkwn. Nonostante l’interpretazione d i
Tataki, Ancient Beroea, cit., p. 232, n°914 e p. 276, n°1194 (cf. anche p. 507), che distingue qui
un L. Naibhnov" dall’araldo Spatalo (così apparentemente anche Gounaropoulou - Hatzopoulos,
Inscriptiones Macedoniae, cit.), ritengo preferibile riconoscere a questa riga un solo
personaggio con i tria nomina; in effetti la datazione al secondo quarto del II sec. d.C. proposta
da Gounaropoulou - Hatzopoulos, Inscriptiones Macedoniae, cit., p. 342 per l’epitafio non mi
pare accordarsi con la menzione di un personaggio dall’onomastica romana con i soli prenome e
gentilizio. Del resto la medesima spaziatura fra nomen e cognomen si può osservare a l. 4, dove
pure non dubito si possa riconoscere una sola persona, di nome L. Fuficius Restitutus. Il
114 Parte II. I documenti

La scarsa documentazione epigrafica si limita dunque a fornirci qualche


indicazione sull’ambiente sociale nel quale agivano i praecones delle famiglie
gladiatorie e sulla loro estrazione: in particolare la formula onomastica degli
araldi che compaiono nelle attestazioni in lingua greca induce a sospettare che
costoro fossero spesso di condizione servile. Del resto è probabile che lo stesso
Ti. Claudio Celere non fosse di nascita ingenua, come suggerisce il fatto che egli
porti il medesimo nomen del proprietario della lacinia per la quale lavorava,
Claudio Saturnino38; questi a sua volta sarà probabilmente stato il discendente di
un liberto imperiale di Claudio o di Nerone39. Ti. Claudii sono ovviamente ab-
bastanza ben attestati nell’epigrafia della regio V, anche se questa sembra essere
l’unica testimonianza relativa ad Ancona40.
Se le testimonianze epigrafiche nulla ci dicono riguardo al ruolo del prae-
co nei giochi gladiatori e negli spettacoli in genere, fortunatamente le testimo-
nianze letterarie ci conservano qualche informazione a questo proposito41: sap-
piamo in effetti che l’araldo invitava i cittadini ad assistere all’evento42, an-
nunciava al pubblico i diversi momenti della rappresentazione (a questo scopo

gentilizio Naibh'no", riguardo al quale sia la prima editrice come i curatori del Supplementum
Epigraphicum Graecum nutrono qualche dubbio, deve probabilmente essere rapportato a due
nomina parimenti attestati nella penisola balcanica, Nevenus di CIL III, 9773 e Naevienus d i
ILJug. 738, cf. O. Salomies, Contacts between Italy, Macedonia and Asia minor during the Prin-
cipate, «Roman Onomastics in the Greek East. Social and Political Aspects. Proceedings of the
International Colloquium on Roman Onomastics. Athens, 7-9 September 1993», a cura di A.Z.
Rizakis, Athens 1996, p. 120; lo studioso finlandese ricorda a questo proposito anche
un’inedita iscrizione urbana, ora a S. Pietroburgo, nella quale compare un T. Naevienus T. l.
Anina, ed integra in modo convincente il nome di [N]aevena ((mulieris)) l. Salvilla in una
frammentaria iscrizione da Asculum pubblicata da F. Cancrini, Nuove iscrizioni ascolane, «Pi-
cus», 5 (1985), p. 156, n°2 = AE 1990, 297. A proposito del cognome Spavtalo" (letteralmente
“spendaccione”) Gounaropoulou - Hatzopoulos, Inscriptiones Macedoniae, cit., p. 342 vi col-
gono un cenno alle incerte condizioni economiche in cui si dovevano spesso trovare i membri d i
una familia gladiatoria.
37 Sul quale vd. Tataki, Ancient Beroea, cit., p. 158, n°494.
38 Il personaggio è senz’altro ritenuto di condizione libertina da L. Gasperini nella recensione
alla monografia del Ville in «Picus», 3 (1983), pp. 235-236.
39 La datazione dell’epitafio alla prima metà del II sec. d.C. in effetti non permette di affermare
che lo stesso Saturnino fosse liberto di Claudio o di Nerone. Un Claudius Saturninus, II vir iure
dicundo, è noto da un’iscrizione proveniente dal territorio degli Equicoli, CIL IX, 4127, ma la
notevole diffusione sia del gentilizio che del cognomen non consentono di identificarlo con
almeno qualche probabilità con il proprietario della lacinia gladiatoria attiva ad Ancona.
40 Cf. Ti. Claudius Himerus di EphEp VIII, 210 = ILS 7215 da Truentum; Ti. Claudius Philippus
di CIL IX, 5450 da Falerio (su questa iscrizione vd. infra, pp. 346-360, Falerio 11; il medesimo
personaggio torna probabilmente in CIL IX, 5472); Ti. Claudius Firmus di CIL IX, 5358 da Fir-
mum; Ti. Claudius Vitalis di CIL IX, 5068 da Interamnia.
41 Sul ruolo dei praecones nei giochi dell’arena vd. Ville, Gladiature, cit., pp. 375-376; in ge-
nere sugli araldi negli spettacoli e nel servizio privato vd. K. Schneider, Praeco, «P.W.», XXII, 1
(1953), coll. 1193-1199.
42 Vd. per esempio Suet., Claud., 21, 5, a proposito dei Ludi Saeculares. Cf. inoltre Vir. ill., 51,
4: [Quintus Flaminius] Ludos Iunonis Samiae per praeconem pronuntiavit; il passo tuttavia è
corrotto e la lezione riportata è solamente ipotetica.
Parte II. I documenti 115

tuttavia potevano essere utilizzati anche dei cartelli scritti43), avvertiva gli
schiavi di allontanarsi allorché si celebravano giochi ai quali essi non potevano
assistere44, imponeva agli spettatori di fare silenzio45, infine proclamava il
nome dei vincitori46. Non dissimile da quella del praeco doveva essere la fun-
zione del curio, che nell’iscrizione del celebre mosaico con scene gladiatorie di
Smirat, in Tunisia, vediamo farsi portavoce delle richieste dei combattenti47.
I dedicanti dell’epitafio di Celere sono il secunda rudis Beryllus e gli offi-
ciales tutti, con presumibile riferimento sempre alla lacinia di Claudio
Saturnino.
Il termine secunda rudis sta a designare una sorta arbitro in seconda, che
presumibilmente collaborava con il capo arbitro, summa rudis, nel dirigere lo
scontro fra due gladiatori: qualche documento iconografico in effetti ci fa sapere
che i duelli erano talvolta arbitrati da due persone. L’arbitro prendeva il nome
dalla rudis, la bacchetta che egli utilizzava per dirigere il combattimento, e che
non deve essere confusa con l’oggetto che veniva consegnato ai gladiatori che si
ritiravano dall’arena48.
A giudicare dalla sua formula onomastica, Berillo doveva essere uno
schiavo; la non numerosa documentazione epigrafica relativa a questi arbitri in
seconda in effetti ci fa conoscere altri individui di presumibile condizione ser-
vile49, ma anche liberti50 e persone di nascita libera51. Lo stesso nome Beryllus,

43 Cf. Dio, LX, 13, 4.


44 Cf. Cic., Har. resp., 26.
45 Vd. per esempio Suet., Dom., 13, 3, a proposito dei Ludi Capitolini.
46 Si veda l’immagine utilizzata da Marco Aurelio in una lettera a Frontone (Fronto, M. Caes., II,
2, p. 25 Van den Hout): Manus do: vicisti; tu plane omnis, qui umquam amatores fuerunt, vicisti
amando. Cape coronam, atque etiam praeco pronuntiet palam pro tuo tribunali victoriam
istam tuam: M. Kornhvlio" Frovntwn u{pato" nika'/ stefanou'ntai to;n ajgw'na tw'n megavlwn
filothsivwn. Cf. inoltre Verg., Aen., V, 244-246, a proposito dei giochi funebri in memoria d i
Anchise; Paneg., IX, 13, 1 Mynors.
47 Vd. A. Beschaouch, La mosaïque de chasse à l’amphithéâtre découverte à Smirat en Tunisie,
«CRAI», 1966, pp. 134-157 (= AE 1967, 549), partic. pp. 135-136 per il termine curio e la sua
interpretazione. Lo studioso richiama a ragione Hist. Aug., Gall., 12, 4, dove un curio appare nel
medesimo contesto di venationes rappresentato nel mosaico; su questo interessantissimo do-
cumento si veda ora anche A. Beschaouch, À propos de la mosaïque de Smirat, «L’Africa ro-
mana. Atti del IV convegno di studio. Sassari, 12-14 dicembre 1986», II, a cura di A. Mastino,
Sassari 1987, pp. 677-680. Partendo dall’epigrafe di Smirat, Golvin - Landes, Amphitéâtres, cit.,
p. 181 sembrano ritenere che il curio, come del resto il praeco, fosse un semplice porte-parole
dei gladiatori, interpretazione che mi pare alquanto riduttiva, alla luce delle testimonianze sopra
esposte sul ruolo di questi araldi nei giochi. Per la sostanziale equivalenza semantica tra curio e
praeco si rimanda alla voce di E. Lommatzsch, Curio, «TLL», IV, col. 1489, ll. 43-50.
48 Sui termini secunda rudis e summa rudis vd. L. Robert, Monuments des gladiateurs dans
l’Orient grec, «Hellenica», V, Paris 1948, pp. 85-86 (raffigurazione di un summa rudis in Id.,
Monuments de gladiateurs dans l’Orient grec, «Hellenica», VIII, Paris 1950, tav. XXIV, fig. 1);
Ville, Gladiature, cit., pp. 367-372; P. Sabbatini Tumolesi, «RFIC», 112 (1984), p. 109; cf. anche
Golvin - Landes, Amphitéâtres, cit., p. 181; Mosci Sassi, Linguaggio gladiatorio, cit., p. 165,
nota 284.
49 Cf. Callimorphus di CIL XIII, 1749 da Lugdunum; Koivnto" di TAM II, 117 = Robert, Gladia-
teurs, pp. 147-148, n°110 da Telmessos; ∆Onhvsimo" dell’iscrizione di Beroea ricordata supra, p.
116 Parte II. I documenti

altrimenti ignoto nel Piceno ma ben attestato a Roma, era discretamente dif-
fuso tra schiavi e liberti52.
Nella dedica di un’iscrizione sepolcrale a Ti. Claudio Celere si uniscono gli
officiales cuncti, espressione che viene intesa designare il personale non com-
battente che faceva parte della familia gladiatoria53 o gli assistenti di Claudio
Saturnino, che collaboravano con lui nella direzione della lacinia54. In man-
canza di precisi paralleli nell’uso del termine nell’ambito dei giochi
dell’anfiteatro risulta difficile scegliere con sicurezza tra l’una o l’altra ipotesi55.
Il confronto con l’epitafio di Beroea sopra ricordato, nel quale tra i dedicanti
dell’iscrizione funebre al summa rudis Publio compaiono un altro summa rudis,
un secunda rudis, un praeco ed un suonatore di tromba, induce a ritenere che tra
i non combattenti della famiglia gladiatoria esistessero particolari legami di
solidarietà e che anche dietro gli officiales dell’iscrizione anconitana potessero
esservi arbitri, musicisti, forse istruttori ed altri addetti; certo si tratta solamente
di un’ipotesi che attende conferma, o smentita, dallo studio di nuova
documentazione.
L’epitafio di Ti. Claudio Celere è uno dei pochissimi che nel Piceno ci fa
conoscere la professione dei dedicanti del monumento sepolcrale, oltre che del
defunto: la circostanza appare chiaramente legata alla volontà di sottolineare il
legame tra il praeco ed i suoi compagni di lavoro della lacinia gladiatoria di

113. Dal dossier deve essere probabilmente espunto il personaggio nominato in SEG XXIV, 328,
da Corinto: M. Carter, A Doctor Secutorum and the Retiarius Draukos from Corinth, «ZPE», 126
(1999), pp. 262-268, partic. pp. 262-265 ha mostrato che questo presunto ejpistavth"
sekªoºuªndarouvdh"º era probabilmente un ejpistavth" sekªoºuªtovrwnº, cioè un doctor secutorum.
50 Cf. Trophimus, Aug. l. di CIL VI, 10170 = ILS 5129 = P. Sabbatini Tumolesi, Epigrafia anfi-
teatrale dell’Occidente Romano. I. Roma, Roma 1988, pp. 58-59, n°51; Flavius Sigerius di CIL
VIII, 10983 da Caesarea di Mauretania. Nella lacunosa dedica CIL VI, 33985 da Roma, posta dal
secunda rudis Ampelus Sabbatini Tumolesi, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 59-60, n°53 ricono-
sce, in via del tutto ipotetica, un liberto imperiale.
51 Cf. Menavndro" tou' ∆Apollwnivou di CIG 3916 = Robert, Gladiateurs, cit., p. 156, n°126 da
Hierapolis di Frigia e probabilmente anche Aujrhvlio" Sebhvro" dell’iscrizione da Stobi recente-
mente pubblicata da E. Bouley - N. Proeva, Un secunda rudis président d’un collège à Stobi en
Macedoine romaine, «Poikila Epigraphika», a cura di C. Brixhe, Nancy 1997, pp. 83-87. Inge-
nuo o liberto sarà stato Q. Titius Lathricus di CIL VI, 10202 = ILS 5130 = Sabbatini Tumolesi,
Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 58-59, n°51.
52 Vd. H. Solin, Die griechischen Personennamen in Rom. Ein Namenbuch, II, Berlin - New York
1982, pp. 1136-1137; Id., Sklavennamen, cit., II, p. 532.
53 Così Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 93; su tale personale si veda Ville, Gladia-
ture, cit., pp. 366-379; cf. anche Golvin - Landes, Amphitéâtres, cit., pp. 178-181, con una inte-
ressante documentazione iconografica.
54 Così Ville, Gladiature, p. 274. L’ipotesi che Claudio Saturnino fosse il direttore della squa-
dra di gladiatori che dai lui prendeva il nome sembra tuttavia da respingere, vd. supra, p. 112,
nota 26.
55 Qualche rapporto con i giochi potrebbero avere gli officiales che in CIL VI, 33942 si defini-
scono ab ara circi; ma la notazione potrebbe riferirsi strettamente al luogo dove gli officiales
esercitavano la loro attività, senza che questa avesse nulla a che fare con gli spettacoli che si te-
nevano nel circo stesso, cf. per esempio CIL VI, 9822: C. Iulius Epaphra, pomarius de circo
Maximo.
Parte II. I documenti 117

Claudio Saturnino, l’arbitro in seconda Berillo e gli altri officiales. Del resto la
documentazione in nostro possesso mostra come lo spirito di corpo esistente
nelle compagnie gladiatorie frequentemente portasse i loro membri ad assicurare
una degna sepoltura ai propri colleghi56.
La popolarità degli spettacoli gladiatorii ad Ancona agli inizi del II sec.
d.C. è dimostrata anche dal fatto che in questo periodo vennero condotti lavori
di ristrutturazione ed ampliamento del locale anfiteatro57.
Immagine: Tav. II. Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., tav. XXVI, figg. 2-
3.

56 Limitando l’indagine all’Italia possiamo ricordare, da Roma, CIL VI, 10183 = ILS 5110 = P.
Sabbatini Tumolesi, Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente Romano. I. Roma, Roma 1988, pp. 62-
63, n°59, nella quale il primus palus e doctor Aelius Marcion appare come dedicante
dell’iscrizione funebre posta al provocator spatharius Anicetus; in CIL VI, 10168 = ILS 5126 =
Sabbatini Tumolesi, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 73-74, n°79 l’intera familia gladiatoria del
Ludus Magnus si associa nel dedicare l’iscrizione sepolcrale al gladiatore Secondo; CIL VI,
7659 = ILS 5109 = Sabbatini Tumolesi, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 75-76, n°83 è
l’iscrizione funeraria posta da un provocator spatharius ad un collega della stessa specialità; i n
CIL VI, 10169 = ILS 5124 = Sabbatini Tumolesi, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 77, n°86 è i l
murmillo Iuvenis a porre l’epitafio del suo convivente (convictor) Prior, retiarius; dal resto
dell’Italia si veda CIL V, 4502 = ILS 5108a = InscrIt X, V, 295 = Gregori, Epigrafia anfiteatrale,
cit., p. 58, n°38 da Brixia, nella quale l’istruttore (doctor) Verus dedica un’iscrizione funeraria al
provocator Antigonus; Gregori, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 61-62, n°42 da Ravenna ricorda
il myrmillo e provocator Antigonus, la cui iscrizione sepolcrale venne posta dal provocator
Maximinus; CIL XI, 1070 = ILS 5118 = Gregori, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 64-65, n°46 è
l’epitafio dell’invitto reziario Vitalis, che venne eretto dal suo convictor Hy[me]n; CIL X, 7297
= ILS 5113 = Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 102-103, n°70, probabilmente prove-
niente da Palermo, ci tramanda il ricordo del secutor Flamma, cui pose l’iscrizione sepolcrale i l
suo compagno d’armi (coarmius) Delicatus; CIL X, 7364 = ILS 5093 = Buonocore, Epigrafia
anfiteatrale, cit., pp. 103-104, n°71 il trace Callisto viene sepolto dal conservus Species, che
aveva combattuto nella categoria degli equites. Di grande interesse a questo proposito anche
l’iscrizione di Venusia CIL IX, 465 = ILS 5083 = Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 97-
99, n°67, che ci conserva il ricordo di un albo del collegio funerario della familia gladiatoria d i
C. Salvio Capitone; un documento simile, sempre da Venusia, è CIL IX, 466 = ILS 5083a =
Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 99-101, n°68. Per altri casi e sulla problematica i n
generale si veda M. Grant, Gladiators, London 1967, p. 101; Ville, Gladiature, cit., pp. 331-332.
57 Come nota Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 93, alla cui bibliografia si rimanda.
Sull’anfiteatro di Ancona si veda Alfieri, Topografia storica, cit., pp. 191-192 (con accenno
all’epigrafe in oggetto a pp. 191-192, nota 1); Moretti, Ancona, cit., pp. 61-70; J.-C. Golvin,
L’amphithéâtre romain. Essai sur la théorisation de sa forme et des ses fonctions, Paris 1988,
pp. 110-111, n°78; Sebastiani, Ancona, cit., pp. 40-44; 85-86, con breve cenno all’iscrizione d i
Ti. Claudio Celere. Moretti, Ancona, cit., p. 33, sulla base di questo epitafio, ipotizza l’esistenza
di una scuola gladiatoria ad Ancona.
118 Parte II. I documenti

Ancona 3

Edizione di riferimento: CIL IX, 5905.


Bibliografia: Alfieri, Topografia storica, cit., p. 169; Moretti, Ancona, cit., p.
33; C. Lo Giudice, Unguentarii, «Epigrafia della produzione e della distribu-
zione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde
romain organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’Ecole française
de Rome, Rome 5-6 juin 1992», Rome 1994, p. 748.
Luogo di ritrovamento: scoperta nel 1812 tra i blocchi della pavimentazione
della cattedrale di Ancona.
Luogo di conservazione: l’iscrizione sembra oggi perduta; gli editori del Cor-
pus Inscriptionum Latinarum segnalano l’esistenza, nella cripta della cattedrale
di Ancona, di una copia recenziore dell’epigrafe, che si riporta nella trascrizione
in maiuscole del CIL: SC T ASINIO / SEVERO UA CINARIO / ET VECILIAE
LEVE / CON/IUCI UIUI SIBI POSUERUNT.
Tipo di supporto: nessuna indicazione viene dalla tradizione erudita registrata
in CIL.
Mestiere: unguentarius.
Datazione: la semplicità del formulario e l’assenza dell’adprecatio agli dei
Mani mi inducono a proporre una datazione del testo entro la metà del I sec.
d.C.
Testo: [T(ito)] Asinio / Severo, u[ngent]ario, / et Veciliae Leve con/iugi, vivi
sibi posuerunt.
l. 3: Leve per Laevae (?).
Commento
L’epitafio anconitano ci fa conoscere un commerciante o un fabbricante
di unguenta, profumi costituiti da una base oleosa, che veniva aromatizzata con
essenze vegetali, provenienti in particolare dall’Oriente. Lo scioglimento
u[ngent]ario, al posto della forma più corretta u[nguent]ario, è proposta dal
CIL, apparentemente sulla base dello spazio a disposizione nella lacuna. La
forma ungentarius per unguentarius è peraltro assai frequente nei testi epigra-
fici, per un noto fenomeno di pronuncia dura della velare G davanti a vocale
palatale58.

58 Cf. Lo Giudice, Unguentarii, p. 747 e nota 7, dove sono raccolte le attestazioni delle diverse
grafie di questa occupazione nelle epigrafi pubblicate in CIL e AE. In genere sugli unguentarii s i
veda inoltre J. Marquardt, Das Privatleben der Römer, Leipzig 1886, p. 782 e nota 3; A. Hug,
Salben, «P.W.», I A 2 (1920), coll. 1859-1860; H.J. Loane, Industry and Commerce of the City o f
Rome (50 B.C. - 200 A.D.), Baltimore 1938, pp. 142-143; A. Händel, Der Handel mit Drogen und
Spezereien im Rom der Prinzipatszeit in Auswertung der Inschriften (Salz und Honig, Gewürze,
Medikamente, Duftstoffe, Toilettegegenstände, Farben), «MBAH», 4 (1985), 1, pp. 30-48, partic.
pp. 36-39; Lo Giudice, Unguentarii, cit., pp. 745-751; J. Korpela, Aromatarii, pharmacopolae,
thurarii et ceteri. Zur Sozialgeschichte Roms, «Ancient Medicine in its Socio-Cultural Context.
Papers Read at the Congress Held at Leiden University 13-15 April 1992», a cura di P.J. van der
Eijk - H.F.J. Horstmanshoff - P.H. Schrijvers, I, Atlanta 1995, pp. 101-118. Per quanto riguarda
gli unguentarii di Pompei si veda anche il divulgativo ma piacevole C. Giordano - A. Casale,
Profumi unguenti e acconciature in Pompei antica, Roma 1992, partic. pp. 7-8. Le iscrizioni re-
Parte II. I documenti 119

Il commercio degli unguenta, importante bene di lusso nella società ro-


mana59, era considerato assai lucroso: gli unguentarii appaiono in alcuni casi
nelle fonti letterarie tra quei commercianti coi quali si poteva bruciare un pa-
trimonio60. L’esercizio di questo mestiere tuttavia doveva comportare, insieme
a consistenti guadagni, anche alti investimenti. Appare dunque logico indagare la
condizione sociale di T. Asinius Severus e rilevare eventuali sue connessioni con
qualche facoltosa famiglia in grado di fornire il capitale iniziale necessario per
avviare l’attività61.
Lo stato giuridico di T. Asinius Severus è purtroppo incerto, anche se la
mancanza dell’indicazione del patronimico potrebbe far pensare che il perso-
naggio fosse di condizione libertina e che avesse omesso il ricordo del patronato
per non sottolineare la propria nascita servile. In effetti le indagini sulla condi-
zione sociale degli unguentarii nel mondo romano indicano come nella maggior
parte dei casi essi fossero dei liberti62. Il gentilizio, per il momento sconosciuto
nel Piceno, ovviamente richiama alla mente la nota famiglia degli Asinii della
non lontana Teate Marrucinorum, cui apparteneva anche il celebre Asinio

lative agli unguentarii delle province galliche, germaniche e danubiane sono brevemente prese
in esame da O. Schlippschuh, Die Händler im römischen Kaiserreich in Gallien, Germanien und
den Donauprovinzen Rätien, Noricum und Pannonien, Amsterdam 1974, p. 75. Sul termine un-
guentarius vd. H. Von Petrikovits, Die Spezialisierung des römischen Handwerks, «Das
Handwerk in vor- und frühgeschichtlicher Zeit», I, a cura di H. Jankuhn - W. Janssen - R.
Schmidt-Wiegand - H. Tiefenbach, Göttingen 1981, p. 118; ora in Beiträge zur römischen Ge-
schichte und Archäologie. II. 1976-1991, Köln 1991, p. 132; M. Wisseman, Die Spezialisierung
des römischen Handels, «MBAH», 3 (1983), 1, p. 123; S. Albert, De opificibus Romanis atque de
opificum nomenclatione latina, «Vox Latina», 23 (1987), p. 533.
59 Cf. Lo Giudice, Unguentarii, cit., pp. 747-748; per la trattazione degli unguenta nella Natu-
ralis Historia di Plinio il Vecchio si veda ora la puntuale analisi di L. Taborelli, Aromata e me-
dicamenta exotica in Plinio, «Athenaeum», 79 (1991), pp. 527-562; 82 (1994), pp. 111-151;
sugli unguenta in genere vd. anche Hug., Salben, cit., coll. 1851-1866; J.H. Miller, The Spice
Trade of the Roman Empire (29 B.C. to AD 641), Oxford 1969, passim; G. Donato - M.E. Minardi
Branca - A. Rallo, Sostanze odorose nel mondo classico, Venezia 1975; L. Taborelli, Vasi di ve-
tro con bollo monetale (Note sulla produzione, la tassazione e il commercio degli unguenti
aromatici nella prima età imperiale), «Opus», 1 (1982), pp. 315-340.
60 Cf. Plaut., Trin., 402-411, ove il giovane Lesbonico deve constatare di aver sperperato in u n
paio di settimane una somma di 40 mine, parte delle quali erano finite nelle tasche del pesciven-
dolo, del panettiere, dei beccai, dei cuochi, dei verdurieri, dei profumieri (qui chiamati, alla
greca, myropolae) e degli uccellatori; in Hor., Sat., II, 3, 224-230 il noto scialacquatore
Nomentano, trovatosi tra le mani un favoloso patrimonio di 1.000 talenti, convoca di buon ora i l
pescatore, l’ortolano, l’uccellatore, l’unguentarius, il pollaiolo, i buffoni, i beccai del Velabro
ac Tusci turba impia vici.
61 Cf. Pavis D’Escurac, Aristocratie sénatoriale, cit., pp. 347-349; D’Arms, Commerce, cit., pp.
167-168; Händel, Handel mit Drogen, cit., pp. 39-40; Korpela, Aromatarii, cit., p. 106; Tassini,
Produzione e vendita, cit., pp. 692-694, a proposito dei liberti delle gentes Trebonia e Faenia
che esercitavano a Roma il mestiere di unguentarius e quello affine di thurarius, venditore
d’incenso.
62 Cf. Lo Giudice, Unguentarii, cit., p. 748, che pone Asinio Severo tra gli incerti. Cf. anche
Korpela, Aromatarii, cit., pp. 105-106, in riferimento alla sola documentazione proveniente dalla
città di Roma.
120 Parte II. I documenti

Pollione63; una difficoltà è data tuttavia dal fatto che il prenome Tito non è at-
testato nella famiglia senatoria e pare invero piuttosto raro nella gens Asinia,
almeno al di fuori di Roma64: nel resto dell’Italia abbiamo in effetti solamente
notizia del vestiarius T. Asinius T. l. Antiochus di CIL IX, 1712 da Beneventum.
Si deve peraltro rilevare come nella nostra iscrizione il praenomen T(itus), an-
dato perduto nell’originale, sia semplicemente un’integrazione proposta sulla
base della copia dell’iscrizione di cui si è fatto cenno, ed è dunque da considerare
tutt’altro che certo. Qualche indizio sulla condizione sociale dell’unguentarius
potrebbe esserci fornito anche dal noto cognomen Severus, che non è certo tra
i più popolari nell’onomastica servile65. L’esame delle attestazioni di questo
cognome del Piceno conferma tale osservazione66. Non potrei dunque escludere
che anche T. Asinio Severo potesse essere di nascita ingenua.
Riguardo all’onomastica della moglie dell’unguentarius, il gentilizio
Vecilius è anch’esso un unicum nel Piceno; un esame della diffusione di questo
nomen in Italia67 ci riporta forse ad Hispellum, nella vicina Umbria, città dalla
quale proveniva C. Vecilius C. f. Lem. Modestus, che in patria fu VI vir, aedilis,
II vir iure dicundo, quaestor II ed augur, intraprendendo poi una carriera mili-
tare che lo portò a rivestire l’incarico di tribunus militum legionis VI Ferratae e
di praefectus cohortis I Thracum Syriacae68. La forma Leve in caso dativo po-

63 Sugli Asinii di Teate si veda da ultimo M. Torelli, Ascesa al Senato e rapporti con i territori
d’origine. Italia: regio IV (Samnium), «Atti del Colloquio Internazionale AIEGL su Epigrafia e
ordine senatorio. Roma, 14-20 maggio 1981», Roma 1982, II, p. 186 e stemma a p. 187.
64 A Roma sono attestati T. Asinius Vernus di CIL VI, 35206; T. Asinius Apollonius e T. Asinius
Orpheus in CIL VI, 200, col. I, rispettivamente alla l. 3 e alla l. 16; T. Asi[nius] Priscus di CIL VI,
34533, T. Asinius Antipater di CIL VI 12521; i liberti Antipater e Tertius di due Titi Asinii sono
ricordati in CIL VI, 7450.
65 Vd. I. Kajanto, The Latin cognomina, Helsinki 1965, pp. 256-257.
66 Certamente ingenui sono L. Ampius L. f. Severus di CIL IX, 5088 da Interamnia, C. Antistius
Severus, miles cohortis VIIII praetoriae di AE 1900, 2 da Isola del Gran Sasso, M. Oppius Capito
Q. Tamudius Q. f. T. n. T. pr. n. Milasius Aninius Severus di CIL IX, 5831 e 5832 = ILS 6573 =
Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 39, n°5, e C. Oppius C. f. Sabinus Iulius Nepos M’.
Vibius Sollemnis Severus di CIL IX, 5833, entrambi da Auximum, [C. Tu]rpidius C. f. Severus d i
CIL I2, 1924 = CIL IX, 5557 da Urbs Salvia, C. Ruficanius C. f. Severus di Suppl. It., n.s. 13, p.
216, n°5 da Septempeda, L. Attius Severus di CIL IX, 5841 = Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., pp. 173-175 da Auximum; di incerta condizione P. Naevius Severus d i
CIL IX, 5026 da Hadria, Claudius Severus di CIL IX, 5877 = Prosperi Valenti, Un esemplare
inedito, cit., p. 83, n°34 da Auximum e P. Annius Severus di CIL IX, 5910 da Ancona.
67 Attestazioni raccolte e studiate da L. Bivona, Appunti di onomastica termitana (I Cestii, i
Granii e i Vecilii), «Scritti sul mondo antico in memoria di F. Grosso», a cura di L. Gasperini,
Roma 1981, pp. 48-53; sono ora da aggiungere AE 1982, 99 da Roma e, fuori dall’Italia, AE
1984, 530 da Baelo, in Betica, nonché dalla Britannia RIB 353, che attesta l’esistenza di una
((centuria)) Veciliana.
68 Il cursus honorum di C. Vecilio Modesto ci è noto da un’iscrizione di Timacum Minus, nella
Mesia superiore, CIL III, 8261 = ILS 2733 = IMS III, 2, 23. Sul personaggio si veda da ultimo H.
Devijver, Prosopographia militiarum equestrium quae fuerunt ab Augusto ad Gallienum, Lo-
vanii 1976 - 1993, II, p. 843; IV, p. 1763; V, p. 2273, n°V 59, con la bibliografia ivi citata.
Parte II. I documenti 121

trebbe presupporre un cognomen Laeva che, seppure mai attestato69, è perfet-


tamente plausibile come femminile del noto Laevus70.
Per concludere l’analisi dell’onomastica dei due personaggi ricordati
nell’epitafio di Ancona, vorrei rilevare quella che con ogni probabilità è solo
una curiosa coincidenza: sia T. Asinius Severus che Vecilia Laeva presentano
rapporti onomastici abbastanza stretti con due vestiarii dell’odierna Campania:
il già ricordato T. Asinius T. l. Antiochus di Beneventum e M. Vecilius
Verecundus di Pompei, attestato dal graffito CIL IV, 3130: almeno al momento
comunque è troppo poco per ipotizzare che il rapporto fra T. Asinio Severo e
Vecilia Leva possa essere nato nell’Italia meridionale, nell’ambiente di chi con-
fezionava e vendeva indumenti, e che in seguito il loro sodalizio di vita, e forse
anche di lavoro, si sia spostato nel Piceno e nel settore degli unguenta.
Non stupisce la presenza di un unguentarius ad Ancona, porto aperto ai
traffici verso l’Oriente, dal quale come si è detto provenivano buona parte delle
essenze utilizzate per preparare gli unguenti71. Una conferma di questo ruolo
della vecchia colonia siracusana già in età tardorepubblicana si ha dall’orazione
Pro Cluentio, nella quale Cicerone narra di come il pharmacopola circumfora-
neus L. Clodio di Ancona, un venditore ambulante di medicamenti che si tro-
vava a Larinum nel corso di un suo giro di affari, venisse ingaggiato da Oppia-
nico, patrigno di A. Cluenzio Abito, per avvelenare la suocera Dinea. Eseguito il
crimine con rapidità e decisione, Clodio ripartì per le altre piazze che gli resta-
vano da toccare72. Lasciando da parte l’inquietante professionalità mostrata da
L. Clodio in questa occasione, l’aneddoto rivela che Ancona doveva essere un
eccellente luogo dove impiantare un’attività di confezione e vendita di unguenti
e medicamenti e che in questo settore commerciale l’ambito d’azione degli un-
guentarii e dei pharmacopolae anconitani poteva addirittura oltrepassare i con-
fini del Piceno, per toccare il vicino Sannio.
Tuttavia, anche se il volume di affari che gli unguentarii dovevano muo-
vere poteva essere ingente, essi, al pari del resto di molti altri rappresentanti del
mondo dei mestieri e del commercio, sono oggetto di disprezzo nelle analisi di
Cicerone e di Seneca73 e nelle Satire di Orazio74, una disistima sulla quale vi do-

69 Almeno secondo H. Solin - O. Salomies, Repertorium nominum gentilium et cognominum La-


tinorum, Hildesheim - Zürich - New York 19942.
70 Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 242. Alfieri, Topografia storica, cit., p. 173 preferisce pen-
sare al più comune cognomen Levis.
71 Così anche Alfieri, Topografia storica, cit., pp. 169-170 e Moretti, Ancona, cit., p. 33.
72 Cic., Cluent., 40, testimonianza citata supra, p. 75, nota 315. L’iscrizione di Asinio Severo e i l
passo ciceroniano sono richiamati anche da Sebastiani, Ancona, cit., p. 28 a proposito delle at-
tività legate alla farmacopea ad Ancona.
73 Cf. Cic., Off., I, 150, ove i profumieri sono posti tra gli opifices che esercitano artes sordidae;
Sen., Ep. ad Lucil., 88, 18, in cui l’autore afferma che la lotta e quell’arte che consiste nel sapersi
ungere d’olio o imbrattare di fango non può essere inclusa tra le arti liberali; se lo facessimo
saremmo infatti costretti ad accogliere nel novero anche gli unguentarii ed i cuochi, insieme a
tutti coloro che s’industriano per soddisfare le voluptates; cf. anche forse Cic., Att., XIII, 46, 3, i n
cui l’oratore si lamenta con Attico del fatto che l’unguentarius Plotius, attraverso i suoi schiavi,
abbia informato Balbo su tutti i particolari concernenti una certa eredità, mentre Cicerone stesso,
122 Parte II. I documenti

veva essere largo consenso nelle classi alte della società romana di età tardore-
pubblicana ed imperiale, se Antonio ritenne utile accusare il bisavolo materno di
Ottaviano di aver esercitato i mestieri di unguentarius e pistor ad Aricia75.
Immagine: Tav. III.

che pure era coinvolto nell’affare, era rimasto all’oscuro di tutto: in effetti non sono certo che la
notazione del mestiere intendesse mettere in cattiva luce una figura della quale Cicerone aveva
di che lagnarsi o non fosse piuttosto un modo per meglio identificare il personaggio.
74 Vd. supra, p. 119, nota 60.
75 Suet., Aug., 4, 3. Sugli unguentarii nella letteratura satirica del I sec. d.C. vd. inoltre E. H.
Brewster, Roman Craftsmen and Tradesmen of the Early Empire, Philadelphia 1917, pp. 70-72.
Parte II. I documenti 123

Asculum

Asculum 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5177.


Altre edizioni: il testo venne visto nel 1765 ad Ascoli Piceno, “nel muro tra
il Duomo e il Palazzo Episcopale” dall’erudito senese Giovan Girolamo Carli e
trascritto, con poche varianti rispetto all’edizione del CIL, nelle Memorie di un
viaggio di G.C. C(arli) fatto per l’Umbria, per l’Abruzzo, e per la Marca; dal dì
6 Agosto al dì 14 Settembre 1765, f. 23 del ms. 3214 della Biblioteca Comunale
Augusta di Perugia76; Waltzing, Étude, III, p. 417, n°1601; ILS 5450; Cancrini
in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 63-66.
Bibliografia: R. Duncan-Jones, An Epigraphic Survey of Costs in Roman
Italy, «PBSR», 33 (1965), p. 260, n°849; U. Laffi, Storia di Ascoli Piceno
nell’età antica, «Asculum I», Pisa 1975, pp. LI; LIII; LIV; Delplace, Romani-
sation, cit., pp. 78; 242; A.A. Amodio, Asculum, «Atlante», a cura di De
Marinis - Paci, cit., p. 98; Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergeti-
smo, cit., pp. 19; 24, 32; 39-40.
Luogo di ritrovamento: il luogo di ritrovamento preciso del nostro testo è
sconosciuto.
Luogo di conservazione: murata alla parete del Palazzo episcopale di Ascoli
Piceno, a destra della facciata della Cattedrale, in piazza Arringo (autopsia mag-
gio 2001).
Tipo di supporto: Lastra in marmo; lo specchio epigrafico è delimitato da una
cornice modanata.
Mestiere: dispensator arcae summarum.
Collegio: collegio ignoto.
Datazione: la datazione al dodicesimo giorno prima delle calende di agosto
dell’anno di consolato di Ser. Calpurnio Scipione Orfito e di Quintilio Massimo
rimanda al 21 luglio del 172 d.C.77
Testo: Fortunae Reduci. / Rufus, cól(oniae) disp(ensator) arce (!)
summár(um), / omní cultu exornát(am) dé suo posu/it idemque decrét(o)
órdin(is) templum / a solo sumptu suo maximo conláto / perficiendum curávit,

76 Su questo manoscritto epigrafico, che non venne visto dagli editori di CIL IX e di CIL XI, s i
veda G. Forni, Epigrafi romane in Umbria, Sabina, Piceno e a Perugia, trascritte o segnalate i n
mss. sconosciuti di G.C. Carli (1765 e 1753), «Epigraphica», 46 (1984), pp. 200-207; ora i n
Scritti vari di storia, epigrafia e antichità romane, II, a cura di M.G. Angeli Bertinelli, Roma
1994, pp. 693-700. La memoria del Carli è ora stata pubblicata in edizione diplomatica, con note
e contributi di inquadramento: G.C. C(arli), Memorie di un viaggio fatto per l’Umbria, per
l’Abruzzo, e per la Marca, dal dì 6 Agosto al dì 14 Settembre 1765, a cura di G. Forni, Napoli
1989.
77 Cf. A. Degrassi, I fasti consolari dell’Impero romano dal 30 avanti Cristo al 613 dopo
Cristo, Roma 1952, p. 48.
124 Parte II. I documenti

cuius dedicati/one singulis in collégio ((sestertios)) XX n(ummos) ded(it). /


Dedicatum XII kal(endas) Aug(ustas), Orfito et Maximo co(n)s(ulibus). / Si qui
clipeum ponere volet dabit arce (!) ((sestertium)) II (i.e. duo milia)
n(ummum).
l. 2: arce per arcae.
l. 4: I longa in idem.
l. 7: la N di n(ummos) è sopralineata.
l. 9: clipeum Carli; clupeum CIL; un controllo sulla fotografia gentilmente for-
nitami da G. Paci ha agevolmente permesso di confermare la lettura dell’erudito
senese. arce per arcae. La N di n(ummum) e il numerale sono sopralineati.
L’interpunzione è utilizzata con regolarità per dividere le parole; alla fine di l. 4
un’hedera distinguens.
Commento
L’iscrizione è una dedica alla Fortuna Redux, nella quale un servo
dell’amministrazione municipale di Asculum, il cassiere Rufo, ricorda l’erezione
di una statua e la costruzione dalle fondamenta di un tempio, in connessione con
il culto della stessa dea Fortuna. In occasione della dedica dei monumenti, Rufo
provvide alla distribuzione di una somma di denaro ai membri di un collegio non
meglio specificato.
La funzione rivestita dal dedicante ci riporta a quei dispensatores sui quali
ho già avuto modo di soffermarmi a proposito di una lacunosa epigrafe di An-
cona78. In questo caso ci troviamo senza dubbio davanti ad un cassiere munici-
pale, che lavorava presso l’arca della colonia di Asculum79, al pari dell’arcarius
(o vicarius), e dispensator Ianuarius, noto da un’iscrizione funeraria che sarà
analizzata in seguito80. La denominazione dell’ufficio di Rufo nella formula di-
spensator arcae summarum sembra essere attestata unicamente in questa iscri-
zione: tra gli altri cassieri di municipi a noi noti, il già citato Ianuario da Ascu-
lum si definisce semplicemente coloniae dispensator, il liberto Valerianus da

78 Vd. supra, pp. 107-110, Ancona 1.


79 La menzione di un collegium nelle linee seguenti dell’iscrizione apre, almeno in linea teorica,
la possibilità che Rufo esercitasse le sue funzioni di cassiere nell’ambito di questa associazione;
in effetti dispensatores di collegia ci sono noti a Roma da CIL VI, 360 per la corporazione dei
geruli e, forse, a Dertona, da dove proviene la lacunosa CIL V, 7372. Nel caso dell’iscrizione d i
Asculum che stiamo esaminando questa possibilità sembra tuttavia abbastanza remota: a quanto
ne so l’abbreviazione COL per collegium è attestata solamente una volta nel Piceno,
nell’iscrizione CIL IX, 5368 da Firmum (sulla quale vd. infra, pp. 376-383, Firmum 4), contro gli
innumerevoli esempi in cui la sigla sta per colonia; inoltre, come si è detto, un dispensator
della colonia di Asculum è attestato anche dall’iscrizione EphEp VIII, 217 (sulla quale vd. infra,
pp. 138-148, Asculum 2). Sul dibattuto problema della datazione dello statuto coloniario d i
Asculum vd. Laffi, Storia di Ascoli, cit., pp. XXXIX-XLI e Delplace, Romanisation, cit., pp. 62-63,
ove si troveranno anche i rimandi alla documentazione epigrafica rilevante.
80 EphEp VIII, 217, sulla quale vd. infra, pp. 138-148, Asculum 2; in particolare per lo statuto
giuridico di Ianuarius vd. infra, p. 142. Sull’arca municipale si veda F. Fuchs, Arca, «Diz. Ep.»,
I (1895), pp. 628-629 e il sempre utile W. Liebenam, Städteverwaltung im römischen Kaiserrei-
che, Leipzig 1900, pp. 297-299. In genere sulle finanze municipali in età imperiale F. Jacques, Le
privilège de liberté. Politique impériale et autonomie municipale dans les cités de l’Occident
romain (161-244), Rome 1984, pp. 290-298.
Parte II. I documenti 125

Pola è un summaru[m] dispensat(or) (InscrIt X, I, 104 = CIL V, 83), mentre


Eucharistus da Parma è un (servus) publ(icus) disp(ensator) pec(uniae) (CIL
XI, 1066); fuori dall’Italia possiamo ricordare Speratus, Bals(ensium)
dis(pensator), da Balsa, in Spagna (CIL II, 5164) e Athenio, dispensator publi-
cus in un’iscrizione ritrovata a Santacris, nella provincia Tarraconense (AE
1971, 199)81. L’espressione summarum può comparire anche senza un sostan-
tivo in caso nominativo, a designare cassieri dipendenti sia da un privato sia,
forse, da una comunità82.
Rufo doveva essere uno schiavo, come si evince anche dalla sua formula
onomastica83: in effetti, come si è visto, i dispensatores nella grandissima mag-
gioranza dei casi erano di condizione servile, qualsiasi fosse la branca
dell’amministrazione pubblica o privata alla quale essi erano preposti. Questo
stato giuridico tuttavia non deve trarci in inganno riguardo alle condizioni eco-
nomiche e, presumibilmente, al prestigio sociale di cui i dispensatores godevano:
Rufo anzi si rese autore di liberalità paragonabili a quelle che ci attenderemmo
da un grande notabile cittadino84.

81 Agli esempi citati Vulic, Dispensator, cit., p. 1922 aggiunge anche quelli di Charito, Ne-
viod(unensium) summ(arum) che, nonostante l’espressione ellittica, ha buone probabilità di es-
sere effettivamente anch’egli un cassiere della municipalità (CIL III, 3921) e quello d i
Venustinus, summ(arum) (dispensator) di CIL III, 5532 da Iuvavum (per errore Vulic rimanda a
CIL III, 5432); non sono tuttavia certo che in questo caso si trattasse veramente di un dispensa-
tor alle dipendenze della comunità, in considerazione del fatto che incontriamo impiegati sem-
plicemente definiti summarum alle dipendenze di privati, vd. nota seguente.
82 La documentazione è raccolta e studiata da H. Solin, Analecta epigraphica XXXVII. Summa-
rum, «Arctos», 10 (1976), pp. 93-94.
83 Riguardo alla condizione di Rufo vd. anche Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. LI, nota 185, i l
quale ritiene che il genitivo coloniae vada riferito ad un sottinteso servus. Il comunissimo co-
gnomen Rufus è naturalmente ben attestato nel Piceno: cf. ad Auximum C. Turcius N. f. Rufus d i
CIL IX, 5844 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 69, n°20, C. Plautius C. f. Rufus d i
CIL IX, 6384 e lo scriba L. Feronius L. f. Vel. Ru[fus] di CIL IX, 5858, iscrizione analizzata infra,
pp. 219-221, Auximum 10; a Castrum Novum [-] Lartius L. f. [P]ap. Rufus di CIL IX, 5150; a
Firmum M. Clodius C. f. Rufus Vel. Rufus di CIL IX, 5386 e L. Herennius C. f. Vel. Rufus di CIL IX,
5396; a Falerio Q. Allius Q. f. Vel. Rufus di CIL IX, 5441, [-] Petronius T. f. Rufus di AE 1960,
256 e da S. Ginesio C. Petillenus C. f. Rufus di CIL IX, 5521; ad Hadria T. Pomponius T. f. Mae.
Rufus di CIL IX, 5034; ad Interamnia Q. Ofillius C. f. Ruf(us) di CIL IX, 5052 = ILS 5404 = ILLRP
152 e C. Arrenus T. f. Rufus di CIL IX, 5067 = ILS 5666; a Pausulae il cognomen appare in u n
lacunoso titolo funerario edito in CIL IX, 5795; a Septempeda si segnala [- Pe]tillio + f. Rufus d i
CIL IX, 5580, C. Petillius M. f. Rufus (identificabile col precedente?) di CIL IX, 5584, Q. Vibius
Sp. f. Rufus di CIL IX, 5627 ed ancora CIL IX, 5528, iscrizione che ricorda un locus Vibi Rufi; i l
nome è altrimenti attestato anche ad Asculum, vd. infra, p. 190, Asculum 4, per lo scriba
quinquennalis Q. Petronius Q. f. Rufus, CIL IX, 5232 per [-] Pontulenus [-] f. Rufus, 5242 per L.
Sav[---] Rufu[s]; da Monterubbiano, nel territorio di Asculum, proviene l’attestazione di un C.
Insidius Rufus, vd. O. Tonici, Due urne cinerarie da Monterubbiano (AP), «Picus», 10 (1990),
pp. 227-229, n°2 (= AE 1993, 593). Come si vede, a parte il caso sotto esame, nel Piceno il nome
Rufo appare solo in un’altra occasione per schiavi o liberti; in effetti le attestazioni di Rufus per
personaggi di sicura origine servile non sono molto numerose, in confronto all’enorme diffu-
sione che questo cognome ebbe, cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 229 (e le considerazioni a
p. 134); per le attestazioni nella documentazione urbana Solin, Sklavennamen, cit., I, p. 54.
84 Cf. in particolare Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 39-40.
126 Parte II. I documenti

In primo luogo si menziona la donazione di una statua, il cui ricordo è


sottinteso nell’espressione omni cultu exornat(am), completamente a spese del
dispensator Rufo85.
Inoltre Rufo curò la costruzione di un tempio, che dobbiamo ritenere
sempre dedicato alla Fortuna Redux, dopo aver ottenuto l’autorizzazione
dell’ordine dei decurioni di Asculum, come di regola era necessario per
l’edificazione di un’aedes in ambito municipale86. L’uso dell’espressione a solo
… perficiendum curavit potrebbe destare qualche perplessità, dal momento che
il verbo perficio nel suo significato proprio indica il completamento di un’opera
eventualmente iniziata da una persona o da un’autorità diversa da quella che
l’aveva terminata87. In questo caso tuttavia, a mio parere, l’espressione intende
piuttosto sottolineare come Rufo avesse curato tutte le fasi esecutive del pro-
getto, dal getto delle fondamenta fino al suo completamento, in un senso non

85 Per il verbo exorno in connessione con statue nella documentazione del Piceno vd. per esem-
pio G. Moretti, Falerone. Trovamenti fortuiti nella zona della antica Falerio, «NSc», 46 (1921),
pp. 189-191; ora in «Scritti su Falerone romana», a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli 1995
(Picus Supplementi III), pp. 181-184 (= AE 1922, 89 = Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., pp. 102-103): M(arcus) Allius Alli Ati proc(uratoris) A]ug(usti)
lib(ertus)] / Agenor, octovir Aug(ustalis) [p]on[derarium] / cum ponderibus et men[suris pe-
cunia] / sua loco suo fec(it) et statuis omnium [divorum Augustorum ?] exornavit; su questa te-
stimonianza si veda ora il commento di C. Delplace, Quelques cas d’évergétisme dans la région
V Augustéenne (Picenum), «Epigrafia romana in area adriatica. Actes de la IXe Rencontre
franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain», a cura di G. Paci, Macerata 1998, pp. 189-
192; sempre da Falerio anche CIL IX, 5428 = ILS 5652: Antonia Cn(aei) f(ilia) Picentina … sta-
tuas quas ad exo[rna]/dum theatrum promi[serat Fa]/leriensibus posuit, con il commento d i
C. Delplace, Le théâtre romain de Falerio dans la regio V (Picenum): interventions publiques et
privées, «Ktema», 21 (1996) [1998], p. 123; il documento è ora riedito da Marengo in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 94-97.
86 Vd. E. De Ruggiero, Aedes, «Diz. Ep.», I (1895), pp. 193-197, partic. gli esempi a p. 196. Non s i
può ovviamente concordare con H. Jouffroy, La construction publique en Italie et dans
l’Afrique romaine, Strasbourg 1986, p. 139 che ricorda il tempio della Fortuna Redux di Ascoli
tra gli esempi di costruzioni finanziate “grâce aux sommes dues par le nouveaux magistrats et
prêtres”. Il tempio della Fortuna Redux di Ascoli non è ancora stato identificato archeologica-
mente, cf. Amodio, Asculum, cit., p. 98.
87 Cf. exempli gratia Res gestae Divi Augusti, 20: Forum Iulium et basilicam / quae fuit inter
aedem Castoris et aedem Saturni coepta profligata/que opera a patre meo perfeci; CIL VI,
1343: D(is) M(anibus). / M(arci) Antonii Antii Lupi, pr(aetoris), / patricii, auguris,
quaest(oris), sodal(is) Titii, trib(uni) / mil(itum) leg(ionis) II Adiutr(icis) piae fidel(is), X vir
stl(itibus) iud(icandis), praef(ecti) fer(iarum) / Lat(inarum); cuius memoria per vim oppressi i n
/ integrum secundum amplissimi ordinis / consultum restituta est. Sepulchrum ab eo coeptum /
Claudiae Regillae uxori et Antiae Marcellinae fil(iae) / pietatis suae erga eum testificandae
gratia et / nominis eius in perpetuum celebrandi perfecerunt atfines: M(arcus) Valerius Bradua
Mauricus pontif(ex) et Antonia Vitellia, / amici: Q(uintus) Fabius Honoratus, T(itus) Annaeus
Placidus; CIL XIII, 5970 da Argentorate: In h(onorem) d(omus) d(ivinae) Minervae san/ct(a)e et
Genio loci. C(aius) Aman/dius Finitus, opt(io) princi[p(is)] / et T(itus) Celsius Victorinus, /
libr(arius) principis refecerunt, / Muciano et Fabiano co(n)s(ulibus). / C(aius) Q(---) Catilus
opt(io) pr(incipis) inchoatum d(e) s(uo) perfecit duob(us) / Augg(ustis) Sev[e]ro III et
[Ant]onino co(n)s(ulibus); AE 1940, 17 da Thubursicum Numidarum: [Q(uintus) Pescen]nius
Avitus pollicitus institu[it ---] / [Q(uintus) Pescen]nius Saturninus fil(ius) eius perfecit et
d[edicavit].
Parte II. I documenti 127

dissimile, per il esempio, da quello che emerge da un’iscrizione di Cirta: in que-


sto documento si ricorda in effetti che Claudius Avitianus, comes primi ordinis,
agens pro praefectis, basilicam Constantianam cum porticibus et tetrapylo
constituendam a solo perficiendamque curavit88. Del resto anche una sommaria
analisi dell’uso di perficio nei documenti epigrafici relativi alla costruzione di
opere di interesse pubblico mostra come il verbo nel corso del tempo sia sempre
più frequentemente impiegato sostanzialmente come sinonimo di facio: nella
stessa regio V il testo del celebre sarcofago di Flavio Giulio Catervio da Tolen-
tino ricorda come Settimia Severina, moglie del titolare della sepoltura marito
dulcissimo ac sibi sarcofagum et panteum cum tricoro disposuit et perfecit89.
A proposito dei fondi impiegati per l’erezione dell’edificio compare
l’insolita espressione sumptu suo maximo conlato che, a quanto ne so, non
trova confronti nell’epigrafia latina. Se l’espressione sumptu suo è in effetti
ben attestata90, il ricordo della conlatio, la sottoscrizione indetta per finanziare
qualche opera di pubblica utilità tra tutti i membri di una comunità o tra una
parte di essa, generalmente compare nelle formule (ex) aere conlato, (ex) pecu-
nia conlata o simili91. Nonostante la sua unicità, il senso della formula sembra
essere stato ben colto dal Mommsen, il quale ipotizza che i fondi per la costru-
zione del tempio fossero stati raccolti in una sottoscrizione, ma che la somma
maggiore fosse stata donata dal curatore stesso del monumento, il dispensator
Rufo92. Un confronto a mio parere significativo si ha con un’epigrafe da Lili-
beo, in Sicilia, nella quale un personaggio il cui nome è andato perduto pone una
dedica al patrono Paconio Clodiano ex aere conlato… curante et de suo quod
defuerat supplente93. Al di fuori dell’Italia si possono richiamare due testi di
Neapolis, nell’Africa proconsolare nei quali i due edili Q. Coelius Laeti f. Laetus
e M. Caelius Syllae f. Pacatus, a proposito del finanziamento di un monumento
non meglio specificato, ricordano che super quantitatem / ex multis redactam,

88 CIL VIII, 7037 = ILS 5534 = ILAlg. II, 1, 624.


89 CIL IX, 5566 = ILS 1289 = CLE 1560 = ILCV 98a = ICI X, 22. Su questo importante monu-
mento si veda ora A. Nestori, Il mausoleo e il sarcofago di Flavius Iulius Catervius a Tolentino,
Città del Vaticano 1996 e la bibliografia precedente ivi citata. Cf. infra, p. 321, per l’uso d i
perficio nell’epigrafia del Piceno tardoantico.
90 Nel Piceno si veda infra, p. 321, Falerio 8.
91 Su queste formule vd. E. De Ruggiero, Conlatio, «Diz. Ep.», II (1900), p. 602; J.F. Ferguson,
Aere conlato, «CJ», 13 (1917-1918), pp. 515-520; S. Mrozek, Quelques remarques sur aere col-
lato et pecunia collata, «Epigraphica», 43 (1981), pp. 161-163; M. Corbier, La famille de Séjan
à Volsinii: la dédicace des Seii, curatores aquae, «MEFRA», 95 (1983), pp. 719-756. Ma per
l’uso di confero con sumptus nella lingua letterarie vd. Plaut., Most., 1160-1161: Fenus, sortem
sumptumque omnem, qui amica <empta> est, omnia nos dabimus, nos conferemus, nostro
sumptu, non tuo.
92 Cosi T. Mommsen nel commento a CIL IX, 5177, seguito da De Ruggiero, Conlatio, cit., p.
602, da Waltzing, Étude, cit., III, p. 417 e da Dessau a ILS 5450.
93 CIL X, 7238; sulla bontà del testo, noto solo dalla tradizione erudita, pende peraltro qualche
sospetto, dal momento che esso presenta notevole somiglianze con quello dell’iscrizione pa-
lermitana CIL X, 7294: Paconio Clodiano / patrono bene / merenti, / ex aere conlato; cf. la nota
di T. Mommsen nel commento a CIL X, 7238.
128 Parte II. I documenti

alteram tanta de suo erogata / pecunia posuerunt94. Nonostante la differenza


nella formulazione, assai più chiara ed esplicita nell’iscrizione siciliana e nelle
due epigrafi di Neapolis, ritengo che la situazione davanti alla quale ci troviamo
sia all’incirca la medesima: il curatore dell’opera, anche se questa era stata fi-
nanziata con una sottoscrizione, intendeva porre in pieno risalto il suo ruolo
preminente non solo sul piano organizzativo, ma anche sul piano finanziario95.
Questa sorta di integrazione del finanziamento si poteva avere anche quando la
somma iniziale non proveniva da una colletta ma dalle casse pubbliche: è quanto
sembra emergere da una lacunosa iscrizione di Venafrum, in Campania, nella
quale si dovrebbe leggere ------ / [ad ornandam coloni]am Aug(ustam) Iul(iam)
Ve[nafrum] / [pro parte di]midia p(ecunia) s(ua) f(aciundum) c(uravit)
id[emque probavit], / [reliquum pec(unia) publ]ica factum e[st]96. La nostra
iscrizione tace riguardo alla base su cui era avvenuta la conlatio: tra le diverse
ipotesi che si possono formulare potremmo pensare ai membri dell’anonimo
collegium cui si fa cenno a l. 7 del testo: gli esempi di sottoscrizioni pubbliche
tra collegiati per il finanziamento di un’impresa di comune utilità sono in ef-
fetti abbastanza numerosi97, anche se in genere la formulazione è assai più
esplicita che nel nostro caso98.
Il culto di Fortuna99 è ben attestato nel Piceno e nella stessa Asculum100:
da qui proviene una dedica alla Fortuna Respiciens101; da Ricina viene invece

94 CIL VIII, 972 e 973: si riporta qui il testo della prima iscrizione; la seconda iscrizione, posta
su di una base gemella alla prima, aveva il medesimo tenore, con l’unica differenza nell’ordine d i
menzione dei due edili.
95 Diverso sembra essere il senso dell’espressione pecunia adiecta o pecunia ampliata e simili,
cf. Jacques, Privilège, cit., pp. 735-750 e, da ultimo, M. Christol, Remarques sur une inscription
de Thugga: le pagus dans la colonie de Carthage au Ier siècle ap. J.-C., «Epigrafia. Actes d u
colloque en mémoire de Attilio Degrassi», Rome 1991, pp. 613-614.
96 CIL X, 4894; le integrazioni proposte dall’editore del CIL, naturalmente ipotetiche, sono so-
stanzialmente riprese da S. Capini, Molise. Repertorio delle iscrizioni latine, VII, Venafrum,
Campobasso 1999, pp. 83-84, n°62. Cf. anche CIL X, 4892, dalla medesima località, nelle cui ul-
time due righe conservate si potrebbe leggere forse [amp]hitea[trum pec(unia)] sua
fac(iundum) [curavit] / [pro parte di]midia [---].
97 Vd. Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 645-647, partic. 646 per quanto riguarda la costruzione d i
templi; tra i documenti ricordati il Waltzing menziona anche CIL IX, 5177.
98 Per limitarci ad alcuni esempi che si riferiscono a sottoscrizioni tra i collegiati per la costru-
zione o l’ampliamento di un edificio vd. CIL VI, 349, con riferimento ad un collegium Isidis d i
Roma: templum corpo[ratis conferen]/tibus a]uctum et consummat[um]; CIL XIV, 246 da Ostia,
con l’albo dell’ordo corporator(um) qui pecuniam ad ampliand(um) templum contuler(unt);
CIL VIII, 23399 da Mactaris, con i nomi dei membri del corpus fullonum qui in aedifi/cium con-
tulerunt.
99 Una messa a punto sul culto di Fortuna in I. Kajanto, Fortuna, «ANRW», II, 17, 1, Berlin - New
York 1981, pp. 502-557. Dopo la sintesi di Kajanto si segnala l’opera dedicata al culto della di-
vinità in età repubblicana da J. Champeaux, Fortuna. Recherches sur le culte de la Fortune à
Rome et dans le monde romain des origines à la mort de César, Rome 1982-1987; I. Kajanto,
Notes on the Cult of Fortuna, «Arctos», 17 (1983), pp. 13-20; Id., Epigraphical Evidence of the
Cult of Fortuna in Germania romana, «Latomus», 47 (1988), pp. 501-525; Id., Interpreting
Fortuna Redux, «Homenagem a Joseph M. Piel por ocasião do seu 85.° aniversário», a cura di D.
Kremer, Tübingen 1988, pp. 35-50. Su Fortuna e Felicitas in rapporto al culto imperiale, i n
Parte II. I documenti 129

una lacunosa iscrizione in cui forse Fortuna è associata a Diana (CIL IX, 5740 =
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 148-150);
infine a S. Vittore di Cingoli è noto un testo nel quale semplicemente si legge
Fortunae / Aug(ustae) / sacrum (CIL IX, 6376). L’epiteto Augusta ci ricorda
come il culto di Fortuna sia da vedere in stretto parallelismo con il culto impe-
riale: in particolare le dediche alla Fortuna Redux sono spesso, anche se non
esclusivamente102, espressione dei timori che si accompagnavano alla partenza
del principe da Roma per un viaggio. La datazione dell’epigrafe ascolana della
quale ci stiamo occupando al luglio del 172 d.C. invita dunque a supporre che
essa trovasse motivo negli auspici per un felice ritorno dell’imperatore Marco
Aurelio dalla campagna contro i Marcomanni, intrapresa nell’autunno del 169
d.C.103
Infine Rufo, in occasione della dedica del tempio alla cui costruzione egli
aveva tanto generosamente contribuito, provvide anche alla distribuzione di 20
sesterzi a ciascuno dei membri di un collegio non specificato104. La somma è tra
le più elevate a noi note per quanto concerne i collegiati105, superata solo dai 50
sesterzi donati ai membri del collegium dei fabri di Pisaurum106, dai 40 sesterzi
elargiti ad Ameria ai fabri tignuarii locali107 e dai 32 sesterzi, cui si aggiunse un
epulum, regalati ai dendrophori di Signia108. Anche il confronto con le
divisiones in denaro interessanti altre categorie sociali nel Piceno dimostra la

particolare in età augustea, vd. J.-P. Martin, Providentia deorum. Recherches sur certains
aspects religieux du pouvoir impérial romain, Rome 1982, pp. 81-82.
100 Vd. Delplace, Romanisation, cit., p. 242
101 Vd. CIL IX, 5178. Attestazioni epigrafiche e letterarie di questo attributo di Fortuna i n
Kajanto, Fortuna, cit., p. 512.
102 Come ha mostrato Kajanto, Interpreting Fortuna Redux, cit.
103 Cf. Mommsen nel commento a CIL IX, 5177; Waltzing, Étude, cit., III, p. 417; Delplace, Ro-
manisation, cit., p. 242; Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 66.
104 Per altri esempi di dediche di un edificio come occasione per una distribuzione in denaro o
in natura vd. S. Mrozek, Les distributions d’argent et de nourriture dans les villes italiennes d u
Haut-Empire romaine, Bruxelles 1987, pp. 9-10, nota 4.
105 Sulla base delle liste redatte da Duncan-Jones, Epigraphic Survey, cit., pp. 259-268 e riprese
in The Economy of the Roman Empire: Quantitative Studies, Cambridge 19822, pp. 188-198,
edizione dalla quale si cita; le somme attestate vanno dai 50 sesterzi distribuiti ai membri del
collegio dei fabri di Pisaurum secondo CIL XI, 6358 = ILS 6654 = G. Cresci Marrone - G.
Mennella, Pisaurum I. Le iscrizioni della colonia, Pisa 1984, pp. 265-268, n°69) ai soli 2 se-
sterzi donati ai collegiati di un’associazione non meglio specificata a Volsinii in CIL XI, 7302
(cf. Duncan-Jones, Economy, cit., p. 198, n°1048); il caso di Asculum è registrato da Jones, Eco-
nomy, cit., p. 260, nn. 849-850. Sui collegiati come destinatari delle liberalità nell’Italia romana
vd. inoltre S. Mrozek, Les bénéficiaires des distributions privées d’argent et de nourriture
dans les villes italiennes à l’époque di Haut-Empire, «Epigraphica», 34 (1972), pp. 47-48; Id.,
Distributions, cit., pp. 90-94; dalla tabella riportata dallo studioso si ricava che in media
l’importo di denaro distribuito ai membri delle associazioni era di 5 sesterzi (in tale tabella tut-
tavia non viene riportato il caso di Asculum Picenum).
106 CIL XI, 6358 = ILS 6654 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum I., cit., pp. 265-268, n°69;
cf. Duncan-Jones, Economy, cit., p. 189, n°830.
107 CIL XI, 4404; cf. Duncan-Jones, Economy, cit., p. 189, n°831.
108 CIL X, 5968 = ILS 6272; cf. Duncan-Jones, Economy, cit., p. 189, n°836.
130 Parte II. I documenti

generosità del dispensator Rufo, come emerge dalla tabella riassuntiva delle
sportulae in denaro attestate dall’epigrafia della regio V qui di seguito ripor-
tata109:

Decurioni
Auximum 20 sesterzi CIL IX, 5855
Interamnia 20 sesterzi CIL IX, 5085
Firmum 19 sesterzi (?)110 CIL IX, 5376
Auximum 3 denarii (= 12 sesterzi) CIL IX, 5823
Auximum 3 denarii (= 12 sesterzi) CIL IX, 5828
Auximum 8 sesterzi CIL IX, 5843

Seviri, Augustales
Interamnia 10 sesterzi CIL IX, 5085
Auximum 2 denarii (= 8 sesterzi) CIL IX, 5823

Populus, plebs, coloni


Auximum 20 sesterzi (?) CIL IX, 5855111
Auximum 2 denarii (= 8 sesterzi) CIL IX, 5828
Auximum 4 sesterzi CIL IX, 5843
Firmum 4 sesterzi CIL IX, 5376112
Interamnia 4 sesterzi CIL IX, 5085
Interamnia 4 sesterzi AE 1998, 416

La cifra di 20 sesterzi donati da Rufo ai membri del collegio di Asculum


dunque trova confronto con le somme distribuite agli appartenenti all’ordo de-
curionum del Piceno, nonostante i membri dei consigli municipali generalmente

109 Nella tabella non considero CIL IX, 5189 da Asculum, nella quale sarebbe attestata una di-
stribuzione di 8 denarii (= 32 sesterzi) ai decurioni e di 2 denarii (= 8 sesterzi) al populus; in ef-
fetti questo testo è probabilmente un falso, creato sulla base di CIL IX, 5843 da Auximum, cf. in-
fra, p. 237. Per un commento a questi dati vd. ora Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., p. 18.
110 L’iscrizione è di dubbia lettura e la cifra di 19 sesterzi lascia qualche perplessità, dal mo-
mento che generalmente le sportulae erano di importo pari, spesso un multiplo di 4 sesterzi,
evidentemente perché distribuite in denarii, anche quando l’unità di computo era il sesterzio;
Duncan-Jones, Economy, cit., p. 189, n°843, seguito da Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., p. 84, corregge la cifra in 24 sesterzi, mentre Mrozek, Bénéficiaires,
cit., p. 36 (cf. Id., Distributions, cit., p. 85) segnala la difficoltà di lettura con un punto interroga-
tivo. Mantiene la lezione tràdita Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
20 e nota 49, pur conscia delle correzioni proposte dal Duncan-Jones. Per qualche esempio d i
divisiones che comportavano una cifra dispari vd. tuttavia le tabelle di Mrozek, Bénéficiaires,
cit., pp. 36-37; 38; 44-45; 48 (cf. Id., Distributions, cit., pp. 85-86; 87-88; 91; 96).
111 Sul problema dell’importo distribuito ai coloni di Auximum nell’iscrizione CIL IX, 5855 vd.
infra, p. 206.
112 La divisio apparentemente interessò solamente le donne di Firmum: sexsus feminei sin-
guli[s] ((sestertium)) IIII n(ummum) secondo la restituzione di questa iscrizione di incerta let-
tura proposta dal CIL; cf. anche Duncan-Jones, Economy, cit., p. 196, n°995.
Parte II. I documenti 131

ricevessero somme molto superiori rispetto agli altri cittadini113; in media le


sportulae in denaro destinate ai membri delle associazioni si avvicinano molto
di più alle somme generalmente riservate alla plebs o al populus, dunque ai cit-
tadini comuni114. Naturalmente queste divisiones non sono sempre meccanica-
mente paragonabili tra di loro, dal momento che in qualche caso alla sportula in
denaro poteva aggiungersi la concessione di una cena o di un epulum. In ogni
caso la somma donata dal dispensator Rufo appare rilevante, tanto più se si
pensa che la distribuzione di sportulae da parte di uno schiavo era un fatto as-
solutamente eccezionale115.
Il fatto che nell’iscrizione non si specifichi quale fosse il collegio che
aveva beneficiato della liberalità di Rufo lascia pensare che si trattasse di
un’associazione strettamente connessa al tempio della Fortuna Redux e dunque
immediatamente identificabile per coloro che si fossero soffermati a leggere
l’epigrafe116; non doveva pertanto trattarsi necessariamente di un’associazione
di carattere professionale, anche se queste erano spesso in rapporto con un
luogo di culto; più probabile tutto sommato che si trattasse un sodalizio di carat-
tere religioso. Un altro collegio, parimenti non meglio definito, ma forse
anch’esso di carattere religioso, ci è noto dall’epigrafia di Asculum dalla sobria
menzione del suo patronus117.
Di grande interesse anche le clausole finali, nelle quali si ricorda la data
della solenne dedica del monumento e si prescrive che chiunque avesse voluto
porre un clipeus nel tempio della Fortuna Redux avrebbe dovuto versare
all’arca 2.000 sesterzi. Il testo epigrafico riprende qui evidentemente parte
dello statuto di fondazione del tempio. In effetti le iscrizioni relative ad opere di
interesse pubblico sono la fonte più importante per la conoscenza di queste
leges sacrae, riportandone per esteso il contenuto, come per esempio nel caso
della celebre lex dedicationis aedis Iovis Liberi di Furfo118, o dando conoscenza

113 Dalla tabella di Mrozek, Bénéficiares, cit., pp. 36-37 (cf. Id., Distributions, cit., pp. 85-86) s i
ricava che l’importo maggiormente attestato per i decurioni è di 20 sesterzi, contro i 5 dei colle-
giati.
114 Cf. la tabella di Mrozek, Bénéficiaires, cit., pp. 44-45 (cf. Id., Distributions, cit., p. 96): la
somma maggiormente attestata è quella di 4 sesterzi.
115 Cf. Mrozek, Distributions, cit., p. 77 e nota 23: lo studioso spiega l’anomalia del caso d i
Asculum ricordando che la divisio operata da Rufo non aveva carattere pubblico, ma interessava
unicamente un collegio di cui Rufo stesso faceva probabilmente parte e tra i cui membri pote-
vano trovarsi altri schiavi.
116 Cf. Mommsen nel commento a CIL IX, 5177; Waltzing, Étude, cit., III, p. 417; IV, p. 60, n°60,
che in via ipotetica scheda l’associazione di Asculum come collegium (Fortunae Reducis ?); vd.
tuttavia ibid., p. 232, n°78 dove lo studioso con prudenza include il collegio ascolano tra quelli
di incerta natura; Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. LIV ritiene probabile si trattasse di un collegio
sacerdotale legato al culto della Fortuna Redux; così anche Delplace in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., p. 19; non si pronuncia sul problema Cancrini in Cancrini - Delplace
- Marengo, Evergetismo, cit., p. 65.
117 P. Bonvicini, Iscrizioni latine inedite della Va regio Italiae, «RAL», s. VIII, 27 (1972), p.
195, n°12 (= AE 1975, 351).
118 CIL IX, 3513 = CIL I2, 756 = ILS 4906 = K.G. Bruns, Fontes iuris romani antiqui, I, Tübingen
19097, pp. 283-284, n°105 = FIRA2, III, pp. 225-227, n°72 = ILLRP 508; il documento è studiato
132 Parte II. I documenti

solo di alcuni articoli, che evidentemente richiedevano una maggiore pubbli-


cità119. Gli statuti dovevano di regola comprendere clausole concernenti even-
tuali interventi all’interno dell’area sacra, anche se in genere nella documenta-
zione in lingua latina tali clausole si limitavano ad ammettere la liceità
dell’azione, qualora essa non arrecasse danno120.
Ci si deve chiedere pertanto quale fosse la finalità della clausola si qui cli-
peum ponere volet dabit arce ((sestertium)) II (i.e. duo milia) n(ummum). An-
che se l’espressione utilizzata ad Asculum ritorna talvolta, con poche varianti,
nelle cosiddette multe sepolcrali121 e l’importo di 2.000 sesterzi trova qualche

da R. Düll, Rechtsprobleme im Bereich des römischen Sakralrechts, «ANRW», I, 2, Berlin - New


York 1972, pp. 283-294; U. Laffi, La lex aedis Furfensis, «La cultura italica. Atti del convegno
della società italiana di glottologia. Pisa, 19 e 20 dicembre 1977», Pisa 1978, pp. 121-144, ora
in Studi di storia romana e di diritto, Roma 2001, pp. 515-544, con una postilla.
119 La documentazione più importante è riunita e studiata da E. De Ruggiero, Aedes, «Diz. Ep.», I
(1895), pp. 149-158; Id., Ara, ibid., pp. 598-599; cf. anche G. Tibiletti - G. Barbieri, Lex, «Diz.
Ep.», IV (1956-1957), pp. 775-776; 781-782.
120 Cf. per esempio nella già citata lex sacra di Furfo (vd. supra, p. 131, nota 118): Utei tangere,
sarcire, tegere, devehere, defigere, mandare, ferro oeti, promovere, referre [liceat], fasque esto;
nella lex arae Augusti di Narbo (CIL XII, 4333 = ILS 112 = Bruns, Fontes, cit., I, pp. 284-285,
n°106 = FIRA2, III, pp. 227-229, n°73 (sul documento si veda P. Kneissl, Entstehung und
Bedeutung der Augustalität. Zur Inschrift der ara Narbonensis (CIL XI 4333), «Chiron», 1 0
(1980), pp. 291-326, che tuttavia tocca solo marginalmente il tema che qui interessa): si quis
tergere, ornare, reficere volet, quod beneficii causa fiat, ius fasque esto; … si quis huic arae
donum dare augereque valet, liceto; in CIL XI, 944 = ILS 4909 dal territorio di Mutina o d i
Regium Lepidi: Annia Sex(ti) l(iberta) Ge Iunonibus hanc / aram locumque iis legibus dedicavit.
/ Si quis sarcire, reficere, ornar(e), coronar(e) volet, licet, / et si quit (!) sacrifici quo volet ferre
et ibi et ubi volet uti / sine scelere sine fraude lic[eto]; su quest’ultimo documento vd. M.
Calzolari, Un’epigrafe romana dalla bassa pianura tra Reggio e Modena (CIL XI, 944), «La
bassa Modenese. Storia, tradizione, ambiente», 3 (1983), pp. 7-18, partic. 16-18 per la clausola
finale. Cf. tuttavia anche CIL VI, 826 = 30387 = ILS 4914, iscrizione relativa ad una delle cosid-
dette arae incendii Neroniani (sulle quali si veda ora E. Rodríguez Almeida, Arae incendii Ne-
roniani, «Lexicon Topographicum Urbis Romae», I, a cura di M. Steinby, Roma 1993, pp. 76-
77): Hac lege dedicata est, ne cui / liceat intra hos terminos / aedificium extruere, manere, /
nego[t]iari, arborem ponere / aliudve quid serere.
121 Cf. per esempio CIL VI, 35283 da Roma; CIL X, 2244 e 3037 da Puteoli; a Ravenna vd. CIL
XI, 27; 40; 43; 105; 107; 119; 125; 198 e le formule consimili raccolte nel commento a CIL XI,
136; a Concordia vd. per esempio G. Lettich, Le iscrizioni sepolcrali tardoantiche di Concor-
dia, Trieste 1983, pp. 55-56, n°12; pp. 64-65, n°22; pp. 65-66, n°24; p. 67, n°26; p. 85, n°42; p.
86, n°44; pp. 154-155, n°104; a Salona CIL III, 9503 = ILJug III, 2381; CIL III, 2666 = ILJug III,
2423; CIL III, 9533 = ILJug III, 2469; CIL III, 9557 = ILJug III, 2485; a Tragurium AE 1993,
1255; in Frigia AE 1984, 849. Sulle multe sepolcrali vd. in particolare G. Giorgi, Le multe sepol-
crali in diritto romano, Bologna 1910; F. De Visscher, Les droits des tombeaux romaines, Milan
1963, pp. 112-123; A.M. Rossi, Ricerche sulle multe sepolcrali romane, «RSA», 5 (1975), pp.
111-159; G. Klingenberg, Grabrecht (Grabmulta, Grabschändung), «RAC», XII (1981-1983),
coll. 622-624; S. Lazzarini, Sepulcra familiaria. Un’indagine epigrafico - giuridica, Padova
1991, partic. pp. 3-4, nota 1 per ulteriore bibliografia; M. Tosi, Multae, comminationes, dirae
nelle iscrizioni funerarie transpadane, pagane e cristiane, «RAComo», 175 (1993), pp. 189-
241; A.U. Stylow - R. López Melero, Epigraphische Miszellen aus der Provinz Jaén. Eine
Grabbuße zugunsten der Res publica Aiungitanorum, «Chiron», 25 (1995), pp. 357-386, partic.
pp. 366-378; S. Mrozek, L’argent dans les inscriptions de Rome impériale, «RSA», 29 (1999),
pp. 211-214. Un esame della documentazione epigrafica sulle sanzioni pecuniarie, ad esclusione
Parte II. I documenti 133

confronto, anche locale122, con quelli delle ammende comminate a coloro che
violavano un’area funeraria, sebbene in genere le somme attestate siano supe-
riori123, ritengo che la disposizione dell’epigrafe di Asculum non sia da inten-
dere come una proibizione assoluta, ma piuttosto come un regolamento per
l’uso degli spazi sacri del tempio della Fortuna Redux, dietro pagamento.
L’ipotesi nasce da alcune considerazioni. In primo luogo la collocazione
in un’area sacra di un clipeus, cioè di un scudo con ritratto, non era comporta-
mento la cui illiceità dovesse apparire del tutto scontata, come invece la viola-
zione di una tomba; anzi l’uso di collocare clipei nei templi, a scopo onorario, è
altrimenti noto dalla documentazione epigrafica124: in particolare si può ricor-
dare a Iulium Carnicum la collocazione da parte di ignoti evergeti di [clu]pea
inaurata in fastigio V nel tempio di Beleno, per l’occasione restaurato, insieme
a due statue125; uno scudo appare nell’inventario del fanum Isidis di Nemi126;

delle multe sepolcrali, in S.M. Marengo, Le multae, «Il capitolo delle entrate nelle finanze mu-
nicipali in Occidente ed in Oriente. Actes de la Xe Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie
du monde romain. Rome, 27-29 mai 1996», Rome 1999, pp. 73-84.
122 Vd. a Falerio AE 1981, 300, epitafio di T. Sillius Karus e della contubernalis Vetilia Prisca
(sul documento vd. la bibliografia segnalata infra, p. 347, nota 1053), nel quale si ricorda che
qui hoc violarit / dabit aerario Fa/leriens(i) ((sestertium)) ((duo milia)). Un documento più vi-
cino nel tempo all’iscrizione ascolana attesta tuttavia un importo molto maggiore: si tratta
dell’epitafio sul sarcofago di Aureliana ad Auximum CIL IX, 5860 (prima metà del II sec. d.C., se-
condo G.V. Gentili, Osimo nell’antichità, Casalecchio di Reno 1990 pp. 161-162, n°18): nemini
licere neque aperir[e neq(ue)] / [tr]ansferre neque de con[fectione m]unimenti aliquit de mar-
moribus minus fa[cere] / [c]ontra quae si quit [quis facerit] dabit fisco ((denariorum)) X (i. e.
decem milia), rei p(ublicae) Firmanorum [((denariorum)) V (i. e. quinque milia) / [et rei
p(ublicae) R]icinensium ((denariorum)) V (i. e. quinque milia); l’importo totale della somma da
versare al fiscus e alle casse cittadine di Firmum e di Ricina era dunque di 20.000 denarii, ovvero
80.000 sesterzi.
123 Rassegna delle testimonianze rilevanti in particolare in Rossi, Multe sepolcrali, cit., pp.
143-150; cf. anche T. Pekáry, Studien zur römischen Währungs- und Finanzgeschichte von 161
bis 235 n. Chr., «Historia», 8 (1959), pp. 460-463. Alcuni casi, a titolo puramente esemplifica-
tivo, di importi pari o inferiori a 2.000 sesterzi: CIL III, 706 da Filippi: 500 denarii; CIL III,
2107 da Salona: 25 denarii; CIL III, 2117 da Salona: 100 denarii; CIL III, 6087 da Efeso: 500
denarii; CIL III, 14150, 1 da Salona: 100 denarii; CIL III, 14129 da Vid, in Dalmazia: 200 dena-
rii; CIL VI, 2346: 250 denarii; CIL VI, 18758: 1.000 sesterzi; AE 1977, 85 da Roma: 500 denarii;
CIL IX, 1010 dall’ager Compsinus: 500 sesterzi; IG XIV, 634 da Vibo: 300 sesterzi; IG XIV,
1862 da una località incerta dell’Italia: 500 denarii.
124 Le attestazioni sono raccolte da E. De Ruggiero, Clipeus, «Diz. Ep.», II (1900), p. 308 e da R.
Winkes, Clipeata imago. Studien zu einer römischen Bildnisform, Bonn 1969, pp. 116-122. Per
una recente messa a punto sui caratteri delle imagines clipeatae vd. J. Engemann, Imago clipe-
ata, «RAC», XVII, Stuttgart 1996, coll. 1016-1041, con la bibliografia ivi citata; sulla colloca-
zione delle immagini dei membri della famiglia imperiale, tra le quali anche le imagines clipea-
tae, vd. particolarmente T. Pekáry, Das römische Kaiserbildnis in Staat, Kult und Gesellschaft,
dargestellt anhand der Schriftquellen, Berlin 1985 (Das römische Herrscherbild III, 5), pp. 42-
65.
125 CIL V, 1829; cf. F. Mainardis, Regio X. Venetia et Histria. Iulium Carnicum, «Supplementa
Italica», n.s. 12, Roma 1994, pp. 98-99 con bibliografia e proposta di datazione al secondo
quarto del I sec. a.C.
126 CIL XIV, 2215 = ILS 4423 = L. Vidman, Sylloge inscriptionum religionis Isiacae et Sara-
piacae, Berolini 1969, pp. 241-242, n°524.
134 Parte II. I documenti

infine da un’interessantissima iscrizione di Miseno recentemente pubblicata ap-


prendiamo, tra l’altro, che il collegio degli Augustales decretò di porre un cli-
peus in onore dei loro benefattori della gens Kaninia nell’Augusteo locale127.
Le notizie fornite dalla documentazione epigrafica trovano conferma in un
passo della Naturalis Historia nel quale Plinio il Vecchio riferisce dei clipei con i
ritratti degli antenati che Ap. Claudio, da lui identificato con il console del 495
a.C., collocò nell’aedes Bellonae, in posizione elevata e ben visibile128. Se la
prassi, come pare dagli esempi precedentemente citati, era consolidata, ci sa-
rebbe da attendersi che il divieto di collocare clipei nel tempio della Fortuna
Redux venisse formulato in modo assai più esplicito di quanto venne fatto, per
esempio con una formula simile a quella che ritroviamo nell’iscrizione relativa
ad una delle cosiddette arae incendii Neroniani: ne cui / liceat intra hos termi-
nos / aedificium extruere, manere, / nego[t]iari, arborem ponere / aliudve quid
serere129.
In secondo luogo non mi pare improbabile che nella colonia di Asculum si
potesse trovare chi fosse disposto a pagare la somma di 2.000 sesterzi per ve-
dere l’imago clipeata con il proprio ritratto o con quello di uno dei suoi cari nel
tempio della Fortuna Reduce. Il costo, seppure consistente, in effetti non do-
veva essere fuori della portata delle sostanze dei notabili cittadini. Del resto
l’obbligo di versare una somma alla cassa cittadina per avere il permesso di eri-
gere un monumento in un’area sacra può trovare confronto in qualche docu-
mento epigrafico greco, in particolare in un’iscrizione di Laodicea di Siria che
riproduce una decisione delle autorità locali del 174 a.C., ma che ancora doveva
conservare il suo valore in età romana, quando il testo dell’epigrafe venne in-
ciso130.

127 AE 1993, 473 = AE 1994, 426e, ora ripresa da G. Camodeca in G. Camodeca et alii, Iscrizioni
nuove o riedite da Puteoli, Cumae, Misenum, «AION ArchStAnt», n.s. 3 (1996), pp. 161-168,
n°12 = AE 1996, 424b.
128 Plin., Nat. Hist., XIV, 12: Verum clupeos in sacro vel publico dicare privatim primus insti-
tuit, ut reperio, Appius Claudius qui consul cum P. Servilio fuit anno urbis CCLVIIII. Posuit
enim in Bellonae aede maiores suos, placuitque in excelso spectari in titulum honorum legi, de-
cora res, utique si liberum turba parvulis imaginibus ceu nidum aliquem subolis pariter
ostendat, quales clupeos nemo non gaudens favensque aspicit. Non poche perplessità suscita
naturalmente la datazione dell’intervento nel tempio di Bellona suggerita da Plinio, cf. J.-M.
Croisille, Pline l’Ancien. Histoire naturelle. Livre XXXV, Paris 1985, p. 138; E. La Rocca,
L’adesione senatoriale al “consensus”: i modi della propaganda augustea e tiberiana nei mo-
numenti “in circo Flaminio”, «L’Urbs. Espace urbaine et histoire (Ier siècle av. J-C. - IIIe siècle
ap. J.-C.)», Rome 1987, p. 365 e nota 100.
129 Su questo documento vd. supra, p. 132, nota 120.
130 IGLS IV, 1261; vd. in particolare ll. 10-14: yhfivsmato" de; eijsenhÉnegmevnou tou; "
aijtouvmevnou" para; th'" É povlew" tovpon eij" ajnavqesin eijkovno" É didovnai to; ejktetagmevnwn
diavforon … In risposta ad una richiesta dei sacerdoti del santuario di Iside e Serapide, il decreto
specificava che il pagamento di questa tassa all’erario cittadino non scioglieva colui che deside-
rava erigere un monumento su di un terreno privato dai suoi obblighi nei confronti del proprie-
tario. Sul tema si veda T. Pekáry, Statuen in kleinasiatischen Inschriften, «Studien zur Religion
und Kultur Kleinasiens. Festschrift für Friedrich Karl Dörner zum 65. Geburtstag am 28. Fe-
bruar 1976», II, a cura di S. Sahin - E. Schwertheil - J. Wagner, Leiden 1978 (EPRO 66, 2), pp.
727-744, partic. pp. 739-740. Elementi di ambiguità si osservano nel regolamento relativo ad u n
Parte II. I documenti 135

Un secondo e difficile problema è dato dall’identificazione della cassa alla


quale la somma doveva essere versata: logica vorrebbe che gli spazi del tempio
della Fortuna fossero di pertinenza dell’associazione eventualmente connessa
col culto della divinità, in particolare se la conlatio per la costruzione del tem-
pio era avvenuta tra i collegiati, e che dunque l’arca fosse quella del collegium
menzionato a l. 7131. Tuttavia è altrettanto logico pensare che l’arca di l. 9 sia
la medesima di cui fa parola a l. 2 e presso la quale Rufo era dispensator: ora,
come si è detto, quest’ultima cassa altro non dovrebbe essere che quella della
colonia di Asculum. Il problema dunque è sostanzialmente legato al rapporto
esistente tra il tempio della Fortuna Redux e il non meglio specificato collegio
ai cui membri Rufo distribuì sportulae, rapporto che indubbiamente doveva es-
sere assai chiaro per i contemporanei, ma di cui oggi ci sfuggono i contenuti. In
ogni caso, se l’ipotesi sopra enunciata a proposito del pagamento dei 2.000 se-
sterzi fosse giusta, ci troveremmo di fronte ad un interessante esempio di come
una collettività, fosse essa l’associazione collegata al tempio della Fortuna o la
colonia di Ascoli nel suo complesso, cercasse di trovare i mezzi per sostenere le
proprie finanze.
Alcuni affreschi pompeiani rappresentano in modo efficace quella che
doveva essere la collocazione dei clipei all’interno degli edifici, con gli scudi ap-
pesi negli intercolumni132. A questo proposito sarebbe suggestivo richiamare la
testimonianza di una nota iscrizione da Napoli, databile al 194 d.C., nella quale
si conservano il decreto in lingua greca concernente gli onori conferiti dalla
confraternita degli Artemisioi al suo benefattore Munazio Ilariano e la risposta,
in greco e nella traduzione latina, dell’evergete: tra gli altri privilegi si ricorda in
effetti anche la concessione di penthvkonta cwvra" oJloklhvrou" kai;
kecalkologekovtwn ejn th/' fratriva/ proi'ka; il fine di questa concessione, pro-
segue il testo, era wj" mh; movnon kekosmh'sqai th;n fratrivan hJmei'n poluteleiva/
kai; kavllei th'" kataskeuh'" kai; semnovthti iJroprepei', ajlla; kai; tw'/ plh'qei
tw'n nemovntwn euJxh'sqai th;n fratrivan Mounativou ÔIlarianou' tou'
filopavtrido" teteãiÃmhmevnou. Delle 50 chorai promesse, qualunque cosa esse
fossero, Munazio Ilariano nella sua risposta dice di accontentarsi di 15; pur-
troppo il testo latino non ci aiuta a comprendere il senso del passaggio, dal

portico di Mileto (ora edito in F. Sokolowski, Lois sacrées des cités grecques. Supplement, Paris
1962, pp. 206-207, n°123), nel quale si prevedeva che chi avesse voluto collocare un ex-voto al
di fuori degli spazi appositamente previsti avrebbe dovuto versare 10 stateri al tesoro di Apollo;
vd. partic. ll. 2-4: ãh]Ãn dev ti" É bouvlhtai ajnatiqevnai ti eij" th;n stoih;n th;g kainhvn, ajnatiqevtw
pro;" tou;" toivcou" tou;" ajleifomevnou" uJpokavtw É tou' ajntidokivou tou' liqivnou: h]n dev ti"
ajnaqh'i para; to; yhvfisma, ojfeilevtw devka stath'ra" iJerou;" tou' ∆Apovllwno"; in questo caso i n
effetti non appare immediatamente chiaro se la somma costituiva un’ammenda per i trasgressori
o piuttosto un pagamento da effettuare per l’acquisizione di un diritto.
131 Così Waltzing, Étude, cit., IV, 645 che registra la somma di 2.000 sesterzi menzionata
nell’epigrafe di Asculum tra le rendite di carattere irregolare grazie alle quali i collegi si finan-
ziavano.
132 Vd. per esempio G. Becatti, Clipeate, immagini, «EAA», II, Roma 1959, p. 720, fig. 954, affre-
sco dalla casa dell’Impluvio di Pompei.
136 Parte II. I documenti

momento che il termine greco cwvra è semplicemente traslitterato133. D.


Fishwick, affrontando il problema del significato di cwvra in questo contesto, ri-
chiama la testimonianza di un’iscrizione da Tralle nella quale il termine indica le
suddivisioni interne di un portico create da pareti divisorie134 e soprattutto la
celebre iscrizione dell’arsenale di Filone al Pireo, nella quale la parola sembra
designare gli spazi tra le colonne135. Anche se lo studioso avanza questi con-
fronti solamente per trovarvi sostegno all’interpretazione che vede in cwvra un
termine tecnico, che non aveva equivalenti in latino, per designare sezioni dei
fondi di terreno in possesso della fratria concessi in sfruttamento a Munazio
Ilariano136, credo sia opportuno non scartare troppo frettolosamente la solu-
zione, per così dire, architettonica137: le cwvrai oJlovklhroi in questo senso po-
trebbero essere delle “postazioni” non occupate in qualche edificio di proprietà
della fratria, concesse in uso gratuito a Munazio Ilariano per collocarvi dei mo-
numenti, così come spazi simili nel tempio della Fortuna Redux di Asculum ve-
nivano concessi solamente dietro il pagamento di una somma di 2.000 sesterzi
alla cassa del collegio legato al culto di Fortuna o all’arca della colonia: si spie-
gherebbe in tal modo perché la concessione delle chorai a Munazio Ilariano
avrebbe portato ad adornare la fratria con sontuosità e bellezza di arredi, dan-
dole un decoro appropriato ad un luogo sacro, se la frase wj" mh; movnon
kekosmh'sqai th;n fratrivan hJmei'n poluteleiva/ kai; kavllei th'" kataskeuh'"
kai; semnovthti iJroprepei' deve essere interpretata in senso proprio. Ovvia-
mente non mi nascondo che tale interpretazione lascia aperti molti dubbi, in
particolare circa l’interpretazione della frase kai; kecalkologekovtwn ejn th/'
fratriva/ proi'ka, né tantomeno intendo affermare che le cwvrai dell’iscrizione
di Napoli corrispondano senz’altro a quegli spazi tra le colonne in cui potevano

133 L’iscrizione è stata da ultimo riedita da E. Miranda, Iscrizioni greche d’Italia. Napoli, I,
Roma 1990, pp. 66-72, n°44 al cui commento e rassegna della bibliografia anteriore si rimanda
senz’altro per gli approfondimenti su questo testo; vd. inoltre C. Ferone, Sull’iscrizione napo-
letana della fratria degli Artemisi (A.E. 1913, 134), «Miscellanea greca e romana XIII», Roma
1988, pp. 167-180, con accurato esame delle diverse ipotesi formulate sui passi più dibattuti del
testo; M. Leiwo, Neapolitana. A Study of Population and Language in Graeco-Roman Naples,
Helsinki 1994, pp. 154-156. Il passo citato si trova a col. I, l. 23 - col. II, l. 5; per la risposta d i
Ilariano vd. col. II, ll. 12-14 per il testo greco, nel quale curiosamente si parla dell’offerta di sole
40 chorai, e col. III, ll. 9-11 per il testo latino.
134 E. Bey, Fouilles de Tralles (1902-1903), «BCH», 28 (1904), pp. 78-79, n°1.
135 IG II-III2, 1668, l. 77.
136 D. Fishwick, L. Munatius Hilarianus and the Inscription of the Artemisii, «ZPE», 76 (1989),
pp. 175-183, partic. pp. 178-179.
137 Questa interpretazione ha trovato autorevoli sostenitori in G. De Sanctis, Note sull’iscrizio-
ne degli Artemisi, «Revue Épigraphique», n.s. 2 (1914), pp. 306-309, partic. pp. 307-308; ora i n
Scritti minori, III, a cura di A. Ferrabino - S. Accame, Roma 1972, pp. 557-560, partic. pp. 558-
559 e in M. Guarducci, L’istituzione della fratria nella Grecia antica e nelle colonie greche
d’Italia, «MAL», ser. VI, 6 (1937), p. 113, i quali pensano a posti per uno spettacolo, nonché
nella voce chora dell’Oxford Latin Dictionary, a cura di P.G.W. Glare, Oxford 1968-1982, p. 311,
che, con esplicito riferimento al testo di Napoli, traduce a site for a monument. Per una rassegna
delle diverse opinioni degli studiosi che si sono occupati del problema si veda tuttavia Mi-
randa, Napoli, cit., I, pp. 70-71.
Parte II. I documenti 137

essere collocati clipei come quelli menzionati nell’epigrafe di Asculum: in parti-


colare desta perplessità l’alto numero di “postazioni” che la fratria avrebbe de-
ciso di concedere a Munazio Ilariano. Le considerazioni che precedono inten-
dono dunque semplicemente offrire qualche nuovo spunto di discussione su di un
testo, come quello di Napoli, che probabilmente non ci ha ancora svelato per
intero tutta la sua ricchezza e complessità.
Immagine: Tav. IV. Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 64,
fig. 4.
138 Parte II. I documenti

Asculum 2
Edizione di riferimento: G. Paci, Note di epigrafia ascolana: i sacerdoti del
culto imperiale, «Picus», 19 (1999), pp. 11-15.
Altre edizioni: F. Bernabei, Ascoli Piceno, «NSc», 12 (1887), p. 253; EphEp
VIII, 217; ILS 6565; G. Paci, Il culto imperiale nell’Italia adriatica centro-me-
ridionale, «Histria Antiqua», 4 (1998), p. 115, n°2; Id. in Un lapidario per
Ascoli. Ascoli Piceno, Palazzo Panichi 9 luglio - 31 dicembre 1998, Ascoli
Piceno 1998, p. 15, n°13.
Bibliografia: Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. LI e nota 185; A. Abramenko, Die
munizipale Mittelschicht im kaiserzeitlichen Italien. Zu einem neuen Verständnis
von Sevirat und Augustalität, Frankfurt 1993, pp. 37-38; 335; Delplace,
Romanisation, cit., pp. 62; 78; 230-233; Ead., «Culte impérial» et élites
municipales du Picenum et de l’ager Gallicus, «Les Élites municipales de
l’Italie péninsulaire de la mort de César à la mort de Domitien entre continuité
et rupture. Classes sociales dirigeants et pouvoir central», a cura di M.
Cébeillac-Gervasoni, Rome 2000, p. 424.
Luogo di ritrovamento: ad Ascoli Piceno, nell’orto annesso alla chiesa di S.
Leonardo, reimpiegato nei restauri o nell’innalzamento di età medievale di un
muro romano138.
Luogo di conservazione: Ascoli Piceno, Museo Archeologico Statale (autop-
sia maggio 2001).
Tipo di supporto: lastra in travertino, la cui superficie scrittoria è severamente
danneggiata dal reimpiego. Ne rimane oggi solamente l’angolo superiore sini-
stro139.
Mestiere: dispensator, arcarius oppure vicarius (dispensatoris).
Datazione: la comparsa dell’adprecatio agli dei Mani consente di datare il te-
sto al più presto nella seconda metà del I sec. d.C.140 Non credo tuttavia che si
debba scendere troppo nel tempo, soprattutto in ragione della menzione di un
sevirato Augustale e Tiberiale141.

138 Bernabei, Ascoli Piceno, cit., p. 253; M. Pasquinucci, Studio sull’urbanistica di Ascoli Pi-
ceno romana, «Asculum I», Pisa 1975, p. 113; Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 11.
139 Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 12.
140 Cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 62: dopo la metà del I sec. d.C.; Paci, Il culto imperiale,
cit., p. 115: entro il I sec. d.C., ma posteriore alla metà di quel secolo; Id., Note di epigrafia asco-
lana, cit., p. 15: difficilmente anteriore alla metà del I sec. d.C.; la didascalia al monumento nel
Museo Archeologico Statale di Ascoli propone una datazione alla metà del I sec. d.C. circa.
L’adprecatio ai Mani è piuttosto rara nell’epigrafia sepolcrale di Asculum: vd. CIL IX, 5202;
5218; 5228; 5241; 6415a (da consultarsi nella più accurata edizione di EphEp VIII, 211); AE
1946, 186.
141 Vd. Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 15 sulla base degli elementi paleografici e
dell’onomastica; cf. anche Id. in Un lapidario per Ascoli, cit., p. 15: metà, circa del I sec. d.C. o
poco più tardi. Non concordo con Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 335 che, sulla base del sevi-
rato Tiberiale, data l’iscrizione al periodo 14-37 d.C. La carica, che ha un carattere assolutamente
eccezionale, potrebbe essere sopravvissuta per qualche tempo all’imperatore dalla quale pren-
deva il nome. Non si possono trarre conclusioni certe dalla comparsa nel nostro testo di I lon-
gae: anche se l’uso di queste declina gradualmente nel corso del II sec. d.C. a Roma, ad Asculum
Parte II. I documenti 139

Testo: D(is) M(anibus). / M(arco) Valerio col(oniae) l(iberto) / Vernae, sex


vir(o) / Aug(ustali) et Tib(eriali), / I≥anu≥arius, [c]ol(oniae) di[sp(ensator)] / q≥u i
fuerat [arc]arius vel [vic]arius / eiu[s i]tem / Vibia Primil[l]a uxo[r], / [s]ib[i e]t
po[ste]ris eorum.
l. 1: D(eis) Paci, Un lapidario per Ascoli.
l. 2: col(oniae) l(iberto) Bernabei; col(onorum l(iberto) ILS.
l. 4: Tib(eriani) Bernabei ed EphEp; Tib(eriali) ILS.
l. 5: I longa in di[sp(ensator)].
l. 6: I longa in qui. [arc]arius Bernabei, EphEp e Paci; [arc]arius vel etiam
[vic]arius ILS.
l. 7: eius Paci, Il culto imperiale e Un lapidario per Ascoli.
l. 8: I longa nella prima I di Vibia. Primilla Paci, Un lapidario per Ascoli.
l. 9: I longa nella prima I sibi.
Commento
Il documento è un’iscrizione funebre posta al liberto della colonia di
Asculum M. Valerio Verna da parte dell’ex-arcarius (o vicarius), poi dispensa-
tor della medesima colonia, Ianuario e dalla moglie di Verna, Vibia Primilla; i due
dedicanti riservarono nell’area sepolcrale un posto per sé e per i loro di-
scendenti.
Il defunto apparteneva alla schiera dei liberti di comunità cittadine, non
troppo numerosa se confrontata con quella dei liberti imperiali o degli schiavi
affrancati da singoli privati cittadini. L’espressione con la quale si ricorda il pa-
tronato della colonia di Asculum è qui nella consueta forma abbreviata col. l.,
che può stare sia per col(oniae) come col(onorum) l(ibertus): nel testo si è
proposto lo scioglimento col(oniae) l(iberto), che pare meglio attestato142. Il
personaggio offre spunti di un certo interesse sia per la sua particolare onoma-
stica, sia, soprattutto, per il singolare ufficio da lui ricoperto. Il suo gentilizio,
Valerius, non sembra rientrare nelle regole dell’onomastica degli affrancati pub-
blici143, che generalmente assumevano il nomen Publicius, oppure un gentilizio
che in qualche modo si richiamava al nome della città, come forse il [-] Venerius
col(oniae) l(ibertus) Felix di Hadria di CIL IX, 5020, da cui appunto si è

esso è ancora attestato, seppure sporadicamente, nella dedica del dispensator Rufo alla Fortuna
Redux del 172 d.C., vd. supra, pp. 123-124, Asculum 1.
142 Per coloniae libertus vd. per esempio AE 1914, 221 da Minturnae: Minturnius Suce[ssus]
(!) coloniae lib(ertus); AE 1939, 148 da Ostia: P. Ostiensis coloniae libertus Acutus; CIL XIV,
440 da Ostia: L. Evan(---) Then(---) coloniaes libertus.
143 Illustrate da G. Vitucci, Libertus, «Diz. Ep.», IV (1958), pp. 913-915; riguardo all’iscrizione
di Asculum vd. p. 913: “Tuttavia non mancano casi nei quali non è dato precisare l’origine del
gentilizio portato da questi liberti; v. p. es. il M. Valerius col(onorum) l(ibertus) Verna da Ascu-
lum”, riprendendo la perplessità espressa da H. Dessau a ILS 6565. Sull’onomastica dei liberti
pubblici vd. inoltre W. Eder, Servitus publica. Untersuchungen zur Entstehung, Entwicklung
und Funktion der öffentilichen Sklaverei in Rom, Wiesbaden 1980, pp. 114-117; il contributo d i
S. Dardaine, Les affranchis des cités dans les provinces de l’Occident romain: statut, onomasti-
que et nomenclature, «Ciudades privilegiadas en el Occidente Romano», a cura di J. González,
Sevilla 1999, pp. 213-228, partic. pp. 216-217, accenna solo cursoriamente all’onomastica dei
liberti pubblici dell’Italia, che presenta qualche diversità rispetto alla situazione delle province
occidentali, oggetto della ricerca della Dardaine.
140 Parte II. I documenti

dedotta, in via ipotetica, la fondazione di una colonia Veneria sillana o augustea


in questa antica comunità dell’agro Pretuziano144. In mancanza di nuovi
argomenti che possano chiarire il problema dell’onomastica del liberto asco-
lano, mi limito ad osservare che i liberti della gens Valeria, ed in particolare i
Marci Valerii, sono piuttosto numerosi ad Asculum145; come semplice ipotesi di
lavoro si potrebbe supporre l’esistenza di un notabile locale M. Valerius che non
solo diede il proprio prenome e gentilizio ai suoi schiavi privati al momento
dell’affrancamento, ma, presumibilmente nella sua qualità di alto magistrato cit-
tadino, prestò anche la propria onomastica all’ex servus publicus Verna: sap-
piamo in effetti da una notizia di Varrone che i liberti pubblici potevano anche
prendere il nome dei magistrati che li liberavano146 e la lex Irnitana ci conferma
il ruolo istituzionale che i duumviri avevano nella manomissione, dopo che
l’ordine dei decurioni aveva preso una decisione in merito e lo schiavo aveva
versato alla cassa municipale la somma stabilita dall’ordo stesso: tum {i}is II
vir{is} i(ure) dicundo eum servom eamve servam manumittito, liberum libe-
ramve esse iubeto147; certo che il gentilizio Valerius, tra i più diffusi del mondo

144 Sulla dibattuta questione vd. T. Mommsen in CIL IX, p. 480; W. Schulze, Zur Geschichte der
lateinischen Eigennamen, Berlin 1904, p. 483; E. De Ruggiero, Hadria, «Diz. Ep.», III (1906), p.
599; J. Weiss, Hadria, «P.W.», VII, 2 (1912), col. 2165; M. Hoffmann, Praetuttiana regio,
«P.W.», XXII, 2 (1954), col. 1655; C. Koch, Venus, «P.W.», VIII A, 1 (1955), col. 847; A. Degrassi,
L’amministrazione della città, «Guida allo studio della civiltà romana antica», I, a cura di V.
Ussani - F. Arnaldi, Napoli 19592, p. 321, n°48, che esita tra un’origine sillana ed una fonda-
zione di età triumvirale o augustea; L. Gasperini in L. Gasperini - G. Paci, Ascesa al senato e
rapporti con i territori d’origine. Italia: regio V (Picenum), «Atti del Colloquio Internazionale
AIEGL su epigrafia e ordine senatorio. Roma, 14-20 maggio 1981», II, Roma 1982, p. 206;
Azzena, Atri, cit., p. 21, che preferisce datare la colonizzazione di Hadria all’età augustea;
Delplace, Romanisation, cit., p. 61; M.P. Guidobaldi, La romanizzazione dell’ager Praetutianus
(secoli III -I a.C.), Perugia 1995, p. 194. M. Gaggiotti, L’urbanistica di Atri: caratteri distintivi
di una colonia latina, «JRA», 4 (1991), p. 239 preferisce riferire l’onomastica del liberto
all’esistenza di un collegio connesso al culto di Fortuna Virilis / Venus Verticordia, che lo stu-
dioso suppone esistere ad Hadria, in base ad un confronto con la situazione di Paestum. In que-
sto senso già R. Cagnat, Cours d’épigraphie latine, Paris 19144, p. 86, nota 1, e sostanzialmente
Vitucci, Libertus, cit., p. 914, che accanto all’ipotesi di una derivazione del gentilizio Venerius
dal soprannome della colonia di Hadria, ricordava anche la possibile connessione con un luogo
di culto dedicato a Venere. Per un possibile argomento a favore della datazione della colonia
Veneria di Hadria all’età augustea vd. infra, p. 385.
145 Vd. CIL IX, 5179 = Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 66-68: Valeria M. l.
Citheris; 5200: M. Valerius M. l. Melanthus; 5201: Valeria [---]; 5251: M. Valerius M. l. Pietas;
6414a [---Va]lerius [---].
146 Varro, Ling., VIII, 83, sul quale vd. Vitucci, Libertus, cit., p. 913. La possibilità che Verna
avesse preso il gentilizio da un magistrato che in qualche modo era intervenuto
nell’affrancamento è avanzata da Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 12.
147 Lex Irnitana, cap. LXXII, ll. 14-16; l’ultima edizione del testo in F. Lamberti, Tabulae Irnita-
nae. Municipalità e ius Romanorum, Napoli 1993, con traduzione italiana; ivi, p. 1, nota 1 s i
troveranno i rimandi alle edizioni precedenti; a pp. 2-4, nota 6, indicazioni bibliografiche di ca-
rattere generale sulla legge, sulla quale ogni anno appaiono numerosi nuovi contributi. Sul ca-
pitolo 72 della legge, intitolato de servis publicis manumittendis, vd. in particolare T. Giménez-
Candela, Una contribución al estudio de la ley Irnitana: la manumisión de esclavos municipa-
les, «Iura», 32 (1981), pp. 37-56 (dopo una presentazione generale della legge, allora inedita,
Parte II. I documenti 141

romano, potrebbe essere giunto ad Ascoli per numerose altre vie. Il defunto
porta un cognome non altrimenti noto nel Piceno, Verna, e assai appropriato
per il suo significato ad un liberto: in effetti il cognomen è ben attestato tra gli
schiavi e gli affrancati, anche se compare talvolta a designare individui di na-
scita ingenua148.
La funzione di sexvir Augustalis et Tiberialis rivestita da M. Valerio Verna
rappresenta un unicum nella documentazione in nostro possesso su seviri ed
Augustales nel mondo romano: Asculum in effetti ci ha restituito un’altra atte-
stazione di un seviro definito semplicemente Tiberialis149, ma al di fuori della
città del Piceno non conosciamo testimonianze di altri collegi sevirali intitolati
al successore di Augusto150. Peraltro la documentazione relativa ai collegi con-
nessi al culto imperiale è piuttosto ricca ad Asculum, con attestazioni, oltre che
dei seviri Augustales et Tiberiales ricordati, anche di seviri nude dicti151.

l’autrice affronta il tema centrale del suo contributo alle pp. 42-56); in particolare sul passo che
ci interessa p. 44, dove si richiama la testimonianza di CIL X, 141 da Potentia, nella regio III, per
l’attestazione di un [--- Potenti]nus dec(urionum) lib(ertus); l’integrazione, per la verità, lascia
un poco perplessi; cf. inoltre, su un aspetto particolare del cap. 72, A.T. Fear, Cives latini, servi
publici and the Lex Irnitana, «RIDA», 37 (1990), pp. 149-166.
148 Sul significato di Verna come cognomen, vd. Kajanto, Latin cognomina, cit., pp. 82; 134; cf.
anche p. 314 dove lo studioso registra 68 casi in CIL, a cui si devono aggiungere 19 attestazioni
sicuramente attribuibili a liberti e schiavi. La documentazione urbana relativa agli individui d i
nascita servile è raccolta da Solin, Sklavennamen, cit., III, p. 131. Sul cognome vd. anche le con-
siderazioni di A. Sartori, L’alto Milanese, terra di culti, «MEFRA», 104 (1992), p. 89. Per alcuni
personaggi di nascita ingenua con questo cognome vd. per esempio C. Trebius C. f. Verna di AE
1958, 262 da Roma e M. Antonius M. f. Verna di AE 1912, 241 (cf. anche AE 1912, 109) da Ostia.
149 G. Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., pp. 19-25: P. Caetren≥us ((mulieris)) l(ibertus)
Faustus, [---] / sexvir Tiberialis creatus a [---]. Arbitratu / T(iti) Apusu[l]eni, [---]. La parte si-
nistra dell’iscrizione era già stata pubblicata in CIL IX, 6415, mentre la parte destra venne edita
da G. Gabrielli, Ascoli Piceno. Di un frammento epigrafico latino, «NSc», 21 (1896), p. 322. A G.
Paci spetta il merito di aver riconosciuto la pertinenza dei due frammenti ad un unico testo, i l
che ha consentito tra l’altro di scoprire la forma estesa del titolo dei seviri addetti al culto d i
Tiberio e di correggere lo scioglimento Tib(erianus) nell’epigrafe di M. Valerio Verna, proposta
dal Bernabei, Ascoli Piceno, cit., p. 253 e da allora generalmente accolta dalla dottrina scientifica,
cf. Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 15. Un cenno a questo testo, con lettura leggermente
diversa, in Paci, Il culto imperiale, cit., p. 114, n°1. Sui sacerdozi del culto imperiale ad Asculum
si sofferma brevemente Delplace, «Culte impérial», cit., p. 424, ricordando anche il testo che s i
sta commentando.
150 Sul problema vd. Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 38, che spiega il dato eccezionale d i
Asculum riferendosi agli stretti rapporti esistenti tra la città e la dinastia giulio-claudia. Sostan-
zialmente sulla stessa linea G. Paci, in Il culto imperiale, cit., p. 115 e in Note di epigrafia asco-
lana, cit., pp. 26-27, sottolinea che in Tiberio gli Ascolani dovevano vedere soprattutto il suc-
cessore di Augusto e il garante dell’opera del fondatore dell’impero, grazie al quale la loro città
aveva ottenuto lo statuto coloniario.
151 La documentazione è riunita da Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. LIV, nota 207; R. Duthoy, Re-
cherches sur la répartition géographique et chronologique des termes sevir Augustalis, Augu-
stalis et sevir dans l’Empire romain, «Epigraphische Studien», 11, Köln 1976, p. 160; Delplace,
Romanisation, cit., p. 230. Si aggiunga ora il VI vir Q. Greius Crocus di un’iscrizione sepolcrale
recentemente pubblicata da F. Cappelli, Nuova epigrafe da Ascoli Piceno, «Picus», 16-17 (1996-
1997), pp. 233-236 ( = AE 1997, 475) e i due fratelli L. Telonius Dicaeus e L. Telonius Meleager
che in un semplice epitafio edito da Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., pp. 15-19 ( = AE 1998,
142 Parte II. I documenti

A proposito della condizione sociale del primo dedicante, Ianuarius, U.


Laffi sostiene che il sostantivo che regge il genitivo coloniae non è dispensator,
ma il sottinteso servus152: l’ipotesi, seppure probabile, forse non è necessaria,
alla luce del fatto che nei pochi casi di dispensatores municipali a noi noti tale
sostantivo è sempre omesso153. Del resto, qualunque delle soluzioni si abbracci,
dal punto di vista sostanziale cambia poco: in ogni caso lo schiavo Ianuario
lavorava come dispensator presso l’arca della colonia di Asculum154. Il
popolarissimo nome Ianuarius è ben attestato anche nel Piceno: nella stessa
Ascoli conosciamo un L. Saturius Admeti lib. Ianuarius (CIL IX, 5240)155.
A proposito del primo ufficio di Ianuarius menzionato, quello di dispen-
sator, nulla vi è da aggiungere a quanto già scritto a proposito dei cassieri atte-
stati nell’epigrafia del Piceno già presi in esame156, se non che non stupisce di
ritrovare ancora una volta uno schiavo ricoprire l’incarico.
Vale la pena invece soffermarsi più a lungo sul secondo incarico attestato,
ma primo in ordine di tempo nella carriera di Ianuario; il testo, lacunoso in que-
sto passaggio, potrebbe essere integrato [arc]arius oppure [vic]arius.
Partendo dalla prima possibilità di integrazione rileviamo che, al pari dei
dispensatores, anche gli arcarii, o arkarii, erano impiegati addetti ad una cassa,
fosse questa di carattere pubblico o privato: conosciamo in effetti arcarii im-
piegati nell’amministrazione finanziaria di privati o di associazioni, addetti alla
cassa privata dell’imperatore o a diversi dipartimenti delle finanze pubbliche,
come il fiscus castrensis, la vicesima hereditatium o la vicesima libertatis; arca-

418; cf. un’edizione preliminare in Paci, Il culto imperiale, cit., p. 115, n°3) portano il titolo d i
Augustales VI viri et Tiberiales; in quest’ultimo contributo si vedano anche le considerazioni
generali sui sacerdozi imperiali di Asculum alle pp. 9-11. Nel dossier delle testimonianze viene
generalmente inclusa anche CIL IX, 5192, iscrizione che attesterebbe un P. Tebeianus
((mulieris)) l(ibertus) Felix, VI vir Aug(ustalis); il documento desta peraltro qualche sospetto: i n
effetti è noto solo dalla trascrizione di Sebastiano Andreantonelli e venne tramandato insieme ad
un’epigrafe ritenuta falsa, CIL IX, *513; il Mommsen, nel lemma all’edizione del CIL, nota
inoltre che questa sarebbe l’unica attestazione di seviri Augustales ad Asculum; i dubbi sono
rafforzati dal fatto che questa sembra essere l’unica occorrenza del gentilizio Tebeianus, cf. Solin
- Salomies, Repertorium, cit., p. 182. Sul ruolo degli Augustales e dei collegi affini nel culto
imperiale si veda ora la sintetica esposizione di M. Clauss, Kaiser und Gott. Herrscherkult im
römischen Reich, Stuttgart - Leipzig 1999, pp. 411-413, con alcuni rimandi alla bibliografia
anteriore.
152 Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. LI, nota 185.
153 Vd. supra, pp. 124-125.
154 Riguardo allo statuto coloniario di Asculum, vd. supra, p. 124, nota 79.
155 Cf. inoltre ad Auximum Q. Petrusid(ius) Ianuarius (CIL IX, 5777) e due Vettii Ianuarii, padre
e figlio, in CIL IX, 5783 (ripresa da G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp. 85-86, n°15);
a Montelupone (probabilmente nel territorio di Ricina) M. Curvenus M. f. Ianuarius di R. Perna,
Epigrafe funeraria romana dal territorio di Montelupone, «Picus», 23 (2003), pp. 294-298. Su
questo cognomen vd. Kajanto, Latin cognomina, cit., pp. 218-219; U. Agnati, Epigrafia, diritto e
società. Studio quantitativo dell’epigrafia latina di zona insubre, Como 1997, p. 112, che l o
registra nel suo elenco di cognomi con forte diffusione tra l’elemento servile.
156 Vd. supra, pp. 107-108, Karus di Ancona 1 e pp. 124-125, Rufus di Asculum 1.
Parte II. I documenti 143

rii appaiono infine anche nell’esercito157. Particolarmente numerose sono le


attestazioni che si riferiscono agli arcarii impiegati presso le casse municipali,
che credo sia opportuno riprendere qui di seguito, aggiornando e correggendo la
lista approntata alla fine del XIX secolo da F. Fuchs per l’articolo arca del Di-
zionario epigrafico158.
1. Primigenius, r(ei) p(ublicae) Aricinorum ser(vus) arc(arius) di CIL XIV,
2156, curò insieme al figlio M. Arrecinus Gellianus l’erezione di una dedica a
Diana Augusta.
2. Restitu[tus], r(ei) p(ublicae) B(ovillensium) ar[carius] ? di CIL XIV, 2414,
ricevette sepoltura da [A]cilia Ach[---].
3. Parthenius, arcarius rei publicae Lavicanorum Quintanensium di CIL XIV,
2770, ricevette sepoltura.
4. Dion[y]s[i]us, ark(arius) nell’albo della familia publica di Ostia, CIL XIV,
255, col. I, l. 2.
5. Evaristus, ark(arius) nell’albo della familia publica di Ostia, CIL XIV, 255,
col. I, l. 3.
6. Lupulus, col(oniae) Capuae arcar(ius) di CIL X, 3940, pose sepoltura
all’amicus optimus C. Campanius col(oniae) l(ibertus) Ursulus.
7. Euphrosynus, arc(arius), viene ricordato in CIL X, 3942 da Capua, epitafio
del suo magister Macedo.
8. Privatus, arc(arius) Cretae di CIL X, 3938 da Capua159.
9. Felix, ark(arius) rei p(ublicae) Neapolitanorum di CIL X, 1495, pose sepol-
tura alla moglie Marcia Melissa, insieme al figlio Marcius Felix.
10. Primus, col(oniae) arcarius di CIL X, 486, pose sepoltura alla moglie
Bennia Ephesia.
11. Niceros, colonorum coloniae Puteolanae servus arcarius di G. Camodeca,
Tabulae Pompeianae Sulpiciorum. Edizione critica dell’archivio puteolano dei
Sulpicii, I, Roma 1999, pp. 146-147, n°56 e pp. 224-225, n°114, nel 52 d.C.,
contrae un mutuo di 1.000 sesterzi, probabilmente a titolo privato e non in
quanto impiegato della cassa municipale della colonia di Puteoli160.
12. Nymphicus, Volc(eiorum) ark(arius) di CIL X, 410 insieme a Coelia Prima
pose sepoltura a sé e al figlio di Prima, il soldato della II coorte pretoria C.

157 Raccolta e studio della documentazione rilevante in P. Habel, Arcarius, «P.W.», II, 1 (1895),
coll. 429-431; F. Fuchs, Arca, «Diz. Ep», I (1895), pp. 632-636; si sofferma sulla condizione
giuridica degli arcarii, quasi sempre schiavi, e indaga sulle ragioni del fenomeno Agnati, Cor-
relazioni, cit., pp. 605-606.
158 Fuchs, Arca, cit., p. 635.
159 Questo impiegato era incaricato di riscuotere le rendite dei terreni che la comunità di Capua
possedeva nell’isola di Creta, cf. T. Mommsen, CIL X, p. 368 e commento a CIL X, 3938, ripreso
da Fuchs, Arca, cit., p. 635; G. Paci, Proventi da proprietà terriere esterne ai territori munici-
pali, «Il capitolo delle entrate nelle finanze municipali in Occidente ed in Oriente. Actes de l a
Xe Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain. Rome, 27-29 mai 1996»,
Rome 1999, pp. 70-71.
160 Sulle testimonianze relative all’arcarius vd. G. Camodeca, L’archivio puteolano dei
Sulpicii, I, Napoli 1992, pp. 191-194.
144 Parte II. I documenti

Coelius Anicetus, che aveva ottenuto nella sua patria Volceii l’onore del decu-
rionato gratuito.
13. Albanus, co[l(oniae)] A(eliae) A(ugustae) A(eclani) s(ervus) ark(arius) sul
sigillo CIL IX, 6083, 11 da Aeclanum.
14. Dexter, col(onorum) Ben(eventanorum) ser(vus) ark(arius) sul sigillo CIL
IX, 6083, 46 da Benevento.
15. Eunus, col(onorum) Ben(eventanorum) ser(vus) ark(arius), parimenti su di
un sigillo beneventano, CIL IX, 6083, 51.
16. Crescens, publ(icus) arca[rius] di AE 1978, 194 da Brundisium, deceduto
all’età di 22 anni.
17. Oenarus, publ(icus) arcarius thermarum di AE 1978, 217 da Brundisium,
deceduto ad un età in lacuna.
18. Liberalis, col(onorum) col(oniae) Sip(onti) ser(vus) arkar(ius), qui et ante
egit rationem alimentariam sub cura praefector(um) annis XXXII, di CIL IX,
699, pose sepoltura al figlio Augurinus, rei p(ublicae) s(ervus) verna, mensor.
19. Apronianus, r(ei) p(ublicae) Aequicul(orum) ser(vus) ark(arius) curò a sue
spese l’erezione o il restauro di diverse opere pubbliche nella sua comunità di
appartenenza: una dedica a Mithra Invictus (CIL IX, 4109, datata al 172 d.C.),
un sacello di Sol Invictus Mithra (4110), statue di Iside e Serapide ed
un’aedicula, insieme ai figli Aequicula Bassilla e Aequiculus Apronianus
(4112).
20. Fortunatus, rei [publ(icae)] arkarius attestato nella lacunosa CIL IX, 4111,
sempre dalla res publica Aequiculorum, verosimilmente pose una dedica pro
salute.
21. Montanus, populi Antinatium Marsor(um) ser(vus) arcarius di CIL IX,
3845 pose sepoltura alla figlia Varia Montana insieme alla moglie Varia Odyne.
22. [---]chus, [--- ar]karius [---]um di CIL IX, 3773 (Marsi Marruvium), in-
sieme alla moglie pose sepoltura al figlio o alla figlia; è tuttavia incerto se il
personaggio fosse veramente arcario della comunità, in considerazione della
estrema lacunosità del testo.
23. Epitynchanus, Telesinorum ser(vus) ark(arius) di CIL IX, 2244, ricevette
sepoltura dal suo vicarius Adiutor.
24. [---]nus, rei p(ublicae) Tervent(inorum) ser(vus) ark(arius) di CIL IX,
2606, ricevette sepoltura dalla moglie Terventinia Calliste e da un altro perso-
naggio il cui nome è andato parzialmente perduto.
25. Secundus, ark(arius) rei p(ublicae) Amerin(orum) di CIL XI, 4382 pose
una dedica a T. Atilius T. f. T. n. Clu. Adiatro, che fu tra l’altro cur(ator)
kal(endarii) Amerinorum.
26. Veientius Ianuarius, lib(ertus) ark(arius) di CIL XI, 3780 da Veio, curò il
restauro di un’ara dedicata alla Victoria Augusta.
27. Quartio, Brix(ianorum) vilicus a[rk]ar(ius)161 di CIL V, 4503 = InscrIt X,
V, 296, diede sepoltura alla contubernalis Clodia Varilla.

161 Secondo lo scioglimento proposto da A. Garzetti a InscrIt X, V, 296, sulla base di CIL V,
3858 (vd. n°28 di questa lista); la soluzione è accolta da G.L. Gregori, Brescia romana. Ricerche
Parte II. I documenti 145

28. Epitynchanus, m(unicipi) M(ediolanensis) ser(vus) vi[l]ic(us) ark(arius) di


CIL V, 3858, ricevette sepoltura.
29. Gratinus, rei p(ublicae) civitatis Vang(ionum) servus arcarius di AE 1933,
113 dalla località di Altrip nella Germania superior, dedica una statua di Diana
alla Mater Deum Magna e ai numina loci insieme alla libert(a) pub(lica)
Decorata, verso il 250 d.C. circa.
Il quadro che emerge da questa rassegna di testimonianze indica che gli ar-
carii municipali tutto sommato godevano di una posizione sociale niente affatto
disprezzabile, se confrontata con la loro condizione giuridica, che è quasi sempre
quella di schiavi, tranne che nel caso del liberto Veientius Ianuarius (n°26): in
effetti vediamo spesso gli arcarii contrarre nozze con donne libere, anche se
verosimilmente di condizione libertina (nn. 9, 10, 21, 24; 27; incerti i casi ai
nn. 2, 22), o ricordare figli a loro volta liberi o liberti (nn. 1, 19 e 21; era
schiavo pubblico come il padre il mensor Augurinus, vd. n°18)162. L’erezione di
dediche onorarie o votive (nn. 1, 20, 25), i progetti monumentali più ambiziosi,
quali quelli intrapresi dall’arcarius Aproniano nella res publica Aequiculorum
(n°19) e da Gratino nella res publica Vangionum (n°29), o ancora il restauro di
un’ara alla Victoria Augusta curato da Veientius Ianuarius (n°26) attestano
come in taluni casi questi impiegati delle finanze municipali potessero raggiun-
gere una discreta agiatezza economica, anche se la maggior parte di essi ci è
nota dai loro semplici epitafi o da quelli dei loro parenti. Una certa libertà
d’azione nella sfera economica ci è mostrata anche dal fatto che l’arcarius di
Puteoli Niceros contrasse un mutuo a titolo personale, giusta la supposizione di
G. Camodeca riguardo alle tavolette dell’Agro di Murecine che ci hanno conser-
vato il ricordo di questa operazione finanziaria (n°11). Purtroppo le nostre te-
stimonianze ben poco ci dicono riguardo ai compiti degli arcarii negli uffici fi-
nanziari delle comunità provinciali, attestando solo che un cassiere era stato
impiegato presso la cassa degli alimenta di Sipontum (n°18) ed un altro aveva
rivestito anche l’incarico di vilicus (n°27) o limitandosi ad indicare come gli ar-
carii fossero in rapporto con altri funzionari, quali il curator kalendarii (n°25),
o impiegati subordinati, come il magister (n°7) e il vicarius (n°23).
A questo proposito forse il nostro testo potrebbe apportare qualche preci-
sazione sugli impiegati ai quali gli arcarii erano subordinati. Secondo l’Ihm eius
a l. 7 andrebbe riferito a colonia di l. 5 163. Suggerirei piuttosto di riferire il pro-
nome a M. Valerius Verna, in effetti mi pare che il riferimento arcarius (colo-
niae) potesse risultare ridondante, dal momento che alla linea precedente già si
era ricordato che Ianuarius era (servus) coloniae dispensator e che dunque non
dovevano sussistere dubbi sul fatto che lo schiavo pubblico Ianuario, tanto come
dispensator quanto come arcarius, fosse stato sempre impiegato presso la cassa

di prosopografia e storia sociale, Roma 1990-1999, I, p. 235, n°C, 186; cf. tuttavia gli indici d i
CIL V, p. 1197, che interpretano vilicus aerari.
162 Di particolare interesse mi pare la testimonianza n°12, se, come mi pare possibile, l’arkarius
Nymphicus era il padre del giovane pretoriano e decurione onorario di Volceii C. Celio Aniceto;
in tal modo si potrebbe spiegare la presenza fra i dedicanti di un cassiere pubblico, insieme alla
madre del defunto Celia Prima.
163 E. Ihm a EphEp VIII, 217.
146 Parte II. I documenti

municipale della colonia di Asculum164. Questa ipotesi avrebbe anche il vantag-


gio di spiegare il ruolo di Ianuario come dedicante dell’iscrizione sepolcrale di
M. Valerio Verna. Ma se l’impiegato dell’arca pubblica Ianuario era alle dipen-
denze di Verna, quale poté essere il ruolo di quest’ultimo? Prendendo in rassegna
il personale che lavorava negli uffici finanziari dei municipi, arcae ed aera-
ria165, possiamo escludere i responsabili della cassa, quaestores e curatores, che
erano di nascita ingenua, così come gli impiegati di livello superiore, gli scribae;
tra il personale subalterno di condizione libertina o più spesso servile, lasciando
da parte i citati magistri e vicarii, che sembrano piuttosto subordinati
all’arcarius, troviamo il vilicus aerarii166, il vilicus summarum167 o ancora il
semplice summarum168, infine, naturalmente, i dispensatores169. Le due atte-
stazioni di dispensatores già note ad Ascoli mi inducono a concludere con una
certa sicurezza che anche Valerio Verna, liberto o forse ancora schiavo quando
Ianuario lavorava alle sue dipendenze, doveva aver ricoperto questo stesso uffi-
cio170: la possibilità che i dispensatores avessero tra i loro sottoposti un arca-
rius ci è attestata, anche se non in ambito municipale, a Roma, dove abbiamo
notizia di un Epitynchanus, Hesychi dispensatoris fisci castrensis arcarius (CIL
VI, 8517 = ILS 1660), da due iscrizioni di Virunum, nel Norico, nelle quali
compare un Diadumenus, Nicolai Aug(usti) disp(ensatoris) arcarius (CIL III,
4797 = ILS 1506 e CIL III, 4798) e da CIL III, 6772 = 12135 = ILS 1661 da
Caesarea di Cappadocia, una dedica pro salute et incolumitate Chresimi,
Augg(ustorum) nn(ostrorum) dispensatoris, posta da Callimorphus, arkarius
eiusdem171. Si aggiunga che il cognomen di M. Valerio ben si accorderebbe col
suo ufficio di dispensator, spesso affidato, come si è detto, ai fidati schiavi ver-
nae172: in altre parole mi pare possibile che M. Valerio, oltre che di nome, fosse
di fatto un servus verna della colonia di Asculum173
Se questa congettura fosse esatta potremmo anche pensare che Ianuario
sia succeduto al suo superiore nell’incarico di dispensator quando questi si ritirò

164 Così anche Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 14.


165 Sulla base degli articoli di Fuchs, Arca, cit. e di E. De Ruggiero, Aerarium (publicum), «Diz.
Ep.», I (1895), pp. 309-311, partic. p. 311.
166 Cf. CIL V, 4505 da Brixia e 2803 da Patavium.
167 Cf. CIL V, 737 da Aquileia.
168 Cf. CIL V, 1038 da Aquileia e CIL III, 3921 da Neviodunum.
169 Per le attestazioni dei dispensatores municipali vd. supra, pp. 124-125.
170 Così anche Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 14.
171 Cf. anche CIL III, 1955 da Salona, nella quale l’arcarius Fortunatus pose una dedica Deo
invicto pro salute et incolumitat(e) Pamph[i]li, disp(ensatoris) Augg(ustorum) nn(ostrorum): i l
legame di dipendenza, anche se non esplicitamente attestato, è facilmente inferibile. Per altri
casi, meno sicuri, vd. Herrmann-Otto, Ex ancilla natus, cit., p. 381, nota 76.
172 Vd. supra, p. 108, nota 5.
173 Cf. Herrmann-Otto, Ex ancilla natus, cit., pp. 196-205, partic. p. 199 e nota 13, con riferi-
mento al caso di M. Valerius Verna.
Parte II. I documenti 147

dall’ufficio: in effetti egli, in quanto vecchio assistente di M. Valerio Verna, do-


veva essere senza dubbio la persona più adatta a sostituirlo174.
L’ipotesi sopra delineata sostanzialmente conserverebbe il suo valore an-
che nel caso si integrasse il primo incarico di Ianuario come [vic]arius, solu-
zione che ha dalla sua parte il conforto di molti casi paralleli in cui un dispen-
sator è assistito da un vicarius175.
Per quanto concerne la seconda dedicante e moglie del defunto, Vibia
Primilla, mi limito a segnalare come il nomen sia ben noto nel Piceno, anche
per la presenza di una gens senatoria originaria di Trea176; nella stessa Ascoli ri-
cordiamo un P. Vibius P. [---] attestato da CIL IX, 5255, un C. Vibius
Pet(ronis) f. Fab. Balbus di CIL IX, 5256 e una Vibia Primigenia di CIL IX,
5234. Per il cognomen Primilla abbiamo un’altra attestazione ad Asculum, a
proposito di una Stritia T. f. Primilla (CIL IX, 5245).
La clausola finale, con la quale i dedicanti ricordano di aver riservato an-
che per sé e per i propri discendenti un’area nel sepolcro, è testimonianza della
discreta agiatezza raggiunta da questi personaggi legati alla burocrazia munici-
pale177.

174 Già Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. LI pensava che il passaggio dal posto di arcarius a quello
di dispensator avesse rappresentato per Ianuario un progresso di carriera.
175 Le attestazioni sono particolarmente numerose a Roma e nelle province; si veda per esempio
a Roma CIL VI, 64; 4332; 6275; 8845; 8863; 8950; 9331 (= AE 1992, 98); 9369; 31012; e inol-
tre CIL XI, 5418 = ILS 5459 da Asisium; CIL X, 7588 = AE 1979, 299 da Cagliari; CIL XII, 117 da
Axima, nelle Alpes Graiae et Poeninae; AE 1985, 657 da Massongex, nella medesima provincia;
AE 1993, 911 da Emerita; AE 1986, 525 da Riegel, nella Germania superior; CIL III, 3269 dalla
Pannonia inferior; 4828 da Virunum; 7802 da Apulum, in Dacia; AE 1914, 114 da Sarmizege-
tusa; AE 1959, 307 da Moldova Nova, in Dacia; CIL III, 8112 = 12656 da Viminacium; AE 1891,
97 da Thabraca; AE 1942/43, 60 e AE 1972, 717 da Sitifis. Altri esempi in Herrmann-Otto, Ex
ancilla natus, cit., pp. 380-383, partic. p. 381, nota 76. Vicarii, nel senso di schiavi di proprietà
di altri schiavi, sono attestati nella documentazione della regio V da CIL IX, 5491 da Falerio
(ora studiata da G. Mennella, Iscrizioni di Falerio Picenus a Genova, «Picus», 6 (1986), pp. 183-
185, n°3): Rufilla, conserva et vi[caria] e da CIL IX, 5404 da Firmum, iscrizione sepolcrale d i
Numisia Silvina, postale dai vikarii: in questi due casi non è tuttavia chiaro da chi dipendessero
i vicarii in oggetto e quale potesse essere la loro eventuale occupazione; ho preferito dunque
non includere le iscrizioni citate nella presente raccolta.
176 Sui Vibii senatorii di Trea vd. Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., pp. 218; 234, con la
bibliografia ivi citata e il commento dell’iscrizione CIL IX, 5645. Per la diffusione del gentilizio
nel Piceno vd. ad Auximum Vibia L. f. Marcella di CIL IX, 5841; a Castrum Novum P. Vibius P. l.
Donatus e P. Vibius P. l. Gemellus di CIL IX, 5154; a Cingulum si segnala P. Vibius [---] di CIL
IX, 5696; a Cupra Maritima abbiamo un bollo su laterizio col nome di C. Vibius Fortunatus, cf.
CIL IX, 6078, 175 e Fortini, Laterizi bollati, cit., p. 126, n°15; cf. inoltre il Vibius di CIL IX,
5334 e il [-] Vibius L. f. Maec. [---] di CIL IX, 5335; una Vibia Sed[ata] è nota a Firmum
dall’iscrizione CIL IX, 5496; vd. inoltre una Vibia nella lacunosa CIL IX, 5400; a Interamnia s i
segnala un P. Vibius P. l. Philotimus di CIL IX, 5127; a Montelupone (probabilmente nel territo-
rio di Ricina) Vibia Ampliata di Perna, Epigrafe, cit., pp. 294-298; a Septempeda M. Vibius M. f.
V[---] in una lacunosa iscrizione ora pubblicata in Suppl. It., n.s. 13, pp. 220-221, Vibia Politice
di CIL IX, 5575, Q. Vibius Q .f. Maxsimus di CIL IX, 5626; Q. Vibius Sp. f. Rufus di CIL IX, 5627,
Vibius Rufus di CIL IX, 5628; a Trea un M’. Vibius [---] di CIL IX, 5655.
177 Per le attestazioni delle formule sibi posterisque suis, sibi et suis e simili ad Asculum vd.
CIL IX, 5209; 5217; 5228; 5245; EphEp VIII, 215; AE 1946, 186; cf. anche la lacunosa CIL IX,
4204.
148 Parte II. I documenti

Immagine: Tav. V. Un lapidario per Ascoli, cit., p. 14, n°13; Paci, Note di
epigrafia ascolana, cit., p. 13, fig. 2; De Marinis - Paci, Atlante, cit., p. 138,
fig. 226.
Parte II. I documenti 149

Asculum 3

Edizione di riferimento: G. Paci, Note di epigrafia ascolana II: iscrizioni di


nuova e vecchia acquisizione, «Picus», 20 (2000), pp. 37-41.
Luogo di rinvenimento: sebbene non vi siano notizie sul preciso luogo di ri-
trovamento dell’epigrafe, è presumibile che questa fosse originariamente collo-
cata a poca distanza dal suo sito di reimpiego.
Luogo di conservazione: murata alla parete della stalla della casa colonica
Pacifici, in località Abbazia, nella frazione di Rosara (comune di Ascoli Pi-
ceno)178.
Tipo di supporto: lastra in travertino, fratta a destra, a sinistra e in basso per
le esigenze del reimpiego; le fratture hanno comportato la perdita di alcune let-
tere in tutte le linee a destra, nelle ll. 1, 3 e 5 a sinistra; in alto si conserva il
bordo originario. Lo specchio epigrafico non è delimitato da cornice.
Mestiere: expertus fo[ri] o fo[ro]?
Datazione: il formulario, piuttosto semplice e nel quale spicca l’assenza
dell’adprecatio ai Mani (se, come pare, si conserva il bordo superiore originario
del monumento), l’espressione ex testamento, le caratteristiche paleografiche e
la mancanza di cornice, hanno indotto l’editore, a ragione, a collocare
l’epigrafe in età augustea o, al più tardi, ai primi decenni del I sec. d.C.179
Testo: [T(itus) - c. 1-2 -]ntuleius T(iti) l(ibertus) H[ - c. 4-5 -], / expertus fo+[ -
c. 2-3 -]. / [E]x≥ testame[nto] / T(iti) Ponti So[ - c. 2 -]. / [I]n≥ f≥(ronte) p≥(edes)
XX, i≥[n a(gro) p(edes) ---].
l. 2: la seconda T di testame[nto] è longa.
Interpunzione in forma di triangolo, utilizzata con regolarità a dividere le pa-
role.
Commento
Si tratta del semplice epitafio di un personaggio di condizione libertina,
curato da un esecutore testamentario in base alle ultime volontà del defunto.
La formula onomastica di quest’ultimo è andata parzialmente perduta a
seguito del reimpiego della lastra; tuttavia, sulla base delle integrazioni sicure
delle ll. 3 e 5 e considerando che il testo è stato accuratamente impaginato
sull’asse centrale, si deve ritenere che in questa prima linea non siano andate
perdute più di 3 lettere a sinistra e non più di 5 a destra. Il gentilizio del defunto,
una volta integrato il prenome Titus, sulla base della formula di patronato, po-
trebbe essere identificato con i nomina Antuleius, Cantuleius, Pantuleius o
Pontuleius180, nessuno dei quali finora attestato nella regio V: tra questi
l’editore, G. Paci, ritiene preferibile Pontuleius, in cui ritorna la medesima ra-
dice di Pontulenus, già noto proprio ad Asculum181. Più difficile proporre un

178 Paci, Note di epigrafia ascolana II, cit., pp. 35; 37.
179 Ibid., p. 41.
180 Cf. Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 234.
181 Ibid., p. 38. Cf. [.] Pontulenus [.] f. Rufus di CIL IX, 5232 e Pontulena Casta di E.E., VIII,
219.
150 Parte II. I documenti

supplemento per il cognomen, di cui si conserva solo la lettera iniziale: conside-


rando l’ampiezza della lacuna e i cognomina già presenti nel Piceno si potrebbe
proporre a puro titolo esemplificativo Hister182, ma i supplementi possibili sono
ovviamente numerosissimi.
Alla l. 2 viene introdotta dal participio passato expertus una particolare
capacità o esperienza del defunto, che non è escluso potesse avere anche una
valenza professionale183: è vero che expertus nella documentazione epigrafica a
mia conoscenza sembra essere utilizzato solamente in senso passivo, per espri-
mere l’esperienza di una condizione o di un sentimento184, spesso il dolore per
la perdita di una persona cara185. In questi esempi, peraltro, il contenuto
dell’esperienza è sempre precisato non da un solo sostantivo, ma da un’intera
frase, che per ragioni di spazio non può trovare posto nell’iscrizione di Ascoli.
Una restituzione sull’esempio di expertus fo[rtuna], ad indicare colui che aveva
sperimentato gli alterni casi della sorte, in sé plausibile, non avrebbe quindi giu-
stificazione in paralleli epigrafici, oltre ad essere leggermente troppo lunga per
la lacuna di l. 2.
Si deve dunque esaminare la possibilità che qui expertus sia usato in senso
attivo, con significato sostanzialmente analogo a quello di doctus, eruditus o
peritus186. Non è tuttavia agevole integrare il sostantivo retto da expertus, in
caso genitivo o ablativo, e dunque comprendere in quale settore o attività lavo-
rativa si esplicasse la perizia del defunto. Il supplemento che viene subito alla
mente, for≥[i] o for≥[o], sarebbe compatibile con quanto rimane dell’ultima let-
tera di l. 2, un’asta verticale, e con la lunghezza presunta della lacuna, ma non
trova per il momento un confronto preciso nella documentazione epigrafica la-
tina, né un più generico parallelo in espressioni con i succitati sinonimi di
expertus. Si può peraltro osservare che sia doctus, come anche eruditus e peri-
tus, in genere connotino forme di sapere pertinenti alle arti liberali187, in parti-
colare la conoscenza delle lingue188 e del diritto, con la frequente espressione

182 Cf. AE 1991, 613 = Suppl. It., n.s., 18, pp. 179-180, n°11 da Trea.
183 Sul senso di expertus vd. G. Meyer, Experior, «TLL», V, 2, coll. 1683-1686.
184 Cf. per esempio CIL VI, 7732: unum ab virginitate L(uci) Aemili Regilli matrimonium
experta; CIL VI, 8467: cuius omnem pietatem experta sum; CIL VI, 15317: cuius nulla(m) cupi-
ditate(m) est expert(us); AE 1997, 410 dal territorio dei Ligures Corneliani: [no]ndum nulla
poena expertus e[st].
185 In quest’ultima accezione cf. per esempio CIL VI, 7308: si quis hunc amoverit, eundem dolo-
rem experiscatur quem ego experta sum; CIL VI, 27458: rogat v(os) ni ¢violÜet¢iÜs s(i)c nulli ve-
stroru(m) conti(n)gat tale(m) dolor(em) experisci quod nos infelicissi(mi) parent(es) experti
sumus; cf. anche AE 1901, 105 da Henchir Djouana, nell’Africa proconsolare.
186 Così già Paci, Note di epigrafia ascolana II, cit., p. 40.
187 Vd. per esempio CIL II, 4313 = RIT 442 da Tarraco: artis medicine (!) doctiss(imus); CIL
XIII, 8355 da Colonia Agrippinensium: doctus in compendia tot litterarum et nominum notare
currenti stilo; CIL II, 4465 = IRC II, 35 = AE 1988, 831 da Aeso: liberalibus studiis eruditus;
CIL V, 8722 da Concordia: notarum litteris eruditus.
188 Vd. per esempio CIL VI, 1793 (cf. p. 4763): utrisque litteris eruditus; CIL IX, 2340 (cf. AE
1997, 317) da Allifae: [g]raecis ac latinis litteris erudito; CIL III, 12702 da Doclea: artis
grammaticae graecae per[i]tissimo; CIL VIII, 8500 da Sitifis: utriusq(ue) linguae perfecte eru-
ditus; ILAlg I, 1363 e 1364 da Thubursicum Numidarum: utraq(ue) lingua eruditus.
Parte II. I documenti 151

iuris peritus189. Un rapido esame delle attestazioni epigrafiche dell’espressione


greca e[mpeiro", corrispondente al latino expertus, riporta ancora alla sfera del
sapere giuridico, con la formula ejmpeirovtato" novmwn190, sebbene il termine
possa essere impiegato anche a definire una perizia in settori assai diversi, quali
l’agricoltura o gli spettacoli191.
Pure ammettendo l’ipotesi di una restituzione expertus fori o foro, resta
da chiedersi a quale attività alluda, per traslato, il riferimento al foro: se la mo-
desta condizione sociale del personaggio di cui ci stiamo occupando, un liberto,
potrebbe indurre ad interpretare qui il forum come sede del mercato, il senso
prevalente del sostantitivo e del corrispondente aggettivo forensis nel latino
letterario in relazione all’esercizio dell’avvocatura192 e il frequente impiego di
termini consimili ad expertus, quali doctus, eruditus, peritus o e[mpeiro", in rap-
porto alle discipline liberali ed in particolare al diritto193 suggerisce piuttosto un
impegno del defunto nel settore giuridico. Sarebbe peraltro rischioso avventu-
rarsi oltre in speculazioni sul senso di una formula come expertus fori o foro che,
allo stato attuale delle nostre conoscenze, rimane puramente congetturale.
Alle linee 3-4 si ricorda che le cura della sepoltura venne affidata per te-
stamento ad un tal T. Pontius, del cui cognome si conservano solamente le
prime due lettere. Calcolando che a destra non devono essere andate perdute più

189 Vd. per esempio CIL VI, 1621 (cf. p. 4721); CIL VI, 9487 = ILS 7743; CIL VI, 33867; CIL X,
6662 da Antium; CIL XIV, 2916 da Praeneste (iuris publici [et] privati p[e]r[itissimo], secondo
le integrazioni suggerite dal Mommsen); CIL I2 1997 = CIL XI, 3371 = ILLRP 672 da Tarquinii
(l’espressione è parzialmente in lacuna); CIL V, 1026 = Inscr.Aq., I, 705 da Aquileia; IRT 647 da
Leptis Magna; CIL VIII, 10899 = 20164 da Cuicul; CIL VIII, 27505 dal territorio di Masculula
(ove la lezione ruris peritus della pietra sarà da correggere in iuris peritus); AE 1903, 319 = ILS
7746c = ILAlg. I, 1362 da Thubursicum Numidarum: in foro iuris peritus; AE 1926, 29 da
Thamugadi; CIL VIII, 8489a da Sitifis. Cf. anche CIL VI, 31947 = 41401: legum peritissimum. La
documentazione africana relativa agli esperti di diritto, tra i quali anche gli iuris periti, è
esaminata da Vössing, Africa nutricula causidicorum?, cit., pp. 127-154, partic. pp. 129-136 per
le fonti epigrafiche e pp. 150-154 sul senso di iuris peritus. Per le province galliche e spagnole
vd. D. Liebs, Die ersten bekannten römischen Juristen in Gallien und Spanien, «Collatio iuris
romani. Études dédiés à Hans Ankum à l’occasion de son 65 e anniversaire», a cura di R.
Feenstra et alii, Amsterdam 1995, pp. 257-260.
190 Attestata per esempio in IG V, 1, 1244, da Tenaro, e da IG X, 2, 142 da Thessalonica (docu-
mento recentemente studiato da F. Millar, The Greek East and Roman Law: the Dossier of M. Cn.
Licinius Rufinus, «JRS», 89 (1999), pp. 90-108, partic. pp. 93-94; sul personaggio cf. anche L.
Robert, Un juriste romain dans une inscription de Beroia, «Hellenica», V, Paris 1948, pp. 29-
34, partic. 30-31 per alcune considerazioni sull’espressione ejmpeirovtato" novmwn e simili).
191 Cf. per esempio TAM IV, 1, 211 dal territorio di Nicomedia, iscrizione sepolcrale di un ano-
nimo personaggio che è detto gewrgikh’" e[mpiro" (!); SEG XII, 421 = IK 41, 625 da Cnido, con
allusione a Mousw’n e[mpeiroi. Cf. anche P. Panop. Beatty I, 1, col. 7, l. 182, ove si richiede la
nomina di un uomo grammavtwn e[mpeiro" per seguire le riparazioni di alcune imbarcazioni, i n
particolare per la registrazione delle spese connesse; su questo requisito, non frequente nelle
nomine ad una liturgia dell’Egitto romano, vd. N. Lewis, In the World of P.Panop.Beatty. Ship
Repair, «BASP», 38 (2001), pp. 93-96.
192 Cf. F. Vollmer, Forensis, «TLL», V, coll. 1052-1053; Id., Forum, ibid., coll. 1204-1205.
193 Particolarmente significativa in questo senso mi sembra la già ricordata formulazione d i
ILAlg. I, 1362 da Thubursicum Numidarum: in foro iuris peritus.
152 Parte II. I documenti

di due o tre lettere, si possono prendere in considerazione tra i cognomina la-


tini Sosus, il meglio attestato, ma anche Socus, Sosius e Sotius194, tra i greci
Sotas (nella forma del genitivo Sotae) o Sophus195. Il gentilizio Pontius era già
noto ad Asculum196, come del resto la formula ex testamento197.
Alla l. 5 compare infine l’indicazione delle misure dell’area sepolcrale,
che si conservano solamente per il lato frontale. Si tratta di una notazione del
tutto consueta nell’epigrafia di Asculum e le misure qui attestate (se, come
spesso accade la profondità in agro corrispondeva a quella in fronte) si iscrivono
nella media nota per la località198.
Immagine: Tav. VI. Paci, Note di epigrafia ascolana II, cit., p. 39, fig. 13.

194 Per le diverse possibilità di integrazione vd. Solin - Salomies, Repertorium, cit., pp. 405-
406.
195 Per le diverse possibilità di integrazione vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit.,
III, pp. 1569-1570.
196 Cf. CIL IX, 5231: Pontia ((mulieris) l. Callista.
197 Cf. CIL IX, 5249; AE 1990, 298.
198 Cf. CIL IX 5200; 5207 ( = CIL I2 1913) 5211; 5215a; 5215b; 5217; 5235; 5228a; 5233;
5237; 5238; AE 1990, 296; 297; Conta, Asculum, cit., p. 192.
Parte II. I documenti 153

Asculum 4
Edizione di riferimento: CIL IX, 5190.
Altre edizioni: H.G. Frenz, Römische Grabreliefs in Mittel- und Süditalien,
Rom 1985, p. 160, n°152; Paci in Un lapidario per Ascoli, cit., p. 13, n°12.
Bibliografia: Laffi, Storia di Ascoli, cit., pp. L; LIV; Pasquinucci, Studio
sull’urbanistica, cit., p. 117 e nota 431; Delplace, Romanisation, cit., pp. 78;
230; 232.
Luogo di ritrovamento: ad Ascoli, nei pressi della chiesa di S. Emidio alle
Grotte, ove sorgeva una delle necropoli di Asculum199.
Luogo di conservazione: Ascoli Piceno, Museo Archeologico Statale (autop-
sia maggio 2001).
Tipo di supporto: stele rettangolare in pietra calcarea, con due riquadri incor-
niciati di forma quadrata, l’uno sopra l’altro; nel riquadro superiore un rilievo
figurato, in quello inferiore il testo dell’iscrizione; la prima linea del testo è
iscritta nel listello che separa i due riquadri. Il monumento è diviso in tre fram-
menti, ora ricomposti: il frammento superiore, il più ampio, comprende la quasi
totalità del rilievo figurato (tranne l’angolo inferiore sinistro della figura fem-
minile) e la parte sinistra delle ll. 1-3 dell’iscrizione; il frammento inferiore
comprende gran parte dello specchio iscritto; infine un frammento di forma
grosso modo triangolare comprende la parte inferiore destra della figura fem-
minile nel riquadro superiore e la parte superiore destra del riquadro che con-
serva l’iscrizione, con il patronimico ed il cognomen dello scriba Q. Petronio. Il
fatto che i frammenti non si saldino perfettamente e la forte consunzione della
superificie iscritta non pregiudicano la lettura del testo, se non a l. 1, ove ormai
del cognomen del personaggio nominato si possono a fatica scorgere solamente
le ultime 4 lettere.
Elementi iconografici: nel riquadro superiore le figure a mezzobusto di un
uomo, a sinistra, e di una donna, a destra, nel gesto della dextrarum iunctio200.
Mestiere: scriba quinquennalicius ?
Datazione: l’epigrafe viene datata dal Frenz, sulla base di un’analisi stilistica
del rilievo, all’età tiberiana201, una collocazione cronologica che non contrasta
con i caratteri del formulario.
Testo: Mu≥[---] Repentina, / Q(uintus) Petronius Q(uinti) f(ilius) Ru¢fÜus, /
sexvir, scr(iba) quin(quennalicius), / Cominia Quarta, / C. Tampius Cliens.
l. 1: il testo venne inciso sul listello che separa i due riquadri del monumento, in
lettere di corpo minore.

199 Sul luogo di rinvenimento dell’iscrizione vd. Pasquinucci, Studio sull’urbanistica, cit., p.
117 e nota 431; cf. anche Paci in Un lapidario per Ascoli, cit., p. 13.
200 Per un’analisi del rilievo vd. Frenz, Römische Grabreliefs, cit., p. 160. Paci in Un lapidario
per Ascoli, cit., p. 13 identifica i due personaggi ritratti con Repentina e Petronio Rufo.
201 Frenz, Römische Grabreliefs, cit., p. 160. Nessuna datazione viene proposta da Abramenko,
Mittelschicht, cit., p. 317.
154 Parte II. I documenti

l. 2: Petron[i]us Paci. RVIVS sulla pietra; Ruius Frenz. La S finale del cogno-
men, per errato calcolo degli spazi, è incisa sul listello che delimita lo specchio
epigrafico.
l. 3: scr(iba ---) Frenz; scriba quin(quennalis) Paci.
l. 5: cliens Frenz; Celer Paci, per probabile refuso.
Segni di interpunzione, forse in forma di triangolo, a quanto pare utilizzati irre-
golarmente per dividere le parole; lo stato di consunzione delle superficie
iscritta non consente tuttavia certezze sulla presenza e la forma degli interpunti.
Commento
Il testo sembra avere un carattere funerario, soprattutto in considerazione
del rilievo che lo accompagna, anche se a prima vista la sua struttura, con quat-
tro nomi in caso nominativo, lascia qualche perplessità e non consente di chia-
rire i rapporti fra i diversi personaggi, che presentano gentilizi diversi tra di
loro, né di comprendere esattamente il loro ruolo. Ad Asculum conosciamo pe-
raltro diverse iscrizioni sepolcrali che presentano un formulario simile:
- CIL IX, 5204: [A(ulus)] Allidius C(ai) f(ilius) Ste(llatina tribu), / [A(ulus)]
Allidius A(uli) l(ibertus) Lucrio, [A]llidia A(uli) l(iberta) Hilara, / [A(ulus)]
Allidius A(uli) l(ibertus) Philotimus. / [A(ulus) Allidius] A(uli) l(ibertus) Lucrio
vi[v]os de suo sibi et / ------.
- CIL IX, 5205: T(itus) Aufidius Hi¢lÜarus202, / T(itus) Aufidius Dida, / T(itus)
Aufidius Pothus, / Anteia Samera, / Anteia Cilissa. / Aufidia Citheris fec(it). / In
a(gro) p(edes) XVI.
- CIL IX, 5209: L. Cennius L(uci) l(ibertus) Acu¢tÜus203, / Cennia ((mulieris))
l(iberta) Amonia, / Cennia T(iti) l(iberta) Horania / sibi et suis fecit.
- CIL IX, 5224: T(itus) Paetinius / T(iti) l(ibertus) Surus, T(itus) (scil. Paetinius)
T(iti) l(ibertus) Laumedo, T(itus) (scil. Paetinius) T(iti) l(ibertus) Speratus,
T(itus) (scil. Paetinius) T(iti) l(ibertus) Pri/nceps, (scil. Paetinia) T(iti) l(iberta)
Rufa.
- F. Cancrini, Nuove iscrizioni ascolane, «Picus», 5 (1985), p. 156, n°2 = AE
1990, 297: T(itus) Peturtius T(iti) f(ilius), / [N]aevena ((mulieris)) l(iberta) /
Salvilla, / T(itus) Peturtius T(iti) f(ilius) / Primus / [[I [---] ]]. In f(ronte) p(edes)
XVI.
La tendenza al fraintendimento della minuta, come nel caso
dell’iscrizione che stiamo esaminando e in CIL IX, 5205 e 5209, nelle quali si
dovrà rispettivamente correggere RVIVS in Rufus, HIIARVS in Hilarus e
ACVIVS in Acutus, potrebbe addirittura far pensare che le tre iscrizioni siano
uscite dalla medesima officina epigrafica. In attesa di riscontri più precisi, si noti
come il testo di CIL IX, 5190 a noi giunto potrebbe anche essere rimasto
incompleto: l’ampio spazio nello specchio epigrafico dopo l. 5 era forse desti-
nato ad accogliere altri nomi, oppure una formula come sibi et suis fecit o si-
mile, oppure ancora le misure dell’area sepolcrale; per una ragione che ci sfugge
il testo tuttavia non venne mai completato.

202 Sulla pietra HIIARVS.


203 Sulla pietra ACVIVS.
Parte II. I documenti 155

Al momento credo dunque che il testo debba essere interpretato come


un’iscrizione sepolcrale con quattro nomi di defunti, che avevano tra di loro un
qualche rapporto che purtroppo non siamo in grado di precisare204.
Il primo nome menzionato nel testo, inciso nel listello che separa il ri-
quadro superiore da quello inferiore e in lettere di corpo minore, venne verosi-
milmente aggiunto solo dopo il completamento dell’iscrizione. Il gentilizio si
presenta lacunoso: l’autopsia del maggio 2001 ha rivelato, dopo la M iniziale
che già appare nell’edizione del CIL, tracce di quella che pare essere una V; il
cognomen Repentina è attestato nella forma maschile a Falerio205.
Il secondo personaggio menzionato è quello di maggiore interesse: si
tratta di un Q. Petronius Q. f. Ru¢fÜus206 che fu seviro e scriba. Per quanto con-
cerne la prima funzione rivestita, mi limito ad osservare come si tratti di una
delle numerose attestazioni di collegi connessi al culto imperiale note per
Asculum207; un certo interesse riveste anche il fatto che si tratti di un perso-
naggio di nascita ingenua, nonostante tra i seviri generalmente prevalgano gli
individui di condizioni libertina; il fenomeno peraltro è abbastanza ben attestato
nel Piceno208 e trova un parallelo nella stessa Ascoli, ove è noto un T. Rufrenus
P. f. Serenus che, oltre al sevirato, rivestì localmente anche l’edilità e il duovi-
rato209.
Il punto centrale sul quale ci deve soffermare è tuttavia quello relativo alla
carica di scriba esercitata da Petronio. Gli scribi del mondo romano ricoprivano
una serie di funzioni di carattere essenzialmente amministrativo, sia nell’ambito
pubblico come in quello privato, non escludendo tuttavia anche incarichi
afferenti piuttosto alla sfera letteraria210.
204 Cf. ora per questa tipologia di epitafi Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., pp. 44-47, che ne
pubblica un nuovo esempio. Diversa da quella proposta nel testo l’interpretazione di Frenz, Rö-
mische Grabreliefs, cit., p. 160, il quale ritiene che il titulus funerario venne posto a Q. Petronio
e a Cominia Quarta da un tal C. Tampio che aveva un rapporto di clientela con la coppia.
205 G. Moretti, Falerone. Mosaici romani, «NSc», 50 (1925), pp. 127-132; su questa iscrizione
vd. infra, pp. 320-325, Falerio 8.
206 In tal modo credo vada corretta la lezione RVIVS che appare sulla pietra, così gli indici d i
CIL IX, p. 721 e p. 743. Frenz, Römische Grabreliefs, cit., p. 160 accoglie Ruius, peraltro mai at-
testato nell’epigrafia latina, a mia conoscenza.
207 Vd. supra, p. 141.
208 Per l’elenco dei seviri e degli Augustales di nascita libera nel Piceno vd. Abramenko, Mittel-
schicht, cit., p. 317; considerazioni generali sullo status sociale degli *Augustales nel mondo
romano in R. Duthoy, La fonction sociale de l’Augustalité, «Epigraphica», 36 (1974), pp. 135-
141.
209 AE 1946, 186 da Homann-Wedeking, Archäologische Grabungen, cit., col. 310 riporta i l
nome del personaggio come Trufenus P. f. Serenus; la correzione nella lettura mi è stata gentil-
mente segnalata da G. Paci in un messaggio del 3 gennaio 2000.
210 Sugli scribi vd. tra gli altri T. Mommsen, Römisches Staatsrecht, Leipzig 1887-1888 3 , I, pp.
346-355; E. Kornemann, Scriba, «P.W.», II A, 1 (1921), coll. 848-857; R.F. Rossi, Librarius,
«Diz. Ep.», IV (1958), pp. 956-960; Huttunen, Social Strata, cit., pp. 83-85 (sugli scribi nella
documentazione epigrafica urbana); J. Muñiz Coello, Empleados y subalternos de la admini-
stración romana. I. Los scribas, Huelva 1982, con un corpus inscriptionum scribarum alle pp.
66-79 (incompleto); N. Purcell, The apparitores: A Study in Social Mobility, «PBSR», 5 1
(1983), pp. 154-161; B. Cohen, Some Neglected ordines: the Apparitorial Status Group, «Des
156 Parte II. I documenti

Nell’iscrizione di Asculum la menzione della carica di scriba è seguita


dall’abbreviazione quin. Riguardo a questa sigla gli indici di CIL IX, p. 791 pro-
posero, in via ipotetica, lo scioglimento quin(quennalis) e tale spiegazione è
stata in genere seguita da tutti gli studiosi che si sono occupati del docu-
mento211; rimane peraltro da chiarire se il termine stia a designare una carica di-
stinta da quella di scriba o se piuttosto non sia una specificazione di quella fun-
zione; in quest’ultimo caso dovremo poi chiederci che cosa in effetti significhi
l’espressione scriba quin(quennalis)212.
Nella prima delle due ipotesi sopra prospettate credo si possa pensare ad
una quinquennalitas di una qualche associazione di carattere professionale o re-
ligioso, escludendo il duovirato quinquennale, dal momento che Petronio Rufo
non sembra aver intrapreso una carriera politica nemmeno a livello locale. È
tuttavia difficile individuare il collegio nel quale eventualmente Rufo fu quin-
quennale, né mi pare si possa comprendere il motivo per il quale tale indica-
zione venne taciuta; si potrebbe pensare ad una magistratura quinquennale nel
collegio dei seviri, di cui Rufo faceva parte, una carica ben nota soprattutto ad
Ostia213; ma allora perché non indicare la carica nella consueta formulazione
sevir et quin(quennalis) o sevir item quin(quennalis) e perché inserire tra i due
termini correlati il ricordo della funzione di scriba?
Nella seconda ipotesi, che cioè quin(quennalis) vada in qualche modo
correlato a scriba, una prima possibilità sarebbe quella di riconoscere in Q.
Petronio Rufo un (magister) quin(quennalis) di un collegio di scribae, secondo
un organizzazione degli apparitores in associazioni dirette da magistri e da ma-
gistri quinquennales attestata a Roma per l’età tardorepubblicana ed augustea;
l’esame della documentazione pertinente, raccolta qualche anno orsono da S.

ordres à Rome», a cura di C. Nicolet, Paris 1984, pp. 23-60; S. Panciera, Ancora sull’iscrizione d i
Cornelius Surus magister scribarum poetarum, «BCAR», 91 (1986), 1, pp. 39-41 (in particolare
sulle connessioni tra scribae e poetae nella seconda metà del I sec. a.C.); per gli scribi nella
Roma repubblicana vd. E. Badian, The scribae of the Roman Republic, «Klio», 71 (1989), pp.
582-603; Kühnert, Plebs urbana, cit., pp. 46-48. In questi contributi trovano ovviamente
maggior spazio gli scribae delle decuriae di Roma; riguardo all’attività degli scribi nei
municipi si veda Liebenam, Städteverwaltung, cit., pp. 277-279; Rodríguez Neila in Rodríguez
Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 51-53. Sul rapporto di lavoro che
legava lo scriba al committente vd. E.R. Elguera, Situación juridica de las personas libres que
trabajaban como scribae, «Studi in onore di Giuseppe Grosso», 2, Torino 1968, pp. 147-156.
Per la documentazione iconografica H. Wrede, Scribae, «Boreas», 4 (1981), pp. 106-116. Per gli
altri scribi attestati nel Piceno vd. Asculum 5, Auximum 10, Cingulum 1 e Hadria 1.
211 Cf. Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. L; Frenz, Römische Grabreliefs, cit., p. 160; Paci in Un la-
pidario per Ascoli, cit., p. 13; cf. anche Delplace, Romanisation, cit., p. 78: scr(iba)
quin(quennalicius ?); p. 232: scriba et quinquennalis.
212 Chr. Delplace sembra aver avuto coscienza del problema, prospettando tuttavia due diverse
soluzioni senza entrare nei dettagli del suo ragionamento: in Romanisation, cit., p. 78 suggeri-
sce un’integrazione scr(iba) quin(quennalicius ?); a p. 232 della medesima opera scriba et
quinquennalis.
213 Vd. Meiggs, Roman Ostia, cit., pp. 217-220; R. Duthoy, Les *Augustales, «ANRW», II, 16, 2,
Berlin - New York 1978, pp. 1275-1276.
Parte II. I documenti 157

Panciera214, costringe tuttavia a supporre nel nostro testo un’insolita formula-


zione ellittica, che avrebbe probabilmente reso l’espressione incomprensibile
per gli stessi lettori antichi.
Tutto sommato ritengo più probabile pensare che l’espressione vada in-
tesa per analogia con scriba aedilicius, quaestorius, tribunicius etc., formula-
zioni che ritornano frequentemente per gli apparitores dei magistrati nella città
di Roma, e che dunque Q. Petronio Rufo fosse un segretario al servizio di un
qualche magistratura quinquennale. Il richiamo che viene subito alla mente è al
duovirato quinquennale, in effetti sia la lex Irnitana come la lex coloniae Gene-
tivae di Urso attestano l’esistenza di scribi addetti all’ufficio dei duoviri: nella
prima si accenna solamente al fatto che gli scribi nei municipi erano sottoposti
all’autorità dei duoviri: scribae qui tabulas lib{e}ros rationes communes in eo
mu/nicipio scripturi ordinaturi erunt duumuiri<s> apparen/to215; nella seconda
si prevedono dettagliatamente il numero e gli stipendi annuali dei diversi appa-
ritores che lavoravano al servizio dei magistrati della colonia216; per quanto
concerne in particolare i duoviri, le legge prevede l’assegnazione a ciascuno di
essi di due scribi217; per tutti gli apparitores al servizio dei duoviri e degli edili
della colonia il servizio sembra avere la durata di un anno218; lo stipendio annuo
degli scribi dei duoviri era di 1.200 sesterzi, il più alto fra gli apparitores della

214 S. Panciera in Inscriptiones latinae liberae rei publicae, «Epigrafia. Actes du colloque en
mémoire de Attilio Degrassi», Rome 1991, pp. 273-278, n°37. Lo studioso, oltre al documento
da lui pubblicato per la prima volta, nel quale si fa menzione di un P. Pompeius P. l. Pylades,
scr(iba) libr(arius) tribun(icius) et mag(ister) conl(egi) scr(ibarum) libr(ariorum) quinquen-
nalis, richiama CIL VI, 1942 = 7446 = ILS 1918: [-] Valerius L. l. Stasimus, mag(ister) conl(egi)
viatorum; CIL I2, 1356 = VI, 37148 = ILS 9040 = ILLRP 773: T. Perperna T. f. Quadra,
mag(ister) scr(ibarum); AE 1939, 153: M. Claudius M. f., scr(ibarum) mag(ister) q(uaestorium)
et aed(iliciorum).
215 Lex Irnitana, cap. LXXIII, con il commento di R. Mentxaca, Sobre el capitulo 73 de la “lex
Irnitana”, «Labeo», 38 (1992), pp. 63-76; Lamberti, Tabulae Irnitanae, cit., pp. 135-137.
216 Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, che si vedrà ora nell’edizione a cura di Crawford, Roman
Statutes, cit., I, pp. 393-454, con la ricca bibliografia ivi citata; in particolare sul cap. LXII s i
veda il commento a pp. 433-434. Cf. inoltre il testo approntato per la seconda edizione del Cor-
pus Inscriptionum Latinarum, CIL II2, 5, 1022.
217 Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, ll. 11-15: II viri quicumque erunt, ii<s> II viri<s> in eos
singulos / lictores binos, accensos sing(ulos), scribas bi/nos, viatores binos, librarium, prae-
conem, / haruspicem, tibicinem habere ius potestas/que esto. Il numero degli apparitores asse-
gnati ai diversi magistrati municipali era ad Ostia il medesimo che nella colonia di Urso se-
condo M. Swan, CIL XIV 353 and S. 4642: Apparitores at Ostia and Urso, «Latomus», 2 9
(1970), pp. 140-141, che fonda il proprio ragionamento sulla base degli importi delle sportulae
distribuite da L. Fabius Eutyches tra gli scribae cerarii, i librarii e i lictores secondo
l’iscrizione ostiense CIL XIV, 353.
218 Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, ll. 22-28: quos quisque eo/rum ita scribas lictores ac-
censos viatorem / tibicinem haruspicem praeconem habebit, iis / omnibus eo anno, quo anno
quisque eorum / apparebit, militiae vacatio esto, neve quis e/um eo anno, quo mag(istratibus)
apparebit, invitum / militem facito …
158 Parte II. I documenti

colonia menzionati nella Lex Genetivae219, ma il pagamento della merces era


subordinato ad una permanenza nell’incarico per almeno un quarto dell’anno220.
L’epigrafia sepolcrale e votiva ci ha conservato il ricordo di qualcuno di
questi scribi municipali, anche se non sempre è agevole distinguerli da quei fun-
zionari che, pur presenti nelle città dell’Italia o delle province, facevano in re-
altà parte delle decuriae di apparitores della città di Roma. Nella maggior parte
dei casi essi si definiscono semplicemente scribae publici221, ma anche scribae
coloniae222, municipi223 o rei publicae224, il più delle volte facendo seguire il
nome proprio della comunità nella quale servivano225; ad Ostia l’iscrizione CIL
XIV, 4290 rivela chiaramente un’organizzazione degli scribi in decuriae
sull’esempio di Roma226. Non mi pare tuttavia esatto affermare che questi ap-
paritores non ricordavano mai il magistrato municipale presso il quale presta-

219 Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, ll. 32 ss.


220 Lex coloniae Genetivae, cap. LXIII, ll. 5-8: iisque apparitorib(us) merces tanta esto, / quan-
tam esse oportet, si partem IV anni a<ppar>/uissent, ut pro portione, quam diu appa-
ruiss<e>nt, mer/cedem pro eo kaperent, itque iis s(ine) f(raude) s(ua) c(apere) l(iceto).
221 [---]imnus, [VI]vir, scrib(a) pub(licus), orn(amentis) dec(urionalibus) ornatus di CIL V,
5314 da Comum; Q. Ingenuus Maximinus, scriba public(us), pontif(ex) e curator aerari di CIL
V, 5866 da Mediolanum; M. Aemilius Felicianus, scriba pub(licus) di CIL X, 6979 da Messana.
222 T. Fl(avius) Aper, scrib(a) col(oniae) di AE 1890, 100 = CIL III, 12580 = AE 1912, 303 da
Sarmizegetusa In CIL III, 1512 e 7914 il medesimo personaggio, con il titolo di scriba
col(oniae) Sarm(izegetusae), rispettivamente cura la sepoltura della moglie Valeria Cara e pone
una dedica a Iuppiter Optimus Maximus.
223 Vd. CIL III, 4137 = 10900 = RIU II, 328; CIL III, 3974; AE 1974, 550, iscrizioni citate infra,
nota 225.
224 Vd. per esempio CIL X, 6676 da Antium; CIL XIV, 3699 = CIL XV, 7892 = InscrIt IV, I, 625 da
Tibur; L. Octavius Iustus, scrib(a) r(ei) p(ublicae) di Suppl. It., n.s. 4, pp. 69-70, n°46 da Sul-
mona.
225 Vd. per esempio [C.] Ovinius [P(alatina tribu)] Antonianus, [scrib(a)] cerar(ius)
col(oniae) [Ost(iensis)] di AE 1988, 195; L. Fulvius Clemens, scriba rei p(ublicae) et
Aug(ustalis) Cubulteriae di CIL X, 4620; M. Valerius Victor, [scr]iba Venafran(orum) di CIL X,
4905 = Capini, Venafrum, cit., p. 92, n°80; Cn. Papirius Claudianus, scr(iba) r(ei) [p(ublicae)]
Pot(entinorum) di CIL X, 140; Cn. Marius Cn. f. Tro. Severus, scriba Aeserninus di CIL IX,
2675; Ulpius Fiorentinus, scriba r(ei) p(ublicae) Forun(ovanorum) di Suppl. It., n.s. 5, pp. 194-
195, n°32 = AE 1988, 253; P. Octavius P. f. Eu[ni]anus, scri(ba) Sul(monae) o Sul(monensium)
di CIL IX, 3101, con le integrazioni proposte da Buonocore, Un nuovo praeco, cit., p. 240, nota
13 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp. 820-821, nota 13) = AE 1989, 235; Vatinius Priscus,
scriba p(ublicus) r(ei) p(ublicae) Capenatium f(oederatorum) di AE 1954, 168; [---]
Apollonius, [scr]ib(a) Aug(ustae) Taur(inorum) e [VI]vir Eporediae di CIL V, 7033; P. Aelius
Quintu[s], [scr]iba p(ublicus) D(elminensium) di AE 1994, 1364 da Delminium, in Dalmazia; C.
Curiatius T. f. Serg. Secundus, dom(o) Augusta Troade, vet(eranus) leg(ionis) VII C(laudiae)
p(iae) f(idelis) e scriba Salonis di CIL III, 2019; P(---) I[---]nius, s(criba) m(unicipi)
M(ogetianae) di CIL III, 4137 = 10900 = RIU II, 328, dalla Pannonia Superior; Claudius
Gallonius, scrib(a) Mursel(lae) di CIL III, 4267 da Mursella, sempre nella provincia di Panno-
nia superior; Pontius Lupus, Aug(ustalis) col(oniae) Sisc(iae), scriba munic(ipi) Faust(iani) d i
CIL III, 3974 da Siscia; C. Iulius Ingenuus, scriba Aq(uinci) in CIL III, 14344, scrib(a)
c[o]l(oniae) Aq(uinci) in 14345-14346; Aurelius Viator, scriba munic(ipi) Se[p(timi)]
Pot(aissensis) di AE 1974, 550 da Potaissa, in Dacia.
226 Altri documenti rilevanti in proposito in Rossi, Librarius, cit., p. 959.
Parte II. I documenti 159

vano servizio, come talvolta si sostiene227; alcuni documenti sembrano piutto-


sto dimostrare il contrario: si veda a questo proposito l’iscrizione EphEp VIII,
279 = ILS 6315 da Capua, nella quale viene data sepoltura a P. Cornelius P. f.
Proculus, scriba dumviralis (!) Capuae. A questo testo se ne possono aggiun-
gere altri tre nei quali, con ogni probabilità, si fa riferimento ad apparitores as-
segnati al servizio di un particolare collegio magistratuale: nell’iscrizione CIL X,
3906 da Capua un tale Q. Alfius Q. f. Fal. Iustus, scrib(a) IIvir(alis) et
q(uaestorius) Capuae, eresse da vivo all’età di 55 anni, per sé e per altre per-
sone il cui nome è andato perduto, un monumento sepolcrale228; in una iscri-
zione bilingue di Napoli datata al 71 d.C. viene invece ricordato un P. Plotius P.
f. Pal. Faustinus, scriba publicus Neapolitan[us] aedilicius229; da Aquae Sextiae
infine proviene l’epitafio di L. Pompeius Hermeros, IIIIII vir Augustalis e
scrib(a) IIII vir(um)230. Sono cosciente della possibilità che, con diversa
punteggiatura dei testi citati, gli scribi presi in esame possano essere identificati
rispettivamente con un II vir et quaestor, con un ex-edile e con un IIII vir; tut-
tavia nulla nelle iscrizioni prese in esame lascia supporre che questi segretari ab-
biano intrapreso anche una carriera politica a livello municipale. Nella mede-
sima direzione depone anche un’epigrafe di Capua nella quale un diverso appari-
tore, un lictor, ricorda senza possibilità di equivoco il suo servizio presso i duo-
viri: P(ublius) Octavius P(ubli) lib(ertus) Successus, lic(tor) IIviralis Capuae
(CIL X, 3939).
Sulla base di tali testimonianze mi pare che la proposta di integrazione
dell’iscrizione di Asculum che per il momento ha maggiore fondamento sia
scr(iba) quin(quennalium) o forse meglio quin(quennalicius), intendendo il se-
gretario municipale che lavorava alle dipendenze dei duoviri quinquennales231;
del resto costoro, impegnati nelle operazioni di censimento, dovevano aver
particolarmente necessità di personale specializzato, forse reclutato per
l’occasione oltre il normale organico dei semplici duoviri, che, come si è detto,
avevano alle proprie dipendenze ciascuno un solo scriba secondo la Lex Geneti-
vae Iuliae232.

227 Così Muñiz Coello, Scribas, cit., p. 60.


228 L’integrazione è proposta da T. Mommsen nel commento a CIL X, 3906 e ripresa da G.
D’Isanto, Capua romana. Ricerche di prosopografia e storia sociale, Roma 1993, p. 58, che
data l’iscrizione all’età augustea o giulio-claudia.
229 L’iscrizione è stata da ultimo pubblicata da Miranda, Napoli, cit., I, pp. 122-125, n°84;
sull’iscrizione vd. ora anche Leiwo, Neapolitana, cit., p. 141 e nota 41, dove i termini scriba
publico neapolitan(o) e aedilicio sono separati da una virgola, il che lascerebbe intendere che
secondo lo studioso finlandese P. Plotius Faustinus era un ex-edile (in effetti il personaggio è
schedato a p. 207 tra i membri dell’ordo di Napoli); ma vd. anche p. 97, nota 64, dove i termini
non sono separati da interpunzioni.
230 CIL XII, 524 = ILN III, 35.
231 Cf. Liebenam, Städteverwaltung, cit., p. 278, nota 5, che scheda il personaggio tra gli scribi
municipali, pur senza far cenno al problema dello scioglimento di quin. Questa è anche
l’interpretazione di Paci in Un lapidario per Ascoli, cit., p. 13: “segretario dei magistrati quin-
quennali”.
232 Un’attestazione che dimostra come uno scriba potesse agire di concerto con duoviri quin-
quennales, nella tabula patronatus CIL X, 7845 del 158 d.C. da Uselis, in Sardegna dove l o
160 Parte II. I documenti

L’esame della documentazione concernente gli scribi municipali permette


tra l’altro di rilevare come talvolta costoro rivestissero, come nel caso che
stiamo esaminando, il sevirato o l’Augustalità233. Il rango sociale degli scribae
delle comunità del mondo romano in effetti doveva essere piuttosto alto234: ad
Urso essi, come gli altri apparitores pubblici, dovevano essere reclutati tra i
coloni stessi235 e da una controversia tra lo scriba Volumnio Sereno ed i decu-
rioni di Concordia che vide coinvolto verso il 165/166 d.C. anche Frontone,
apprendiamo che in questa comunità della Venetia gli scribae dovevano rispon-
dere ai medesimi requisiti necessari per divenire decurio236. Tra le disposizioni
testamentarie ricordate in CIL VIII, 9052 da Auzia, nella Mauretania Caesa-
riensis, si ricorda anche la distribuzione di sportulae di pari importo per i decu-
rioni e i due scribi della colonia.
Il nomen dello scriba, Petronius, è ben attestato nel Piceno237, come del
resto il comunissimo cognome Rufus238.
Dei due individui ancora menzionati nel testo, il nome di Cominia Quarta
ritorna forse in un frammento rinvenuto nei pressi di Asculum, di natura diffi-
cilmente precisabile239; non si è dunque in grado di verificare se si trattasse della
medesima persona menzionata nell’epigrafe sepolcrale di cui si sta trattando. Il
gentilizio è comunque altrimenti attestato sia nella stessa Asculum, come, sep-
pure sporadicamente, nel resto del Piceno240. Piuttosto comune anche il cogno-
men Quarta241.

scriba C. Antistius Vetus appare come legato, insieme ai II viri q(uin)q(uennales) Sex. Iunius
Cassianus e C. Asprius Felix.
233 Cf. L. Fulvius Clemens, scriba rei p(ublicae) et Aug(ustalis) Cubulteriae di CIL X, 4620; [---
] Apollonius, [scr]ib(a) Aug(ustae) Taur(inorum) e [VI]vir Eporediae di CIL V, 7033; [---
]imnus, [VI]vir, scrib(a) pub(licus), orn(amentis) dec(urionalibus) ornatus di CIL V, 5314 da
Comum; L. Pompeius Hermeros, IIIIII vir Augustalis e scrib(a) IIII vir(um) di CIL XII, 524 = ILN
III, 35 da Aquae Sextiae; Pontius Lupus, Aug(ustalis) col(oniae) Sisc(iae), scriba munic(ipi)
Faust(iani) di CIL III, 3974 da Siscia.
234 Cf. in particolare Agnati, Correlazioni, cit., pp. 613-617, che nota a ragione un progresso,
con il passar del tempo, nella condizione giuridica degli scribi; cf. anche Rodríguez Neila i n
Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 14 e, per la Cisalpina,
Giorcelli Bersani, Ceti medi, cit., pp. 60-61.
235 Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, ll. 18-20: ex eo / numero, qui eius coloniae coloni erunt,
habe/to.
236 Fronto, Amic., II, 7, 4, p. 182 Van den Hout: Estne lege coloniae Concordiensium cautum, ne
quis scribam faxit nisi eum quem decurionem quoque recte facere possit? Sulla questione vd.
Jacques, Privilège de liberté, cit., pp. 596-602.
237 Ho raccolto le attestazioni infra, p. 531, nota 1903.
238 Per le attestazioni vd. supra, p. 125, nota 83.
239 Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 321, n°345: [--- Co]minia Quarta. Naturalmente i l
nomen potrebbe essere integrato, in linea teorica, in molti altri modi.
240 Ad Asculum vd. Conta, Il territorio di Asculum, cit., pp. 149-150, ancora una volta parzial-
mente integrato: [Co]minia. Cf. inoltre Cominia L. f. Severa di CIL IX, 5874 = Prosperi Valenti,
Un esemplare inedito, cit., p. 77, n°25 da Auximum e C. Cominius di CIL IX, 5599 da Septempeda.
241 Nel Piceno vd. CIL IX, 5078 da Interamnia: [---] Quarta; da Septempeda CIL IX, 5616: [---]
Sp. f. Quarta e CIL IX, 5621: Tinnania C. l. Quarta.
Parte II. I documenti 161

Più insolita l’onomastica del quarto personaggio menzionato, C. Tampius


Cliens: non altrimenti noto nel Piceno il gentilizio Tampius, tuttavia abba-
stanza diffuso nel resto dell’Italia242; il raro cognome Cliens ed il femminile
Clienta sono attestati, oltre che ad Ascoli, a Roma, a Brixia e a Narbo243, fre-
quentemente in contesto servile o libertino, come è naturale attendersi da un
nome che esprime un legame di dipendenza sociale.
Immagine: Tav. VII. Frenz, Römische Grabreliefs, cit., tav. 64, 1; Un
lapidario per Ascoli, cit., quarta di copertina.

242 Le testimonianze relative alla gens Tampia sono state raccolte da M.J. Strazzulla Rusconi,
Onocles Dindi Tiberi servus. Note su alcune presenze prenestine ad Aquileia in età repubbli-
cana, «ArchClass», 34 (1982), pp. 136-138.
243 Frenz, Römische Grabreliefs, cit., p. 160 interpreta cliens come sostantivo comune, pensando
ad un cliente di Petronio Rufo e Cominia Quarta; credo tuttavia non possano sussistere dubbi
sul fatto che in questo caso il termine abbia la funzione di cognomen, cf. Kajanto, Latin
cognomina, cit., p. 313. Per le attestazioni vd. CIL VI, 21815 da Roma: L. Mevius Cliens riceve
sepoltura dalla contubernalis Faltonia Ephyre; AE 1928, 7a, sempre da Roma: Cliens Aug. ser.,
mulio; InscrIt X, V, 298: Clienta (nonostante i dubbi di P. Tozzi, Iscrizioni latine sull’arte la-
naria bresciana e Virgilio, Georgiche IV, 277-8, «Athenaeum», n.s. 49 (1971), pp. 153-154 e d i
AE 1972, 210 mi pare che l’interpretazione che vede nel termine un elemento onomastico sia la
più probabile, cf. anche Gregori, Brescia romana, cit., I, p. 221, n°C, 052); CIL XII, 4501 da
Narbo: Gallo[n]ia P. l. Clienta e P. Gallonius Capitonis l. Cliens.
162 Parte II. I documenti

Asculum 5

Edizione di riferimento: CIL IX, 5278.


Bibliografia: Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. L; Mercando - Brecciaroli
Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit., p. 347, n°511; Conta, Il territorio
di Asculum, cit., p. 232, n°183; Delplace, Romanisation, cit., pp. 78; 107,
n°164; pp. 230-231.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne rinvenuta, insieme a CIL IX,
5282, a Castorano, comune sito a circa 13 km. in linea d’aria a est di Ascoli244.
Il fatto che a poca distanza, nella contrada Ronciglione, sia stata rinvenuta
l’iscrizione CIL IX, 5283 nella quale compare un personaggio iscritto alla tribù
Fabia, che era quella prevalente ad Asculum, ha indotto il Mommsen ad attri-
buire il territorio di Castorano a quest’ultima comunità, piuttosto che alle vicine
Cupra Maritima e Truentum245.
Luogo di conservazione: l’iscrizione si conservava ante fores basilicae eccle-
siae secondo Sebastiano Andreantonelli, l’erudito del XVII sec. dal quale la se-
zione ascolana di CIL IX trasse molte notizie. Oggi sembra tuttavia essere an-
data perduta246.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito ci viene dalla tradizione
erudita registrata dal CIL.
Mestiere: scriba.
Datazione: l’assenza dell’adprecatio agli dei Mani e la menzione del defunto
(o dei defunti) in caso nominativo, così come la semplicità del formulario in-
duce a datare il testo non oltre la metà del I sec. d.C.
Testo: T(itus) Sentius Men(---), / scrib(a), VI vir. / Gargonia Alete, uxor, /
T(itus) Sentius Chresimus.

244 Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit., p. 347, n°511; Delplace,
Romanisation, cit., p. 107, n°164.
245 T. Mommsen, CIL IX, p. 501: “Truenti nomen quod enuntiat tituli duo Monteprandonenses
[scil. CIL IX, 5276 e 5279 sulle quali vd. infra, pp. 496-507; 482-495, rispettivamente Truentum
2 e Truentum 1], confirmati quod per se probabile est ad ipsa ostia utramque ripam Truenti-
norum fuisse. At Castorano vicus magis est ut Asculanorum fuerit propter tribum Fabiam tituli
n. 5283.” Cf. K.J. Beloch, Römische Geschichte bis zum Beginn der punischen Kriege, Berlin -
Leipzig 1926, p. 557; Conta, Il territorio di Asculum, cit., pp. 87-88, anche sulla base
dell’estensione della diocesi di Ascoli in età medievale; G. Pignocchi, Castorano (AP), «Picus»,
18 (1998), p. 300. Vd. anche Laffi, Storia di Ascoli, cit., p. L, che richiama senza esitazioni il no-
stro testo a proposito dell’amministrazione di Asculum; Delplace, Romanisation, cit., p. 78 attri-
buisce il testo ad Asculum; più prudente la posizione della studiosa a pp. 230-231, a proposito
della diffusione del sevirato nel Piceno.
246 Cf. Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 232, n°183.
Parte II. I documenti 163

Commento
Si tratta della lapide sepolcrale di uno scriba, che ebbe anche la carica di
seviro; nell’epitafio trovano ricordo anche la moglie del defunto e un personag-
gio che reca il medesimo gentilizio dello scriba; nei due possiamo vedere i dedi-
canti e probabilmente anche contitolari dell’area sepolcrale.
Particolari perplessità suscita la formula onomastica del defunto, che, se
la trascrizione in nostro possesso è corretta, compariva sulla pietra nella forma
T SENTIVS MEN. Nell’ultimo elemento si dovrebbe riconoscere un cognomen,
o meglio, un cognomen in forma abbreviata247, se veramente la linea di scrit-
tura terminava con la lettera N. L’onomastica degli altri due personaggi che
compaiono nell’epitafio suggerirebbe di cercare in primo luogo tra i nomi greca-
nici: tra le diverse possibilità accorderei una preferenza a Mena248, che non co-
stringerebbe a pensare ad una abbreviazione troppo sintetica; sono tuttavia pos-
sibili anche Menogenes249 e Menophilus250, ugualmente attestati nell’onomasti-
ca del Piceno. Tra i cognomina di origine latina si potrebbe pensare forse a
Mensor che, sebbene non ancora noto nell’epigrafia della regio V, pure ebbe una
discreta diffusione251.
Il nomen Sentius è abbastanza ben attestato nel Piceno252: in particolare
si segnala l’iscrizione CIL IX, 5283 che, come si è detto, è stata rinvenuta a
poca distanza dall’epitafio dello scriba, in contrada Ronciglione, sempre nel ter-

247 Così gli indici di CIL IX; p. 724: T. Sentius Men..; p. 739: Men..; a p. 774 si prende in consi-
derazione anche l’ipotesi di una menzione della tribù Menenia, ipotesi che tuttavia mi pare im-
probabile, dal momento che questa tribù non sembra avere alcun rapporto con il Piceno e dal
momento che il ricordo del distretto elettorale di appartenenza si accompagna in genere al pa-
tronimico: nella regio V sono a conoscenza solamente di due casi sicuri in cui la tribù appare
senza l’indicazione del patronimico, in riferimento allo stesso personaggio: CIL IX, 5835 da Au-
ximum: Q(uinto) Plotio Maximo Collin(a tribu) Trebellio Pelidiano; 5836, dalla medesima loca-
lità: Q(uinto) Plotio Maximo Col(lina tribu) Trebellio Pelidiano. Dovremmo inoltre supporre
che il personaggio mancasse del cognomen, un’assenza che peraltro non stupirebbe troppo agli
inizi del I sec. d.C. nell’onomastica di un individuo di condizione libera, se tale era veramente T.
Sentius. Questa sembra essere l’ipotesi accolta da Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 37, nota 109
che, in ragione della mancanza del cognome, data l’iscrizione in età alta.
248 Attestato ad Interamnia Praetutiorum da CIL I2, 1900 = IX, 5049.
249 Cf. CIL IX, 5039 da Hadria; si tratta peraltro di un testo frammentario, in cui l’integrazione
del nome è dubbia.
250 CIL IX, 5153 da Castrum Novum e CIL IX, 6082, 53a da Ascoli, su instrumentum. Cf. per la
forma femminile Menophila Suppl. It., n.s. 8, pp. 85-86, n°9 da S. Vittore di Cingoli.
251 Particolarmente nella forma Mes(s)or, vd. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 361; un indizio
in favore di questa lettura potrebbe essere costituito dal fatto che negli altri due exempla citati
nel lemma dell’iscrizione CIL IX, 5278 alla fine di l. 1 compare una S. Molto più improbabile
ipotizzare qui un’attestazione di altri nomi latini in Men-, come i rari Mendicus e Mendiculius
(cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 287), Mendus (ibid., p. 267), Menstruanus (ibid., p. 219) o
Mensurius (ibid., p. 364), la cui diffusione sembra tra l’altro piuttosto tarda.
252 Cf. L. Sentius L. l. Mico e L. Sentius L. l. Faustus di CIL IX, 5120 da Interamnia; P. Sentius
Felix, Augustalis Ravennae di CIL IX, 5307 da Cupra Maritima (su questa iscrizione vd. infra,
pp. 261-272, Cupra Maritima 1); Cn. Sentius Ampliator di CIL IX, 5522 da Petriolo; a Cupra
Marittima si conosce un frammento di ceramica bollato dal vasaio aretino [C(aius)] Senti(us),
vd. Fortini, Bolli, cit., p. 46, n°35 = AE 1993, 589, 35.
164 Parte II. I documenti

ritorio comunale di Castorano: si tratta dell’iscrizione funeraria di un tal P.


Audienus Q. f. Fab. Capito, postagli dalla moglie Sentia C. f. Suetia; interes-
sante per la coincidenza del prenome Titus una dedica rinvenuta ad Ascoli nel
1969, nell’area della Fortezza Pia, nella quale compare il nome di una Sen[t]ia
T. l. Epistolium253
Riguardo all’occupazione di T. Sentius, è difficile dire di quale genere di
scriba si trattasse, in mancanza di specificazioni e di notizie più precise riguardo
al suo statuto sociale254. L’indicazione del sevirato va ad aggiungersi alle nume-
rose attestazioni di questi collegi già note per Asculum255.
La moglie di T. Sentius porta un gentilizio non molto diffuso, Gargonius,
per il quale tuttavia possediamo per il Piceno un’attestazione già in età repub-
blicana a proposito del quaestor di Hadria L. Gargonius L. f.256. La donna porta
un cognome che credo sia da rapportare al greco ∆Alhvqeia257, che nella
documentazione epigrafica latina è noto nelle forme Aletea, Alethea, Alethia,
Aletia258. Conosco solo un’altra attestazione di Alete, nell’iscrizione CIL V,
7525 da Aquae Statiellae: si tratta di un testo molto incerto, noto solamente
dalla tradizione manoscritta, che riporta la lezione VALERINE
MALETELENDI / MOSCHIS FILIA; l’editore del CIL suggeriva di interpretare,
in via ipotetica, Valeriae M. l. Alete, Spendia / Moschis filia(e); se anche questa
congettura fosse esatta, il nome Alete sarebbe comunque in caso genitivo o da-
tivo, dunque non potrebbe fornire un esatto parallelo per il nome attestato
nell’iscrizione di Castorano.
L’ultimo personaggio menzionato nell’epitafio è un T. Sentius Chresimus,
che doveva essere un congiunto dello scriba, forse il figlio nato dal matrimonio
con Gargonia Alete, oppure un suo liberto. Il cognome grecanico è noto nel

253 S. Castelli, Iscrizioni latine inedite della Quinta regio Italiae. Asculum Picenum, Ascoli Pi-
ceno 1980, pp. 9-13; sull’iscrizione cf. anche Conta, Il territorio di Ascoli, cit., p. 189.
254 Per la bibliografia sugli scribi in genere vd. supra, p. 155, nota 210. Per gli altri scribi atte-
stati nel Piceno vd. qui le iscrizioni Asculum 4, Auximum 10, Cingulum 1 e Hadria 1.
255 Vd. supra, p. 141. L’indicazione del sevirato suggerisce a Delplace, Romanisation, cit., p. 7 8
di connettere lo scriba T. Sentius all’ambiente dei liberti; la deduzione tuttavia non è affatto
scontata nel Piceno, dove è noto un buon numero di seviri, Augustales e seviri Augustales d i
nascita libera, cf. i casi registrati da Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 317.
256 CIL I2, 1894 = CIL IX, 5019 = ILS 5427 = ILLRP 304.
257 Sul quale vd. W. Pape - G. Benseler, Wörterbuch der griechischen Eigennamen,
Braunschweig 1911, I, p. 57; F. Bechtel, Die historischen Personennamen des Griechischen bis
zur Kaiserzeit, Halle 1917, p. 34; P.M. Fraser - E. Matthews, A Lexicon of Greek Personal Names,
I, The Aegean Islands Cyprus Cyrenaica, Oxford 1987, p. 28.
258 Per le attestazioni a Roma vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1194; Id.,
Analecta epigraphica CLXXXI. Varia urbana, «Arctos», 33 (1999), p. 189, n°33. Vd. inoltre CIL
X, 2536 da Puteoli: Instania ((mulieris)) l. Aletheia; CIL X, 5211 da Casinum: Clodia ((mulie-
ris)) l. Aletia; CIL XI, 5451 da Asisium: Asudia C. l. Alethea; CIL XI, 5854 da Iguvium: Cubrena
L. l. Aletia; CIL V, 509 da Tergeste: Cominia L. l. Aletia; CIL V, 1293 da Aquileia: Seia ((mulie-
ris) l. Aletia; CIL V, 5486 da Angera, nella regio XI: Polia L. f. Aletia; CIL II2, 7, 444 da Cor-
duba: Cornelia Aletea; CIL II2, 7, 709, dalla medesima località: Iulia Alethia; dubbia CIL II,
5335 da Caesarobriga: Ale[tia]; CIL VIII, 12675 da Cartagine: Alethia Aug. serva; dubbia CIL
VIII, 16638 da Theveste, cf. p. 2732.
Parte II. I documenti 165

Piceno proprio ad Asculum, dalla quale proviene l’iscrizione sepolcrale di un T.


Alfius [T. l.] Cresimu[s] (CIL IX, 5201).
Immagine: Tav. VIII.
166 Parte II. I documenti

Auximum

Auximum 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5833.


Altre edizioni: ILS 1059; G.V. Gentili, Auximum (Osimo). Regio V - Pice-
num, Roma 1955, p. 149, n°d6; Id., Osimo nell’antichità, Casalecchio di Reno
1990, pp. 155-156, n°1; C. Grillantini, Storia di Osimo, Recanati 1985 3, I, p.
54, n°1; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 37, n°4; Marengo in
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 167-170.
Bibliografia: H.-G. Pflaum, Une famille de la noblesse provinciale romaine:
les Oppii, «CAAH», 14 (1970), pp. 87-88; ora in Scripta varia II. Gaule et
Empire romain, Paris 1981, pp. 330-331; Duthoy, Profil, cit., p. 147, n°276;
Gentili, Osimo, cit., p. 35; W. Eck, Statuendedikanten und Selbstdarstellung in
römischen Städten, «L’Afrique, la Gaule, la Religion à l’époque romaine.
Mélanges à la mémoire de Marcel Le Glay», a cura di Y. Le Bohec, Bruxelles
1994, p. 654; trad. it. Dedicanti di statue ed autorappresentazione nelle città
romane, «Tra epigrafia, prosopografia e archeologia. Scritti scelti, rielaborati
ed aggiornati», Roma 1996, p. 349; Andermahr, Totus in praediis, cit., p. 367,
n°376; I Di Stefano Manzella, Accensi: profilo di una ricerca in corso (a pro-
posito dei «poteri collaterali» nella società romana), «CCG», 11 (2000), p.
238, n°D9; p. 256, n°D9.
Luogo di ritrovamento: ad Osimo, dal foro della città romana, secondo la
tradizione erudita registrata da CIL. La mancanza della consueta formula
L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) induce a considerare con prudenza tali
notizie.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del Palazzo Comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: grande base in marmo con cornice a forte aggetto, sulla
quale poggiava il plinto destinato a sostenere la statua dell’onorato.
Mestiere: accensus patroni.
Datazione: la datazione al 159 d.C. di una seconda iscrizione di Auximum in
cui compare il liberto Leonas induce a datare negli stessi anni anche questa epi-
grafe onoraria259. Qualche ulteriore elemento per una datazione più precisa del
documento potrebbe venire dal ricordo dell’adlectio inter tribunicios
dell’onorato da parte del sacratissimus imperator Hadrianus Augustus: il fatto
che Adriano non avesse l’epiteto divus ha indotto alcuni studiosi a collocare

259 Vd. infra, p. 176. Gentili, Osimo, cit., p. 156 ritiene l’iscrizione di cui ci stiamo occupando d i
qualche anno anteriore al 159 d.C. Così anche Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., p. 170, che nota come proprio il consolato di C. Oppio Severo (inquadrabile tra
il 130 e il 140 d.C.) potrebbe aver fornito la circostanza più opportuna per l’erezione di una sta-
tua in suo onore.
Parte II. I documenti 167

l’iscrizione prima della morte dell’imperatore260; tuttavia tale elemento, come


è stato giustamente notato, non costituisce un criterio valido in assoluto, dal
momento che sono noti diversi esempi di iscrizioni in cui un imperatore già de-
funto e divinizzato non porta il titolo di divus261.
Testo: C(aio) Oppió C(ai) f(ilio) Vel(ina tribu) / Sabino Iulió Nepoti / M’(anio)
Vibió Sollemni Sevéro, / co(n)s(uli), / adlectó a sacratissimó imp(eratore) /
Hadriano Aug(usto) / inter tribunicios, pr(aetori) peregr(ino) / cand(idato)
Aug(usti), / leg(ato) prov(inciae) Baeticae, cur(atori) viár(um) / Clodiae,
Anniae, Cassiae, / Ciminae, trium Traianarum / et Amerinae, leg(ato)
legion(is) XI / Cl(audiae) p(iae) f(idelis), leg(ato) Aug(usti) pr(o) pr(aetore) /
provinc(iae) Lusitaniae, / procons(uli) prov(inciae) Baeticae, / patróno
col(oniae). / Leonas lib(ertus), / adcensus patroni / et in dedic(atione) statuae /
colonis cenam dedit.
l. 7: peregr(inorum) Grillantini.
l. 11: Traianaru(m) Prosperi Valenti.
l. 12: il numerale è sopralineato.
l. 13: pro pr(aetori) Grillantini.
l. 14: Lusitanie Grillantini.
l. 18: adscensus Grillantini.
l. 20: I longa in colonis.
Interpunzione in forma di triangolo con vertice rivolto verso l’alto, utilizzata
con regolarità per dividere le parole, tranne che in fine di riga.
Commento
La grande base ci conserva un’iscrizione in onore di C. Oppius Bassus C.
f. Vel. Sabinus Iulius Nepos M’. Vibius Sollemnis Severus, esponente della
grande famiglia senatoria degli Oppii di Auximum262, che nella sua formula
onomastica mostra un rapporto con un’altra gens illustre del Piceno, la Vibia di
Trea263. Il personaggio intraprese una brillante carriera senatoria, culminata nel

260 E. Groag, Oppius 33, «P.W.», XVIII, 1 (1939), col. 746, seguito da G. Alföldy, Fasti Hispa-
nienses. Senatorische Reichsbeamte und Offiziere in den spanischen Provinzen des römischen
Reiches von Augustus bis Diokletian, Wiesbaden 1969, p. 141; cf. Id., Konsulat ud Senatoren-
stand unter den Antoninen. Prosopographische Untersuchungen zur senatorischen
Führungsschicht, Bonn 1977, p. 203; Duthoy, Profil, cit., p. 147, n°276, che inserisce il docu-
mento nel periodo III della sua prosopografia, corrispondente agli anni 96-138 d.C.; S. Mrozek,
Munificentia privata und die private Bautätigkeit in den Städten Italiens während des Prinzi-
pates, «AAntHung», 29 (1981), p. 372; Id., Distributions, cit., p. 19.
261 Così Pflaum, Une famille, cit. p 87 (ora in Scripta varia II, cit., p. 330), PIR2 O 123 e
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 169-170. Anche il termine sa-
cratissimus, che pure appare in rapporto con la divinizzazione dell’imperatore defunto, si ap-
plica occasionalmente anche al princeps vivente, cf. Di Stefano Manzella, Accensi, cit., p. 238,
nota 23.
262 Sulla famiglia senatoria degli Oppii di Auximum vd. Gentili, Auximum, cit., pp. 38-40;
Pflaum, Une famille, cit., pp. 85-90 (ora in Scripta varia II, cit., pp. 328-333); Gasperini - Paci,
Ascesa al senato, cit., pp. 236-237.
263 Sulla gens senatoria dei Vibii di Trea e sul suo esponente M’. Vibius M’. f Vel. Balbinus, vd.
PIR V 377; R. Hanslik, Vibius 2, «P.W.», VIII A, 2 (1958), col. 1967; Gasperini - Paci, Ascesa a l
senato, cit., p. 234. Il nostro personaggio sarebbe entrato nella famiglia degli Oppii per ado-
168 Parte II. I documenti

consolato, che egli dovette rivestire tra il 130 e il 140 d.C.264 Tali elementi la-
scerebbero pensare che la base iscritta e la statua di C. Oppio Severo sorgessero
su di un’area pubblica; tuttavia, come ha notato anche A.M. Andermahr, manca
la consueta indicazione della concessione del locus per decreto dell’ordine dei
decurioni265.
L’iniziativa di erigere una statua, con la relativa iscrizione, in onore di C.
Oppio Severo venne intrapresa da un liberto dell’onorato stesso, il cui nome
completo ci è noto grazie all’iscrizione che sarà esaminata nella scheda che se-
gue: C. Oppius C. l. Leonas. Il cognome Leonas, altrimenti sconosciuto nella
documentazione epigrafica del Piceno, è discretamente attestato nella docu-
mentazione urbana, in alcuni casi per persone di nascita servile266. È opportuno
osservare come Leonas, promuovendo l’erezione del monumento, garantisse
memoria eterna non solo al suo patrono C. Oppio Severo, ma anche a sé stesso,
in quanto dedicante: una circostanza non priva di rilievo per un personaggio di
modesta estrazione sociale, che altrimenti non avrebbe avuto molte occasioni
per lasciare un ricordo altrettanto prestigioso del proprio nome267.
Interessa qui in particolare la funzione di adcensus che Leonas svolse
presso il suo patrono C. Oppio Severo: gli adcensi, o più comunemente accensi,
in età tardorepubblicana e alto imperiale erano impiegati subalterni al servizio di
un magistrato268, funzione non dissimile da quella ricoperta dagli apparitores

zione, secondo Delplace, Romanisation, cit., p. 50; al contrario Pflaum, Une famille, cit., p. 88 (=
Scripta varia II, cit., p. 331) riteneva che egli, nato Oppius, fosse stato cooptato per adozione te-
stamentaria nella famiglia dei Vibii.
264 In particolare sulla carriera di C. Oppius Sabinus Iulius Nepos M’. Vibius Sollemnis Severus,
oltre alla bibliografia citata alle note precedenti, si veda A. Stein, Der römische Ritterstand. Ein
Beitrag zur Sozial- und Personengeschichte des römischen Reiches, München 1927, p. 283;
Groag, Oppius 33, cit., coll. 746-747; P. Lambrechts, La composition du Sénat romain de l’ac-
cession au trône d’Hadrien à la mort de Commode (117-192), Antwerpen 1936, p. 59, n°203;
Alföldy, Fasti Hispanienses, cit., p. 141; PIR2 O 123; Andermahr, Totus in praediis, cit., p. 367,
n°376; per il suo patronato su Auximum vd. Duthoy, Profil, cit., p. 147, n°276.
265 Andermahr, Totus in praediis, cit., p. 367.
266 Solin, Die griechischen Personennamen, cit., II, pp. 1056-1057 scheda 18 attestazioni, 5
delle quali si riferiscono a schiavi e liberti; per questi ultimi casi vd. anche Id., Sklavennamen,
cit., II, p. 506.
267 Vd. a tal proposito le interessanti considerazioni di Eck, Statuendedikanten, cit., pp. 650-
662, partic. 654 sul documento qui in esame (cf. anche la trad. it. Dedicanti di statue, cit., pp.
347-357, partic. 349).
268 Sugli accensi vd. principalmente Mommsen, Staatsrecht, cit., I, pp. 356-358; E. Kubitschek,
Accensi, «P.W», I, 1 (1893), coll. 135-137; E. De Ruggiero, Accensi, «Diz. Ep.», I (1895), pp. 18-
21; Fabre, Libertus, cit., p. 352; Boulvert, Esclaves, cit., pp. 46-48 e soprattutto le recenti ricer-
che di I. Di Stefano Manzella, Zosimo liberto di Q. Salvidieno Rufo e accenso di L. Cornificio
console nel 35 a.C., «ZPE», 85 (1991), pp. 182-184; Accensi velati consulibus apparentes a d
sacra: proposta per la soluzione di un problema dibattuto, «ZPE», 101 (1994), pp. 261-266,
che si vedrà in particolare per la chiara distinzione tra accensi magistratum, la categoria che qui
ci interessa, e gli accensi velati; Accensi: profilo di una ricerca in corso (a proposito dei «po-
teri collaterali» nella società romana), «CCG», 11 (2000), pp. 223-257; cf. anche Id., Elainus
accenso di L. Volusius Saturninus ‘pater’ e sacerdote del Genius di L. Volusius Saturninus ‘fi-
lius’? Nuova ipotesi per l’integrazione di C.I.L., VI 1967 = 7366, in corso di stampa nella mi-
scellanea di studi in memoria di M. Cristofani (contributo che ho potuto consultare prima della
Parte II. I documenti 169

propriamente detti, come gli scribae, i praecones, i viatores o i lictores; tuttavia


si differenziavano da questi ultimi per alcune caratteristiche. In contrasto con il
principio della collegialità, che vigeva per gli altri assistenti amministrativi,
ogni magistrato poteva avere un solo accensus, che tuttavia egli poteva libera-
mente scegliere tra le persone di propria fiducia, dunque spesso tra i propri li-
berti e clienti, come nel caso che stiamo esaminando, o tra i liberti e clienti di
amici e colleghi269, sebbene il prescelto venisse poi stipendiato dallo stato a se-
guito di una regolare dichiarazione270; ricordiamo invece che gli scribi e gli altri
apparitori venivano obbligatoriamente tratti dalle apposite decurie. Lo stretto
legame tra l’accensus ed il magistrato implicava che, alla scadenza dell’incarico
di quest’ultimo, anche il suo assistente rimettesse il proprio mandato271, mentre
gli apparitores propriamente detti rimanevano a disposizione dello stato per es-
sere eventualmente assegnati ai nuovi detentori della carica; tuttavia poteva ac-

sua pubblicazione grazie alla cortesia dell’autore), con interessante ipotesi di identificazione d i
un accensus del triumvir centuris equitum reconoscendis censoria potestate L. Volusio
Saturnino. Per l’origine del nome di accensi, legata all’organizzazione in classi della Roma re-
pubblicana, vd. A. Magdelain, Les accensi et le total des centuries, «Historia», 27 (1978), pp.
493-494; Di Stefano Manzella, Accensi, cit., p. 224.
269 Cf. Cic., Q. fr., I, 1, 13, che testimonia come nella pratica dei maiores l’incarico di accensus
venisse affidato solamente ai propri liberti, implicita ammissione del fatto che, ai tempi in cui
viveva l’oratore, tale pratica non era più rispettata scrupolosamente: accensus sit eo numero,
quo eum maiores nostri esse voluerunt, qui hoc non in beneficii loco, sed in laboris ac muneris,
non temere nisi libertis suis deferebant, quibus illi quidem non multo secus ac servis impera-
bant. Per gli accensi che non sono liberti del magistrato presso il quale prestano servizio vd. i
casi segnalati da Di Stefano Manzella, Zosimo, cit., p. 183, nota 25, ai quali si aggiunga
un’attestazione letteraria, Cic., 1 Verr., 71: … homo autem ordinis sui frugalissimus, qui tum ac-
census C. Neroni fuit, P. Tettius … .
270 Come si ricava da un senatoconsulto dell’11 a.C. al cui testo fa riferimento Frontin., Aq., II,
100, 1-3: placere huic ordini eos qui aquis publicis preessent, cum eius rei causa extra urbem
essent, lictores binos et servos publicos ternos: architectos singulos et scribas et librarios,
accensos praeconesque totidem habere quot habent ii per quos frumentum plebei datur: cum
autem in urbe eiusdem rei causa aliquid agerent, ceteris apparitoribus isdem praeterquam lic-
toribus uti. Utique apparitoribus ex hoc senatus consulto curatoribus aquarum uti liceret, eos
diebus decem proximis quibus senatus consultum factum esset ad aerarium deferrent; quique
ita delegati essent iis praetoris aerarii mercedem cibaria quanta praefecti frumenti dando
dare deferreque solent annua darent at adtribuerunt; isque eas pecunias sine fraude sua fa-
cere liceret. La pratica della denuncia dei nomi dei propri accensi da parte del magistrato, allo
scopo di ottenere la loro retribuzione, è confermata dalla comparsa nell’epigrafia di accensi che
si dicono delati: cf. per esempio CIL VI, 1962 = ILS 1943 da Roma: Eutactus Aug. l., accensus
delatus a divo Vespasiano; 8409 (iscrizione ora ristudiata da I. Di Stefano Manzella, Augusto,
Tiberio e i Quinti Munatii. A proposito di un verna Caprensis ritrovato e di un accensus per-
duto (CIL, VI, 8409), «BMMP», 15 (1995), pp. 37-54): Antemus Ti. Caesaris Aug. l., accensus de-
latus ab Augusto; AE 1926, 61 (cf. AE 1958, 168) dalla regione di Beirut: Cn. Statilius Severi
patris lib. Martia/lis, accensus delatus a patrono; su ciò si veda Di Stefano Manzella Zosimo,
cit., p. 182; Id., Augusto, cit., p. 46; Id., Accensi, cit., p. 225.
271 Da ciò sembra derivare l’uso di indicare eventualmente l’iterazione dell’incarico di accensus
attestato nella documentazione epigrafica, vd. per esempio CIL VI, 1965 = ILS 1951: L. Nummius
L. l. Chilo, accensus bis; AE 1904, 186 da Minturnae: Lepidius Primigenius, accensus II consu-
lis; J.B. Brusin, Inscriptiones Aquileiae, Udine 1991-1993, I, 516a da Aquileia: T. Vettidius
Proculae l. Lemnus, accensus consulis, accensus praetoris II.
170 Parte II. I documenti

cadere che un accensus prestasse servizio in più di una occasione, sia a fianco
dello stesso personaggio, nel caso questi iterasse il proprio ufficio272 o rivestisse
in successione due diverse magistrature, come per esempio la pretura e il con-
solato, sia al servizio di uomini politici diversi273; il Boulvert ritiene che
un’altra eccezione alla regola della scadenza annuale del mandato fosse costi-
tuita dagli accensi degli imperatori: in effetti nella documentazione epigrafica in
nostro possesso gli accensi imperiali non fanno mai riferimento ad una carica
specifica del princeps, né ad un’eventuale iterazione dell’incarico274; tuttavia si
deve notare che il prestigio derivante dall’aver fatto parte dello staff personale
dell’imperatore doveva naturalmente mettere in secondo piano le circostanze
contingenti nelle quali l’incarico era stato svolto e la sua durata. Un’ulteriore
differenza era costituita dal fatto che, mentre scribae, praecones, viatores e
lictores avevano incarichi specifici, gli accensi dovevano essere chiamati svol-
gere funzioni diverse, a seconda delle esigenze che si potevano presentare275.
La documentazione epigrafica ci fa conoscere soprattutto accensi dei
consoli, con qualche variazione nel formulario276, ma possediamo anche alcuni
dati sugli assistenti incaricati di lavorare a fianco di altri magistrati, dati che di-
mostrano come la pratica di nominare questi assistenti personali dovesse essere
usuale nel sistema amministrativo romano277. Non è raro ritrovare, come

272 Così per esempio il celebre L. Licinio Secondo, accensus del console L. Licinio Sura primo,
secundo, tertio consulatu eius, del quale ci sono rimaste non meno di 22 iscrizioni onorarie po-
ste su basi a Barcino, pubblicate da ultimo in IRC IV, 83-104; a questa impressionante serie s i
aggiunga IRC I, 125, segnalata nella vicina località di Sant Andreu del Llavaneres (sul dossier
dell’accensus Licinio Secondo vd. I. Rodà, Lucius Licinius Secundus, liberto de Lucius Licinius
Sura, «Pyrenae», 6 (1970), pp. 167-183 e IRC IV, pp. 163-165).
273 Vd. per esempio C. Iulius divi Aug. l. Niceros Vedianus, che fu accensus Germanico Caesari
consuli et Calvisio Sabino consuli (CIL VI, 1963); nel medesimo senso dovrebbe essere inter-
pretata l’espressione accensus consulum che ritroviamo in CIL X, 7552 da Carales: dunque non
un assistente della coppia consolare di un determinato anno, ma accensus di due dei supremi
magistrati repubblicani in anni diversi; cf. inoltre CIL VI, 1960: L. Arruntius L. l. Philostratus,
accensus patronorum; CIL XIV, 3644 = ILS 1942 = InscrIt IV, I, 179 da Tibur: C. Iulius Aug. l.
Sam(ius), accensus divi Claudii et Neronis Augusti patronorum; CIL V, 8142 = InscrIt X, I, 114
da Pola: C. Laecanius Menander, accensus patronorum.
274 Così Boulvert, Esclaves, cit., pp. 47-48 e nota 220.
275 Cf. per esempio Varro, Ling., VI, 88-89, dove l’accensus del console e del pretore assolve a
compiti che diremmo caratteristici del praeco, la proclamazione della leva, la convocazione dei
comizi e l’annuncio delle ore. In genere sui compiti degli accensi vd. Di Stefano Manzella, Ac-
censi, cit., pp. 244-245.
276 Vd. tra le altre CIL VI, 1933, cf. 32305 = ILS 1923: Q. Considius Q. l. Eros, accensus
co(n)s(ulis); CIL VI, 1961 = ILS 1946: Cn. Cornelius Magni l. Oceanus, accensus patrono i n
co(n)s(ulatu); CIL X, 3877 = ILS 1947 da Capua: C. Papius C. l. Apelles, accensus P. Sili
co(n)s(ulis); CIL X, 1889 da Puteoli: Sex. Publicius Bathyllus, accensus consuli; CIL V, 3120 da
Vicetia: M. Abonius Acanthus, adcensus co(n)s(ulis); CIL X, 7552 da Carales: L. Iulius Mario,
accensus consulum; CIL XII, 2564 da Seysell, nella Gallia Narbonense, ma forse proveniente da
una località al di fuori della provincia (cf. lemma a CIL XII, 2564), ove si nomina un accensus
consularis il cui nome è andato perduto; nel dossier di L. Licinio Secondo troviamo la formula
accensus patrono suo L. Licinio Surae primo, secundo, tertio consulatu eius. Cf. inoltre per gli
accensi dei consoli Varro, Ling., VI, 88.
277 Cf. Mommsen, Staatsrecht, I, p. 357; Di Stefano Manzella, Accensi velati, cit., pp. 261-262.
Parte II. I documenti 171

nell’iscrizione che stiamo esaminando, la formula accensus patrono o pa-


troni278, assistente del proprio patrono, si intende nelle sue funzioni magistra-
tuali: tale funzione viene generalmente identificata con il consolato, in ragione
della frequenza con la quale gli accensi appaiono in connessione con questa ma-
gistratura; si deve tuttavia riconoscere che tali ricostruzioni sono in parte con-
dizionate dal fatto che i consolari rappresentano indubbiamente il rango meglio
noto nella prosopografia dell’ordine senatorio: non si può dunque escludere che
alcuni di questi accensi che ricordano semplicemente il servizio presso il loro
patrono, senza specificarne la carica, come del resto qualcuno degli accensi
nude dicti di cui abbiamo notizia279, possano aver lavorato alle dipendenze di
qualche amministratore di rango inferiore, come per esempio i curatores aqua-
rum o i praefecti frumenti dandi280.
I dati della fonti letterarie, che si riferiscono principalmente al periodo
tardo repubblicano e i documenti epigrafici in lingua latina e, in minor misura,
greca281, che invece sono relativi ai primi due secoli della nostra era, ci consen-
tono di tracciare un sommario ritratto della condizione degli accensi, non privo
di elementi di interesse. Nella maggior parte dei casi essi erano schiavi affran-
cati282, ma i loro umili natali non rappresentavano sempre un pregiudizio per le
loro possibilità di ascesa sociale: di frequente gli accensi nel corso della loro vita

278 Cf. per esempio CIL VI, 1887: Fortunatus, accensus patron(o) divo Aug(usto) Vespasiano;
1934: C. Iulius Epagathus, accens(us) Caesaris patroni; AE 1945, 113 da Roma: C. Iulius
Nymphodotus, accens(us) Caesaris patroni; AE 1946, 96 da Roma: C. Hostilius Herma, accen-
sus patrono; CIL XIV, 2298 = ILS 1949 dall’ager Albanus: M. Aurelius Cottae Maximi l.
Zosimus, accensus patroni; CIL X, 6573 da Velitrae: [---], accensus patro[ni ? ---]; CIL V, 3354
= ILS 1950 da Verona: L. Calpurnius Calais, accenso a patron(o); TAM II, 1, 178 = IGR III, 578
da Sidyma: Tibevrio" Klauvdio" Sebªastou' ajpºeleuvqero" ∆Epavgaqo", ajkkh'ss≥o" tou' ijdivou
ªpavtrwno"º. Possediamo anche qualche attestazione della formula accensus patronorum, cf. per
esempio CIL VI, 1960: L. Arruntius L. l. Philostratus, accens(us) patronor(um), forse da connet-
tere con il console del 22 a.C. L. Arruntius e con il figlio di questi, che detenne la massima ma-
gistratura repubblicana nel 6 d.C. (sui due personaggi vd. PIR2 A 1129-1130) o anche con i l
console del 32 d.C. L. Arruntius Camillus Scribonianus (PIR2 A 1140); CIL V, 8142 = InscrIt X,
I, 114 da Pola: C. Laecanius Menander, accens(us) patronorum: si è ipotizzato che il personag-
gio sia stato al servizio del console del 64 d.C. C. Lecanio Basso e del padre di questi, che fu
praetor urbanus nel 32 d.C. e console suffeto nel 40 d.C., cf. lemma a InscrIt X, I, 114.
279 Cf. per esempio CIL VI, 1965 = ILS 1951; CIL VI, 1966; 37156; 37157; AE 1920, 103; AE
1990, 72 da Roma; CIL XIV, 2263 dall’ager Albanus; CIL XI, 3245 = ILS 3068 da Sutrium; IK
36, 1, 192 = CIL III, 13682 da Tralles.
280 Cf. Frontin., Aq., II, 100, 1-3 citato supra, p. 169, nota 270. La possibilità che questi accensi
omettessero il ricordo della carica presso la quale avevano prestato servizio perché questa non
era tra le più importanti è evocata da Di Stefano Manzella, Accensi, cit., p. 236; cf. anche pp. 239-
240.
281 Il termine greco per designare questi assistenti dei magistrati romani è il calco dal latino
ajkkh'sso", cf. per esempio la bilingue IK 36, 1, 192 = CIL III, 13682 da Tralles; TAM II, 1, 178 =
IGR III, 578 e TAM II, 1, 184 = IGR III, 579 da Sidyma, nella Lycia et Pamphylia. Cf. H.J. Mason,
Greek Terms for Roman Institutions. A Lexicon and Analysis, Toronto 1974, p. 4.
282 Cf. De Ruggiero, Accensi, cit., p. 21. Per gli accensi liberti imperiali vd. Boulvert, Esclaves,
cit., p. 46 e nota 213, con rimandi alla documentazione rilevante.
172 Parte II. I documenti

fecero parte delle decurie degli apparitores propriamente detti283, o intrapresero


una carriera nei servizi dell’amministrazione imperiale284; eccezionale per molti
aspetti appare la carriera di M. Caelius Phileros, accensus di T. Sestio nella
provincia d’Africa nell’età delle guerre civili, che assurse alle cariche di edile e di
praefectus iure dicundo vectigalibus quinquennalibus locandis in castellis
LXXXIII nella da poco rinata colonia di Cartagine, rivestendo poi il duovirato in
un’altra città della Proconsolare, Clipea285; ma un buon successo nella vita
politica municipale ottenne anche Lepidius Fortunatus, al quale vennero con-
feriti gli ornamenta decurionalia a Minturnae286. Al pari di C. Oppius C. l.
Leonas, molti accensi rivestirono funzioni religiose minori, in particolare quella
di sevir o di Augustalis287, che erano generalmente riservate all’élite dei liberti.

283 Cf. per esempio CIL VI, 1887 = ILS 1944: Fortunatus Aug. l., accensus patrono divo
Augusto Vespasiano, che fu lictor curiatius e viator honoratus decuriae consularis et praeto-
riae; CIL VI, 1933 cf. 32305 = ILS 1923: Q. Considius Q. l. Eros, accensus consulis, viator aedi-
lis plebis lege Papiria; CIL VI, 1934: C. Iulius Epagathus, accensus Caesaris e viator tribuni-
cius; AE 1959, 147 = AE 1968, 33 = AE 1987, 67 da Roma: Cornelius P. l. Surus, accensus con-
sulis et censoris e praeco ab aerario ex tribus decurieis, nonché magister scribarum poetarum;
CIL X, 531 = ILS 3593 = InscrIt I, I, 11 da Salernum: T. Tettienus Felix, accensus consuli e scriba
librarius aedilium curulium nonché viator aedilium plebis; CIL I2, 2643 = CIL XI, 7804 = ILS
9039 da Ocriculum: C. Iulius Caesaris l. Salvius, accensus e viator tribunicius; CIL V, 3354 =
ILS 1950 da Verona: L. Calpurnius Calais, accensus a patrono e viator tribunicius.
284 Vd. tra gli altri il già menzionato Fortunatus Aug. l. di CIL VI, 1887 = ILS 1944 che ricoprì
anche l’ufficio di ab epistulis; Anthemus Ti. Caesaris Aug. l. accensus delatus ab Augusto d i
CIL VI, 8409 = Di Stefano Manzella, Augusto, cit., che fu a rationi[b(us)]; Ti. Claudius Augusti
l. Aesius di AE 1990, 72 fu un a memoria; un personaggio il cui nome è andato perduto in CIL X,
6573 da Velitrae ricoprì la carica di a cubiculo; alle procuratele giunsero C. Iulius Epagathus,
accensus Caesaris di CIL VI, 1934, Eutactus, accensus delatus a divo Vespasiano di CIL VI,
1962 = ILS 1943, C. Iulius Nymphodotus di AE 1945, 113 da Roma; C. Iulius Aug. l. Sam(ius) d i
CIL XIV, 3644 = ILS 1942 = InscrIt IV, I, 179 da Tibur; l’anonimo di CIL X, 6573 da Velitrae;
sugli accensi che giunsero alle procuratele vd. inoltre Weaver, Familia Caesaris, cit., pp. 274-
275. Nei documenti a nostra disposizione non sempre è evidente l’esistenza di un ordine di suc-
cessione definito in questi diversi incarichi amministrativi: qualche indicazione viene forse da
CIL VI, 1887 = ILS 1944, iscrizione nella quale il liberto imperiale Fortunato ricorda, in ordine
che sembra inverso a quello di tempo, i suoi incarichi di ab epistulis, accensus patrono divo
Augusto Vespasiano, lictor curiatius e viator honoratus decuriae consularis et praetoriae; i n
CIL VI, 1934 il cursus di C. Giulio Epagato, che comprende le funzioni di viator tribunicius,
accensus Caesaris patroni e infine procurator, appare invece diretto. Da queste due testimo-
nianze emerge che gli accensi provenivano dalle decurie di apparitores e potevano approdare i n
qualche caso alle procuratele o ai grandi dipartimenti dell’amministrazione imperiale; il pro-
blema tuttavia merita maggiori approfondimenti.
285 CIL X, 6104 = ILS 1945; sull’importante figura di M. Caelius Phileros si veda da ultimo D.
Fishwick, On the Origins of Africa proconsularis, II: the Administration of Lepidus and the
Commission of M. Caelius Phileros, «AntAfr», 30 (1994), pp. 64-76.
286 AE 1904, 186: Lepidio Primi/genio, Aug(ustali) perp(etuo), / accens(o) II co(n)s(ulis), / or-
namentis / decurionalib(us), / p(ublice) d(ecreto) d(ecurionum).
287 Cf. per esempio Q. Flavius Primus, se[vir Augustalis ?] di AE 1920, 103 da Roma; Augusta-
lis a Formia fu il già ricordato M. Caelius Phileros di CIL X, 6104 = ILS 1945; cf. anche Lepidius
Primigenius, Augustalis perpetuus di AE 1904, 186 da Minturnae; Sex. Publicius Bathyllus,
Augustalis a Puteoli e Venafrum di CIL X, 1889 da Puteoli; T. Vettidius Proculae l. Lemnus, IIIIII
vir Augustalis di Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 516a da Aquileia; C. Laecanius
Parte II. I documenti 173

Il prestigio e l’agiatezza relativi di cui gli accensi dovevano godere è di-


mostrato anche dal fatto che nella lex coloniae Genetivae Iuliae sono ricordati
al secondo posto per retribuzione tra impiegati al servizio dei duoviri, subito
dopo gli scribi, con una paga di 700 sesterzi288. Tuttavia la regolare retribuzione
non era che uno degli elementi che rendevano appetibile l’incarico di accensus,
come del resto si potrebbe dire di molte delle funzioni amministrative dello
stato romano: anche se si ritiene eccezionale il caso di Timarchide, l’accenso
del governatore Verre in Sicilia che aveva sfruttato senza alcuno scrupolo la
propria posizione per accrescere enormemente la propria ricchezza e in-
fluenza289, è indubbio che questi impiegati potevano trarre grandi vantaggi dal
loro lavoro quotidiano a fianco dei magistrati dello stato romano: lo dimostra
l’impegno finanziario profuso da qualcuno di loro in programmi edilizi di note-
vole respiro, come per esempio la costruzione di un’aedes Telluris e la decora-
zione di un’aedes Neptuni a Formia da parte di M. Caelius Phileros290. Non stu-
pisce dunque che Leonas potesse curare a proprie spese l’erezione di una statua
in onore del proprio patrono C. Oppio Severo in CIL IX, 5833 e di una dedica
ad Esculapio ed Hygia in CIL IX 5823, nonché offrire cenae e sportulae in de-
naro in occasione della dedica dei monumenti.
La pratica di offrire una cena ai coloni per celebrare la dedica di un’opera
monumentale291, che C. Oppio Leonas mise in atto in almeno due occasioni
documentate, trova qualche parallelo ad Auximum: in CIL IX, 5831, dell’età di

Menander, IIIIII vir Augustalis di CIL V, 8142 = InscrIt X, I, 114 da Pola; L. Calpurnius Calais,
allectus tra i IIIIII viri Augustales di Verona secondo l’iscrizione CIL V, 3354 = ILS 1950; M.
Abonius Acanthus, IIIIII vir Augustalis di CIL V, 3120 da Vicetia; L. Iulius Mario, magister Au-
gustalis di CIL X, 7552 da Carales; Cn. Statilius Martialis, VI vir perpetualis di AE 1926, 6 1
dalla regione di Beirut; si aggiunga la documentazione relativa a L. Licinio Secondo, che fu IIIIII
vir Augustalis a Tarraco e Barcino, vd. supra, p. 170, nota 272. Sul problema vd. Abramenko,
Mittelschicht, cit., p. 308, che a ragione nota la frequenza di apparitores nei collegi degli Augu-
stali e simili delle regioni dell’Italia settentrionale.
288 Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, da consultarsi nell’edizione di Crawford (a cura di), Ro-
man Statutes, cit., pp. 393-454; ivi anche il commento al passo in questione, alle pp. 433-434.
Cf. inoltre il testo approntato per la seconda edizione del Corpus Inscriptionum Latinarum, CIL
II2, 5, 1022. Non abbiamo elementi riguardo alla paga degli accensi dei magistrati dello stato,
ma possiamo presumere che dovesse essere superiore a quella accordata agli aiutanti dei sem-
plici duoviri municipali, e che gli accensi dei consoli venissero meglio retribuiti di quelli al
servizio di funzionari di rango inferiore, cf. Di Stefano Manzella, Accensi velati, cit., p. 262. Che
gli accensi godessero in genere di un minor prestigio rispetto agli scribi e si collocassero piut-
tosto sullo stesso piano degli apparitores di rango inferiore, come lictores e viatores mi sembra
emergere anche dall’ironico commento di Cicerone a proposito dello zelo con il quale
Timarchide, accenso di Verre, ricordava il proprio titolo nella sua sua corrispondenza, 2 Verr., III,
154: venio nunc ad epistulam Timarchidi, liberti istius et accensi … Recita. “Epistula
Timarchidi. Timarchides Verris accensus Apronio salutem dicit”. Iam hoc quidem non repre-
hendo, quod adscribit “accensus”. Cur enim sibi hoc scribae soli sumant, “L. Papirius
scriba”? Volo ego hoc esse commune accensorum, lictorum, viatorem.
289 Per il ritratto di Timarchide vd. in particolare Cic., 2 Verr., II, 133-136.
290 CIL X, 6104 = ILS 1945. Altri casi di evergesie ad opera di accensi in Di Stefano Manzella,
Accensi, cit., p. 246.
291 In particolare per la documentazione relativa alla dedica di una statua come occasione per li-
beralità vd. Mrozek, Distributions, cit., p. 9, nota 1.
174 Parte II. I documenti

Antonino Pio292, è il patrono della colonia M. Oppio Capitone, per la dedica di


una base in suo onore, a dare un banchetto; in CIL IX, 5840, datata negli anni
intorno al 140 d.C. il protagonista della munificenza è C. Oppio Basso, un per-
sonaggio che, dopo una brillante carriera militare, era giunto alla massima magi-
stratura di Auximum, la pretura293; sembra dunque che tale pratica costituisse un
elemento tradizionale della politica evergetica condotta dai membri della gens
Oppia ad Auximum nei decenni centrali del II sec. d.C.294 Oltre a queste atte-
stazioni relative agli Oppii, possiamo ricordare le evergesie della flamina Vibia
Marcella che, per solennizzare l’inaugurazione di una statua raffigurante il ma-
rito, l’equestre L. Praesentius L. f. Lem. Paetus L. Attius Severus, che fu anche
pretore e patrono di Osimo, offrì ai coloni una cena, mentre il populus ebbe
semplicemente un epulum (CIL IX, 5841): quest’ultima testimonianza dimostra
tra l’altro come la cena dovesse essere un banchetto più ricco e sontuoso
rispetto al semplice epulum, se anche in questo caso era rispettato il principio
della munificenza romana, secondo il quale ad un più alto prestigio sociale
corrispondevano doni di maggiore importanza295.
Meritano attenzione anche i beneficiari della munificenza, i coloni, ov-
vero coloro che erano in possesso della cittadinanza locale di Auximum, in
quanto tali distinti dagli incolae, che semplicemente avevano fissato la propria
residenza nella città296. I coloni appaiono con frequenza nell’epigrafia di Auxi-
mum: oltre che i documenti relativi alla concessione di una cena, sopra ricor-
dati, si veda CIL IX, 5828, che attesta una divisio nella quale i coloni ricevet-
tero 2 denari, contro i 3 elargiti ai decurioni in occasione della dedica di un mo-
numento all’exceptor L. Aurelius Aug. l. Marcianus, su iniziativa del padre
dell’onorato297; CIL IX, 5830, in cui i coloni sono i dedicanti di un’iscrizione in

292 Sul documento vd. M.F. Petraccia Lucernoni, I questori municipali dell’Italia antica, Roma
1988, pp. 189-190 e Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 164-167,
con bibliografia anteriore.
293 Su C. Oppio Basso vd. infra, pp. 231-233. CIL IX, 5840 è ora riedita da Marengo in Cancrini
- Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 170-173.
294 Le testimonianze di Osimo costituiscono tra l’altre alcune delle attestazioni più tarde della
concessione di una cena, cf. Mrozek, Distributions, cit., p. 24, il cui limite post quem non al 137
d.C. deve a mio parere essere abbassato di qualche anno.
295 Cf. Mrozek, Bénéficiaires, cit., p. 33; Id. Distibutions, cit., pp. 37-39. Sulle cenae in genere
vd. inoltre E. De Ruggiero, Cena, «Diz. Ep.», II (1900), pp. 154-156. In particolare su questa pra-
tica evergetica nel Piceno vd. Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp.
15-17. L'iscrizione di Vibia Marcella è ripresa da Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 173-175.
296 Per l’opposizione tra coloni ed incolae in occasione di munificenze vd. per esempio CIL IX,
2252 da Telesia: L(ucius) Manlius Rufio, sevir, / an(norum) LXXVII, Telesiae ludos / scaenicos
fecit, epulum / colonis Telesinis et liberis / eorum et incolis crustum / et mulsum dedit …. Ad
Auximum la già ricordata iscrizione di Vibia Marcella attesta una divisione tra coloni e populus,
termine nel quale si deve evidentemente ritenere fossero ricompresi gli incolae, cf. Mrozek, Bé-
néficiaires, cit., p. 43; in genere sull’uso del termine coloni vd. Id., Die städtischen Unter-
schichten Italiens in den Inschriften der römischen Kaiserzeit (populus, plebs, plebs urbana
u.a.), Wroclaw - Warszawa - Kraków 1990, pp. 34-36.
297 Su questa iscrizione vd. infra, pp. 193-199, Auximum 5.
Parte II. I documenti 175

onore di C. Iulius C. f. Vel. Oppius Clemens; CIL IX, 5843, nella quale si ricorda
la distribuzione di una somma di denaro da parte della liberta Mansueta in occa-
sione della dedica di un monumento al suo patrono, il veterano e notabile muni-
cipale T. Salenus T. f. Vel. Sedatus: mentre i decurioni ricevettero 8 denarii, i
coloni dovettero accontentarsi di 4298; in CIL IX, 5854 = Buonocore, Epigrafia
anfiteatrale, cit., pp. 29-30, n°6 i coloni Auximates sono i destinatari di giochi
gladiatori finanziati da un personaggio il cui nome è andato perduto299; in CIL
IX, 5855 = Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 29, n°5 i coloni Auxima-
tes beneficiano singolarmente di un legato il cui importo è andato perduto e
collettivamente di un lascito di 100.000 o più sesterzi300; in CIL IX, 5856, in-
fine, un personaggio il cui nome è andato perduto nella lacuna iniziale viene
nominato patrono di Auximum decurionum consulto colonorumque voluntate.
Immagine: Tav. IX. Gentili, Osimo, cit., p. 186, tav. 72b; Prosperi Valenti,
Un esemplare inedito, cit., tav. IV; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., p. 168, fig. 48.

298 Su questa iscrizione vd. infra, pp. 234-238, Auximum 13.


299 Su questa iscrizione vd. infra, pp. 209-210, Auximum 8.
300 Su questa iscrizione vd. infra, pp. 205-208, Auximum 7.
176 Parte II. I documenti

Auximum 2

Edizione di riferimento: CIL IX, 5823.


Altre edizioni: ILS 6048; Gentili, Auximum, cit., pp. 153-154, n°e2; Id.,
Osimo, cit., p. 156; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 53, n°12;
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 157-160.
Bibliografia: Gentili, Auximum, cit., pp. 45-46; D. Musial, Le developpement
du culte d’Esculape au monde romain, Torun 1992, p. 67; E. Schraudolph,
Römische Götterweihungen mit Reliefschmuck aus Italien, Heidelberg 1993, p.
240, n°L172; Abramenko, Mittelschicht, cit., pp. 148; 308; vd. inoltre biblio-
grafia alla scheda precedente.
Luogo di ritrovamento: ad Osimo, dal foro della città romana301.
Luogo di conservazione: la base, portata a Milano come trofeo di guerra da
Gian Giacomo Trivulzio nel 1487, si trova tuttora nella città lombarda, nel por-
tico interno della Biblioteca Ambrosiana302.
Tipo di supporto: grande base in marmo, con cornice fortemente aggettante.
Elementi iconografici: nella facciata posteriore appaiono Fortuna, con un
lungo chitone e l’himation e gli attributi della cornucopia e del timone, e la dea
Roma (o Minerva), con un chitonisco e un mantello che le avvolge le gambe; la
mano sinistra appoggia su di uno scudo rotondo, la destra regge una figurina; ai
piedi della divinità due fanciulli; sulle facciata laterale destra Apollo con clamide
posata sulla spalla, appoggiato ad un tripode con il gomito sinistro, mentre la
mano destra poggia sulla cetra; a sinistra della divinità compare la figura di un
uccello, forse di un gallo, che si volge ad osservare il dio; sulla facciata laterale
sinistra Artemide con un lungo chitone, che sostiene con entrambe le mani una
fiaccola; a destra della dea un cane che si volta a guardarla303.
Mestiere: adcensus patroni, honoratus in tribu Claudia (se di un incarico
amministrativo si tratta).
Datazione: la datazione al consolato di Plauzio Quintilio e Stazio Prisco ri-
manda al 159 d.C.
Testo: Aesculapio et Hygiae / sacrum. / C(aius) Oppius C(ai) l(ibertus) Leonas,
/ VI vir et Aug(ustalis), / honoratus in tribu / Cl(audia) patrum et liberum /
clientium et adcensus / patróni, sanctissimis / communicipibus suis d(ono)
d(edit), / quorum dedicatione / singulis decuriónibus / ((denarios)) III,
Augustalibus ((denarios)) II et / colonis cenam dedit. / L(ocus) d(atus)
d(ecreto) d(ecurionum). // Dedicati (!) idib(us) Ianuar(is) Plautio Quintilio et /
Statio Prisco co(n)s(ulibus).
l. 4: il numerale è sopralineato.
l. 8: la seconda I di sanctissimis è longa.
l. 14: L(oco) d(ato) d(ecreto) d(ecurionum) Prosperi Valenti, Marengo.

301 Cf. lemma a CIL IX, 5823.


302 Cf. lemma a CIL IX, 5823; Gentili, Osimo, cit., p. 156; Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., p. 157.
303 Descrizione dei rilievi in Gentili, Auximum, p. 154; Id., Osimo, cit., p. 156; Schraudolph, Göt-
terweihungen, cit., p. 240, n°L172.
Parte II. I documenti 177

Commento
La seconda iscrizione relativa all’accenso C. Oppio Leonas è una dedica
sacra ad Esculapio e a Hygia, figlia dei dio medico e frequentemente a lui asso-
ciata nel culto nella documentazione epigrafica del mondo romano304. Nel Pi-
ceno il culto delle due divinità salutari è per il momento altrimenti ignoto, al-
meno per quanto concerne la documentazione epigrafica: tuttavia ad Urbs Sal-
via è nota una statua di Esculapio, forse proveniente dalle vicinanze del teatro,
dove venne rinvenuta una statua di una figura femminile che potrebbe essere
identificata con Hygia; la scomparsa di quest’ultimo documento purtroppo non
consente di verificare l’ipotesi dell’esistenza nel luogo di un gruppo scultoreo
raffigurante le due divinità salutari menzionate dall’iscrizione di Auximum305.
In effetti nell’intera Italia romana la documentazione relativa al culto di
Esculapio ed Hygia, come della sola Hygia, è piuttosto limitata, se la si con-
fronta con le numerose testimonianze provenienti dalle province africane e da-
nubiane. Dall’esame dei dati in nostro possesso si è a ragione sottolineato come
ad Esculapio ed Hygia ci si affidasse soprattutto per invocare la propria salute
personale e quella dei propri cari, lasciando a Salus il compito di vegliare sulla
salvezza pubblica306. Il dono della grande base di Esculapio ed Hygia da parte di
C. Oppio Leonas ai propri communicipes su di un terreno concesso dalla comu-
nità stessa mi sembra tuttavia suggerire l’ipotesi di una qualche valenza pubblica

304 L'iscrizione è il più tardo documento epigrafico datato sull’attività degli accensi, come nota
Di Stefano Manzella, Accensi, cit., p. 224. Sul culto di Esculapio ed Hygia nel mondo romano vd.
M. Marchetti, Hygya, «Diz. Ep.», III (1906), pp. 1062-1065; F. Croissant, Hygieia, «LIMC», V, 1
(1990), pp. 554-572; H. Sobel, Hygieia. Die Göttin der Gesundheit, Darmstadt 1990 (studio so-
prattutto dedicato agli aspetti iconografici, con molte manchevolezze, cf. la recensione di M.
Meyer, «Gnomon», 63 (1991), pp. 343-347); F. Graf, Hygieia, «Der neue Pauly», 5 (1998), coll.
777-778; D. Musial, Le developpement du culte d’Esculape au monde romain, Torun 1992, par-
tic. pp. 65-71 per il culto di Esculapio ed Hygia nell’Italia romana (la nostra iscrizione è breve-
mente ricordata a p. 67). Sui complessi rapporti di identificazione e interpratazione tra Hygia,
Salus e Valetudo vd. M.A. Marwood, The Roman Cult of Salus, Oxford 1988, partic. pp. 13-14;
71-74; 92-100; 128; 150-151; G. Prosperi Valenti, Valetudo. Origine ed aspetti del culto nel
mondo romano, Roma 1998, partic. pp. 61-75.
305 Vd. Delplace, Romanisation, cit., pp. 306-307, con tav. XI, fig. 67. L’iscrizione di Auximum è
brevemente ricordata da Gentili, Auximum, cit., p. 46 a proposito dei culti attestati nella città.
306 Così Marchetti, Hygia, cit., pp. 1064-1065, seguito da V. Saladino, Salus, «LIMC», VII, 1
(1994), p. 656; la medesima osservazione in C. Tiussi, Il culto di Esculapio nell’area nord-
adriatica, Roma 1999, pp. 30-31. Cf. per esempio, limitandosi alla documentazione dell’Italia
romana, CIL VI, 19 da Roma: Aesculapio et Hy/giae M(arcus) Ulpius Ho/noratus, dec(urio) /
eq(uitum) sing(ularium) Imp(eratoris) n(ostri), / pro salute sua / suorumque et / L(uci) Iuli
Helicis me/dici qui curam / mei diligenter egit / secundum deos / v(otum) s(olvi) l(ibenter)
l(ibens) m(erito); CIL V, 8207 da Aquileia, ora ripresa da Tiussi, Il culto di Esculapio, cit., p.
140, n°I.A.5, con bibliografia anteriore: Aescul(apio) et Hygiae / pro sal(ute) liberor(um)
suor(um) / et Anton(iae) Callistes coniug(is). / C(aius) Turran(ius) Onesimus / v(otum) s(olvit).
Su Salus vd. anche Marwood, The Roman Cult of Salus, cit., con ampia disamina di tutte le fonti
a nostra disposizione su questa divinità; L. Winkler, Salus. Vom Staatskult zur politischen Idee.
Eine archäologische Untersuchung, Heidelberg 1995, incentrato sulla documentazione icono-
grafica (per il rapporto fra Salus ed Hygia vd. partic. pp. 142-171; a pp. 189-212 un catalogo
delle statue di Hygia conservate al di fuori dei santuari dedicati ad Esculapio).
178 Parte II. I documenti

del culto delle due divinità salutari ad Auximum307. A tale proposito mi pare
appropriato richiamare un documento dalla non lontana Pitinum Mergens, CIL
XI, 5954a, purtroppo noto solo dalla tradizione manoscritta, che E. Bormann,
col sostegno del Mommsen, suggerì di integrare come segue: L(ocus) d(atus)
[d(ecreto) d(ecurionum)?]. / Hygiae Salu[tari] / pro salute munic[ipi
Pit(inatium) Merg(entinorum) / C(aius) Messius Zosimu[s VI vir Aug(ustalis)
hic] / et Foro Sempro[ni ---] / ------; l’integrazione della carica di VI vir Augu-
stalis si fonda su di un secondo documento di Pitinum concernente Messio
Zosimo308, nella quale il seviro, onorato con la concessione degli ornamenta
decurionalia, provvide alla distribuzione di sportulae, dell’importo di 12 se-
sterzi per i decurioni e di una somma andata perduta alla plebe, cui si aggiunse
l’organizzazione di epula e di una visceratio. Se l’ipotesi di integrazione propo-
sta dal Bormann fosse esatta, ad Auximum e a Pitinum Mergens ci troveremmo
dunque di fronte ad una situazione sostanzialmente analoga, nella quale un li-
berto pervenuto all’Augustalità e ad un prestigio sociale riconosciuto nella pro-
pria comunità, provvede ad un culto di Hygia per quanto concerne C. Messio
Zosimo, e di Hygia ed Esculapio per quanto riguarda C. Oppio Leonas, con va-
lenza pubblica, più esplicita nel caso della dedica pitinate pro salute municipi,
meno lampante ma pur sempre avvertibile nel caso dell’iscrizione di Leonas.
L’accostamento delle testimonianze sarebbe ancor più significativo se, come
pare possibile, Zosimo e Leonas furono all’incirca contemporanei309.
Forse solo il caso ha voluto che le uniche due testimonianze relative ad un
culto di Hygia (ed Esculapio) con un qualche carattere pubblico nell’Italia ro-
mana vengano da una zona piuttosto circoscritta tra Piceno settentrionale e
Umbria adriatica: allargando l’indagine alla documentazione in lingua greca pos-
siamo in effetti richiamare altri due documenti in cui le due divinità salutari as-
sumono con chiarezza il ruolo di patrone dell’intera comunità cittadina: si tratta
di due dediche ad Asclepio ed Hygia, onorati come divinità swth're" poliou'coi,
entrambe provenienti da Messina; la prima, già nota a G. Walther nel XVII
secolo ed oggi perduta, compariva su di una colonnetta che conservava anche
una dedica ad Antonino Pio, elemento di particolare interesse se le dediche
fossero coeve, dal momento che potremmo istituire uno stretto parallelismo
cronologico con l’iscrizione di Auximum; tuttavia le caratteristiche paleo-
grafiche, per quanto si può giudicare dall’apografo del Walther, inducono a so-
spettare che i due testi siano stati incisi in epoche diverse, senza rapporto tra di
loro; Giacomo Manganaro pochi anni orsono ha suggerito una datazione al II-I

307 Anche se non escluderei la possibilità che la dedica sia da connettersi con una circostanza
contingente, come per esempio un’epidemia scampata.
308 CIL XI, 5965: [C(aio) M]essio C(ai) lib(erto) / Zosimo, / [sevir]o Augustali hic / [et Forum]
Semproni, orna/[mentis] decurionalibus ab / [ordine] Pit(inatium) Merg(entinorum) honorato,
/ [decuri]ones et plebs urban(a) / ob merita; / [cuius d]edicatione decurioni/[bus sing]ulis
((sestertios)) XII, plebeis / [((sestertios)) ---- et] epulas dedit et [vis]cerationem.
309 Per l’inquadramento cronologico di C. Messio Zosimo per la verità ci si può fondare sola-
mente sul formulario di CIL XI, 5965 che rimanda genericamente al II sec. d.C. Sullo sviluppo
del culto di Esculapio nell’età di Antonino Pio vd. J. Beaujeu, La religion romaine à l’apogée
de l’Empire, I, La politique religieuse des Antonins (96-192), Paris 1955, pp. 300-301.
Parte II. I documenti 179

sec. a.C.310; la seconda iscrizione, su di un altare rotondo in marmo lunense, po-


trebbe datarsi all’età augustea311. Allo stato attuale delle nostre conoscenze
mancano dunque ancora troppi tasselli per istituire un eventuale rapporto tra le
dediche messinesi di età tardorepubblicana ed augustea e le iscrizioni marchigiane
dell’età antonina; è tuttavia auspicabile che nuovi studi e scoperte contri-
buiscano a colmare le nostre lacune su questo interessante soggetto di studio312.
Il formulario della dedica posta da Leonas ad Esculapio ed Hygia è quello
consueto per l’epigrafia religiosa del Piceno con i nomi delle divinità in dativo,
seguiti da sacrum313.
L’iscrizione apporta qualche indicazione sulla condizione sociale di C.
Oppio Leonas: il liberto fu, tra l’altro, sevir et Augustalis, membro di uno di quei
collegi sacerdotali dediti al culto imperiale che sono altrimenti noti ad Au-
ximum, con formulazioni leggermente differenti; la documentazione rilevante
comprende CIL IX, 5846 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 87,
n°37, iscrizione che attesta un tal [C.] Baianius C. l. Auctus, VI vir, CIL IX,
5850 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 63, n°17, epitafio del VI
vir II Aug(ustalis) L. Praesentius L. l. Florus e Gentili, Auximum, cit., p. 154,
n°e3, nella quale il nome dell’Augustale è andato perduto. A questi personaggi si
può forse aggiungere l’onorato di CIL IX, 5855 = Buonocore, Epigrafia anfite-
atrale, cit., p. 29, n°5, il cui nome è andato perduto, che organizzò una cena se-
xviralis314. A questo proposito si deva ricordare la recente ipotesi di identifica-
zione di un monumento funerario circolare di Auximum, databile forse all’età
augustea, con il sepolcro di un seviro315.
Di particolare interesse per il soggetto della presente indagine è la frase
honoratus in tribu Claudia patrum et liberum clientium, dietro la quale si po-
trebbe celare un secondo incarico di carattere amministrativo rivestito
dall’accenso C. Oppio Leonas. L’espressione ci riporta a quelle sezioni delle
tribù rustiche ed urbane più volte attestate nella documentazione epigrafica di

310 Vd. IG XIV, 402 e G. Manganaro, Asklepios e Hygieia “divinità salvatrici e protettrici della
città” a Messina, «ZPE», 113 (1996), pp. 82-84, partic. p. 84. L. Robert, De Cilicie à Messine et à
Plymouth avec deux inscriptions grecques errantes, «JS» (1973), pp. 162-211, ora in Opera mi-
nora selecta, VII, Amsterdam 1990, pp. 225-275 riteneva l’iscrizione una pierre errante, giunta
a Messina dopo la fine dell’antichità da Aigeai, in Cilicia, dove il culto di Asclepio rivestiva una
notevole importanza, che avrebbe giustificato il suo ruolo di divinità poliade. La pubblicazione
di una seconda dedica ad Asclepio ed Hygia swth're" poliou'coi a Messina naturalmente co-
stituisce un argomento di peso per l’attribuzione alla città siciliana anche di IG XIV, 402.
311 Vd. SEG XLII, 870; l’iscrizione è brevemente ricordata da A. Brugnone, Epigrafia greca,
«Kokalos», 34-35 (1988-1989), p. 359 e ripresa da Manganaro, Asklepios, cit., pp. 83-84.
312 A questo proposito un dato interessante è fornito dalla documentazione archeologica: u n
imago clipeata di Esculapio compariva su una delle porte urbane di Pola, ponendo così l’intera
città sotto la protezione del dio; il tema è stato recentemente indagato da Tiussi, Il culto di Escu-
lapio, cit., pp. 93-95; 165, n°II.B.8; p. 216, fig. 46 per una riproduzione del disegno settecente-
sco del clipeum con Esculapio, ora perduto.
313 Cf. supra, p. 107, nota 1.
314 Il documento è ripreso infra, pp. 205-208, Auximum 7.
315 E. Stortoni, Il monumento funerario circolare di Auximum (Osimo), «Picus», 9 (1989), pp.
191-211.
180 Parte II. I documenti

età imperiale, probabilmente funzionali alle distribuzioni granarie nell’Urbe316.


Tali sezioni assumono generalmente il nome di corpus e a loro volta raggrup-
pavano diverse centurie. I corpora potevano assumere una denominazione che
alludeva alla suddivisione delle classi censitarie in centurie di seniores e di iunio-
res, corrispondenti probabilmente ai patres e ai liberi dell’iscrizione di
Osimo317, ma sono attestate anche altre definizioni, non sempre immediata-
mente comprensibili, spesso in combinazione con le sezioni dei giovani e degli
anziani sopra ricordate: tra queste anche i clientes che vengono ricordati
nell’iscrizione di C. Oppio Leonas318. Nella maggioranza dei casi la documenta-

316 Sul problema, che probabilmente meriterebbe un riesame approfondito, vd. Mommsen,
Staatsrecht, cit., III, pp. 188-198; 276-277; 444-448; E. De Ruggiero, Corpus, «Diz. Ep.», II
(1910), p. 1241; G. Cardinali, Frumentatio, «Diz. Ep.», III (1906), pp. 270-271; D. Van Berchem,
Les “clients” de la plébe romaine, «RPAA», 18 (1941-1942), pp. 183-190; I. Kajanto - U. Nyberg
- M. Steinby, Le iscrizioni, «L’area sacra di Largo Argentina», I, Roma 1981, pp. 122-124; M.
Buonocore, Tribus Palatina corpore iuniorum, «SCO», 41 (1991), pp. 339-341 (ora i n
L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp. 590-592), che ha comodamente raccolto le attestazioni relative
alle sezioni delle tribù urbane a noi note dalla documentazione di Roma. Sull’organizzazione in-
terna delle tribù vd. anche C. Nicolet, Plèbe et tribus: les statues de Lucius Antonius et le testa-
ment d’Auguste, «MEFRA», 97 (1985), pp. 813-815. Sull’organizzazione delle frumentationes a
Roma, con particolare riferimento al ruolo delle tribù, vd. da ultimo C. Virlouvet, Tessera fru-
mentaria. Les procédures de la distribution du blé public à Rome, Rome 1995, pp. 228-235, in-
dagine ripresa e sviluppata in S. Panciera - C. Virlouvet, Les archives de l’administration du blé
public à Rome à travers le témoignage des inscriptions, «La memoire perdue. Recherches sur
l’administration du blé public», Rome 1998, pp. 247-270.
317 Cf. per esempio CIL VI, 199, cf. 36747 = ILS 6050 (73 d.C.), con menzione dei curatores
trib(us) Suc(usanae) iunior(um); CIL VI, 200, cf. 36747 = ILS 6049 (70 d.C): trib(us)
Suc(usana) iunior(um); CIL VI, 1104 = 31240 = ILS 525 da Roma (254 d.C.): tribus Palatina
corp(oris) iuniorum Iuvenal(is) hon[oratorum ? et] client(ium); CIL VI, 9683 = ILS 7488, epita-
fio di M. Abudius Saturninus, trib(u) Esq(uilina) seniorum (sul personaggio vd. ora G. Forni, Le
tribù romane. I. Tribules. 1. A-B, Roma 1996, p. 94, n°A18); CIL VI, 10212 = 37846, con le resti-
tuzioni proposte da Buonocore, Tribus Palatina, cit., p. 340, n°6 (ora in L’Abruzzo e il Molise,
cit., II, p. 591, n°6): tr<i>b(us) S[uc(usana)] corp(oris) senio[ri]s [et iunioris] f(o)ederatorum
[---]; CIL VI, 10215 = ILS 6057, nella quale si ricordano i tribules tribus Palatinae corporis
seniorum clientium; CIL VI, 10218 = 33990a = ILS 6061 è l’epitafio di un tribulo tribus Pala-
tine (!) corp(oris) iunioris; CIL VI, 10219 = ILS 8226, frammentaria epigrafe di un personaggio
ex tribu [--- iuni]orum o [--- seni]orum; CIL VI, 27069 = ILS 6047 e 6047a ricorda Q. Trebonius
Q. l. Aristo e Q. Trebonius Q. l. Gallus, iscritti alla tribù Claudia ex patribus libertinis; CIL VI,
33997 = ILS 6053, una dedica trib(ui) Suc(usanae) cor(pori) sen(iorum) ((centuriae)) I; CIL
XIV, 374, con il ricordo di una tribus Claudiae patruum et liberorum clientium; AE 1948, 97 =
Kajanto - Nyberg - Steinby, Iscrizioni, cit., pp. 122-124, n°39 (179 d.C.) che attesta la dedica d i
una statua del Genius trib(us) Pal(atinae) corp(oris) iun(iorum) Iuvenalis hon(oratorum) da
parte della medesima tribù Palatina; Buonocore, Tribus Palatina, cit., pp. 337-341 (ora i n
L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp. 587-592) = AE 1992, 323 da Interpromium, iscrizione sepol-
crale di un tal M. Venelius M. f. Proculus tribu Palatina corpore i[u]nior(um), databile al più
tardi alla metà del I sec. d.C. Per l’accostamento tra seniores e iuniores da un lato, patres e liberi
dall’altro vd. Mommsen, Staatsrecht, cit., III, p. 276.
318 Cf. per esempio CIL VI, 196 = ILS 6051, che attesta un corpus foeder(atorum) della tribù Su-
cusana; CIL VI, 198 = ILS 6052: corpus Iulianus della stessa Sucusana; CIL VI, 10216 = ILS
6058 menziona un corpus Augustalis di una tribù non specificata; la medesima sezione appare
in CIL VI, 10217 = ILS 6060, in relazione all’Esquilina; CIL VI, 40683, con il ricordo dei tribuli
trib(us) Pal(atinae) corp(oris) Aug(ustalis) c[l]ien[tium]. Vd. anche nota precedente per le de-
Parte II. I documenti 181

zione riguarda le quattro tribù urbane, ma possediamo anche qualche dato che ci
dimostra come anche gli iscritti alle tribù rustiche che risiedevano in Roma par-
tecipassero alle frumentationes: oltre alla Claudia, ricordata anche nell’iscrizio-
ne di Auximum319, abbiamo attestazioni concernenti la Romilia e la Voltinia320,
la Oufentina321 e la Pollia322; a giudicare da questi pochi casi sembrerebbe che il
numero delle sezioni in cui le tribù rustiche erano suddivise fosse minore rispetto
a quello dei corpora delle urbane, fatto comprensibile se si pensa che il numero
degli iscritti alle circoscrizioni rustiche residenti nell’Urbe doveva essere rela-
tivamente limitato323.
A partire dal Mommsen vi è generale accordo nel vedere negli honorati
delle tribù gli ex-curatores di queste partizioni della plebe di Roma324. Le atte-
stazioni di honorati per la verità non sono molto numerose: oltre a C. Oppio
Leonas, si può ricordare M. Quintilius M. f. Pol. Vibianus, immunis, honoratus e
curator XVI cui venne dedicata un’ara permissu pientissimorum tribulium (CIL
VI, 10214); in qualche altra iscrizione la curatio stessa viene definita come
honos, per esempio nel caso di C. Iulius Regillus, bis hon(ore) in curat(ione)
functus nel corpus Iulianus della tribù Sucusana (CIL VI, 198 = ILS 6052) o in
quello di [---]ion[i]us D. f. Pol. Geminus, honore curationis suae functus, (ILS
5167). Si suppone che gli honorati conservassero qualche funzione di carattere
amministrativo nei servizi della tribù, a somiglianza di quanto accadeva per gli
honorati dei collegia di mestiere325, ma per la verità i dati in nostro possesso
non consentono per il momento di confermare la validità di questa analogia.
Qualche perplessità desta il fatto che gli honorati in qualcuno dei documenti
appaiono nella denominazione stessa dei corpora326, come se si trattasse di un
gruppo abbastanza numeroso da caratterizzare, al pari degli iuniores e dei
seniores, le particolari sezioni nelle quali erano inclusi; nello stesso senso
potrebbe forse deporre la formula honoratus in tribu Claudia, quasi che C.

finizioni combinate con il ricordo di seniores e iuniores, patres e liberi e i rilievi di Mommsen,
Staatsrecht, cit., III, pp. 276-277; 445 (per quanto riguarda i clientes), Cardinali, Frumentatio,
cit., p. 271 e Nicolet, Plèbe, cit., p. 815, nota 43.
319 Cf. per esempio CIL VI, 980 (età di Adriano), con attestazione dei tribules tribus Claudiae;
CIL VI, 27069 = ILS 6047; CIL XIV, 374, iscrizione in onore di un tribulo tribus Claudiae pa-
truum et liberorum clientium; CIL VI, 27069 = ILS 6047 e 6047a, con il ricordo di due iscritti
alla tribù Claudia ex patribus libertinis.
320 CIL VI, 10211, lacunosa iscrizione con il numero dei tribules delle tribù Palatina, Sucu-
sana, Esquilina, Collina, Romilia e Voltinia, probabilmente in riferimento alle distribuzioni
frumentarie.
321 CIL VI, 10221 = ILS 6063.
322 Cf. ILS 5167 per due curatores che erano membri della tribù.
323 Cosi Mommsen, Staatsrecht, cit., III, p. 276, nota 3.
324 Mommsen, Staatsrecht, cit., III, p. 191, nota 3; p. 445, nota 3; Cardinali, Frumentatio, cit., p.
271; Kajanto - Nyberg - Steinby, Iscrizioni, cit., pp. 123-124; Buonocore, Tribus Palatina, cit.,
p. 339 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, p. 590).
325 Kajanto - Nyberg - Steinby, Iscrizioni, cit., p. 124.
326 Cf. per esempio CIL VI, 1104 = 31240 = ILS 525: tribus Palatina corp(oris) iuniorum
Iuvenal(is) hon[oratorum et] client(ium); AE 1948, 97 = Kajanto - Nyberg - Steinby, Iscrizioni,
cit., pp. 122-124, n°39: trib(us) Pal(atina) corp(oris) iun(iorum) Iuvenalis hon(oratorum).
182 Parte II. I documenti

Oppio Leonas avesse ricevuto una qualche forma di distinzione con l’atto stesso
della sua iscrizione nella tribù rustica Claudia.
In mancanza di elementi in grado confortare o di sciogliere questi dubbi
non rimane che attenersi per il momento all’interpretazione tradizionale ed
analizzare brevemente l’ufficio di curator della tribù che C. Oppio Leonas po-
trebbe aver rivestito. Dalla documentazione relativa apprendiamo che i curato-
res si trovavano alla testa di una centuria327 o, più spesso, di un gruppo di cen-
turie riunite in un corpus328 e che la carica poteva essere iterata329. Anche se lo
statuto giuridico della maggior parte di questi funzionari ci è ignoto, la funzione
doveva essere accessibile sia agli ingenui330 come ai liberti, nonostante le atte-
stazioni esplicite siano meno numerose331.
L’iscrizione di C. Oppio Leonas, come si vede, apporta preziose informa-
zioni al quadro, costituendo una delle poche attestazioni sul problema della
struttura corporativa delle tribù non provenienti dall’Urbe e confermando la
partecipazione alle frumentationes anche delle tribù rustiche, nonché la possibi-
lità per i liberti di accedere alle funzioni direttive dei corpora tribuum. Occorre
comunque sottolineare che ancora molti aspetti del problema ci sfuggono e che

327 Cf. Q. Pomponeus Agathop(us), cur(ator) ((centuriae)) suae scil. ((centuriae)) I trib(us)
Suc(usanae) cor(poris) sen(iorum) (CIL VI, 33997 = ILS 6053). L’iscrizione CIL VI, 200 = ILS
6049 ci fa conoscere i nomi di 8 centurie degli iuniores della Sucusana, che prendevano il nome
da altrettanti personaggi, il cui titolo non è riferito; li ritiene curatores Mommsen, Staatsrecht,
cit., III, p. 190, nota 1.
328 Così per esempio P. Agrasius P. f. Marcellus, curator trib(us) Suc(usanae) iunior(um) (CIL
VI, 199 = ILS 6050; sul personaggio vd. ora Forni, Tribules 1, cit., p. 143, n°A452) o gli 8 cura-
tores trib(us) Suc(usanae) iunior(um) di CIL VI, 199 = ILS 6050; cf. ancora C. Iulius Regillus,
bis hon(ore) in curat(ione) functus nel corpus Iulianus della tribù Sucusana (CIL VI, 198 = ILS
6052). Mommsen, Staatsrecht, cit., III, p. 193 riteneva comunque che ogni centuria avesse i l
proprio curator, sebbene questi potesse genericamente far riferimento al corpus di cui la sua se-
zione faceva parte; sul problema vd. anche Cardinali, Frumentatio, cit., p. 271.
329 Cf. per esempio C. Iulius Regillus, bis hon(ore) in curat(ione) functus (CIL VI, 198 = ILS
6052); C. Portumius Phoebus e L. Statius Patroclus, curatores II trib(us) Suc(usanae) iu-
nior(um) (CIL VI, 199 = ILS 6050); M. Quintilius M. f. Pol. Vibianus, curator XVI. (CIL VI,
10214); [C]n. Ussaeus Cn. f. Po[l.] Proculus, cur(ator) [II] tribus Polliae (CIL VI, 33994 = ILS
6054).
330 Vd. P. Agrasius P. f. Marcellus di CIL VI, 199 = ILS 6050; M. Quintilius M. f. Pol. Vibianus,
immunis di CIL VI, 10214; [C]n. Ussaeus Cn. f. Po[l.] Proculus di CIL VI, 33994 = ILS 6054; [--
-]ion[i]us D. f. Pol. Geminus di ILS 5167. Buonocore, Tribus Palatina, cit., p. 341 (ora i n
L’Abruzzo e il Molise, cit., II, p. 591) ritiene senza dubbio M. Venelius M. f. Proculus
dell’iscrizione onoraria da lui pubblicata il curator ingenuo di una centuria del corpus iunio-
rum nella tribù Palatina; a questo proposito nutro tuttavia qualche dubbio: se Proculo avesse
avuto veramente una qualche posizione di prestigio e responsabilità nei servizi amministrativi
della tribù probabilmente i dedicanti non avrebbero mancato di farvi cenno nell’iscrizione, come
fece l’honoratus C. Oppius Leonas ad Auximum; forse già il solo fatto di appartenere ad uno dei
corpora che beneficiavano delle frumentationes a Roma poteva costituire un elemento d i
distinzione ad Interpromium, nel territorio dei Marrucini, dove l’iscrizione pubblicata da M.
Buonocore è stata ritrovata.
331 Ti. Claudius Hermetis l. Helius di CIL VI, 199 = ILS 6050, cf. G. Forni, Le tribù romane. I.
Tribules. 2. C-I, Roma 1999, p. 392, n°C947. Sul problema della condizione giuridica dei cura-
tores vd. Mommsen, Staatsrecht, cit., III, p. 192.
Parte II. I documenti 183

solo dal loro chiarimento potrà giungere una migliore comprensione


dell’iscrizione di Auximum.
Non è semplice proporre uno stretto confronto per l’espressione sanctis-
simi communicipes sui, soprattutto dal momento che gli epiteti degli organismi
municipali non sono state indicizzati regolarmente nel CIL. Tuttavia il sostan-
tivo communiceps ritorna almeno una volta nella documentazione epigrafica
latina, in CIL III, 3285, un frammentario epitafio da Mursa, in Pannonia, dedi-
cato Aur(elio) Sibiaeno, vexillario et co[m]muni[ci]pi332. L’aggettivo sanctis-
simus, che assai di frequente qualifica l’imperatore o membri della famiglia im-
periale ma anche, nell’epigrafia sepolcrale, i defunti o i loro congiunti333, sem-
bra essere utilizzato piuttosto raramente per definire il corpo civico o una delle
sue sezioni; le attestazioni in genere fanno riferimento all’ordo decurionum e si
datano a partire dall’impero di Antonino Pio334. In una tabula patronatus del
337 d.C. da Paestum troviamo tuttavia anche l’espressione sanctissimi conde-
curiones335. Nella documentazione epigrafica i municipes possono apparire an-
che con l’appellativo di optimi, come in un’iscrizione di Petelia dell’età di
Antonino Pio336, o di carissimi, come nel caso della dedica in onore di P.
Licinius M. f. Quir. Papirianus da Sicca Veneria, datata all’impero di Marco
Aurelio337. La comparsa della formula sanctissimi communicipes sui
nell’iscrizione di C. Oppio Leonas che, ricordiamo, si data al 159 d.C., si inseri-
sce in una generica fioritura degli appellativi in riferimento alle realtà munici-
pali che si sviluppa in particolare nella tarda età antonina. All’uso del termine
collettivo communicipes per identificare i destinatari della base di Esculapio ed
Hygia si oppongono le designazioni più specifiche di decuriones, Augustales e
coloni come beneficiari delle distribuzioni di somme di denaro e di alimenti
nell’ultima parte del testo, un dato che credo possa essere portato a sostegno

332 W. Bannier, Communiceps, «TLL», III, col. 1954 segnala anche un’attestazione nella docu-
mentazione letteraria, August., Conf., VI, 14.
333 Cf. J.-F. Berthet - B. Pagnon, Le vocabulaire moral des inscriptions de Lyon et de Vienne, ,
«La langue des inscriptions latines de la Gaule. Actes de la Table - ronde tenue au C.E.R.G.R.
les 6 et 7 Octobre 1988 (Université Lyon III)», Lyon 1989, pp. 43-57, partic. 48; H. Deshaye, Les
épithètes laudatives et affectives dans les épitaphes de la moyenne vallée du Rhône, ibid., pp.
59-71, partic. 60.
334 La documentazione relativa all’espressione sanctissimus ordo è stata raccolta e studiata da
M. Christol - J. Gascou - M. Janon, Les Seviralia ornamenta gratuita dans une inscription de
Nîmes, «Latomus», 46 (1987), p. 390, nota 14; pp. 395-399. Alle attestazioni raccolte dagli stu-
diosi si può aggiungere AE 1917-1918, 35 da Thubursicum Numidarum: ordo sanctissimus ac
florentissimus populus in unum concinens Thubursicensium Numidarum; incerto lo sciogli-
mento della sigla in AE 1903, 285 = ILJug. III, 1417 dal Municipum Ulpianum, nella Mesia supe-
riore: s(anctissimus) o s(plendidissimus) o(rdo) munic(ipii) Ulp(iani).
335 CIL X, 476 = ILS 6112.
336 AE 1894, 148.
337 CIL VIII, 1641 = ILS 6818. Su tale iscrizione vd. ora il commento di M. Christol - A.
Magioncalda, La fondazione di P. Licinio Papiriano da Sicca Veneria (CIL VIII 1641). Nota
preliminare, «L’Africa romana. Atti dell’VIII convegno di studio», I, a cura di A. Mastino, Sas-
sari 1991, pp. 321-330. Cf. tuttavia anche Cic., Phil., III, 15, ove ritroviamo l’espressione muni-
cipes honestissimi.
184 Parte II. I documenti

dell’ipotesi secondo la quale entro l’espressione municipes possono essere ri-


compresi sia i membri del consiglio municipale, come gli appartenenti al collegi
di Augustali e la semplice plebs cittadina338.
In occasione della dedica dell’iscrizione votiva ad Esculapio ed Hygia C.
Oppius Leonas non solo offrì una cena ai coloni di Auximum, come già fece per
l’erezione del monumento in onore del suo patrono C. Oppio Severo339, ma
procedette anche alla distribuzione di una somma di denaro, di cui beneficiarono,
in diversa misura, i membri del consiglio cittadino e i colleghi di Leonas
nell’Augustalità: ai decurioni della colonia andarono 3 denarii, agli Augustales
solamente 2; gli importi delle sportulae, se confrontati con quelli attestati
dall’epigrafia del Piceno, rientrano sostanzialmente nella media340.
Immagine: Tav. X. Gentili, Auximum, cit., p. 45 fig. 1 (riproduzione di una
stampa conservata presso il comune di Osimo, con il lato iscritto); tav. XV, a-b
(riproduzione di una stampa conservata presso il comune di Osimo, con i lati
scolpiti); Id., Osimo, cit., tav. 73 a-b (riportano solo i lati scolpiti); Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 159, fig. 44 (riproduzione di una
stampa conservata presso il comune di Osimo, con il lato iscritto).

338 L’ipotesi è sviluppata da Mrozek, Unterschichten, cit., pp. 36-38, al quale si rimanda anche
per un inquadramento generale sull’uso del termine municipes nell’epigrafia dell’Italia romana.
339 Su ciò vd. supra, pp. 173-174.
340 Vd. supra, p. 130, la tabella delle sportulae in denaro attestate dall’epigrafia della regio V.
Per altri esempi di liberalità su iniziativa di Augustales o membri sacerdozi affini vd. Mrozek,
Distributions, cit., pp. 70-71. La divisio di C. Oppio Leonas è brevemente ricordata anche da
Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 148 tra i pochi esempi di munificenze da parte di Augustali e
simili nel Piceno.
Parte II. I documenti 185

Auximum 3

Edizione di riferimento: CIL IX, 5859.


Altre edizioni: Gentili, Auximum, cit., p. 156, n°h1; Id., Osimo, cit., p. 178,
n°82; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 81, n°30.
Bibliografia: E. De Ruggiero, Alimenta, «Diz. Ep.», I (1895), p. 408; Gentili,
Osimo, cit., p. 36; Delplace, Romanisation, cit., p. 78; Aubert, Business Mana-
gers, cit., p. 469, n°C85; J. Carlsen, Vilici and the Roman Estate Managers until
AD 284, Roma 1995, pp. 129-130.
Luogo di ritrovamento: da Osimo; il luogo preciso di rinvenimento non sem-
bra essere noto.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del Palazzo Comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: stele in calcare timpanata; la parte superiore del timpano è
perduta. La superficie iscritta presenta alcune scheggiature, che non pregiudi-
cano tuttavia in alcun modo la lettura del testo.
Mestiere: actor alimentorum.
Datazione: le caratteristiche paleografiche suggeriscono di collocare l’epigrafe
tra la fine del II e gli inizi del III sec. d.C.341
Testo: D(is) M(anibus). / Octaviae / Priscae / vixit ann(os) / XXVIII, men(ses) /
V, dies XXIII. / Restutus, / actor ali(mentorum), / coiugi / b(ene) m(erenti).
Interpunzione di forma triangolare, con vertice verso destra, utilizzata con re-
golarità per dividere le parole, tranne che in fine di riga.
Commento
Si tratta della semplice iscrizione sepolcrale posta dall’actor alimentorum
Restuto alla giovane moglie Ottavia Prisca, vissuta 28 anni, 5 mesi e 23 giorni.
Il dedicante porta un nome unico, non altrimenti attestato in questa
forma nella regio V342, ma assai noto nella documentazione epigrafica, come
forma derivata da Restitutus343. La formula onomastica sembra indicare che il
personaggio fosse di condizione servile, un’ipotesi che, come vedremo, ben si
accorda con i dati in nostro possesso riguardo alla funzione da lui svolta344.
Tale ufficio era quello di actor ali(mentorum), sul quale vale la pena sof-
fermarsi brevemente. Nella documentazione letteraria ed epigrafica troviamo
con relativa frequenza cenni ad actores, agenti alle dipendenze di privati, del pa-
trimonio imperiale o dell’amministrazione pubblica, che vediamo frequente-
mente impegnati in operazioni di carattere finanziario e che generalmente

341 Cf. Gentili, Osimo, cit. p. 178.


342 Cf. tuttavia il femminile Restuta in CIL IX, 5929 da Ancona: Scefia Restuta; CIL IX, 5412 da
Firmum: Vindia Restuta.
343 Per il numero complessivo di testimonianze relativo a Restitutus / Restutus vd. Kajanto, La-
tin cognomina, cit., p. 356.
344 Non molto numerose le attestazioni a Roma di questo nome per personaggi di nascita ser-
vile, cf. Solin, Sklavennamen, cit., I, p. 178.
186 Parte II. I documenti

erano di condizione servile345. Per funzione ed origine sociale questi impiegati


subordinati vanno accuratamente distinti dagli actores che agivano come rap-
presentanti legali di una comunità municipale in una controversia giuridica,
scelti ovviamente tra le persone di condizione libera ed adeguatamente remune-
rati346.
Le attestazioni sicure di actores che svolgevano, al pari di Restutus, la
loro opera in una comunità municipale non sono molto numerose; va tuttavia
sottolineato come nella documentazione epigrafica accada di frequente che que-
sti impiegati non ricordino la branca dell’amministrazione pubblica o privata
della quale si occupavano; d’altra parte non sempre il contesto ci aiuta a chiarire
il problema; è dunque probabile che alcuni degli agenti delle amministrazioni
municipali si celino dietro i numerosi actores nude dicti a noi noti. Partendo
dalla lista prosopografica degli actores attestati in Italia, in Sicilia e nelle pro-
vince alpine recentemente compilata da J.J. Aubert, con le necessarie aggiunte e
correzioni, possiamo ricordare:
1. Diogenes, ser(vus) act(or) r[ei publ(icae)] Calenorum di CIL VI, 31807 da
Roma347.
2. Marcus, act(or) rei p(ublicae) Venafr(anorum) di CIL X, 4904 da Vena-
frum348.
3. Anonimo, act(or) ser(vus) pu[b(licus)] di AE 1994, 562 da Cures.
4. Primitivus, r(ei) p(ublicae) ser(vus) act(or) di CIL XI, 2714 da Volsinii349.
5. Steph[anus ?], m(unicipi ?) Aq(uileiae) actor summ(arum ?) di Brusin, In-
scriptiones Aquileiae, cit., I, 556 da Aquileia.
6. Trophimus, m(unicipi ?) C(omensium ?) actor di CIL V, 5318 da Comum350.

345 In genere sugli actores si veda P. Habel, Actor 2, «P.W.», I, 1 (1893), coll. 329-330; E. De
Ruggiero, Actor, «Diz. Ep.», I (1895), pp. 66-70, partic. pp. 68-70 per gli actores municipali;
Liebenam, Städteverwaltung, cit., p. 329; Eder, Servitus publica, cit., pp. 79-80 (in particolare
sulla figura dell’actor publicus); J.-J. Aubert, Workshop Managers, «The Inscribed Economy.
Production and Distribution in the Roman Empire in the Light of instrumentum domesticum.
The Proceedings of a Conference Held at the American Academy in Rome on 10-11 January,
1992», a cura di W.V. Harris, Ann Arbor 1993, pp. 178-180; Id., Business Managers, cit., pp. 186-
196: Restutus è ricordato nell’appendice prosopografica a p. 469, n°C85; Carlsen, Vilici, cit., pp.
121-142, con breve riferimento al nostro personaggio a pp. 129-130; C. Schäfer, Die Rolle des
actores in Geldgeschäften, «Fünfzig Jahre Forschungen zur antiken Sklaverei an der Mainzer
Akademie 1950-2000. Miscellanea zum Jubiläum», a cura di H. Bellen - H. Heinen, Stuttgart
2001, pp. 223. Nel Piceno è noto un altro actor, probabilmente il sovrintendente di una tenuta
agricola, vd. infra, pp. 361-364, Firmum 1.
346 Su questi rappresentanti legali delle comunità municipali si veda in particolare Lex Irnitana,
cap. LXX (nell’edizione di Lamberti, Tabulae Irnitanae, cit., pp. 328-330), sotto la rubrica
intitolata De actore municipum constituendo <deque> praemio mercede eius, con il commento
di Lamberti, Lex Irnitana, cit., pp. 120-122; cf. anche Carlsen, Vilici, cit., p. 129.
347 Cf. Aubert, Business Managers, cit., p. 467, n°C60.
348 Cf. Aubert, Business Managers, cit., p. 471, n°C104; l’iscrizione è ora ripresa da Capini, Ve-
nafrum, cit., p. 92, n°79.
349 Cf. Aubert, Business Managers, cit., p. 472, n°C115.
350 Cf. Aubert, Business Managers, cit., p. 463, n°C7, seguito da Carlsen, Vilici, cit., p. 129, nota
423; lo scioglimento dell’abbreviazione proposto, che si riprende da Aubert, è ovviamente solo
ipotetico; l’editore di CIL V suggerisce piuttosto M(arci) C(aecili) o M(arciae) C(larae): ci tro-
Parte II. I documenti 187

7. Anonimo, actor publicus di Comum al quale Plinio il Giovane vendette in


modo fittizio una sua proprietà per assicurare gli alimenta ai fanciulli e alla fan-
ciulle della sua comunità (Plin., Ep., VII, 18, 2)351.
8. Fronto, actor huius loci di CIL XII, 2250 da Gratianopolis, nella Gallia Nar-
bonense352.
9. Teucer Iunior, rei p(ublicae) ser(vus) act(or) Tip(asensium) di AE 1971, 531
da Tipasa, in Numidia.
Incerti il caso dell’actor C. Atius Verecundus che appare come dedicante
di un’iscrizione a Fortuna da Mogontiacum, insieme ad un curator vici e ad
quaestor, e quello del suo collega Valerius Albanus, attestato in una frammenta-
ria epigrafe dalla medesima località insieme ad un altro questore: lo statuto li-
bero di Verecondo e di Albano, a giudicare dalla loro onomastica, appare in ef-
fetti in contraddizione con i rimanenti dati in nostro possesso, che indicano
come la posizione di actor nelle comunità municipali fosse generalmente rive-
stita da schiavi pubblici. Per il medesimo motivo dubito che fosse un semplice
impiegato dell’amministrazione quel Cn. Velleius Ursus ricordato in
un’iscrizione di Filippi come actor col(oniae)353. È tuttavia possibile che le pra-
tiche per il reclutamento degli actores nelle province differissero in qualche mi-
sura da quelle che vediamo applicarsi in Italia354.
Con l’abbreviazione ali. è logico si specificasse la branca
dell’amministrazione presso la quale l’actor Restutus era impiegato: pare dunque
naturale vedervi l’ufficio dell’amministrazione municipale che si occupava degli
alimenta, come già aveva suggerito il Mommsen nel commento a CIL IX,
5859, generalmente seguito dagli studiosi che si sono occupati dell’iscrizione.
L’insolita abbreviazione ali., che non sembra trovare confronti, è forse dovuta
ad un errato calcolo dello spazio a disposizione da parte del lapicida, che proba-
bilmente intendeva incidere la sigla alim. La denominazione della carica di actor
alimentorum trova comunque conforto nelle frequenti espressioni curator ali-

veremmo in tal caso a che fare con un actor dipendente da privati. Da notare che Trophimus
aveva un vicarius di nome Surio.
351 Su questa testimonianza vd. A.N. Sherwin-White, The Letters of Pliny. A Historical and So-
cial Commentary, Oxford 1966, pp 422-424; M.A. Levi, Per una nuova indagine sui problemi
della Tabula di Veleia, «Studi in onore di Giuseppe Grosso», II, Torino 1968, pp. 640-643;
Mrozek, Distributions, cit., p. 57; A. Magioncalda, Donazioni a fini perpetui destinate alle
città. Esempi dalla documentazione latina in età imperiale, «Il capitolo delle entrate nelle fi-
nanze municipali in Occidente ed in Oriente. Actes de la Xe Rencontre franco-italienne sur
l’épigraphie du monde romain. Rome, 27-29 mai 1996», Rome 1999, p. 186.
352 Dietro l’insolita espressione actor huius loci è peraltro possibile che si celasse un agente al
servizio di privati, cf. De Ruggiero, Actor, cit., p. 69 e i dubbi sulla possibilità che Graziano
fosse veramente un actor municipale espressi da Carlsen, Vilici, cit., p. 129, nota 423.
353 AE 1938, 53, ricordata da Aubert, Business Managers, cit., p. 188, nota 248 e da Carlsen, Vi-
lici, cit., p. 129, nota 423; cf. anche il commento dell’editore del documento, P. Lemerle, Nouvel-
les inscriptions latines de Philippes, «BCH», 61 (1937), p. 414.
354 Per le iscrizioni di Verecundus e di Albanus vd. rispettivamente CIL XIII, 6676 e 6775. Da
espungere certamente M. Paquius Aulanius di CIL IX, 2827 = ILS 5982 da Histonium, actor mu-
nicipi Histoniensium, sicuramente patrono giudiziario della comunità, nonostante Aubert, Busi-
ness Managers, cit., p. 469, C76 lo abbia incluso nella sua prosopografia.
188 Parte II. I documenti

mentorum, praefectus alimentorum, procurator alimentorum, quaestor ali-


mentorum355.
L’organizzazione dell’istituzione alimentaria pubblica nei municipi è rela-
tivamente ben documentata, in particolare per quanto concerne i magistrati che
sovrintendevano a tale amministrazione, che comunemente prendono il nome
di quaestores alimentorum356. Meno noti gli impiegati subalterni cui era affidata
la cura delle pratiche relative agli alimenta. Il confronto più stringente con
l’actor alimentorum di Auximum si ha probabilmente con Liberalis,
col(onorum) col(oniae) Sip(onti) ser(vus) arkar(ius), qui et ante egit rationem
alimentariam sub cura praefector(um) annis XXXII di CIL IX, 699 da Sipon-
tum: dietro la perifrasi rationem alimentariam agere si può in effetti facilmente
scorgere il titolo di actor alimentorum. Da Urvinum Mataurense proviene
un’iscrizione che ricorda un tal Verecundus, Urv(inatium) vil(icus) ab
alim(entis), che curò la sepoltura di alcuni vicarii (CIL XI, 6073)357. A Saepi-
num conosciamo infine un aliment(arius) Saepinat(ium) di nome Oriens, che
pose sepoltura al padre L. Saepinius Oriens, al fratello L. Saepinius Orestes, alla
figlia Felicula e alla conserva Thalia: si doveva dunque trattare di uno schiavo
pubblico, nato a sua volta da uno schiavo del municipio di Saepinum che, af-
francato, aveva preso un nomen formato dal nome stesso della comunità (CIL
IX, 2472). È probabile che le funzioni di tutti questi impiegati non dovessero
essere troppo diverse da quelle dell’actor alimentorum di Auximum; si può an-
che notare che i tre addetti erano tutti servi della municipalità, come probabil-
mente lo stesso Restutus. La rarità delle attestazioni di impiegati
dell’amministrazione municipale che facciano esplicito riferimento all’istituzio-
ne alimentaria dipende almeno in parte dal fatto che spesso la cura di essa era
ricompresa nelle mansioni dei dipendenti dell’arca pubblica: dalla già citata
iscrizione da Sipontum dell’arkarius Liberalis, qui et ante egit rationem alimen-
tariam mi pare si possa in effetti dedurre che Liberale, anche dopo la sua nomi-
na a cassiere dell’arca municipale abbia continuato ad occuparsi dell’ammini-
strazione dei fondi relativi agli alimenta.
Ad Auximum le istituzioni alimentarie sono note anche dall’epigrafe CIL
IX, 5849, che ci fa conoscere il quaest(or) alimen[t(orum)] C. Oppius C. f. Vel.
Pallans, dunque uno di quei magistrati dai quali gli actores alimentorum come

355 Cf. exempli gratia AE 1908, 162: curatori alimentorum; AE 1909, 184: praefectus alimen-
torum; AE 1961, 280: procur(ator) alimentorum; CIL XI, 6369: q(uaestor) alimentor(um)
356 Non è certo questa la sede opportuna per richiamare la ricchissima bibliografia concernente
gli alimenta pubblici. Sull’organizzazione dell’istituzione alimentaria nei municipi vd. tuttavia
in particolare E. De Ruggiero, Alimenta, «Diz. Ep», I (1895), pp. 407-408; Liebenam, Städtever-
waltung, cit., pp. 360-362; W. Eck, Die staatliche Organisation Italiens in der hohen Kaiser-
zeit, München 1979, pp. 146-189, partic. pp. 165-166; 180-182 (la monografia si consulterà ora
nella traduzione italiana, rivista ed aumentata, L’Italia nell’Impero romano. Stato e amministra-
zione in epoca imperiale, Bari 1999, pp. 151-194, partic. pp. 168-169; 183-185); G. Mennella, Il
quaestor alimentorum, «Decima miscellanea greca e romana», Roma 1986, pp. 371-419.
357 Su questo documento vd. anche Carlsen, Vilici, cit., p. 40.
Parte II. I documenti 189

Restutus potevano dipendere358 e da CIL IX, 5825 = Prosperi Valenti, Un


esemplare inedito, cit., p. 81, n°31, una frammentaria dedica all’imperatore
Traiano, di cui si ricorda la munificenza nei confronti della suboles Italiae, la
prole dell’Italia.
La defunta alla quale l’actor alimentorum pone sepoltura apparteneva ad
una gens ben nota nel Piceno359, anche se per il momento questa è l’unica atte-
stazione ad Auximum. Comune anche il cognomen Prisca, già noto ad Auxi-
m u m360 e in altre località della regio V361. Da notare che, se veramente Restu-
tus era uno schiavo pubblico, l’epiteto coniunx per la sua compagna Ottavia
Prisca venne usato impropriamente, dal momento che gli schiavi non avevano
la capacità di contrarre legittimo conubium; l’uso tuttavia non sorprende
troppo: del resto nella stessa documentazione concernente gli actores munici-
pali, certo non molto numerosa, troviamo almeno un altro caso analogo, quello
di Marcus, act(or) rei p(ublicae) Venafr(anorum), che pose sepoltura ad Aurelia
Victorina, coniu[x] incomp(aribilis) (CIL X, 4904)362. Si noti inoltre che in en-
trambi i casi i due impiegati sembrano aver sposato donne di condizione libera,
anche se forse esse non erano di nascita ingenua: segno, forse, che l’ufficio di
actor municipale godeva di una qualche considerazione sociale all’interno della
comunità nella quale era svolto.
Da notare infine l’indicazione di durata della vita di Ottavia Prisca, qui
espressa in anni, mesi e giorni, in caso accusativo, una formula ben attestata ad
Auximum, anche se più spesso in caso ablativo363.
Immagine: Tav. XI. Gentili, Osimo, cit., p. 230, tav. 116 b; Prosperi Valenti,
Un esemplare inedito, cit., tav. XXI.

358 Sul personaggio vd. Mennella, Quaestor alimentorum, cit., p. 386, n°38; pp. 399-400;
Petraccia Lucernoni, Questori, cit., p. 189, n°283.
359 Attestazioni di Octavii a Falerio: L. Octavius (CIL IX, 5443); C. Octavius L. f. Vel. Celer (CIL
IX, 5426) Octav[ia ---] (CIL IX, 5449, con le considerazioni di Delplace, Théâtre, cit., pp. 120-
121); ad Hadria: M. Octavius [---] Gallicanus (CIL IX, 5028); M. Octavius M. l. Philemo e
Octavia ((mulieris)) l. Dionusia (CIL IX, 5029); a Ricina: Octavia ((mulieris)) l. Acma (!) (CIL IX,
5750); Octavia Primitiva (CIL IX, 5776, ripresa da G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp.
82-83, n°12); a Septempeda: Q. Octavius Crescens e Q. Octavius Liberalis (CIL IX, 5621);
Octavia ((mulieris)) l. Rufa (CIL IX, 5613). Per completezza ricordiamo anche la presenza di una
schiavo della gens Octavia a Cluana, vd. infra, pp. 255-258, Cluana 1, e una lucerna con i l
nome Octavi rinvenuta a Castrum Novum, cf. lemma a CIL IX, 5154; Buonocore - Firpo, Fonti la-
tine e greche, cit., p. 802, n°24.
360 Cf. Maria Prisca di CIL IX, 5875 e Oppia Prisca di CIL IX, 5849.
361 Cf. a Falerio: Clodia Quarti f. Prisca (CIL IX, 5422 = Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., pp. 87-89) e Vetilia Prisca (AE 1981, 300); ad Hadria: Pomponia
Prisca (CIL IX, 5035); a Septempeda: Caesia Prisca (CIL IX, 5594); a Trea: Atellia L. f. Prisca
(CIL IX, 5664).
362 Vd. invece CIL XI, 2714 da Volsinii, in cui Primitivus, r(ei) p(ublicae) ser(vus) act(or)
chiamò più correttamente contubernalis la sua sposa Rufa Primitiva.
363 Cf. CIL IX, 5851 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 79, n°27 (ablativo); CIL IX,
5860 = ILS 8234 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 85, n°36; CIL IX, 5871 =
Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 77, n°24 (ablativo); CIL IX, 5872 = Prosperi
Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 57, n°14; CIL IX, 5874 = Prosperi Valenti, Un esemplare
inedito, cit., p. 77, n°25 (ablativo); CIL IX, 5877 (accusativo).
190 Parte II. I documenti

Auximum 4

Edizione di riferimento: Gentili, Osimo, cit., pp. 175-176, n°71.


Altre edizioni: Gentili, Auximum, cit., p. 154, n°e3.
Luogo di ritrovamento: il luogo di ritrovamento preciso dell’iscrizione non è
specificato dall’editore.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del Palazzo Comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: piccolo blocco parallelepipedo in calcare, frammentato nella
parte sinistra. Nella parte, posteriore, rovesciata rispetto all’iscrizione che qui
interessa, si trova un’altra epigrafe di carattere sacro, risalente forse al III sec.
d.C.364
Mestiere: dispensator.
Datazione: le caratteristiche paleografiche del testo orientano verso una data-
zione alla seconda metà del I sec. d.C.365
Testo: [---]eus, disp(ensator), L(aribus) F(amiliaribus) d(onum) d(edit).
l. 1: dispensator Gentili, Osimo.
Segni di interpunzione a forma di coda di rondine con il vertice che punta in
alto a destra, utilizzati con regolarità per dividere le parole.
Commento
La frammentaria iscrizione ci conserva la dedica votiva posta da un di-
spensator ai Lares Familiares, espressa con la consueta formula d(onum)
d(edit)366.
Abbiamo già visto in precedenza come i dispensatores, impiegati addetti
alla cassa che potevano essere alle dipendenze sia di una qualche ricca famiglia,
sia dell’amministrazione centrale o municipale, compaiano spesso nell’epigrafia
votiva come dedicanti, in ragione del loro livello d’istruzione ed anche delle
loro possibilità economiche367.
Nell’iscrizione in esame si conservano solamente le ultime tre lettere del
cognome del dedicante; del resto è probabile che questi avesse un unico nome,
dal momento che, come si è detto, nella grande maggioranza dei casi i dispen-

364 Cf. Gentili, Auximum, cit., p. 154; Id., Osimo, cit., p. 175.
365 Così Gentili, Auximum, cit., p. 154; Id., Osimo, cit., p. 175.
366 Per altre attestazioni della formula nel Piceno vd. per esempio Castelli, Iscrizioni latine ine-
dite, cit., pp. 9-13 da Asculum; CIL I2, 3294 da Hadria; CIL I2, 1902 = CIL IX, 5054 = ILLRP 154
da Interamnia; CIL IX, 5731 da Ricina; CIL IX, 5741 da S. Vittore di Cingoli. Oltre allo sciogli-
mento d(onum) d(edit) in accusativo, qui proposto (cf. AE 1975, 350 con il plurale dona dedit), è
naturalmente possibile anche sciogliere la formula con d(ono) d(edit), cf. CIL I2, 1920 = CIL IX,
5350 da Firmum Picenum.
367 Vd. supra, pp. 108-109, note 6; 8-11 per altre dediche votive di dispensatores. In genere s u
questi impiegati vd. la bibliografia citata supra, p. 107, nota 2.
Parte II. I documenti 191

satores erano di condizione servile368. Le possibili integrazioni del nome sono


innumerevoli, sia nell’onomastica latina come in quella greca369.
L’elemento di maggiore interesse nell’iscrizione è dato dalle divinità og-
getto della dedica, i Lares familiares370. Dal momento che qualche recente ac-
quisizione epigrafica contribuisce a precisare il quadro del culto dei Lari dome-
stici, soprattutto per quanto concerne la personalità dei dedicanti, credo sia op-
portuno proporre una raccolta preliminare delle dediche ai Lares familiares, re-
lativa alla sola Italia; si considerano anche le iscrizioni poste ai Lares et familia,
che con ogni probabilità si riferiscono al medesimo ambito cultuale371.
1. CIL VI, 36808 da Roma: Magi(stri) prim(i) / Lar(ibus) et f(amiliae) d(onum)
d(ederunt).
2. AE 1990, 51 da Roma: Evaratus, disp(ensator), / magister / Laribus et fami-
liae / de suo d(onum) d(edit) / [Geni]o Galli n(ostri).
3. CIL X, 773 = ILS 3603 da Stabiae: Anteros l(ibertus), Heracleo, sum-
mar(um), mag(istri) Larib(us) et famil(iae) d(onum) d(ederunt).
4. CIL X, 8067, 12 su di un peso da Pompei: Philoxenus l(ibertus) / aed(ituus)
L(aribus) fam(iliaribus) d(onum) d(edit)372.
5. AE 1909, 55 da Pompei, su una lamella bronzea: Felix et / Dorus, mag(istri) /
L(aribus) f(amiliaribus) d(onum) d(ederunt).
6. AE 1980, 247 da Ercolano: [Di]omedes, disp(ensator), / mag(ister) Laribus
et familiae / d(e) s(uo) f(ecit).
7. CIL IX, 3424 da Peltuinum: Phileros, dispen(sator), Melanta, cellar(ius), /
mag(istri) L(aribus) f(amiliaribus) d(onum) d(ederunt)373.

368 Anche gli altri dispensatores attestati nel Piceno sembrano invariabilmente schiavi, vd. le
iscrizioni Ancona 1, Asculum 1, Asculum 2.
369 Vd. gli indici inversi di Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, pp. 1416-1417 e d i
Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 447.
370 La bibliografia sui Lares familiares è piuttosto ricca; si segnalano qui solo alcuni degli
studi fondamentali o comunque attinenti alla tematica sollevata dall’iscrizione di Auximum, ri-
mandando alla bibliografia citata in questi contributi per ulteriori approfondimenti: E. Samter,
Familienfeste der Griechen und Römer, Berlin 1901, pp. 105-108; G. Wissowa, Religion und
Kultus der Römer, München 19122, pp. 166-175; F. Boehm, Lares, «P.W.», XII, 1 (1924), coll.
814-818; G. Vitucci, Lares, «Diz. Ep.», IV (1942), pp. 398-400; D.G. Orr, Roman Domestic Reli-
gion. A Study of the Roman Household Deities and their Shrines at Pompeii and Herculaneum,
Diss. Bryn Mawr 1972, pp. 4-30; Id., Roman Domestic Religion: the Evidence of the Household
Shrines, «ANRW», II, 16, 3, Berlin - New York 1978, pp. 1563-1569; D.P. Harmon, The Family Fe-
stivals of Rome, ibid., pp. 1593-1595; F. Bömer, Untersuchungen über die Religion der Sklaven
in Griechenland und Rom. I: Die wichtigsten Kulte und Religionen in Rom und im lateinischen
Westen, a cura di P. Herz, Wiesbaden 19812, pp. 32-56 e pp. 57-78 sul ruolo della familia; A.
Dubourdieu, Les origines et le développement du culte des Pénates à Rome, Rome 1989, pp. 101-
107; J.T. Bakker, Living and Working with the Gods. Studies of Evidence for Private Religion
and its Material Environment in the City of Ostia, Amsterdam 1994, pp. 9; 11-12; 42-43; 194.
371 Secondo un suggerimento già avanzato da Vitucci, Lares, cit., p. 398.
372 Dubbio il caso di altri due pesi da Pompei, CIL X, 8068, 3-4, nei quali troviamo scritto:
Cataplus l(ibertus) et / Limen f(ilius) L. / et F. D. D.; a ll. 3-4 T. Mommsen preferiva sciogliere
l(ibertis) / et f(amiliae) d(onum) d(ederunt), piuttosto che L(aribus) / et f(amiliae) d(onum)
d(ederunt). La questione è di difficile soluzione e preferisco per il momento escludere questi due
documenti dalla raccolta delle attestazioni del culto dei Lari domestici.
192 Parte II. I documenti

8. CIL I2, 1762 = IX, 2996 = ILS 3602 = ILLRP 196 da Anxanum: Draco,
mag(ister), aediculam, / sigilla ornamentaque omnia / Lar(ibus) fam(iliaribus)
d(e) s(ua) p(ecunia) f(aciundum) c(uravit) e[i]demque dedicavit.
9. CIL XI, 7092 da Perusia: Festius, disp(ensator), Laribus et fam(iliae) /
d(onum) d(edit).
10. CIL V, 800* da Aquae Statiellae, con il commento di G. Mennella, Un col-
legio domestico ad Aquae Statiellae, «Epigraphica», 58 (1996), pp. 225-229:
Erastus, / aed(ilis), tr(ibunus), q(uaestor), / Larib(us) et / famil(iae).
La documentazione epigrafica ci mostra come il culto dei Lari domestici
in età tardorepubblicana ed imperiale fosse sentito in modo particolare dagli
schiavi e dai liberti e come dunque la familia che le divinità erano chiamate a
proteggere doveva essere soprattutto il gruppo dei servi e degli affrancati che
ruotava intorno al dominus. Il ruolo dei dispensatores era di particolare rilievo,
sia che essi agissero in quanto magistri o comunque ufficiali del collegium di ca-
rattere religioso che riuniva schiavi e liberti di una casata (nn. 2; 6; 7), sia che
prendessero l’iniziativa in quanto singoli, almeno apparentemente (n°9 e
l’iscrizione qui in esame). Tale ruolo dipendeva senza dubbio in parte dalle pos-
sibilità economiche, ma in parte anche dal prestigio di cui il dispensator doveva
godere tra i membri della familia servile, per la delicatezza del suo incarico, e
dalle funzioni di sovrintendente sull’intera amministrazione della casa che egli
talvolta finiva per rivestire374.
Le considerazioni sopra esposte mi inducono a ritenere che il dispensator
[---]eus dell’iscrizione di Osimo dovesse essere al servizio, piuttosto che della
municipalità, come i suoi colleghi delle iscrizioni Asculum 1 e Asculum 2, di una
grande casata privata. Ad Auximum verrebbe immediatamente da pensare alla
famiglia senatoria degli Oppii375, ma è chiaro che questa è solamente un’ipotesi
tra le tante possibili.
Immagine: Tav. XII. Gentili, Osimo, cit., p. 224, tav. 110b.

373 Tra i possibili scioglimenti Mommsen suggerisce mag(istri) L(arum) f(ecerunt) d(ecreto)
d(ecurionum) o mag(istri) L(arum) f(amiliarum) d(onum) d(edere) o ancora l(udos) f(ecerunt)
d(ecreto) d(ecurionum), scioglimento preferito sulla base del richiamo a CIL IX, 3857 da Supi-
num, nella quale si legge: Melanthus P. Deci / et collegae, mag(istri) He(rculis), / tribunal(em)
novom a solo fecer(unt), theatrum et proscaenium refecer(unt), ludis scaenicis biduo dedi-
car(unt) / d(e) s(ua) p(ecunia). Non ci sono tuttavia prove decisive che Melanta e Melanthus
siano la medesima persona e che le due epigrafi si riferiscano al medesimo oggetto. In conside-
razione degli stretti paralleli nel formulario con altre dediche ai Lari familiari ritengo tutto
sommato più fondati gli scioglimenti proposti nel testo.
374 Tali funzioni sono state sottolineate in particolare da Treggiari, Roman Freedmen, cit., pp.
143-144; Ead., Jobs in the Household of Livia, cit., pp. 49-50.
375 Sulla quale vd. supra, p. 167, nota 262.
Parte II. I documenti 193

Auximum 5

Edizione di riferimento: CIL IX, 5828.


Altre edizioni: Gentili, Auximum, cit., pp. 151-152, n°d16; Id., Osimo, cit.,
p. 178, n°84; Grillantini, Storia, cit., pp. 62-63, n°7; Prosperi Valenti, Un
esemplare inedito, cit., p. 31, n°1; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 160-162.
Bibliografia: E. De Ruggiero, Exceptor, «Diz. Ep.», II (1922), p. 2181; I.
Berciu - A. Popa, Exceptores consularis in Dacia, «Latomus», 23 (1964), p.
307; Mrozek, Bénéficiaires, cit., pp. 36; 44; Boulvert, Esclaves, cit., p. 222,
nota 112; Id., Domestique, cit., p. 221; H.C. Teitler, Notarii and exceptores. An
Inquiry into Role and Significance of Shorthand Writers in the Imperial and
Ecclesiastical Bureaucracy of the Roman Empire (from the Early Principate to
c. 450 A.D.), Amsterdam 1985, pp. 29; 47; 149; Mrozek, Distributions, cit.,
pp. 85-86; 96; Gentili, Osimo, cit., p. 33; S.M. Marengo, Le istituzioni pubbli-
che delle città romane del Piceno attraverso i documenti epigrafici, «Il Piceno
in età romana, dalla sottomissione a Roma alla fine del mondo antico. Atti del
3° seminario di studi per personale direttivo e docente della scuola. Cupra Ma-
rittima, 24-30 ottobre 1991», Teramo 1992, p. 90 e nota 12; Delplace, Roma-
nisation, cit., p. 78, nota 275; Ead. in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergeti-
smo, cit., p. 19.
Luogo di ritrovamento: ad Osimo, dal foro della città romana376.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del Palazzo Comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: grande base in marmo, con cornice a forte aggetto; danneg-
giata in particolare nella parte superiore, che è stata rifatta in gesso; i danni non
pregiudicano tuttavia la lettura del testo.
Mestiere: exceptor, procurator.
Datazione: ultimi decenni del II sec. d.C., in considerazione dell’onomastica
dei due liberti imperiali377.

376 Cf. lemma a CIL IX, 5828.


377 Gentili, Osimo, cit., p. 178; cf. anche Boulvert, Esclaves, cit., p. 222, nota 112; Id., Domesti-
que, cit., p. 221, nota 147: al più presto sotto l’impero di Marco Aurelio; Marengo, Istituzioni
pubbliche, cit., p. 90, nota 12: seconda metà del II sec. d.C., forse nell’età di M. Aurelio e L. Vero,
in base all’onomastica dei due liberti (cf. anche Ead. in Cancrini - Delplace - Marengo, Ever-
getismo, cit., p. 161). Vd. anche Mrozek, Distributions, cit., p. 25 e nota 46, che data il nostro te-
sto al II sec. d.C., probabilmente nella prima metà del secolo, sulla base della considerazione d i
H. Chantraine, Freigelassene und Sklaven im Dienst der römischer Kaiser, Wiesbaden 1967, p.
399, secondo la quale gli agnomina in -(i)anus dei liberti imperiali scompaiono sotto Adriano;
non credo tuttavia che Marcianus possa essere considerato un vero e proprio agnomen: questo
elemento onomastico era generalmente formato dal nomen o dal cognomen del loro ex patrono e
seguiva il cognomen personale dello schiavo o del liberto, cf. la documentazione e le considera-
zioni dallo stesso Chantraine, Freigelassene, cit., pp. 293-388, partic. p. 351 e nota 14 per i po-
chi casi in cui l’agnomen sembra essere formato sulla base di un prenome. Ma se anche
Marcianus avesse tale carattere trovo difficile spiegare l’attestazione di un L. Aurelius liberto
imperiale nella prima metà del II sec. d.C. Lo stesso Mrozek, Munificentia privata und die pri-
vate Bautätigkeit, cit., p. 373 preferiva una più generica datazione del testo in oggetto al II sec.
194 Parte II. I documenti

Testo: L(ucio) Aurelio / Marciano, Aug(usti) / lib(erto), exceptori, / Auximates /


d(ecreto) d(ecurionum). / Marcus, Aug(usti) lib(ertus), / proc(urator), pater, /
h(onore) a(ccepto) i(mpensam) remisit, / cuius dedicatione de/curionibus
((denarios)) III, colonis ((denarios)) II / divisit.
l. 11: la prima I di divisit è longa.
Interpunzione in forma di triangolo, con vertice rivolto verso destra, utilizzata
con regolarità per dividere le parole, tranne che in fine di riga e a l. 2, tra Mar-
ciano e Aug(usti), a l. 9 tra dedicatione e de/curionibus e a l. 10, tra III, colonis
e il simbolo del denario.
Commento
Si tratta di un’iscrizione onoraria, verosimilmente in connessione con una
statua che doveva essere sostenuta dalla base, votata dal consiglio municipale di
Auximum per il liberto imperiale L. Aurelio Marciano, exceptor; il padre di
Marciano, anch’egli liberto imperiale, con la funzione di procurator, decise di
assumersi l’onere finanziario dell’erezione del monumento; in occasione della
dedica procedette inoltre ad una distribuzione di una somma di denaro ai decu-
rioni e ai coloni di Auximum.
L’onorato era un liberto imperiale, affrancato, a giudicare dal proprio
prenome, da L. Vero, che all’assunzione della porpora prese il nome di L.
Aurelius Verus, o da Commodo (L. Aurelius Commodus)378. In effetti i liberti
imperiali, personaggi talvolta di agiata condizione economica e soprattutto in
grado di esercitare una notevole influenza presso l’amministrazione imperiale,
sono spesso oggetto di onori da parte delle comunità municipali di cui erano
originari o nelle quali si trovavano ad operare; tra le offerte più frequenti tro-
viamo appunto l’erezione di una statua su di una base iscritta, nella quale veni-
vano ricordati il nome ed eventualmente i meriti dell’onorato379.
L. Aurelio Marciano rivestiva la funzione di exceptor, la cui etimologia
rimanda al verbo excipio, nel significato di scrivere utilizzando segni tachigra-
fici380. L’exceptor era dunque uno stenografo, anche se, nel corso del tempo, il
termine poté essere impiegato per designare semplici impiegati, non partico-
larmente versati nella tachigrafia, secondo un’evoluzione parallela a quella della
parola notarius381. Dal momento che nell’iscrizione di Osimo si riconosce una
delle prime attestazioni del termine, se non la prima in assoluto, si deve ritenere

d.C. Per la datazione suggerita da Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
19 (“nell’età di Antonino Pio oppure, con più prudenza nella seconda metà del II secolo”) vd. le
considerazioni espresse infra, p. 234, nota 551.
378 Così anche Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 161. Riflessioni
sul problema dei liberti imperiali L. Aurelii in Chantraine, Freigelassene, cit., pp. 64-65;
Boulvert, Domestique, cit., p. 65 e note 384-385; M.L. Caldelli, Ancora su L. Aurelius Augg. lib.
Apolaustus Memphius senior, «Epigraphica», 55 (1993), pp. 55-57.
379 Cf. Boulvert, Domestique, cit., pp. 222-226, partic. p. 222, nota 154 per la documentazione
epigrafica.
380 Per questo significato del verbo vd. gli esempi in De Ruggiero, Exceptor, cit., pp. 2180-
2181; B. Rehm, Excipio, «TLL», V, 2, col. 1253.
381 Vd. partic. Teitler, Notarii and exceptores, cit., pp. 29-31; cf. inoltre B. Rehm, Exceptor,
«TLL», V, 2, col. 1226.
Parte II. I documenti 195

che la funzione di Marciano conservasse ancora una stretta aderenza


all’etimologia; del resto ancora agli inizi del V sec. d.C., come dimostra l’analisi
del ruolo di notarii ed exceptores negli atti del convegno fra vescovi cattolici e
donatisti svoltosi nel 411 d.C. a Cartagine, i due gruppi di impiegati lavoravano
in particolare alla trascrizione stenografica delle sedute382.
Sappiamo che gli exceptores facevano parte di diversi uffici civili, militari
ed ecclesiastici; in qualche caso abbiamo anche notizia di stenografi al servizio di
privati383. Nell’iscrizione di Auximum tuttavia non si ha alcuna indicazione a
proposito, come del resto nella quasi totalità dei documenti dell’età del princi-
pato relativi a questi stenografi; naturalmente il fatto che L. Aurelio Marciano
fosse un liberto imperiale consente di supporre che egli fosse impiegato in qual-
cuno dei servizi dell’amministrazione imperiale384, che effettivamente sembra
essere ricorsa in modo sistematico a membri della familia Caesaris per ricoprire
i posti di exceptor e notarius fin verso la metà del III sec. d.C.: di particolare ri-
lievo a questo proposito la documentazione del cimitero degli officiales di Car-
tagine, nella quale ricorrono più volte notarii servi dell’imperatore385. Solo in
seguito tra gli stenografi appaiono in misura sempre crescente individui di con-
dizione libera, spesso di estrazione militare.
L’iscrizione di Osimo ci fa conoscere un secondo personaggio, il padre
dell’exceptor Marciano Marcus Aug(usti) lib(ertus), la cui formula onomastica
presenta qualche problema. Certo, l’omissione del nomen è un fenomeno ben
attestato tra i liberti imperiali, in particolare tra i procuratori, dove il numero di
personaggi privi di gentilizio tocca quasi il 60%, secondo le ricerche condotte da
P.R.C. Weaver; tra i motivi che possono spiegare il fatto si può ricordare il de-
siderio di risparmiare tempo e spazio, quando il nomen del personaggio potesse
essere facilmente ricavato dal contesto: nel caso dell’iscrizione di Auximum
possiamo dunque presumere che Marco, come il figlio Marciano, portasse il
gentilizio Aurelius. Quello che appare strano è che il procurator scelse di ricor-
dare quello che a prima vista parrebbe il proprio prenome, piuttosto che il co-
gnome, come di regola per i liberti imperiali con onomastica semplificata386. Si
deve tuttavia rilevare come Marcus sia talvolta impiegato anche con funzione

382 Vd. partic. Teitler, Notarii and exceptores, cit., pp. 5-15.
383 Teitler, Notarii and exceptores, cit., passim; cf. anche De Ruggiero, Exceptor, cit., p. 2181,
per quanto riguarda i personaggi attestati nella documentazione epigrafica; Berciu - Popa,
Exceptores, cit., pp. 307-309.
384 Ma non come exceptor imperatoris, come sembrano sostenere Berciu - Popa, Exceptores, cit.,
p. 307.
385 Cf. per esempio CIL VIII, 12620: Alexander, Caesaris nostri servus; 12621: Cilix,
Augustorum nostrorum verna; 12899: Felix, Augustorum verna; 12900: Fortunatus, Caesaris
nostri servus; 12901: Thoas Augusti servus; 24694: Salvius, Augusti servus; schiavo imperiale
doveva essere anche Fortunatus, Augusti notarius di CIL VIII, 24693; cf. inoltre Saturnino,
notavrio", Kaivsaro" dou'lo" di IGR IV, 235. Su questi personaggi vd. l’appendice prosopogra-
fica di Teitler, Notarii and exceptores, cit., pp. 104-200, dove gli stenografi sono schedati in or-
dine alfabetico di cognome o di nome unico.
386 Weaver, Familia Caesaris, cit., pp. 37-40, partic. pp. 37-38 per l’onomastica dei procuratori
di rango libertino.
196 Parte II. I documenti

cognominale387: il cognome del figlio del procuratore, che risulterebbe formato


da quello paterno con l’aggiunta del suffisso -ianus, secondo uno schema ben
noto388, rafforza questa ipotesi.
Anche Marco, al pari del figlio Marciano, lavorava presso i servizi ammi-
nistrativi imperiali, con la funzione di procurator389. La figura del procurator di
rango libertino è ben documentata nell’epigrafia, come anche nella tradizione
letteraria390: dai dati a nostra disposizione si possono distinguere essenzialmente
due diversi tipi di procuratele, quelle concernenti gli interessi privati
dell’imperatore391 e quelle riguardanti invece l’amministrazione pubblica, in
svariati settori. Le indicazioni che provengono dall’epigrafia sepolcrale dimo-
strano che i liberti imperiali giungevano ad una procuratela generalmente in età
relativamente avanzata, dunque quando avevano già maturato una buona espe-
rienza dei meccanismi amministrativi392: questo dovrebbe essere anche il caso
del procuratore Marco, che al momento in cui venne redatto il testo di Osimo,
se ancora era in servizio, aveva già un figlio in età adulta. Le procuratele in ef-
fetti dovevano costituire, accanto alle direzioni dei grandi dipartimenti ammini-
strativi a rationibus, ab epistulis, a libellis, a studiis etc., il vertice della carriera
di un liberto imperiale. Nel corso del II sec. d.C. i procuratores di rango libertino
vennero affiancati in misura crescente nei loro importanti compiti ammi-
nistrativi da procuratori appartenenti all’ordine dei cavalieri, ma dovettero
conservare una certa autonomia d’azione, in considerazione del fatto che il loro
incarico, in genere, doveva avere una durata maggiore di quello della loro con-
troparte equestre e che dunque potevano acquisire una maggiore esperienza di un
dato ufficio.
Rimane da comprendere in quale ufficio dell’amministrazione imperiale
Marco esercitasse la propria funzione, problema che si collega strettamente a
quello delle ragioni del suo rapporto con Auximum. L’esame della documenta-
zione relativa alla presenza di procuratori di condizione libertina nelle città
dell’Italia romana (escludendo ovviamente Roma) ha rivelato qualche caso in
cui tale presenza può ragionevolmente essere spiegata da ragioni di servizio: si
veda per esempio ad Ostia la dedica a Silvano da parte di Dorotheus Aug(usti)

387 Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 173.


388 Kajanto, Latin cognomina, cit., pp. 109-110. Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., p. 161 preferisce ritenere Marcus prenome.
389 Altri casi di padri e figli liberti imperiali che erano impiegati nell’amministrazione impe-
riale, nell’ambito del medesimo servizio o in uffici diversi, come nel caso in esame, in Boulvert,
Domestique, cit., pp. 319-322.
390 Sui liberti imperiali come procuratori vd. in particolare P.R.C. Weaver, Freedmen Procura-
tors in the Imperial Administration, «Historia», 14 (1965), pp. 460-469; Id. Familia Caesaris,
cit., pp. 267-281; K. Wachtel, Freigelassene und Sklaven in der staatlichen Finanzverwaltung
der römischen Kaiserzeit von Augustus bis Diokletian, Berlin 1966, pp. 24-87; Boulvert, Escla-
ves, cit., pp. 387-419.
391 Cf. per esempio i procuratores che si occupavano dell’amministrazione delle villae impe-
riali: alcuni esempi in Vitucci, Libertus, cit., p. 945; Boulvert, Esclaves, cit., p. 125, nota 216.
392 Cf. Weaver, Freedmen Procurators, cit., p. 462; Id., Familia Caesaris, cit., pp. 269-270.
Parte II. I documenti 197

lib(ertus), proc(urator) Massae Marian(ae)393, sia se tale massa vada identifi-


cata con una tenuta tra Roma e Ostia, un tempo di proprietà di C. Mario ed in
seguito venuta a far parte del patrimonio imperiale394, sia se Doroteo si occu-
passe invece dei carichi di materiali ferrosi che giungevano ad Ostia dal mons
Marianus, nella Betica395; a Tusculum l’iscrizione sepolcrale di Gavia Helpis,
posta dal marito T. Flavius Aug. l. Epaphra, che rivestì la funzione di
proc(urator) villarum Tusculanarum396; dal vicus Augustanus, a pochi chilo-
metri a sud di Ostia, viene una dedica a T. Aelius Aug. l. Liberalis, che a quel
tempo rivestiva la carica di procurator annonae Ostiensis397; da Suessula pro-
viene l’iscrizione sepolcrale relativa al proc(urator) hereditatium tractus Cam-
paniae Graphicus Aug. lib. Domitianianus398; ancora in Campania si può ri-
cordare la dedica al Genius posta dal liberto imperiale Porphyr[i]us,
proc(urator) reg(ionum) Fal(ernae) et Stat(anae) e rinvenuta a Mondragone,
nei pressi della antica Sinuessa399; in Etruria l’iscrizione sepolcrale di T. Aelius
Eutychus, proc(urator) Aug(usti) n(ostri) villae Alsiensi<s>, ritrovata, come era
lecito attendersi, ad Alsium400. In altri casi tuttavia il luogo di rinvenimento
dell’epigrafe non pare aver uno stretto rapporto con la carica, o l’ultima delle
cariche esercitate dal funzionario401. I casi incerti, in cui il testo non specifica

393 CIL XIV, 52


394 Così W. Henzen, riprendendo una congettura di C.L. Visconti, nel lemma a CIL VI, 9276,
iscrizione nella quale appare un colono del fundus Marianus.
395 Così O. Hirschfeld, Die kaiserliche Verwaltungsbeamten bis auf Diokletian, Berlin 1905 2, p.
159, nota 1, seguito da Vitucci, Libertus, cit., p. 940; Boulvert, Esclaves, cit., p. 224.
396 CIL XIV, 2608 = ILS 1579.
397 CIL XIV, 2045.
398 AE 1922, 122. Un altro procurator tractus Campaniae, Acastus Aug. l., è noto dall’epitafio
CIL X, 6081, rinvenuto a Formia, dunque non troppo lontano dall’area nella quale il personag-
gio aveva operato. I motivi della presenza di Acasto a Formia non potrebbero essere ricondotti a
ragioni di servizio se fosse accertata la suggestiva ipotesi recentemente prospettata da R. Zucca,
Note di epigrafia formiana, «Formianum. Atti del convegno di studi sull’antico territorio d i
Formia II, 1994», Marina di Minturno 1995, pp. 37-38: secondo lo studioso, Acasto sarebbe u n
formiano che, dopo la procuratela sul tractus Campaniae, raggiunse l’incarico di procurator
provinciae Mauretaniae grazie all’appoggio del suo concittadino A. Scantius A. f. Larcianus,
che sappiamo aver retto la provincia Tingitana nell’età di Adriano o in quella di Antonino Pio.
399 AE 1984, 186.
400 CIL XI, 3720 = ILS 1580.
401 Cf. per esempio AE 1888, 130 da Nomentum, nella quale T. Flavius Aug. l. Delphicus, che fu
tabularius a ratio[nib(us)] e [p]roc(urator) ration(um) thesaurorum hereditatium fisci Ale-
xandrin(i) pone sepoltura alla moglie Ulpia Euhodia; CIL XIV, 176 = ILS 1484 da Ostia, iscri-
zione sepolcrale di M. Ulp(ius) Augg. lib. Probus, proc(urator) provinc(iae) Pannoniae su-
per(ioris) et Africae reg(ionis) Thevest(inae); CIL XIV, 2932 da Praeneste, iscrizione sepolcrale
di Paean Aug. lib., proc(urator) castrens(is), proc(urator) hereditat(ium), proc(urator) vo-
lupt(atum) e proc(urator) Alexandr(eae); CIL XIV, 2504 = ILS 1491 dall’ager Tusculanus, epi-
tafio di P. Aelius Hilarus Augg. lib., qui proc(uravit) Alexandriae ad rat(iones) patrimonii (su
questo testo vd. anche il commento di Chantraine, Außerdienststellung, cit., pp. 312-313; 323,
n°9); CIL X, 6668 da Antium, iscrizione sepolcrale di Iulia Demetria, postale dal marito Priscus
Aug. l., che fu proc(urator) IIII p(ublicorum) Afr(icae) et XXXX Galliar(um); CIL X, 6000 da Min-
turnae (142 d.C.), dedica ad Antonino Pio da parte di un proc(urator) [---]u ? usiacae del cui
198 Parte II. I documenti

l’ufficio dell’amministrazione imperiale presso il quale il procurator lavorava


sono peraltro numerosi402. Nonostante anche il caso del procuratore Marco non
possa essere chiarito con sicurezza, due elementi mi spingono piuttosto a
motivare il suo rapporto con Auximum con ragioni di servizio: in primo luogo,
tra le località in cui sono attestati procuratori di rango libertino, apparente-
mente senza rapporto con la loro funzione, prevalgono di gran lunga le comu-
nità del Latium403: del resto è perfettamente comprensibile che questi funzio-
nari allacciassero rapporti più stretti e decidessero infine di stabilirsi al termine
del loro servizio nelle località maggiormente vicine alla sede nella quale almeno
parte della loro carriera doveva essersi svolta, Roma; in questa prospettiva la
sede di Auximum apparirebbe un poco decentrata. Inoltre, se l’ipotesi che
Marco fosse già in età avanzata e si fosse ritirato dall’attività è perfettamente
verosimile, non altrettanto può dirsi del figlio Marciano; mi sembra dunque più
probabile che i due liberti prestassero servizio nell’amministrazione dei beni del
patrimonio imperiale nel Piceno e che in tale occasione essi siano entrati in
qualche modo in rapporto con la comunità di Auximum404.

cognome rimangono solo le ultime tre lettere, [---]nus, oltre all’indicazione della sua condi-
zione di liberto; CIL X, 6005 da Minturnae, iscrizione in onore di un [-] Aug. l. Saturninus,
proc(urator) castr(ensis) (su questo incarico vd. in particolare Boulvert, Esclaves, cit., pp. 164-
172; Id., Domestique, cit., pp. 127-129); CIL X, 6571 = Suppl. It., n.s. 2, pp. 47-48, n°10 = AE
1980, 196 da Velitrae, relativa al sepolcro della famiglia di M. Aurelius A[l]ypus Aug. lib.,
proc(urator) a sac(ris) k(astrensibus); la lacunosa sepolcrale CIL X, 6573 dalla medesima loca-
lità, in cui si fa menzione di un proc(urator) a frum(ento) il cui nome è andato perduto; CIL XI,
3612 da Caere è la dedica votiva di Ti. Claudius Aug. lib. Bucolas, che ebbe tra l’altro le fun-
zioni di proc(urator) a munerib(us), proc(urator) aquar(um) e di proc(urator) castrensis;
Chantraine, Außerdienststellung, cit., p. 319 a proposito di questo documento considera anche
la possibilità che la dedica sia stata eretta in occasione di una sosta temporanea a Cere del per-
sonaggio, per ragioni personali o di servizio, quando questi ancora esercitava la sua carica a
Roma, ipotesi un poco indebolita dal fatto che la madre ed il figlio di Bucolas appaiono come
codedicanti; CIL XI, 8 da Ravenna, dedica a Settimio Severo da parte di Rufinus lib.,
pro[c(urator)] provinciae Mauretaniae Tingitanae.
402 Cf. per esempio AE 1975, 154, da Albano Laziale; CIL XIV, 2407 da Bovillae; EphEp IX, 677
da Castrimoenium; CIL XIV, 2938 da Praeneste; CIL XIV, 3644 = ILS 1942 = InscrIt IV, I, 179 da
Tibur; CIL X, 5046 da Atina; CIL X, 6093 da Formiae; AE 1902, 187 da Terracina; CIL X, 6666
da Antium; IG XIV, 714 = IGR I, 429 = Miranda, Napoli, cit., I, pp. 11-13, n°1 da Neapolis; CIL X,
1737 da Puteoli; CIL X, 1740 = ILS 1488 dalla stessa località, a proposito di un procurator pa-
trimoni; AE 1975, 235 = A. Russi, Note sul personale servile nelle tenute imperiali dell’Italia
romana, «Quarta Miscellanea Greca e Romana», Roma 1975, pp. 293-294, n°4 da Venusia, cer-
tamente un procuratore a capo di uno dei possedimenti imperiali della regione di Venosa
nell’interpretazione del Russi; CIL IX, 3887 da Luco (regio IV); AE 1904, 194-195 da Casti-
glione in Teverina (regio VII); CIL XI, 3206 da Nepet; CIL XI, 7270-7271 da Volsinii; CIL V, 27;
37-39 da Pola; CIL V, 5921 da Mediolanum.
403 Cf. supra, p. 197, nota 401; fuori dal Lazio conosciamo le attestazioni di Ti. Claudius Aug.
lib. Bucolas, da Caere, che d’altra parte era vicinissima a Roma, quantunque compresa nella re-
gio VII Etruria, e quello di Rufinus, da Ravenna.
404 Sostanzialmente su questa linea anche Boulvert, Esclaves, cit., pp. 216-217, nota 74 il quale,
pur senza far riferimento al documento di Auximum, ritiene che i liberti imperiali attestati nelle
diverse parti dell’Italia che non indicano l’ufficio in cui si svolgeva la loro procuratela dove-
vano essere in rapporto con i distretti del demanio imperiale. La stessa Marengo in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 161, notando che si non hanno notizie di proprietà im-
Parte II. I documenti 199

Venendo all’ultima parte del testo, l’espressione honore accepto impen-


sam remisit indica che Marco, appagato dal fatto che il consiglio municipale di
Auximum avesse votato un monumento in onore del figlio, rifuse alla comunità
il costo del monumento stesso, verosimilmente una statua. Tali remissiones di
somme di denaro ritornano con buona frequenza nell’epigrafia onoraria del
mondo romano, con formule differenti405, tanto da far sospettare che tra la
comunità dedicante e l’onorato stesso, o un suo parente prossimo, come nel
caso che stiamo prendendo in esame, potesse esistere in qualche caso una sorta
di accordo preventivo riguardo al finanziamento dell’opera.
Il procuratore Marco tuttavia non si limitò ad assumere le spese per
l’erezione di una statua in onore del figlio, ma procedette anche ad una distribu-
zione di denaro ai decurioni e ai coloni di Auximum. Non è raro in effetti che un
liberto imperiale, in risposta agli onori concessi, fosse autore di liberalità nei
confronti di una comunità municipale, liberalità che poteva consistere nel ver-
samento di una somma nell’arca, nell’esecuzione a proprie spese di un’opera di
interesse pubblico o nella distribuzione di alimenti e di denaro, come nel caso
che stiamo prendendo in esame406. La somma di 3 denarii donata dal padre del
liberto imperiale L. Aurelio Marciano ai decurioni di Auximum rientra sostan-
zialmente nella media attestata per i membri degli antichi consigli nella regio V
e, in genere, nell’Italia romana407; è superiore invece all’importo più comune-
mente attestato per i comuni cittadini, che è di 4 sesterzi, la distribuzione di cui
beneficiarono i coloni di Auximum, pari a 2 denarii408.
Immagine: Tav. XIII. Gentili, Osimo, cit., p. 231 tav. 117b; Id., Auximum,
cit., tav. XVII, b; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., tav. I; Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 162, fig. 45.

periali ad Osimo, sembra implicitamente ritenere che il procuratore Marco fosse entrato in con-
tatto con la comunità picena per ragioni di servizio.
405 Per le diverse espressioni impiegate vd. Cagnat, Cours, cit., pp. 262-263. Almeno un altro
caso, oltre a quello qui considerato, proviene dalla regio V, CIL IX, 5071 = ILS 6563 da Interam-
nia: ------ / ++++[---] / splend[---] / Feron[---] / statuam [cum ei ordo] / eandem c[onsensu
om]/nium mat[ronarum decrevis]/set Arrediu[s maritus] / eiusd(em) Fero[niae ---] / honore
co[ntentus ---] +++ POST[---].
406 La documentazione rilevante è raccolta e studiata da Boulvert, Domestique, cit., pp. 216-222,
che ricorda il caso della divisio operata dal procurator di Osimo a p. 221; cf. inoltre Mrozek, Di-
stributions, cit., p. 72, che richiama brevemente anche il caso del procurator Marco.
407 Per la documentazione del Piceno vd. la tabella riportata supra, p. 130; per il confronto con
il resto della documentazione dell’Italia romana vd. Mrozek, Bénéficiaires, cit., pp. 36-37 (cf. Id.,
Distributions, cit., pp. 85-86)
408 Cf. tabella riportata supra, p. 130, nonché Mrozek, Bénéficiaires, cit., p. 44 (cf. Id., Distribu-
tions, cit., p. 96).
200 Parte II. I documenti

Auximum 6

Edizione di riferimento: CIL IX, 5862.


Altre edizioni: Gentili, Auximum, cit., p. 153, n°d23.
Bibliografia: Gentili, Auximum, cit., p. 41.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne rinvenuta nella località detta Nun-
ziata vecchia, fuori dalla porta di S. Marco di Osimo.
Luogo di conservazione: Osimo, murata all’ingresso di Palazzo Balleani-
Baldeschi (autopsia maggio 2001)409.
Tipo di supporto: tavola in marmo410. L’iscrizione è certamente frammentata
sia a destra che a sinistra, ma questo non pregiudica in modo decisivo la lettura
del testo, che sembrerebbe lacunoso a l. 1, con la perdita del prenome del de-
funto, peraltro facilmente integrabile sulla base dell’indicazione del patronato, e
delle due lettere finali del gentilizio. Non pare che siano andate perdute linee di
testo, né in alto, né in basso.
Datazione: l’indicazione del nome del defunto in caso nominativo orienta a
datare l’iscrizione entro i primi decenni del I sec. d.C.; se il testo è completo in
alto e in basso, una conferma verrebbe dall’assenza dell’adprecatio agli dei Mani
e dalla semplicità del formulario.
Mestiere: faber tignuarius.
Testo: [C(aius)] Ploti[us] / C(ai) l(ibertus) Alex/ander, tig≥(nuarius) / faber.
l. 3: T longa.
Interpunzione a forma di coda di rondine, con il vertice che punta verso l’alto a
destra (o piuttosto di virgola, con il vertice verso il basso); l’interpunzione è
utilizzata apparentemente solo a l. 2, per dividere le parole.
Commento
Si tratta della semplice iscrizione sepolcrale di un artigiano di condizione
libertina, C. Plotius C. l. Alexander. Il gentilizio è altrimenti noto nel Piceno
settentrionale e centrale, con attestazioni a Cupra Montana411, a Falerio412 e
nel territorio di Tolentinum413. Interessano tuttavia qui in special modo le atte-
stazioni della gens ad Auximum: tra i notabili locali si distinse nella prima metà
II sec. d.C. il quinquennalis nonché patrono della colonia e dei collegi dei fabbri

409 Gentili, Auximum, cit., p. 153.


410 Ibid.
411 CIL IX, 5714: L. Plotius L. f. Vel. Crusta.
412 CIL IX, 5490: Plotia Blaste.
413 CIL IX, 6377, ora rivista da S.M. Marengo, Revisione di C.I.L. IX, 6377, «Picus», 8 (1988), pp.
241-243, iscrizione relativa ad un sepolcro nel quale trovarono posto diversi liberti della gens
ed un personaggio per il quale l’indicazione del patronimico o del patronato è andata perduta,
ma il cui cognome Philades deporrebbe piuttosto a favore di uno statuto libertino. Per il suo
formulario e le caratteristiche paleografiche l’iscrizione tolentinate potrebbe essere all’incirca
coeva di quella di Auximum in esame; la diversità del prenome del patrono consiglia tuttavia d i
non trarre alcuna conclusione sulla base di questo dato.
Parte II. I documenti 201

e dei centonari Q. Plotius Maximus Trebellius Pelidianus414; rimane tuttavia


incerto se tra i due personaggi esistesse una qualche rapporto.
Il cognome Alexander, grecanico tra i più diffusi, ricorre ancora nella re-
gio V, nella forma Alexsander, per uno schiavo ed un liberto415.
Il mestiere indicato da C. Plozio Alessandro è quello di faber tignuarius.
Con il nome di fabri si designavano in genere tutti gli artigiani che lavoravano
materiale duro, come la pietra, il metallo o il legno; il sostantivo è spesso ac-
compagnato da una specificazione, con la quale si precisava il campo di attività
del faber in questione416: in particolare i fabri tignuarii prendevano il nome dal
tignum, il legname inteso come materiale da costruzione. I fabri tignuarii, o ti-
gnarii, secondo una forma che compare talvolta nella documentazione epigra-
fica e di regola nella tradizione letteraria417, dovevano dunque essere in primo
luogo carpentieri, piuttosto che generici falegnami418: in Cicerone il mestiere
appare in effetti connesso alla costruzione dei tetti delle case, per i quali si do-
vette sempre fare grande uso di legname419. Tuttavia, con l’andar del tempo e la
progressiva introduzione della pietra come materiale da costruzione, i fabri
tignuarii allargarono le loro competenze finendo per occuparsi in genere di at-

414 Sul personaggio vd. infra, pp. 223-225.


415 Entrambe le attestazioni da Ancona, CIL IX, 5893 = Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., pp. 186-187: Alexsander, Q. Iuli Melioris minister; 5921: [C.
He]iuleius C. C. l. Alexsa[nder]. L’integrazione del cognomen è forse possibile in Cancrini,
Nuove iscrizioni ascolane, cit., p. 156, n°3 = AE 1990, 298: [---] Alexsa [---] / [ --- ex te-
sta]mento [---].
416 Cf. E. Kornemann, Fabri, «P.W.», VI, 2 (1909), coll. 1888-1890; Albert, De opificibus Roma-
nis, cit., p. 520; P. Kneissl, Die fabri, fabri tignuarii, fabri subaediani, centonarii und dola-
brarii als Feuerwehren in den Städten Italiens und der westlichen Provinzen, «E fontibus hau-
rire. Beiträge zur römischen Geschichte und zu ihren Hilfswissenschaften (H. Chantraine zum
65. Geburtstag)», a cura di R. Günther - S. Rebenich, Paderborn - München - Wien - Zürich 1994,
p. 133; Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 47. Sul mestiere di faber vd. inoltre E. De Ruggiero, Fa-
ber, «Diz. Ep.», III (1906), pp. 1-2.
417 Cf. Cic., Brut., 257; Rep., II, 39. Per quanto concerne la documentazione epigrafica vd. per
esempio CIL X, 1923, citata infra, p. 203, n°13.
418 Come afferma Gentili, Auximum, cit., p. 41 a proposito di C. Plotius Alexander; cf. anche
Frank, An Economic Survey, cit., p. 215 e Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román -
Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 73, che includono la produzione della mobilia di tipo più sem-
plice tra i compiti dei fabri tignuarii. Per la traduzione di tignuarius e di faber tignuarius con
carpentiere vd. H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste bei Grie-
chen und Römern, II, Leipzig - Berlin 1879, p. 241; H. Schroff, Tignarius, «P.W.», IV A, 1 (1936),
col. 967; Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 116; ora in Beiträge zur römischen Ge-
schichte und Archäologie, cit., p. 130; E. Frézouls, L’apport de l’épigraphie à la connaisance
des métiers de la construction, «Splendida civitas nostra. Studi archeologici in onore di A.
Frova», a cura di G. Cavalieri Manasse - E. Roffa, Roma 1995, p. 40.
419 Cic., Brut., 257: a proposito di un confronto tra le virtù militari e quelle oratorie tra Bruto e
Cicerone, quest’ultimo afferma che avrebbe preferito pronunciare un’orazione come quella di L.
Licinio Crasso in difesa di M’. Curio piuttosto che conquistare due trionfi; all’obiezione d i
Bruto che per lo stato era più importante conquistare qualche villaggio ligure piuttosto che di-
fendere nel migliore dei modi Curio, Cicerone replica credo; sed Atheniensium quoque plus in-
terfuit firma tecta in domiciliis habere quam Minervam signum ex ebore pulcherrimum; tamen
ego me Phidiam esse mallem quam vel optimum fabrum tignarium.
202 Parte II. I documenti

tività edilizia, qualunque fosse la materia impiegata: lo testimonia un passo del


Dig., L, 16, 235, 1: fabros tignuarios dicimus non eos dumtaxat, qui tigna
dolarent, sed omnes qui aedificarent420. Ancora all’etimologia del termine ti-
gnuarius si richiama tuttavia Isidoro di Siviglia per illustrare le differenze tra i
diversi artigiani che lavoravano il legno nel capitolo De lignariis delle sue Ori-
gines (XIX, 19, 1-2): lignarius generaliter ligni opifex appellatur. Carpentarius
speciale nomen est; carpentum enim solum facit quia tantum navium est fabri-
cator et artifex. Sarcitector dictus quod ex multis hinc et inde coniunctis tabulis
unum tecti sarciat corpus. Idem et tignarius, quia tectoria lignis inducit. Il
passo di Isidoro ci conferma comunque che per tutta l’antichità il tratto carat-
teristico dei (fabri) tignuarii fu quello di occuparsi di lavori edili421; in questo
probabilmente si distinguevano dai lignarii, che erano piuttosto addetti alla fab-
bricazione di mobilia ed altre suppellettili, o si occupavano di legna per altre
funzioni, quali per esempio il riscaldamento, curandone probabilmente anche il
trasporto e la commercializzazione422. I tignarii, senza alcuna altra specifica-
zione, compaiono anche tra gli artifices cui vennero concesse esenzioni fiscali
nel 337 d.C. affinché potessero dedicarsi con maggiore profitto al proprio me-
stiere e all’addestramento degli apprendisti423.
Le attestazioni individuali dei fabri tignuarii, escludendo cioè i numerosi
collegi che da questo mestiere prendevano nome424, non sono molto frequenti.
Conviene qui riprendere brevemente i dati in nostro possesso, limitatamente
alla documentazione epigrafica dell’Italia romana425.
1. CIL VI, 6363 = M.L. Caldelli - C. Ricci, Monumentum familiae Statiliorum.
Un riesame, Roma 1999, p. 94, n°111 da Roma (Monumenta Statiliorum):
Acasti, / fabri tignuari.
2. CIL VI, 6364 = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum, cit., p.
94, n°112 da Roma (Monumenta Statiliorum): Anteros, / faber tig(nuarius).

420 Cf. R. Meiggs, Trees and Timber in the Ancient Mediterranean World, Oxford 1982, p. 360;
Gimeno Pascual, Artesanos, cit., p. 31.
421 Isidoro di Siviglia, attivo tra la fine del VI e l’inizio del VII sec. d.C., è comunque fonte inte-
ressante anche per la ricostruzione del vocabolario dei mestieri nel latino classico, cf. la nota d i
H. Von Petrikovits, Die Spezialisierung des römischen Handwerks II (Spätantike), «ZPE», 4 3
(1981), p. 286.
422 Sui lignarii vd. da ultimo M.L. Caldelli, Pensores lignarii, «Epigrafia della produzione e
della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde ro-
main organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’École française de Rome, Rome 5-6
juin 1992», Rome 1994, pp. 727-731, partic. pp. 729-730, con la bibliografia ivi citata.
423 C. Th., XIII, 4, 2; in C. Iust. X, 66, 1, che riprende il medesimo provvedimento legislativo, i
tignarii sono apparentemente sostituiti dai signarii. Su questa costituzione vd. K. Visky, La
qualifica della medicina e dell’architettura nelle fonti del diritto romano, «Iura», 10 (1959),
pp. 46-47; G. Coppola, Il lavoro intellettuale nell’ideologia costantiniana, «Studi Tardoanti-
chi», 6 (1989) [1995], pp. 300-302.
424 Sui quali si veda infra, pp. 457-458.
425 Si riprende qui la raccolta di dati in De Ruggiero, Faber, cit., p. 2 (lacunosa) e di Kornemann,
Fabri, cit., col. 1893.
Parte II. I documenti 203

3. CIL VI, 6365 = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum, cit., p.


110, n°289 da Roma (Monumenta Statiliorum): Flaccus, faber / tignuarius /
Cornelianus.
4. CIL VI, 9409 da Roma: M(arcus) Allius / Apollonius, / faber tignuarius, /
mag(ister) in fam(ilia), praef(ectus) dec(uriae) / vix(it) an(nis) LX.
5. CIL VI, 9410 da Roma: L(ucius) Appuleius L(uci) l(ibertus) / Libanus, / faber
tignuarius.
6. CIL VI, 9411 da Roma: Vivit. C(aius) Gavius C(ai) l(ibertus) Dardanus. // Vi-
vit. / C(aius) Cavius Spu(ri) f(ilius) Rufus. // Vivit. / Gavia C(ai) (et) C(ai)
l(iberta) Asia. // Duo fratres fabrei tign(uarei). // C(aius) Gavius C(ai) l(ibertus)
Salvius.
7. CIL VI, 9412 = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum, cit., p.
138, n°22a da Roma: T(iti) Statilius (!)Tauri / l(iberti) Antiochi, fabri /
tig(nuari). In fr(onte) p(edes) XII, in agr(o) p(edes) XII.
8. CIL VI, 9413 = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum, cit., p.
138, n°22b da Roma: T(iti) Statili / Tauri l(iberti) / Antiochi, / fab(ri) tig(nuari).
/ In f(ronte) p(edes) XII, in ag(ro) p(edes) XII.
9. CIL VI, 9414 = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum, cit., p.
138, n°22c da Roma: T(iti) Statilius (!)/ Tauri l(iberti) / Antiochi, / fab(ri)
tig(nuari). / In fr(onte) p(edes) XII, / in agr(o) p(edes) XII.
10. CIL VI, 9415 = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum, cit., p.
118, n°360; p. 138, n°22d da Roma: T(iti) Statili Tauri / l(iberti) Antiochi, /
fab(ri) tig(nuari). // Statiliae T(iti) / l(ibertae) / Muntanae426.
11. CIL VI, 31352 da Roma: ------ / [---]tign[uari---] / [--- maies]tatique [---
] 427.
12. AE 1996, 302 da Roma428: T. Statilius Tauri l(ibertus) / Antiochus, fab(er)
tig(narius).
13. CIL X, 1923 da Puteoli: C(aius) Caesonius Demetrius, / faber tignarius, sibi
et Nymphe/ni conlibertae suae et C(aio) Caesonio / Metrophani l(iberto) et
Secundae l(ibertae) et / Primogeni l(iberto) Caesoniae Ampliatae /
Metrophanis l(iberti), vixit annos XIIII et / menses III [---] / uxori [---].

426 L’iscrizione sarebbe stata erroneamente pubblicata anche come CIL VI, 6365a, tra le epigrafi
sepolcrali del monumentum Statiliorum; secondo il De Rossi (citato nel lemma a CIL VI, 9415)
questa tabella era conservata in hortis Campanae prope Lateranum, insieme a CIL VI, 9413,
cippo rinvenuto in vinea Cremaschi ad viam Latinam. Apparentemente Caldelli - Ricci, Monu-
menta familiae Statiliorum, cit. non prendono posizione riguardo al problema, riprendendo CIL
VI, 6365a a p. 118, n°360 tra le iscrizioni del colombario degli Statilii e CIL VI, 9415 a p. 138
n°22d tra le iscrizioni relative alla familia di questa gens rinvenute al di fuori del monumentum.
427 Naturalmente non è certo che questa iscrizione facesse menzione di un singolo faber ti-
gnuarius; più probabile l’ipotesi che si trattasse di una dedica del collegio dei tignuarii al nu-
men e alla maiestas di un imperatore.
428 P.J. Sijpesteijn, Lateinische Grabinschriften IV, «ZPE», 111 (1996), p. 283 ricorda che i l
piccolo lotto di epigrafi latine da una collezione olandese pubblicate in questa sede dovrebbero
provenire da Ostia e dintorni; l’epitafio di T. Statilius Antiochus qui edito a p. 285, n°5 si ag-
giunge tuttavia ad altri 4 documenti da Roma, riportati nella nostra lista prosopografica ai nn. 7-
10, in cui sembra essere attestato lo stesso personaggio. Ritengo dunque probabile che anche i l
testo edito dal Sijpesteijn sia di provenienza urbana.
204 Parte II. I documenti

14. CIL XI, 1500 = InscrIt VII, I, 67 da Pisa: Q(uint---) Vibel[li---], / fab(---)
t[ign(uari---) ---] / [---] testame[nto ---] / ------429.
15. CIL V, 4216 = InscrIt X, V, 22 da Brixia: Sex(tus) Cunopennus / Secundus,
/ faber tignuar(ius), / Herculi / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito).
La documentazione, come si vede, è largamente rappresentata da testi
provenienti dalla città di Roma. Il dato comune mi sembra essere rappresentato
dalla relativa antichità delle attestazioni, che paiono tutte inquadrabili entro il I
sec. d.C., in base alla pertinenza al Monumentum Statiliorum (nn. 1-3), al for-
mulario degli epitafi, nei quali si nota l’assenza dell’invocazione agli dei Mani
(nn. 4-10; 12-13) e la comparsa del nome del defunto in caso nominativo (nn.
4-6; 12-13) o genitivo (nn. 7-10, che dovrebbero peraltro riferirsi ad unica e
medesima persona, ricordata anche dall’iscrizione n°12); nel primo secolo della
nostra era dovrebbe collocarsi anche una delle poche attestazioni sicure di fabri
tignuarii rinvenute al di fuori di Roma, la dedica ad Ercole del bresciano Ses.
Cunopenno Secondo (n°15)430.
Per quanto concerne lo statuto sociale, prevalgono di gran lunga i perso-
naggi di nascita servile: ancora schiavi al momento della morte erano Acastus
(n°1), Anteros (n°2) e Flaccus (n°3), liberti, al pari di C. Plotius Alexander
dell’iscrizione di Osimo, erano invece L. Appuleius Libanus (n°5), i duo fratres
dell’iscrizione n°6, che vanno forse identificati con i liberti Dardanus e Salvius,
T. Statilius Antiochus (nn. 7-10) e C. Caesonius Demetrius (n°13). Non ab-
biamo indicazioni sicure riguardo alla condizione di M. Allius Apollonius
(n°4)431 e Sex. Cunopennus Secundus (n°15); per quest’ultimo si potrebbe forse
ragionevolmente ipotizzare uno statuto di ingenuo432.
Dalla rassegna delle testimonianze pare anche che l’iscrizione di C.
Plotius Alexander sia l’unica nella quale la specificazione tignuarius precede il
sostantivo faber.
Immagine: Tav. XIV.

429 La pertinenza di questa iscrizione al dossier è dubbia; si riprende qui l’ipotesi di integra-
zione suggerita da A.M. Rossi Aldrovandi, Contributo agli indici di CIL, XI. Collegi e profes-
sioni, «Epigraphica», 47 (1985), p. 122, ma è parimenti possibile un’integrazione che preveda i l
patronimico alla fine della l. 1 e la menzione della tribù Fabia e di un cognomen iniziante per T
alla l. 2, così CIL XI, p. 1457 e InscrIt VII, I, 67.
430 Cf. Gregori, Brescia romana, cit., I, p. 86, n°A, 092, 0022; II, p. 247.
431 Liberto secondo Kornemann, Fabri, cit. col. 1893.
432 Così Kornemann, Fabri, cit., col. 1893.
Parte II. I documenti 205

Auximum 7

Edizione di riferimento: Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 29, n°5.


Altre edizioni: CIL IX, 5855; Gentili, Auximum, cit., p. 155, n°f1; Id.,
Osimo, cit., p. 163, n°22; Grillantini, Storia, cit., p. 66, n°12; Prosperi Valenti,
Un esemplare inedito, cit., p. 87, n°38; M. Fora, I munera gladiatoria in Italia.
Considerazioni sulla loro documentazione epigrafica, Napoli 1996, p. 158,
n°186; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 184-
185.
Bibliografia: Mrozek, Munificentia privata und die private Bautätigkeit, cit.,
p. 373; Id., Distributions, cit., pp. 25; 38; Gentili, Osimo, cit., p. 33; Delplace,
Romanisation, cit., p. 296; Ead. in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., pp. 13-14; 16; 19.
Luogo di ritrovamento: ad Osimo, in un anno ed un luogo imprecisabili433.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del Palazzo Comunale (autopsia
maggio 2001)434.
Tipo di supporto: grande blocco parallelepipedo in calcare, mancante della
parte superiore e probabilmente anche della porzione inferiore; danneggiato ai
margini sinistro e destro, dove, in talune linee, sono andate perdute alcune let-
tere.
Mestiere: gladiatores.
Datazione: gli elementi paleografici e la comparsa dell’espressione gladiatores
dare, caratteristica dell’età repubblicana e del primo periodo imperiale (in se-
guito è attestata in sua vece l’espressione munus gladiatorium dare) suggeri-
scono una datazione intorno alla metà del I sec. d.C.435
Testo: ------ / [l]udos fecit, glad≥[i]atores dedit≥, / cenam sexviralem primus
dedit, / [l]egavit colonis Auximatibus singúlis [((sestertios)) ---] / et
decurionibus singulis ((sestertios)) XX, / et legavit colonis coloniae
Auximati(um) ((sestertium)) ((centum milia)) / ------ ?
l. 1: ludos Grillantini. gla[di]atores Gentili; gladiatores Prosperi Valenti; dedi[t
---] Gentili, Auximum, Prosperi Valenti; dedi[t] Gentili, Osimo, Grillantini,
Marengo.
l. 3: I longa in colonis e in singulis, sulla seconda I. La linea è ritenuta completa
da Gentili e da Prosperi Valenti. legavit Grillantini. [((sestertios)) ---] Buono-
core, Fora, Marengo.
l. 4: I longa in singulis, sulla seconda I.
l. 5: I longa in colonis. Auximatis Grillantini. Del numerale ((centum milia)) si
leggono ora solamente i primi tre segni.

433 Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 29.


434 Buonocore, ibid.
435 Buonocore, ibid., seguito da Fora, Munera gladiatoria, cit., p. 158; Delplace in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 14; Marengo, ibid., p. 185. Duncan-Jones, Economy, cit.,
p. 190, n°851 data il documento prima del 100 d.C.; Mrozek, Munificentia privata und die pri-
vate Bautätigkeit, cit., p. 373; Id., Distributions, cit., p. 25 colloca l’iscrizione nel I sec. d.C.
206 Parte II. I documenti

L’interpunzione presenta segni in forma di triangolo e a coda di rondine, con il


vertice rivolto verso destra, utilizzati con regolarità per dividere le parole,
tranne che in fine di riga.
Commento
Si tratta con ogni verosimiglianza dell’iscrizione onoraria per un perso-
naggio il cui nome è purtroppo andato perduto nelle prime linee dell’epi-
grafe436.
Di costui si ricordano i titoli di merito che gli valsero l’erezione della de-
dica: l’organizzazione di una cena per seviri di Auximum, forse in occasione
dell’ingresso del donatore in questo stesso collegio437; l’espressione primus può
essere riferita sia alla fastosità della cerimonia, sia al fatto che l’anonimo per
primo in ordine di tempo allestì il banchetto in favore dei seviri438. Egli inoltre
lasciò per testamento ai singoli decurioni di Auximum 20 sesterzi e alla colonia
Auximatium nel suo complesso 100.000 sesterzi o forse più439. La divisio inte-
ressò anche i coloni di Auximum, tuttavia riguardo la somma distribuita sussi-
stono alcune incertezze: se si ritiene che in fondo alla l. 3 non sia andata per-
duta alcuna lettera si deve concludere che l’importo di 20 sesterzi, ricordato alla
linea seguente, si riferisse ai coloni come ai decuriones440; l’ipotesi desta tutta-
via qualche perplessità, non tanto per l’assegnazione di una stessa somma a due
categorie sociali distanti tra di loro, come i decurioni e i comuni cittadini, circo-
stanza certo insolita, ma che trova qualche parallelo441; quel che più sorprende è
l’ammontare della sportula distribuita ai coloni di Osimo, che non ha confronto
nel resto della documentazione442. Preferirei dunque pensare, sulla scorta della
recente edizione di M. Buonocore, che l’importo della somma assegnata ai
coloni sia in lacuna alla fine di l. 3 443, anche se debbo riconoscere che la por-
zione della pietra andata perduta non pare essere molto estesa. Sia come sia,
l’entità delle somme lasciate per testamento ai decurioni e alla colonia trova

436 Suggestioni sulla tipologia monumentale qui rappresentata in Marengo in Cancrini -


Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 210-211.
437 Così Mrozek, Distributions, cit., p. 38, e Delplace, Romanisation, cit., p. 296, che parimenti
ipotizza che l’anonimo evergete facesse parte del collegio dei seviri di Osimo; cf. inoltre Ead. i n
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 14; 16 e Marengo, ibid., p. 185.
438 Delplace, Romanisation, cit., p. 233; Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 29. Alla se-
conda ipotesi aderisce Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 185.
439 Secondo Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 29, i danni lungo il margine destro
dell’epigrafe potrebbero aver portato alla perdita di qualche altra lettera dopo il numerale (((I))),
di cui oggi possiamo in effetti leggere solo i primi tre segni. Sull’uso del termine coloni
nell’epigrafia di Auximum vd. supra, pp. 174-175.
440 Così Gentili, Auximum, cit., p. 155; Id., Osimo, cit., p. 163; Mrozek, Bénéficiaires, cit., p. 4 8
(cf. Id., Distributions, cit., p. 90); Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 87.
441 Cf. per esempio CIL XI, 3723 da Alsium, in cui sia i decurioni che i municipes ricevettero 5
sesterzi; CIL XI, 5717 da Tuficum in cui i decurioni e i municipes ricevono 6 sesterzi.
442 In base alla tabella di Mrozek, Bénéficiaires, cit., p. 48 (cf. Id., Distributions, cit., p. 90) e
prescindendo dal caso del tutto particolare di CIL XI, 6481 da Mons Fereter, che ci attesta una
divisio a favore della plebs di ben 200 sesterzi a persona.
443 Così anche Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 19.
Parte II. I documenti 207

buona corrispondenza negli altri casi noti della regio V o delle comunità
dell’Italia444.
Interessa qui in particolare l’organizzazione di ludi e di giochi che atte-
stano la presenza di gladiatores ad Auximum445. L’interpretazione del carattere
dei munera allestiti dall’ignoto personaggio di Auximum non è univoca nella
dottrina: mentre il Buonocore, includendo l’epigrafe nella sezione delle editio-
nes legatariae, ritiene che i giochi vennero allestiti grazie ad un lascito testa-
mentario, M. Fora ha recentemente sostenuto che il legato riguardava sola-
mente il denaro da distribuire ai coloni, ai decuriones e alla comunità di Auxi-
mum, mentre i ludi, lo spettacolo gladiatorio e la cena ricordati nella prima
parte dell’iscrizione vennero offerti quando ancora l’anonimo benefattore era
in vita446. Pur sottolineando come la lacunosità dell’epigrafe non consenta di
dare una risposta certa al quesito e come indicazioni più precise riguardo alla de-
stinazione del legato potessero trovarsi nella parte a noi perduta, credo che il
testo superstite deponga piuttosto a favore della seconda ipotesi: in effetti nei
testi delle editiones legatariae a noi noti il richiamo alla fonte di finanziamento
dei giochi gladiatori è generalmente assai più esplicito. Limitando l’indagine alla
documentazione dell’Italia raccolta nella collana Epigrafia anfiteatrale
dell’Occidente romano possiamo ricordare:
CIL XI, 6377 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum I, cit., pp. 303-306,
n°88 = G.L. Gregori, Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente romano. II. Regiones
Italiae VI - XI, Roma 1989, pp. 28-29, n°9 da Pisaurum (seconda metà del II
sec. d.C.): … et ex sestertiûm ((sescentorum milium)) usuris, quinto quoque
an/no munus gladiatorium ederêtur.
CIL IX, 5854 = Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 29-30, n°6 da Au-
ximum (seconda metà del I sec. d.C.; vd. infra, pp. 209-210, Auximum 8):
…testame]nto suo dedit, ex quorum r≥[editu] / [munus gladiatori]um colonis
Auxumatibus dar[etur], [ita ut ? gladiatoru]m≥ paria sena alternis annis
emere[ntur] …
CIL XIV, 3015 = M. Fora, Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente romano. IV.
Regio Italiae I: Latium, Roma 1996, pp. 51-53, n°19 da Praeneste (età augu-
stea): … quod is testamento suo lavationem populo gratis / per triennium gla-
diatorumque paria X et Fortunae Primig(eniae) / coronam auream p(ondo) I
dari, idemque ludos ex ((sestertium quadraginta milibus)) per dies V fieri iussit.
Anche l’identità del dedicante o dei dedicanti rimane ignota, a causa della
lacunosità del testo: non avremo comunque difficoltà a riconoscervi la comunità
di Auximum nel suo complesso o una qualche sua sezione.

444 Cf. per quanto concerne i legati ai decurioni la tabella riportata supra, p. 130. Per quanto ri-
guarda i lasciti alle comunità nel loro complesso, la casistica è ancora piuttosto limitata; tutta-
via, tra i 7 esempi registrati da Duncan-Jones, Economy, cit., p. 217, ben 4, tra i quali anche
quello osimate, ricordano una somma di 100.000 sesterzi.
445 Il testo è dunque ricordato da Golvin, Amphithéâtre, cit., p. 261 fra le testimonianze epigra-
fiche di combattimenti in località per le quali non sono note evidenze archeologiche di anfitea-
tri.
446 Fora, Munera gladiatoria, cit., p. 60.
208 Parte II. I documenti

Immagine: Tav. XV. Gentili, Osimo, cit., p. 203, tav. 89a; Buonocore, Epi-
grafia anfiteatrale, cit., tav. VI, fig. 4; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito,
cit., tav. XXVI; Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 184, fig.
55.
Parte II. I documenti 209

Auximum 8

Edizione di riferimento: Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 29-30,


n°6.
Altre edizioni: CIL IX, 5854; ILS 5064; Gentili, Auximum, cit., p. 155, n°f2;
Id., Osimo, cit., p. 180, n°89; Grillantini, Storia, cit., pp. 60-61, n°4; Prosperi
Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 85, n°36; Fora, Munera gladiatoria, cit.,
pp. 158-159, n°187; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., pp. 182-184.
Bibliografia: M. Buonocore, Disposizione testamentaria in un frammento
epigrafico da Sulmo, «Decima Miscellanea Greca e Romana», Roma 1986, p.
356; ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp. 596-597; Gentili, Osimo, cit., p.
33; Delplace, Romanisation, cit., p. 296; Ead. in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., pp. 13-14; Marengo, ibid., pp. 210-211.
Luogo di ritrovamento: ad Osimo, in un anno ed un luogo imprecisabili447.
Luogo di conservazione: ad Osimo, Lapidario del Palazzo Comunale (autop-
sia maggio 2001).
Tipo di supporto: grande blocco parallelepipedo in calcare, ricomposto da due
frammenti e mutilo su tutti i lati; la superficie presenta numerose scheggiature.
Mestiere: gladiatores.
Datazione: la comparsa dell’espressione munus gladiatorium dare, che sembra
posteriore alla formula gladiatores dare, suggeriscono una datazione più bassa
rispetto al testo precedente; d’altra parte la paleografia del testo non consente
di scendere oltre la fine del I sec. d.C.; in effetti l’uso di legazioni testamentarie
per l’allestimento di giochi gladiatorii pare essere limitato alla prima età
imperiale448.
Testo: ------ / [--- testame]nt≥o suo dedit, ex quorum r≥[editu] / [munus
gladiatori]um colonis Auxumatibus dar[etur], / [ita ut ? gladiatorum] paria
sena alternis annis emere[ntur], / [quae ? a(nte) d(iem) ---] k(alendas) Iunias
Auxumi≥ p≥u≥[gn]arent qui [---] / [---] q≥uo≥t [an]n≥i≥s≥ e≥oque consu≥meret[ur ---] / ---
--- ?
l. 1: [reditu] Prosperi Valenti.
l. 2: I longa in colonis. [gladiator]ium Grillantini. Auximatibus Grillantini.
l. 3: I longa in alternis e in annis. [--- ad quod ---] paria Prosperi Valenti; [---
]a paria Gentili, Auximum; [ad quod] paria Grillantini; [ad quod gladiatoru]m
paria Gentili, Osimo; [ita ut ? gladiatoru]m≥ Buonocore; [---? gladiatoru]m≥
Marengo.
l. 4: [quae ---] K. Iunias Gentili, Auximum, Prosperi Valenti; [quae ante] k. Iu-
nias Grillantini; [quae die septimo? ante] k(alendas) Iunias Gentili, Osimo.
Auximi pugnarent Grillantini. qu[uaeque] / Gentili, Osimo.

447 Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 29.


448 Buonocore, ibid., p. 30, seguito da Fora, Munera gladiatoria, cit., p. 159; Delplace i n
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 14. Propende per la metà del I sec. d.C.
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 183-184.
210 Parte II. I documenti

l. 5: I longa in annis. quot an[nis eoque consu]meret[ur] Gentili, Auximum,


Prosperi Valenti; [munus facerent ? ali]quot annis [eo ut cons]umeret[ur redi-
tus] Gentili, Osimo; q≥≥u≥o≥t≥ a≥n≥n≥i≥s≥ eoque Buonocore.
L’interpunzione presenta segni a coda di rondine, con il vertice rivolto verso
destra, ed è utilizzata con regolarità per dividere le parole, tranne che in fine di
riga; l’apparente assenza dei segni di divisione a l. 3 tra alternis e annis e a l. 4
tra Auxumi e pu[gn]arent è verosimilmente dovuta alla consunzione della pie-
tra. Evidenti le tracce delle linee di guida.
Commento
Iscrizione di carattere onorario449, che presenta punti di contatto con la
precedente: anche in questo caso ci troviamo davanti ad un evergete, il cui
nome è andato perduto, il quale nel suo testamento aveva disposto che la ren-
dita di una certa somma di denaro venisse impiegata per allestire, ad anni al-
terni, spettacoli gladiatorii nella colonia di Auximum450. Il combattimento do-
veva svolgersi in giorno del mese di maggio, che forse coincideva con il giorno
del compleanno dell’ignoto benefattore451; il numero di coppie di gladiatores,
6, si inquadra nella generale modestia dei munera allestiti in ambito munici-
pale452.
Immagine: Tav. XVI. Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., tav. VI, fig. 5;
Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., tav. XXIV; Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., p. 182, fig. 54.

449 Suggestioni sulla tipologia monumentale qui rappresentata in Marengo in Cancrini -


Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 210-211.
450 Sui munera finanziati grazie agli interessi di somme lasciate per testamento da qualche be-
nefattore si veda Buonocore, Disposizione testamentaria, cit., p. 356 (ora in L’Abruzzo e il Mo-
lise, cit., II, pp. 596-597), con breve richiamo al testo in questione, e Fora, Munera gladiatoria,
cit., pp. 59-60. Sull’uso del termine coloni nell’epigrafia di Auximum vd. supra, pp. 174-175.
451 Così anche Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 183. Una ipotesi
alternativa è avanzata da Delplace, Romanisation, cit., p. 296, secondo la quale i giochi si sareb-
bero svolti per la prima volta in occasione dell’inaugurazione dell’anfiteatro e le successive
edizioni dei munera avrebbero commemorato l’evento nel suo anniversario; la studiosa tuttavia
non adduce prove a sostegno di questa inconsueta teoria, che del resto non ha ripreso nella sua
introduzione a Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 13. Il testo di Auximum è bre-
vemente ricordato da Golvin, Amphithéâtre, cit., p. 261 fra le testimonianze epigrafiche di com-
battimenti in località per le quali non sono note evidenze archeologiche di anfiteatri.
452 Per il numero di coppie di gladiatori nei munera municipali si veda Fora, Munera gladiato-
ria, cit., pp. 47-48. Nel Piceno conosciamo un solo altro caso in cui il numero dei gladiatorum
paria venne notato, la celebre doppia iscrizione di L. Flavio Silva Nonio Basso da Urbs Salvia
(vd. infra, pp. 511-519, Urbs Salvia 2 e 3), che registra ben 40 coppie di combattenti.
Parte II. I documenti 211

Auximum 9

Edizione di riferimento: CIL IX, 5861.


Altre edizioni: Gentili, Auximum, cit., p. 156, n°h2; Id., Osimo, cit., p. 178,
n°81. Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 67, n°19.
Bibliografia: H. Gummerus, Der Ärztestand im römischen Reiche nach der In-
schriften, Helsingfors 1932, p. 57, n°203; Gentili, Auximum, cit., p. 38; Hirt,
Statut social, cit., p. 98; M. Eichenauer, Untersuchungen zur Arbeitswelt der
Frau in der römischen Antike, Frankfurt - Bern - New York - Paris 1988, pp.
202; 210; 212; 213; Gentili, Osimo, cit., p. 36; Evans, War, Women and Chil-
dren, cit., p. 126; Flemming, Medicine, cit., p,. 386, n°10; Buonopane, Medi-
cae, cit., p. 130, n°14.
Luogo di ritrovamento: ad Osimo, nel foro, secondo gli autori ricordati nel
lemma a CIL IX, 5861; dato il carattere funerario del testo è improbabile che
questa fosse la primitiva localizzazione del monumento.
Luogo di conservazione: ad Osimo, Lapidario del Palazzo Comunale (autop-
sia maggio 2001).
Tipo di supporto: stele in calcare, con timpano triangolare, al centro del quale
una rosetta; ai lati del timpano acroteri con rosetta453. La pietra è lievemente
scheggiata lungo i lati, ma i danni non interessano lo specchio epigrafico. Lo
specchio epigrafico stesso è ribassato e delimitato da una doppia cornice.
Mestiere: medica.
Datazione: la comparsa dell’adprecatio ai Mani suggerisce un termine post
quem per la datazione intorno alla metà del I sec. d.C. In considerazione della
forma Deis per Dis e del fatto che l’invocazione alle divinità degli Inferi non

453 La stele in esame è accostata da Diebner, La sfera dei sepolcri, cit., pp. 89-90 (con le figg. 7-
14 alle pp. 89-93) ad alcuni monumenti funerari di Tuficum e della stessa Auximum; la studiosa
tedesca nota nelle stele la comune assenza di un apparato decorativo, ma, in questa ricognizione
preliminare, non ha sviluppato ulteriormente il confronto tipologico. Al proposito si può os-
servare che i monumenti di Auximum in oggetto presentano tutti un timpano triangolare con ro-
setta al centro (mentre a Tuficum, nella maggioranza dei casi, si tratta di stele centinate) e acroteri
laterali, pure a forma di rosetta. Il confronto si può estendere al formulario, che presenta notevoli
somiglianze. Per limitarci ai documenti segnalati dalla Diebner si veda CIL IX, 5850 = Prosperi
Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 63, n°17: Dis M(anibus). / L(uci) Praesenti L(uci) lib(erti)
Flori, / VI vir(i) II, Aug(ustali). / L(ucius) Praesentius L(uci) lib(ertus) Aprio / amico / b(ene)
m(erenti); 5879 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 59, n°15: Dis / Manibus. /
L(ucio) Praesentio / L(uci) f(ilio) Polluci. / L(ucius) Praesentius / Victor / filio piissimo. /
[V]ixit annis / XVIIII; 5880 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 61, n°16: D(is)
M(anibus). / Praesenti/ae Nereidi. / L(ucius) Praesentius / Blastus colli/bertae et con/iugi
b(ene) m(erenti). Degno di nota anche il fatto che i tre documenti facciano riferimento a membri
della medesima gens. Alle tre iscrizioni dei Praesentii è forse da aggiungere CIL IX, 5873 =
Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 65, n°18: Dis Manibus. / Q(uinti) Laetori /
Proculi. / Laetoria / Procula / fratri pientissimo; l’iscrizione pare oggi perduta, ma a giudicare
dall’apografo del codice epigrafico dell’archivio Valenti riportato da Prosperi Valenti, Un esem-
plare inedito, cit., p. 64, la tipologia monumentale è la medesima osservata per i testi precedenti.
Mi pare dunque ipotizzabile l’individuazione di una precisa tipologia delle stele funerarie d i
Auximum, ascrivibili forse alla produzione di una medesima officina epigrafica. Su questo
gruppo di stele vd. anche Gentili, Osimo, cit., p. 36.
212 Parte II. I documenti

compare ancora nella consueta forma abbreviata D M forse non si dovrà scen-
dere troppo oltre tale termine454.
Testo: Deis Manîb(us). / Iuliae Q(uinti) l(ibertae) / Sabinae, / medicae. /
Q(uintus) Iulius Atim§etus / coniugi / bene merenti.
Interpunzioni in forma di virgola o di triangolo con il vertice verso il basso,
utilizzate con regolarità per dividere le parole, anche in termine di linea, tranne
che a l. 1, dopo Manîb(us).
Commento
Il testo ci offre il semplice epitafio di una donna che esercitava la profes-
sione medica.
La defunta, di condizione libertina, porta un gentilizio e un cognome tra i
più diffusi nel mondo romano e ovviamente ben attestati anche nel Piceno455.
Qualche indicazione più precisa può venire dalla considerazione del prenome del
patrono e del marito di Giulia Sabina: in effetti nel Piceno sembra essere noto
solamente un altro Q. Iulius, Q. Iulius Melior, attestato, seppure indiretta-
mente, ad Ancona da una dedica votiva posta dal suo schiavo Alexsander (CIL

454 L’adprecatio in forma non abbreviata o solo parzialmente abbreviata, compare ad Auximum
anche per l’epitafio CIL IX, 5847, sul quale vd. infra, pp. 245-249, Auximum 15, e in CIL IX,
5850 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 63, n°17; 5870; 5873 = Prosperi Valenti,
Un esemplare inedito, cit., p. 65, n°18; 5879 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 59,
n°15; alcuni di questi documenti, certamente CIL IX, 5850 e 5879 e probabilmente anche 5873,
presentano notevoli somiglianze con l’epitafio di Giulia Sabina per formulario e tipologia mo-
numentale, come si è visto alla nota precedente. Per le altre comunità del Piceno vd. E. Beranger,
Cupramarittima, «Antiqua», 2, (1977), 7, pp. 99-100 = AE 1977, 243, da Cupra Maritima; CIL
IX, 5724 da Cupra Montana; U. Moscatelli, Resti di una villa romana in contrada Morico d i
Pollenza (Macerata), «Picus», 1 (1981), pp. 120-121, per la quale l’editore propone generica-
mente una datazione nell’ambito del I sec. d.C., in base alle caratteristiche paleografiche; CIL IX,
5817 da Montefano; CIL IX, 6382 da Potentia; G. Paci in L. Mercando - L. Bacchielli - G. Paci,
Prime scoperte della necropoli di Ricina, «BA», 28 (1984), pp. 40-43 = AE 1985, 354 da Ricina,
datata dall’editore entro il I sec. d.C.; dalla medesima località CIL IX, 5759 (ripresa da G. Paci i n
Gasperini, et alii, Lapidario, cit., pp. 74-75, n°6); CIL IX, 5594; 5621 da Septempeda; CIL IX,
5661 da Trea; CIL IX, 5545 da Urbs Salvia, sulla quale vd. infra, pp. 520-529, Urbs Salvia 4;
CIL IX, 5553; 5556 (ripresa da G. Paci in Gasperini, et alii, Lapidario, cit., pp. 84-85, n°14),
dalla medesima località. Per la nostra iscrizione Gentili, Osimo, cit., p. 178 propone una data-
zione tra la fine del I e i primi decenni del II sec. d.C.; cf. anche Gummerus, Ärztestand, cit., p. 57,
n°203: I-II sec. d.C., seguito da Flemming, Medicine, cit., p. 386, n°10.
455 Per quanto concerne il cognomen Sabina vd. CIL IX, 5898 da Ancona: Petronia Sabina;
Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., pp. 15-19, n°2 = AE 1998, 418 da Asculum: Telonia L. f.
Sabina; CIL IX, 5032 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 746, n°20 da Hadria:
Petillia P. f. Sabina; CIL IX, 5038 = CLE 166 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p.
747, n°26 dalla medesima località: Terminia Q. f. Sabina e Brittia Sabina, madre della prece-
dente; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 786, n°106 = M. Buonocore, Un’inedita
testimonianza di munificentia femminile a Teramo, «Athenaeum», 86 (1998), pp. 463-468 (ora
in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp. 923-930) = AE 1998, 416 da Interamnia: Numisia Secunda
Sabina; CIL IX, 5780 (ripresa da G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp. 83-84, n°13) da
Ricina: Decimia Sabina; CIL IX, 5575 da Septempeda, su lamina di piombo: Antestia Sabina;
CIL IX, 5652 ( = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 136-138) da
Trea: Lucretia M. f. Sabina; CIL IX, 5539 da Urbs Salvia: Atalia C. f. Sabina. Vale forse la pena
di notare che quello di Auximum sembra essere l’unico esempio in regione in cui una liberta
porta questo cognomen, caratteristico piuttosto delle donne di nascita ingenua.
Parte II. I documenti 213

IX, 5893 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp.


186-187); in considerazione della vicinanza delle due località non escluderei un
rapporto tra i due personaggi di Auximum e Melior.
La professione esercitata da Giulia Sabina, quella di medica, è une delle
poche (e certamente tra le meglio attestate nella documentazione epigrafica)
occupazioni che potevano essere svolte anche dalle donne456, forse in conse-

456 Sulle donne nella professione medica vd., tra gli altri, L. Robert in N. Firatli, Les stèles funé-
raires de Byzance gréco-romaine, Paris 1964, pp. 175-178, con importanti considerazioni sulla
documentazione epigrafica in lingua greca; J. Le Gall, Métiers de femmes au Corpus Inscriptio-
num Latinarum, «REL», 47 bis (1969) = «Mélanges M. Durry», Paris 1971, pp. 127-129; S.
Treggiari, Jobs for Women, «AJAH», 1 (1976), p. 86; S.B. Pomeroy, Plato and the Female Physi-
cian (Republic 454d2), «AJPh», 99 (1978), pp. 496-500; D. Nickel, Berufsvorstellungen über
weibliche Medizinalpersonen in der Antike, «Klio», 61 (1979), pp. 515-518; Kampen, Image and
Status, cit., pp. 116-117; Penso, La medicina romana, cit., pp. 107-108 (da considerare con pru-
denza); D. Gourevitch, Le mal d’être femme. La femme et la médicine dans la Rome antique, Paris
1984, pp. 223-226; V. French, Midwives and Maternity Care in the Roman World, «Helios», 1 3
(1986), pp. 69-84 (disponibile anche via Internet all’indirizzo http://ablemedia.com
/ctcweb/consortium/demandgreekmidwives.html, nell’ambito del sito The Asclepion, all’indiri-
zzo http://ablemedia.com/ctcweb/consortium/demandasclepion.html); Günther, Frauenarbeit,
cit., pp. 102-109; Pelletier, La femme, cit., pp. 69-71; J. André, Être médecin à Rome, Paris 1987,
pp. 124-132; J. Korpela, Das Medizinalpersonal im antiken Rom. Eine sozialgeschichtliche Un-
tersuchung, Helsinki 1987, partic. pp. 18-20; D. Nickel, Medizinerinnen in der Antike, «Die Frau
in der Antike. Kolloquium der Winckelmann-Gesellschaft, Stendal 1985», a cura di M. Kunze,
Stendal 1988, pp. 39-45; Eichenauer, Untersuchungen, cit., pp. 148-216, con qualche im-
precisione, in particolare per quanto concerne la documentazione epigrafica; R. Jackson, Doctors
and Diseases in the Roman Empire, London 1988, p. 86; De Filippis Cappai, Medici, cit., pp.
206-211; A. Krug, Medicina nel mondo classico, Firenze 1990, pp. 208-210; Evans, War, Women
and Children, cit., pp. 125-127; C. D’Amato, La medicina, Roma 1993, pp. 36-41; G.L. Irby-
Massie, Women in Ancient Science, «Woman’s Power, Man’s Game. Essays on Classical Antiqui-
ty in Honor of Joy K. King», a cura di M. DeForest, Wauconda 1993, pp. 364-367; E. Künzl, Ein
archäologisches Problem: Gräber römischer Chirurginnen, «Ancient Medicine in its Socio-
Cultural Context. Papers Read at the Congress Held at Leiden University 13-15 April 1992», a
cura di P.J. van der Eijk - H.F.J. Horstmanshoff - P.H. Schrijvers, I, Atlanta 1995, pp. 309-319; D.
Gourevitch, La gynécologie et l’obstétrique, «ANRW», II, 37, 3, Berlin - New York 1996, pp.
2086-2092; L. Arata, Donne-medico nella antica Grecia: le testimonianze epigrafiche, «FAM»,
13 (1997), pp. 7-22; Pérez Negre, Esclavas, cit., pp. 155-156; L. Cilliers - F.P. Retief, Die helende
hand: die rol van die vrou in die antieke geneeskunde, «AClass», 42 (1999), pp. 47-65;
Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 59; F.
Ferrandini Troisi, La donna nella società ellenistica. Testimonianze epigrafiche, Bari 2000, pp.
13-22 (breve ma interessante antologia di testi epigrafici relative a donne medico nel mondo el-
lenistico); Flemming, Medicine, cit., passim e partic. pp. 35-41; Kosmopoulou, Working Women,
cit., pp. 299-300; R. Berg, Donne medico a Pompei, «Donna e lavoro», a cura di Buonopane -
Cenerini, cit., pp. 131-154. Un’importante monografia, dal titolo provvisorio Il personale medi-
co femminile nel mondo romano. Uno studio prosopografico, è in corso di preparazione da parte
di A. Buonopane; ringrazio l’autore per avermi gentilmente dato notizia di questa opera, desti-
nata a colmare una lacuna evidente in questo settore di studi, in particolare per la documentazio-
ne epigrafica dell’Italia romana, e per alcune preziose indicazioni bibliografiche sul soggetto; i
primi risultati della ricerca si possono ora leggere in Buonopane, Medicae, cit., pp. 113-130.
M.L. Caldelli, in Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, cit., pp. 312-313, n°54 = AE 1991,
130 pubblica un’iscrizione, datata alla prima metà del I sec. a.C., in cui forse è attestata un’asso-
ciazione di iatriae; la lettura è peraltro solo ipotetica, come si può evincere anche dalla fotogra-
fia del documento pubblicata ibid., p. 458, tav. XVII, fig. 3; cf. H. Solin, Analecta epigraphica
214 Parte II. I documenti

guenza del ruolo importantissimo da sempre esercitato dal gentil sesso nella co-
siddetta medicina popolare457.
La documentazione epigrafica relativa alle donne che esercitavano
l’attività medica distingue le diverse specialiste, tra le quali certamente spiccano
ostetriche e levatrici (obstetrices), dalle medicae generiche. Di fatto le rispet-
tive competenze dovevano spesso confondersi: in effetti, come è naturale, le
medicae si occupavano prevalentemente delle patologie femminili e dei pro-
blemi legati al parto458: non a caso la pur limitata documentazione epigrafica in
nostro possesso ci fa conoscere diversi casi di medicae schiave o liberte di
donne459; resta il fatto che la cura delle dame del mondo romano non era riser-

CXLIII. Zu republikanischen Inschriften, «Arctos», 25 (1991), p. 150; Buonopane, Medicae, cit.,


p. 116, nota 19.
457 Vd. per esempio quanto afferma Plin., Nat. Hist., XXV, 9-10 a proposito della conoscenza
delle erbe e dei sortilegi che con esse si potevano compiere come una feminarum scentia; cf.
Jackson, Doctors, cit., p. 86; Arata, Donne-medico, cit., pp. 10-11; Berg, Donne medico, cit., pp.
147-152. J. Maurin, Labor matronalis: aspects du travail féminin à Rome, «La femme dans les
sociétés antiques. Actes du colloque de Strasbourg (mai 1980 et mars 1981)», a cura di E. Lévy,
Strasbourg 1983, pp. 143-144 ha messo in evidenza soprattutto il lato oscuro di questa compe-
tenza delle donne, soffermandosi sulla preparazione dei veleni come attività tipicamente femmi-
nile.
458 Cf. Treggiari, Jobs for Women, cit., p. 86; Nickel, Berufsvorstellungen, cit., pp. 515-517;
Kampen, Image and Status, cit., p. 116; Günther, Frauenarbeit, cit., pp. 102-103; Korpela, Medi-
zinalpersonal, cit., pp. 18-20; Jackson, Doctors, cit., p. 86; Nickel, Medizinerinnen, cit., pp. 39-
43; Eichenauer, Untersuchungen, cit., pp. 155-156; Krug, Medicina, cit., p. 208; Rodríguez Neila
in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 59; Flemming, Medi-
cine, cit., pp. 35-36; Berg, Donne medico, cit., p. 146. Buonopane, Medicae, cit., pp. 117-120, pur
ritenendo che i termini medica ed obstetrix individuassero due figure professionali distinte,
ammette che nella pratica quotidiana i due ruoli potessero sovrapporsi. L’assenza di rigide bar-
riere tra le semplici ostetriche e le medicae è dimostrata, a mio modo di vedere, dalle attestazioni
di un mestiere che potremmo dire intermedio tra i due precedenti, quello di ijatrovmaia (cf. per
esempio MAMA III, 292 da Korykos in Cilicia, sulla quale H. Solin, Analecta epigraphica CXVI.
Iatromaea nochmals, «Arctos», 21 (1987), p. 128), noto anche nella traslitterazione latina iatro-
mea o iatromaea (attestata a Roma da CIL VI, 9477-9478; una terza menzione del mestiere in AE
1987, 98, secondo l’interpretazione proposta da H. Solin, Analecta epigraphica CXI. Eine neue
Hebamme aus Rom, «Arctos», 20 (1986), pp. 162-164; lo studioso ha ribadito la sua ipotesi, a
fronte delle obiezioni di M.L. Caldelli in Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, cit., p. 306
e nota 194, in Analecta epigraphica CXLIII, cit., p. 148, nota 8, con buone ragioni, cf. anche
Buonopane, Medicae, cit., p. 119, nota 35): si doveva trattare di una ostetrica in possesso di al-
meno qualche cognizione di medicina generale, cf. Robert in Firatli, Stèles funéraires, cit., pp.
176-177; André, Médecin, cit., p. 125; Nickel, Medizinerinnen, cit., p. 43; De Filippis Cappai,
Medici, cit., pp. 208-209; Arata, Donne-medico, cit., p. 21; V. Nutton, Iatromaia, «Der neue
Pauly», 5 (1998), coll. 873-874; Buonopane, Medicae, cit., p. 119; secondo Günther, Frauenar-
beit, cit., p. 106, nota 217 la denominazione iatromea non definiva un mestiere diverso da
quello di medica e di obstetrix, titoli perfettamente intercambiabili per la studiosa, ma è piutto-
sto caratteristica di un periodo ben preciso, il III-IV sec. d.C., al quale sembrano risalire le due
testimonianze urbane. Più incerta Gourevitch, Some Features, cit., p. 6: “either a midwife or some
female-doctor more or less specialized”.
459 Cf. per esempio Secunda, schiava della sorella di Caligola Livilla in CIL VI, 8711 = ILS
7803; cf. ancora Minucia ((mulieris)) l. Asste (!) di CIL VI, 9615 e Venuleia ((mulieris)) l. Sosis
di CIL VI, 9617. Un qualche rapporto di affetto tra una donna e la sua medica, che poteva andare
al di là della semplice relazione professionale, è forse implicato da P. Oxy XII, 1586 del III sec.
Parte II. I documenti 215

vata alle appartenenti al loro stesso sesso460. Del resto alcuni elementi indicano
che uomini e donne, spesso uniti da legami familiari, potevano collaborare
nell’attività medica461: tra le testimonianze meglio note vi è quella di un rilievo
in terracotta rappresentante da un lato una levatrice, Scribonia Attice, nell’atto
di assistere una partoriente, dall’altro il medico M. Ulpius Amerimnus, verosi-
milmente il marito di Scribonia Attice, mentre cura la gamba di un uomo462; la
stessa documentazione epigrafica ci ricorda una tal Restituta che pose a Roma
l’iscrizione funebre del medico imperiale Ti. Claudio Alcimo, suo patrono e ma-
estro463; assai noto è anche l’epigramma di Pantia, medico di Pergamo, postole
dal marito Glicone, anch’egli medico e figlio di medico464; dalla Licaonia pro-
viene un’iscrizione funeraria cristiana dell’archiatra Aurelio Gaio e della moglie
Augusta, ajrciiatrivnh465.
Per quanto concerne la condizione sociale delle medicae prevalgono le li-
berte come Iulia Sabina di Auximum466, ma abbiamo notizia anche di qualche

d.C., una lettera privata nella quale, tra l’altro, un tal ÔArpokrativwn trasmette alla sorella
Aujrhliva ÔHrai?" i saluti di una ijatrivnh; cf. tuttavia Arata, Donne-medico, cit., p. 16, nota 45, che
suggerisce di interpretare qui ∆Iatrivnh come nome personale.
460 È quanto emerge indirettamente, per esempio, dagli scherzosi epigrammi di Marziale XI, 60 e
71, a proposito di donne i cui malanni possono essere curati più efficacemente da medici d i
sesso maschile piuttosto che da donne medico, evidentemente con una terapia non del tutto or-
todossa. Cf. a questo proposito Eichenauer, Untersuchungen, cit., p. 157; vd. inoltre Treggiari,
Jobs for Women, cit., p. 86; Korpela, Medizinalpersonal, cit., pp. 18-19; Rodríguez Neila i n
Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 59.
461 Jackson, Doctors, cit., p. 86; Krug, Medicina, cit., p. 210; Berg, Donne medico, cit., pp. 143-
144; Buonopane, Medicae, cit., pp. 120-121.
462 Descrizione del rilievo in Kampen, Image and Status, cit., pp. 69-72; cf. inoltre la bibliogra-
fia nella scheda a p. 140, n°I. 6 e le figg. 58-59; il rilievo di Scribonia Attice è raffigurato anche
nell’apparato iconografico di De Filippis Cappai, Medici, cit., senza numerazione, tra p. 64 e p.
65. Il testo dell’iscrizione è pubblicato da H. Thylander, Inscriptions du port d’Ostie, Lund
1952, pp. 162-163, n°A 222, con tav. LXIV, fig. 1.
463 IG XIV, 1751 = IGUR II, 1, 675 da Roma: Ti(berivw)/ Klaudivw/ É ∆Alkivmw/, ijatrw'/ É Kaivsaro",
ejpoivÉhse ÔRestitoÉu'ta pavtrwÉni kai; kaqhgÉhth'/ ajgaÉqw'/ kai; ajxivw:/ É e[zh e[th É pb v. Dubita dei le-
gami fra Restituta e la professione medica Korpela, Medizinalpersonal, cit., p. 166, n°66, mentre
valorizza pienamente la testimonianza Buonopane, Medicae, cit. pp. 120-121.
464 W. Peek, Griechische Versinschriften, Berlin 1955, n°2040 = H.W. Pleket, Epigraphica II.
Texts on the Social History of the Greek World, Leiden 1969, pp. 32-33, n°20 = Ferrandini
Troisi, Donna, cit., pp. 21-22; cf. anche Cilliers - Retief, Helende hand, cit., pp. 57-58.
465 MAMA VII, 566 = Robert in Firatli, Stèles funéraires, cit., p. 177, da Gdanmaa. Agli esempi
sopra ricordati si aggiunga l’iscrizione urbana inedita citata da V. Nutton, Recensione a Korpela,
Medizinalpersonal, cit., «Medical History», 32 (1988), p. 285 e ripresa da Flemming, Medicine,
cit., p. 386, n°9, epitafio comune di L. Naevius ((mulieris)) l. Philippus, medicus chirurgus, e d i
Naevia ((mulieris)) l. Clara, medica philologa; tra i due personaggi, colliberti, non è irragione-
vole pensare esistesse un sodalizio affettivo oltre che professionale.
466 Vd. per esempio Minucia ((mulieris)) l. Asste di CIL VI, 9615; Venuleia ((mulieris)) l. Sosis
di CIL VI, 9617; Naevia ((mulieris)) l. Clara di Nutton, «Medical History», 32 (1988), p. 285;
Restituta di IG XIV, 1751, citata supra, nota 463; Iulia Sophia, Isidori Ti. Caesaris Augusti l.
liberta di AE 1972, 83 = Rowland, Some New medici, cit., p. 179, n°437 da Anacapri; Octavia A. l.
Artemisia di CIL XI, 6394 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum I, cit., pp. 330-331, n°109 da
Pisaurum.
216 Parte II. I documenti

schiava467 e di donne di nascita ingenua468; numerosi come sempre i casi incerti,


in cui è difficile determinare con certezza lo statuto sociale di una donna con i
duo nomina, per la mancanza sia del patronimico come dell’indicazione del pa-
tronato; tuttavia, in ragione dell’onomastica è probabile che almeno in qualche
caso ci troviamo di fronte a donne di nascita libera469; ben poco si può dire poi
riguardo la condizione giuridica della donne medico note da iscrizioni tardoanti-
che, per le caratteristiche stesse dell’onomastica in quell’età470.
In conformità a quanto è noto per i loro colleghi maschi, anche le medi-
cae sembrano aver raggiunto in qualche caso una discreta agiatezza economica.
Per quanto concerne la documentazione epigrafica è il caso di ricordare la co-
struzione a proprie spese di un monumento da parte della medica Metilia
Donata di Lugdunum, il cui fasto, almeno a giudicare dall’imponenza e
dall’accuratezza dell’iscrizione relativa, ha indotto J. Rougé a dubitare che la
fonte di tanta ricchezza fosse l’esercizio della medicina e ad ipotizzare che
Donata fosse piuttosto una dama di ricca famiglia, che si dilettava nello studio
dell’arte medica; tuttavia, in considerazione della scarsa propensione fra le classi
alte del mondo romano ad eternare il ricordo della propria attività nelle
iscrizioni e della laconicità del testo di Lugdunum, nel quale evidentemente
trovarono posto solo le informazioni sentite come assolutamente necessarie,
inclino piuttosto a pensare, con D. Gourevitch e J. André, che l’epigrafe lionese
sia testimonianza di un successo economico e di un rilievo sociale in primo

467 Vd. per esempio Melitine di CIL VI, 6851; Secunda di CIL VI, 8711 = ILS 7803.
468 Per esempio avevano la cittadinanza romana Primilla, L. Vibi Melitonis f. di CIL VI, 7581 =
ILS 7804 e Asyllia L. f. Polia di CIL VIII, 24679 da Cartagine. Peregrine di libera condizione do-
vevano essere per esempio Ambata Placidi f. di J.A. Abásolo Alvárez, Epigrafía romana de l a
región de Lara de los Infantes, Burgos 1974, p. 73, n°81 = Rémy, Péninsule ibérique, cit., pp.
347-348, n°19 e p. 363, fig. 16, da Lara de los Infantes, Antioci;" Diodovtoªuº di TAM II, 595 =
Pleket, Epigraphica II, cit., pp. 27-28, n°12 da Tlos, e forse, la medica il cui nome è andato per-
duto in CIL XIII, 4334 = Rémy, Gaule, cit., p. 145, n°24, con p. 146, fig. 19, da Divodurum, al-
meno a giudicare dal patronimico Sa[c]rini fil(ia), proposto da CIL; la recente revisione del te-
sto da parte di B. Rémy non autorizza questa restituzione, anche se le condizioni della pietra po-
trebbero essere peggiorate dopo l’edizione del CIL. Al dossier si può aggiungere Mou'sa
∆Agaqoklevou" di Firatli, Stèles funéraires, cit., pp. 96-97, n°139, con l’importante commento d i
L. Robert, ivi alle pp. 175-178; l’iscrizione di Musa risale peraltro al II - I sec. a.C.
469 Tra questi casi incerti ricordo, a Roma, Iulia Pye di CIL VI, 9614 e Terentia Prima di CIL VI,
9616; Scantia Redempta di CIL X, 3980 = ILS 7805 da Capua; Sentia Elis di CIL V, 3461 da Ve-
rona, ove tuttavia la relazione di contubernium con C. Cornelius Meliboeus depone a favore d i
una condizione libertina della donna (così Gummerus, Ärztestand, cit., p. 73, n°273; Kudlien,
Stellung des Arztes, cit., p. 132); Iulia Saturnina di CIL II, 497 = ILS 7802 = Rémy, Péninsule
ibérique, cit., pp. 328-330, n°4 e p. 357, fig. 4, da Emerita; Flavia Hedone di CIL XII, 3343 =
Rémy, Gaule, cit., p. 126, n°5, da Nemausus; Metilia Donata di CIL XIII, 2019 = Rémy, Gaule,
cit., pp. 138-139, n°18, con fig. 15, da Lugdunum.
470 Tra di esse si possono ricordare Sarmanna di AE 1937, 17 = Rowland, Some New medici, cit.,
p. 176, 410 = Rémy, Germanie, cit., pp. 150-151, n°13, con p. 171, fig. 6, da Gondorf, nella Ger-
mania superior; Swsavnna di IG III, 3452 da Atene; ∆Amazovnh, la cui iscrizione funeraria da Bi-
sanzio è segnalata da Robert in Firatli, Stèles funéraires, cit., p. 177; Basilou'" di MAMA III,
269 = CIG 9164 da Korykos; Qevkla di CIG 9209 da Seleucia, in Cilicia. Sulla condizione so-
ciale delle medicae vd. ora Buonopane, Medicae, cit., pp. 123-125, con un grafico riassuntivo.
Parte II. I documenti 217

luogo dovuto al lavoro471. A questo documento si può aggiungere, dalla parte


orientale dell’Impero, l’iscrizione di Antiochide figlia di Diodoto, di Tlos, che,
vista riconosciuta la propria perizia nell’arte medica dall’assemblea popolare e
dal consiglio della sua patria, si eresse a proprie spese una statua472.
A tale posizione economica in qualche caso fa riscontro una valutazione
sociale delle medicae che appare superiore a quella delle donne impegnate in
mestieri diversi: se ne ha riscontro anche nelle testimonianze epigrafiche, dove
tuttavia l’apprezzamento nei confronti della perizia professionale è quasi sem-
pre accompagnato dall’elogio delle tradizionali virtù femminili: si possono ri-
cordare i casi di Giulia Saturnina, ricordata dal marito Cassio Filippo come me-
dica optima, ma anche come uxor incomparabilis e mulier sanctissima473 o
ancora l’epitafio posto dai genitori a Scantia Redempta, la quale, nonostante
fosse morta in giovane età, aveva saputo primeggiare nell’arte medica ed aveva
riassunto in sé molte di quelle qualità che da una donna romana si attende-
vano474; questa breve rassegna può chiudersi ricordando ancora una volta
l’epigramma funebre di Pantia, di cui il marito Glicone sottolinea in primo
luogo la bellezza, la saggezza e la castità, il fatto di avergli dato dei figli e la sua
attenzione per le cure familiari, infine il fatto di non essere inferiore a lui stesso
nell’arte medica, sebbene donna: una notazione che ci permette di comprendere
come nel mondo di Glicone e Pantia fosse del tutto naturale pensare che le

471 CIL XIII, 2019 = Rémy, Gaule, cit., pp. 138-139, n°18: Metilia Donata, medic[a], / de sua
pecunia dedit. / L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum). Cf. J. Rougé, Une inscription de “méde-
cin” au Musée de Lyon. CIL XIII, 2019, «Centre Jean Palerne. Memoires III. Médecins et Méde-
cine dans l’Antiquité», a cura di G. Sabbah, Saint-Etienne 1982, pp. 165-170, partic. pp. 167-
168, con le considerazioni di Gourevitch, Le mal d’être femme, cit., p. 225 e di André, Médecin,
cit., p. 132. Sull’iscrizione di Metilia Donata vd. inoltre D’Amato, Medicina, cit., pp. 39-40;
Buonopane, Medicae, cit., pp. 115; 126-127.
472 TAM II, 595 = Pleket, Epigraphica II, cit., pp. 27-28, n°12 = Ferrandini Troisi, Donna, cit.,
pp. 17-18 da Tlos: Antioci;" Diodovtoªuº, É Tlwi;", marturhqei'Ésa uJpo; th'" Tlwevwn É boulh'" kai;
tou' dhvÉmou ejpi; th'/ peri; É th;n ijatrikh'n tevÉcnhn ejnpeiriva,/ É e[sthsen to;n ajnÉdriavnta eJauth'". Sul
personaggio vd. J. Benedum, Antiochis 8, «P.W», Suppl. XIV (1974), coll. 48-49; Arata, Donne-
medico, cit., pp. 16-17; Cilliers - Retief, Helende hand, cit., pp. 56-57. Riguardo al successo eco-
nomico delle donne medico Buonopane, Medicae, cit., pp. 125-127 conclude che la maggior
parte di esse dovette attestarsi su un livello medio, se non medio-basso.
473 CIL II, 497 = ILS 7802 = Rémy, Péninsule ibérique, cit., pp. 328-330, n°4.
474 CIL X, 3980 = ILS 7805 da Capua: Scantiae Redemptae in/comparabilissimae feminae,
que/ius de vitae documenta non sufficit / mediocritas hominum at cumulum laudis / pervenire.
Fuit namque iuvenis ista / omni genere laudis condigna: primo deificae / sanctitatis pudicitiae,
vallata honestate morum / [or]nata vel [in]nata; piaetas (!) in parentibus procliva; castitate
inlustris /[t]enacitatis; magistra ver[e]cundiae; antistis disciplin[ae in] / medicina fuit et
innocentiae singularis / [t]alis fuit, ut esset exemplum; matrimoni fuit t[alis], / ut contemneret
iuventutem; nam maritus am[isit] / coiugem familiarem salutis et vitae suae nut[ric(em)]. / Haec
vixit anni XXII, mensibus X. / Fl(avius) Tarentinus et Scantia Redempta, / parentes, filiae
dulcissimae / sibique fecerunt. Su questo documento vd. ora Chioffi, Capuanae, cit., pp. 164-
167.
218 Parte II. I documenti

donne stessero sempre un passo indietro rispetto agli uomini, anche


nell’esercizio della medicina475.
Il dedicante dell’iscrizione sepolcrale è il marito di Sabina, Q. Iulius
Atimetus; l’onomastica del personaggio permette, in via di ipotesi, di suggerire
che Sabina ed Atimeto fossero colliberti affrancati dal medesimo patrono, o an-
che che la medica fosse stata liberata da Atimeto ed avesse contratto matrimo-
nio con il suo ex padrone476. Il grecanico Atimetus è attestato nel Piceno a To-
lentinum da una lacunosa iscrizione, probabilmente di carattere sepolcrale477 e a
Firmum, su instrumentum478. Il nome è ben diffuso anche tra servi e liberti
nella documentazione dell’Urbe479.
Immagine: Tav. XVII. Gentili, Osimo, cit., p. 223, tav. 109b; cf. anche
Diebner, Sfera dei sepolcri, cit., p. 93, fig. 14; Prosperi Valenti, Un esemplare
inedito, cit., tav. XV.

475 Peek, Griechische Versinschriften, cit., n°2040 = Pleket, Epigraphica II, cit., pp. 32-33, n°20
= Ferrandini Troisi, Donna, cit., pp. 21-22 da Pergamo: Cai're, guvnai Pavnqeia, É par j ajnevro", o} "
meta; moi'ran É sh;n ojloou' qanavtou pevnqo" a[laston e[cw. Ouj gavr pw toivÉen a[locon zugivh i[den
”Hrh É ei\do" kai; pinuthvn hjde; saofroÉsuvnhn: aujthv moi kai; pai'da" ejgeivÉnao pavnta" oJmoivou",
aujth; kai; É gamevtou khvdeo kai; tekevwn É kai; bioth'" oi[aka kaqeuquvneske" É ejn oi[kw/ kai; klevw"
u{ywsa" xuÉno;n iJhtorivh", oujde; gunhvi per É ejou'sa ejmh'" ajpoleivpeo tevcnh"…; cf. Von Staden,
Character and Competence, cit., p. 160; Arata, Donne-medico, cit., pp. 17-19; Buonopane, Medi-
cae, cit., pp. 113-115.
476 Quest’ultima ipotesi è sostenuta da Gentili, Auximum, cit., p. 38; entrambe le possibilità
sono prese in considerazione da Hirt, Statut social, cit., p. 98.
477 G. Paci, Magister municipi in una nuova iscrizione da Tolentino e supplemento epigrafico
tolentinate, «Settima miscellanea greca e romana», Roma 1980, pp. 521-522, n°9 = Suppl. It.,
n.s. 11, pp. 78-79, n°13 = AE 1993, 606.
478 CIL IX, 6081, 8.
479 Vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., II, pp. 900-902; Sklavennamen, cit., I, pp.
461-462. Almeno due personaggi con questo nome che appaiono a Roma sono legati
all’ambiente medico: il primo era uno schiavo del celebre medico di Augusto Cassio, che, alla
morte di questi, passò per testamento a Tiberio, vd. Scrib. Larg., 120: Nam Cassii medici colice
bona, multis nota propter effectus, vera haec est, ut ab eius servus Atimeto accepi, legato
Tiberii Caesaris, quia is eam solitus erat ei componere; cf. PIR2 A 1314; il medesimo perso-
naggio compare con il nome di Admetus in Marcell., med., 29, 5. Il secondo è un medicus, vero-
similmente di condizione servile, noto dal suo epitafio CIL VI, 8896. Niente autorizza tuttavia a
supporre che la parziale omonimia con il personaggio di Auximum non sia dovuta ad una sem-
plice coincidenza, legata alla frequenza del nome nella nostra documentazione.
Parte II. I documenti 219

Auximum 10

Edizione di riferimento: CIL IX, 5858.


Altre edizioni: Gentili, Auximum, cit., p. 158, n°h10; Prosperi Valenti, Un
esemplare inedito, cit., p. 79, n°29.
Bibliografia: Gentili, Auximum, cit., pp. 37; 124; Delplace, Romanisation,
cit., p. 99, n°19; p. 112, n°50; p. 195.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne ritrovata in contrada Cesa, nella
frazione di S. Stefano del comune di Osimo, lungo il percorso del tratto della via
Flaminia che univa Auximum ad Ancona480. Da notare che nella medesima lo-
calità vennero rinvenuti i resti di un insediamento rustico ed alcune tombe481.
Luogo di conservazione: l’iscrizione sembra già perduta ai tempi della com-
pilazione della scheda del CIL, che si fonda unicamente sulla tradizione erudita
del testo.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito viene dalla tradizione eru-
dita registrata in CIL IX, 5858. Il facsimile del manoscritto epigrafico
dell’archivio Valenti pubblicato da Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit.,
p. 78 mostra un blocco parallelepipedo, che pare simile a quello che accolse
l’epitafio del seviro di Osimo [C.] Baianius C. l. Auctus482.
Mestiere: scriba.
Datazione: il formulario, con il nome del defunto in caso dativo, induce a da-
tare l’epitafio almeno verso la metà del I sec. d.C., anche se l’assenza
dell’adprecatio ai Mani consiglia di non scendere troppo oltre tale periodo.
Testo: L(ucio) Feronio L(uci) f(ilio) Vel(ina tribu) Ru[fo], / scribae. / L(ucius)
Feronius Amphio [pater], / Ammea Iocunda m[ater].
Commento
Si tratta di una semplice iscrizione sepolcrale, posta allo scriba L. Feronio
Rufo dai genitori. Il defunto, come suggerisce la formula onomastica completa
del patronimico e del ricordo della tribù, era di nascita ingenua. Purtroppo
l’iscrizione non specifica in quale branca dell’amministrazione privata o pub-
blica L. Feronio Rufo lavorasse come scriba; in considerazione del suo statuto
giuridico preferirei pensare ad un suo impiego nel settore pubblico, dove di re-
gola incontriamo individui di nascita libera, mentre non è raro trovare tra i se-
gretari privati degli schiavi483.

480 Cf. Gentili, Auximum, cit., p. 124; Delplace, Romanisation, cit., p. 99, n°19; p. 112, n°50; p.
195 e nota 876.
481 Gentili, Auximum, cit., p. 124, che accenna alla possibile presenza di una villa rustica;
Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit., p. 335, n°228; Delplace,
Romanisation, cit., p. 99, n°19; p. 113, n°50.
482 CIL IX, 5846 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 87, n°37 e tav. XXV; cf. anche
Gentili, Osimo, cit., p. 162, n°20 e p. 199, tav. 85c.
483 Vd. a questo proposito Kornemann, Scriba, cit., coll. 849-850. Per la bibliografia sugli scribi
vd. supra, p. 155, nota 210. Per gli altri scribi attestati nel Piceno vd. Asculum 4, Asculum 5,
Cingulum 1 e Hadria 1.
220 Parte II. I documenti

La gens Feronia è altrimenti nota nel Piceno settentrionale: dall’area di


S. Vittore di Cingoli, e più precisamente dalla località di Staffolo, viene infatti
un’iscrizione che ci ricorda un Q. Feronius Q. f. Vel. Clemens (CIL IX,
5735)484; per quanto concerne il resto della regione, il gentilizio è noto ad Inte-
ramnia485.
Il cognome del defunto, lacunoso, deve probabilmente essere integrato
Ru[fo], secondo il suggerimento di T. Mommsen, in considerazione della grande
diffusione che questo cognomen ha anche nell’epigrafia del Piceno486. Tuttavia,
in mancanza di dati certi sulla lacuna nella parte destra del testo sono possibili
anche Rufillus487 e Rufinus488 o ancora il meno comune Rufio489, per ricordare
solo i cognomina altrimenti attestati nella regio V.
Il padre dello scriba porta un diffuso cognome grecanico, Amphio, di cui
tuttavia possediamo una sola attestazione nel Piceno, oltre alla presente: ad
Asculum, ove è noto un T. Lorenius T. l. Amphio (CIL IX, 5256)490. Il carat-
tere della sua onomastica ed il fatto che, a differenza del figlio, L. Feronius
Amphio non ricordi né la tribù di appartenenza, né il proprio patronimico, in-
ducono a prendere in considerazione l’ipotesi che egli non fosse di nascita li-
bera; si deve peraltro ricordare che in genere nell’epigrafia funeraria
l’onomastica dei dedicanti è meno dettagliata di quella dei defunti.
Di un certo interesse il gentilizio della madre di L. Feronio Rufo, Ammea,
non altrimenti attestato nel Piceno e che si deve considerare variante del più
corretto Ammaeus. Le poche altre attestazioni in Italia rimandano a Roma491 e
al territorio di Parentium492. Incerto il rapporto con il gentilizio A(m)maus,
noto in due casi a Superaequum, nella vicina regione IV493; certo entrambi i
nomina derivano da una comune radice amm- che è stata molto produttiva
nell’onomastica antica.

484 Dalla stessa S. Vittore proviene un testo frammentario nel quale si può forse riconoscere u n
Cn. Fer[onius ---], cf. G. Paci, Nuove iscrizioni romane da S. Vittore di Cingoli, «Picus», 6
(1986), pp. 115-117 = Suppl. It., n.s. 8, pp. 83-84, n°8 (= AE 1991, 618).
485 CIL IX, 5071 = ILS 6563, frammentaria iscrizione nella quale è attestata almeno una donna
appartenente alla gens; cf. ancora CIL IX, 5104: Feronia [---]a; 5141: L. Feronius L. l. Salvius.
486 Per le attestazioni vd. supra, p. 125, nota 83.
487 Nel Piceno attestato a Falerio: [Q.] Veltius Q. l. Rufillus (CIL IX, 5625).
488 A Cluana: [---]us Rufinus (Gasperini, Spigolature (V), cit., pp. 51-54, n°10 = AE 1990, 308);
a Falerio: C. Coponius Rufinus (CIL IX, 5473); ad Interamnia: Rufinus, figlio di C. Capiva
Vitalis (CIL IX, 5016 = Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 39-40, n°15); ad Urbs Sal-
via: [Nu]misius Rufinus (CIL IX, 5542).
489 A Firmum: M. Eppius M. l. Rufio (CIL IX, 5388).
490 Sulla diffusione del nome a Roma vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, pp.
459-461, che registra 93 attestazioni; cf. anche III, p. 1342 (caso incerto) e p. 1357 (secondo
nome di uno schiavo).
491 CIL VI, 21525: Ammea Eutychis e Lucceius Ammaeus Abascantus (Luceius Ammeus
Abascantus, secondo una diversa tradizione manoscritta registrata da CIL VI, 34137a); 33686:
Ammaea Amoebe e Sex. Ammaeus Stepanus; 35188: Ammaea Synerusa.
492 CIL V, 398 = InscrIt X, II, 243: T. Ammaeus L. f. Priscus.
493 CIL IX, 3312 e Suppl. It., n.s. 5, pp. 107-108, n°3.
Parte II. I documenti 221

Minori problemi desta il cognome Iocunda, semplice variante di Iucunda,


che nel Piceno compare anche nella forma maschile a Ricina494 e su di una
etichetta plumbea da Pausulae495.
Immagine: Tav. XVIII. Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 78, a-
pografo da un manoscritto epigrafico dell’archivio Valenti di Trevi.

494 CIL IX, 5782: Tusidius Iucundus.


495 S.M. Marengo, Etichette plumbee ed altro instrumentum iscritto su metallo da varie località
del Maceratese, «Picus», 9 (1989), p. 41, n°2 (= AE 1992, 527 a-b).
222 Parte II. I documenti

Auximum 11

Edizione di riferimento: CIL IX, 5836.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, III, p. 420, n°1610; Gentili, Auximum, cit.,
p. 151, n°d13; Id., Osimo, cit., p. 158, n°8; Grillantini, Storia, cit., pp. 56-57,
n°5; E. Forbis, Municipal Virtues in the Roman Empire. The Evidence of Italian
Honorary Inscriptions, Stuttgart - Leipzig 1996, p. 177, n°273; Prosperi
Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 45, n°8.
Bibliografia: J. Klass, Plotius 8, «P.W.», XX, 1 (1951), coll. 594-595; Gentili,
Auximum, cit., pp. 40-41; H.-G. Pflaum, Les carrières procuratoriennes éque-
stres sous les Haut-Empire romain, Paris 1960-1982, I, pp. 360-361, n°152; G.
Clemente, Il patronato nei collegia dell’impero romano, «SCO», 21 (1972),
pp. 187-188; H. Devijver, De Aegypto et exericitu romano sive prosopographia
militiarum equestrium quae ab Augusto ad Gallienum seu statione seu origine
ad Aegyptum pertinebant, Lovanii 1975, p. 125, n°15; Prosopographia, cit., I,
pp. 649-650; IV, p. 1683496; V, p. 2203, n°P48; R. Duthoy, Les profil social
des patrons municipaux en Italie sous le Haut-Empire, «AncSoc», 15-17
(1984-1986), p. 148, n°297; Gentili, Osimo, cit., p. 35; Delplace, Ro-
manisation, cit., p. 234; PIR2 P 509.
Luogo di ritrovamento: Osimo, dal foro della città romana497.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del palazzo comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: grande base in marmo con una cornice in forte aggetto,
mancante oggi del piede. La pietra presenta diverse scheggiature, che interes-
sano anche lo specchio epigrafico, ma che tuttavia non pregiudicano in alcun
modo la lettura.
Collegio: collegium centonariorum.
Datazione: gli sviluppi della carriera militare dell’onorato Q. Plozio Trebellio
Pelidiano, analizzati infra nel commento, lasciano pensare che l’iscrizione sia
all’incirca coeva alla base in onore di C. Oppio Basso, posta nel 137 d.C., con la
quale il monumento qui analizzato presenta molte analogie498, forse legger-
mente anteriore a quella, piuttosto che posteriore499.
Testo: Q(uinto) Plotio Maximo / Col(lina tribu) Trebellio Peli/diano, equo
p(ublico), / trib(uno) leg(ionis) II Traian(ae) Fort(is), / trib(uno) coh(ortis)

496 Ma qui errato il riferimento a ILS 6574 che corrisponde non a CIL IX, 5836, ma a CIL IX,
5856.
497 Cf. lemma di CIL IX, 5836.
498 Vd. infra, pp. 230-233, l’iscrizione Auximum 12.
499 Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°67; p. 173, n°67 suggerisce invece una datazione al pe-
riodo seguente il 137 d.C; vd. tuttavia anche p. 186, dove il documento è datato all’età traianea;
cf. anche Gentili, Osimo, cit., p. 158: presumibilmente nella prima metà del II sec. d.C.; Duthoy,
Profil, cit., p. 148, n°297 colloca Pelidiano nel periodo III della sua prosopografia, nel quale fa
rientrare i documenti databili agli imperi di Nerva, Traiano ed Adriano e quelli grosso modo
ascrivibili alla prima metà del II sec. d.C; cf. anche Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 177, n°273:
96-138 d.C.
Parte II. I documenti 223

XXXII Volunt(ariorum), / trib(uno) leg(ionis) VI Victricis, / proc(uratori)


Aug(usti) pro magistro / XX hereditatium, / praef(ecto) vehiculor(um), /
q(uin)q(uennali), p(atrono) c(oloniae) et suo, pont(ifici). / Colleg(ium)
cent(onariorum) Auximat(ium) / ob eximium in muni/cipes suos amorem. /
L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
l. 2: Coll(ina) Grillantini.
l. 4: il numerale è sopralineato. Fortis Grillantini.
l. 5: il numerale è sopralineato.
l. 6: il numerale è sopralineato.
l. 8: il numerale è sopralineato.
l. 10: QQ di q(uin)q(uennalis) è sopralineato. pon(i)t Waltzing.
l. 14: L(oco) d(ato) d(ecreto) d(ecurionum) Gentili, Prosperi Valenti.
Interpunzioni in forma di triangolo, con vertice verso destra (tranne che
all’ultima linea, ove hanno una forma piuttosto simile ad una coda di rondine,
con vertice verso l’alto), utilizzate con una certa regolarità per dividere le pa-
role, tranne che in termine di riga e a l. 1 tra Plotio e Maximo, a l. 2 tra
Trebellio e Peli/diano e tra equo e p(ublico), a l. 3 tra Aug(usti), pro e magi-
stro, a l. 12 (ove ogni segno di interpunzione sembra completamente assente).
Commento
Si tratta dell’iscrizione onoraria posta dal collegium centonariorum di
Auximum al suo patrono Q. Plozio Massimo Trebellio Pelidiano500.
Pelidiano intraprese una carriera nelle milizie equestri, rivestendo in
primo luogo il tribunato della II legione Traiana, probabilmente verso il 107 e il
113 d.C., quando la legione doveva essere di stanza nella Mesia inferiore, prima
del suo trasferimento in Egitto501; ebbe poi il comando della cohors XXXII Vo-
luntariorum nella Germania superiore e fu tribuno della VI legione Victrix nella
Germania inferiore.
Dopo queste esperienze nell’esercito Pelidiano si volse al settore
dell’amministrazione imperiale, divenendo procurator Augusti pro magistro per
il comparto fiscale relativo alla XX hereditatium, un incarico di livello sessage-
nario che egli verosimilmente rivestì nei primi anni dell’impero di Adriano502, e
infine praefectus vehiculorum, funzione di grado centenario.
Ritiratosi ad Auximum, il personaggio si dedicò ad una carriera politica a
livello locale che lo portò a rivestire il pontificato503, fino a divenire quin-
quennalis; dal momento che ad Auximum la massima magistratura sembra es-

500 Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°67; p. 173, n°67.


501 Pflaum, Carrières, cit., I, pp. 360-361; cf. Devijver, De Aegypto, cit., p. 123, n°15; Id., Proso-
pographia, cit., III, p. 650, con riferimento anche a E. Ritterling, Legio, «P.W», XII, 2 (1925), coll.
1484-1486.
502 Pflaum, Carrières, cit., I, p. 361; cf. Devijver, Prosopographia, cit., III, p. 650; PIR2 P 509.
503 Attestato ad Auximum, oltre che dalle iscrizioni in onore di Pelidiano (vd. infra, p. 239, Au-
ximum 14) da CIL IX, 5831 ( = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp.
164-167), Gentili, Auximum, cit., p. 154, n°e3 e, forse, da CIL IX, 5853; cf. Delplace, Romanisa-
tion, cit., p. 234. Erroneamente Klass, Plotius 8, cit., coll. 594-595 riferisce il pontificato come la
quinquennalitas di Pelidiano ai soli collegi dei fabbri e dei centonari.
224 Parte II. I documenti

sere stata la pretura, dovremo intendere questa carica come forma abbreviata di
praetor quinquennalis504.
Il gentilizio Plotius è attestato ad Auximum dall’iscrizione CIL IX, 5862,
per il faber tignuarius C. Plotius C. l. Alexander505. La notevole distanza cro-
nologica tra le due testimonianze (l’epitafio di C. Plozio Alessandro si colloca
probabilmente nei primi decenni del I sec. d.C.), come la diversa condizione so-
ciale non consente di avanzare ipotesi circa un eventuale rapporto tra i due per-
sonaggi. Secondo G.V. Gentili506 la gens di appartenenza di Q. Plozio Massimo
Trebellio Pelidiano era la medesima dalla quale proveniva C. Plautius C. f.
Rufus, legatus pro praetore, noto da un’iscrizione onoraria postagli dalle ceivi-
tates Siciliae con la motivazione provincia defensa507, che a sua volta lo stu-
dioso suggerisce di identificare con un omonimo personaggio noto ad Auximum
per aver detenuto per due volte la massima carica cittadina di praetor508. Nono-
stante lo scambio fra i gentilizi Plautius e Plotius sia un fenomeno frequente in
età tardorepubblicana ed imperiale509, l’ipotesi è tutt’altro che accertata: in
particolare desta perplessità il fatto che Pelidiano, nonostante potesse chiamare
municipes sui i cittadini di Auximum ed avesse rivestito la massima carica citta-
dina, fosse iscritto alla tribù Collina e non alla consueta Velina510; questa circo-
stanza lascia quanto meno pensare che la famiglia di Pelidiano non fosse origi-
naria di Osimo.
Nell’onomastica osimate è altrimenti attestato anche il secondo gentilizio
del personaggio, Trebellius511, mentre è del tutto ignoto il cognome Pelidianus,
così come il nomen Pelidius, dal quale sembra derivare512.

504 Per le altre attestazioni di praetores ad Auximum vd. CIL IX, 5838; 5839 (sulla quale vd. in-
fra, pp. 222-229, Auximum 12); 5841 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., pp. 173-175; 5845 = ILS 3775 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., pp. 178-180; CIL IX, 5849; 6377; il titolo di pr(aetor) i(ure) d(icundo) si incontra in CIL
IX, 5840 = ILS 2085 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 170-173;
un pr(aetor) q(uin)q(uennalis) in CIL IX, 5843 (sulla quale vd. infra, pp. 234-238, Auximum
13); q(uin)q(uennales) nude dicti anche in CIL IX, 5831 ( = Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., pp. 164-167); cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 72.
505 Su questa iscrizione vd. supra, pp. 200-204, Auximum 6; cf. anche p. 200, note 411-413, per
le altre attestazioni del nomen Plotius nel Piceno.
506 Gentili, Auximum, cit., p. 40; Id., Osimo, cit., p. 158.
507 CIL IX, 5834 = Gentili, Auximum, p. 148, n°d 2; Id., Osimo, cit., p. 157, n°3.
508 CIL IX, 6384 = Gentili, Auximum, p. 148, n°d 3; Id., Osimo, cit., p. 177, n°75; cf. tuttavia le
serie obiezioni all’ipotesi avanzate da Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 237. Sul perso-
naggio vd. ora anche Andermahr, Totus in praediis, cit., p. 383, n°407, con la bibliografia ivi ci-
tata.
509 Cf. M. Hofmann, Plautius, «P.W.», XX, 1 (1951), col. 1.
510 Cf. anche PIR2 P 509.
511 CIL IX, 5868: Trebellia, moglie di M. Detellius Trophimus qui et Fortunatus. Il nomen sem-
bra essere sconosciuto nelle altre comunità della regio V.
512 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 160; Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 140 con ri-
ferimento a CIL XI, 6459 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum I, cit., pp. 417-418, n°186, ri-
cordano la possibile integrazione [P]elidia, ma anche l’alternativa [Ca]elidia, accolta da Cresci
Marrone - Mennella, loc. cit.
Parte II. I documenti 225

I legami di Pelidiano con Auximum, oltre che dalle cariche municipali da


lui detenute, sono confermati dal patronato assunto sulla stessa comunità pi-
cena513 come sui collegi dei centonarii e dei fabri, secondo quanto tramanda una
base gemella a quella che si sta esaminando (vd. infra, p. 239, Auximum 14).
L’associazione del patronato sulla comunità cittadina a quello su di un collegio
di mestiere è fenomeno abbastanza noto nelle comunità dell’Italia romana ed è
attestato in particolare per i magistrati municipali, come anche nel presente
caso514.
Il dibattito sulle associazioni professionali dei centonari ed il loro ruolo
nelle comunità del mondo romano ha prodotto una notevole bibliografia: dal
momento che si incontra il collegio per la prima volta nel corso della presente
indagine, credo sia opportuno riassumere brevemente i termini della questione.
Il nome di mestiere deriva chiaramente dai centones, panni creati cucendo in-
sieme pezzi di stoffa diversi che venivano adibiti ad usi differenti, come indu-
menti o coperte da parte delle persone di modesta condizione economica, come
gualdrappe per i cavalli, ma anche come protezione dal fuoco, secondo quanto è
attestato in un passo delle Historiae di Sisenna citato nel De compendiosa doc-
trina di Nonio Marcello515 ed è confermato da notazioni di Cesare516 e di
Vegezio517, nonché da un passo di Ulpiano citato nel Digesto518. È dunque in-
dubbio che, almeno in un primo momento, i centonarii erano coloro che confe-
zionavano e probabilmente vendevano questi centones. Le attestazioni indivi-
duali del mestiere nell’epigrafia di età tardorepubblicana ed imperiale sono tut-
tavia rarissime519, mentre le testimonianze relative ai collegia di centonari si

513 Cf. Duthoy, Profil, cit., p. 148, n°297.


514 Cf. Clemente, Patronato, cit., pp. 187-188. Anche nella regio V il fenomeno è ben attestato,
vd. infra, p. 126, Auximum 12 (C. Oppius C. f. Vel. Bassus, praetor ad Auximum e patrono della
comunità oltre che del collegio dei centonarii), p. 239, Auximum 14 (base gemella a quella che s i
sta esaminando, in cui è ricordato il patronato di Q. Plozio Trebellio Pelidiano sull’associazione
dei fabri), p. 330, Falerio 10 (T. Cornasidius Vesennius Clemens, patronus plebis oltre che dei
collegia dei fabri, dei centonarii e dei dendrophori), p. 478, Trea 4 (L. Naevius L. f. Vel. Fronto,
patronus municipi e dei collegia fabrum et centonariorum.
515 Non., II, p. 130, ll. 24-26 dell’edizione teubneriana curata da W.E. Lindsay, Nonii Marcelli de
compendiosa doctrina libros XX, Lipsiae 1903: Centones et cilicia. Sisenna Historiarum lib. IV:
‘puppis aceto madefactis centonibus integuntur, quos supra perpetua classi suspensa cilicia
obetenduntur’. Il passo è ripreso nella raccolta di H. Peter, Historicorum romanorum reliquiae, I,
Stutgardiae 19142, p. 291, fr. 107 che, invece di classi, accoglie la correzione ac laxe.
516 Caes., B.C., II, 10, 6: Super lateres coria inducuntur, ne canalibus aqua inmissa laters di-
luere posset. Coria autem, ne rursus igni ac lapidibus corrumpantur, centonibus conteguntur.
517 Veg., Mil., IV, 14: De materia ac tabulatis testudo contexitur, quae, ne exuratur incendio,
coriis vel ciliciis centonibusque vestitur; 15, a proposito delle vineae: extrinsecus autem, ne
inmisso concremeretur incendio, crudiis ac recentibus coriis vel centonibus operitur; cf. anche
17-18 sui centones come protezione per le torri d’assedio.
518 Dig., XXXIII, 7, 12, 18: Acetum quoque, quod extinguendi incendii causa paratur, item cen-
tones sifones …. Per una completa rassegna delle testimonianze relative ai centones e al loro uso
si rimanda a F.X. Burger, Cento, «TLL», III, coll. 820-821; cf. anche R. Sablayrolles, Libertinus
miles. Les cohortes des vigiles, Rome 1996, pp. 359-360.
519 Cf. per esempio CIL VI, 33837 = ILS 7242, una lastra marmorea nella quale trovano posto tre
epitafi, tra i quali due concernenti centonarii: M(arcus) Octavius M(arci) l(ibertus) / Attalus,
226 Parte II. I documenti

contano a centinaia, superate solo da quelle concernenti le associazioni dei fa-


bri. Tale contrasto ha indotto a vedere nei collegia centonariorum qualcosa di
diverso da semplici sodalizi di fabbricanti di panni. Il fatto che nelle testimo-
nianze in nostro possesso i collegi di centonari siano frequentemente associati a
quelli dei fabbri, per i quali è attestata la funzione di pompieri assolta nelle città
del mondo romano che non avevano apposite squadre di vigiles, e l’utilizzo dei
centones come protezione dal fuoco ha portato la maggior parte degli studiosi
ad ipotizzare che anche i centonarii facessero parte delle squadre incaricate di
lottare contro gli incendi520. L’ipotesi può trovare conferma nel fatto che a
Comum è nota una centuria centonariorum dolabrarium scalariorum, cioè una
sezione di collegio nella quale i centonari erano associati a coloro che utilizza-
vano le asce e le scale, due attrezzi di grande utilità nella lotta contro gli in-
cendi521.
Il problema è quello di sapere se l’associazione conservava ancora un
qualche contatto con l’originaria ars dalla quale aveva preso il nome, se dunque
almeno qualcuno dei suoi membri si occupava tuttora della produzione e della
vendita di centones522 o se queste attività fossero passate ad un altro gruppo di

centonar(ius) a turre Mamilia. // M(arcus) Octavius M(arci) [l(ibertus)] / Marcio, / mag(ister)


conleg(i) centon(ariorum). L’iscrizione è commentata infra, p. 227. Una nuova attestazione è
stata recentemente ipotizzata da G. Alföldy, CIL VI, p. 4769 per l’iscrizione CIL VI, 3860 =
31859, riedita da H. Solin - M. Kajava, Iscrizioni urbane a Veroli, «Epigraphica», 55 (1993), pp.
67-68 ( = AE 1993, 131): lo studioso ritiene in effetti probabile che il C. Numisio Nepote che
pose l’iscrizione sepolcrale al fratello C. Numisio Verissimo fosse un cent(onarius), ovvero u n
commerciante di centones, piuttosto che un cent(urio) (come sciolgono l’abbreviazione Solin -
Kajava, loc. cit.) o un cent(umvir).
520 Così per esempio O. Hirschfeld, Gallische Studien III. Der praefectus vigilum in Nemausus
und die Feuerwehr in den römischen Landstädten, «SAWW», 1884, pp. 239-247; ora in «Kleine
Schriften», Berlin 1913, pp. 96-111; Marquardt, Privatleben, cit., p. 719; W. Liebenam, Zur Ge-
schichte und Organisation des römischen Vereinswesens, Leipzig 1890, pp. 102-104; Waltzing,
Étude, cit., II, pp. 127-130; 205-207; IV, p. 51 (cf. Id., Collegium, «Diz. Ep.», II (1900), pp. 394-
395); G. Gatti, Centonarii, «Diz. Ep.», II (1900), p. 180; Brewster, Craftsmen, cit., pp. 80-82;
Loane, Industry, cit., pp. 73-75; De Robertis, Il fenomeno associativo, cit., p. 78 e nota 2; p. 138;
Jones, Economic Life, cit., pp. 44-45; E. Weber, Zur Centonarierinschrift von Solva, «Historia»,
17 (1968), p. 111; R. Palmieri, Un centonarius di Cales, «Epigraphica», 33 (1971), pp. 152-157;
F.M. Ausbüttel, Untersuchungen zu den Vereinen im Westen des römischen Reiches, Kallmünz
1982, pp. 73-75; Vittinghoff, Gesellschaft, cit., p. 209; Sablayrolles, Libertinus miles, cit., pp.
62-63 e nota 168; Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 54-56; cf. ibid., pp. 66-69 per i legami tra fa-
bri e centonarii; F. Boscolo, Due iscrizioni di tradizione manoscritta e il collegium centona-
riorum Comensium, «Patavium», 20 (2002), pp. 93-95. Van Nijf, Civic World, cit., p. 177 puntua-
lizza come l’impiego dei centones nella lotta contro le fiamme non dimostri che fossero proprio
i centonarii ad usarli a questo scopo.
521 CIL V, 5446, ora studiata da Boscolo, Due iscrizioni, cit., pp. 91-95.
522 Così per esempio ritengono Waltzing, Étude, cit., II, pp. 205-207, nota 1; Calderini, Arti e
mestieri, cit., p. 528; Brewster, Craftsmen, cit., pp. 80-82; Loane, Industry, cit., pp. 73-75, in par-
ticolare nella città di Roma, ove il servizio contro gli incendi era assicurato dai vigiles; Frank,
An Economic Survey, cit., pp. 203-204; Palmieri, Centonarius, cit., pp. 154-155; W.O. Moeller,
The Wool Trade of Ancient Pompeii, Leiden 1976, p. 28; Delplace, Romanisation, cit., p. 134 (in
riferimento al Piceno); Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas,
Trabajo, cit., p. 86; Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 54. Questa sembra essere la soluzione prefe-
Parte II. I documenti 227

lavoratori e i centonarii di età imperiale altro non erano che un corrispondente


dei vigiles di Roma523.
Una testimonianza epigrafica da Roma mi sembra indicare che i centona-
rii svolgevano effettivamente un’attività produttiva o commerciale ancora in
età tardo repubblicana o protoimperiale, periodo nel quale dovrebbe datarsi, in
base al formulario, l’iscrizione CIL VI, 33837 = ILS 7242; si tratta di un epita-
fio urbano nel quale compaiono i nomi di tre defunti, due dei quali centonarii, M.
Octavius M. l. Attalus, centonarius a turre Mamilia, e M. Octavius M. l. Marcio,
magister conlegi centonariorum. Indubbiamente l’associazione nella medesima
iscrizione sepolcrale con il magister Marcione suggerisce un’appartenenza di
Attalo al collegio524; ma mi pare altrettanto indubbio che Attalo non dovesse
essere semplicemente un membro delle squadre antincendio: l’indicazione del
luogo nel quale egli esercitava la propria attività, la turris Mamilia, mi sembra
dare senso solo se tale attività consisteva nella vendita, e con tutta
verosimiglianza anche nella produzione, di una merce, che naturalmente sarà da
identificare con i centones di cui si è detto.
Certo con questo non intendo sostenere che in età imperiale tutti i mem-
bri dell’associazione avessero realmente qualcosa a che fare con i centones:
l’ipotesi è esclusa dalla semplice circostanza che nel collegium centonariorum
appaiono talvolta anche personaggi che ricordano esplicitamente di esercitare
un mestiere diverso o di essere iscritti anche ad un’altra associazione professio-
nale, e dal fatto che nell’albo del collegio dei centonari di Flavia Solva com-
paiono ben 93 nomi, un numero assolutamente sproporzionato se tutti costoro
avessero realmente esercitato il mestiere di fabbricanti o venditori di stracci in
questa piccola comunità del Norico525.
Di fatto, tuttavia, nella ricchissima messe di testimonianze epigrafiche a
nostra disposizione per l’età di massima fioritura del fenomeno associativo, il II
sec. d.C., non emerge né l’una né l’altra caratterizzazione professionale dei
collegia di centonarii: nelle iscrizioni si manifestano quasi esclusivamente le fi-
nalità sociali di queste associazioni, quali per esempio la scelta di patroni ed il
conferimento a costoro di onori, la designazione di magistrati interni del colle-
gium, la celebrazione di feste e banchetti526.

rita da Boscolo, Due iscrizioni, cit., pp. 94-95, che tuttavia prende in attenta considerazione an-
che le ipotesi alternative.
523 Così Ausbüttel, Vereinen, cit., p. 74; Kneissl, Fabri, cit., pp. 141-143; la medesima linea è
sostanzialmente seguita da Vicari, Produzione, cit., pp. 12-13; 76, che ha escluso le testimo-
nianza del collegio dal suo studio sulla produzione tessile nel mondo romano.
524 L’argomentazione è sottolineata con forza da Kneissl, Fabri, cit., p. 142 per respingere le
ipotesi di chi vedeva in Attalo un centonarius, per così dire, indipendente.
525 Per queste argomentazioni vd. Ausbüttel, Vereinen, cit., pp. 74-75. L’iscrizione di Solva ci-
tata è pubblicata da ultimo da E. Weber, Die römerzeitlichen Inschriften der Steiermark, Graz
1969, pp. 199-207, n°149, ove bibliografia anteriore, e ripresa in ILLPRON 1450.
526 La documentazione epigrafica relativa ai collegia centonariorum venne raccolta in partico-
lare da Waltzing, Étude, cit., III, essenzialmente sulla base del Corpus Inscriptionum Latinarum;
cf. anche Gatti, Centonarii, cit., pp. 180-182. Dalla monumentale impresa del Waltzing le atte-
stazioni sono tuttavia molto aumentate di numero; per l’Italia vd. ora l’aggiornamento di G.
Mennella - G. Apicella, Le corporazioni professionali nell’Italia romana. Un aggiornamento a l
228 Parte II. I documenti

Notevole la motivazione che spinse il collegio dei centonari ad erigere


una base onoraria con statua a Pelidiano: ob eximium in municipes suos amo-
rem. Le recenti ricerche di Elizabeth Forbis527 hanno mostrato che il vocabolo
amor, frequente nel lessico dell’epigrafia onoraria latina, sta a designare una
sincera devozione da parte del benefattore nei confronti dei beneficiati, senza
che in tale atteggiamento si colga mai quel sentimento di obbligo che spesso è
sotteso nelle relazioni tra patroni e clienti; in questo l’espressione si differenzia
da altre che possiamo trovare in contesti simili, come ob beneficia, ob merita,
ob munificentiam528. Certo l’amor poteva poi concretarsi in atti di liberalità,
come la distribuzione di sportulae o di doni in natura, l’organizzazione di giochi
e feste o il finanziamento di un’opera di interesse pubblico529, anche se questo
non fu il caso di Q. Plozio Massimo Trebellio Pelidiano. Interessante anche no-
tare come l’amor fosse non solo la virtù propria di tutti i benefattori munici-
pali, a qualsiasi ordine essi appartenessero530, ma, di converso, anche il senti-
mento provato dalla collettività nei confronti di un evergete531, che spingeva
quest’ultimo ad impegnarsi per il bene comune: così per esempio in
un’iscrizione su mosaico da Falerio nella quale Erennio Repentino, provocatus

Waltzing, Napoli 2000, pp. 73-75. Le iscrizioni relative all’associazione nella penisola iberica
sono ora raccolte e studiate da Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., p. 44, nn. 57-59.
527 Forbis, Municipal Virtues, cit., pp. 46-50. Sul tema si vedano anche le considerazioni d i
Giardina, Amor civicus, cit., pp. 67-85; solo una breve rassegna di testimonianze in M.D.
Saavedra Guerrero, El elogio de las virtutes patronales en los municipio de la Italia altoimpe-
rial, «AC», 68 (1999), pp. 195-196. Per un’analisi del concetto di benevolentia nell’epigrafia
onoraria dell’Italia, concetto che presenta più di un punto di contatto con quello di amor, vd. ora
T. D’Errico, Benevolentia nelle testimonianze epigrafiche dell’Italia romana, «Epigrafia e
territorio. Politica e società. Temi di antichità romane», IV, a cura di M. Pani, Bari 1996, pp. 51-
73.
528 Nel Piceno vd. per esempio CIL IX, 5839 = Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 176, n°270, da
Auximum (sulla quale vd. infra, pp. 230-233, Auximum 12), dedica del collegio dei centonari al
patrono C. Oppio Basso ob merita eius; CIL IX, 5831 = Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 178,
n°275 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 164-167 sempre da Au-
ximum, nella quali i coloni onorano M. Oppio Capitone Q. Tamudio Milasio Aninio Severo o b
merita eius; a Cingulum CIL IX, 5684, dedica dell’ordo locale al palatinus Flavio Fortunio, o b
insignia eius merita; a Cupra Montana si segnala il frammento CIL IX, 5711, nel quale rimane
poco più che il semplice ricordo della formula ob meri[ta e]ius; CIL IX, 5359 = Forbis, Munici-
pal Virtues, cit., p. 179, n°278, da Firmum, dedica a M. Gavio Massimo [ob bene]ficia [---]; CIL
IX, 5357 = Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 179, n°279, da Firmum, in onore di T. Appalio
Alfino Secondo ob merita eius; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 786, n°106 =
Buonocore, Un’inedita testimonianza, cit., pp. 463-468 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp.
923-930) = AE 1998, 416 da Interamnia, nella quale si ricorda l’erezione di una statua a Numisia
Seconda Sabina ob munificentiam; EphEp VIII, 210 = ILS 7215 = Forbis, Municipal Virtues, cit.,
p. 179, n°281, da Truentum, iscrizione posta dai cultores Hercules universi ob merita Claudiae
Hedones et memoriam Ti(beri) Claudi Himeri fili eius.
529 Per alcuni esempi vd. la documentazione citata da Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 48, nota
9.
530 Casistica in Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 47, nota 8.
531 Vd. i casi registrati da Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 47 e nota 7.
Parte II. I documenti 229

amore civium suor(um), decide di intraprendere la costruzione di un’opera di


interesse pubblico a proprie spese532.
Per quanto concerne lo scioglimento della sigla l.d.d.d., questa non è mai
attestata per esteso nell’epigrafia di Auximum e del Piceno in genere, a quanto
mi risulta. Trascrivo l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum), piuttosto che
l(oco) d(ato) d(ecreto) d(ecurionum), seguendo quello che nel complesso ap-
pare l’uso più comune nell’antichità e la consuetudine più seguita dagli studiosi
moderni533.
Immagine: Tav. XIX. Gentili, Osimo, cit., p. 192, tav. 78b; cf. anche Id., Au-
ximum, cit., tav. XVII, a; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., tav.
VIII.

532 Moretti, Falerone. Mosaici romani, cit., pp. 127-132, sulla quale si veda infra, pp. 320-325,
Falerio 8.
533 Cf. M. Raoss, Locus, «Diz. Ep.», IV (1964-1967), pp. 1545-1547. Per una riflessione sull’uso
della formula, con particolare riferimento alla sua comparsa nelle iscrizioni funerarie, si veda ora
M. Antico Gallina, Locus datus decreto decurionum. Riflessioni topografiche e giuridiche sul
suburbium attraverso i tituli funerari, «Epigraphica», 59 (1997), pp. 205-224.
230 Parte II. I documenti

Auximum 12

Edizione di riferimento: CIL IX, 5839.


Altre edizioni: ILS 2084; Waltzing, Étude, cit., III, p. 421, n°1611; Gentili,
Auximum, cit., p. 149, n°d7; Id., Osimo, cit., p. 157, n°4; F. C. Mench, The co-
hortes urbanae of Imperial Rome: an Epigraphic Study, Diss. Yale 1968, p.
76, n°219; Grillantini, Storia, cit., pp. 55-56, n°3; Prosperi Valenti, Un esem-
plare inedito, cit., p. 35, n°3.
Bibliografia: A. Von Domaszewski, Die Rangordnung des römischen Heeres,
Köln - Graz 1967 2, p. 254; H. Freis, Die cohortes urbanae, Köln - Graz 1967
(Epigraphische Studien 2), p. 122; Mench, Cohortes urbanae, cit., pp. 345-347;
Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°68; p. 173, n°68; C. Gatti, Note su alcune
epigrafi di primipili romani nei primi due secoli d.C., «CSDIR», 4 (1972-
1973), pp. 89-93; B. Dobson, Die Primipilares. Entwicklung und Bedeutung,
Laufbahnen und Persönlichkeiten eines römischen Offiziersranges, Köln 1978,
pp. 246-247, n°126; Duthoy, Profil, cit., p. 146, n°267; Gentili, Osimo, cit., p.
34; Delplace, Romanisation, cit., pp. 51; 72; p. 78, nota 275; Saavedra
Guerrero, Elogio, cit., p. 203; J. Nelis-Clément, Les beneficiarii: militaires et
administrateurs au service de l’Empire (Ier s. a.C. - VIe s. p.C.), Bordeaux 2000,
p. 96.
Luogo di ritrovamento: Osimo, dal foro della città romana534.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del palazzo comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: grande base in marmo con una cornice in forte aggetto. La
pietra presenta numerose scheggiature, che tuttavia non pregiudicano in alcun
modo la lettura del testo.
Collegio: collegium centonariorum.
Datazione: la datazione con la coppia consolare, incisa sul lato sinistro della
base, rimanda al 137 d.C.
Testo: C(aio) Oppio C(ai) f(ilio) Vel(ina tribu) / Basso, p(atrono) c(oloniae), /
pr(aetori) Auximo, ((centurioni)) leg(ionis) / IIII Fl(aviae) Fel(icis), evoc(ato)
Aug(usti) / ab actis fori, b(eneficiario) pr(aefectorum) pr(aetorio), / signif(ero),
option(i), tesse(rario) / coh(ortis) II pr(aetoriae), mil(iti) coh(ortium) XIIII / et
XIII urbanarum. / Coll(egium) cent(onariorum) Auxim(atium) / patr(ono) ob
merita eius. / L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum). // Posita VI k(alendas)
Iul(ias) / L(ucio) Aelio Caesare II, / P(ublio) Coelio Balbino co(n)s(ulibus).
l. 1: E nana in Vel(ina tribu).
l. 3: pr(aefecto) Mench.
l. 4: il numerale è sopralineato.
l. 5: pr(aefecti) Mench; pr(aetorii) Grillantini.
l. 7: i numerali sono sopralineati.
l. 8: il numerale è sopralineato.
l. 9: cent(oniarorum) Mench. Auxim(i) Mench.

534 Cf. lemma a CIL IX, 5839.


Parte II. I documenti 231

l. 11: L(oco) d(ato) d(ecreto) d(ecurionum) Gentili, Prosperi Valenti.


ll. 12-14: il testo è inciso sul lato sinistro della base.
l. 12: I(dus) Grillantini.
l. 13: il numerale è sopralineato.
l. 14: O nana in co(n)s(ulibus).
Segni di interpunzione in forma di triangolo, con il vertice rivolto verso il
basso; utilizzati con regolarità per dividere le parole, talvolta anche in fine di li-
nea (ll. 1-3, 5, 8-10, 12).
Commento
Abbiamo qui la dedica posta dal collegio dei centonarii di Auximum al suo
patrono C. Oppio Basso535, che contemporaneamente fu anche patrono della
stessa colonia di Auximum, una circostanza che ritroviamo abbastanza di fre-
quente nelle comunità dell’Italia romana e nello stesso Piceno536.
Il cursus del personaggio, di carattere prettamente militare, sembra essere
stato indicato in ordine discendente537: C. Oppio Basso servì innanzitutto nella
XIII coorte urbana, a quel tempo forse già trasferitasi da Cartagine a Lugdu-
num538, e nella XIIII, acquartierata a Roma; militò poi nella II coorte pretoria,
nella quale ebbe i gradi di tesserarius, optio e signifer, le tre cosiddette cariche
tattiche dell’esercito romano, in quanto comportavano appunto il comando di
reparti in battaglia539. Scelto come beneficiarius dei prefetti del pretorio540,
Oppio Basso divenne in seguito evocatus ab actis fori, venne cioè richiamato a
prestare un servizio di carattere sostanzialmente civile, la redazione degli atti
dei procedimenti giudiziari541; infine ebbe il grado di centurione nella IV legione

535 Cf. Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°68; p. 173, n°68. Il personaggio è registrato anche i n
Saavedra Guerrero, Elogio, cit., p. 203, ma il riferimento alle virtù (vir clarissimus, patronus ra-
rissimus) sembra erroneo.
536 Per la casistica nel Piceno vd. infra, pp. 598-601; per il patronato di C. Oppio Basso sulla
comunità di Auximum vd. Duthoy, Profil, cit., p. 146, n°267.
537 Sulla carriera militare di C. Oppio Basso vd. Freis, Cohortes urbanae, cit., p. 122; Mench,
Cohortes urbanae, cit., pp. 345-347; Gatti, Note, cit., pp. 89-93; Dobson, Primipilares, cit., pp.
246-247.
538 Sulla XIII coorte urbana a Lugdunum vd. da ultimo F. Bérard, La cohorte urbaine de Lyon:
une unité à part dans le Rangordnung?, «La hiérarchie (Rangordnung) de l’armée romaine
sous le Haut-Empire», a cura di Y. Le Bohec, Paris 1995, pp. 378-381; in particolare sulla data
del trasferimento della coorte da Cartagine a Lione, che taluni studiosi pongono in età traianea,
altri durante l’impero di Adriano, vd. la bibliografia ivi citata a p. 379, note 37 e 38. Ritiene più
probabile che Basso abbia servito in Gallia anche Mench, Cohortes urbanae, cit., pp. 346-347.
539 Sul passaggio dalle coorti urbane alla coorti pretorie, un fenomeno che trova qualche paral-
lelo nella documentazione di età traianea e adrianea, vd. Freis, Cohortes urbanae, cit., pp. 15-16.
Sulle tre cariche tattiche nelle coorti pretoriane vd. A. Passerini, Le coorti pretorie, Roma 1939,
pp. 75-76.
540 Sui beneficiarii delle coorti pretoriane vd. ora J. Ott, Die Beneficiarier. Untersuchungen z u
ihrer Stellung innerhalb der Rangordnung des römischen Heeres und zu ihrer Funktion,
Stuttgart 1995 (Historia Einzelschriften 92), pp. 15-19; Nelis-Clément, Beneficiarii, cit., pp. 94-
106, partic. 96 sulla carriera di Oppio Basso.
541 Riguardo al raro incarico di evocatus ab actis fori vd. E. Kubitschek, Ab actis 1, «P.W.», I, 1
(1893), col. 325; E. De Ruggiero, Acta (forensia), «Diz Ep.», I, Roma 1895, pp. 60-62; Id., Evoca-
tio, ibid., II (1922), p. 2174; Fiebiger, Evocati, «P.W.», VI, 1 (1907), coll. 1149-1150; Von
232 Parte II. I documenti

Flavia Felix. Ritornato nella sua patria di Auximum, C. Oppio Basso, oltre ad
essere scelto come patrono della colonia e dell’associazione dei centonarii, as-
surse alla massima carica cittadina, la pretura542.
La ricostruzione della carriera di C. Oppio Basso è complicata dall’esi-
stenza di una seconda base in suo onore, postagli dai centurioni della legio II
Traiana Fortis, nella quale, oltre agli incarichi militari e municipali già attestati
in CIL IX, 5839, con qualche leggera variazione, ritroviamo anche il ricordo del
centurionato nella stessa legione II Traiana e del primipilato, verosimilmente
della medesima unità543. Secondo l’ipotesi che appare più probabile, Oppio
Basso avrebbe ricevuto un temporaneo congedo dall’esercito per assumere l’in-
carico di praetor ad Auximum, per essere poi richiamato sotto le armi come
centurione, poi come centurione primipilo, nella legione II Traiana544, una pra-
tica che sembra essere attestata anche in qualche altro caso dall’Italia roma-
na545. La seconda epigrafe sarebbe dunque di poco posteriore al 137 d.C., anno
nel quale, come si è detto, va datata CIL IX, 5839.
Nonostante le ipotesi di G.V. Gentili546, pare difficile riconoscere in C.
Oppio Basso un membro della grande famiglia senatoria degli Oppii di Auxi-

Domaszewski, Rangordnung, cit., p. 76. In genere sull’evocatio dei pretoriani Passerini, Coorti
pretorie, cit., pp. 76-78. Cf. anche E. Birley, Evocati Aug.: a Review, «ZPE», 43 (1981), pp. 25-29,
che ricorda brevemente il nostro personaggio a p. 26, n°10, tra gli evocati che divennero centu-
rioni.
542 Per le altre testimonianze di praetores ad Auximum vd. supra, p. 224, nota 504. Erroneamente
Mench, Cohortes urbanae, cit., pp. 345-346 ritiene Basso un pr(aefectus) con poteri giu-
risdicenti, nominato in luogo dei consueti duoviri.
543 CIL IX, 5840 = ILS 2085 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp.
170-173: C(aio) Oppio C(ai) f(ilio) Vel(ina tribu) / Basso, p(rimo)p(ilo), p(atrono) c(oloniae), /
pr(aetori) i(ure) d(icundo) Aux(imi), ((centurioni)) leg(ionis) IIII / Fl(aviae) Fel(icis) et
leg(ionis) II Tr(aianae) For(tis), / evoc(atus) Aug(usti) ab act(is) fori, b(eneficiario)
pr(aefectorum) pr(aetorio), mil(iti) coh(ortis) II pr(aetoriae), mil(iti) coh(ortis) XIII et XIIII
urb(anarum), / omnibus officiis / in caliga functo, / centuriones leg(ionis) II / Traianae Fortis,
/ optimo et dignissimo. / In cuius ded(icatione) cenam col(onis) ded(it). / L(ocus) d(atus)
d(ecreto) d(ecurionum). Tra le differenze con CIL IX, 5839 si noti che qui il massimo magistrato
di Auximum è indicato con il titolo di pr(aetor) i(ure) d(icundo), che i gradi di signifer, optio e
tesserarius sono qui riassunti sotto l’espressione omnibus officiis in caliga functo e che il ri-
cordo della milizia nelle coorti XIII e XIIII urbana è qui in ordine inverso rispetto a CIL IX, 5839.
544 Così Mench, Cohortes urbanae, cit., pp. 345-346 e Gatti, Note, pp. 90-93, con buone argo-
mentazioni; cf. anche Dobson, Primipilares, cit., pp. 246-247; R. Duthoy, Scenarios de coopta-
tion des patrons municipaux en Italie, «Epigraphica», 46 (1984), p. 47, nota 40, secondo i l
quale è probabile che C. Oppio Basso fosse scelto come patrono prima di divenire primipilo.
Contra T. Mommsen, CIL IX, p. 565, il quale riteneva che nelle due iscrizioni le cariche civili d i
C. Oppio Basso seguissero un proprio ordine interno, separato da quello degli incarichi militari,
e che fossero state rivestite prima che il personaggio entrasse nell’esercito; come peraltro notano
Mench, Cohortes urbanae, cit., p. 346 e Gatti, Note, cit., pp. 90-91 parrebbe strano che i l
massimo magistrato di Auximum abbia iniziato la propria carriera militare come semplice soldato
delle coorti urbane.
545 Cf. Gatti, Note, cit., pp. 91-92.
546 Gentili, Osimo, cit., p. 157 riconosce in effetti nel personaggio il figlio del console dell’84
d.C. C. Oppius Sabinus e il fratello di C. Oppius Sabinus Iulius Nepos M’. Vibius Sollemnis
Severus, che rivestì quella stessa magistratura verso il 140 d.C.; l’ipotesi si fonda tra l’altro s u
Parte II. I documenti 233

mum: la carriera politica del personaggio, del resto limitata all’ambito munici-
pale, per quanto ne sappiamo, pare fondarsi più sulla sua brillante ascesa
nell’esercito che sul consolidato prestigio di una famiglia che era entrata a far
parte dell’ordine senatorio da diverse generazioni. Mi pare dunque più probabile
che C. Oppio Basso facesse parte di un ramo collaterale della gens; possiamo del
resto ipotizzare che Oppio Basso abbia comunque potuto contare, sia ad Auxi-
mum come nel suo servizio militare, sul sostegno del console C. Oppius Sabinus
Iulius Nepos M’. Vibius Sollemnis Severus, a lui contemporaneo ed
eventualmente a lui legato da vincoli di lontana parentela o di patronato547.
La motivazione della dedica è illustrata dalla generica frase ob merita eius,
frequentissima nell’epigrafia onoraria dell’Italia romana, particolarmente in
riferimento a patroni di comunità appartenenti all’élite municipale, piuttosto
che all’ordine senatorio o ai gradi superiori della carriera equestre548. La formula
è ben attestata anche nelle iscrizioni del Piceno549.
Riguardo al collegio dei centonarii di Auximum si rimanda a quanto scritto
supra, pp. 225-227, a proposito dell’iscrizione Auximum 11.
Immagine: Tav. XX. Gentili, Osimo, cit., p. 233, tav. 119b (faccia principale
dell’iscrizione); p. 188, tav. 74b (lato sinistro della base, con la datazione); cf.
anche Id., Auximum, cit., tav. XVI, a; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito,
cit., tav. III.

di una improbabile restituzione della frammentaria CIL IX, 5829, iscrizione nella quale si fa
menzione di una donazione [ex te]stamento / [---]ni Bassi co(n)s(ulis); Gentili, Osimo, cit., p.
158 propone di identificare il personaggio qui attestato con il già menzionato console osimate
dell’84 d.C. C. Oppius Sabinus, che avrebbe dunque portato il secondo cognomen Bassus; tale
elemento onomastico sarebbe stato trasmesso al figlio cadetto, il praetor di Auximum C. Oppio
Basso. Tuttavia, come ha rilevato W. Eck, Urbs Salvia und seine führenden Familien in der rö-
mischen Zeit, «Picus», 12-13 (1992-1993), pp. 89-91; trad. it. Urbs Salvia e le sue più illustri
famiglie in età romana, «Studi su Urbisaglia romana», Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Sup-
plementi V), pp. 60-62, l’onomastica del console citato in CIL IX, 5829 deve essere completata
con non più di 4 lettere, in base all’integrazione [ex te]stamento della linea precedente; una re-
stituzione [C. Oppi Sabi]ni è dunque difficilmente ammissibile anche sulla sola base di una ri-
costruzione grafica del testo (vd. in effetti Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergeti-
smo, cit., pp. 163-164, che integra [L. An]ni Bassi con riferimento al console del 71 d.C.). Dob-
biamo inoltre rilevare come i circa 60 anni intercorsi tra il consolato di C. Oppio Sabino e quello
di C. Oppio Solenne Severo consiglino di identificare il secondo con il nipote piuttosto che con
il figlio del primo: così Pflaum, Une famille, cit., pp. 87-88 (= Scripta varia II, cit., pp. 330-331),
seguito da Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 236 e, in via di ipotesi, da PIR2 O 123.
547 Sulla famiglia senatoria degli Oppii di Auximum vd. la bibliografia citata supra, p. 167, nota
262; in particolare su C. Oppius Sabinus Iulius Nepos M’. Vibius Sollemnis Severus vd. supra,
pp. 167-168.
548 A questo proposito vd. Forbis, Municipal Virtues, cit., pp. 12-17. In genere sulle virtù dei
patroni delle associazioni professionali vd. M.D. Saavedra Guerrero, La cooptatio patroni o el
elogio della virtus en el patronato colegial, «Athenaeum», 83 (1995), pp. 497-507 e, più in ge-
nerale, Ead, Elogio, cit., pp. 191-209.
549 Vd. CIL IX, 5831 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 164-167
da Auximum; CIL IX, 5684 da Cingulum (ob insignia eius merita); CIL IX, 5711 da Cupra Mon-
tana; CIL IX, 5357 = ILS 1417 da Firmum; EphEp VIII, 210 = ILS 7215 da Truentum.
234 Parte II. I documenti

Auximum 13

Edizione di riferimento: CIL IX, 5843.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, cit., III, p. 421, n°1612; Gentili, Auximum,
cit., p. 152, n°d18; Id., Osimo, cit., pp. 167-168, n°35; Mench, Cohortes urba-
nae, cit., p. 77, n°221; Grillantini, Storia, cit., p. 64, n°16; Prosperi Valenti, Un
esemplare inedito, cit., p. 55, n°13; Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 178,
n°274; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 176-
178.
Bibliografia: Gentili, Auximum, cit., p. 41; Freis, Cohortes urbanae, cit., pp.
51; 61; 122; Mench, Cohortes urbanae, cit., pp. 347-348; Clemente, Patro-
nato, cit., p. 148, n°69; p. 174, n°69; Jacques, Privilège, cit., p. 634; Mrozek,
Bénéficiaires, cit., pp. 36; 44; Id., Distributions, cit., pp. 20; 85; 96; Duncan-
Jones, Economy, cit., p. 187, n°803; Petraccia Lucernoni, Questori, cit., pp.
190-191, n°285; Gentili, Osimo, cit., p. 36; Delplace, Romanisation, cit., pp.
72; 77; 78, nota 275; C. Ricci, Soldati delle milizie urbane fuori di Roma. La
documentazione epigrafica, Roma 1994, p. 40; Todisco, Veterani, cit., p. 73;
Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 18-19.
Luogo di ritrovamento: Osimo, dal foro della città romana550.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del palazzo comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: grande base in marmo; in due frammenti, ricomposti me-
diante grappa metallica. La base presenta una cornice in forte aggetto e qualche
danno nella cornice a destra e sinistra, che tuttavia non interessa lo specchio
epigrafico.
Collegio: collegium centonariorum.
Datazione: una preziosa indicazione per datare l’epigrafe ci viene dal ricordo
del fatto che T. Saleno Sedato fu veterano di due Augusti, con possibile riferi-
mento a Marco Aurelio e Lucio Vero551, a Marco Aurelio e Commodo, ma an-

550 Cf. lemma a CIL IX, 5843.


551 Così Freis, Cohortes urbanae, cit., p. 51; Mrozek, Munificentia privata und die private Bau-
tätigkeit, cit., p. 373; Id., Distributions, cit., p. 20 (cf. anche Id., Munificentia privata im Bauwe-
sen und Lebensmittelverteilungen in Italien während des Prinzipates, «ZPE», 57 (1984), p. 236,
ove lo studioso data il testo all’età di Marco Aurelio); Duncan-Jones, Economy, cit., p. 187,
n°803; Petraccia Lucernoni, Questori, cit., pp. 190-191; Gentili, Osimo, cit., p. 168; Forbis, Mu-
nicipal Virtues, cit., p. 178. Tali datazioni, peraltro, si fondavano in particolare sulla lettura ex
cohorte XIII urbana: di questa unità in effetti non si hanno più notizie dopo il 193 d.C., tanto
che si suppone sia stata sciolta negli ultimi anni del secolo da Settimio Severo perché
schieratasi dalla parte del suo avversario Clodio Albino (Cf. Freis, Cohortes urbanae, cit., pp.
30-31; Bérard, La cohorte urbaine de Lyon, cit., p. 381); in realtà, come ha rivelato il recente
riesame dell’iscrizione da parte di S.M. Marengo, Sedato militò nella XIV coorte urbana, il che
costringe ad abbandonare il termine post quem non per il congedo del personaggio ai primi anni
dell’impero di Settimio Severo: Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
19 inserisce il testo in un gruppo di iscrizioni da Auximum databili all’età di Antonino Pio (il
che è corretto per uno dei testi richiamati dalla studiosa, CIL IX, 5823 = Auximum 2 nella pre-
sente raccolta, ma non per CIL IX, 5828 = Auximum 5 né per l’iscrizione che si sta esaminando,
che sono certo posteriori all’impero di Antonino) o, più prudentemente, nella seconda metà del
Parte II. I documenti 235

che a Settimio Severo e Caracalla o allo stesso Caracalla e al fratello Geta. I fe-
nomeni fonetici presenti nel testo (caduta dell'aspirazione in onesta e della na-
sale in Masueta sembrano in effetti deporre in favore di una datazione tra lo
scorcio del II sec. d.C. e gli inizi del secolo seguente552.
Testo: T(ito) Saleno T(iti) f(ilio) Vel(ina tribu) / Sedato, veterano /
Augg(ustorum), accept(a) onesta (!) / mission(e) ex coho(rte) XIIII urba(na), /
pr(aetori) q(uin)q(uennali), quaestori rei p(ublicae) Auximat(ium), / patrono
colleg(i) centonarior(um). / Masueta (!) lib(erta) patrono optimo, / cuius
dedicatione decurionfliflbus / sing(ulis) VIII n(ummos) et colonis / sing(ulis) IIII
n(ummos) dedit. / L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
l. 3: Aug(ustorum) Gentili; Aug(ustali) Grillantini. a(ccepta) Grillantini. Onesta
per honesta; (h)onesta Gentili, Osimo; <h>onesta Mench.
l. 4: missione Grillantini. ex coho(rtis) Mench. Sulla pietra XIII, con la prima I
longa: si intenderà XIIII; XIII CIL, Waltzing, Gentili, Mench, Grillantini,
Prosperi Valenti, Forbis.
l. 5: le lettere QQ di q(uin)q(uennalis) sono sopralineate. q[uin]quennali
Grillantini. Auximat(um) Mench; Auximat[is] Grillantini.
l. 7: Masueta per Mansueta; Mansueta Grillantini; Ma(n)sueta Prosperi Valenti.
l. 9: la N di n(ummos) è sopralineata.
l. 10: la N di n(ummos) è sopralineata.
l. 11: L(oco) d(ato) d(ecreto) d(ecurionum) Gentili, Prosperi Valenti, Marengo.
Segni di interpunzione apparentemente a punto semplice (ma la consunzione
della pietra non consente certezze a questo proposito), utilizzati irregolarmente
per dividere le parole.
Commento
Si tratta dell’iscrizione onoraria posta dalla liberta Mansueta al proprio
patrono T. Saleno Sedato, che tra l’altro fu patrono del collegio dei centonari
ad Osimo.
L’onorato porta un gentilizio altrimenti sconosciuto nel Piceno, che tut-
tavia, per il suffisso in -enus ben si inquadra nella specificità onomastica della
regione553. L’esame delle non numerose attestazioni del nomen Salenus ci ri-
portano a Roma, dove conosciamo un Q. Salenus Pudens, soldato della XII co-
orte urbana554, a Pompei555, Trebula Mutuesca556, a Pisaurum e Fanum For-

II sec. d.C. Mench, Cohortes urbanae, cit., p. 347 ricorda il termine post quem del 161 d.C., no-
tando come la completezza della formula onomastica non sia elemento probante per una data-
zione più precisa del documento.
552 Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 178.
553 Sul gentilizio Salenus vd. Schulze, Eigennamen, p. 224, con raccolta delle attestazioni; cf.
anche pp. 334; 369; 590. Le attestazioni nel Piceno dei nomina in -enus nelle epigrafi edite i n
CIL IX sono raccolte da Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 35, nota 21. Nei materiali pubblicati
dopo CIL IX questo tipo di gentilizi ricorre in CIL I2, 382; 1905; AE 1946, 186; Suppl. It., n.s. 8,
pp. 82-83, n°7; Suppl. It., n.s. 13, p. 216, n°5; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p.
752, n°55; Conta, Il territorio di Asculum, cit., p. 205.
554 AE 1979, 38. Nell’Urbe vd. inoltre CIL VI, 1058, col. 6, l. 59: Q. Salen(us) (o Salen(ius), cf.
Schulze, Eigennamen, cit., p. 590) Proculus; CIL VI, 13624: Q. Salenus Musca; CIL VI, 37673:
Manlia A. et Q. Saleni lib. Helena.
236 Parte II. I documenti

tunae, località dalle quali provengono rispettivamente l’iscrizione funeraria cu-


rata da Salena Paulina per uno dei figli e l’epitafio stesso della donna557. Il co-
gnome Sedatus ricorre ancora a Falerio (CIL IX, 5484, sulla quale vd. infra, pp.
283-288, Falerio 1). L’appartenenza alla tribù Velina, quella in cui troviamo
iscritti la maggior parte dei cittadini di Auximum ed il fatto che, al termine del
suo servizio nella cohors XIIII urbana, T. Saleno Sedato abbia intrapreso una
carriera politica nella città picena permettono di concludere che il personaggio
era originario di quella stessa colonia558.
Le vicende personali di T. Saleno Sedato richiamano per taluni aspetti
quelle di C. Oppio Basso, analizzate in precedenza, a proposito dell’iscrizione
Auximum 12559: dopo il servizio nella XIV coorte urbana, in quel periodo di
stanza a Roma560, Sedato fece ritorno nella sua patria di Auximum, dove si de-
dicò alla carriera politica561, giungendo a rivestire la questura562 e anche la mas-
sima magistratura della colonia, la pretura quinquennale563. Come altri magi-
strati di Osimo venne infine scelto come patrono dal locale collegio dei cento-
nari564, riguardo al quale si rimanda alla trattazione supra, pp. 225-227, a pro-
posito dell’iscrizione Auximum 11.

555 CIL I2, 1666 e CIL I2, 4, p. 1016 = CIL IV, 63: T. Salenu[s]; cf. anche CIL IV, 2891, dove forse
ricorre il medesimo personaggio.
556 AE 1929, 161, testo 2, l. 9: Q. Salenus Asticus, membro della familia Silvani, un collegio fu-
nerario del I sec. d.C., sul quale vd. Ausbüttel, Untersuchungen, cit., pp. 66-67.
557 Vd. rispettivamente CIL IX, 6350 = ILS 9066 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum, cit., pp.
250-252, n°61, I e CIL XI, 6281.
558 Cf. Freis, Cohortes urbanae, cit., p. 61.
559 La carriera del personaggio è brevemente richiamata da Gentili, Auximum, cit., p. 41.
560 Freis, Cohortes urbanae, cit., p. 14; su questa unità vd. anche F. Bérard, Une nouvelle in-
scription militaire lyonnaise, «MEFRA», 105 (1993), pp. 39-54, che pubblica un nuovo testo
attestante la presenza della XIV coorte urbana a Lugdunum nel I sec. d.C. Il personaggio è laconi-
camente ricordato da Todisco, Veterani, cit., p. 73.
561 Sul fenomeno dell’integrazione dei veterani nelle classi dirigenti municipali vd., tra gli altri,
Jacques, Privilège, cit., pp. 625-634, particolarmente alla luce della documentazione epigrafica
africana; un cenno al caso di T. Saleno Sedato a p. 634; Ricci, Soldati delle milizie urbane, cit.,
pp. 46-47; Todisco, Veterani, cit., pp. 214-216, in riferimento ai soldati congedati dalle legioni.
562 Registrata da Petraccia Lucernoni, Questori, cit., pp. 190-191, n°285. Ad Auximum la que-
stura municipale è attestata anche da CIL IX, 5831 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 164-167 per il polionimo M. Oppius Capito Q. Tamudius Q. f. T. n. T. pr. n.
Vel. Milasius Aninius Severus, q(uaestor) IIII (cf. Petraccia Lucernoni, Questori, cit., pp. 189-
190, n°284); CIL IX, 5849: C. Oppius C. f. Vel. Pallans, quaestor Auximi, quaest(or) ali-
men[t(orum)] (cf. Petraccia Lucernoni, Questori, cit., p. 189, n°283); CIL IX, 5838 per un perso-
naggio il cui nome è andato quasi completamente perduto (cf. Petraccia Lucernoni, Questori, cit.,
p. 189, n°282).
563 Per le attestazioni di praetores ad Auximum vd. supra, p. 224, nota 504. Sulla carriera di T.
Saleno Sedato vd. anche Mench, Cohortes urbanae, cit., p. 347; Delplace in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., p. 18.
564 Cf. Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°69; p. 174, n°69.
Parte II. I documenti 237

Fu la liberta Mansueta a curare l’erezione del monumento in onore del suo


patronus optimus565, dopo che il consiglio municipale aveva concesso uno spa-
zio su terreno pubblico. La donna sembra comparire anche in un documento che
presenta numerose quanto sorprendenti coincidenze con il testo di Auximum: si
tratta di CIL IX, 5189, in un primo tempo registrata tra i testi di Asculum da T .
Mommsen solamente sulla base del fatto che vi verrebbe ricordato un quaestor
rei p(ublicae) Ascul(anorum); il testo in effetti risulta noto unicamente dalla
tradizione manoscritta, senza riferimento plausibile ad un luogo di provenienza.
Il testo è il seguente: Q(uinto) Iunio Q(uinti) f(ilio) Ouf(entina tribu)
Severiano, / veterano Aug(usti) n(ostri), accepta onesta (!) missione,
q(uaestori) rei p(ublicae) Asculan(orum), / patrono colleg(i) centonarior(um)
et dendrophorum Tiburtium. / Mansueta liber(ta) patrono optimo, / cuius dedi-
catione statuae / cenam dedit decurionibus / sing(ulis) ((denarios)) VIII nu-
mum (!) et popul(o) sing(ulis) ((denarios)) II numum (!) divisit. / L(ocus)
d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
Come si vede, i punti di contatto tra i due testi sono talmente stringenti,
anche su particolari quali la mancanza di aspirazione nell’aggettivo honesta, da
gettare più di un sospetto sull’iscrizione attribuita ad Asculum: in effetti la tra-
dizione del testo dipende, in ultima analisi, dalla sola trascrizione che ne pro-
pose A. Manuzio nella sua Ortographiae ratio collecta ex libris antiquis,
grammaticis, etymologia, graeca consuetudine, nummis veteribus, tabulis ae-
reis, lapidibus amplius MD, opera edita a Venezia nel 1566 e non esente da di-
fetti, anche per quanto concerne l’autenticità dei testi raccolti; da qui l’epigrafe
di Severiano passò alla raccolta del Gruterus e alle opere di scrittori di antichità
ascolane come Sebastiano Andreantonelli e Giuseppe Colucci566. Piuttosto che
pensare al singolarissimo caso di una Mansueta, liberta di due patroni, entrambi
veterani, entrambi questori, l’uno ad Asculum, l’altro ad Auximum, ed entrambi
patroni di associazioni di mestiere, credo sia opportuno ritenere l’epigrafe
attribuita ad Asculum un falso cartaceo, creato sulla base dell’iscrizione di Osi-
mo, come concluse lo stesso Mommsen, su suggerimento di H. Dessau, negli Ad-
ditamenta a CIL IX567. È possibile che la falsificazione risalga allo stesso
Manuzio, che doveva conoscere il testo di Auximum568, anche se su questo par-
ticolare non si può trarre alcuna conclusione certa.

565 Per il termine optimus nell’epigrafia onoraria dell’Italia romana vd. ora Forbis, Municipal
Virtues, cit., pp. 21-23.
566 Cf. lemma a CIL IX, 5189; sull’opera di A. Manuzio vd. CIL IX, pp. L-LI e I. Calabi Limentani,
Epigrafia latina, Milano 19924 , pp. 84-85.
567 CIL IX, p. 699; cf. S.M. Marengo, «Picus», 14-15 (1994-1995), p. 321, nella recensione alla
monografia di Ricci, Soldati delle milizie urbane, cit.
568 Lo registrò in effetti nel codice Vat. 5237, cf. lemma a CIL IX, 5843. Ricci, Soldati delle mili-
zie urbane, cit., p. 40 contempla l’evenienza che entrambe le iscrizioni siano autentiche e pro-
pone qualche possibile spiegazione alle curiose coincidenze fra i due testi.
238 Parte II. I documenti

Oltre a questo caso assai dubbio, il nome della liberta ricorre nella regione
V, ma solo nella forma maschile, ad Interamnia569.
Nell’ultima parte del testo, come spesso accade nell’epigrafia onoraria di
Auximum, troviamo il ricordo di una distribuzione di denaro avvenuta in occa-
sione della dedica del monumento a T. Saleno Sedato. Si nota qui in particolare
l’indicazione della somma distribuita in soli nummi: si dovrà peraltro intendere
la cifra come espressa in sesterzi piuttosto che in denarii570, con importi, ri-
spettivamente di 8 sesterzi per i decurioni e di 4 sesterzi per i coloni, che tro-
vano confronto con le somme distribuite in occasione di altre divisiones atte-
state nella regio V571.
Immagine: Tav. XXI. Gentili, Osimo, cit., p. 209, tav. 95 a; Prosperi Valenti,
Un esemplare inedito, cit., tav. XI; Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., p. 177, fig. 51.

569 CIL IX, 5106. Per quanto concerne la diffusione di Mansueta nell’onomastica servile e liber-
tina nella documentazione urbana Solin, Sklavennamen, cit., I, p. 79 segnala un unico caso, la
Mansueta Caesaris n(ostri) ser(va) di CIL VI, 22014.
570 Così gli indici di CIL IX, p. 807; Mench, Cohortes urbanae, cit., p. 348; Duncan-Jones, Eco-
nomy, cit., p. 187, n°D928; p. 195, n°979; Mrozek, Bénéficiaires, cit., pp. pp. 36; 44; Distribu-
tions, cit., pp. 20; 85; 96. Denarii secondo Ricci, Soldati delle milizie urbane, cit., p. 40. Sul
problema in generale vd. S. Mrozek, Die epigraphische Streuung des Denars und Sesterzes i n
Italien und in den westlichen Provinzen der frühen römischen Kaiserzeit, «AncSoc», 30 (2000),
pp. 115-116.
571 Vd. supra, p. 130, la tabella delle divisiones nella regio V.
Parte II. I documenti 239

Auximum 14

Edizione di riferimento: CIL IX, 5835.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, cit., III, p. 420, n°1610; ILS 1415; Gentili,
Auximum, cit., pp. 150-151, n°d12; Id., Osimo, cit., p. 180, n°90; Grillantini,
Storia, cit., p. 60, n°3; Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 43, n°7.
Bibliografia: vd. supra, p. 222, bibliografia relativa alla scheda Auximum 11.
Vd. inoltre Gentili, Osimo, cit., p. 35; Delplace, Romanisation, cit., p. 80.
Luogo di ritrovamento: Osimo, dal foro della città romana572.
Luogo di conservazione: Osimo, Lapidario del palazzo comunale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: grande base in marmo con una cornice in forte aggetto,
mancante oggi del piede. La pietra presenta diverse scheggiature, che interes-
sano anche lo specchio epigrafico, in particolare sul lato inferiore sinistro, che
tuttavia non pregiudicano in alcun modo la lettura.
Collegio: collegium fabrum.
Datazione: le cariche militari ricoperte da Q. Plozio Trebellio Pelidiano la-
sciano pensare che l’iscrizione sia all’incirca coeva alla base in onore di C.
Oppio Basso, posta nel 137 d.C., con la quale il monumento qui analizzato pre-
senta molte analogie573, forse leggermente anteriore a quella, piuttosto che po-
steriore574.
Testo: Q(uinto) Plotio Maximo / Collin(a tribu) / Trebellio Pelidiano, / eq(uo)
pub(lico), / trib(uno) leg(ionis) II Traian(ae) Fort(is), / trib(uno) coh(ortis)
XXXII Volun(tariorum), / trib(uno) leg(ionis) VI Victric(is), / proc(uratori)
Aug(usti) / pro magist(ro) XX hered(itatium), / praef(ecto) vehiculor(um), /
q(uin)q(uennali), patr(ono) col(oniae) et suo, ponflt(ifici). / Coll(egium)
fabr(um) Auxim(atium) ob / eximium inter municip(es) suos amorem. / L(ocus)
d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
l. 1: la O di Maximo è incisa al di sopra della linea, in corrispondenza della let-
tera M.
l. 4: Fortis Grillantini.
l. 5: il numerale è sopralineato.
l. 6: il numerale è sopralineato. Volunflt(ariorum) con nesso NT in CIL; Vo-
lunt(ariorum) Waltzing, ILS, Gentili, Prosperi Valenti; il controllo autoptico
non ha rivelato tracce del presunto nesso.
l. 7: il numerale è sopralineato.
l. 9: il numerale è sopralineato.
l. 11: QQ di q(uin)q(uennali) è sopralineato; le due lettere risultano parzial-
mente sovrapposte. pon(i)t Waltzing.
l. 15: L(oco) d(ato) d(ecreto) d(ecurionum) Gentili, Prosperi Valenti.

572 Cf. lemma a CIL IX, 5835.


573 Vd. supra, pp. 230-233, Auximum 12.
574 Vd. supra, p. 222, a proposito dell’iscrizione Auximum 11, la base dedicata a Pelidiano dal
collegium centonariorum, che dovrebbe essere coeva al testo qui analizzato.
240 Parte II. I documenti

Interpunzioni solo all’ultima linea in forma di virgola, con il vertice rivolto


verso l’alto. Evidenti tracce delle linee di guida.
Commento
Si tratta di un’iscrizione onoraria posta dal collegium fabrum di Osimo al
patrono dell’associazione Q. Plozio Massimo Trebellio Pelidiano575.
Nel formulario e nell’indicazione del cursus honorum di Pelidiano, il do-
cumento riproduce sostanzialmente il testo della base gemella, dedicata al mede-
simo personaggio dal collegium centonariorum di Osimo, che abbiamo esami-
nato supra, Auximum 11; al relativo commento si rimanda, in particolare per la
carriera di Pelidiano e per la formula ob eximium inter municipes suos amorem.
Resta ancora da analizzare invece il problema del collegium fabrum, che
qui incontriamo per la prima volta nella nostra analisi della documentazione
epigrafica sul mondo del lavoro nel Piceno576.
Come si è già visto, il termine fabri designava in genere tutti gli artigiani
che lavoravano materiale duro, come la pietra, il metallo o il legno; il sostan-
tivo è generalmente accompagnato da una specificazione che precisava il
campo di attività di attività del faber in questione577. Conosciamo un discreto
numero di attestazioni individuali di fabri nude dicti578, ma le testimonianze
epigrafiche dell’associazione professionale che riuniva questi artigiani sono assai
più numerose579.
Riguardo le reali funzioni dei collegia fabrum nelle città dell’Impero,
l’ipotesi che vi vede essenzialmente squadre di vigili del fuoco volontari ha tro-
vato generale consenso dalla fine del XIX secolo580, anche se la documenta-

575 Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°67; p. 173, n°66.


576 L’iscrizione è brevemente ricordata da Delplace, Romanisation, cit., p. 80 a proposito delle
attestazioni dei collegia di mestiere nel Piceno.
577 Vd. supra, p. 201, nota 416.
578 Vd. infra, pp. 428-431.
579 Cf. le rassegne di Waltzing, Étude, cit., III, W. Liebenam, Fabri, «Diz. Ep.», III (1906), pp. 4-7
e Kornemann, Fabri, cit., coll. 1907-1912, fondate essenzialmente sui materiali già compresi i n
CIL. Il numero dei nuovi documenti concernenti questa associazione tuttavia aumenta di anno i n
anno, come si può verificare rapidamente grazie agli indici di AE; per l’Italia vd. ora
l’aggiornamento di Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., pp. 76-79. Le iscrizioni relative ai
collegia fabrum della penisola iberica sono raccolte e studiate da Gimeno Pascual, Artesanos y
tecnicos, cit., pp. 10-11, nn. 3-5.
580 Cf. tra gli altri Hirschfeld, Gallische Studien III, cit., pp. 239-257; ora in Kleine Schriften,
cit., pp. 96-111; Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., pp. 104-105; Id., Fabri, «Diz.
Ep.», III (1906), p. 4; Waltzing, Étude, cit., II, pp. 127-130; 203-204 (cf. Id., Collegium, cit., pp.
394-395); E. Kornemann, Collegium, «P.W.», IV, 1 (1900), coll. 394-395; 442-443; Id., Fabri,
cit., col. 1905; De Robertis, Il fenomeno associativo, cit., pp. 63; 138 (cf. anche Id., Storia delle
corporazioni e del regime associativo nel mondo romano, II, Bari 1971, p. 106); Ausbüttel, Un-
tersuchungen, cit., pp. 71-73; J.-M. Salamito, Les collèges de fabri, centonarii et dendrophori
dans les villes de la Regio X à l’époque impériale, «La città nell’Italia settentrionale in età ro-
mana. Morfologie, strutture e funzionamento dei centri urbani delle regiones X e XI. Atti del
convegno organizzato dal Dipartimento di scienze dell’Antichità dell’Università di Trieste e
dall’École Française de Rome, Trieste, 13-15 marzo 1987», Trieste - Roma 1990, p. 164 e nota 4 ;
Clemente, Arti, cit., pp. 85; 88; Kneissl, Fabri, cit., pp. 133-146; Sablayrolles, Libertinus miles,
cit., pp. 62-63; Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 47-53.
Parte II. I documenti 241

zione sulla quale tale supposizione si fonda non è certo ricchissima né sempre di
interpretazione univoca.
Il punto di partenza di ogni riflessione è costituito da una lettera inviata
da Plinio il Giovane a Traiano, nella quale il governatore di Bitinia dava notizia
di un incendio scoppiato a Nicomedia, i cui effetti erano risultati devastanti so-
prattutto a causa dell’inerzia degli abitanti e della mancanza degli strumenti atti
a combattere le fiamme. Plinio suggeriva all’imperatore di consentire la crea-
zione di un collegium fabrorum forte di 150 uomini, assicurando che avrebbe
personalmente vigilato affinché nel corpo venissero reclutati solo autentici fa-
bri e i diritti connessi all’appartenenza al collegio non venissero indebitamente
assunti da altre persone581. Traiano, pur riconoscendo che la soluzione prospet-
tata da Plinio era stata adottata in numerosi casi, rilevava le conseguenze che il
provvedimento avrebbe avuto in una provincia, come la Bitinia, e in una città,
come Nicomedia, dove invariabilmente ogni forma di associazione finiva col
diventare un hetaeria, dunque una minaccia per l’ordine pubblico; l’imperatore
riteneva quindi sufficiente di dotare la città delle necessarie attrezzature e di or-
dinare ai proprietari degli immobili di farne uso in caso di incendio, eventual-
mente con il concorso del resto della popolazione582.
Dalla testimonianza dell’epistolario pliniano emerge che il ricorso ai col-
legia fabrum per la lotta contro gli incendi doveva essere normale nelle città
dell’Impero, anche se il sistema non era universalmente adottato, come dimo-
stra il fatto stesso che Traiano rifiutasse in questo caso di dare il proprio con-
senso alla creazione di un nuovo servizio e suggerisse di affrontare il problema
semplicemente migliorando la dotazione di attrezzature e obbligando i proprie-
tari ad assumersi le loro responsabilità. A giudicare dalla diffusione delle associa-
zioni dei fabri, si direbbe che l’exemplum cui accenna l’imperatore venisse a
Plinio dalle comunità dell’Italia e delle province occidentali maggiormente ro-
manizzate, forse dalla stessa Comum, dove il collegio è ben attestato583.

581 Plin., Ep., X, 33: Cum diversam partem provinciae circumirem, Nicomediae vastissimum in-
cendium multas privatorum domos et duo publica opera quamquam via interiacente, Gerusian
et Iseon, absumpsit. Est autem latius sparsum primum violentia venti, deinde inertia hominum,
quos satis constat otiosos et immobiles tanti mali spectatores perstitisse. Et alioqui nullus
usquam in publico sipo, nulla hama, nullum denique instrumentum ad incendia compescenda.
Et haec quidem, ut iam praecepi, parabuntur. Tu, domine, dispice an instituendum collegium
fabrorum dumtaxat hominum CL. Ego attendam ne quis nisi faber recipiatur neve iure concesso
in aliud utatur; nec erit difficile custodire tam paucos. In Paneg., 54, 4 Plinio ricorda breve-
mente che il Senato veniva consultato de instituendo collegio fabrorum.
582 Traiano in Plin., Ep., X, 34: Tibi quidem secundum exempla complurium in mentem venit
posse collegium fabrorum apud Nicomedenses constitui. Sed meminerimus provinciam istam et
precipue eam civitatem eius modi factionibus esse vexatam. Quodcumque nomen ex quacumque
causa dederimus iis qui in idem contracti fuerint, hetaeriae eaeque brevi fient. Satius itaque
est comparari ea quae ad coercendos ignes auxilio possint, admonerique dominos praediorum,
ut et ipsi inhibeant, ac, si res poposcerit, accursu populi ad hoc uti. Sulle due lettere dell’epi-
stolario pliniano vd. Sherwin-White, Letters of Pliny, cit., pp. 606-610.
583 Come hanno fatto notare Hirschfeld, Gallische Studien III, cit., p. 250; ora in Kleine Schrif-
ten, cit., p. 105, Waltzing, Étude, cit., II, pp. 203-204 e Ausbüttel, Untersuchungen, cit., p. 72.
Sull’area di diffusione delle associazioni dei fabri vd. Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 64-65.
242 Parte II. I documenti

Il testo dell’epistola di Plinio il Giovane induce inoltre a ritenere che an-


cora agli inizi del II sec. d.C. esistesse un preciso rapporto tra appartenenza
all’associazione ed esercizio del mestiere di faber, con le sue diverse specializza-
zioni: certo, già in età traianea, vi è chi tenta di entrare nel collegio per godere
dei privilegi connessi, senza assumerne gli oneri, ma il fenomeno ancora doveva
e poteva essere represso, a giudicare dalle parole di Plinio584.
Alla luce della testimonianza pliniana, la dottrina ha collegato alcune no-
tizie concernenti le attività e l’organizzazione interna del collegium a quella
che pare essere stata una delle sue funzioni principali, se non la principale, la
lotta contro gli incendi. Le associazioni dei fabbri presentano in effetti
un’articolazione interna in centuriae o in decuriae, con alla testa rispettiva-
mente un centurio ed un decurio, un’articolazione che ricorda da vicino quella
dei corpi militari e che poteva essere finalizzata al mantenimento della disci-
plina e ad una rapida suddivisione dei compiti allorché i fabri si trovavano ad af-
frontare le fiamme585.
Nella loro funzione di pompieri si suppone che i fabri fossero comandati
da un praefectus fabrum586. L’ipotesi si fonda tra l’altro sul testo di CIL III,
3438, un’iscrizione votiva da Aquincum dalla quale apprendiamo che Claudio
Pompeo Fausto, prefetto e patrono del collegio dei fabbri duxit coll(egium)
s(upra) s(criptum) in ambulativis587; l’interpretazione degli ambulativa come
esercitazioni antincendio lascia tuttavia piuttosto perplessi e, dato il carattere
del testo, parrebbe più semplice vedervi un qualche genere di processione reli-

584 Credo dunque che la decisa affermazione di Kneissl, Fabri, cit., p. 133 (“Die Zugehörigkeit
zu einem der genannten collegia oder corpora (scil. fabri, fabri tignuarii, fabri subaediani,
centonarii, dolabrarii) sagt nichts über den Beruf der betreffenden Person aus”) vada in qualche
misura attenuata: almeno per l’età altoimperiale l’essere membro del collegio dei fabri non si-
gnifica automaticamente esercitare il mestiere di faber, ma questa rimane pur sempre una possi-
bilità da prendere in seria considerazione, cf. le obiezioni formulate alla teoria di Kneissl da
Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 49-50.
585 Hirschfeld, Gallische Studien III, cit., pp. 250-251; ora in Kleine Schriften, cit., p. 106;
Royden, Magistrates, cit., p. 13. Per la suddivisione in decuriae e, più raramente, in centuriae
vd. tra gli altri gli esempi riportati da Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., pp. 191-
192; 194; Id., Fabri, cit., p. 10 e soprattutto da Waltzing, Étude, cit., I, pp. 358-359; IV, pp. 290-
292. Dopo la pubblicazione del CIL vd, per esempio, AE 1903, 350 da Novara, con il ricordo
delle decuriae del collegium fabrum; AE 1977, 676 = IDR III, 2, 163 da Sarmizegetusa, ove s i
menziona un decurio della locale associazione dei fabbri; 409, iscrizione sepolcrale di Flavius
Fortunatus, ex dec(uria) VII coll(egi) fabr(um); Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 668, per
un dec(urio) ex collegio fabr(um); 675, per un altro decurio [collegi] fa[br(um)] Aqui[leiae ?].
586 Sulla praefectura fabrum, funzione che presenta caratteri diversi e nettamente distinti tra d i
loro, vd. infra, pp. 547-550, ove anche una raccolta delle attestazioni dei praefecti fabrum nel
Piceno; nessuna delle testimonianze della regione è riferibile con certezza ai praefecti del colle-
gio dei fabbri.
587 CIL III, 3438: I(ovi) O(ptimo) M(aximo) pro salute. Cl(audius) Pompeius / Faustus, dec(urio)
/ col(oniae) Aq(uinci), aedil(is), / IIviral(is), praef(ectus) / coll(egium) fabr(um) item/que
patronus, / duxit coll(egium) s(upra) s(criptum) / in ambulati/vis. V kal(endas) Aug(ustas) / [----
--]. Per l’interpretazione degli ambulativa come esercitazioni contro gli incendi vd. Hirschfeld,
Gallische Studien III, cit., p. 252; ora in Kleine Schriften, cit., p. 107; Ausbüttel,
Untersuchungen, cit., pp. 72-73, nota 8.
Parte II. I documenti 243

giosa588; il fatto che il termine sembri essere un unicum invita tuttavia a consi-
derare con prudenza ogni ipotesi
Un altro ufficiale del collegio dei fabbri connesso con il servizio di vigili
del fuoco potrebbe essere il curator instrumenti ex numero collegi fabrum noto
da un’iscrizione ritrovata a Verona, intendendo l’instrumentum come una delle
attrezzature utilizzate per spegnere le fiamme589.
L’epigrafe sepolcrale di Ti. Claudius Astylus da Aquileia, infine ci fa forse
conoscere uno di questi antichi pompieri: il defunto si definisce in effetti dola-
brar(ius); l’informazione è completata da un rilievo nel quale Astilo stringe
nella mano sinistra una dolabra, l’ascia che era strumento fondamentale nella
lotta contro il fuoco590.
Anche se non tutte le testimonianze portate a sostegno risultano strin-
genti, mi pare difficile negare la sostanziale correttezza dell’ipotesi che vede nei
collegia fabrum del mondo romano essenzialmente un corpo di vigili del
fuoco591. La teoria andrà piuttosto precisata e completata, analizzando la situa-
zione concreta nelle diverse comunità antiche, in particolare gli eventuali rap-
porti esistenti tra l’associazione dei fabbri e altri sodalizi assai diffusi, come
quelli dei centonarii e dei dendrophori. Sarebbe inoltre interessante verificare la
possibilità che l’opera prestata dai fabri non si esaurisse nella sola lotta agli in-

588 Questa l’interpretazione di A. Gudemann, Ambulativa, «TLL», I, col. 1870, che spiega pompa.
Sulla medesima linea interpretativa Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 87.
589 CIL V, 3387: D(is) M(anibus). C(ai) Calventi / Firmini; curatores instrumenti Vero-
naes(ium) (!) / ex numero / colleg(i) fabr(um). L’iscrizione si presta a qualche lettura alternativa,
che tuttavia non ne muta sostanzialmente il tenore: a l. 4 la lettura curatoris permetterebbe d i
rintracciare l’occupazione del defunto; a l. 6 si può forse ipotizzare anche un genitivo della I de-
clinazione in -aes. Sul documento vd. Hirschfeld, Gallische Studien III, cit., p. 253; ora in Kleine
Schriften, cit., p. 108; Waltzing, Étude, cit., II, p. 204; Ausbüttel, Untersuchungen, cit., p. 73;
Salamito, Collèges, cit., p. 167; Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 48. Un’iscrizione dal territorio d i
Hasta, in Liguria, recentemente rivista da G. Mennella, Medagogus collegii fabrorum: nota a d
AE 1913, 148, «ZPE», 90 (1992), pp. 122-126, ci fa conoscere un medagogus del locale collegio
dei fabbri; contemplando tra le diverse possibilità quella che tale misteriosa funzione fosse i n
qualche modo legata al servizio di lotta contro gli incendi, lo studioso ipotizza, con tutta la cau-
tela necessaria, che si trattasse di una sorta di istruttore o di un caposquadra dei vigili; l’ipotesi
è ripresa da Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 95-96.
590 CIL V, 908 = ILS 7246 = Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., II, 2747. T. Mommsen nel
commento a CIL V, 908 sosteneva che Astilo nella destra stringesse un cento, una di quelle pe-
santi coperte utilizzate per difendersi dal fuoco (per questo uso dei centones vd. supra, p. 225);
tuttavia nel disegno riportato in Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., II, 2747 il giovane Astilo
sembra piuttosto fare con la mano destra un cenno di saluto. Sul documento vd. Hirschfeld, Gal-
lische Studien III, cit., p. 247; ora in Kleine Schriften, cit., p. 102; Waltzing, Étude, cit., II, p. 104;
Kornemann, Fabri, cit., col. 1914; Ausbüttel, Untersuchungen, cit., p. 73 e nota 10; Sablayrolles,
Libertinus miles, cit., p. 355, ove anche altri riferimenti all’uso dell’ascia nella lotta contro i l
fuoco.
591 Non convincente il tentativo di limitare la portata della testimonianza di Plinio il Giovane
in R. Sablayrolles, Les praefecti fabrum de Narbonnaise, «RAN», 17 (1984), pp. 239-247, ab-
bandonato, a quanto pare, dallo stesso studioso nella sua monografia Libertinus miles, cit., pp.
62-63.
244 Parte II. I documenti

cendi, ma si estendesse anche ad altri servizi di interesse pubblico, quali il con-


trollo del territorio in funzione di guardie civiche592.
Si deve comunque rilevare, come già a proposito della documentazione
relativa ai collegi del centonari, che le testimonianze epigrafiche dei fabri ri-
guardano in larghissima misura la vita sociale di queste associazioni, nei suoi di-
versi aspetti, come conferma anche lo studio delle iscrizioni di Auximum: in ef-
fetti, mentre l’epigrafe in onore di Q. Plozio Trebellio Pelidiano illustra il rap-
porto tra l’associazione e la comunità nel suo complesso, attraverso la scelta di
un patrono che era al contempo anche patrono della colonia, l’iscrizione che
segue nel catalogo illumina piuttosto un’altra importante funzione assolta dai
collegi professionali nel mondo antico, quella di assicurare una sepoltura ai pro-
pri membri.
Immagine: Tav. XXII. Gentili, Osimo, cit., p. 235, tav. 121b; Prosperi
Valenti, Un esemplare inedito, cit., tav. VII.

592 Secondo una suggestione, solo abbozzata da R. Cagnat, Vigiles, «DS», V (1919), p. 869 e re-
centemente ripresa da Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., pp. 22-24, che a mio avviso appare
meritevole di attenta considerazione.
Parte II. I documenti 245

Auximum 15

Edizione di riferimento: CIL IX, 5847.


Altre edizioni: G. Marini, ms. 9059 Biblioteca Vaticana, fogli 134-135593;
Waltzing, Étude, cit., III, p. 421, n°1613; Gentili, Auximum, cit., p. 158, n°h6.
Bibliografia: De Robertis, Storia delle corporazioni, cit., II, p. 345; Delplace,
Romanisation, cit., p. 80.
Luogo di ritrovamento: Osimo, sull’epistilio del sepolcro dei vescovi nella
Cattedrale594.
Luogo di conservazione: segnalata nella parete meridionale del muro che cir-
conda il giardino della sede vescovile di Osimo595, si trova ora nel Museo Dioce-
sano della cittadina marchigiana (autopsia maggio 2001).
Tipo di supporto: stele marmorea, con specchio epigrafico leggermente ribas-
sato, delimitato da cornice semplice596.
Collegio: collegium fabrum.
Datazione: qualche indicazione viene dal formulario, in particolare dalla pre-
senza dell’adprecatio agli dei Mani in forma solo parzialmente abbreviata e del
nome del defunto in caso genitivo; il termine post quem per la datazione va
dunque collocato intorno alla metà del I sec. d.C. ma verosimilmente non si
deve scendere troppo rispetto a tale termine597.
Testo: Dis Manflib(us). / N(umeri) Fresidi Suc/cessi, decret(o) / fabr(um), /
v(ixit) a(nnis) XIIII. / N(umerius) Fresidius Flo/rentinus pat(er) / et Fresidia
Success(a) / mater.
l. 1: I longae in Dis e in Manflib(us).
l. 2: la ultima I di Fresidi è longa. V nana in Suc/cessi.
l. 3: T longa in decret(o).
l. 5: O nana in Flo/rentinus.
l. 6: T nana in pater.
l. 8: prima e dopo mater è incisa un’hedera.
Interpunzioni in forma di virgola, con il vertice rivolto verso il basso, utilizzate
con regolarità per dividere le parole, tranne che in fine di linea.
Commento
Il testo ci fa conoscere l’epitafio di N. Fresidio Successo, morto a 14 anni;
nell’iscrizione sepolcrale, che venne posta per decreto del collegio dei fabri di
Auximum, vengono ricordati come dedicanti i genitori del giovane, N. Fresidio
Florentino e Fresidia Successa.

593 Cf. M. Buonocore, Miscellanea epigraphica e Codicibus Bibliothecae Vaticanae. VI, «Epi-
graphica», 53 (1991), p. 217.
594 Cf. lemma a CIL IX, 5847.
595 Gentili, Auximum, cit., p. 158, n°h6.
596 Gentili, Auximum, cit., p. 158, n°h6.
597 Per quanto concerne le attestazioni ad Auximum e nel Piceno dell’adprecatio ai Mani i n
forma non abbreviata, o solo parzialmente abbreviata, vd. supra, p. 212, nota 454.
246 Parte II. I documenti

Il gentilizio Fresidius è altrimenti noto ad Auximum dall’iscrizione sepol-


crale di N. Fresidius Thymelicus, postagli dalla madre Caecilia Felicitas598. Il
formulario, le caratteristiche del supporto e soprattutto la paleografia
dell’iscrizione sepolcrale di Thymelicus, che presentano più di un punto di con-
tatto con l’epitafio di Ottavia Prisca esaminato supra, pp. 185-189, Auximum
3, fanno ritenere il monumento posteriore di almeno un secolo all’iscrizione
sepolcrale di N. Fresidio Successo599; tuttavia l’identità del prenome, il non co-
mune Numerius, inducono a pensare che tra le due famiglie dei Fresidii di Auxi-
mum esistesse un qualche lontano legame di parentela o di patronato. La gens
Fresidia, nota anche nella variante grafica Frensidia600, era forse originaria del
territorio dei Marsi601 dal quale proviene un’attestazione di età repubblicana di
una Seq(unda) Frensedia P. f.602 e dove è noto anche il gentilizio
Frensidius603; nella zona d’insediamento dei Marsi si trovava del resto
l’oppidum di Fresilia, che venne conquistato dai Romani nel 302 a.C., secondo
la testimonianza di Liv., X, 3, 5. In questo contesto potrebbe assumere un certo
valore indicativo anche il cognome etnico del veterano e magistrato municipale
di Ficulea Gn. Fresidius Marsus604. Se l’area di formazione del gentilizio pare
accertata, i Fresidii di Osimo, per il loro prenome, sembrano piuttosto in rap-
porto con i membri della gens attestati a Roma605 e a Teate Marrucinorum606.

598 CIL IX, 5871 = Gentili, Osimo, cit., p. 161, n°15 e p. 196, tav. 82 = Prosperi Valenti, Un esem-
plare inedito, cit., p. 77, n°24 e tav. XIX: D(is) M(anibus). / N(umeri) Fresidi Thy/melici filio
kar(issimo) (!), / qui vixit ann(is) XXXII, / mens(ibus) X, dieb(us) XX. / Caecilia Felici/tas filio
piissimo / b(ene) m(erenti).
599 Gentili, Osimo, cit., p. 161 suggerisce una datazione tra la fine del II e il III sec. d.C.
600 Cf. CIL VI, 35335, iscrizione relativa al sepolcro di un gruppo di liberti della gens in cui le
due forme appaiono accostate: cf. [N. F]rensidius N. l. Maurus e [N.] Frensidius N. l. Priamus,
ma N. Fresidius N. l. Theorus, [Fr]esidia N. l. Agele e N. Fresidius N. l. Philogenes; in integra-
zione il gentilizio del sesto liberto Saturninus, la forma [N. Fre]sidius è forse preferibile a [N.
Fren]sidius per ragioni di spazio.
601 Così Letta - D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, cit., pp. 254-256, con raccolta e
studio delle attestazioni del gentilizio; cf. anche S. Panciera, Ficolenses foederati, «RSA», 6-7
(1976-1977), pp. 200-201; M. Buonocore, Ricerca onomastica su un collegium funeraticium d i
Chieti, «Settima Miscellanea greca e romana», Roma 1980, p. 438.
602 CIL IX, 3862 = CIL I2, 1765 = ILS 7824.
603 CIL IX, 3682 = ILS 5582, da Marruvium: Q. Fresidius Q. f. [---] Gallus; la frammentaria
iscrizione Letta - D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, cit., pp. 254-256, n°153 dal terri-
torio di Collelongo è integrata dagli editori [- Fre]nsidius [---]. Si veda anche da Marruvium
CIL IX, 3798, il cui testo è riportato dalla tradizione manoscritta come HADRIANFREN / DIMIDII:
in via ipotetica vi vedono una possibile attestazione del gentilizio Frensidius Letta - D’Amato,
Epigrafia della regione dei Marsi, cit., p. 254, nota 3.
604 L’iscrizione è pubblicata e commentata da Panciera, Ficolenses foederati, cit., pp. 195-213 e
ripresa da AE 1977, 179.
605 Vd. CIL VI, 13841 = 24146: Fresidia N. l. Deia; 16443 = 34101: Cornelia L. N. Fresidi l.
Rodi[ne]; 33714: N. Fresidius Sabbio; per un gruppo di liberti di un N. Fresidius vd. supra,
nota 600; cf. forse anche CIL VI, 5348: N. Fesidius (!) [---]. Vd. anche CIL X, 6104 = ILS 1945 da
Formia: Fresidia N. l. Flora, moglie del celebre liberto M. Caelius Phileros; EphEp VIII, 88 = N.
Stelluti, Epigrafi di Larino e della Bassa Frentana, I, Campobasso 1997, pp. 135-136, n°60 da
Larinum: Fresidius Maximus.
Parte II. I documenti 247

Il cognomen del defunto, che sembra derivato da quello della madre,


compare nella regio V anche a Interamnia607 e, nella forma femminile
Successa, ad Asculum608, Ricina609 e Truentum610. Non è altrimenti attestato
nel Piceno invece il cognome del padre di Successo, Florentinus, che tuttavia ha
una discreta diffusione nel resto del mondo romano611.
Quanto alla condizione sociale dei personaggi, l’identità del gentilizio dei
due genitori di N. Fresidio Successo induce naturalmente ad ipotizzare che si
trattasse di una coppia di liberti, o anche che uno dei due coniugi fosse patrono
dell’altro612; non sappiamo tuttavia se il giovane Successo fosse nato quando già
la coppia era stata liberata ed aveva contratto nozze legittime o se, nato quando
Florentino e Successa erano ancora schiavi, sia stato affrancato insieme ai geni-
tori613.
Da notare l’indicazione della durata della vita di N. Fresidio Successo, che
ho preferito sciogliere in caso ablativo, maggiormente attestato ad Auximum ri-
spetto all’accusativo614.
L’elemento di maggiore interesse dell’iscrizione per la nostra ricerca è
dato dall’intervento del collegio dei fabri di Auximum nelle onoranze funebri
prestate a N. Fresidio Successo, per decreto615. Tra gli scopi essenziali delle as-
sociazioni, non solo dei cosiddetti collegia tenuiorum, ma anche dei collegia di

606 Vd. Buonocore, Ricerca onomastica, cit., pp. 429-446 = AE 1980, 368 = Suppl. It., n.s. 2, pp.
177-179, n°17, l. 14: N. Fresidius Carpus; il documento è datato alla fine della prima metà del I
sec. d.C., dunque dovrebbe essere all’incirca coevo all’iscrizione sepolcrale di N. Fresidio
Successo. Oltre alle testimonianze citate alle note precedenti, altre attestazioni della gens
Fresidia / Frensidia a Roma CIL VI, 21294: Fresidia Capitolina; 33971: Sex. Fresidius
Crescens e Fresidia Felicla; vd. inoltre CIL XIV, 2864 da Praeneste: Fresidia Palmyris; CIL
XIV, 3769 = InscrIt IV, I, 335: Sex. Fresidius Sex. l. Arabio e CIL XIV, 3770 = InscrIt IV, I, 336:
Sex. Frensidius Tettix; queste due ultime iscrizioni sono attribuite a Tibur, ma il loro luogo d i
ritrovamento è forse prossimo a Ficulea, dalla quale proviene la già citata iscrizione di Gn.
Fresidius Marsus.
607 CIL IX, 5112: C. Petisedius Successus e un figlio omonimo.
608 CIL IX, 5228: Sucesa (!) Crescenti.
609 CIL IX, 5771: Geneia Successa.
610 CIL IX, 5280 = F. Cancrini, Il municipio truentino: note di storia e di epigrafia, «Archeolo-
gia nell’area del basso Tronto. S. Benedetto del Tronto, 3 Ottobre 1993», a cura di G. Paci, Villa
Adriana - Tivoli 1995 (Picus Supplementi IV), p. 164, n°10.
611 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., pp. 189; 233.
612 Sia Florentinus che Successa sono cognomi attestati per personaggi di estrazione servile
nella documentazione epigrafica urbana, vd. Solin, Sklavennamen, cit., II, pp. 51; 179-180.
613 Il cognome Successus è assai ben attestato nell’onomastica servile e libertina dell’Urbe, vd.
Solin, Sklavennamen, cit., II, p. 179.
614 Per le attestazioni ad Auximum della durata di vita espresse in anni, mesi e giorni vd. supra,
p. 189, nota 363; cf. inoltre CIL IX, 5863; 5874 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p.
77, n°25; 5879 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 59, n°15 (ablativo); lacunosa
CIL IX, 5876 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 83, n°32, in cui leggiamo solo
vix(it) a[nn ---].
615 Un aspetto che per il momento non sembra aver attirato particolare attenzione: l’iscrizione è
solo brevemente ricordata da Delplace, Romanisation, cit., p. 80 a proposito delle attestazioni d i
collegia di mestiere nel Piceno.
248 Parte II. I documenti

mestiere, vi era senza dubbio quello di assicurare una degna sepoltura ai propri
membri616. Sappiamo che le associazioni di mestiere possedevano proprie aree
sepolcrali: nella regio V si può ricordare quella del collegium centonariorum In-
teramnitium Praetutianorum dell’iscrizione CIL IX, 5084, che esamineremo in
seguito, al numero Interamnia 5 617. L’associazione stessa si assume il compito
di celebrare le esequie e di erigere un monumento funebre, nella cui iscrizione il
collegium appare come dedicante: nel Piceno un caso simile è rappresentato da
CIL IX, 5461 da Falerio, nella quale i socii dissignatores curano la sepoltura del
loro collega Q. Tullienus Mario (vd. infra, p. 289, Falerio 2)618; in qualche caso
l’associazione appare solamente come codedicante, accanto ai parenti e agli e-
redi del defunto, ai quali la cassa del collegio doveva aver corrisposto la somma
necessaria a coprire in tutto o in parte le spese dei funerali619: questo pare essere
anche il caso dell’iscrizione di Auximum che stiamo esaminando, anche se ri-
mane incerto in che cosa si sostanzi di preciso l’intervento dell’associazione dei
fabri. Si potrà supporre la concessione di un locus sepulturae a Successo nell’a-
rea sepolcrale riservata al collegio, anche se tale ipotesi non sembra trovare ele-
menti di supporto né nel testo qui in esame né, per il momento, nella rimanente
documentazione di Auximum, o piuttosto il versamento di un contributo per le
spese funebri, per esempio per l’acquisto del sepolcro e l’incisione dell’epita-
fio620.

616 Sulle funzioni funeraticie dei collegia vd. Waltzing, Étude, cit., I, pp. 256-300; Id., Colle-
gium, cit., pp. 362-365; Kornemann, Collegium, cit., col. 387-390; Liebenam, Fabri, cit., p. 13;
De Robertis, Fenomeno associativo, cit., pp. 51-55; Id., Storia delle corporazioni, cit., II, pp. 17-
20; Ausbüttel, Untersuchungen, cit., pp. 59-71; l’importanza di questo aspetto nella vita delle
associazioni è rilevata anche da Clemente, Arti, cit., p. 85.
617 Vd. inoltre la casistica registrata da Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 486-487.
618 Vd. inoltre la casistica registrata da Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 505-509; cf. anche a pp.
520-522 le testimonianze secondo il Waltzing relative a statue e monumenti commemorativi i n
onore del defunto, che per la verità, come ammetteva lo stesso studioso, talvolta non si distin-
guono nel formulario dai documenti esaminati nella sezione precedente; tra i documenti editi
dopo la raccolta del Waltzing, limitando l’indagine al collegio dei fabri, vd. per esempio AE
1914, 107 = IDR III, 2, 406 da Sarmizegetusa, in cui il collegium fabrum pone sepoltura a M.
Domitius Primus; IDR III, 2, 410, ove la medesima associazione pone sepoltura al patrono L.
Flavius Valens; IDR III, 2, 456, epitafio di Valerius Philinus, eretto dallo stesso collegio; a
Szentendre si vedano RIU III, 891; 897; 908; Per il versamento del funeraticium, il contributo
corrisposto dall’associazione per coprire le spese delle esequie, vd. le testimonianze riportate da
Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 522-527.
619 Vd. la casistica registrata da Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 509-510; tra i documenti editi dopo
la raccolta del Waltzing, limitando l’indagine al collegio dei fabri, di particolare interesse AE
1933, 110 da Aquincum: D(is) M(anibus). / L(ucius) Val(erius) Seutes d(omo) Bessus, /
an(norum) LXXX. M(arcus) Ulp(ius) Phi/lumenus, heres / ex tes(tamento), f(aciundum) curavit. /
Ad hoc sepul(crum) col(legium) / fab(rum) cont(ulit) [---]; cf. anche RIU III, 898 da Szentendre:
D(is) [M(anibus)]. / M(arco) Cocc(eio) [---] / Cocc(eiae) Fo[---] / coni(ugi) vi(vae) e[t ---] /
Marcel[---] / Marciae [fil(iis) ---]. / Ad hoc [cont(ulit) coll(egium)] / fab[rum] / ((sestertios))
n(ummos) CCC.
620 Quest’ultima ipotesi è sostenuta da Waltzing, Étude, cit., I, p. 281 (cf. Id., Collegium, cit., p.
363), che ricorda i fabri di Auximum tra le associazioni di mestiere che sembrano aver contri-
buito solo parzialmente alle spese per le esequie.
Parte II. I documenti 249

Di qualunque natura esso fosse, l’intervento dei fabri di Osimo nelle ono-
ranze funebri a N. Fresidio Successo venne deciso per decretum. Gli unici decreti
di associazioni a noi noti nella loro forma integrale sono sostanzialmente quelli
per il conferimento del titolo di patrono a qualche influente personaggio, tutta-
via i richiami nella documentazione epigrafica sono sufficienti a farci compren-
dere come la vita dei collegi fosse in ampia misura regolata da tali delibere, prese
dall’assemblea generale dei soci o, talvolta, da un comitato più ristretto, come
per esempio l’ordine dei decurioni del collegio. In particolare sono attestati
riferimenti a decreta delle associazioni di mestiere in occasione della con-
cessione di uno spazio per erigere un monumento, sia di natura sepolcrale, sia di
natura onoraria o votiva, o ancora dello stanziamento della somma necessaria
per l’erezione di tali opere. Le espressioni con le quali si ricorda la delibera del
sodalizio tendono a ricalcare quelle impiegate nei documenti relativi alla vita
municipale, come per esempio si può verificare nel caso della caratteristica
formula L(ocus) d(atus) d(ecreto) c(ollegi)621.
Per quanto concerne il rapporto esistente tra N. Fresidio Successo e il
collegio dei fabbri di Auximum, data la giovane età del defunto, mi sembra pro-
babile che tale rapporto fosse mediato dalla figura del padre N. Fresidio
Successo, probabilmente egli stesso membro dell’associazione622. Certo non si
può escludere a priori la possibilità che lo stesso Successo facesse parte del col-
legio: ben poco si sa in effetti dei limiti di età per entrare nei diversi collegi di
mestiere, anche se conosciamo un membro dell’associazione dei fidicines, i suo-
natori di lira, morto a Roma all’età di appena 8 anni e qualche mese (CIL VI,
2192) e un tal P. Cordius [---]dio a meno di 20 anni aveva già raggiunto la ca-
rica di decurio nel collegio dei fabri tignuarii di Roma (CIL VI, 9407); tuttavia
questi casi sembrano rivestire un carattere eccezionale, mentre in altri esempi di
iscrizioni funerarie poste da un collegio di mestiere a personaggi morti in giova-
nissima età l’appartenenza di questi ultimi all’associazione rimane dubbia623.
Immagine: Tav. XXIII.

621 Sui decreta dei collegi vd. Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., pp. 280-281;
Waltzing, Étude, cit., I, pp. 373-377 (cf. Id., Collegium, cit., p. 380); Kornemann, Collegium, cit.,
col. 427.
622 T. Mommsen nel commento a CIL IX, 5847 ipotizza in effetti che il collegio dei fabri di Au-
ximum abbia decretato un funerale e l’erezione a proprie spese dell’iscrizione sepolcrale per N.
Fresidio Successo allo scopo di onorare il padre di questi, Florentino; l’ipotesi è ripresa da
Waltzing, Étude, cit., IV, p. 421.
623 Sul problema vd. Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., pp. 171-172; Waltzing,
Étude, cit., I, pp. 348-349 e la documentazione registrata a IV, p. 257; Id., Collegium, cit., p. 374;
Kornemann, Collegium, cit., col. 471, il quale ritiene che i giovani divenissero a tutti gli effetti
membri delle associazioni solo dopo aver raggiunto la maggiore età; Ausbüttel, Untersuchun-
gen, cit., p. 42.
250 Parte II. I documenti

Cingulum

Cingulum 1

Edizione di riferimento: Suppl. It., n.s., 6, pp. 50-51, n°3 (= AE 1990, 312).
Altre edizioni: A. Pennacchioni, Testimonianze dell’epoca romana in Cin-
goli, Cingoli 1972, pp. 65-66, n°XXV.
Bibliografia: Delplace, Romanisation, cit., p. 78 e nota 277; p. 99, n°16.
Luogo di ritrovamento: il blocco venne scoperto nel 1948, presso una casa
colonica nella località detta Piana dei Saraceni che si trova a circa 3 km. a sud
del centro di Cingoli, nei pressi della frazione di Avenale624.
Luogo di conservazione: Cingoli, Museo Archeologico Statale (autopsia
maggio 2001)625.
Tipo di supporto: grande blocco parallelepipedo in calcare, presenta scheggia-
ture, in particolare nella parte sinistra, che tuttavia non compromettono in al-
cun modo la lettura del testo.
Mestiere: scriba aedilium curulium sexprimus.
Datazione: la semplicità del formulario, con il nome del defunto in caso no-
minativo e l’assenza dell’adprecatio ai Mani, nonché le caratteristiche monu-
mentali dell’epitafio, inducono a datarlo nella prima età imperiale, non oltre la
metà del I sec. d.C.626
Testo: P(ublius) Statius Q(uinti) f(ilius) Ani(ensis tribu) Optatus, / scríba
aed(ilium) cur(ulium) / sexs prímus.
l. 1: T longae.
l. 2: I longa. aed(ificium) cur(avit) Pennacchioni.
l. 3: I longa. sexs(tus) primus Pennacchioni.
Interpunzioni a forma di triangolo.
Commento
Si tratta della semplice iscrizione sepolcrale di un apparitore che aveva
compiuto la sua carriera nei servizi amministrativi di Roma e che in seguito do-
veva essersi trasferito a Cingulum.
Il ricordo della tribù Aniensis, diversa dalla Velina nella quale si trovano
nella maggior parte dei casi iscritti i cittadini di Cingoli, chiarisce che P. Stazio
Optato probabilmente non era di origine locale. Il gentilizio Statius è peraltro
ben noto nel Piceno, con attestazioni ad Asculum627, ad Auximum628, a Casto-

624 Cf. Pennacchioni, Testimonianze, cit., p. 65; G. Paci, Regio V. Picenum. Cingulum, «Supple-
menta Italica», n.s. 6, Roma 1990, p. 50; cf. anche Delplace, Romanisation, cit., p. 99, n°16.
625 Cf. Paci, Cingulum, cit., p. 50.
626 Cf. Paci, Cingulum, cit., p. 51.
627 Cf. L. Gasperini, Scoperta di un milliario in territorio di Ascoli Piceno, «Picus», 1 (1981),
pp. 175-177, in cui compare il nome del praif(ectus) Cn. Statius M’. f. Su questo documento cf.
anche Conta, Il territorio di Asculum, cit., pp. 208-209, n°118.
Parte II. I documenti 251

rano629, a Cupra Maritima, nell’instrumentum iscritto630, ad Interamnia631 e


nella non lontana Trea632, come del resto il comune cognome Optatus633. Se-
condo una convincente ipotesi di G. Paci, è probabile che P. Stazio Optato abbia
acquistato un fondo nei pressi di Cingoli dopo essersi ritirato dal servizio, ipotesi
confortata dal rinvenimento in zona di numerosi resti che potrebbero riferirsi ad
una villa634; tuttavia, in base ai dati in nostro possesso, non siamo in grado di
affermare se Optato avesse scelto di stabilirsi nel territorio di Cingulum per un
qualche motivo particolare e se egli avesse rapporti col Piceno anche prima di
stabilirvisi definitivamente.
Conviene dunque soffermarsi sulla funzione rivestita da P. Stazio Optato,
che fu quella di scriba addetto al servizio presso gli edili curuli di Roma635. Gli
scribae costituivano la categoria più prestigiosa degli apparitores della capitale,
tra i quali possiamo trovare anche praecones, lictores e viatores, oltre che pul-
larii e geruli. Gli scribi si distinguevano essenzialmente per il collegio magistra-
tuale che erano chiamati a servire, anche se tale dipendenza non deve essere in-
terpretata in senso esclusivo: tra i meglio conosciuti gli scribae quaestorii, gli
scribae tribunicii e, appunto gli scribae aedilicii, a loro volta suddivisi in segre-
tari degli edili plebei, degli edili ceriali e infine degli edili curuli636. La denomina-
zione completa di quest’ultimo ufficio era quella di scriba librarius aedilium cu-
rulium, ma assai di frequente troviamo la semplice menzione del titolo di scriba
aedilium curulium, come nel caso preso in esame637. Questa categoria di appa-

628 CIL IX, 5883 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 77, n°26: Statia Cincinnata.
629 CIL IX, 5282: P. Statius Se[---].
630 Fortini, Laterizi bollati, cit., p. 125, n°13: L. Statius Iustus.
631 Cf. CIL IX, 5066, nella quale compaiono T. Statius T. f. Vel. Praetuttianus, praefectus
coh(ortis) II Breucorum e tribunus coh(ortis) II Hispanorum eq(uitatae) c(ivium) R(omanorum)
e il fratello C. Statius Praetuttianus.
632 CIL IX, 5672: L. Statius L. l. Priscus e la madre Statia Clara.
633 Ad Ancona T. Fl(avius) Optatus (CIL IX, 5891); a Falerio T. Veidius Optatus (CIL IX, 5333) e
il colonus Optatus (CIL IX, 5484, sulla quale vd. infra, pp. 283-288, Falerio 1); a Firmum l’VIII
vir Publicius Optatus (CIL IX, 5373), P. Florius Optatus (CIL IX, 5392) ed un liberto di M.
Eppius M. f. Rufio (CIL IX, 5388); a Potentia T. Annius C. [f.?] Optatus (CIL IX, 5813).
634 Paci, Cingulum, cit., p. 51.
635 Pennacchioni, Testimonianze, cit., p. 65 integrava a l. 2 scr(iba) aed(ificium) cur(avit), ma la
lettura corretta, come nota anche Delplace, Romanisation, cit., p. 78 e nota 277, non può che ri-
mandare ai noti scribi degli edili curuli.
636 Per la bibliografia sugli scribi in genere si rimanda alle indicazioni fornite supra, p. 155,
nota 210; in particolare sugli scribae aedilicii vd. Mommsen, Staatsrecht, cit., I, pp. 351-352;
Kornemann, Scriba, cit., coll. 852-853; Rossi, Librarius, cit., pp. 957-959; Muñiz Coello, Scri-
bas, cit., pp. 43-49. Sugli apparitores in genere si veda anche A.H.M. Jones, The Roman Civil
Service (Clerical and Sub-Clerical Grades), «JRS», 39 (1949), pp. 38-55. Per gli altri scribi at-
testati nel Piceno vd. Asculum 4, Asculum 5, Auximum 10 e Hadria 1.
637 Una selezione dei documenti rilevanti in Rossi, Librarius, cit., p. 957.
252 Parte II. I documenti

ritores era organizzata in una decuria638, alla testa della quale si trovavano dei
sex primi, funzione che venne rivestita anche da P. Stazio Optato639.
Riguardo alle attività degli scribi aedilium curulium, l’unico dato in no-
stro possesso è un cenno di Livio alle ruberie commesse dagli scribi e dai viatores
aedilicii e scoperte nel 202 a.C.; se ne può dedurre che essi si occupassero pure
dell’amministrazione dell’aerarium640, anche se questo doveva essere il
compito principale di altre decurie di scribi, quelle dei questorii, che in effetti
nella documentazione epigrafica sono talvolta detti ab aerario641. Se ignoriamo
altri particolari sulla funzione degli scribi edilici, è facile pensare che essi doves-
sero assistere i magistrati ai quali erano assegnati in tutti i loro diversi compiti di
natura amministrativa e giudiziaria.
L’esame della documentazione in nostro possesso sugli scribi degli edili
curuli ci conferma che costoro erano in genere ingenui642, anche se in qualche
caso si può supporre che appartenessero alla prima generazione di nascita libera
della loro famiglia. Si ricava inoltre l’impressione che il prestigio sociale ed
economico degli scribi edilici sia andato crescendo nel corso del tempo, tro-
vando tra l’altro espressione in atti di evergetismo o nell’assunzione di respon-
sabilità di carattere politico ed amministrativo nei municipi dell’Italia romana.
Si veda, per fare solo qualche esempio, l’iscrizione AE 1925, 44, secondo la
quale lo scriba decuriarum quaestoriae et aedilium curulium Ti. Claudius L. f.
Helvius Secundus venne cooptato da Nerva nelle cinque decurie giudicanti,
compì una brillante carriera militare al comando di diverse unità ausiliarie ed in-
fine venne onorato dai suoi concittadini di Cesarea di Mauretania, che in sua as-
senza lo avevano insignito di tutte le magistrature e gli honores della colonia643.
Di poco posteriore è CIL VI, 1838 = ILS 2727, dalla quale apprendiamo che A.
Atinius A. f. Pal. Paternus, dopo essere stato praef(ectus) coh(ortis) II
Bracar(um) Augustan(orum), trib(unus) mil(itum) leg(ionis) X Fretens(is), a
divo Traiano in expedition(e) Parthica donis donat(us), praef(ectus) alae VII
Phrig(um) e dopo essere divenuto cavaliere equo publico, assunse la curatela del
kalendarium a Fabrateria Nova644. In età post-adrianea lo scriba degli edili
curuli C. Domitius L. fil. Pal. F[abius] Hermogenes, già cooptato nell’ordine dei

638 Per le attestazioni della decuria degli scribi addetti agli edili curuli, che era anche chiamata
decuria aedilicia maior, vd. Rossi, Librarius, cit., p. 958.
639 A mia conoscenza l’unico altro esempio di sex primus degli scribae aedilium curulium a noi
noto è quello di Q. Apusulenus [-] f. Secundus, scr(iba) a[ed(ilium)] cur(ulium) sex primus d i
CIL VI, 32276 = ILS 1881.
640 Liv., XXX, 39, 7.
641 Vd. Rossi, Librarius, cit., p. 957 con alcuni esempi; Wachtel, Freigelassene und Sklaven,
cit., pp. 6-14.
642 Un unico caso accertato di liberto in CIL VI, 32279 = ILS 1882, citata infra, p. 253, nota 647.
643 Su questo documento si veda Devijver, Prosopographia, cit., I, pp. 252-253; IV, p. 1504; V,
p. 2062, con la bibliografia ivi citata.
644 Sul personaggio vd. Devijver, Prosopographia, cit., I, pp. 130-131; IV, p. 1450, n°A182, con
la bibliografia ivi citata; sulla sua cura kalendarii vd. in particolare L. Japella Contardi, Un
esempio di ‘burocrazia’ municipale: i curatores kalendarii, «Epigraphica», 39 (1977), pp. 85-
86.
Parte II. I documenti 253

decurioni di Ostia, venne insignito dell’onore di una statua dai suoi colleghi (CIL
XIV, 353; 4642). In un’epigrafe di Forum Clodii, in Etruria, datata al 173 d.C.,
i Foroclodiensi onorano P. Aelius P. f. Pal. Agathoclianus che, oltre ad aver
servito come scrib(a) aedil(ium) curulium, era stato pontifex, praetor
Laurentium Lavinatium, scrib(a) tribunicius (scil. decuriae) maior(is), scrib(a)
q(uaestorius) sexprimus, decurialis pullarius (scil. decuriae) maioris,
praef(ectus) fabr(um) III, accens(us) velat(us); Agatocliano aveva donato
marmi e colonne alle locali terme, procedendo alla distribuzione di sportulae tra
i decurioni in occasione della dedica dell’opera (CIL XI, 7555 = ILS 1886). Tra
la fine dell’impero di Marco Aurelio e gli inizi del III sec. d.C. si sviluppa la car-
riera di C. Aelius P. fil. Cl. Quirin(us) Domitianus Gaurus, del quale si ricorda
tra l’altro ab Imp(eratore) M(arco) Aurel(io) Antonino Aug(usto) Pio equo
publico orn(atus), praef(ectus) fabrum, praef(ectus) cohort(is) III Aug(ustae)
Cyrenaicae, trib(unus) leg(ionis) XII Ful(minatae) Certae Constantis, scriba li-
brarius quaestorius trium decuriar(um), sacerdos aput (!) Laurentes Lavinates,
calator Marcianus Antoninianus, che venne cooptato nell’ordine dei decurioni
di Puteoli, remissis omnibus muneribus (ILS 2748)645. All’incirca nello stesso
periodo deve infine aver vissuto [Ti.] Claudius Ti. f. Pal. Paulus, che oltre ad
essere stato scrib(a) aedil(ium) cur(ulium), ad aver comandato la cohors I
Thracum in Britannia ed aver esercitato il tribunato nella XIII legione Gemina
in Dacia, divenne anche curator Circeiensium (CIL XIV, 3625 = InscrIt IV, I,
156)646.
Gli scribi edilici, dunque, paiono aver assunto un peso rilevante nella vita
economica e sociale dell’Italia romana soprattutto a partire dalla fine del I sec.
d.C. e nel secolo seguente. Assai più modesta appare generalmente la condizione
degli scribi della decuria edilicia maggiore nell’età augustea e giulio-claudia, nel
periodo cioè in cui si dovrebbe inquadrare anche l’epitafio di Cingulum647. Dun-

645 Sul personaggio vd. Devijver, Prosopographia, cit., I, pp. 59-60; IV, p. 1417; V, p. 1894,
n°A31, con la bibliografia ivi citata.
646 Per la datazione della carriera di Ti. Claudio Paolo vd. R. Duthoy, Curatores rei publicae en
Occident durant le Principat. Recherches préliminaires sur l’apport des sources épigraphi-
ques, «AncSoc», 10 (1979), p. 178 e p. 179, nota 28: seconda metà del II sec. d.C.; G. Camodeca,
Ricerche sui curatores rei publicae, «ANRW», II, 13, Berlin - New York 1986, p. 495: fine II -
inizi III sec. d.C.; cf. inoltre Devijver, Prosopographia, cit., I, pp. 261-262; IV, p. 1507, n°C163.
647 Tra le testimonianze epigrafiche più antiche degli scribae aedilium curulium, individuate
essenzialmente in base al formulario, si veda per esempio CIL VI, 32276 = ILS 1881: Q(uintus)
Apusulenus [-] f(ilius) / Secundus, scr(iba) a[ed(ilium)] / cur(ulium) sex primus. / Cocceia
Sp(uri) f(ilia) Libera / coniunxs sacravit. CIL VI, 1841: T. Culciscius T(iti) f(ilius) Vol(tinia
tribu), / praef(ectus) fabr(um), scrib(a) aed(ilium) cur(ulium); CIL VI, 32279 = ILS 1882:
[M(arcus)] Iunius M(arci) l(ibertus) Menander, / scr(iba) aed(ilium) cur(ulium) princeps / et
(scil. scriba) q(uaestorius). / V(iva) Iunia M(arci) l(iberta) Calliste, / Iunia ((mulieris)) l(iberta)
Sophie, vixit ann(is) VIII; CIL XIV, 3949 da Nomentum: Sex(tus) Mutilius Sex(ti) f(ilius) Col(lina
tribu) / Primus, scr(iba) q(uaestorius) et aed(lium) cur(ulium); CIL VI, 32280: [-] Sallustius
T(iti) f(ilius) Pup(inia tribu) Virgula, / scr(iba) aedi(ilium) cur(ulium). / Ex testamento
((sestertium)) ((quindecim milia)); CIL X, 1725 da Puteoli: C(aius) Septimius C(ai) f(ilius) Libo,
aed(ilis), scr(iba) aed(ilium) cur(ulium) sibi et / Laberiae Fuscae ux(ori), / Septimiae
Amarantin(i) l(ibertae). Ancora più antica la semplice urna funeraria da Perusia che ci ha conser-
vato il nome di L. Nigidius L. f. Sors, scriba aed(ilium) cur(ulium) (CIL I2, 2640 = ILLRP 814).
254 Parte II. I documenti

que non stupisce troppo ritrovare nel nostro testo la semplice menzione della
carica di apparitor.
Immagine: Tav. XXIV. Suppl. It., n.s., 6, p. 50.
Parte II. I documenti 255

Cluana

Cluana 1

Edizione di riferimento: L. Gasperini, Spigolature epigrafiche marchigiane


(V), «Picus», 6 (1986), pp. 25-38, n°1648 (= AE 1990, 304).
Altre edizioni: Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit.,
pp. 154-156.
Bibliografia: N. Alfieri, Premessa, in L. Alfieri - L. Gasperini - P. Quiri, Ci-
vitanova romana. Archeologia e storia della bassa valle del Chienti, Civita-
nova Marche 1993, pp. 12-13; ora in Scritti di topografia, cit., p. 358; E.
Giorgi, La bassa valle del Chienti: il territorio di Cluana in età romana, «Cam-
pagna e paesaggio nell’Italia antica», a cura di L. Quilici - S. Quilici Gigli,
Roma 2000, p. 176; Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., p. 30.
Luogo di ritrovamento: rinvenuta nel 1970 durante i lavori di restauro di pa-
lazzo Ciccolini a Civitanova Alta, sul sito dell’antico vicus Cluentensis,
l’iscrizione ha avuto in realtà una vicenda ben più lunga e complessa, come ha
rivelato la scoperta da parte di S.M. Marengo nella Biblioteca Comunale di
Fermo di una lettera inviata da Francesco Saverio Bacci, un notabile di Civita-
nova, al noto erudito fermano R. De Minicis. Nella lettera, datata al 14 maggio
1835, il Bacci dava notizia del ritrovamento qualche giorno prima, presso la
chiesa di S. Marone a Porto Civitanova, dove sorgeva l’antica Cluana, di
un’iscrizione di cui forniva una trascrizione ed un tentativo di traduzione: indu-
bitabilmente si tratta del medesimo testo che venne ritrovato a Civitanova Alta
più di 130 anni dopo, passato, per vicende a noi ignote, dal Bacci alla famiglia
Ciccolini649.
Luogo di conservazione: Civitanova Alta, chiesa di S. Paolo, nella cappella di
S. Marone (autopsia maggio 2002).
Tipo di supporto: blocchetto di arenaria locale, di forma parallelepipeda650. La
superficie iscritta, non delimitata da alcuna campitura, si presenta oggi lacunosa
di alcune lettere negli angoli inferiore e superiore sinistro, ma il testo può essere
agevolmente ricostruito, anche sulla base della trascrizione effettuata da F.S.

648 Il contributo qui citato è ripreso in forma aggiornata, per quanto concerne il territorio di Ci-
vitanova e Montecosaro, col titolo di Vecchie e nuove epigrafi dal territorio cluanate in N.
Alfieri - L. Gasperini - P. Quiri, Civitanova romana. Archeologia e storia della Bassa Valle del
Chienti, a cura di M.L. De Luca - A. Manni, Civitanova Marche 1993, pp. 55-82. L’epigrafe che
qui si commenta è pubblicata alle pp. 56-63, n°1.
649 Sulle singolari vicende dell’iscrizione vd. Gasperini, Spigolature (V), cit., pp. 25-31; cf. an-
che Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 154.
650 Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 25.
256 Parte II. I documenti

Bacci: al momento del ritrovamento nel 1835 la pietra era infatti mancante del
solo angolo inferiore sinistro.
Mestiere: structor ?
Datazione: le caratteristiche paleografiche e linguistiche del testo, le partico-
larità della formula onomastica dello schiavo Filonico e soprattutto la sua iden-
tificazione con un liberto attivo a Preneste nei primissimi anni del I sec. a.C.651,
hanno indotto l’editore del testo di Cluana, L. Gasperini, a proporre una
datazione agli ultimi anni del II sec. a.C.652
Testo: Pilonicus, Octavi L(uci) s(ervus), / Praenestinus, hoce / opus novom
fecit. / Crepidine(m) circum cumpi(tum), / [t]ectu(m) pertex(tum) Sufren(a) /
[P]o≥la stat(uit) de suo pequl(io).
l. 1: Pilonicus per Philonicus.
l. 2: hoce per hoc.
l. 3: novom per novum.
l. 4: cumpi(tum) per compi(tum).
l. 5: t≥ectu(m) Gasperini.
l. 6: P]o≥la per Polla.
L’interpunzione, a forma di croce di S. Andrea653, è utilizzata con regolarità per
dividere le parole, tranne che alla fine di linea e a l. 6 tra P]o≥la e stat(uit).
Commento
Il testo, relativo alla costruzione di una nuova opera a Cluana, pur non
presentando difficoltà di lettura, si presta ad una duplice interpretazione, come
ha chiarito l’editore L. Gasperini: secondo una prima ipotesi si affermerebbe che
Filonico, schiavo di L. Ottavio, di Preneste, aveva curato la costruzione ex
novo di un complesso che il lettore dell’epigrafe doveva avere sotto i propri
occhi e che con ogni verosimiglianza consisteva in un compitum, l’area corri-
spondente ad un crocicchio nella quale sorgeva un luogo di culto per i Lari
Compitali654. Il testo specificava poi che Sufrena Polla aveva finanziato
l’esecuzione della crepido, il marciapiede che circondava il compitum655, e della
copertura del sacello ai Lares. Questa interpretazione è conforme alla suddivi-

651 Vd. infra nel commento al testo.


652 Cf. Alfieri, Premessa, cit., pp. 12-13 (ora in Scritti di topografia, cit., p. 358) e Marengo i n
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 156 (seguita da Delplace, ibid., p. 30): fine
del II sec. a.C. o inizi del I sec. a.C.
653 Nella quale R. Zucca, Sui tipi di interpunzione nelle iscrizioni latine dall’età più antica
alla fine della repubblica, «Miscellanea Greca e Romana», XVIII, Roma 1994, pp. 133-134 in-
dividua una variante dell’interpunto a quadrangolo.
654 Giorgi, La bassa valle del Chienti, cit., p. 176, riprendendo del resto una suggestione già i n
Alfieri, Cluana, cit., p. 358, ipotizza che il compitum di Filonico si trovasse in corrispondenza
del trivio in cui la strada che si inoltrava da Cluana verso l’interno, in direzione di Pausulae, s i
staccava dalla via litoranea.
655 Questa è l’interpretazione di Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
30. Da notare che la costruzione di una crepido in un’area sacra è nota da un’altra iscrizione del
Piceno, CIL I2, 1898 = ILS 6132b = ILLRP 305. Per l’erezione di crepidines vd. inoltre CIL IX,
5047 da Interamnia.
Parte II. I documenti 257

sione del testo in due distinti paragrafi che sembra essere indicata dalla pausa
dopo fecit.
Si può tuttavia supporre anche una seconda ipotesi, nella quale l’opus no-
vom di cui Filonico fu artefice era costituito solamente dalla crepido e dal tec-
tum ed i lavori in oggetto erano stati interamente finanziati da Sufrena Polla.
L’artefice dell’opera, con ogni probabilità uno structor, un muratore656,
portava il nome grecanico di Philonicus, qui reso nella forma Pilonicus con la
caduta dell’aspirazione. Si trattava di uno schiavo, che indica il nome del pro-
prio padrone L. Octavius anteponendo il gentilizio al prenome, secondo una
formula caratteristica del periodo che va dalla fine del II sec. a.C. agli inizi del I
sec. a.C.657. L’etnico di Filonico, Praenestinus, ha consentito al Gasperini di in-
dividuare nella cittadina del Latium Vetus un documento che con ogni verosimi-
glianza si riferisce al medesimo personaggio dell’iscrizione cluanate: tra i magi-
stri di un collegium di natura non meglio identificata troviamo infatti un Cn.
Octavi(us) L. l. Pilonicus658. Nel testo di Cluana Filonico appare dunque ancora
come schiavo, fatto venire da Preneste per la costruzione del compitum (o delle
strutture annesse al compitum, se seguissimo la seconda delle interpretazioni del
testo proposte), mentre l’iscrizione prenestina attesterebbe una fase successiva,
nella quale Filonico era stato manomesso ed aveva assunto il prenome Cnaeus,
diverso da quello del suo patrono L. Ottavio: si noti, per inciso, che questa par-
ticolarità nell’onomastica dei liberti indirizza ad una datazione del testo ante-
riore agli inizi del I sec. a.C.659
La gens Octavia è ben attestata in età tardo repubblicana nel Piceno660,
ma data l’origine di Filonico è opportuno richiamare anche le attestazioni della
famiglia a Praeneste in età repubblicana: qui effettivamente un L. Octavius è
noto dalla formula di patronato del liberto C. Octavius; l’iscrizione prenestina
tuttavia, per la caratteristica forma della lettera L, appartiene alla fase più an-
tica dei cippi funerari della necropoli della Colombella, inquadrabile nel IV e so-
prattutto III sec. a.C., dunque è certamente anteriore di diversi decenni
all’epigrafe di Cluana661.
Quanto a Sufrena Pola, finanziatrice di parte o della totalità dell’opera
pubblica di Cluana, si può notare che il suo gentilizio, altrimenti sconosciuto

656 Così Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 33.


657 Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 35 e nota 20, con la bibliografia ivi citata.
658 CIL I2 3076 = ILLRP 107 c.
659 Cf. Vitucci, Libertus, cit., p. 911.
660 Vd. le attestazioni raccolte da Gasperini, Spigolature (V), cit., pp. 33-34.
661 L’iscrizione di C. Octavius L(uci) l(ibertus) richiamata nel testo è edita in CIL I2, 208 e ri-
presa da A. Franchi De Bellis, I cippi prenestini, Urbino 1997, pp. 138-139, n°87, 1 (a tale re-
cente pubblicazione si rimanda anche per un inquadramento generale sulle iscrizioni funebri
della necropoli della Colombella); altre attestazioni degli Octavii a Praeneste: Q. Octavius M. f.
di CIL I2, 209 = Franchi De Bellis, Cippi, cit., p. 138, n°88, 2; Octavia di CIL I2, 210 = Franchi De
Bellis, Cippi, cit., p. 138, n°88, 3; Octavia Q. f. di CIL I2, 211 = Franchi De Bellis, Cippi, cit., p.
138, n°88, 4.
258 Parte II. I documenti

nell’epigrafia latina662, potrebbe deporre a favore di una sua origine locale, per
la presenza del caratteristico suffisso -enus663. Più comune il cognomen Polla,
che qui compare nella forma non geminata, come nella non distante Pisau-
rum664 o come in una etichetta plumblea dalla picena Pausulae, pubblicata
qualche anno orsono da S.M. Marengo665. È suggestivo pensare, col Gasperini,
che L. Ottavio, in occasione di una sua permanenza nel Piceno, avesse preso in
moglie la cluanate Sufrena Polla e che costei si fosse valsa dell’abilità professio-
nale di uno schiavo del marito per eseguire un’importante opera pubblica nella
sua città natale, anche se questa rimane solamente un’ipotesi, almeno allo stato
attuale della documentazione in nostro possesso.
Immagine: Tav. XXV. Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 26, figg. 2-3;
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 155, fig. 42.

662 Almeno stando a Solin - Salomies, Repertorium, cit., pp. 488-489, che avanzano anche i l
possibile scioglimento dell’abbreviazione Sufren(ius).
663 Per i gentilizi in -enus nella regio V vd. supra, p. 235, nota 553.
664 CIL I2, 379 = CIL XI, 6301 = ILLRP 24 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum I, cit., pp. 138-
145, n°12.
665 Marengo, Etichette plumbee, cit., pp. 42-44, n°3.
Parte II. I documenti 259

Cluana 2

Edizione di riferimento: Gasperini, Spigolature (V), cit., pp. 51-54, n°10 (=


AE 1990, 308).
Altre edizioni: CIL IX, 5804; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 156-157.
Bibliografia: C. Hülsen, Cluentensis vicus, «P.W.», IV, 1 (1900), col. 111; N.
Alfieri, Cluana (regio V), «Antiquitas», 6 (1951), p. 18; ora in Scritti di topo-
grafia, cit., p. 367; Giorgi, La bassa valle del Chienti, cit., p. 178; Delplace in
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 34.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne rinvenuta nel 1800 a Civitanova
Alta, sul sito dell’antico vicus Cluentensis, fuori porta Marina, a pochi passi dal
lato orientale delle mura666.
Luogo di conservazione: Civitanova Alta, murata nella parete destra
dell’androne del Palazzo Comunale (autopsia maggio 2001)667.
Tipo di supporto: Lastra rettangolare in pietra calcarea, mancante di una con-
sistente porzione sul lato sinistro.
Mestiere: [---]rii ?
Datazione: le caratteristiche paleografiche inducono a porre per il testo un
termine ante quem non agli inizi del III sec. d.C.668
Testo: ------ / [----]rior(--- ?) vici Cluentensis vetustate dilapsum / [---]us,
Rufinus et Iustus impendio suo recurâverunt.
L’interpunzione è a punto semplice dopo l’abbreviazione rior. di l. 1; hederae
distinguentes separano invece i tre cognomi a l. 2.
Commento
Per completezza di informazione includo nella presente raccolta anche
questo testo, assai mutilo, che potrebbe forse conservarci il ricordo di una qual-
che attività economica del vicus Cluentensis, nell’agro di Cluana.
L’iscrizione commemora il rifacimento di un’opera, danneggiata dalle in-
giurie del tempo, da parte di tre personaggi, [--]us, Rufinus e Iustus, che dove-
vano appartenere alla medesima gens.
Per quanto concerne l’opera in oggetto tutto ciò che rimane sulla pietra
sono le lettere RIOR all’inizio della prima linea di testo a noi giunta; possiamo
inoltre affermare che, coordinato con dilapsum, doveva trattarsi di un sostan-
tivo di genere maschile o neutro. Tra le tante possibili integrazioni, L.

666 Sulle circostanze del ritrovamento dell’epigrafe, che vennero narrate da A. Brandimarte,
Plinio Seniore illustrato nella descrizione del Piceno, Roma 1815, p. 51 e in una didascalia col-
locata al di sotto dell’epigrafe vista dai redattori del CIL ma oggi scomparsa, si veda Gasperini,
Spigolature (V), cit., p. 52; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 156.
667 Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 52; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergeti-
smo, cit., p. 156.
668 Gasperini, Spigolature (V), cit., pp. 53-54; cf. Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., p. 157. Superata la datazione non posteriore alla metà del I sec. d.C. proposta da
Alfieri, Cluana, cit., p. 18; ora in Scritti di topografia, cit., p. 367) su suggerimento di A.
Degrassi.
260 Parte II. I documenti

Gasperini, che ha recentemente riesaminato il pezzo, suggerisce exempli gratia


l’ipotesi di un [forum carbona]rior(um), [centona]rior(um), [lana]rior(um),
[tignua]rior(um) o [vina]rior(um), dunque di un’area del vicus Cluentensis in cui
espletavano la loro attività dei non meglio specificati lavoratori il cui nome
terminava con [---]rii669. Il testo di Civitanova Alta si andrebbe dunque ad af-
fiancare alla testimonianza del forum pecuarium di Falerio670.
Non si deve tuttavia dimenticare che le integrazioni proponibili per que-
sto lacunoso testo sono innumerevoli: in particolare si segnala, col Gasperini, il
possibile ricordo del rifacimento di un [murum supe]rior(em) o [infe]rior(em)
che ben si accorderebbe con le circostanze di ritrovamento del testo, scoperto in
occasione della demolizione di un manufatto antico poco fuori dalle mura
orientali di Civitanova Alta671.
Immagine: Tav. XXVI. Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 52, fig. 14;
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p 156, fig. 43.

669 Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 53.


670 Vd. infra, p. 309, Falerio 7.
671 Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 53. Entrambe le possibili interpretazioni del testo sono ri-
cordate da Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 157.
Parte II. I documenti 261

Cupra Maritima

Cupra Maritima 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5307.


Altre edizioni: come ha recentemente messo in luce G. Paci, un apografo
della presente iscrizione si trova in un manoscritto epigrafico, rimasto scono-
sciuto agli editori del CIL, compilato dall’erudito maceratese Luigi Ernesto
Riccomanni tra il 1759 e il 1773672.
Bibliografia: Fortini, Cupra Maritima. Origini, storia, urbanistica, cit., pp.
17; 25-26; P. Giacomini, Anagrafe dei cittadini ravennati, «Storia di Ravenna.
I. L’evo antico», a cura di G. Susini, Venezia 1990, p. 201, n°965; p. 202,
n°989; Fortini, Aspetti della vita economica del Piceno, cit., p. 104;
Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 295; Delplace, Romanisation, cit., p. 231;
Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documenta-
zione storica ed archeologica, cit., p. 107.
Luogo di ritrovamento: a Cupra Maritima, dall’area della Pieve di S. Basso
Fora (autopsia maggio 2001)673.
Luogo di conservazione: a Cupra Marittima, nel cortile superiore della Pieve
di S. Basso Fora, murata al centro di una vasca674.
Tipo di supporto: stele in calcare, sormontata da una pigna; lo specchio epi-
grafico è delimitato da una cornice modanata. Il monumento è stato esposto
agli agenti atmosferici, di conseguenza la superficie iscritta si presenta forte-
mente consunta e, nella parte destra, intaccata da incrostazioni; quanto ancora
si può leggere conferma tuttavia l’edizione di CIL.
Mestiere: negotiator olearius.
Datazione: la comparsa dell’adprecatio ai Mani e il nome del defunto in caso
dativo indicano un termine di datazione post quem alla metà del I sec. d.C.; la
suddivisione delle parole su diverse linee dell’iscrizione autorizza a porre il do-
cumento nel secolo seguente.
Testo: D(is) M(anibus). / P(ublio) Sentio Fe/lici, Aug(ustali) Ra/vennae,
neg/otiatori / oliario. / Sextilia Ad/iecta mari/to optimo.

672 Vd. G. Paci, Un ignorato manoscritto epigrafico di Luigi E. Riccomanni presso l’Accademia
Georgica di Treia, «Atti e Memorie. Deputazione di storia patria per le Marche», 93 (1988), pp.
65-92; per il nostro documento vd. partic. p. 78, n°21. Il Riccomanni vide la pietra nella Chiesa
di S. Maria del Castello, dove essa era utilizzata come “pila per l’acqua santa”.
673 Cf. lemma a CIL IX, 5307; Fortini, Cupra Maritima. Origini, storia, urbanistica, cit., p. 17.
674 Fortini, Cupra Maritima. Origini, storia, urbanistica, cit., pp. 17; 25-26 e autopsia maggio
2001. Colgo l’occasione per ringraziare vivamente la famiglia Morganti, nella persona d i
Giancarlo Morganti, che mi ha consentito di prendere visione di questo monumento nella pieve
di S. Basso Fora, ora di proprietà della famiglia.
262 Parte II. I documenti

Commento
L’iscrizione in esame è il semplice epitafio del commerciante P. Sentius
Felix, membro del collegio degli Augustali di Ravenna, ma deceduto a Cupra
Maritima, postogli dalla moglie Sextilia Adiecta.
Il gentilizio Sentius non sembra essere altrimenti noto nella documenta-
zione ravennate675, mentre è abbastanza ben attestato nel Piceno676. Piuttosto
rare le attestazioni del prenome Publius in connessione con questo nomen677.
L’assenza di patronimico e di indicazione di patronato lascia qualche dubbio ri-
guardo la condizione giuridica del personaggio: tuttavia la carica di Augustalis
permette di ipotizzare che Sentius fosse un liberto678. L’ipotesi può trovare
conforto dall’esame del dossier di testimonianze relative ai collegi dedicati al
culto imperiale a Ravenna, che credo valga la pena riprendere qui breve-
mente679:
1. CIL XI, 2: M. Caes(ius) Chresimus, Aug(ustalis) Raven(nae).
2. CIL XI, 13: Primitivus lib(ertus), VI vi[r].
3. CIL XI, 128: C. Iulius Alexander, Aug(ustalis) m(unicipi) R(avennatis).
4. CIL XI, 129: C. Oclatius Zosimus, VI vir m(unicipi) R(avennatis).
5. CIL XI, 130: M. Vibius Felix, Aug(ustalis) [m(unicipi)] R(avennatis).
6. CIL XI, 6239 da Fanum Fortunae: C. Tonnius Cinnamus, VI vir Raven(nae).
7. CIL XI, 6747: C. Larnius Antiochus, Augustal(is) Ravenn(ae).
Come si vede, anche se lo statuto di schiavo affrancato è esplicitamente
attestato solamente nel caso n°2, i caratteri dell’onomastica dei seviri e degli
Augustales di Ravenna suggeriscono comunque una loro estrazione dall’ambien-
te dei liberti del grande porto adriatico. Con questa ipotesi non contrasta nem-
meno il cognome del personaggio sepolto a Cupra Maritima, Felix, uno dei co-
gnomina con il maggior numero di attestazioni in tutto il mondo romano e as-
sai diffuso anche tra gli individui di nascita servile680.

675 In base alle prosopografie redatte da P. Giacomini, Anagrafe dei cittadini ravennati, «Storia
di Ravenna. I. L’evo antico», a cura di G. Susini, Venezia 1990, pp. 137-222 (che scheda il per-
sonaggio a p. 201, n°965) e Ead., Anagrafe dei classiari, ibid., pp. 321-362.
676 Vd. le attestazioni raccolte supra, pp. 163-164.
677 In Italia vd. CIL IV, 1287 da Pompei: P. Sentiu[s]; CIL X, 3730 da Volturnum: Sentia P. f.
Pompeiana; CIL IX, 3165 da Corfinium; a Mediolanum CIL V, 5841: P. Sentius Aristides e 6009:
Sentia P. f. Quarta.
678 Così Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 295.
679 Dall’elenco di attestazioni di Duthoy, Recherches, cit., p. 167 si deve espungere CIL XI, 46,
che si riferisce ad un marinaio ex ((triere)) Aug(usto) e non ad un Aug(ustalis); per inciso, l o
scioglimento Aug(ustus) del nome della trireme che qui si propone, sulla scorta di Giacomini,
Anagrafe dei classiari, cit., p. 339, n°270, è da preferire alla forma Aug(usta) proposta da A.
Donati, Contributo agli indici di CIL, XI, «StudRomagn», 20 (1969), pp. 447-479, p. 453, sulla
base di CIL X, 3450 da Misenum, ove il nome dell’imbarcazione è scritto per esteso.
680 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., pp. 73; 134; la scheda a pp. 272-274 registra ben 513
personaggi di condizione servile o libertina con questo cognomen; cf. anche Agnati, Epigrafia,
diritto e società, cit., p. 112, che include Felix nella sua lista di cognomina latini con forte dif-
fusione tra l’elemento servile. Per quanto concerne la documentazione urbana Felix risulta essere
il nome maggiormente attestato fra liberti e schiavi secondo Solin, Sklavennamen, cit., III, p.
680.
Parte II. I documenti 263

La moglie del defunto, Sextilia Adiecta, potrebbe essere originaria di Ra-


venna, dove il gentilizio è ben attestato681, mentre nella regio V il nomen per il
momento compare solo su instrumentum rinvenuto a Tavignano, nella valle del
Musone682. Altrimenti sconosciuto nel Piceno il cognome Adiecta, che per la
verità sembra avere una modesta diffusione nel mondo romano e non pare avere
una speciale coloritura servile683.
L’occupazione di P. Sentius Felix ci riporta al tema della commercializ-
zazione dei prodotti dell’ulivo, che nella documentazione epigrafica latina è
rappresentato da almeno quattro nomi di mestiere differenti, quello di olearius,
di diffusor olearius, di mercator olearius e infine, come nel nostro caso, di ne-
gotiator olearius. Un breve esame della documentazione in nostro possesso può
chiarire se a queste diverse definizioni corrispondessero funzioni distinte; occu-
pandoci di nomi di mestiere, non prenderemo in esame la documentazione
scritta sulle anfore Dressel 20, che pure è essenziale per la ricostruzione del
commercio d’olio tra la Spagna meridionale, principale luogo di produzione, e
Roma: nei tituli delle anfore in effetti i tantissimi nomi di personaggi che ap-
paiono come elemento b, secondo la classica distinzione introdotta da H.
Dressel, non sono associati ad un’occupazione, il che ha dato origine ad un vi-
vace dibattito riguardo l’interpretazione dei dati e l’identificazione delle fun-
zioni svolte dalle diverse persone. La rassegna si limiterà dunque alle testimo-
nianze dell’epigrafia monumentale.
olearii
1. H. Solin, Epigraphische Untersuchungen in Rom und Umgebung, Helsinki
1975, pp. 27-28, n°51 = CIL I2, 3003 da Roma, nella quale si ricorda P.
Barbatius M. l., oliarius, probabilmente di età sillana684.
2. AE 1980, 83 da Roma, L. Fursius L. l. Dionisius, olearius, morto intorno alla
metà del I sec. a.C.685
3. CIL VI, 3674 = 30851, dedica votiva posta da Zoticus, oliarius686.
4. CIL VI, 9716, iscrizione sepolcrale di C. Cercienus C. l. Dasius, ricordato in-
sieme alla moglie Marcia ((mulieris)) l. Philematium; la semplicità del formula-

681 Cf. i personaggi schedati da Giacomini, Anagrafe dei cittadini ravennati, cit., p. 202, nn.
988-996; Adiecta è qui registrata al n°989; cf. anche i classiari registrati da Ead., Anagrafe dei
classiari, cit., p. 352, nn. 445-447.
682 CIL IX, 6083, 135: C. Sextilius Zosimus.
683 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 349, che registra 21 attestazioni di questo cognome da
CIL. Due attestazioni a Roma in Solin, Sklavennamen, cit., II, p. 172.
684 La datazione proposta da Solin è sostanzialmente accolta da S. Panciera, Olearius, «The Sea-
borne Commerce of Ancient Rome: Studies in Archaeology and History», a cura di J.H. D’Arms -
E.C. Kopff, Rome 1980 = «MAAR», 36 (1980), p. 236.
685 Iscrizione pubblicata da Panciera, Olearii, cit., p. 237.
686 L’iscrizione è datata da Solin, Die griechischen Personennamen, cit., II, p. 827 alla prima
metà del III sec. d.C.
264 Parte II. I documenti

rio e l’assenza dell’adprecatio ai Mani non consentono di scendere nella data-


zione oltre la prima età imperiale687.
5. CIL VI, 9717, frammentaria iscrizione che ci fa conoscere un L. Iulius M. f.
Volt. Fuscus, olearius, con l’etnico Aquensis, da riferire ad Aquae Sextiae, in
ragione dell’iscrizione nella tribù Voltinia che era quella prevalente nella città
della Gallia Narbonense688; per quanto concerne la datazione, si possono ripe-
tere le considerazioni espresse a proposito del testo precedente.
6. CIL VI, 9718, epigrafe sepolcrale di L. Cluvius L. l. Cerdo, olearius de
Carinis; il formulario, con l’espressione ossa, seguito dal nome del defunto in
caso genitivo, spinge a datare il testo entro il I sec. d.C.689
7. CIL VI, 9719, epitafio di Folia Saturnina, nella quale appare anche un
Crescens ((mulieris)) ser(vus), natione Bessus, olear(ius) de portic(u)
Pallantian(a); l’iscrizione è datata tra la seconda metà del I sec. d.C. e la prima
metà del secolo seguente690.
8. ICUR III, 6699 dalle catacombe di Domitilla, sulla via Ardeatina: Felicissima
/ oliaria.
9. AE 1987, 226-227 dall’ager di Tusculum, cippi relativi all’area funeraria in
cui venne sepolto l’olearius M. Cusenius M. l. Anteros, insieme ad un altro li-
berto; anche questo documento si dovrebbe collocare intorno alla metà
dell’ultimo secolo prima dell’era cristiana.
10. CIL XIV, 409 = ILS 6146 ricorda, tra le numerose associazioni che ebbero
come patrono Cn. Sentius Felix, anche il corpus olearior(um); l’attività di Cn.
Senzio Felice si data tra la fine del I e gli inizi del II sec. d.C.691
11. CIL X, 1934 da Puteoli, frammentaria iscrizione sepolcrale di C. Hostius A.
[---], olearius; come nell’epitafio di L. Cluvius Cerdo, ritroviamo l’espressione
ossa, che pare qui posposta al nome del defunto, in caso genitivo.
12. M.A. Tabales Rodríguez - A. Jiménez Sancho, Hallazgo de una nueva in-
scripción referente al cuerpo de olearios en el Alcázar de Sevilla, «Habis», 32
(2001), pp. 375-386 da Hispalis, registra un donativo a Minerva, da parte di
una tal Valeria, in honorem corporis oleariorum.

687 Per quanto concerne il nomen del personaggio, CERCIENS nell’edizione del CIL, accolgo la
correzione proposta da Solin, Sklavennamen, cit., III, p. 613; lo studioso finlandese propone una
datazione del testo entro il I sec. d.C.
688 Così già Kubitschek, Imperium romanum, cit., p. 206; cf. Panciera, Olearii, cit., p. 249, nota
75.
689 Sulla formula vd. le considerazioni di G. Vergantini in Inscriptiones Latinae liberae rei pu-
blicae, cit., p. 300, basate sulla dissertazione di laurea dell’autrice, intitolata Ricerche sul formu-
lario delle iscrizioni sepolcrali di Roma, Università di Roma “La Sapienza”, a.a. 1985/86. Solin,
Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1287 propone una datazione al I sec. d.C.; Id., Skla-
vennamen, cit., II, p. 578 si limita a collocare il personaggio nel I/II sec. d.C.
690 Per la datazione vd. Solin, Sklavennamen, cit., I, p. 51. Sul problema dell’identificazione del
portico nominato in questa iscrizione vd. C. Lega, Porticus Pallantiana, «Lexicon Topographi-
cum Urbis Romae», IV, a cura di E.M. Steinby, Roma 1999, pp. 145-146, con bibliografia prece-
dente.
691 Per la datazione dell’iscrizione vd. Meiggs, Roman Ostia, cit., p. 555.
Parte II. I documenti 265

13. CIL XII, 4499 da Narbo, epitafio eretto per sé e per la moglie dall’olearius
P. Granius P. l. Communis; anche in questo caso l’assenza dell’adprecatio ai
Mani induce a non scendere oltre la prima età imperiale692.
14. CIL I2, 705, dedica posta dagli olearii di Delo al proconsole C. Giulio
Cesare, padre del futuro dittatore e governatore della provincia d’Asia nei primi
anni del I sec. a.C.693 L’associazione è ricordata anche nella documentazione in
lingua greca dell’isola694.
15. AE 1925, 45 bis da Caesarea, in Mauretania, epitafio di P. Livius P. Eusexti
l. Pileros, oliarius, che potrebbe collocarsi negli ultimi anni dell’età repubblica-
na695.
Come si vede, le testimonianze di olearii nude dicti si addensano in modo
particolare in età tardorepubblicana e nella prima età imperiale, se prescindiamo
dall’isolato documento cristiano n°8. Il termine certamente designava coloro
che si occupavano della vendita al dettaglio dell’olio, conosciamo in effetti i
luoghi in cui due di questi olearii esercitavano il loro commercio (nn. 6-7); que-
sta constatazione ben si accorda con la modesta condizione giuridica di molti o-
learii: sono schiavi il n°7 e, a giudicare dalla sua onomastica, anche il n°3, liberti
nn. 1, 2, 4, 6, 9, 13 e 15. Non si deve tuttavia escludere che il termine potesse
designare anche uomini impegnati nel trasporto dell’olio dai luoghi di produzio-
ne a quelli di consumo: un’attività di questo carattere si può supporre per le as-
sociazioni degli olearii di Delo, Hispalis e Ostia e in particolare per L. Iulius M.
f. Volt. Fuscus, cittadino di Aquae Sextiae deceduto a Roma, dove probabilmen-
te lo avevano portato i suoi commerci; non a caso questo è l’unico personaggio
del gruppo degli olearii nude dicti di sicura nascita ingenua.

692 Sul personaggio vd. Schlippschuh, Händler, cit., p. 18.


693 L’iscrizione, brevemente ricordata per la prima volta da E. Ardaillon, Rapport sur les fouilles
du port de Délos, «BCH», 20 (1896), p. 443 (= AE 1897, 87) e pubblicata pochi anni più tardi da
P. Jouguet, Fouilles du port de Délos, «BCH», 23 (1899), pp. 73-74 (= AE 1899, 132), è stata più
volte ripresa dai corpora posteriori, cf., oltre all’edizione in CIL I2, 705 ricordata nel testo, CIL
III, 14203, 6; IDélos 1712 e ILLRP 344.
694 IDélos IV, 1713, con il nome di ejlaiopw'lai. Sugli olearii di Delo vd. Panciera, Olearii, cit.,
p. 236; F. Coarelli, Il foro Boario dalle origini alla fine della Repubblica, Roma 1988, p. 203.
695 Per la datazione vd. Panciera, Olearii, cit., p. 236.
266 Parte II. I documenti

diffusores olearii696
1. CIL VI, 1885 = AE 1994, 193 da Roma, nella quale il lictor curiatus e diffu-
sor olearius ex provincia Baetica D. Caecilius Abascantus cura l’iscrizione alla
memoria della moglie Caecilia Hellas; le particolarità del formulario consento-
no di collocare l’iscrizione intorno alla metà del II sec. d.C.697
2. AE 1980, 98 = 1994, 194 da Selva Candida, poco a nord di Roma, epitafio di
D. Caecilius Onesimus, che fu viator, apparitor Augustoru[m] e diffusor
o[lear(ius)] ex Baet[ica]; la testimonianza è datata all’età di Marco Aurelio698.
3. CIL VI, 29722 = ILS 7490, iscrizione sepolcrale di C. Sent[i]us Regulianus,
membro dell’ordine equestre e diffus(or) olearius ex Baetica, nonché curator
dell’associazione dei diffusores, negot(iator) vinarius Lugudun(i) in canabis
consisten(s), curatore e patrono del medesimo collegio, nauta dell’Arar e patro-
no della relativa associazione, infine patrono dei seviri di Lugdunum. La bril-
lante attività di Regoliano pare essersi svolta nella seconda metà del II sec.
d.C.699
4. CIL II2, 5, 1180 = II, 1481 da Astigi, in Baetica, iscrizione nella quale il figlio
e il nipote pongono sepoltura al diffusor olearius M. Iulius Hermesianus, su

696 Ho preferito non includere nella rassegna di testimonianze relative ai diffusores alcune te-
stimonianze dalla Gallia: CIL XII, 714, a, 1 dall’anfiteatro di Arelate, ove si può leggere DIFF e i
sigilli rinvenuti a Lugdunum sui quali appare il medesimo termine, per i quali si rimanda a A.
Grenier, Manuel d’archéologie gallo-romaine, II, L’archéologie du sol, Paris 1934, p. 660. No-
nostante queste testimonianze siano state messe in connessione con i diffusores olearii, sulla
loro interpretazione permangono dei dubbi, cf. Panciera, Olearii, cit., p. 241; A. Tchernia, D.
Caecilius Hospitalis et M. Iulius Hermesianus (CIL, VI, 1625b et 20742), «Producción y comer-
cio del aceite en la antigüedad. Primer congreso internacional», a cura di J.M. Blazquez
Martínez, Madrid 1980, p. 158, nota 20; M.G. Granino Cecere, D. Caecilius Abascantus, diffusor
olearius ex provincia Baetica (CIL VI 1885), «Epigrafia della produzione e della distribuzione.
Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain organisée par
l’Université de Roma - La Sapienza et l’École française de Rome, Rome 5-6 juin 1992», Rome
1994, p. 718, nota 57. Per quanto concerne l’iscrizione di Arelate potrebbe essere interessante
verificare un eventuale rapporto con le sparsiones, le aspersioni di acqua e di profumi con le
quali talvolta si dava conforto agli spettatori dei giochi.
697 L’iscrizione è stata ripubblicata da Granino Cecere, D. Caecilius Abascantus, cit., pp. 705-
719, con la correzione di alcune letture errate dell’edizione CIL, non fondata sull’autopsia. Sul
documento vd. anche Panciera, Olearii, cit., p. 245; P. Le Roux, L’huile de Bétique et le Prince
sur une itineraire annonaire, «REA», 88 (1986), p. 269, n°9; F. Taglietti, Un inedito bollo late-
rizio ostiense ed il commercio dell’olio betico, «Epigrafia della produzione e della distribu-
zione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain organisée
par l’Université de Roma - La Sapienza et l’Ecole française de Rome, Rome 5-6 juin 1992»,
Rome 1994, p. 184.
698 Il documento è edito da Panciera, Olearii, cit., p. 242; cf. anche Le Roux, Huile, cit., pp. 268-
269, n°7; Granino Cecere, D. Caecilius Abascantus, cit., pp. 713-714; Taglietti, Un inedito bollo,
cit., pp. 182-183.
699 Su questo personaggio vd. Schlippschuh, Händler, cit., p. 18; G. Chic Garcia, El interven-
cionismo estatal en los campos de la producción y la distribución durante la época de los
Antoninos, «MHA», 3 (1979), p. 137; Panciera, Olearii, cit., pp. 241; 243; Le Roux, Huile, cit., p.
261; p. 269, n°8; P. Herz, Studien zur römischen Wirtschaftsgesetzgebung. Die Lebensmittelver-
sorgung, Wiesbaden - Stuttgart 1988, p. 131; Taglietti, Un inedito bollo, cit., pp. 183-184.
Parte II. I documenti 267

terreno concesso dall’ordo della comunità700. Il medesimo personaggio è ora


noto anche da una lacunosa epigrafe di Hispalis, nella quale il corpus
[ole]ari[orum] onora con l’erezione di una statua Ermesiano in quanto diffusor
olei ad annon[am] Urbis e c[urator?] corpo[ris] olea[riorum st]ationi[s]
Romul[ae]; le spese effettive per l’erezione del monumento vennero sostenute
dal figlio dell’onorato701.
5. AE 1984, 526 da Oducia, in Baetica, nella quale M. Cassius M. f. Gal.
Sempronianus, diffusor olearius originario di Olisipo, ricorda la costruzione a
solo e la dedica di un monumento non specificato, tra la fine del I sec. d.C. e la
prima metà del secolo seguente702.
Il termine diffusor olearius ci riconduce ad un ambito sociale più variegato
rispetto a quello in cui generalmente si muovono gli olearii nude dicti sopra
esaminati: accanto a personaggi di probabile estrazione servile, che lavoravano
anche nelle decuriae degli apparitores di Roma (nn. 1-2), troviamo anche uo-
mini di un certo rilievo sociale e con buone capacità economiche, come C.
Sentius Regulianus, membro dell’ordine equestre, commerciante a Lugdunum,
curatore e patrono di diverse associazioni di mestiere, tra le quali lo stesso cor-
pus dei diffusores olearii, e religiose (n°3), o M. Iulius Hermesianus, che venne
onorato ad Hispalis con una statua e ad Astigi da una sepoltura su terreno pub-
blico (n°4), o ancora M. Cassius Sempronianus, che poté permettersi l’erezione
dalle fondamenta di un qualche edificio in Betica (n°5).
Il problema dell’individuazione dei compiti dei diffusores ha suscitato un
vivace interesse della dottrina, soprattutto in anni recenti703: la scarsità dei dati

700 Il documento è studiato da Panciera, Olearii, cit., p. 241; Tchernia, D. Caecilius Hospitalis,
cit., pp. 157-158; Le Roux, Huile, cit., p. 268, n°4; G. Chic Garcia, El comercio del aceite de l a
Astigi romana, «Habis», 17 (1986), p. 249 (questo contributo è stato pubblicato, con poche va-
rianti in «Actas del I Congreso sobre historia de Ecija», I, Ecija 1988, pp. 247-270 e in Tres
estudios sobre la colonia Augusta Firma Astigi, Ecija s.d., pp. 45-58); Granino Cecere, D.
Caecilius Abascantus, cit., p. 714; Taglietti, Un inedito bollo, cit., p. 183.
701 Pubblicazione preliminare dell’iscrizione, che presumibilmente sarà oggetto di revisioni, i n
G. Chic García - E. García Vargas - A.S. Romo Salas - M.A. Tabales Rodríguez, Una nueva
inscripción annonaria de Sevilla: M. Iulius Hermesianus, diffusor olei ad annonam Urbis,
«Habis», 32 (2001), pp. 353-374.
702 Su questa iscrizione vd. Le Roux, Huile, cit., p. 267, n°2; M.-F. Loyzance, À propos de
Marcus Cassius Sempronianus Olisiponensis, diffusor olearius, «REA», 78 (1986), pp. 273-
284; Granino Cecere, D. Caecilius Abascantus, cit., p. 714; Taglietti, Un inedito bollo, cit., pp.
176-177; Gil Mantas, Actividades, cit., p. 65.
703 Sul significato del termine diffusor olearius vd. tra gli altri E. De Ruggiero, Diffusor, «Diz.
Ep.», II (1910), p. 1782-1783, che lo riteneva semplice sinonimo di negotiator; R. Thouvenot,
Essai sur la province romaine de Bétique, Paris 1940, p. 265 vedeva nel diffusor colui che non
solo era incaricato di travasare l’olio, ma anche di misurarlo; V.A. Sirago, L’Italia agraria sotto
Traiano, Louvain 1958, p. 211, seguito da H. Pavis D’Escurac, La préfecture de l’annone. Ser-
vice administratif impérial d’Auguste à Constantin, Rome 1976, pp. 193-194, sembra vedere nei
diffusores dei grossisti che avevano il compito di ripartire l’olio tra i diversi dettaglianti d i
Roma; P. Baldacci, Commercio e stato nell’età dei Severi, «RIL», 101 (1967), p. 744
dall’iscrizione di C. Senzio Regoliano ricava la teoria che il diffusor olearius ex Baetica fosse
un cavaliere incaricato di prendere in consegna a Roma l’olio proveniente dalla Spagna meri-
dionale e addetto alle distribuzioni che si facevano all’ingrosso ai negotiatores, una generaliz-
268 Parte II. I documenti

a disposizione tuttavia non ha consentito di dare una risposta certa all’interro-


gativo e sostanzialmente non si può che tornare al significato del verbo diffun-
do, nel senso di “travasare”, ben attestato per quanto concerne il vino; la fun-
zione dei diffusores comunque doveva andare oltre le semplici operazioni tecni-
che, nelle quali difficilmente si sarà impegnato in prima persona un cavaliere
come C. Sentius Regulianus, ma doveva consistere probabilmente in un’azione

zazione insostenibile, a mio parere, già per il solo fatto che le altre attestazioni dell’occupazione
non riguardano membri dell’ordine equestre. Schlippschuh, Händler, cit., p. 18 riteneva piutto-
sto che Regoliano esercitasse un’attività commerciale a largo raggio; J. Rougé, Aspects écono-
miques du Lyon antique, «Les martyrs de Lyon (177). Lyon, 20-23 Septembre 1977», Paris 1978,
pp. 57-58 ritiene che i diffusores fossero i rappresentanti dei grandi produttori di olio della
Spagna nei luoghi di importazione, incaricati di distribuire il prodotto tra i dettaglianti; questa
interpretazione è sostanzialmente accolta da Tchernia, D. Caecilius Hospitalis, cit., pp. 158-159;
per J.M. Blazquez, Economía de la Hispania romana, Bilbao 1978, p. 422 i diffusores sembrano
essere stati piuttosto impegnati nei punti di imbarco delle anfore olearie; Panciera, Olearii, cit.,
pp. 241-243, in via di ipotesi, suggeriva di vedere nei diffusores coloro che accoglievano e smi-
stavano i carichi di olio nei porti di arrivo, distinguendoli dai negotiatores, che operavano
all’ingrosso nelle regioni di produzione, e dai mercatores, che piuttosto si occupavano della
vendita al dettaglio, riconoscendo tuttavia che nella documentazione a quel momento a disposi-
zione tale schema non trovava sufficiente sostegno; Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 95;
ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 111 si limita ad accennare al
senso tecnico di diffundo; J. Remesal-Rodriguez, Ölproduktion und Ölhandel in der Baetica:
ein Beispiel für die Verbindung archäologischer und historischer Forschung, «MBAH», 2
(1983), 2, p. 104 definisce piuttosto i diffusores intermediari tra commercianti e produttori (de-
finizione sostanzialmente ripresa dallo studioso in L. Marius Phoebus mercator olei Hispani ex
provincia Betica. Consideraciones en torno a los términos mercator, negotiator y diffusor ole-
arius ex provincia Betica, «∆Epigrafaiv. Miscellanea epigrafica in onore di Lidio Gasperini», a
cura di G. Paci, Tivoli 2000, II, pp. 796-797; Loyzance, Marcus Cassius Sempronianus, cit., pp.
279-283 ritiene che i diffusores sovrintendessero alle operazioni di travaso dell’olio, sia nei
luoghi di imbarco della Betica, sia in località in cui poteva verificarsi un trasbordo della merce,
come Arelate e Lugdunum (ma sui dubbi che permangono riguardo le testimonianze di diffuso-
res dalla Gallia vd. supra, p. 266, nota 696), sia a Roma; Le Roux, Huile, cit., pp. 260-262 insiste
piuttosto sull’aspetto tecnico, ritenendo che i diffusores fossero gli specialisti incaricati d i
sorvegliare le operazioni di travaso e la corretta conservazione dell’olio ed occupando dunque
una posizione intermedia tra commercianti all’ingrosso e venditori al dettaglio; Chic Garcia,
Comercio del aceite, cit., pp. 248-250 ritiene piuttosto che i diffusores altro non fossero che ne-
gotiatores e mercatores privati, che si erano messi al servizio dell’annona agendo come inter-
mediari per l’acquisto e la distribuzione dell’olio annonario (tale posizione è ribadita in Chic
García - García Vargas - Romo Salas - Tabales Rodríguez, Nueva inscripción, cit., pp. 362-364;
366-370, sulla scorta della nuova testimonianza pubblicata nel medesimo contributo); E.
Rodríguez-Almeida, Diffusores, negotiatores, mercatores olearii, «BCAR», 92 (1987-1988), pp.
299-306, riconoscendo che i diffusores erano coloro che controllavano le operazioni di travaso
dell’olio nei luoghi di produzione, conclude tuttavia che costoro si occupavano anche
dell’esportazione del prodotto, identificandosi in pratica con negotiatores e mercatores olearii;
Taglietti, Un inedito bollo, cit., pp. 179-185: commercianti preposti, in funzione ufficiale, alle
operazioni di travaso dell’olio, limitatamente agli anni centrali del II sec. d.C.; Höbenreich,
Annona, cit., p. 300, nota 300 propende per vedere nei diffusores intermediari tra negotiatores e
mercatores oppure addetti alle operazioni di travaso; Gil Mantas, Actividades, cit., p. 65 ritiene
che i diffusores fossero impegnati nell’acquisto e nell’esportazione dell’olio; Rodríguez Neila
in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 93 li equipara ai mer-
canti d’olio; cf. anche e soprattutto Granino Cecere, D. Caecilius Abascantus, cit., pp. 712-719,
alla cui fondate conclusioni sostanzialmente mi riallaccio nel testo; per una rassegna con altre
posizioni vd. De Salvo, Corpora naviculariorum, cit., p. 213, nota 139.
Parte II. I documenti 269

di controllo e di garanzia delle operazioni di travaso dell’olio, sia nei luoghi di


produzione, dove apparentemente agivano M. Giulio Ermesiano e M. Cassio
Semproniano (nn. 4-5), sia nei luoghi di consumo, come Roma, dove condussero
la loro esistenza gli apparitores D. Cecilio Abascanto e D. Cecilio Onesimo (nn.
1-2); la funzione dei diffusores era probabilmente collegata alla riorganizzazione
dei rifornimenti annonari di olio dell’Urbe che si opera nel corso del II sec. d.C.,
periodo entro il quale le testimonianze fino a questo momento in nostro
possesso si inquadrano.
mercatores oleari
1. CIL VI, 1620 = ILS 1342, dedica dei mercatores frumentari et oleari Afrari al
prefetto dell’annona C. Iunius C. f. Quir. Flavianus. In base alla carriera dell’o-
norato, l’iscrizione si colloca negli ultimi anni di Adriano o agli inizi del princi-
pato di Antonino Pio704.
2. CIL VI, 1935 = ILS 7489, iscrizione funeraria di L. Marius Phoebus, che fu
viator tribunicius decuriae maioris e mercator olei Hispani ex provincia
Baetica; l’epitafio è datato verso il 153-160 d.C.705
La documentazione relativa ai mercatores olearii è piuttosto scarna e si
concentra attorno alla metà del II sec. d.C.: le precisazioni geografiche, che
fanno rispettivamente riferimento all’Africa e alla Betica, due delle principali
zone di coltivazione dell’ulivo nel mondo romano, farebbero pensare che anche
i mercatores fossero coinvolti in traffici transmarini. Tuttavia la funzione di
apparitor svolta da L. Mario Febo difficilmente si accorda con un regolare im-
pegno sulle rotte che portavano l’olio della Betica a Roma: si deve dunque pen-
sare che questo mercator curasse semplicemente la commercializzazione dell’o-
lio spagnolo nell’Urbe e che la notazione ex provincia Betica vada riferita non
al mercator, quanto all’olio stesso706. Riguardo alla scala delle attività esercitate
dai mercatores, non vi sono elementi che lascino pensare ad una vendita al det-
taglio707; piuttosto, la gratitudine manifestata dai mercatores frumentari et ole-
ari Afrari nei confronti del prefetto dell’annona C. Giunio Flaviano potrebbe
essere un indizio a favore di un’attività di un certo respiro, anche se in genere il
volume di affari e l’ampiezza di orizzonti dei commercianti che si definiscono
mercatores nelle iscrizioni sono più limitati rispetto a quelli dei negotiatores708.

704 Cf. H. Pavis D’Escurac, La préfecture de l’annone. Service administratif impérial d’Auguste
à Constantin, Rome 1976, pp. 189-190; 340; sul personaggio vd. anche PIR2 I 753; Pflaum,
Carrières, cit., pp. 320-322, n°134; Devijver, Prosopographia, cit., I, p. 498; IV, p. 1621,
n°I144.
705 Cf. Panciera, Olearii, cit., p. 245; Le Roux, Huile, cit., p. 268, n°6. Il personaggio è forse da
identificare con l’omonimo attestato da un’iscrizione di Corduba, CIL II2 7, 544, ristudiata,
nelle sue implicazioni prosopografiche e storico-economiche, da Remesal Rodríguez, L. Marius
Phoebus, cit., pp. 781-797.
706 Come osserva P. Kneissl, Mercator - negotiator. Römische Geschäftsleute und die Termino-
logie ihrer Berufe, «MBAH», 2 (1983), 1, p. 78.
707 Nonostante le considerazioni di Tchernia, D. Caecilius Hospitalis, cit., pp. 156-157; Le
Roux, Huile, cit., p. 260 e nota 83.
708 Vd. J. Rougé, Recherches sur l’organisation du commerce maritime en Mediterranée sous
l’Empire romain, Paris 1966, pp. 274-284; 287-291, partic. 289-291; Kneissl, Mercator - nego-
270 Parte II. I documenti

negotiatores oleari
1. CIL VI, 1625b (cf. p. 4722) = ILS 1340, dedica dei negotiatores ole[ari(i)] ex
Baetica al loro patrono M. Petronius M. f. Quir. Honoratus, prefetto d’Egitto
nel 147-148 d.C., che qualche anno prima aveva tra l’altro rivestito la funzione
di prefetto dell’annona709.
2. AE 1973, 71 da Roma, iscrizione sepolcrale di una [ne]gotiatrix olear(ia) ex
provinc(ia) Baetic(a) item vini il cui nome è andato perduto; il documento si da-
ta alla prima metà del II sec. d.C.710.
3. CIL XIII, 1996 da Lugdunum, epitafio di L. Hilarianius Cinnamus, negotia-
tor olearius711, ma anche nauta del Rodano e curatore dell’associazione rela-
tiva.
4. CIL III, 2936 da Iader, in Dalmazia, iscrizione sepolcrale relativa ad una fa-
miglia di Cornelii, tra i quali troviamo anche M. Cornelius Carpus, negotiator
olearius.
Le informazioni in nostro possesso riguardo i negotiatores olearii non so-
no molto più precise di quelle relative ai mercatores: il ricordo di negotiatores
ex provincia Baetica (nn. 1-2) a Roma dimostra che la loro attività toccava sia
i luoghi di produzione come quelli di consumo dell’olio, anche se non si può af-
fermare con certezza una loro presenza in prima persona nei punti di imbarco
della merce nella Spagna. Lo statuto sociale di questi commercianti è vario, pur
nella scarsità delle testimonianze: mentre L. Ilarianio Cinnamo sembra aver
raggiunto a Lugdunum una certa posizione, divenendo curatore del collegio dei

tiator, cit., pp. 73-90, partic. pp. 75-79. In genere sulle differenze tra mercator e negotiator vd.
anche Frank, An Economic Survey, cit., pp. 276-277; Y. Thébert, Économie, société et politique
aux derniers siècles de la République romaine, «Annales ESC», 35 (1980), pp. 899-900; C.
Feuvrier-Prévotat, Negotiator et mercator dans le discours cicéronien: essai de définition,
«DHA», 7 (1981), pp. 367-405; L. Nadjo, L’argent et les affaires à Rome des origines au IIe siè-
cle avant J.-C. Étude d’une vocabulaire technique, Louvain - Paris 1989, pp. 307-321; Valencia
Hernández, Mercator y negociator, cit., pp. 200-214; Ead., Agricultura, cit., pp. 97-113 (con par-
ticolare riferimento all’opera ciceroniana); Höbenreich, Annona, cit., pp. 286-288; Rodríguez
Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 89; García Brosa,
Mercatores, cit., pp. 181-186, che insiste sulla pluralità di sfumature semantiche, relative ad
aspetti economici, ma anche sociali ed ideologici, che distinguono i due termini mercator e ne-
gotiator.
709 L’iscrizione è studiata da Panciera, Olearii, cit., pp. 243-244; Tchernia, D. Caecilius
Hospitalis, cit., pp. 155-156; Le Roux, Huile, cit., p. 268, n°5; la parte destra dell’iscrizione è
stata rinvenuta e nuovamente edita da W. Eck, Inschriften aus der Vatikanischen Nekropole un-
ter St. Peter, «ZPE», 65 (1986), pp. 284-285, n°36. Per la datazione della prefettura d’Egitto d i
M. Petronio Onorato vd. P. Bureth, Le préfet d’Egypte (30 av. J.C. - 297 ap. J.C.): Etat présent de
la documentation en 1973, «ANRW», II, 10, 1, Berlin - New York 1988, p. 485 e G. Bastianini, Il
prefetto d’Egitto (30 a.C. - 297 d.C.): Addenda (1973-1985), ibid., p. 509; in genere sul perso-
naggio vd. anche Pflaum, Carrières, cit., I, pp. 283-286, n°117; Pavis D’Escurac, Prefecture, cit.,
pp. 190; 343-344; Devijver, Prosopographia, cit., I, pp. 634-635; IV, p. 1678, n°P24; PIR2 P
281.
710 Cf. Panciera, Olearii, cit., pp. 244-245; Le Roux, Huile, cit., p. 267, n°3; Taglietti, Un inedito
bollo, cit., pp. 172-174; Gil Mantas, Actividades, cit., p. 65.
711 Secondo una correzione proposta da Mommsen della lezione NEGOTIATORIS QHARI tra-
mandata dalla tradizione erudita. Sul personaggio vd. anche Schlippschuh, Händler, cit., p. 18.
Parte II. I documenti 271

nautae del Rodano, nessun elemento indica che l’anonima negotiatrix olearia al
n°2 o il dalmata M. Cornelio Carpo (n°4) fossero figure di particolare rilievo.
Il quadro che emerge da questa rassegna delle professioni legate alla com-
mercializzazione dell’olio, seppure bisognoso di molte precisazioni, mi sembra
presentare qualche spunto interessante: i quattro mestieri esaminati paiono in
effetti avere alcune caratterizzazioni peculiari, con gli olearii maggiormente le-
gati alla vendita al minuto del prodotto, i diffusores impegnati in operazioni di
controllo in connessione con i servizi dell’annona, i mercatores a svolgere forse
l’attività di grossisti ad Ostia e a Roma, e infine i negotiatores che si occupano
del commercio in larga scala tra i luoghi di produzione e quelli di consumo, an-
che se ovviamente non saranno mancati casi in cui una stessa persona assolveva
a diverse funzioni. Mi pare anche probabile che nel corso del tempo si sia ope-
rata una differenziazione e specializzazione nella terminologia dei mestieri lega-
ti al commercio dell’olio: si è visto come nella tarda età repubblicana e nei pri-
mi decenni del periodo imperiale la quasi totalità delle testimonianze faccia ri-
ferimento a semplici olearii, mentre nel corso del II sec. d.C. diffusores, merca-
tores e negotiatores si ritagliano uno spazio abbastanza importante, lasciando
forse agli olearii nude dicti la semplice funzione di negozianti. Naturalmente
non occorre insistere troppo sulla provvisorietà di queste semplici ipotesi di la-
voro.
In base a queste ipotesi dobbiamo supporre che anche P. Sentius Felix fos-
se impegnato in un’attività commerciale di un qualche rilievo, che trovava nel
Piceno una delle sue coordinate geografiche; rimane da verificare quali altre re-
gioni potevano essere interessate dai traffici del personaggio e in che cosa egli di
preciso commerciasse.
Abbiamo visto come anche altri esponenti della gens Sentia fossero in
qualche modo legati al commercio oleario: C. Sentius Regulianus era stato dif-
fusor olearius ex Baetica nella seconda metà del II sec. d.C.; qualche tempo pri-
ma Cn. Sentius Felix aveva assunto il patronato del corpus oleariorum ad Ostia.
Si tratta certamente di spunti da tenere in debito conto, ma forse non sufficienti
a connettere con certezza l’attività del nostro negotiator adriatico con i traffici
d’olio del Tirreno e del Mediterraneo occidentale.
Il luogo in cui P. Sentius Felix esercitò l’Augustalità, Ravenna, e l’esisten-
za di provati collegamenti commerciali con il Piceno, invitano piuttosto a guar-
dare all’Adriatico settentrionale: nella stessa Cupra Maritima il ritrovamento di
un’anfora Dressel 6B, il caratteristico contenitore dell’olio istriano, con timbro
Apici, testimonia l’esistenza di importazioni dall’area settentrionale712. Riguar-

712 Sulla Dressel 6B di Cupra Maritima vd. Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita economica
attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., pp. 127-128, n. 12, con rimandi alla
bibliografia per la diffusione degli esemplari con questo bollo. In genere sulle Dressel 6B s i
rinvia alla sintesi di S. Cipriano in Pesavento Mattioli - Cipriano - Pastore, Quadro tipologico,
cit., pp. 44-45, con la bibliografia ivi citata. Per la produzione di olio in Istria vd. ora la rapida
messa a punto di R. Matijasic, Oil and Wine Production in Istria and Dalmatia in Classical An-
tiquity and the Early Middle Ages, «La production du vin et de l’huile en Méditerranée», a cura
di M.-C. Amouretti - J.-P. Brun, Athènes 1993 (Bulletin de Correspondence Hellénique Supplé-
ment XXVI), pp. 247-261, partic. 248-255, con bibliografia.
272 Parte II. I documenti

do l’intensità di queste importazioni si può osservare che, come si è sottolineato


nella parte introduttiva, dalla regio V venivano olive da tavola universalmente
apprezzate713; non abbiamo testimonianze sicure riguardo la produzione di olio,
dal momento che gli elementi che hanno fatto ipotizzare anche per la nostra
regione la fabbricazione di anfore olearie Dressel 6B sono per il momento di
valore piuttosto incerto; tuttavia è certamente legittimo ipotizzare che il
Piceno, terra di olive, potesse produrre una quantità di olio sufficiente per
l’autoconsumo: la regio V insomma doveva avere minori necessità di importare
olio istriano rispetto ad altre regioni. Alla luce di queste considerazioni si può
anche supporre che Felix fosse impegnato nell’esportazione delle note olive pi-
cene verso i centri costieri dell’Aemilia e della Venetia et Histria: del resto le due
ipotesi, quella dell’importazione di olio istriano e quella dell’esportazione di
olive della regio V, non si escludono affatto a vicenda, anzi si può dire che si
completano utilmente714. Il nome di mestiere che appare nell’iscrizione di Cu-
pra Maritima potrebbe avvalorare la teoria di un mercante principalmente im-
pegnato nel commercio di olive: G. Kuhlmann, curatore della voce olearius per
il Thesaurus Linguae Latinae, ha osservato come la forma oliarius possa essere
l’esito del termine olivarius, particolarmente nella documentazione epigrafica,
così come musivarius dà talvolta musiarius715. Il mestiere di olivarius non sem-
bra essere attestato né dalle iscrizioni, né dalle fonti letterarie716, ma certo que-
sto sarebbe il termine più opportuno per definire un commerciante di olive; è
ovvio che anche oliarius da olearius è un esito perfettamente giustificabile e
che dunque l’ipotesi del Kuhlmann rimane per il momento un semplice spunto
di ricerca da verificare.
Mi sembra piuttosto interessante sottolineare il ruolo che la città di Ra-
venna doveva avere nei circuiti commerciali del medio e alto Adriatico: alla te-
stimonianza dell’epitafio dell’Augustalis Ravennae P. Sentius Felix, sepolto a
Cupra Maritima, credo si possa accostare quella relativa ad un altro ravennate,
membro dei collegi sacerdotali del culto imperiale, C. Tonnius Cinnamus, VI vir
Raven(nae), deceduto in un altro porto del medio Adriatico, Fanum Fortunae,
secondo la già ricordata iscrizione CIL XI, 6239. La composizione sociale dei
collegi di seviri ritengo possa autorizzare l’ipotesi che anche Cinnamo fosse sta-
to condotto a Fano da motivi di carattere commerciale.
Immagine: Tav. XXVII.

713 Cf. supra, pp. 39-40.


714 Cf. Fortini, Cupra Maritima. origini, storia, urbanistica, cit., pp. 25-26; Ead., Cupra Mari-
tima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., p.
107. In Laterizi bollati, cit., p. 132 la studiosa riconosceva in CIL IX, 5307 una prova
dell’importazione di olio nel Piceno.
715 Vd. G. Kuhlmann, Olearius, «TLL», IX, 2, col. 540; cf. Id., Olivarius, ibid., col. 566; l’ipotesi
è ripresa da Solin, Untersuchungen, cit., p. 28.
716 Kuhlmann, Olivarius, cit., col. 566.
Parte II. I documenti 273

Cupra Montana

Cupra Montana 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5706.


Luogo di ritrovamento: ritrovata nel 1863 a Cupra Montana, nel corso di la-
vori per la costruzione della ferrovia717.
Luogo di conservazione: l’iscrizione sembra essere perduta già ai tempi della
redazione del CIL.
Tipo di supporto: frammento comprendente la parte destra del testo; non pos-
sediamo alcuna indicazione riguardo il tipo di supporto sul quale era incisa
l’epigrafe.
Mestiere: adiutor tabulari ?
Datazione: la perdita del testo e la sostanziale genericità del formulario nel
frammento tramandato costringono ad affidarci a due soli elementi, nel tenta-
tivo di precisare la datazione dell’epigrafe: la comparsa di un Augustalis, o piut-
tosto di un Augusti libertus, consente di porre il termine post quem
dell’iscrizione all’inizio dell’età imperiale; la formula v(ivit), se essa è effetti-
vamente da integrare nel testo di Cupra Montana, orienterebbe a collocare il
termine ante quem intorno alla metà del I sec. d.C., data dopo la quale questo
formulario diviene piuttosto raro nell’epigrafia sepolcrale di Roma718, ma anche
del Piceno, a giudicare da un rapido spoglio delle attestazioni719.
Testo: ------ ?/ [---]o Aug(---) II, v(ivit ?), / [---]ae≥ mâtr(i) / [---]rius liber/[---
adiut]o≥r tabulari / ------ ?
l. 2: la lettera V, qui ipoteticamente sciolta v(ivit), è incisa in realtà in corri-
spondenza dello spazio interlineare tra ll. 1 e 2, in modulo maggiore rispetto
alle rimanenti lettere del testo.
Commento
La lacunosità dell’iscrizione e i dubbi sulla bontà delle lezioni tramandateci
dal canonico Antonio Zannotti, unico testimone dell’epigrafe, non consentono
di proporre supplementi sicuri per tutte le linee, in particolare per le incertezze

717 Cf. lemma a CIL IX, 5706.


718 Si veda a questo proposito la ricerca di R. Friggeri - C. Pelli, Vivo e morto nelle iscrizioni d i
Roma, «Miscellanea», Roma 1980 (Tituli 2), pp. 95-172, partic. pp. 161-165 per l’aspetto crono-
logico.
719 Sulle formule vivit o vivunt nel Piceno vd. per esempio ad Asculum CIL IX, 5193; 5207 = CIL
I2, 1913; CIL IX, 5225; 5237; 5256; Cancrini, Nuove iscrizioni ascolane, cit., pp. 153-156, n°1
= AE 1990, 296, ora ripresa da P. Sabbatini Tumolesi, in Inscriptiones Latinae Liberae Rei Pu-
blicae, cit., pp. 405-407, n°140; a Castrum Novum CIL IX, 5154; ad Hadria CIL IX, 5023; ad In-
teramnia la formula ritorna in CIL IX, 5102; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., II, p.
788, n°119; a Septempeda in CIL IX, 5618.
274 Parte II. I documenti

che sussistono riguardo al numero di lettere andate perdute720. Ho preferito ri-


portare nel testo solamente le poche integrazioni relativamente certe, riservan-
domi di esaminare in questo commento alcune delle congetture che si possono
avanzare.
Per quanto concerne il carattere del testo, dovrebbe trattarsi
dell’iscrizione sepolcrale dedicata da un adiutor tabulari ad un uomo e alla ma-
dre, i cui nomi sono andati quasi totalmente perduti. Se questa interpretazione è
corretta, la lettera V di grandi dimensioni che viene riprodotta dal CIL a destra
del testo, in corrispondenza delle ll. 1-2 dell’epitafio, potrebbe essere letta
v(ivit), forse in riferimento al primo dei personaggi ricordati. La posizione nella
quale apparirebbe questa sigla è peraltro piuttosto insolita, almeno a giudicare
dalla documentazione nella regio V721, anche se non del tutto priva di con-
fronti722.
Alla prima riga dovremmo trovare un riferimento al nome o ad una fun-
zione rivestita dal primo dei defunti commemorati nel testo; la terminazione in
-o pare riferirsi più verosimilmente ad un sostantivo della II declinazione in
caso dativo, piuttosto che ad un nominativo della III declinazione. Prestando
fede alla lettura AVG II di A. Zannotti, l’integrazione più probabile mi sembra
essere [---]o, intendendo un cognome in -us in caso dativo, Aug(ustali) II, o an-
che [sevir]o vel [VI vir]o Aug(ustali) II. L’iterazione dell’Augustalità e delle
funzioni affini in effetti è un fenomeno abbastanza ben attestato723: nella stessa
regio V possiamo ricordare il caso di L. Praesentius L. l. Florus, VI vir II e
Aug(ustalis) ad Auximum724.
In alternativa, supponendo un errore nella lettura del testo da parte del
Zannotti, potremmo vedere nelle due barre verticali alla fine di l. 1 in realtà le
lettere LI e pensare ad un integrazione [---]o Aug(usti) li[b(erto)]; la O potrebbe
essere la terminazione di un gentilizio imperiale (e in tal caso dovremo pensare
che il cognome del personaggio si trovasse alla linea seguente) o, più
probabilmente, di un cognomen, ipotesi che avrebbe il vantaggio di supporre
una più coerente impaginazione del testo, con il ricordo di uno dei defunti su di

720 Una qualche indicazione potrebbe venire dall’integrazione a l. 4 [adiut]o≥r , che sembra rela-
tivamente sicura; tuttavia, in base a questa restituzione l’asse centrale dell’iscrizione cadrebbe
all’incirca sulla T di tabulari, il che mi pare lasciare uno spazio insufficiente per le integrazioni
delle linee 1 e 2, assai meno estese della l. 4. Si potrebbe forse supporre che a l. 4, prima d i
[adiut]o≥r sia andata perduta qualche altra lettera, forse relativa al cognomen del dedicante o ad
un’altra funzione da lui rivestita, tuttavia ogni ulteriore tentativo di calcolare il numero di let-
tere perdute, fondato sul presupposto non accertato che la riproduzione del CIL rispecchi fedel-
mente l’impaginazione originale del testo, sarebbe vano.
721 In nessuno dei casi citati supra, p. 273, nota 719, la formula vivit o vivunt appare nella posi-
zione attestata per l’epigrafe di Cupra Montana.
722 Un sondaggio preliminare sulla base della documentazione urbana segnalata da Friggeri -
Pelli, Vivo e morto, cit., pp. 165-166 ha rivelato almeno un caso parallelo, CIL VI, 38448, in cui
la V di vivit, di modulo assai maggiore rispetto alle rimanenti lettere, venne incisa in corrispon-
denza delle ll. 2-3 dell’epitafio.
723 Rimandi alla casistica in Duthoy, Les *Augustales, cit., p. 1270, nota 115: seviri Augustales
iterum; ibid., p. 1278, nota 183: Augustales iterum.
724 CIL IX, 5850 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 63, n°17.
Parte II. I documenti 275

una sola linea di testo; l’eventuale menzione di un liberto imperiale con il solo
cognomen non costituirebbe una difficoltà, vista la frequenza con la quale questa
formula onomastica semplificata appare fra gli ex schiavi della casata impe-
riale725. È difficile trovare posto in questa linea all’indicazione del grado di pa-
rentela, come per esempio patri o fratri, o del legame che univa il defunto al de-
dicante, un’informazione che sarebbe lecito attendersi in considerazione del
fatto che il secondo personaggio è definito come mater; forse il termine rela-
tivo compariva a l. 2.
Alla l. 2 doveva trovarsi il ricordo di una seconda defunta, mater del dedi-
cante, come già si è osservato. I resti della lettera che precede l’indicazione di
parentela potrebbero appartenere ad un E della desinenza dativa del nome della
donna, che doveva essere indicato nella parte andata perduta dell’iscrizione.
La l. 3, sempre supponendo che la lettura del testo da parte del canonico
Zannotti sia sostanzialmente corretta, dovrebbe conservare il nome del dedi-
cante dell’epigrafe, riguardo al quale si possono fare due ipotesi: [---]rius po-
trebbe essere la parte finale di un cognomen726, seguita dall’indicazione dello
statuto libertino del personaggio, non come parte della sua formula onomastica,
ma con la funzione di spiegare il suo rapporto con una delle persone ricordate
alle linee precedenti; in questo caso verrebbe qui utilizzata l’abbreviazione li-
ber(tus), certo molto meno frequente delle forme l(ibertus) o lib(ertus), ma
comunque attestata in qualche caso727; in alternativa possiamo pensare che le
ultime tre lettere fossero scritte nella linea seguente728. Questa ipotesi presenta
alcuni problemi: il primo è dato dalla presenza di un cognome in -ius, i cui
esempi appaiono per lo più in età tardoantica, ma si tratta di una difficoltà forse
superabile, considerando che il frequentissimo Ianuarius è ben attestato anche
nei primi secoli dell’età imperiale, anche nel Piceno729; meno spiegabile il
ricordo della condizione di liberto da parte del curatore del sepolcro, dal mo-
mento che i suoi rapporti con la defunta erano chiariti dalla dedica matr(i) e che
probabilmente un’indicazione simile, relativa alla prima delle due persone
commemorate, doveva trovare posto nella parte perduta dell’iscrizione.
È dunque tutto sommato più probabile considerare [---]rius come la parte
finale del gentilizio del dedicante, seguito da un cognomen, che potrebbe essere
il non molto frequente Liber, se si ritiene che la formula onomastica fosse inte-
ramente compresa nella l. 3 730, oppure, e forse più verosimilmente, uno dei di-

725 Vd. supra, p. 195.


726 Per le numerosissime possibilità rimando a Solin - Salomies, Repertorium, cit., pp. 449-450.
727 Vd. exempli gratia gli indici di CIL VI, 7, 3, pp. 3373-3375.
728 Scarterei l’ipotesi dell’uso del sostantivo liber: in effetti nella documentazione epigrafica i l
legame personale di parentela è di regola espresso da filius.
729 Attestazioni supra, p. 142, nota 155.
730 Per le attestazioni di Liber come cognome vd. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 280.
276 Parte II. I documenti

versi cognomina che iniziano con questa sequenza di lettere731, tra i quali il me-
glio noto è di gran lunga Liberalis, presente anche nel Piceno732.
L’ultima linea presenta l’informazione di maggiore interesse per la nostra
ricerca: se si presta fede alla trascrizione del Zannotti, dovremmo avere qui il
ricordo della funzione di [adiut]o≥r tabulari o tabulari(orum) esercitata dal dedi-
cante733. Si tratterebbe dunque di un assistente del tabularius, l’impiegato che si
occupava della contabilità e delle scritture connesse con tale funzione, in parti-
colare della compilazione di registri di pagamento e del rilascio delle relative ri-
cevute. Nella documentazione epigrafica i tabularii, con i loro superiori e i loro
assistenti, sono assai ben attestati, in particolare nei diversi uffici
dell’amministrazione finanziaria imperiale, sia a Roma, sia in Italia e nelle pro-
vince, ma anche nell’esercito, nell’amministrazione municipale e talvolta, alle
dipendenze di privati734.

731 Vd. Solin - Salomies, Repertorium, con rimandi alle schede di Kajanto, Latin cognomina, cit.,
nelle quali si troveranno indicazioni sulla frequenza del cognome, e alla documentazione ri-
levante non rifluita nello studio del Kajanto.
732 In primo luogo per il famoso C. Salvius C. f. Vel. Liberalis Nonius Bassus di Urbs Salvia,
sul quale vd. la bibliografia citata infra, p. 524, nota 1871 (l’importante iscrizione relativa alla
costruzione del teatro di Urbs Salvia è ora ripubblicata e studiata da C. Delplace, Evergétisme et
construction publique dans la ‘regio V (Picenum)’. À propos du theâtre d’‘Urbs Salvia’, «Pi-
cus», 10 (1990), pp. 101-106). Vd. anche Q. Septumius C. f. Niger Leiberal(is) di CIL IX, 6385 da
Auximum; Claudius Liber[alis] di Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 786, n°106 =
Buonocore, Un’inedita testimonianza, cit., pp. 463-468 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, pp.
923-930) = AE 1998, 416 da Interamnia; Q. Octavius Liberalis di CIL IX, 5621 da Septempeda.
733 L’ipotesi era già prospettata da E. De Ruggiero, Adiutor, «Diz. Ep.», I (1895), p. 85 e da P.
Habel, Adiutor, «P.W.», I, 1 (1893), col. 365. Nella documentazione epigrafica la funzione com-
pare per lo più nelle forme abbreviate adiut. tab. e adiut. tabul. La forma adiutor tabulariorum
si ricava da CIL VI, 8438; 8950; CIL VIII, 12609 da Cartagine e, indirettamente, dalla documen-
tazione in lingua greca, che ci fa conoscere tra l’altro il titolo con il quale questo impiegato era
noto nelle province ellenofone dell’impero, bohqo;" tablarivwn: cf. per esempio la bilingue CIL
III, 7126 = ILS 1344 = IK 13, 651 da Efeso; T. Drew-Bear, Nouvelles inscriptions de Phrygie,
Zutphen 1978, pp. 10-11, n°4 da Synnada (ivi anche rimandi alla bibliografia anteriore e alla
documentazione sui tabularii e i loro assistenti nell’epigrafia greca, da integrare con SEG
XXXVIII, 972 da Siracusa; XXXIX, 1189; IK 16, 2480; 2903 da Efeso; SEG XXXIX, 1254 da
Derbe, in Licaonia; XLIII, 1028 da Dmeir, in Siria; XLIV, 553-554 da Thessalonica; XLIV, 1602,
sigillo bizantino di provenienza ignota; XLV, 2067, graffito da Abu Ku’, in Egitto). La forma
adiutor tabulari sembra attestata da CIL VI, 8838; CIL VIII, 7075 = ILAlg. II, 1, 783 e CIL VIII,
7076 = ILAlg. II, 1, 784 da Cirta; CIL VIII, 12883 da Cartagine; EphEp V, 1023 da Caesarea d i
Mauretania. Tra le varianti è attestata la forma adiutor tabularius, per esempio in un’iscrizione
della Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani, pubblicata da I. Di Stefano Manzella, Iscrizioni ine-
dite della Galleria lapidaria, «BMMP», 8 (1988), pp. 111-112 (= AE 1988, 145) o tabularius
adiutor, cf. per esempio CIL VI, 603; XIV, 49 e 200 da Ostia.
734 In genere sui tabularii e i loro adiutores vd. Hirschfeld, Verwaltungsbeamten, cit., pp. 59-
64; 369; 460-461; E. Sachers, Tabularius, «P.W.», IV A, 2 (1932), coll. 1969-1984; Vitucci, Li-
bertus, cit., pp. 934-946, trattando in genere delle diverse funzioni svolte dai liberti imperiali,
prende in considerazione anche i tabularii; Wachtel, Freigelassene und Sklaven, cit., pp. 22; 87-
89, ivi anche la discussione di alcune carriere di tabularii (pp. 94-98; 99-102), e le liste proso-
pografiche di tabularii a rationibus e dei loro adiutores (pp. 120-121) e degli impiegati nei
tabularia provinciali (pp. 124-131); Boulvert, Esclaves, cit., pp. 98-99; 104-105; 115-117;
420-425; Id., Domestique, cit., pp. 143-149; Weaver, Familia Caesaris, cit., pp. 241-250;
Parte II. I documenti 277

Nell’iscrizione di Cupra Montana purtroppo non abbiamo alcuna indica-


zione sul settore nel quale lavorava l’adiutor tabularii, ma l’onomastica del
personaggio consente probabilmente di scartare un suo impiego in qualche di-
partimento delle finanze imperiali: in effetti i contabili ed i loro assistenti di
questi uffici erano invariabilmente liberti o schiavi imperiali, una condizione che
non sembra adattarsi a quanto rimane della formula onomastica del dedicante
nella frammentaria epigrafe che stiamo esaminando735.
Dal momento che a Cupra Montana non vi sono particolari ragioni per
trovare un adiutor tabularii dell’esercito, non rimangono aperte che due ipo-
tesi: che il nostro personaggio lavorasse alle dipendenze di qualche privato, op-
pure che fosse un impiegato dell’amministrazione municipale di Cupra. Per
quanto concerne la prima possibilità, le testimonianze parallele non sono molto
numerose736:
1. CIL VI, 6358 = ILS 7404 = Caldelli - Ricci, Monumenta familiae Statiliorum,
cit., p. 115, n°330 da Roma (Monumentum Statiliorum): Sophro, Sisennae /
Statili ser(vus) tabul(arius). / Psyche soror et / Optata coniunx fecer(unt).
2. CIL VI, 6359 = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum, cit., p.
110, n°282 da Roma (Monumenta Statiliorum): T(itus) Statilius Pothus, tabu-
lar(ius). // T(itus Statilius / Ephebus, / vix(it) ann(is) XXI.

Huttunen, Social Strata, cit., pp. 93-94; Herrmann-Otto, Ex ancilla natus, cit., pp. 359-364; J.
Muñiz Coello, Elaboración, conservación y custodias de las fuentes documentales escritas en
la Antigua Roma. Los archivos (II), «HAnt», 22 (1998), pp. 379-393, le cui interpretazioni non
sempre sono condivisibili, cf. per esempio infra, p. 279, nota 738; in particolare sugli adiutores
tabularii vd. De Ruggiero, Adiutor, cit., pp. 84-85; Habel, Adiutor, cit., coll. 364-366; Weaver,
Familia Caesaris, cit., pp. 239-240; Herrmann-Otto, Ex ancilla natus, cit., pp. 137-139; 360-364
sui numerosi vernae che esercitarono questa funzione.
735 Cf. supra, pp. 275-276, la discussione a proposito della formula onomastica del personag-
gio: nella prima e meno probabile delle due ipotesi prospettate, dopo il cognome [---]rius e
prima dell’indicazione dello status di liberto non compare la consueta indicazione Aug(usti) o
simile; nella seconda possibilità avanzata, che cioè [---]rius sia la parte finale del gentilizio del
personaggio pure si deve escludere che egli fosse un liberto imperiale, poiché quanto rimane del
nomen non corrisponde ad alcun gentilizio degli Augusti. L’inclusione dell’epigrafe tra quelle
che testimoniano adiutores tabulariorum schiavi dell’imperatore da parte di De Ruggiero,
Adiutor, cit., p. 85 non mi pare dunque giustificata.
736 Cf. Sachers, Tabularius, cit., col. 1983; Muñiz Coello, Elaboración, cit., pp. 397-398. Ho
preferito non includere nella lista CIL VI, 70, iscrizione votiva posta dal tabularius Celer,
schiavo del liberto imperiale Ti. Claudius Aug. l. Priscus, dal momento che questo contabile
probabilmente prestava servizio presso qualche ufficio dell’amministrazione centrale, come aiu-
tante del proprio padrone. Parimenti escluderei CIL VI, 7013, iscrizione funebre di un tabularius
Eros, 9021, epitafio di A. Apidius Maior, tablarius a porta Fontinale, 9923, nella quale i l
tabularius Felix pone sepoltura ad un C. Pedanius Eutropius; 9926, iscrizione sepolcrale posta
dal tabularius Primitivus ai figli: in tutti questi casi in effetti la dipendenza del contabile da u n
privato non viene espressa o non viene espressa con sufficiente chiarezza. Credo siano da consi-
derare distintamente anche quei tabularii schiavi e liberti imperiali che erano al servizio privato
degli imperatori o dei membri della loro famiglia, come per esempio Turannus verna, tabula-
rius, apparitor(um) sacris omnium immunis di CIL VI, 4013 = ILS 7886 dal monumentum Liviae,
Speratus, tabularius Messalinae Neronis servus di CIL VI, 6596 = Caldelli - Ricci, Monumen-
tum familiae Statiliorum, cit., p. 122, n°394, e Mocimus, Sabinae Augusti sororis lib(ertus), ta-
bul(arius) di CIL X, 4563 da Suessa.
278 Parte II. I documenti

3. CIL VI, 7374 = ILS 7405 = M. Buonocore, Schiavi e liberti dei Volusi
Saturnini. Le iscrizioni del colombario sulla via Appia antica, Roma 1984, p.
63, n°5 da Roma (Monumentum Volusiorum): D(is) M(anibus). L(uci) Volusi
Hamill“i”, a tabulario L(uci) patris. / Ianuaria coiunx et / Hamillus filius
b(ene) m(erenti), / arbitratu / L(uci) Volusi Dionis.
4. CIL VI, 9922 da Roma = Caldelli - Ricci, Monumentum familiae Statiliorum,
cit., p. 136, n°10: Alexander, / Tauri tabul(arius), / vix(it) ann(is) XXV. / Prisca
contub(ernali) d(e) s(uo) fecit.
5. CIL VI, 9924 da Roma: M. Valerio Proculo, / vix(it) ann(is) II, m(ensibus)
VIIII. / M(arcus) Valerius Optatus filio / carissimo et / Hermeroti, Cottae ta-
bul(ario).
6. CIL VI, 9925 = ILS 7403 da Roma: Placidus P(ubli) Vitelli / tabularius.
7. CIL II, 5210 da Villavicosa, in Lusitania: [---] Corinthus, / Ser(vi) Acili /
Glabrionis adiut(or) tabul(ari), e[x] p(ondo) / auri [I]I. A(nimo) l(ibens)
v(otum) s(olvit), secondo l’ipotetica ricostruzione proposta da CIL di questa
iscrizione, nota solo dalla tradizione manoscritta.
8. CIL VIII, 5361 = 17468 = ILAlg I, 463 da Calama, nell’Africa proconsolare:
D(is) M(anibus) s(acrum). / Tertius, / C(ai) Servili Macr(i) / tabul(arius), p(ius),
vixit an/nis LXV. Benigna / coni(ugi) b(ene) m(erenti) fecit. / H(ic) s(itus) e(st).
S(it) t(ibi) t(erra) l(evis).
Come si vede, a giudicare dalla loro onomastica, la maggior parte dei ta-
bularii e degli adiutores tabularii che prestavano la loro opera presso un pri-
vato era di condizione servile, come era logico attendersi (cf. i nn. 1; 4-8),
mentre il personaggio che appare come dedicante nell’iscrizione di Cupra
Montana, pur con tutte le incertezze che tale ricostruzione implica, sembra
piuttosto essere liberto o di nascita ingenua. Sono attestati anche due liberti, che
lavoravano rispettivamente nelle grandi casate urbane degli Statilii (n°2) e dei
Volusii Saturnini (n°3); la documentazione, del resto, è in grande prevalenza
proveniente da Roma, dove si concentravano i grandi patrimoni, alla cui ammi-
nistrazione dovevano lavorare numerosi impiegati; ho qualche perplessità sul
fatto che tale modello potesse applicarsi anche nella piccola comunità picena di
Cupra Montana, anche se ovviamente questa possibilità non può essere scartata
in modo assoluto.
In base a queste considerazioni credo che l’ipotesi tutto sommato più
probabile sia che l’adiutor tabularii di CIL IX, 5706 fosse un impiegato
dell’amministrazione municipale di Cupra Montana. È dunque opportuno ri-
prendere qui brevemente le non numerose attestazioni epigrafiche di questi con-
tabili alle dipendenze delle comunità locali737.

737 Sui tabularii nell’amministrazione municipale vd. Liebenam, Städteverwaltung, cit., p. 279,
nota 3; Sachers, Tabularius, cit., coll. 1971; 1979-1980; P.R.C. Weaver, An Administrative Offi-
cial from Trèves, «Latomus», 25 (1966), p. 911; M.-T. Raepsaet-Charlier, Acceptus, tabularius à
Trèves (CIL XIII 4208; AE 1967, 320), «ZPE», 64 (1986), pp. 223-229; Muñiz Coello, Elabora-
ción, cit., pp. 394-396. Un cenno alla facilità con la quale gli ex-schiavi municipali, una volta
manomessi, potevano accedere alle funzioni subalterne dell’amministrazione, tra le quali quella
di tabularius, in Vitucci, Libertus, cit., p. 927. Per quanto concerne il senso dei termini tabou-
lavrio" e boeqo;" taboularivwn, L. Robert, Appendice, «Hellenica», VIII, Paris 1950, p. 95 (cf.
Parte II. I documenti 279

1. AE 1911, 205 da Interamna Lirenas: Iovi Optimo / Maximo sacr(um). /


C(aius) Interamnius Cres/centio, libert(us) et tabu/lar(ius) r(ei) p(ublicae),
aram ius(s)u / numin(is) restituit.
2. CIL XIV, 255 = ILS 6153, albo della familia publica di Ostia; a l. 1:
Ost(iensis) Hermes, tab(ularius).
3. CIL X, 3938 = ILS 6317 da Capua: Alexander, col(oniae) tab(ularius),
Privati, arc(arius) Cretae, f(ilius).
4. CIL IX, 1664 da Beneventum: Domitiae Cy/paridi, castissim(ae) / feminae.
Optatus, col(oniae) adiutor [t]a[b]ul(ari) / [of]ficii a r[ati]o[n]e lanae, / cum
qua vixit ann(is) XVIII, / m(ensibus) V, d(iebus) XXII.
5. CIL XI, 2710a da Volsinii: [-] Volsinio / [V]ictorino, q(uin)q(uennali)
coll(egi) fabr(um), / Augustal(i), / [ta]bul(ario) reipubl(icae) /
[V]olsinien(sium) / [i]t(em) Ferenti/ensium.
6. CIL V, 8850 da Verona: Festi / Veron(ensium) ser(vi), / tab(ulari).
7. CIL II, 1480 = CIL II2, 5, 1176 da Astigi: D(is) M(anibus) s(acrum). /
Graecinus colon(iae) / Aug(ustae) Firm(ae) ser(vus), / tabul(arius), ann(orum)
XXXI, / pius in suis / h(ic) s(itus) e(st). S(it) t(ibi) t(erra) l(evis).
8. CIL XII, 1283 da Vasio: Genio / forensi / Callomallus / Vas(iensium), ta-
bul(arius)738.
9. CIL III, 3851 = AIJ 180 = M. ‹a£el Kos, The Roman Inscriptions in the Na-
tional Museum of Slovenia, Ljubljana 1997, pp. 208-210, n°48 da Emona: Diis
Man(ibus) [s(acrum)]. / L(ucio) Publ(icio) Apro, / lib(erto) et tabul(ario) / rei
publ(icae), Aug(ustali) / gratuito, / vivus fec(it) sib(i).
10. ILJug III, 2799 da Salona: [De]positio Superi, ex tabula/[rio] civitatis Sa-
lonitana[e], / [ci]vis Salviata, sub die p(ridie) XI Kal(endas) / [Oc]tobris
ind(ictione) IIII, qui vixit ann/is plus minus XXXV.
11. CIL III, 10408 = AE 1941, 14 da Aquincum: Iunoni / Reginae. / P(ublius)
Ael(ius) Ma/ximinus, tab(ularius) c(ivitatis) Er(aviscorum), / v(otum) s(olvit)
l(ibens) m(erito).
In altri casi la pertinenza del tabularius all’amministrazione municipale,
pure possibile, rimane incerta739:

Opera Minora Selecta, IV, Amsterdam 1974, p. 102) sostiene che nella documentazione epigra-
fica greca essi non sono mai impiegati per designare impiegati municipali, ma si applicano sem-
pre a schiavi e liberti dell’amministrazione imperiale; la posizione dell’illustre studioso è con-
divisa, tra gli altri, da P.M. Nigdelis, Kalendarium Caesanum: zum kaiserlichen patrimonium i n
der Provinz Makedonien, «ZPE», 104 (1994), p. 127 e nota 42, che ricorda come questi archivisti
municipali del mondo greco fossero generalmente chiamati dhmovsioi. Lo scarno dossier epigra-
fico relativo ai tabularii municipali potrebbe essere integrato utilmente ricorrendo alle fonti
giuridiche (elencate da Sachers, Tabularius, cit., col. 1980) e alla documentazione papiracea (una
raccolta preliminare, che tuttavia è soprattutto incentrata sul periodo bizantino, da parte di M.G.
Sirivianou, nel commento a P. Oxy LVI, 3867, pp. 152-153).
738 Non convince affatto l’interpretazione proposta da Muñiz Coello, Elaboración, cit., p. 387,
di Callomallus come “tabularius vas(orum), literalmente encargado de la compra, reposición y
utilización de la vajilla de palacio”. Per VAS come abbreviazione di Vasienses sarà sufficiente
citare CIL XII, 1282: Genio / collegi cen/tonarior(um). / Vas(iensium) r(es) p(ublica) r(estituit).
739 Dalla rassegna delle testimonianze ho comunque preferito escludere AE 1931, 39 da Caesa-
rea di Mauretania, nella quale è attestato un L. Vinnius Fronto ex [t]a[b(ulario)]; l’integrazione
280 Parte II. I documenti

12. CIL XI, 6838 = ILS 7676 da Bononia: Viv(i). / C(aius) Volusius / C(ai)
l(ibertus) Iucundus, / tabularius. / Heidia T(iti) l(iberta) Auge. / Q(uintus)
Baebius Q(uinti) f(ilius), / faber / lapidarius. / L(ucius) Tettius L(uci) l(ibertus)
Philarg(yrus) / caligarius.
Se si può escludere che C. Volusius C. l. Iucundus fosse un contabile in servizio
nell’amministrazione imperiale, in ragione del fatto che non si tratta di un li-
berto dell’Augusto, l’associazione del personaggio nell’epitafio in cui com-
paiono due artigiani, il faber lapidarius Q. Baebius Q. f. e il caligarius L. Tettius
L. l. Philargyrus, getta qualche dubbio sul fatto che qui il termine tabularius
venga utilizzato con il medesimo senso delle attestazioni viste in precedenza740.
13. F. Arias Vilas - P. Le Roux - A. Tranoy, Inscriptions romaines de la pro-
vince de Lugo, Paris 1979, pp. 53-54, n°28 da Lucus Augusti: D(is) M(anibus)

della funzione rivestita dal personaggio, che certo non era un liberto imperiale, mi pare in effetti
molto incerta. Riguardo al tabularius Polybius di CIL IX, 5064, da qualche studioso ipotetica-
mente identificato con un contabile municipale, si veda infra, pp. 396-398. Qualche perplessità
desta anche Marcianus Aug. lib., tabular[ius] pertic[aru]m Turr[is] et Tarrhos secondo
l’ipotesi di integrazione di CIL X, 7951 da Turris Libisonis avanzata da M. Bonello Lai, Nuove
proposte di lettura di alcune iscrizioni latine della Sardegna, «AFLC», n.s. 3 (1980-1981), pp.
186-191. Il personaggio è ritenuto un impiegato municipale degli archivi di Turris Libisonis e
di Tharros da P. Meloni, Turris Libisonis romana alla luce delle iscrizioni, «Epigraphica», 1 1
(1949), pp. 94; 97; (cf. anche Id., L’amministrazione della Sardegna da Augusto all’invasione
vandalica, Roma 1958, p. 110; Id., La Sardegna romana. I centri abitati e l’organizzazione
municipale, «ANRW», II, 11, 1, Berlin - New York 1988, pp. 505; 527); G. Sotgiu, La Sardegna e
il patrimonio imperiale nell’alto Impero, «Epigraphica», 19 (1957), p. 38; Bonello Lai, Nuove
proposte di lettura, cit., pp. 190-191. Pensa piuttosto ad un amministratore di proprietà impe-
riali E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, Roma 1923, p.
342, nota 3; ad un tabularius provinciae Boulvert, Esclaves, cit., p. 115 e p. 116, nota 142; sul
documento vd. anche G. Sotgiu, Le iscrizioni dell’ipogeo di Tanca di Borgona (Portotorres,
Turris Libisonis), Roma 1981, pp. 19-20, nota 28; Ead., L’epigrafia latina in Sardegna dopo i l
C.I.L. X e l’E.E. VIII, «ANRW», II, 11, 1, Berlin - New York 1988, p. 665, n°C103. A. Mastino, Po-
polazione e classi sociali a Turris Libisonis: i legami con Ostia, «Turris Libisonis colonia Iu-
lia», a cura di A. Boninu - A. Mastino - M. Le Glay, Sassari 1984, pp. 59-60; Id., Tabularium
principis e tabularia provinciali nel processo contro i Galillenses della Barbaria sarda, «La
Tavola di Esterzili. Il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda. Convegno d i
studi. Esterzili, 13 giugno 1992», a cura di A. Mastino, Sassari 1993, p. 103. Il testo di Turris
Libisonis, noto solo dalla scheda di un anonymus Hispanus, redatta nel 1699 ad un anno dal
rinvenimento della pietra, presenta alcune difficoltà: in primo luogo si dovrebbe supporre che
Marciano fosse un impiegato municipale di due comunità diverse e piuttosto distanti tra di loro;
a questo proposito Bonello Lai, Nuove letture, cit., p. 190 avanza anche l’ipotesi che il ta-
bularius abbia ricoperto in successione due incarichi distinti, prima presso gli archivi di Thar-
ros, poi presso quelli di Turris, ma anche questa soluzione non si accorda perfettamente con la
forma tabular[ius] pertic[aru]m Turr[is] et Tharros nella quale l’ufficio sarebbe ricordato. Si
deve inoltre rilevare che quello di Marciano sarebbe l’unico caso accertato di tabularius munici-
pale liberto dell’imperatore.
740 Il personaggio è incluso, solo in via ipotetica, nella rassegna di tabularii municipali d i
Raepsaet-Charlier, Acceptus, cit., p. 228, nota 41. Ma vd. Vitucci, Libertus, cit., p. 933 che lo in-
terpreta come un (faber) tabularius. Non escluderei nemmeno la possibilità che si trattasse di u n
segretario contabile al servizio di un privato.
Parte II. I documenti 281

s(acrum). / Iulio Rufino / Leontio, ex tab(ulario), / civi Asturicesi (!), / annorum


XXVII. / Rufonius Rufi/nus pater et Ru/fia Paterna mater / filio piissimo741.
14. AE 1952, 73 da Vienna: Geminius a tabulario public(o)742.
15. CIL XIII, 4208 = AE 1967, 320 = AE 1987, 771 da Wasserbillig, nei pressi
di Treveri: Deo Mercurio [et deae Ros]/mertae. Aedem c[um signis
orna]/mentisque omn[ibus - Doccius] / Acceptus, tabul[arius, IIIIII vir] / Au-
gustal[is restituit vel donavit], / item hospitalia [sacror(um) cele]/brandorum
gr[atia pro se libe]/risque suis ded[icavit ---] / Iulias Lupo [et Maximo
co(n)s(ulibus)]743.
16. CIL VIII, 7077 = ILAlg. II, 1, 803 da Cirta: D(is) M(anibus) [s(acrum)]. [-]
Publici Nam/phamonis patris / dulcissimi, v(ixit) a(nnis) LXV. [---]isus, tabu-
lari/us et [---] / [Dat ?]iva, nura, et +[.]+[.] / [---]V[.] et [---] / Urbanica,
Felicis/sima, Esmara, Coilia, / nepotes, avo dulcis/simo fecerunt.
Il fatto che[---]isus fosse figlio di un [-] Publicius Namphamo, dunque di un li-
berto pubblico di Cirta, consente di ipotizzare con una certa fondatezza che an-
che questo tabularius lavorasse nell’amministrazione municipale.
La pertinenza di questi contabili agli uffici dell’amministrazione munici-
pale, come si può verificare scorrendo la lista delle attestazioni sicure, è desumi-
bile dal fatto che il personaggio in questione era schiavo o liberto della comunità
municipale (nn. 4; 6; 7; 8) oppure espressamente ricordata con formule come
tabularius rei publicae, coloniae o simili (nn. 1; 3; 5; 9; 10; 11), che
nell’iscrizione di Cupra Montana potrebbero aver eventualmente trovato posto
nelle ultime linee del testo, andate perdute; nell’iscrizione n°3 l’intestazione che
chiariva trattarsi dell’albo della familia publica di Ostia, consentiva di tra-
lasciare ogni ulteriore indicazione.
Per quanto concerne lo statuto giuridico, tra i contabili che lavoravano
nelle amministrazioni municipali si trovano sia liberti (nn. 1; 2; 5; 9; 12) come
schiavi (nn. 3; 4; 6-8; 14); per qualcuno di essi si potrebbe supporre una nascita
ingenua, in particolare per i personaggi databili negli ultimi secoli dell’età impe-
riale: così per esempio per il tabularius dell’iscrizione n°10, che certo va collo-
cata alla fine dell’età antica, in ragione della comparsa dell’indizione, o Iulius
Rufinus Leontius dell’epigrafe n°13, datata dagli editori al III sec. d.C., o infine
per il contabile di Treviri, la cui iscrizione è datata dalla coppia consolare del
232 d.C. Il contabile della civitas Eraviscorum attestato dall’iscrizione n°11
porta nome di P. Aelius Maximinus, che richiama alla mente Adriano: questo
naturalmente non significa automaticamente che si trattasse di un liberto impe-
riale, essendo altrettanto plausibile che Massimino, o piuttosto un suo antenato,

741 Impiegato del tabularium della provincia Asturia et Callaecia secondo Arias Vilas - Le
Roux - Tranoy, Inscriptions, cit., p. 54, il personaggio era piuttosto un tabularius municipale d i
Asturica Augusta secondo Raepsaet-Charlier, Acceptus, cit., p. 228, nota 41.
742 Inclusa da Raepsaet-Charlier, Acceptus, cit., p. 228, nota 41 nella sua rassegna di testimo-
nianze sui tabularii municipali, questa iscrizione si riferisce forse piuttosto ad un tabularium.
743 Si accoglie qui la proposta di lettura avanzata da Raepsaet-Charlier, Acceptus, cit., pp. 223-
229 e ripresa da AE 1987, 771. La studiosa, pur respingendo la lettura tabul[arius rei
publ(icae)] suggerita da Weaver, Administrative Official, cit., p. 911 = AE 1967, 320, concorda
sul fatto che Acceptus fosse un contabile della comunità di Treveri.
282 Parte II. I documenti

fosse un peregrino che aveva ottenuto la cittadinanza da quell’imperatore. Si


può notare che l’unico adiutor tabularii per il momento attestato per
un’amministrazione locale era uno schiavo, Optato, servus coloniae di Bene-
ventum e adiutor tabularii officii a ratione lanae dell’iscrizione n°4.
Dalla rassegna di testimonianze emerge chiaramente come le comunità
dell’Italia e delle province ricorressero di preferenza per questi incarichi ammi-
nistrativi a schiavi e liberti pubblici (così i personaggi ai nn. 1-9; figlio di un li-
berto pubblico era il tabularius dell’iscrizione di Cirta, n°16). Purtroppo nes-
suno dei pochi elementi di giudizio rimasti nell’iscrizione CIL IX, 5706 fornisce
prove positive per supporre un’appartenenza dell’adiutor tabularii di Cupra
Montana a queste categorie. Vale piuttosto la pena ricordare che in questa co-
munità del Piceno è attestata l’attività dell’istituzione alimentaria pubblica,
grazie alla testimonianza della più celebre delle iscrizioni di Cupra, la dedica dei
pueri e delle puellae alimentari ad Antonino Pio (CIL IX, 5700): sarebbe sugge-
stivo collegare l’attività del nostro adiutor tabularii con le pratiche di contabi-
lità connesse con gli alimenta, così come si è visto ad Auximum per un actor744.
Non occorre sottolineare l’alto grado di ipoteticità della ricostruzione che
qui si è proposta. Mi limito a ricordare una delle interpretazioni alternative sug-
geribili: il personaggio ricordato in CIL IX, 5706 potrebbe anche esser stato non
un impiegato del tabularium cittadino, ma un sovrintendente dello stesso, forse
con il titolo di [curat]o≥r tabularii: la funzione è attestata per esempio ad Ostia
per P. Lucilius P. f. Gamala, tabular(i) et librorum curator primus consti-
tut[us]745, ad Aquae Sextiae per Sex. Samicius Volt. Maximinus che fu edile,
decurione, questore e tabulari pub(lici) curator746, infine, indirettamente, da
un’iscrizione di Tarraco in cui C. Valerius Arabinus Flaviani f. Bergidus, dopo
aver percorso tutte le tappe del cursus honorum municipale nella sua patria ed
aver rivestito il sacerdozio di Roma ed Augusto nella provincia della Spagna ci-
teriore, venne onorato ob curam tabulari censualis fideliter admi-
nistr(atam)747. Se questa ipotesi fosse giusta, l’iscrizione CIL IX, 5706 andrebbe
espunta dalle raccolta delle occupazioni della regio V, essendo piuttosto perti-
nente alle attività della classe dirigente del Piceno.
Per concludere, si può ricordare che nella regio V è attestato un altro con-
tabile, il tabularius Polybius, sul quale si veda infra, pp. 396-399, il commento
all’iscrizione Interamnia 2. Prevalentemente a Roma, dove trovò sepoltura,
doveva invece operare T. Flavius Aug. lib. Cerialis, tabul(arius) reg(ionis) Pi-
cen(i) di CIL VI, 8580.
Immagine: Tav. XXVIII.

744 Vd. supra, pp. 185-189, il commento all’iscrizione Auximum 3.


745 CIL XIV, 376.
746 CIL XII, 525 = ILN III, 30 ove breve discussione riguardo alla funzione.
747 CIL II, 4248 = RIT 333.
Parte II. I documenti 283

Falerio

Falerio 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5484.


Bibliografia: Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit., pp. 100-101; Ead.,
Sfera dei sepolcri, cit., p. 88.
Luogo di ritrovamento: in una lettera ad Annibale degli Abati Olivieri, datata
6 luglio 1777, l’erudito faleronese Gasparo De Sanctis ricorda la scoperta
dell’iscrizione (e di un altro documento) “fatta da me in un mio terreno”748.
Luogo di conservazione: segnalata dal lemma del CIL a Falerone,
nell’abitazione di Gasparo Desantis, l’iscrizione si trova ora a Falerone, nel la-
pidario del Museo archeologico civico (autopsia maggio 2001)749.
Tipo di supporto: urna cineraria di forma rettangolare750. Lo specchio epigra-
fico, ribassato, è delimitato da una doppia cornice.
Elementi iconografici: il lato corto dell’urna presenta una decorazione con
motivi floreali751.
Mestiere: colonus.
Datazione: per l’assenza dell’adprecatio ai Mani e l’estrema semplicità del
formulario, il testo si dovrebbe inquadrare ancora nella prima metà del I sec.
d.C. Il dato ben si accorda con la tipologia monumentale e le caratteristiche
paleografiche.
Testo: C(aio) Mario / Sedato, / Optatus, col(onus), / d(e) s(uo).
l. 2: T longa.
l. 3: entrambe le T in Optatus sono longae.
Segni di interpunzione a forma di coda di rondine con il vertice rivolto verso
destra, utilizzati con regolarità per dividere le parole, tranne che in fine di linea.
Commento
Il brevissimo testo costituisce l’iscrizione sepolcrale di C. Mario Sedato,
postogli dal colono Optato.

748 Cf. la lettera di Desantis all’Olivieri pubblicata come documento n°51 da E. Catani, Scavi
pontifici del 1977 nella Marca anconetana: Marano, Recina, Falerone, Urbisaglia,
«L’Antichità classica nelle Marche tra Seicento e Settecento. Atti del Convegno. Ancona - Pe-
saro, 15-16-17 ottobre 1987», Ancona 1989 = «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Pa-
tria per le Marche», 93 (1988), pp. 191-274, p. 269.
749 G. Paci, Problemi di ricognizione, conservazione e fruizione del patrimonio epigrafico
nelle Marche centro-meridionali, «Il museo epigrafico. Colloquio AIEGL - Borghesi 83», a cura
di A. Donati, Faenza 1984, p. 488.
750 Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit., pp. 100-101; l’urna è brevemente ricordata anche i n
Ead., Sfera dei sepolcri, cit., p. 88, ove per errore si attribuisce il titolo di colonus a C. Marius
Sedatus.
751 Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit., pp. 100-101 e tav. 44, fig. 4.
284 Parte II. I documenti

Il gentilizio del defunto, Marius, è attestato in Piceno nella sola Auxi-


m u m752. Il cognomen Sedatus ricorre nella stessa Auximum, in CIL IX, 5843
(vd. supra, p. 235, Auximum 13). L’assenza dell’indicazione del patronimico o
del patronato non ci permette di trarre conclusioni certe riguardo lo statuto del
personaggio, si può comunque osservare che il nome Sedato è noto in qualche
caso per schiavi e liberti, anche se non è certamente tra i cognomina latini più
frequenti tra l’elemento servile753.
Tra questo gruppo di cognomina troviamo invece Optatus, insieme ad al-
tri nomi afferenti alla medesima area semantica, come Speratus o Inventus754.
Questa circostanza, insieme al fatto che il personaggio che curò la sepoltura di
C. Mario Sedato porta un solo nome, induce ad ipotizzare che egli fosse di con-
dizione servile755.
Questa constatazione non è priva di importanza nell’esame dell’occupa-
zione di Optato, quella di colonus. Naturalmente in questa sede non è possibile
riprendere, nemmeno nelle sue linee generali, la tematica del colonato nel suo
complesso, argomento vastissimo, riguardo al quale possiamo contare già su di-
versi contributi concernenti la sola storia degli studi756. Mi limiterò pertanto ad

752 CIL IX, 5875: C. Mari[us ?] Primigenius e Maria Prisca. Incerti sono i rapporti del procura-
tor Augusti [L.?] Marius Perpetuus e Firmum, da dove viene una sua dedica al prefetto del preto-
rio Gavio Massimo, CIL IX, 5360, studiata da W. Eck, Gavius Maximus und Marius Perpetuus i n
einer Inschrift aus Firmum Picenum, «Picus», 8 (1988), pp. 157-162.
753 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 262, che registra 84 occorrenze in CIL, oltre a 7 casi d i
schiavi o liberti; Agnati, Epigrafia, diritto e società, cit., p. 112 ricorda Optatus tra i cognomi a
forte diffusione negli ambienti servili; vd. anche Solin, Sklavennamen, cit., I, p. 78, che conosce
5 casi urbani di Sedati schiavi o liberti.
754 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 77; R. Duthoy, Cognomen est omen? Quelques jalons
pour une anthroponymie sociale du monde romain, «Mélanges Pierre Lévêque», 2, a cura di M.-
M. Mactoux - E. Gény, Paris 1989, pp. 191-197, che include Optatus tra i cognomina portati i n
larga maggioranza da schiavi e liberti, anche se in proporzione leggermente minore rispetto ai
grecanici e ad un piccolo gruppo di cognomi latini, come Suavis, Hilarus, Auctus, Primigenius,
Salvius e Faustus, che solo in misura irrilevante sono attestati per ingenui; Solin, Sklavenna-
men, cit., pp. 110-111 ricorda ben 48 attestazioni del cognomen tra personaggi di origine servile
nell’epigrafia di Roma.
755 Per le attestazioni nel Piceno del cognomen Optato vedi supra, p. 251, nota 633. Si può no-
tare che, tra i personaggi che portano questo cognome il cui statuto viene esplicitamente indi-
cato, ad un liberto (CIL IX, 5388) si contrappone un ingenuo (lo scriba attestato dalla stessa
Cingulum 1).
756 Cf. tra gli altri R. Clausing, The Roman Colonate. The Theories of its Origin, New York
1925; J.-M. Carrié, Un roman des origines: les généalogies du “colonat du Bas-Empire”,
«Opus», 2 (1983), pp. 205-251; A. Marcone, Il colonato tardoantico nella storiografia mo-
derna (da Fustel de Coulanges ai nostri giorni), Como 1988. Gli ultimi studi monografici sul
colonato sono quelli di K.-P. Johne - J. Köhn - V. Weber, Die Kolonen in Italien und den westli-
chen Provinzen des römischen Reiches, Berlin 1983; P.W. De Neeve, Colonus. Private Farm-Te-
nancy in Roman Italy During the Republic and the Early Principate, Amsterdam 1984; W.
Scheidel, Grundpacht und Lohnarbeit in der Landwirtschaft des römischen Italien, Frankfurt
am Main 1994 e G. Giliberti, Servi della terra. Ricerche per una storia del colonato, Torino
1999, opere alle quali si rimanda per lo status quaestionis. Una ricca bibliografia sull’affitto
agrario in età repubblicana e alto imperiale e sul fenomeno del colonato, aggiornata al 1995, i n
Parte II. I documenti 285

esaminare un aspetto della problematica, quello connesso alle occorrenze di sin-


goli coloni nella documentazione epigrafica757.
Il problema fondamentale posto dall’iscrizione di Falerio mi pare in ef-
fetti quello di stabilire in che punto dell’ampio spettro semantico della parola
colonus, da nomen agentis che indica semplicemente coloro qui agri colunt, a
termine che designa una condizione giuridica e sociale, si situi il colono
Optato758. Per risolvere la questione abbiamo sostanzialmente a nostra disposi-
zione ben pochi indizi: la condizione verosimilmente servile di Optato e il fatto
che egli appaia come dedicante nell’iscrizione di un personaggio con tria no-
mina, presumibilmente ingenuo. Il confronto con altri coloni di sicura o proba-
bile condizione servile nella documentazione epigrafica dell’Italia può essere in-
teressante:
1. CIL VI, 9276 = ILS 7453 (I-II sec. d.C.?): D(is) M(anibus). / Mariame vix(it)
an(nos) vel an(nis) / VI. Iaso, colonus / fundo Mariano, / filiae suae b(ene)
m(erenti)759.

J.-U. Krause - J. Mylonopoulos - R. Cengia, Bibliographie zur römischen Sozialgeschichte. 2.


Schlichten, Konflikte, religiöse Gruppen, materielle Kultur, Stuttgart 1998, pp. 159-166.
757 Tema sul quale si veda essenzialmente T. Mommsen, Decret des Commodus für den Saltus
Burunitanus, «Hermes», 15 (1880), pp. 408-409; ora in Gesammelte Schriften, III, Juristische
Schriften, III, Berlin 1907, pp. 173-174; M. Rostovzteff, The Social and Economic History of the
Roman Empire, a cura di P.M. Fraser, Oxford 19572, II, p. 628, nota 16 (cf. trad. it. della prima
edizione Storia economica e sociale dell’impero romano, Firenze 1933, p. 241, nota 15); E.M.
Staerman - M.K. Trofimova, La schiavitù nell’Italia imperiale. I - III secolo, Roma 1975, pp. 61-
62; V. Weber in Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., pp. 258-354 (e la raccolta delle testimo-
nianze alle pp. 355-414; l’iscrizione di Falerio e un documento di Septempeda, sul quale vd. in-
fra, pp. 452-454, Septempeda 1, non registrati negli indici di artes et officia privata di CIL IX,
sono sfuggiti al censimento di V. Weber); De Neeve, Colonus, cit., pp. 193-198; W. Scheidel,
Sklaven und Freigelassene als Pächter und ihre ökonomische Funktion in der römischen
Wirtschaft, «De agricultura. In memoriam Pieter Willem De Neeve (1945-1990)», Amsterdam
1993 pp. 187-188. L’articolo di A. Schulten, Colonus, «Diz. Ep.», II (1900), pp. 457-464 fornisce
un inquadramento generale del problema piuttosto che un contributo specifico sulle attestazioni
di coloni nella documentazione epigrafica. Recenti edizioni di nuovi testi che attestano singoli
coloni consentono di aggiornare le liste di V. Weber: vd. in particolare P.J. Sijpesteijn,
Lateinische Grabinschriften, «ZPE», 80 (1990), p. 204, n°2; M. Chelotti, Proprietari e patroni
tra Canosa e Venosa, «L’epigrafia del villaggio», a cura di A. Calbi - A. Donati - G. Poma, Fa-
enza 1993, pp. 448-455, partic. 452-454 (= AE 1993, 530); L. Chioffi, Coloni, «Epigrafia della
produzione e della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie
du monde romain organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’École française de
Rome, Rome 5-6 juin 1992», Rome 1994, pp. 697-704, partic. pp. 701-702 (= AE 1994, 299); M.
De Fino, Un colonus Augusti nostri dalle proprietà imperiali apule, «XI Congresso Interna-
zionale di Epigrafia Greca e Latina. Roma, 18-24 settembre 1997. Atti», I, Roma 1999, pp. 687-
695, partic. pp. 691-693.
758 Sulla pluralità di significati che si accompagnano a colonus vd. particolarmente R. Brósz,
Les changements sémantiques du mot “colonus” dans les sources du droit romain, «Annales
Universitatis Scientiarum Budapestinensis de Rolando Lötvös nominatae. Sectio iuridica», 1
(1959), pp. 39-55; De Neeve, Colonus, cit., pp. 31-62; K.-P. Johne, Colonus, colonia, colonatus,
«Philologus», 132 (1988), pp. 308-321; W. Scheidel, Agricola, colonus, cultor, rusticus: Beo-
bachtungen zum rechtlichen und sozialen Status der “Landwirte” in Columellas Schrift De re
rustica, «Maia», 42 (1990), pp. 257-265.
759 Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 357, n°9.
286 Parte II. I documenti

2. Suppl. It., n.s., 20, pp. 153-154, n°42 da Venusia (II-III sec. d.C.): Lucifero /
Rufines ser(vo), / colono. Daphne, cons(erva), / Salvius fil(ius) b(ene) m(erenti)
p(osuerunt)760.
3. AE 1913, 210 da Croto: Amethust[i] / Caes(aris) n(ostri) ser(vus) / item co-
lonus, / vixit ann(os) [L]II m(enses) II. / Olimpias cum filio / coniugi b(ene)
m(erenti) f(ecit). / H(ic) s(itus) e(st)761.
4. Suppl. It., n.s. 13, pp. 223-224, n°17 (= AE 1996, 586) da Septempeda
(prima metà del I sec. d.C.): [---]a ((mulieris)) l(iberta ?) / [---]ritio. / [---]us,
col(onus)762.
5. CIL V, 8190 = InscrIt, X, II, 222 da Parentium (metà del III sec. d.C.?):
D(is) M(anibus). Aquilino an(norum) VII. / Leontiscus, col(onus) / filio infeli-
ciss(imo) / fecit763.
6. CIL V, 396 = InscrIt, X, II, 229 da Parentium: ------ / [---]O[---] / Entell[us]
/ et Helena, / colon[i]764.
7. InscrIt X, I, 592a, col. II, l. 2 da Pola (prima metà del II sec. d.C.): Lucifer
adiutor coloni765.
8. InscrIt, X, I, 592b, l. 13 da Pola (prima metà del II sec. d.C.): Viator colo-
nus766.
Come si vede i due testi del Piceno, quello da Falerio 1 che si sta qui
commentando e quello da Septempeda che si esaminerà più diffusamente in se-
guito, presentano elementi degni di nota all’interno dello scarno dossier di te-
stimonianze: le due iscrizioni sono tra le prime, in ordine di tempo, ad attestarci
il fenomeno di coloni di condizione servile, e sono anche le uniche, almeno per
il momento, in cui il colono appare come dedicante nell’iscrizione sepolcrale di
un personaggio a lui non legato da connessioni familiari, da quanto si può giudi-
care in base agli elementi in nostro possesso: una delle ipotesi che si possono
avanzare per spiegare questo rapporto è che il defunto, nel caso dell’iscrizione
falerionese C. Marius Sedatus, fosse il padrone dello schiavo colonus e il pro-
prietario del fondo coltivato dallo stesso.
Pure accettando questa ipotesi, che non è certo scontata, il significato del
termine colonus rimane incerto: potremmo pensare ad uno schiavo che lavo-

760 Si riprende qui la datazione ricordata da M. Chelotti nel commento a Suppl. It., n.s., 20, p.
153, n°41; cf. anche Ead., Proprietari e patroni, cit., p. 451: II sec. d.C.; Johne - Köhn - Weber,
Kolonen, cit., p. 357, n°1°: I-II sec. d.C.
761 Su questa iscrizione vd. la bibliografia in A. Zumbo, Lessico epigrafico della regio III (Lu-
cania et Bruttii). Parte I: Brutti, Roma 1992, p. 313.
762 Questa iscrizione è ripresa infra, pp. 452-454, come Septempeda 1.
763 Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 364, n°21.
764 In CIL V, 396 il frammento relativo ai due coloni è pubblicato insieme ad un altro frustulo
che ci conserva il nome di un tal Vibius Polybius, ritrovato nella medesima località. A. Degrassi
ha tuttavia riconosciuto come distinti i due testi, ripubblicati come InscrItX, I, 229 e 230.
L’iscrizione non è ripresa nel repertorio di Johne - Köhn - Weber, Kolonen, forse in ragione della
sua frammentarietà. Il Degrassi la considera nondimeno testimonianza di coloni di condizione
servile, ipotesi alla quale si può aderire, pur con qualche riserva.
765 Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 364, n°19.
766 Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 364, n°20.
Parte II. I documenti 287

rava la terra sotto la diretta sorveglianza di Sedato o di un suo vilicus, dunque ad


un generico mancipium fundi, oppure ad uno di quei servi quasi coloni (per ri-
prendere un’espressione ulpianea con la quale la dottrina scientifica è solita de-
signare questa particolare categoria767) che potevano prendere in locazione un
terreno dietro versamento di un regolare canone d’affitto, in natura o in denaro,
tratto dal loro peculium. Il frutto del lavoro del servus quasi colonus era
parimenti considerato parte del peculio e lo schiavo godeva dunque di una certa
autonomia finanziaria, oltre che nella conduzione del fondo, che lo poneva
nella scala sociale al di sopra della semplice manovalanza agricola di condizione
servile768. La possibilità di affittare un terreno ad uno schiavo già nell’età alla
quale appartiene la nostra iscrizione è del resto dimostrata da un frammento del
giurista P. Alfeno Varo, console suffeto del 39 a.C., conservatoci dal Digesto769,
anche a prescindere dal discusso riconoscimento di un servus quasi colonus nel
Titiro della prima Ecloga virgiliana770.

767 Dig., XXXIII, 7, 12, 3; il passo è citato infra, p. 288, nota 772.
768 Il testo di riferimento per questa categoria di affittuari è la monografia di G. Giliberti, Servus
quasi colonus. Forme non tradizionali di organizzazione del lavoro nella società romana, Na-
poli 1981, ove bibliografia anteriore; cf. inoltre, con valutazioni assai divergenti sull’incidenza
di questa forma di organizzazione della proprietà, P. Veyne, La società romana, Roma - Bari
1990, pp. 45-70; J. Köhn in Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., pp. 190-191; V. Weber, ibid.,
pp. 267-268; K.-P. Johne, ibid., pp. 416-417; Id., Die Kolonenwirtschaft der römischen Republik
und des Prinzipats als Abhängigkeitsverhältnis, «Antike Abhängigkeitsformen in den griechi-
schen Gebieten ohne Polisstruktur und den römischen Provinzen. Actes du colloque sur
l’esclavage. Iéna, 29 septembre - 2 octobre 1981», a cura di H. Kreßig - F. Kühnert, Berlin 1985,
pp. 93-95; L. Capogrossi Colognesi, Grandi proprietari, contadini e coloni nell’Italia romana
(I - III d.C.), «Società romana e impero tardoantico. I. Istituzioni, ceti, economie», a cura di A.
Giardina, Roma - Bari 1986, pp. 344-348; J. Kolendo, Sul “servus quasi colonus”, «Labeo», 3 3
(1987), pp. 338-342; W. Scheidel, Quasikolonen bei Vergil?, «Klio», 72 (1990), pp. 166-172;
Id., Sklaven und Freigelassene als Pächter, cit., pp. 182-191 (ripreso in Id., Grundpacht, cit., pp.
131-142); D.P. Kehoe, Investment, Profit, and Tenancy. The Jurist and the Roman Agrarian Eco-
nomy, Ann Arbor 1997, pp. 166-173.
769 Vd. in particolare Dig., XV, 3, 16: Quidam fundum colendum servo suo locavit et boves ei
dederat…; cf. anche Dig., XL, 7, 14 pr., nel quale il giurista assimila il denaro versato a titolo d i
merces, in sostituzione delle operae che lo schiavo doveva al proprio padrone, alla pecunia ver-
sata dallo schiavo pro fructu fundi nel caso in cui egli fundum a domino conduxisset. Su questi
due passi vd. il commento di Giliberti, Servus quasi colonus, cit., pp. 29-51 (partic. pp. 38-39,
nota 12 per la discussione dell’ipotesi di attribuzione del responso a Dig., XL, 7, 14 pr. al mae-
stro di Alfeno, Servio, che ci permetterebbe di far risalire ulteriormente nel tempo la nascita
dell’istituto); Veyne, La società romana, cit., pp. 50-53; A. Schiavone, Giuristi e nobili nella
Roma repubblicana, Roma - Bari 1987, pp. 119-121; 224-225, nota 32 (con attribuzione a
Servio del responso a Dig., XV, 3, 16).
770 Sul problema vd. in particolare Fabre, Libertus, cit., p. 66; P. Veyne, L’histoire agraire et l a
biographie de Virgile dans les Bucoliques I et IX, «RPh», 54 (1980), pp. 245-257; A. Guarino,
Ineptiae iuris romani: IX. Lo stato giuridico di Titiro, «Labeo», 35 (1989), pp. 336-339; A.
Valvo, La “profezia di Vegoia”. Proprietà fondiaria e aruspicina in Etruria nel I sec. a.C.,
Roma 1988, pp. 123-126; Id., Permanenze culturali in età romana della colonizzazione etrusca
dell’Italia settentrionale. I casi dei servi con capacità possessoria e degli Arusnates, «Emigra-
zione e immigrazione nel mondo antico», a cura di M. Sordi, Milano 1994 (CISA 20), pp. 40-42;
Scheidel, Quasikolonen bei Vergil?, cit., pp. 166-172.
288 Parte II. I documenti

Tra le due possibilità di identificazione di Optato, mancipium fundi o ser-


vus quasi colonus, la seconda mi pare preferibile: il rilievo che nel brevissimo
testo ha la qualifica di colonus, la pur modesta agiatezza economica che per-
mette allo schiavo di erigere un monumento sepolcrale a C. Mario Sedato con le
sue proprie sostanze771, lo stesso rapporto di consuetudine tra i due che pare di
poter leggere tra le righe, sono elementi che meglio si attagliano ad uno schiavo
fittavolo, che col proprio lavoro ha saputo conquistarsi una qualche distinzione
sociale e una posizione finanziaria in certa misura autonoma e che mostra orgo-
gliosamente i segni del proprio successo.
Quanto a C. Mario Sedato, i pochi elementi in nostro possesso, in parti-
colare la semplicità del suo monumento funebre, delineano una figura assai di-
stante da quei grandi proprietari assenteisti che si è soliti richiamare a proposito
del colonato della tarda età imperiale: nella ricostruzione che si è delineata,
Sedato potrebbe essere stato piuttosto un piccolo o medio proprietario terriero,
che forse aveva suddiviso i suoi possedimenti tra una parte da lui direttamente
coltivata, con l’aiuto di schiavi rurali e forse di un fattore772, e una parte data in
locazione, forse perché poco produttiva se lavorata da manodopera servile
priva di motivazioni773, ma che poteva dare qualche frutto se affidata ad un ser-
vus quasi colonus come Optato, che su queste terre poteva costruire il proprio
riscatto sociale ed economico. Inutile sottolineare come questa proposta rico-
struttiva sia largamente ipotetica, in ragione delle incertezze legate alla condi-
zione sociale di Optato e ai rapporti che lo legavano a C. Mario Sedato; sia dun-
que intesa semplicemente come spunto di discussione.
Immagine: Tav. XXIX, figg. 1-2. Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit.,
tav. 44, fig. 3-4; Catani, Scavi pontifici, cit., p. 272, n°52 B: apografo inviato
da Gasparo Desantis ad Annibale degli Abati Olivieri.

771 Per la formula d(e) s(uo) e le espressioni consimili nell’epigrafia sepolcrale di Falerio e del
suo territorio vd. CIL IX, 5492; 5500: d(e) s(uo) p(osuit) o d(e) s(ua) p(ecunia); 5519 da Penna
S. Giovanni: de suo pos(uit).
772 Non escluderei che fosse lo stesso Optato ad esercitare una supervisione sugli schiavi rurali
che lavoravano sulla parte del fondo eventualmente a conduzione diretta: tale evenienza emerge
con chiarezza dal già citato passo di Ulpiano a proposito dei servi quasi coloni, Dig., XXXIII, 7,
12, 3: Quaeritur, an servus, qui quasi colonus in agro erat, instrumento legato contineatur. et
Labeo et Pegasus recte negaverunt, quia non pro instrumento in fundo fuerat, etiamsi solitus
fuerat et familiae imperare. All’occasione, dunque, lo schiavo fittavolo può familiae imperare,
una funzione propriamente caratteristica del vilicus. Su questo passo vd. in particolare il com-
mento di Giliberti, Servus quasi colonus, cit., pp. 99-104.
773 Su questo aspetto insiste in particolare Kolendo, Sul “servus quasi colonus”, cit., pp. 339-
340, sulla base del noto passo di Colum., I, 7, 4, nel quale l’autore, riprendendo un’opinione d i
Saserna, giudica conveniente affidare a coloni solo quei fondi che sono svantaggiati per
condizioni climatiche e qualità del terreno.
Parte II. I documenti 289

Falerio 2

Edizione di riferimento: CIL IX, 5461.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, cit., III, p. 419, n°1607.
Bibliografia: Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., pp. 124-125;
E. De Ruggiero, Dissignator, «Diz. Ep.», II (1922), p. 1924; Waltzing, Étude,
cit., I, p. 276; Delplace, Romanisation, cit., p. 81; Maraldi, Falerio, cit., p. 16.
Luogo di ritrovamento: non conosciamo particolari sull’esatto luogo di ri-
trovamento dell’iscrizione774.
Luogo di conservazione: Falerone, lapidario del Museo archeologico civico
(autopsia maggio 2001)775.
Tipo di supporto: stele centinata. Lo specchio epigrafico, ribassato, è delimi-
tato da una doppia cornice.
Mestiere: dissignator.
Collegio: socii dissignatores.
Datazione: la semplicità del formulario, nel quale non compare l’adprecatio
agli dei Mani, suggerisce di datare il testo al più tardi verso la metà del I sec.
d.C.776
Testo: Q(uinto) Tullieno / Marioni, / dissignatori, / socii dissignat(ores).
l. 3: T leggermente montante. La I finale di dissignatori è longa.
l. 4: la I finale di socii è longa. T leggermente montante.
Segni di interpunzione a l. 1 e a l. 4 in forma di coda di rondine, con il vertice
rivolto verso l’alto a destra, utilizzati per dividere le parole.
Commento
Il testo in esame è la semplice dedica, probabilmente di carattere funera-
rio, posta da un sodalizio di dissignatores al loro collega Q. Tullieno Marione.
Il gentilizio Tullienus è caratteristico del Piceno, con attestazioni a Cupra
Maritima777, a Cupra Montana778 e nella stessa Falerio, dove conosciamo il
medico Q. Tullienus Q. l. Phania, sul quale vd. infra, p. 302, il commento alla
scheda Falerio 4779.
Anche il cognome Mario è altrimenti noto nella regio V: a Trea cono-
sciamo infatti un liberto Q. Fabius Mario780. Non si tratta per la verità di un
cognome con una fortissima diffusione ma, tra le non numerose attestazioni,
diverse si riferiscono a schiavi e liberti781, un elemento di cui tenere conto in
assenza di altre indicazioni sulla condizione giuridica del personaggio.

774 Cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 81.


775 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 488.
776 La proposta di datazione, già avanzata nella prima edizione di questo saggio, è ora ripresa da
Maraldi, Falerio, cit., p. 16.
777 EphEp VIII, 231: C. Tullienus P. f. [---].
778 CIL IX, 5332: Tulliena Herais.
779 Su questo gentilizio vd. Schulze, Eigennamen, cit., p. 105, nota 5; p. 246.
780 CIL IX, 5664.
781 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 164, che registra dalle iscrizioni pubblicate in CIL 1 9
attestazioni più 12 che si riferiscono a schiavi e liberti; al materiale schedato in CIL si aggiunga
290 Parte II. I documenti

Q. Tullieno Marione esercitava il mestiere di dissignator o designator,


come spesso si trova nella tradizione manoscritta782, termine che trae origine
dal verbo dissigno / designo, nel significato di disporre, regolare, ordinare783.
Dalla documentazione letteraria784 apprendiamo che i dissignatores potevano
assolvere a due funzioni sostanzialmente distinte. Da un lato essi erano gli ordi-
natori dei cortei funebri: negli scolii ad Orazio leggiamo dissignatores dicuntur,
qui ad lucum Libitinae funebria praestanda conducuntur ut defuncti cum ho-
nore efferantur785; lo stesso Orazio si giustifica con Mecenate per essersi assen-
tato tanto a lungo da Roma, adducendo come spiegazione il fatto che le sue
condizioni di salute non gli permettevano di rimanere nell’Urbe nell’insalubre
mese di Agosto, la stagione del dissignator e dei suoi littori vestiti di nero786,
mentre Seneca paragona i desideri dei cacciatori di eredità a quelli dei dissigna-
tores e dei libitinarii, anche se questi ultimi non conoscono coloro di cui deside-
rano la morte787. A questo genere di dissignatores allude con ogni verosimi-
glianza la legge della Tabula Heracleensis prescrivendo che coloro que<i>
praeconium dissignationem libitinamve faciet non possano accedere alle magi-
strature e ai senati delle comunità municipali788.

AE 1934, 254 da Minturnae: Mario Caecil(i) L(uci) s(ervus); AE 1957, 181 da Tebessa Khalia,
nei pressi di Theveste (Numidia) e AE 1973, 611 da Henchir R’Mel, nella regione di Uzali Sar
(Africa proconsolare): in entrambe le iscrizioni compaiono personaggi che portano unicamente
il nome Mario, dunque probabilmente schiavi; libero era invece il Marius Mario, padrone della
schiava Maria (sic!) dell’iscrizione AE 1981, 251 da Ercolano. Vd. anche Solin, Sklavennamen,
cit., I, p. 14, che registra 14 attestazioni di schiavi e liberti nella documentazione urbana.
782 L’oscillazione tra le forme dissigno / designo e dissignator / designator è stata studiata da
A. Bartalucci, Designo o dissigno (a proposito di Terent., Adelphoe 87), «SCO», 21 (1972), pp.
230-243, di cui tuttavia non si possono condividere le conclusioni circa dissigno e dissignator
come creazione artificiosa e tarda dalle forme corrette designo e designator.
783 Sui dissignatores vd. Marquardt, Privatleben, cit., p. 351 e nota 7; De Ruggiero, Dissigna-
tor, cit., pp. 1924-1925; E. Pollack, Dissignatores, «P.W.», V, 1 (1903), coll. 1199-1200;
Bartalucci, Designo, cit., pp. 234-235; 240; Lo Cascio, Praeconium e dissignatio, cit., pp. 351-
371, partic. pp. 356-360; S. Priuli in A. Giuliano (a cura di), Museo Nazionale Romano, I, 7, parte
II, Roma 1984, pp. 485-486; cf. anche Calderini, Arti e mestieri, cit., p. 540; Kühnert, Plebs ur-
bana, cit., p. 45; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Tra-
bajo, cit., p. 98.
784 Raccolte da E. Vetter, Dissignator, «TLL», V, 1, col. 1469.
785 Schol. Hor., Epist., I, 7, 6; Don., Ter. Ad., 87, 1: designare est rem novam facere in utramque
partem, et bonam et malam. Nam et designatores dicti, qui ludis funebribus praesunt, credo o b
eam causam, quod ipsis ludis multa fiant nova et spectanda, simul etiam ut turbae retineantur,
quae fiunt aut in spectaculis aut in litibus.
786 Hor., Epist., I, 7, 2-6: Atque, / si me vivere vis sanum recteque valentem / quam mihi das ae-
gro, dabis aegrotare timenti, / Maecenas, veniam, dum ficus prima calorque / dissignatorem
decorat lictoribus atris …
787 Sen., Ben., VI, 38, 4. A questo genere di dissignatores dovrebbe alludere anche Tert., Spect.,
10, 2, pur se il contesto è quello delle rappresentazioni teatrali: secondo l’autore cristiano, le
analogie tra questo genere di spettacoli e i giochi del circo riguardano anche il ricorso duobus
inquinatissimis arbitris funerum et sacrorum, dissignatore et haruspice; cf. il commento al
passo di E. Castorina, Quinti Septimi Florentis Tertulliani de spectaculis, Firenze 1961, pp.
219-220; vd. inoltre Lo Cascio, Praeconium e dissignatio, cit., p. 359, nota 19.
788 Su questa clausola vd. supra, p. 84, nota 343.
Parte II. I documenti 291

D’altra parte i dissignatores sono anche coloro che assegnano i posti nei
teatri e, verosimilmente, anche negli altri luoghi deputati agli spettacoli: negli
scolii oraziani possiamo leggere anche questa definizione: dissignare est ordi-
nare, unde et, qui locos in theatris spectatoribus distribuebat, dissignatores di-
cebantur789, mentre nel prologo del Poenulus Plauto invita il dissignator a non
disturbare e a non accompagnare nessuno al posto mentre l’attore è ancora in
scena790. In Marziale Oceanus e Leitus, senza dubbio due dissignatores anche se
non sono detti tali, si occupano in particolare di cacciare chi ha indebitamente
occupato a teatro i sedili riservati ai membri dell’ordine equestre791. Nella do-
cumentazione epigrafica questa sorta di maschere compare probabilmente negli
acta dei ludi saeculares del 204 d.C.792
Nelle iscrizioni non sempre è agevole distinguere a quale dei due generi il
dissignator nominato potesse appartenere793:
1. CIL VI, 1074 = ILS 456: [Fulviae Plautillae Aug(ustae), coniugi] /
Imp(eratoris) M(arci) Aureli Antonini Aug(usti) / Pii Felicis, pontificis,
cons(ulis), / Imp(eratoris) L(uci) Septimi Severi Aug(usti) Pii Felicis, / pontificis
et Parthici maximi, cons(ulis) III, nurui / filiae / [[C(ai) Fulvi Plautiani,
c(larissimi) v(iri)]], / pontificis, nobilissimi pr(aefecti) pr(aetorio), necessarii /
Augg(ustorum) et comitis per omnes expeditiones eorum. / T(itus) Statilius
Calocaerus, nomencl(ator), / cum Statilio Dionysio, trib(uno) leg(ionis) XVI
Flaviae / et Statilio Myrone, dissignatore scaenar(um), / filiis et Statilio
Dionysio, discipulo fictorum / pontificum cc(larissimorum) vv(irorum), nepote
suo, / [a]mpla beneficia de indulgentia / [Au]gustorum suffragio patris eius /
consecutus794.
2. CIL I2, 2519 e CIL I2, 4, p. 966 = ILLRP 771 da Roma: Societatis can-
tor(um) Graeco[r]um et quei in / hac sunhodo sunt de pecunia commune.
L(ucius) ? Maecenas D(ecimi) l(ibertus) Ma<e>(cia), desi/gnator, patronus
sunhodi probavit. M(arcus) Val[---]us M(arci) f(ilius) Theophilus, / Q(uintus)
Vibius Q(uinti) l(ibertus) Simus, magistreis sunhodi d[ec]umanorum locu / se-
pulchri emendo aedificando cuuraverunt. / L(ucius) Aurelius L(uci) l(ibertus)
Philo, magister septumo sunhodi / societatis cantorum Graecorum quiq[u]e in
hac / societate sunt de sua pecunia reficiun[d]um / coeravit.
3. CIL VI, 1955 e p. 3232: L(ucius) Tossius C(ai) (et) L(uci) l(ibertus) /
Amphio, praec(o) / dissign(ator), / Tossia L(uci) l(iberta) Hedon[e]. <In>
fr(onte) <pedes> XIIX, <in> ag(ro) <pedes> XIIX.

789 Schol. Hor., Epist., I, 7, 6.


790 Plaut., Poen., 19-20.
791 Mart., V, 8; 14; 23; 25; 27; cf. anche VI, 9.
792 CIL VI, 32332.
793 Così come non sappiamo quale fosse la funzione del dissignator Decimus (ma il nome ap-
pare corrotto nella tradizione manoscritta), ricordato da Cic., Att., IV, 3, 2 tra i pochi sostenitori
rimasti a Clodio nel 57 a.C.
794 Riguardo questa iscrizione, il cui interesse va ben al di là dell’attestazione di un dissignator
scaenarum, vd. la bibliografia segnalata in CIL VI, 8, p. 4322.
292 Parte II. I documenti

4. CIL VI, 2223: L(ucius) Cornelius L(uci) l(ibertus) Philargur(us), / Fannia


((mulieris)) l(iberta) Asia, / Fannia ((mulieris)) l(iberta) Sura, mater, /
P(ublius) Aquillius P(ubli) et Fanniae l(ibertus), / Aprodisius, dissignator, /
mag(istri) vici a foro Esquilin(o), / Fannia ((mulieris)) l(iberta) Helena.
5. CIL VI, 8846: C. Verres Eros, / dissignator / Caesaris Augusti.
6. CIL VI, 9373: L. Vettius L(uci) l(ibertus) Auctus, dissignator, / fecit sibi et
suis posterisq(ue) eorum. / Afrania C(ai) f(ilia) Prisca, uxor, C(aius) Avianius
CLA, / Licinia Sp(uri) f(ilia) Tertulla, Priscus v(ixit) a(nnis) XXXII, / coniunx
vix(it) ann(is) XXVIII, / Agria Zmyrna, mater, / Vettia L(uci) (et) ((mulieris))
l(iberta) Nebris, / L(ucius) Vettius Crescens v(ixit) a(nnis) XII, / L(ucius) Vettius
L(uci) (et) ((mulieris)) l(ibertus) Primigenius.
7. AE 1984, 106 da Roma (metà del I sec. a.C.): [---]aelius Q(uinti) l(ibertus),
praeco et dissignato[r]. // In fr(onte) p(edes) XIIX // Licinia Cn(aei) l(iberta)
Athena.
8. CIL X, 5429 da Aquinum: C(ai) Matieni C(ai) f(ili) Ouf(entina tribu) /
Oviculae / annorum XXVII, / praeco idem dissignator (!).
9. AE 1982, 138 da Nomentum (II sec. d.C.): Cn(aeus) Vettius Globulus, /
d[is]signat(or) Caesaru[m e]t / [---, m]ag(ister) H(erculis) V(ictoris) et se[vir
August(alis)] / ------.795
10. InscrIt IV, 1, 214 da Tibur: L(ucius) Laenius Anteros, / dissign(ator),
mag(ister) Herc(uli) et Aug(usti), / Laenia Prima, / L(ucius) Laenius Elegans, /
L(ucius) Laenius Suavis, / L(ucius) Laenius Amianthus, / L(ucius) Laenius
Artema, / L(ucius) Laenius Secundus. / Loc(o) CXXXV II / EAT.
11. CIL IV, 597 da Pompei: Suettios Certum II vir(um) i(ure) d(icundo), /
Verum aed(ilem), Celsum collegam rog(at), / quorum innocentiam / probastis.
Elainus dissign(ator) rog(at).
12. CIL IV, 768 da Pompei: M(arcum) Epidium Sabinum d(uumvirum) i(ure)
dic(undo) o(ro) v(os) f(aciatis); dig(nus) est, / defensorem coloniae ex sententia
Suedi Clementis, sancti iudicis, consensu ordinis ob merita eius et probitatem
dignum reipublicae faciat. Sabinus, dissignator, cum plausu facit.
13. CIL IX, 531 da Venusia: C(aius) Lani(us) C(ai) f(ilius) / Hor(atia tribu) /
Dissio vel dissig(nator). / In front(em) p(edes) XIIII, / in agrum / p(edes) XV. /
Pater et filius.
14. CIL XI, 4596 da Carsulae: ------ / [Lab ?]erio T(iti) l(iberto) Stab[ili ? --- ?]
/ [--- pra ?]ec(oni) dissign(atori).
15. AE 1992, 561 da Hispellum: lungo elenco di amici cui era riservata parte di
un’area sepolcrale; a l. 20 viene ricordato, in caso dativo, Damae, dis-
sign(atori)796.

795 Su questa interessante iscrizione si veda il commento di R. Palmieri, Culto di Ercole Vittore
a Nomentum?, «Sesta Miscellanea Greca e Romana», Roma 1978, pp. 497-503; cf. inoltre Id., i n
G. Barbieri et alii, Il Lapidario Zeri di Mentana, Roma 1982, pp. 114-115, n°51.
796 L’iscrizione fa parte del dossier su di un collegio di carattere funerario da Hispellum, edito e
studiato da A. Massi Secondari - L. Sensi, Amicis meis. Considerazioni intorno ad un monu-
mento sepolcrale di Hispellum, «Epigraphica», 54 (1992), pp. 63-88; il testo al quale si fa rife-
rimento è pubblicato alle pp. 75-78; vd. anche il commento sul dissignator a pp. 83-84.
Parte II. I documenti 293

16. CIL V, 5924 da Mediolanum: ------ / [---] Cinna, / dissignator scriba, / ex


testamento.
17. CIL II2, 7, 345 da Corduba (età severiana): T(itus) Servius T(iti) l(ibertus) /
Clarus, dissi/gnator, h(ic) s(itus) e(st). / S(it) t(ibi) t(erra) l(evis).
18. CIL XIII, 2653 da Augustodunum: Deae Bibracti. / [Dis?]signat[ores].
Se il dissignator scaenarum Statilio Mirone (n°1) e probabilmente anche
il patrono dell’associazione dei cantores Graeci Mecenate (n°2) sono legati al
mondo degli spettacoli teatrali, mentre forse Dama dell’iscrizione n°15 ordi-
nava le cerimonie funebri di un associazione privata di Hispellum, per gli altri
dissignatores attestati nell’epigrafia latina non possediamo elementi sufficienti
a determinare con precisione la loro funzione. È questo anche il caso
dell’iscrizione che stiamo esaminando, anche se l’esistenza di un teatro a Fale-
rio, oltre che di un anfiteatro, quantomeno autorizza l’ipotesi che il nostro Q.
Tullieno Marione e i suoi colleghi fossero appunto incaricati di accompagnare
gli spettatori al loro posto797. Va inoltre rilevato come non si possa escludere in
modo assoluto la possibilità che un dissignator potesse assolvere di volta in
volta, a seconda dell’occasione, sia la funzione di ordinatore delle cerimonie fu-
nebri sia quella di maschera, anche se tali uffici appaiono sostanzialmente di-
stinti nella nostra documentazione798.
Si può tuttavia notare come talvolta chi esercitava il mestiere di dissi-
gnator fosse anche praeco (nn. 3, 7, 8, 14 se è giusta l’integrazione della lacuna
proposta da CIL): in effetti anche i praecones esercitavano una funzione sia
nelle cerimonie funebri, sia negli spettacoli; è dunque naturale che in alcune oc-
casioni una stessa persona potesse ricoprire entrambi gli incarichi799. Meno
chiaro il rapporto esistente fra i mestieri di scriba e di dissignator, che vediamo
accostati nella lacunosa iscrizione n°15800.
Per quanto concerne lo statuto dei dissignatores, la documentazione epi-
grafica ci fa conoscere individui di nascita ingenua (nn. 8; 13, se di un dissigna-
tor si tratta), liberti (nn. 2; 6; 7; 14; 17) e qualche personaggio con nome unico,
che potrebbe essere stato di condizione servile (nn. 4; 15); come sempre nume-
rosi i casi incerti (nn. 1; 5; 9; 10-12; 16).
I dissignatores di Falerio avevano formato un sodalizio, tra i cui scopi
principali vi era senza dubbio quello di assicurare una degna sepoltura ai propri

797 L’ipotesi è sostenuta da Waltzing, Étude, cit., II, pp. 134-135; IV, p. 87, che pure ricorda an-
che la funzione funeraria svolta dai dissignatores. Sul teatro di Falerio vd. da ultimo Delplace,
Théâtre, cit., pp. 117-125, con la bibliografia ivi citata.
798 Un punto di contatto tra le due funzioni potrebbe tuttavia essere rappresentato, secondo Lo
Cascio, Praeconium e dissignatio, cit., p. 359, nota 19, dalla partecipazione del dissignator
come arbiter funerum alle cerimonie che accompagnavano le rappresentazioni teatrali.
799 Riferisce senz’altro all’ambito funerario i praecones et dissignatores noti dalla documenta-
zione epigrafica S. Priuli in Giuliano (a cura di), Museo Nazionale Romano, I, 7, parte II, cit., p.
485, nel commentare l’epigrafe poi ripresa in AE 1984, 106, sulla base del fatto che non gli erano
noti praecones nei pubblici spettacoli; ma sulla possibilità che la voce dei banditori risuonasse
anche in queste festose occasioni vd. supra, pp. 111-115, il commento all’iscrizione Ancona 2.
800 Cf. a questo proposito Calderini, Arti e mestieri, cit., p. 540.
294 Parte II. I documenti

membri801, così come abbiamo visto accadere ad Auximum per i fabri802 e come
vedremo ad Interamnia a proposito del locale collegio dei centonari803.
Interessante l’uso del termine socii: la parola in effetti non si ritrova
molto di frequente in riferimento ad associazioni di mestiere, dal momento che i
socii sono propriamente i membri di una societas e questa, a differenza di un
collegium, è un sodalizio formato per un tempo ben definito, secondo la defini-
zione di Paolo in Dig., XVII, 2, 70: Nulla societatis in aeternum coitio est804. In
realtà nella documentazione epigrafica è probabile che l’uso sia stato meno pre-
ciso: lo dimostra il fatto che a Puteoli gli scabillarii, i suonatori di quello stru-
mento a percussione chiamato scabillum, posero due dediche ad Antonino nel
139 e nel 140 d.C. in quanto collegium scabillariorum, mentre nel 161 d.C. il
quinquennalis C. Iulius Fortunatus onorò il nuovo imperatore Marco Aurelio
nomine sociorum scabillarior(um)805. In qualche caso le attestazioni si riferi-
scono a persone legate ai mestieri dello spettacolo, come forse i dissignatores di
Falerio806, e a sodalizi che sembrano riunirsi per scopi essenzialmente funerari,
come indubbiamente fecero nella cittadina picena Q. Tullieno Marione e i suoi
colleghi807.
Va infine ricordato come i dissignatores, collettivamente intesi, appaiano
forse anche in una dedica alla dea Bibracte da Augustodunum (n°18).
Immagine: Tav. XXX.

801 L’iscrizione è ricordata da Waltzing, Étude, cit., I, p. 276 tra le attestazioni di collegi che
eressero un monumento sepolcrale ad uno dei loro soci. Cf. anche Liebenam, Zur Geschichte und
Organisation, cit., pp. 124-125.
802 Cf. supra, pp. 247-248, a proposito dell’iscrizione Auximum 15, con la bibliografia ivi citata
a nota 616 sulle funzioni funeratizie delle associazioni di mestieri.
803 Cf. infra, pp. 409; 410-412.
804 Sull’uso del termine socii per i membri di associazioni professionali vd. in particolare
Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., p. 184; Waltzing, Étude, cit., I, p. 340 e la rac-
colta di attestazioni in IV, p. 240; H. Pavis D’Escurac, Dénominations des organisations artisa-
nales dans l’Occident romain, «Ktema», 15 (1990) [1994], p. 116.
805 Cf. rispettivamente CIL X, 1642; 1643 e 1647.
806 Oltre ai documenti relativi agli scabillarii, citati alla nota precedente, vd. le sociae mimae d i
CIL VI, 10209.
807 Si veda per esempio CIL VI, 4414, tabella relativa all’area sepolcrale dei socii coronarii, e la
già ricordata CIL VI, 10209, tabella relativa all’area sepolcrale delle sociae mimae. Vd. tuttavia
anche le iscrizioni dei magistri di Minturnae, ove ricorre spesso il ricordo di schiavi dei socii
picarii (CIL I2, 2684, l. 5; 2691, l. 8; 2696, l. 14; cf. verosimilmente anche 2678, l. 10, lacunosa:
Antiochus picar(iorum) [soc(iorum) s(ervus)]) e dei socii salinatores (CIL I2, 2691, l. 3; 2693, l.
7; 2698, l. 12; 2703, l. 11); cf. anche i socii propoli di CIL XII, 1110 = ILN IV, 88 da Apta, nella
Narbonense, e i socii mensuratores di ILN IV, 90, dalla medesima località.
Parte II. I documenti 295

Falerio 3

Edizione di riferimento: IG XIV, 2261.


Altre edizioni: CIL IX, 5462b.
Bibliografia: Gummerus, Ärztestand, cit., p. 63, n°230; Diebner, Frühkaiser-
zeitliche Urnen, cit., p. 97, n°2; Ead., Sfera dei sepolcri, cit., p. 88; P .
Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo … e gli scavi archeologici di
Falerio Picenus, Fermo 1991, p. 161; H. Solin, Die sogenannten Berufsnamen
antiker Ärzte, «Ancient Medicine in its Socio-Cultural Context. Papers Read at
the Congress Held at Leiden University 13-15 April 1992», a cura di P.J. van
der Eijk - H.F.J. Horstmanshoff - P.H. Schrijvers, I, Atlanta 1995, p. 124, nota
16.
Luogo di ritrovamento: riguardo al luogo di ritrovamento dell’iscrizione si in-
dica, genericamente, l’antica Falerio808.
Luogo di conservazione: Falerone, lapidario del Museo archeologico civico
(autopsia maggio 2001)809.
Tipo di supporto: coperchio d’urna cineraria, di forma conica, che riprende
una tipologia monumentale ben nota nel Piceno centrale810.
Mestiere: medicus.
Datazione: la tipologia monumentale e il formulario dell’epigrafe suggeriscono
una datazione alla prima età imperiale, entro la prima metà del I sec. d.C.811
Testo: ∆Osta' É ∆Asklhpiavdou É Pergamhnou', É ijatrou'.
Commento
L’iscrizione, una delle poche in lingua greca del nostro corpus, è il sem-
plice epitafio di Asclepiade di Pergamo, che esercitava il mestiere di medico,
una delle professioni meglio attestate e con uno dei maggiori tassi di mobilità del
mondo romano812.
Il testo dell’iscrizione ripropone, nella traduzione greca, un noto formula-
rio dell’epigrafia sepolcrale latina, con ossa seguito dal nome del defunto in caso
genitivo. Questo genere di epitafio è del tutto consueto anche nel Piceno, in

808 Cf. lemma a IG XIV, 2261.


809 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 488.
810 Vd. Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit., partic. p. 97, n°2 per una descrizione del mo-
numento di Falerio; la studiosa suggerisce un raffronto con tipologie monumentali provenienti
dalle regioni dell’Adriatico settentrionale; cf. anche Ead., Sfera dei sepolcri, cit., pp. 88-89; O.
Tonici, Due nuovi monumenti funerari iscritti da Firmum Picenum, «Picus», 5 (1985), p. 195,
secondo la quale il motivo delle urne funerarie giunse nel Piceno probabilmente attraverso i
commerci adriatici. Per una breve descrizione dell’oggetto vd. anche Bonvicini, Falerone
dall’antichità al medioevo, cit., p. 161.
811 Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit., pp. 94-95; Ead., Sfera dei sepolcri, cit., p. 89.
Gummerus, Ärztestand, cit., p. 63, n°230 suggeriva una più vaga datazione al I-II sec. d.C.
812 Sul tema del viaggio negli epitafi dei medici antichi vd. per esempio la documentazione rac-
colta da L. Robert, Épitaphes métriques de médecins à Nicée et à Tithorée, «Hellenica», II, Paris
1946, pp. 103-108.
296 Parte II. I documenti

particolare a Firmum e a Cupra Maritima, come è ovvio quasi sempre in


connessione con la tipologia monumentale dell’urna cineraria813.
Degno di nota il nome del medico attestato a Falerio. Come ha recente-
mente evidenziato H. Solin814, il nome Asclepiades era particolarmente diffuso
tra i medici del mondo antico, per l’ovvia connessione col dio della medicina
Asclepio; la stessa fama di un medico celebre come Asclepiade di Bitinia, attivo
a Roma alla fine del II sec. a.C. o agli inizi del secolo seguente, potrebbe aver
contribuito alla popolarità del nome in questi ambienti professionali815. In al-
cuni casi Asclepiade appare in funzione di secondo cognomen, e dunque poteva
essere stato scelto dal medico stesso quando già era in età adulta, per valorizzare
la propria professione816. In altri esempi Asclepiade costituisce l’unico cogno-
men del personaggio817: in tali occasioni è possibile ipotizzare che il personag-
gio appartenesse ad una famiglia di medici e che il nome gli fosse stato asse-
gnato fin dalla nascita, destinandolo a continuare le tradizioni familiari; non si
deve tuttavia dimenticare che Asclepiades è un nome diffusissimo, sia nella
parte ellenizzata dell’Impero come in Occidente818.

813 Vd. ad Ancona CIL IX, 5923, con il nome della defunta anteposto a ossa; ad Asculum CIL IX,
5265, nella quale il nome del defunto sembra essere andato perduto; CIL IX, 5212, con il nome
del defunto anteposto a ossa; Bonvicini, Iscrizioni latine inedite, cit., p. 197 (= AE 1975, 352),
ripresa da Tonici, Due urne cinerarie, cit., pp. 227-229, n°2 (= AE 1993, 593); a Cupra Maritima
CIL IX, 5315; 5316; 5320; 5333; 5336; a Falerio un caso incerto è offerto da CIL IX, 5527; a
Firmum CIL IX, 5367; 5372; 5382; 5398; 5399; 5402; 5405; 5414; G. Paci, Nuove iscrizioni
romane da Senigallia Urbisaglia e Petritoli, «Picus», 2 (1982), pp. 64-67 = AE 1985, 339; To-
nici, Due nuovi monumenti, cit., pp. 193-195, n°1 e p. 194, fig. 1 (coperchio fastigiato di urna ci-
neraria, di forma parallelepipeda; l’iscrizione ossa, che appare sul coperchio, doveva proseguire
con il nome del defunto sul corpo dell’urna); cf. forse anche CIL IX, 5380; a Interamnia CIL IX,
5099 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 776, n°48; a Truentum EphEp VIII, 220 =
Cancrini, Municipio truentino, cit., pp. 158-161, n°6 e p. 157, fig. 5 = Buonocore - Firpo, Fonti
latine e greche, cit., p. 815, n°35.
814 Solin, Berufsnamen, cit., pp. 119-124; cf. anche Id. in H. Solin - M. Kajava, Iscrizioni latine
rupestri del Latium adiectum, «Rupes Loquentes. Atti del Convegno internazionale di studio
sulle iscrizioni rupestri di età romana in Italia. Roma - Bomarzo 13-15. X. 1989», a cura di L.
Gasperini, Roma 1992, p. 338 e nota 2, a proposito dell’iscrizione del medicus C. Licinius
Asclepia[de]s (CIL X, 6471 da Sezze, qui ripubblicata, cf. AE 1992, 261); cf. anche per la Cisal-
pina la casistica e le considerazioni di Buonopane, Ceti medi, cit., p. 81 e nota 52.
815 Su Asclepiade di Bitinia vd. da ultimo R. Polito, On the Life of Asclepiades of Bithynia,
«JHS», 119 (1999), pp. 48-66, con la bibliografia ivi citata.
816 Cf. per esempio CIL VI, 8895: L. Arruntius Sempronianus Asclepiades, imp. Domitiani medi-
cus e IG XIV, 2104 = IGR I, 366= IGUR III, 1355: L. Fontevio" Fovrti" ∆Asklhpiavdh", tw'/ gevnei
∆Efevsion (!), ijhth;r a[risto".
817 Cf. per esempio IGUR II, 282: T. Ai[lio" ∆Asklhpiavdh" Sebastou' ajpeleuvqero", ijatro;"
louv(dou) matou(tivnou) ceir(ourgov"); IGUR III, 1163 = IG XIV, 1424 = IGR I, 203:
∆Asklhpiavdh", eijhthvr; CIL XI, 3943 = ILS 7789 da Capena: C. Calpurnius Asclepiades Prusa
ad Olympum, medicus; CIL V, 3940 dal pagus Arusnatium: P. Numitorius P. l. Asclepiades, IIIIII
vir, medicus ocularius; cf. inoltre il già ricordato C. Licinius Asclepia[de]s di CIL X, 6471 = AE
1992, 261 da Setia.
818 Nello stesso Piceno vd. CIL IX, 5760 da Ricina: Asclepiades; CIL IX, 5391, ora ripresa da
Paci, Nuove iscrizioni romane da Senigallia Urbisaglia e Petritoli, cit., pp. 57-64, n°2 (= AE
1985, 338) da Firmum: Q. Latronius Q. f. Asc[lepiad(es)?].
Parte II. I documenti 297

La formula onomastica del medico attestato a Falerio indica che si trat-


tava di un personaggio proveniente da Pergamo, verosimilmente di condizione
peregrina. Il ruolo degli stranieri nello sviluppo della medicina a Roma e
nell’Italia romana fu di importanza fondamentale819: in effetti, secondo il no-
tissimo giudizio di Plinio, tra tutte le arti venute dal mondo greco, solo la medi-
cina non si addiceva alla gravitas romana820 e, per quanto l’opinione
dell’enciclopedista potesse essere influenzata da gravi preconcetti, rimane il
fatto che, dai dati che emergono in particolare dalla tradizione letteraria, la
parte avuta dai medici in possesso della cittadinanza romana fin dalla nascita
sembra essere stata relativamente modesta, almeno fino alla prima età impe-
riale.
Il quadro che emerge dalla documentazione epigrafica presenta per la ve-
rità qualche elemento di differenza rispetto alla situazione delineata dalle fonti
letterarie. Dalle iscrizioni dell’Italia romana (Roma esclusa) raccolte nell'Ap-
pendice sembra emergere solamente un altro caso sicuro di medico libero di
condizione peregrina, quello di Diodotus, Tauri fil(ius), Tyanensis ex Cappado-
cia, che ricevette sepoltura dall’alumnus Charinus nell’agro di Caere (AE
1989, 307). Il fenomeno può forse essere spiegato pensando alla riconosciuta
utilità sociale dei medici, che spesso dovette consentire a quelli di loro che erano
di condizione peregrina l’accesso alla cittadinanza romana: paradigmatico, in
questo senso, potrebbe essere il caso di C. Calpurnius Asclaepiades (!),
originario di Prusa ad Olympum, che ricorda di aver domandato con successo la
civitas non solo per sé, ma anche per i genitori e per i fratelli821. Del resto sap-
piamo che Cesare, per sollecitare medici stranieri a stabilirsi a Roma, promise
loro appunto la concessione della cittadinanza romana822. Mi pare dunque del
tutto comprensibile che nella documentazione epigrafica in nostro possesso,
prevalentemente di carattere funerario e nella quale dunque lo statuto giuridico
attestato è nella maggior parte dei casi quello conseguito alla fine della vita, il
ruolo avuto dai medici di condizione peregrina sia in qualche misura sottorap-
presentato.
Come si è già visto nella prima parte, la considerazione sociale di cui go-
deva la professione medica nel mondo romano varia in modo notevole a se-
conda dell’ambiente e delle circostanze in cui il giudizio venne espresso: i dot-
tori talvolta si elevano al di sopra dei lavoratori manuali, in considerazione della
indubbia utilità sociale della loro opera e dei contenuti intellettuali della loro
professione, talaltra sono assimilati pienamente ai semplici artifices, per il fatto
di prestare la loro opera dietro compenso e per la modesta estrazione sociale di

819 Cf. André, Médecin, cit., pp. 36-37; Kudlien, Stellung des Arztes, cit., pp. 71-92; De Filippis
Cappai, Medici, cit., pp. 68; 74-75, Flemming, cit., pp. 50-51.
820 Plin., Nat. Hist., XXIX, 17, citato supra, p. 87, nota 357.
821 CIL XI, 3943 = ILS 7789 da Capena; il personaggio è registrato da Gummerus, Ärztestand,
cit., p. 66, n°242.
822 Suet., Iul., 42, 2: Omnisque medicinam Romae professos et liberalium artium doctores, quo
libentius et ipsi urbem incolerent et ceteri adpeterent, civitatem donavit.
298 Parte II. I documenti

molti di loro823. Il breve testo di Falerio, nel quale vengono solamente ricordati
il nome del defunto e la sua professione, non consente di avanzare alcuna
precisazione a proposito della posizione sociale del medico Asclepiade nella
comunità del Piceno.
Mi pare più interessante notare come l’iscrizione di Asclepiade di Per-
gamo, sebbene incisa su di un supporto monumentale caratteristico della regio V
e secondo un formulario che ricalca quello di molti epitafi latini su urne cinera-
rie del Piceno, denoti, con l’uso della lingua greca, un attaccamento alle origini
e alle radici culturali da parte del dottore pergameno. Le attestazioni di medici
in iscrizioni in lingua greca o nelle bilingui greco-latine non sono rare nell’Italia
romana: si vedano per esempio, oltre al caso qui in esame, i nn. 10, 12, 13, 37,
46, 101, 111, 126 (in greco) e i numeri 34, 41, 54, 58, 59, 60, 130 (bilingui
greco-latine) e 57 (bilingue greco-ebraica) del catalogo proposto nell’Appendi-
ce, cui si possono aggiungere diversi documenti urbani824. La documentazione
epigrafica è ovviamente muta riguardo le ragioni che spinsero i medici antichi
ad utilizzare di frequente la lingua greca anche in aree ove in prevalenza si par-
lava e si scriveva in latino, ed è certo ipotizzabile che il fenomeno vada spiega-
to in primo luogo con la preminenza che i dottori provenienti dalle aree elleno-
fone del mondo antico ebbero a lungo nella medicina romana; tuttavia il parti-
colare attaccamento alla propria lingua madre poteva essere dovuto anche al
fatto che l’idioma greco godeva di uno speciale prestigio nella scienza medi-
ca825, come si ricava da un violento attacco di Plinio a quei pochissimi romani
che esercitano questa professione: essi sono in realtà dei transfugae ad Graecos,

823 Vd. supra, pp. 86-88, con la bibliografia a nota 352.


824 Vd. exempli gratia CIG 9792; IG XIV, 967a-b = IGUR I, 102a-b; IG XIV, 1330 = IGUR I, 282;
IG XIV, 1468 = IGUR II, 408; IG XIV, 1469 = IGUR II, 409; IG XIV, 1476 = IGUR II, 422; IG XIV,
1478 = IGUR II, 422; IG XIV, 1529 = IGUR III, 1187; IG XIV, 1680 = IGUR II, 607; IG XIV, 1750;
IG XIV, 1751 = IGUR II, 675; IG XIV, 1755 = IGUR II, 682; IG XIV, 1757 = IGUR II, 684; IG XIV,
1759 = IGUR II 686; IG XIV, 1786 = IGUR II 724; IG XIV, 1879 = IGUR III, 1283; IG XIV, 1900 =
IGUR II 835; IG XIV, 1934 = IGUR III, 1303d; IG XIV, 2019 = IGUR II, 299; IG XIV, 2064; IG
XIV, 2104 = IGUR III, 1355; IGUR II, 850; IGUR IV, 1689; SEG XL, 882; SEG XLI, 874. Vd. inol-
tre il documento bilingue IG XIV, 1813 = CIL VI, 7408. Cf. I. Kajanto, A Study of the Greek Epi-
taphs of Rome, «Acta Instituti Romani Finlandiae», 2 (1963), 3, p. 6, che nota come gli epitafi
dei medici costituiscano la maggioranza delle non molto numerose iscrizioni greche di Roma i n
cui si fa menzione di un mestiere. La frequenza della lingua greca nelle iscrizioni relative ai me-
dici nell’area occidentale era già stata rilevata da L. Robert, Hellenica, «RPh», (1939), pp. 171-
172 (ora in Opera minora selecta, II, Amsterdam 1969, pp. 1324-1325), ma il fenomeno in realtà
sembra avere una diversa incidenza nelle varie regioni dell’Occidente latinizzato: se in Italia e a
Roma i documenti in lingua greca rappresentano una percentuale che si aggira intorno al 10%
del totale delle iscrizioni relative ai medici, nelle province della penisola iberica, secondo le ri-
cerche condotte da Rémy, Péninsule ibérique, cit., pp. 321-364, nessuna delle 19 epigrafi con-
cernenti i dottori è redatta in lingua greca; parimenti sono tutte in latino le 18 iscrizioni recen-
site dal medesimo studioso nelle province germaniche (Rémy, Germanie, cit., pp. 133-172); i n
Gallia la percentuale si avvicina a quella dell’Italia, ma si tratta di appena 2 casi su 24 (cf. Rémy,
Gaule, cit., pp. 115-152); cresce la percentuale in Britannia: su 5 (o forse 6) documenti concer-
nenti medici due sono in greco (Rémy, Bretagne, cit., pp. 69-94): l’esiguità dei numeri non con-
sente peraltro di trarre conclusioni significative.
825 Cf. Gourevitch, Triangle hippocratique, cit., pp. 389-391.
Parte II. I documenti 299

dal momento che in tale mestiere ha autorità solo colui che parla greco, persino
con coloro che non conoscono nulla di questa lingua826. A questo proposito si
può notare che alcuni dei medici ricordati in iscrizioni in lingua greca portano
nomi latini, come per esempio, a Roma, il Frovntwn dell’iscrizione IG XIV,
1529 = IGUR III, 1187, Kornou'to" di IG XIV, 1786 = IGUR II 724 e Au\lo"
Bhvdio" Kollhvga di IGUR II, 850, o ancora l’ajrciatro;" Fausti'no" di un’iscri-
zione bilingue greco-ebraica da Venusia827, anche se il solo dato onomastico non
è sufficiente per affermare con certezza che questi personaggi erano dei romani
transfugae ad Graecos, per utilizzare l’espressione pliniana828.
Immagine: Tav. XXXI, figg. 1-2. Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit.,
tav. 38, figg. 2; 4; Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 209,
fig. LXXXIII.

826 Plin., Nat. Hist., XXIX, 17, citato supra, p. 87, nota 357.
827 Cf. infra, p. 607, Appendice, n°57.
828 Vd. a questo proposito gli esempi di personaggi, di dichiarata origine dall’Oriente elleno-
fono, con cognomen latino nelle iscrizioni greche di Roma raccolti da Kajanto, A Study of the
Greek Epitaphs, cit., pp. 4-5.
300 Parte II. I documenti

Falerio 4

Edizione di riferimento: CIL IX, 5462.


Bibliografia: Gummerus, Ärztestand, cit., p. 57, n°202.
Luogo di ritrovamento: riguardo al luogo di ritrovamento dell’iscrizione si in-
dica, genericamente, l’antica Falerio829.
Luogo di conservazione: segnalata nella collezione dei fratelli De Minicis,
l’iscrizione sembra ora essere perduta830.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito si trova nella tradizione
erudita registrata da CIL.
Datazione: il formulario, che ricorda da vicino quello dell’iscrizione sepolcrale
di un altro esponente della gens Tulliena a Falerio (vd. supra, p. 289, Falerio
2), induce a collocare il testo al più tardi intorno alla metà del I sec. d.C.831
Mestiere: medicus.
Testo: Q(uinti) Tullieni Q(uinti) l(iberti) / Phaniae, medicus (!).
l. 2: medicus per medico.
Commento
A Falerio è noto un secondo medico, questa volta attraverso la documen-
tazione in lingua latina: si tratta del liberto Q. Tullienus Phanias, cui venne po-
sta questa semplice iscrizione, verosimilmente di carattere sepolcrale.
Rimandando alla scheda precedente e alla bibliografia ivi citata per un
quadro generale sui medici attestati nella documentazione epigrafica, vale la
pena soffermarsi brevemente sul ruolo avuto dai liberti nell’esercizio della pro-
fessione medica.
Il peso dei personaggi di origine servile nella medicina romana fu notevole
per tutta l’età tardorepubblicana e nei primi decenni del periodo imperiale832.
Tra gli schiavi medici di Roma incontriamo persone che esercitavano questo
mestiere già prima di cadere in schiavitù, ma anche schiavi nati in casa, fatti
appositamente istruire nella professione dai loro padroni, allo scopo di venderli,
di offrire le loro prestazioni dietro compenso o di utilizzarli direttamente al loro
servizio. Medici di condizione servile si incontravano non solo nelle residenze
urbane delle grandi famiglie aristocratiche e, naturalmente, della famiglia
imperiale, ma probabilmente anche nelle tenute di campagna dei grandi
proprietari terrieri, quando queste erano molto distanti dai centri abitati nei
quali i medici esercitavano la loro professione833.

829 Cf. lemma a CIL IX, 5462.


830 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 471, nota 6.
831 Gummerus, Ärztestand, cit., p. 57, n°202 propone invece una datazione al I-II sec. d.C.
832 Su schiavi e liberti nella professione medica si veda in particolare Treggiari, Roman Freed-
men, cit., pp. 129-132; Kudlien, Stellung des Arztes, cit., pp. 92-152; André, Médecin, cit., pp. 33-
36; D’Amato, Medicina, cit., p. 31; De Filippis Cappai, Medici, cit., pp. 65-66.
833 È quanto sembra emergere da Varro, Rust., I, 16, 4: Itaque [in] hoc genus coloni potius anni-
versarios habent vicinos, quibus imperent medicos, fullones, fabros, quam in villa suos habe-
ant, quorum non numquam unius artificis mors tollit fundi fructum. Quam partem lati fundi di-
vites domesticae copiae mandare solent. Si enim a fundo longius absunt oppida aut vici, fabros
Parte II. I documenti 301

Per condizioni di vita e per le possibilità di accantonare un peculio, gli


schiavi medici erano naturalmente dei privilegiati rispetto ai servi impiegati in
altri settori economici. È del tutto ovvio che molti di loro riuscissero a guada-
gnare la libertà, riscattandosi grazie alle somme che erano riusciti a mettere da
parte o beneficiando del rapporto di fiducia che erano riusciti a creare con il
loro padrone: a semplice titolo esemplificativo si può ricordare il medicus clini-
cus chirurgus ocularius P. Decimius P. l. Eros Merula di una celebre iscrizione
di Assisi, che registrò orgogliosamente nella propria iscrizione sepolcrale la
somma di 50.000 sesterzi versata per guadagnare la libertà (CIL XI, 5400). In
base a queste considerazioni è del tutto comprensibile che nella documentazione
epigrafica dell’Italia romana relativa ai mestieri della sanità834 il numero degli
schiavi sia relativamente modesto835, mentre i liberti costituiscono la maggio-
ranza assoluta tra i personaggi la cui condizione sociale possa essere stabilita con
un certo grado di sicurezza836: effettivamente gli schiavi che esercitavano la
professione medica, probabilmente in misura maggiore di coloro che erano
impiegati in altri settori, avevano ottime possibilità di essere presto affrancati;
nelle iscrizioni funerarie, che costituiscono la parte più rilevante della documen-
tazione in nostro possesso, il ruolo dei medici schiavi non poteva dunque che
apparire come piuttosto limitato.
Alcuni passi del Digesto ci informano a proposito degli obblighi che lega-
vano il medico liberto al proprio patrono: il medico affrancato doveva impe-
gnarsi a curare gratuitamente il patrono e i suoi amici837; il patrono aveva di-

parant quos habeant in villa, sic ceteros necessarios artifices, ne de fundo familia ab opere
discedat ac profestis diebus ambulet feriata potius quam opere faciendo agrum fructusiorem
reddat; riguardo alla prima parte della testimonianza, in particolare per l’interpretazione degli
anniversarii vicini cui ricorrevano anche per l’assistenza medica i proprietari delle tenute che
sorgevano presso centri abitati, vd. J.E. Skydsgaard, Non-Slave Labour in Rural Italy during the
Late Republic, «Non-Slave Labour in the Greco-Roman World», a cura di P. Garnsey, Cambridge
1980, p. 66; F. Kudlien, Anniversarii vicini. Zur freien Arbeit im römischen Dorf, «Hermes», 112
(1984), pp. 66-84; Id., Stellung des Arztes, cit., pp. 93-95.
834 Cf. infra, pp. 603-612, Appendice.
835 Tra i casi sicuri di medici di condizione servile si può ricordare, ad Aquileia, Hagius Ai
s(ervi), medicus di Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 70, nella rilettura ora registrata in AE
1992, 713, e Ph[o]ebianus ser(vus), medicus di CIL V, 869 = Brusin, Inscriptiones Aquileiae,
cit., I, 490 (cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 71, n°263). Non è improbabile che qualche schiavo
si celi dietro a personaggi con nome unico, così per esempio Apollinaris, medicus Titi
Imp(eratoris) di AE 1937, 175 da Ercolano (cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 176, n°413) o
Epitectio, medi(cus) Eutyche[tis] di Suppl. It., n.s. 3, p. 157, n°19 = AE 1984, 318 da Corfinium.
Cf. anche per la Cisalpina Buonopane, Ceti medi, cit., pp. 81-82.
836 Vd. Appendice, nn. 3; 4; 7; 8; 12; 18; 20; 25-27; 32, 34; 36; 38; 45; 51-55; 62; 63; 66; 68;
69; 71-73; 75-78; 87; 90; 94; 96; 97; 99; 101; 103; 108; 114; 120; 124; 127; 128, cui si deve
probabilmente aggiungere il n°125, la medica Sentia Elis di CIL V, 3461 da Verona, verosimil-
mente liberta, dal momento che era contubernalis di C. Cornelius Meliboeus (cf. Gummerus,
Ärztestand, cit., p. 73, n°273). Cf. anche, per la prevalenza dei liberti tra i medici attestati nelle
fonti epigrafiche dell’Italia settentrionale, Buonopane, Ceti medi, cit., p. 81.
837 Dig., XXXVIII, 1, 27, che equipara i medici ai pantomimi: Si libertus artem pantomimi exer-
ceat, verum est debere eum non solum ipsi patrono, sed etiam amicorum ludis gratuitam operam
praebere: sicut eum quoque libertum, qui medicinam exercet, verum est voluntate patroni cura-
turum gratis amicos eius.
302 Parte II. I documenti

ritto di offrire le sue prestazioni incassando il compenso dovuto838 e se lui


stesso esercitava la professione medica, poteva proibire al liberto di fargli con-
correnza839. È tuttavia difficile comprendere fino a che punto e quanto spesso
queste disposizioni venissero fatte applicare con rigore840.
In conclusione si può commentare brevemente l’onomastica del perso-
naggio: il gentilizio, come si è visto841, è altrimenti attestato a Falerio, per il
dissignator Q. Tullienus Mario; tra i due personaggi, Phanias e Mario, all’incir-
ca coevi e accomunati dal medesimo prenome Quintus, probabilmente esisteva
una qualche relazione, che tuttavia non si è in grado di precisare sulla base della
documentazione in nostro possesso.
Il cognomen Phanias, un grecanico attestato a Roma, seppure piuttosto
raramente842, è altrimenti sconosciuto nel Piceno.
Immagine: Tav. XXXII.

838 Dig., XXXVIII, 1, 25: Item plerumque medici servos eiusdem artis libertos perducunt quo-
rum operis perpetuo uti non aliter possunt, quam ut eas locent.
839 Dig., XXXVIII, 1, 26: Medicus libertus, quod putaret, si liberti sui medicinam non facerent,
multo plures imperantes sibi habiturum, postulabat, ut sequerentur se neque opus facerent: i d
ius est nec ne? Respondit ius esse, dummodo liberas operas ab eis exigeret, hoc est ut adquie-
scere eos meridiano tempore ac valetudinis et honestatis suae rationem habere sineret. Item
rogavi, si has operas liberti dare nollent, quanti oportet aestimari. Respondit, quantum ex il-
lorum operis fructus, non quantum ex incommodo dando illis, si prohibirent eos medicinam fa-
cere, commodi patronus consecuturus esset.
840 Per una discussione del problema vd. partic. Below, Der Arzt, cit., pp. 14-18; Kudlien, Stel-
lung des Arztes, cit., pp. 143-145. In particolare sulle disposizioni concernenti il divieto di fare
concorrenza al proprio patrono vd. A. Wacke, Wettbewerbsfreiheit und Konkurrenzverbots-
klauseln im antiken und modernen Recht, «ZRG», 99 (1982), pp. 206-210.
841 Vd. supra, p. 289.
842 Vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1297; Id., Sklavennamen, cit., II, p.
581.
Parte II. I documenti 303

Falerio 5

Edizione di riferimento: CIL IX, 5420.


Altre edizioni: C.G. Bruns, Fontes iuris romani antiqui, I, Tübingen 1909 7,
pp. 255-256, n°82; FIRA2 I, 75; F.F. Abbott - A.C. Johnson, Municipal Admi-
nistration in the Roman Empire, Princeton 1926, pp. 367-368, n°67; M.
McCrum - A.G. Woodhead, Select Documents of the Principates of the Flavian
Emperors Including the Year of the Revolution A.D. 68-96, Cambridge 1961, p.
137, n°462.
Bibliografia: L. Keppie, Colonisation and Veteran Settlement in Italy 47-14
B.C., Rome 1983, pp. 181-183; L. Polverini, Fermo in età romana, «Firmum
Picenum I», a cura di L. Polverini - N.F. Parise - S. Agostini - M. Pasquinucci,
Pisa 1987, pp. 39-43; Catani, Scavi pontifici, cit., p. 209 e nota 37; Bonvicini,
Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 109, n°11; U. Moscatelli, Resti di
divisioni agrarie nel territorio tra Amandola e Sarnano in età romana,
«AFLM», 24 (1991), pp. 533-537; Delplace, Romanisation, cit., pp. 67; 183;
213; 225-226; M. J. Castillo Pascual, Firmum y Falerio: un caso “de subsiciuis
controuersia”, «Polis», 6 (1994), pp. 33-52; J. Ott, Vetustas litis ... vehementer
me movet. Zum Grundbesitzstreit zwischen Falerienses und Firmani, «AncSoc»,
25 (1994), pp. 211-231; M. Landolfi, Falerio Picenus, «Atlante», a cura di De
Marinis - Paci, cit., p. 112; E. Catani, Opere d’arte conservate in collezioni ita-
liane ed estere o disperse, ibid., p. 204; Maraldi, Falerio, cit., pp. 7; 9; 14.
Luogo di ritrovamento: Falerio, nel campo di proprietà di un convento dei
Francescani, nei pressi del teatro romano della cittadina, nel 1595 o nel
1599843.
Luogo di conservazione: perduta844.
Tipo di supporto: tavola bronzea.
Mestiere: possessor.
Datazione: il rescritto di Domiziano è datato al 22 luglio dell’82 d.C.
Testo: Imp(erator) Caesar divi Vespasiani f(ilius) / [[Domitianus]] Augustus, /
pontifex max(imus), trib(unicia) potest(ate), imp(erator) II, / co(n)s(ul) VIII,
desig(natus) VIIII, / p(ater) p(atriae), salutem dicit / IIII viris et decurionibus
Faleriensium ex Piceno / quid constituerim de subsicivis cognita causa / inter
vos et Firmanos ut notum haberetis / huic epistulae subici iussi / P(ublio)
Valerio Patruino [[ [et L(ucio) Antonio Saturnino] ]] co(n)s(ulibus) / XIIII
K(alendas) Augustas. / Imp(erator) Caesar divi Vespasiani f(ilius)
[[Domitianus]] / Aug(ustus), adhibitis utriusque ordinis splen/didis viris cognita
causa inter Fale/rienses et Firmanos, pronuntiavi quod / su(b)scriptum est: / et
vetustas litis quae post tot annos / retractatur a Firmanis adversus / Falerienses

843 Sulle circostanze del ritrovamento vd. il lemma a CIL IX, 5420; Catani, Scavi pontifici, cit.,
p. 209 e nota 37; Landolfi, Falerio Picenus, cit., p. 112; Maraldi, Falerio, cit., pp. 7; 9. Sul luogo
della scoperta vd. anche Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 109, n°11;
Maraldi, Falerio, cit., p. 14.
844 Riguardo alle circostanze che portarono alla scomparsa del documento e della copia che ne
aveva fatto fare il cardinale Pietro Aldobrandini vd. Ott, Vetustas litis, cit., p. 211.
304 Parte II. I documenti

vehementer me movet; / cum possessorum securitati vel mi/nus multi anni


sufficere possint / et divi Augusti diligentissimi et in/dulgentissimi erga
quartanos suos / principis epistula qua admonuit / eos ut omnia supsiciva (!)
sua collige/rent et venderent quos tam salubri / admonitioni paruisse non
dubito / propter quae possessorum ius confirmo. / Valete. D(iem) XI K(alendas)
Aug(ustas) in Albano, / agente curam T(ito) Bovio Vero, / legatis / P(ublio)
Bovio Sabino / P(ublio) Petronio Achille. D(ecreto) d(ecurionum) p(ublice).
l. 24: supsiciva per subsiciva.
Commento
Non è naturalmente questa la sede per tornare su questa notissima iscri-
zione, concernente la controversia su alcuni terreni tra le comunità di Falerio e
Firmum che dall’età di Augusto si trascinò fino all’impero di Domiziano; mi
esime dal farlo tra l’altro anche la recente pubblicazione di alcuni commenti al
testo, ai quali si rimanda per il suo inquadramento generale e per le indicazioni
relative alla ricca bibliografia anteriore845.
Vorrei unicamente soffermarmi sul significato della voce possessor, altri-
menti nota nell’epigrafia di Falerio846; il termine può essere inteso sia in senso
tecnico, a designare colui che ha semplicemente la possessio di un bene, opposta
al pieno dominium di esso, sia in senso lato, per indicare coloro che detengono
un certo bene a qualsivoglia titolo847. Nel caso della presente iscrizione credo
che il termine vada interpretato piuttosto nella sua accezione tecnica, partico-
larmente in ragione del fatto che i terreni contesi, ancora al tempo della deci-
sione di Domiziano, erano nella condizione di subsiciva occupati dai Falerionesi
e non di piene proprietà private e che nel rescritto l’imperatore conferma
esplicitamente uno ius che è proprio dei possessores848. In questo senso la quali-
fica di possessor si oppone a quella di domnipraedius o a quella, analoga e per il
momento attestata solo nella forma femminile, di domnifunda, che appaiono
sporadicamente nella documentazione epigrafica a designare coloro che hanno il
pieno dominium di un terreno849.

845 Vd. i contributi citati supra, p. 303, nella voce Bibliografia di questa stessa scheda.
846 Vd. schede seguenti.
847 Cf. K.-H. Kruse, Possessor, «TLL», X, 2, coll. 102-105. Per un sintetico ma chiaro inquadra-
mento dell’istituto della possessio si rimanda a A. Watson, The Law of Property in the Later
Roman Republic, Oxford 1968, pp. 81-90.
848 Cf. anche a questo proposito Castillo Pascual, Firmum y Falerio, cit., pp. 45-50; nella mede-
sima accezione il termine ritorna anche nella passo svetoniano dedicato ai provvedimenti presi
da Domiziano a proposito dei subsiciva: Suet., Dom., 9, 7: subsiciva, quae divisis per veteranos
agris carptim superfuerunt, veteribus possessoribus ut usu capta concessit. Questo stesso si-
gnificato tecnico ha forse anche il termine possessiones che torna ai confini della regio V, nel
celebre lapis Aesinensis, epigrafe che ricorda i provvedimenti presi da parte di M. Octavius M. f.
Asia[ticus] per la costruzione di un sistema stradale di raccordo tra la via Salaria Gallica e la
via Salaria Picena, cf. N. Alfieri - L. Gasperini - G. Paci, M. Octavii lapis Aesinensis, «Picus», 5
(1985), pp. 7-50, partic. i rilievi di L. Gasperini a pp. 13-14; F. Grelle, L’organizzazione e la di-
sciplina del passaggio nel lapis Aesinensis, «Picus», 6 (1986), pp. 63-69, partic. p. 68.
849 Su questi termini vd. I. Kapp, Domnifunda, «TLL», V, 1, col. 1943; Id., Domnipraedius, ibid.;
E. De Ruggiero, Domnifunda, Domnipraedia, Domnipraedius, «Diz. Ep.», II (1922), p. 2046, con
rimandi alle attestazioni.
Parte II. I documenti 305

Va peraltro rilevato come il termine compaia talvolta nell’epigrafia latina


anche in un’accezione meno precisa dal punto di vista delle categorie giuridiche:
così forse in una dedica ad Ercole rinvenuta in provincia di Salerno, nella quale il
senator T. Fundanius Optatus si definisce come regionis possessor, con
riferimento alla regio Auffeiana menzionata qualche riga dopo; mi pare in ef-
fetti improbabile che Fundanio Optato altro non avesse che la possessio di al-
cuni dei fondi situati nella regio, anche se questa possibilità non può essere del
tutto esclusa; mi pare dunque verosimile che in questo contesto il vocabolo pos-
sessor possa essere a ragione tradotto semplicemente con “proprietario ter-
riero”850. In altri casi risulta più difficile decidere in quale senso il termine venga
utilizzato.
Nell’uso epigrafico il termine compare più frequentemente nella forma
plurale sia nelle iscrizioni di carattere giuridico, per identificare collettivamente
coloro che detengono il diritto di possessio su alcuni terreni851, sia in iscrizioni
che commemorano la costruzione di opere pubbliche o l’erezione di monumenti
onorari e votivi, alla cui erezione i possessores possono contribuire accollandosi
le spese852 o, talvolta, donando l’area sulla quale l’opera doveva sorgere853.

850 Vd. A. Fraschetti, Un nuovo senatore da Giffoni Valle Piana, «Atti del Colloquio Interna-
zionale AIEGL su epigrafia e ordine senatorio. Roma, 14-20 maggio 1981», I, Roma 1982, pp.
553-558 (= AE 1984, 242), partic. p. 557 per il problema in oggetto.
851 Così per esempio già nella Lex agraria del 111 a.C. (che ora si può consultare nell’edizione
di Roman Statutes, a cura di M.H. Crawford, I, London 1996, pp. 113-180, con rimando alle edi-
zioni precedenti), ll. 13; 17; 21; in CIL VIII, 23956, l. 2, da Henchir Snobbeur (Africa proconsu-
laris), epigrafe datata al 186 d.C.; nell’iscrizione di Ain Ouassel CIL VIII, 26416 (da consultarsi
nell’edizione pubblicata in Les lois des Romains, a cura di V. Giuffré, Camerino 19777, pp. 573-
575), di età severiana; nella costituzione di Valentiniano I edita da A. Giardina - F. Grelle, La ta-
vola di Trinitapoli: una nuova costituzione di Valentinaiano I, «MEFRA», 95 (1983), pp. 249-
303 = AE 1984, 250.
852 Cf. per esempio le iscrizioni relative ai rifacimenti della via Appia nel 123 d.C., nelle quali
viene indicato il contributo fornito dai possessores agrorum: CIL IX, 6072 da Beneventum; CIL
IX, 6075 = ILS 5875 dal territorio di Aeclanum; AE 1930, 122 da Beneventum; CIL VI, 3697 =
30940 da Roma, che ci informa come quattro possessores avessero curato la costruzione d i
un’aedes e di un’ara a Giove Ottimo Massimo e a Silvano; CIL XI, 4209 = ILS 6630 da Inte-
ramna, nella quale i possessores, insieme ad altre categorie, appaiono tra i dedicanti d i
un’iscrizione in onore di un tal T. Flavio Isidoro; CIL XI, 6658 da Parma: milliare con dedica
dell’ordo possessoresque Brixellanorum a Giuliano; CIL VIII, 25973 da Henchir Zaieta (Africa
proconsularis), un testo che ci informa come i possessores locali avessero curato l’erezione d i
una dedica a Silvano pro salute di Settimio Severo; CIL VIII, 10322 = ILS 5873 da Rusicade,
nella quale i possessores territori Cirtensium curano la costruzione di una via lastricata tra
Cirta e Rusicade; CIL VIII, 4199 cf. 18493 = ILS 6850 da Verecunda, in Numidia, nella quale i
possessores vici Verecundensis pongono una dedica al numen domus Augustae e ad Antonino
Pio; AE 1938, 74 da Jenan ez-Zaytouna, nell’Africa proconsolare, una dedica a Mercurius
Augustus posta da alcuni possessores fundi; AE 1964, 196, da Lambaesis, una dedica a Marco
Aurelio e Lucio Vero posta dai possessores im[mmunes ---] vinearum et a[grorum ?]; AE 1966,
549 (con il commento di H. D’Escurac-Doisy, Notes sur le phénomène associatif dans le monde
paysan à l’époque du Haut-Empire, «AntAfr», 1 (1967), pp. 61-66), da Sitifis, una dedica al
Genius decumanae Augustae curata dai possessores et cultores; AE 1985, 976 da Altava, nella
Mauretania Caesariensis, un’iscrizione del 221 d.C. al Deus Sol Elagabal per la salus
dell’imperatore Elagabalo dedicata dai possessores Altavenses. Cf. anche ILS 7071 da Colonia
Agrippina: lacunosa iscrizione in cui si menzionano i possessores ex vico Lucretio.
306 Parte II. I documenti

Più raramente il termine è attestato nella forma singolare, a designare il


curatore di un’opera di interesse pubblico854. Ricorre in qualche caso nei carmi
sepolcrali la figura dell’anonimo possessor al quale il defunto rivolge una pre-
ghiera affinché rispetti il sepolcro855, mentre nelle iscrizioni funerarie in prosa
compare talvolta un richiamo al possessor dell’area funeraria ove sorge la se-
poltura856.
Da uno spoglio preliminare della documentazione il termine possessor
non sembra mai comparire negli epitafi latini in riferimento al defunto o ad uno
dei dedicanti. Mi pare dunque di poter affermare che il termine, almeno secondo
la mentalità degli antichi, non definisse propriamente un’occupazione e non
rientrasse tra quelle notazioni di carattere biografico che trovano posto
nell’epigrafia sepolcrale; si doveva trattare piuttosto di una definizione di carat-
tere primariamente giuridico o, quando il termine veniva impiegato in senso
lato, sociale. Per le ragioni che mi hanno indotto ad includere comunque le atte-
stazioni di possessores in questa raccolta di testimonianze si rimanda a quanto
rilevato nell’Introduzione857.
Immagine: Tav. XXXIII.

853 Cf. per esempio AE 1934, 165 da Aix-les-Bains, nella quale un organismo che riuniva pre-
sumibilmente i più ricchi e influenti proprietari terrieri locali, i decemlecti possessorum, dona
un lucus cum sua vinea ai vicani Aquenses.
854 Oltre alla già citata iscrizione del senatore T. Fundanio Optato (cf. supra, p. 305, nota 850) s i
veda AE 1980, 917 dalla regione di Bou Arada, nell’Africa proconsolare, nella quale purtroppo i l
nome del personaggio è andato perduto: [---] Fundi pos(s)es(s)or temp(lum) Cael(estis)
const(ituit).
855 Cf. CLE 492 (= CIL III, 754 = 7436), ll. 21-23, da Nicopolis ad Istrum: carmini, possessor,
faveas precor, ac precor ut tu / hanc tituli sedem velles decorare quodannis / et foveas aevi
monumentum tempore grato …; 1181 (= CIL XI, 911), ll. 13-16, da Mutina: te, pie pos/sessor
sive colone, precor, ne pa/tiare meis tumulis increscere / silvas; 1883 (= CIL VI, 9274 = ILS
7456) da Roma: Domnaedius, possessor, / colonus sequens, / et tu viator, precor / parce tumu-
lum / Narcissi.
856 Cf. in particolare alcune iscrizioni urbane, tra le quali si cita CIL VI, 9405 da Roma, in cui
appare un L. Cincius L. f. Suc. Martialis, V vir, possessor huius monumenti; 13562 = 31852, con
riferimento al possessor di un’area sepolcrale, al quale toccherà l’area si nomen originis nostrae
defecerit; 20200, iscrizione nella quale Iulius Bathyllus e Iulius Spes, possessores huius hor-
tuli danno sepoltura a D. Iulius Phoebianus e a D. Iulius Speratus; 25314, in cui si menziona u n
T. Quintius Urbanus, possessor huius ariae (!); infine 32461 epitafio che sorgeva in un locus
datus a possessoribus. Cf. anche CIL V, 262 = InscrIt X, II, 431 da Pola: Haec domus aeterna /
nullus libens / comparant possessor; CIL X, 2850, ll. 6-7 da Puteoli: hoc monumentum pro
part[e) / dimidi(a) et quart(a) possessor(um ?).
857 Vd. supra, pp. 24-25.
Parte II. I documenti 307

Falerio 6

Edizione di riferimento: CIL IX, 5435.


Bibliografia: Maraldi, Falerio, cit., p. 16.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne rinvenuta nel 1851 a Falerone,
presso un non meglio specificato diversorium858.
Luogo di conservazione: dopo il lemma del CIL, che segnalava l’epigrafe a
Falerone, nella casa di Angelo Concetti, non si hanno più notizie riguardo al do-
cumento.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito si trova nella tradizione
erudita registrata da CIL.
Mestiere: possessor.
Datazione: gli scarsissimi elementi in nostro possesso non consentono di an-
dare oltre ad una datazione generica, e pur sempre ipotetica, all’età altoimpe-
riale.
Testo: ------ / idem [---] / [---] rei [---] / a possessoribus [---] / exigere vecturas
ini[---] / conportan[---] / dec[---] / -------.
l. 1: I longa in idem.
Commento
La lacunosità del testo e la mancanza di paralleli stretti, almeno a mia
conoscenza, consentono solamente di intuirne più che di coglierne appieno
l’interesse, che comunque doveva essere notevole.
Vi si fa cenno ai costi di trasporto (vecturae), da riscuotere verosimil-
mente dai possessores di Falerio859, o da alcuni di essi, per il trasferimento di un
bene o di un materiale il cui ricordo è andato perduto, ma a proposito del quale è
forse possibile avanzare qualche ipotesi, come si vedrà in seguito. L’accento del
testo doveva essere proprio sull’operazione di trasporto, in considerazione del
fatto che il verbo comporto appare a l. 5 del testo in posizione centrata, in
forma di participio presente, sempre che la trascrizione riportata in CIL sia ac-
curata.
Le difficoltà di interpretazione del testo sono tanto più gravi in quanto
abbiamo qui una delle poche attestazioni nella documentazione epigrafica del
termine vectura, meglio noto nella tradizione letteraria e giuridica, dove designa
sia l’atto del trasporto, sia meno frequentemente, i costi del trasporto stesso860.
Quest’ultimo senso sembra prevalente nelle fonti documentarie latine, ove il
termine ricorre, oltre che in una tavoletta lignea da Vindolanda in un contesto

858 Cf. lemma a CIL IX, 5435.


859 Sul senso del termine possessor nella documentazione epigrafica si rimanda alla scheda pre-
cedente.
860 Con quest’ultimo significato vd. per esempio Sen., Ben., VI, 15, 6: Quod tu pretium ponis
traicienti maria et per medios fluctus, cum terra e conspectu recessit, certam secanti viam et
prospicienti futuras tempestates et securis omnibus subito iubenti vela substringi, armamenta
demitti, paratos ad incursum procellae et repentinum inpetum stare? huic tamen tantae rei
praemium vectura persolvit; cf. W. Enßlin, Vectura, «P.W.», VIII A, 1 (1955), coll. 560-561.
308 Parte II. I documenti

non del tutto chiaro861, in una nota iscrizione da Hispalis in onore di Sex. Iulius
Sex. f. Qui. Possessor, che fu tra l’altro praef(ectus) annon(ae) ad oleum Afrum
et Hispanum recensendum item solamina transferenda item vecturas
naviculariis exsolvendas862 e in un testo da Cagli nel quale il quattuorviro L.
Fuficius L. f. Manilius ricorda di aver provveduto a far lastricare la via e l’area
del macellum pecunia et vectura sua, in nome del figlio L. Fuficius L. f. Capito,
anch’egli quattuorviro863.
L’iscrizione di Cagli, in cui l’evergete non solo si accolla le spese per la
lastricatura di una strada e dell’area del macello, ma anche la cura del trasporto
dei materiali necessari, può forse gettare luce sul testo di Falerio, consentendo
tra l’altro di accostarlo ad un’altra nota iscrizione della cittadina picena, che
esamineremo più approfonditamente nella scheda seguente: in quest’ultima epi-
grafe si ricorda in effetti la costruzione di una strada lastricata in pietra per me-
dium forum pecuar(ium), le cui spese di manodopera erano state coperte grazie
ad una colletta tra i possessores dei terreni intorno al foro pecuario e tra i ne-
gotiatores e i collegi che operavano presso il medesimo foro: ex conlatione
manipretii possessorum circa forum et negotiantium, item collegia quae attin-
gunt eidem foro. Non è dunque impossibile che la lacunosa iscrizione che stiamo
esaminando si riferisca alla medesima opera pubblica, e più in particolare tratti
delle spese complementari a quelle di manodopera, ovvero ai costi relativi al
trasporto del materiale edilizio necessario per la costruzione della strada864.
Come semplice spunto di discussione, suggerirei che il lacunoso testo di
Falerio possa essere l’iscrizione in onore di un personaggio di rilievo della co-
munità picena, (forse un patronus rei publicae, titolo che potrebbe essere ricor-
dato a l. 2) che si era volontariamente accollato le spese di trasporto dei mate-
riali da costruzione necessari per il completamento della strada, pagando dunque
quelle vecturae che in linea di principio si dovevano riscuotere dai possessores
dei terreni attigui all’opera pubblica; per questo suo generoso intervento
l’anonimo evergete potrebbe aver meritato l’erezione di un monumento
dec(reto) [dec(urionum)], come forse si deve leggere nell’ultima linea dell’epi-
grafe.
Non occorre sottolineare l’assoluta ipoteticità di questa ricostruzione, che
tra l’altro non pare adattarsi senza problemi a quanto rimane del testo.
Immagine: Tav. XXXIV.

861 Cf. A. Birley - R. Birley, Four New Writing-Tablets from Vindolanda, «ZPE», 100 (1994), pp.
431-434, n°1 (= AE 1994, 1134).
862 CIL II, 1180; l’epigrafe è da ultimo studiata da J. Remesal Rodríguez, Sextus Iulius
Possessor en la Bética, «Alimenta. Estudios en homenaje al Dr. Michel Ponsich», Madrid 1991
(Gerión Anejos III), pp. 281-295, ove bibliografia precedente.
863 CIL XI, 5961 = ILS 5580 da Cagli (Pitinum Mergens?): L(ucius) Fuficius L(uci) f(ilius)
Manilius, / IIII vir, nomine / L(uci) Fufici L(uci) f(ili) Capitonis, fili / sui, IIII vir(i), viam / et
aream macelli / silice stravit ex / pecunia et vectura sua.
864 L’ipotesi, già formulata nella prima edizione di questo saggio, è ora valutata con interesse da
Maraldi, Falerio, cit., p. 16.
Parte II. I documenti 309

Falerio 7

Edizione di riferimento: CIL IX, 5438.


Altre edizioni: G. De Minicis, Sopra l’anfiteatro ed altri monumenti spettanti
all’antica Faleria nel Piceno, «Giorn. arcad.», 55 (1832); ora in «Scritti su
Falerone romana», a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Sup-
plementi III), pp. 80-81; Id., Teatro di Falerone, «Ann. Inst.», (1839); ora in
«Scritti su Falerone romana», cit., p. 58; Waltzing, Étude, cit., III, p. 418,
n°1604; ILS 5368; G. Walser, Römische Inschrift-Kunst, Stuttgart 1988, pp.
120-121, n°48; L. Chioffi, Caro: il mercato della carne nell’Occidente ro-
mano. Riflessi epigrafici e iconografici, Roma 1999, pp. 107-109, n°4;
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 97-100.
Bibliografia: Ferguson, Aere conlato, cit., p. 518; G. Annibaldi, Falerio,
«EAA», III, Roma 1960, p. 571; P. Bonvicini, Schizzi inediti degli scavi di Fa-
lerio Picenus eseguiti nel 1777 dal notaio faleronese Barnaba Agapiti, «RAL»,
s. VIII, 26 (1971); ora in «Scritti su Falerone romana», cit., p. 120, n°8; p.
129 e fig. 7; pp. 150-151; M. Gaggiotti in M. Gaggiotti - D. Manconi - L.
Mercando - M. Verzar, Umbria. Marche, Roma - Bari 1980, p. 276; Catani,
Scavi pontifici, cit., pp. 210; 214; 215, n°1; Bonvicini, Falerone dall’antichità
al medioevo, cit., p. 102; p. 118, n°31; pp. 141-142, n°50; Delplace, Romani-
sation, cit., pp. 74; 80-81; 252; Ead., Quelques cas d’évérgetisme, cit., pp.
194-198; Landolfi, Falerio Picenus, cit., pp. 112; 116; Vicari, Produzione, cit.,
p. 35; Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 22;
Maraldi, Falerio, cit., pp. 10-11; 15; 16; 19; p. 47, n°30; pp. 92; 93.
Luogo di ritrovamento: rinvenuta il 2 maggio 1777 a Piani di Falerone, ove
sorgeva l’antica Falerio, in un terreno appartenente ai fratelli Concetti, davanti
all'abitazione di via delle Terme 32865.
Luogo di conservazione: Roma, Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani, murata
alla parete 43, al n°12866. Una copia, non del tutto conforme all’originale, si
conserva presso il Museo Archeologico civico di Falerone867.

865 Cf. lemma a CIL IX, 5438; Catani, Scavi pontifici, cit., p. 215, n°1, con rimandi ai documenti
manoscritti, pubblicati in appendice, che interessano, oltre alle circostanze del rinvenimento,
anche i primi dibattiti suscitati dalla scoperta dell’iscrizione tra studiosi ed eruditi; Maraldi,
Falerio, cit., p. 47, n°30 (cf. carta archeologica pubblicata in appendice al volume come fig. 108).
Del rinvenimento dell’epigrafe si ha menzione anche nelle carte redatte dal notaio di Falerone
Barnaba Agabiti a proposito degli scavi eseguito sul sito dell’antica Falerio nella primavera del
1777. Il manoscritto dell’Agabiti è stato pubblicato da Bonvicini, Schizzi inediti, cit., pp. 115-
153; il ritrovamento è ricordato a p. 129; il luogo preciso della scoperta è riportato nella pianta
dell’Agabiti pubblicata a p. 129, fig. 7, distinto dal n°4, e nella planimetria redatta dallo stesso
Bonvicini a p. 118, distinto dal n°8; cf. anche Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo,
cit., p. 113, n°22.
866 Cf. I. Di Stefano Manzella, Iscrizioni latine municipali, Ostia esclusa, conservate nei Musei
Vaticani, «BMMP», 3 (1982), p. 28; Id., Inscriptiones Sanctae Sedis 1. Index Inscriptionum Mu-
sei Vaticani 1. Ambulacrum Iulianum sive “Galleria Lapidaria”, Romae 1995, p. 55 e p. 254,
fig. 54. La consegna dell’iscrizione CIL IX, 5438, insieme all’epigrafe in onore di T. Cornasidio
Sabino (sulla quale vd. infra, pp. 330-345, Falerio 10), per il suo trasporto a Roma è registrata
nel rogito del già ricordato notaio di Falerone B. Agabiti del 21 maggio 1777, ora pubblicato da
310 Parte II. I documenti

Tipo di supporto: Lastra in pietra locale. Lo specchio epigrafico, racchiuso


entro cornice modanata si presenta lacunoso nella parte inferiore.
Mestiere: possessor, negotians.
Collegio: collegia quae attingunt eidem foro, ovvero il Foro pecuario di Fale-
rio.
Datazione: il ricordo del terzo consolato di Adriano rimanda al 119 d.C., ma la
mancata menzione della tribunicia potestas dell’imperatore non consente di sa-
pere con certezza se l’iscrizione vada datata precisamente a quest’anno o in uno
degli anni seguenti, fino al 138 d.C., dal momento che Adriano non rivestì mai
la massima magistratura repubblicana per una quarta volta868.
Testo: Imp(eratore) Caesare / Traiano Hadriano / Aug(usto), III co(n)s(ule),
via nova strata lapide / per medium forum pecuar(ium) / a summo vico longo
ad / arcum iunctum Capitolio, / ex conlatione manipretii / possessorum circa
forum et nfle/gotiantium item collegia quae at≥/tingunt eidem foro, / IIvirátú
[.]+ta++ / ------
l. 1: la seconda E di Caesare è incisa sulla cornice.
l. 2: la O di Hadriano è incisa sulla cornice.
l. 3: il numerale è sopralineato.
l. 8: la I finale in manipretii è longa.
l. 10: il costrutto avrebbe richiesto piuttosto collegiorum.
l. 11: I longa in eidem.
l. 12: VII VIRATV IV De Minicis; II viratu [..] L.(?) Ta[...] ILS; Itali [---]
Walser. Il numerale è sopralineato.
Interpunzioni in forma di triangolo, variamente orientato.
Commento
Il testo, di fondamentale importanza per la ricostruzione della vita eco-
nomica di Falerio, ci ricorda la costruzione di una strada nella cittadina del Pi-
ceno, apportando preziose indicazioni riguardo al finanziamento dell’opera
pubblica.
La via nova lastricata in pietra partiva dalla parte più alta di una strada
denominata vicus longus, attraversava il Foro pecuario e giungeva fino all’arco
che si trovava accanto al Capitolium di Falerio869. Di particolare interesse

Bonvicini, Schizzi inediti, cit., pp. 150-151. Il regesto delle iscrizioni acquisite dalla Santa Sede
sotto il Pontificato di Pio VI è stato pubblicato da C. Pietrangeli, La raccolta epigrafica vati-
cana nel Settecento. II, «BMMP», 13 (1993), pp. 49-79; ivi, p. 52, n°165 si trova menzione delle
due iscrizioni di Falerone trasportate a Roma.
867 Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 162.
868 Cf. Walser, Inschrift-Kunst, cit., p. 120; Maraldi, Falerio, cit., p. 15; cf. anche Chioffi, Caro,
cit., p. 108, che suggerisce per il documento una collocazione nella prima metà del II sec. d.C.,
pur ricordando nel commento al testo il termine cronologico fornito dal terzo consolato d i
Adriano. Propone una datazione al 119 d.C. Delplace, Romanisation, cit., p. 81.
869 Spunti per un’indagine topografica dei monumenti ricordati nell’iscrizione sono avanzati da
G. Annibaldi, Falerio, «EAA», III, Roma 1960, p. 571; M. Gaggiotti in M. Gaggiotti - D. Manconi
- L. Mercando - M. Verzar, Umbria. Marche, Roma - Bari 1980, p. 276; Bonvicini, Falerone
dall’antichità al medioevo, cit., p. 102; pp. 141-142, n°50; Delplace, Romanisation, cit., p. 81;
Landolfi, Falerio Picenus, cit., p. 116 e soprattutto Maraldi, Falerio, cit., pp. 10-11; 15; 92; 93;
97; 99; cf. anche G. Paci, Sistemazione dei veterani ed attività edilizia nelle Marche in età
Parte II. I documenti 311

l’attestazione di un mercato del bestiame, o più precisamente di un mercato de-


gli ovini, rispettivamente secondo le accezioni generica e specifica del termine
pecus: non solo si tratta di una delle poche notizie epigrafiche relative alle atti-
vità di allevamento nella regio V, ma pure ci restituisce un quadro topografico
che sembra contrastare con il quello generalmente osservato per fora e campi
pecuarii del mondo romano, collocati ai margini dell’area urbana870: il mercato
del bestiame di Falerio invece era quantomeno direttamente collegato al cuore
della città, dove sorgeva il Capitolium, se non proprio attiguo ad esso.
Appare quindi legittimo domandarsi, con C. Delplace, se la nuova siste-
mazione urbanistica abbia condotto ad un mutamento della destinazione d’uso
del foro pecuario di Falerio, da mercato del bestiame a piazza cittadina riservata
a funzioni più tipicamente urbane871. Anche se non mi pare possibile rispondere
con assoluta certezza a questo interrogativo, sono piuttosto propenso a pensare
ad una continuità di funzione dell’area: a parte l’opportuno richiamo della
Delplace al noto passo di Giovenale in cui si ricorda il passaggio delle greggi
nelle vie urbane della stessa città di Roma872, mi pare in effetti logico pensare
che i commercianti, e forse anche le associazioni di mestiere, che contribuirono
al finanziamento delle opere, avessero deciso di partecipare alle spese con una
conlatio in quanto coinvolti nelle attività economiche che si svolgevano nel fo-
rum pecuarium873, e che dunque gli interventi urbanistici fossero volti a favo-
rire tali attività piuttosto che a provocare un loro spostamento verso un’area
più periferica. Del resto, se la suggestiva ipotesi formulata da Lisa Maraldi do-
vesse trovare conferma, il foro pecuario di Falerio si troverebbe nella zona a
sud dell’anfiteatro, denominata nel Brogliardo del Catasto Gregoriano (che ri-
produce la situazione catastale all’inizio del XIX secolo) Campo del Mercato,
dunque in area al di fuori del centro urbano della cittadina, sebbene attigua ad
essa874.
L’apporto di migliorie alle strade che conducevano a fora e campi pecua-
rii è del resto fenomeno ben noto dalla documentazione epigrafica: quasi tutte le
testimonianze relative a questi mercati di bestiame, raccolte recentemente da L.

triumvirale-augustea, «Memorie dell’Accademia Marchigiana di Scienze, Lettere ed Arti di An-


cona», 33 (1994-1995) [1998], p. 220 e p. 230, nota 33, che ha suggerito la possibile esistenza
di due archi affiancati al Capitolium. Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., p. 98 nota come, con diversa interpunzione, i punti di riferimento indicati potrebbero deno-
tare non l’intero percorso della strada, ma solo il suo segmento che era stato oggetto dell’inter-
vento edilizio.
870 La documentazione epigrafica relativa a fora e campi pecuarii è stata recentemente raccolta
da Chioffi, Caro, cit., pp. 106-111, Appendice I.
871 Delplace, Romanisation, cit., p. 81.
872 Iuven., 3, 236-238.
873 Come sottolinea Delplace, Quelques cas d’évérgetisme, cit., pp. 195-198.
874 Maraldi, Falerio, cit., p. 99, con la carta di p. 94, fig. 101. Sul Brogliardo, conservato presso
l’archivio di Stato di Fermo, come fonte per la topografia di Falerone vd. ibid., p. 8.
312 Parte II. I documenti

Chioffi, fanno riferimento in effetti alla costruzione o alla lastricatura di strade


di collegamento875.
I costi dell’operazione urbanistica vennero coperti da una colletta tra di-
verse categorie sociali ed economiche876, limitatamente però ai costi della ma-
nodopera, manipretium, o come più spesso nella documentazione letteraria,
manupretium877. Tale specificazione è piuttosto infrequente nella documenta-
zione epigrafica: si può ricordare una base in onore di Iuppiter Optimus
Maximus da Divodurum, nella Gallia Belgica ove, tra coloro che avevano curato
la costruzione del monumento, un tal M. Macirius Atrectus specifica di aver
donato la somma a copertura del manipretium (CIL XIII, 4301) o ancora una
lacunosa iscrizione da Arelate nella quale un evergete nota la somma da lui elar-
gita per i costi di manodopera relativi all’erezione di una sua statua (CIL XII,
670).
La conlatio evidentemente lasciava scoperte le spese necessarie per
l’acquisto del materiale edilizio e per il suo trasporto. A questo proposito pos-
siamo ricordare che, come si è visto nella scheda precedente, i costi relativi alla
vectura dei materiali di costruzione della via nova di Falerio potrebbero essere
oggetto di un’altra iscrizione della comunità picena, pur con tutti i dubbi che
sussistono a proposito di quel lacunoso testo.

875 Cf. CIL X, 5074 = CIL I2, 1533 = ILS 5367 = ILLRP 551 = Chioffi, Caro, cit., pp. 106-107,
n°1 da Atina: C(aius) Obinius C(ai) f(ilius) Ruf(us), / Sex(tus) Munnius C(ai) f(ilius), II viri
q(uin)q(uennales), ex d(ecreto) d(ecurionum), p(ecunia) p(ublica) ((sestertium)) ((quinquagin-
tatribus milibus sescentis octo)) / ad [f]orum pecuari[um] / viam sternund[am] coer[averunt];
CIL X, 5850 = Chioffi, Caro, cit., p. 107, n°2 da Ferentinum: ------ / [IIII vir a]ed(ilicia)
p(otestate), III[I] v[ir i(ure)] d(icundo), / [IIII vir q]uinq(uennalis) cen[s(oria) po]t(estate), /
[patronus a]b maioribus / [vi]am ita / [corrup]tam ut paene / [clivu]s invius esset / [a foro]
pecuario usq[ue) / [ad ---] / ------; CIL IX, 1143 = Chioffi, Caro, cit., p. 107, n°3 da Aeclanum: ---
--- / [--- pont]if(ex), IIII vir, / [---]cius M(arci) [f(ilius)] Marcellus, / pont]ifex, IIII vir aedil(is), /
[ex pe]cunia quam pro / [h]onore debuerunt, / [v]iam per forum pequarium / [e]x d(ecreto)
d(ecurionum) sternendam / curavere; CIL V, 8313 = CIL I2, 2197 = ILS 5366 = ILLRP 487a =
Chioffi, Caro, cit., p. 109, n°5 da Aquileia: De via Postumia in / forum pequarium / meisit. Lata
p(edes) XXX[X ?]. / De senatous sent(entia).
876 Cf. Ferguson, Aere conlato, cit., p. 518, che ricorda l’iscrizione tra i non numerosi esempi d i
conlationes per opere di pubblica utilità. L’espressione utilizzata nell’iscrizione di Falerio offre
a Delplace, Quelques cas d’évérgetisme, cit., pp. 195-198 lo spunto per distinguere l’istituto
della conlatio per un verso dagli atti di pura e semplice beneficienza, espressi da formule come
pecunia sua, de suo e simili, per l’altro dagli interventi pubblici, segnalati da espressioni come
pecunia publica: nel caso di Falerio, in effetti, i primi beneficiari dell’operazione urbanistica
dovevano essere gli stessi gruppi che avevano partecipato alla colletta, possessores, negotian-
tes e collegia, in rapporto con il Foro pecuario e dunque interessati ad un miglioramento della
struttura; indirettamente tuttavia, come giustamente puntualizza la studiosa, l’intera collettività
di Falerio doveva trarre vantaggio dalla lastricatura della via nova, dunque l’intervento dei tre
gruppi poteva essere presentato di fatto come un’evergesia. L’osservazione è ripresa da Marengo
in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 98.
877 Cf. per le attestazioni del termine V. Bulhart, Manupretium, «TLL», VIII, col. 342. Di partico-
lare interesse per il significato del termine i passi di Varro, Ling., V, 178: quod manu factum erat
et datum pro eo, manupretium, a manibus et pretium e dello Ps. Ascon., Verr., p. 253, ll. 20-21
Stangl: manupretium dicitur, ubi non tam materiae ratio quam manus atque artis ducitur.
Parte II. I documenti 313

Le categorie che contribuirono dal punto di vista finanziario al comple-


tamento della via nova erano tre, tutte in qualche modo collegate al Foro pe-
cuario di Falerio.
In primo luogo i possessores circa forum, dunque i proprietari dei terreni
attigui al foro pecuario, che ovviamente dovevano essere interessati ad una va-
lorizzazione dell’area. Il termine possessor ritorna qui in forma plurale, secondo
uno dei suoi usi più frequenti, a designare cioè un gruppo che interviene per il
finanziamento di un’opera di interesse pubblico; pare verosimile che anche in
questo caso la parola non indichi, in senso tecnico, esclusivamente coloro che
avevano uno ius possessionis, ma comprenda tutti coloro che, a qualsivoglia ti-
tolo, detenevano i terreni interessati dall’operazione878.
Il secondo gruppo è costituito dai negotiantes. Il termine negotians com-
pare sovente nella documentazione epigrafica latina a designare una collettività,
come per esempio un’associazione permanente879 o un gruppo di commercianti
riunito per scopo preciso, per esempio l’erezione di una dedica o il finanzia-
mento di un’opera pubblica, come nel caso che stiamo prendendo in esame880.
Tuttavia non sono rare nemmeno le attestazioni di singoli negotiantes, nella
quali comunemente si trova indicato anche il genere di articoli che il commer-
ciante trattava (conosciamo così un negotians coriariorum881, negotiantes cal-
cariarii882, ferrarii883, lagonarii884, lanariii885, lintiarii886, materiarii887, perti-

878 Sull’uso e il senso del termine possessor rimando a quanto scritto supra, pp. 304-306, nel
commento all’iscrizione Falerio 5.
879 Cf. per esempio il collegium Liberi Patris et Mercuri negotiantium cellarum vinariarum
Novae et Arruntiane Caesaris nostri di CIL VI, 8826 = ILS 7276 del 102 d.C.; il corpus nego-
tiantium Malacitanorum di CIL VI, 9677 = ILS 7278; il collegium dei negotiantes (o negotiato-
res) eborarii et citrarii di CIL VI, 33885 di età adrianea; il collegium o corpus vinariorum im-
portatorum negotiantium ad Ostia, attestato da AE 1940, 66, AE 1955, 165 e da CIL XIV, 430 =
ILS 6168, ove si fa menzione semplicemente di un curator negotiantium fori vinari, ma
l’allusione deve essere evidentemente alla medesima associazione; cf. anche l’iscrizione pubbli-
cata G. Ciampoltrini, Nuove iscrizioni pisane e volterrane, «Epigraphica», 43 (1981), pp. 226-
228, n°1 (= AE 1982, 357), dedica ad un altro curator dei negotiantes vinarii ritrovata a Pisa, ma
forse di origine urbana od ostiense; il collegium negotiantium di Aquincum di CIL III, 10430 =
ILS 3095.
880 Cf. per esempio CIL VI, 1035 = ILS 426 del 204 d.C., nella quale i negotiantes boari, insieme
agli argentarii, pongono una dedica a Settimio Severo e a Caracalla sul cosiddetto Arco degli
Argentari; CIL VI, 1065 del 213 d.C., dedica dei negotiantes vasculari a Caracalla; CIL VI, 1101
del 251 d.C., dedica di argentarii et exceptores itemque negotiantes vini Supernatis et
Ariminensis ad Erennio Etrusco, figlio dell’imperatore Traiano Decio; i negotiantes della lacu-
nosa dedica ad un loro conservator CIL VI, 40753B; i navicularii et negotiantes di AE 1913,
204-205 e i navicularii et negotiantes Karalitani di AE 1915, 59, da Ostia; la dedica al cavaliere
T. Flavius Clu. Isidorus da parte di possessores, inquilini e negotiantes; la dedica a Giove
Ottimo Massimo, Giunone, Nettuno e Marte posta dai negotiantes conforani di AE 1916, 127,
dalle cave di Weisenau, in Germania. Un procurator Augusti inter mancipes XL Galliarum et ne-
gotiantes è noto dall’iscrizione CIL VIII, 11813 da Mactaris, sulla quale si veda A.
Magioncalda, L’epigrafe da Mactar di C. Sextius Martialis (CIL VIII 11813), «L’Africa romana.
Atti del IX convegno di studio. Nuoro, 13-15 dicembre 1991», a cura di A. Mastino, Sassari 1992,
pp. 265-290, partic. pp. 268-269 per l’interessante procuratela.
881 Cf. P. Iuventius Sucessus di CIL VI, 9667 = ILS 7554.
882 Cf. T. Flavius T. l. Salutaris di CIL X, 3947 = ILS 7537 da Capua.
314 Parte II. I documenti

carii888, pigmentarii889, pullarii890, purpurarii891, salsamentarii o salsarii892,


seplasiarii893, siricarii894, vestiarii895 e soprattutto negotiantes vinarii o vina-
riarii896) o, più raramente, il luogo in cui egli esercitava la sua attività (ci è noto
per esempio un negotians castrorum praetoriorum897, un L. Statius Onesimus,
viae Appiae multorum annorum negotias (!)898 e un venditore di vasi da me-
scita installato nel portus vinarius di Roma899); occasionalmente il termine che
designava l’occupazione è seguito dal luogo di provenienza del personaggio, così
per esempio a Carales conosciamo un L. Iulius Ponticlus, negotians

883 Cf. Ti. Claudius Ti. f. Hor. Aquila di CIL VI, 9665; Frutonius Broccus di CIL II, 1199 da Hi-
spalis.
884 Cf. C. Comisius Successus, negotians porto vinario lagonarius di ILS 9429 = CIL VI,
37807: si doveva trattare di un commerciante di quei vasi, di forma simile alle nostre bottiglie,
che venivano usati per mescere il vino e che prendevano il nome di lagonae o lagoenae, cf. E. De
Ruggiero - S. Mazzarino, Lagona, «Diz. Ep.», IV (1942), p. 345; Successus dunque aveva buoni
motivi per aprire la sua bottega al portus vinarius.
885 Cf. Q. Alfidius Q. l. Hyla, VI viro Foro Semproni, collegi harenariorum Romae negotians la-
narius di CIL XI, 862 = ILS 7559.
886 Cf. Petrus, alexandrinus, negotias linatarius (!) di CIL X, 7330 = ILS 7564 da Palermo, da-
tata al 602 d.C.
887 Cf. P. Alfius Erastus di CIL XI, 1620 = ILS 7549 dal territorio di Florentia. L’iscrizione,
considerata persa, è stata rinvenuta a Reggello da S. Guerrini, CIL XI, 1620: un negotians mate-
riarius ritrovato, «Epigraphica», 37 (1975), pp. 213-216, il che ha consentito di emendare i n
qualche punto l’edizione del CIL; L. Titius Eutycias di CIL XI, 363 da Ariminum; M.
Po[m]ponius [Z]osim[u]s di CIL III, 12924 = ILS 5174a da Salona.
888 Cf. M. Licinius Moschus di CIL VI, 9672 = ILS 7541 + CIL VI, 25081. Il documento è ora
esaustivamente studiato da R. Barbera, M. Licinius Moschus negotians perticarius (CIL VI 9672
= 25081), «ZPE», 126 (1999), pp. 255-261.
889 Cf. Q. Fabius Theogonus di CIL VI, 9673 = ILS 7605.
890 Cf. M. Aurelius Euretus di CIL VI, 9674 = ILS 7482.
891 Cf. il personaggio, il cui nome è andato perduto, menzionato in CIL VI, 33888.
892 Cf. Ti. Claudius Docimus, negotians salsamentarius et vinariarius maurarius di CIL VI,
9676 = ILS 7486; P. Clodius Athenio, negotians salsarius e quinquennalis corporis negotian-
tium Malacitanorum di CIL VI, 9677 = ILS 7278.
893 Cf. Sex. Avidius Eutychus (o Eutychius, l’onomastica del personaggio appare infatti in caso
genitivo, a designare il padrone dello schiavo institor Adrastus cui l’iscrizione sepolcrale è de-
dicata) di CIL XI, 1621 = ILS 7607 da Florentia.
894 Cf. M. Aurelius Flavius di CIL VI, 9678.
895 Cf. Q. Catusius Severianus, civis Gallus di ILS 7576 = InscrIt X, I, 163 da Pola.
896 Cf. Q. Octavius Daphnicus, negotians vinarius di CIL VI, 712; [---]vius Primitivos (!), nego-
tians vinarius di CIL VI, 9680; [---]us et Sozon, negotiantes vinari di CIL VI, 9681; L.
Scribonius Ianuarius, negotians vinarius item navicularius, curator corporis maris Hadriatici
di CIL VI, 9682 = ILS 7277; cf. inoltre Ti. Claudius Docimus, negotians salsamentarius et
vinariarius maurarius, citato supra, nota 892. Fuori da Roma conosciamo l’anonimo negotians
vinarius autore di un donativo nell’iscrizione AE 1968, 119 da Casamari; P. Tenatius Essimnus,
negotians vinariarius di Tridentum che trovò sepoltura a Castra Batava, l’odierna Passau, se-
condo quanto ci è attestato dall’iscrizione AE 1984, 707.
897 Ulpius Eutyches di CIL VI, 9661 = ILS 7517.
898 CIL VI, 9663a = ILS 7518.
899 Cf. supra, nota 884.
Parte II. I documenti 315

Gallicanus900, a Salona un Aurelius Elavus, natione Suri901, a Tipasa un


Venustus, negotians Mesarfeltensis902, infine a Volubilis il siriano [Aure]l(ius)
Phili[pp]us903. Negotiantes senza ulteriori specificazioni appaiono in partico-
lare nella documentazione tarda di Roma e dell’Italia904.
I termini negotians e negotiator sembrano essere utilizzati nella lingua
delle iscrizioni sostanzialmente come sinonimi905. I due nomi di mestiere ab-
bracciano in effetti il medesimo, ampio spettro di attività, che interessava i ge-
neri più diversi e copriva probabilmente differenti fasi dei rapporti commerciali,
dall’importazione ed esportazione di merci su ampia scala e a largo raggio, sino
forse alla vendita al dettaglio906. Da uno spoglio preliminare della documenta-
zione emerge piuttosto la possibilità che il termine negotians si sia affermato
nella lingua epigrafica di determinate zone: negotiantes in effetti sono ben atte-

900 CIL X, 7612.


901 CIL III, 2006 = ILS 7258.
902 AE 1932, 37.
903 IAM II, 513 = AE 1942-1943, 21.
904 Cf. M. Aur(elius) Maximus e Aur(elius) Mucianus di CIL VI, 3574, che, in ragione
dell’onomastica dei personaggi menzionati dovrebbe risalire al più presto ai primi decenni del
III sec. d.C.; vd. inoltre l’iscrizione cristiana del negotias (!) Sivirinus (CIL VI, 9655 = ICUR VII,
19349). Quanto a CIL VI, 9657, Negotias è qui considerato nome personale da A. Ferrua, Nuove
correzioni alla silloge del Diehl, Inscriptiones Latinae Christianae Veteres, Città del Vaticano,
p. 56, affine ai rari Negotiator e Negotiatrix registrati da Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 231.
Fuori da Roma vd. Balicus di CIL XI, 4067 da Capena, nuovamente un documento cristiano. Cf.
tuttavia anche l’iscrizione recentemente pubblicata da C. Ricci, Negotiantes, «Epigrafia della
produzione e della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur l’épigraphie
du monde romain organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’École française de
Rome, Rome 5-6 juin 1992», Rome 1994, pp. 724-725 (= AE 1994, 296), che non pare essere po-
steriore al II sec. d.C. Fuori dall’Italia si possono ricordare Q. Ovilius Venustianus di CIL II,
4317 = RIT 449 da Tarraco e Titius Domninus sive Passeris di CIL III, 11045 = RIU II, 587 da
Brigetio, nella Pannonia superior.
905 Cf. in particolare Schlippschuh, Händler, cit., pp. 5-6, che ritiene l’uso del termine negotians
una particolarità linguistica affermatasi a partire dalla metà del II sec. d.C. prevalentemente i n
Pannonia (osservazione in sé corretta, che tuttavia non esaurisce il problema, come si vedrà i n
seguito), ma non accenna a differenze semantiche con negotiator; Feuvrier-Prévotat, Negotiator
et mercator, cit., pp. 384-386 (specificamente riguardo all’uso della forma nominale negotiator
e della forma verbale qui negotiantur nell’opera di Cicerone); E. Höbenreich, “Negotiantes” -
“humiliores” in un testo di Ulpiano, «Labeo», 42 (1996), pp. 248-250. Trattano sostanzialmente
come sinonimi negotiator e negotians, pur senza soffermarsi in modo specifico sul problema,
Rougé, Recherches, cit., partic. p. 281, nota 4, ove accosta ai negotiatores vinarii i negotiantes
fori vinarii di Ostia; Kneissl, Mercator - negotiator, cit., p. 79; Ricci, Negotiantes, cit., pp. 724-
725 (anche se la studiosa nota come il termine negotians, senza specificazione del settore
commerciale di interesse, non si trovi nella documentazione urbana se non in età tarda e i n
ambito cristiano); Barbera, M. Licinius Moschus, cit., pp. 258-259; García Brosa, Mercatores, cit.,
p. 184 e nota 35 (la quale rileva la maggiore frequenza del termine negotians nelle iscrizioni
rispetto ad altri tipi di documentazione). Al riguardo mi pare di particolare interesse l’iscrizione
CIL VI, 33885, relativa al collegio degli eborarii e dei citrarii, nella quale le due espressioni
appaiono intercambiabili.
906 Come pare dimostrare l’iscrizione CIL XIV, 2793 = ILS 5449 da Gabii del 169 d.C. riguardo
alla divisio di una somma di denaro che interessò, tra gli altri, anche i tabernarii intra murum
negotiantes.
316 Parte II. I documenti

stati nella documentazione urbana907, in Italia908 e nelle province danubiane oc-


cidentali di Raetia, Pannonia e Dalmatia909; solo sporadiche testimonianze si
hanno invece in Sicilia910, in Sardegna911, nelle province spagnole912, in Ger-
mania913 e nelle province africane914. Ho inoltre l’impressione che il termine si
affermi nell’uso relativamente tardi, a partire dal II sec. d.C., per proseguire poi
fino alla fine dell’età antica, ma questi semplici spunti di riflessione dovranno
ovviamente essere sottoposti ad una più stringente verifica, partendo da un più
rigoroso spoglio dei testi rilevanti e da un confronto con le attestazioni relative
ai negotiatores.
Come già si è detto, pare logico supporre che i negotiantes installati
presso il forum pecuarium di Falerio esercitassero attività in qualche modo
collegate allo stesso mercato del bestiame: una casistica parallela ci è offerta in
particolare dalla documentazione della città di Roma, ove non è raro trovare
specificato il luogo in cui il commerciante conduceva i suoi affari915. Non si può
del resto escludere che la presenza di un foro pecuario avesse favorito la voca-
zione commerciale di questo quartiere di Falerio, attirando anche le botteghe di
negozianti che vendevano altre merci.
Parimenti non è dato sapere con certezza se i collegia, la terza ed ultima
componente che partecipò alla conlatio per lastricare la via nova, fossero asso-
ciazioni di mestiere la cui attività aveva a che fare con il bestiame, come per
esempio il conlegiu(m) mercator(um) pequarioru(m) di un’iscrizione datata tra
la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. da Praeneste916, o se il loro rapporto con il

907 Cf. per esempio CIL VI, 712; 1035 = ILS 426; CIL VI, 1065; 1101 = ILS 519; CIL VI, 3574;
8826 = ILS 7276; CIL VI, 9655; 9658; 9661 = ILS 7517; CIL VI, 9663a = ILS 7518; CIL VI,
9665; 9667 = ILS 7554; CIL VI, 9672 = ILS 7541 + CIL VI, 25081 (ora in Barbera, M. Licinius
Moschus, cit., pp. 255-261); CIL VI, 9673 = ILS 7605; CIL VI, 9674 = ILS 7482; CIL VI, 9676 =
ILS 7486; CIL VI, 9677 = ILS 7278; CIL VI, 9678; 9680; 9681; 9682 = ILS 7277; CIL VI, 33885;
33888; 37807 = ILS 9429; CIL VI, 40753; AE 1915, 97; AE 1994, 296.
908 Ad Ostia CIL XIV, 430 = ILS 6168; AE 1913, 204-205; 1915, 59; 1940, 64-66; 1955, 165,
sempre in riferimento ad una comunità; AE 1968, 119 da Casamari; CIL X, 3947 = ILS 7537 da
Capua; CIL XI, 4209 = ILS 6630 da Interamna Nahars; CIL XI, 4067 da Capena; CIL XI, 1620 =
ILS 7549 e CIL VI, 1621 da Florentia; CIL XI, 363 da Ariminum; CIL XI, 862 = ILS 7559 da Mu-
tina; InscrIt X, I, 163 = ILS 7576 da Pola.
909 Cf. AE 1984, 707 da Castra Batava; CIL III, 4288 = ILS 1861 = RIU II, 389 da Brigetio; CIL
III, 11045 = RIU II, 587 da Brigetio; CIL III, 10430 = ILS 3095 da Aquincum; CIL III, 2006 = ILS
7528 e CIL III, 12924 = ILS 5174a, entrambe da Salona.
910 CIL X, 7330 = ILS 7564 da Panhormus.
911 CIL X, 7612 da Carales.
912 CIL II, 1199 da Hispalis; CIL II, 4317 = RIT 449 da Tarraco.
913 AE 1916, 127 dalle cave di Weisenau.
914 CIL VIII, 11813 = ILS 1410 da Mactaris; AE 1932, 37 da Tipasa; IAM II, 513 = AE 1942-
1943, 21 da Volubilis.
915 A Roma conosciamo per esempio un Q. Marcius [---], negotiator ca[mp]i pecuari di CIL VI,
9660 = ILS 7515 = Chioffi, Caro, cit., pp. 40-41, n°31, e un C. Iulius Amarantus, mercator de
foro suario di CIL VI, 9631 = ILS 7516 = Chioffi, Caro, cit., p. 43, n°33.
916 CIL XIV, 2878 = CIL I2, 1450 = ILS 3683c = ILLRP 106 = Chioffi, Caro, cit., pp. 56-57, n°58.
Per altri casi di associazioni di mestiere legate al commercio o alla macellazione della carne vd.
Parte II. I documenti 317

foro pecuario nascesse semplicemente dal fatto che la loro sede si trovava nei
pressi: a questo proposito si deve ricordare che a Falerio è attestata la presenza
di collegia di fabri, centonarii e dendrophori917, nonché di un sodalicium di
fullones918.
L’iscrizione si chiude con il ricordo dei duoviri di Falerio, i cui nomi sono
purtroppo andati quasi completamente perduti.
Non sono certo che i massimi magistrati di Falerio siano qui menzionati
in quanto promotori dell’operazione urbanistica o responsabili della sua esecu-
zione, come suggerito da alcuni commentatori919, compiti che dovrebbero es-
sere assolti piuttosto dagli aediles. La formula, con l’ablativo IIviratu seguito
dal nome dei due personaggi presumibilmente in caso genitivo, e la sua posizione
nel testo credo indichino piuttosto come i duoviri appaiano qui nella loro
funzione eponima920. Si potrebbe obiettare che un elemento di datazione era già
fornito alle ll. 1-2 dell’iscrizione con il ricordo del terzo consolato di Adriano;
tuttavia altri esempi di doppia datazione, in cui la menzione dei massimi magi-
strati della comunità municipale si aggiunge al riferimento all’imperatore re-
gnante o ai consoli in carica, sono noti nella documentazione epigrafica921; in
alcuni di questi casi ritorna, come nella nostra iscrizione, l’espressione IIviratu,
seguita dal nome dei due magistrati eponimi in caso genitivo: così per esempio
in una dedica a Giulia Domna rinvenuta a Torvaianica, posta
q(uin)q(uennalitate) C(ai) Vibi Felicis, IIvir(atu) / C(ai) Volcei Magni, Q(uinti)
Egrili / Ingenui, cur(a) agentib(us) C(aio) Lucceio Felice, M(arco) Mettio Mo-
desto922; questo testo tuttavia si presta ad un duplice interpretazione: in effetti
qui il ricordo del quinquennale C. Vibio Felice e dei duoviri C. Volceio Magno e
Q. Egrilio Ingenuo potrebbe riferirsi ad un loro intervento nel processo decisio-
nale che portò all’erezione della dedica a Giulia Domna, poi curata da C.
Lucceio Felice e M. Mettio Modesto. Più chiari altri due esempi provenienti da
Trebula Suffenas: qui è stata rinvenuta una base di travertino ded(icata) V

per esempio a Roma due testimonianze del IV sec. d.C. relative al corpus o collegium suariorum,
che rivestì una notevole importanza nell’approvvigionamento alimentare della città in età tar-
doantica: CIL VI, 1690 = ILS 1240 = Chioffi, Caro, cit., pp. 115-117, n°5 e CIL VI, 1693 = ILS
1241 = Chioffi, Caro, cit., p. 117, n°6: collegium suariorum. Nella documentazione dalle pro-
vince vd. CIL III, 4085 = Chioffi, Caro, cit., pp. 90-91, n°118 da Poetovio: coll(egium) lanium;
AE 1987, 794 = Chioffi, Caro, cit., p. 93, n°121 da Passau: [c]olleg(ium) bubu[l(ariorum)].
917 Vd. infra, p. 312, l’iscrizione Falerio 10. Fabri compaiono anche nell’iscrizione Falerio 11.
918 Vd. infra, p. 347, l’iscrizione Falerio 11.
919 Cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 81: “la dernière ligne (fragmentaire) évoque ceux qui ont
pris cette mesure, soit les magistrats supérieurs de la communauté”; Chioffi, Caro, cit., p. 108:
“ai duoviri spettò il compito di rendere la decisione esecutiva”.
920 Così Liebenam, Städteverwaltung, cit., p. 257, nota 1 e Walser, Inschrift-Kunst, cit., p. 120.
921 Limitandomi a qualche esempio dall’Italia romana ricordo a Puteoli la lex parieti faciendo
(CIL X, 1781 = ILS 6317); a Cures (ove la doppia datazione con la coppia consolare e i nomi dei
IIII viri locali pare formulare) CIL IX, 4957 del 147 d.C., 4970 del 173 d.C., 4972 del 215 d.C.; a
Luna CIL XI, 1331 = ILS 233 del 66 d.C.; a Veio CIL XI, 3780 = ILS 6580 del 249 d.C. e CIL XI,
3807 = ILS 6582b del 256 d.C.; a Brixia CIL V, 4201 = ILS 4902 = InscrIt X, V, 7 dell’8 a.C.
922 AE 1975, 142. Sul lato destro di questa base compare la datazione consolare, che ci riporta al
196 d.C. I magistrati municipali menzionati erano forse quelli di Ostia.
318 Parte II. I documenti

Kal(endas) Febr(uarias), / II[vi]ratu Maeci Luciliani et / [---] Rufi Facundi, /


Maecio Laeto II et Sulla Ceriale co(n)s(ulibus)923 e l’iscrizione in onore del no-
tabile locale A. Sempronius A. f. Verus, dedicata III Nonas Aug(ustas), /
Q(uinto) Sossio Falconi (!), C(aio) Erucio Claro co(n)s(ulibus), / IIvir(atu) /
Q(uinti) Fuficuleni Aproni[i]ani et / C(ai) Iuli Felicissimi924; significativo anche
un testo da Albulae, nella Mauretania Caesariensis, che ricorda il rifacimento
da parte di un tal C. Iulius Fortunatus del tempio della dea Maura,
[du]umvira[tu] C(ai) Iul(i) Gaitatis iun(ioris) / et L(uci) Sei Felicis925.
Quanto al nome del primo dei duoviri, parzialmente conservato
nell’ultima linea del testo pervenutoci, il Mommsen individuava 5 segni, di cui il
primo, il quarto ed il quinto rappresentati da una semplice asta verticale, che
potrebbe corrispondere alle lettere I o L; la seconda lettera era certamente una
T, la terza una A. Tra la fine della parola II viratu e l’inizio di quanto si con-
serva del nome del personaggio lo studioso segnalava uno spazio vuoto corri-
spondente ad una lettera. Si deve peraltro rilevare che le combinazioni di pre-
nome e gentilizio che si accorderebbero con i resti delle lettere, L(uci) Tali,
Tall[i], Tali[ci], Tall[enti] o Tall[oni], non trovano per il momento altro ri-
scontro nell’onomastica del Piceno se non in un’iscrizione cristiana da Auxi-
mum, che è stata datata alla fine del V o nel VI sec. d.C., in cui compare forse
una Talia Thima926.
Una ricostruzione alternativa è stata recentemente offerta da S.M.
Marengo, la quale ritiene che il prenome del personaggio sia andato perduto
nella breve lacuna dopo II viratu ed osserva, a ragione, che la prima delle lettere
conservate sembra presentare piuttosto un asta obliqua, che potrebbe corrispon-
dere ad una A o ad una M: la studiosa suggerisce dunque l’integrazione [.] Atal[i -
--], con riferimento ad un gentilizio, Atalius, già attestato a Falerio927.
Sebbene la lezione suggerita dalla studiosa maceratese trovi conforto sia
nei segni visibili sulla pietra sia nell’onomastica locale, non escluderei la possi-
bilità che i duoviri di Falerio siano ricordati in questa iscrizione solamente con i
loro cognomina. In almeno un caso, in effetti, i magistrati eponimi di una co-
munità municipale sono ricordati con questa formula onomastica semplifi-
cata928, ricalcando un uso ben attestato per le datazioni consolari, anche in età

923 AE 1984, 178 = Suppl. It., n.s. 4, pp. 166-168, n°33; la datazione consolare ci riporta al 215
d.C.
924 AE 1972, 163 = Suppl. It., n.s. 4, pp. 169-170, n°35; la datazione consolare rimanda al 193
d.C.
925 CIL VIII, 21665 = ILS 4501. Anche in questa iscrizione si ha di fatto una doppia datazione,
con l’era provinciale della Mauretania, che ci permette di datare il testo al 299 d.C.; eccezional-
mente l’iscrizione di Albulae registra anche il nome degli edili in carica in quell’anno.
926 Cf. ICI X, 30. Il nome personaggio compare peraltro alla fine di una linea lacunosa, non s i
può dunque escludere che -talia rappresenti solamente la parte finale di un gentilizio quale At-
talia, Natalia o Vitalia, per ricordare solamente le possibilità evocate dall’editore di ICI.
927 Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 98; 100. Per l’attestazione
del nomen Atalius a Falerone vd. CIL IX, 5466.
928 Si tratta dell’iscrizione CIL IX, 3015 = ILS 4138 da Teate Marrucinorum, nella quale la data-
zione viene espressa con la formula IIII vir(is) Primo et Iusto.
Parte II. I documenti 319

adrianea929. Se questa congettura è da accettare si possono prendere in conside-


razione cognomi come Italicensis, Italicianus, Italicius, Italicus o Italus930; ma
se effettivamente nello spazio vuoto notato dal Mommsen tra IIviratu e l’inizio
del nome del magistrato è andata perduta una lettera potremmo facilmente inte-
grare il comunissimo cognomen [V]italis.
Immagine: Tav. XXXV. Walser, Inschrift-Kunst, cit., p. 121; Catani, Scavi
pontifici, cit., p. 252: n°34: apografo inviato dal conte Paris Pallotta ad
Annibale degli Abati Olivieri; ibid., p. 264, n°46 e p. 268, n°50: apografi inviati
da Gasparo Desantis all’Olivieri; Di Stefano Manzella, Inscriptiones Sanctae
Sedis 1, cit., p. 254, fig. 54 per la collocazione dell’iscrizione nella parete 43
della Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani; Delplace, Quelques cas
d’évérgetisme, cit., p. 194, fig. 3; Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., p. 99, fig. 14. Un’immagine della copia conservata presso il Museo
Archeologico civico di Falerone in Bonvicini, Falerone dall’antichità al
medioevo, cit., p. 212, fig. LXXXVI.

929 Amplissima casistica in E. De Ruggiero, Consul, «Diz. Ep.», II (1900), pp. 707-708, con pre-
valenza di testimonianze dall’instrumentum iscritto, ove la formula onomastica semplificata s i
faceva ovviamente preferire per ragioni di spazio.
930 Italicus è attestato proprio a Falerio da CIL IX, 5481, anche se in riferimento ad uno schiavo.
320 Parte II. I documenti

Falerio 8

Edizione di riferimento: G. Moretti, Falerone. Mosaici romani, «NSc», 50


(1925), pp. 127-132.
Altre edizioni: Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit.,
pp. 104-106.
Bibliografia: Bonvicini, Schizzi inediti, cit., p. 120, n°18; C. Balmelle - J.-P.
Darmon, L’artisan-mosaïste dans l’Antiquité tardive, «Artistes, artisans et pro-
duction artistique au Moyen Age. Colloque internationale. Centre National de
la Recherche Scientifique. Université de Rennes II - Haute Bretagne 2-6 mai
1983», I, a cura di X. Barral i Altet, Paris 1986, pp. 236; 240 e nota 32; M.
Donderer, Die Mosaizisten der Antike und ihre wirtschaftliche und soziale Stel-
lung. Eine Quellenstudie, Erlangen 1989, pp. 89-90, n°A56; Bonvicini, Fale-
rone dall’antichità al medioevo, cit., p. 144, n°60; C. Barsanti, Un mosaico
dagli scavi settecenteschi di Falerone (Ascoli Piceno), «Atti del IV colloquio
dell’associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico», a cura
di R.M. Carra Bonacasa - F. Guidobaldi, Ravenna 1997, pp. 869-882; Landolfi,
Falerio Picenus, cit., pp. 118-119; Catani, Opere d’arte, cit., p. 205; Delplace
in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 36; Maraldi, Falerio,
cit., pp. 16; 19; pp. 74-75, n°105.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione in oggetto appare su un mosaico rinve-
nuto nel 1912 in contrada Piani di Falerone, ove sorgeva l’antica Falerio, in un
terreno appartenente ai fratelli Concetti; in questo sito venne messo alla luce un
piccolo ambiente e una più vasta sala attigua, dalla quale proviene il mosaico931.
Luogo di conservazione: il mosaico iscritto, insieme ad un altro pavimento
musivo ritrovato nei pressi del primo, venne rimosso nel 1921932; una parte
venne trasferita nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche di Ancona,
dove andò distrutta nel corso di un bombardamento nel maggio del 1944933; re-
centemente alcuni frammenti sono stati segnalati da C. Barsanti presso il Museo
Archeologico di Falerone934.
Tipo di supporto: iscrizione musiva, le cui prime 5 righe compaiono entro una
tabella ansata; l’ultima linea, nella quale si trova il nome dell’artista, venne
composta al di sotto della tabella, in lettere di formato leggermente maggiore.
Mestiere: tesserarius.
Datazione: le caratteristiche figurative del mosaico e la paleografia
dell’iscrizione indussero il Moretti a collocare il monumento nella fase di tra-

931 Moretti, Falerone. Mosaici romani, cit., p. 129; Maraldi, Falerio, cit., pp. 74-75, n°105 (cf. la
carta archeologica pubblicata in appendice al volume come fig. 108). Il luogo preciso della sco-
perta del mosaico con iscrizione è riportato nella planimetria redatta da Bonvicini, Schizzi ine-
diti, cit., p. 118, distinto dal n°18, cf. didascalia a p. 120, n°18; cf. anche Bonvicini, Falerone
dall’antichità al medioevo, cit., p. 144, n°60.
932 Moretti, Falerone. Mosaici romani, cit., p. 129; Maraldi, Falerio, cit., p. 74, nota 300.
933 Catani, Opere d’arte, cit., p. 205; Maraldi, Falerio, cit., p. 74, nota 300.
934 Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 144; Barsanti, Mosaico, cit., p. 877,
nota 45.
Parte II. I documenti 321

passo tra il mosaico classico e quello cristiano935. M. Donderer ha recentemente


proposto una datazione al IV sec. d.C.936 Le caratteristiche paleografiche ed il
formulario si accordano in effetti con una datazione tra gli ultimi anni del III
sec. d.C. e gli inizi del secolo seguente937.
Testo: Herennius Repentin/us Senior, p(atronus) c(oloniae), suo om/ni sumptu,
provocatus amore civium / suor(um) oc (!) opus perfecit. / Felix, tesserarius,
fecit.
Commento
Abbiamo qui la testimonianza epigrafica di un mosaicista che “firmò” un
pavimento musivo commissionatogli da un notabile di Falerio938.
Il nome dell’artista appare sull’opera stessa, un grande pavimento musivo
che misurava 8 m. x 5,60 m., a tessere colorate che componevano una com-
plessa raffigurazione astratta: il motivo principale era dato da meandri che si
svolgevano senza soluzione di continuità, contornando quadranti con rosoni e
altre raffigurazioni geometriche. In uno di questi quadranti si trovava l’iscrizio-
ne in oggetto.
Il testo ci trasmette il nome di due personaggi, Erennio Repentino e
Felice, che a diverso titolo intervennero nell’esecuzione del mosaico. L’azione
compiuta da Erennio Repentino è espressa dal verbo perficio che, come si è vi-
sto939, è spesso utilizzato nel lessico epigrafico come sinonimo di facio. Tutta-
via nel caso di Falerio l’esecutore materiale dell’opera dovette essere il tessera-
rius Felix, il senso di perfecit deve dunque essere leggermente diverso e si po-
trebbe piuttosto tradurre con “fece eseguire”940. Da notare il rilievo dato al

935 Moretti, Falerone. Mosaici romani, cit., p. 129; cf. anche M.B. Marzani, Felix 2, «EAA», III,
Roma 1960, p. 615 e Balmelle - Darmon, L’artisan-mosaïste, cit., p. 240, nota 32: III o IV sec.
d.C.
936 Donderer, Mosaizisten, cit., pp. 89-90.
937 Tale cronologia è ripresa da Maraldi, Falerio, cit., pp. 16; 19; cf. anche ibid., p. 75, ove s i
passano in rassegna le diverse ipotesi di datazione. Cf. anche Marengo in Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., p. 106: dopo la metà del IV sec. d.C.
938 L’espressione hoc opus perfecit mi pare indicare che l’intervento si limitò all’esecuzione del
pavimento, sebbene le epigrafi musive tardoantiche non di rado alludano, più o meno espli-
citamente, anche alla struttura architettonica cui il mosaico era pertinente (per una casistica vd.
ora J.-P. Caillet, L’Évergétisme monumental chrétien en Italie et à ses marges d’après l’épigra-
phie des pavements de mosaïque (IVe - VIIe s.), Rome 1993, cit., pp. 399-428). Sulla pratica di fir-
mare i mosaici, relativamente rara, vd. ora le considerazioni di K.M.D. Dunbabin, Mosaics o f
Greek and Roman World, Cambridge 1999, pp. 270-274. L’iscrizione del tesserarius Felix viene
brevemente ricordata anche da Marzani, Felix 2, cit., p. 615; I. Calabi Limentani, Musivarius,
«EAA», V, Roma 1963, p. 299 (che attribuisce erroneamente l’iscrizione a Falterona); S.L. Dyson,
Community and Society in Roman Italy, Baltimore - London 1992, p. 165; Pupilli, Il territorio
del Piceno centrale dal Tardoantico al Medioevo, cit., p. 54.
939 Vd. supra, pp. 126-127.
940 Cf. Balmelle - Darmon, L’artisan-mosaïste, cit., p. 236; Donderer, Mosaizisten, cit., p. 27;
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 106. Sul verbo perficio nel senso
di “far costruire” cf. anche il commento ad un’iscrizione musiva di Igubrum, nei pressi di Cor-
doba, in J. Gómez Pallarès, Nombres de artistas en inscripciones musivas latinas e ibericas de
Hispania, «Epigraphica», 53 (1991), pp. 88-89, n°3; Id., Edición y comentario de las inscri-
pciones sobre mosaico de Hispania. Inscripciones no cristianas, Roma 1997, pp. 81-82, n°CO2.
322 Parte II. I documenti

fatto che Repentino si accollò interamente le spese dell’esecuzione del prege-


vole mosaico, suo omni sumptu941.
Erennio Repentino deve dunque essere identificato con il committente
dell’opera. Il personaggio doveva essere una figura di spicco a Falerio, dal mo-
mento che venne insignito del titolo di patrono della comunità942. Il gentilizio
Herennius non è altrimenti attestato a Falerio, ma è ben noto nel Piceno943, in
particolare nella vicina Firmum, ove un membro della gens raggiunse il duovi-
rato944. Il cognome Repentinus è attestato, ma nella forma femminile, ad
Asculum945.
Di un certo interesse l’espressione provocatus amore civium suorum, ad-
dotta a motivo dell’evergesia compiuta da Repentino. La frase si presta ad una
duplice interpretazione, a seconda che si consideri il genitivo civium suorum
oggettivo oppure soggettivo, intendendo dunque “mosso dall’amore nei con-
fronti dei suoi concittadini”, ovvero “mosso dall’amore dimostrato dai concit-
tadini nei suoi confronti”. Se entrambe le interpretazioni trovano sostegno
nell’uso epigrafico del termine amor946, la prima ha il conforto di un maggior
numero di attestazioni; del resto l’amor di un notabile nei confronti dei concit-
tadini, espresso senza possibilità di equivoco nella forma ob eximium in muni-
cipes suos amorem, è altrimenti attestato nel Piceno, come motivazione che

Il verbo ritorna in un’iscrizione musiva del battistero di Emona, da vedere ora nell’edizione d i
Caillet, Évergétisme, cit., pp. 372-373, n°1: [-] archi/diacono / Antioco / batteste/rium et / por-
ticus / cum glo/ria et lae/titia per/fectum est; lo stesso Caillet (p. 408) interpreta peraltro perfi-
cere in questo contesto nel senso di “eseguire dal principio alla fine”; non scarterei in questo
caso la traduzione con “completare (l’opera iniziata da altri)”, secondo l’uso del latino classico,
cf. supra, p. 126, nota 87.
941 Sulle evergesie dell’aristocrazia (imperiale o locale) attraverso le iscrizioni musive cristiane
dell’Italia e delle aree limitrofe vd. Caillet, Évergétisme, cit., pp. 423-425; cf: anche Delplace i n
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 36, che ricorda il documento come l’esempio
più tardo di munificenza privata nel Piceno.
942 Accanto allo scioglimento p(atronus) c(oloniae) potremmo considerare anche l’alternativa
p(atronus) c(ivitatis), in considerazione del richiamo ai cives nelle linee seguenti, come osserva
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 104. Sulla condizione dei com-
mittenti dei mosaici vd. Dunbabin, Mosaics of Greek and Roman World, cit., pp. 317-326 (cf.
Ead., The Mosaics of Roman North Africa. Studies in Iconography and Patronage, Oxford 1978,
pp. 25-26 per l’importante produzione delle province del Maghreb).
943 Cf. ad Auximum CIL IX, 5872: Herennius Primianus; a Castrum Novum CIL IX, 5154 =
Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 801, n°12: Herennia Protogenia; a Cupra Mari-
tima CIL IX, 5320: Herennia Helice; a Potentia CIL IX, 6382: Herennia Arsinoe; a Ricina Paci i n
Mercando - Bacchielli - Paci, Prime scoperte, cit., pp. 43-46, n°2 (= AE 1985, 355): Herennia L. f.
Cervilla; a Septempeda CIL IX, 5606: C. Herenius (!) C. f. Montanus; CIL IX, 5607: L. Herennius
L. l. Phileros; ad Urbs Salvia CIL IX, 5541: [-] Herennius C. f. [---] (su questa importante iscri-
zione vd. la bibliografia citata infra, p. 421, nota 1419.
944 Cf. CIL IX, 5365: M. Herennius Maximus, II vir. Sempre a Firmum vd. anche CIL IX, 5395: L.
Herenius (!) Onirus; CIL IX, 5396: L. Herennius C. f. Vel. Rufus.
945 CIL IX, 5190, commentata supra, pp. 153-161, come Asculum 4.
946 Cf. Forbis, Municipal Virtues, cit., p. 47, rispettivamente alle note 6 e 7.
Parte II. I documenti 323

valse al patrono della colonia di Auximum Q. Plozio Massimo Trebellio


Pelidiano l’onore di una statua da parte del locale collegio del centonari947.
Assai rare invece le attestazioni epigrafiche di amore provocatus; una
formula consimile appare per la verità su di una tavola di patronato, datata al
335 d.C., ritrovata nel territorio di Amiternum, nella quale gli abitanti del vicus
di Foruli decidono di eleggere a proprio patrono il giovane C. Sallius Sofronius
iunior, mossi dalla dignità e dall’affetto dimostrati da Sofronio stesso, già pa-
trono di Amiternum: quia pro<vo>cat nos dignitas a<t>que amor C(ai) Sallii
Sofronii iun(ioris), patroni ord(inis) et patr(iae) n(ostrae) Amit[er(nino-
rum)]948. L’espressione compare assai più di frequente, con alcune varianti,
nella letteratura cristiana tardoantica ed altomedievale949: il contesto è certo as-
sai differente, ma credo che il confronto sia comunque utile per indicare come le
iscrizioni di Falerio e di Amiternum testimonino già una fase di mutamento
nelle formule espressive dell’evergetismo.
Dopo il ricordo del dedicante del mosaico, l’iscrizione rammenta il mo-
saicista che aveva curato l’esecuzione dell’opera; come di consueto, il verbo
utilizzato è facio950.
Tra i numerosi termini del lessico latino che indicavano artisti e artigiani
che intervenivano nelle diverse fasi della preparazione di un mosaico, tessera-
rius non è certo fra quelli di uso più frequente. Il sostantivo deriva chiaramente
da tessera, nel significato di “tessera di mosaico”, che ha conservato anche nella
lingua italiana951, e compare forse in altre iscrizioni musive, in forma abbre-
viata:

947 Vd. supra, pp. 228-229, nel commento all’iscrizione Auximum 11, al quale si rimanda per i
caratteri dell’amor come virtù civica e per la bibliografia rilevante. Preferisce pensare ad un ge-
nitivo soggettivo Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 105-106.
948 L’interessante iscrizione è da ultimo pubblicata in Suppl. It., n.s. 9, pp. 90-92, n°35 = AE
1992, 386 (ma cf. anche M. Buonocore, Varia epigraphica abruzzesi, «Nona Miscellanea Greca
e Romana», Roma 1984, pp. 241-245). Il passaggio citato si trova alle ll. 9-10. La formula amore
provocatus, o consimili, non sembra essere indicizzata nei corpora di riferimento per l’epigrafia
latina; non escludo quindi che un approfondito esame della documentazione possa rintracciarne
altre attestazioni.
949 Così per esempio in Ennod., Epist., III, 24, 5 (XVC nell’edizione a cura di F. Vogel, Monu-
menta Germaniae Historica. Auctores antiquissimi. 7. Magni Felicis Ennodi opera, Berlin
1885): sed amore provocatus epistulares terminos inconsiderata loquacitate transcendi. Cf.
anche Greg. M., Moral., XVIII, 42 Adriaen: Sic ergo nonnumquam quidam in dei servitio ex an-
teacta acrius debilitate roborantur, eosque ad custodienda mandata et futurorum trahit desi-
derium, et impellit memoria praeteritorum, ut hinc ad ventura amor provocet, illinc de praete-
ritis verecundia instiget; ibid., XXII, 14: Eum uero quem ad opus bonum laudis amor prouocat,
concupita fama, quasi luna, attingit; Id., Epist., XI, 4: Ecce, gloriose fili, amore dei tuo que
prouocatus cuncta quae sensi, cuncta quae audivi breviter indicavi; Isid., Sent., III, col. 696A
Migne: Multi cupiunt convolare ad gratiam Dei, sed timent carere oblectamentis mundi. Prouo-
cat quidem eos amor Christi, sed revocat cupiditas saeculi; ibid., col. 726B Migne: Tales
quippe ad ueritatem non iustitiae defensio, sed amor praemii prouocat.
950 Cf. Donderer, Mosaizisten, cit., p. 22.
951 In questo senso il termine tessera viene per esempio utilizzato da Vitruv., VII, 1, 3: Supra
nucleum ad regulam et libellam exacta pavimenta struantur sive sectilia seu tesseris; cf. anche
ibid., 4.
324 Parte II. I documenti

- Gómez Pallarès, Edición y comentario, cit., pp. 175-177, n°EVO2 da Estre-


moz, in Portogallo: K(olonia) A(ugusta) F(irma) / C(aius ?) t(esserarius)
f(ecit), secondo gli scioglimenti proposti dall’editore per questa iscrizione, ca-
ratterizzata dall’uso parossistico di sigle952.
- AE 1978, 554 da Bad Kreuznach, nella Germania superior: Maximo et
U[rbano co(n)s(ulibus)]. // Victorinus tess(erarius) fec(it)953.
In entrambi i casi naturalmente è parimenti possibile vedere un attestazione dei
termini tessellarius o tessellator, altrimenti noti per designare i mosaicisti954.
Tesserarii tuttavia non erano solo mosaicisti: il termine può indicare an-
che fabbricanti e commercianti di tesserae da gioco o di altro tipo955 e soprat-
tutto l’ufficiale subalterno dell’esercito incaricato di trasmettere alla truppa la
tavoletta, detta appunto tessera, con la parola d’ordine o con altre istruzioni
dettate dal comandante956. Quasi sempre il contesto permette di comprendere
se il tesserarius nominato in un’iscrizione era un militare o un artigiano, anche
se, nel caso di epigrafi assai brevi o lacunose, qualche incertezza può permanere;
nelle epigrafi non musive è poi assai difficile stabilire se un tesserarius si occu-
pava di mosaici o della produzione e della vendita di tesserae. Tra i casi ambigui
si possono segnalare:

952 Sull’enigmatico testo vd. anche Gómez Pallarès, Nombres de artistas, cit., pp. 83-84, n°2;
Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 81.
953 Lo scioglimento tess(erarius) è accolto da Donderer, Mosaizisten, cit., p. 114, mentre non mi
pare esplicitamente accettato da Balmelle - Darmon, L’artisan-mosaïste, cit., pp. 240-241, nota
32, che citano sempre il nome di mestiere nella forma abbreviata tess. La coppia consolare del te-
sto di Bad Kreuznach, se è giusta l’integrazione proposta, ci rimanda al 234 d.C.
954 Cf. I. Calabi Limentani, Musivarius, cit., pp. 297-298; Tessellarius, «EAA», Supplemento
1970, Roma 1973, p. 835; Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 116; ora in Beiträge zur rö-
mischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 130; Id., Spezialisierung II, cit., p. 304 per quanto
concerne la documentazione tardoantica; Donderer, Mosaizisten, cit., p. 31; Rodríguez Neila i n
Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 81.
955 Vd. Lucilius Victorinus, artifex artis tessalarie lusorie (!) di CIL VI, 9927 = ICUR VII,
19041, cf. Balmelle - Darmon, L’artisan-mosaïste, cit., p. 241, nota 32. Dal novero di questi par-
ticolarissimi artigiani va invece espunto il nome della presunta tesser(aria) lignar(ia) Antistia
((mulieris)) l. Daphnis di CIL V, 7044 da Augusta Taurinorum, come ha recentemente chiarito G.
Mennella, Tesseraria lignaria: un «ghost job» femminile in CIL, V, 7044, «Donna e lavoro», a
cura di Buonopane - Cenerini, cit., pp. 247-253.
956 Sui tesserarii dell’esercito romano vd. in particolare F. Lammert, Tessararius, «P.W.», V A, 1
(1934), coll. 854-855; Von Domaszewki, Rangordnung, cit., indici a p. 318, con rimando alle
numerose pagine dell’opera in cui si tratta di questi sottoufficiali. Nel nostro dossier di testi-
monianze abbiamo incontrato un tesserarius delle coorti pretorie, C. Oppius C. f. Vel. Bassus,
che fu patrono del collegio dei centonari di Osimo secondo l’iscrizione sopra commentata come
Auximum 12. Una simile funzione di portaordini, anche se in ambito civile, si suppone avesse i l
tesserarius Symphorus, ser(vus) Caesaris de domo Gelotiana di CIL VI, 8663, cf. Boulvert,
Esclaves, cit., p. 87, nota 511. È probabile che il medesimo servizio fosse assolto anche dallo
schiavo imperiale Paederos, se veramente nella sua iscrizione sepolcrale, CIL VI, 9081, si trova
menzione dell’ufficio di tesserarius: D(is) M(anibus). / Pederoti Aug(usti), / tes(serarius).
Tesacila / Laconis et Laco / coiux, l(ibertus) Augusti, b(ene) m(erenti) fecerunt;
l’interpretazione tes(serarius) è accolta da Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, p.
127; Id., Sklavennamen, cit., II, p. 222, ma le lettere potrebbero anche essere imputabili ad un er-
rore del lapicida, che avrebbe trascritto per due volte le iniziali del nome di Tesacila.
Parte II. I documenti 325

1. CIL V, 4508 = InscrIt X, V, 303 da Brixia: Q(uinti) Postumi L(uci) f(ili) /


Rufi / tesserari957.
2. CIL XII, 1385 da Vasio: D(ecimo) Valer(io) Valenti/no tess(erario) Quinta
Centon(ia ?) ex testa/mento eius958.
3. RIB 355 da Isca Silurum: Primus tes(s)/era(rius).
4. RIU II, 428 da Brigetio: I(ovi) O(ptimo) M(aximo) / sanct(o). / Fl(avius)
Adi/utor, / tesse(rarius) / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito).
5. AE 1983, 813 da Apulum (II-III sec. d.C.): [---]us tesse(rarius) / [--- coniu]x
eius / [---] filius / [--- b(ene)] me(renti)959
6. AE 1987, 832 da Apulum: Q[---] / Aur(elius) T[---]us, tesse/rar[ius coniu]x
eius / et E[---] filius / [---] pien[tissi]m(a)e / [------] / [---]us / [--- bene
mere]ntibus.
Le iscrizioni nn. 3-6, che ho prudentemente incluso in questa lista, per la verità
molto probabilmente costituiscono attestazioni dei tesserarii militari, dal mo-
mento che provengono da località sede di accampamenti legionari; maggiore
incertezza circonda i primi due documenti.
Il mosaicista di Falerio è noto solamente dal suo cognomen, il comunis-
simo Felix, particolarmente ben attestato nell’ambiente servile960. Anche se il
ritrovare la firma di uno schiavo su di un mosaico non stupirebbe affatto961, la
datazione dell’iscrizione musiva di Falerio ad un età in cui il nome unico si ge-
neralizza tra le persone di modesta estrazione sociale non consente tuttavia di
trarre conclusioni certe riguardo lo statuto del mosaicista sulla base del solo dato
onomastico.
Immagine: Tav. XXXVI. Moretti, Falerone. Mosaici romani, cit., p. 131, fig.
3; Donderer, Mosaizisten, cit., tav. 34, 1; Bonvicini, Falerone dall’antichità al
medioevo, cit., p. 186, fig. LVII; De Marinis - Paci, Atlante, cit., p. 203, fig.
363; Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 105, fig. 17.

957 Cf. Gregori, Brescia romana, I, p. 149, n°A, 224; II, p. 248 che colloca il personaggio nel I
sec. d.C. e discute la possibilità che si tratti di un mosaicista piuttosto che di un portaordini.
958 Cf. Donderer, Mosaizisten, cit., p. 121, n°B7.
959 Cf. Donderer, Mosaizisten, cit., pp. 121-122, n°B8.
960 Nella regio V vd. ad Asculum AE 1975, 351; CIL IX, 5192: P. Tebeianus ((mulieris)) l. Felix; a
Firmum CIL IX, 5399; 5403: L. Munatius Felix; ad Hadria CIL IX, 5020: Venerius col(oniae) l.
Felix; ad Interamnia A. Donati, Nuove iscrizioni romane dall’agro pretuzio, «Epigraphica», 3 2
(1970), pp. 80-81, n°1 = AE 1980, 381 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 786,
n°109: L. [Ar]rius L. l. Fel[ix]; a Rambona CIL IX, 5561, con le correzioni alla lettura apportate
da G. Paci, in U. Moscatelli - G. Paci, Testimonianze archeologiche ed epigrafiche a Rambona i n
provincia di Macerata, «AFLM», 11 (1978), pp. 61-65, n°1 = AE 1982, 244: L. Carm[i]nius L. l.
Felix; a Ricina CIL IX, 5772: T. Simnius Felix; ad Urbs Salvia CIL IX, 5552 = G. Paci in Gasperini
et alii, Lapidario, cit., pp. 81-82, n°11 (analizzata infra, pp. 535-544, come Urbs Salvia 6): P.
Multasius Felix.
961 Cf. Donderer, Mosaizisten, cit., pp. 48-49; sulla condizione giuridica dei mosaicisti vd. an-
che Dunbabin, Mosaics of the Greek and Roman World, cit., pp. 274-275.
326 Parte II. I documenti

Falerio 9

Edizione di riferimento: CIL IX, 5460.


Altre edizioni: G. Marini, ms. 9046 Biblioteca Vaticana, foglio 28962.
Bibliografia: Diebner, Sfera dei sepolcri, cit., p. 88; Aubert, Business Mana-
gers, cit., p. 454, n°B126; Delplace, Romanisation, cit., p. 103, n°80; Carlsen,
Vilici, cit., p. 95, nota 308.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione dovrebbe provenire dalla località di Massa
Fermana, pochi chilometri a nord del sito dell’antica Falerio, che ci ha
restituito altre due epigrafi funerarie963.
Luogo di conservazione: Pinacoteca Civica di Massa Fermana (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: semplice stele rettangolare in calcare, ora spezzata in due
frammenti, di cui il minore comprende il bordo superiore destro della nicchia in
cui si trova il ritratto del defunto, le prime 3 lettere di l. 1 e parte della prima
lettera di l. 2; lo specchio epigrafico non è delimitato da corniciatura.
Elementi iconografici: al di sopra delle due linee di testo, in una nicchia ap-
pare il busto del giovane defunto.
Mestiere: vilicus.
Datazione: tanto l’estrema semplicità del formulario e dell’impaginato, quanto
le caratteristiche paleografiche, suggeriscono una datazione alla fine del I sec.
a.C., comunque non oltre i primi anni del secolo seguente.
Testo: Sermo, Apolloni / vilici v(erna), v(ixit) a(nnis) vel a(nnos) VI.
l. 2: l’ultima I di vilici appare leggermente montante rispetto alle altre lettere.
a(nnos) CIL964.
Interpunzioni a punto semplice, utilizzate a l. 2 per dividere le parole.
Commento
L’iscrizione in oggetto è il semplice epitafio del verna di un vilicus, morto
in giovanissima età, giusto lo scioglimento delle sigle nell’ultima linea proposto

962 Cf. Buonocore, Miscellanea epigraphica. VI, cit., p. 217.


963 Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit., p. 342, n°398; Delplace,
Romanisation, cit., p. 103, n°80. Gli altri documenti epigrafici provenienti da Massa Fermana
sono CIL IX, 5498 e 5501; in particolare la prima presenta alcuni punti di contatto con l’epitafio
di Sermo, per formulario e paleografia, anche se non per tipologia monumentale, come si può ve-
rificare nella fotografia pubblicata da Diebner, Frühkaiserzeitliche Urnen, cit., tav. 41, fig. 1 :
Vitellus / v(ixit) a(nnis) vel a(nnos) XVII. / Praesentia / Accepta mate[r] / fecit.
964 Nell’epigrafia sepolcrale di Falerio la durata della vita o del matrimonio, quando non ab-
breviata, si trova espressa sia caso ablativo (CIL IX, 5471; 5478 (durata del matrimonio) e in CIL
IX, 5517 = ILCV 1737 = L. Gasperini, Spigolature epigrafiche marchigiane (VI-VII), «Picus», 9
(1989), pp. 14-17 = ICI X, 20, ove peraltro la durata del matrimonio è espressa in accusativo), sia
in accusativo (cf. L. Gasperini, Spigolature epigrafiche marchigiane (I-III), «Picus», 2 (1981),
pp. 60-61 = AE 1985, 342, ripresa da L. Gasperini, Cimeli epigrafici a Montegiorgio (Ascoli Pi-
ceno), «Miscellanea di studi marchigiani in onore di Febo Allevi», a cura di G. Paci, Agugliano
1987, pp. 146-147, n°5 ( = Id., Antiche iscrizioni a Montegiorgio (dall’età preromana a Sisto
V), Montegiorgio 1987, pp. 14-15, n°5) = AE 1990, 299; Gasperini, Spigolature (VI-VII), cit., p.
8, n°1 = AE 1992, 514 = ICI X, 21, in riferimento alla durata del matrimonio).
Parte II. I documenti 327

dal CIL, per la quale non mi sembra si possa proporre alcuna alternativa con-
vincente965.
Il cognome del defunto, Sermo, altrimenti ignoto nel Piceno, sembra es-
sere in effetti molto raro in tutta la documentazione epigrafica966. Nonostante
qui appaia per un verna, il cognome non doveva avere una speciale coloritura
servile, dal momento che venne portato dal tribuno della plebe del 172 a.C. M.
Marcius967. Assai meglio noto il nome del vilicus, Apollonius, anche se questa
pare essere l’unica attestazione nella regio V968.
Interessa qui in particolare l’attestazione di un vilicus: il nome di mestiere
di vilicus trae chiaramente origine da villa, come già scriveva Varrone969.
L’etimologia varroniana indica che la prima e principale funzione svolta dal vi-
licus fu quella di fattore, con compiti di direzione dei lavori agricoli in una te-
nuta, sulla base delle disposizioni dettate dal proprietario, e di controllo sul per-
sonale, in genere servile, che prestava la propria opera nella tenuta stessa e sulle
attrezzature agricole. Tra i compiti del vilicus rusticus poteva rientrare anche
l’acquisto di quanto poteva risultare necessario per la conduzione della villa o
anche la vendita di parte della produzione, sebbene negli autori de re rustica la
preoccupazione di limitare al massimo tali attività commerciali sia costante970.
Per traslato, tuttavia, i vilici appaiono nella documentazione letteraria ed
epigrafica anche come sovrintendenti, al servizio di privati come di comunità
pubbliche o della casata imperiale, in settori diversi da quello strettamente agri-
colo, come nel caso dei vilici addetti agli horti, alle abitazioni urbane, agli hor-
rea, agli acquedotti, alle biblioteche o alle terme, come amministratori di un la-

965 Un altro verna è attestato nella documentazione di Falerio da CIL IX, 5481, che presenta una
struttura per taluni aspetti simile a quella dell’iscrizione in oggetto.
966 Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 364 registra appena 4 attestazioni in CIL, oltre a quella d i
Falerio.
967 Sul personaggio vd. F. Münzer, Marcius 102, «P.W.», XIV, 2 (1930), col. 1595.
968 Forse compariva nella lacunosa CIL IX, 5207 da Asculum, ove, a l. 3, si legge P(ublius)
P(ubli) l(ibertus) Apo[---], lasciando sottinteso il gentilizio, che era probabilmente il medesimo
del personaggio nominato in precedenza, P. Caleida[---] P. l. Antioc[us]. Per le numerosissime
attestazioni urbane vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, pp. 275-280; III, 1357;
Id., Sklavennamen, cit., II, pp. 268-270. In Aubert, Business Managers, cit., p. 454, n°B126 e i n
Carlsen, Vilici, cit., p. 95, nota 308 il personaggio è erroneamente chiamato Apollo.
969 Varro, Rust., I, 2, 14: Vilicus agri colendi causa constitutus atque appellatus a villa … .
Meno fondati appaiono gli accostamenti proposti da Varrone nel medesimo passo tra vilicus e i
verbi convehere ed evehere, cf. Carlsen, Vilici, cit., p. 27.
970 Sui compiti e il ruolo dei vilici rustici vd. E.H. Oliver, Roman Economic Conditions to the
Close of the Republic, Toronto 1907, pp. 83-86; K.D. White, Roman Farming, London 1970, pp.
353-354; R. Martin, “Familia rustica”: les esclaves chez les agronomes latins, «Actes du collo-
que 1972 sur l’esclavage», Paris 1974, pp. 269-276; D. Flach, Römische Agrargeschichte, Mün-
chen 1990, pp. 171-172; Aubert, Business Managers, cit., pp. 169-173 e soprattutto Carlsen, Vi-
lici, cit., pp. 70-80; Id., I sovrintendenti degli affittuari durante il principato, «Terre, proprie-
tari e contadini dell’impero romano. Dall’affitto agrario al colonato tardoantico», a cura di E.
Lo Cascio, Roma 1997, pp. 47-60; sul ruolo del vilicus nella commercializzazione dei prodotti
del fondo agricolo, alla luce di Dig., XIV, 3, 16, vd. Di Porto, Impresa agricola, cit., pp. 3237-
3239.
328 Parte II. I documenti

boratorio artigianale971, o ancora come i vilici che prestavano la loro opera in


qualche ufficio dell’amministrazione finanziaria972.
In mancanza di ulteriori specificazioni, nulla di certo si può dire riguardo
alle funzioni assolte da Apollonio: il luogo di ritrovamento, nell’agro di Falerio,
lascia tuttavia ipotizzare che il nostro fosse probabilmente un fattore incaricato
della conduzione di una tenuta agricola, dunque un vilicus rusticus. Lo stesso to-
ponimo della località dalla quale proviene l’epigrafe, Massa Fermana, potrebbe
suggerire l’esistenza nell’area di una grande proprietà, che per qualche tempo
venne retta dal fattore Apollonio; naturalmente questa constatazione altro non
può essere che un semplice spunto di ricerca, che andrebbe verificato soprat-
tutto alla luce delle prime occorrenze del toponimo, forse di origine medievale e
non direttamente collegato alla struttura della proprietà nell’evo antico973.
L’onomastica del vilicus Apollonio, in particolare il nome unico greca-
nico, lascerebbe intendere che egli fosse uno schiavo, una conclusione che po-
trebbe accordarsi bene con quanto sappiamo della condizione sociale dei vilici in
genere974, ma che non può essere affermata con assoluta certezza, in ragione del
fatto che la formula onomastica può essere stata espressa qui anche nella forma
abbreviata, con il solo cognomen di un libero o di un liberto.
La difficoltà da parte dei proprietari terrieri di controllare puntualmente
diverse tenute, talvolta collocate a grande distanza dal loro luogo di residenza,
lasciava ai vilici una certa autonomia, di cui essi potevano approfittare per in-
crementare il loro peculium con piccoli affari più o meno leciti. L’agiatezza,

971 Cf. Aubert, Workshop Managers, cit., pp. 171-181, partic., pp. 173-174.
972 Per l’attività dei vilici in settori diversi da quello agricolo vd. da ultimo Aubert, Business
Managers, cit., pp. 173-175; Carlsen, Vilici, cit., pp. 31-55. L’estendersi delle funzioni del vili-
cus si nota anche nella definizione proposta da Isid., Orig., IX, 33: vilicus proprie villae guber-
nator est. Unde et a villa vilicus nomen accepit. Interdum autem vilicus non gubernationem vil-
lae sed dispensationem universae domus, Tullio interpretante, significat, quod est universarum
possessionum et villarum dispensatorem; chiara la dipendenza di Isidoro da un passo di Hier.,
Epist., 121, 6, di cui tuttavia forza in qualche misura il senso: Gerolamo in effetti, a ben vedere,
distingue tra il vilicus e il dispensator, termine latino col quale egli traduce il greco oijkonovmo"
che trovava nei Vangeli, e che più propriamente definisce colui che sovrintendeva a tutte le
attività domenstiche: “Homo quidam erat dives, qui habebat vilicum” sive “dispensatorem”,
hoc enim oijkonovmo" significat. Vilicus autem proprie villae gubernator est, unde et a villa
vilicus nomen accepit. Oijkonovmo" autem tam pecuniae, quam frugum, et omnium quae dominus
possidet, dispensator est. Unde, et oijkonovmo" Xenophontis pulcherrimus liber est, qui non
gubernationem villae, sed dispensationem universae domus (Tullio interpretante) significat.
Iste igitur dispensator accusatus est a dominus suum … .
973 Sulla massa come forma di proprietà nell’Italia tardoantica vd. ora D. Vera, Massa fundorum.
Forme della grande proprietà e poteri della città fra Costantino e Gregorio Magno, «MEFRA»,
111 (1999), pp. 991-1025, con raccolta e studio delle attestazioni.
974 La possibilità che esistessero fattori di nascita libera è stata oggetto di dibattito negli ultimi
decenni, cf. tra gli altri R. Beare, Were Bailiffs ever Free-Born?, «CQ», 28 (1978), pp. 398-401;
W. Scheidel, Free-Born and Manumitted Bailiffs in the Graeco-Roman World, «CQ», 40 (1990),
pp. 591-593; H.G. Teitler, Free-Born Estate Managers in the Graeco-Roman World, «De agricul-
tura. In memoriam Pieter Willem De Neeve (1945-1990)», Amsterdam 1993, pp. 206-213; Aubert,
Business Managers, cit., pp. 149-157; Carlsen, Vilici, cit., pp. 67-69; la prevalenza dell’elemento
servile tra i vilici è comunque fuori discussione. Alcuni casi di vilici di statuto libertino i n
Herrmann-Otto, Ex ancilla natus, cit., p. 366, nota 48.
Parte II. I documenti 329

pur modesta, di cui i fattori godevano è dimostrata dalla documentazione epi-


grafica, in cui i vilici appaiono di frequente come dedicanti di iscrizioni votive o
di epitafi per sé e per i propri familiari975. Nel caso dell’iscrizione in esame, an-
che se non esplicitamente attestato, si può ragionevolmente sospettare che a
curare l’iscrizione funeraria del giovane Sermo fosse stato lo stesso vilicus
Apollonio.
L’iscrizione di Falerio offre l’occasione di accennare brevemente al rap-
porto tra il mestiere di vilicus e lo statuto di verna: il proprietario del fondo
spesso non aveva la possibilità di tenere sotto costante e puntuale controllo
l’amministrazione delle sue tenute e doveva in larga misura affidarsi alla compe-
tenza e all’onestà del suo fattore: è dunque naturale che in molti casi i vilici
venissero scelti tra gli schiavi nati in casa, ritenuti più affidabili di quelli
acquistati sul mercato, anche se per la verità la maggior parte delle attestazioni
epigrafiche di vilici vernae riguarda impiegati al servizio dell’amministrazione
finanziaria imperiale976. A questo proposito è opportuno ricordare come
Columella raccomandasse di scegliere come vilicus solamente gli schiavi abituati
fin dall’infanzia alla vita dei campi977. Non è dunque improbabile che il giovane
verna Sermo, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato avviato al mestiere di fat-
tore: una morte immatura glielo impedì.
Immagine: Tav. XXXVII. Diebner, Sfera dei sepolcri, cit., p. 88, fig. 6.

975 I caratteri della documentazione epigrafica relativa ai vilici rustici, con particolare atten-
zione agli aspetti religiosi e sociali che ne emergono, sono stati studiati da Carlsen, Vilici, cit.,
pp. 80-85; 94-101.
976 Cf. Herrmann-Otto, Ex ancilla natus, cit., p. 137 e nota 107; pp. 364-368, partic. 366-367; p.
422; Carlsen, Vilici, cit., pp. 64-67, con rimandi alla documentazione rilevante.
977 Colum., I, 8, 1-2: igitur praemoneo ne vilicum ex eo genere servorum, qui corpore placue-
runt, instituamus, ne ex eo quidem ordine, qui urbanas ac delicatas artis exercuerit. Socors et
somniculosum genus id mancupiorum, otiis, campo, circo, theatris, aleae, popinae, lupanaribus
consuetum, numquam non easdem ineptias somniat, quas cum in agri culturam transtulit, non
tantum in ipso servo quantum in universa re detrimenti dominus capit. Eligendus est rusticis
operibus ab infante duratus et inspectus experimentis. Sul passo vd. Petermandl, Kinderarbeit,
cit., pp. 117; 119.
330 Parte II. I documenti

Falerio 10

Edizione di riferimento: CIL IX, 5439.


Altre edizioni: G. De Minicis, Teatro di Falerone, «Bull. Inst.», (1839); ora
in «Scritti su Falerone romana», a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli 1995
(Picus Supplementi III), pp. 48-50; ILS 1368; Waltzing, Étude, cit., III, pp.
418-419, n°1605; Walser, Inschrift-Kunst, cit., pp. 58-59, n°18; Forbis, Muni-
cipal Virtues, cit., pp. 178-179, n°277.
Bibliografia: A. Stein, Cornasidius 1-2, «P.W.», IV, 1 (1900), col. 1247; Id.,
Der römische Ritterstand, cit., p. 183; PIR 2 C 1299-1300; A. Stein, Die
Reichsbeamten von Dazien, Budapest 1944, p. 82; Pflaum, Carrières, cit., II,
pp. 601-602, n°226; G. Cerulli Irelli - P. Moreno, Alcune iscrizioni di Falerone,
«ArchClass», 13 (1961), p. 164, ora in Scritti su Falerone romana, cit., p. 297;
J. Prieur, La province romaine des Alpes Cottiennes, Villeurbane 1968, p. 90; R.
Cavenaile, Prosopographie de l’armée romaine d’Égypte d’Auguste à Diocle-
tien, «Aegyptus», 50 (1970), pp. 213-320; Bonvicini, Schizzi inediti, cit., p.
143; N. Criniti, Supplemento alla prosopografia dell’esercito romano d’Egitto
da Augusto a Diocleziano, «Aegyptus», 53 (1973), p. 113, n°674; Id., Sulle
forze armate romane d’Egitto: osservazioni e nuove aggiunte prosopografiche,
«Aegyptus», 59 (1979), p. 224, n°674; Cracco Ruggini, Associazioni, cit., p.
116, nota 121; H. Devijver, The Roman Army in Egypt (with Special Reference
to the Militiae Equestres), «ANRW», II, 1, Berlin - New York 1974, pp. 465-
466, n°3; Id., De Aegypto, cit., pp. 55-56, n°48; Id., Prosopographia, cit., I, p.
291; IV, p. 1524; V, p. 2077, n°C225; H.-J. Kellner, Zur Geschichte der Alpes
Graiae et Poeninae, «CSDIR», 7 (1975-1976), pp. 387; 389, n°11; J. Prieur,
L’histoire des régions alpestres (Alpes Maritimes, Cottiennes, Graies et Pennines
sous le haut-empire romain (Ier - IIIe siècle après J.C.), «ANRW», II, 5, 2,
Berlin - New York 1976, p. 654; G. Winkler, Alpes 1, «P.W.», S. XV (1978),
col. 8; M. Malavolta, Osservazioni su un nuovo cursus equestre da Falerio,
«Settima Miscellanea greca e romana», Roma 1980, pp. 471-472, ora in Scritti
su Falerone romana, cit., pp. 308-309; D. Liebs, Das ius gladii der römischen
Provinzgouverneure in der Kaiserzeit, «ZPE», 43 (1981), p. 219; B.E.
Thomasson, Laterculi praesidum, I, Gothoburgi 1984, col. 67, n°7; C. Saulnier,
Laurens Lauinas. Quelques remarques à propos d’un sacerdoce équestre à
Rome, «Latomus», 43 (1984), p. 527, nn. 15-16; Duthoy, Profil, cit., p. 142,
nn. 126-127; M. Reddé, Mare nostrum. Les infrastructures, le dispositif et
l’histoire de la marine militaire sous l’empire romain, Rome 1986, p. 678; G.
Walser, Via per Alpes Graias. Beiträge zur Geschichte des Kleinen St.
Bernhard-Passes in römischer Zeit, Stuttgart 1986 (Historia Einzelschriften
48), pp. 32-33, n°11; Petraccia Lucernoni, Questori, cit., pp. 187-188, n°280;
W. Eck, Die Leitung und Verwaltung einer prokuratorischen Provinz, «La Valle
d’Aosta e l’arco alpino nella politica del mondo antico. Atti del convegno in-
ternazionale di studi, St. Vincent, 25-26 aprile 1987», Aosta 1988, pp. 113-
114; ora in Die Verwaltung des Römischen Reiches in der Hohen Kaiserzeit.
Ausgewählte und erweiterte Beiträge, Basel - Berlin 1995, pp. 336-337; Catani,
Scavi pontifici, cit., pp. 199; 210; 214; Catani, Scavi pontifici, cit., pp. 199;
Parte II. I documenti 331

215-216, n°2; Mrozek, Unterschichten, cit., p. 55; Bonvicini, Falerone


dall’antichità al medioevo, cit., p. 55; p. 113, n°22; Delplace, Romanisation,
cit., p. 80; Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico al Medio-
evo, cit., p. 55; F. Wiblé, Deux procurateurs du Valais et l’organisation de deux
districts alpins, «Antiquité Tardive», 6 (1998), p. 188; p. 191, n°15; Forni,
Tribules 2, cit., p. 441; A. Magioncalda, I governatori delle province
procuratorie: carriere, «L’ordre équestre. Histoire d’une aristocratie (IIe siècle
av. J.-C. - IIIe siècle ap. J.-C.)», a cura di S. Demougin - H. Devijver - M.T.
Raepsaet-Charlier, Rome 1999, p. 400 e nota 34; pp. 405-406; p. 454, n°68;
Landolfi, Falerio Picenus, cit., p. 112; Maraldi, Falerio, cit., p. 16.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne rinvenuta in occasione degli scavi
del maggio 1777, vero la metà del mese, in contrada Piani di Falerone, nel sag-
gio di scavo eseguito nei pressi della strada che divideva i possedimenti della fa-
miglia Olivieri da quelli del Monastero di S. Pietro978.
Luogo di conservazione: Roma, Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani, murata
nella parete 37, al n°39979. Una copia (incompleta) dell’iscrizione si conserva
presso il Museo Archeologico civico di Falerone980.
Tipo di supporto: lastra marmorea, che originariamente doveva far parte di
una base, destinata a supportare la statua di cui si fa menzione nel testo981.
Collegio: collegia fabrum, centonariorum, dendrophorum.
Datazione: riguardo la collocazione cronologica dell’epigrafe un punto fermo è
dato dal titolo di egregiae memoriae vir, che fornisce un termine post quem alla
seconda metà del II sec. d.C.982 Uno spunto per precisare la datazione è forse

978 Ne fornisce notizia il notaio di Falerone B. Agabiti nel manoscritto pubblicato da Bonvicini,
Schizzi inediti, cit., p. 143; cf. anche la mappa dell’Agabiti a p. 142, ove il luogo preciso di rin-
venimento è distinto dal n°2; cf. anche Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p.
113, n°22. Sulle circostanze del rinvenimento e i primi studi dell’iscrizione vd. anche Catani,
Scavi ponitifici, cit., pp. 215-216, con rimandi ai documenti manoscritti rilevanti, pubblicati i n
appendice.
979 Di Stefano Manzella, Iscrizioni latine municipali, cit., p. 28; Id., Inscriptiones Sanctae Sedis
1, cit., p. 137 e p. 245, fig. 48a. La consegna dell’iscrizione CIL IX, 5439, insieme all’epigrafe che
ricordava la costruzione di una via lastricata (sulla quale vd. supra, pp. 309-319, Falerio 7), per
il suo trasporto a Roma è registrata nel rogito del già ricordato notaio di Falerone B. Agabiti del
21 maggio 1777, ora pubblicato da Bonvicini, Schizzi inediti, cit., pp. 150-151; cf. anche
Pietrangeli, La raccolta epigrafica vaticana nel Settecento. II, p. 52, n°165.
980 Cf. Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 169, fig. XXXV b.
981 Per il taglio della base, finalizzato a facilitare il trasporto dell’iscrizione a Roma dopo la sua
scoperta nel 1777, vd. Catani, Scavi pontifici, cit., p. 119.
982 Su questa base suggeriscono le loro datazioni A. Stein, Cornasidius 1, «P.W.», IV, 1 (1900),
col. 1247: dopo la metà del II sec. d.C.; Id., Der römische Ritterstand, cit., p. 183; Cavenaile,
Prosopographie, cit., p. 242, n°674, seguito da Criniti, Supplemento, cit., p. 113, n°674: età d i
Marco Aurelio. Mrozek, Unterschichten, cit., p. 55 riporta una generica datazione al II-III sec.
d.C.; Delplace, Romanisation, cit., p. 67, nota 175 suggerisce genericamente una datazione al II
sec. d.C., in ragione della comparsa della carica di procurator Daciae Apulensis. Sulle implica-
zioni cronologiche della comparsa del titolo di vir egregius, al quale chiaramente si connette
quello di egregiae memoriae vir, vd. particolarmente O. Hirschfeld, Die Rangtitel der römischen
Kaiserzeit, «Sitzungsberichte der Berliner Akademie», (1901), pp. 579-610; ora in Kleine
Schriften, Berlin 1913, pp. 646-681; H.-G. Pflaum, Titulature et rang social sous le Haut-Em-
332 Parte II. I documenti

offerto dal governo congiunto dei due distretti delle Alpes Atractianae e delle
Alpes Poeninae nelle mani di T. Cornasidio Sabino, un incarico che H.-G.
Pflaum aveva suggestivamente collegato alle tensioni tra Settimio Severo e
Clodio Albino negli ultimissimi anni del II sec. d.C. Il recente rinvenimento di
un’epigrafe in cui viene onorato un altro procurator Alpium Atrectianarum et
vallis Poeninae, il cui ufficio sembra potersi datare proprio sullo scorcio finale
del II sec. d.C., porta un nuovo argomento all’ipotesi dell’epigrafista fran-
cese983. Accettando questa ricostruzione il testo di Falerio, che venne redatto
quando Cornasidio Sabino era già morto, deve risalire agli inizi del III sec. d.C.,
una datazione che pare accodarsi con le caratteristiche paleografiche del te-
sto984.
Testo: T(ito) Cornasidio / T(iti) f(ilio) Fab(ia tribu) Sabino, e(gregiae)
m(emoriae) v(iro), / proc(uratori) Aug(usti) Daciae Apulensis, proc(uratori) /
Alpium Atractianar(um) et Poeninar(um) / iur(e) glad(i), subpraef(ecto)
class(is) pr(aetoriae) Raven(natis), / praef(ecto) alae veter(anae) Gallor(um),
trib(uno) leg(ionis) II / Aug(ustae), praef(ecto) coh(ortis) I Mont(anorum),
p(atrono) c(oloniae), auguri Laur(entium) / Lavin(atium), aed(ili), II vir(o)
q(uin)q(uennali), q(uaestori) p(ecuniae) p(ublicae) / collegia fabrum
centon(ariorum) dendrophor(orum) / in honorem / T(iti) Cornasidi / Vesenni
Clemenfltis / fili eius, equo publico, Laur(entis) / Lavin(atis), patroni plebis et

pire, «Recherches sur les structures sociales dans l’antiquité classique. Caen 25-26 avril
1969», Paris 1970, pp. 177-180.
983 Pflaum, Carrières, cit., II, p. 602. Per il nuovo documento sul procurator Alpium Atrectia-
narum et vallis Poeninae vd. infra, p. 334, nota 994. L’ipotesi ricostruttiva del Pflaum è stata
generalmente accolta, pur con qualche distinguo: cf. per esempio Prieur, La province romaine,
cit., p. 90 (e Id., L’histoire des régions alpestres, cit., p. 654) pone la procuratela delle province
alpine alla fine del II sec. d.C., forse sotto Commodo; Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°64 e p.
173, n°64 data l’epigrafe agli inizi del III sec. d.C.; Devijver, The Roman Army in Egypt, cit., p.
465 (cf. anche Id., De Aegypto, cit., p. 55) colloca le tre milizie equestri di Sabino tra la fine del II
sec. d.C. e gli inizi del secolo seguente; Kellner, Zur Geschichte, cit., p. 387: inizi del III sec.
d.C.; Saulnier, Laurens Lauinas, cit., p. 527, nn. 15-16: età di Settimio Severo; Thomasson, La-
terculi praesidum, cit., col. 67, n°7 pone la procuratela di Sabino sulle Alpes Atractianae et
Poeninae alla fine del II sec. d.C., forse nel 196 d.C.; Duthoy, Profil, cit., p. 142, nn. 126-127 col-
loca l’iscrizione nel periodo V della sua prosopografia, corrispondente agli anni 193-235 d.C.;
Reddé, Mare nostrum, cit., p. 678 data al 195 d.C. circa la subpraefectura della flotta Ravennate;
Petraccia Lucernoni, Questori, cit., p. 188: il testo si data tra la fine del II e l’inizio del III sec.
d.C.; Walser, Inschrift-Kunst, cit., p. 58: circa 200 d.C., in base alla procuratela sulla Dacia Apu-
lensis, che Sabino dovette rivestire negli anni in cui Settimio Severo era impegnato nelle sue
campagne orientali (cf. anche Id., Via per Alpes Graias, cit., p. 33); Wiblé, Deux procurateurs,
cit., p. 188 e tabella a p. 191, n°15, data il governo di Cornasidio Sabino sui due distretti alpini
verso il 196-197 d.C.; Forni, Tribules 2, cit., p. 441: età di Commodo - Settimio Severo.
984 Cf. T. Mommsen, che nel lemma a CIL IX, 5439 notava: tabula marmorea scripta litteris ter-
tii saeculi caudatis; cf. anche Stein, Reichsbeamten, cit., p. 82; Cerulli Irelli - Moreno, Alcune
iscrizioni di Falerone, cit., p. 165; ora in Scritti su Falerone romana, cit., p. 297 che riprendono
la datazione al III sec. d.C. proposta dal Mommsen, ricordando che comunque il testo è poste-
riore alla metà del II sec. d.C., per la presenza dell’epiteto egregiae memoriae vir. Propendono per
una datazione al III sec. d.C. anche Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 55 e
Liebs, Ius gladii, cit., p. 219; Maraldi, Falerio, cit., p. 16 suggerisce prudentemente una data-
zione tra la fine del II sec. d.C. e gli inizi del secolo seguente.
Parte II. I documenti 333

col/legior(um) qui ab ipsis oblatûm / sibi honorem statuae in / patris sui nomen
memo/riamque transmisit.
l. 4: Atrectianar(um) Walser.
l. 6: il numerale è sopralineato.
l. 7: il numerale è sopralineato. CHO De Minicis. praef(ecto) coh(ortis) I
Mont(anorum) P(iae) C(ostantis) Waltzing, Petraccia Lucernoni e Forbis985.
ll. 7-8: aug(uri), Laur(enti) / Lav(inati) ILS.
l. 8: aed(ili), II vir(o), q(uaestori), q(uin)q(uennali) p(er)p(etuo) ILS e Forbis.
Il numerale è sopralineato. Alla fine della linea hedera distinguens.
l. 11: CORNASIDII De Minicis.
l. 13: alla fine della linea hedera distinguens.
l. 18: alla fine della linea hedera distinguens.
Interpunzioni a coda di rondine, con il vertice rivolto a destra, leggermente
verso l’alto, utilizzate con regolarità per dividere le parole; alla fine delle ll. 8,
13 e 18 hederae distinguentes.
Commento
L’iscrizione, che offre numerosi spunti di interesse, ricorda come il pa-
trono dei collegi dei fabri, centonarii e dendrophori di Falerio, il cavaliere T .
Cornasidio Vesennio Clemente, cui le associazioni avevano votato l’erezione di
una statua986, avesse ceduto tale onore al defunto padre T. Cornasidio Sabino.
La gens Cornasidia sembra essere unicamente attestata a Falerio987 dove,
oltre che nel documento in oggetto, ritorna nell’iscrizione onoraria dell’advo-
catus fisci M. Cassius Cornasidius Sabinus, datata da M. Malavolta ai primi an-
ni dell’impero di Settimio Severo e dunque all’incirca coeva all’epigrafe che
stiamo esaminando988. Il nome di M. Cassio Cornasidio Sabino ricorre anche in
una fistula in piombo, rinvenuta sempre a Falerone, nella quale il personaggio
riveste l’ufficio di curam agens col(oniae) [Fal(eronensium ?)]989.
L’onorato non era iscritto alla tribù di gran lunga prevalente a Falerio, la
Velina, ma alla Fabia990, il che potrebbe suggerire una più o meno lontana ori-

985 Cf. tuttavia nel commento di Petraccia Lucernoni, Questori, cit., p. 188: praefectus cohortis I
Montanorum P. F. (sic) e patrono di Falerio.
986 Il Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo, cit., p. 160 propone di identificare il mo-
numento onorario per T. Cornasidio Sabino con una statua virile acefala oggi conservata presso
il Museo Archeologico di Falerone (vd. ibid., p. 126, fig. XXII).
987 Cf. Schulze, Eigennamen, cit., pp. 144; 234; 412.
988 L’iscrizione è stata più volte pubblicata e studiata, cf. P. Bonvicini, Falerone. Iscrizioni ro-
mane inedite, «NSc», 83 (1958), pp. 73-74, n°2 (= AE 1960, 257); Cerulli Irelli - Moreno, Alcune
iscrizioni di Falerone, cit., pp. 164-167, ora in Scritti su Falerone romana, cit., pp. 296-301;
Malavolta, Osservazioni, cit., pp. 469-478, ora in Scritti su Falerone romana, cit., pp. 305-314.
989 La fistula venne sommariamente pubblicata da F. Raffaelli, Falerone, Frammenti architetto-
nici ed oggetti varii scoperti presso i resti dell’antico teatro, «NSc», 16 (1891), p. 197 ed è ri-
presa da Cerulli Irelli - Moreno, Alcune iscrizioni di Falerone, cit., p. 164, ora in Scritti su Fale-
rone romana, cit., p. 297 e da Malavolta, Osservazioni, cit., pp. 477-478.
990 Cf. Forni, Tribules 2, cit., p. 441.
334 Parte II. I documenti

gine della famiglia dalla vicina Asculum, i cui cittadini appaiono per lo più in-
quadrati appunto nella tribù Fabia991.
La carriera del cavaliere T. Cornasidio Sabino si svolse su due piani diffe-
renti, a livello centrale e a livello locale. Le tappe della carriera centrale di
Sabino, qui menzionate in ordine inverso, lo portarono in primo luogo a rive-
stire diversi incarichi militari: le tre milizie equestri, con la prefettura della co-
orte I Montanorum, di stanza nella Pannonia inferiore, il tribunato della II le-
gione Gallica, i cui accampamenti si trovavano allora in Britannia, e infine la
prefettura dell’ala veterana Gallorum, acquartierata in Egitto992.
Successivamente Sabino si volse alla carriera amministrativa, divenendo in
successione subpraefectus della flotta imperiale di Ravenna993, procuratore del
distretto delle Alpes Atractianae et Poeninae con ius gladii, dunque gover-
natore, con giurisdizione sulle cause che comportavano la pena capitale, di una
provincia formata dalla riunione delle Alpi Pennine e delle Alpi Graie: con
quest’ultima regione vanno in effetti identificate le Alpes Atractianae, che tro-
viamo talvolta nominate nella documentazione epigrafica, più spesso nella
forma Atrectianae994; l’esplicito ricordo dello ius gladii, ovvero della giurisdi-
zione sulle cause che comportavano la pena capitale, non implica che Cornasi-
dio Sabino fosse dotato di poteri eccezionali, se coglie nel segno l’ipotesi di P.A.
Brunt e di W. Eck secondo la quale ogni procuratore - governatore era
normalmente dotato di tale ius, ma era piuttosto intesa a sottolineare il diverso
carattere dell’incarico che portò Sabino nella regione alpina dalla procuratela

991 Considerano il personaggio originario di Asculum Pflaum, Carrières, cit., II, p. 601; Prieur,
La province romaine, cit., p. 90; Devijver, The Roman Army in Egypt, cit., pp. 466; 480; Id., De
Aegypto, cit., p. 56; Criniti, Sulle forze armate romane, cit., p. 224, n°674; Walser, Via per Alpes
Graias, cit., pp. 32-33; Malavolta, Osservazioni, cit., p. 471, nota 3.
992 Sulle milizie equestri di Sabino vd. particolarmente Devijver, The Roman Army in Egypt, cit.,
pp. 465-466, n°3; Id., De Aegypto, cit., pp. 55-56, n°48; Id., Prosopographia, cit., I, p. 291; IV, p.
1524; V, p. 2077, n°C225. In particolare sul comando dell’ala veterana Gallorum in Egitto vd.
Cavenaile, Prosopographie, cit., p. 242, n°674; Criniti, Supplemento, cit., p. 113, n°674; Id.,
Sulle forze armate romane, cit., p. 224, n°674.
993 Cf. Reddé, Mare nostrum, cit., p. 678.
994 Cf. Prieur, L’histoire des régions alpestres, cit., p. 654; Kellner, Zur Geschichte, cit., pp.
387; 389, n°11; G. Winkler, Alpes 1, «P.W.», S. XV (1978), col. 8; Thomasson, Laterculi praesi-
dum, cit., col. 67, n°7; Walser, Via per Alpes Graias, cit., p. 33; Inschrift-Kunst, cit., p. 58; Wiblé,
Deux procurateurs, cit., pp. 181-191, partic. 186-190, secondo il quale governo congiunto dei
due distretti, quello delle Alpi Graie e quello delle Alpi Pennine, risalirebbe già all’età d i
Claudio; Magioncalda, Governatori, cit., p. 400 e nota 34. L’identificazione delle Alpes Atrac-
tianae / Atrectianae con le Alpes Graiae è ora dimostrata dal ritrovamento di un’iscrizione in o-
nore di un procurator Alpium Atrectianarum et vallis Poeninae ad Aime-en-Tarentaise, l’antica
Forum Claudii Ceutronum, che faceva appunto parte del distretto delle Alpi Graie, cf. F. Bérard,
Un nouveau procurateur à Aime en Tarentaise, «Gallia», 52 (1995), pp. 343-358 = AE 1995,
1021. Può essere interessante notare come un altro procurator Alpium Atrectianarum sia noto
nella documentazione epigrafica del Piceno, T. Appalius T. f. Vel. Alfinus Secundus di CIL IX,
5357, dalla vicinissima Firmum.
Parte II. I documenti 335

che rappresentò il culmine della sua carriera nell’amministrazione centrale,


quella sulla Dacia Apulensis, di natura strettamente finanziaria995.
Tra gli uffici di carattere militare ed amministrativo a livello centrale e le
cariche rivestite a Falerio, l’iscrizione registra una funzione religiosa; tale suc-
cessione di cariche nel testo non rispecchia necessariamente l’ordine cronolo-
gico in cui esse vennero assunte poiché nella documentazione epigrafica è ben
nota la consuetudine di indicare le funzioni sacerdotali extra ordinem. Questo
passaggio dell’iscrizione di T. Cornasidio Sabino si presta per la verità ad una
duplice interpretazione: secondo la prima ipotesi, alla quale ho aderito nella tra-
scrizione del testo, Sabino fu augur Laurentium Lavinatium, ovvero augure nel
collegio sacerdotale il cui principale incarico consisteva nella celebrazione a
Lavinio dei riti sacri in onore dei Penati di Troia, strettamente connessi con le
origini stesse di Roma996. La funzione di augur dei Laurentes Lavinates po-
trebbe trovare conforto in cariche parallele come quelle di sacerdos, pontifex,
flamen Laurentium Lavinatium997 e soprattutto in un documento in cui la men-
zione dell’ufficio stesso di augur Laurentium Lavinatium non sembra poter es-
sere messa in dubbio: si tratta di un’iscrizione in onore di Sp. Turranius L. f.
Fab. Proculus Gellianus, databile all’impero di Claudio per la presenza di una
delle caratteristiche lettere che l’imperatore tentò di introdurre nell’uso; nella
lunga carriera di Proculo Gelliano si ricorda tra l’altro che egli fu sacrorum
principiorum p(opuli) R(omani) Quir(itium) nominisque Latinis quai apud
Laurentis coluntur flam(en) Dialis, flam(en) Martial(is), salius praisul, augur,
pont(ifex)998. È forse opportuno richiamare anche un secondo testo, prove-
niente dalla stessa Lavinium, che potrebbe costituire un’ulteriore attestazione
dell’augurato nei sacra di Lavinio: si tratta della lacunosa iscrizione posta dai
[sa]cerdotales e dal [popul]us in onore di [V]alerius Claud(ius) [---] Acilius
Priscilianus, uno dei venti consolari che vennero prescelti per coordinare la di-
fesa dell’Italia contro l’attacco di Massimino il Trace, nella quale la prima ca-

995 Vd. P.A. Brunt, Princeps and equites, «JRS», 73 (1983), p. 57; Eck, Leitung und Verwaltung,
cit., pp. 113-114, ora in Die Verwaltung des Römischen Reiches, cit., pp. 336-337, contro quanto
sostiene Liebs, Ius gladii, cit., p. 219. In particolare sulla procuratela di Cornasidio Sabino nella
Dacia Apulensis vd. Stein, Reichsbeamten, cit., p. 82; Magioncalda, Governatori, cit., pp. 405-
406.
996 Su questo sacerdozio vd. E. De Ruggiero - S. Accame, Lavinium, «Diz. Ep.», IV (1947), p. 479;
Saulnier, Laurens Lauinas, cit., pp. 517-533, con un’appendice prosopografica che mi pare
presentare qualche lacuna.
997 Cf. Saulnier, Laurens Lauinas, cit., pp. 519-520; per il nostro personaggio vd. l’appendice
prosopografica a p. 527, n°15; il richiamo della studiosa all’iscrizione IRT 564 da Leptis Magna
come seconda attestazione dell’augurato dei Laurentes Lavinates non mi pare appropriato; il te-
sto in oggetto in effetti è una dedica ad T. Fl(avius) Frontinus Heraclius, v(ir) p(erfectissimus),
augur, sacerd(os) Lauren(tium) Labinatum (!), II vir; come si comprende dalla punteggiatura
proposta, io sono piuttosto del parere che questa epigrafe ci attesti un augure municipale di Lep-
tis Magna (carica altrimenti nota nella città della Tripolitania, cf. per esempio IRT 375; 396;
605) che fu anche sacerdos Laurentium Lavinatium. L’identificazione di Sabino come augure
dei Laurentes Lavinates suggerita dalla Saulnier è accolta da Delplace, Romanisation, cit., p.
233, nota 37.
998 CIL X, 797 = ILS 5004 da Pompei.
336 Parte II. I documenti

rica ricordata è quella di [a]ugur Laur. Labi[---]: lo scioglimento delle abbrevia-


zioni e la risoluzione delle lacune che mi sembrano più probabili conducono ad
una lettura [a]ugur Laur(entium) Labi[natium], soprattutto in considerazione
del fatto che la carica menzionata in questa posizione di particolare rilievo, in
testa all’epigrafe onoraria, doveva sottolineare in qualche modo il legame tra
l’onorato e i dedicanti, i sacerdoti e il popolo di Lavinium999.
L’esistenza di un ufficio di augur Laurentium Lavinatium non sembra
dunque da mettere in dubbio. Resta il fatto che, con diversa punteggiatura e
scioglimento delle abbreviazioni, si potrebbe suggerire una seconda interpreta-
zione del testo in esame, che farebbe di Sabino un augur, intendendo la carica
sacerdotale locale di Falerio1000, e un semplice Laur(ens) Lavin(as), al pari del
figlio1001. Allo stato attuale delle nostre conoscenze pare difficile pronunciarsi
risolutamente a favore dell’una o dell’altra ipotesi.
A livello locale Sabino percorse tutto il cursus honorum di Falerio, rive-
stendo in successione le cariche di quaestor pecuniae publicae1002, di aedilis1003
e di II vir quinquennalis1004, venendo scelto come patrono dalla comunità: que-
sta in effetti mi sembra essere l’interpretazione più probabile della sigla P C1005,
anche se alcuni studiosi preferiscono vedere nelle due lettere le iniziali degli epi-
teti p(ia) c(onstans), che sarebbero stati attribuiti alla cohors I Montano-
rum1006. La posizione nella quale viene ricordato il patronato, dopo le cariche

999 Edita dopo la pubblicazione del volume XIV del CIL, l’iscrizione di Priscilliano è rifluita i n
AE 1903, 337, in EphEp IX, 593 e infine in ILS 8879. L’interpretazione proposta da H. Dessau
diverge sostanzialmente da quella suggerita nel testo: [---- V]alerio Claud(io) / [---] Acilio
Prisciliano / [--- a]uguri, Laur(enti) Labi/[nati]; il ricordo di un pontificato a Lavinium torne-
rebbe alle ll. 10-11, ove il Dessau interpreta pontifici / [Laur(entium) Lab]i(natium), contro i l
pontifici / [maior]i di AE 1903, 337: una ricostruzione senza dubbio possibile, anche se a mio
parere meno probabile, sulla base delle considerazioni riguardo alla struttura del testo.
1000 Che potrebbe essere attestata dal frammento CIL IX, 5459.
1001 A questa interpretazione sembrano aderire la maggior parte degli studiosi che si sono oc-
cupati dell’iscrizione di Falerio, cf. per esempio gli indici di CIL IX, pp. 772; 780; Waltzing,
Étude, cit., III, pp. 418-419, n°1605; H. Dessau in ILS 1368; A. Stein, Cornasidius 1, «P.W.», IV,
1 (1900), col. 1247; Pflaum, Carrières, cit., II, p. 601; Devijver, The Roman Army in Egypt, cit., p.
465; Id., De Aegypto, cit., p. 55; Petraccia Lucernoni, Questori, cit., p. 188; Walser, Inschrift-
Kunst, cit., p. 58; Forbis, Municipal Virtues, cit., pp. 178-179, n°277.
1002 Cf. Petraccia Lucernoni, Questori, cit., pp. 187-188, n°280. Per la formulazione della carica
il confronto, come suggerisce Delplace, Romanisation, cit., p. 78, nota 272, è con CIL IX, 5455 =
Petraccia Lucernoni, Questori, cit., p. 188, n°281, sempre da Falerio, che ci attesta un q(uaestor)
pub(licae) [pec(uniae)].
1003 Altre attestazioni dell’edilità a Falerio in Delplace, Romanisation, cit., p. 77, nota 266.
1004 Altre attestazioni del duovirato e del duovirato quinquennale a Falerio in Delplace, Roma-
nisation, cit., p. 74.
1005 A questa interpretazione aderiscono tra gli altri gli indici di CIL IX, p. 797; PIR2 C 1299;
Pflaum, Carrières, cit., II, p. 601; Devijver, The Roman Army in Egypt, cit., p. 465; Id., De Ae-
gypto, cit., p. 55; Duthoy, Profil, cit., p. 142, n°126; Walser, Via per Alpes Graias, cit., p. 32;
Maraldi, Falerio, cit., p. 16.
1006 Cf. supra, p. 333, apparato alla l. 7. Vd. inoltre Cichorius, Cohors, «P.W.», IV, 1 (1900), col.
317; E. Ritterling, Die Alpes maritimae als Rekrutierungsbezirk für Truppenteile des römischen
Kaiserheeres, «Klio», 21 (1927), p. 91.
Parte II. I documenti 337

militari e amministrative a livello centrale e prima dei sacerdozi e delle cariche


locali, potrebbe in effetti destare qualche perplessità, dal momento che tale uf-
ficio viene generalmente registrato nelle iscrizioni onorarie al termine del
cursus honorum e immediatamente prima dei dedicanti, come termine chiave
che dava ragione del rapporto esistente tra l’onorato e i dedicanti stessi1007.
L’argomento tuttavia non risulta decisivo: lo schema osservabile nell’iscrizione
di Falerio ritorna in effetti, sostanzialmente immutato, nell’epigrafe onoraria di
T. Appalius T. f. Vel. Alfinus Secundus di Firmum, il cui cursus honorum di-
scendente registra in primo luogo le procuratele (procurator Augusti XX here-
ditatium e procurator Alpium Atrectianarum), poi le prefetture (praefectus ve-
hiculorum, subpraefectus classis praetoriae Ravennatis), le milizie equestri
(praefectus alae I Augustae Thracum, tribunus cohortis I Aeliae Brittonum,
praefectus cohortis IIII Galliarum), il patronato sulla comunità di Firmum
(nella forma patron(us) colon(iae), che non si presta ad interpretazioni ambi-
gue) e di seguito i sacerdozi (flamen divorum omnium, augur) e infine la carica
locale di duoviro quinquennale1008. Si aggiunga che l’abbreviazione P C per
p(atronus) c(oloniae) è altrimenti attestata a Falerio e nel Piceno1009, mentre
gli epiteti di pia e constans, a quanto risulta dalla documentazione in nostro
possesso, non sono altrove noti per la cohors I Montanorum1010.
Sabino dovette trasmettere la propria influenza politica al figlio T .
Cornasidio Vesennio Clemente, anch’egli eques equo publico; questi, almeno al
momento della redazione del testo, per la verità non aveva seguito le orme del
padre nell’amministrazione finanziaria o nell’esercito, ricoprendo unicamente il
sacerdozio Laurens Lavinas1011; tuttavia il suo prestigio a livello locale è dimo-
strato dall’assunzione del patronato sulla plebe di Falerio1012 e sui tre collegi dei

1007 Nella regio V questo schema ritorna per esempio ad Auximum in CIL IX, 5830; 5833; a Fir-
mum in CIL IX, 5363; AE 1975, 353; ad Urbs Salvia in CIL IX, 5533; 5815.
1008 CIL IX, 5357. Ricorderei anche CIL IX, 5841 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 173-175 da Auximum, nella quale il patronato della colonia si inserisce tra
le cariche di praefectus cohortis I Afrorum civium Romanorum equitata, iudex selectus ex V de-
curiis, praetor Auximi e quelle di aedilis e IIvir ad Ancona.
1009 Per Falerio vd. CIL IX, 5440; 5454 (nella rilettura di S.M. Marengo, Interpunzioni e cancel-
lature. Note a C.I.L. IX 5454, 5570, 5740, «Picus», 20 (2000), pp. 223-230; cf. ora anche
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 100-102) e l’iscrizione Falerio
8. Per le altre comunità del Piceno cf. per esempio CIL IX, 5831; 5836; 5839 ad Auximum; CIL IX,
5363; 5365 a Firmum; CIL IX, 5533; 5542 ad Urbs Salvia.
1010 La documentazione relativa a questa unità ausiliaria è stata raccolta da ultimo da J. ‹a£el,
Cohors I Montanorum, «Studien zu den Militärgrenzen Roms III. 13. Internationales Li-
meskongreß Aalen 1983. Vorträge», Stuttgart 1986, pp. 782-786.
1011 Saulnier, Laurens Lauinas, cit., p. 527, n°16; Delplace, Romanisation, cit., p. 233, nota 37.
1012 Duthoy, Profil, cit., p. 142, n°127. Sul senso del termine plebs nella documentazione epi-
grafica dell’Italia vd. da ultimo Mrozek, Unterschichten, cit., pp. 21-31. Dalla tabella di p. 21 s i
nota la relativa frequenza con la quale il termine appare nella regio V. Non del tutto appropriato
il richiamo proposto da Mrozek, Unterschichten, cit., p. 24 ad un’altra iscrizione di Falerio, CIL
IX, 5445 come attestazione del patronato sulla plebe: in questo documento, in effetti la plebs
appare solo nella veste di dedicante di un’iscrizione in onore del patr(onus) col(oniae) M.
Fabius M. f. V[el.] Maximus. Alle attestazioni epigrafiche del termine nel Piceno, raccolte dallo
studioso nelle tabelle di pp. 55-56, aggiungerei, oltre la stessa CIL IX, 5445, CIL IX, 5896 da
338 Parte II. I documenti

fabbri, dei centonari e dei dendrofori1013. La scelta di un notabile locale come


patrono dei tria collegia non stupisce: da questo ceto in effetti proviene la
maggior parte dei patroni della associazioni a noi noti nelle comunità dell’Italia
romana1014.
I dedicanti dell’iscrizione e della statua in onore di T. Cornasidio Sabino
sono i tre collegi dei fabbri, dei centonari e dei dendrofori. Rimandando per i
primi due a quanto esposto in precedenza1015, resta da analizzare il ruolo
dell’associazione dei dendrophori, di cui abbiamo qui l’unica attestazione nella
regio V.
Nella dottrina scientifica i dendrofori occupano una posizione originale
rispetto ad altre associazioni, per la molteplicità di funzioni, di carattere reli-
gioso e insieme professionale e di servizio, che si attribuiscono loro.
Il carattere religioso del collegio dei dendrofori è senza dubbio quello che
emerge con maggiore evidenza dalle fonti in nostro possesso, insieme natural-
mente a quelle finalità di ordine sociale che, come si è avuto modo di sottoline-
are in più occasioni, sono oggetto quasi esclusivo dell’attenzione della documen-
tazione epigrafica sulle associazioni in genere1016.

Ancona, ora studiata da G. Paci, Frammento di iscrizione monumentale da Ancona, «Picus», 16-
17 (1996-1997), pp. 249-253; CIL IX, 5085 = Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 59-61 da Interamnia; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 786,
n°106 = Buonocore, Un’inedita testimonianza, cit., pp. 463-468 (ora in L’Abruzzo e il Molise,
cit., II, pp. 923-930) = AE 1998, 416, dalla medesima località.
1013 Cf. Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°64; p. 173, n°64; p. 190. L’iscrizione di Falerio ed
il patronato sui tre collegi sono brevemente ricordati anche da Cracco Ruggini, Associazioni,
cit., p. 116, nota 121; Delplace, Romanisation, cit., p. 80; Pupilli, Il territorio del Piceno cen-
trale dal Tardoantico al Medioevo, cit., p. 55, ove ovviamente non si può concordare con
l’affermazione che “esponenti di collegia sono i patroni”, con esplicito richiamo al caso di T.
Cornasidio Vesennio Clemente; il fatto che l’iscrizione non ricordi alcuna carica di Clemente
all’interno dell’associazione, come avremmo dovuto attenderci se egli, notabile locale di rango
equestre, ne fosse stato membro, lascia piuttosto pensare che fabri, centonarii e dendrophori
avessero scelto come patrono un personaggio esterno ai loro collegia, come del resto appare d i
regola nella documentazione relativa alle associazioni professionali della regio V, cf. infra, pp.
598-601.
1014 Vd. Clemente, Patronato, cit. pp. 186-187.
1015 Vd. supra, pp. 240-244, per i fabri, pp. 225-227 per i centonarii.
1016 In genere sulla funzione religiosa del collegio dei dendrofori vd. Waltzing, Étude, cit., I, pp.
243-248; F. Cumont, Dendrophori, «P.W.» V, 1 (1903), col. 218-219; H. Hepding, Attis. Seine
Mythen und sein Kult, Gieszen 1903, pp. 145-155; S. Aurigemma, Dendrophori, «Diz. Ep.», II,
(1910), pp. 1673-1681; D. Ladage, Städtische Priester- und Kultämter im Lateinischen Westen
des Imperium Romanum zur Kaiserzeit, Diss. Köln 1971, pp. 126-131; G. Thomas, Magna Mater
and Attis, «ANRW», II, 17, 3, Berlin - New York 1984, pp. 1529-1530; R. Rubio Rivera, Colle-
gium dendrophorum: corporación profesional y cofradía metróaca, «Gerión», 11 (1993), pp.
175-183; Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 56-57; F. Boscolo, I dendrofori nella regio XI, «Pata-
vium», 18 (2001), pp. 33-48. Frézouls, Noms des métiers, cit., pp. 36-37, proprio in considera-
zione della connotazione religiosa dei dendrofori, esclude i loro collegia dalla sua analisi delle
occupazioni nelle province della Gallia e della Germania. In genere sull’associazione vd. anche J.
Gascou, Les dendrophores d’Aix-en-Provence d’après une inscription récemment découverte,
«RAN», 16 (1983), pp. 164-165.
Parte II. I documenti 339

Il nome stesso di dendrophori, di chiara origine greca, si discosta dalla


consuetudine che vede prevalere di gran lunga nel vocabolario dei mestieri del
mondo romano le formazioni in lingua latina, e avvicina piuttosto l’associazio-
ne a sodalizi di carattere eminentemente religioso, come quello dei cannophori
o degli hastiferi1017.
Le fonti letterarie del resto ci forniscono esplicita attestazione del ruolo
fondamentale dei dendrofori nel culto della Magna Mater e del giovane da lei
amato, Attis: era loro compito in effetti, trasportare solennemente in proces-
sione un sacro pino, l’albero sotto il quale Attis si era evirato e nel quale, se-
condo la versione del mito registrata da Ovidio1018, egli era stato trasformato;
tale dendrophoria, che avrebbe dato il nome al collegio addetto ad essa, si svol-
geva il 22 marzo e si concludeva nel tempio della Gran Madre degli dei, sul Pala-
tino. In tale forma ufficiale il culto della Magna Mater sarebbe stato istituito da
Claudio: in effetti prima di tale periodo non abbiamo attestazioni di dendrofori
né nella documentazione letteraria né in quella epigrafica1019.
I legami tra i dendrofori e il culto metroaco sono del resto confermati da
svariati elementi che emergono dalle testimonianze epigrafiche, a partire dal
nome stesso dell’associazione, che a Roma è ufficialmente quello di collegium
dendrophorum Matris deum M(agnae) Id(aeae) et Attis (CIL VI, 30973), a Bo-
villae di col(l)egium salutar(is) den[drophorum] sanctum Matri Deum M[agnae
Ideae] (AE 1927, 115), o da quello dei suoi aderenti che, in un documento di
origine urbana, è di dendrophorus M(atris) d(eum) M(agnae) (CIL VI, 641).
L’albo dei dendrofori di Cuma ci informa non solo del fatto che l’associazione
era stata creata ex s(enatus) c(onsulto), ma che essa era posta sotto la
sorveglianza del collegio dei XV viri sacris faciundis di Roma, il collegio
sacerdotale che sovrintendeva all’introduzione e allo svolgimento dei culti di
origine straniera, tra i quali anche quello votato alla dea di Pessinunte1020.

1017 Su questi due sodalizi religiosi, strettamente connessi con il culto della Magna Mater, al
pari dei dendrofori, vd. tra gli altri F. Cumont, Cannophorus, «Diz. Ep.», II (1900), pp. 80-81; E.
De Ruggiero, Hastiferi, «Diz. Ep.», III (1906), p. 653; D. Fishwick, The Cannophori and the
March Festival of Magna Mater, «TAPhA», 97 (1966), pp. 193-202; Id., Hastiferi, «JRS», 5 7
(1967), pp. 142-160; Thomas, Magna Mater, cit., pp. 1530-1532.
1018 Ovid., Met., X, 103-105.
1019 Testo chiave per l’istituzione della dendrophoria in onore di Attis è Lyd., Mens., IV, 59: Th'/
pro; devkamia'" Kalendw'n ∆Aprilivwn devndron pivtu" para; tw'n dendrofovrwn ejfevreto ejn tw'/
Palativw./ Th;n de; eJorth;n Klauvdio" oJ basileu;" katesthvsato. Non è certo il caso di riprendere
qui la sterminata bibliografia sui culti metroaci o sul rilievo politico che ebbe l’introduzione
del culto della Magna Mater a Roma; tra i testi di riferimento mi limito a segnalare G. Sfameni
Gasparro, Soteriology and Mystic Aspects in the Cult of Cybele and Attis, Leiden 1985 (EPRO
103); la raccolta di studi curata da E.N. Lane, Cybele, Attis and Related Cults. Essays in Memory
of M.J. Vermaseren, Leiden - New York - Köln 1996 (Religions in the Graeco-Roman World 131);
M.G: Lancellotti, Attis. Between Myth and History: King, Priest and God, Leiden - Boston - Köln
2002 (Religions in the Graeco-Roman World 149), partic. pp. 75-84 sul culto di Attis a Roma.
1020 CIL X, 3699: Ex s(enatus) c(onsulto) dendrophori creati qui sunt / sub cura XV vir(orum)
s(acris) [f(aciundis)] cc(larissimorum) vv(irorum). Si soffermano sulla testimonianza Waltzing,
Étude, cit., I, p. 247 (seguito da Cumont, Dendrophori, cit., col. 218), che interpreta Ex senatus
consulto in riferimento alla curia locale di Cuma, e Aurigemma, Dendrophori, cit., pp. 1688-
340 Parte II. I documenti

Nella gerarchia interna dell’associazione spiccano funzioni di carattere


religioso, legate al culto metroaco, che sono sostanzialmente estranee alle altre
associazioni di mestiere: così per esempio in un’iscrizione da Utica, che ricorda
un criobolio ed un’ara dedicata alla Magna Mater, il celebrante è C. Rombius
Felix, dendroforus apparator1021; a Tomi è attestato invece un archidendro-
phorus C. Antonius Eutyches1022; dalla medesima città del Mar Nero proviene
anche un’interessante iscrizione greca dell’età di Settimio Severo, che sembra
conservarci l’albo del locale collegio dei dendrofori: da questo documento ap-
prendiamo che l’associazione comprendeva, oltre a due ajrcidendrofovroi, un
iJereuv" e una ajrcirabdouci'sa1023. In altre occasioni funzioni sacerdotali for-
malmente esterne al collegio vengono comunque rivestite da singoli suoi mem-
bri: è il caso per esempio di L. Pompeius Felix, immunis dendr(ophorus) Sues-
sul(anus) et sacerd(os) M(atris) d(eum) XV vir(alis) in vico Novanensi1024, o del
sacerdos Matris deum L. Ampius Stephanus, quinquennalis e patrono
dell’associazione a Cuma1025. Di converso, siamo a conoscenza di qualche caso
in cui sacerdoti del culto metroaco che non appartenevano al collegio sono au-
tori di evergesie nei confronti dell’associazione1026. Infine, come era ovvio at-
tendersi, i dendrofori partecipano attivamente agli atti di culto in onore della
Gran Madre degli dei e di Attis1027.

1689, il quale pensa piuttosto che i dendrofori cumani fossero stati eletti secondo le norme della
delibera del Senato di Roma che aveva autorizzato la creazione del collegio.
1021 AE 1961, 201. Il termine apparator non a caso appare in altri documenti collegato al culto
della Gran Madre, cf. per esempio CIL XIV, 53 da Ostia, nella quale l’apparator M(atris) d(eum)
M(agnae) C. Atilius Felix dona ai dendrofori locali una statua di Silvano; CIL XII, 405 da Massi-
lia, epigrafe che ricorda un Navius Ianuarius, adpar[it]or Matris deum Magnae Ideae Palati-
nae; cf. forse anche CIL XIII, 1754 da Lugdunum, che ricorda la partecipazione di un apparator
ad un taurobolio.
1022 CIL III, 763.
1023 IGR I, 614 = IScM II, 83.
1024 CIL X, 3764. Il titolo di sacerdos Matris deum XV viralis allude con ogni probabilità alla
sorveglianza che il collegio dei quindecemviri di Roma esercitava sul culto della Magna Mater,
come si è visto nell’albo dei dendrophori di Cuma citato supra, p. 339, nota 1020.
1025 CIL X, 3699.
1026 L’esempio meglio noto e più significativo è probabilmente quello illustrato dall’iscrizione
di Pola CIL V, 81 = ILS 4172 = InscrIt X, I, 155, in cui il sacerdos Matris deum Magnae Idaeae C.
Laecanius Theodorus dona al locale collegio dei dendrofori un’area sepolcrale loro riservata. Cf.
anche l’iscrizione pubblicata da I. Di Stefano Manzella, M. Pacceius L. f. quaestor pro praetore,
«Atti del Colloquio Internazionale AIEGL su epigrafia e ordine senatorio. Roma, 14-20 maggio
1981», I, Roma 1982, pp. 521-525, partic. pp. 524-525, nella quale una tal Sophe, sacerdos
Matris deum dona un sacellum e una statua al collegio dei dendrofori di Ostia, secondo una delle
possibili interpretazioni di questa lacunosa iscrizione.
1027 Di particolare interesse il caso di Mactaris, nell’Africa proconsolare, ove CIL VIII, 23400-
23401 ci informano di come i criobolia e i taurobolia in onore della Mater deum Magna Idaea
Augusta celebrati dai sacerdoti della dea si svolgessero una cum universis dendrophoris et sa-
cratis utriusque sexus. Vd. inoltre a Utica AE 1961, 201, testo che registra la celebrazione di u n
criobolio e la dedica di un’ara alla Magna Mater astantibus dendroforis et sacratis, ministrante
C(aio) Rombio Felice, dendroforo apparatore. Cf. anche CIL XII, 1744 da Valentia, nella Gallia
Narbonensis, e CIL XIII, 1751-1752 da Lugdunum, con il ricordo di taurobolia; Numerosi gli
Parte II. I documenti 341

Le precise connessioni tra i dendrofori e la sfera religiosa non si limitano


comunque al culto metroaco: vi sono alcuni esempi di personaggi appartenenti
al collegio che al contempo rivestirono sacerdozi municipali: così per esempio il
magister dendrophorum e flamen annuus [-] Caecilius Paulinus di AE 1911,
22 da Cuicul; frequenti i casi di dendrofori membri del collegio dei seviri Augu-
stales1028. Ad un legame tra i portatori dell’albero sacro e il culto imperiale al-
lude probabilmente anche il titolo di dendrophorus Augustalis1029.
L’associazione dei dendrofori conservò per tutto il corso della sua storia
una forte caratterizzazione religiosa, che infine ne determinò la disgrazia: nel
415 d.C. l’imperatore Onorio emanò una costituzione nella quale, tra l’altro,
ordinava la requisizione a favore del patrimonio imperiale di tutte le rendite e
gli immobili detenuti dai dendrofori, dai frediani e dalle professiones gentiliciae,
qualunque fosse il loro nome, e che tali associazioni impiegavano a copertura
delle spese per i loro banchetti sociali o di altro genere1030. L’interpretazione
delle due categorie colpite dalla confisca, i frediani e le professiones gentiliciae è
assai discussa: secondo la ricostruzione recentemente sostenuta da J.-M.
Salamito1031 nella prima categoria si devono vedere i ferculiani, ovvero i porta-

esempi di dediche da parte del collegio o dei suoi patroni alla Magna Mater o ad Attis, raccolti
da Aurigemma, Dendrophori, cit., p. 1677.
1028 Cf. per esempio CIL XIV, 309 da Ostia; CIL IX, 3938 e AE 1956, 4 da Alba Fucens.
1029 Cf. CIL XIII, 1961; 2026 da Lugdunum; 5153 da Amsoldingen, nella Germania superior, se
Aug. non va sciolto Aug(ustia), in riferimento al nomen della dedicante dell’iscrizione; AE 1962,
232 da Heddernheim, sempre nella Germania superior; AE 1935, 53 da Filippi, con la proposta
di integrazione [dendrop]horus Aug(ustalis). Secondo Waltzing, Étude, cit., I, p. 252, nota 3 ;
Aurigemma, Dendrophori, cit., p. 1704; Cumont, Dendrophori, cit., col. 218 il titolo sembra in-
dicare un collegamento tra il collegio dei dendrofori e il culto imperiale.
1030 C. Th., XVI, 10, 20, 2: Ea autem, quae multiplicibus constitutis ad venerabilem ecclesiam
voluimus pertinere, Christiana sibi merito religio vindicabit, ita ut omnis expensa illius tem-
poris ad superstitionem pertinens, quae iure damnata est, omniaque loca, quae frediani, quae
dendrophori, quae singula quaeque nomina et professiones gentiliciae tenuerunt epulis vel
sumptibus deputata, possint hoc errore submoto compendia nostrae domus sublevare. Il prov-
vedimento è studiato da ultimo da Salamito, Dendrophores, cit., pp. 1007-1018, alla cui accurata
analisi qui sostanzialmente si aderisce, tranne che su di un punto specifico, relativo alla sorte
dell’associazione dopo l’emanazione della costituzione imperiale: lo studioso (p. 1018) ritiene
in effetti che il provvedimento di Onorio colpisse le risorse necessarie per l’espletamento delle
attività religiose del collegio dei dendrofori, una conclusione che non mi pare autorizzata dalla
lettera della costituzione, e che esso continuasse a svolgere la propria attività di carattere
professionale e di servizio civile nelle squadre di pompieri volontari (vd. infra, pp. 344-345): la
sopravvivenza del collegio anche dopo il 415 d.C. sarebbe dimostrata dal fatto che al momento
della promulgazione del Codice Teodosiano, nel 438 d.C., la costituzione costantiniana C. Th.
XIV, 8, 1, sulla quale ci soffermerà in seguito, venne registrata sotto la rubrica de centonariis et
dendroforis, un argomento che non mi sembra conclusivo, poiché il titolo della rubrica aveva la
funzione di descrivere il contenuto delle leggi ivi registrate, indipendentemente dalla loro at-
tualità. Sono piuttosto del parere che la costituzione onoriana, tagliandone le entrate, abbia as-
sestato un colpo mortale al collegio dei dendrophori in tutte le sue attività, portando ad una sua
rapida scomparsa.
1031 Salamito, Dendrophores, cit., pp. 1009-1014, sulla scorta delle ipotesi di J. Rougé, Code
Théodosien XVI, 10, 20: essai d’interprétation, «RHD», 59 (1981), pp. 59-60 per quanto con-
cerne i frediani / ferculiani.
342 Parte II. I documenti

tori di quella sorta di lettighe sulle quali venivano condotte in processione le


statue degli dei, nella seconda i collegia gentiliciae professionis, dunque quelle
associazioni che facevano professione di fede pagana. Aderendo a questa inter-
pretazione, che appare convincente, si dovrebbe concludere che anche agli inizi
del V sec. d.C. i dendrophori erano accostati non tanto alle corporazioni con
più forte carattere professionale, quanto alle confraternite di tenore religioso.
L’aspetto professionale, già labile nella documentazione epigrafica rela-
tiva ai fabri o ai centonarii, risulta per i dendrophori ancora più evanescente,
soprattutto a fronte della loro forte caratterizzazione di confraternita religiosa.
Ciò nonostante nella dottrina scientifica generalmente non si mette in
dubbio l’esistenza di una connessione tra l’esercizio di un mestiere specifico e
l’appartenenza all’associazione dei dendrophori1032. Tale ipotesi si fonda es-
senzialmente sugli stretti legami esistenti tra il nostro collegio e due associazioni
dall’indubitabile carattere professionale, quelle dei fabri e dei centonarii1033,
legami che si sostanziano frequentemente nella scelta di comuni patroni, come
nel caso dell’iscrizione di Falerio che stiamo analizzando, nell’essere insieme
oggetto di evergesie, nelle comuni decisioni di tributare onori a qualche
benefattore. A corollario si ricorda la grande diffusione dell’associazione nel
mondo romano, che non trova paragone tra le confraternite religiose1034 e la
stessa struttura interna dell'associazione dei dendrofori, con quinquennales, cu-
ratores, magistri e quaestores, che in nulla differisce dalla gerarchia nota per al-
tri collegi professionali. Gli argomenti avanzati, sia detto per inciso, non risul-
tano di per sé decisivi: la frequenza delle attestazioni del collegio e il suo operare
di concerto con fabri e centonarii a rigor di termini provano solamente che i

1032 Sui caratteri professionali dell’associazione insistono Liebenam, Zur Geschichte und Or-
ganisation, cit., pp. 105-106; Waltzing, Étude, cit., I, pp. 241-243; Cumont, Dendrophori, cit.,
col. 217; Aurigemma, Dendrophori, cit., pp. 1681-1685; Rubio Rivera, Collegium dendropho-
rum, cit., p. 177; prudente Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 57; Boscolo, Dendrofori, cit. pp. 33;
40, sebbene di fatto la sua analisi riguardi in prevalenza la funzione religiosa del collegio, ri-
tiene che l’aspetto professionale dovesse essere preponderante; l’argomentazione dello studioso
non appare tuttavia convincente, cf. p. 40: “dal momento che l’attività religiosa dei portatori
d’albero si concentrava nel mese di marzo e che il culto negli altri mesi e in senso più generale
doveva essere di competenza di particolari sacerdotes, si può arguire che nella restante parte
dell’anno i dendrofori fossero dediti effettivamente ad un’attività professionale della quale,
come si è visto, si può soltanto dedurre che avesse come oggetto il legname. L’attività profes-
sionale dei collegia dendrophorum doveva essere, quindi, prevalente su quella religiosa”; ora,
nessuno potrà dubitare che i singoli dendrofori, al pari dei membri di ogni altra associazione re-
ligiosa, dovessero avere una qualche attività lavorativa che dava loro di che vivere, ma ciò non
prova che tutti i dendrofori esercitassero lo stesso mestiere, nè che tale mestiere fosse connesso
con il legname, nè dunque che la ragione profonda del collegium fosse professionale. Perples-
sità, in certa misura condivisibili, sul collegio dei dendrofori come associazione di mestiere
sono espresse da Ladage, Städtische Priester- und Kultämter, cit., pp. 127-131, in una disserta-
zione che tuttavia non sembra aver lasciato segno nella dottrina scientifica posteriore.
1033 Cf. soprattutto Waltzing, Étude, cit., II, pp. 195-202; vd. anche Aurigemma, Dendrophori,
cit., pp. 1681-1682; Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 57; 66-69. Le testimonianze relative alla
regio X sono ora studiate da Salamito, Collèges, cit., pp. 163-177, partic. pp. 165-167.
1034 Cf. Aurigemma, Dendrophori, cit., p. 1682. Per la diffusione dell’associazione dei dendro-
fori vd. Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 68.
Parte II. I documenti 343

dendrophori godevano nelle comunità del mondo romano di un’ampia conside-


razione sociale, paragonabile a quella attribuita agli altri grandi collegi, e nulla di
certo indicano a proposito dei motivi alla base di tale considerazione sociale.
Quanto alle cariche collegiali ricordate, queste non erano esclusive delle corpo-
razioni professionali1035; si è visto del resto come all’interno dell’associazione
dei dendrofori siano presenti anche funzioni di carattere più spiccatamente reli-
gioso, che non trovano esatta rispondenza negli altri collegia di mestiere.
Se tuttavia si cerca di attribuire ai dendrofori un’attività professionale, il
significato stesso del loro nome ed il loro ruolo di portatori del sacro pino nel
culto della Magna Mater invitano naturalmente a rivolgersi ai mestieri connessi
con il legname: di volta in volta si è dunque visto nei dendrophori dei boscaioli,
dei trasportatori o dei mercanti di legname1036. La corporazione dunque occupe-
rebbe sostanzialmente quell’ambito di attività coperto anche dai lignarii, anzi,
secondo una suggestiva ipotesi, i lignarii stessi al momento dell’istituzione uffi-
ciale della dendrophoria nell’età di Claudio avrebbero mutato il loro nome,
collegandosi con il prestigioso culto della Magna Mater1037.
L’ipotesi potrebbe essere confermata dal fatto che le uniche attestazioni
collettive di semplici lignarii a noi note provengono da Pompei, dunque da un
contesto anteriore al periodo in cui incominciano ad apparire nella documenta-
zione epigrafica notizie relative ai dendrophori1038. Qualche difficoltà viene
tuttavia dalla constatazione che in una località come Ostia, dove evidentemente
la fiorente corporazione dei dendrophori non poteva espletare l’attività di ta-
glio del legname, sono noti anche dei navicularii lignarii, che altro non pote-

1035 Come riconosce Waltzing, Étude, cit., I, p. 249.


1036 Blümner, Technologie und Terminologie, cit., II, p. 242: carpentieri; Marquardt, Privatle-
ben, cit., p. 719 definisce le associazioni dei dendrofori Collegien von Holzarbeitern; Liebenam,
Zur Geschichte und Organisation, cit., p. 106: fornitori di legna; Waltzing, Étude, cit., I, pp.
241-243 suggerisce un’identificazione con dei taglialegna o piuttosto con dei mercanti di le-
gname; Kornemann, Collegium, cit., coll. 395-396 si limita a riassumere le posizioni degli stu-
diosi che si sono occupati del problema; Cumont, Dendrophori, cit., col. 217: trasportatori d i
legname, taglialegna o commercianti di legname; Aurigemma, Dendrophori, cit., pp. 1682-1683:
trasportatori e negozianti di legname nelle grandi città portuali, come Ostia e Puteoli, boscaioli e
commercianti nei centri interni di minore importanza; Frank, An Economic Survey, cit., p. 251:
mercanti di legna; J. Gagé, Les classes sociales dans l’Empire romain, Paris 1964, p. 309;
Salamito, Dendrophores, cit., p. 992: taglialegna, mercanti o trasportatori di legname; Rubio
Rivera, Collegium dendrophorum, cit., p. 177: addetti al trasporto e alla vendita del legname ne-
cessario a coprire tutti i bisogni delle città; Kloppenborg, Collegia, cit., pp. 19; 34: taglialegna;
Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 57: rapporti con le attività di trasporto e lavorazione del legname;
Boscolo, Dendrofori, cit., p. 33: lavoratori impegnati nel trasporto, nel commercio o nella
lavorazione del legname. Passa in rassegna le diverse ipotesi Gascou, Dendrophores, cit., p. 165.
1037 Cf. Cumont, Dendrophori, cit., col. 216; Hepding, Attis, cit., p. 153; Aurigemma, Dendro-
phori, cit., p. 1684; Frank, An Economic Survey, cit., p. 251.
1038 La prima attestazione datata ad annum dei dendrofori viene da Regium Iulium e risale al 7 9
d.C., proprio nell’anno della distruzione di Pompei (CIL X, 7). È ragionevole pensare che a Roma
il collegio fosse nato qualche tempo prima che nella città del Bruzio, come giustamente rilevano
Aurigemma, Dendrophori, cit., p. 1675 e Rubio Rivera, Collegium dendrophorum, cit., p. 178.
344 Parte II. I documenti

vano essere che trasportatori di legna attivi nel grande porto1039; il possibile
campo di attività dei dendrofori ostiensi si restringe dunque in modo sospetto:
semplici commercianti di legna, trasportata dai navicularii lignarii e fornita ai
carpentieri, quei fabri tignuarii che costituivano un’altra corporazione ben nota
ad Ostia1040? Se pure accogliessimo questa ipotesi, dovremmo comunque am-
mettere che la nuova denominazione di mestiere non cancellò completamente e
ovunque la vecchia: a Colonia infatti è nota una frammentaria iscrizione che ci
fa conoscere un negotiator lignarius1041.
Al pari che per i fabri e i centonarii, anche per il collegio dei dendrophori
si suppone un servizio civile di lotta contro gli incendi1042. Punto di partenza
per lo studio di questa funzione è una costituzione emanata da Costantino nel
315 d.C., nella quale si ordinava che in tutte le città ove si trovavano dei den-
drofori, questi venissero aggiunti ai collegi dei fabbri e dei centonari, in modo da
rafforzare gli effettivi di questi corpora1043. Anche se il provvedimento costan-
tiniano non nomina esplicitamente il servizio di spegnimento degli incendi, que-
sta appare l’unica plausibile motivazione della necessità di affiancare i dendro-

1039 CIL XIV, 278. L’iscrizione è ricordata da Ladage, Städtische Priester- und Kultämter, cit., p.
130, che fa notare le difficoltà che da questo testo nascono per l’identificazione del mestiere
esercitato dai dendrofori. Cf. anche R. Meiggs, Sea-borne Timber Supplies to Rome, «The Sea-
borne Commerce of Ancient Rome: Studies in Archaeology and History», a cura di J.H. D’Arms -
E.C. Kopff, Rome 1980 = «MAAR», 36 (1980), p. 190 e Caldelli, Pensores lignarii, cit., p. 730,
nota 16, che datano il documento al II sec. d.C.
1040 Sui caratteri del collegio dei fabri tignuarii vd. infra, pp. 457-458.
1041 B. Galsterer - H. Galsterer, Die römischen Steininschriften aus Köln, Köln 1975, p. 78,
n°326 e tav. 70, ricordata anche da Ladage, Städtische Priester- und Kultämter, cit., p. 130; gli
editori non datano il testo, ma rimandano, per le caratteristiche paleografiche e soprattutto per la
particolare forma della lettera G, all’iscrizione p. 87, n°379 e tav. 84, un epitafio con adprecatio
ai Mani che si colloca nel II sec. d.C.; anche l’iscrizione del negotiator lignarius dovrebbe dun-
que risalire ad un periodo in cui già esistevano collegi di dendrofori. Nel dossier di testimo-
nianze relative alla professione esercitata dai dendrofori è stato talvolta inserito un bassorilievo
da Bordeaux che raffigura quattro uomini, con una corta tunica, nell’atto di trascinare un tronco
(cf. da ultimo M.J. Vermaseren, Corpus cultus Cybelae Attidisque (CCCA). V. Aegyptus, Africa,
Hispania, Gallia et Britannia, Leiden 1986 (EPRO 50), p. 145, n°416, tav. CXLIII); non siamo
tuttavia certi che i personaggi raffigurati fossero veramente dei dendrophori e non piuttosto dei
lignarii, dal momento che la pietra è anepigrafe.
1042 Sulla partecipazione dei dendrofori al servizio di spegnimento degli incendi vd. princi-
palmente Marquardt, Privatleben, cit., pp. 719-720; Waltzing, Étude, cit., II, pp. 203-207;
Cumont, Dendrophori, cit., col. 217; Ausbüttel, Untersuchungen, cit., pp. 75-76; Gascou, Den-
drophores, cit., p. 165; Salamito, Dendrophores, cit., pp. 998-1001; Royden, Magistrates, cit., p.
57, nota 134; Rubio Rivera, Collegium dendrophorum, cit., p. 177; Kloppenborg, Collegia, cit.,
p. 24; Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 58-59; Boscolo, Dendrofori, cit., p. 33.
1043 C. Th., XIV, 8, 1: Ad omnes iudices litteras dare tuam convenit gravitatem, ut, in qui-
buscumque oppidis dendrofori fuerint, centonariorum adque fabrorum collegiis adnectantur,
quoniam haec corpora frequentia hominum multiplicari expediet. Su questa testimonianza vd.
l’approfondita analisi di Salamito, Dendrophores, cit., pp. 993-1007, di cui qui si riprendono le
conclusioni.
Parte II. I documenti 345

fori ai fabri e ai centonarii, che, come sappiamo, effettivamente dovevano


esercitare l’attività di pompieri1044.
Maggiori dubbi permangono a proposito del coinvolgimento dei dendro-
fori nell’attività di vigili del fuoco prima del 315 d.C. A prescindere dal fatto
che il collegio appare nella documentazione epigrafica in stretta connessione
con le associazioni dei fabbri e dei centonari, una circostanza che non può essere
spiegata unicamente dal comune concorso dei tre collegia nei servizi antin-
cendio, gli elementi a favore di questa ipotesi si riducono alla constatazione che
i dendrofori, per la loro attività professionale legata in qualche modo al le-
gname, dovevano essere particolarmente adatti alla lotta contro le fiamme, e
all’attestazione di un praefectus dell’associazione, poiché si suppone che questi
ufficiali comandassero le squadre di pompieri volontari1045. Di contro si po-
trebbe osservare che, se i dendrofori per tutto il corso della loro esistenza e in
tutte le località in cui erano presenti avessero regolarmente fatto parte dei corpi
dei vigili del fuoco insieme ai fabbri e ai centonari, la necessità dell’intervento di
Costantino del 315 d.C. apparirebbe assai meno stringente1046.
Come si è visto gli elementi di incertezza riguardo al ruolo dei collegio dei
dendrofori nelle comunità del mondo romano sono tuttora numerosi. I problemi
aperti, cui in questa sede si è potuto solo fare cenno, meritano un riesame com-
plessivo. Per il momento mi limito ad osservare come il richiamo dell’epigrafe
di Falerio a proposito dello sfruttamento del patrimonio forestale del Piceno,
avanzato da alcuni studiosi1047, non appaia affatto scontato.
Immagine: Tav. XXXVIII. Walser, Via per Alpes Graias, cit., tav. 16; Id.,
Inschrift-Kunst, cit., p. 59; Catani, Scavi pontifici, cit., p. 267, n°49: apografo
inviato da Gasparo Desantis ad Annibale degli Abati Olivieri; Di Stefano
Manzella, Inscriptiones Sanctae Sedis 1, cit., p. 245, fig. 48a per la
collocazione dell’iscrizione nella parete 43 della Galleria Lapidaria dei Musei
Vaticani. Un’immagine della copia dell’iscrizione che si conserva presso il
Museo Archeologico civico di Falerone in Bonvicini, Falerone dall’antichità al
medioevo, cit., p. 169, fig. XXXV b.

1044 Per la verità meglio documentata per i fabri che per i centonarii, vd. supra, pp. 240-244,
per quanto concerne i primi, e p. 226 riguardo i secondi. Una spiegazione alternativa è avanzata
da Gascou, Dendrophores, cit., p. 165, nota 27: secondo lo studioso il provvedimento d i
Costantino potrebbe avere motivazioni religiose, in effetti far confluire i dendrofori nei collegi
dei fabbri e dei centonari avrebbe significato cancellare il loro carattere di sodalizio connesso al
culto della Magna Mater.
1045 CIL XIV, 2634 da Tusculum. L’ipotesi è ricordata da Waltzing, Étude, cit., II, p. 353;
Cumont, Dendrophori, cit., coll. 217-218. Sui praefecti fabrum come comandanti dei vigili del
fuoco vd. infra. pp. 547-548.
1046 Alla medesima conclusione mi pare pervenire Salamito, Dendrophores, cit., p. 1001.
1047 P. Bonvicini, La centuriazione augustea della Valtenna, Fermo 1978, p. 52; Conta, Il terri-
torio di Asculum, cit., p. 43.
346 Parte II. I documenti

Falerio 11

Edizione di riferimento: S. Antolini, Su due iscrizioni dei Sillii di Falerone,


«Picus», 19 (1999), pp. 301-309.
Altre edizioni: De Minicis, Teatro di Falerone,. cit., p. 48; CIL IX, 5450; ILS
7248; Waltzing, Étude, cit., III, p. 419, n°1606.
Bibliografia: Waltzing, Étude, cit., I, p. 398; G. Susini, L’insegna della fullo-
nica di Forum Popili, «ASPR», n.s. 9 (1957-1958), pp. 204-205; L. Cracco
Ruggini, Collegium e corpus: la politica economica nella legislazione e nella
prassi, «Istituzioni giuridiche e realtà politiche nel tardo impero (III-V sec.
d.C.). Atti di un incontro tra storici e giuristi. Firenze, 2-4 maggio 1974», a
cura di G.G. Archi, Milano 1976, p. 85; Bonvicini, La centuriazione augustea,
cit., p. 53; Royden, Magistrates, cit., pp. 205; 214, n°321; 215, n°322; Dyson,
Community and Society, cit., pp. 201-202; Delplace, Romanisation, cit., p. 75,
nota 237; pp. 80; 81; Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico
al Medioevo, cit., pp. 55; 57; M.D. Saavedra Guerrero, Las mujer y las asocia-
ciones en el Imperio romano, Diss. Universidad de Cantabria 1991, pp. 40; 55;
Ead., Honor y poder en la ciudad romana: el caso de las matres collegiorum,
«Latomus», 57 (1998), p. 134; Vicari, Produzione, cit., pp. 35; 77; p. 102,
n°162; Maraldi, Falerio, cit., pp. 16; 73.
Luogo di ritrovamento: il luogo preciso di ritrovamento dell’iscrizione è
ignoto1048.
Luogo di conservazione: Falerone, lapidario del Museo archeologico civico
(autopsia maggio 2001).
Tipo di supporto: stele in calcare di forma parallelepipeda, oggi spezzata in due
parti da una linea di frattura obliqua; manca degli angoli inferiori e presenta
diverse sbrecciature nella cornice; lo specchio epigrafico risulta consunto, ren-
dendo talvolta difficoltosa la lettura del testo1049; questo stato della pietra po-
trebbe spiegare l’errore di lettura a l. 8 di CIL, recentemente rilevato da S.
Antolini.
Elementi iconografici: la stele è coronata ai lati da due pseudo-pulvini con
fiori a cinque petali, al centro dei quali appare un timpano centinato, con un
aquila di tre quarti, che si volge verso destra. Tra questi elementi e lo specchio
epigrafico, in un riquadro rettangolare, due animali, forse un leone e una leo-
nessa, che procedono verso sinistra. Sulle facce laterali della stele appare un ri-
lievo con un kantharos con tralcio di vite e grappoli d’uva, sopra il quale vi è un
uccellino1050.
Collegio: collegium fabrum, sodalicium fullonum.

1048 Cf. Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 301, nota 1.


1049 Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 301.
1050 Accurata descrizione degli elementi iconografici della stele dei Sillii in Antolini, Sillii d i
Falerone, cit., pp. 301-302; cf. anche Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico
al Medioevo, cit., p. 123, nota 321, con qualche lieve differenza di interpretazione riguardo le fi-
gure scolpite nel riquadro, qui identificate con un leone e un orso dalla testa asinina.
Parte II. I documenti 347

Datazione: la comparsa dell’adprecatio ai Mani non consente di risalire oltre


la metà del I sec. d.C. Il nome del defunto in caso dativo e il ricordo di incarichi
direttivi in associazioni professionali si accordano anche con una datazione ai
primi decenni del secolo seguente1051.
Testo: D(is) M(anibus). / T(ito) Sillio T(iti) lib(erto) / Prisco, / mag(istro)
colleg(i) / fabr(um) II et q(uaestori) II, / mag(istro) et q(uaestori) sodal(ici) /
fullonum, / Claudiae Ti(beri) lib(ertae), / uxori eius, mflatflrfli/ sodalic(i)
fullon(um). / T(itus) Sillius Karus et / Ti(berius) Claudius Phi/lippus, mag(istri)
et / q(uaestores)/ colleg(i) fabr(um), / fili, parentib(us) / piissimis.
l. 5: i due numerali sono sopralineati.
l. 6: L nana in sodal(ici). N nana in fullon(um).
l. 8: T. lib. De Minicis; FILIB CIL e Waltzing.
l. 11: T nana in et finale.
ll. 13-14: si può intendere anche mag(ister) et / q(uaestor).
l. 14: Q di q(uaestores) sopralineata.
l. 16: la seconda I di piissimis è longa.
Interpunzione triangolare o in forma di virgola1052.
Commento
Si tratta dell’iscrizione sepolcrale del liberto T. Sillio Prisco e della moglie
Claudia, anch’essa di condizione libertina; l’iscrizione venne posta dai figli della
coppia, T. Sillio Caro e Ti. Claudio Filippo.
La gens Sillia è altrimenti nota a Falerio, dove alcuni documenti potreb-
bero addirittura riferirsi alla stessa famiglia del nostro Prisco: in particolare si ri-
tiene che un’iscrizione rinvenuta alla fine del secolo scorso poco lontano dal
centro di Falerio, ci abbia conservato il ricordo di uno dei due figli di Prisco e
Claudia, T. Sillius Karus, e della contubernalis Vetilia Prisca1053. Conosciamo,
con ogni probabilità, anche l’altro figlio della coppia, Ti. Claudio Filippo, grazie
ad una stele sepolcrale la cui tipologia ricorda da vicino per taluni aspetti il mo-
numento funebre di T. Sillio Prisco1054.
Altri membri della gens attestati a Falerio sono C. Sillius C. l. Princeps
(CIL IX, 5519), Sillia Tertia e la figlia Sillia Fortunata (CIL IX, 5495)1055.
1051 Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 308, seguita da Maraldi, Falerio, cit., p. 16. Una data-
zione al II sec. d.C. è suggerita da Susini, L’insegna della fullonica, cit., pp. 204-205; al I-II sec.
d.C. da Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico al Medioevo, cit., p. 57.
1052 L’incertezza deriva dallo stato di consunzione della superficie scrittoria, cf. Antolini, Sillii
di Falerone, cit., p. 302.
1053 L’iscrizione di Sillio Caro e Vetilia Prisca venne pubblicata per la prima volta in «NSc», 1 3
(1888), p. 725 e ripresa in EphEp VIII, 237; è stata riedita da P. Bonvicini, Falerione - Iscrizioni
latine, «NSc», 67 (1942), pp. 133-134 (= AE 1981, 300); sull’esatto luogo di ritrovamento vd.
ora Maraldi, Falerio, cit., pp. 72-73, n°100. L’identificazione del personaggio di questo epitafio
con il figlio di T. Sillio Prisco è sostenuta da Dyson, Community and Society, cit., pp. 201-202;
Antolini, Sillii di Falerone, cit., pp. 306-307.
1054 CIL IX, 5472; cf. anche Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardoantico al Medio-
evo, cit., p. 57 e fig. 66: si tratta di una stele a timpano centinato, al centro del quale appare
un’aquila.
1055 Le curiose vicende di questa iscrizione, ora nel Lapidario Zeri di Mentana e più volte edita
tra le urbane, sono ricostruite da Antolini, Sillii di Falerone, cit., pp. 308-309.
348 Parte II. I documenti

L’iscrizione è significativa in particolare per lo stretto legame tra la fa-


miglia di T. Sillio Prisco e il mondo delle associazioni di Falerio, in particolare il
collegium dei fabri e il sodalicium dei fullones1056. Rimandando a quanto scritto
in precedenza a proposito del collegio dei fabri1057, dobbiamo soffermarci bre-
vemente sulla corporazione dei fulloni.
La valenza del termine sodalicium, in rapporto ad altre definizioni del
fenomeno associativo romano, come collegium e corpus, è oggetto di dibattito.
Riguardo all’uso del termine nella documentazione epigrafica di età altoimpe-
riale, si concorda sul fatto che esso avesse perduto il significato di aggregazione
a fini politici, attiva in particolare in ambito elettorale, ben noto per le sodali-
tates / sodalicia menzionate nelle fonti di età tardorepubblicana, con connota-
zioni essenzialmente negative1058. Nell’uso epigrafico in effetti il termine so-
dalicium è riferito soprattutto ad associazioni di carattere religioso, anche se
non mancano casi in cui esso si applica a gruppi di carattere professionale, come
nell’iscrizione che si sta commentando1059. Quest’ultima constatazione ha
indotto alcuni studiosi a considerare sodalicium sostanzialmente come un si-
nonimo di collegium, almeno nel linguaggio delle iscrizioni latine1060. Che in
realtà una qualche differenza tra le due forme associative dovesse esistere credo
sia mostrato dalla stessa iscrizione di Falerio, in cui si distingue tra un collegium
dei fabri e un sodalicium dei fullones. Scartando l’ipotesi che tale diversità si ri-
ferisse alla struttura interna delle due associazioni (che appare qui la medesima
in fabri e fullones, con magistri e quaestores), riesce tuttavia difficile precisare

1056 Cf. Clemente, Patronato, cit., pp. 189; 190; l’iscrizione è brevemente richiamata a propo-
sito della situazione economica e sociale di Falerio anche da Pupilli, Il territorio del Piceno
centrale dal Tardoantico al Medioevo, cit., p. 55, per la verità in modo abbastanza confuso.
1057 Vd. supra, pp. 240-244.
1058 Su tali aggregazioni vd. ora R. Cosi, Rapporti di sodalitas e degenerazione politica a
Roma, «Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane», V, a cura di M.
Pani, Bari 1999, pp. 181-204. Da notare come questa connotazione negativa dei sodalicia tardo-
repubblicani riemerga in età imperiale in un estratto di Marciano conservato in Dig., XLVII, 22,
1, 1, nel quale si prescrive la dissoluzione dei collegia sodalicia; su questo passo del Digesto
vd. ora S. Randazzo, ‘Senatus consultum quo illicita collegia arcentur’ (D. 47, 22, 1, 1),
«BIDR», 94-95 (1991-1992) [1994], pp. 49-88.
1059 Cf. Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., pp. 166-167; Cracco Ruggini, Colle-
gium e corpus, cit., p. 85; Pavis D’Escurac, Dénominations, cit., p. 110, con esplicito riferimento
al sodalicium dei fullones di Falerio. Le testimonianze dell’uso di sodalicium sono raccolte da
Waltzing, Étude, cit., IV, p. 241, cui ora si aggiunga AE 1919, 75 da Albano: Sodalicius iubentu-
tis (sic); AE 1956, 77 = 1958, 177 da Tibur: [so]dalicium iuve[nu]m Herculano[rum]; AE 1950,
193 dal territorio di Acqualagna: Sodalicius Apollinensis Sattianensis; AE 1955, 95d = Brusin,
Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 678 da Aquileia, piccola tabella bronzea che, secondo le integra-
zioni proposte dal Brusin, riporterebbe il testo seguente: Salb[o s]/odalic/io A[mat]/ore
[fe]/lix [Pha]rna[x]; AE 1956, 254 = 1984, 465 da Pax Iulia, in Lusitania: sodaliciu(m) Braca-
rorum; AE 1908, 37 = 1909, 111 da Sofia: [sodalicium ?] verna[culorum].
1060 Così per esempio Waltzing, Étude, cit., I, p. 340; II, p. 140 (ma anche ibid., p. 42 per sodali-
cium come denominazione di associazioni religiose private); R. Cagnat, Sodalicium, sodalitas,
«DS», IV, 2 (1911), p. 1373; E. Ziebarth, Sodalitas, «P.W.», III A, 1 (1927), col. 786 (in riferi-
mento naturalmente a sodalitas); Ausbüttel, Untersuchungen, cit., p. 19; Royden, Magistrates,
cit., p. 2.
Parte II. I documenti 349

se la terminologia rispecchi una distinzione di finalità1061 o piuttosto una di-


versa posizione dei due organismi nei confronti dell’autorità politica.
I fullones erano incaricati di quella complessa serie di operazioni, nota
appunto con il nome di ars fullonica o fullonia, necessaria per la pulitura e la ri-
finitura di tessuti e vesti di nuova fabbricazione o per rimettere a nuovo indu-
menti usati1062. Grazie alle descrizioni delle fonti letterarie e alle rappresenta-
zioni figurate conservatesi in particolare a Pompei siamo in grado di ricostruire
con una certa precisione i procedimenti eseguiti dai follatori: in primo luogo si
procedeva alla depurazione del tessuto, immergendolo in sostanze come la soda,
uno speciale tipo di creta o l’urina, diluite in acqua, e battendolo con i piedi; il
tessuto veniva poi risciacquato e nuovamente premuto; si procedeva poi alla
cardatura e alla candeggiatura, esponendo la stoffa a vapori di zolfo; dopo questa
operazione era necessario ravvivare i colori del tessuto mediante speciali so-

1061 De Robertis, Fenomeno associativo, cit., pp. 11-17 (cf. Id., Storia delle corporazioni, cit., I,
pp. 14-20), che insiste sul carattere privatistico delle sodalitates / sodalicia (Fenomeno asso-
ciativo, cit., pp. 13-14; cf. Id., Storia delle corporazioni, cit., I, p. 17), anche se tale carattere non
era esclusivo di questo tipo di associazioni, registrandone la frequente applicazione a riunioni
con fini religiosi, conviviali e voluttuari (Fenomeno associativo, cit., pp. 15-16; cf. Id., Storia
delle corporazioni, cit., I, pp. 19-20), o alle associazioni politiche (Fenomeno associativo, cit.,
p. 17; cf. Id., Storia delle corporazioni, cit., I, p. 20).
1062 Sul mestiere dei fullones si veda essenzialmente Marquardt, Privatleben, cit., pp. 529-530;
L. Pernier, Fullones, «Diz. Ep.», III (1906), pp. 316-323; Blümner, Technologie, I, pp. 170-190;
Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 72-73; L.M. Wilson, The Clothing of the Ancient Ro-
mans, Baltimore 1938, pp. 27-30; A.H.M. Jones, The Cloth Industry under Roman Empire, «The
Economic History Review», 13 (1960); ora in The Roman Economy. Studies in Ancient Economic
and Administrative History, a cura di P.A. Brunt, Oxford 1974 (edizione dalla quale si cita), p.
361; E. Wipszycka, L’industrie textile dans l’Égypte romaine, Wroclaw - Warszawa - Krakow
1965, pp. 129-145, di particolare rilievo per l’indagine sull’interessante documentazione papi-
racea, sovente trascurata; Moeller, Wool Trade, cit., passim e partic. pp. 18-27, studio incentrato
sulle testimonianze da Pompei, che d’altra parte sono essenziali per comprendere le attività dei
follatori e le procedure dell’ars fullonica; Burford, Craftsmen, cit., pp. 77-78; sui fullones della
Cispadana Vicari, Economia della Cispadana, cit., pp. 245-246; su quelli della penisola iberica
Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., pp. 39-40; 43-44, nn. 52-56 e Rodríguez Neila i n
Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 86-87; per l’Asia minore
di età ellenistica e romana raccolta delle testimonianze in Labarre - Le Dinahet, Les métiers d u
textile, cit., p. 58; cf. anche carta 1 per la distribuzione dei documenti; sull’ars fullonica nelle
province della Gallia, della Britannia e della Germania J.-P. Wild, Textile Manufacture in the
Northern Roman Provinces, Cambridge 1970, pp. 82-86 e, assai brevemente, Id., Textile Manu-
facture: a Rural Craft?, «Artisanat et productions artisanales en milieu rural dans les provin-
ces du nord-ouest de l’Empire romain», a cura di N. Polfer, Montagnac 1999, p. 34; uno sguardo
generale all’ars fullonica in Vicari, Produzione, cit., p. 6; più specificamente sui fullones ibid,
p. 23. Riguardo l’origine del termine fullo alcuni studiosi avanzano l’ipotesi di una sua deriva-
zione dalla lingua etrusca, cf. G. Neumann, Zur Bildung der lateinischen Handwerkbe-
zeichnungen, «Das Handwerk in vor- und frühgeschichtlicher Zeit», I, a cura di H. Jankuhn - W.
Janssen - R. Schmidt-Wiegand - H. Tiefenbach, Göttingen 1981 = «Abhandlungen der Akademie
der Wissenschaften in Göttingen. Philologisch-historische Klasse», 122 (1981), pp. 133-134;
Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 98; ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Ar-
chäologie, cit., p. 114; Albert, De opificibus Romanis, cit., p. 527. Attestazioni del termine nella
letteratura tardoantica in Von Petrikovits, Spezialisierung II, cit., p. 300. Tra le rappresentazioni
figurate dell’ars fullonica, oltre alla documentazione pompeiana, possiamo ricordare un basso-
rilievo di Forlimpopoli, cf. Susini, L’insegna della fullonica, cit., pp. 199-205.
350 Parte II. I documenti

stanze coloranti; infine si passava alla rifinitura dei tessuti, che prevedeva tra
l’altro una sorta di stiratura, con l’aiuto di apposite presse.
Attività economica essenziale nel mondo antico, l’ars fullonica era ben
retribuita, a giudicare dalle tariffe registrate nell’Edictum de pretiis dioclezia-
neo1063 e dagli scarni dati ricavabili dalla documentazione papiracea1064 e do-
veva assicurare una certa agiatezza agli imprenditori che se ne occupavano: lo
stesso celeberrimo banchiere pompeiano Cecilio Giocondo pare avesse tra le sue
tante attività anche la gestione di una fullonica nella sua città1065.
Ben diverse erano naturalmente le condizioni sociali ed economiche degli
operai che lavoravano nelle fullonicae, tra i quali sono noti diversi schiavi e li-
berti1066. La discreta diffusione del gentilizio Fullonius, evidentemente assunto
al momento della manomissione dagli schiavi che esercitavano il mestiere, con-
ferma i dati desumibili dalle menzioni individuali di follatori nella documenta-
zione epigrafica1067. La considerazione sociale di cui godevano i fullones non
poteva che essere in larga misura determinata dal loro trafficare con sostanze
dalle quali gli esponenti della buona società si tenevano alla larga, un aspetto che
ovviamente offre destro per i lazzi degli autori comici e satirici1068.
Le menzioni di vere e proprie associazioni di follatori sono piuttosto rare,
anche se l’esistenza di una corporazione che riuniva questi artigiani risalirebbe,
secondo un notissimo passo di Plutarco, alla divisione in arti della popolazione
di Roma stabilita da Numa, se nei bafei'" plutarchei sono da riconoscere
effettivamente i fullones1069. Oltre al sodalicium di Falerio e limitando

1063 Edictum de pretiis, 22, 1-26, da confrontare con i salari dei semplici coloratores a 7, 54-63,
con il commento di Pernier, Fullones, cit., pp. 318-319.
1064 Cf. Wipszycka, L’industrie textile, cit., pp. 144-145.
1065 A questo proposito mi limito a rimandare al classico lavoro di J. Andreau, Les affaires de
monsieur Jucundus, Rome 1974, pp. 69-70; 281-294 (in genere sui rapporti tra Giocondo e le at-
tività tessili); 307-308; cf. anche i documenti rilevanti, ibid., pp. 332-333; n°141; pp. 333-334,
n°143.
1066 Le attestazioni individuali di fullones sono raccolte da Pernier, Fullones, cit., p. 320; ad
esse si aggiungano ora almeno AE 1958, 273 dalle catacombe di S. Ippolito, a Roma; AE 1985,
173 da Ostia; AE 1996, 801 dalle catacombe di S. Giovanni a Siracusa.
1067 Una raccolta preliminare dei dati in Schulze, Eigennamen, cit., pp. 168; 588.
1068 Cf. per esempio Plaut., Pseud., 781-782; Mart., VI, 93, 1-2: tam male Thais olet quam non
fullonis avari / testa vestus, media sed modo fracta via … Sostanzialmente in questa direzione
credo sia da interpretare anche il notissimo epigramma di Mart., III, 59 (Sutor Cerdo dedit tibi,
culta Bononia, munus, / fullo dedit Mutinae: nunc ubi copo dabit?), il cui scopo doveva essere
principalmente quello di suscitare l’amaro sorriso del lettore davanti ad un mondo in cui sono
ormai gli esponenti delle più umili professioni a ricoprire il ruolo dei grandi evergeti. Se poi
Marziale trovasse per il suo follatore modenese qualche spunto in una figura reale, come sembra
ritenere Vicari, Economia della Cispadana, cit., p. 248; p. 254, n°17 e Id., Produzione, cit., p. 47,
questi andrà effettivamente identificato con un imprenditore che gestiva una grande fullonica
piuttosto che con un semplice lavorante, come puntualizza lo studioso.
1069 Plut., Num., 17, 1-4, partic. 3 per le arti stabilite da Numa. Su questa controversa testimo-
nianza vd. specificamente J.-C. Richard, Sur les prétendues corporations numaïques: à propos
de Plutarque, Num. 17, 3, «Klio», 60 (1978), pp. 423-428; E. Gabba, The collegia of Numa: Pro-
blems of Method and Political Ideas, «JRS», 74 (1984), pp. 81-86; L. Japella Contardi, I collegia
e la città di Servio Tullio, «Sileno», 21 (1995), pp. 49-62.
Parte II. I documenti 351

l’indagine alla documentazione epigrafica in lingua latina, possiamo ricor-


dare1070:
1. CIL VI, 266 da Roma (244 d.C.), la celebre iscrizione della lis fullonum1071.
2. CIL VI, 9428 da Roma: elenco di una ventina di nomi, seguito
dall’espressione collegii huius loci fullo.
3. CIL I2, 1455 = ILLRP 107b = CIL I2, 4, p. 991 da Praeneste: dedica alla For-
tuna Primigenia da parte dei magistri di un conl(egium) fullonum, secondo la
lettura suggerita ad A. Degrassi da H.-G. Kolbe1072.
4. CIL I2, 2108 = XI, 4771 = ILS 3127 = ILLRP 240 da Spoletium: fullones;
l’esistenza di un collegium è dimostrata dalla menzione di quattro magistri
quinquennales: C. [F]ulvius C. l. Statius, P. Oppius L. l. Pilonicus, L. Magnius
L. l. Alaucus, Pampilus Turpili T. s.
5. CIL XIII, 8345 da Colonia Agrippinensium: dedica al magister artis fulloniae
Iulius Verinus1073.
6. AE 1893, 98 da Mactaris: Albo del Corpus fullonum qui in aedificium con-
tulerunt.
Alle testimonianze sopra ricordate sono da accostare le attestazioni di al-
tri collegi i quali, sebbene nella loro denominazione non ritorni il termine fullo-
nes, riunivano forse artigiani che esercitavano il medesimo mestiere o un me-
stiere assai affine:
7. CIL VI, 267 da Roma (226 d.C.): Il quinquennalis P. Clodius Fortunatus
dona al collegium fontanorum una statua di Victoria. Il personaggio ritorna
come quinquennalis perpetuus in CIL VI, 266, l. 2 (cf. supra, n°1), nella quale
appaiono in effetti coinvolti anche i fontani (l. 36).

1070 La lista aggiorna quelle proposte da Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 24-26; 90-91, Pernier, Ful-
lones, cit., p. 321-322; Silvestrini in Grelle - Silvestrini, Lane apule, cit., p. 122; Vicari, Produ-
zione, cit., pp. 82-83. La terminologia nella quale la lingua greca indica il mestiere dei follatori è
piuttosto ampia e le relative associazioni professionali della parte ellenofona dell’Impero pre-
sentano alcuni caratteri peculiari, che le differenziano dai collegi omologhi dalla parte occiden-
tale del mondo romano; uno spoglio preliminare della documentazione rilevante si può comun-
que trovare in Waltzing, Étude, cit., IV, p. 91: gnafei'"; p. 115: plunei'"; cf. anche pp. 9; 84:
bafei'", ritenuti dallo studioso più propriamente dei tintori, offectores in lingua latina; Pernier,
Fullones, cit., p. 322, che raccoglie le iscrizioni in cui sono attestati collegi di bafei'" o d i
gnafei'". Per le associazioni di gnafei'" in Egitto vd. le brevi note di M. San Nicolò, Ägyptisches
Vereinswesen zur Zeit der Ptolemäer und Römer, I, München 1972, pp.103-104.
1071 Sulla quale vd. F.M. De Robertis, Lis fullonum (CIL VI, 266) (Notazioni critiche e ricostrut-
tive), «SDHI», 43 (1977), pp. 113-166, con la bibliografia ivi citata, a p. 113, in nota. Vd. inoltre
le importanti osservazioni di L. Gasperini in Barbieri, Lapidario Zeri, cit., pp. 31-34..
1072 Per la lettura del nome dell’associazione, omessa in CIL I2, 1455 e ILLRP 107b, vd. A.
Degrassi, Epigraphica IV, «MAL», s. VIII, 14 (1969), p. 120, n°23, ora in Scritti vari di anti-
chità, IV, Trieste 1971, p. 13, n°23; l’ipotesi è ripresa da CIL I2, 4, p. 991 e da Vicari, Produzione,
cit., p. 82; p. 101, n°148.
1073 Cf. anche CIL XIII, 8372 sempre da Colonia, una lacunosa iscrizione in cui sembra tornare
lo stesso personaggio, con il medesimo titolo di magister artis fulloniae. Su questo documento
vd. ora Vicari, Produzione, cit., p. 64, che ricorda, oltre all’ovvia possibilità che qui magister
indichi il magistrato di un’associazione professionale, anche l’ipotesi di un capobottega di u n
impianto di fullonica.
352 Parte II. I documenti

8. CIL VI, 268 da Roma (57 d.C.): dedica a Minerva Augusta da parte dei magi-
stri fontani L. Sellius Gorgia, Q. Nonius Amanus, C. [L]oll[iu]s Faustus, M.
Antistius Laetus, Q. Hortesius (!) Quartus e C. Iulius Agathopus.
9. CIL VI, 9422 da Roma: dono di un pavimentum alla classis font(anorum),
come promesso da Cornelius Meponius iunior, a cura dei genitori Cornelius
Meponius e Vibia Victorina e del fratello Cornelius Probianus1074.
10. CIL VI, 10298 da Roma, lex di un conlegium aquae.
11. CIL XIV, 2156 da Aricia: dedica di Primigenius, rei publicae Aricinorum
servus arcarius, curator II, insieme al figlio M. Arrecinus Gellianus, anch’egli
curator, a Diana Augusta colleg(i) lotor(um).
12. AE 1912, 92 = ILS 9421 da Aricia: iscrizione funeraria di L. Antonius
Ionicus, che fu tra l’altro quinquennalis quinq(uies ?) colleg(i) lot(orum)
Nemorensium1075.
13. AE 1909, 215 = CIL XIV, 4573 da Ostia (232 d.C.): albo del corpus fonta-
norum1076.
14. CIL V, 801 = Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 301 da Aquileia: M.
Valerius Venustius e Mulcedatia Tais donano ai gentiles Artor[i]ani lotores
un’ara sacra a Minerva Augusta1077.
15. CIL XII, 3076 da Nemausus: dedica dei cultores Urae fontis ai Lares
Augusti.
Se la lex del conlegium aquae (n°10) chiaramente si riferisce ad un’associazione
che esercitava l’ars fullonica ed i collegi di lotores (nn. 11; 12; 14), ovvero la-
vatores, possono a ragione essere avvicinati a quelli dei fullones per la somi-
glianza del mestiere1078, meno sicura mi pare la pertinenza delle testimonianze
relative al collegium fontanorum (n°7), ai magistri fontani (n°8) o alla classis e
al corpus fontanorum (nn. 9; 13), dal momento che sappiamo dell’esistenza di
collegi addetti alla sorveglianza delle fontes, guidati da magistri Fontis o
Fontani; credo che le testimonianze ricordate si riferiscano proprio alle asso-
ciazioni di questi addetti, i cui esatti rapporti con i collegia dei follatori, nono-
stante la communis opinio li identifichi, rimangono tutti da chiarire1079. Per

1074 L’epigrafe è attibuita a Velitrae da Vicari, Produzione, cit., p. 82; p. 101, n°145; in effetti a
Velletri era segnalata da uno degli autori sui quali si basa l’edizione del CIL, ma il documento è
di origine urbana, cf. CIL X, 950*, 2.
1075 L’iscrizione è ora ripubblicata e studiata da A. Illuminati, Lotores Nemorenses, «Documenta
Albana», ser. II, 11 (1989), pp. 31-45, cui spetta l’ipotesi dello scioglimento quinq(uies), i n
riferimento alla magistratura rivestita da L. Antonio Ionico nell’associazione di mestiere.
1076 Da Praeneste secondo Vicari, Produzione, cit., pp. 34; p. 101, n°149, forse per un lapsus:
sebbene reimpiegata, l’iscrizione viene in effetti da un contesto archeologico, cf. D. Vaglieri,
Ostia - Nuove scoperte presso le terme, «NSc», 34 (1909), pp. 119-121 e non mi sembrano sus-
sistere ragioni per dubitare della sua origine ostiense.
1077 Su questo documento, e in particolare sull’identificazione dei gentiles Artoriani, vd. ora
Vicari, Produzione, cit., p. 38, con la bibliografia ivi citata.
1078 Così sostanzialmente Pernier, Fullones, cit., pp. 321-322; G. Samonati, Lotor, «Diz. Ep.», IV
(1972), p. 1865; Illuminati, Lotores, cit., pp. 35-36. Sul termine lotor vd. H. Beikircher, Lavator,
«TLL», VII, 2 (1973), col. 1036.
1079 Le testimonianze relative ai collegi dei fontani sono raccolte da C. Pietrangeli, Una nuova
iscrizione romana relativa a Fons, «Studi in onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni»,
Parte II. I documenti 353

quanto concerne i cultores Urae fontis, il nome stesso di cultores mi pare più
appropriato per un sodalizio di carattere eminentemente religioso1080. Da no-
tare come, nelle denominazioni delle associazioni di follatori e affini, il termine
sodalicium sembri apparire solamente nell’iscrizione di Falerio.
Sono poi noti alcuni casi in cui i fullones si presentano come collettività,
senza che sia accertata l’esistenza di una vera e propria associazione:
16. CIL X, 813 da Pompei: dedica dei fullones a Eumachia L. f., sacerdos pu-
blica1081.
17. AE 1983, 562 dal territorio di Bracara Augusta: dedica dei fullones a
Marte.
18. CIL XIII, 3202 da Evreux1082: i fullones di Mediolanum Aulercorum rice-
vono in dono una piscina per i loro usi.
19. CIL VIII, 12575 da Cartagine, ove troviamo scritto: Fullones.
20. AE 1915, 44 da Gightis: dedica a [- Mem]ius C.f. Quir. [Me]ssius Pacatus,
patronus optimus, da parte dei fullones domus eius.
È difficile dire se tra il collegio dei fabri e il sodalizio dei fullones esistesse
un qualche rapporto, al di là del fatto che T. Sillio Prisco ricoprì i medesimi in-
carichi direttivi in entrambe le associazioni1083.
Veniamo finalmente ai singoli personaggi attestati nell’iscrizione di Fale-
rio: Il capofamiglia, il liberto T. Sillio Prisco, fu per due volte magister e quae-
stor del collegio dei fabri e ricoprì le medesime cariche anche nel sodalicium dei
fullones1084. La circostanza da un lato dimostra come l’appartenenza ad
un’associazione professionale non sempre implichi l’esercizio del mestiere cor-
rispondente, dal momento che difficilmente Prisco poté occuparsi di due settori
tanto diversi come quelli propri dei fabri e dei fullones. D’altro canto

Milano 1956, I, pp. 250-254, partic. p. 253, e da S. Panciera in S. Modugno - S. Panciera - F. Zevi,
Osservazioni sui consoli dell’85 d.C., «RSA», 3 (1973), pp. 96-98. Waltzing, Étude, cit., IV, p. 2 5
e Pernier, Fullones, cit., p. 322 includono le testimonianze dei fontani nelle loro rassegne delle
associazioni di follatori. Distingue invece nettamente le associazioni dei fontani da quelle dei
fullones, con buone argomentazioni, L. Gasperini, in Barbieri, Lapidario Zeri, cit., pp. 31-34.
1080 Come ritiene anche Vicari, Produzione, cit., p. 51. La testimonianza è tuttavia inclusa da
Pernier, Fullones, cit., p. 322, n°h; più prudente Waltzing, Étude, cit., IV, p. 90 il quale nota “Les
cultores Urae fontis de Nîmes sont peut-être aussi des foulons”.
1081 I fullones di Pompei, non necessariamente riuniti in associazione, sono attestati anche nei
tituli picti CIL IV, 3476; 7164 = AE 1913, 96; CIL IV, 9128; 9129, manifesti elettorali in cui essi
appaiono come rogatores, e in CIL IV, 4112; 4118; 4120, in cui ricevono i saluti di un tal
Crescens. Cf. anche il virgiliano Fullones ululamque cano non arma virumq(ue) di AE 1914,
139 = CIL IV, 9131 = CLE 1936, con riferimento alla civetta, animale sacro a Minerva, protettrice
dei follatori, cf. M. Gigante, Civiltà delle forme letterarie nell’antica Pompei, Napoli 1979, pp.
170-171. Vd. infine il graffito CIL IV, 9125 di incerta natura.
1082 Sulla quale vd. il commento di Deniaux, Artisanat du textile, cit., pp. 198-205.
1083 Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 305, nota 9 suppone che entrambe le associazioni fos-
sero impegnate nella lotta contro gli incendi; nel caso dei fabri l’ipotesi trova certo sostegno,
vd. supra, pp. 240-244, nel caso dei fullones tuttavia rimane da verificare.
1084 Sulle cariche di Prisco vd. Royden, Magistrates, cit., p. 214, n°321; Delplace, Romanisa-
tion, cit., p. 75, nt. 237; p. 81. Il comune cognomen Priscus appare nel Piceno ad Hadria in CIL
IX, 5026: Q. Cardenus Priscus; a Septempeda in CIL IX, 5672: L. Statius L. l. Priscus; a S. Vit-
tore di Cingoli in Suppl. It., n.s., 8, pp. 78-79, n°2: [---]cius Priscus, II vir.
354 Parte II. I documenti

l’iscrizione di Falerio è prova esplicita, anche nella regio V, del fenomeno


dell’appartenenza a più di un’associazione professionale, combattuto nella legi-
slazione imperiale a partire dall’età di Marco Aurelio1085.
Tra le cariche ricoperte da T. Sillio Prisco nelle associazioni di Falerio,
siamo assai meglio informati sulle funzioni svolte dal magister, tra l’altro pro-
prio grazie alle disposizioni della lex conlegi aquae, relative ad un’associazione
di follatori dell’Esquilino, a Roma1086: questi era il supremo magistrato del col-
legium, eletto tra i membri stessi della corporazione; la carica aveva general-
mente una durata annuale, e poteva eventualmente essere iterata, come mostra
anche il caso di Prisco. Il magister curava la dedica di monumenti in onore dei
patroni dell’associazione o di qualche altro influente personaggio ed il voto di
doni alle divinità ed era incaricato di presiedere l’assemblea dell’associazione e
di dirigere le operazioni di voto per l’elezione dei suoi successori; in taluni casi i
magistri sembrano avere voce in capitolo a proposito dell’ammissione di nuovi
membri; senza dubbio essi vigilavano affinché venissero rispettati lo statuto
dell’associazione e le delibere votate dall’assemblea, con possibilità di commi-
nare multe nel caso di infrazioni; infine guidavano la delegazione ufficialmente
incaricata di consegnare la tabula patronatus al personaggio sotto la cui tutela il
collegio aveva deciso di mettersi. Magistri delle associazioni dei follatori sono
ricordati anche a Spoletium, in numero di quattro (vd. supra, nell’elenco delle
attestazioni di collegi di follatori, al n°4), e forse a Roma, in numero di sei
(n°7), se veramente costoro erano i presidenti di un’associazione professionale.
Assai più numerose le notizie riguardo i magistri delle grandi associazioni dei
fabri1087.
Meno ben conosciuti i quaestores delle associazioni professionali:
l’iscrizione di Falerio sembra in effetti costituire per il momento l’unica atte-
stazione della carica in un collegio di fullones1088; qualche caso è invece altri-
menti noto per le associazioni dei fabbri1089. Dalle non numerose testimonianze
in nostro possesso emerge comunque come i quaestores si occupassero in genere
dell’amministrazione della cassa dell’associazione, in posizione subordinata ri-
spetto al magister ed eventualmente assistendolo nelle operazioni che implica-
vano un ricorso all’arca del collegio, come per esempio l’esecuzione di una
qualche opera decretata dall’assemblea. Come i magistri, anche i questori dura-

1085 Questi interessanti implicazioni del testo di Falerio sono messe in luce da Waltzing, Étude,
cit., I, p. 398.
1086 In genere sui magistri delle associazioni di mestiere vd. Liebenam, Zur Geschichte und Or-
ganisation, cit., pp. 203-206; Waltzing, Étude, cit., I, pp. 385-405; Kornemann, Collegium, cit.,
coll. 420-421; Royden, Magistrates, cit., pp. 231-232; Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 87-88. In
particolare sui magistri delle associazioni dei follatori vd. Pernier, Fullones, cit., p. 322. La lex
conlegi aquae è riportata nell’iscrizione CIL VI, 10298, sulla quale vd. Pernier, Fullones, cit., pp.
322-323.
1087 Ai quali si può risalire consultando l’Appendice 4 di Royden, Magistrates, cit., pp. 259-
260; cf. anche Waltzing, Étude, cit., IV, p. 343.
1088 Cf. Pernier, Fullones, cit., p. 322.
1089 Cf. Waltzing, Étude, cit., I, pp. 419-420.
Parte II. I documenti 355

vano in carica per un anno e potevano essere rieletti, come ci dimostra esplici-
tamente anche il caso di Prisco1090.
La moglie di Prisco, la liberta Claudia, dovrebbe essere stata affrancata da
Claudio o da Nerone (oppure da un liberto di uno dei due principi), a giudicare
dalla sua onomastica. Nel nome della donna colpisce la mancanza del cogno-
men, davvero insolita in un’iscrizione che dovrebbe datarsi al più presto nella
seconda metà del I sec. d.C. e che sembra trovare spiegazione unicamente in una
dimenticanza del lapicida1091. Di particolare interesse il titolo di mater del so-
dalizio dei fulloni di cui Claudia venne insignita1092.
Prima di esaminare i possibili significati del termine mater in connessione
con un’associazione mi pare utile riprendere brevemente la casistica a noi
nota1093.
1. Pomponia Victorina CIL VI, 8796 = ILS 1700 da Roma, mater coll(egi)
Liberi patris, dona una base con statua di Bacco insieme al liberto imperiale M.
Aurelius Successus, a cura amicorum e quinquennalis, si dovrà intendere della
medesima associazione1094.
2. Salvia Marcellina, CIL VI, 10234 = ILS 7213, ll. 10; 12 da Roma, mater
collegi Aesculapi et Hygiae, è ricordata nella lex del medesimo collegio per aver
ricevuto, in occasione di due diverse distribuzioni di somme di denaro, rispetti-
vamente 3 e 6 denari, lo stesso importo che venne donato al quinquennalis e al
pater collegi1095; da notare che le sportulae erano finanziate grazie agli interessi
ricavati da una somma di 50.000 sesterzi donati al collegio dalla stessa Salvia
Marcellina.
3. Beturia Paulla (che, convertita al giudaismo, assunse il nome di Sara) di CIL
VI, 29756 = D. Noy, Jewish Inscriptions of Western Europe, 2, The City of

1090 Cf. Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., p. 208; Kornemann, Collegium, cit.,
col. 423. Sui questori delle associazioni professionali impegnate nel servizio di spegnimento
degli incendi vd. anche Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 90.
1091 Sui liberti privi di cognomen e la cronologia del fenomeno vd. essenzialmente S. Panciera,
Saggi d’indagine sull’onomastica romana, «L’onomastique latine. Paris 13-15 octobre 1975»,
Paris 1977, pp. 192-198; Salomies, Vornamen, cit., pp. 230-231; Fabre, Libertus, cit., pp. 96-108.
Per la spiegazione proposta nel testo vd. Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 306.
1092 Cf. Pernier, Fullones, cit., p. 320; Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°65; p. 173, n°65; p.
188; Delplace, Romanisation, cit., p. 81; Saavedra Guerrero, Honor y poder, cit., p. 134 dove la
donna è ricordata con il nome di Claudia Philiberta (!) tra le matres collegiorum appartenenti a
famiglie che avevano altri legami con il mondo delle associazioni professionali; cf. anche Ead.,
Las mujer, cit., pp. 40; 55, con il nome di Claudia Filib(erta).
1093 Sulla base dei materiali raccolti da Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 369-370, Clemente, Patro-
nato, cit. (opera di riferimento alla quale si rimanda caso per caso), Cracco Ruggini, Stato e as-
sociazioni, cit., pp. 297-298, nota 101 e Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 39-63, partic. la
tabella a p. 40.
1094 Clemente, Patronato, cit., p. 207, n°18; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 43.
1095 Clemente, Patronato, cit., p. 207, n°21; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 59-62;
sul ruolo di Salvia Marcellina nella fondazione del collegio cf. anche M.D. Saavedra Guerrero,
’Constitutores collegiorum’: el papel de las mujeres en la fundación de ‘collegia’ en Roma,
«Polis», 4 (1992), pp. 212-213, con qualche inesattezza.
356 Parte II. I documenti

Rome, Cambridge 1995, pp. 457-459, n°577 da Roma, mater synagogarum


Campi et Bolumni, ricevette sepoltura1096.
4. Cornelia Procula di CIL XIV, 2112, col. II, l. 13 da Lanuvium, mater, il cui
compleanno doveva essere celebrato dal collegio di Diana ed Antinoo, in base al
regolamento dell’associazione stessa e al pari dei dies natales di un pater, di
Antinoo, di Diana e dell’associazione, di un frater e di un patrono del municipio.
5. Domitia Civitas di CIL XIV, 37 = ILS 4114 da Ostia, mater, insieme a Q.
Domitius Aterianus, pater, dona una statua di Attis ai cannofori di Ostia1097.
6. Iunia Zosime di CIL XIV, 69 da Ostia, mater, dona ai dendrofori una statua
d’argento di Virtus del peso di due libbre1098.
7. Macia Menophile di CIL XIV, 256 = Thylander, Ostie, pp. 408-418, n°B
344, l. 22 da Ostia, mater ricordata nell’albo del corpus fabrum navalium di
Ostia, dopo un gruppo di 13 personaggi, che sono verosimilmente da identifi-
care con i patroni e i quinquennales dell’associazione1099.
8. Gavillia Optat[a] di CIL IX, 2687 da Aesernia, mater colleg[i] centona-
rior[um], appare in una frammentaria iscrizione di carattere sepolcrale o onora-
rio1100.
9. Memmia Victoria di CIL XI, 5748 = ILS 7220 da Sentinum, mater numeri
nostri, ovvero del collegium fabrum Sentinatium, viene ricordata nella tavola di
patronato del figlio Coretius Fuscus, datata al 260 d.C.1101
10. Lepidia Iulia di CIL XI, 1355 b da Luna, mater, appare insieme ad altre due
donne con questo titolo nell’elenco dei membri di un collegio forse da identifi-
care con quello dei dendrofori, dal momento che all’ultima linea dell’iscrizione
troviamo che Herennius Demetrius, bisellarius dendrophorum, donum dedit; le
tre matres sono ricordate subito dopo gli immunes dell’associazione1102.
11. Titinia Crispina, vd. n°10.
12. Numitoria Felicitas, vd. n°10.
13. Herois Cy[s]senia di AE 1977, 265b da Ravenna, mater di un collegio
ignoto, insieme ad altre 4 donne; i nomi delle 5 matres appaiono in un albo su-
bito dopo i patroni e prima degli amatores, degli scribae, dei membri dell’ordo e
di 7 donne non meglio qualificate.
14. Eusebia Prima, vd. n°13.
15. Aurelia Herais, vd. n°13.
16. Lartia Felicitas, vd. n°13.
17. Sera Chreste, vd. n°13.

1096 Clemente, Patronato, cit., p. 208, n°23; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., p. 40; 50-52.
1097 Clemente, Patronato, cit., p. 191, n°3; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 46.
1098 Non registrato da Clemente, Patronato, cit., il personaggio è tuttavia ricordato da Cracco
Ruggini, Stato e associazioni, cit., p. 297, nota 101 e da Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp.
40; 46-47.
1099 Clemente, Patronato, cit., p. 195, n°18; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 56.
1100 Clemente, Patronato, cit., p. 172, n°53; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 55.
1101 Clemente, Patronato, cit., p. 180, n°118; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 58.
1102 Clemente, Patronato, cit., p. 177, n°103; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 57-58.
Parte II. I documenti 357

18. Coelia Paterna di CIL V, 4411 = ILS 6724 = InscrIt X, V, 204 da Brixia,
mater synagogae Brixianorum, appare in un iscrizione funeraria oppure onora-
ria, datata al II o agli inizi del III sec. d.C.1103
19. Licinia Macedonica di CIL II, 3229 = ILS 7308 da Laminium (Tarraconen-
sis), mater colleg(i) [---]anense m[---], curò l’erezione di una dedica da parte dei
clientes et liberti alla patrona Allia M. f. Candida1104.
20. Reginia Paterna di CIL XIII, 8244 = ILS 3384 = Galsterer, Köln, p. 38,
n°134 da Colonia Agrippina, mater nata et facta, dedica un’ara a Semele e alle
dee sue sorelle ob honorem sacri matratus, sub sacerdotali Seranio Catullo,
patre; l’iscrizione è datata al III sec. d.C.1105
21. Placidia Damale quae et Rufina di CIL III, 8833 da Salona, mater verna-
culorum, optima et incomparabilis femina, uxor fidelissima et piissima, rice-
vette sepoltura dal marito M. Plautius Severus1106.
22. Epipodia di CIL III, 870 = ILS 4061 da Napoca, mater dell’associazione
degli Asiani, nel cui albo il nome della donna sembra aprire l’elenco dei membri
di sesso femminile (235 d.C.)1107; il collegio aveva probabilmente un carattere
religioso, dal momento che era guidato da uno speirar[ch]aes, resa latina del
greco speiravrch": il termine ritorna in effetti, per fare solo un esempio, a
Roma per uno spirarches Liberi patris1108.
23. Fabia Lucilla di CIL III, 1207 da Apulum, egregiae memoriae viri filia e
mater coll(egiorum) fabr(um) et cent(onariorum) coloniae s(upra) s(criptae)
(scil. Apulum), pose una dedica al suocero P. Aelius P. f. Pap. Silvanus, II vira-
lis et sacerdotalis coloniae Apuli, eques Romanus ed egregiae memoriae
vir1109.
1103 Clemente, Patronato, cit., p. 168, n°12; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 50-51; cf.
anche Gregori, Brescia romana, cit., II, pp. 307-308.
1104 Clemente, Patronato, cit., p. 160, n°3. A proposito dell’associazione Mommsen proponeva
un identificazione con un collegium Anense m[aius]; ma cf. lemma a CIL II, 3249, ove si sugge-
risce anche un integrazione [Rom]anensi o [Aureli]anensi o simili. Licinia Macedonica ritorna
anche in CIL II, 3231, dalla medesima località: L(iciniae] Macedonicae / C(ai) L(icini) S(perati
?) filiae, / flaminicae p(erpetuae ?), / C(aius) L(icinius) Hedymeles / patronae / optimae / s(ua)
p(ecunia) p(osuit). L(oco) d(ato) d(ecreto) d(ecurionum).
1105 Clemente, Patronato, cit., p. 163, n°24; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 44-45. La
datazione proposta nel testo è suggerita da Galsterer, Köln, cit., p. 38.
1106 Non schedato in Clemente, Patronato, cit., il documento tuttavia è ricordato da Waltzing,
Étude, cit., IV, p. 370 e da Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 45 (con fraintendimento del
testo).
1107 Clemente, Patronato, cit., p. 210, n°2 e Cracco Ruggini, Stato e associaizioni, cit., p. 297,
nota 101 con il nome di Tattario Epipodia, secondo la lettura proposta da H. Dessau in ILS
4061: il primo elemento onomastico tuttavia è forse pertinente alla colonna I del testo, nella
quale sono registrati i soci di sesso maschile del sodalizio: in effetti non ho trovato traccia del
nome Tattario nei principali repertori onomastici, non sono dunque certo che si tratti di u n
nome maschile, tuttavia noto che tutti gli altri personaggi menzionati nell’iscrizione hanno u n
solo nome. L’interpretazione accolta nel testo è sostenuta da Waltzing, Étude, cit., III, pp. 80-81,
n°223 e da Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 43-44; Ead., Honor y poder, cit., p. 132,
nota 29.
1108 Cf. CIL VI, 2251-2252.
1109 Clemente, Patronato, cit., p. 211, n°8; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 57.
358 Parte II. I documenti

24. Marcia Basilissa di CIL III, 7505 = ILS 2311 da Troesmis, mater
dend(rophorum) e moglie del militare [T. Val]erius T. f. Pol. Marci[anus], che
qualche anno dopo il 170 d.C. pose una dedica alla sorella Valeria Longa1110.
25. Menia Iuliane, Tiana, mater Romanorum subscriptorum della dedica sacra
CIL III, 7532 = ILS 4069 da Tomi1111; si noti tuttavia che il titolo, che appare
a l. 2 in caso accusativo, non sarebbe coordinato con il nome della donna, inciso
a l. 3 al nominativo.
26. Sempronia Salsula di CIL VIII, 24519 da Cartagine, mater sac(rorum)
nell’albo dei sacerdotes di Iuppiter Hammon Barbarus Silvanus, ammesso che
costoro formassero un’associazione1112.
27. Valeria Paulina, mater sacroru(m), vd. n°26.
Come si vede le testimonianze, pur non molto numerose, prospettano una
varietà di situazioni tale da far sospettare che il significato del titolo di mater ed
il ruolo corrispondente non dovessero essere i medesimi in tutte le as-
sociazioni1113. La funzione ritorna sia in collegi professionali (vd. particolar-

1110 Clemente, Patronato, cit., p. 213, n°32; Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40; 47. Erro-
neamente Saavedra Guerrero, Honor y poder, cit., p. 134 considera Marcia Basilissa moglie di u n
clarissimus vir ed essa stessa clarissima: il titolo, che ritorna più volte nell’iscrizione, si ri-
ferisce infatti chiaramente ai diversi comandanti militari sotto i quali T. Valerio Marciano aveva
militato.
1111 Così Clemente, Patronato, cit., p. 213, n°33, Cracco Ruggini, Stato e associazioni, cit., p.
298, nota 101 e Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 40, 62.
1112 Non schedata da Clemente, Patronato, cit., l’iscrizione è ricordata da Saavedra Guerrero, Las
mujer, cit., pp. 40; 48-49; Ead., Honor y poder, cit., p. 132 e nota 34. Il titolo di mater sacrorum
ritorna anche in CIL XIII, 5384 da Vesontio, iscrizione sepolcrale di Geminia Titulla da Arausio,
senza che vi siano elementi per decidere se la donna assolvesse la funzione in un qualche
sodalizio di carattere religioso.
1113 La circostanza si riflette nella varietà di posizioni espresse dalla dottrina scientifica sul
problema: cf. tra gli altri Liebenam, Zur Geschichte und Organisation, cit., p. 218, nota 2, che
considera pater e mater come sinonimi di patronus e patrona (evidentemente seguito da
Clemente, Patronato, cit., che registra patres e matres delle associazioni senza distinguerli da
patroni e patronae); su questa linea anche R. MacMullen, Women in Public in the Roman Em-
pire, «Historia», 29 (1980), pp. 208-218 e Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 99. Waltzing, Étude,
cit., I, pp. 446-449 distingue tra le associazioni che raccoglievano i devoti delle religioni orien-
tali, in cui in particolare il titolo di pater designava il più elevato gradi d’iniziazione, e le asso-
ciazioni professionali e funerarie, nelle quali pater e mater sembrano titoli solamente onorifici,
assegnati a persone di rango sociale più modesto rispetto ai patroni e senza l’ufficialità che
comporta la redazione di una tabula patronatus; casi particolari sarebbero offerti dalla docu-
mentazione di Sentinum: in CIL XI, 5749 il pater e il parens agiscono da presidenti del collegio
del centonari, stilando un rapporto sull’elezione di un patrono; in CIL XI, 5748 la mater del col-
legio dei fabri è una donna di alto rango, madre del patrono dell’associazione; cf. Kornemann,
Collegium, cit. col. 425 e Boscolo, Dendrofori, cit., p. 37, che riprende sostanzialmente
l’interpretazione del Waltzing. Cracco Ruggini, Stato e associazioni, cit. pp. 296-298 e nota
101: titolo concesso alle benefattrici del collegio, che non implicava i vincoli giuridici con-
nessi al conferimento del patronato; nei collegi professionali il titolo di mater potrebbe costi-
tuire una sorta di primo riconoscimento preparatorio al conferimento ufficiale del patronato.
Kloppenborg, Collegia, cit., p. 25 rileva come nel collegio di Esculapio ed Hygia patres e matres
compaiano dopo il quinquennalis e prima degli immunes e dei curatores, il che implica che essi
erano membri del collegio, con qualche posizione ufficiale, e nota come esista la possibilità che
le donne potessero essere membri e funzionari anche nelle associazioni professionali, sebbene i n
Parte II. I documenti 359

mente i nn. 7-9; 23), sia, più spesso, in sodalizi a prevalente carattere religioso
(vd. particolarmente nn. 1-6; 18; 20; 22; 26-27): in questi ultimi non è impro-
babile che le matres assolvessero ad una qualche funzione di carattere cultuale,
come sembra mostrare il titolo di mater sacrorum (nn. 26-27) o l’espressione
sacer matratus (n°20), o amministrativo, come si è recentemente supposto per
le cosiddette madri della sinagoga (nn. 3; 18)1114, e come indica il confronto
stesso con le attestazioni dei patres1115.
Meno semplice comprendere il ruolo delle matres negli altri tipi di asso-
ciazioni: titolo in tutto equivalente a patrona, o piuttosto forma attenuata di
patrocinio, riservata a donne di condizione sociale modesta, che pure si erano
rese benemerite nei confronti dell’associazione, o ancora appellativo legato ad
una funzione reale nella vita del collegio? Credo che la prima ipotesi vada scar-
tata: il lessico dell’epigrafia latina conosce patronae delle associazioni e non
sembra che l’uso del termine mater costituisca semplicemente una variante di
esso, adottata in alcune regioni o in alcuni particolari periodi. Diverso mi sem-
bra anche il carattere della documentazione relativa a patronae da un lato e
matres dall’altro: prevalentemente iscrizioni onorarie e qualche tabula patro-
natus per le prime1116, mentre le matres appaiono in maggior misura nelle epi-
grafi sepolcrali, come nel caso che si sta esaminando (cf. anche i nn. 3; 21), e
soprattutto come autrici di dediche esse stesse (nn. 1; 5; 6; 19; 20; 23).
Quanto alla natura della diversità tra patronae e matres l’iscrizione di
Falerio potrebbe suggerire come essa consistesse soprattutto in una diversa qua-
lità del rapporto esistente con il mondo delle associazioni: mentre i patroni, in
buona parte dei casi, sono scelti all’esterno del collegio, Claudia emerge
dall’ambiente stesso del sodalizio dei fullones, nel quale il marito era iscritto e
ricoprì cariche direttive; nel caso in esame la relazione tra donna e il collegio
sembra nascere attraverso la mediazione delle figure maschili della famiglia: è
forse così anche per Pomponia Victorina, mater del collegio di Liber Pater, per
la quale si può supporre un legame di parentela con il quinquennalis
dell’associazione M. Aurelio Successo (cf. n°1), o per Domitia Civitas, che in-
sieme al pater Q. Domitius Aterianus fece dono di una statua di Attis ai canno-
fori di Ostia (n°5). In altri casi tuttavia la mater pare assumere un ruolo più at-
tivo, in cui maggiormente risalta la sua personale iniziativa: ne è buon esempio
Salvia Marcellina, alla quale spetta la creazione di una fondazione in favore del
collegio di Esculapio ed Hygia (n°2); la circostanza invita dunque a non genera-

queste ultime i titoli di mater e pater potrebbero anche avere un significato diverso; Saavedra-
Guerrero, Honor y poder, cit., pp. 127-135 sembra rinunciare ad una spiegazione univoca del
ruolo delle matres, concentrandosi piuttosto sulle azioni concrete intraprese da ciascuna di esse.
1114 Vd. soprattutto B.J. Brooten, Women Leaders in the Ancient Synagogue, Atlanta 1982, pp.
57-72, ove si troverà raccolta la documentazione rilevante, anche in lingua greca. Cf. inoltre
Saavedra Guerrero, Las mujer, cit., pp. 53-54; P.W. Van der Horst, Ancient Jewish Epitaphs. An
Introductory Survey of a Millenium of Jewish Funerary Epitaphs (300 BCE - 700 CE), Kampen
1991, pp. 107-108.
1115 Raccolte da Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 372-373; Clemente, Patronato, cit.; Cracco
Ruggini, Stato e associazioni, cit., pp. 296-298, nota 101.
1116 Cf. la documentazione riunita infra, pp. 378-380.
360 Parte II. I documenti

lizzare le conclusioni ricavabili da un solo documento, in una materia che, come


si diceva, si caratterizza per la molteplicità di aspetti che offre all’osservazione.
Un eventuale approfondimento del problema dovrebbe partire, a mio parere, da
un lato da un confronto con l’uso di altri termini del lessico familiare, come
pater e filia, nell’ambito della documentazione epigrafica relativa al mondo
delle associazioni, dall’altro da un esame comparato delle madri di altre colletti-
vità, come per esempio le matres dei municipi1117.
Comunque sia, le matres dovevano occupare un posto di distinzione nel
mondo delle associazioni, come mostra la loro partecipazione alle divisiones
sullo stesso piano dei dirigenti del collegio (n°2), il fatto che i loro compleanni
venissero solennemente celebrati (n°4) e la stessa posizione in cui esse appaiono
negli albi delle associazioni, dopo i patroni e i supremi magistrati, ma prima dei
membri ordinari (cf. nn. 7; 10-12; 13-17; 22).
Venendo ai figli di T. Sillio Prisco e di Claudia, T. Sillio Caro e Ti. Claudio
Filippo, da rilevare come essi siano stati magistri e quaestores nell’associazione
dei fabri, continuando la tradizione paterna1118; in assenza di indicazioni espli-
cite non escluderei che i due termini si riferiscano al solo Filippo1119. Da notare
il diverso gentilizio dei due personaggi: il fatto potrebbe essere spiegato pen-
sando che Filippo fosse nato quando ancora Prisco non aveva ottenuto la liber-
tà, a differenza della moglie, e che dunque il giovane avesse preso il nomen della
madre; in alternativa potremmo pensare che Filippo fosse nato schiavo ed a-
vesse ottenuto la libertà insieme alla madre1120; il fratello minore, T. Sillio
Caro, sarebbe invece nato quando anche il padre era stato affrancato e dunque
avrebbe assunto, come di regola, il gentilizio paterno; altre ipotesi di ricostru-
zione della struttura di questa famiglia sono tuttavia possibili1121.
Immagine: Tav. XXXIX. Bonvicini, Falerone dall’antichità al medioevo,
cit., p. 215, fig. LXXXIX; Pupilli, Il territorio del Piceno centrale dal Tardo-
antico al Medioevo, cit., p. 58, fig. 67; Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 303,
fig. 1.

1117 A quest’ultimo proposito si veda lo spoglio preliminare dei materiali in V. Bulhart, Mater,
«TLL», VIII, col. 439, ll. 45-79.
1118 Così Waltzing, Étude, cit., III, p. 419, n°1606; Dyson, Community and Society, cit., p. 201;
Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 305; cf. anche Delplace, Romanisation, cit., p. 75, nt. 237; p.
81.
1119 Così Royden, Magistrates, cit., pp. 205; 215, n°322.
1120 Per quest’ultima ipotesi opta Antolini, Sillii di Falerone, cit., p. 306. Entrambe le possibi-
lità sono prese in considerazione da Royden, Magistrates, cit., pp. 214-215 e nota 12. Nel Piceno
il cognomen Philippus sembra essere attestato unicamente per questo personaggio, oltre che
nell’iscrizione in oggetto in quello che è probabilmente il suo epitafio, l’iscrizione CIL IX,
5472.
1121 Antolini, Sillii di Falerone, cit., pp. 307-308 non esclude l’ipotesi che T. Sillio Caro fosse
nato in condizione servile e fosse stato affrancato dal medesimo patrono del padre Prisco; questa
ricostruzione è ritenuta probabile anche da Dyson, Community and Society, cit., p. 201, prin-
cipalmente sulla base dell’identificazione di Caro, figlio di Prisco, con il T. Sillius Karus di AE
1981, 300: la relazione di contubernium tra questi e Vetilia Prisca, nonché la coloritura servile
nel nome della figlia della coppia, Ianuaria, suggerirebbero un’estrazione servile di Caro. Il co-
gnome Carus / Karus è attestato nel Piceno dall’iscrizione Ancona 1 di questa raccolta.
Parte II. I documenti 361

Firmum

Firmum 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5377.


Bibliografia: Polverini, Fermo in età romana, cit., p. 61; Aubert, Business
Managers, cit., p. 469, n°C84.
Luogo di ritrovamento: nessuna indicazione a proposito ci viene dalla tradi-
zione erudita registrata in CIL.
Luogo di conservazione: l’iscrizione sembra già essere perduta ai tempi della
compilazione del CIL, che segnala unicamente la collocazione a Fermo, sulla
parete di una casa privata, come si trova nel codex Magliabecchianus, o nella
chiesa di S. Spirito, sempre a Fermo, accanto all’iscrizione CIL IX, 5408, come
si trova nell’opera dell’erudito fermano Francesco Adamo1122.
Tipo di supporto: nessuna indicazione in proposito nel lemma di CIL.
Mestiere: actor.
Datazione: la comparsa dell’adprecatio ai Mani, insieme al nome del defunto
in caso dativo, suggeriscono un termine post quem alla metà del I sec. d.C. In
ragione della estrema semplicità del testo non si dovrà forse scendere troppo ol-
tre tale data.
Testo: D(is) M(anibus). / Philumeno, / actori, / fili eius.
Commento
Si tratta del semplicissimo epitafio di un tal Philumenus, postogli dai figli.
Il personaggio, a giudicare dal fatto che porta un nome unico, sembra di
condizione servile, il che bene si accorda con lo statuto sociale della grande
maggioranza degli actores. Il grecanico Philumenus è attestato non lontano da
Fermo, in località Moie, nella forma femminile Philumena o Philumene1123
Filomeno esercitava la funzione di actor1124: come si è già visto a propo-
sito dell’actor alimentorum Restutus dell’iscrizione Auximum 3, questi era un
agente, nella grande maggioranza dei casi di condizione servile, che troviamo
impegnato nell’amministrazione di beni di diversa natura; conosciamo actores
alle dipendenze di privati, impiegati nella gestione del patrimonio privato
dell’imperatore o nell’amministrazione pubblica, a livello centrale come a li-
vello municipale1125.

1122 Cf. lemma a CIL IX, 5377.


1123 Bonvicini, Iscrizioni latine inedite, cit., p. 198 (= AE 1975, 355): Fl(aviae) Philumene, i n
genitivo o dativo. Cf. anche a Falerio Seiana T. l. Philumina di CIL IX, 5493. Le attestazioni ur-
bane del cognome sono registrate in Solin, Die griechischen Personennamen, cit., II, pp. 895-
896; quelle relative a schiavi e liberti anche in Id., Sklavennamen, cit., II, pp. 459-460.
1124 L’actor Philumenus è brevemente ricordato da Polverini, Fermo, cit., p. 61 e compare
nell’appendice prosopografica sugli actores di Aubert, Business Managers, cit., p. 469, n°C84.
1125 Sugli actores vd. in generale la bibliografia citata supra, p. 186, nota 345.
362 Parte II. I documenti

In mancanza di ogni altra determinazione, l’ipotesi più probabile è che


Philumenus fosse un agente al servizio di qualche privato cittadino di Firmum,
impegnato nell’amministrazione del bene più comune nel mondo antico, una
tenuta agricola1126. La più recente dottrina ha già esaustivamente messo in luce
i punti di contatto ma anche le differenze tra questi actores, che potremmo
chiamare rustici, e gli altri sovrintendenti dei fondi agricoli, i vilici, mestiere che
pure è attestato nella regio V dall’iscrizione Falerio 9: mentre questi ultimi
erano soprattutto impegnati nella conduzione e nella supervisione dei lavori
agricoli, gli actores, in particolare nella documentazione giuridica, appaiono oc-
cuparsi specialmente dell’amministrazione finanziaria della tenuta. Columella
effettivamente utilizza in alcuni passi il termine actor come sinonimo di vili-

1126 In particolare sugli actores nel settore dell’agricoltura e sui loro rapporti con i vilici vd. tra
gli altri De Ruggiero, Actor, cit., pp. 66-67 che distingue tra gli actores che assolvono alle me-
desime funzioni dei vilici e quelli che invece si affiancano ad essi, occupandosi in particolare
della contabilità; W.E. Heitland, Agricola. A Study of Agriculture and Rustic Life in the Greco-
Roman World from the Point of View of the Labour, Cambridge 1921, pp. 367-368, secondo i l
quale il termine actor sostituì progressivamente quello di vilicus per indicare i sovrintendenti
dei fondi agricoli; la parola vilicus sopravvisse a designare semplici fattori, che coltivavano le
parti del fondo non affidate a locatari; White, Roman Farming, cit., pp. 353; 379 distingue l’uso
di actor come sinonimo di vilicus o come termine che designa in modo speciale l’amministrato-
re finanziario della tenuta; Giliberti, Servus quasi colonus, cit., pp. 87-89 rileva che, nonostante
le mansioni dell’actor si confondano spesso con quelle del vilicus, il primo sembra aver un ruo-
lo di maggior prestigio; nel caso le due figure si affianchino, non vi è confusione di compiti, dal
momento che all’actor tocca l’amministrazione dell’azienda, al vilicus il coordinamento della
produzione; D. Vera, Forme e funzioni della rendita fondiaria nella tarda antichità, «Società
romana e impero tardoantico. I. Istituzioni, ceti, economie», a cura di A. Giardina, Roma - Bari
1986, pp. 382-385 sottolinea in particolare il ruolo degli actores (e dei procuratores) nella
gestione delle rendite; ai vilici spetta piuttosto la cura degli aspetti tecnici della conduzione
agricola; Capogrossi Colognesi, Grandi proprietari, cit., ibid., p. 342 rileva il ruolo di actores e
procuratores nel controllo sui coloni e sulle prestazioni da loro dovute, notando tuttavia come
essi siano presenti anche nel sistema di gestione diretta delle proprietà, come sovrintendenti dei
vilici; P. Veyne, Il “dossier” degli schiavi-coloni romani, «La società romana», Bari 1990, pp.
48-49: l’actor come sovrintendente di grado superiore al vilicus, incaricato in particolare d i
tenere la contabilità; in alcune proprietà la cui organizzazione era meno articolata era lo stesso
vilicus ad essere incaricato di tenere i conti e per questo talvolta i due termini sono usati con
senso equivalente; P. Simelon, La proprieté en Lucanie depuis les Gracques jusqu’à
l’avènement des Sévères. Étude épigraphique, Bruxelles 1993, pp. 76-77, con raccolta delle
attestazioni relative alla Lucania; lo studioso ritiene che fino alla fine del I sec. d.C. i termini
vilicus e actor siano intercambiabili; in seguito tuttavia il senso di actor si precisa, designando
in particolare colui che è incaricato dal proprietario del fondo di controllare il versamento del
canone da parte degli affittuari. Di particolare rilievo i recenti studi di J. Carlsen (J. Carlsen,
Estate Management in Roman North Africa. Transformation or Continuity?, «L’Africa romana.
Atti dell’VIII convegno di studio. Cagliari, 14-16 dicembre 1990», I, a cura di A. Mastino,
Sassari 1991, pp. 632-636; Id., Vilici, cit., partic. pp. 121-127; 138-142; Id., Sovrintendenti, cit.,
pp. 53-56) e J.-J. Aubert (Aubert, Business Managers, cit., pp. 186-196), che qui abbiamo seguito
nelle linee essenziali. Considerano invece sostanzialmente equivalenti i termini vilicus e actor
Staerman - Trofimova, Schiavitù, cit., pp. 43-50; Teitler, Free-Born Estate Managers, cit., pp.
206-213; dubbi sulla possibilità di distinguere actores e vilici in M. Corbier, Proprietà e
gestione della terra: grande proprietà fondiaria ed economia contadina, «Società romana e
produzione schiavistica. I. L’Italia: insediamenti e forme economiche», a cura di A. Giardina - A.
Schiavone, Bari 1981, p. 437.
Parte II. I documenti 363

cus1127, ma l’autore del De re rustica sembra qui impiegare il termine in senso


non tecnico, riflettendo forse anche una situazione nella quale i compiti più
propriamente inerenti l’amministrazione finanziaria e contabile della tenuta
agricola sono sostanzialmente assolti dal vilicus stesso. Testimoniano una diffe-
renziazione tra le funzioni del vilicus e quelle dell’actor non solo la documenta-
zione giuridica1128, ma anche qualche iscrizione in cui i due sovrintendenti ap-
paiono distinti: così per esempio nell’iscrizione CIL III, 5622 da Altmünster,
nel Norico, nella quale l’actor Lupus cura la sepoltura del suocero Probinus, vi-
licus.
Ad illustrare i reciproci rapporti tra actores e vilici può essere richiamata
anche un’iscrizione di Sitifis, epitafio di un tal Restitutus, Aeli Primitivi actor,
qui Satafis (!) vilic(avit) (AE 1972, 759); alla luce di quest’ultima testimonianza
acquistano significato anche due epigrafi del pagus Fificulanus: la prima è una
dedica a Liber Pater da parte di Festus, vilicus di T. Caesius Catius Fronto,
console del 96 d.C. (CIL IX, 3571), nella seconda il medesimo Festo appare
come dedicante dell’iscrizione sepolcrale della figlia Caesia Ursilla e del genero
Secundo, con il titolo di actor (CIL IX, 3579): dunque sia Restituto quanto pro-
babilmente lo stesso Festo furono promossi da fattori ad agenti amministrativi:
pare logico dedurne che la funzione di actor fosse generalmente sentita di rango
superiore rispetto a quella di vilicus1129.
La laconicità dell’iscrizione di Firmum non consente purtroppo di com-
prendere in che accezione venisse utilizzato il termine actor, se cioè Filomeno
fosse un agente amministrativo affiancato ad un vilicus, o se piuttosto egli fosse
un semplice fattore che, tra l’altro, si occupava anche della contabilità relativa
al fondo.
Quanto ai rapporti fra gli actores ed un’altra categoria di sovrintendenti
pure attestata dalla epigrafia della V regione, i procuratores1130, pare probabile
che le competenze territoriali dei primi fossero più limitate rispetto a quelle dei
secondi e che dunque più actores agissero sotto la supervisione di un solo procu-
rator: è quanto sembra di poter ricavare da una lettera di Plinio il Giovane nella
quale, considerando l’opportunità di comperare una tenuta vicina alla sue terre,
l’autore ricorda tra gli elementi che consigliano l’acquisto, la possibilità di affi-

1127 L’esempio più chiaro è probabilmente in Colum., I, 7, 6-7 dove l’autore, spiegando per qua-
li motivi le tenute collocate a grande distanza dal luogo di residenza del proprietario è preferibi-
le siano affidate a coloni liberi piuttosto che a fattori di condizione servile (tolerabilius sit sub
liberis colonis quam sub vilicis servis habere), conclude che sia l’actor che la familia servile, i n
mancanza di controllo, si comportano male, arrecando danno alla reputazione della tenuta (Ita
fit, ut et actor et familia peccent et ager saepius infametur).
1128 Esaminata in particolare da Aubert, Business Managers, cit., pp. 191-192; Carlsen, Vilici,
cit., pp. 123-125.
1129 Carlsen, Vilici, cit., pp. 100; 139-140; Id., Sovrintendenti, cit., pp. 55-56.
1130 Vd. supra, pp. 194-199, il commento all’iscrizione Auximum 5, ove è attestato un liberto
procuratore imperiale di nome Marcus; non è tuttavia chiaro in quale settore del patrimonio
dell’imperatore esercitasse la sua supervisione Marco.
364 Parte II. I documenti

dare il nuovo fondo allo stesso procurator e agli stessi actores che già ammini-
stravano le terre vicine1131.
Immagine: Tav. XL.

1131 Plin., Ep., III, 19, 2.


Parte II. I documenti 365

Firmum 2

Edizione di riferimento: G. Paci, P. Oppius C.l. argentarius, «Epigrafia ro-


mana in area adriatica. Actes de la IXe Rencontre franco-italienne sur
l’épigraphie du monde romain», a cura di G. Paci, Macerata 1998, pp. 177-
187.
Altre edizioni: G. Paci, Da Porto S. Elpidio la più antica attestazione epi-
grafica d’un banchiere romano, «Picus», 16-17 (1996-1997), pp. 247-248 ( =
AE 1997, 479).
Bibliografia: G. Paci, Iscrizioni romane di Potentia, «Potentia», a cura di
Percossi Serenelli, cit., p. 101; Id., Medio-Adriatico occidentale, cit., p. 81; Id.,
Nuove iscrizioni romane da Potentia (Porto Recanati), «Picus», 22 (2002), pp.
211-212; Pasquinucci - Menchelli, Anfore, cit., p. 460.
Luogo di ritrovamento: Porto S. Elpidio, dalla Villa Murri1132. Il territorio
della cittadina, in età romana, era forse compreso in quello della colonia di Fir-
mum Picenum1133.
Luogo di conservazione: Porto S. Elpidio, Scuola Media “Galileo Galilei” (au-
topsia maggio 2002).
Tipo di supporto: piccolo blocco in calcare locale, con diverse scheggiature, in
particolare sul lato destro e sul lato inferiore, dove è stato asportato l’angolo
sinistro, forse per adattare il pezzo allo scopo di reimpiegarlo; si nota inoltre
una certa erosione delle superficie della pietra, più accentuata nella parte infe-
riore. La leggibilità del testo comunque non risulta minimamente compromessa
da questi danni.
Mestiere: argentarius.
Datazione: diversi elementi concorrono a determinare la datazione
dell’epigrafe: in primo luogo il formulario, di estrema semplicità; in secondo
luogo l’onomastica del personaggio ricordato: si tratta di un liberto che ancora
non indica il proprio cognomen, un fenomeno attestato in particolare fin verso
la fine del II sec. a.C., anche se alcuni esempi sono noti ancora per l’età tardo-
repubblicana e protoimperiale1134; lo stesso fatto che il liberto abbia un pre-
nome diverso da quello del patrono sembra indicare come il testo sia relativa-
mente antico1135. Infine la paleografia, che richiama da vicino quella dell’iscri-
zione di Pilonicus da Civitanova Marche, databile, anche in base all’analisi pro-
sopografica, alla fine del II sec. a.C.1136 Tutti questi elementi hanno indotto

1132 Paci, P. Oppius, cit., p. 177.


1133 Così Paci, P. Oppius, cit., p. 186; CIL IX, p. 526 prudentemente registra in un capitolo a
parte i testi ritrovati nella regione compresa tra il Tenna e il Chienti, tra i quali CIL IX, 5528,
epigrafe proveniente da S. Elpidio a Mare, a pochi chilometri da Porto S. Elpidio.
1134 Vd. M. Cébeillac, Quelques inscriptions inédites d’Ostie: de la république à l’empire,
«MEFRA», 83 (1971), pp. 47-63, con le precisazioni di Panciera, Saggi d’indagine, cit., pp. 192-
198.
1135 Cf. Vitucci, Libertus, cit., p. 911; cf. anche la casistica registrata da A. Degrassi negli indici
di ILLRP, II, p. 488.
1136 Vd. supra, p. 256.
366 Parte II. I documenti

l’editore del testo di Porto S. Elpidio a proporre una datazione tra la fine del II
e gli inizi del I sec. a.C.1137
Testo: P(ubli) Oppi C(ai) l(iberti), / argent(ari).
Segni di interpunzione separano regolarmente le parole. Le interpunzioni, a giu-
dicare dall’esempio meglio conservato, quello che appare tra P(ubli) e Oppi,
hanno la forma di un trattino orizzontale apicato1138.
Commento
Il breve testo ci ricorda, apparentemente in caso genitivo, il nome di P.
Oppius C. l. ed il suo mestiere di argentarius1139: si può dunque ipotizzare che si
tratti dell’epitafio del personaggio, in cui veniva ricordata la sua proprietà sulla
tomba. Peraltro si può anche pensare che gli elementi onomastici siano nella
forma contratta del nominativo e sciogliere P(ublius) Oppi(us) C(ai) l(ibertus),
/ arg(entarius); tuttavia anche in questa seconda ipotesi non muterebbe il carat-
tere funerario del testo.
A giudicare dalla documentazione epigrafica in nostro possesso, il me-
stiere di argentarius era esercitato, oltre che da liberti, come nel caso presente,
anche da schiavi1140. Ma mentre questi ultimi sono generalmente ritenuti dei
semplici artigiani che lavoravano i metalli preziosi1141, i liberti ed i pochi indi-
vidui di nascita libera erano probabilmente impegnati in attività di carattere

1137 Paci, C. Oppius, cit. pp. 179-181.


1138 Si tratterebbe di una varietà dell’interpunto a quadrangolo, nella classificazione di Zucca,
Sui tipi di interpunzione, cit., pp. 133-134; la forma mi sembra presentare significative somi-
glianze con quella attestata in CIL I2, 28, la nota dedica ad Esculapio da parte di un M. Populi-
cios M. f., cf. A. Degrassi, Inscriptiones latinae liberae rei publicae. Imagines, Berolini 1965, p.
17, fig. 22 A.
1139 In linea teorica potremmo considerare Argentarius come cognomen di P. Oppio: il termine
tuttavia non è mai usato con certezza con questa funzione, mentre abbiamo qualche attestazione
di Argentarius come gentilizio, cf. J. Andreau, La vie financière dans le monde romain. Les mé-
tiers de manieurs d’argent (IVe siècle av. J.-C. - IIIe siècle ap. J.-C., Rome 1987, cit., pp. 676-
677; pare dunque più fondato considerare argentarius come indicazione di mestiere.
1140 Le attestazioni sono state studiate da Andreau, Vie financière, cit., pp. 93-137. Le menzioni
nell’epigrafia cristiana di Roma sono ora raccolte da Bisconti, Mestieri, cit., pp. 240-241. Una
prosopografia degli operatori finanziari della Roma repubblicana in C.T. Barlow, Bankers, Mo-
neylenders, and Interest Rates in the Roman Republic, Diss. Chapel Hill 1978, pp. 246-260.
1141 Nella documentazione epigrafica questi argentarii - orafi sono talvolta più propriamente
chiamati fabri argentarii o con altre allocuzioni che evidentemente servivano a distinguerli
meglio dagli argentarii - banchieri; a tale proposito si veda la casistica registrata da E. De
Ruggiero, Argentarius, «Diz. Ep.», I (1895), pp. 657-661, partic. p. 658; vd. inoltre H.
Gummerus, Die römische Industrie. Wirtschaftgeschichtliche Untersuchungen I. Das
Goldschmied- und Juweliergewerbe, «Klio», 14 (1915), pp. 134-137; Brewster, Craftsmen, cit.
pp. 6-7; cf. anche Boulvert, Esclaves, cit., p. 25; Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 85; ora
in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 103; Andreau, Vie financière, cit.,
pp. 62; 677-678; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Tra-
bajo, cit., p. 66. La situazione muta sensibilmente nella tarda antichità, quando nelle fonti lette-
rarie e giuridiche il termine argentarius ha per lo più il significato di orafo, vd. Andreau, Vie fi-
nancière, cit., pp. 62-64; Id., Banque et affaires, cit., pp. 70-71; le attestazioni del termine nella
letteratura tardoantica sono registrate da Von Petrikovits, Spezialisierung II, cit., p. 297.
Parte II. I documenti 367

bancario1142; in quest’ultima professione doveva dunque essere impegnato anche


il liberto C. Oppio, anche se il nostro documento, come la maggior parte delle
testimonianze epigrafiche, non apporta per la verità alcun elemento a sostegno
dell’una o dell’altra possibilità.
Le attività degli argentarii - banchieri, oltre agli uffici caratteristici della
banca, quali l’emptio e la venditio nummorum, il prestito ad interesse, il depo-
sito di somme di denaro e il servizio di pagamento a terzi, comprendeva anche
operazioni relative alle vendite all’asta, almeno a partire dai primi decenni del I
sec. a.C., talvolta anche il cambio e il controllo delle monete, anche se questi
due ultimi incarichi erano generalmente affidati ad altri specialisti, i nummula-
rii1143.
La reputazione sociale di cui godevano gli argentarii a Roma, secondo la
testimonianza delle fonti letterarie, è tutto sommato più sfumata di quanto non

1142 Su tale distinzione vd. De Ruggiero, Argentarius, cit., p. 658; cf. anche Gummerus, Die rö-
mische Industrie, cit., pp.138-151 e Andreau, Vie financière, cit., pp. 74; 83; 93-100, con una
puntuale analisi della documentazione; Gimeno Pascual, Artesanos, cit., pp. 12-13; 16, nn. 8-9;
Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 96-
97. Sulla condizione sociale degli operatori che lavoravano nel settore della finanza a Roma vd.
anche K. Wachtel, Zur sozialen Herkunft der Bankiers im Römischen Reich bis zum Ende des
dritten Jahrhunderts u.Z., «Neue Beiträge zur Geschichte der alten Welt. II. Römisches Reich», a
cura di E.C. Welskopf, Berlin 1965, pp. 141-146; Barlow, Bankers, cit., pp. 87-91; 196-213 (par-
tic. 203-208) J. Andreau, Modernité économique et statut des manieurs d’argent, «MEFRA», 9 7
(1985), pp. 373-410; ora in Patrimoines, échanges et prêts d’agents: l’économie romaine, Rome
1997, pp. 3-45; Id., Enrichissement et hiérarchies sociales: l’exemple des manieurs d’argent,
«Index», 13 (1986), pp. 529-540; Id., Vie financière, cit., pp. 401-438, partic. pp. 404-405; 415;
G. Maselli, Argentaria. Banche e banchieri nella Roma repubblicana. Organizzazione, proso-
pografia, terminologia, Bari 1986, pp. 34-36; 81-85. Sugli argentarii nell’epigrafia repubbli-
cana di Roma vd. Kühnert, Plebs urbana, cit., p. 44; sugli argentarii ed i nummularii
nell’epigrafia delle province galliche germaniche e danubiane si veda inoltre Schlippschuh,
Händler, cit., pp. 78-85; per un negotiator argentarius a Mediolanum vd. Calderini, Arti e me-
stieri, cit., pp. 533-534.
1143 Sulle attività degli argentarii - banchieri si veda, oltre alla sintetica esposizione di De
Ruggiero, Argentarius, cit., pp. 659-660, le dettagliate analisi di Barlow, Bankers, cit. e soprat-
tutto di Andreau, Vie financière, cit., pp. 65-86; 527-606; Id., Banque et affaires, cit., pp. 65-99;
in particolare sulle prime attestazioni dell’intervento degli argentarii nelle auctiones vd.
Andreau, Vie financière, cit., p. 64; Id., Banque et affaires, cit., p. 66. Vd. inoltre Id., Les finan-
ciers romaines entre la ville et la campagne, «L’origine des richesses dépensées dans la ville
antique. Actes du colloque organisé à Aix-en-Provence par l’U.E.R. d’Histoire, les 11 et 12 mai
1984», a cura di P. Leveau, Aix-en-Provence - Marseille 1985, pp. 177-196; Maselli, Argentaria,
cit., pp. 19-31; 91-128; Nadjo, Argent, cit., partic. pp. 212-216; di carattere eminentemente di-
vulgativo S. Balbi de Caro, La banca a Roma. Operatori e operazioni bancarie, Roma 1989,
partic. pp. 27-34 (sugli operatori bancari presenti in Italia); pp. 37-45 (sulle attività degli ar-
gentarii), come anche A. Dosi - F. Schnell, I soldi nell’antica Roma. Banchieri e professioni, af-
fari e malaffare, Milano 1993, partic. pp. 33-36; A. Petrucci, Mensam exercere. Studi
sull’impresa finanziaria romana (II secolo a.C. - III secolo d.C.), Napoli 1991 (studio esaustivo,
soprattutto dedicato all'organizzazione economica e giuridica delle imprese finanziarie, ma
comunque fondamentale per le attività svolte dagli argentarii). Una bibliografia specifica sui
banchieri nel mondo romano ci viene ora offerta da Krause - Mylonopoulos - Cengia, Biblio-
graphie, cit., pp. 309-311.
368 Parte II. I documenti

accada per altri mestieri, sui quali i giudizi risultano invariabilmente negativi1144.
Certo Plauto può farsi facile gioco della scarsa affidabilità e dell’avidità dei
banchieri1145 e Cicerone nel De Officiis narra con duri accenti di una frode per-
petrata dall’argentarius siracusano Pythius ai danni del cavaliere C. Canio1146;
tuttavia l’oratore pure presenta il grande banchiere di Reggio Q. Lucceio come
un testimone affidabile1147 e M. Fulcinio come uomo tra i più stimati nella sua
Tarquinia e gestore di un’attività bancaria niente affatto disprezzata a
Roma1148. Un’eco di tali qualità si può forse scorgere in un’epigrafe africana,
nella quale l’argentarius L. Praecilius Fortunatus di Cirta ricorda che fydes (sic)
in me mira fuit semper et veritas omnis, anche se la genericità dei termini fides e
veritas non assicurano che le due qualità si riferissero alla vita professionale e
non, come altrove, alla vita privata del personaggio1149. Resta ovviamente il
fatto che per un personaggio che apparteneva alla classe dirigente l’esercitare il
mestiere di argentarius, come altri, gettava un marchio di disonore: lo dimo-
strano le accuse a diversi membri della famiglia di Ottaviano di essere argentarii,
lanciate dagli avversari politici del futuro imperatore e registrate da
Svetonio1150.
Tra le attestazioni epigrafiche di argentarii giunte sino a noi, solamente
tre, tutte provenienti da Roma, appartengono all’età repubblicana1151, ma nes-

1144 Per una completa rassegna delle testimonianze a proposito, di cui qui si riprenderanno solo
alcune delle più significative, si veda A. D’Hautcourt, Auguste er les banquiers. Un motif de l a
propagande politique romaine, «Latomus», 56 (1997), pp. 806-807; cf. anche Barlow, Bankers,
cit., pp. 87-90; 196-199; per il giudizio di Cicerone sulle attività bancarie e chi le gestiva vd.
Valencia Hernandez, Agricultura, cit., pp. 140-143.
1145 Cf. Plaut., Persa, 431-436: gli argentarii fuggono come lepri dal Foro non appena hai affi-
dato loro qualcosa o fuggono veloci come una ruota che gira se consegni loro delle monete per
farle saggiare (ibid., 441-443). In Plaut., Curc., 679-685 il lenone Cappadoce afferma che affidare
del denaro agli argentarii non significa fare un buon affare né un cattivo affare, significa sem-
plicemente perdere i propri soldi, dal momento che questi non li restituiscono. Le numerose te-
stimonianze plautine sugli argentarii sono state oggetto di analisi specifiche, vd. J. Andreau,
Banque grecque et banque romaine dans le théâtre de Plaute et de Térence, «MEFR», 80 (1968),
pp. 461-526; M.V. Giangrieco Pessi, Argentarii e trapeziti nel teatro di Plauto, «Archivio Giu-
ridico», 201 (1981), pp. 39-106.
1146 Cic., Off., III, 58-60; sulla testimonianza vd. Andreau, Vie financière, cit., p. 67.
1147 Cic., 2 Verr, V, 165; nel giudizio di Cicerone probabilmente pesa il fatto che Lucceio ar-
gentariam Regi maximam fecit, dunque la scala degli affari condotti dal banchiere.
1148 Cic., Pro Caecina, 10; sulla testimonianza vd. Andreau, Vie financière, cit., pp. 66; 429.
1149 CIL VIII, 7156 = ILAlg. II, 1, 820; su questa testimonianza vd. Andreau, Vie financière, cit.,
pp. 108-109; 287.
1150 Suet., Aug., 3, 1, dove l’accusa è rivolta da non meglio specificate persone al padre d i
Ottaviano; 4, 4, dove è il cesaricida Cassio Parmense ad affermare che Augusto era nipote di u n
nummularius; 70, 4, dove Svetonio ricorda che ai tempi delle proscrizioni qualcuno incise sulla
statua di Ottaviano il salace verso Pater argentarius, ego Corinthiarius, alludendo anche alla
passione del triumviro per i bronzi di Corinto. Cf. anche la pseudo-ciceroniana Epistula a d
Octavianum, 9, ove ritorna il tema dell’avus argentarius. Le testimonianze sono analizzate da
Andreau, Vie financière, cit., pp. 67-70; 431-438; D’Hautcourt, Auguste, cit., pp. 800-810.
1151 I testi rilevanti, esaminati da Paci, C. Oppius, cit., p. 183, sono CIL VI, 9170 = I2, 1382, nella
quale sono attestati i liberti Cn. Septimius Cn. l. Philargurus, Cn. Septimius Cn. l. Malchio e Cn.
Parte II. I documenti 369

suna di queste sembra altrettanto antica di quella ora rinvenuta a Porto S.


Elpidio.
A proposito del nome del personaggio si può ricordare che a Philome-
lium, nella provincia di Cilicia, operava in età tardorepubblicana un agente del
cavaliere L. Egnazio Rufo, di nome L. Oppius M. f., forse egli stesso banchiere;
il personaggio compare a più riprese nelle cosiddette lettere di raccomandazione
scritte da Cicerone1152. Anche se l’agente di Egnazio Rufo non è troppo di-
stante per cronologia dall’argentarius di Porto S. Elpidio, per il momento non
possediamo alcun elemento decisivo per affermare che tra di essi esistesse un
qualche rapporto.
La gens Oppia è ben rappresentata anche fra i negotiatores attivi nel
Mediterraneo orientale in età repubblicana: a Delo conosciamo un Leuvkio"
[Oppio" ÔRwmai'o" attestato tra i donatori nel 180 a.C.1153, un L. Oppius L. f.,
probabilmente figlio del precedente, da collocare tra il 150 e il 140 a.C.1154, un

Septimius C. l. Phileros (l’iscrizione è datata alla prima metà del I sec. a.C., probabilmente dopo
l’80-70 a.C., da Andreau, Vie financière, cit., pp. 280; 282); CIL I2, 2523 = ILLRP 781, che men-
ziona un L. Fonius Cn. f. Cn. n. (prima metà del I sec. a.C. secondo Andreau, Vie financière, cit., p.
283); CIL VI, 23616 = I2, 1353, add. p. 977, nella quale avremmo la menzione, in caso genitivo,
di un A. Otacili P. l. / arg(entari) (tra la fine del II sec. a.C. e la prima metà del I sec. a.C. secondo
Andreau, Vie financière, cit., pp. 278-279). Quest’ultimo testo per la verità presenta alcune diffi-
coltà interpretative: nei lemmi a CIL VI, 23616 CIL I2, 1353 si propone la lettura alternativa A.
Otacili / Philarg(yri) che farebbe scomparire il personaggio dal novero degli argentarii noti per
l’età repubblicana. L’ipotesi, respinta da Andreau, Vie financière, cit., pp. 682-683, non può pur-
troppo essere verificata in base ad un esame della pietra, che è andata perduta.
1152 Cic., Fam., XIII, 43, 1 dell’inverno 47-46 a.C., indirizzata a Q. Gallio, questore o legato del
governatore di Cilicia Q. Marcio Filippo: Etsi plurimis rebus spero fore ut perspiciam, quod
tamen iam pridem perspicio, me a te amari, tamen ea causa tibi datur in qua facile declarare
possis tuam erga me benevolentiam. L. Oppius M. f. Philomelii negotiantur, homo mihi familia-
ris; cum tibi unice commendo eoque magis quod cum ipsum diligo, tum quod negotia procurat
L. Egnati Rufi …; cf. anche Fam., XIII, 44 allo stesso Q. Gallio, del 46 a.C. e Fam., XIII, 73, 1 a Q.
Marcio Filippo, dell’estate del 46 a.C.; su L. Oppio vd. ora E. Deniaux, Clientèles et pouvoir à
l’époque de Cicéron, Rome 1993, pp. 532-533, con bibliografia anteriore. Non sono invece certo
dell’opportunità di richiamare a questo proposito la famiglia degli Oppii de Velia, coinvolti i n
un qualche affare di denaro con Terenzia, moglie di Cicerone, e con Cicerone stesso nei primi
mesi del 49 a.C.: sebbene questi Oppii siano stati talvolta ritenuti faeneratores o argentarii (cf.
per esempio Maselli, Argentaria, cit., pp. 57-58; Deniaux, Clientèles, cit., p. 533) il recente rie-
same del dossier ciceroniano da parte di K. Verboven, A Note on the Oppii from Velia and
Cicero’s Divorce, «Latomus», 60 (2001), pp. 314-320 ha mostrato come non vi sia in realtà al-
cun elemento certo per supporre che gli Oppii esercitassero l’attività di prestatori di denaro;
l’intera vicenda avrebbe uno sviluppo più lineare se supponessimo piuttosto che questa fami-
glia avesse contratto un debito con Terenzia e che Cicerone avesse cercato di recuperarlo.
1153 IDélos 442, B, l. 148; cf. anche 443, Bb, l. 65 e 468, l. 2; sul personaggio vd. M.-F. Baslez,
La première présence romaine à Délos (vers 250 - vers 140), «Roman Onomastics in the Greek
East. Social and Political Aspects. Proceedings of the International Colloquium Organized by
the Finnish Institute and the Centre for Greek and Roman Antiquity, Athens 7-9 September
1993», a cura di A.D. Rizakis, Athens 1996, pp. 220-221.
1154 CIL III, 7218 = I2, 2239 = ILS 3206 = ILLRP 748; IDélos 1732; sul personaggio vd. J.
Hatzfeld, Les italiens résidant à Délos mentionnés dans les inscriptions de l’île, «BCH», 3 6
(1912), p. 60.
370 Parte II. I documenti

Sevxto" [Oppio" Nemerivou Zeu'xi" nel 74 a.C.1155; a Samotracia è invece atte-


stato un M. Oppius Nepos1156. Sebbene i prenomi del nostro argentario e del suo
patrono, rispettivamente Publius e Caius, non siano per il momento attestati
tra gli Oppii del Mediterraneo orientale, l’esistenza di un qualche rapporto tra il
personaggio di Porto S. Elpidio e i negotiatores di Delo e Samotracia non sa-
rebbe sorprendente.
Passando dal quadro mediterraneo a quello piceno, il riferimento più im-
mediato al quale viene dato di pensare è quello alla famiglia senatoria degli Oppii
di Auximum1157, all’interno della quale è attestato anche il praenomen Caius.
Tra gli antenati degli Oppii senatori si trovava forse quel Cn. Oppius Cn. f. che
è attestato nel consilium di Pompeo Strabone del 90 a.C., dunque all’incirca
negli stessi anni in cui va collocato l’epitafio di Porto S. Elpidio. Non pare
dunque illegittimo ipotizzare, con il Paci, che il nostro argentarius possa esser
stato un liberto della gens Oppia di Osimo (certo non del personaggio della
celebre iscrizione ascolana di Pompeo Strabone, data la diversità del prenome,
ma forse di un suo fratello o di un altro membro della medesima famiglia) o,
addirittura, che sia stato egli stesso uno dei fondatori della fortuna della famiglia
senatoria osimate, e che, coi guadagni della sua attività bancaria, egli sia stato in
grado di acquistare vaste tenute agricole nel territorio di Osimo1158.
Un’alternativa, o meglio, un complemento, a questa ricostruzione viene
dalla recente pubblicazione di un frammento di pisside da Potentia recante sulla
parete esterna un graffito, che verosimilimente attesta l’appartenza
dell’oggetto ad un L. Oppio: per caratteristiche linguistiche e paleografiche, il
documento pare inquadrarsi nei primi anni vita della colonia di Potentia, fon-
data nel 184 a.C.1159: una connessione tra il P. Oppio di Porto S. Elpidio e il
documento potentino, che ad oggi risulta essere la più antica attestazione della
gens Oppia nella regione picena, appare credibile. Si deve tuttavia chiarire che,
se la prospettive qui delineate sembrano suggestive, siamo pur sempre nel
campo della semplici ipotesi, almeno fino a quando altri documenti non ver-
ranno a colmare la lacuna esistente nella nostra documentazione sugli Oppii del
Piceno nell’età medio e tardorepubblicana e nei primi decenni dell’era impe-
riale.
Rimane ora da chiedersi se le attività bancarie di P. Oppio possano tro-
vare un qualche aggancio con gli sviluppi economici del Piceno fra II e I sec.
a.C. a noi noti; a questa proposito può valer la pena di sviluppare una sugge-
stione di G. Paci che, ricordando il ruolo fondamentale che ebbe la viticoltura e

1155 L’iscrizione di Ses. Oppio Zeusi è pubblicata da T. Homolle, Les Romains à Délos, «BCH», 8
(1884), pp. 145-148; sul personaggio vd. Hatzfeld, Les italiens, cit., pp. 60-61.
1156 CIL III, 721; sul personaggio vd. J. Hatzfeld, Les trafiquants italiens dans l’Occident hel-
lénique, Paris 1919, p. 59, nota 2, che propone in via ipotetica una datazione agli inizi del I sec.
a.C.
1157 Sulla quale si veda la bibliografia citata supra, p. 167, nota 262.
1158 Paci, P. Oppius, cit., p. 186.
1159 Paci, Iscrizioni romane di Potentia, cit., p. 101, n°28, Id., Nuove iscrizioni romane da Po-
tentia, cit., pp. 210-212, n°29.
Parte II. I documenti 371

l’esportazione di vini pregiati nell’economia dell’area medioadriatica1160 sugge-


riva un possibile coinvolgimento dell’argentarius nelle attività connesse al
commercio vinicolo1161. In effetti nei documenti in nostro possesso non è raro
trovare un rapporto tra i mestieri della banca ed il settore della produzione vini-
cola, anche se i dettagli di tale rapporto ci sfuggono quasi completamente1162: in
epoca augustea la presenza di argentarii e coactores è attestata nel forum vi-
narium di Roma1163, mentre un coactor argentarius era attivo nel portus vina-
rius superior dell’Urbe1164; un argentarius coactor ed un negotiator vinarius in-
dicano entrambi la località di Septem Caesares, un toponimo che verosimil-
mente è da localizzare a Roma, forse a Trastevere, come sede delle loro atti-
vità1165; ad Ostia, tra la fine del I sec. e gli inizi del II sec. d.C. conosciamo un
Cn. Sentius Cn. f. Felix che fu patrono, oltre che di numerose altre associazioni
professionali, degli argentarii e dei negotiatores vinarii ab Urbe1166; nel 251
d.C., infine, argentarii et exceptores itemq(ue) negotiantes vini Supernat(is) et
Arimin(ensis) di Roma posero congiuntamente una dedica a Q. Erennio Etrusco,
figlio dell’imperatore Decio1167. È dunque possibile che il nostro P. Oppio
avesse un qualche ruolo nelle transazioni tra produttori di vino del Piceno ed
esportatori, così come gli argentarii di Roma ed Ostia intervenivano nella ven-
dita dei vini da parte degli importatori ai commercianti del grande centro di
consumo costituito dalla capitale e dal suo porto; comunque, come si vede, le
informazioni che difettano sono troppe per addentrarsi in ulteriori speculazioni;
dobbiamo inoltre considerare anche l’ipotesi che gli affari di P. Oppio non fos-

1160 Vd. supra, pp. 40-47.


1161 Paci, P. Oppius, cit., p. 185; cf. anche Id., Medio-Adriatico occidentale, cit., p. 81, in con-
nessione con il possibile sviluppo di attività del porto di Firmum nel II sec. a.C. Nella medesima
direzione punta la breve nota sul documento di Porto S. Elpidio in Pasquinucci - Menchelli, An-
fore, cit., p. 460.
1162 Su tutto ciò si veda Gummerus, Die römische Industrie, cit., p. 143; J. Andreau, Histoire des
métiers bancaires et évolution économique, «Opus», 3 (1984), 1, p. 104; Id., Vie financière, cit.,
p. 116, il quale ritiene che gli argentarii del forum vinarium di Roma (vd. nota seguente) fos-
sero impegnati in operazioni di vendita all’asta; N. Purcell, Wine and Wealth in Ancient Italy,
«JRS», 75 (1985), p. 12, che considera le testimonianze citate prova delle complesse operazioni
finanziarie che accompagnavano la commercializzazione del vino. La documentazione è breve-
mente evocata anche da M. Bertinetti, Epigrafi riguardanti il commercio, «Misurare la terra:
centuriazione e coloni nel mondo romano. Città, agricoltura, commercio: materiali da Roma e
dal suburbio», Modena 1985, p. 160.
1163 CIL VI, 9181-9182. I testi sono datati da Andreau, Vie financière, cit., pp. 286-287; 293 tra
la fine del I sec. a.C e il 70-80 d.C., probabilmente in età augustea o tiberiana; quet’ultima data-
zione sembra effettivamente meglio accordarsi con il formulario delle iscrizioni.
1164 CIL XI, 3156 da Falerii; l’iscrizione viene datata da Andreau, Vie financière, cit., p. 291 al
periodo tra il 50-40 a.C. e il 100 d.C.
1165 Vd. rispettivamente CIL XIV, 2886 da Praeneste e CIL IX, 4680 da Reate. Sulla località e
sulla sua probabile localizzazione si veda ora C. Lega, Septem Caesares, «Lexicon Topographi-
cum Urbis Romae», IV, a cura di E.M. Steinby, Roma 1999, p. 266, con la bibliografia ivi citata.
Per la datazione di CIL XIV, 2886 vd. Andreau, Vie financière, cit., p. 292 (tra il 30 d.C. e il 120
d.C.)
1166 CIL XIV, 409 = ILS 6146; cf. Andreau, Vie financière, cit., pp. 120-122.
1167 CIL VI, 1101; su questa iscrizione vd. Andreau, Vie financière, cit., pp. 126-128.
372 Parte II. I documenti

sero strettamente ed esclusivamente collegati all’area picena, pure se il fatto


che egli trovò sepoltura a Porto S. Elpidio non pare essere solo casuale. Il ritro-
vamento della nuova iscrizione conferma inoltre la preminenza dell’Italia cen-
trale nelle attestazioni epigrafiche dei professionisti legati alle attività del de-
naro1168.
Immagine: Tav. XLI. Paci, Da Porto S. Elpidio, cit., p. 248, fig. 1; Id., P.
Oppius, cit., p. 177, fig. 1; p. 178, fig. 2.

1168 Vd. a questo proposito Andreau, Vie financière, cit., pp. 318-319.
Parte II. I documenti 373

Firmum 3

Edizione di riferimento: CIL IX, 5378.


Bibliografia: E. De Ruggiero, Gypsarius, «Diz. Ep.», III (1906), p. 597;
Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit., p. 343,
n°421; N. Blanc, Les stucateurs romains: témoignages littéraires, épigraphiques
et juridiques, «MEFRA», 95 (1983), p. 879; Polverini, Fermo in età romana,
cit., pp. 61; 70; Delplace, Romanisation, cit., p. 103, n°91; E. Catani, Due
nuovi monumenti iscritti dalla necropoli sud-orientale di Firmum Picenum,
«∆Epigrafaiv. Miscellanea epigrafica in onore di Lidio Gasperini», a cura di G.
Paci, Tivoli 2000, I, p. 219.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione era conservata nella villa Fracassetti, in
località Colmarino di contrada Salviano, pochi chilometri ad est del centro di
Firmum, nella valle percorsa dalla via Pompeiana che collega Fermo alla costa.
Lungo la medesima via Pompeiana vennero rinvenuti diversi monumenti sepol-
crali, il che permette di ipotizzare che l’area fosse occupata da una delle necro-
poli extraurbane di Firmum1169.
Luogo di conservazione: il lemma del CIL ricorda che l’iscrizione si conser-
vava a Fermo, presso l’erudito locale Giuseppe Fracassetti; di questo testo non
sembra tuttavia si abbiano più notizie.
Tipo di supporto: nessuna indicazione ci viene dal lemma del CIL; a giudicare
dalla riproduzione ivi riportata il supporto era frammentato a sinistra, con per-
dita di alcune lettere, e in basso, ove non sappiamo se siano andate perdute una
o più linee di scrittura.
Mestiere: gypsarius.
Datazione: lo stato frammentario del testo e l’impossibilità di procedere ad un
esame paleografico lasciano ben pochi elementi significativi per una possibile
datazione. L’assenza dell’adprecatio ai Mani, a giudicare dalla trascrizione del
CIL, e la menzione del defunto in caso nominativo indurrebbero piuttosto a
collocare il nostro testo entro la metà del I sec. d.C. La comparsa del grafema Y
per rendere la lettera greca u d’altra parte consiglierebbe di non risalire troppo
nel tempo; il fatto stesso che la lettera Y sia montante ben si potrebbe accor-
dare con una datazione all’età giulio-claudia. Devo tuttavia chiarire che queste
due ultime osservazioni si basano unicamente su di un confronto con le recenti
analisi concernenti la resa di u negli antroponimi greci dell’epigrafia latina di
Roma e la comparsa di litterae longae in un campione di iscrizioni parimenti
urbane1170. Tali criteri, che possono offrire indicazioni cronologiche piuttosto

1169 Vd. lemma di CIL IX, 5378. Sui rinvenimenti nell’area della via Pompeiana, ivi compresa
l’iscrizione in oggetto, vd. Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit.,
p. 343, n°421; Tonici, Due nuovi monumenti, cit., pp. 200-201, a proposito di un’iscrizione s u
coperchio di urna funeraria proveniente dalla medesima zona; Delplace, Romanisation, cit., p.
103, n°91; Catani, Due nuovi monumenti, cit., pp. 205-220, partic. 219-220.
1170 Vd. rispettivamente G. Purnelle, Les usages des graveurs dans la notation d’upsilon et des
phonèmes aspirés: le cas des anthroponymes grecs dans les inscriptions latines de Rome, Liège
1995, pp. 255-320, partic. le conclusioni alle pp. 315-320 (il grafema Y inizia a comparire in mi-
374 Parte II. I documenti

vaghe per la stessa documentazione di Roma, andrebbero verificati sulla base di


un esame della produzione epigrafica locale1171.
Testo: [---]us L(ucii) l(ibertus) / [---], gypsârius / ------?
l. 2: Y longa.
Commento
Sulla base del testo superstite sembra di poter ricavare che l’iscrizione in
oggetto fosse un semplice epitafio di un personaggio di condizione libertina; a l.
1 rimane la parte finale del gentilizio e l’indicazione del patronato, a l. 2 si do-
veva trovare il cognomen.
Fortunatamente si conserva la preziosa indicazione del mestiere esercitato
dal personaggio, quello di gypsarius.1172 Il termine è una formazione dal greco
guvyo", con l’aggiunta del suffisso -arius, tra i più attestati nel lessico latino dei
mestieri. La parola ricorre unicamente nella documentazione epigrafica
latina1173: oltre che nell’iscrizione di Firmum, la ritroviamo in un epitafio da
Narbo, datato al I sec. d.C., in cui compare il gypsarius P. Usulenus Anoptes,
anch’egli di condizione libertina1174; l’Edictum de pretiis dioclezianeo attesta
invece che il salario giornaliero massimo di un plasta gupsarius (!) era fissato a
50 denarii, un compenso che rientra nella fascia media delle paghe giornaliere
per gli artigiani. Il calmiere di Diocleziano distingue il plasta gupsarius dal pla-
sta imaginarius, il cui salario poteva arrivare fino a 75 denarii1175.

sura significativa nel I sec. d.C. e si impone con maggior frequenza nel secolo seguente) e C.
Ricci, Lettere montanti nelle iscrizioni latine di Roma. Un’indagine campione, Roma 1992, p.
35 (delle 9 attestazioni registrate, 6 appartengono all’età giulio-claudia).
1171 In via preliminare noto che la lettera Y per la resa della greca u compare in una frammentaria
iscrizione da Ancona relativa all’erezione di un edificio da parte di un probabile praefectus Ae-
gypti pubblicata da Gasperini, Spigolature (I-III), cit., pp. 41-44 (= AE 1985, 359; ora ripresa da
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 189-191), datata dall’editore
all’età augustea o giulio-claudia, su base paleografica, ma anche in alcuni epitafi che, per il loro
formulario, credo si possano inquadrare nel I sec. d.C.: cf. per esempio ad Ancona CIL IX, 5923
(Lycnys); ad Asculum 5166 (Crysarium), 5221 (Myr…); ad Interamnia 5064 (Polybius;
l’iscrizione è commentata infra, pp. 395-399, Interamnia 2), 5090 (Nymphaeus e Nymphius);
5108 (Systasium); 5120 (Tyrannis); a Petriolo 5524 (Myrine); a Ricina 5770 (Synoris); a Sep-
tempeda 5618 (Myrtilus; l’iscrizione è datata da S.M. Marengo, Suppl. It., n.s. 13, p. 209 entro la
metà del I sec. d.C., in base al formulario e alle caratteristiche morfologiche e paleografiche).
1172 Il gypsarius di Fermo è brevemente ricordato da Polverini, Fermo in età romana, cit., pp.
61; 70.
1173 I riferimenti di De Ruggiero, Gypsarius, cit., p. 597 a Cassiod., Var., VII, 5, 5 e Firm., Err., 4,
7 (ma leggi 6, 4) sono rispettivamente ad un gypsoplastes e ad un plastes che lavora il gesso;
tuttavia, anche se i termini sono differenti, probabilmente designavano il medesimo mestiere
esercitato dai gypsarii. In genere sui gypsarii, con raccolta delle poche attestazioni del termine,
vd. Blümner, Technologie, cit., II, p. 146; Id., Gypsum, «P.W.», VII, 2 (1912), col. 2099; E. Brandt,
Gypsarius, «TLL», VI, col. 2383; S. Lauffer, Diokletians Preisedikt, Berlin 1971, p. 237; Von
Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 99 (ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäolo-
gie, cit., p. 115) e soprattutto Blanc, Stucateurs, cit., pp. 870-876.
1174 CIL XII, 4479: Vivit. P(ublius) Usulenus Hila[ri] / l(ibertus) Anoptes, gypsa[r(ius)], / et
Communi fil(io) / Usulenae P(ubli) l(iberta) / Hilarae uxso[ri]. / In fr(onte) p(edes) XII / ------.
1175 Edictum de pretiis, 7, 29-30: plastae imaginario diurnae mercedis pasto ((denarios)) sep-
tuaginta quinque; reliquis plastis gypsaris p<as>tis diurnos ((denarios)) quinquaginta; nelle
versioni in greco dell’editto i termini corrispondenti ai due mestieri sono purtroppo andati
Parte II. I documenti 375

La ragione della scarsità di attestazioni di gypsarii potrebbe risiedere


nell’esistenza di diversi termini afferenti al medesimo ambito di attività nelle
lingue greca e latina: conosciamo dunque nomi di mestiere formati sulla base
della stessa radice, come per esempio guyemplavsth"1176, guywthv"1177 e
gypsoplastes1178, o termini formati da radici differenti, come albarius1179 o il
generico tector1180 che comunque rientrano nella stessa area semantica attinente
i lavori di stuccatura e di decorazione architettonica.
Riguardo il tipo di lavoro eseguito dai gypsarii è probabile che essi, oltre a
realizzare decorazioni architettoniche in gesso, realizzassero anche statue e ri-
lievi con questo materiale poco costoso, ma che comunque consentiva di rag-
giungere un gradevole effetto estetico1181.
Immagine: Tav. XLII.

perduti. Sulle differenze tra plastae imaginarii e plastae gypsarii e sui salari delle due categorie
di artigiani vd. Blanc, Stucateurs, cit., pp. 899-899.
1176 Cf. Zonar., 1651 Tittmann, sotto la voce Skivrro".
1177 Etymologicum Magnum, 811, 36-37 Gaisford.
1178 Cassiod., Var., VII, 5, 5; Id., nella traduzione latina di Ios., C. Ap., II, 252.
1179 Cf. A. Mau, Albarius, «P.W.», I, 1 (1893), col. 1311; E. De Ruggiero, Albarius, «Diz. Ep.», I
(1895), p. 388; Blanc, Stucateurs, cit., pp. 866-870 e la tabella a p. 904 con la raccolta delle atte-
stazioni.
1180 Cf. F. Ebert, Tector, «P.W.», V A, 1 (1934), coll. 104-105; Blanc, Stucateurs, cit., pp. 861-
866 e la tabella a p. 904 con la raccolta delle attestazioni.
1181 Vd. soprattutto Blanc, Stucateurs, cit., pp. 873-874, essenzialmente sulla base dell’attesta-
zione di plastae gypsarii nell’Edictum de pretiis. Cf. anche De Ruggiero, Gypsarius, cit., p. 597:
“lavoratore di oggetti in gesso, forse anche di ornati della medesima materia”.
376 Parte II. I documenti

Firmum 4

Edizione di riferimento: CIL IX, 5368.


Altre edizioni: il testo venne visto nel 1765 a Fermo, “in un bel piedistallo di
marmo vicino al Duomo” dall’erudito senese Giovan Girolamo Carli e trascritto
nelle Memorie di un viaggio di G.C. C(arli) fatto per l’Umbria, per l’Abruzzo, e
per la Marca; dal dì 6 Agosto al dì 14 settembre 1765, f. 29v del ms. 3214
della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia1182; Waltzing, Étude, cit., III, p.
418, n°1602.
Bibliografia: Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°63; p. 173, n°63; Polverini,
Fermo in età romana, cit., pp. 53; 70-71; L. Pupilli, Fermo. Antiquarium,
«Musei d’Italia - Meraviglie d’Italia 23», Bologna 1990, p. 109, n°379;
Delplace, Romanisation, cit., pp. 53; 78; 80; 81; Pasquinucci - Menchelli, An-
fore, cit., p. 462.
Luogo di ritrovamento: non si hanno notizie sull’esatto luogo di ritrova-
mento dell’iscrizione.
Luogo di conservazione: Fermo, Museo archeologico (autopsia maggio
2002)1183.
Tipo di supporto: base marmorea.
Collegio: collegia fabrum et centonariorum.
Datazione: in base alle caratteristiche paleografiche e alla comparsa delle
espressioni uxor sanctissima e mater piissima il testo può essere inquadrato nel
II sec. d.C.1184
Testo: Allienae T(iti) f(iliae) / Berenice, / C(aius) Vettius Polus / uxori /
sanctissim(ae) et / C(aius) Vettius Polus / matri / piissimae, patr(onae) /
col(legiorum) fabr(um) et cent(onariorum). / L(ocus) d(atus) d(ecreto)
d(ecurionum).
l. 3: in Polus la V è nana.
l. 8: la prima I in piissimae è longa.
l. 9: l’intera linea venne incisa in lettere di corpo minore, nello spazio interli-
neare tra l. 8 e l. 10, evidentemente per rimediare ad una dimenticanza del lapi-
cida.
Segni di interpunzione a forma di triangolo con il vertice verso destra, utilizzati
regolarmente per dividere le parole, anche in fine di riga alle ll. 1-2; 5-10.
Commento
L’iscrizione in oggetto accompagnava una statua (sul lato superiore della
base si notano ancora i segni del punto in cui erano fissate le grappe che la so-
stenevano) in onore di Alliena Berenice, patrona delle associazioni dei fabbri e
dei centonari di Firmum; l’epigrafe venne eretta a cura del marito della donna,

1182 Su questo manoscritto epigrafico vd. supra, p. 123, nota 76.


1183 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 487.
1184 Pupilli, Fermo. Antiquarium, cit., p. 109, n°379 si limita a proporre una datazione all’età
imperiale.
Parte II. I documenti 377

C. Vettio Polo, e del figlio omonimo, su terreno pubblico concesso dall’ordine


dei decurioni1185.
Nonostante il cognomen grecanico, l’onorata era di nascita ingenua,
come sottolinea il ricordo del patronimico T(iti) f(ilia)1186. Al pari del cognome
Berenice1187, il gentilizio Allienus non sembra altrimenti attestato nella docu-
mentazione epigrafica del Piceno. In Italia gli Allieni sono ben conosciuti a
Roma, dove in alcuni casi si può supporre con una certa sicurezza un legame con
la famiglia senatoria cui apparteneva A. Allienus, pretore del 49 a.C.1188, ma un
buon numero di attestazioni vengono anche dalla regio II, in particolare da Vibi-
num1189 e da Brundisium1190, ove sono noti diversi A. Allieni; sporadiche oc-
correnze si hanno anche a Tibur1191, a Frusino1192, nell’ager inter Paestum et
Veliam1193, a Bovianum1194, ad Ateste1195. Un qualche rapporto con Alliena
Berenice si può forse ipotizzare per G. Allienus T. f. Centurio di CIL XI, 4649
da Tuder, in Umbria, sulla base dell’attestazione del prenome Titus, assai raro in

1185 Per le attestazioni dei decurioni della colonia romana di Firmum vd. Polverini, Fermo in età
romana, cit., p. 53, lista più completa di quella proposta da Delplace, Romanisation, cit., p. 78.
Per lo scioglimento l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) vd. supra, p. 229, nota 533.
1186 La donna è erroneamente ritenuta liberta da Delplace, Romanisation, cit., p. 81.
1187 Il cognome tuttavia è ben attestato nel mondo romano, cf., per quanto riguarda la documen-
tazione urbana, Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, pp. 211-212.
1188 Sul personaggio vd. E. Klebs, Allienus, «P.W.», I, 2 (1894), col. 1585; Broughton, Magi-
strates, cit., II, p. 529; III, pp. 14-15; Wiseman, New Men, cit., p. 211, n°21; G. Camodeca, Ascesa
al Senato e rapporti con i territori d’origine. Italia: regio I (Campania, esclusa la zona di Ca-
pua e Cales), II (Apulia et Calabria), III (Lucania et Bruttii), «Atti del Colloquio Internazionale
AIEGL su epigrafia e ordine senatorio. Roma, 14-20 maggio 1981», II, Roma 1982, p. 148, che
ricorda, in via puramente ipotetica, una possibile origine apula della famiglia senatoria, sulla
base delle occorenze di A. Allieni nella regio II. Per le numerose attestazioni urbane del gentili-
zio mi limito a rimandare agli indici di CIL VI, VII, 1, p. 217 e a ricordare il cippo CIL I2, 1237 =
CIL VI, 5961 = ILS 7850 = ILLRP 396 che individuava l’area sepolcrale riservata alla familia A.
Allieni e alla familia Pollae Minuciae Q. f.
1189 AE 1969/1970, 165 (cf. anche AE 1980, 273, seconda copia del medesimo testo): A. Allienus
A. f. Gal. Laetus, praef(ectus) fabr(um) e A. Allienus Primus, Aug(ustalis) iter(um)
quinq(uennalis); quest’ultimo personaggio è da identificare con l’omonimo di un’iscrizione re-
centemente pubblicata da M. Silvestrini, L’Augustalità alla luce di una nuova iscrizione per i
Lari Augusti, «QS», 35 (1992), pp. 83-110 (contributo ripreso in forma abbreviata, col titolo
Una nuova iscrizione per i Lari Augusti dal territorio di Vibinum, «MEFRA», 104 (1992), pp.
145-157); ivi, alle pp. 92-94, la studiosa si sofferma sulle attestazioni locali della famiglia degli
A. Allieni.
1190 EphEp VIII, 8: A. Allienus Charito; AE 1965, 115: A. Alli[enus].
1191 CIL XIV, 3722 = InscrIt IV, I, 265: C. Allienus C. f.
1192 CIL X, 5663: [Q.] Allienus Q. l. Chresimus.
1193 InscrIt I, I, 24*: M. Allienus Hedylus. Il documento venne pubblicato in CIL X, 591 tra le
iscrizioni di Salernum, sulla base del luogo di conservazione, e, più correttamente, in CIL X, 470
tra le iscrizioni del territorio tra Paestum e Velia; in CIL la lettura del nome del personaggio era
N. Avienus Aedilis.
1194 CIL IX, 2576: L. Allienus M. f. Lem.
1195 CIL V, 2500: L. Allien[us], veteranus leg(ionis) VI [---].
378 Parte II. I documenti

questa gens1196. Al di là di questi accostamenti, non escluderei tuttavia che


Berenice potesse essere di origine locale, in considerazione del fatto che i genti-
lizi in -enus / -ienus sono caratteristici del Piceno1197.
Ai fini della presente ricerca il dato più interessante offerto dall’iscrizione
è costituito dal patronato di Alliena Berenice sui collegi dei fabri e dei centona-
rii di Firmum1198. Rimandando a quanto scritto in precedenza sulle due associa-
zioni professionali1199, vorrei brevemente soffermarmi sui caratteri del patro-
nato femminile sui collegia, riprendendo la documentazione rilevante1200:
1. CIL VI, 10346 da Roma: Grania Q. f. patrona decurionu(m) / vigilu(m) lo-
cum et monumentum / aedificatum dedit / et locum / ustrinae trans via(m)1201.
2. AE 1956, 77 = AE 1958, 177 da Tibur (fine II - III sec. d.C.): M(arciae)
Ulpiae M(arci) f(iliae) / Sossiae Calli/gonae, stola/tae matronae, / [so]dalicium
iuve/[nu]m Herculano/[rum] patronae1202.
3. CIL IX, 1578 da Beneventum (fine II - III sec. d.C.): Egnatiae Cer/tianae
C(ai) f(iliae), / C(ai) Egnati Certi / co(n)s(ulis) filiae, / patronae
praes/tantissimae, / parasiti1203.
4. CIL IX, 4894 = ILS 6554 da Trebula Mutuesca (243 d.C.): Aureliae
Cre[s]/scentiae, honestissim[e] / et pudicissime femine, patro[nae], / coiugi
Aureli Felicissimi, pro/[---], e(gregi) v(iri), patroni municipi Trebulan(orum)
Mut(uescanorum) ob merita et be[ne]ficia saepe / [i]n se conlata, / statuam
ponendam [i]dem tricliniares decreve/runt. / Dedicata natali die XVII

1196 Per Centurio come cognome del personaggio vd. L. Moretti, Epigraphica 22. Due docu-
menti d’età romana da Cipro, «RFIC», 109 (1981), pp. 261-262, con buoni argomenti; l’ipotesi
di Moretti è seguita da Forni, Tribules, cit., I, p. 153, n°545. A Tuder è noto anche un C. Alienus
Primige[nius], vd. CIL XI, 4670.
1197 Cf. supra, p. 235, nota 553.
1198 Cf. Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°63; p. 173, n°63; l’iscrizione è brevemente ricordata
anche da Polverini, Fermo in età romana, cit., pp. 70-71, con considerazioni sul numero di atte-
stazioni relative ad associazioni di mestiere a Firmum e Falerio, e da Delplace, Romanisation,
cit., p. 80, a proposito delle attestazioni di collegi professionali nella regio V. Il richiamo di De
Robertis, Storia delle corporazioni, cit., II, pp. 320-321, nota 94 alla nostra iscrizione a propo-
sito dei contratti giuridici nei quali un’associazione si poteva impegnare mi pare improprio, dal
momento che il documento non attesta alcuno dei negozi ricordati dallo studioso.
1199 Sui centonari vd. supra, pp. 225-227; sui fabbri vd. supra, pp. 240-244.
1200 Sulla base dei materiali raccolti da Waltzing, Étude, cit., IV, p. 373, Clemente, Patronato,
cit. (opera di riferimento alla quale si rimanda caso per caso) e da Cracco Ruggini, Stato e asso-
ciazioni, cit., pp. 297-298, nota 101.
1201 Clemente, Patronato, cit., p. 207, n°22. Non scarterei la possibilità che Patrona sia qui u n
cognomen, come per esempio in ICUR I, 115; per le rare attestazioni dei cognomina Patronus /
Patrona vd. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 314.
1202 La datazione proposta nel testo è quella recentemente avanzata da M. Kajava, Roman Female
praenomina. Studies in Nomenclature of Roman Women, Rome 1994 (Acta Instituti Romani Fin-
landiae XIV), p. 170.
1203 Clemente, Patronato, cit., p. 171, n°40. Il consolato di C. Egnatio Certo viene collocato nel
II o nel III sec. d.C. da PIR2 E 20, alla fine del II o nel III sec. d.C. da G. Barbieri, L’albo senatorio
da Settimio Severo a Carino (193-285), Roma 1952, p. 389, n°2229 e da Degrassi, Fasti conso-
lari, cit., p. 122. Per una possibile datazione più precisa vd. infra, p. 382, nota 1217.
Parte II. I documenti 379

kal(endas) Feb(ruarias) / Arriano et Papo co(n)s(ulibus). / L(ocus) d(atus)


d(ecreto) d(ecurionum)1204.
5. CIL XI, 6310 = ILS 3082 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum, cit., pp.
164-169, n°21 da Pisaurum (tra l’impero di Traiano e quello di Antonino Pio):
albo dell’associazione dei cultores Iovis Latii, si apre nel ricordo di M.
Fremedius Severus et Blassia Vera, patroni, / in dedicatione dederunt pane(m)
et vinu(m) et ((denarios)) ((semisses))1205.
6. CIL XI, 6335 = ILS 7218 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum, cit., pp.
221-227, n°46 da Pisaurum (256 d.C.): è la tabula patronatus del collegium
fabrum per Setina Iusta, clarissima femina, moglie di Petronius Victorinus, cla-
rissimus iuvenis e patrono del medesimo collegio, e per il figlio della coppia
Petronius Aufidius Victorinus1206.
7. CIL XI, 5749 = ILS 7221 = M. Buonocore, Le iscrizioni greche e latine, Città
del Vaticano 1987, pp. 47-49, n°13 da Sentinum (261 d.C.): è la tabula
patronatus del collegium centonariorum di Sentinum per Coretius Fuscus, la
moglie Vesia Martina e il figlio Coretius Sabinus1207.
8. CIL XI, 2702 = ILS 7217 da Volsinii (224 d.C.): è la tabula patronatus del
collegium fabrum civitatis Volsiniensis per Ancharia Luperca, moglie del pa-
trono e benefattore del collegio Laberio Gallus1208.
9. Pais, Suppl. It., 181, cf. 1136 = Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., II, 2873
da Aquileia (III sec. d.C.): fondazione testamentaria che prevede tra l’altro la
concessione di una somma: ex qua reditus eius ut detur / decuriae meae XXV,
ma[t ?]ron(is) colleg(i) fabr(um) XXXV1209.
10. CIL V, 4432 = InscrIt X, V, 225 da Brixia (II-III sec. d.C.): Iunius
Eufra[nor ?] / et / cultores collegi / Larum / patronae / bene merenti1210.

1204 Clemente, Patronato, cit., p. 173, n°62.


1205 Clemente, Patronato, cit., p. 180, n°127. Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum, cit., p. 165
ipotizzano che Fremedio Severo e Blassia Vera fossero marito e moglie.
1206 Clemente, Patronato, cit., p. 181, n°128.
1207 Clemente, Patronato, cit., p. 180, n°119.
1208 Clemente, Patronato, cit., p. 178, n°107.
1209 L’iscrizione non è registrata nella prosopografia di Clemente, Patronato, cit., ma è segna-
lata da Kornemann, Collegium, cit., p. 425. La datazione è proposta da E. Pais, a Suppl. It., 181 s u
base paleografica. La lettura ma[t]ron(is), qui ripresa, era suggerita in via ipotetica dal Pais e ri-
presa da Waltzing, Étude, cit., III, p. 128, n°441; sulla pietra troviamo in realtà MARON; diversa
l’integrazione proposta da Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 2873: ex qua reditus eius u t
detur / decuriae meae XXV Maron(iae ?) vel Maron(ianae ?) colleg(i) fabr(um) XXXV.
1210 Clemente, Patronato, cit., p. 169, n°13. L’integrazione Eufra[nor] è suggerita, in via ipote-
tica dal Mommsen a CIL V, 4432, ricordata da Garzetti a InscrIt, X, V, 225 ed accolta da Gregori,
Brescia romana, cit., I, p. 101, n°A, 127, 002; la tradizione erudita, che sola ci ha conservato
memoria di questo testo, riportava EVIRA …. Sull’anonima patrona vd. Gregori, Brescia ro-
mana, cit., II, p. 197, che vi riconosce una Iunia, suggerendo un suo patronato sul liberto Iunius
Eufra[nor ?], codedicante dell’iscrizione; se tale ipotesi fosse corretta potremmo pensare che la
donna fosse patrona del solo Eufranore e non dei cultores collegii Larum e dovremmo dunque
espungere l’iscrizione bresciana da questa raccolta di testimonianze. La datazione proposta nel
testo è quella avanzata da Gregori, Brescia romana, cit., I, p. 101, n°A, 127, 002.
380 Parte II. I documenti

11. CIL V, 5295 da Comum: C(aio) Messio / Fortunato, / VI vir(o) et


Aug(ustali) et Cat[- c. 6 -]iae / Q(uinti) f(iliae) V[erecun]dae, / pa[t]r[o]n[is] /
collegium / nautarum / Comens(ium)1211.
12. CIL V, 5869 = ILS 6730 da Mediolanum (età di Gallieno?): Innocenti cum
Encratio vivas. Gen(io) et hon(ori) / Magi Germani Statori / Marsiani, eq(uitis)
R(omani) eq(uo) p(ublico), dec(urionis) dec(uriae) V / ex ((centuria)) IIII
coll(egi) fabr(um) et centon(ariorum), / curator(is) ark(ae) Titianae coll(egi)
s(upra) s(cripti) / anni CLI colon(iae) G(allienianae ?) A(ugustae) F(elicis ?)
Med(iolanensis) / et Iunoni / Cissoniae Aphrodite eius. / ((Centuriae)) XII ex
coll(egio) s(upra) s(cripto) patronis / plura merentibus. / Innocenti, qui sic
agis, bene vivas1212.
13. CIL II, 5812 da Segisamo, sorta di tessera hospitalis relativa ad
un’associazione non meglio definita: a l. 8 si ricorda Valeria Severina, patrona
nostra1213.
Il fenomeno del patronato femminile, non molto diffuso, è dunque atte-
stato tra il II e il III sec. d.C., sostanzialmente in contemporanea con lo svi-
luppo dell’analogo istituto dei patroni, e si applica a diversi tipi di associazioni:
per i collegi di tipo professionale, come nel caso di Firmum che stiamo esami-
nando, la documentazione è per il momento limitata alle regioni dell’Italia cen-
tro-settentrionale, si veda in particolare il collegium fabrum di Volsinii (n°8), il
collegium fabrum di Pisaurum (n°6), il collegium centonariorum di Sentinum,
(n°7), il collegium nautarum Comensium (n°11) e il collegium fabrum et cen-
tonariorum di Mediolanum (n°12); a parte credo si debba considerare la testi-
monianza n°9, relativa al collegium fabrum di Aquileia: la lettura ma[t ?]ron(is)
colleg(i) fabr(um) in effetti è solo ipotetica, e se anche si dovesse rivelare
esatta, una completa assimilazione delle matronae alle patronae rimarrebbe
comunque da dimostrare: come semplice spunto di indagine, si potrebbe ipotiz-
zare che le matronae di Aquileia fossero piuttosto figure di spicco interne al
collegio, in analogia con quanto si è ipotizzato a proposito delle matres delle as-
sociazioni1214.
Patrone di associazioni a carattere prevalentemente religioso, funerario o
conviviale sono attestate soprattutto nell’Italia centro-meridionale, si veda a
questo proposito il collegio del documento n°1 da Roma, il sodalicium iuvenum
Herculanorum da Tibur (n°2), i parasiti di Beneventum (n°3) e i tricliniares di
Trebula Mutuesca (n°4); nella regione medio-adriatica si segnalano tuttavia i
cultores Iovis Latii di Pisaurum (n°5), nella Venetia et Histria i cultores collegii
Larum di Brescia (n°10).
Riguardo la condizione sociale delle patronae, le indicazioni in nostro
possesso suggeriscono in genere una provenienza delle donne dalla fascia supe-
riore della società, come del resto era lecito attendersi: significativi in partico-

1211 Clemente, Patronato, cit., p. 169, n°18.


1212 Clemente, Patronato, cit., p. 168, n°20. Le integrazioni sono quelle proposte da Waltzing,
Étude, cit., III, p. 155, n°364.
1213 Waltzing; Étude, cit., IV, p. 373.
1214 Cf. supra, pp. 359-360.
Parte II. I documenti 381

lare i casi di Egnazia Certiana, figlia del consolare C. Egnazio Certo (n°3), della
clarissima femina Setina Iusta (n°6), ma anche quello di Aurelia Crescenzia,
moglie del vir egregius Aurelio Felicissimo (n°4). Nessuna delle patronae di as-
sociazioni pare essere di condizione libertina, anche se l’ingenuità della famiglia
di M. Ulpia M. f. Sossia Calligona (n°2) potrebbe essere piuttosto recente, in
considerazione del gentilizio imperiale e del cognome grecanico.
Per quanto concerne le motivazioni che indussero un’associazione a sce-
gliere una donna come propria patrona, le esplicite indicazioni che ci vengono
da alcune tabulae patronatus suggeriscono di indagare gli eventuali rapporti esi-
stenti tra una delle figure maschili della famiglia della patrona e l’associazione
stessa. Particolarmente chiaro in questo senso è il dettato di tavola di patronato
concessa dai fabbri di Volsinii ad Ancaria Luperca (n°8): l’atto si apre in effetti
nel ricordo dell’amor e dell’adfectio dimostrati dal marito di Luperca, Laberio
Gallo, nei confronti dell’associazione di cui egli stesso era patrono, come era
provato dai suoi beneficia; per questo motivo e per onorare la casata del de-
funto Ancario Celere, padre di Luperca, la donna venne cooptata come patrona
dai fabbri: di lei non si rammentano benemerenze specifiche nei confronti del
collegio, ma piuttosto la castitas morum e la priscae consuetudinis sanctitas,
qualità caratteristiche delle matrone romane1215. La stessa Setina Giusta (n°6),
di cui il collegio dei fabbri di Pesaro ricorda le tradizionali virtù femminili della
pudicitia e della fecondità, doveva la sua cooptazione a patrona soprattutto al
prestigio e ai meriti del marito Petronio Vittorino e della sua casata nei con-
fronti del collegio1216.
Per la verità, nelle iscrizioni di carattere onorario che costituiscono buona
parte della nostra documentazione, questa spiegazione non può essere
dimostrata con certezza, ma solo ipotizzata: è dunque ragionevole pensare che
Egnazia Certiana dovesse il suo titolo principalmente alla fama del padre, che

1215 Vd. particolarmente ll. 6-13: quanto amore quantaque adfectione Laberius Gallus, p(rimi)
p(ilaris), v(ir) e(gregius), erga / coll<eg>ium n(ostrum) agere instituerit, beneficia eius iam
dudum in nos / conlata confirmant. Et ideo Anchariam Lupercam uxorem / eius, filiam Anchari
quondam Celeris b(onae) m(emoriae) v(iri), cuius proles et / prosapia omnibus honoribus pa-
triae n(ostrae) sincera fide func/ta est, in honorem eorum, et pro morum eius castitatae (!) / et
iam priscae consuetudinis sanctitatae (!), patronam / collegi n(ostri) cooptemus …; vd. anche
ll. 15-20: recte et merito retulisse / q(uin)q(uennales) n(ostros) ut Anchariam Lupercam, hone-
stam matronam, sanc/te (!) indolis et disciplinis caerimonis etiam praeditis (!) feminam, / i n
honorem Laberi Galli, p(rimi)p(ilaris), e(gregi) v(iri), mariti eius, patroni collegi / n(ostri), et
in memoriam Anchari quondam Celeris, patris eius, / dignissimam patronam cooptemus.
1216 Vd. particolarmente ll. 6-11: Plena obsequia amoris numeri nostri in claritatem domus /
Petroni Victorini c(larissimi) i(uvenis) patroni nostri demonstrari gloriosum est, quippe cum /
dignatio ¢eÜius in omnibus prona provocet, ut et Setinam Iustam c(larissimam) f(eminam) co-
niu/gem eius incomparabilis pudicitiae, plurimo numero filiorum gloriantem, de / quorum ge-
nere cum aetate eorum crescit felicitas, patronam nobis / cooptari; vd. anche ll. 14-20: pro ge-
neris claritate proque senatoria dignitatis (!) / [Petr]oni Victorini c(larissimi) i(uvenis), cuius
incomparibili amore (!) in numerum nostrum dig/natione (!) licet impares, tamen obsequio di-
gnitati eius in omnibus parentes / nec aliquit pr(a)etermittentes prono animo et voto propera-
mus cum et Setinam / Iustam c(larissimam) f(eminam) coniugem eius patronam, set et
Pe¢tÜron<i>um Aufidium Victorinum / iun(iorem) filium eorum, sicuti et fratres eius, patronum
n(umeri) n(ostri) cooptasse nos per decre/tum insinuâmus.
382 Parte II. I documenti

aveva raggiunto il consolato (n°3)1217; altrettanto lecito immaginare che un le-


game matrimoniale unisse i due patroni dei cultores Iovis Latiis di Pesaro, M.
Fremedio Severo e Blassia Vera (n°6), o quelli dei nautae di Como, C. Messio
Fortunato e Cat[---]ia Vereconda (n°11), o ancora i patroni dei fabbri e dei cen-
tonari di Milano, Magio Germano Statore Marsiano e Cissonia Afrodite (n°12);
tuttavia casi come quello di Grania, la patrona del documento n°1 che sembra
agire di propria sola iniziativa, o di Aurelia Crescenzia dell’iscrizione n°4, che
certo era moglie del patrono di Trebula Mutuesca Aurelio Felicissimo, ma che
venne onorata dai triclinares della cittadina della Sabina per i suoi propri meriti
(ob merita et beneficia saepe in se conlata), invitano a non generalizzare: nello
stesso caso di Firmum non abbiamo alcuna esplicita indicazione dell’esistenza di
rapporti tra il marito di Alliena Berenice, C. Vettio Polo, e le due associazioni
locali dei fabbri e dei centonari.
I due dedicanti dell’iscrizione, C. Vettius Polus padre e figlio, portano un
gentilizio ben noto nel Piceno, già attestato nel consilium di Cn. Pompeo
Strabone dell’89 a.C. per L. Vettius L. f. Vel., personaggio variamente identifi-
cato con altri Vettii a lui coevi1218, come il L. Vettius amico di Catilina1219, o il
Vettius Picens che si arricchì durante le proscrizioni sillane1220 o ancora il L.
Vettius L. f. Vel. Aninianus, tribuno militare della legio VI, noto dal suo epitafio
rinvenuto ad Auximum1221. Alla famiglia del personaggio membro del consiglio
di Pompeo Strabone si può forse accostare, per ragioni cronologiche, il P.
Vettius C. l. Burria che tra la fine del II sec. a.C. e gli inizi del secolo seguente
dedicò a Marte uno scudo oplitico, rivenuto nella località Colli di Cervinara,
nella valle del fiume Vibrata, lungo la direttrice che collegava Asculum ad Inte-

1217 Gli stretti legami tra gli Egnatii e le associazioni di Beneventum sono dimostrati anche da
CIL IX, 1681 = ILS 7219, che ci attesta il patronato del vir clarissimus Egnatius Sattianus sugli
iuvenes locali nel 257 d.C. Un’altra iscrizione di Beneventum, che al momento appare ancora ine-
dita ma è segnalata da W. Eck, Egnatius 17a, «P.W.», S. XIV (1974), col. 115, su indicazione di G.
Barbieri, ci fa conoscere il cursus honorum di un C. Egnatius Certus Sattianus che è verosimil-
mente da identificare col precedente. Secondo la suggestiva ipotesi avanzata da Camodeca,
Ascesa al senato, cit., pp. 137-138, C. Egnatius Certus Sattianus sarebbe il figlio del console C.
Egnatius Certus, e dunque fratello di Egnatia Certiana; se tale teoria venisse confermata ne di-
scenderebbe una datazione verso la metà del III sec. d.C. anche per l’iscrizione relativa al patro-
nato di Certiana sui parasiti di Benevento.
1218 Rassegna delle ipotesi in Delplace, Romanisation, cit., p. 53.
1219 Teoria sostenuta da C. Cichorius, Römische Studien. Historisches, epigraphisches, literar-
geschichtliches aus vier Jahrhunderten Roms, Leipzig - Berlin 1922, pp. 161-163 e abbracciata,
tra gli altri, da H. Gundel, Vettius 6, «P.W.», VIII A, 2 (1958), col. 1845.
1220 Sall., Hist., I, 55, 17; l’ipotesi è sostenuta, tra gli altri, da C. Nicolet, L’ordre équestre à
l’époque républicaine, Paris 1966-1974, II, pp. 1071-1072, n°385, in ragione della diffusione
nel Piceno della tribù Velina del membro del consiglio di Pompeo Strabone e del cognome “et-
nico” di Vettio Picente.
1221 CIL IX, 6383 = CIL I2, 3300; questa identificazione è stata avanzata da A. Degrassi, Epigra-
phica IV, «MAL», s. VIII, 14 (1969), pp. 133-136, ora in Scritti vari di antichità, Trieste 1971,
pp. 29-32, seguito da N. Criniti, L’epigrafe di Asculum di Gn. Pompeo Strabone, Milano 1970,
pp. 128-131 e, in via ipotetica, da R. Borgognoni, Moltiplicazione e trasformazione delle clien-
tele picene nell’età di Mario e Silla: ipotesi ricostruttiva, «Picus», 22 (2002), pp. 40-41; su L.
Vettio Aniniano vd. anche Devijver, Prosopographia, cit., II, p. 852, V75.
Parte II. I documenti 383

ramnia1222. Ai molti motivi di interesse di questo documento straordinario si


aggiunge, ai nostri fini, il fatto che Burria appare essere liberto di un personag-
gio che porta il medesimo prenome del C. Vettius Polus di Firmum.
Al fine di rintracciare le origini della famiglia di quest’ultimo ritengo utile
richiamare anche CIL IX, 5527, un testo di Monte San Pietrangeli, a circa 12
km. a nord ovest di Fermo, oltre il Tenna: si tratta dell’iscrizione sepolcrale di
un C. Vettius L. f. Vel. Tuscus, aquilifer della legio IV Macedonica, appartenente
cioè a quell’unità i cui veterani vennero insediati a Firmum probabilmente dopo
la battaglia di Filippi1223. L’iscrizione, che dimostra tra l’altro la pertinenza del
località di Monte San Pietrangeli al territorio della colonia triumvirale di Fir-
mum, forse ci fa conoscere un antenato (diretto o indiretto, attraverso legami
di patronato) di C. Vettius Polus; l’identità del prenome Caius costituisce un
elemento a supporto di questa ipotesi, anche se non di valore probante.
Altre attestazioni del nomen nell’epigrafia della regio V si hanno ad
Asculum1224, a Castrum Novum1225, ad Interamnia1226, a Pausulae1227, a Ri-
cina1228 e ad Urbs Salvia1229.
La condizione giuridica dei dedicanti, in assenza dell’indicazione del pa-
tronimico o del patronato, rimane incerta. Si può notare che i due portano un
cognome grecanico, Polus1230, ma tale elemento non è certo decisivo per stabi-
lirne lo statuto, come mostra in questa stessa iscrizione il caso dell’ingenua
Berenice. Come già ricordato, se è legittimo pensare che C. Vettio Polo senior
avesse un qualche rapporto con i collegia fabrum et centonariorum di Fermo e
che dalla sua intermediazione nascesse la decisione di scegliere la moglie Alliena
Berenice come patrona delle due associazioni, l’ipotesi non può essere ritenuta
sicura.
Immagine: Tav. XLIII. Pupilli, Fermo. Antiquarium, cit., p. 109, n°379.

1222 Il documento è stato recentemente edito da E. Benelli, Uno scudo votivo dal territorio
ascolano, «Picus», 22 (2002), pp. 9-13, al quale spetta anche l’ipotesi di un rapporto tra il li-
berto dedicante lo scudo e il P. Vettio del consilium di Pompeo Strabone.
1223 Cf. partic. L. Keppie, Colonisation and Veteran Settlement in Italy 47-14 B.C., Rome 1983,
pp. 181-182; Polverini, Fermo in età romana, cit., pp. 38-39 e nota 56.
1224 CIL IX, 5194: T. Vettius L. f. Sallen[t]inus, duo vir.
1225 CIL IX, 5146: V. Vettius [---], praefectus pagi Albensium Fulcentium; 5153, epitafio d i
quattro liberti che portano questo gentilizio.
1226 CIL IX, 5105: Vettia Severa; 5126: C. Vettius C. f. Vel. Laetus.
1227 CIL IX, 5800, iscrizione sepolcrale di P. Vettius Modestinus, postagli dal padre Vettius
Modestus.
1228 CIL IX, 5782: Vet[ti]a Rufina; 5783 (ripresa da G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit.,
pp. 85-86, n°15), iscrizione sepolcrale di un [Vet]tius Ianuarius, postagli dal padre omonimo.
1229 CIL IX, 6366: Vettia Marcia.
1230 Il cognomen Polus non è tra i più frequenti: in effetti queste sembrano essere le uniche atte-
stazioni nella regio V; cf. tuttavia a Roma Solin, Die griechischen Personennamen, cit., II, pp.
1067-1068.
384 Parte II. I documenti

Hadria

Hadria 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5018.


Altre edizioni: M. Buonocore - G. Firpo, Fonti latine e greche per la storia
dell’Abruzzo antico, II, 2, L’Aquila 1998, p. 743, n°6; M. Buonocore, Organiz-
zazione politico-amministrativa; ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., II, p. 869,
n°6.
Bibliografia: Delplace, Romanisation, cit., p. 78; Guidobaldi, Romanizzazione,
cit., p. 198.
Luogo di ritrovamento: nessuna indicazione sul preciso luogo di ritrovamento
ci viene dalla tradizione erudita registrata nella scheda del CIL.
Luogo di conservazione: L’iscrizione, data come murata nell’orto di tale
Francesco Binni dall’erudito locale Nicola Sorrichio, era perduta già al tempo
dell’edizione del CIL.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito ci viene dalla tradizione
erudita registrata dal CIL.
Mestiere: scriba.
Datazione: l’estrema semplicità del formulario, con il nome del defunto in
nominativo, l’assenza dell’adprecatio agli dei Mani e soprattutto l’assenza del
cognomen nell’onomastica del defunto invitano a non scendere nella datazione
del testo oltre i primi decenni del I sec. d.C.1231
Testo: Sextus / Publici/us Sex(ti) f(ilius) Mae(cia tribu), / scriba. / Publicia /
Sex(ti) l(iberta) Callipo/lis.
Commento
Il breve testo è la semplice iscrizione funeraria dello scriba Ses. Publicio,
nella quale trova posto anche il ricordo della sua liberta Callipolis. La mancanza
di una voce verbale e di ogni altra indicazione non consente di affermare con
certezza quale fosse il ruolo della donna nella circostanza. La laconicità del testo
ha peraltro qualche parallelo nello stessa Hadria1232 e l’ipotesi più probabile è
che l’area sepolcrale fosse destinata ad accogliere sia le spoglie di Ses. Publicio
che quelle della sua liberta e forse compagna di vita.
Il defunto indica la professione di scriba ma in mancanza di qualsiasi altra
indicazione non si può affermare con certezza in quale branca dell’amministra-

1231 Per il problema dell’introduzione del cognome nella formula onomastica degli ingenui vd.
Salomies, Vornamen, cit., pp. 277-299; 350-353; H. Solin, Sul consolidarsi del cognome
nell’età repubblicana al di fuori della classe senatoria e dei liberti, «Epigrafia. Actes du col-
loque en mémoire de Attilio Degrassi», Rome 1991, pp. 153-187.
1232 Cf. per esempio CIL IX, 5040; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 751, n°54.
Parte II. I documenti 385

zione Publicio esercitasse tale professione1233. Il suo nomen era quello assegnato
agli schiavi di proprietà di una comunità quando venivano affrancati1234, ma
Ses. Publicio era di nascita libera, come mostra il patronimico e l’indicazione di
appartenenza alla tribù Maecia, che è quella che più spesso incontriamo ad
Hadria; dovremo dunque ipotizzare piuttosto che egli fosse figlio, o comunque
discendente, di uno schiavo pubblico1235, liberato al più tardi in età augustea, dal
momento che l’iscrizione sepolcrale di Ses. Publicio, come si è detto, non
dovrebbe essere posteriore ai primi decenni del I sec. d.C. Sappiamo che ad
Hadria i servi publici potevano anche assumere il gentilizio Venerius, come
attesta un’epitafio, certamente posteriore a quello di Publicio per il suo
formulario più complesso, nel quale viene ricordato un [-] Venerius col(oniae)
l(ibertus) Felix (CIL IX, 5020). Da questo documento e sulla base della consue-
tudine di assegnare agli affrancati delle comunità municipali un gentilizio che si
richiamava al nome della città stessa, si è dedotta l’esistenza ad Hadria di una
colonia Veneria, di incerta datazione, l’epiteto infatti si potrebbe adattare ad
una fondazione tanto di età sillana quanto del periodo augusteo1236. L’epitafio di
Ses. Publicio potrebbe costituire un indizio a favore di questa seconda ipotesi: se
suo padre ottenne la libertà ed il nomen Publicius in età tardorepubblicana o
augustea ciò dovrebbe in effetti significare che in quel momento ad Hadria non
esisteva ancora una colonia Veneria. Mi rendo tuttavia conto che questa rico-
struzione si fonda su due supposizioni difficilmente verificabili: in effetti non è
detto che, nell’assegnare il gentilizio ai servi publici, si adottassero sempre re-
gole coerenti, né che la libertà della famiglia di Ses. Publicio non potesse risalire
a diverse generazioni precedenti, anche prima, cioè, della supposta colonizza-
zione sillana.
Tornando al nostro personaggio, il fatto che egli fosse di nascita libera e
che il suo gentilizio mostri qualche rapporto con la comunità pubblica mi induce
ad accordare una leggera preferenza all’ipotesi che egli espletasse la sua attività
di scriba nei servizi amministrativi della colonia di Hadria1237.

1233 Sugli scribi in genere vd. supra, p. 155, nota 210. Per gli altri scribi attestati nel Piceno vd.
Asculum 4, Asculum 5, Auximum 10 e Cingulum 1.
1234 Cf. la bibliografia supra, p. 139, nota 143. Il gentilizio Publicius è ovviamente ben atte-
stato nel Piceno: ad Auximum L. Publicius Apronian(us) e L. Publicius Florianus di CIL IX,
5842; a Cupra Maritima [L.] Publicius L. f. Ve[l.] Consultinus di CIL IX, 5303 e Publicia
Bassilla di CIL IX, 5304; a Firmum Publicius Optatus di CIL IX, 5373; ad Interamnia Publicia
Sex. f. Paulla di CIL IX, 5088, che, data la vicinanza con Hadria ed il patronimico Sex. f. po-
trebbe avere un qualche rapporto con il nostro Sex. Publicius Sex. f.; cf. ancora, nella medesima
località M. Publicius Ph[---] di CIL IX, 5118; a Potentia T. Publicius Geminus di CIL IX, 6382; a
Ricina Publi[c]ius Sabinus di CIL IX, 5778; a Tolentinum Publicia Faventina di Suppl. It., n.s.
11, p. 82, n°17; a Truentum Publicius Augustalis di CIL IX, 5167; ad Urbs Salvia C. Publicius
Florus di CIL IX, 5539.
1235 In tal senso probabilmente va interpretata l’affermazione di Delplace, Romanisation, cit., p.
78, che riconduce lo scriba Ses. Publicio “au milieu des affranchis”.
1236 Sulla questione si veda la bibliografia citata supra, p. 140, nota 144.
1237 Così anche, in via ipotetica, Guidobaldi, Romanizzazione, cit., p. 198.
386 Parte II. I documenti

Per quanto concerne l’onomastica della liberta Callipolis, il nome, un


grecanico non fra i più frequenti1238, non è altrimenti attestato nel Piceno.
Immagine: Tav. XLIV.

1238 Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, p. 628 registra 4 attestazioni sicure a Roma,
alle quali si possono aggiungere 2 casi incerti, ibid., III, pp. 1344-1345.
Parte II. I documenti 387

Interamnia

Interamnia 1

Edizione di riferimento: ICI X, 3.


Altre edizioni: G. Marini, Inscriptiones Latinae et Graecae Aevi Milliarii, nel
manoscritto Vaticano Latino 9072, f. 505, n°11239; CIG 6456 b; IG XIV, 2247;
A. Ferrua, Il sarcofago di Campli, «RPAA», s. III, 53-54 (1980-1982), pp.
383-386 (cf. SEG XXXIII, 766); Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit.,
p. 783, n°92.
Bibliografia: G. Wilpert, I sarcofagi cristiani antichi, Roma 1929-1932, I, p.
114, tav. CVI, 2; II, pp. 2; 10; 226-227; 308; 334; 336; L. Robert, Les korda-
kia de Nicée. Le combustible de Synnada et les poissons-scies. Sur des lettres
d’une métropolite de Phrygie au Xe siècle. Philologie et réalités, «JS» (1962),
p. 35, nota 71, ora in Opera minora selecta, VII, Amsterdam 1990, p. 101,
nota 71; J.B. Ward-Perkins, Nicomedia and the Marble Trade, «PBSR», 48
(1980), p. 32; p. 34, n°2; ora in Marble in Antiquity. Collected Papers of J.B.
Ward-Perkins, a cura di H. Dodge - B. Ward-Perkins, London 1992, p. 68; p.
70, n°2; Id., Commercio dei marmi nel mondo romano, «L’Adriatico tra Me-
diterraneo e penisola balcanica nell’antichità. Lecce - Matera 21-27 ottobre
1973», Taranto 1983, p. 243; M. Buonocore, Insediamenti e forme economi-
che nell’Abruzzo romano dei primi due secoli dell’Impero, «SCO», 36 (1986),
p. 290 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 73); N. Ciacio, Sarcofagi
d’Abruzzo, «QIASA», 5 (1995), pp. 206-207 (cf. AE 1995, 431); M.
Buonocore, Giovanni Battista De Rossi e l’Istituto Archeologico Germanico di
Roma (Codici Vaticani Latini 14238-14295), «MDAI(R)», 103 (1996), p. 297
e nota 7; A. Padilla Monge, Una aproximación a la explotación y la distribu-
ción del mármol en el Imperio romano durante los siglos I-II, «Habis», 31
(2000), p. 233; M. Buonocore, Il capitolo delle Inscriptiones falsae vel alienae
nel CIL. Problemi generali e particolari: l’esempio della regio IV augustea,
«Varia Epigraphica. Atti del Colloquio Internazionale di Epigrafia. Bertinoro,
8-10 giugno 2000», a cura di G. Angeli Bertinelli - A. Donati, Faenza, 2001, p.
67 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 214).
Luogo di ritrovamento: il testo venne rinvenuto nel 1768 nella località di
Campovalano, nei pressi di Campli, a 7 km. circa a nord di Teramo1240.

1239 Cf. M. Buonocore, La tradizione manoscritta dell’epigrafia classica abruzzese nei codici
della Biblioteca Apostolica Vaticana, L’Aquila 1986, p. 83, n°285. Il Marini annotò il testo an-
che in una scheda ora nel manoscritto Vaticano Latino 9102, f. 56r, cf. Buonocore, Tradizione
manoscritta, cit., p. 84, n°288; cf. anche Ferrua, Sarcofago, cit., pp. 383-384.
1240 Sulle circostanze del ritrovamento vd. Ferrua, Sarcofago, cit., pp. 383-384; G. Binazzi a ICI
X, 3. Per un lapsus da Interamnia Nahars secondo Ward-Perkins, Nicomedia, cit., p. 34, n°2; ora
in Marble in Antiquity, cit., p. 70, n°2; cf. anche Id., Commercio, cit., p. 243.
388 Parte II. I documenti

Luogo di conservazione: la lastra iscritta, che corrispondeva alla faccia ante-


riore di un sarcofago in marmo bianco, venne portata da Campovalano a Te-
ramo, nella casa del nobile ed erudito locale Giovanni Bernardino Delfico. Il
margine superiore sinistro, con le prime lettere del nome del defunto Aurelio
Andronico, si trova ora murato nell’atrio del Palazzo comunale di Teramo (au-
topsia maggio 2001)1241. La faccia posteriore del sarcofago si conserva tuttora
nella chiesa di S. Pietro a Campovalano (autopsia maggio 2001)1242. Da notare
che nella chiesa sono conservati altri due frammenti marmorei di un sarcofago,
forse pertinenti al medesimo monumento che qui si esamina1243.
Tipo di supporto: nonostante buona parte del testo sia andata perduta, dalle
descrizioni trádite sappiamo che era iscritto sulla faccia anteriore di un sarco-
fago; l. 1, in lettere più grandi, si trovava sotto l’orlo della cassa, entro un li-
stello; le linee seguenti si trovavano immediatamente sotto, entro una ta-
bella1244.
Elementi iconografici: la faccia posteriore del sarcofago si presenta decorata
su due registri, ciascuno dei quali suddiviso in quattro riquadri alternati, due oc-
cupati da strigilature, più fitte nel registro superiore, e due da zone figurate; nel
registro superiore è rappresentato Pietro che picchia col bastone su di una roc-
cia e fa sgorgare l’acqua, due soldati bevono alla sorgente; dietro Pietro un’altra
figura stante; nel secondo riquadro è rappresentata una orante tra i due santi
Pietro e Paolo; nel registro inferiore troviamo Cristo in cattedra, davanti al
quale stanno un fanciullo e una figura forse femminile; nel secondo riquadro del
registro inferiore un orante con un rotolo nella destra, tra Pietro e Paolo1245.
Mestiere: liqevnporo", ovvero negotiator marmorarius.
Datazione: sulla base di considerazioni stilistiche sui rilievi che appaiono nella
faccia posteriore del sarcofago, si è suggerita una datazione del testo all’età co-

1241 Devo la notizia, confermata dall’autopsia del maggio 2001, alla cortesia di M. Buonocore;
cf. Buonocore, Giovanni Battista De Rossi, cit., p. 297, nota 7; lo studioso a p. 297 segnala nel
carteggio De Rossi (codice Vaticano Latino 14240, f. 611) una lettera del 18 agosto 1872 in cui
l’ascolano G. Gabrielli trattava del sarcofago di Campovalano di Campli. Cf. anche Buonocore, Il
capitolo, cit., p. 67 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 214), che ricorda di aver visto il fram-
mento nel Palazzo comunale di Teramo già nell’autunno del 1994.
1242 Cf. Ferrua, Sarcofago, cit., pp. 383-384; Binazzi a ICI X, 3; Ciacio, Sarcofagi, cit., p. 224,
nota 55.
1243 Cf. Ciacio, Sarcofagi, cit., p. 209 e p. 204, fig. 14.
1244 Cf. Ferrua, Sarcofago, cit., pp. 384-385; Binazzi a ICI X, 3; Ciacio, Sarcofagi, cit., p. 207.
1245 La descrizione proposta nel testo è ripresa da Ciacio, Sarcofagi, cit., pp. 206-207; diverse le
interpretazioni proposte da Wilpert, Sarcofagi, cit., I, p. 114; II, pp. 2; 10; 226-227; 308; 334;
336. Si sofferma sul carattere evidentemente cristiano dei rilievi sulla faccia posteriore del sar-
cofago Ferrua, Sarcofago, cit., p. 386, concludendo che quello di Aurelio Andronico è il primo
nome a noi noto di un cristiano che vivesse in questa zona.
Parte II. I documenti 389

stantiniana1246, che può accordarsi con la menzione del gentilizio Aurelius in


forma abbreviata e con l’onomastica della moglie di Andronico1247.
Testo: Aujr(hvlio") ∆Androvneiko" É Neikomhdeiv", liqevnÉporo", e[qhka ejmautw'/ É
to; mnhmovvsunon kai; É th'/ gunaiki; mou' AijÉboutivai Fortouvna/.
l. 2: Neikomhdeiv" per Neikomhdeuv". Neikomhdeªuvº" CIG e IG.
l. 6: Fortouvna/ vel Fortounavªtaiº IG.
Nel testo superstite si nota tra Aujr(hvlio") e ∆Androvneiko" un segno di inter-
punzione in forma forma di coda di rondine, con il vertice rivolto verso il basso.
Commento
Il testo in oggetto è l’iscrizione sepolcrale eretta dal mercante di marmi di
Nicomedia Aurelio Andronico per sé e per la moglie Ebuzia Fortuna.
Il curatore della sepoltura possedeva la cittadinanza romana, segnalata dal
gentilizio Aujr(hvlio"), in forma abbreviata; in considerazione della cronologia
del testo è logico pensare che Andronico discendesse da un peregrino che aveva
ottenuto la civitas romana alla promulgazione della Constitutio Antoniniana,
come del resto molti dei suoi compatrioti1248.
Le attestazioni epigrafiche di commercianti di marmi sono estremamente
rare nel mondo antico1249: il termine greco liqevnporo" trova un unico con-
fronto in un’iscrizione sepolcrale, forse incisa sulla fronte di un sarcofago in
marmo di Proconneso, proveniente da Roma; si tratta dell’epitafio di M.
Aurelio Xenoniano Aquila, originario della Bitinia, dunque della medesima re-
gione dalla quale proveniva Aurelio Andronico1250, che possedeva una statio ne-
gli horrea Petroniana e che si definiva prw'to" liqenpovrwn1251. Il luogo di ri-
trovamento dell’iscrizione, la chiesa di S. Saba all’Aventino, non lontano dalla

1246 Binazzi, a ICI X, 3. Vd. inoltre Ward-Perkins, Nicomedia, cit., p. 34, n°2; ora in Marble i n
Antiquity, cit., p. 70, n°2: presumibilmente del III sec. d.C.; Buonocore, Il capitolo, cit., p. 67 (ora
in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 214): tra IV e V sec. d.C.
1247 Il nome Fortuna in effetti sembra particolarmente popolare nell’onomastica cristiana, vd.
infra, p. 393, nota 1278.
1248 Scorrendo gli indici onomastici di TAM IV, 1 ove sono raccolte le iscrizioni di Nicomedia e
del suo territorio, balza agli occhi come Aujrhvlio" sia il gentilizio di gran lunga più attestato.
Non sembra per il momento attestato invece il nome ∆Androvneiko".
1249 Sulla terminologia greca dei mestieri della pietra fondamentale L. Robert, Épitaphes et ac-
clamations byzantines à Corinthe, «Hellenica», XI-XII, Paris 1960, pp. 21-52, partic. pp. 28-36.
1250 Robert, Kordakia, cit., p. 35, nt. 71, ora in Opera minora selecta, cit., VII, p. 101, nota 7 1
sospettava un’origine da Nicomedia anche per Aquila, ma non sviluppò le sue considerazioni i n
questo contributo.
1251 Già rifluita in SEG IV, 106, l’iscrizione si consulterà ora nell’edizione IGUR II, 1, 413:
Qau'ma mevgiston ojrw': tiv" oJ xevno" É ejnqavde tou'to ajnevqhken… M(a'rko") Auj(rhvlio") Xenwniano;"
∆Akuvla" Beiquno;" geneh',/ É stativwna i[scwn ejn oJrivoi" Petrwnianoi'", É prw'to" liqenpovrwn,
a[risto" zh'sa", eujcrw'mo" e[qeka th'n puvalon. L’importante documento è ricordato da Ferrua,
Sarcofago, cit., p. 385; sul senso del termine stavtiwn nell’iscrizione di Xenoniano Aquila vd. le
considerazioni di Marina Silvestrini in Grelle - Silvestrini, Lane apule, cit., pp. 110-111. Com-
mercianti di marmi, insieme a mercanti di legname, sono ricordati nella documentazione epigra-
fica greca anche da un editto del proconsole d’Asia L. Antonio Albo da Efeso, datato all’età d i
Antonino Pio, con la perifrasi oiJ ta; xuvla kai; oiJ tou'" livqou" ejnporeuovmenoi (l’editto è pubbli-
cato da ultimo in IK 11, 1, 23, ivi bibliografia anteriore).
390 Parte II. I documenti

cosiddetta Marmorata, suggerisce di localizzare i poco noti horrea Petroniana


nella XIII regione urbana e di individuarvi uno dei magazzini in cui venivano
conservati i manufatti marmorei grezzi e semilavorati che venivano importati a
Roma1252.
Agli horrea Galbiana, che si trovavano sempre nella XIII regione urbana,
riconduce invece la testimonianza di un negotiator marmorarius, termine che
ricalca sostanzialmente il greco liqevnporo"; il mercante C. Tullio Crescente,
che si dice appunto negotiator marmorarius de Galbes, è noto dall’iscrizione
sepolcrale relativa all’area sepolcrale che egli acquisì per sé, per la colliberta
Tullia Primilla e per i propri liberti e discendenti1253.
A proposito della terminologia latina relativa ai commercianti di marmo
è da ricordare infine un’epitafio di Colonia nel quale un tal Desideratus,
neg(otiator) artis lapidariae, pone sepoltura a sé stesso, alla moglie
Verecundinia Placida e al figlio Verecundinius Desiderius1254.
La città dalla quale proveniva il mercante Aurelio Andronico, Nicomedia
di Bitinia, era una località chiave per il commercio e la lavorazione dei marmi
antichi1255. Le ragioni che possono spiegare un tale ruolo sono state oggetto di
un dibattito tra J.B. Ward-Perkins, che sottolineava l’importanza di Nicomedia
come punto di imbarco dei marmi dell’intera Asia minore (specialmente i
marmi di Proconneso, il granito grigio della Troade, i marmi di Dokimeion in
Frigia)1256 e L. Robert, che invitava non sottovalutare il rilievo delle stesse cave
1252 Vd. da ultimo D. Palombi, Horrea Petroniana, «Lexicon Topographicum Urbis Romae», III,
a cura di E.M. Steinby, Roma 1996, p. 45.
1253 CIL VI, 33886: C(aius) Tullius Crescens, / negotiator marmorarius / de Galbes, fecit sibi
vibus et / Tulliae Primillae, / conlibertae suae carissimae / et libertis libertabusque / poste-
risqu[e] eorum. Sugli horrea Galbiana vd. da ultimo F. Coarelli, Horrea Galbiana, «Lexicon
Topographicum Urbis Romae», III, a cura di E.M. Steinby, Roma 1996, pp. 40-42, con bibliogra-
fia.
1254 CIL XIII, 8352 = ILS 7538 = Galsterer, Köln, cit., p. 78, n°325: D(is) M(anibus). /
Verecundiniae Placide / sive Soiioni, coniugi / dulcissimae, quae vixit / ann(os) XXVIII, et
Verecundinio De/siderio fil(io) eiius (!), Desideratus / Curmilli neg(otiator) artis lapidariae /
vivus sibi et iis obitis fecit. Su questa iscrizione vd. anche Schlippschuh, Händler, cit., p. 60.
1255 Oltre alla bibliografia specifica su Nicomedia, citata alle note seguenti, riguardo al commer-
cio di marmi in età imperiale mi limito a segnalare, tra i contributi di riferimento, P. Pensabene,
Considerazioni sul trasporto di manufatti marmorei in età imperiale a Roma e in altri centri
occidentali, «DArch», 4 (1972), pp. 317-362; Id., Osservazioni sulla diffusione dei marmi e sul
loro prezzo nella Roma imperiale, «DArch», ser. III, 1 (1983), 1, pp. 55-63; Id., Trasporto, diffu-
sione e commercio dei marmi: aggiornamenti e nuove interpretazioni, «PACT», 27 (1990), pp.
231-264; gli articoli raccolti nelle miscellanee Il marmo nella civiltà romana. La produzione e
il commercio, a cura di E. Dolci, Carrara 1989 e Marmi antichi II. Cave e tecnica di lavorazione.
Provenienze e distribuzione, a cura di P. Pensabene, Roma 1998; per l’età tarda J.-P. Sodini, Le
commerce des marbres à l’époque protobyzantine, «Hommes et richesses dans l’Empire byzan-
tin», I, Paris 1989, pp. 163-186; Padilla Monge, Aproximación, cit., pp. 219-233 (con breve
cenno ad Aurelio Andronico a p. 233).
1256 Ward-Perkins, Nicomedia and the Marble Trade, cit., pp. 23-69; ora in Marble in Antiquity,
cit., pp. 61-105; per un’esame della documentazione epigrafica vd. partic. pp. 31-40, ora in Mar-
ble in Antiquity, cit., pp. 68-75; Id., The Marble Trade and its Organization: Evidence from Ni-
comedia, «The Seaborne Commerce of Ancient Rome: Studies in Archaeology and History», a
cura di J.H. D’Arms - E.C. Kopff, Rome 1980 = «MAAR», 36 (1980), pp. 325-338; cf. anche Id.,
Parte II. I documenti 391

della Bitinia1257; entrambi gli studiosi tuttavia concordavano nell’assegnare a


Nicomedia una posizione fondamentale, dimostrata tra l’altro da una lettera di
Plinio il Giovane nella quale si attesta che, attraverso il lago di Sapanca, afflui-
vano al porto di Nicomedia varie merci, tra le quali appunto il marmo1258; la
documentazione epigrafica richiamata dai due studiosi integra utilmente il passo
pliniano, attestando la presenza di lavoratori del marmo provenienti da Nico-
media, o dalla Bitinia in genere, in diversi luoghi del mondo antico: oltre ai due
mercanti di marmi già ricordati, possiamo citare la suvnodo" Neikomhdevwn li-
qovxown di Nicopolis ad Istrum, un’associazione di scultori nicomediensi in fa-
vore della quale due dei suoi membri eressero un’ara dedicata ad Eracle nella
città della Mesia inferiore1259; a Leptis Magna il marmararius Nicomediensis
Asclepiade pone una dedica ad Esculapio pro victoria dominorum nostrorum
che identificheremo con Marco Aurelio e Lucio Vero o, più probabilmente, con
Settimio Severo e Caracalla1260; da Tirgusor, in Romania, proviene infine un ri-
lievo mitraico in marmo di Proconneso, firmato Foi'bo" Nikomhdeu;"
ejpoivei1261.
Il formulario dell’iscrizione di Aurelio Andronico trova precisi riscontri
nell’epigrafia sepolcrale di Nicomedia e della sua regione, in particolare per
quanto concerne l’uso del verbo tivqhmi alla prima persona dell’indicativo aori-
sto1262. La forma e[qeka compare talvolta anche nell’epigrafia sepolcrale greca
dell’Italia, in alcuni casi in epitafi di personaggi provenienti dalla Bitinia: pos-
siamo ricordare l’iscrizione su sarcofago del già citato M. Aurelio Xenoniano

Commercio dei marmi, cit., pp. 239-245, con particolare riferimento ai marmi di Proconneso e
della Frigia e alla scuola artistica di Nicomedia, in cui per la verità il tema dei commerci adriatici,
di grande interesse per la nostra ricerca, è appena abbozzato, come riconosce l’autore stesso
all’inizio del contributo.
1257 Robert, Épitaphes et acclamations, cit., pp. 35-36; Id., Kordiaka, cit., pp. 34-35, ora i n
Opera minora selecta, cit., VII, pp. 100-101; Id., Documents d’Asie mineure. VI. Épitaphes de Ni-
comédie, «BCH», 102 (1978), pp. 416-417. Il più volte annunciato studio dell’eminente epigra-
fista su Les marbriers de Nicomédie non sembra essere mai stato pubblicato.
1258 Plin., Ep., X, 41, 2: Est in Nicomediensium finibus amplissimus lacus: per hunc marmora,
fructus, ligna, materiae et sumptu modico et labore usque ad viam navibus, inde magno labore,
maiore impendio vehiculis ad mare devehuntur.
1259 IGBulg II, 674: ∆Agaqh'i tuvchªiº. É Qew/' ÔHraklei' É Mavximo" ª...ºÉsivou ke; Neivªkwnº É
Qeodwvroªu uJªpe;ºrÉ th'" sunovdou NeiÉkomedevwn liqoÉxovwn to;n bwmo;n É caristhvrion.
1260 AE 1926, 168 = IRT 264, con le correzioni registrate da AE 1991, 1617: Pro vic/toria /
domi/norum / nostro/rum. // Aretes cau/sa dio (!) Aescu/lapio Ascle/piades Ascle/[piadis filiu]s
marmarari[u]s / Nicomed(iensis). La probabile datazione all’età severiana, in connessione col
fiorire delle attività edilizie a Leptis Magna, è suggerita da Ward-Perkins, Nicomedia and the
Marble Trade, cit., p. 34, n°5, ora in Marble in Antiquity, cit., p. 70, n°5; cf. anche Id., Marble
Trade, cit., p. 330.
1261 M.J. Vermaseren, Corpus inscriptionum et monumentorum religionis Mithriacae, II, Hagae
Comitis 1960, p. 365, n°2306 (descrizione del rilievo); pp. 365-366, n°2307 (iscrizione).
1262 Mi limito a citare le prime linee di un’epigrafe su sarcofago che mi pare assai vicina nel
formulario all’iscrizione di Campovalano di Campli, TAM IV, 1, 260: Aujr(hvlio") ∆Eavrino",
a[rxa" th'" krativsÉte" fulh'" Poseidwniavdo", É e[qeka th;n ªsºoro;n ejmautw'/ kai; th/' suÉnbivw/ mou'
Aujrhlia/ Diogeneivh/ ...; cf. anche TAM IV, 1, 151; 185; 186; 187; 193; 220; 236; 237; 248; 261;
265; 284; 291; 292; 296; 309; 312; 338; 343; 376
392 Parte II. I documenti

Aquila, Beiquno;" geneh'1263


/ , ma anche nell’epigrafe sepolcrale dell’eques Ro-
manus Pactumeio Nicostrato e della moglie Domizia Teodora, in cui l’uso del
caratteristico termine puvelo", a designare il sarcofago sul cui coperchio
l’iscrizione venne incisa, denuncia la probabile origine bitinica dei due perso-
naggi1264.
Meno caratteristica l’attestazione di mnhmovvsunon nel contesto
dell’epigrafia sepolcrale, che comunque è sporadicamente presente nella stessa
Nicomedia1265 e, in Bitinia, a Klaudiupolis1266, nonché in Italia1267; degno di
nota piuttosto il fatto che il termine designi qui un sarcofago, un uso che non mi
pare esser stato affatto consueto.
La sepoltura era destinata, oltre che ad Aurelio Andronico, anche alla
moglie di questi, Ebuzia Fortuna. Il Kaibel considerò la possibilità che la formula
onomastica della donna fosse incompleta, pensando che il suo cognome dovesse
essere Fortounavta ed ipotizzando dunque che alcune lettere fossero andate
perdute alla fine di l. 6. L’ipotesi non è necessaria, dal momento che anche il
cognomen Fortuna è ben attestato, anche se è meno diffuso del comunissimo
Fortunata1268. A ragione si è notato come le occorrenze di Fortuna come nome

1263 Citata supra, p. 389, nota 1251.


1264 IGUR IV, 1692: Paktoumei'o" NiÉkovstrato" iJppeu;" É ÔRw(maivwn) th;n puvelon DomiÉt≥iva/
Qeodwvra/ sumbivÉw/≥ e[qhka: ejan; dev ti" É ªtoºlmhvsh/ e{teron É ªsw'ºma ejnqei'nai É ªplºh;n≥ tou' ejmou' h] É ª-
- - - - -º; l’ipotesi di un’origine dalla Bitinia di Pactumeio Nicostrato e della moglie era avanzata
da J. e L. Robert in Bull. ép. 1982, 497 e ripresa da Moretti a IGUR IV, 1692; per le numerose at-
testazioni di puvelo" nell’epigrafia di Nicomedia e della regione vd. gli indici di TAM IV, 1, p.
101. L’espressione e[qeka compare anche nella lacunosa IG XIV, 2169 da Roma e in IG XIV, 1413
= IGUR II, 1, 367 sempre dall’Urbe: D(i") M(anibou") É M(avrkw/) ∆Argenaivw/ É Eujtavktw/
LeibeÉra'li" oJ i[dio" ajÉdelfo;" th;n kamavÉran mniva" cavrin É kai; eujergesiw'n kai; É eujnoiva" pavsh",
mevÉcri" qanavtou eujnohvsanta, e[teÉsin eæ sunxeneiteuvsanta É e[qhka to;n ajdelfo;n ejtw'n idæ. É
tau'ªtaº; il Moretti a IGUR II, 1, 367 ricordava la diffusione del termine kamavra in Asia minore,
un elemento che potrebbe essere indicativo per la provenienza del personaggio: il termine è tra
l’altro attestato anche nella regione di Nicomedia, cf. TAM IV, 1, 117; 188.
1265 TAM IV, 1, 179, noto solo da un apografo che lascia alcune incertezze di lettura e non con-
sente di precisare il tipo di monumento sul quale il testo era iscritto: “Annio" Sekoni'ndo" (!) É
∆Annanianh'/ (!) É qugatri; mnhmovsunon. Caivrete; a l. 1 F.K. Dörner ipotizza una correzione
Sekondi'no", a l. 2 ∆Annianh'./
1266 IK 31, 15: gnhvsion ejn sofivh/ bivoton televsasa É a{ma Pauvlw/ hJ Lukavri" e[qanen tevlo"
kamavtoio lipou'sa, É Perenw'" (?) gegaw'sa fivlou patrov", É o}" kainãh'Ã/ boulh'/ nei'men th'/ patrivdi É
oujk ojlivga" parocav": nu'n de; É qanou'san e[qayen fivlo" povsi", É sh'ma de; teu'xen mnhmovsunon É
gameth'" ku≥ri≥ a≥v "≥ kai; tevkewn e{neken, É Pau'lo" tou' Pauvlou gnou;" to; tevlo" É kamavtou. Sul do-
cumento vd. anche L. Robert, Enterrements et épitaphes, «AC», 37 (1968), pp. 421-423, ora i n
Opera minora selecta, VI, Amsterdam 1989, pp. 97-99.
1267 Cf. IG XIV, 1700 = IGPorto 41: ∆Iouliva/ Zhnai?dªiº, É semnh'/ kai; ajsunÉkrivtw/ kai;
ajeimnªhºÉªsºtw/ yuch'/, ∆Iouvl(io") MªavºÉximo" suvmbio" É mnhmovsunon to; sh'ma ajnevqhken…; vd. an-
che IG XIV, 403 = IGR I, 487 da Messana: ∆Agrippeivnw/ mousikw'/ mnhmovsunon (se veramente di ca-
rattere sepolcrale); i due documenti sono ricordati da Ferrua, Sarcofago, cit., pp. 385-386, se-
guito da Binazzi a ICI X, 3.
1268 Cf. Ferrua, Sarcofago, cit., p. 385; Binazzi a ICI X, 3.
Parte II. I documenti 393

personale si addensino nelle province africane1269, ma non credo che tale ele-
mento possa essere probante per stabilire il luogo d’origine della moglie di
Andronico1270: il cognomen è ben attestato nella stessa città di Roma1271 e spo-
radiche occorrenze si hanno per esempio ad Ostia1272, a Canusium1273, a Bri-
xia1274, a Carales1275, nelle province iberiche1276, nella Germania inferior1277;
né è d’aiuto il gentilizio Aebutius, che mi pare essere largamente diffuso nel
mondo romano. Piuttosto è da rilevare come il nome Fortuna sembri godere di
particolare fortuna nell’onomastica cristiana1278.
Per concludere l’analisi dell’iscrizione sepolcrale di Aurelio Andronico
devo rilevare come i dubbi espressi da L. Robert riguardo al luogo di originaria
provenienza del documento non appaiano del tutto ingiustificati1279. Il tipo di
sepoltura ed il fatto che essa fosse destinata ad accogliere non solo il commer-
ciante di marmi Andronico, ma anche la moglie, mi sembrano indicare che il
monumento non venne eretto in una località nella quale il liqevnporo" si tro-
vava casualmente di passaggio quando venne colto dalla morte, ma che fosse
stato preparato nel luogo in cui Andronico aveva la propria principale base
d’affari, la propria statio, per riprendere la terminologia dell’epitafio di un altro
commerciante di marmi dalla Bitinia, M. Aurelio Xenoniano Aquila1280.
L’evenienza che tale statio si trovasse nella zona di Campovalano di Campli o
nella stessa Interamnia, che pure non è da escludere, desta invero qualche per-
plessità. Come semplice spunto per ulteriori ricerche si potrebbe valutare
l’ipotesi che il sarcofago non fosse originariamente collocato a Campovalano,
ma che vi sia giunto da altrove, forse da Roma, che appare la località più propi-
zia ove impiantare un’attività commerciale di questo tipo e dalla quale proviene

1269 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 273; H. Solin, Analecta epigraphica CII. Falsche Na-
men, «Arctos», 19 (1985), p. 206.
1270 Come invece suggerisce Ferrua, Sarcofago, cit., p. 385, seguito da Binazzi, a ICI X, 3.
1271 Cf., exempli gratia, CIL VI, 12217 = 34054; 14970; 16751; 28567; 28677; 29416; AE
1977, 91. Numerosi le attestazioni nelle iscrizioni cristiane dell’Urbe, cf. per esempio ICUR I,
2723, 2; II, 4844; 4880; 6200; 6395; III, 9362; IV, 12638; VI, 16237; VII, 18818; VIII, 21056;
21805; IX, 23950; 25502; X, 27420 a; 27420 b.
1272 CIL XIV, 1641.
1273 AE 1987, 302.
1274 CIL V, 4517 = InscrIt X, V, 313; CIL V, 4237 = InscrIt X, V, 789.
1275 AE 1971, 136 (cristiana).
1276 Cf. CIL II, 1592 da Salpensa; CIL II2, 7, 652 da Corduba (cristiana).
1277 AE 1990, 739 da Krefeld-Gellep.
1278 Oltre ai documenti segnalati come cristiani nelle note precedenti si vedano, per le province
africane, da Cartagine CIL VIII, 13697; 13698; 13700; 25233; 25234; 25323; 25330; AE 1991,
1647 da Clupea; CIL VIII, 9877 da Altava.
1279 Robert, Kordakia, cit., p. 35, nota 71, ora in Opera minora selecta, cit., VII, p. 101, nota 71;
ma vd. anche Buonocore, Il capitolo, cit., p. 67 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 214) che s i
schiera, seppur prudentemente, a favore di un’esecuzione dell’epigrafe funeraria di Andronico
nel territorio di Teramo.
1280 L’iscrizione sepolcrale del personaggio, rinvenuta a Roma, è citata supra, p. 389, nota
1251.
394 Parte II. I documenti

un documento che presenta strettissime analogie con il nostro, il più volte ri-
cordato epitafio su sarcofago di Xenoniano Aquila. Tra i diversi motivi che po-
trebbero spiegare tale traslazione ricorderei, ancora una volta a semplice titolo
di ipotesi, la volontà di avvalorare con un’attestazione di antichissima cristia-
nità la pretesa fondazione della chiesa di S. Pietro da parte dell’apostolo
stesso1281.
Se tuttavia la provenienza dell’epitafio di Aurelio Andronico dal Piceno
venisse confermata, una provenienza che, giova ripeterlo, per il momento non
è contraddetta da elementi decisivi, il testo costituirebbe un’importante prova
della permanenza di legami commerciali tra la regione e l’area del Mediterraneo
orientale tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C.1282
Immagine: Tav. XLV. Riproduzione della copia del testo fatta da mons.
Antonio Luigi Antinori, che era presente al momento della scoperta1283, in ICI
X, p. 6; un’immagine della faccia posteriore del sarcofago in Wilpert,
Sarcofagi, cit., I, tav. CVI, 2; Ferrua, Sarcofago, cit., p. 384, fig. 1; Ciacio,
Sarcofagi, cit., p. 204, fig. 14.

1281 Tale leggenda è ricordata da Ferrua, Sarcofago, cit., p. 383.


1282 Come rileva Buonocore, Insediamenti, cit., p. 290 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 73).
Cf. anche Pensabene, Osservazioni, cit., p. 55, il quale ipotizza che i mercanti di marmo bitini
Aurelio Andronico e Xenoniano Aquila commerciassero pietre e forse anche manufatti pro-
venienti dalle loro regioni d’origine.
1283 Cf. Marini nel codice Vaticano Latino 9102, f. 56r, trascritto da Buonocore, Tradizione ma-
noscritta, cit., p. 84, n°288.
Parte II. I documenti 395

Interamnia 2

Edizione di riferimento: CIL IX, 5064.


Altre edizioni: Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 771, n°13,
M. Buonocore - W. Eck, Teramo tra storia ed epigrafia, «RPAA», 76 (1999-
2000); ora in Buonocore, L’Abruzzo e il Molise, cit., II, p. 911, n°13 (edizione
dalla quale si cita).
Bibliografia: Sachers, Tabularius, cit., col. 1971; Weaver, An Administrative
Official, cit., p. 911; Id., Familia Caesaris, cit., p. 242, nota 3; G. Cerulli Irelli,
Teramo. Edizione archeologica della carta d’Italia al 100.000, Firenze 1971,
p. 24; Mazzitti, Teramo archeologica, cit., pp. 32; 44, fig. 2; Raepsaet-
Charlier, Acceptus, cit., p. 228, nota 41.
Luogo di ritrovamento: il preciso luogo di ritrovamento dell’iscrizione non è
noto; si suppone che, come altri testi visti e copiati dall’erudito teramano
Giovanni Bernardino Delfico, provenisse dalla stessa area urbana di Teramo o
dalle tenute del Delfico, poco a nord della città1284.
Luogo di conservazione: Teramo, lapidario del Palazzo comunale (autopsia
maggio 2001)1285.
Tipo di supporto: stele con decorazione a timpano, al centro del quale si trova
un fiore, assai danneggiato; ai lati fiori a 5 petali. Del monumento si conserva
solamente la parte superiore. Lo specchio epigrafico, delimitato da cornice,
presenta vistose scheggiature, che pure non pregiudicano la lettura delle prime
tre linee del testo. Al di sotto si notano le porzioni superiori delle lettere appar-
tenenti ad una quarta riga; quanto rimane non è tuttavia sufficiente per proporre
una fondata restituzione del testo.
Mestiere: tabularius.
Datazione: se il ricordo di un August(i) (servus) consente di collocare il testo
in età imperiale, l’assenza dell’adprecatio ai Mani pone il termine ante quem
per la datazione dell’iscrizione intorno alla metà del I sec. d.C.
Testo: Polybius / August(i) / tabularius / ++++ [- c.4 -] ++++ / ------
l. 2: August(alis) Buonocore - Eck.
Commento
La frammentaria iscrizione ci dovrebbe conservare la prima parte di un
semplice testo funerario, nel quale si fa menzione del tabularius Polibio. Nel
personaggio si dovrà identificare il defunto, il cui nome poteva essere even-
tualmente seguito da quello di altre persone che trovarono sepoltura nella mede-
sima area, secondo uno schema ben attestato nell’epigrafia funeraria dell’ager

1284 Cerulli Irelli, Teramo, cit., pp. 23-24. Secondo Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 3 2
senz’altro proveniente dall’area extraurbana.
1285 Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 24.
396 Parte II. I documenti

Praetuttianus1286, oppure il dedicante, che curò l’erezione del sepolcro per un


congiunto ed eventualmente anche per sé stesso1287.
Il nome grecanico Polybius non pare essere altrimenti attestato nella re-
gio V, se non forse sulle anfore bollate C(ai) Iûl(i) Poly(---) dalla zona di Torre
di Palme1288. La formula onomastica, con un nome unico, indica che Polibio
doveva essere uno schiavo, anche a prescindere dall’interpretazione
dell’abbreviazione AVGVST a l. 2.
Quest’ultimo termine, in effetti, è stato interpretato in due diversi modi
dagli studiosi che si sono soffermati sul testo: come abbreviazione di Au-
gust(alis)1289 o come indicazione del fatto che Polybius era un servus
Augusti1290.
Partendo dalla prima delle due ipotesi, è certo vero che la forma AVGVST
a designare un Augustalis è ben attestata, anche nello stesso Piceno, per esem-
pio a Montegiorgio, nel territorio di Falerio, dove è noto un [- I]ulius Eros, [V
?]III vir August(alis)1291, come è vero che ad Interamnia l’Augustalità ed altri
collegi religiosi dedicati al culto imperiale sono testimoniati da numerosi docu-
menti1292. È altresì vero che Polibio, come si è visto, era probabilmente uno

1286 Cf., per fare solo un esempio, CIL IX, 5092 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit.,
p. 775, n°41: C(aius) Aufidenus / C(ai) l(ibertus) Philarcuru[s], / Aufidena ((mulieris))
l(iberta) / Erotis.
1287 Cf., sempre exempli gratia, CIL IX, 5088 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p.
775, n°37: L(ucius) Ampius L(uci) f(ilius) Severus, sibi et / L(ucio) Ampio L(uci) f(ilio) patri, /
Publiciae Sex(ti) f(iliae) Paullae matri, / testamento fieri iussit, / arbitratu Erotis l(iberti).
1288 Su questa documentazione vd. supra, pp. 56-57. Per le attestazioni urbane del nome
Polybius tra schiavi e liberti vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, pp. 248-249; Id.,
Sklavennamen, cit., II, p. 260.
1289 Così Sachers, Tabularius, cit., col. 1971; Weaver, An Administrative Official, cit., p. 911 (lo
studioso sembra aver mutato opinione nella sua monografia Familia Caesaris, cit., p. 242, nota,
ove ricorda CIL IX, 5064 tra le attestazioni di tabularii schiavi imperiali), Buonocore - Eck, Te-
ramo tra storia ed epigrafia, cit., p. 911, n°13. Raepsaet-Charlier, Acceptus, cit., p. 228, nota 4 1
include CIL IX, 5064 nella raccolta di testimonianze sui tabularii municipali, accogliendo im-
plicitamente l’ipotesi del Sachers. Polybius tuttavia non compare nella raccolta degli
*Augustales compilata da Duthoy, Recherches, cit., p. 160, né nelle integrazioni alla lista d i
Duthoy proposte da Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 337.
1290 Così gli indici di CIL IX, pp. 741; 765; Chantraine, Freigelassene und Sklaven, cit., p. 183;
Weaver, Familia Caesaris, cit., p. 242, nota 3.
1291 CIL IX, 5448, ora ripubblicata e studiata da Gasperini, Spigolature (I-III), cit., pp. 54-56, cf.
Id., Cimeli epigrafici, cit., pp. 141-143 ( = Id., Antiche iscrizioni a Montegiorgio, pp. 9-11, n°2).
Vd. inoltre CIL IX, 5448 da Falerio [V]III vir August(alis).
1292 Vd. in particolare P. Salvius [P. l.] Secundus, Aug(ustalis) di CIL IX, 5080 = Buonocore -
Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 773, n°29. Per gli altri collegi sacerdotali vd. M. Aquilliu[s -
f.], VI vir di Donati, Nuove iscrizioni, cit., pp. 85-86, n°10 = AE 1980, 387 = Buonocore - Firpo,
Fonti latine e greche, cit., p. 786, n°107; l’anonimo sexvir della frammentaria CIL IX, 5082 =
Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 774, n°31; [-] Caelius ((mulieris)) l. Potitus, VI
vir Augustalis di Donati, Nuove iscrizioni, cit., pp. 81-82, n°2 = AE 1980, 382 = Buonocore -
Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 787, n°113. I seviri et Augustales appaiono anche in CIL IX,
5085 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 774, n°34 = Cancrini in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 59-61, che ricorda una divisio dell’importo di 10 se-
sterzi per ciascuno dei membri del collegio. A questi documenti sono da aggiungere le iscrizioni
Parte II. I documenti 397

schiavo, mentre gli Augustales e i membri dei collegi affini sono sempre liberti
e, in qualche caso, ingenui1293.
Dunque, a meno di supporre una formula onomastica del tutto insolita per
un personaggio di libera condizione nella prima età imperiale, si deve concludere
che Polibio fosse un August(i) (servus) tabularius, secondo un formulario che
ritroviamo anche per qualche altro schiavo imperiale che lavorava
nell’amministrazione: si veda per esempio Coenus, August(i) arcar(ius) provin-
ciae Belgicae di CIL VI, 8574 o ancora Natalis, August(ae) disp(ensator)
Licinianus di CIL VI, 3968, dal monumentum Liviae1294.
Come si è detto, l’occupazione di Polybius era quella di tabularius, uno di
quei contabili che incontriamo con grande frequenza nella documentazione epi-
grafica del mondo romano1295. Nel testo pervenutoci non troviamo indicazioni
riguardo al settore amministrativo presso il quale Polibio esercitava la propria
attività1296, tuttavia il fatto che si trattasse di uno schiavo dell’Augusto re-
stringe la ricerca ad uno dei diversi uffici dell’amministrazione imperiale, che ri-
corse ampiamente proprio ai servi Augusti per coprire tali incarichi. Nelle co-
munità dell’Italia romana sono attestati, oltre che numerosi contabili sine offi-
cio1297, tabularii o adiutores tabularii negli uffici a rationibus1298, della ratio

relative ai V viri, un collegio assimilabile a quello degli Augustali (vd. infra, pp. 506-507): cf.
[---]lenus C. l. E[---], quinq(ue) vir di CIL IX, 5083 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche,
cit., p. 774, n°32; A. Populonius A. l., quinq(ue) vir di Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche,
cit., p. 786, n°105; T. Licinius T. l. Dem(---), V vir di CIL IX, 5072 = Buonocore - Firpo, Fonti la-
tine e greche, cit., p. 772, n°21; infine [T. Licinius ?] T. l. Eleuthe[r---] e [T. Licinius ?] T. l.
Pamphilus, V vir(i) di CIL IX, 5070 = ILS 6563a = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit.,
p. 772, n°19; l’integrazione del prenome e del gentilizio è una mia proposta, solo ipotetica, sulla
base del fatto che in questa epigrafe sepolcrale compare anche una Licinia T. l. Eleutheris, nella
quale sarebbe logico vedere una colliberta dei due V viri.
1293 Sull’origine sociale degli *Augustales vd. soprattutto Abramenko, Mittelschicht, che al
tema dedica numerose pagine della sua monografia, partic. pp. 43-76.
1294 Altri esempi in Chantraine, Freigelassene und Sklaven, cit., p. 183, che ricorda anche il caso
di CIL IX, 5064.
1295 Sui tabularii vd. supra, pp. 276-282, in particolare la bibliografia citata ivi, nota 734.
1296 Tale indicazione in linea di principio poteva trovarsi subito dopo il ricordo dell’ufficio d i
tabularius, alla l. 4 dell’iscrizione, di cui rimangono alcuni frustuli di lettere, secondo la tra-
scrizione del CIL. Tuttavia quanto rimane di tali lettere non pare accordarsi con nessuna
dell’espressioni che ci attenderemmo di leggere per un tabularius schiavo imperiale: 1 a lettera:
O o Q; 2a lettera: B, P o R; 3a lettera: B, P o R; 4a lettera: H, I o L; segue una lacuna di 3 o 4 let-
tere; 5a lettera: B o R; 6a lettera: I; 7a lettera: L; 8a lettera: I o L. In base a queste possibili letture
mi pare più plausibile che a l. 4 si trovasse il ricordo di una seconda persona, in caso dativo, che
dovremmo dunque identificare con il defunto al quale Polibio pose la sepoltura: solo a titolo
esemplificativo, riprendendo un gentilizio già attestato ad Interamnia, si potrebbe proporre [-]
Oppi[o Ha]bili o qualche altro cognome terminante in -bilis o -rilis, per i quali si veda l’indice
inverso di Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 443.
1297 Cf. per esempio CIL XIV, 49 da Ostia: T. Flavius Aug. lib. Primigenius, tabularius adiutor;
dalla stessa località vd. anche CIL XIV, 200: Fuscinus Aug. lib., tab(ularius) adiut(or); CIL XIV,
304: [-] Aurelius Augusti liber[t(us)] Agathyrsus, tabular(ius) (il personaggio, ricordato ad
Ostia in un’iscrizione di carattere onorario, è probabilmente da identificare con il L. Aurelius
Aug. l. Agathyrsus, tab(ularius) che pose sepoltura al padre Hilarus nell’iscrizione sepolcrale
CIL XIV, 2261, dall’ager Albanus); CIL XIV, 4279 = AE 1910, 183: Varenus Augg. lib. adiut(or)
398 Parte II. I documenti

patrimonii1299, della ratio marmorum Lunensium1300, della ratio chartaria1301 e


soprattutto della vicesima hereditatium1302. Non sempre questi contabili lavo-
ravano effettivamente nelle località in cui sono attestati: in particolare si può
presumere che alcune delle attestazioni provenienti dal Latium Vetus si riferi-
scano in realtà ad impiegati dell’amministrazione che prestavano la loro opera
negli uffici centrali di Roma; esemplificativo in questo senso il caso del liberto di
Nerone Nomaeus, noto per una dedica votiva al tempio della Fortuna Primi-
genia di Preneste1303.
La presenza di altri contabili in alcune città dell’Italia si spiega in base a
funzioni peculiari a quella stessa località: per esempio, a Portus conosciamo un
Ingenuus Aug. lib., tabularius Portus Augusti1304, ad Anzio un T. Flavius Aug.
lib. Evangelus, tablarius (!) praetori Antiatini1305, a Tivoli diversi tabularii
villae Tiburtis1306, a Puteoli è noto invece un tabularius fisci Alexandrini di
nome M. Ulpius Proculus1307. In base ai dati per il momento in nostro possesso
non sono in grado di precisare in quale dei settori sopra citati Polibio fosse
eventualmente impiegato, anche se i dipartimenti finanziari con competenze
estese a tutto il territorio dell’Impero, come per esempio quello della vicesima
hereditatium, costituiscono la soluzione più probabile.

tabul(ari); CIL XIV, 4316: Hispanus Aug. lib., tabul(arius); CIL XIV, 3693 = InscrIt IV, I, 232 da
Tibur: [P. A]el[i]u[s Aug. lib. Aqu]ilinu[s], [tabular(ius)], secondo l’ingegnosa ma largamente
ipotetica restituzione proposta da G. Alföldy, Epigraphica Tiburtina, «Epigraphica», 28 (1966),
pp. 9-12, n°2 = AE 1967, 78; CIL X, 1742 da Puteoli: Secundus Aug. lib., tabular(ius); CIL X,
4763 da Suessa: Mocimus Sabinae Augusti sororis lib. tabul(arius); CIL IX, 4782 da Forum
Novum, nel Sannio: Daphnis Caes. n. ser., adiutor tabul(ari); AE 1897, 82 = ILS 3328 = Brusin,
Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 104 da Aquileia: Syriaci Aug. lib., tabul(arius); CIL V, 40 =
InscrIt X, I, 47 da Pola: Arogus Aug. lib., tabular(ius); dalla stessa località vd. anche CIL V, 41 =
ILS 1644 = InscrIt X, I, 50: Euphemus Aug. lib., tabularius e un tabularius il cui nome è andato
perduto, liberto imperiale, di CIL V, 42 = InscrIt X, I, 51.
1298 Cf. per esempio Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 465 da Aquileia: Celer Aug. l.
Merypianus, tabular(ius) a rationib(us).
1299 Cf. per esempio CIL XI, 3885 = ILS 1643 da Capena: T. Claudius Aug. l. Daus, tabularius
rationis patrimoni Caesarum; AE 1956, 12 = Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 463 da
Aquileia: Saturninus Aug. n. adiut(or) tabul(ari) r(ationis) p(atrimoni).
1300 Cf. per esempio AE 1974, 153 da Collatia: T. Flavius Successus Aug. lib., tabularius ra-
tionis marmorum Lunessium.
1301 Cf. per esempio AE 1979, 98 da Bovillae: Festus Aug. lib., tabularius rationis chartariae.
1302 Cf. per esempio CIL XIV, 2262 = ILS 1645 dalla ager Albanus: Epius Aug. lib., tabular(ius)
rat(ionis) heredit(atium); CIL XIV, 200 da Ostia: Venerandus Aug. l., tabl(arius) her(editatium);
Gemellus Neronis Claudi Caesa[ris] Aug(usti) Germanic[i] Primigeniani, tabul[ari]
hereditatium di CIL IX, 4977 = ILS 6558 da Cures, in Sabina; P. Aelius Prothymus, tabul(arius)
XX her(editatium) Aemil(iae), Liguria(e), Transpadanae di CIL XI, 1222 = ILS 1554 da
Placentia.
1303 CIL XIV, 2861.
1304 AE 1926, 118 = CIL XIV, 4482. Il personaggio è forse da identificare con il T. Flavius [Aug.
lib.] Ingenuus, ta[b(ularius)] di CIL XIV, 4483.
1305 CIL X, 6667.
1306 Cf. InscrIt, IV, I, 174: T. Aelius Aug. lib. Ampliatus; 175: T. Aelius A[ug. l.] Euhodion.
1307 AE 1901, 171.
Parte II. I documenti 399

Immagine: Tav. XLVI. Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 44, fig. 2.


400 Parte II. I documenti

Interamnia 3

Edizione di riferimento: CIL IX, 5065.


Altre edizioni: Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 771, n°14,
Buonocore - Eck, Teramo tra storia ed epigrafia, p. 911, n°14.
Bibliografia: P. Caver, De muneribus militaribus centurionatu inferioribus,
«EphEp», 4 (1881), p. 378; G. Wille, Musica romana. Die Bedeutung der Mu-
sik im Leben der Römer, Amsterdam 1967, p. 323; Cerulli Irelli, Teramo, cit.,
p. 27, n°1; F. Cenerini, I Caesii: prosopografia delle regioni VI, VIII e V,
«Cultura epigrafica dell’Appennino. Sarsina, Mevaniola e altri studi», Faenza
1985, pp. 230-231.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne ritrovata nel 1832 in località Con-
tra, a circa 2 km. dal centro di Teramo, in direzione sud-est, nei terreni di tale
Francesco Gaspari1308.
Luogo di conservazione: Teramo, lapidario del Palazzo comunale (autopsia
maggio 2001)1309.
Tipo di supporto: lastra con specchio epigrafico ribassato, delimitato da una
cornice modanata. Il monumento è mutilo sui lati sinistro e destro, con perdita
di alcune lettere.
Mestiere: tubicen.
Datazione: l’assenza del cognomen nella formula onomastica dell’ingenuo ti-
tolare dell’area sepolcrale, il formulario e le caratteristiche paleografiche del te-
sto suggeriscono una sua datazione entro i primi decenni del I sec. d.C.1310
Testo: [C(aius)] Caesius [ - f(ilius)] / Vel(ina tribu), tubice[n], / [e]x
testament[o] / fieri iusit (!) ar[bitr(atu)] / C(ai) Caesi C(ai) l(iberti) Ho[---]. /
V(ivus) C(aius) Caesius C(ai) l(ibertus) Pflhil[---], / C(aius) (vac.) [C(ai)
l(ibertus)?] Ho[---] / ------?
l. 1: [C(ai) f(ilius)] CIL, Buonocore - Firpo, Buonocore - Eck.
l. 6: V(ivit) Buonocore - Eck.
Interpunzione in forma di triangolo, con vertice rivolto verso l’alto, utilizzata
con regolarità per dividere le parole, tranne che a l. 2 tra ex e testamento.
Commento
Si tratta dell’iscrizione relativa all’area sepolcrale che il tubicen C.
Caesius aveva riservato per sé e per alcuni dei suoi liberti, eseguita in base alle
volontà testamentarie dello stesso Cesio da un suo ex schiavo1311.
Il defunto era di nascita ingenua, come si può inferire dalla menzione della
tribù Velina, la più comunemente attestata ad Interamnia1312. Si tratta di un

1308 Cf. lemma a CIL IX, 5065; Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 27, n°1, con l’annessa mappa.
1309 Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 27, n°1; Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 185, didascalia
a fig. 2.
1310 Cf. Cenerini, Caesii, cit., p. 231; vd. anche lemma di CIL IX, 5065, che segnala le litterae
antiquiores dell’iscrizione.
1311 L’iscrizione è ricordata en passant da Guidobaldi, Romanizzazione, cit., p. 221 a proposito
della struttura della colonia di Interamnia.
Parte II. I documenti 401

rappresentante di quella gens Caesia, la cui espansione, dal Lazio e dalla Cam-
pania verso l’Aemilia, l’Umbria e il Picenum, è stata recentemente studiata da
Francesca Cenerini1313.
I Caesii sono attestati ad Interamnia, oltre che nell’iscrizione in oggetto,
anche da CIL IX, 5080, documento nel quale una Caesia Coene appare come
dedicante dell’iscrizione sepolcrale per l’Augustalis P. Salv[i]us [P. l.?]
Secundus. Nel resto del Piceno si hanno occorrenze del gentilizio ad An-
cona1314, a Cupra Maritima1315, a Falerio1316 e a Septempeda1317.
L’occupazione menzionata da Cesio nel suo epitafio è quella di tubicen,
ovvero propriamente suonatore di tuba, uno strumento a fiato realizzato gene-
ralmente in bronzo e che si componeva di una canna conica, lunga circa 1,20 -
1,30 m., e di un bocchino separabile, in corno o in bronzo1318; la tuba latina
corrispondeva sostanzialmente alla savlpigx greca, da cui il nome del tubicen

1312 La condizione di ingenuo di Cesio giustifica la proposta di integrazione di un patronimico


alla fine di l. 1, già avanzata da CIL; sarei meno sicuro dell’identificazione di tale patronimico
con C(ai) f(ilius), dal momento che nell’età alla quale sembra di potersi datare l’iscrizione la tra-
smissione del prenome da padre in figlio non si è ancora imposta universalmente; tantomeno
posso concordare con l’ipotesi sostenuta da Wille, Musica romana, cit., p. 323, secondo il quale
il tubicen Caesius era figlio di liberti: in effetti non mi pare che tale teoria possa trovar alcun
elemento di sostegno nel testo. L’integrazione del praenomen Caius per il tubicen si giustifica
invece sulla base dell’indicazione del patronato di quelli che, con ogni verosimiglianza, erano i
liberti del personaggio in questione.
1313 Cenerini, Caesii, cit., pp. 203-232; Ead., Cultura e potere: i Caesii tra Tevere e Adriatico,
«RSA», 24 (1994), pp. 81-92; Ead., Il ruolo dei Caesii sui due versanti appenninici, «Assisi e
gli Umbri nell’antichità. Atti del convegno internazionale. Assisi 18-21 dicembre 1991», a cura
di G. Bonamente - F. Coarelli, Assisi 1996, pp. 235-244.
1314 CIL IX, 5911: Caesia P. f. Honorata. Cf. anche un documento in lingua greca proveniente
dalla sponda orientale dell’Adriatico, più precisamente da Dyrrachium, in cui compare un Gaivo"
Kaivsio" ∆Ankwneivth": l’epigrafe è ora edita da P. Cabanes - F. Drini, Corpus des inscriptions
grecques d’Illyrie méridionale et d’Épire. I. Inscriptions d’Épidamne-Dyrrachion et d'Apollo-
nia. 1. Inscriptions d’Épidamne-Dyrrachion, Athènes 1995, p. 73, n°20, che la datano al II-I sec.
a.C.; la datazione è ritenuta probabile da Paci, Medio-Adriatico occidentale, cit., pp. 82-84; In
un’iscrizione su mosaico recentemente pubblicata da G. Paci in Dall’Aglio - Frapiccini Alfieri -
Paci, Contributi, cit., pp. 16-32 (= AE 1994, 575) e datata agli ultimi decenni del I sec. a.C. l’edi-
tore propone, in via ipotetica, di individuare in uno dei due massimi magistrati della colonia u n
rappresentante della gens: P(ublius) Hortorius Scauru[s, - Ca ?]esius / Sex(ti) f(ilius), II viri
d(ecreto) d(ecurionum), p(ecunia) p(ublica) [f(aciendum) c(uraverunt) vel l(ocaverunt)
i(dem)]q(ue) p(robaverunt).
1315 CIL IX, 5315: M. Caesius.
1316 CIL IX, 6417: Caesia Attica.
1317 CIL IX, 5594: Caesia Prisca.
1318 Per una descrizione della tuba vd. A. Reinach, Tuba, «DS», V (1919), pp. 522-528, partic.
pp. 523-524; F. Lammert, Tuba, «P.W.», VII A, 1 (1939), coll. 749-752, partic. col. 750; A.
Baudot, Musiciens romain de l’antiquité, Montréal 1973, p. 30; M.P. Guidobaldi, Musica e
danza, Roma 1992, p. 41; rimandi all’iconografia della tuba in Wille, Musica romana, cit., pp.
80-81.
402 Parte II. I documenti

nella lingua ellenica, salpigkthv", generalmente attestato nella documentazione


epigrafica nelle forme salpikthv" o salpisthv"1319.
La varietà di contesti nei quali questa sorta di tromba e il suo suonatore
potevano apparire nella vita romana è rimarchevole, anche se lo strumento era
particolarmente caratterizzato dal suo impiego nell’esercito, dove la tuba era
utilizzata per impartire gli ordini, per rincuorare gli animi dei soldati e per ter-
rorizzare col suo aspro suono i nemici1320. Il carattere militaresco della tuba era
tanto spiccato che lo strumento evocava un qualcosa di marziale anche quando
veniva suonato in contesti diversi: una delle migliori illustrazioni di questo
aspetto viene da un aneddoto riferito da Cassio Dione, secondo il quale L.
Norbano Flacco, appassionato cultore dello strumento, non mancò di esercitarsi
con la sua tromba nemmeno nel primo giorno del suo consolato del 19 d.C.,
gettando nello sgomento la folla accorsa davanti alla sua casa per omaggiarlo,
che interpretò le note della tuba di Norbano Flacco come funesto presagio di
imminenti battaglie1321.
La documentazione epigrafica ci mostra questi specialisti sia nelle legioni,
come nelle unità ausiliarie, nelle coorti dei pretoriani e nei reparti degli equites
singulares, con un grado corrispondente a quello dei sottufficiali1322. Nelle iscri-
zioni i tubicines militari, qualora la loro appartenenza all’esercito non sia fa-
cilmente ricavabile dal contesto stesso, indicano generalmente il reparto di ap-
partenenza, facendolo seguire in caso genitivo.
Accanto a questo prevalente carattere militare della tuba, nelle fonti ap-
pare anche un uso che potremmo dire piuttosto “civile” dello strumento, in
primo luogo nelle cerimonie sacre1323: sappiamo in particolare dell’esistenza di
una cerimonia detta tubilustrium, in cui appunto si procedeva alla purificazione

1319 Cf. A. Bélis, Les termes grecs et latins désignant des spécialités musicales, «RPh», 6 2
(1988), p. 240.
1320 Sull’uso della tuba nella vita militare e sui tubicines nell’esercito rimando a Reinach,
Tuba, cit., pp. 527-528; Lammert, Tuba, cit., coll. 750-751; Id., Tubicen, ibid., coll. 754-755;
Von Domaszewski, Rangordnung, cit., pp. XV; 24; 26; 27; 44; 49; 51; 52; 58; 59; Wille, Musica
romana, cit., pp. 84-90; 100-102, con ricca casistica; Baudot, Musiciens, cit., pp. 29-35; M.
Speidel, Eagle Bearer and Trumpeter. The Eagle-Standard and Trumpets of the Roman Legions
Illustrated by Three Tombstones Recently Found at Byzantion, «BJ», 176 (1976), pp. 123-163,
ora in Roman Army Studies, I, Amsterdam 1984, pp. 3-43; M. Junkelmann, Die Legionen des
Augustus. Der römische Soldat im archäologischen Experiment, Mainz am Rhein 1986, pp. 216-
218; Y. Le Bohec, L’armée romaine sous le Haut-Empire, Paris 1989, p. 51.
1321 Dio, LVII, 18, 3-4: oJ ga;r Nwrbano;" oJ u{pato" savlpiggi ajei; proskeivmeno", kai; ejrrwmevno"
to; pra'gma ajskw'n, hjqevlhse kai; tovte uJpo; to;n o[rqron, pollw'n h[dh pro;" th;n oijkivan auj t ou'
parovntwn, salpivsai. Kai; tou'tov te pavnta" oJmoivw" ejxetavraxe kaqavper ejmpolevmivwn ti suvnqhma
tou' uJpavtou sfivsi paraggeivlanto"; sull’aneddoto vd. Wille, Musica romana, cit., pp. 76-77;
Baudot, Musiciens, cit., p. 104; Guidobaldi, Musica, cit., pp. 29-30.
1322 La raccolta più completa delle iscrizioni relative ai tubicines, in mancanza del corrispon-
dente articolo del Dizionario Epigrafico, si ha nel contributo di Caver, De muneribus, cit., pp.
377-378, che naturalmente è da integrare alla luce dei recenti rinvenimenti; cf. gli addenda pro-
posti da Reinach, Tuba, cit., p. 527, nota 9.
1323 Sull’uso della tuba nelle cerimonie religiose vd. in particolare Reinach, Tuba, cit., pp. 526-
527; Wille, Musica romana, cit., pp. 31-33, con rimandi alle fonti letterarie ed iconografiche ri-
levanti; cf. anche Baudot, Musiciens, cit., pp. 36-38.
Parte II. I documenti 403

delle trombe utilizzate per i sacra, secondo la spiegazione del termine che ci
viene fornita da Varrone e dai Fasti Praenestini1324; la tuba interveniva inoltre
nei cortei funebri, come attesta, tra gli altri, un passo dell’Apocolocyntosis di
Seneca, nel quale l’autore nota che lo strepito prodotto dai numerosissimi tubi-
cines, cornicines e dagli altri suonatori di strumenti a fiato in occasione delle
esequie di Claudio era tale che la stessa salma poteva udirlo1325.
Da accostare all’uso della tuba nelle cerimonie religiose il suo impiego
negli spettacoli1326: sappiamo in particolare che la tuba veniva suonata nei gio-
chi gladiatori e negli agoni ginnici per dare diversi tipi di segnali, per sottoline-
are i momenti salienti dell'azione o semplicemente per allietare gli spettatori:
un concerto di questo tipo venne probabilmente tenuto in occasione dei gran-
diosi giochi organizzati da Caro, Carino e Numeriano, con la partecipazione, tra
gli altri, di cento salpistae1327.
Nella documentazione epigrafica è più raro incontrare i tubicines “civili”:
apparentemente, nelle iscrizioni latine in cui vengono menzionati singoli suo-
natori di tromba, si preferisce utilizzare termini differenti, come erosalpistes,
evidente traslitterazione del greco iJerosalpigkthv", che ritroviamo
nell’epitafio urbano di un tal Philotas, probabilmente di condizione servile1328,
o come tubocantius, mestiere esercitato dal peregrino Alcimas di Smirne in
un’iscrizione pure proveniente da Roma1329. Un’isolata menzione di un tubicen
che non sembra legato all’ambiente militare si ha in un graffito pompeiano1330,

1324 Varr., Ling., VI, 14: Dies Tubulustrium appellatur, quod eo die in Atrio Sutorio sacrorum
tubae lustrantur; Fasti Praenestini, Martius 23 (InscrIt XIII, 2, p. 123): [Tubil(ustrium)], np.
[Feriae] Marti. Hic dies appellatur ita quod in atrio Sutorio tubi lustrantur, quibus in sacris
utuntur. Sul tubilustrium vd. W. Ehlers, Tubilustrium, «P.W.», VII A, 1 (1939), coll. 755-759;
Wille, Musica romana, cit., pp. 31-32.
1325 Sen., Apoc., 12, 1: Tubicinum, cornicinum, omnis generis aenatorum tanta turba, tantus
conventus, ut etiam Claudius audire posset; sull’uso delle tubae nei funerali, con altri esempi,
vd. Marquardt, Privatleben, cit., p. 351 e nota 9; Lammert, Tuba, cit., col. 751; Wille, Musica ro-
mana, cit., pp. 70-73; Baudot, Musiciens, cit., p. 39; V. Morizio, La base in bronzo con dedica a
Tiberio, «Meta sudans. I. Un’area sacra in Palatio e la valle del Colosseo prima e dopo
Nerone», a cura di C. Panella, Roma 1996, pp. 129-130.
1326 Wille, Musica romana, cit., pp. 202-203: impiego della tuba nei giochi gladiatori e negli
agoni ginnici; Baudot, Musiciens, cit. p. 62: partecipazione di trombettisti ai mimi; pp. 63-64: i l
tubicen nei giochi gladiatorii e nelle corse. Tubicines nel contesto dei giochi gladiatorii sono
raffigurati, per esempio, nel celebre mosaico di Zliten, in Libia (cf. Golvin - Landes, Amphitéâ-
tres, cit., p. 178; Guidobaldi, Musica, cit., p. 52 e fig. 41) e in un bel rilievo conservato ora a
Monaco di Baviera (cf. Golvin - Landes, Amphitéâtres, cit., p. 179); C.J. Simpson, Musicians and
the Arena: Dancers and the Hippodrome, «Latomus», 59 (2000), pp. 635-636.
1327 Hist. Aug., Car., 19, 2: … et item centum salpistas uno crepitu concinentes et centum cera-
taulas, choraulas centum, etiam pyt<h>aulas centum, pantomimos et gymnicos mille …; cf.
Guidobaldi, Musica, cit., p. 32.
1328 CIL VI, 10130: D(is) M(anibus). / Philotas Talli, / erosalpistes, / Lamedon, filius fecit et /
Romana filia; cf. Wille, Musica romana, cit., p. 323.
1329 CIL VI, 10149 = ILS 5250: Alcimas / Zmurneus, / tubocantius; su questa iscrizione vd.
Wille, Musica romana, cit., p. 323; Bélis, Termes, cit., pp. 241-242.
1330 CIL IV, 1069a: Barbarus aere cavo tubicen [---]; cf. Wille, Musica romana, cit., p. 323. AE
1989, 502 da Forum Iulii nella Gallia Narbonense è troppo lacunosa per comprendere che tipo d i
404 Parte II. I documenti

ma i tubicines sono noti in quanto collettività in due iscrizioni relative a statue


in onore degli imperatori della casata giulio-claudia recentemente rinvenute
nell’area della Meta sudans, ove i suonatori di tuba appaiono associati a liticines
e cornicines1331.
Una probabile attestazione epigrafica di questi tubicines “civili” nei muni-
cipi dell’Italia romana ci viene da una nota iscrizione di Trebula Suffenas del 14
d.C., nella quale un liberto di nome Eros appare tra i curatores di un collegio
non meglio identificabile che si occuparono dell’erezione di statue dei Caesares,
di una schola dell’associazione e della distribuzione di crustulum et mulsum1332;
l’ordo dell’associazione comprendeva anche un praeco, il cui nome era forse
quello di T. Trebulanus Felix1333, e almeno altri tre liberti che portano questo
caratteristico gentilizio1334: forse l’ignoto collegio comprendeva alcuni membri
dello staff amministrativo del municipio? Se anche così fosse non avremmo tut-
tavia la certezza che lo stesso Eros svolgesse una qualche funzione di carattere
pubblico a Trebula Suffenas: a differenza dei praecones, infatti, non abbiamo
prove del fatto che tra gli apparitores dei magistrati municipali si trovasse an-
che un tubicen1335.

tubicen attesti: [Eu]tych[es ? ---] / [---] tubi[cen---]. Un caso ambiguo, almeno apparentemente,
è offerto anche da AE 1907, 175 = E. Vorbeck, Militärinschriften aus Carnuntum, Wien 1980, p.
112, n°321, da Carnuntum: I(ovi) O(ptimo) M(aximo). / Aur(elius) It[t]o, / tub(icen), / v(otum)
s(olvit) l(ibens) m(erito); tuttavia, anche in mancanza dell’unità di appartenenza, il luogo di ri-
trovamento consente di ipotizzare con una certa sicurezza che Aurelius Ittus fosse un tubicen
militare; così Reinach, Tuba, cit., p. 527, nota 9 e Vorbeck, Militärinschriften, cit., p. 112.
1331 Vd. Morizio, La base in bronzo, cit., pp. 115-131 (= AE 1996, 247), ora rifluita in CIL VI,
40334; V. Morizio, Le dediche ad Augusto e ai giulio-claudi, «Meta sudans. I. Un’area sacra i n
Palatio e la valle del Colosseo prima e dopo Nerone», a cura di C. Panella, Roma 1996, pp. 201-
216 (= AE 1996, 246 b), ora rifluita in CIL VI, 40307.
1332 L’iscrizione è da ultimo edita in Suppl. It., n.s., 4, pp. 178-180, n°43, ivi bibliografia ante-
riore. Un altro tubicen compare forse nella documentazione di Trebula nell’iscrizione Suppl. It.,
n.s., 4, pp. 182-183, n°46, peraltro fortemente lacunosa: ------ ? / [t]ub(icen ?) M[---] / [---] sevir
[---] / [---]V[---] / ------.
1333 Sulla pietra, fr. a, l. 9, rimane solo la fine del cognome del personaggio e la sua funzione: [--
-]lix, praeco; l’integrazione è proposta dall’editrice di Suppl. It., n.s. 4, p. 180, M.G. Granino
Cecere, sulla base dell’iscrizione Suppl. It., n.s. 4, pp. 175-178, n°42, che conserva i fasti del col-
legio dei seviri di Trebula: in questo documento, col. I, l. 18, troviamo il nome di T.
Traebulanus (!) Felix, praeco, che fece parte del collegio sacerdotale nel 23 d.C.
1334 Suppl. It., n.s., 4, pp. 178-180, n°43, fr. a, l. 9: T. Treb(u)lanus T. l. [---]; fr. b., l. 8: [T.
Trebul ?]anus T. l. Demetri[us]; fr. b, l. 9: [M. Treb]ulanus M. l. Antioch[us]. Se questi tre per-
sonaggi e il praeco T. Trebulanus Felix fossero liberti pubblici del municipio di Trebula Suffe-
nas ci saremmo attesi un’indicazione di patronato come municipum o municipi l(ibertus), cf. per
esempio il M’. Amiternius municipum l(ibertus) Iucundus di CIL IX, 4231 = ILS 6547 da Amiter-
num. Sull’onomastica dei liberti pubblici vd. la bibliografia citata supra, p. 139, nota 143.
1335 Contrariamente a quanto sembrano ritenere Demougin, Ordre équestre, cit., p. 712 e nota
104 (con rimando a T. Mommsen, Le droit public romain, a cura di P.F. Girard, Paris 1889-1896,
I, p. 417, dove per la verità si tratta dei praecones) e Agnati, Correlazioni, cit., p. 612, sulla base
della Lex coloniae Genetivae, cap. LXII, ll. 11-15, citata supra, p. 157, nota 217, ove si fa men-
zione di tibicines, ovvero di suonatori di tibia, e non di tubicines; una confusione tra i due ter-
mini nella Lex coloniae Genetivae, pur sempre possibile, andrebbe comunque discussa.
Parte II. I documenti 405

Da distinguere nettamente da questi musicisti è la figura del tubicen sacro-


rum, funzione di carattere sacerdotale, legata alla cerimonia del tubilustrium,
che sappiamo essere rivestita da alcuni membri dell’ordine equestre1336.
In mancanza di specificazioni, almeno nel testo così come ci è giunto, è
difficile stabilire con certezza quale tipo di tubicen fosse C. Cesio di Interamnia:
L’ipotesi di un tubicen sacrorum può tuttavia essere scartata con una certa sicu-
rezza, dal momento che Cesio, a differenza dei personaggi noti per aver rive-
stito tale sacerdozio, non sembra appartenere all’ordine equestre. Rimangono
aperte le possibilità di un tubicen militare o di un tubicen “civile”1337. Nono-
stante nell’iscrizione di Interamnia manchi l’indicazione dell’unità militare di
appartenenza, credo si debba accordare una leggera preferenza alla prima delle
due ipotesi, almeno sulla base della documentazione epigrafica al momento in
nostro possesso: come si è visto, i pochissimi trombettieri “civili” a noi noti
sono designati in due casi con termini diversi da tubicen1338; inoltre nessuno di
loro sembra essere di nascita ingenua, a differenza di C. Cesio1339. Preferisco
dunque pensare che il personaggio di Interamnia avesse esercitato la sua fun-
zione in un qualche reparto dell’esercito romano, il cui ricordo non escluderei
potesse trovarsi nella lacuna alla fine di l. 2: in effetti, a giudicare dalle ll. 5-7,
nella parte destra dell’epitafio potrebbero essere andate perdute fino a 5 o 6 let-
tere, quanto basta per integrare a l. 2, per esempio, leg(ionis) seguito da un
semplice numerale, secondo la denominazione usuale per i corpi legionari in età
repubblicana e protoimperiale1340. Se tale soluzione cogliesse nel segno, C. Cesio
dovrebbe essere espunto dalla presente raccolta, che, come ricordato
nell’Introduzione, si propone di riunire solamente le attestazioni di occupazioni
civili nel Piceno.
C. Cesio aveva lasciato disposizioni concernenti l’erezione del proprio
sepolcro nel testamento, affidandone l’esecuzione all’arbitratus di un suo li-
berto. Con tale espressione si indicava l’incarico di provvedere alla sepoltura del
testatore conferito a persona di fiducia, quasi sempre un congiunto o un liberto
del defunto, secondo il suo proprio giudizio, anche se certo in conformità con la

1336 Cf. Fest., p. 482 Lindsay: Tubicines etiam hi appellantur, qui sacerdotes viri speciosi pu-
blice sacra faciunt, tubarum lustrandarum gratia; cf. Demougin, Ordre équestre, cit., p. 712
(con rimandi ai casi rilevanti), seguita da Agnati, Correlazioni, cit., p. 613.
1337 Davanti alle quali esitano anche gli indici di CIL IX: l’iscrizione in effetti è ricordata sia a
p. 769, tra le attestazioni di officia militaria et classiaria, pur in forma dubitativa (l’indicazione
del grado di tubicen è seguita dalla notazione miles ?), sia a p. 794, tra le attestazioni di artes et
officia privata; cf. anche Caver, De muneribus, cit., p. 378, che scheda C. Cesio tra i pochi esempi
di tubicines incertae militiae, con un punto interrogativo; a favore dell’ipotesi che Cesio fosse
un tubicen “civile” apparentemente Wille, Musica romana, cit., p. 323; non prende posizione
Cenerini, Caesii, cit., p. 231.
1338 Rispettivamente come erosalpistes e tubocantius, vd. supra, p. 403, note 1328-1329.
1339 Schiavi erano l’erosalpistes Philotas (cf. supra, p. 403, nota 1328) e probabilmente il tu-
bicen Barbarus (cf. supra, p. 403, nota 1330); liberto il tubicen Eros di Trebula Suffenas (cf.
supra, p. 404, nota 1332); peregrino era il tubocantius Alcimas di Smirne (cf. supra, p. 403, nota
1329).
1340 Per fare solo un esempio relativo al Piceno, si veda l’epitafio di L. Vettius L. f. Vel.
Aninianus, tr(ibunus) mil(itum) leg(ionis) VI (CIL I2, 3300 da Auximum).
406 Parte II. I documenti

condizione sociale e i mezzi economici del defunto1341. L’ufficio dell’arbitratus


sottintende il più delle volte la cura effettiva dell’erezione del sepolcro, ma non
si identifica completamente con essa, tanto che in alcuni casi vediamo un cu-
rator affiancarsi all’arbitrator, come talvolta la dottrina romanistica designa
colui cui è affidato l’arbitratus, con un termine che tuttavia non trova riscontro
nella documentazione antica: in tali casi si deve pensare che spettasse all’arbitro
stabilire il tipo di monumento sepolcrale da erigere e la spesa da sostenere, men-
tre il curatore era incaricato di provvedere all’effettiva realizzazione dell’opera;
quanto al collaudo del monumento, esso forse toccava piuttosto all’arbitro, se-
condo un’ipotesi di G. Vergantini1342.
La formula, almeno nelle iscrizioni urbane, inizia a comparire alla fine
dell’età repubblicana, si afferma nel I sec. d.C. e scompare agli inizi del secolo
seguente1343. Le attestazioni di Interamnia sembrano conformarsi a questa cro-
nologia: l’espressione ritorna in effetti nell’epitafio di Sex. Egnatius T. f., che
lasciò il compito di erigere il sepolcro ad una donna, Carsedia T. f. Maxima1344,
e in quello di L. Ampius L. f. Severus, che, al pari di C. Cesio, scelse come arbi-
tro un proprio liberto1345; in entrambe le iscrizioni sepolcrali si nota il nome del
defunto in caso nominativo e l’assenza dell’adprecatio ai Mani, il che consente
di proporre un termine ante quem per la loro datazione intorno alla metà del I
sec. d.C.
Numerose sono le possibili integrazioni del cognome dell’arbitrator, lacu-
noso1346: tra i nomi altrimenti attestati nel Piceno si possono ricordare
Honoratus, frequente piuttosto nella documentazione tarda1347, e Hospes1348.

1341 Sull’istituto dell’arbitratus vd. E. De Ruggiero, Arbitratus, «Diz. Ep.», I (1895), pp. 624-
625; M. Amelotti, Il testamento romano attraverso la prassi documentale. I. Le forme classiche
di testamento, Firenze 1966, p. 160 e nota 2; Di Stefano Manzella, Zosimo, cit., pp. 179-180; S.
Gentili - G. Vergantini in Inscriptiones latinae liberae rei publicae, cit., p. 281 (sulla base della
dissertazione di laurea di G. Vergantini, Ricerche sul formulario delle iscrizioni sepolcrali d i
Roma, Università di Roma “La Sapienza”, a.a. 1985/86); A. Smodlaka Kotur, “TFI” on Inscrip-
tions of Salona, «RIDA», 40 (1993), pp. 323-325.
1342 Cf. Gentili - Vergantini in Inscriptiones latinae liberae rei publicae, cit., p. 281.
1343 Gentili - Vergantini in Inscriptiones latinae liberae rei publicae, cit., p. 281; cf. per Salona
Smodlaka Kotur, “TFI”, cit., p. 325.
1344 CIL IX, 5058: Sex(tus) Egnatius T(iti) f(ilius) / testamento fieri / iusit (!), arbitratu /
Maxumae / Carsediae T(iti) f(iliae); si noti il ricorrere della grafia iusit, che ritorna
nell’iscrizione che stiamo esaminando.
1345 CIL IX, 5088: L(ucius) Ampius L(uci) f(ilius) Severus, sibi et / L(ucio) Ampio L(uci) f(ilio)
patri, / Publiciae Sex(ti) f(iliae) Paullae matri, / testamento fieri iussit, / arbitratu Erotis
l(iberti). Cf. anche la lacunosa CIL IX, 5110: ------ ? / Marciae [---] / Ter[---] / arbi[tratu ---] / ---
---.
1346 Cf. Solin - Salomies, Repertorium, cit., pp. 343; 500 per quanto concerne i cognomina lati-
ni; per un possibile grecanico, che naturalmente sarebbe del tutto normale per un liberto, vd.
Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1543.
1347 Cf. Gasperini, Spigolature (VI-VII), cit., p. 8, n°1 (= AE 1992, 514), ora ripresa in ICI X, 21,
da Falerio.
1348 Attestato a Firmum da CIL IX, 5397 come nome unico e a Septempeda da CIL IX, 5608 per
uno schiavo.
Parte II. I documenti 407

Nell’area che doveva accogliere le spoglie del tubicen C. Cesio trovarono


posto anche i sepolcri di almeno due dei suoi liberti, i cognomi sono andati par-
zialmente perduti: il primo è un grecanico che potrebbe integrato in decine di
modi diversi1349; limitandoci all’onomastica già attestata ad Interamnia si po-
trebbe suggerire Philargurus1350, Philologus1351, Philositus1352, Philotimus1353,
Philoxenus1354.
Per il secondo personaggio ricordato, al posto del gentilizio venne la-
sciato uno spazio vuoto, sottintendendo che il nomen era il medesimo della per-
sona ricordata alla linea precedente, dunque Caesius; questa circostanza, insieme
alle due lettere conservate del cognomen, Ho[---], inducono ad ipotizzare
un’identificazione con il C. Caesius C. l. Ho[---] al cui arbitratus era stato affi-
data l’esecuzione delle volontà testamentarie del tubicen C. Caesius C. f.1355; del
resto è altrimenti noto qualche epitafio in cui un liberto ricopre il ruolo di ar-
bitro ed è ricordato come defunto1356.
Immagine: Tav. XLVII. Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 185, fig. 2.

1349 Cf. per esempio i nomi registrati negli indici di Solin, Die griechischen Personennamen,
cit., III, pp. 1561-1562.
1350 CIL IX, 5092.
1351 CIL IX, 5120.
1352 CIL IX, 5141.
1353 CIL IX, 5114 e 5127.
1354 CIL IX, 5118.
1355 Così Cenerini, Caesii, cit., p. 230.
1356 Cf. per la documentazione urbana Di Stefano Manzella, Zosimo, cit., p. 179, nota 12.
408 Parte II. I documenti

Interamnia 4

Edizione di riferimento: CIL IX, 5077.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, cit., III, p. 416, n°1598; Buonocore - Firpo,
Fonti latine e greche, cit., p. 773, n°26, Buonocore - Eck, Teramo tra storia ed
epigrafia, cit., p. 913, n°26.
Bibliografia: Buonocore, Insediamenti, cit., p. 290 (ora in L’Abruzzo e il Mo-
lise, cit., I, p. 72); Delplace, Romanisation, cit., p. 80.
Luogo di ritrovamento: il preciso luogo di ritrovamento dell’iscrizione non è
noto; si suppone che, come altri testi visti e copiati dal Delfico, provenisse dalla
stessa area urbana di Teramo o dalle tenute dell’erudito, poco a nord della
città1357.
Luogo di conservazione: segnalata a Teramo nel museo Delfico da CIL,
l’iscrizione è ora data per perduta1358.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito viene dalla tradizione eru-
dita.
Collegio: collegium centonariorum.
Datazione: la perdita dell’iscrizione e l’estrema genericità della parte di testo
tramandata non consentono di avanzare ipotesi sulla sua datazione.
Testo: ------ / [---] Primo ? / [ex ? colle]gio / [centon]ariorum.
l. 2: CIO CIL; [colle]cio Buonocore - Eck.
Commento
Questa frammentaria iscrizione ci attesta l’esistenza di un associazione di
centonarii ad Interamnia1359. La lacunosità del testo non consente di chiarirne
con certezza la natura. Secondo una delle ipotesi più probabili1360, Primo a l. 1
sarebbe da intendere come il cognomen di un defunto, in caso dativo1361, di cui
si ricordava l’appartenenza al sodalizio con un’espressione come ex collegio

1357 Cf. Cerulli Irelli, Teramo, cit., pp. 23-24.


1358 Cf. Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 24.
1359 In genere sull’associazione dei centonarii si veda supra, pp. 225-227, nel commento all’i-
scrizione Auximum 11. Il testo è brevemente richiamato da Buonocore, Insediamenti, cit., p. 290
(ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 72), a testimonianza di attività legate all’industria laniera,
e da Guidobaldi, Romanizzazione, cit., p. 221.
1360 Così sostanzialmente CIL IX, 5077 (cf. anche gli indici onomastici a p. 742, dove è regi-
strata questa occorenza del cognomen Primus), seguito da Waltzing, Étude, cit., III, p. 416,
n°1598. L’iscrizione è brevemente ricordata anche da Delplace, Romanisation, cit., p. 80, tra le
attestazioni dei collegi dei centonari nel Piceno.
1361 Il comunissimo cognome è ovviamente ben attestato nel Piceno: cf. ad Asculum [-
C]ornelius [---] Primus di CIL IX, 5211 e T. Peturtius T. f. Primus di Cancrini, Nuove iscrizioni
ascolane, cit., p. 156, n°2 = AE 1990, 297; ad Auximum Dolanius Primus di CIL IX, 5869 e
Tusidius Primus di CIL IX, 5872; a Firmum L. Volcacius Q. f. Vel. Primus di CIL IX, 5363-5365;
ad Hadria L. Tettius Primus di CIL IX, 5040 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p.
747, n°28; a Potentia Primus Marc[---] di CIL IX, 5812; a Septempeda Titius ((mulieris)) l.
Primus di CIL IX, 5624; ad Urbs Salvia P. Petronius ((mulieris)) l. Primus dell’iscrizione Urbs
Salvia 5. Nella stessa Interamnia è attestata la forma femminile: Petronia P. l. Prima di CIL IX,
5113 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 779, n°62.
Parte II. I documenti 409

centonariorum1362, o forse anche de collegio centonariorum1363. Questo


schema ritorna, con qualche variante1364, negli epitafi di membri di associazioni
di carattere privato, in cui la funzione funeraticia rivestiva un’importanza pri-
maria, ma anche per qualche collegio professionale1365. In effetti, come si vedrà
nella scheda seguente, il collegio dei centonari di Interamnia possedeva un’area
sepolcrale riservata ai suoi soci, area nella quale forse venne sepolto anche il [---
] Primus dell’iscrizione CIL IX, 5077.
Immagine: Tav. XLVIII.

1362 Cf. per esempio CIL VI, 10263: D(is) M(anibus). / L(ucio) Sergio / Trophimo, / patri piis-
simo. / Sergia / Eutychia fil(ia), / ex collegio familiae / Serg(iae) Paulinae / fecit; CIL X, 1747
da Puteoli: Eunea, / vixit ann(is) XX, / ex collegio Baula(norum), / permissu Corinthi /
proc(uratoris), Artichnus f(ecit); CIL X, 1588 dalla stessa località: Dis Man[ibus]. / Theseo et
Sy[---] / ex collegio salu[tari] / familiae Valer[ianae]; AE 1983, 213 da Luceria: D(is)
M(anibus). / Gelasmo / Sittiae ser(vo), / vix(it) an(nos) XXV, m(enses) III, d(ies) XXI, / ex
coll(egio) Herculis / et Apollinis; CIL IX, 2481 da Allifae: D(is) M(anibus) s(acrum). Gavolenae
/ Cypridi ex coll(egio) Larum / Marcellini; AE 1912, 221 da Peltuinum: Phoebo / Domitiae /
Domitiani ser(vo). / Domitia Athenais / fratri et Ianuarius / cognatus, ex collegio / heroi
Corbulonis et Longinae, / p(osuerunt); CIL XIII, 8344 da Colonia Agrippinensium: Q(uinto)
Vetinio Ver[o]. / Mater Quintinia / Materna filio dul/cissimo, ex col(legio) fa(brum)
tig(nariorum), / cen(turia) III, ann(orum) XXXI, / m(ensium) VII, d(ierum) XXVI, fe(cit); AE 1900,
136 da Pituntium: D(is) M(anibus). / Ael(io) Messoriano, / filio infelici/simo, ex coll(egio) /
Veneris, defu/nctus Ater/no, qui vixit an(nos) / XXXV. Ael(ius) Anianus / et Aur(elia) Prim(a)
o/bsequentissim/o titulum pos/uerunt; CIL III, 1505 = IDR III, 2, 417 da Sarmizegetusa: D(is)
M(anibus). / C(aio) Iulio / Marco, / ex colleg(io) / fabr(um), / vix(it) an(nos) LX. / Coll(egium)
s(upra) s(criptum).
1363 Vd. per esempio CIL VI, 6218: Antiochus, / lecticarius / de conlegio; 6219: T. Statilus /
Anoptes, / pistor de conleg(io).
1364 Il nome del defunto, per esempio, può anche apparire in caso nominativo o genitivo, vd. tra
le altre CIL VI, 6216: Philologus, cellarius ex conlegio. Commorientes; 6217: Chius L(uci)
Sisennae / silentiarius / ex conlegio hic situs est. Curatores: Museus, ostiarius dec(urio), /
Amaranthus, colorat(or) l(ibertus ?), Eros, insularius dec(urio), / de suo dant; AE 1914, 138 da
Roma: P(ubli) Vibi / Felicis / collegio / centonarioru(m), / vix(it) ann(os) / XXXXV; AE 1989, 606
da Salona: Varius Sabin[u]/s Salon(itanus) ex colle[g(io)] / fabro(rum), vivo sibi p/osuit; CIL
III, 1507 = IDR III, 2, 423 da Sarmizegetusa: [In m]emoriam / [---] Laurentia/[nu]s collegio /
[fab]rum, vixit an/[nos] XXXVI. Iulia / ------. Cf. inoltre gli esempi riportati alla nota precedente.
1365 Vd. per esempio AE 1914, 138 da Roma (citata alla nota precedente); CIL XIII, 8344 da Co-
lonia Agrippinensium (citata supra, nota 1362); AE 1989, 606 da Salona: (citata alla nota pre-
cedente); CIL III, 1505 = IDR III, 2, 417 da Sarmizegetusa (citata supra, nota 1362); CIL III,
1507 = IDR III, 2, 423 dalla stessa località (citata alla nota precedente).
410 Parte II. I documenti

Interamnia 5

Edizione di riferimento: CIL IX, 5084.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, cit., III, p. 416, n°1599; Buonocore - Firpo,
Fonti latine e greche, cit., p. 774, n°33; Buonocore - Eck, Teramo tra storia ed
epigrafia, cit., p. 913, n°33.
Bibliografia: Buonocore, Insediamenti, cit., p. 290 (ora in L’Abruzzo e il Mo-
lise, cit., I, p. 72).
Luogo di ritrovamento: il preciso luogo di ritrovamento dell’iscrizione non è
noto.
Luogo di conservazione: Teramo, lapidario del Palazzo comunale (autopsia
maggio 2001)1366.
Tipo di supporto: stele timpanata, mancante dell’estremità superiore; lo spec-
chio epigrafico, delimitato da cornice, presenta oggi profonde scheggiature nella
parte destra, che pregiudicano la lettura in alcuni punti.
Elementi iconografici: all’interno del timpano si nota una croce con tratto
orizzontale più lungo, inquadrata in un campo rettangolare.
Collegio: collegium centonariorum.
Datazione: la datazione del breve testo, che non presenta elementi partico-
larmente caratteristici, risulta problematica; dall’aspetto delle lettere mi sembra
inquadrabile ancora nel I sec. d.C. piuttosto che nel secolo seguente.
Testo: Collegio / centonariorûm / Interamnitium / Praetut[t]ianorum. / In
fronflt(e) p(edes) [L ?]XXX, <in> agro p(edes) XL.
l. 2: T longa in centonariorum.
l. 3: la prima di T di Interamnitium è longa.
Commento
Si tratta si una di quelle iscrizioni che indicavano i limiti di un’area sepol-
crale riservata ai membri di un associazione, fosse questa di carattere professio-
nale o di diverso genere. In questo caso il testo si riferisce al collegio dei cento-
narii, già attestato ad Interamnia proprio dall’epigrafe funeraria di uno dei suoi
membri, come abbiamo visto nella scheda precedente1367.
Il formulario di questo genere di testi presenta elementi variabili1368. Tra
le indicazioni che più di sovente vi si trovano, oltre naturalmente al nome del
sodalizio cui apparteneva l’area sepolcrale, ricordiamo la definizione del tipo di

1366 Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 182, didascalia di fig. 2.


1367 L’iscrizione è brevemente ricordata da Buonocore, Insediamenti, cit., p. 290 (ora i n
L’Abruzzo e il Molise, cit., I, p. 72), a testimonianza di attività legate all’industria laniera
nell’ager Praetuttianus, da Delplace, Romanisation, cit., p. 80 a proposito delle attestazioni del
collegio dei centonarii nel Piceno e da Guidobaldi, Romanizzazione, cit., p. 221.
1368 La trattazione più esauriente di questo soggetto rimane quella di Waltzing, Étude, cit., I, pp.
281-293, con la raccolta delle testimonianze rilevanti in IV, pp. 485-495, da cui ho tratto alcune
esemplificazioni di particolare rilievo, limitandomi alle aree sepolcrali relative ad associazioni
di mestiere; cf. inoltre Waltzing, Collegium, cit., pp. 363-364; Ausbüttel, Untersuchungen, cit.,
p. 61. In genere sulla funzione funeraticia delle associazioni nel mondo romano vd. la bibliogra-
fia citata supra, p. 248, nota 616.
Parte II. I documenti 411

monumento, con espressioni come locus monumenti1369, locus sepulchri1370,


locus sepulturae1371, locus cum sepultura1372, o più semplicemente area1373,
locus o loca1374, monumentum1375 o con locuzioni che rimandano a complessi
monumentali più caratteristici, come per esempio il cubiculum e il locale a
cielo aperto (hypaethron), con i relativi ornamenti, donati da D. Cecilio
Ingenuo agli apparitores di Roma1376, o ancora l’ustrina dei saccarii
dell’Urbe1377. Talvolta tuttavia, come anche nel caso dell’iscrizione in oggetto
e come spesso nella documentazione relativa alle associazioni di Roma, tale in-
dicazione poteva essere sottintesa, dal momento che la natura del monumento
in questione doveva risultare del tutto chiara per il lettore antico1378. In qualche
esempio l’intera area è posta sotto la protezione degli Dei Mani1379 o del Ge-
nius dell’associazione stessa, come per esempio nel caso dell’epigrafe relativa al
corpus fabrorum tignariorum itemque artificum tectorum di Lugdunum1380.
Talvolta, come nel caso dell’iscrizione di Interamnia che si sta esami-
nando, venivano indicate misure dell’area sepolcrale, di estensione assai varia-
bile; limitandoci ad alcuni esempi relativi a collegi professionali possiamo ricor-
dare:
- 5.500 piedi quadrati per il sodalicium lanariorum carminatorumque di Bri-
xellum (CIL XI, 1031 = ILS 7290);

1369 Cf. per esempio CIL V, 8308 = Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 202 e AE 1931, 96 =
Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 687 da Aquileia.
1370 CIL VI, 9144.
1371 Cf. per esempio CIL XI, 6135 = ILS 7241 da Forum Sempronii e CIL XI, 6136, dalla mede-
sima località; CIL V, 3351 da Verona.
1372 CIL V, 81 = InscrIt X, I, 155 da Pola.
1373 CIL VI, 9258: aera (!) Neapolitanorum citrariorum.
1374 CIL X, 4855 da Venafrum, ora ripresa da Capini, Venafrum, cit., pp. 42-43, n°15; CIL XI,
1031 = ILS 7290 da Brixellum.
1375 CIL VI, 1946; 7803.
1376 CIL VI, 1947: D(ecimus) Caesilius Ingenu[us] appar(itoribus) / aedilic(iis) praec(onibus)
vicar(iis) vete/ribus cubic(ulum), hypetr(um ?) cum / ornam(entis) suis d(e) s(uo) d(onum)
d(edit). Per l’interpretazione di questo complesso vd. Waltzing, Étude, cit., I, p. 289, nota 2; Id.,
Collegium, cit., p. 364.
1377 CIL VI, 4417.
1378 Cf. per esempio CIL VI, 4414: Sociorum / coronario(rum). / In f(ronte) p(edes) XIIX, / i n
agr(o) p(edes) XII[S ?]; 4416: Dis Manibus. / Collegio symphonia/corum qui sacris publi/cis
praestu sunt, quibus / senatus c(oire) c(onvocari) c(ogi) permisit e / lege Iulia ex auctoritate /
Aug(usti), ludorum causa; 9856: Conlegiu(m) / restionu(m). / [I]n f[r]o(nte) [p(edes) X]X, / i n
agro p(edes) XX; 9888: Conlegei secto[rum] / serrarium; 10109: Sociarum / mimarum. / In
fr(onte) p(edes) XV, in agr(o) p(edes) XII; CIL XII, 1929 da Vienna: Scaenici / Asiaticia/ni et qui
in eodem cor/pore sunt / vivi sibi fe/cerunt.
1379 Così per esempio in CIL VI, 4416, iscrizione relativa all’area sepolcrale del collegium
symphoniacorum, citata alla nota precedente; CIL XI, 1031 = ILS 7290 da Brixellum, relativa al
locale sodalicium lanariorum carminatorumque.
1380 CIL XIII, 1734: Genio splendidissimi corporis fabrorum tign[ariorum] / [it]emque artifi-
cum tectorum Claudius Myron e[t ---] / [---]entes [---] erga memoriam Clau[di ---]. L’iscrizione
prosegue con disposizioni relative all’uso dell’area sepolcrale.
412 Parte II. I documenti

- 3.200 piedi quadrati per i vestiarii di Aquileia (Brusin, Inscriptiones Aquileiae,


cit., I, 687 = AE 1931, 96);
- 2.400 piedi quadrati per i Feronenses aquatorum di Aquileia (CIL V, 8308 =
Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 202);
- 2.050 piedi quadrati per i sodales carpentarii di Patavium (AE 1927, 129);
- 1.764 piedi quadrati per i dendrofori di Pola (CIL V, 81 = InscrIt X, I, 155);
- 765 piedi quadrati per i collegiati gentiles lanariorum purgatorum di Altinum
(AE 1987, 443);
- 625 piedi quadrati per il collegio degli anularii di Roma (CIL VI, 9144);
- 400 piedi quadrati per il collegium restionum di Roma (CIL VI, 9856);
- 216 piedi quadrati o più dei socii coronarii di Roma (CIL VI, 4414);
- 180 piedi quadrati per il sodalizio delle mimae di Roma (CIL VI, 10109);
- 132 piedi quadrati per l’ustrina dei saccarii di Roma (CIL VI, 4417).
Degno di nota il fatto che le aree sepolcrali delle associazioni dell’Italia romana
sembrano essere regolarmente più estese di quelle dei collegi di Roma. Tale cir-
costanza, probabilmente da ricondurre al maggior costo dei terreni nell’Ur-
be1381, è confermata anche dall’epigrafe di Interamnia che stiamo esaminando;
in questo testo, per la verità, nella cifra in fronte sembra essere andata perduta la
prima lettera: dovendosi probabilmente escludere un’integrazione [X]XXX, dal
momento che la cifra 40 è indicata nella forma XL nella misura in agro, è
probabile che qui si trovasse scritto [L]XXX1382. Se questa ipotesi è giusta, l’area
sepolcrale riservata ai centonarii di Interamnia era di ben 3.200 piedi quadrati,
un’estensione considerevole se rapportata con quella degli esempi sopra ricorda-
ti, ma che certo si ridimensiona se pensiamo che essa doveva essere suddivisa tra
le aree funerarie dei centonarii locali e se la si confronta con le misure dei loca
sepulturae individuali e familiari di Interamnia, che vanno dai 180 ai 1.600
piedi quadrati, con una media di circa 500 piedi quadrati1383.
Infine si può ricordare come in qualche iscrizione si trovi anche il ricordo
del benefattore che aveva donato l’area sepolcrale al sodalizio1384.

1381 Cf. Waltzing, Étude, cit., I, pp. 281-282.


1382 Questa è anche l’interpretazione suggerita da Waltzing, Étude, cit., I, p. 284.
1383 I documenti rilevanti sono, in ordine decrescente di estensione dell’area sepolcrale, CIL IX,
5105 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 777, n°54: 1600 piedi quadrati; Donati,
Nuove iscrizioni, cit., p. 84, n°7 = AE 1980, 386 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit.,
p. 787, n°111: 592 piedi quadrati (alla medesima area sepolcrale si riferiscono anche le iscri-
zioni edite da Donati, Nuove iscrizioni, cit., pp. 84-85, nn. 8-9 = Buonocore - Firpo, Fonti latine
e greche, cit., p. 787, n°112; p. 789, nn. 127-128); CIL IX, 5137 = Buonocore - Firpo, Fonti la-
tine e greche, cit., p. 782, n°86: 360 piedi quadrati; CIL IX, 5090 = Buonocore - Firpo, Fonti la-
tine e greche, cit., p. 775, n°39: 324 piedi quadrati; CIL IX, 5080 = Buonocore - Firpo, Fonti la-
tine e greche, cit., p. 773, n°29: 250 piedi quadrati; Donati, Nuove iscrizioni, cit., pp. 83-84, n°5
= AE 1980, 385 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 787, n°110: 208 piedi qua-
drati; Donati, Nuove iscrizioni, cit., pp. 82-83, n°4 = AE 1980, 384 = Buonocore - Firpo, Fonti
latine e greche, p. 789, n°126: 180 piedi quadrati.
1384 Così per esempio in CIL VI, 1947, citata supra, p. 411, nota 1376; CIL VI, 9144: [---]anus
ad [---], / duomvir / conlegi anulari, / locum sepulchr(i) m(---), / in fronte pedes XXV, in agro
pedes XXV, / de sua pequnia / conlegio anulario / dedit; CIL X, 4855 = Capini, Venafrum, cit.,
pp. 42-43, n°15 da Venafrum: Cultorib(us) / fabrorum / locus d(atus) / a M(arco) Fulvio /
Parte II. I documenti 413

Immagine: Tav. XLIX. Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 183.

Marcello; CIL XI, 6136 da Forum Sempronii: Loc(um) sep(ulturae) don(avit) / C(aius) Valgius
Fuscus con/legio iumentarior(um) / portae Gallicae / posterisque eor(um) omnium / et uxoribus
concubinisq(ue); CIL V, 81 = InscrIt X, I, 155 da Pola: Dendrophoris / Polensium, / C(aius)
Laecanius / Theodorus, / sacerdos M(atris) d(eum) M(agnae I(daeae), / lo[cu]m cum / sepultura
dedit. / In fr(onte) p(edes) XLII, / in ag(ro) p(edes) XLII; cf. anche CIL XIII, 1734 da Lugdunum,
citata supra, p. 411, nota 1380.
414 Parte II. I documenti

Interamnia 6

Edizione di riferimento: CIL I2 , 1905.


Altre edizioni: F. Bernabei, Teramo - Nuove epigrafi dell’antica Interamnia,
«NSc», 18 (1893), pp. 352-353; ILS 5393a; ILLRP 619; Cerulli Irelli, Teramo,
cit., p. 24; H. Devijver - F. Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbani-
stico delle città romane: testimonianze epigrafiche e resti archeologici, «Acta
Archaeologica Lovaniensia», 20 (1981), p. 36, n°6b (cf. Iid., Der ‘campus’ der
römischen Städte in Italia und im Westen, «ZPE», 54 (1984), p. 196, n°6b; Iid.,
The campus in the Urban Organization of Africa and Sardinia: Two Examples,
Carthage and Carales, «L’Africa romana. Atti del X convegno di studio.
Oristano, 11-13 dicembre 1992», a cura di A. Mastino - P. Ruggeri, II, Sassari
1994, pp. 1042-1043, n°12b); Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p.
785, n°103; Buonocore - Eck, Teramo tra storia ed epigrafia, cit., pp. 908;
918-919, n°104; Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit.,
pp. 52-57.
Bibliografia: G. Susini, Il lapicida romano, Bologna 1966, p. 67; p. 98, nota
137; A. Degrassi, L’epigrafia latina in Italia nell’ultimo quinquennio (1963-
1967), «Acta of the Fifth International Congress of Greek and Latin Epigraphy
Cambridge 1967», Oxford 1971, p. 162; ora in Scritti vari di antichità, IV,
Trieste 1971, p. 53; L. Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà e la
formazione dei “iura praediorum” nell’età repubblicana, II, Milano 1976, p.
54, nota 60; L. Migliorati, Municipes et coloni. Note di urbanistica teramana,
«ArchClass», 28 (1976), p. 243-244; CIL I2, 4, pp. 1051-1052; Devijver - Van
Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., pp. 36-37; 45; 63-66;
Iid., Der ‘campus’, cit., p. 200; J.B. De Smet, Interamnia Praetuttiorum (Te-
ramo) et le problème des communautés à statut juridique double, «Acta Ar-
chaeologica Lovaniensia», 28-29 (1989-1990), pp. 66-68; Delplace, Romani-
sation, cit., p. 60, nota 112; p. 299; Devijver - Van Wonterghem, The campus
in the Urban Organization, cit., pp. 1037; 1056; Guidobaldi, Romanizzazione,
cit., p. 220 e nota 6; pp. 230-231; Delplace, Quelques cas d’évérgetisme, cit.,
pp. 192-198; L. Chioffi, Produzione e commercio della carne in Italia alla
luce della documentazione epigrafica, ibid., pp. 268-269; A.M. Galeano
Domínguez, El termino conscripti en la epigrafía hispana e italiana: un nuevo
acercamiento a su significado, «Habis», 30 (1999), p. 326; Delplace in
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 22.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione era reimpiegata nell’altare maggiore della
chiesa della Madonna delle Grazie di Teramo1385, ma il luogo di rinvenimento
preciso è ignoto1386. Alcuni studiosi che si sono occupati della topografia di In-
teramnia suppongono che l’originaria collocazione del cippo non dovesse essere

1385 Cf. Bernabei, Teramo, cit., p. 352; lemma a CIL I2 1905.


1386 Cf. Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 24; Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 35, didascalia a
fig. 2.
Parte II. I documenti 415

troppo distante dal luogo del suo reimpiego1387; anche se il monumento è


effettivamente di proporzioni considerevoli, l’argomentazione non mi pare
stringente.
Luogo di conservazione: Teramo, lapidario del Palazzo comunale (autopsia
maggio 2001)1388.
Tipo di supporto: Cippo in calcare. Nella parte inferiore lo zoccolo si presenta
solo scalpellato. L’iscrizione principale (che chiameremo A) si trova sulla fac-
cia anteriore del monumento, danneggiata nella parte destra, il che ha determi-
nato la perdita della prima lettera alle linee 2, 4 e 5; le lacune sono facilmente
integrabili, anche sulla base dell’iscrizione gemella CIL I2 19061389. La clausola
Extra maceria(m) in agru≥m precar[io] è incisa sul lato destro del cippo (iscri-
zione B), la cui lettura è ora ostacolata nella parte destra dalla parete nella quale
il monumento è stato murato.
Collegio: socii campi.
Datazione: per caratteristiche paleografiche e per l’onomastica di uno dei
duoviri, che presenta già il cognomen, l’iscrizione si può inquadrare tra gli ul-
timi anni dell’età repubblicana e i primi anni dell’età augustea1390.
Testo: L(ucius) Fistanus L(uci) f(ilius), / [L(ucius)] Tettaienus L(uci) f(ilius) /
Barcha, / II vir(i), / [i]ter in campum ex c(onscriptorum) d(ecreto) / p≥e qunia
sociorum / campi faciundum / coeravere eidemq(ue) / probavere. // Extra /
maceria(m) / in agrum / precar(io).
A, l. 2: omette il prenome [L(ucius)] Cerulli Irelli. L≥(ucius) Cancrini.
A, ll. 1-2: a destra dei nomi dei due magistrati, in corrispondenza dello spazio
tra le linee 1 e 2, si trova l’indicazione II vir(i), che nella trascrizione ho ripor-
tato per senso dopo l. 3. L’indicazione della magistratura è collegata ai due
nomi da due segni, in forma di parentesi tonda, ad abbracciare le prime due linee
dell’iscrizione e a significare che il titolo di duoviri spettava ad entrambi i per-
sonaggi1391.
A, l. 3: il cognomen Barcha è scritto in lettere di altezza minore rispetto al re-
sto del testo; il fenomeno trova riscontro in altri testi di età repubblicana ed è
probabilmente da connettere al fatto che in tale periodo questo elemento della
formula onomastica, ancora relativamente poco frequente tra gli ingenui non

1387 De Smet, Interamnia, cit., p. 66; Guidobaldi, Romanizzazione, cit., pp. 230-231.
1388 Cf. Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 24; Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., p. 52.
1389 Vd. infra, pp. 425-426, Interamnia 7.
1390 Migliorati, Municipes, cit., pp. 243-244: di età sillana o poco posteriore; Devijver - Van
Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., p. 36: fine dell’età repubblicana; Iid.,
The campus in the Urban Organization, cit., p. 1042: età repubblicana / augustea; Guidobaldi,
Romanizzazione, cit., pp. 220; 230: età tardorepubblicana; Delplace, Quelques cas d’évérgeti-
sme, cit., p. 193: seconda metà del I sec. a.C. Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergeti-
smo, cit., p. 57: forse intorno alla metà del I sec. a.C.
1391 Susini, Il lapicida, cit., p. 67 ritiene che il lapicida avesse fedelmente inciso sulla pietra
quanto trovava nella minuta consegnatagli. Qualche altro esempio di questo espediente grafico è
ricordato da Degrassi, Epigrafia latina, cit., p. 162, ora in Scritti vari, cit., IV, p. 53.
416 Parte II. I documenti

appartenenti all’ordine senatorio, era sentito come accessorio rispetto al prae-


nomen e al nomen1392.
A, l. 4: (i)ter Bernabei.
A, l. 5: [p]ecunia tutti, ma sulla pietra si notano tuttora tracce dell’occhiello di
P.
B, l. 2: maceria ILS, CIL; mace.. Cerulli Irelli.
B, l. 3: in agr[u]m CIL, ILLRP, Buonocore - Eck, Cancrini; in agr[o]. M..
Cerulli Irelli1393.
B, l. 4: precar[io] ILS, Devijver - Van Wonterghem; precar.. Cerulli Irelli1394.
Interpunzione in forma di triangolo con il vertice rivolto verso l’alto, utilizzata
con regolarità per dividere le parole.
Commento
L’interessante documento ricorda la costruzione di una strada di attraver-
samento, e probabilmente anche di accesso, al campus di Interamnia, avvenuta
a cura e con il collaudo dei duoviri, previa approvazione del consiglio munici-
pale locale, ma a spese di un’associazione collegata al campus stesso.
Come di frequente per quanto concerne le opere di interesse pubblico,
cura e probatio sono affidate ai massimi magistrati della comunità1395. Nel caso

1392 Cf. exempli gratia CIL I2, 1247 = CIL VI 11702 da Roma: A. A[n]nius L. l. Apol(---); A.
A[n]nius L. l. Alexander; I. Di Stefano Manzella in Inscriptiones latinae liberae rei publicae,
cit., pp. 332-333, n°73, con p. 464, tav. XXIII, fig. 1: C. Fabricius C. l. Bio; CIL I2, 206 = CIL XIV,
206 = ILLRP 864 da Praeneste: L. Numitorius L. f. L. n. Ruber; CIL I2, 1492 = CIL XIV, 3664 =
ILS 5546 = InscrIt, IV, I, 19 = ILLRP 680 da Tibur: C. Luttius L. f. Aulian(us), Q. Plausurnius C. f.
Varus, L. Ventilius L. f. Bassus, C. Octavius C. f. Graechin(us); CIL I2, 1494 = CIL XIV, 3667 e
3668 = ILS 5388 = InscrIt IV, I, 21 = ILLRP 679 dalla medesima località: L. Octavius L. f. Vitulus,
C. Rustius C. f. Flavos; CIL I2, 673 = CIL X, 3774 = ILLRP 706 da Capua: [---]cius P. l. Pilon[---
]; CIL I2, 1810 = CIL IX, 3628 da Aveia: C. Curius Surus; CIL I2, 1862 = CIL IX, 4236 da
Amiternum: Antonia N. l. Rufa; CIL I2, 3265 = CIL IX, 3440 da Peltuinum: C. Suellius T. f.
Aemili(anus ?); CIL I2, 3396 = ILLRP 959 da Ariminum: C. Galer(ius) M’. f. Masc(ulus); CIL I2,
2208 = CIL V, 1308 da Aquileia: L. Mulvio L. f. Primo, St. Mulvio P. f. Stabilio.
1393 Susini, Il lapicida, cit., p. 98, nota 137 in seguito ad autopsia correggeva in agro, ma u n
nuovo esame della pietra, eseguito da A. La Regina ha rilevato la parte superiore della lettera V;
la M finale è invece ora invisibile, a causa della muratura dell’iscrizione, ma chiarissima nelle
fotografie riportate da Bernabei, Teramo, cit., p. 352 e in CIL I2, p. 669, cf. Degrassi, Epigrafia
latina, cit., p. 162, ora in Scritti vari, cit., IV, p. 53; Id., CIL I2, 4, pp. 1051-1052.
1394 La pietra è fratta dopo R, ma lo spazio vuoto a destra mi pare sufficiente per affermare che le
due lettere finali non vennero incise; preferisco dunque la trascrizione precar(io) piuttosto che
precar[io].
1395 Per citare solo alcuni casi dalla regio V ricordo l’iscrizione da Ancona pubblicata da G. Paci
in Dall’Aglio - Frapiccini Alfieri - Paci, Contributi, cit., pp. 16-32 = AE 1994, 575, citata supra,
p. 401, nota 1314; CIL I2 1917 = CIL IX, 5305 = ILS 5391 = ILLRP 577 da Cupra Maritima, rela-
tiva alla costruzione di un campus, cf. infra, p. 420; CIL I2, 765 = CIL IX, 5052 = ILS 5404 =
ILLRP 152 = Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 68, n°1 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit.,
p. 769, n°1 da Interamnia: Q(uintus) Ofillius C(ai) f(ilius) Ruf(us), Sex(tus) Calidenus
K(aesonis) f(ilius) Q(uinti) n(epos), / T(itus) Temonius T(iti) l(ibertus) Flac(cus), mag(istri),
aed(em) / Herc(ulis) d(e) v(ici) s(ententia) fac(iundam) ping(endam) c(oeraverunt) eisdemq(ue)
pr(obaverunt. / Cn(aeo) Pompeio, M(arco) L(icinio) co(n)s(ulibus) iter(um).
Parte II. I documenti 417

in questione si tratta dei duoviri che guidavano la colonia di Interamnia1396, che


si suppone fondata in età sillana, e che conviveva con un municipium che sa-
rebbe stato amministrato da octoviri1397.
Per quanto concerne l’onomastica dei due magistrati, il gentilizio Fistanus
è forse altrimenti attestato ad Interamnia da un testo di incerta lettura, ora
perduto, nel quale a l. 1 si può leggere il nome di un C(aio) Fi{u}st[ano],
secondo la congettura di M. Buonocore1398; al medesimo studioso spetta
l’ipotesi di integrazione [Fi]stanus C(ai) [---], suggerita per un altro lacunoso
documento teramano; il nomen non è tuttavia attestato al di fuori dell’agro
pretuziano1399. Completamente ignoto è del resto il gentilizio Tettaienus1400. I
suffissi dei due gentilizi, in particolare -ienus1401, ma anche il meno noto -
anus1402, trovano un buon numero di confronti locali, anche se a priori po-
tremmo attenderci di trovare, tra i magistrati della colonia di Interamnia,
nomina allogeni.

1396 Il duovirato sarebbe attestato ad Interamnia, oltre che dall’iscrizione in esame, da un testo
che si propone nella recente lettura di M. Buonocore in Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche,
cit., p. 785, n°101 (cf. anche AE 1912, 144; Cerulli Irelli, Teramo, cit., p. 14, n°11): ------ / Poema
/ [---? Spi]ntheri / [IIII]vir(o) / [---], duumviro ter, / [quinquenna]li bis. / [L(ocus) d(atus)]
d(ecreto) d(ecurionum); cf. anche l’epigrafe pubblicata nell’anonima notizia Teramo - Nuova
iscrizione latina col ricordo di un magistrato municipale, «NSc», 22 (1897), p. 305, ora ripresa
in Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 785, n°100; CIL I2, 3296 = Buonocore - Firpo,
Fonti latine e greche, cit., p. 785, n°102, per la quale si può suggerire la lettura ------ / [---u]s
P(ubli) f(ilius) du[ovir(i)] / [--- mur]um p(edes) CC[---] / [--- faciundu]m locav[erunt].
1397 Sulla singolare situazione istituzionale di Interamnia vd. E. Gabba, Ricerche sull’esercito
professionale romano da Mario ad Augusto, «Athenaeum», n.s. 29 (1951), pp. 235; 271; (ora i n
Esercito e società nella tarda repubblica romana, Firenze 1973, pp. 125; 173); Commento a
Floro, II, 9, 27-28, «SCO», 19-20 (1970-1971), p. 462 (ora in Esercito e società, cit., p. 363); De
Smet, Interamnia, cit., pp. 63-74; Delplace, Romanisation, cit., pp. 60-61; Guidobaldi, Romaniz-
zazione, cit., pp. 219-221; Buonocore - Eck, Teramo tra storia ed epigrafia, cit., pp. 907-910,
con raccolta della documentazione epigrafica rilevante. Ridimensiona l’importanza della comu-
nità doppia ad Interamnia F.T. Hinrichs, Die Geschichte der gromatischen Institutionen. Unter-
suchungen zu Landverteilung, Landvermessung, Bodenverwaltung und Bodenrecht im römi-
schen Reich, Wiesbaden 1974, pp. 69-70, secondo il quale i due diversi collegi magistratuali
probabilmente risalgono a periodi differenti.
1398 M. Buonocore in Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 776, n°46; l’iscrizione è
edita in CIL IX, 5097.
1399 Cf. Schulze, Eigennamen, cit., p. 564.
1400 Ibid., p. 373.
1401 Per i gentilizi in -enus / -ienus vd. supra, p. 235, nota 553.
1402 Vd., senza pretesa di completezza, Aculanus: Donati, Nuove iscrizioni, cit., p. 88, n°18 (= AE
1980, 391) da Interamnia; Caleida[nus ?]: CIL IX, 5207 da Asculum; Cardanus: CIL IX, 5446
da Falerio; Suppl. It., n.s. 13, p. 218, n°9 = S.M. Marengo, Note epigrafiche settempedane,
«Picus», 3 (1983), pp. 160-163, n°2 (= AE 1985, 349) da Septempeda; Norbanus: CIL I2, 1900 =
CIL IX, 5049 da Interamnia; Satanus: CIL I2, 1911 = CIL IX, 5191 = ILLRP 549; CIL IX, 5236;
5237 da Asculum; Seianus: CIL IX, 5493 da Falerio; Soranus: Tonici, Due urne cinerarie, cit.,
pp. 227-229, n°2 (= AE 1993, 593) da Asculum; Tebeianus: CIL IX, 5192 da Asculum; [---
]olanus: CIL I2, 1895 = CIL IX, 5021 da Hadria. Da questo spoglio preliminare della documen-
tazione sembra emergere una prevalenza della documentazione dalle comunità più meridionali
della regio V: Asculum, Hadria, Interamnia.
418 Parte II. I documenti

Assai singolare anche il cognomen del secondo dei duoviri, Barcha, che
tuttavia ritroviamo a Pompei per un aspirante duoviro, il cui nome completo
dovrebbe essere N. Veius Barcha1403: un curioso esempio della popolarità della
famiglia barcide tra le classi dirigenti dell’Italia romana o piuttosto un elemento
onomastico derivato da una lingua italica?
L’intervento urbanistico curato dai duoviri era stato approvato dai consi-
glieri di Interamnia, qui chiamati conscripti, termine utilizzato non molto fre-
quentemente per designare il consiglio municipale di una comunità locale: in ef-
fetti, se nell’uso tecnico delle leges municipi i consiglieri sono regolarmente de-
finiti decuriones conscriptive1404, il termine isolato appare raramente nella do-
cumentazione epigrafica; la maggior parte delle attestazioni vengono da comu-
nità dell’Italia romana e non poche di esse si datano all’età repubblicana1405. Ad
Interamnia, ove pure si hanno diverse attestazioni dei consueti decuriones1406,
la menzione dei conscripti si ritrova anche in un’iscrizione relativa al rifaci-
mento di balnea da parte degli octoviri, d(e) c(onscriptorum) s(ententia)1407; se
costoro erano veramente i magistrati supremi del municipium che coesisteva ad
Interamnia con la colonia, verrebbe a cadere da subito una possibile spiegazione

1403 CIL IV, 26: N. Barcha(m); 49: N. Bar(cham); 72: N. Barc(ham); 75: N. Vei Barca (!); vd. an-
che le attestazioni su instrumentum CIL X, 8055, 11, sempre da Pompei: Barcae, e CIL X, 8056,
269 da Capua: Barcae; cf. H. Jacobsohn, Barca 1, «TLL», II, coll. 1748-1749. Vd. anche AE 1991,
466, che registra la correzione Barca[thes ?] nella lettura di un bollo su mattone da Ercolano,
correzione forse non necessaria, in considerazione delle attestazioni del cognome Barca /
Barcha.
1404 Cf. esempio nella Tabula Heracleensis (che si consulterà nell’edizione a cura di Crawford,
Roman Statutes, cit., I, pp. 355-391), ll. 86; 87; 96; 106; 109; 126; 128; 131; 133; 135; 138;
149; per la lex Irnitana vd. gli indici lessicali di Lamberti, Tabulae Irnitanae, cit., pp. 415-417;
vd. inoltre la Lex Malacitana (da consultare nell’edizione di T. Spitzl, Lex municipi Malacitani,
München 1984) ai capp. 54; 62; 63; 64; 66; 67; 68 etc.; la lex Salpensana, CIL II, 1963 = ILS
6088, capp. 24; 25; 26; la lex municipi Villonensis (che si consulterà nell’edizione di F.
Fernández Gómez, Nuevos fragmentos de lejes municipales y otros bronces epigraficos de l a
Bética en el Museo de Sevilla, «ZPE», 86 (1991), pp. 122-125, ripresa da Lamberti, Tabulae Irni-
tanae, cit., pp. 379-382, con bibliografia anteriore), ai capp. 66; 67; 68; 69; vd. infine i fram-
menti una lex municipi di incerta attribuzione editi da Fernández Gómez, Nuevos fragmentos,
cit., pp. 126-127 e ripresi da Lamberti, Tabulae Irnitanae, cit., pp. 387-388.
1405 Raccolta delle attestazioni in E. De Ruggiero, Conscripti, «Diz. Ep.», II (1900), pp. 604-
605; per i casi di età repubblicana vd. indici di ILLRP II, p. 460. La documentazione è ora stu-
diata da Galeano Domínguez, El termino conscripti, cit. pp. 315-326, con breve accenno alla do-
cumentazione di Interamnia a p. 326.
1406 CIL IX, 5066; 5068; CIL IX, 5085 = Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., pp. 59-61; AE 1900, 82 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 784, n°98; AE
1912, 144 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 785, n°101; Buonocore, Un’inedita
testimonianza, cit., pp. 463-468 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 786, n°106 =
AE 1998, 416 (ove peraltro la consueta formula di concessione del locus per decreto dell’ordine
dei decurioni è parzialmente in lacuna).
1407 CIL IX, 5067 = ILS 5666 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 771, n°16. Nella
regio V si può inoltre citare un caso dubbio da Asculum, CIL IX, 5187, cf. indici di CIL IX, p. 777.
Parte II. I documenti 419

della apparente compresenza di conscripti e decuriones, il carattere di comunità


“doppia” della città dei Pretuzzi1408.
L’opera di interesse pubblico affidata alla cura e al collaudo dei duoviri era
una strada di accesso e di attraversamento del campus. Questa struttura delle
città antiche, poco studiata fino agli anni ’80, è ora assai meglio nota, soprat-
tutto grazie alle ricerche intraprese sul tema da Hubert Devijver e Frank Van
Wonterghem1409. Il campus consisteva essenzialmente in una grande area sco-
perta, di forma per lo più rettangolare, circondata da un muro di cinta, la mace-
ria citata anche nell’iscrizione di Interamnia; all’interno dell’area così delimita-
ta, oltre al campo vero e proprio, potevano sorgere strutture quali porticus, pi-
scinae, balnea, o, come in altri luoghi pubblici largamente frequentati, si pote-
vano trovare monumenti onorari, come per esempio statue. Le ricerche topo-
grafiche sulla localizzazione dei campi hanno rivelato che spesso queste strut-
ture sorgevano al di fuori della cinta muraria urbana1410.
L’intervento di L. Fistano e L. Tettaieno non riguardò propriamente il
campus di Interamnia, che doveva già esistere, quanto piuttosto la viabilità
dell’area; l’espressione iter in campum sembrerebbe propriamente indicare che i
duoviri si siano occupati solo dei percorsi interni al campus; ma la clausola ri-
portata nel testo B, extra maceriam in agrum precario, ad indicare che il diritto
d’accesso al campus poteva essere revocato in qualsiasi momento1411, mi

1408 Questa spiegazione potrebbe venire alla mente leggendo le conclusioni di Galeano
Domínguez, El termino conscripti, cit. p. 327, sebbene le parole della studiosa non si riferiscano
in modo specifico, né corrispondano esattamente alla situazione di Interamnia: “El hecho de que
en la inscripción [scil. ILS 140 da Pisa] aparezca la fórmula per consensu omnium ordinum nos
introduce en la idea, ya apuntada por otros autores, de la posible existencia, sí no el momento de
la inscripción sí en épocas anteriores, de más de un ordo municipal, cuyo origen podría
remotarse al periodo anterior a la consecución del estatuto municipal o colonial de cada ciudad,
y de la posibilidad de la existencia de ordos indigenas”.
1409 Cf. Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., pp. 33-68 e Iid.,
Der ‘campus’, cit., pp. 195-206, con raccolta e discussione della documentazione epigrafica ed
archeologica rilevante; Iid., Ancora sul campus delle città romane, «Acta Archaeologica Lova-
niensia», 21 (1982), pp. 93-98, con approfondimenti su alcuni dei testi del dossier epigrafico;
Iid., Neue Belege zum ‘campus’ der römischen Städte in Italien und im Westen, «ZPE», 60 (1985),
pp. 147-158, contributo incentrato sull’analisi delle iscrizioni relative ai campi di Emporiae,
Issa e Urbs Salvia; Iid., The campus in the Urban Organization, cit., pp. 1035-1060 tratta in par-
ticolare deegli esempi di Cartagine e Carales, ma riprende la documentazione epigrafica, con
addenda, e letteraria sui campi in genere. Cf. inoltre G. Mennella - G. Spadea Noviero, Il campus
di Albingaunum, «MEFRA», 106 (1994), pp. 119-137; A. Bouet, Campus et juventus dans les
agglomérations secondaires des provinces occidentales, «REA», 101 (1999), pp. 461-486.
1410 Seguendo il precetto dettato da Vitruv., I, 7, 1 per le aree sacre a Marte, come il celebre Cam-
pus Martius di Roma, modello dei campi nei municipi del mondo romano: Marti extra urbem,
sed ad campum; cf. Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., p. 47;
Id., Der ‘campus’, cit., p. 200.
1411 Cf. Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà, cit., p. 54, nota 60 (cf. anche ibid.,
pp. 197-248 per un esame della documentazione epigrafica relativa alle cosiddette tre servitù d i
passaggio, via, iter e actus; brevi richiami al nostro testo a p. 218, nota 34 e a p. 220, nota 35);
Delplace, Quelques cas d’évérgetisme, cit., p. 196. La forma precario, in ablativo, è utilizzata qui
in senso avverbiale, secondo un uso che trova molti paralleli anche nella documentazione epi-
grafica, cf. I. Hajdú, Precarius, «TLL», X, 2, coll. 1145-1146.
420 Parte II. I documenti

sembra provare che l’azione abbia interessato anche le vie che conducevano alla
struttura, come per esempio è attestato ad Urbs Salvia, dove sappiamo che i
magistrati cittadini viam ad campum la[pide] sternend(am) curave[runt]1412, e
che per questo motivo fosse necessario specificare che la nuova sistemazione
urbanistica degli accessi al campus non comportava per i proprietari una com-
pleta perdita dei diritti sull’area interessata dall’intervento.
Quanto alla localizzazione del campus di Interamnia, partendo dal pre-
supposto, che come si è detto non mi pare obbligato, che la nostra iscrizione
fosse originariamente collocata a non molta distanza dal luogo del suo reimpie-
go, si è tentato di identificare la struttura nell’area circostante la chiesa della
Madonna delle Grazie. H. Devijver e F. Van Wonterghem ipotizzarono che il
campus si trovasse ove sorge l’odierno Piazzale della Madonna delle Grazie1413,
ma, secondo J.B. De Smet, la teoria urterebbe con il rinvenimento nella zona di
strutture riferibili, tra l’altro, ad un impianto termale che si data in età augustea
ed altri edifici di natura non ancora chiarita, ma che paiono riferibili all’età tar-
dorepubblicana1414. Il De Smet ha dunque proposto di localizzare il campus più
ad est, all’estremità orientale del terrazzo formato dal fiume Tordino e dal tor-
rente Vezzola, sul quale si sviluppò la città antica1415. Da parte mia, vorrei limi-
tarmi ad osservare come il dato della presenza di impianti termali nella zona del
Piazzale della Madonna delle Grazie sia comunque da tenere ben presente nella
discussione, dal momento che nella documentazione epigrafica i campi sono
spesso associati a thermae e balnea: non è dunque irragionevole pensare che ad
Interamnia le due strutture, quella termale e quella del campus, potessero essere
attigue1416.
Nella regio V, oltre che ad Interamnia, sono noti campi in diverse altre
località. Per un confronto con i dati offerti dal documento in esame non pare
inutile riprendere la documentazione.
1. CIL I2, 1917 = CIL IX, 5305 = ILS 5391 = ILLRP 577 da Cupra Maritima:
P(ublius) Rupilius A(uli) f(ilius), / L(ucius) Minicius L(uci) f(ilius), / duovir(i),
campum et macer(iam) / ex d(ecreto) d(ecurionum) faciundu(m) /
coer(averunt) idemq(ue) prob(averunt)1417.

1412 L’iscrizione di Urbs Salvia è citata per esteso infra, p. 421, n°3. Sulla viabilità nell’area dei
campi vd. inoltre le testimonianze epigrafiche raccolte da Devijver - Van Wonterghem, The cam-
pus in the Urban Organization, cit., p. 1037.
1413 Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., pp. 63-66; Iid., Der
‘campus’, cit., p. 200; Iid., The campus in the Urban Organization, cit., p. 1056.
1414 Una sintesi delle ricerche in quest’area di Interamnia in Guidobaldi, Romanizzazione, cit.,
pp. 227-230.
1415 De Smet, Interamnia, cit., pp. 66-68; cf. anche Guidobaldi, Romanizzazione, cit., pp. 230-
231, che giudica interessante tale ipotesi di localizzazione.
1416 Cf. Devijver - Van Wonterghem, Der ‘campus’, cit., p. 200, con rimandi alla documentazione
epigrafica rilevante.
1417 Cf. Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., pp. 35-36, n°5;
Iid., Der ‘campus’, cit., p. 196, n°5; Iid., The campus in the Urban Organization, cit., p. 1042,
n°11, che datano il testo tra la fine dell’età repubblicana e quella augustea; cf. anche Delplace,
Quelques cas d’évérgetisme, cit., pp. 195-196, che lo ritiene contemporaneo all’epigrafe di Inte-
Parte II. I documenti 421

2. CIL IX, 5656 = Bejor, Trea, cit., p. 121, n°6 = Moscatelli, Trea, cit., p. 59 =
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 138-139 da
Trea, che si cita secondo le integrazioni suggerite in via ipotetica da Devijver -
Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., p. 37, n°7; cf. Iid.,
Der ‘campus’, cit., p. 197, n°7; Iid., The campus in the Urban Organization,
cit., p. 1043, n°13: [------] / dec(urio) [---] / II vir[---] / pecu[nia ---] /
cam[pum ? ---]; il ritrovamento del testo tra quelle che sembrano essere le ro-
vine della basilica di Trea lascia tuttavia pensare che l’iscrizione concernesse
quest’ultimo monumento e non il campus1418.
3. CIL IX, 5541 da Urbs Salvia, che si cita secondo la lettura proposta da G.
Paci in G. Fabrini - G. Paci, La raccolta archeologica presso l’abbazia di Fia-
stra, Urbisaglia 1986, pp. 31-34, n°4: [-] Herennius C(ai) [f(ilius ---], / [-]
Aufidius L(uci) f(ilius) [---], / viam ad campum la[pide] / [s]ternend(am) cu-
rave[runt] / [idemq(ue)] [p]rob(averunt). Long(a) p(edes) XXX[---]1419.
L’esame della documentazione sui campi nel Picenum permette di ritro-
vare alcuni elementi comuni alla struttura di Interamnia, sia per quanto con-
cerne le dotazioni urbanistiche, come la maceria del testo n°1 e la via d’accesso
nel testo n°3, sia per quello che riguarda le modalità dell’intervento urbanistico:
come ad Interamnia, anche a Cupra Maritima la cura e il collaudo dell’opera
pubblica sono affidati ai duoviri; così doveva essere probabilmente anche a Trea,
se l’iscrizione si riferisce effettivamente alla costruzione di un campus e non di
una basilica, mentre nell’iscrizione n°3 da Urbs Salvia il ricordo della magistra-
tura esercitata da [-] Herennius C. f. e da [-] Aufidius L. f. è purtroppo andato
perduto; inoltre a Cupra, come forse a Trea, l’operazione era stata approvata
dal locale consiglio municipale.
Rimane da precisare la funzione del campus di Interamnia. I recenti studi
sul tema sono giunti alla conclusione che le strutture di questo tipo presenti nei
municipi del mondo romano erano modellate sull’esempio del Campo Marzio di
Roma e che dunque vi si dovevano svolgere in particolare esercitazioni militari,

ramnia in esame. L’iscrizione pubblicata da G. Paci, Frammento epigrafico cuprense relativo a d


opera pubblica, «Picus», 5 (1985), pp. 220-223: [---] +A+[---] / [--- fa]ciund[---] / [---
p]robaver[---] presenta singolari analogie di impaginato e di formulario con CIL I2, 1917;
l’editore tuttavia preferisce non spingersi ad ipotizzare che il frammento costituisca una seconda
copia del testo.
1418 Diversa dunque la lettura proposta da Bejor, Trea, cit., p. 121, n°6: [------] / dec[---] / II vir
[---] / pecu[--- basili]/cam [---]. L’ipotesi è sviluppata da Moscatelli, Trea, cit., p. 59 che avanza
questa plausibile proposta di ricostruzione: [-] Dec[umius], / II vir [i(ure) d(icundo) de sua] /
pecu[nia basili]/cam [fac(iundam) cur(avit)]. Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Ever-
getismo, cit., p. 138 opta per integrare il nomen di un magistrato alla prima linea conservata, ma
non prende decisamente posizione sull’alternativa basilicam / campum.
1419 Il documento in questione è stato oggetto di diversi studi, con alcune divergenze nella let-
tura; cf. tra gli altri, Devijver - Van Wonterghem, Ancora sul campus, cit., pp. 96-97, n°17; Iid.,
Der ‘campus’, cit., p. 197, n°8; Iid., Neue Belege, cit., pp. 157-158, n°3; Iid., The campus in the
Urban Organization, cit., pp. 1043-1044; 1056; Paci, Nuove iscrizioni romane a Senigallia
Urbisaglia e Petritoli, cit., p. 55 e nota 45; Delplace, Reseau routier, cit., p. 362; U. Moscatelli,
Osservazioni topografiche in margine all’iscrizione CIL IX, 5541 (Urbs Salvia), «AFLM», 1 7
(1984), pp. 353-368 (= AE 1986, 225); Delplace, Romanisation, cit., pp. 299-301.
422 Parte II. I documenti

prove sportive e in genere attività ricreative che ben conosciamo per il celeber-
rimo campus urbano. L’ipotesi ha trovato conferma nei pochi accenni delle
fonti a nostra disposizione sui campi municipali: vorrei qui citare in particolare
un’interessante epigrafe di età repubblicana da Aletrium, nella quale si ricorda
che un tale L. Betilienus L. f. Vaarus aveva curato la costruzione di diversi edi-
fici, tra i quali anche un campum ubei ludunt1420, o l’epitafio di C. Luxsilius C.
f. Pom. Macer, che rammenta al passante: princeps lu[dend]o fui: id ita fuisse
campus urbis te [edocet]1421. La pratica di discipline sportive e di esercitazioni
militari nei campi è incidentalmente dimostrata da un passo del Digesto, nel
quale si precisa che lo sfortunato caso di uno schiavo che fosse stato colpito da
un giavellotto mentre si aggirava incautamente nel campus non ricadeva nella
casistica prevista dalla lex Aquilia1422. A favore della frequentazione del campus
per attività di svago depone poi la sua frequente associazione, nella docu-
mentazione epigrafica, con strutture che potremmo chiamare ricreative, in par-
ticolare piscinae, balnea, porticus, ambulationes1423.
Recentemente C. Delplace, trattando proprio dell’iscrizione di Interam-
nia, ha suggerito la possibilità che il campus avesse anche un’altra funzione, di
carattere più spiccatamente economico: la studiosa si richiama in particolare
alle testimonianze di campi pecuarii a Roma1424 e ad Aix-les-Bains, nella Gallia
Narbonense1425, e all’importanza dell’allevamento ovino nella regio V per af-
fermare che campus pecuarius è sinonimo di forum pecuarium ed ipotizzare
che la struttura di Interamnia potesse venir utilizzata anche come mercato del
bestiame, al pari del forum pecuarium di Falerio attestato dalla già esaminata

1420 CIL X, 5807 = CIL I2, 1529 = ILS 5348 = ILLRP 528 = L. Gasperini, Aletrium I. I documenti
epigrafici, Alatri 1965, pp. 16-19, n°1 (con il commento alle pp. 79-81 sulle numerose informa-
zioni riguardanti la topografia di Aletrium che ci sono fornite da questa iscrizione); cf. anche
Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., p. 38, n°9; Iid., Ancora
sul campus, cit., p. 94; Iid., Der ‘campus’, cit., p. 197, n°8; Suppl. It., n.s., 16, pp. 36-38.
1421 InscrIt III, I, 266-267 da Tegianum, nella regio III, ripresa da H. Solin, Zu lukanischen In-
schriften, Helsinki 1981, pp. 54-55, che suggeriva l’integrazione campus urbis te[stis est]; i l
senso complessivo del testo, come si vede, non muterebbe; su questa iscrizione vd. Devijver -
Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., pp. 41-42, n°15; Iid., Ancora sul
campus, cit., pp. 95-96, per un’esame dell’ipotesi avanzata da H. Solin, secondo il quale il testo
farebbe in realtà riferimento al Campus Martius di Roma ed il defunto potrebbe esser stato u n
gladiatore dilettante (anche se lo studioso finlandese rileva chiaramente le difficoltà insite i n
quest’ultima congettura); cf. anche Iid., Der ‘campus’, cit., pp. 198-199, n°15.
1422 Dig., IX, 2, 9, 4: sed si per lusum iaculantibus servus fuerit occisus, Aquiliae [scil. legis]
locus est; sed si cum alii in campo iacularentur, servus per eum locum transierit, Aquilia ces-
sat, quia non debuit per campum iaculatorium iter intempestive facere; cf. anche Dig., XXXXIII,
8, 2, 9: Si quis in mari piscari aut navigare prohibeatur, non habebit interdictum, quemadmo-
dum nec is, qui in campo publico ludere vel in publico balineo lavare aut in theatro spectare
arceatur: sed in omnibus his casibus iniuriarum actione utendum est.
1423 Vd. in particolare Devijver - Van Wonterghem, Der ‘campus’, cit., pp. 199-200, con rimandi
alla documentazione.
1424 CIL VI, 9660 = ILS 7515, ora ripresa da Chioffi, Caro, cit., pp. 40-41, n°31. In genere sul
campus pecuarius di Roma vd. anche fonti e bibliografia in C. Lega, Campus pecuarius, «Lexi-
con Topographicum Urbis Romae», I, a cura di E.M. Steinby, Roma 1993, p. 225.
1425 CIL XII, 2462; sul documento vd. ora Chioffi, Caro, cit., pp. 109-111, n°6.
Parte II. I documenti 423

iscrizione Falerio 71426. L’ipotesi, per quanto suggestiva, mi pare indimostrabile


sulla base della documentazione in nostro possesso: in realtà, nessun elemento
permette di affermare che il campus di Interamnia e, in genere, i campi del Pi-
ceno avessero una destinazione d’uso differente da quella che comunemente si
suppone per questo tipo di strutture: anzi, il possibile rapporto tra il campo di
Teramo e gli impianti termali rinvenuti nell’area della chiesa della Madonna
delle Grazie1427, se confermato, sarebbe un argomento di peso a favore di una
funzione eminentemente sociale e ricreativa della struttura. La stessa specifica-
zione pecuarius, che incontriamo per i mercati di bestiame di Roma e della
Narbonense potrebbe esser stata sentita come necessaria, per distinguere chiara-
mente questi impianti dai campi nude dicti, destinati a funzioni differenti; lo
stesso potrebbe dirsi di altri campi di Roma con destinazione d’uso economica,
il campus Lanatarius1428 e il campus Boarius1429.
Nonostante la cura della costruzione dell’iter e le operazioni di collaudo
fossero state affidate ai poteri pubblici, il finanziamento dell’opera di Interam-
nia veniva da privati, i socii campi1430. Rimane dunque da indagare il carattere
di questa associazione, che non trova paralleli nella documentazione in nostro
possesso e che non sembra aver attirato grande interesse tra i numerosi studiosi
che si sono occupati dell’iscrizione teramana.
Poiché l’ipotesi che vede nel campus di Interamnia una struttura con
funzioni analoghe a quelle di un forum pecuarium non pare suffragata da alcun
elemento, mi pare conseguentemente improbabile che la societas qui attestata
fosse un collegio in qualche modo legato alle attività dell’allevamento, come
forse i collegia quae attingunt eidem foro, ovvero il Foro pecuario, attestati
dall’iscrizione Falerio 71431.

1426 Delplace, Quelques cas d’évergétisme, cit., pp. 196-197. Negli studi sopra citati di H.
Devijver e F. Van Wonterghem trovo solamente due argomentazioni a sostegno di una funzione
economica dei campi, peraltro di incerta interpretazione e alle quali, del resto, C. Delplace non fa
appello: il rinvenimento in un fossato con una grande quantità di ossa, forse bovine, all’interno
di un complesso di Corfinium interpretato come il campus locale (cf. Devijver - Van
Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., pp. 49-50) e la possibile continuità nella
destinazione d’uso tra antichità e medioevo della Piazza del Mercato di Sulmona, nel cui sito
forse sorgeva l’antico campus cittadino (Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto
urbanistico, cit., p. 63).
1427 Vd. supra, p. 420.
1428 Sul quale vd. D. Palombi, Campus Lanatarius, «Lexicon Topographicum Urbis Romae», I, a
cura di E.M. Steinby, Roma 1993, p. 218.
1429 Cf. F. Coarelli, Campus boarius, «Lexicon Topographicum Urbis Romae», I, a cura di E.M.
Steinby, Roma 1993, p. 217; Chioffi, Caro, cit., pp. 18-21, n°5, nel commento all’iscrizione se-
polcrale di un mercator bova(rius) de Campo. Una netta distinzione topografica tra campus e
foro boario o pecuario si avrebbe anche ad Alba Fucens, se le identificazioni di questi diverse
impianti proposte da Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., p.
60 (cf. anche la pianta a p. 58, fig. 11) si rivelassero corrette.
1430 Per i casi paralleli di associazioni che intervengono per la realizzazione di una pubblica via
nel Piceno vd. Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 56-57.
1431 L’ipotesi è prudentemente avanzata da Delplace, Quelques cas d’évergétisme, cit., p. 197,
insieme all’identificazione dei socii campi con un’associazione di iuvenes, che la studiosa
stessa ritiene più immediata.
424 Parte II. I documenti

Fondandosi comunque sull’ipotesi che l’associazione fosse direttamente


collegata alle attività che si espletavano nel campo, si può suggerire una sua
identificazione con uno di quei collegi di iuvenes ben noti nell’epigrafia delle
province occidentali dell’impero: l’addestramento militare e gli esercizi ginnici,
che erano parte importante delle attività di queste associazioni giovanili, dove-
vano in effetti trovare la loro sede naturale nel campus1432. Meno probabile che
i socii di Interamnia costituissero un’associazione di sportivi o giocolieri, che
per passione o per mestiere, come il lusor folliculator di un’epigrafe da Urbs
Salvia che sarà esaminata in seguito1433, erano soliti ritrovarsi nel campus.
Comunque sia, le possibilità che i socii del campus di Interamnia costi-
tuissero un sodalizio con caratteri professionali risultano piuttosto scarse; la
pertinenza del documento alla raccolta delle testimonianze epigrafiche delle oc-
cupazioni del Piceno è dunque assai dubbia.
Immagine: Tavv. L-LI. Bernabei, Teramo, cit., pp. 352-353; CIL I2, 2, p.
669; Migliorati, Municipes, cit., tav. XCII; CIL I2, 4, II. Tabulae, tab. 100, fig.
1-2; Mazzitti, Teramo archeologica, cit., p. 35, fig. 2 (solo il testo A);
Delplace, Évergétisme, cit., p. 192, fig. 2 (solo il testo A); Cancrini - Delplace -
Marengo, Evergetismo, cit., p. 53, fig. 2 (testo A); p. 55, fig. 3 (testo B).

1432 L’ipotesi, come ricordato alla nota precedente, è già prospettata da Delplace, Quelques cas
d’évergétisme, cit., p. 197; per la posizione di H. Devijver e F. Van Wonterghem vd. la nota se-
guente. Sugli iuvenes vd. da ultimo M. Jaczynowska, Les associations de la jeunesse romaine
sous le haut-empire, Wroclaw - Warszawa - Kraków - Gdansk 1978; D. Ladage, Collegia iuvenum
- Ausbildung einer municipalen Elite?, «Chiron», 9 (1979), pp. 319-346; J.-P. Neraudau, La jeu-
nesse dans la littérature et les institutions de la Rome républicaine, Paris 1979, partic. pp. 371-
377; P. Ginestet, Les organisations de la jeunesse dans l’Occident romain, Bruxelles 1991, par-
tic. pp. 119-120 sul campus come luogo dove generalmente avvenivano le esercitazioni. Nel Pi-
ceno le associazioni giovanili sembrano per il momento note solamente a Cupra Montana, ove
CIL IX, 5699 attesta l’esistenza di una Vereia, il termine che in lingua osca traduceva la Iuventus
latina, cf. partic. Neraudau, Jeunesse, cit., pp. 59-72; a torto Ginestet, Organisations, cit., pp.
240-241 scheda nella regio V le iscrizioni AE 1968, 152 da Incerulae (l’errore è commesso anche
da Jaczynowska, Associations, cit., p. 87, n°136); AE 1984, 277, dall’ager degli Equicoli e AE
1984, 307 dall’ager di Corfinium: i tre documenti sono in effetti pertinenti alla regio IV.
1433 Vd. infra, pp. 530-534, Urbs Salvia 5. La possibilità che i socii del campus fossero membri
di un’associazione sportiva è adombrata da Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto
urbanistico, cit., p. 37, anche se poi i due studiosi richiamano documenti essenzialmente
concernenti i collegia iuvenum, le cui attività di addestramento militare e sportivo, precisano,
vanno indubbiamente localizzate nel campus.
Parte II. I documenti 425

Interamnia 7

Edizione di riferimento: CIL I2 , 1906.


Altre edizioni: CIL IX, 5076; ILS 5393; E.H. Warmington, Remains of Old
Latin, IV, Archaic Inscriptions, London - Cambridge (Mass.) 1940, pp. 196-
197, n°67; E. Diehl, Altlateinische Inschriften, Berlin 1964 5, p. 53, n°439;
Devijver - Van Wonterghem, Il campus nell’impianto urbanistico, cit., p. 36,
n°6a (cf. Iid., Der ‘campus’, cit., p. 196, n°6a; Iid., The campus in the Urban
Organization, cit., pp. 1042-1043, n°12a); Buonocore - Firpo, Fonti latine e
greche, cit., p. 773, n°25, Buonocore - Eck, Teramo tra storia ed epigrafia,
cit., pp. 912-913, n°25; Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergeti-
smo, cit., pp. 52-57.
Bibliografia: Cerulli Irelli, Teramo, cit., pp. 24; 26; Buonocore, Tradizione
manoscritta, cit., p. 46, n°71; Delplace, Romanisation, cit., p. 78, nota 275;
Delplace, Évergétisme, cit., pp. 192-193; cf. anche scheda precedente.
Luogo di ritrovamento: il luogo di ritrovamento dell’iscrizione non è noto.
Luogo di conservazione: segnalata nell’abitazione di tale Bartolomeo Cola, a
Teramo, l’iscrizione era già perduta ai tempi della compilazione del CIL1434.
Tipo di supporto: nessuna indicazione a proposito, ma possiamo presumere
che si trattasse di un cippo in calcare analogo a quello che supporta l’iscrizione
gemella CIL I2 19061435.
Collegio: socii campi.
Testo: L(ucius) Tettaienus L(uci) f(ilius) / Barcha, / L(ucius) Fistanus L(uci)
f(ilius), / iter in campum ex c(onscriptorum) d(ecreto) / pecunia sociorum /
campi faciundum / coeravere eidemq(ue) / probavere. // Extra / maceria(m) /
in agrum / praecario.
B, l. 4: pr[e]cario ILS, Devijver - Van Wonterghem; precario Buonocore - Eck,
Cancrini.
Commento
Iscrizione gemella di quella presa in considerazione nella scheda prece-
dente, presenta poche differenze sostanziali: l’ordine nel quale i due personaggi
sono ricordati e il mancato ricordo del loro duovirato, che tuttavia potrebbe es-
sere dovuto ad una semplice dimenticanza della tradizione erudita dalla quale di-
pendiamo per la conoscenza di questo testo1436. Si notano inoltre alcune diver-
sità nelle grafie: a l. 5 del testo principale pecunia contro pequnia in CIL I2,

1434 Cf. lemma a CIL IX, 5076 e a CIL I2 1906; Cerulli Irelli, Teramo, cit., pp. 24; 26. La tradi-
zione del testo risale in ultima analisi alla cosiddetta silloge epigrafica ciriaco-pontaniana con-
servata nel manoscritto Chigiano I. V. 203, del XV-XVI secolo, cf. Buonocore, Tradizione mano-
scritta, cit., p. 46, n°71: al foglio 25 r di tale silloge si registrava la conservazione della nostra
epigrafe in civitate [scil. Teramo] in domo Bartholomei Colae.
1435 Vd. supra, pp. 414-424, Interamnia 6.
1436 Così Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 56. Questa doveva es-
sere l’opinione anche del Dessau, che in ILS 5393 integra [IIvir.] dopo il nome dei due magi-
strati.
426 Parte II. I documenti

1905; a l. 4 del testo iscritto sul lato destro del cippo praecario contro pre-
car(io).
Queste divergenze sembrano indicare che l’iscrizione in oggetto non fosse
la stessa che venne ritrovata in reimpiego nella chiesa della Madonna delle Gra-
zie. Si può dunque presumere che i due cippi iscritti fossero collocati in punti di-
versi lungo il percorso dell’iter che attraversava il campus di Interamnia.
Immagine: Tav. LII.
Parte II. I documenti 427

Potentia

Potentia 1

Edizione di riferimento: Paci, Nuove iscrizioni romane da Potentia, cit., pp.


212-213, n°30.
Altre edizioni: Paci, Iscrizioni romane di Potentia, cit., pp. 101-102, n°29.
Bibliografia: N. Frapiccini, Nuove osservazioni sulla ceramica a vernice nera
da Potentia, «Potentia», a cura di Percossi Serenelli, cit., p. 145.
Luogo di ritrovamento: dagli scavi condotti dalla Soprintendenza Archeolo-
gica per le Marche nell’area Volpini di Porto Recanati, che hanno portato al
rinvenimento di uno dei quartieri centrali dell’antica Potentia. L’inventario di
scavo, come ricorda G. Paci, fornisce peraltro per il reperto qui in esame la ge-
nerica provenienza dall’abitato di Potentia1437.
Luogo di conservazione: depositi della Soprintendenza Archeologica per le
Marche a Porto Recanati1438.
Tipo di supporto: scodella a vernice nera, sul cui lato esterno venne inciso il
graffito1439.
Mestiere: faber.
Datazione: per le caratteristiche paleografiche e del supporto, il documento
pare datarsi ai primi tempi di vita della colonia di Potentia, fondata nel 184
a.C.1440
Testo: Sosia faber.
Commento
Nonostante l’incertezza dei tratti, dovuta presumibilmente alla naturale
difficoltà di incidere un graffito su di una superficie curva, non sembrano sussi-
stere dubbi sulla lettura del testo. Vi sono peraltro almeno due possibili interpre-
tazioni del breve documento. La prima, alla quale qui si aderisce e che giustifica
l’inclusione del testo nella presente raccolta, individua un personaggio maschile
con nome unico, dunque verosimilmente di condizione servile, seguito dal ri-
cordo della sua professione1441.

1437 Paci, Nuove iscrizioni romane da Potentia, cit., p. 169, nota 2, con riferimento all’inventa-
rio 65780.
1438 Ibid.
1439 Frapiccini, Nuove osservazioni, cit., p. 145.
1440 Paci, Nuove iscrizioni romane da Potentia, cit., p. 213, cf. Frapiccini, Nuove osservazioni,
cit., p. 145.
1441 Questa è l’interpretazione preferita dallo stesso editore, su suggerimento di L. Gasperini:
Paci, Iscrizioni romane di Potentia, cit., pp. 101-102; Id., Nuove iscrizioni romane da Potentia,
cit., pp. 212-213.
428 Parte II. I documenti

Il nome maschile Sosia, altrimenti ignoto nella documentazione epigra-


fica picena, trova stringente e quasi coevo confronto come nome servile nelle
commedie di Plauto e Terenzio1442, ma anche nelle iscrizioni di Roma1443.
Il termine faber, come si è detto, identificata artigiani che lavoravano
genericamente materiali duri, come la pietra, il metallo o il legno1444. Le atte-
stazioni di fabri nude dicti nella documentazione epigrafica dell’Italia romana
sono discretamente numerose, sebbene in molti casi il dato sia ambiguo:
1. CIL VI, 3969 (Monumentum Liviae): Bithus. / Maternus, / faber.
2. CIL VI, 4443 (Monumentum Marcellae): Tauriscu<s>, / faber. / Posis
Octavia[e?]. / Aemilius Taur(iscus?).
3. CIL VI, 4446 (Monumentum Marcellae): [[Ph[---]m]] / [[ Messallae]], /[[
faber]].
4. CIL VI, 6283 (Monumentum Statiliorum): Bassus, / fab(er).
5. CIL VI, 6284 (Monumentum Statiliorum): Gratus, fa[ber], / h(ic) o(ssa)
[s(ita) s(unt)].
6. CIL VI, 6285 (Monumentum Statiliorum): Zabda, / faber.
7. CIL VI, 7405 (Monumentum C. Annii Pollionis): Hilarus, / faber.
8. CIL VI, 9385: C(ai) Asini / C(ai) l(iberti) Felicis, / fabri, Genio1445.
9. CIL VI, 9386 = 33807: Cocceiae / Niceni / dedit Anoptes, / faber. // Anoptes,
faber.
10. CIL VI, 9387: ((Obita)) Terentia Calliste, / P(ublius) Claudius Felix, / fa-
ber.
11. CIL VI, 9388: T(ito) Flavio [---?] / Phoebae Do[---], fabro, / Flavi[---] / ex
indu[lgentia] / vivo co+[---] / duaru[m ---] / infic+[---].
12. CIL VI, 9389 = ICUR X, 27157: Renatus, faber, / in pace.
13. CIL VI, 9462a = 13402, l. 12: Chresimus, faber l(ibertus).
14. ICUR I, 2223: Eupandrio, faber, qu[i] / vixit annos pl(us) min(us) LV. /
Depositus im (!) pace refigero(!). VII k(a)l(endas) Dec(embres) die Martis
co<n>sta<t> se [vivo e]/mise a fossore Sustu (!) auri sol(idis) IIII t[rimisse].
15. CIL X, 3782 = CIL I2 685 = ILLRP 710 da Capua (prima del 71 a.C., forse
verso il 108-105 a.C.): [---] N(umeri) f(ilius) Faber vel faber, M(arcus) Fisius
C(ai) f(ilius), M(arcus) Vibius P(ubli) [f(ilius)], / [---]sius St(lacci) f(ilius),
M(arcus) Baibilius L(uci) f(ilius), Ti(berius) Hostiu[s---] / cu[ne]os duos in tea-
tro faciendos coi[raver(unt)]1446.

1442 Cf. Plaut., Amph:, 365; Ter., Andr., 28. Il nome è attestato anche in Ter., Hec., 415t; 427 e i n
Dig., XXVIII, 6, 30, sebbene non in riferimento a schiavi.
1443 Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1294; cf. Id., Sklavennamen, cit., II, p.
580.
1444 Vd. bibliografia citata supra, p. 201, nota 416.
1445 Interessante il fatto che si tratta con ogni probabilità del medesimo personaggio che è defi-
nito faber balneator in CIL VI, 9395 (epitafio di Asinia C. l. Ammia, madre di Felix) e 9396 (epi-
tafio di C. Asinius Fe[lix]), cf. E. Kornemann, Fabri, «P.W.», VI, 2 (1909), col. 1891.
1446 Cognomen secondo gli indici di CIL X, p. 1074, CIL I2, 2, p. 805, Kajanto, Latin cognomina,
cit., p. 322 e Forni, Assisi, cit., p. 53; l’ipotesi troverebbe sostegno nel fatto che i personaggi
ricordati, tutti ingenui, curarono la costruzione di parte di un teatro: difficile pensare che tra loro
si trovasse anche un modesto artigiano. D’altra parte il nostro sarebbe l’unico personaggio
Parte II. I documenti 429

16. CIL X, 3418 da Misenum: D(is) M(anibus). / G(aio) Iulio Germano, / fa-
bro, / G(aius) Longinius Cleme(n)s / et G(aius) Iulius Maximus / h(eredes)
b(ene) m(erenti) f(ecerunt)1447.
17. CIL IV, 4256 da Pompei: Fabro n(ummi) X; / lapys(?) n(ummi) VI; / lotus
(?) n(ummi) XV(?); / dominu; / laballariu; / veia n(ummi) X; / vasa n(ummi)
[---].
18. CIL X, 4916 da Venafrum (databile a mio avviso entro la metà del I sec.
d.C., in base al formulario): Sex(tus) Aulenus Sex(ti) l(ibertus) / Fuscus, faber,
sibi / et Aulenae Sex(ti) l(ibertae) / Laini et suis. / In fro(nte) p(edes) XII, / in
agr(o) p(edes) XVII.
19. M. Silvestrini in P. Palazzo – M. Silvestrini, Apani: anfore brindisine di
produzione “aniniana”, «Daidalos», 3 (2001), pp. 100-102 da Herdonia (fine
II - inizi I sec. a.C.): Pilipus Cepalo(nis?), / faber. Alexsand(er).
20. AE 1972, 101 da Tarentum: Auctus / Theophi[li] ser(vus), / faber, / vix(it)
ann[os? ---].
21. Suppl. It, n.s., 20, p. 244, n°177 da Venusia (inizi I sec. d.C.): T(itus)
Petronius C(ai) f(ilius) / Hor(atia), faber vel Faber1448.
22. CIL I2, 1824 da Scanzano, nel territorio degli Aequi: L(ucius) Vettius
M(arci) [.] / Varvelus fab[er?], / Staatia Q(uinti) f(ilia) [---?] / uxsor h[ic] /
su<n>t sepult[i]1449.
23. AE 1987, 335 da Capistrello, tra Alba Fucens e Antinum: T(itus) Vibiedi[us
---] / faber vel Faber [---] / [--] fi[lio]1450.
24. CIL XI, 5438 = G. Forni, Epigrafi lapidarie romane di Assisi, Perugia 1987,
p. 79, n°170 da Asisium (databile a mio avviso entro la metà del I sec. d.C. per

dell’elenco che ha un cognomen; propendono dunque per un’indicazione di mestiere A. Degrassi


nel commento a ILLRP 710 e D’Isanto, Capua romana, cit., p. 271: la datazione tra gli ultimi
anni del II sec. a.C. e gli inizi del secolo seguente (per la quale vd. Degrassi, commento a ILLRP
710; cf. D’Isanto, Capua romana, cit., p. 271), in un periodo nel quale il cognomen non era fre-
quente tra gli ingenui, offre sostegno a questa interpretazione.
1447 Faber militare secondo gli indici di CIL X, p. 1130, probabilmente a ragione, in base al
luogo di ritrovamento.
1448 Cognomen secondo Chelotti, nel commento a Suppl. It, n.s., 20, p. 244, n°177, sulla base
del fatto che il termine faber non appare seguito da specificazione; tale consuetudine, peraltro,
non assume valore di regola, come dimostra questa stessa rassegna di testimonianze; lascerei
dunque aperta anche l’ipotesi che qui faber sia indicazione di mestiere, anche in base alla data-
zione agli inizi del I sec. d.C., un’età nella quale il cognome non è ancora universalmente dif-
fuso.
1449 Aut Fabia tribu aut faber, secondo l’editore di CIL I2; ma con A. Degrassi in CIL I2, 4, p.
1047 si può osservare che, in base alla posizione in cui il termine compare, lo scioglimento
fab(er) sembra assai più probabile.
1450 Il termine qui è considerato indicazione di mestiere dall’editore, M. Buonocore, Capi-
strello: il confine fra il territorio equo (Alba Fucens) e marso (Antinum) alla luce di nuovi do-
cumenti epigrafici, «ZPE», 62 (1986), pp. 239-240; il dettato e l’impaginazione della lacunosa
epigrafe, nota solo da tradizione manoscritta, non mi sembrano tuttavia escludere la possibilità
che Faber abbia funzione cognominale.
430 Parte II. I documenti

formulario e caratteristiche paleografiche): L(ucius) Parconius L(uci) f(ilius), /


faber vel Faber. / Venelia T(iti) l(iberta) Hilara / dedit1451.
25. CIL XI, 2067 da Perusia (databile, a mio avviso, entro la metà del I sec.
d.C., in base al formulario): C(aius) Petronius / Sex(ti) f(ilius), faber vel
Faber1452.
26. CIL XI, 2724 da Volsinii (metà del I sec. d.C. o posteriore, in base alla
comparsa dell’adprecatio ai Mani): D(is) [M(anibus)]. / Cete[---] / Plaet[---], /
fabr[---] vel Fabr[---] / red[---] / Com[---]1453.
27. CIL V, 7487 da Industria (entro il II sec. d.C:): Fabri / fratres1454.
28. CIL V, 2328 da Atria (parrebbe anteriore alla metà del I sec. d.C., in base al
formulario): L(ucius) Carisius Q(uinti) f(ilius) / faber vel Faber1455.
29. AE 1992, 709 da Aquileia (entro la metà del I sec. d.C.): T≥[ri]v≥[iis?] /
Dom(i)n(abus) / Caius / Vardius, / faber vel Faber, / v(otum) s(olvit) l(ibens)
m(erito)1456.
30. CIL V, 1030 = InscrAq I, 702 da Aquileia (parrebbe anteriore alla metà del I
sec. d.C., in base al formulario): L(ucius) Firmius T(iti) f(ilius), / faber vel
Faber1457.
31. CIL V, 8804 = Pais, Suppl. It., 442 da Bellunum:[--- ]+onius, / faber vel
Faber, / Loucciano / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)1458.

1451 Faber è ritenuto verosimilmente cognomen da Forni, Assisi, cit., p. 79, confrontando il do-
cumento in oggetto con CIL XI, 5439 = Forni, Assisi, p. 53, n°85: C(aio) Parco[nio - f(ilio) ---?]
/ fabro lect[ario ---?] / fabri d(ederunt?). Quest’ultima iscrizione mi sembra piuttosto portare
un elemento a favore dell’ipotesi che faber sia indicazione di mestiere anche in CIL XI, 5438;
così Rossi Aldrovandi, Contributo agli indici di CIL, XI, cit., p. 122.
1452 Indicazione di mestiere secondo Rossi Aldrovandi, Contributo agli indici di CIL, XI, cit., p.
122, ma anche l’ipotesi di un cognomen mi pare possibile.
1453 Indicazione di mestiere secondo Rossi Aldrovandi, Contributo agli indici di CIL, XI, cit., p.
122; anche nel caso di questa iscrizione fortemente lacunosa l’ipotesi alternativa non si può
escludere.
1454 Indicizzato, in forma dubitativa, tra i cognomina in CIL V, p. 1140, tra le attestazioni di col-
legia in CIL V, p. 7487. La datazione fornita nel testo è quella proposta da G. Cresci Marrone - G.
Mennella - E. Zanda in Suppl. It., n.s., 4, p. 45, in base alle caratteristiche paleografiche.
1455 Aut officium aut cognomen secondo gli indici di CIL V, p. 1199; cf. anche E. De Ruggiero,
Faber, «Diz. Ep.», III, (1906), p. 1.
1456 L’editrice, L. Bertacchi, Il culto delle Dóminae ad Aquileia. Traccia per una ricerca sto-
rico-topografica, «AN», 63 (1992), coll. 10-15, partic. 10, pur ricordando la possibilità che qui
Faber abbia funzione di cognome, preferisce pensare ad una menzione di mestiere; la datazione
entro la metà del I sec. d.C. (ibid., col. 15), in un periodo dunque in cui il cognomen non si è an-
cora universalmente diffuso, non contraddice l’ipotesi.
1457 Aut officium aut cognomen secondo gli indici di CIL V, p. 1199; cf. anche De Ruggiero, Fa-
ber, cit., p. 1; Calderini, Aquileia romana, cit., p. 314 ritiene piuttosto che L. Firmio potesse es-
sere faber di nome e di mestiere; Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 16 cita il caso come esempli-
ficativo delle difficoltà che si hanno nel decidere se faber sia cognome o indicazione di me-
stiere; Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, p. 319 preferisce pensare alla menzione di un me-
stiere.
1458 Indicazione di mestiere negli indici di Pais, Suppl. It., p. 286. Non si pronunciano gli indici
di CIL V. Sulle vicende della pubblicazione di questo interessante documento vd. ora D. Faoro,
Parte II. I documenti 431

32. CIL V, 4225 = Inscr. It. X, 5, 33 da Brixia (I sec. d.C.?): Iunonibus /


v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) / Mestrius, / Faber vel faber1459.
33. CIL V, 97 = Inscr. It. X, I, 172 da Pola: Primo, fabro, annor(um) XXX,
Amyrus.
34. CIL V, 3306 da Verona: [---] Augustis / [sac]rum / [---] C(ai) f(ilius), faber
vel Faber, / [---]F(---)1460.
Come è facile rilevare da questa semplice rassegna, la difficoltà prelimi-
nare nel trattare dei fabri nude dicti consiste nel decidere se, di volta in volta,
faber abbia valore di cognomen o di indicazione di mestiere; i casi ambigui sono
piuttosto numerosi e se in qualche caso il contesto induce a preferire la prima
ipotesi (nn. 15; 32) o piuttosto la seconda (n°24), assai di frequente non sem-
brano sussistere elementi sufficienti a dirimere la questione (nn. 21; 23; 25; 26;
27; 28; 29; 30; 31; 34). Si può peraltro osservare che, se l’ambiguità esiste, il
motivo va cercato anche nel fatto che molte delle testimonianze sembrano ri-
salire alla tarda età repubblicana o ai primi decenni del periodo imperiale (così
almeno gli epitafi dei grandi colombari urbani, nn. 1-7, e inoltre i nn. 15; 18;
19; 21; 22; 24; 25; 28; 29; 30: ma in taluni casi le datazioni proposte, fondate
semplicemente su considerazioni riguardo la paleografia e il formulario, saranno
da verificare), in un momento dunque in cui il cognomen inizia a comparire
nell’onomastica degli individui di nascita libera ma non si è ancora affermato
universalmente; si può anzi affermare che in almeno alcuni dei casi ricordati
l’indicazione di faber potrebbe aver assolto, in questa fase di transizione del
formulario onomastico, la duplice funzione di indicatore di mestiere e, al con-
tempo, di cognome.
Le osservazioni di carattere cronologico sopra proposte inducono anche
ad ipotizzare che la menzione di fabri, senza ulteriori specificazioni, nella do-
cumentazione epigrafica si concentrino soprattutto entro i primi decenni
dell’età imperiale, mentre nei decenni seguenti la tendenza vede imporsi specia-
lizzazioni relative al materiale o agli oggetti lavorati dai fabri stessi: se ciò cor-
risponda effettivamente ad una progressiva differenziazione delle professiona-
lità o sia piuttosto il riflesso di una presa di coscienza che trova espressione nel
messaggio epigrafico è difficile a dirsi. Il nostro documento, comunque, apre una
serie di attestazioni di fabri nude dicti in cui la laconicità dell’espressione non è
legata solo alla particolare tipologia dell’epigrafe, un graffito su ceramica, ma
anche alla sua cronologia alta. È vero che ancora in età imperiale avanzata (nn.
16; 26; 27) e nell’epigrafia cristiana (nn. 12; 14) compaiono fabbri senza altre
specificazioni, ma si deve rilevare, per quanto concerne i primi tre documenti,

F. Pellegrini - T. Luciani: carteggio inedito 1876-1888, in corso di stampa negli atti della Gior-
nata di studio su “Francesco Pellegrini - 1826-1903”, tenutasi a Belluno il 27 novembre 2003.
1459 Concordemente cognomen secondo indici di CIL V, p. 1140, Kajanto, Latin cognomina, cit.
p. 322, Forni, Assisi, cit., p. 53, A. Garzetti, commento a Inscr. It. X, 5, 33, Gregori, Brescia ro-
mana, I, cit., p. 121 e S. Mollo, La mobilità sociale a Brescia romana, Milano 2000, p. 320.
L’ipotesi mi appare probabile, seppure non certa. La datazione fornita nel testo è quella sugge-
rita, in via ipotetica, da Gregori, Brescia romana, I, cit., p. 121.
1460 Aut officium aut cognomen secondo gli indici di CIL V, p. 1199; cf. anche De Ruggiero, Fa-
ber, cit., p. 1.
432 Parte II. I documenti

che l’uno forse si riferisce ad un faber della flotta (n°16), l’altro è assai lacunoso
(n°26), mentre nel terzo (n°27) il formulario è forse condizionato dalla classe di
pertinenza dell’oggetto, una laminetta bronzea di carattere votivo1461.
La condizione servile di Sosia trova diversi paralleli nella breve rassegna
documentaria dei fabri dell’Italia romana che si è proposta (vd. i nn. 1-7; 9; 20;
33); particolarmente stringente il confronto con il documento che presenta
maggiori affinità cronologiche e tipologiche con l’iscrizione qui in esame, il
graffito su intonaco del faber Pilipus da Herdonia (n°19). Meno numerosi sono
i liberti (nn. 8; 13; 18).
In conclusione dell’analisi di questo interessante documento ricordiamo
una seconda ipotesi interpretativa, meno probabile ma che tuttavia non si può
escludere: si potrebbe vedere nel secondo termine del graffito non il ricordo di
un mestiere, ma piuttosto il genitivo del nome Faberius, nella forma abbreviata
Faber(i). Tale elemento potrebbe essere preceduto dalla menzione di un’espo-
nente femminile della gens Sosia, peraltro non ancora attestata nel Piceno, se-
guita dalla menzione del marito: Sosia Faber(i uxor). Tale ricostruzione certo
presuppone, oltre alla mancanza della terminazione del genitivo, un’incompleta
registrazione della formula onomastica della donna, nella quale sarebbe omesso
almeno il ricordo del patronomico: omissioni del resto giustificabili in base al
carattere estemporaneo del graffito1462.
Immagine: Tav. LIII. E. Percossi Serenelli, La colonia romana di Potentia,
«Potentia», a cura di Percossi Serenelli, cit., p. 43, fig. 10; Frapiccini, Nuove
osservazioni, cit., p. 146, fig. 63.2; Paci, Nuove iscrizioni romane da Potentia,
cit., p. 213, fig. 33.

1461 Il fatto che nelle iscrizioni votive l'esigenza di indicare con precisione il proprio settore
lavorativo fosse sentita come meno stringente rispetto agli epitafi mi pare essere confermata,
proprio a proposito dei fabri, dal caso di C. Asinius Felix, semplice faber nella dedica al Genius
(n°8), ma faber balneator nel proprio proprio epitafio e in quello posto alla madre, cf. supra, p.
428, nota 1445.
1462 L’ipotesi è ricordata da Paci, Iscrizioni romane di Potentia, cit., p. 102; Nuove iscrizioni
romane da Potentia, cit., p. 213. Per completezza dobbiamo brevemente ricordare anche una terza
ipotesi: in teoria in effetti, si potrebbe riprendere la già ricordata suggestione di Sosia come
nome maschile, diffuso tra personaggi di origine schiavile, ed interpretare Sosia Faber(i servus).
Tale interpretazione tuttavia è a buona ragione esclusa da Paci, Iscrizioni romane di Potentia,
cit., p. 102 sulla base del fatto che la formula onomastica degli schiavi, per il periodo al quale
risale il documento, prevedeva solitamente l’indicazione del padrone con gentilizio e prenome
posposto.
Parte II. I documenti 433

Ricina

Ricina 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5752.


Altre edizioni: ILS 7582; Cecchi - Mozzicafreddo, Helvia Ricina, cit., p. 198.
Bibliografia: Calderini, Arti e mestieri, cit., p. 524; Abramenko, Mittelschicht,
cit., p. 307; M. Reali, La specificità della fonte epigrafica nello studio
dell’amicitia: il caso di Mediolanum, «Acme», 50 (1997), p. 209; Vicari, Pro-
duzione, cit., pp. 35; 44; 47; 79; p. 83; p. 102, n°161.
Luogo di ritrovamento: nessuna notizia sul preciso luogo di ritrovamento
nella tradizione registrata dal CIL.
Luogo di conservazione: secondo il codex Neapolitanus, f. 22 di Ciriaco di
Ancona l’iscrizione si trovava nella cattedrale di Macerata, presso l’altare di S.
Giuliano; del testo non si hanno tuttavia più notizie.
Tipo di supporto: nessuna indicazione viene dalla tradizione erudita registrata
dal CIL.
Mestiere: sagarius.
Datazione: per le caratteristiche del formulario, in particolare per l’assenza
dell’adprecatio ai Mani e per l’indicazione delle misure dell’area sepolcrale, il
testo si può forse inquadrare entro la metà del I sec. d.C.
Testo: Q(uintus) Lucilius / Charinus, / sagarius / Mediolanensis, / VI vir
Mediolani, / sibi et / Q(uinto) Sulpicio Celado / amico. / In fr(onte) p(edes) XII,
in agr(o) p(edes) XIIII.
Commento
Si tratta dell’iscrizione funeraria posta dal seviro di Mediolanum Q.
Lucilio Carino per sé e per l’amicus Q. Sulpicio Celado, con indicazione delle
misure dell’area sepolcrale.
Il curatore dell’iscrizione porta un gentilizio diffusamente attestato a Me-
diolanum, anche in connessione con il prenome Quinto1463; non altrimenti co-
nosciuto nella città della Transpadana risulta invece il cognome Charinus, un
grecanico che in effetti non è molto frequente nella documentazione epigrafica
latina1464. Riguardo la condizione sociale del personaggio sia il tipo di cogno-
men, sia l’assenza di patronimico o di patronato deporrebbero a favore di una

1463 Cf., senza pretesa di completezza, CIL V, 5852 = A. Sartori, Guida alla sezione epigrafica
delle raccolte archeologiche di Milano, Milano 1994, p. 87, n°C4: Lucilia Rufina; 6033: P.
Lucilius Hermes e i patroni P. Lucilius Naso e Lucilia Valentia; 6034: Q. Lucilius Pasicrate[s],
il patrono Q. Lucilius Cissus, Lucilia Po[---], colliberta e moglie di Pasicrate, e la figlia della
coppia Lucilia Auct[a]; 6070: Lucilius Ar[t]emidorus; 6100: C. Lucilius Florus; 8923 =
Sartori, Guida, cit., p. 40, n°P10: Lucilia C. f. Polla e C. Lucilius Sabinus.
1464 Cf. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1298, che registra appena tre attesta-
zioni urbane; cf. anche Id., Sklavennamen, cit., II, p. 582.
434 Parte II. I documenti

sua origine servile. Non si tratta tuttavia di argomenti decisivi, né il fatto che Q.
Lucilio Carino avesse raggiunto il sevirato, come molti altri personaggi attivi
nel settore tessile in Cisalpina1465, vale a chiarire il problema, dal momento che
nella Transpadana, e a Mediolanum in particolare, sono noti numerosi ingenui
tra i ranghi dei sacerdozi dedicati al culto imperiale1466.
Interessa qui in particolare il mestiere esercitato da Carino, il cui nome è
formato con il consueto suffisso -arius, a partire dal termine sagum o sa-
gus1467, secondo la forma attestata nella più antica letteratura latina1468. Il sa-
gum1469 era un pesante mantello, formato da un quadrato di stoffa in lana
grezza, originario della Gallia1470, ma che ben presto si era diffuso in molte re-
gioni del mondo antico, in particolare tra i militari: in effetti nella letteratura
latina è frequente l’opposizione metonimica tra il sagum e la toga, l’indumento
della vita civile, o l’uso del termine in espressioni come saga sumere o saga
ponere, ad indicare rispettivamente uno stato di guerra o di pace1471; mantelli
simili erano peraltro indossati anche dagli schiavi1472.
I semplici sagarii, ma anche i negotiatores o mercatores sagarii, che
come si vedrà non sempre sono facilmente distinguibili dai primi, sono discre-
tamente attestati nella documentazione epigrafica dell’Italia romana1473; oltre
all’iscrizione di Ricina in esame possiamo ricordare:

1465 Cf. Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 307.


1466 Vd. Abramenko, Mitteschicht, cit., p. 301 (sulla situazione nella Transpadana); pp. 322-323
(tabella degli *Augustales ingenui attestati a Mediolanum).
1467 Cf. Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 111; ora in Beiträge zur römischen Geschichte
und Archäologie, cit., p. 126; Wisseman, Spezialisierung, cit., p. 122; Albert, De opificibus Ro-
manis, cit., p. 531.
1468 Vd. per esempio Enn., Ann., 508; 509 Vahlen; Varro, Men., 569 Astbury.
1469 Su questo tipo di indumento vd. Marquardt, Privatleben, cit., pp. 565-567; H. Thédenat,
Sagum, «DS», IV, 2 (1911), pp. 1008-1009; Fiebiger, Sagum, «P.W.», I A, 2 (1920), coll. 1754-
1755; Wilson, Clothing, cit., pp. 104-110; Moeller, Wool Trade, cit., p. 28; J.M. Frayn, Sheep-
Rearing and the Wool Trade in Italy during the Roman Period, Liverpool 1984, pp. 151; 170;
Vicari, Produzione, cit., pp. 2; 48-49.
1470 Il termine stesso era di origine celtica secondo Varr., Ling., V, 167 e Isid., Orig., XIX, 24, 13.
1471 Esempi di questi usi del termine in Fiebiger, Sagum, cit., col. 1755.
1472 Cf. in particolare Cato, Agr., 59: Vestimenta familiae: tunicam p. IIIs, saga alternis annis;
quotiens cuique tunicam aut sagum dabis, prius veterem accipito, unde centones fiant; Colum.,
I, 8, 9: cultam vestitamque familiam magis utiliter quam delicate habeat munitamque diligenter
a vento, frigore pluviaque, quae cuncta prohibentur pellibus manicatis, centonibus confectis
vel sagis cucullis.
1473 In genere sui sagarii si veda Marquardt, Privatleben, cit., p. 585 e nota 13; Thédenat, Sa-
gum, cit., p. 1008; Blümner, Technologie, I, p. 208; D.B. Kaufman, Roman Tailors and Clothiers,
«Classical Weekly», 25 (1932), p. 182, rapidissima carrellata sui diversi mestieri del settore tes-
sile e sulle rispettive competenze; Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 131-133;
Schlippschuh, Händler, cit., pp. 49-51; Moeller, Wool Trade, cit., p. 28; Frayn, Sheep-Rearing,
cit., pp. 146-147; 151; 153-154; Vicari, Produzione, cit., passim e partic. pp. 7; 22; 26; 29; 31-
32; 51; 54-55; 74-75. Su di un sagarius nella penisola iberica Gimeno Pascual, Artesanos y tec-
nicos, cit., p. 40; p. 44, n°60. Specificamente sui sagarii di Mediolanum, che hanno parte rile-
vante nella nostra documentazione, vd. la bibliografia citata infra, p. 441, nota 1490. Raccolta
Parte II. I documenti 435

1. CIL VI, 339 = 30741 = Waltzing, Étude, cit., III, p. 179, n°650 = ILS 7315:
Herculi sacrum. / Sextus Aufidius Threp[t]us, / M(arcus) Octavius Carpus, /
cur(atores) / collegi Herculis salutaris, / chortis (!) primae sagario/rum
d(onum) d(e) s(uo) d(ant)1474.
2. CIL VI, 956 = Waltzing, Étude, cit., III, p. 195, n°719 (104 d.C.):
Imp(eratori) Caesari divi Nervae f(ilio) / Nervae Traiano Aug(usto),
Germ(anico), / Dac(ico), pont(ifici) max(imo), trib(unicia) pot(estate) VIII, /
imp(eratori) IIII, co(n)s(uli) V, p(atri) p(atriae), optumo principi, / sagari
t[hea]tri Marcell(i), / cultores dom(us) Aug(ustae)1475.
3. CIL VI, 7971: Loc(us) / L(uci) Sallyi / L(uci) l(iberti) / Nastai, / sagari. / In
fr(onte) p(edes) XII, / in agr(o) p(edes) XXI.
4. CIL VI, 9675 = ILS 7577: Hic siti sunt: / L(ucius) Arlenus L(uci) l(ibertus) /
Demetrius, / nat(ione) Cilix, / negotiat(or) sagar(ius), // Arlena L(uci) l(iberta)
Rufa, coniunx, // L(ucius) Arlenus L(uci) l(ibertus) / Artemidorus, / nat(ione)
Paphlago, / mercator sagarius. // Helenus et Nice liberti d(ederunt).
5. CIL VI, 9864: D(ecimus) Caecilius D(ecimi) l(ibertus) / Diadumenus, saga-
rius, / vivus fecit sibi et / Caeciliae Lucidae, uxori caris(imae) et / DD(ecimis)
Caecilis Severo et Paterno, fil(iis) dulcissim(is) / et libertis libertabusq(ue) suis
posterisq(ue) eorum.
6. CIL VI, 9865: Q(uintus) Caecilius / Spendo, sagarius, / fecit sibi et / Ceciliae
Cosmiae l(ibertae) Cognatae, coniugi / de se bene merita (!), Symphoro
l(iberto), Primo l(iberto), / Pisoni l(iberto), Diadumeno l(iberto), / Niceni
l(ibertae), Syntropho l(iberto), / Nicarcho l(iberto), Epaphrodito l(iberto), /
Philopatro l(iberto), Fortunato l(iberto), / Erasto l(iberto), / Alexandro
l(iberto), Agathoni l(iberto), / Nino l(iberto), Iucundo l(iberto), / Romanae

delle attestazioni epigrafiche dall’Italia romana da parte di M. Silvestrini in Grelle - Silvestrini,


Lane apule, cit., pp. 123-124 e in Vicari, Produzione, cit., p. 114.
1474 Il documento ha suscitato discussioni, concernenti in particolare il significato
dell’espressione curatores collegi Herculi salutaris cohortis primae sagariorum: contro
l’interpretazione dello Henzen, ripresa da Waltzing, Étude, cit., III, p. 179, n°650, secondo la
quale il collegium sagariorum di Roma aveva assunto il nome di collegium Herculis cohortis
primae perché aveva come divinità tutelare l’Ercole venerato della I coorte pretoria, credo si im-
ponga la soluzione avanzata da G. Gatti, Alcune osservazioni sugli orrei Galbani, «MDAI(R)», 1
(1886), pp. 72-77 e precisata, con diverse sfumature, da C. Hülsen nelle note a CIL VI, 30740;
30741; 30855; P. Romanelli, Horrea, «Diz. Ep.», III (1906), pp. 979-980; D. Vaglieri, Cohors,
«Diz. Ep.», II (1900), p. 338; G. Rickman, Roman Granaries and Store Buildings, Cambridge
1976, pp. 176-177; E. Rodríguez-Almeida, Cohortes III horreorum Galbianorum, «RPAA», 5 0
(1977-1978), pp. 9-25: tale interpretazione vede nelle tre cohortes altrettante parti dei magazzini
o meglio, come sostiene Rodríguez-Almeida, Cohortes, cit., pp. 18-21, i tre cortili in cui s i
trovavano le abitazioni del personale degli horrea; così in particolare questa partizione topo-
grafica si riflette nell’organizzazione in tre distinti gruppi dei lavoratori che operavano nei ma-
gazzini di Galba; cf. in questo senso anche Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 131-132, che
sottolinea la concentrazione di sagarii nella zona dell’emporio del Tevere, dalla quale proven-
gono anche le iscrizioni CIL VI, 9864, 9865 e 9866.
1475 Su questo documento vd. Loane, Industry and Commerce, cit., p. 132, che ipotizza che la
corporazione dei sagarii del teatro di Marcello volesse esprimere la propria gratitudine
all’imperatore per aver concesso loro l’appalto per le forniture di mantelli ai vigiles o alle coorti
di Ostia, teoria interessante, ma difficilmente verificabile.
436 Parte II. I documenti

l(ibertae), Urbico l(iberto), / Methen l(iberto), / libert(is) libertab(usque) poste-


risq(ue) eorum.
7. CIL VI, 9866: Q(uintus) Cornelius Q(uinti) l(ibertus) Antiph[o], / sagari(us),
/ Cornelia Q(uinti) f(ilia) Sabina, / Cornelia Q(uinti) l(iberta) Theodora.
8. CIL VI, 9867: Q(uintus) Co<r>nelius / Q(uinti) et ((mulieris)) l(ibertus)
Nicephor, / sagarius.
9. CIL VI, 9868: Q(uintus) Cornelius Q(uinti) l(ibertus) / Philomusus, sagarius
a theatro / Marcelli, fecit sibi et suis, / Corneliae Daphne, conlibertae suae, / et
Corneliae Nymphe, sorori eius, l(ibertae); / se vivo intulit / Corneliam
Proculam, filiam, ann(orum) VII, / Corneliam Helpidem, conlibertam, et /
Callitychen, matrem eorum, et / C(aium) Pinarium Gemellum.
10. CIL VI, 9869: Q(uintus) Cornelius Q(uinti) l(ibertus) / Menippus, sagarius,
/ fecit sibi et [libert]is / libertabusq(ue) suis / posterisq(ue) eorum1476.
11. CIL VI, 9870 = 37774: L(ucius) Salluius / L(uci) l(ibertus) Theuda, / sa-
gari(us), / L(ucius) Salluius L(uci) l(ibertus) Ascla, / L(ucius) Salluius L(uci)
l(ibertus) / Gatta. In fr(onte) p(edes) XII, / in agr(o) p(edes) XX.
12. CIL VI, 9871 = ILS 7585: L(ucius) Sal[l]uius L(uci) l(ibertus) / Suneros,
sag(arius) / de vico Liciniano, / [P]ompeia Cn(aei) l(iberta) / [He]done [---] / -
-----.
13. CIL VI, 9872: C(aio) Terentio C(ai) l(iberto) Pamphilo, / sagario post ae-
dem Castoris, / Calpurnia D(ecimi) l(ibertae) Salviae, / Mariae L(uci) f(iliae)
Rufae, / C(aius) Terentio C(ai) l(iberto) Rufioni, / Terentiae C(ai) l(ibertae)
Polini, / C(aius) Terentius C(ai) l(ibertus) Eros, his omnibus qui supra scripti /
sunt et sibi faciundum curavit.
14. CIL VI, 33906 = ILS 7584: A(ulus) Cornelius A(uli) l(ibertus) / Priscus, sa-
garius / de horreis Galbianis, / v(ivus) f(ecit) sibi et / Corneliae Dextri liber(tae)
/ Erotidi, coniugi suae, et / A(ulo) Cornelio A(uli) l(iberto) Romano, / conli-
berto suo, et / A(ulo) Cornelio A(uli) l(iberto) Corintho, / liberto suo, et / ceteris
libertis / libertabusque omnibus / suis posterisque eorum.
15. CIL VI, 37378: L(ucius) Salluius L(uci) l(ibertus) / Theuda, sagari(us), /
L(ucius) Salluius L(uci) l(ibertus) / Ascla, / L(ucius) Salluius L(uci) l(ibertus) /
Gatta. In fr(onte) p(edes) XII, / in agr(o) p(edes) XX.
16. CIL VI, 37402: Eros, sag(arius ?), / EGN V IIX / Fausta fec(it).
17. AE 1995, 228 da Roma: Sagari. / L(ucius) Salluvius L(uci) l(ibertus) /
Anteros, / L(ucius) Salluvius L(uci) l(ibertus) Phileros, / L(ucius) Salluvius
L(uci) l(ibertus) / Antioch[us]. // I(n) f(ronte) XIV, i(n) agr(o) XX.
18. CIL X, 8263 da Tarracina: A(ulus) Maian[ius H]ymni l(ibertus) / Phileros,
sagarius, / Maiania A(uli) l(iberta) G[r]ata, l(iberta), / A(ulus) Maianius
Pamphilus, l(ibertus), (in) f(ronte) p(edes) XII1477.
19. AE 1982, 173a = 1988, 292 da Capua (tra l’età sillana e quella cesariana):
P(ublius) Confuleius P(ubli) M(arci) l(ibertus) Sabbio, sagarius, / domum hanc

1476 Sulla pietra SACRARIVS, da correggere probabilmente in sagarius secondo il lemma di CIL
VI, 9869.
1477 Sulla pietra a l. 3 CI\ATA, secondo la trascrizione di CIL X, 8363, forse da correggere i n
Grata.
Parte II. I documenti 437

ab solo usque ad summum / fecit, arcitecto (!) T(ito) Safinio T(iti) f(ilio)
Fal(erna tribu) Pollione1478.
20. CIL IV, 753 = Waltzing, Étude, cit., III, p. 117, n°392 da Pompei: Gavium
Rufum / [---] sagari rog(ant).
21. CIL X, 1872 da Puteoli: M(arcus) Antonius Trophimus, / August(alis) Pu-
teol(i) et Neapoli, nego/tiator sagarius, sibi et Iulia Irene, con/iugi rarissimi
exempli, et Antoniae Iucun/dinae, f(iliae), libertis libertabusque suis posterisque
eorum / et Iuliae Euphemiae posterique eius.
22. AE 1978, 250, nella lettura proposta da F. Paulicelli, Un sagarius magister
Mercurialis Augustalis di Brindisi, «Taras», 6 (1986), pp. 123-128, da Brundi-
sium: Cn(aeus) Pomponius / [C]n(aei) l(ibertus) Amethus[tus], / sagarius,
mag(ister) M(ercurialis) / Aug(ustalis), v(ixit) a(nnos) LXII h(ic) [s(itus)]. /
Gerellana Peloris / v(ixit) a(nnos) LXXV uxor h(ic) [s(ita)]1479.
23. AE 1996, 450 da Luceria (I sec. d.C., forse nella prima metà del secolo):
P(ublius) Caelius P(ubli) l(ibertus) / Felix, sagar(ius), / Aug(ustalis), sibi et
Caeliae / Danae et suis. / In fr(onte) p(edes) XVI, / in agr(o) p(edes) XIV1480.
24. CIL IX, 2399 da Allifae: C(ai) Iuli C(ai) [---] / sagari [---?] / Iuliai G(ai)
l(ibertae) [---]1481.
25. AE 1947, 64 da Mevania: C(aius) Carpelanu(s) / C(ai) l(ibertus) Gratus, /
sagarius, / mag(ister) Val(etudinis).
26. AE 1945, 51 = AE 1982, 359, nella rilettura proposta da G. Susini, Osser-
vazioni a due iscrizioni romane di Bologna, «ASPR», n.s. 7 (1955-1956), pp.
333-335, cf. Id., Lapidario, cit., pp. 167-168, n°III da Bononia: [------] / A(uli)
l(ibertus) R[---] / Apronu[s vivus] / fecit sib[i] e[t] suis, / a l(imite) f(undi) in
f(rontem) p(edes) q(uadrati) X[.]. / M(arco) Helvacio M(arci) l(iberto) / Primo,
sagar(io).
27. G. Rossini, Le antiche iscrizioni romane di Faenza e dei Faventini, Faenza
1938, pp. 65-67, n°37 = G. Susini, Supplemento epigrafico faventino,
«StudRomagn», 9 (1958), pp. 183-184, n°7: [---]erto sagaris1482.

1478 L’iscrizione del sagarius P. Confuleius Sabbio, su mosaico, è stata rinvenuta nella domus
dello stesso Sabbio; il documento è stato pubblicato per la prilma volta da R. Palmieri, Varia
epigraphica, «Ottava Miscellanea Greca e Romana», Roma 1982, pp. 444-447, n°7, con gene-
rica datazione all’età repubblicana ed identificazione del sagarius con un venditore piuttosto
che con un artigiano. La domus e le sue iscrizioni sono state riesaminate da M. Pagano - J.
Rougetet, La casa del liberto P. Confuleius Sabbio a Capua e i suoi mosaici, «MEFRA», 9 9
(1987), pp. 753-765, che notano come la vasca e il pozzo rinvenuti presso la scala d’accesso alla
casa consentano di ipotizzare che Sabbio fosse anche fabbricante di saga; cf. anche per questa
ipotesi Vicari, Produzione, cit., p. 31-32.
1479 Paulicelli, Sagarius, cit., pp. 125-126, in cosiderazione del sacerdozio rivestito da Cn.
Pomponio Ametisto, ritiene preferibile identificare il personaggio con un commerciante. Per i l
nome della donna vd. H. Solin, Analecta epigraphica CXXX. Falsche und verkannte Namen,
«Arctos», 23 (1989), p. 215 (= AE 1990, 204). Si sofferma brevemente sull’iscrizione anche
Vicari, Produzione, cit., p. 26.
1480 M. Chelotti, Sugli assetti proprietari e produttivi in area daunia ed irpina: testimonia-
nanze epigrafiche, «Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane», IV, a
cura di M. Pani, Bari 1996, pp. 7-11, n°1: produttore e/o commerciante di saga.
1481 Sulla pietra ZAGARI, da correggere forse in sagari secondo il lemma di CIL IX, 2399.
438 Parte II. I documenti

28. CIL V, 5918 da Mediolanum: P. Albuci P(ubli) f(ili) Pa[---], / sag(ari ?),
avi ? [---], / item Albuci Sabini [---], / item Albuci Achil+[---] / ------ 1483.
29. CIL V, 5925 = ILS 7578 da Mediolanum: [D(is)] M(anibus). / [M(arco)
C]luvio / Tertullo, / negotiatori / sagario / ex Apulia1484.
30. CIL V, 5926 da Mediolanum: C(aius) Firmius C(ai) l(ibertus) / Flaccus, /
sagarius, / sibi et / Lychoridi l(ibertae), / Faustae l(ibertae), v(ivae), / Fido
l(iberto), v(ivo), / Nymphe l(ibertae), v(ivae), Auctae l(ibertae) v(ivae). / H(oc)
m(onumentum) h(eredem) n(on) s(equetur).
31. CIL V, 5928 = ILS 7580 da Mediolanum: P(ublio) Iulio / Macedoni, nego-
tiatori / sagar(io) et pell(ario), / P(ublius) Iulius Senna / lib(ertus)1485.
32. CIL V, 5929 = ILS 7579 = A. De Marchi, Le antiche epigrafi di Milano,
Milano 1917, pp. 27-29, n°25 = Sartori, Guida, cit., p. 94, n°C10 da Mediola-

1482 Frammento di incerta interpretazione, la cui pertinenza alla raccolta di testimonianze sui
sagarii non è del tutto sicura: certo il termine sagaris, che appare nell’iscrizione con I longa,
sembra essere la forma dativa plurale di sagarius; l’accuratezza dell’incisione (cf. l’immagine
pubblicata da Rossini, Antiche iscrizioni, cit., fig. 16, tra p. 68 e p. 69) e le dimensioni stesse
delle lettere, di circa 13 cm., ben si adatterebbero alla dedica di un edificio ad un’associazione
artigianale; il richiamo di Rossini, Antiche iscrizioni, cit., p. 66 e Susini, Supplemento epigra-
fico faventino, cit., p. 184 a Plin., Nat. Hist., XIX, 1, 9 sul pregiato lino di Faventia contrasta tut-
tavia col fatto che i saga erano generalmente pesanti mantelli di lana. Tra le ipotesi alternative
che potrebbero essere avanzate si ricorda che Sagaris può anche essere nome personale (cf. per
esempio le attestazioni urbane in Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, p. 645; Id.,
Sklavennamen, cit., II, p. 385), ma per il frammento faventino l’integrazione di tale nome in una
formula onomastica coerente e corretta appare problematico; né questo è il tipo di documento i n
cui ci attenderemmo di trovare un nome simile, diffuso specialmente nell’ambiente servile.
1483 L’integrazione sag(ari) avi è proposta in via ipotetica da CIL; ma vd. anche A. Abramenko,
Zu drei Inschriften lokaler Würdenträger aus Mediolanum, «ZPE», 104 (1994), pp. 91-92, n°3
(= AE 1994, 727), che suggerisce piuttosto lo scioglimento sac(erdotis), interpretando le lettere
AVI come l’inizio del nome della divinità o del luogo presso il quale Albucio aveva esercitato i l
suo sacerdozio, o, forse meglio, come pertinenti ad una seconda funzione sacerdotale rivestita
dal personaggio.
1484 G.E.F. Chilver, Cisalpine Gaule. Social and Economic History from 49 B.C. to the Death o f
Trajan, Oxford 1941, pp. 166-167 ritiene probabile che l’iscrizione sia prova d i
un’importazione della lana apula a Mediolanum, dove essa veniva lavorata; l’ipotesi è netta-
mente respinta da P.A. Brunt, Italian Manpower 225 B.C. - A.D. 14, Oxford 1971, p. 182, nota 6,
ma recuperata da Paulicelli, Sagarius, cit., p. 126 e da Chelotti, Sugli assetti proprietari, cit., p.
11, che rilevano come l’espressione ex Apulia possa indicare sia l’origine del negotiator saga-
rius, sia la zona nella quale egli comprava la lana. Cf. anche J.-P. Morel, La laine de Tarente (De
l’usage des textes anciens en histoire économique), «Ktema», 3 (1978), p. 106 e nota 48 (pp. 93-
110), che, convinto che la lana grezza potesse essere esportata anche a grande distanza per essere
lavorata, ritiene probabile che l’Apulia di CIL V, 5925 sia la parte settentrionale della regione
augustea. Vd. inoltre F. Grelle in Grelle - Silvestrini, Lane apule, cit., p. 99, nota 6, secondo i l
quale il documento attesta la presenza a Mediolanum di un mercante apulo che vendeva i pro-
dotti della sua regione di origine, e M. Silvestrini ibid., p. 116, la quale nota come l’indicazione
ax Apulia possa riferirsi sia all’area di origine del negotiator come alla zona di produzione dei
saga.
1485 Cf. Calderini, Arti e mestieri, cit., p. 524, seguito da E. Noé, La produzione tessile nella
Gallia Cisalpina in età romana, «RIL», 108 (1974), p. 929, nota 62, che lo ritiene proveniente
dalla Macedonia; assai più probabile, ovviamente, che Macedo sia semplicemente il cognome
del personaggio.
Parte II. I documenti 439

num: D(is) M(anibus), / perpetuae / securitati. / M(arco) Matutinio Maxim[o], /


negotiatori sagario, / civi Mediomatrico, / p(onendum) c(uravit) / M(arcus)
Matutinius / Marcus frater / et C(aius) Sanctinius Sanc[---]1486.
33. CIL V, 6773 = S. Roda, Iscrizioni latine di Vercelli, Torino 1985, pp. 170-
171, n°101 da Vercellae (fine I - II sec. d.C.): D(is) M(anibus) / Quinti /
Quar[ti], / sagari, / Quintia / Sextilia / coniug(i) / cari[ss]imo.
L’esame della documentazione raccolta pone immediatamente un primo
interrogativo, che investe direttamente anche il documento di Ricina in esame,
riguardo al ruolo rispettivamente svolto da negotiatores (e mercatores) sagarii
da un lato e sagarii nude dicti dall’altro. Senza dubbio non si può accettare una
schematica identificazione dei primi con i venditori di saga e dei secondi con gli
artigiani che confezionavano gli indumenti; il caso stesso di Q. Lucilio Carino è
illuminante a questo proposito: come si è visto, il gentilizio del personaggio è
ben attestato a Mediolanum, città nella quale egli fu anche seviro, è dunque evi-
dente che la principale base d’affari di Carino si trovava nella città della Cisal-
pina e che a Ricina lo avevano condotto i suoi rapporti commerciali con la re-
gio V1487, rapporti che, sia detto per inciso, dovevano essere intensi e conti-
nuati se il sagarius provvide ad un’area sepolcrale per sé e per l’amicus Q.
Sulpicio Celado nella cittadina del Piceno. La probabile presenza di
un’associazione di sagarii negli horrea di Galba (n°1) e l’attestazione di un sa-
garius de horreis Galbianis (n°14) potrebbero essere interpretate nel medesimo
senso suggerito dall’epigrafe di Ricina. Se una distinzione deve essere operata tra
negotiatores sagarii e semplici sagarii, credo piuttosto che nei primi si debbano
riconoscere importatori e grossisti di indumenti, nei secondi prevalentemente,
ma non esclusivamente, commercianti al dettaglio e artigiani che,
all’occorrenza, potevano vendere i saga che essi stessi confezionavano1488: la
domus di P. Confuleio Sabbione rinvenuta a Capua potrebbe essere stata al con-
tempo abitazione, bottega di vendita, ma anche laboratorio artigianale di questo
sagarius, come potrebbe dimostrare il ritrovamento, in uno degli ambienti della
domus, di una vasca che forse era usata per la tintura dei mantelli (n°19). Nel
caso specifico di Q. Lucilio Carino rimane aperto l’interrogativo se il commer-
ciante si trovasse a Ricina per acquistare lana grezza o tessuti1489 con i quali i

1486 Cf. Schlippschuh, Händler, cit., p. 50.


1487 Questa è l’interpretazione ritenuta più verosimile anche da Calderini, Arti e mestieri, cit.,
pp. 524-525, nota 4.
1488 Una posizione sostanzialmente simile a quella sostenuta nel testo si trova in Frayn, Sheep-
Rearing, cit., p. 153. Vd. tuttavia anche Blümner, Technologie, cit., I, p. 208, il quale sostiene che
nella maggior parte dei casi i sagarii nominati nelle iscrizioni erano venditori e non fabbricanti
di indumenti. Vicari, Produzione, cit., p. 7 ritiene piuttosto che i sagarii fossero certamente i
venditori (e forse anche i produttori) di mantelli di lana in genere, e non dei soli saga; cf. anche
per quest’ultima ipotesi ibid., p. 75.
1489 L’allevamento degli ovini nel Piceno, sebbene nella nostra documentazione abbia lasciato
solamente labili tracce (cf. supra, p. 47; vd. inoltre l’iscrizione Falerio 7, che ci attesta l’esisten-
za di un forum pecuarium), pare una realtà indubitabile, anche solo in considerazione delle ca-
ratteristiche geo-morfologiche del territorio e dell’importanza che questo settore ebbe nelle zone
corrispondenti all’antica regio V fino alle soglie dell’età contemporanea.
440 Parte II. I documenti

laboratori di Mediolanum avrebbero confezionato i saga, oppure se egli ven-


desse nel Piceno i mantelli di fabbricazione milanese; si può comunque notare
come l’una ipotesi non escluda in senso assoluto l’altra.
Per quanto concerne la condizione sociale dei sagarii, a Roma prevalgono
in modo assoluto i liberti: sono tali infatti L. Sallyius L. l. Nasta (n°3), D.
Caecilius D. l. Diadumenus (n°5), Q. Cornelius Q. l. Antipho (n°7), Q.
Cornelius Q. et ((mulieris)) l. Nicephor (n°8), Q. Cornelius Q. l. Philomusus
(n°9), Q. Cornelius Q. l. Menippus (n°10), L. Salluius L. l. Theuda (n°11), L.
Salluius L. l. Suneros (n°12), C. Terentius C. l. Pamphilus (n°13), A. Cornelius
A. l. Priscus (n°14) e i tre liberti di un L. Salluius il cui epitafio è ricordato al
n°17; schiavo era forse Eros, ricordato nel documento n°16, se veramente que-
sti esercitava la professione di sagarius; di incerta condizione Q. Caecilius
Spendo (n°6). Almeno per quanto concerne la documentazione urbana la condi-
zione dei negotiatores sagarii non sembra differire da quella dei sagarii nude
dicti: schiavi affrancati erano infatti anche i due commercianti L. Arleno
Demetrio e L. Arleno Artemidoro ricordati nell’epitafio n°3.
La situazione non cambia di molto al di fuori di Roma: a parte il caso
dell’ingenuo P. Albucius P. f. Pa[---], ricordato nella lacunosa iscrizione n°28,
nella quale l’attestazione del mestiere è assai incerta, sono ex schiavi A.
Maianius Hymni l. Phileros di Tarracina (n°18), P. Confuleius P. et M. l.
Sabbio da Capua (n°19), Cn. Pomponius Cn. l. Amethustus da Brundisium
(n°22), P. Caelius P. l. Felix da Luceria (n°23), C. Carpelanus C. l. Gratus da
Mevania (n°25), M. Helvacius M. l. Primus da Bononia (n°26), C. Firmius C. l.
Flaccus da Mediolanum (n°30). Un poco più numerosi sono però i casi in cui la
condizione sociale del personaggio non viene esplicitata con l’indicazione del
patronimico o del patronato (n°21; 24; 29; 31; 32; 33); si noti l’addensarsi di
queste testimonianze incerte nella documentazione della Transpadana e di Me-
diolanum in particolare ed il fatto che in ben quattro esempi su sei ci troviamo
di fronte a negotiatores sagarii (nn. 21; 29; 31; 32): non escluderei dunque che
almeno alcune di queste testimonianze riguardino personaggi di nascita ingenua.
Il modesto statuto giuridico della maggior parte dei sagarii non impedì
loro in qualche caso di conseguire almeno una discreta fortuna economica e una
certa considerazione sociale, che trovano riflesso da un lato nell’apprestamento
di aree sepolcrali, di cui talvolta si forniscono le misure (nn. 3; 11; 15; 17; 18;
26), destinate ad ospitare numerosi congiunti, colliberti o liberti, sia che questi
siano nominati esplicitamente nell’epitafio (cf. particolarmente i nn. 6; 9; 14;
30), sia che vengano indirettamente ricordati con formule del tipo libertis li-
bertabusque posterique eorum (nn. 5; 10; 14); dall’altro lato dal fatto che i sa-
garii dell’Italia romana spesso giunsero a rivestire quei sacerdozi che rappresen-
tavano il massimo traguardo conseguibile per persone provenienti dal loro am-
biente sociale (n°21: Augustalis Puteoli et Neapoli; n°22: magister Mercurialis
Augustalis a Brundisium; n°23: Augustalis a Luceria; n°25: magister Valetudinis
a Mevania; lo stesso sevirato rivestito a Mediolanum da Q. Lucilio Carino).
Quanto alla distribuzione geografica delle testimonianze, non sorprende la
forte incidenza della documentazione proveniente da Roma (nn. 1-17): piutto-
sto colpisce il ricorrere tra i sagarii dell’Urbe di liberti che presentano i mede-
simi gentilizi e, talvolta, anche i medesimi prenomina: Caecilii (nn. 5-6), Q. e
Parte II. I documenti 441

A. Cornelii (vd. rispettivamente i nn. 7-10 e il n°14), L. Salluii (nn. 3; 11-12;


15, che è un secondo esemplare del cippo che delimitava l’area sepolcrale regi-
strato al n°11; 17). La circostanza potrebbe indicare come, almeno in un primo
momento, il commercio dei mantelli nell’Urbe fosse in buona parte nelle mani
di poche famiglie. In assenza di prove precise non si può tuttavia escludere che i
sagarii di condizione libertina delle iscrizioni di Roma, avviati al mestiere
quando ancora erano schiavi, possano aver intrapreso un’attività indipendente
da quella dei loro ex padroni, una volta affrancati.
Al di fuori di Roma è notevole la concentrazione delle testimonianze epi-
grafiche a Mediolanum (nn. 28-32)1490, che trova tra l’altro conferma nella
documentazione iconografica1491 e in un passo della Notitia Dignitatum, se-
condo il quale Milano era sede di una fabbrica imperiale di stoffe di lana in età
tardoantica1492. Evidentemente la città era un luogo importante per la produ-
zione e la commercializzazione di saga, un punto di riferimento in grado di
esercitare la sua attrazione ben oltre i confini municipali, come indubbiamente
attesta la presenza di un negotiator sagarius ex Apulia (n°29) e di un altro
commerciante giunto dal paese dei Mediomatrici (n°31), anche se le attività
specifiche svolte da questi sagarii stranieri a Milano sono ancora oggetto di di-
scussione.
La tomba di Q. Lucilio Carino a Ricina accolse anche le spoglie
dell’amicus del commerciante di saga, Q. Sulpicio Celado. Il gentilizio
Sulpicius, che pure in genere è ben diffuso, non sembra essere altrimenti atte-
stato nella regio V, se non ad Hadria su instrumentum1493. Nell’epigrafia di Me-
diolanum si rintracciano invece diversi personaggi con questo nomen, alcuni dei
quali portano anche il prenome Quintus1494. Il cognome grecanico Celadus ri-
torna invece in una frammentaria iscrizione di Cupra Maritima1495 e in un’epi-

1490 Sui sagarii e, in genere, la manifattura tessile a Mediolanum vd. Calderini, Arti e mestieri,
cit., pp. 523-526; Chilver, Cisalpine Gaul, cit., pp. 166-167; Noé, Produzione tessile, cit., pp.
929-930; Vicari, Produzione, cit., pp. 43-44 e, brevemente, Id., Economia della Cispadana, cit.,
pp. 247; 251; in tutti questi studi si troveranno brevi accenni all’iscrizione ricinense di Q.
Lucilio Carino.
1491 Cf. Calderini, Arti e mestieri, cit., p. 524; A. De Marchi, Le antiche epigrafi di Milano, Mi-
lano 1917, pp. 130-131 e fig. 9; Noé, Produzione tessile, cit., p. 929, nota 62.
1492 Not. dign. occ., 11, 50 che ci attesta l’esistenza di un procurator gynaecii Mediolanensis;
cf. Noé, Produzione tessile, cit., p. 929, nota 62.
1493 CIL IX, 6083, 143.
1494 Vd., senza pretesa di completezza, CIL V, 5602: Sulpicia Sollionis f. Secunda (dall’ager
Mediolanensis); 5876: Sulpicia P. f. Sabina; 5897: Q. Sulpicius [---]; 6091 = Sartori, Guida,
cit., p. 104, n°C20: Sulpicia Quarta; 6100: M. Sulpicius M. l. Acceptus, il patrono M. Sulpicius
Acastus e i di lui colliberti (M. Sulpicius) Eros e (M. Sulpicius) Cinnamus; 6101: P. Sulpicius
Exomnus; 6102: Cn. Sulpicius Cn. f. Paris e il suo liberto Cn. Sulpicius Cn. l. Diquadratus;
6103 = U. Tocchetti Pollini, Stele funerarie romane con ritratti dai municipia di Mediolanum e
e Comum, Milano 1990 (Corpus Signorum Imperii Romani. Italia - Regio XI. Mediolanum - Co-
mum. Fasc. II), pp. 93-94, n°41: L. Sulpicius Cn. f. Severus e il padre Cn. Sulpicius Lucco.
1495 CIL IX, 5317.
442 Parte II. I documenti

grafe da Firmum, nella forma Celladus1496, mentre non mi pare attestato nella
documentazione milanese1497.
Le relazioni di amicitia, quale quella che esisteva tra Carino e Celado,
sono bene attestate soprattutto nella documentazione epigrafica della Cisalpina
e in particolare di Mediolanum, località d’origine di Carino, ma non sono co-
munque ignote nella regio V1498. Le recenti analisi del fenomeno dell’amicitia,
così come è documentato in particolare dalle iscrizioni latine1499, ne hanno ri-
velato, dietro la cifra connotante della reciprocità tra gli amici, il carattere
multiforme, sia per quanto concerne le motivazioni che portano alla creazione
del rapporto, sia per quanto riguarda gli obblighi che esso instaura tra le parti.
L’impegno ad assicurare una degna sepoltura all’amicus, che è l’unico aspetto
esplicito in cui si sostanzia l’amicitia tra Carino e Celado, è particolarmente
evidente per i caratteri stessi della nostra documentazione, costituita in larga
misura da epigrafi sepolcrali1500; ma è improbabile che la relazione di amicitia
testimoniata dall’iscrizione di Ricina, come del resto quelle note da altri docu-
menti di tenore simile, si esaurisse nelle sole cure funebri1501.

1496 CIL IX, 5371.


1497 Per la documentazione urbana vd. i numerosi esempi di questo cognome registrati da Solin,
Die griechischen Personennamen, cit., II, pp. 1128-1129; III, p. 1363.
1498 Cf. per esempio CIL IX, 5850 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 63, n°17 da
Auximum, epitafio da L. Praesentius L. l. Aprio all’amicus L. Praesentius L. l. Florus; CIL IX,
5557 = CIL I2, 1924 = ILLRP 974 da Urbs Salvia, iscrizione sepolcrale di [C. Tu]rpidius P. f.
Hor., che fu gaudium amiceis.
1499 Vd. da ultimo J.M. Serrano Delgado, La aportación de la epigrafia para el conocimiento de
la amicitia - relación de dependencia en el alto Imperio, «Habis», 18-19 (1987-1988), pp. 345-
364; Id., La aparición de listas de amici en las inscripciones latinas, «Actas del I Coloquio de
Historia Antigua de Andalucia. Cordoba 1988», a cura di J.F. Rodriguez Neila, Cordoba 1993,
II, pp. 33-40 (cf. anche, del medesimo studioso, Documentos adicionales relativos a la amicitia,
«Habis», 20 (1989), pp. 175-183, incentrato essenzialmente sulla documentazione letteraria e
giuridica); M.H. Gallego Franco, Los términos epigráficos amicus/a y hospes como indicadores
de dependencia en el ámbito social de la mujer hispanorromana, «HAnt», 19 (1995), pp. 205-
216; M. Reali, Amicitia militum: un rapporto non gerarchico?, «La hiérarchie (Rangordnung)
de l’armée romaine sous le Haut-Empire», a cura di Y. Le Bohec, Paris 1995, pp. 33-37; Id.,
Specificità, cit., pp. 205-210 e soprattutto, dello stesso autore, la monografia Il contributo
dell’epigrafia latina allo studio dell’“amicitia": il caso della Cisalpina, Firenze 1997 (con gli
addenda di Id., Supplementum amicorum, «Epigraphica», 64 (2002), pp. 232-244); M.L. Caldelli,
Amicus/-a nelle iscrizioni di Roma: l’apporto dell’epigrafia al chiarimento di un sentimento
sociale, «Aspects of Friendship in the Graeco-Roman World. Proceedings of a Conference held
at the Seminar für Alte Geschichte, Heidelberg, on 10-11 June, 2000», a cura di M. Peachin,
Portsmouth (R.I.) 2001, pp. 21-29; G.L. Gregori, Amici brixiani, ibid., pp. 31-40. Da questi
contributi si potrà agevolmente risalire alla bibliografia anteriore sul fenomeno dell’amicitia i n
genere, che ha appuntato la sua attenzione in particolare sui dati emergenti dalle fonti letterarie.
Del concetto di amicitia nell’epistolario ciceroniano ha trattato recentemente S. Citroni
Marchetti, Amicizia e potere nelle lettere di Cicerone e nelle elegie ovidiane dall’esilio, Firenze
2000, pp. 3-99.
1500 Serrano Delgado, Aportación, cit., p. 361; Id., Documentos, cit., pp. 180-181; Caldelli, Ami-
cus, cit., p. 23; Gregori, Amici brixiani, cit., pp. 32-33.
1501 Cf., exempli gratia, AE 1996, 416 da Puteoli: D(is) M(anibus). / M(arco) Claudio
Trypho/ni, Augustali dupli/ciario, negotiato/ri vasculario ar/gentario, et Marie Quartae,
Parte II. I documenti 443

Tra i motivi sottesi alla relazione di amicitia non sono da sottovalutare i


rapporti di carattere economico, come hanno avuto il merito di chiarire J.
D’Arms e A. Kirschenbaum1502: tra i documenti richiamati dai due studiosi si
possono ricordare i passi dell’epistolario in cui Cicerone mostra come si potesse
ricorrere agli amici per ottenere in prestito somme di denaro1503, o la lettera
nella quale Plinio il Giovane ringrazia un tal Plinio Paterno che aveva acqui-
stato per suo conto alcuni schiavi, se, come pare probabile, Paterno faceva
parte della schiera degli amici del senatore di Como1504.
Alla luce di questi passi acquistano rilievo anche le menzioni di amicitia in
iscrizione relative a commercianti, come il celebre epitafio metrico del mer-
canti di pelli L. Nerusius Mithres da Forum Novum, in Sabina, che tra le altre sue
virtù, principalmente inerenti la sua vita professionale, ricorda l’esser stato
sempre affabile con gli amici1505; o ancora l’amara iscrizione funebre di L.
Licinius Nepos da Roma, che si augurava di arricchirsi coi suoi negotia ma venne
deluso nelle sue speranze, così come venne deluso dai suoi amici1506.

uxori eius, / M(anius) Mummeius Eua/thlus, amicus et / heres Claudi / Tryphonis; CIL V, 5932
da Mediolanum: T(iti) Ponti / Maioris, / negotiatoris / lentiari et / castr[e]nsiari, / Maria Iusti
/ Iacci fil(ia), / coniunx, marit(o) / incompar(abili), / et Gratus / Geminae fil(ius), / amic(us); CIL
XIII, 1996 = ILS 7031: D(is) M(anibus) / L(uci) Hilariani Cinna/mi, civis Lug(dunensis), naute /
Rhodanico Rhodano navigantis, / curatoris eiusdem / corporis, negotiato/ris [ole]ari.
Q(uintus) Maspe/tius Severianus, s[o]cer eius, et Cl(audius) Severi[a]/nus, amicus, idemqu[e] /
heredes p(onendum) c(uraverunt) et sub / [as]cia dedicaverun[t]. Per altri rapporti di amicitia
sviluppatisi in un contesto di attività lavorative vd., a Roma, Caldelli, Amicus, cit., p. 24, a Bri-
xia Gregori, Amici brixiani, cit., p. 32.
1502 D’Arms, Commerce, cit., pp. 43; 145-146; 154-155; 165-166; A. Kirschenbaum, Sons, Sla-
ves and Freedmen in Roman Commerce, Jerusalem - Washington 1987, pp. 163-193. Per le impli-
cazioni giuridiche del concetto vd. da ultimo D. Nörr, Mandatum, fides, amicitia, «Mandatum
und Verwandtes. Beiträge zum römischen und modernen Recht», a cura di D. Nörr - S. Nishimura,
Berlin - Heidelberg 1993, pp. 13-37.
1503 Cic., Att., I, 6: Cicerone spiega ad Attico il suo interesse per il recente acquisto da parte d i
Messalla di una casa costatagli 3.300.000 sesterzi: Tantum quod ea emptione et nos bene emisse
iudicati sumus et homines intellegere coeperunt licere amicorum facultatibus in emendo ad di-
gnitatem aliquam pervenire; cf. Fam., XIV, 1, 5: da Dyrrachium Cicerone tenta di rassicurare la
moglie Terenzia a proposito delle loro difficoltà finanziarie, scrivendole si erunt in officio
amici, pecunia non derit.
1504 Plin., Ep., I, 21; in questa lettera Plinio Paterno non ha alcun epiteto, ma è verosimile la sua
identificazione con un Paternus, altrimenti attestato nell’epistolario pliniano, che viene esplici-
tamente definito amicus a VIII, 16, 5, cf. Sherwin-White, Letters of Pliny, cit., p. 135.
1505 CIL IX, 4796 = ILS 7542: Notus in urbe sacra vendenda pelle caprina, / exhibui merces
popularibus usibus aptas, / rara fides cuius laudata est semper ubique. / Vita veata (!) fuit,
struxi mihi marmora, feci / secure, solvi semper fiscalia manceps, / in cunctis simplex contrac-
tibus, omnibus aequus / ut potui, nec non subveni saepe petenti, / semper honorificus, semper
communis amicis … .
1506 CIL VI, 9659 cf. 33814 = ILS 7519: ll. 1-8: L(ucius) Licinius / M(arci) f(ilius) Pol(lia tribu)
Nepos, / cuius de vita merito / pote nemo queri. / Qui negotiando locupletem / se speravit esse
futurum; / spe deceptus erat et a multis, bene meritus, amicis. Si noti che nell’epitafio di Nepote
ritorna anche il motivo, più consueto nei rapporti di amicitia testimonianti da iscrizioni, delle
cure funebri per gli amici, cf. ll. 22-30: Qui vivos / multis in futurum su<p>rem/a hospitia do-
navit amicis; / cuius in hospitio requiesc[e]/nt multis gratis, / et amicis; quos roga/t ut, quod
eis superat, suis / donent gratis, ne vendan/t. Un’analisi delle relazioni di amicitia che legano
444 Parte II. I documenti

Dietro l’amicitia tra Q. Lucilio Carino e Q. Sulpicio Celado credo sia dun-
que legittimo intravedere una consuetudine nata o almeno consolidatasi nei ne-
gotia. Il rispettivo ruolo eventualmente svolto dai due personaggi nel commer-
cio di saga tra Mediolanum e il Piceno naturalmente ci sfugge: sarebbe sugge-
stivo vedere in Celado un socio d’affari o una sorta di agente commerciale rici-
nense di Carino1507, ma l’ipotesi, oltre che viziata da un’attualizzazione dei
rapporti economici tra i due, non trova, almeno per il momento, sostegno nella
prosopografia della regio V, nella quale il gentilizio Sulpicius non risulta ancora
attestato. Mi sembra piuttosto interessante notare come a Mediolanum un rap-
porto di amicitia tra Sulpicii e Lucilii sia testimoniato dall’epitafio CIL V,
6100, posto da vivo da M. Sulpicius M. l. Acceptus per sé, per il patrono M.
Sulpicius Acastus e i suoi colliberti Eros e Cinnamus, e infine per l’amicus C.
Lucilius Florus. La diversità dei prenomi non consente di stabilire un rapporto
sicuro tra i personaggi testimoniati dall’epigrafe di Milano e quelli noti dall’i-
scrizione di Ricina, tuttavia il documento invita a considerare la possibilità che
Carino e Celado fossero entrambi mediolanensi impegnati nel commercio dei
tessili e che si siano trovati in qualche modo a collaborare nel Piceno.
Per concludere si deve rilevare come l’iscrizione di Q. Lucilio Carino ci
restituisca una delle rare indicazioni delle misure dell’area sepolcrale note a
Ricina1508.
Immagine: Tav. LIV.

persone che ricordano la propria occupazione nell’epigrafia di Mediolanum in Reali, Specificità,


cit., p. 208.
1507 Ad un’origine da Ricina di Celado sembra credere Reali, Specificità, cit., p. 209, affermando
che per i due seviri di Mediolanum noti da iscrizioni non milanesi (oltre a Q. Lucilio Carino, P.
Bodius Iuventus, noto dall’iscrizione bresciana Suppl. It., n.s. 8, pp. 209-210, n°5) il trovare nei
luoghi ove si erano trasferiti degli amici era il migliore antidoto contro ogni forma di emargina-
zione.
1508 Vd. il frammento CIL IX, 5790 e quello edito da G. Paci in Mercando - Bacchielli - Paci,
Prime scoperte, cit., p. 46 (= AE 1985, 356).
Parte II. I documenti 445

Ricina 2

Edizione di riferimento: CIL IX, 5754.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, cit., III, p. 420, n°1609; Cecchi -
Mozzicafreddo, Helvia Ricina, cit., p. 198.
Bibliografia: Royden, Magistrates, cit., pp. 205; 215, n°323; Delplace, Ro-
manisation, cit., p. 80.
Luogo di ritrovamento: nessuna indicazione ci viene dalla tradizione regi-
strata dal CIL.
Luogo di conservazione: Macerata, murata all’angolo destro del cortile di
Palazzo Compagnoni - Floriani, in via Crescinbeni 5 (autopsia maggio 2001 e
maggio 2002)1509.
Tipo di supporto: lastra in pietra locale. Lo specchio epigrafico è delimitato da
una cornice modanata.
Collegio: collegium fabrum.
Datazione: in base agli elementi del formulario e soprattuto alla tipologia del
supporto e alla paleografia, che mostrano punti di contatto con CIL IX, 5746
(cf. Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 152, fig. 41), il testo
dovrebbe inquadrarsi nella prima metà del II sec. d.C.
Testo: T(itus) Publ(lilius) Long/us [p]ater, An/nia Publ(ilia) mater, / C(aio)
Publilio Long(o), coll(egi) fabr(um) mag(istro), filio / cariss(imo) faciend(um)
c[u]r(averunt).
l. 1: [ - Publilius] Long[in]/us CIL; [T. Publilius] Long[in]us Cecchi -
Mozzicafreddo.
l. 2: [pa]ter CIL, Cecchi - Mozzicafreddo.
l. 3: Publ[---] CIL; Publ[ilia] Cecchi - Mozzicafreddo.
l. 6: faciund(um) CIL, Cecchi - Mozzicafreddo.
Interpunzione a coda di rondine con vertice verso destra, utilizzata con regola-
rità per dividere le parole, tranne che in termine di riga, a l. 2 tra [p]ater e
An/nia e, apparentemente, a l. 4 tra C(aio) e Publilio (ma in questo punto la
superficie iscritta è consunta). Tracce delle linee di guida.
Commento
L’iscrizione, la cui autopsia ha rivelato alcune divergenze rispetto
all’edizione del CIL, ci conserva una dedica, non sappiamo se di carattere ono-
rario o piuttosto funebre, al magister del collegio dei fabbri di Ricina C. Publilio
Longo da parte dei genitori T. Publilio Longo e Annia Publilia.
Il magister ed il padre portavano un gentilizio, Publilius, che sembra al-
trimenti sconosciuto nella regio V. L’onorato ereditò dal padre anche il co-
gnomen: in tal modo sarebbe spiegabile l’indicazione del cognome stesso in

1509 Ho potuto rintracciare l’epigrafe grazie alla cortese segnalazione di Gianfranco Paci. Al
tempo della redazione di Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 470, nota 5 l’iscrizione veniva
ancora data per perduta; ma vd. ora Id., Alcuni aspetti del collezionismo aniquario nel Macera-
tese, «Istituzioni Culturali nel Maceratese. Atti del XXXIV Convegno di Studi Maceratesi. Ab-
badia di Fiastra (Tolentino) 7-8 Dicembre 1998», Pollenza 2000, p. 71.
446 Parte II. I documenti

forma abbreviata, fenomeno non del tutto consueto. Il pur comune Longus è qui
attestato per la prima volta nel Piceno.
Il gentilizio della madre di Publilio Longo, Annius, è invece ben noto nella
valle del Potenza, con attestazioni nella stessa Ricina, dove conosciamo
l’epitafio posto da un tale Ephyres ai genitori C. Annius C. l. Zopyrus e Annia
C. l. Felicis e al patrono C. Annius Saturninus1510, e inoltre a Septempeda1511 e
a Potentia1512; nel resto del Piceno lo ritroviamo ad Ancona1513, a Cluana1514,
a Falerio per un magistrato locale1515, e infine ad Urbs Salvia1516. Le possibili
integrazioni del cognome della donna rimandano a Publiana, Publica, Publilla,
Publiosa1517, nessuno dei quali pare essere finora attestato nel Piceno né, del
resto, sembra frequente nella documentazione epigrafica del mondo romano in
genere. Qualche perplessità viene dal fatto che il cognome della donna sembra
replicare il gentilizio del marito e del figlio1518.
C. Publilio Longo rivestì la carica di magister del collegio dei fabri di Ri-
cina1519. Rimandando a quanto già si è scritto a proposito di questa associazione
professionale1520 e riguardo l’ufficio del presidente dei collegia1521 si può notare

1510 CIL IX, 5759, ripresa da G. Paci in Gasperini, et alii, Lapidario, cit., pp. 74-75, n°6 con
nuova lettura del nome del dedicante, che era Ephyris in CIL.
1511 Suppl. It., n.s. 13, p. 215, n°4 = Marengo, Note epigrafiche settempedane, cit., pp. 151-160,
n°1 (= AE 1985, 348): Q. Annius ((mulieris)) l. Acastus, VI vir, Annia ((mulieris)) l. Cha[---], Q.
Annius Q. [l. vel f. ---]; Suppl. It., n.s. 13, pp. 212-213, n°1 = CIL IX, 5574 + CIL IX, 5632 + CIL
IX, 5633: An(nius) Camurenus.
1512 CIL IX, 5813, riesaminata da S.M. Marengo, Ancora sull’epitafio di Annio in casa
Leopardi, «Picus», 9 (1989), pp. 165-174 (= AE 1992, 536): T. Annius Expectatus.
1513 CIL IX, 5910: P. Annius Severus e la figlia Annia Severa.
1514 Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 42, n°3 (= AE 1990, 305): [-] Annius [---].
1515 CIL IX, 5443: Q. Annius C. f. Vel. Tiro, aedilis, II vir quinquennalis.
1516 CIL IX, 5588: [Q.] Annius [A]nteros e [Q.] Annius Q. [l.] Hermophilus. Cf. anche CIL IX,
5538, ripresa da G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp. 71-72: L. Annius L. l. Capriolus,
IIII vir e la moglie e colliberta Annia ((mulieris)) l. Antiochis; l’iscrizione è attribuita a Ricina da
Marengo, Note epigrafiche settempedane, cit., p. 155, nota 52, per un semplice lapsus; Ead.,
Quattuorviri a Urbs Salvia: un problema aperto, «Picus», 10 (1990), pp. 204-207 che corretta-
mente inquadra l’iscrizione di L. Annio Capriolo nel dibattuto problema del quattuorvirato d i
Urbs Salvia. Il lemma di CIL IX, 5538 registra come luogo in cui l’iscrizione era originariamente
conservata l’abbazia di Fiastra, da qui il documento passò a palazzo Compagnoni, a Macerata, e
poi nel lapidario del Palazzo Comunale della città, ove tuttora si trova.
1517 Publiana: Kajanto, Latin cognomina, cit., pp. 153; 174; Publica: Solin - Salomies, Reper-
torium, cit., p. 386; Publilla: Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 153; Publiosa: ibid., p. 174.
Sulla pietra, secondo la trascrizione del CIL, dopo PVB si trova un’asta verticale che potrebbe
corrispondere a diverse lettere, tuttavia la sola L sembra dare una sequenza attestata per un nome
romano, cf. indici di CIL IX, pp. 705; 742 dove il cognome della donna viene registrato nella
forma Publ...; vd. tuttavia Waltzing, Étude, cit., III, p. 420, n°1608 e Royden, Magistrates, cit., p.
215, che parlano di un Annia Pubi… .
1518 In effetti T. Mommsen notò sulla pietra il supplemento moderno PVBLILIA, che non accolse
nella sua edizione, al pari dell’integrazione T. PVBL all’inizio di l. 1.
1519 Royden, Magistrates, cit., pp. 205; 215, n°323; Delplace, Romanisation, cit., p. 75, nt. 237;
p. 81.
1520 Vd. supra, pp. 240-244.
Parte II. I documenti 447

come il personaggio fosse senza dubbio di condizione libera, come mostrano i


tria nomina; resta incerto se si trattasse di un ingenuo1522 o di un liberto, af-
francato insieme al padre; quest’ultima ipotesi, sebbene non possa essere scar-
tata, sembra tutto sommato meno probabile, in considerazione della scarsa dif-
fusione del cognomen Longus tra i personaggi di nascita servile1523.
Si può infine notare come l’epiteto di carissimus, col quale Publilio Longo
e Annia Publilia si rivolgono al Publilio Longo iunior, non è quello che più
frequentemente sembra definire il rapporto tra genitori e figli, in confronto a
bene merens, pientissimus e soprattutto dulcissimus, almeno secondo le ricer-
che condotte da H. Sigismund Nielsen su di un campione di iscrizioni funerarie di
Roma1524.
Immagine: Tav. LV.

1521 Vd. supra, p. 354.


1522 Come ritiene probabile Royden, Magistrates, cit., pp. 205; 215, n°323.
1523 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 230; Solin, Sklavennamen, cit., I, p. 46.
1524 Cf. H. Sigismund Nielsen, Interpreting Epithets in Roman Epitaphs, «The Roman Family i n
Italy. Status, Sentiment, Space», a cura di B. Rawson - P. Weaver, Oxford - Camberra 1997, tabella
a p. 178 ed esame comparativo dei dati riguardanti gli epiteti carissimus e dulcissimus a pp.
185-193; cf. anche Deshaye, Épithètes, cit., pp. 60-61.
448 Parte II. I documenti

Ricina 3

Edizione di riferimento: C. Di Giacomo, Iscrizioni latine del museo civico di


Macerata, «Scritti storico-epigrafici in memoria di Marcello Zambelli», a cura
di L. Gasperini, Roma 1978, pp. 108-110, n°4 (= AE 1981, 307).
Altre edizioni: Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., p. 63, n°75.
Bibliografia: Abramenko, Mittelschicht, cit., pp. 138; 148; Delplace, Romani-
sation, cit., p. 75, nota 237; p. 80 e nota 304; p. 81 e nota 312; pp. 231; 232 e
nota 11; p. 233 e nota 32.
Luogo di ritrovamento: l’esatto luogo di ritrovamento dell’iscrizione non è
noto1525.
Luogo di conservazione: Macerata, magazzini del Museo Civico in via Crispi,
come ho avuto modo di constatare nell’autopsia nell’ottobre 2002, su cortese
segnalazione del dott. D. Micozzi, che qui ringrazio.
Tipo di supporto: base o cippo in marmo bianco, frammentato su tutti i lati,
ad eccezione di quello destro1526.
Elementi iconografici: sulla faccia opposta a quella iscritta ed in posizione
capovolta, a sottolineare il reimpiego funzionale del pezzo, si ritrova il rilievo
di semplice fattura con l’immagine di una donna con in braccio un bambino,
nella quale si deve probabilmente riconoscere il notissimo tema della Madonna
con Bambino.
Collegio: collegium fabrum.
Datazione: in base agli elementi paleografici Di Giacomo suggerisce una data-
zione generica al I-II sec. d.C.1527 Dando per assodato che l’iscrizione nomini
un collegium fabrum e considerando il periodo di maggior fioritura della docu-
mentazione relativa alle associazioni professionali nella regio V, si può forse
escludere la prima metà del I sec. d.C.
Testo: [---]io / [---]aso, / [VI vir(o) ?] Aug(ustali ?), / [colle]g(i) fabr(um) /
[mag(istro) ? i]terum, / [---tu?]telam / [---]is et / ------
l. 6: [---] telam Di Giacomo; [--- tu]telam Mennella - Apicella.
I segni di interpunzione erano probabilmente utilizzati per dividere le parole, a
giudicare dall’unico esempio sicuramente leggibile, all’inizio di l. 4; la forma
pare essere a coda di rondine, con vertice rivolto in alto a destra, ma le cattive
condizioni di luce del locale in cui il monumento era conservato al momento
dell’autopsia non consentono certezze a questo proposito.
Commento
La lacunosa iscrizione sembra tramandare un testo di carattere onorario
per un personaggio in qualche modo collegato all’associazione dei fabri di Ri-
cina. Tra le diverse possibili ipotesi di ricostruzione, si esamineranno qui in par-
ticolare quelle proposte dalla prima editrice del testo, C. Di Giacomo, mettendo

1525 Di Giacomo, Iscrizioni, cit., p. 108.


1526 Di Giacomo, Iscrizioni, cit., p. 108.
1527 Di Giacomo, Iscrizioni, cit., p. 110.
Parte II. I documenti 449

in luce le difficoltà che questa interpretazione mi sembra creare in alcuni punti


del testo.
Le prime due linee conservateci sono di altezza maggiore rispetto alle se-
guenti e potrebbero contenere la formula onomastica del personaggio comme-
morato. In effetti quanto rimane a l. 1, la parte inferiore di un’asta verticale,
che per ragioni di spazio altro non può che appartenere ad una I, e la parte de-
stra di una O, potrebbero appartenere alla desinenza dativa di un gentilizio.
Alla linea seguente le lettere ASO andrebbero riferite, in questa ipotesi, al
cognomen, sempre in forma dativa. Tra i cognomi di origine latina che potreb-
bero essere integrati si ricordano Brumasus, Carbasus e Occasus1528, tra i gre-
canici Caucasus, Damasus, Iasus, Imbrasus, Pegasus, Thiasus, Tithasus1529,
nessuno dei quali peraltro è altrimenti attestato nell’epigrafia della regio V. Ri-
mane incerto se alla l. 2, oltre al cognome del personaggio, trovasse posto an-
che la menzione del patronimico (o del patronato) e, eventualmente, il ricordo
della tribù.
In base all’altezza delle lettere, C. Di Giacomo ritiene che l’iscrizione ini-
ziasse proprio con la prima linea conservataci, ipotesi certamente probabile:
vorrei tuttavia far notare come nel frammento giunto a noi non sembra trovarsi
traccia di un elemento essenziale dei testi di carattere onorario, il dedicante; è
dunque possibile che questa indicazione si trovasse in una porzione iniziale
dell’epigrafe, non pervenutaci.
Nelle ll. 3-5 doveva svilupparsi il cursus honorum del personaggio, se-
condo l’ipotesi che pare più naturale. A l. 3 Di Giacomo suggerisce di integrare,
VI vir(o) Aug(ustali), ricordando come a Ricina sia già attestato un tale colle-
gio1530. Non è tuttavia da escludere un flaminato di un Augusto1531, mentre mi
pare assai improbabile il ricordo di un legatus o di un procurator Aug(usti), le
cui carriere avevano in genere uno sviluppo che pare incompatibile con quanto
rimane del testo di Ricina.
A l. 4 si ritrova l’elemento dell’iscrizione di maggiore interesse per la
presente ricerca. Le lettere FABR si leggono senza alcun problema, qualche dub-
bio sussiste invece a mio parere sulla lettera che precede: L’identificazione
avanzata da C. Di Giacomo, che pare tutto sommato la più probabile, è con una
G1532, da cui discende l’integrazione [colle]g(i) fabr(um). È dunque probabile

1528 Cf. Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 469.


1529 Cf. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1434.
1530 Vd. l’epigrafe pubblicata da G. Paci in Mercando - Bacchielli - Paci, Prime scoperte, cit., pp.
40-43 (= AE 1985, 354), epitafio del giovane Q. Petrusidius Q. f. Vel. Verus, il cui padre Q.
Petrusidius Q. l. Aristo ricorda di essere col(legiatus) VI vir(um) Aug(ustalium). Seviri Augusta-
les di Ricina sono probabilmente da riconoscere anche nella lacunosa CIL IX, 5751 (cf. l’ipotesi
di integrazione di G. Paci in Mercando - Bacchielli - Paci, Prime scoperte, cit., p. 73). Seviri nude
dicti sembrano attestati da CIL IX, 5753. L’integrazione di Di Giacomo è accettata, in via ipote-
tica, da Delplace, Romanisation, cit., p. 231; p. 232 e nota 11; p. 233 e nota 32.
1531 Attestato nella regio V a Firmum, vd. Bonvicini, Iscrizioni latine inedite, cit., p. 198 (= AE
1975, 353) e forse la lacunosa CIL IX, 5375: [flamen di]vi Aug(usti).
1532 Noto tuttavia come il tratto superiore della lettera sembra perfettamente orizzontale, senza
presentare alcun accenno di curvatura. Questa constatazione suggerirebbe piuttosto la lettura d i
450 Parte II. I documenti

che il personaggio onorato nell’iscrizione di Ricina avesse rivestito una qualche


funzione in rapporto alla locale associazione dei fabbri. Fondandosi sul dato
dell’iscrizione Ricina 2, presa in esame nella scheda precedente, l’editio prin-
ceps suggerisce per le ll. 4-5 la lettura [colle]g(i) fabr(um) / [mag(istro)
i]terum1533. Altre soluzioni sono tuttavia ugualmente possibili, a partire dalla
funzione rivestita dall’anonimo, che potrebbe per esempio essere anche quella di
quaestor1534, se non di patronus del collegio dei fabbri; la posizione
dell’anonimo personaggio rispetto all’associazione professionale infatti poteva
anche essere ricordata al principio di l. 4, mentre l’iterazione potrebbe riferirsi
pure ad un altro ufficio, ricordato all’inizio di l. 5.
A l. 6 potrebbe riconoscersi un riferimento ad una somma data in tutelam,
dunque per la manutenzione del monumento in onore dell’anonimo personaggio
di Ricina, verosimilmente una statua1535. La somma necessaria a coprire questo
genere di spese poteva essere versata dal donatore, come per esempio nel caso
di una dedica bresciana al collegio dei dendrofori da parte di C. Crispus Hesperio,
VI vir Brix(iae) et Ver(onae) che versò per la tutela del monumento la somma di
1.000 sesterzi1536. Tuttavia nella maggior parte delle iscrizioni su basi di statua è
l’onorato stesso che, pago dell’omaggio tributatogli, provvedeva a corrispon-
dere la somma necessaria per la tutela del monumento, il più delle volte dopo
aver stanziato anche la somma necessaria per l’erezione dell’opera, ed even-
tualmente aggiungendo altre evergesie nei confronti dei donatori. Il formulario
prevede in genere espressioni sul modello di honore contentus, impendium re-

una F, con l’ovvia integrazione [prae]f≥(ecto) fabr(um). Tuttavia, dalla fotografia pubblicata i n
Di Giacomo, Iscrizioni, cit., tav. VI, fig. 1 non è possibile scorgere alcuna traccia del secondo
tratto orizzontale di F, mentre la frattura della pietra nel punto corrispondente alla parte inferiore
della lettera sembra seguire proprio il contorno di una G. La consuzione della pietra in questo
punto non consente, a mio avviso, di proporre ulteriori speculazioni.
1533 L’integrazione è menzionata, in via di ipotesi, da Delplace, Romanisation, cit., p. 75, nota
237; cf. anche p. 80, nota 304; p. 81, nota 312. Royden, Magistrates, cit. non sembra invece
prendere in considerazione l’epigrafe di Ricina. Il lemma di AE 1981, 307 invita alla prudenza
circa la menzione di un collegium fabrum in questo testo. Sui magistri delle associazioni pro-
fessionali vd. supra, p. 354.
1534 Sui quaestores delle associazioni professionali vd. supra, pp. 354-355.
1535 L’integrazione [--- tu]telam è già suggerita da AE 1981, 307 ed è ripresa da Mennella -
Apicella, Corporazioni, cit., p. 69, n°75. Una possibile alternativa, il ricordo di una qualche
clientela, mi pare meno appropriata, in considerazione dei caratteri del testo. Sui caratteri delle
tutelae vd. in genere S. Mrozek, Zur Frage der tutela in römischen Inschriften, «AAntHung», 1 6
(1968), pp. 283-288. Sulla documentazione bresciana relativa a questo istituto, particolarmente
numerosa, Gregori, Brescia romana, cit., II, pp. 264-266; sulle fondazioni private istituite per
finanziare la tutela di un’opera vd. l’esame della documentazione relativa al Veneto romano in A.
Buonopane, Donazioni pubbliche e fondazioni private, «Il Veneto nell’età romana. I. Sto-
riografia, organizzazione del territorio, economia e religione», a cura di E. Buchi, Verona
1987, pp. 303-304. La documentazione relativa alla tutela di statue nell’epigrafia delle associa-
zioni è raccolta da Waltzing, Étude, cit., IV, pp. 637-638.
1536 CIL V, 4418 = InscrIt X, V, 211 Coll(egio) dendr(ophorum) / C(aius) Crispus Hesperio, / VI
vir Brix(iae) et Ver(onae), / nomine suo et / Mariae Synethiae, uxor(is), / et in tutelam dedit /
((sestertios)) M.
Parte II. I documenti 451

misit et in tutelam dedit …1537, che, a dire il vero, non sono facilmente integra-
bili nella ricostruzione dell’iscrizione di Ricina proposta dall’editio princeps. In
questa ipotesi infatti, partendo dall’integrazione di l. 3 della sola carica di [VI
vir(o)] Aug(ustali) e supponendo che l’iscrizione sia impaginata sull’asse cen-
trale, a l. 6 non dovrebbero essere andate perdute più di 7-8 lettere, troppo po-
che per pensare che vi si trovassero le espressioni che generalmente accompa-
gnano le formule di concessione di una somma per la tutela.
Immagine: Tav. LVI. Di Giacomo, Iscrizioni, cit., tav. VI, fig. 1.

1537 Cf. exempli gratia CIL V, 4416 = InscrIt X, V, 209 da Brixia: Collegia / fabr(orum) et
cent(onariorum). / L(ucio) Cornelio / Prosodico, VI vir(o) / Aug(ustali) Brixiae et Veron(ae), sa-
cerd(oti) / colleg(i) iuvenum Brixian(orum) / primum institutis, / ob merita eius; honore / con-
tentus, inpendium remis[it], / [d]atis in tut(elam) ((sestertii)) n(ummis) D; AE 1951, 94 da Co-
mum: L(ucio) Valerio / Valeriano / et L(ucio) Valerio / Tertullino, / fil(io) eius, et / Albuciae
M(arci) f(iliae) / Secundae, / matri / Valeriani, / colleg(ium) centon(ariorum). / Albucia M(arci)
f(ilia) / Secunda / impend(ia) remis(it) / et in tutelam / dedit ((sestertios)) m(ille); CIL V, 5658
da Mediolanum: L(ucio) Coelio Valerio, / VI viro Mediol(ani), / et Calpurniae L(uci) f(iliae) /
Optatillae, / uxori eius, et / M(arco) Aemilio Coelio / Coeliano, decur(ioni)/ Mediol(ani) et No-
var(iae), / et Luciliae L(uci) fil(iae) / Sabinianae et / M(arco) Aemilio Coelio / Catiano, filis, /
collegium / centonarior(iorum). / Honore accepto, / impend(ium) remiser(unt) / et in tutelam /
deder(unt) ((sestertium)) II ((milia)).
452 Parte II. I documenti

Septempeda

Septempeda 1

Edizione di riferimento: Suppl. It., n.s. 13, pp. 223-224, n°17 (= AE 1996,
586).
Altre edizioni: CIL IX, 5630.
Luogo di ritrovamento: nessuna indicazione si ha sul preciso luogo di rinve-
nimento dell’epigrafe.
Luogo di conservazione: San Severino Marche, Palazzo Servanzi Collio1538.
Tipo di supporto: parte destra di un cippo stondato, in pietra locale1539.
Mestiere: colonus.
Datazione: entro la prima metà del I sec. d.C. per caratteristiche paleografi-
che, tipologia monumentale e per l’estrema semplicità del formulario1540.
Testo: [---]a ((mulieris)) l(iberta ?) / [---]ritio. / [---]us, col(onus).
Interpunzione a triangolo.
Commento
Breve testo di carattere funerario, ricorda verosimilmente la sepoltura di
una donna di condizione libertina, curata da un colonus.
Riguardo l’onomastica del primo personaggio ricordato, S.M. Marengo,
che ha recentemente riesaminato il monumento, nota come le tracce del primo
segno a l. 1 possano corrispondere ad una A come ad una M. La studiosa, pur ri-
cordando la possibile integrazione del nome di un personaggio maschile in caso
dativo, [---] M(arci) vel A(uli) ((mulieris)) l(iberto) / [---]ritio, rileva giusta-
mente come l’integrazione più probabile sia [---]a ((mulieris)) l(iberta) / [---
]ritio, soprattutto in ragione dello spazio vuoto lasciato tra l’indicazione del pa-
tronato e la lettera che precede1541. Avremmo dunque il nome di una donna di
condizione libertina, in caso nominativo1542. Alla linea seguente doveva appa-

1538 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 484; S.M. Marengo in Suppl. It., n.s. 13, p. 223. Il Pa-
lazzo Servanzi Collio risultava inaccessibile al momento della mia visita a San Severino Marche,
nel maggio 2001.
1539 Marengo in Suppl. It., n.s. 13, p. 223.
1540 Cf. Marengo in Suppl. It., n.s. 13, p. 224.
1541 Marengo in Suppl. It., n.s., 13, pp. 223-224.
1542 Il nome del defunto in caso nominativo è frequente nel formulario delle sepolcrali di Sep-
tempeda, in particolare tra la fine dell’età repubblicana e il I sec. d.C., cf. per esempio CIL I2,
1925 = CIL IX, 5623; CIL IX, 5591; 5597 e 5598; 5601; 5602; 5604; 5608; 5612; 5613; 5618;
5620; 5625; 5627; 5627; Suppl. It., n.s. 13, p. 215, n°4 = Marengo, Note epigrafiche settempe-
dane, cit., pp. 151-160, n°1 (= AE 1985, 348); Suppl. It., n.s. 13, p. 219, n°11 = Marengo, Note
epigrafiche settempedane, cit., pp. 163-166, n°3 (= AE 1985, 350); Suppl. It., n.s. 13, pp. 222-
223, n°15 = Marengo, Note epigrafiche settempedane, pp. 167-169, n°4 (= AE 1985, 351).
Parte II. I documenti 453

rire il cognomen del personaggio che, a giudicare dalle attestazioni onomastiche


a noi note, doveva essere Charitio1543.
È davvero singolare che a Septempeda sia nota una Annia ((mulieris))
l(iberta) Cha[---] la cui formula onomastica sembra perfettamente complemen-
tare a quella della nostra [---]a ((mulieris) l(iberta) [---]ritio. Il monumento che
ricorda Annia Cha[---] è una stele sepolcrale decorata di una qualche pretesa, se
confrontata con la modesta produzione settempedana; il testo, che si data tra gli
ultimi anni del I sec. a.C. e l’età giulio-claudia ed è dunque all’incirca coevo
all’iscrizione che si sta commentando, recita: Q(uintus) Annius ((mulieris))
l(ibertus) / Acastus, / VI vir. Annia ((mulieris)) l(iberta) Cha[---] / Q(uintus)
Annius Q(uinti) [l(ibertus) vel f(ilius) ---] et [---]. `[St]ephano´1544. Due argo-
menti inducono alla prudenza riguardo l’identificazione di Annia Cha[---], colli-
berta e forse moglie del seviro Q. Annio Acasto, con la donna attestata dal
cippo Suppl. It., n.s. 13, pp. 223-224, n°17: in primo luogo si dovrebbe spiegare
la presenza della medesima persona in due diverse iscrizioni sepolcrali; a questo
proposito si potrebbe supporre che nella stele di Q. Annio Acasto Annia
Charitio compaia solamente come dedicante dell’epigrafe funebre al colliberto e
forse marito, mentre il cippo stondato rappresenterebbe il reale segnacolo fune-
rario della donna, o ancora che il modesto cippo, pur preparato, per una qualche
ragione non sia stato utilizzato da Annia Charitio, che preferì la più fastosa se-
poltura insieme ad Annio Acasto, o infine, e più probabilmente, che il docu-
mento qui si commenta sia il cippo confinario di un’area sepolcrale, di cui la
stele rappresentava il monumento principale. In secondo luogo, alla fine di l. 4
della stele di Annio Acasto, ove si trovava il cognome della donna, la lacuna
sembra leggermente troppo breve per contenere le 5 lettere di Cha[ritio]; a ra-
gione l’editrice nota come il cognome della liberta probabilmente non dovesse
superare le 6 o 7 lettere1545: Cha[ris] o Cha[rite] appaiono dunque come le
soluzioni più probabili.
Per completezza si può ricordare anche una possibile, anche se assai meno
verosimile, ipotesi di ricostruzione alternativa della formula onomastica alle ll.
1-2, con integrazione a l. 1 di uno dei rari gentilizi maschili con uscita in -a.

1543 Cf. gli indici inversi di Solin, Die griechischen Personennamen, cit., III, p. 1400.
L’integrazione [Cha]ritio è già suggerita da Marengo in Suppl. It., n.s., p. 223, con richiamo ad
una attestazione del cognome grecanico a Pisaurum in CIL XI, 6408 = Cresci Marrone -
Mennella, Pisaurum I, cit., pp. 348-349, n°124. Sulle occorrenze di questo cognome nella docu-
mentazione di Roma vd. Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, p. 451. In AE 1996, 574
da Interamnia l’integrazione Trebell[i]ae [Ch]ar[itioni ---], in alternativa a quella proposta
Trebell[i]ae [Ch]ar[iti ---], sarebbe teoricamente possibile; entrambe le letture sono tuttavia
fortemente congetturali.
1544 L’iscrizione, nota dagli inizi del XX, è riedita e accuratamente studiata da Marengo, Note
epigrafiche settempedane, cit., pp. 151-160, n°1 (= AE 1985, 348) e ripresa dalla stessa studiosa
in Suppl. It., n.s. 13, p. 215, n°4; cf. ora anche la scheda a cura di F. Branchesi in M. Landolfi et
alii, San Severino Marche (Septempeda), «La viabilità delle alte valli del Potenza e dell’Esino
in età romana», a cura di E. Percossi Serenelli, Milano 2000, pp. 62-64, nn. 17-17a.
1545 Marengo, Note epigrafiche settempedane, cit., p. 152, nota 45. In considerazione di ciò mi
appaiono improbabili le intergrazioni alternative Cha[erusa] o Cha[ritine] suggerite da F.
Branchesi in Landolfi et alii, San Severino Marche, cit., p. 63.
454 Parte II. I documenti

Una difficoltà da non sottovalutare sarebbe tuttavia creata, in questa ricostru-


zione, dall’integrazione di un cognome maschile terminante nella forma nomi-
nativa in -ritio1546. Tutto sommato è dunque preferibile attenersi alla ricostru-
zione sostenuta da S.M. Marengo.
A l. 3 si trovava il ricordo del dedicante e della sua occupazione di colo-
nus1547. Per ragioni di spazio, mi pare probabile che il personaggio venisse ri-
cordato con un solo elemento onomastico, un elemento che potrebbe far pen-
sare che si trattasse di uno schiavo. L’iscrizione in esame mi sembra dunque pre-
sentare notevoli analogie con l’epigrafe Falerio 1, precedentemente esaminata:
nel testo falerionese un colonus noto con il solo cognome di Optato, probabil-
mente di condizione servile, aveva curato a proprie spese il monumento fune-
bre, una semplice urna cineraria, di un tal C. Mario Sedato. In sede di commento
al testo si era avanzata con prudenza l’ipotesi che Optato fosse un servus quasi
colonus che aveva preso in affitto una parcella di terra dal suo padrone C.
Mario Sedato e che avesse provveduto alla sepoltura grazie al peculium che il
suo lavoro gli aveva permesso di mettere da parte1548. Sarebbe suggestivo ravvi-
sare una situazione analoga anche a Septempeda, ma la lacunosità del testo in-
vita naturalmente alla prudenza. Inoltre in quest’ultima iscrizione manca la
formula di dedica, né pare che essa potesse trovarsi nella porzione perduta del
monumento: è dunque possibile che l’area sepolcrale, il cui curatore restava in-
determinato, fosse destinata ad accogliere le spoglie sia della liberta [Cha ?]ritio
sia del colono [---]us.
Immagine: Tav. LVII. Suppl. It., n.s. 13, p. 224.

1546 Insoddisfacente il richiamo al Fabius Baritio di CIL III, 3324 = AE 1990, 825 dalla Panno-
nia inferiore: il singolare cognome altro non dovrebbe essere che una forma di Baricio, ben atte-
stato nelle province africane (così B. Lörincz - F. Redö (a cura di), Onomasticon provinciarum
Europae latinarum, I, Budapest 1994, p. 271); del resto africano doveva probabilmente essere
anche il nostro Fabius Baritio, in quanto commilitone ed erede di M. Tullius Fortunatus, vete-
ranus cohortis quingenariae Maurorum, domo Africa.
1547 A ragione Marengo, Suppl. It., n.s. 13, p. 224 respinge l’ipotesi di integrazione [patro]nus
col(oniae) avanzata dal Mommsen negli indici di CIL IX, p. 784: sulla pietra non si trova traccia
della lettera N (come del resto anche nella trascrizione di CIL IX, 5630), né il ricordo di un pa-
trono della comunità cittadina sarebbe da attendersi in questo modesto monumento.
1548 Vd. supra, pp. 283-288, il commento al testo Falerio 1, al quale si rimanda anche per u n
breve inquadramento sul tema degli schiavi coloni.
Parte II. I documenti 455

Tolentinum

Tolentinum 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5568.


Altre edizioni: Waltzing, Étude, cit., III, p. 419, n°16061549; ILS 7256;
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 126-128.
Bibliografia: F.M. De Robertis, Storia delle corporazioni e del regime asso-
ciativo nel mondo romano, II, Bari 1971, p. 345, nota 197; Duncan-Jones,
Epigraphic Survey, cit., p. 252, n°695; Cracco Ruggini, Associazioni, cit., p.
127, nota 141; J. Andreau, Fondations privées et rapport sociaux en Italie ro-
maine, (Ier - IIIe s. ap. J.-C.), «Ktema», 2 (1977), p. 163, n°73; G. Paci, Magi-
ster municipi in una nuova iscrizione da Tolentino e supplemento epigrafico
tolentinate, «Settima miscellanea greca e romana», Roma 1980, pp. 484-487;
Delplace, Romanisation, cit., pp. 80; 82; 134; 156; G. Paci, Regio V. Picenum.
Tolentinum, «Supplementa Italica», n.s. 11, Roma 1993, p. 67; B. Bollmann,
Römische Vereinshäuser. Untersuchungen zu den Scholae der römischen Be-
rufs-, Kult- und Augustalen-Kollegien in Italien, Mainz 1998, p. 474, n°C 58;
Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 16-17; pp.
20-21; 32; Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 71, nota 227.
Luogo di ritrovamento: a Tolentino, nei pressi della cattedrale di S.
Catervo1550. Una diversa tradizione antiquaria, respinta dai curatori del CIL, at-
tribuiva il testo ad Urbs Salvia1551.
Luogo di conservazione: Tolentino, già nel lapidario allestito presso il chio-
strino del convento di S. Nicola1552, è stata poi trasferita nel Museo Civico Ar-
cheologico “A. Gentiloni Silveri”, presso il Castello della Rancia (autopsia mag-
gio 2001).

1549 Per un errore di stampa nel testo del Waltzing è stato assegnato all’iscrizione tolentinate
CIL IX, 5568 il medesimo numero di serie 1606, che già contraddistingue l’epigrafe di Falerio
CIL IX, 5450 (qui Falerio 11). Il testo di Tolentinum in realtà è riportato da Waltzing, Étude, cit.,
III, p. 419 tra il n°1607 e il n°1608.
1550 Cf. lemma di CIL IX, 5568, con particolare riferimento alle notizie riportate in più mano-
scritti da Ciriaco di Ancona.
1551 Vd. lemma di CIL IX, 5568, con riferimento al De laudibus Piceni del Peranzoni (1524 circa)
e all’opera di Orazio Civalli, agli inizi del XVII sec.; cf. anche Delplace, Romanisation, cit., p.
156, nota 742: “L’inscription CIL IX, 5568, devrait être attribuée à Vrbs Salvia, voir G. Colucci,
Delle antichità Picene, XV, p. 153-160, n. 424, cité par l’arch. Goldoni dans sa description
générale des monuments d’Urbisaglia (manuscrit)”.
1552 G. Paci, Regio V. Picenum. Tolentinum, «Supplementa Italica», n.s. 11, Roma 1993, p. 67;
Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 126.
456 Parte II. I documenti

Tipo di supporto: Grande lastra rettangolare in pietra calcarea, in quattro


frammenti, ora ricongiunti; lo specchio epigrafico è delimitato da cornice mo-
danata1553.
Collegio: collegium fabrum tignuariorum.
Datazione: l’accurata impaginazione del testo e le caratteristiche paleografi-
che possono rimandare alla fine del I sec. d.C. o alla prima metà del secolo se-
guente: non si potrà scendere tuttavia troppo nel corso del II sec. d.C. se il T.
Furius Primigenius qui menzionato è lo stesso personaggio che compare
nell’epitafio CIL IX, 5572, nel quale è ancora assente l’adprecatio agli dei
Mani1554.
Testo: Ex s(enatus) c(onsulto). / Schola Aug(usta) colleg(i) fabror(um) /
tignuar(iorum) impendis ipsorum ab in/choato exstructa, solo dato ab T(ito)
Fu/rio Primigenio, qui et dedic(atione) eius ((sestertium)) X (i.e. decem milia)
n(ummum) ded(it), / ex cuius summ(ae) redit(u) omnib(us) annis XII
k(alendas) August(as) / die natalis sui epulentur.
l. 5: X e N di n(ummum) sopralineati. Le lettere N e DED in fine di riga hanno
un modulo più stretto, in conseguenza di un errato calcolo degli spazi da parte
del lapicida: l’ultima D tocca in effetti il bordo della cornice che delimita lo
specchio epigrafico.
l. 7: I longa in die.
Interpunzioni a forma di coda di rondine, con il vertice verso destra, utilizzate
con una certa regolarità per dividere le parole nelle prime 5 linee, tranne che in
fine di riga e a l. 3 tra ipsorum, ab e in/choato, a l. 4 tra solo e dato, a l. 5 tra
Primigenio e qui e tra n(ummum) e d(edit). A l. 6 i segni di interpunzione sono
assenti tra le prime tre parole, mentre a l. 7 risultano del tutto omessi. Si noti
peraltro la comparsa di un segno di divisione in corpo di parola a l. 1, tra E ed
X.
Commento
L’iscrizione registra, su decisione del locale ordine dei decurioni1555, la
costruzione di una sede della corporazione dei fabri tignuarii, eretta a spese del
collegio stesso, su di un terreno donato da T. Furio Primigenio; nell’occasione
lo stesso Primigenio stanziò una somma di 10.000 sesterzi, grazie alle cui ren-

1553 Paci, Tolentinum, cit., p. 67; Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
126.
1554 Paci, Magister municipi, cit., p. 485; Id., Tolentinum, cit., p. 67 (note a CIL IX, 5568 e 5572);
su CIL IX, 5572 vd. infra, p. 463. Completamente di diverso avviso Mrozek, Munificentia
privata und die private Bautätigkeit, cit., p. 374; Id., Distributions, cit., p. 26, che pone il nostro
testo tra il II e III sec. d.C. Pensa piuttosto alla prima metà del II sec. d.C. Marengo in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 128, seguita da Delplace, ibid., p. 17.
1555 Cf. Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 127, che prende in con-
siderazione anche l’ipotesi che qui si tratti del Senato di Roma. Per le altre attestazioni dell’ordo
decurionum a Tolentinum vd. CIL IX, 5542 da Urbs Salvia, nella quale si fa menzione di u n
decurione [Ur]bisalviae et [Tol]entini, Suppl. It., n.s. 11, pp. 69-71, n°1 e forse anche Suppl. It.,
n.s. 11, p. 73, n°6 (su questa iscrizione vd. infra, p. 598, nota 83). Da espungere CIL IX, 5567,
richiamata da Delplace, Romanisation, cit., p. 78, nota 275: l’iscrizione in effetti fa riferimento
ad un iudex dec(uria) prima, non ad un dec(urio).
Parte II. I documenti 457

dite ogni anno, nel giorno del compleanno del generoso evergete, i membri
dell’associazione dovevano celebrare un banchetto1556.
Si è detto che i fabri tignuarii erano i lavoratori addetti al settore delle
costruzioni che utilizzavano in particolare tigna, dunque assi, travi e legname in
genere, ma anche altri materiali per l’edilizia1557. Le attestazioni individuali del
mestiere sono piuttosto rare, in particolare al di fuori di Roma: una di queste
viene proprio dal Piceno ed è stata commentata supra, pp. 200-204, Auximum
6. Molto più numerose sono le informazioni in nostro possesso riguardo alle as-
sociazioni dei fabri tignuarii, che si incontrano di frequente nelle comunità delle
province occidentali dell’Impero; questo dato, insieme al fatto che nella docu-
mentazione epigrafica delle Gallie appaiono iscritti all’associazione personaggi
che erano impegnati in attività diverse da quelle di costruzione, ha indotto ad
ipotizzare che anche i collegi dei fabri tignuarii, al pari dei collegia fabrum, in
età imperiale altro non costituissero che squadre di vigili del fuoco volontari1558.
L’interessante teoria potrebbe essere rafforzata dalla constatazioni che in talune
comunità i fabri tignuarii compaiono, al posto dei fabri nude dicti, accanto alle
associazioni dei centonarii e dei dendrophori, che si suppone parimenti impe-
gnate nella lotta contro gli incendi: così per esempio a Luna1559. D’altra parte
si deve notare che in alcune città del mondo romano è contemporaneamente
attestata la presenza di collegia fabrum e di collegia fabrum tignuariorum,
come accade per esempio nella stessa Roma1560, ma anche a Praeneste1561, a
Lugdunum1562 e a Salona1563, una distinzione che potrebbe trovare ragione
nelle differenti funzioni ivi assolte dalle due associazioni: sodalizio di vigili del

1556 De Robertis, Storia delle corporazioni, cit., p. 345, nota 197 ricorda brevemente
l’iscrizione di Tolentinum tra i documenti che dimostrano come le donazioni venissero fatte ai
collegi stessi e non alla collettività dei loro membri. Vd. anche Delplace, Romanisation, cit., pp.
80 e 82, che richiama il testo nella sua trattazione dei collegia professionali del Piceno, e pp.
134 e 156, a proposito delle attività economiche della regio V. Sull’evergesia di Primigenio vd.
particolarmente Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 16-17; 20-21;
32
1557 Vd. supra, pp. 201-202.
1558 Kneissl, Fabri, cit., pp. 134-135; ma cf. già Marquardt, Privatleben, cit., p. 719. Sui possi-
bili indizi di un impiego dei collegia dei fabri tignuarii nello spegnimento degli incendi vd.
ora Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 50-52; 69-70; sulla diffusione dell’associazione vd. ibid.,
pp. 68-69.
1559 Sui fabri tignuarii di Luna vd. CIL XI, 1355a; i centonarii sono ivi attestati da CIL XI,
1354, i dendrophori da CIL XI, 1355b.
1560 Per le numerose attestazioni del collegium fabrum a Roma vd. Waltzing, Étude, cit., IV, pp.
17-18; sull’associazione dei fabri tignuarii vd. Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 80-82;
S. Panciera, Fasti fabrum tignariorum urbis Romae, «ZPE», 43 (1981), pp. 271-280; Royden,
Magistrates, cit., pp. 127-136; nuovi importanti documenti sull’associazione sono ora editi i n
S. Panciera (a cura di), Iscrizioni greche e latine del Foro Romano e del Palatino. Inventario ge-
nerale - inediti - revisioni, Roma 1996, pp. 248-255, nn. 83-85.
1561 Fabri tignuarii: CIL XIV, 3003; 3009; fabri: CIL XIV, 2981.
1562 Per le numerose attestazioni di fabri tignuarii nella città della Gallia vd. Waltzing, Étude,
cit., IV, p. 74; sui fabri di Lugdunum vd. CIL XIII, 1954; 1978.
1563 Fabri tignuarii: CIL III, 8841; per i fabri vd. le numerose attestazioni raccolte da Waltzing,
Étude, cit., IV, p. 70.
458 Parte II. I documenti

fuoco volontari per quanto concerne il collegium fabrum, associazione di


carattere più prettamente professionale per quanto riguarda i collegia fabrum ti-
gnuariorum ? Ricordo anche che le attestazioni individuali di fabri tignuarii1564
sembrano indicare che, almeno fino al I sec. d.C., la denominazione si applicasse
effettivamente ad operai specializzati del settore della costruzioni. In assenza di
prove più stringenti riguardo alla funzione dei collegia fabrum tignuariorum la
questione è destinata a rimanere aperta; al momento mi limito ad osservare
come non si debba obbligatoriamente pensare ad una medesima organizzazione
dei servizi civici valida in tutto l’impero, in cui il ruolo delle associazioni di
origine professionale fosse ovunque lo stesso: mi sembra tutto sommato più
probabile che nelle diverse comunità del mondo romano l’importante funzione
di sorveglianza e lotta contro gli incendi potesse essere eventualmente affidata
all’associazione locale che pareva poter assicurare il servizio più efficiente.
Come si è detto l’iscrizione ricorda la costruzione di una schola, termine
consueto per designare la sede delle attività di un collegium, ove i membri
dell’associazione si riunivano per prendere le decisioni di interesse comune, ce-
lebrare cerimonie religiose e per partecipare ai festeggiamenti in occasione di
qualche solennità particolare1565. Per il momento questa è l’unica attestazione
epigrafica di scholae nella regio V.
L’epiteto di Augusta, che qualifica la schola dei fabri tignuarii di Tolen-
tino, ci riporta alle manifestazioni di lealismo nei confronti della casata impe-
riale da parte delle associazioni di mestiere. In effetti conosciamo qualche altro
caso in cui tale sentimento trova espressione appunto in occasione della costru-
zione o del rifacimento della sede di un collegium, al pari del resto di quanto ac-
cadeva di frequente anche per altri edifici di interesse pubblico1566

1564 Raccolte supra, pp. 202-204, limitatamente alla documentazione dell’Italia romana.
1565 Sulle scholae vd. P. Gros, Maisons ou sièges de corporations? Les traces archéologiques
du phénomène associatif dans la Gaule romaine méridionale, «CRAI», (1997), 1, pp. 213-241;
Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 70-74 (con cursoria menzione del documento in esame a p. 71,
nota 227) e soprattutto la recente monografia di Bollmann, Römische Vereinhäuser, cit., partic.
pp. 47-57 per l’identificazione e la funzione di questi edifici.
1566 Cf. per esempio CIL VI, 816 da Roma (238 d.C.): i viatores quaestorii curano il restauro
della propria schola in honorem domus Augustae; CIL VI, 1936, sempre dall’Urbe: Ti. Claudius
Secundus e l’omonimo figlio curano a proprie spese la costruzione della schola dei viatores
triumvirum et quottuorvirum in honorem domus Augustae; CIL XIV, 45 da Ostia: i dendrophori
locali curano il rifacimento della propria schola, dedicata al numen domus Augustae; CIL VII, 1 1
= RIB 91 da Noviomagus, in Britannia: il collegium fabrorum locale cura la costruzione di u n
templum pro salute domus divinae; CIL XIII, 5096 da Aventicum, nella Germania superiore: i
nautae Aruranci Aramici curano la costruzione della propria schola in honorem domus divinae;
CIL XIII, 6308 da Aquae, nella Germania superiore: si fa forse menzione di una schola fabrum ti-
gnuariorum in honorem domus divinae; CIL XIII, 7587 da Aquae Mattiacorum, nella Germania
superiore: i negotiatores civitatis Mattiacorum curano a proprie spese la costruzione della pro-
pria schola in honorem domus divinae, pro perpetua incolumitate imperatoris; AE 1962, 232 da
Heddernheim, nella Germania superiore: i dendrophori Augustales consistentes Med(---) item-
que Nidae curano la costruzione di una schola dedicata alla Salus Augusta; CIL III, 5659 cf.
11800, dal municipium Aelium Cetium, nel Norico: il locale collegium fabrum cura il rifacimento
della propria aedes pro salute domini nostri imperatoris Caesaris M. Aureli Antonini Augusti;
CIL III, 1174 da Apulum, in Dacia: il locale collegium centonariorum cura la costruzione della
Parte II. I documenti 459

Per quanto concerne le munificenze accordate da Primigenio al collegio


dei fabri tignuarii, la concessione dell’epulum è ben attestata anche nella V re-
gione: un’iscrizione di Firmum, datata all’età di Augusto o, al più tardi negli
anni di impero di Tiberio e di Caligola, ci informa che Q. Terenzio Senecione
Fanniano, II vir quinquennalis e pontifex, in occasione della dedica
dell’Augusteo di Firmum diede un banchetto al quale vennero invitati sia i co-
loni che gli incolae della comunità1567; in CIL IX, 5085 da Interamnia un ever-
gete il cui nome è andato perduto nella lacuna iniziale della pietra offre ai decu-
rioni, ai Seviri et Augustales e alla plebs della città, insieme ad una somma di
denaro anche un epulum1568; una frammentaria epigrafe di Asculum, CIL IX,
5196 = Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 68-71,
ci attesta la concessione di un banchetto, questa volta al populus della co-
munità; in un frustulo da Cupra Montana, edito in CIL IX, 5708 = Marengo in
Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 146-147, è questione del
dono di 4 sesterzi e di un banchetto a beneficiari la cui identità rimane per noi
ignota, come parimenti è sconosciuta la circostanza che diede spunto alla muni-
ficenza; ad Auximum Vibia Marcella, in occasione della dedica di una statua in
onore del marito offri un epulum al populus ed una cena ai coloni; il testo di
Osimo (CIL IX, 5841 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergeti-
smo, cit., pp. 173-175), ci permette dunque di rilevare come l’epulum dovesse
essere una liberalità di tono minore rispetto alla cena stessa, se, come spesso
nella munificenza romana, ad un superiore prestigio sociale corrisponde la con-
cessione di doni maggiori1569.
L’originalità del nostro testo è costituita dal fatto che Primigenio costituì
una sorta di fondazione con un capitale di 10.000 sesterzi, grazie alle cui rendite
il banchetto doveva essere celebrato annualmente, in occasione del dies natalis
dell’evergete, secondo una cadenza ben nota1570. In effetti l’epulum poteva

propria schola pro salute Augg(ustorum) nn(ostrorum) L. Septimi Severi Pii Pertinacis et M.
Aureli Antonini impp(eratorum) et P. Septimi Getae Caesaris. Sul problema vd. anche le consi-
derazioni di Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 127-128.
1567 L’iscrizione, originariamente pubblicata da Bonvicini, Iscrizioni latine inedite, cit., p. 198,
n°2 (= AE 1975, 354), è ora da vedere nella riedizione commentata di L. Gasperini, L’Augusteo d i
Firmo Piceno in un’epigrafe da rileggere, «AFLM», 10 (1977), pp. 57-87 ( cf. AE 1978, 291),
sostanzialmente ripresa da Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 85-
87.
1568 L’iscrizione è ora ripresa da Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 774, n°34 e da
Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 59-61.
1569 Così Mrozek, Bénéficiaires, cit., p. 33; Id., Distributions, cit., pp. 38; 41-42; riguardo alla
partecipazione dei collegiati alle distribuzioni pubbliche di denaro e di cibo in Italia si veda
Mrozek, Bénéficiaires, cit., pp. 47-48 (cf. Id., Distributions, cit., pp. 90-94). In particolare sulle
attestazioni epigrafiche dei banchetti vd. E. De Ruggiero, Epulum, «Diz. Ep.», II (1922), pp.
2142-2143. In particolare sull’epulum nel Piceno vd. Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 15-17.
1570 Le testimonianze di fondazioni per il finanziamento di liberalità nell’epigrafia dell’Italia
romana sono raccolte e studiate da Duncan-Jones, Epigraphic Survey, cit., pp. 202-210 e pp.
246-256; S. Mrozek, Quelques remarques sur les inscriptions relatives aux distributions pri-
vées de l’argent et de la nourriture dans le municipes italiens aux I, II et IIIe siècle d.n.è., «Epi-
460 Parte II. I documenti

consistere, oltre che nell’offerta di un vero e proprio pranzo, anche in una


semplice distribuzione di denaro, come segnala la comparsa di una somma dopo
l’indicazione della concessione dell’epulum stesso1571: non sappiamo tuttavia se
questo fosse il caso anche per l’epulum annuale istituito da T. Furio Primigenio.
La somma stanziata per la creazione del fondo potrebbe apparire piutto-
sto modesta, come modesta sembra essere la rendita annuale, espressa dalla
formula ex reditu, se si applica l’interesse del 6%, che doveva essere il più con-
sueto nei municipi dell’Italia, dove si tendeva ad investire il capitale
nell’agricoltura, più sicura ma meno redditizia1572. Tuttavia si deve rilevare
come per l’Italia romana questa cifra rientri perfettamente nella media e come
siano note numerosissime fondazioni con capitali di partenza ancora più bassi.
Per quanto concerne in particolare lo stanziamento di capitali per epula
annuali, sono attestate somme molto superiori ai 10.000 sesterzi versati da T .
Furio Primigenio, ma ciò trova giustificazione nel fatto che i beneficiari del
provvedimento erano assai più numerosi rispetto al caso di Tolentino. Del tutto
eccezionale appare comunque il caso di CIL XI, 4789 da Spoletium, nel quale si
prevede il versamento della principesca somma di 1.500.000 di sesterzi, con i
cui interessi peraltro doveva essere finanziato non solo l’epulum, ma anche la

graphica», 30 (1968), pp. 161-164 (cf. Id., Distributions, cit., pp. 53-58); Andreau, Fondations,
cit., pp. 157-209; alcuni aspetti del fenomeno sono attentamente studiati da Magioncalda, Do-
nazioni, cit., pp. 175-216. Per quanto concerne il Piceno possiamo citare l’iscrizione CIL IX,
5074-5075 = Cancrini in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 49-52 da Interam-
nia, che attesta come i patroni del municipium e della colonia Q. e C. Poppaeius avessero donato
una somma non precisata per finanziare la lavatio in perpetuum di municipes, coloni, incolae,
hospites e adventores; CIL IX, 5376 da Firmum Picenum, un documento trasmessoci dalla tradi-
zione erudita in modo piuttosto confuso, nel quale tuttavia si fa cenno ad un lascito di 100.000
sesterzi (cf. Duncan-Jones, Epigraphic Survey, cit., p. 248, n°662 e Marengo in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 83-85, che riprendono le congetture del CIL riguardo
alla lettura dell’iscrizione); la lacunosa CIL IX, 5845 = ILS 3775 = Marengo in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 178-180 da Auximum ricorda la donazione alla comu-
nità, oltre che del fundus Hermedianus e dei due praedia Herenniana, di 50.000 sesterzi (cf.
Duncan-Jones, Epigraphic Survey, cit., p. 250, n°671); Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit.,
pp. 29-30, n°6 = CIL IX, 5854 = ILS 5064 (ripresa supra, pp. 209-210, come Auximum 8) testi-
monia l’istituzione di una fondazione per l’allestimento, ad anni alterni, di giochi gladiatori;
EphEp VIII, 210 = ILS 7215 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 815, n°34 da
Truentum ricorda una fondazione perpetua istituita da Claudia Hedones per la celebrazione d i
una festa che i cultures Herculis avrebbero dovuto tenere annualmente in memoria del figlio Ti.
Claudius Himerus, nel giorno del suo compleanno.
1571 Vd. a questo proposito Mrozek, Quelques remarques, cit., p. 159 (cf. Id., Distributions, cit.,
p. 37).
1572 Sui tassi di interesse dei capitali stanziati per le fondazioni nell’Italia romana vd. Duncan-
Jones, Epigraphic Survey, cit., pp. 203-205; lo studioso, p. 272, n°1093 ipotizza precisamente
che la somma stanziata da T. Furio Primigenio rendesse 600 sesterzi all’anno; cf. anche
Magioncalda Donazioni, cit., p. 183 e nota 42. Per il termine reditus vd. A. Pellegrino, Iscrizione
da Mondragone, «Sesta Miscellanea Greca e Romana», Roma 1978, pp. 387-389, che lo distin-
gue da usura: in base alle ricerche dello studioso, reditus si riferirebbe all’usufrutto derivante
da un investimento generico e non determinato (come anche nel caso dell’iscrizione in oggetto);
quando l’investimento era specificato, spesso si trattava della rendita di un ager; usura invece
sta a significare una vera e propria operazione bancaria di prestito, di cui spesso si indica anche
il tasso d’interesse.
Parte II. I documenti 461

distribuzione di crustulum et mulsum, focacce e vino mielato, a tutti i munici-


pes della città1573; in CIL XI, 6377 da Pisaurum il capitale dal quale si doveva
trarre la somma per il banchetto annuale per tutto il populus in occasione del
compleanno dell’evergete è fissato a 400.000 sesterzi1574; la frammentaria CIL
V, 8664 da Concordia prevedeva un capitale di 300.000 sesterzi, dal quale si sa-
rebbe ricavata annualmente una somma per la celebrazione di ludi e la conces-
sione di un epulum e di una cena; i beneficiari della fondazione erano la stessa
colonia di Concordia e l’ordo, dietro il quale Duncan-Jones sembra riconoscere
il collegio degli Augustali, cui apparteneva il donatore M. Acutius M. l. Noetus,
ma che a mio parere deve piuttosto essere identificato con l’ordine dei decurioni
della città1575. CIL XI, 6481 da Mons Fereter menziona un capitale di 200.000
sesterzi per una divisio epularum in favore di beneficiari non meglio
specificati1576; mentre i destinatari del banchetto annuale da celebrare grazie alle
rendite dei 150.000 sesterzi versati da C. Aetrius C. f. Lem. Naso erano i
municipes di Sentinum, secondo quanto attesta CIL XI, 57451577.
Cifre assai più vicine a quelle dell’iscrizione di Tolentino ci presentano
quelle iscrizioni che prevedono la concessione dell’epulum a settori limitati
della popolazione cittadina: si veda per esempio l’interessante iscrizione ILS
6468 da Petelia, nella quale è previsto lo stanziamento per il banchetto riser-
vato ai decurioni di 1.200 sesterzi, per quello degli Augustales 600 sesterzi1578;
in CIL IX, 1618 da Beneventum sono i pagani a ricevere la somma annuale di
500 sesterzi per il loro banchetto1579; a Crotone CIL X, 107 stanzia 400 se-
sterzi annuali per l’epulum dell’ordine dei decurioni. I dati a nostra disposizione
riguardo alle fondazioni per epula in favore di collegia di mestiere sono infe-
riori alla cifra stanziata a Tolentino: ad Ameria infatti Iulia M. f. Felicitas versa
nella cassa dell’associazione dei centonarii la cifra di 5.000 sesterzi, dalla quale
si dovevano ricavare i fondi per la celebrazione del pranzo annuale nel giorno
del compleanno della benefattrice1580.
Dunque la somma stanziata da T. Furio Primigenio in favore del collegio
dei fabri tignuarii di Tolentino non era affatto trascurabile. Una stima attendi-
bile dei costi del banchetto per ogni singolo colleggiato potrebbe consentire di
avanzare qualche ipotesi sulla consistenza numerica dell’associazione dei fabri
tignuarii della comunità picena: purtroppo i dati in nostro possesso sono assai

1573 Duncan-Jones, Epigraphic Survey, cit., p. 246, n°639.


1574 Ibid., p. 247, n°648. L’importante documento è ripubblicato da Cresci Marrone - Mennella,
Pisaurum I, cit., pp. 303-306, n°88 e da Gregori, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 28-29, n°9; s u
questa iscrizione cf. anche Mrozek, Bénéficiaires, cit., p. 34; A. Magioncalda, Documentazione
epigrafica e ‘fondazioni’ testamentarie. Appunti su una scelta di testi, Torino 1994, pp. 15-21,
n°3; Ead., Donazioni, cit., pp. 209-214.
1575 Duncan-Jones, Epigraphic Survey, cit., p. 247, n°651.
1576 Ibid., p. 248, n°656.
1577 Ibid., p. 248, n°658.
1578 Ibid., p. 248, n°664.
1579 Ibid., p. 251, n°689.
1580 Ibid., p. 252, n°701.
462 Parte II. I documenti

variabili, oscillando da un massimo di 20 sesterzi ad un minimo di 2 sesterzi a


persona, a seconda dei gruppi sociali interessati1581. Per quanto concerne i col-
legia di mestiere è attestata la cifra di 12 sesterzi (CIL IX, 3842 da Antinum in
favore del collegio dei dendrophori)1582: se questo dato potesse essere applicato
anche ai carpentieri di Tolentino e se l’interesse applicato al capitale di 10.000
sesterzi fosse stato quello consueto del 6%, potremmo arrivare al risultato di
una cinquantina di membri per il collegium; come si vede tuttavia in questo cal-
colo i “se” sono troppo numerosi anche solo per avanzare un’ipotesi di lavoro.
Meno comune il dono del terreno sul quale edificare un edificio di inte-
resse pubblico, lasciando alla comunità l’onere dei costi per la costruzione, in
genere in effetti la concessione del suolo da parte di un privato si accompagna al
finanziamento della stessa opera pubblica: limitandoci ad alcuni esempi tratti
dalla documentazione dell’Italia ricordiamo l’iscrizione CIL VI, 350 da Roma,
una dedica ad Isis Augusta nella quale compare la formula solo et pecunia sua
[dedit ?]; e ancora AE 1971, 85 da Nola, che attesta come Varia Pansina por-
tic(um) cum statuis et / [vi]ridibus numini Veneris Ioviae et coloniae solo et
[pe]cunia suo fecit, cuius operis dedicatione decurionib(us) ((sestertios)) XXX,
[Au]gustalib(us) ((sestertios)) XX, ministr(is) ((sestertios)) XII, populo et mulie-
rib(us) ((sestertios)) III dedit; CIL X, 816, iscrizione di Pompei nella quale la
sacerdotessa Mamia dedicò un tempio Geni[o coloniae ? s]olo et pec[unia
sua]1583; infine AE 1911, 184 da Ferentium, nella quale Ses. Ortensio Claro fo-
rum et / Augusteum cum statuis LVII circa / porticus et lacus et cloacas, solo
privato / s(ua) p(ecunia) f(aciendum) c(uravit), idem dedic(avit) crustulum et
epul(um) dedit.
Un confronto più stringente con il nostro testo ci è proposto da alcune
iscrizioni della Spagna romana: la prima proviene da Castulo, nella Tarraco-
nense, e ricorda tra le altre benemerenze del procurator Augusti provinciae
Baeticae Q. Torius Q. f. Culleo nei confronti del municipio, anche il fatto che
egli solum ad balineum aedificandum dedit e che concesse un epulum al po-
pulus della comunità1584. Nella seconda epigrafe, ritrovata a Cartima, nella Be-
tica, la sacerdotessa Iunia D. f. Rustica, oltre a numerosi altri interventi in fa-
vore della sua comunità, menziona parimenti la concessione del terreno per la
costruzione di balnea ed il finanziamento di un epulum1585. Nei casi di Q. Torio
Culleone e di Giunia Rustica peraltro le munificenze ricordate si inseriscono in
un programma di evergesie di più ampio respiro, al confronto del quale l’azione
di T. Furio Primigenio appare, tutto sommato, di modesta portata, indice di una

1581 Cf. le somme riportate da Duncan-Jones, Epigraphic Survey, p. 271, nn. 1079b-1079h.
1582 Ibid., p. 262, n°879.
1583 Secondo l’interpretazione avanzata da I. Gradel, Mamia’s Dedication: Emperor and Genius.
The Imperial Cult in Italy and the Genius Coloniae in Pompeii, «ARID», 20 (1992), pp. 43-58
(cf. AE 1992, 271). CIL X, 816 vi vedeva piuttosto una dedica Geni[o Augusti].
1584 CIL II, 3270, studiata da R.P. Duncan-Jones, The procurator as Civic Benefactor, «JRS», 6 4
(1974), pp. 79-85.
1585 CIL II, 1956. Su questi due documenti vd. ora E. Melchor Gil, El mecenazgo civico en la Be-
tica. La contribución de los evergetas a la vida municipal, Córdoba 1994, p. 100 e nota 60.
Parte II. I documenti 463

condizione economica certo prospera, ma che non consente di annoverare il


personaggio nella ristretta cerchia dell’élite di Tolentinum1586.
T. Furio Primigenio è altrimenti noto nella documentazione epigrafica di
Tolentinum: una frammentaria stele ci conserva infatti probabilmente la sua
iscrizione sepolcrale: [T(itus) F]u≥rius / [Primi]genius, / [VI] vir, / [fecit ?] sibi et
/ [---]nenae / [Ty]che o [Ny]che1587. La mancata menzione del patronimico, il
cognome Primigenius, frequente negli individui di nascita servile, e la carica di
VI vir lasciano pensare che il personaggio fosse di condizione libertina, il che
giustificherebbe il fatto che T. Furio, nonostante la generosità mostrata nei
confronti del collegio dei fabri tignuarii di Tolentinum, non venne nominato
patrono dell’associazione, come sarebbe lecito attendersi1588. La condizione so-
ciale, per così dire, intermedia di Primigenio, confermata anche dall’analisi del
suo epitafio, sembra dunque escludere che il rapporto con il collegio dei fabri ti-
gnuarii di Tolentinum trovasse origine nella volontà dell’associazione di assicu-
rarsi il patronato politico, in senso lato, del personaggio: la relazione dovette
nascere su un altro terreno e non si può pertanto escludere che Primigenio
avesse un qualche interesse economico collegato all’attività dei fabri tignuarii
tolentinati.
Non è improbabile che al piccolo dossier di testimonianze relative alla
famiglia di T. Furio Primigenio vada aggiunta l’iscrizione sepolcrale del magi-
ster municipi T. Furius T. f. Vel. Vitalis, rinvenuta dopo la fine della II guerra
mondiale nell’alveo del fiume Chienti, ma rimasta inedita fino al 19801589. La
1586 Il personaggio è ricordato anche da L. Cracco Ruggini, Le associazioni professionali nel
mondo romano-bizantino, «Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo.
XVIII. Artigianato e tecnica nella società dell’alto medioevo occidentale. 2-8 aprile 1970», I,
Spoleto 1971, p. 127, nota 141 tra gli esempi di semplici cittadini che si resero benemeriti d i
fronte ai collegi.
1587 CIL IX, 5572; cf. anche add. p. 688. Nel testo si ripropone la lettura suggerita da Paci, Magi-
ster municipi, cit., p. 485, nota 1; l’integrazione [Ny]che è proposta dal medesimo studioso i n
Tolentinum, cit., p. 67. A l. 4 G. Paci prende in considerazione l’ipotesi di un ricordo
dell’Augustalità, peraltro non ancora attestata a Tolentino: tuttavia l’accurata impaginazione del
testo lascia pensare che tale notazione, se vi fosse stata, avrebbe trovato piuttosto posto a l. 3,
subito dopo il ricordo del sevirato. È dunque più probabile che Primigenio fosse un semplice
Sevir e che a l. 4 si trovasse un verbo come fecit (attestato nell’epigrafia sepolcrale di Tolenti-
num in CIL IX, 5571) o la notazione vivus o ancora il ricordo della stessa comunità tolentinate,
nella quale Primigenio aveva esercitato la sua carica di Sevir (così nell’iscrizione CIL IX, 5569,
relativa ad un altro seviro di Tolentino, il liberto L. Metilius Fructus). Le conclusioni del Paci
sono sostanzialmente riprese da Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
16.
1588 Cf. Paci, Magister municipi, cit., pp. 485-487. Per i caratteri del cognomen Primigenius,
equivalente del grecanico Protogenes, vd. Kajanto, Latin cognomina, cit., pp. 77; 134; 290;
Agnati, Epigrafia, diritto e società, cit., p. 112. Noto che la stessa onomastica grecanica di Tyche
(o Nyche), la donna che trovò sepoltura insieme a Primigenio, presumibilmente la moglie, pari-
menti punta verso un ambiente di liberti. Il personaggio è brevemente ricordato da Cracco
Ruggini, Associazioni, cit., p. 127, nt. 141 a proposito dei semplici cittadini che seppero ren-
dersi benemeriti nei confronti dei collegi, probabilmente in vista della concessione della tabula
patronatus.
1589 L’interessante documento è stato pubblicato da G. Paci, Magister municipi, cit., pp. 480-
501 (= AE 1980, 392), al cui ampio commento si rimanda per quanto segue nel testo, e ripresa dal
464 Parte II. I documenti

datazione dell’epitafio di Vitale alla prima metà del II sec. d.C.1590 ed il patro-
nimico T(iti) f(ilius) consentono in effetti di ipotizzare che questi potesse essere
il figlio di Primigenio. Se tale ipotesi si rivelasse corretta, ci troveremmo da-
vanti ad un interessante caso di ascesa sociale nella Tolentinum imperiale: il li-
berto T. Furio Primigenio dopo aver consolidato la sua posizione economica, un
processo nel quale forse non fu estraneo un rapporto con le attività del col-
legium dei fabri tignuarii, raggiunse l’unica carica pubblica alla portata di coloro
che non erano di nascita ingenua, il sevirato, ponendo le premesse al successo
sociale del figlio Vitale, che con orgoglio fa mostra nella sua onomastica dei se-
gni dell’ingenuitas, il patronimico e l’indicazione della tribù, nonché del titolo
di magister municipi: dietro tale enigmatica carica, come ha rilevato G. Paci, si
potrebbe tra l’altro vedere una continuità di rapporti della famiglia dei Furii con
i fabri tignuarii di Tolentino: come è noto infatti alla testa delle associazioni
professionali potevano trovarsi dei magistri1591.
Immagine: Tav. LVIII. Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
127, fig. 27.

medesimo studioso in Tolentinum, cit., pp. 71-72, n°5, con qualche miglioramento nella lettura
del cognome della moglie di Vitale.
1590 Così Paci, Tolentinum, cit., p. 72. Lo studioso sembrava pensare ad una datazione legger-
mente posteriore in Magister municipi, cit. pp. 486-487.
1591 Il riferimento ad un magistero dei fabri tignuarii è suggerito da Paci, Magister municipi,
cit., p. 500, che peraltro nota come la carica possa riferirsi ad un magister vici o ad uno dei nume-
rosi altri incarichi cui questo titolo può alludere nel mondo romano.
Parte II. I documenti 465

Trea

Trea 1

Edizione di riferimento: CIL IX, 5659.


Altre edizioni: J. Cholodniak, Carmina sepulchralia latina epigraphica, Pe-
tropoli 19042, p. 368, n°1024; E. Engstroem, Carmina latina epigraphica post
editam collectionem Buechelerianam in lucem prolata, Gotoburgi - Lipsiae
1912, p. 14, n°49; Bejor, Trea, cit., pp. 128-129, n°18; Moscatelli, Trea, cit.,
p. 68, n°4.
Bibliografia: O. Seeck, Colonatus, «P.W.», IV, 1 (1900), col. 488; E. Groag,
Nonius 16, «P.W.», XVII, 1 (1936), col. 868; D. Pikhaus, Levenbeschouwing en
milieu in de latijnse metrische inscripties, Brussel 1978, pp. 72; 99-100; B.W.
Frier, Law, Technology, and Social Change: the Equipping of Italian Farm
Tenancies, «ZRG», 96 (1979), p. 214, nota 51; p. 218: Gasperini - Paci, Ascesa
al senato, cit., pp. 239-240; V. Weber in Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit.,
p. 275; p. 359, n°12; De Neeve, Colonus, cit., p. 195, nota 12; p. 196, nota 16;
Drexhage, Selbstverständnis, cit., p. 17; Delplace, Romanisation, cit., pp. 50;
75; Scheidel, Sklaven und Freigelassene als Pächter, cit., p. 193; Andermahr,
Totus in praediis, cit., pp. 353-355; Paci, Alcune considerazioni, cit., p. 34;
S.M. Marengo in Suppl. It., n.s., 18, pp. 162; 163; 169; Ead., Colonus pauper.
Annotazioni a C.I.L. IX 5659, «Studi Piceni», 66 (2001), pp. 7-21.
Luogo di ritrovamento: il preciso luogo di ritrovamento dell’iscrizione non è
noto1592.
Luogo di conservazione: segnalata a Treia, nel Museo civico archeologico del
Palazzo comunale1593, l’iscrizione è stata vista nel maggio 2001 a San Severino
Marche, nella sede della mostra “La viabilità delle alte valli del Potenza e
dell’Esino in età romana”. Nel maggio 2002 era a Treia, in attesa di tra-
sferimento nel nuovo Museo archeologico della cittadina.
Tipo di supporto: Lastra in calcare bianco, priva di cornice e spezzata in due
frammenti, ora ricongiunti; la superficie iscritta presenta diverse scheggiature,
in particolare in corrispondenza delle prime linee del testo, che tuttavia non ne
pregiudicano la lettura. La parte finale di l. 1 era già lacunosa ai tempi della
compilazione del CIL, con la perdita della fine del gentilizio del primo perso-
naggio, mentre tracce della formula di patronato si scorgono tuttora sulla pietra;
la lacuna è integrabile anche grazie al testo completo tramandatoci dalla tradi-

1592 Cf. Bejor, Trea, cit., p. 128; Moscatelli, Trea, cit., p. 68, che include il documento tra i mate-
riali di provenienza ignota, pubblicati in appendice alla sua monografia, alle pp. 67-70.
1593 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 490; Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 163.
466 Parte II. I documenti

zione erudita1594. Si noti che, in corrispondenza delle ultime due linee di testo, la
superficie non venne levigata.
Mestiere: colonus.
Datazione: per le caratteristiche paleografiche e per il formulario, il testo
sembra da collocare tra la fine del I sec. a.C. e gli inizi del secolo seguente. Una
qualche precisazione alla cronologia potrebbe venire da una sicura identifica-
zione del L. Asprenate menzionato nell’epigrafe; purtroppo gli elementi in no-
stro possesso non consentono ancora nessuna certezza in proposito, come si
vedrà nel commento1595.
Testo: Q(uintus) Sertorius Q(uinti) l≥(ibertus) / Antioch≥us, colonus. / Pauper fuit
aequo / animo, scibat moriun/dum sibi. Ex testamento / Balbus Antiochi
l(ibertus), / Sertoria Q(uinti) l(iberta) Europa, / Nonia L≥(uci) Asprenatis
l(iberta) / Helena, Balbi soror. / In agr(o) p(edes) XVI, in fro(nte) p(edes) XIIII.
l. 1: Serto[rius] Moscatelli.
Interpunzione in forma di virgola, con il vertice rivolto verso il basso, utilizzata
con regolarità.
Commento
L’interessante documento ci conserva l’iscrizione funeraria del colono Q.
Sertorio Antioco; l’epitafio venne posto da tre personaggi, variamente legati ad
Antioco, ma tutti di estrazione libertina, che forse vennero sepolti nella mede-
sima area.
Il titolare dell’area funebre, che per volontà testamentaria fece erigere
l’epitafio, è un liberto che porta un nomen attestato nel Piceno per il momento
solo a Petriolo, nei pressi di Urbs Salvia1596. Nella regio V si hanno altre due at-
testazioni del cognome Antiochus, entrambe riferibili a liberti1597.
I curatori dell’iscrizione funebre per Q. Sertorio Antioco sono tre liberti,
di cui i primi due strettamente legati al defunto: Balbo era in effetti un ex
schiavo dello stesso Antioco, mentre Sertoria Q. l. Europa deve essere stata
piuttosto una colliberta del titolare dell’area sepolcrale; non si può escludere che
tra Antioco ed Europa esistesse un legame di tipo matrimoniale, quel che è certo

1594 Cf. lemma a CIL IX, 5659; Bejor, Trea, cit., p. 128. Per la descrizione del supporto vd.
Moscatelli, Trea, cit., p. 68; Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 169.
1595 Cf. Bejor, Trea, cit., p. 129: al più tardi in età flavia, sulla base dell’assenza dell’adprecatio
ai Mani e della paleografia; V. Weber in Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 359, n°12; tra la
fine del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C.; Moscatelli, Trea, cit., p. 68: tra la fine del I sec. a.C. e
gli inizi del I sec. d.C., sulla base della probabile identificazione di L. Nonio Asprenate con i l
console del 6 d.C.; Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 169: entro la metà del I sec. d.C.
1596 CIL IX, 5524 nota solo da tradizione manoscritta: Sertoria Y (!) l(iberta) Myrine; T.
Mommsen suggeriva di correggere l’indicazione di patronato tramandata in ((mulieris))
l(iberta).
1597 Cf. ad Asculum P. Caleidi[us] P. l. Antioc[us] di CIL I2, 1913 = CIL IX, 5207; ad Hadria C.
Petronius C. l. Antiochus di CIL IX, 5033. Per le attestazioni urbane vd. Solin, Die griechischen
Personennamen, cit., I, pp. 201-206; III, p. 1357; Id., Sklavennamen, cit., II, pp. 244-247.
Parte II. I documenti 467

è che il testo non ne fa menzione1598. Balbus, cognome non troppo frequente


per personaggi di origine servile1599, è altrimenti noto nel Piceno ad
Asculum1600, a Septempeda1601 e in un frammento di Urbs Salvia1602. Scono-
sciuto nel resto della regione è invece il nome Europa1603.
Tre i tre dedicanti il personaggio più interessante è indubbiamente Nonia
Elena, sorella di (Sertorio) Balbo e forse coinvolta nella vicenda proprio per
questa sua parentela. Elena infatti non era una liberta dei Q. Sertorii, ma di un L.
(Nonius) Asprenas.
Quest’ultimo personaggio è unanimemente ritenuto uno degli esponenti
della nota famiglia senatoria dei Nonii Asprenates, le cui vicende si possono se-
guire, seppure a grandi linee, dal I sec. a.C. fino al II sec. d.C. Riguardo la precisa
identificazione dell’Asprenate di CIL IX, 5659 non vi è tuttavia accordo nella
dottrina scientifica. Dal momento che il testo può collocarsi, per caratteristiche
paleografiche ed elementi del formulario, tra la fine del I sec. a.C. e gli inizi del
secolo seguente, i personaggi a noi noti nei quali teoricamente potremmo indi-
viduare il patrono di Nonia Elena sono almeno tre: L. Nonius L. f. Asprenas,
console nel 36 a.C.1604, L. Nonius L. f. L. n. Asprenas, console del 6 d.C. e forse
figlio del precedente, nato verosimilmente nel 28 a.C. e morto prima del 30
d.C.1605, e infine L. Nonius Asprenas, console del 29 d.C. e figlio del prece-
dente1606. Anche se non mi pare che esistano elementi decisivi a favore dell’una
o dell’altra ipotesi, accorderei una leggera preferenza all’identificazione con il
meglio noto dei tre personaggi, il console del 6 d.C., soprattutto in ragione del
fatto che l’iscrizione, per i suoi caratteri, si attaglia perfettamente ad una data-
zione nella piena età augustea1607.

1598 Per tale motivo V. Weber in Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 275 ritiene inverosimile
che Europa fosse moglie di Antioco; personalmente non sarei tanto drastico quanto lo studioso
tedesco.
1599 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 240, che registra 7 casi riferibili a schiavi o liberti;
Solin, Sklavennamen, cit., I, p. 56 conosce 4 attestazioni nella documentazione urbana.
1600 CIL IX, 5256: C. Vibius Pet. f. Fab. Balbus.
1601 Suppl. It., n.s. 13, pp. 216-217, n°6 (= AE 1996, 582): [---] C. f. Cor. Balbus (si noti come
l’iscrizione alla tribù Cornelia, diversa dalla Velina che è prevalente a Septempeda, getta qualche
sospetto sull’origine locale del personaggio).
1602 CIL IX, 6419: [---] Balbu[s ---].
1603 Il grecanico è comunque abbastanza ben attestato a Roma, cf. Solin, Die griechischen Per-
sonennamen, cit., I, p. 545; Id., Sklavennamen, cit., II, pp. 353-354.
1604 E. Groag, Nonius 15, «P.W.», XVII, 1 (1936), coll. 866-867; Id., Nonius 15, ibid., S. VII, col.
582; Wiseman, New Men,, cit., pp. 244-245, n°274; Broughton, Magistrates, cit., III, pp. 147-
148; PIR2 N 117; Delplace, Romanisation, cit., p. 50, n°4.
1605 E. Groag, Nonius 16, «P.W.», XVII, 1 (1936), coll. 867-872; PIR2 N 118.
1606 E. Groag, Nonius 17, «P.W.», XVII, 1 (1936), coll. 872-873; PIR2 N 119.
1607 Questa è la soluzione ritenuta più verosimile anche da E. Groag, Nonius 16, «P.W.», XVII, 1
(1936), col. 868; Gasperini- Paci, Ascesa al senato, cit., pp. 239-240; Moscatelli, Trea, cit., p. 68;
Paci, Alcune considerazioni, cit., p. 34. V. Weber in Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 275
non esclude un’identificazione con il console del 29 d.C. Bejor, Trea, cit., p. 129 propende
piuttosto per un’identificazione con il console del 36 a.C. (per un refuso 36 d.C. in Bejor). In-
certa tra il console del 36 a.C. e quello del 6 d.C. Delplace, Romanisation, cit., p. 50. Esitano tra i l
468 Parte II. I documenti

I legami tra i Nonii Asprenati e la regio V non sembrano esaurirsi alla pre-
senza di una loro liberta a Trea, elemento di per sé non decisivo. Un indizio ri-
levante è dato dalla comparsa nel consilium di Cn. Pompeo Strabone di un L.
Nonius T. f. Vel., insieme ad un fratello più anziano T. Nonius T. f. Vel.; i due
fratelli, in ragione della loro iscrizione alla tribù Velina, sono generalmente ri-
tenuti nella dottrina scientifica di origine picena1608. Dal momento poi che il
prenome Lucius ricorre solo nella famiglia dei Nonii Asprenates si considera
probabile che il L. Nonio del consilium di Pompeo Strabone fosse il padre del
già menzionato console del 36 a.C. L. Nonius L. f. Asprenas e fosse dunque il
fondatore della famiglia senatoria1609. Un elemento di conferma viene dal fatto
che il L. Nonio Asprenate menzionato nei senatoconsulti de Panamareis del 39
a.C. e de Aphrodisiensibus del 35, identificato generalmente con il console suf-
feto del 36 a.C., in questi documenti appare iscritto alla tribù Velina1610.
La probabile ascendenza picena dei Nonii Asprenates consente di ipotiz-
zare con qualche fondamento che la famiglia possedesse delle terre nella regio V;
che tali fondi si trovassero, almeno in parte, nel territorio di Trea o che addi-
rittura gli Asprenati fossero originari del municipium non è tuttavia lecito con-
cludere, sulla base della semplice attestazione nella località della loro liberta
Helena1611. Il gentilizio Nonius è ben presente nel Piceno1612, ma la sua diffu-
sione potrebbe anche essere legata ad una famiglia di Nonii Bassi, imparentata, a
quanto risulta dall’onomastica, con due celebri senatori di Urbs Salvia, L.
Flavius Silva Nonius Bassus e C. Salvius Liberalis Nonius Bassus1613. Altri-
menti ignoto nel Piceno invece il cognome Helena, un grecanico che comunque
è piuttosto comune nella documentazione epigrafica dell’Italia romana1614.

console del 6 d.C. e l’onomimo figlio Andermahr, Totus in praediis, cit., p. 354 e Marengo i n
Suppl. It., n.s., 18, p. 169.
1608 Cf. Cichorius, Römische Studien, cit., p. 170; F. Münzer, Nonius 8, «P.W.», XVII, 1 (1936),
col. 864; Taylor, Voting Districts, cit., p. 237; Criniti, L’epigrafe di Asculum, cit., pp. 152-153;
Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 239, Borgognoni, Moltiplicazione, cit., p. 41.
1609 Cichorius, Römische Studien, cit., p. 170; Münzer, Nonius 8, cit., col. 864; cf. anche Id.,
Nonius 14, ibid., coll. 865-866; Taylor, Voting Districts, cit., p. 237; Criniti, L’epigrafe di Ascu-
lum, cit., pp. 153-154; Wiseman, New Men, cit., p. 244; Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p.
239; Broughton, Magistrates, III, pp. 147-148; Delplace, Romanisation, cit., p. 50, n°2; prudente
la posizione di Andermahr, Totus in praediis, cit., p. 354, nota 3.
1610 Come rilevano Wiseman, New Men, cit., p. 244; Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p.
239.
1611 Cf. Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 240, che sottolineano a ragione come
l’iscrizione di Trea non sia motivo sufficiente per individuare in questo municipio la patria dei
Nonii Asprenates. Andermahr, Totus in praediis, cit., pp. 353-354, pure assai prudente riguardo
la stessa origine picena degli Asprenati, ricorda CIL IX, 5659 e la liberta Nonia Helena come
elemento per una possibile localizzazione a Trea di possedimenti della famiglia; questa even-
tualità è evocata anche da Groag, Nonius 16, cit., col. 871 (ma con generico riferimento al Piceno)
e da Moscatelli, Trea, cit., p. 68, nota 298.
1612 Le attestazioni sono raccolte da A. Arnaldi, Un’iscrizione funeraria mutila a Loro Piceno,
«Picus», 2 (1982), pp. 100-101.
1613 Come puntualizzano Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 239.
1614 Cf. per la documentazione urbana Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, pp. 538-
541; Id., Sklavennamen, cit., II, pp. 351-352.
Parte II. I documenti 469

Un altro dato dell’iscrizione di Trea che ha suscitato un vivace interesse è


quello relativo alla condizione di colono del liberto Q. Sertorio Antioco. Come
già si era messo in luce a proposito dell’iscrizione falerionese di un Optatus co-
lonus1615, il problema principale che ci pongono le attestazioni epigrafiche di
coloni è dato dal senso da assegnare al termine, che ha un ampio spettro seman-
tico. Se nel caso dell’iscrizione di Falerio la presumibile condizione servile di
Optato consente almeno di scartare la possibilità che egli coltivasse un terreno
di sua proprietà, nell’epigrafe di Trea nessun elemento decisivo consente di af-
fermare se qui colonus abbia semplicemente il senso, che è primario, di coltiva-
tore, forse di un proprio fondo1616, o se piuttosto il liberto fosse un affittua-
rio1617; con la maggioranza degli studiosi che si sono occupati del tema, credo
sia opportuno lasciare aperta la questione1618. Certo che, se Antioco era vera-
mente un fittavolo, la comparsa di una liberta dei Nonii Asprenates
nell’iscrizione funeraria del colono di Trea e la ragionevole supposizione che
questa famiglia senatoria, originaria del Piceno, possedesse delle terre nella re-
gione, dischiude la possibilità che Antioco avesse preso in locazione fondi dei
Nonii Asprenati: ipotesi suggestiva, ma che chiaramente appartiene al campo
delle semplici speculazioni1619, soprattutto dal momento che, come si è visto,
non è affatto accertato che gli Asprenati possedessero dei fondi proprio a Trea.
Ritengo piuttosto interessante sottolineare la possibilità che il liberto di
Antioco, Sertorio Balbo, quando ancora non era stato affrancato, avesse lavo-
rato nei campi del suo padrone: l’iscrizione di Trea potrebbe dunque costituire

1615 Vd. supra, pp. 283-288, Falerio 1, al cui commento si rimanda per un breve inquadramento
delle problematiche inerenti alle attestazioni epigrafiche di coloni.
1616 Così V.A. Sirago, I catilinari piceni, «Picus», 2 (1982), p. 78, che ricorda Q. Sertorio
Antioco tra gli esempi di piccoli e medi proprietari del Piceno.
1617 Cf. Bejor, Trea, cit., p. 129, che pur dicendosi incerto se Antioco coltivasse la propria terra o
terra altrui, presa in affitto, propende piuttosto per la seconda ipotesi. Johne, Kolonenwirtschaft,
cit., p. 93 sembra invece dare per scontato che in questo caso, come in altri in cui vediamo
apparire coloni di statuto libertino, si tratti di un affittuario. A favore di questa ipotesi anche
Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 169.
1618 Cf. V. Weber in Johne - Köhn - Weber, Kolonen, cit., p. 275, nonostante lo studioso sviluppi
in seguito un’ardita ricostruzione che ha come presupposto l’identificazione di Antioco con u n
fittavolo, vd. a questo proposito la nota seguente; cf. inoltre De Neeve, Colonus, cit., p. 197;
Delplace, Romanisation, cit., p. 75, che ricorda Q. Sertorio Antioco semplicemente come u n
paysan qui travaille la terre; Scheidel, Sklaven und Freigelassene als Pächter, cit., p. 193.
1619 Come rileva lo stesso V. Weber, che propone questa ricostruzione in Johne - Köhn - Weber,
Kolonen, cit., p. 275; lo studioso tuttavia non manca di procedere oltre, ipotizzando anche che
Balbus, come la sorella Helena, fosse stato originariamente di proprietà dei Nonii Asprenati e
che fosse stato poi acquistato da Q. Sertorio Antioco per essere utilizzato nel lavoro dei campi;
la stessa Sertoria Europa potrebbe aver avuto una vicenda simile; credo tuttavia che almeno
quest’ultima ipotesi possa essere esclusa con una certa sicurezza: la differente formulazione del
patronato nell’onomastica di Balbo e di Europa credo indichi che se, il primo era stato schiavo
di Antioco, la seconda doveva piuttosto essere una sua colliberta, affrancata come Antioco da u n
Q. Sertorius.
470 Parte II. I documenti

una delle rare attestazioni epigrafiche dell’uso di manodopera servile da parte


dei coloni, fossero questi proprietari terrieri o fittavoli1620.
Dopo il ricordo dell’occupazione, l’epitafio di Q. Sertorio Antioco inseri-
sce una breve clausola metrica in settenari giambici, degna di nota non solo per
la rarità con la quale iscrizioni funerarie in versi appaiono nelle sepolture di per-
sonaggi appartenenti al mondo rurale1621, ma per lo stesso concetto espresso,
meno banale di quello che potrebbe sembrare nei carmina latina epigraphica: la
certezza della morte, comune esito dell’esistenza di ogni uomo, quale che fosse
la sua fortuna, aveva fatto sopportare ad Antioco una vita modesta1622.
Proprio sulla presunta paupertas di Antioco, in rapporto alla sua occupa-
zione come colonus, si è appuntato l’interesse della dottrina scientifica: a chi
sembra ritenere pauper espressione autentica della condizione di miseria nelle
quale il colono viveva1623, si è obiettato che la situazione economica di
Antioco, che poteva permettersi un epitafio in versi e che possedeva almeno
uno schiavo, non doveva essere tanto miserevole, liquidando la sua paupertas
come motivo di elogium moraleggiante più che fedele riflesso di difficoltà fi-
nanziarie1624.
Il dibattito è tuttavia viziato da un’interpretazione della punteggiatura che
pare erronea, oltre che da un equivoco terminologico: in effetti l’impaginazione
e l’andamento metrico non consentono di connettere l’aggettivo pauper al
sostantivo colonus1625. Inoltre tradurre pauper con “povero”, o con le
corrispondenti espressioni in altre lingue moderne, può essere fuorviante:
sebbene il tenore di vita dei pauperes non dovesse certamente essere sfarzoso,
sarebbe erroneo ritenere che essi fossero ridotti alla completa indigenza, un
concetto che nella lingua latina classica è espresso piuttosto da termini come
egestas, inopia, mendicitas1626. Se ci volgiamo alle testimonianze epigrafiche di

1620 Cf., nonostante i consueti richiami alla prudenza da parte di De Neeve, Colonus, cit., p. 196,
nota 16, Seeck, Colonatus, cit., col. 488; Frier, Law, cit., p. 218; V. Weber in Johne - Köhn -
Weber, Kolonen, cit., p. 275; D.P. Kehoe, Allocation of Risk and Investment on the Estates o f
Pliny the Younger, «Chiron», 18 (1988), p. 18, nota 10 (con una raccolta di attestazioni d i
schiavi di coloni); Aubert, Business Managers, cit., p. 131, nota 44.
1621 Cf. Pikhaus, Levenbeschouwing, cit., pp. 99-100.
1622 Breve inquadramento del concetto che ritroviamo nell’iscrizione di Trea in Pikhaus, Le-
venbeschouwing, cit., p. 72, che opportunamente richiama CIL VI, 30105 = I2, 1217 = CLE 68, ll.
10-12: spe amissa voluit me Fortuna heic retine(re), / quoniam me Fortuna iniqua non sivit
frui, / nihil timeo nec confico: moriundum scio.
1623 Frier, Law, cit., p. 214, nota 51.
1624 Così De Neeve, Colonus, cit., p. 195, nota 12, seguito da Scheidel, Sklaven und Freigelas-
sene als Pächter, cit., p. 193.
1625 Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 169.
1626 Di epigrammatica efficacia per comprendere il significato di pauper e paupertas Mart., XI,
32: nec toga nec focus est nec tritus cimice lectus / nec tibi de bibula sarta palude teges, / nec
puer aut senior, nulla est ancilla nec infans, / nec sera nec clavis nec canis atque calix. / Tu
tamen affectas, Nestor, dici atque videri / pauper et in populo quaeris habere locum. / Mentiris
vanoque tibi blandiris honore. Non est paupertas, Nestor, habere nihil. Per la differenza tra
paupertas ed egestas vd. per esempio Porph. a Hor., Epist., II, 2, 199: pauperies: egestas. Nam
paupertas etiam honestae parsimoniae nomen est et usurpatur in fortuna mediocri; Claud.
Parte II. I documenti 471

pauperes, il fatto stesso che essi potessero permettersi un monumento funera-


rio, talvolta non dei più modesti1627, indica chiaramente che essi non apparte-
nevano alla fascia più miseranda della società romana1628. In alcuni casi abbiamo
esplicita testimonianza che chi faceva professione di paupertas apparteneva ad
un ceto di qualche distinzione, come per esempio il soldato della III coorte
pretoria Q. Caetronius Q. f. Pub. Passer, che nell’iscrizione sepolcrale posta
per sé e per la moglie Masuria M. f. Marcella, ricorda: vixi quod volui, sempre
bene, / pauper, honeste; fraudavi / nullum, quod iuvat ossa mea1629. Nella
stesso senso depone, nell’epitafio di Antioco, l’indicazione dei limiti dell’area
sepolcrale, unico esempio a noi noto nell’epigrafia sepolcrale di Trea.
Credo dunque che Q. Sertorio Antioco non pretendesse affettatamente di
essere compatito per la sua miseria, ma che piuttosto volesse eternare il ricordo
di una vita priva di lussi, ma comunque onesta e laboriosa, vissuta nella consa-
pevolezza che la morte, alla fine, avrebbe provveduto a livellare ogni differenza
sociale ed economica.
Immagine: Tav. LIX. Moscatelli, Trea, cit., p. 68, fig. 80; Paci, Alcune consi-
derazioni, cit., p. 35, fig. 1.

Don., Aen., VIII, 365: non enim Euander de egestate, sed de paupertate fatebatur: pauper est
enim cui deest maior copia familiaris rei et tamen aliquantae substantiae est, egenarum autem
rerum significatio miserias exprimit et mendicitatem plenam; Serv. auct., Georg., I, 146: peior
est egestas quam paupertas; paupertas enim honesta esse potest, egestas etiam turpis est. Sulla
terminologia della povertà vd. da ultimo M. Prell, Sozialökonomische Untersuchungen zur Ar-
mut im antiken Rom. Von den Gracchen bis Kaiser Diokletian, Stuttgart 1997, pp. 44-49, con ul-
teriore bibliografia a p. 44, nota 82; cf. anche Nadjo, Argent, cit., pp. 451-454; Il lessico della
mendicità è indagato da V. Neri, I marginali nell’occidente tardoantico. Poveri, ‘infames’ e cri-
minali nella nascente società cristiana, Bari 1998, pp. 33-42: la figura del mendicante attra-
verso il lessico latino pagano della mendicità, partic. p. 41, ove lo studioso nota nella letteratura
pagana tardoantica una tendenza all’avvicinamento tra i concetti di paupertas, egestas e mendi-
citas; cf. anche pp. 42-52: il lessico della mendicità nella letteratura cristiana latina, ove la ten-
denza segnalata trova il suo logico sviluppo.
1627 Come per esempio nel caso del cosiddetto caisson funéraire in cui venne deposta la Iunia
Baccula di AE 1966, 539, dalla Numidia: l’elogio della donna, postole dal marito, ricorda che
ella fidem servavit, [e]ribuit pudicitiam, coluit maritum, toleravit paupertatem, [f]ilios monuit
bene; l’epitafio di Baccula è ora attentamente studiato da H. Krummrey, Zur Grabinschrift für
Iunia Baccula aus Oued-Athménia / Algerien (AÉ, 1966, 539), «Aevum inter utrumque. Mélanges
offerts à Gabriel Sanders professeur émérite à l’Université de Gand», a cura di M. Van
Uytfanghe - R. Demeulenaere, Steenburgis 1991, pp. 289-300, partic. pp. 297-298 per l’aspetto
che qui interessa. Vd. anche CIL V, 4593 = CLE 1042 = InscrIt X, V, 391, elegante stele timpanata
in botticino, con il busto dei defunti, rinvenuta a Brixia: V(ivus) f(ecit) / Q(uintus) Egnatius /
Q(uinti) l(ibertus) Blandus / sibi et / Minuciae Urbanae, / uxori. / Pro paupertate haec summo
tibi / tempore coniunx, ut potui, / meritis parvola dona dedi. Innocens vix(it) ann(os) XXIIX.
1628 Sul tema vd. Drexhage, Selbstverständnis, cit., p. 17 (con richiamo alla stessa iscrizione d i
Q. Sertorio Antioco). Altri esempi di pauperes nella documentazione epigrafica in Prell, Armut,
cit., pp. 142-143.
1629 CIL VI, 2489 = CLE 991.
472 Parte II. I documenti

Trea 2

Edizione di riferimento: CIL IX, 5654.


Altre edizioni: Bejor, Trea, cit., p. 128, n°17; Moscatelli, Trea, cit., p. 44,
n°88, 3.
Bibliografia: Bejor, Trea, cit., p. 110; Delplace, Romanisation, cit., pp. 75;
101; S.M. Marengo in Suppl. It., n.s., 18, pp. 158; 163; 168.
Luogo di ritrovamento: rinvenuta nella località detta contrada Saletta, a poca
distanza dal centro urbano di Trea1630; dal medesimo sito provengono anche
l’epitafio di un militare1631 e un frammento in marmo di cui pure si presume la
natura funeraria, anche se per la verità dalle poche lettere superstiti è difficile
trarre qualche conclusione1632. Nel sito si ritiene dunque dovesse essere localiz-
zata la necropoli suburbana di Trea1633.
Luogo di conservazione: segnalata a Treia, nel Museo civico archeologico del
Palazzo comunale1634, nel maggio del 2002 in attesa di trasferimento nel nuovo
Museo archeologico della cittadina.
Tipo di supporto: Lastra in calcare bianco, mutila su tutti i lati. La l. 3 del te-
sto conservatoci pare effettivamente corrispondere all’ultima linea
dell’iscrizione, in considerazione dello spazio vuoto che si osserva al di sotto.
Mestiere: colonus ?
Datazione: su base paleografica si propone una datazione tra la fine del I sec.
d.C. e gli inizi del secolo seguente1635.
Testo: ------ / [---] + [-1-?]ilia[---] / [---T]uscili[---] / [---] colon[---].
l. 1: [Tusc]ilia CIL; [--- Tus]cilia Bejor e Moscatelli.
l. 2: [T]uscili[us] CIL; [T]uscili [---] Bejor e Moscatelli.
Commento
Si tratta di un frammento di incerta interpretazione, forse riferibile ad
un’iscrizione sepolcrale; interessa qui per la possibile menzione di un altro colo-
nus a Trea.
Le integrazioni onomastiche proposte da T. Mommsen nell’edizione del
CIL, riprese dagli studiosi che in seguito hanno analizzato l’iscrizione, si fon-
dano essenzialmente su di un documento di Ricina, CIL IX, 5746 = ILS 5675,
dal quale apprendiamo che Traiano lasciò agli abitanti della comunità parte
dell’eredità di un tal Tuscilio Nominato1636; dall’epistolario pliniano sappiamo

1630 Cf. lemma di CIL IX, 5654; Bejor, Trea, cit., pp. 109-110; 128; Delplace, Romanisation, cit.,
p. 101; cf. anche Moscatelli, Trea, cit., pp. 43-44, n°88, con rimando alla carta archeologica an-
nessa al volume; qui tuttavia il sito n°88, a poche centinaia di metri ad ovest del centro urbano
di Trea, corrisponde a Contrada Acquaticci, mentre non trovo menzione di Contrada Saletta.
1631 CIL IX, 5650 = Bejor, Trea, cit., pp. 127-128, n°16 = Moscatelli, Trea, cit., p. 43, n°88, 2.
1632 Moscatelli, Trea, cit., p. 43, n°88, 1: ------ / [---]V[---] / [---]O[---] / [---]PV[---]
1633 Moscatelli, Trea, cit., pp. 43-44.
1634 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 490; Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 163.
1635 Cf. Moscatelli, Trea, cit., p. 44; cf. anche Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 168: I-II sec. d.C.
1636 L’iscrizione è riesaminata da G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp. 66-68, n°2 e
riedita da Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 151-153.
Parte II. I documenti 473

che questo personaggio assunse il patrocinio di Vicetia in una causa che oppo-
neva la città al senatore veronese L. Bellicio Sollerte; intimorito, Tuscilio
Nominato abbandonò la causa, e venne per questo accusato dai Vicentini, fi-
nendo tuttavia prosciolto1637. Il legame di Tuscilio Nominato con Ricina, in-
sieme al fatto che dall’epistolario di Cicerone conosciamo un M. Tuscilius, par-
tigiano di Pompeo1638, che nel Piceno aveva molti sostenitori, ha condotto al-
cuni studiosi a supporre che Tuscilio Nominato e i Tuscilii in genere fossero ori-
ginari della regio V1639. Dunque l’iscrizione in esame attesterebbe la presenza di
alcuni personaggi con il medesimo gentilizio a Trea. G. Bejor ritiene che si do-
vesse trattare, piuttosto che di esponenti della famiglia stessa dalla quale prove-
niva Tuscilio Nominato, di alcuni liberti di essa1640; anche se non esplicitate
dallo studioso, credo che le motivazioni di tale teoria risiedano nel tipo di mate-
riale utilizzato e nei caratteri della scrittura, elementi che effettivamente non
sembrano accordarsi con il tipo di testi nei quali in genere vengono ricordati gli
appartenenti alle classi più elevate della società romana.
È effettivamente possibile che nell’iscrizione di Trea si trovasse il ricordo
di un Tuscilius: sulla base dei gentilizi a noi noti questa sembra essere l’unica
possibilità di integrazione di l. 21641, anche se, dal punto di vista onomastico, al-
tre formazioni in cui il suffisso in -ilius sostituisce i più consueti suffissi -inius o
-idius sarebbero plausibili1642.
Meno sicura la lettura del gentilizio a l. 1, in effetti le tracce di lettere che
si conservano non mi sembrano accordarsi con l’integrazione [Tusc]ilia propo-
sta da CIL, o [Tus]cilia, avanzata da G. Bejor e da U. Moscatelli: quanto resta
della prima lettera mi sembra corrispondere, più che alla parte inferiore di una
C, alla coda di una Q, che si allunga leggermente al di sotto della base delle let-
tere1643. Rilevando che tra la presunta Q e la I che segue si trova un certo spa-

1637 Plin., Ep., V, 4; 13. Sul personaggio vd. PIR T 304; E. Stein, Tuscilius 2, «P.W.», VII A, 2
(1948), coll. 1462-1463; Sherwin-White, Letters of Pliny, cit., p. 319; L. Cracco Ruggini, Storia
totale di una piccola città: Vicenza romana, «Storia di Vicenza. Il territorio - La preistoria -
L’età romana», Vicenza 1987, pp. 255-258 (sulla questione della causa tra Vicentini e L.
Bellicio Sollerte nel suo complesso); Delplace, Romanisation, cit., p. 54.
1638 Pompeo in Cic., Att., VIII, 12 C, 2. Sul personaggio vd. F. Münzer, Tuscilius 1, «P.W.», VII A,
2 (1948), col. 1462.
1639 Così Münzer, Tuscilius 1, cit., col. 1462; Bejor, Trea, cit., p. 128; Sherwin-White, Letters o f
Pliny, cit., p. 319; Cracco Ruggini, Storia totale, cit., p. 255; G.L. Gregori, in Inscriptiones lati-
nae liberae rei publicae, cit., p. 355; Delplace, Romanisation, cit., p. 54. Gasperini - Paci, Ascesa
al senato, cit., p. 208, nota 16 includono Tuscilius Nominatus tra i personaggi, non necessaria-
mente di origine picena, che nella V regione avevano proprietà o altri legami non meglio preci-
sabili.
1640 Così Bejor, Trea, cit., p. 128.
1641 Cf. l’indice inverso in Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 238.
1642 Cf. per esempio Fuscilius, forse attestato, ma come nome unico e in un contesto onomastico
ben diverso da quello della regio V, in AE 1951, 260 da Augusta Raurica: Olu(s), an(norum) XII,
/ et Fuscinus, an(norum) / XVI, Fuscili filii / h(ic) s(iti) s(unt). Il genitivo Fuscili potrebbe natu-
ramente corrispondere sia ad un nominativo Fuscilius come ad un nominativo Fuscilus.
1643 Come si può rilevare dalla bella fotografia dell’iscrizione pubblicata in Moscatelli, Trea,
cit., p. 45, fig. 30.
474 Parte II. I documenti

zio, sufficiente per una lettera, e in corrispondenza del quale la pietra si presenta
particolarmente consunta, suggerirei, come lettura alternativa a quella proposta,
Q(uinti) [f]ilia1644.
Questa ipotesi induce ad esaminare una ricostruzione alternativa a quella
avanzata dal CIL, che vedeva a l. 1 e l. 2 la menzione di due diversi personaggi,
un uomo e una donna, entrambi appartenenti alla gens Tuscilia; si potrebbe in
effetti pensare che a l. 3 si conservasse il cognome della donna il cui patroni-
mico era indicato alla linea precedente; tuttavia per ragioni di impaginazione e
per la difficoltà di integrare un cognome femminile già attestato a l. 2 1645, que-
sto tentativo non mi pare molto fondato.
Allo stato attuale della nostra documentazione l’ipotesi più verosimile è
che l’iscrizione di Trea attesti effettivamente un Tuscilius. Riguardo il luogo
d’origine di questo gentilizio si è già detto degli indizi, per la verità piuttosto de-
boli, che lo riconnettono al Piceno. Il nomen è tuttavia attestato anche a
Roma1646, a Capua1647 e a Bononia1648.
L’elemento di maggior interesse ai fini della presenta ricerca è la possibile
menzione di un colon[us] a l. 3 del testo conservatoci1649. Data la frammenta-
rietà dell’epigrafe si tratta chiaramente solo di un’ipotesi, che tuttavia ha un
qualche fondamento, in considerazione del fatto che la lettura a priori più scon-
tata, colon[ia]1650, non sembra molto probabile in questo testo: ricordiamo in-
fatti che Trea era un municipium, dunque il riferimento dovrebbe essere even-
tualmente ad una comunità diversa da quella nel cui territorio il documento è
stato rinvenuto; inoltre, come si è detto, il tipo di materiale utilizzato e i carat-
teri della scrittura sembrano più adatti ad un’iscrizione sepolcrale piuttosto che
ad uno degli eleganti testi di carattere onorario nei quali generalmente si con-
serva il ricordo di magistrati o patroni di colonie.

1644 L’indicazione filius o filia, scritta per esteso nella formula onomastica non è certo fre-
quente nella V regione, ma vd. per esempio CIL IX, 5466 da Falerio: C(ai) Atali C(ai) fili /
Luciliani.
1645 Ho preso in considerazione la possibilità che l’ultima lettera conservata a l. 2 fosse una L e
non una I, il che consentirebbe di proporre l’integrazione di cognomina come per esempio
Etruscilla, Fuscilla, Tuscilla, Uscilla (cf. l’indice inverso di Solin - Salomies, Repertorium, cit.,
p. 452); sulla pietra tuttavia non mi pare si conservi alcuna traccia del tratto orizzontale di una L.
1646 CIL VI, 1057, col. IV, l. 16: T. Tuscilius Salvensis; 27841: P. Tuscilius Alexander; 27842:
Ti. Tuscilius Ti. l. Phileros (Philades in G.L. Gregori, Inscriptiones latinae liberae rei publicae,
cit., p. 355, nota 402); G.L. Gregori, in Inscriptiones latinae liberae rei publicae, cit., p. 355,
n°96 (= AE 1991, 161): [T]uscilius Nas(o).
1647 CIL X, 4383: L. Tuscilius Synistor e Tuscilia Creste.
1648 CIL XI, 784: C. Tuscilius Romanus. Dubbia l’attestazione del nomen in CIL V, 2020 da Opi-
tergium, tràdita in modo piuttosto confuso.
1649 Così Bejor, Trea, cit., p. 128; Delplace, Romanisation, cit., p. 75; Marengo in Suppl. It., n.s.,
18, pp. 158; 168. Le tracce della lettera C sono oggi assai deboli, ma forse la lettera era meglio
visibile al momento dell’edizione in CIL, che nella trascrizione riporta la lettera come quasi del
tutto integra; del resto quanto tuttora è visibile sulla pietra certamente si accorda con questa let-
tura.
1650 Questa lettura è proposta dagli indici di CIL IX, p. 785.
Parte II. I documenti 475

D’altra parte l’esiguità di testo rimasto non autorizza ulteriori specula-


zioni, riguardo la natura del colonus eventualmente attestato1651.
Immagine: Tav. LX. Moscatelli, Trea, cit., p. 45, fig. 30.

1651 Per un breve inquadramento delle problematiche inerenti alle attestazioni epigrafiche di co-
loni vd. supra, pp. 284-286.
476 Parte II. I documenti

Trea 3

Edizione di riferimento: Suppl. It., n.s. 18, p. 179, n°10.


Altre edizioni: Moscatelli, Trea, cit., p. 41, n°67.
Bibliografia: Marengo in Suppl. It., n.s., 18, pp. 162; 163.
Luogo di ritrovamento: presso la piccola capella di S. Elena, lungo il rio Cati-
gnano, a circa 6 km. a sud ovest in linea d’aria dal centro dell’attuale Treia e
dall’area urbana dell’antica Trea1652.
Luogo di conservazione: a terra, lungo il lato sinistro della piccola cappella di
S. Elena (autopsia maggio 2002).
Tipo di supporto: blocco in pietra locale; lo specchio epigrafico non presenta
corniciatura. Il blocco, esposto agli agenti atmosferici si presenta in pessimo
stato di conservazione, sbrecciato su tutti i lati, in particolare agli angoli infe-
riori destro e sinistro, ma apparentemente senza perdita di testo. Al centro del
pezzo un foro circolare ha invece interessato, almeno parzialmente, lo specchio
epigrafico. La superficie iscritta al momento dell’autopsia presentava una situa-
zione notevolmente peggiore rispetto a quanto rilevato nel 1999 da S.M.
Marengo, alla cui lettura ci si affida1653. A terra, intorno alla cappelletta, si tro-
vano altri 7 blocchi simili, privi di iscrizione, con segni di grappe, evidente-
mente parte del medesimo monumento.
Mestiere: dissignator.
Datazione: in base alle caratteristiche paleografiche e alla tipologia monumen-
tale l’editrice propone un inquadramento nel I sec. d.C.1654. Ammettendo che il
testo ci abbia conservato, seppure in forma lacunosa, tutti i suoi elementi essen-
ziali, l’assenza dell’adprecatio ai Mani, l’estrema semplicità del testo e forse la
stessa formula onomastica, nella quale, come vedremo in seguito, mancava il ri-
cordo del cognomen, orienterebbero piuttosto ai primi decenni della nostra era.
Testo: C(aio) O[ - c. 1-2 -]nnaeo C(ai) f((ilio)[.]ol[---?], / dissignat[ori].
l. 1: C. [---]raco C. f. [---]ol[---] Moscatelli; C. O[- c. 3 -]ae[- c. 5 -]l[---] au-
topsia maggio 2002.
l. 2: [---]issicna Moscatelli; [- c. 6 -]n[---] autopsia maggio 2002.
Interpunzione in forma di triangolo.
Commento
È verosimile che la lacunosa iscrizione fosse pertinente ad un monumento
funerario1655 di una certa importanza, in considerazione del fatto che doveva
essere composto da almeno 8 blocchi di notevoli dimensioni.
A l. 1 compariva, in caso dativo, il nome del defunto del quale si conserva
il prenome C(aius). Seguono alcune lettere pertinenti al gentilizio, di cui si ri-

1652 Moscatelli, Trea, cit., p. 41; S.M. Marengo in Suppl. It., n.s. 18, pp. 163; 179.
1653 Ibid. In apparato è riportata la lettura compiuta in occasione della mia autopsia del maggio
2002.
1654 Marengo in Suppl. It., n.s. 18, p. 179.
1655 Così Moscatelli, Trea, cit., p. 41 e Marengo in Suppl. It., n.s. 18, p. 179.
Parte II. I documenti 477

mane l’iniziale O, seguita da una lacuna di una o due lettere1656 e dalla parte fi-
nale -nnaeo. L’integrazione risulta problematica: S.M. Marengo suggerisce a ti-
tolo di ipotesi i nomina Oennaeus o Obinnaeus, nessuno dei quali al momento
attestati nell’onomastica romana, ma che possiamo supporre come derivati ri-
spettivamente da Oenius e da Obinius1657.
Il ricordo del patronimico attesta che il personaggio ricordato era di na-
scita ingenua: va peraltro rilevato che la lettera F di f(ilius), vista da U.
Moscatelli, già non era più visibile nel 1999, quando la Marengo riesaminò il
blocco. Se tale lettura cogliesse nel giusto, le lettere OL che seguono, precedute
da una lacuna di una lettera, dovrebbero essere verosimilmente interpretate
come relative alla tribù di questo cittadino romano, [P]ol(lia) o [V]ol(tinia). Si
noti che la tribù prevalente a Trea, come in molte altre comunità del Piceno,
era la Velina1658: si può dunque ipotizzare che la famiglia di C. O[---]nnaeus non
fosse di origine locale. Ammettendo che le lettere che appaiono alla fine di l. 1
siano effettivamente da considerare come pertinenti alla tribù e ammettendo
altresì che il testo non proseguisse in un blocco vicino, dobbiamo supporre che il
defunto fosse privo di cognomen, ipotesi compatibile con l’inquadramento
cronologico del testo all’interno del I sec. d.C., ma che ci porterebbe a spostare
la datazione piuttosto ai primi decenni del secolo.
Non si può tuttavia escludere che le lettere OL siano pertinenti al co-
gnomen del personaggio, privo dell’ascrizione alla tribù. In tal caso, e sempre
presupponendo che l’iscrizione non continuasse su un altro elemento architet-
tonico, dobbiamo ritenere che il cognome fosse assai breve1659 o fosse scritto in
forma abbreviata1660.
Minori incertezze sussistono per l. 2, ove appare il ricordo del mestiere di
dissignator. Tale attività, come si è visto1661, poteva riguardare tanto
l’ordinamento dei cortei funebri quanto l’assegnazione di posti nei luoghi di
spettacolo. Anche nel caso dell’iscrizione treiense, come di regola nelle attesta-
zioni epigrafiche di dissignatores, non si è in grado di affermare quale delle due
distinte funzioni fosse esercitata dal personaggio o se egli, come parrebbe plau-
sibile, potesse applicarsi ad entrambe, a seconda delle occasioni. Ci limitiamo a
ricordare come al momento le ricerche archeologiche sul sito dell’antica Trea
non abbiano restituito indicazioni relative a teatri o anfiteatri.
Immagine: Tav. LXI. Moscatelli, Trea, cit., p. 41, fig. 24; Suppl. It., n.s. 18,
p. 179.

1656 In base all'autopsia del maggio 2002 preferirei pensare alla perdita di una sola lettera.
1657 Cf. Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 129 (Obinius); p. 130 (Oenius).
1658 Cf. Marengo in Suppl. It., n.s. 18, p. 159.
1659 Si potrebbe pensare a Polus, nella forma dativa Polo, già attestato nel Piceno da CIL IX,
5368 = Firmum 4 della presente opera, o al meno frequente grecanico Bolus, cf. Solin, Die grie-
chischen Personennamen, cit., III, p. 1304.
1660 Le due ipotesi erano già prospettate da Marengo in Suppl. It., n.s. 18, p. 179.
1661 Vd. supra, pp. 290-294, a proposito della scheda Falerio 2, alla quale si rimanda per una
breve illustrazione della funzione dei dissignatores e per la bibliografia relativa.
478 Parte II. I documenti

Trea 4

Edizione di riferimento: CIL IX, 5653.


Altre edizioni: G. Marini, ms. 9052 Biblioteca Vaticana, foglio 1131662;
Waltzing, Étude, cit., III, p. 420, n°1608; Bejor, Trea, cit., p. 120, n°5;
Moscatelli, Trea, cit., p. 58; S. Antolini in E. Percossi Serenelli et alii, Treia
(Trea), «La viabilità delle alte valli del Potenza e dell’Esino in età romana», a
cura di E. Percossi Serenelli, Milano 2000, pp. 97-98, n°40.
Bibliografia: Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°66; p. 173, n°66; Duthoy,
Profil social, cit., p. 146, n°237; Delplace, Romanisation, cit., pp. 75; 80; E.
Percossi Serenelli in Percossi Serenelli et alii, Treia, cit., p. 75; Marengo in
Suppl. It., n.s., 18, pp. 163; 167-168.
Luogo di ritrovamento: rinvenuta nell’area del convento del SS. Crocefisso,
nell’area urbana dell’antica Trea1663.
Luogo di conservazione: segnalata a Treia, Museo civico archeologico del
Palazzo comunale1664, l’iscrizione è stata vista nel maggio 2001 a San Severino
Marche, nella sede della mostra “La viabilità delle alte valli del Potenza e
dell’Esino in età romana”. Nel maggio 2002 era a Treia, in attesa di trasferi-
mento nel nuovo Museo archeologico della cittadina.
Tipo di supporto: base in calcare bianco, spezzata in due frammenti, ora ri-
composti; sul lato superiore si nota una cavità, nella quale si innestava un fasti-
gio o, più probabilmente, un busto dell’onorato1665. Lo specchio epigrafico, ri-
bassato e delimitato da una cornice a duplice listello piatto, presenta qualche
danno, in particolare nella parte centrale, che tuttavia non pregiudica in alcun
modo la lettura del testo. Sono ancora ben visibili le linee di guida.
Collegio: collegium fabrum et centonariorum.
Datazione: per caratteristiche paleografiche il testo sembra inquadrabile tra la
seconda metà del I sec. d.C. e la prima metà del secolo seguente1666.
Testo: L(ucio) Naevio L(uci) f(ilio) Vel(ina tribu) / Frontoni, / pat(rono)
mun(icipi) et / collegior(um). / Collegium / fabrum et / centonarior(um).
l. 1: O nana in Naevio. E nana in Vel(ina tribu).
l. 2: T nana in et.
Interpunzione a coda di rondine, con direzione variabile, utilizzata con regola-
rità per dividere le parole, tranne a l. 1, ove sembra mancare tra L(ucio) e f(ilio)
e tra il patronimico e l’indicazione della tribù. Si notano linee di guida, doppie
alle ll. 3 e 6 e, parzialmente, a l. 7.

1662 Cf. Buonocore, Miscellanea epigraphica. VI, cit., p. 217.


1663 Cf. Bejor, Trea, cit., p. 120; Moscatelli, Trea, cit., p. 58.
1664 Paci, Problemi di ricognizione, cit., p. 490; Marengo in Suppl. It., n.s., 18, pp. 163; 167.
1665 Cf. S. Antolini in Percossi Serenelli, Treia, cit., p. 97.
1666 Cf. Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°66; p. 173, n°66, che suggerisce in via ipotetica una
datazione al I-II d.C.; così anche S. Antolini in Percossi Serenelli, Treia, cit., p. 98 e Marengo i n
Suppl. It., n.s., 18, p. 168.
Parte II. I documenti 479

Commento
Il testo era relativo ad un qualche onore tributato dal collegio dei fabbri e
dei centonari di Trea a L. Nevio Frontone, patrono della comunità e delle asso-
ciazioni locali.
L’onorato L. Naevius L. f. Vel. Fronto, un ingenuo iscritto alla tribù pre-
valente a Trea, doveva essere un notabile locale di cui purtroppo nulla sappiamo
oltre a quanto si trova nel documento in esame1667; il nomen è attestato per un
gruppo di liberti di un L. Naevius, che presenta dunque il medesimo prenome del
personaggio dell’iscrizione in oggetto, in un documento conservato a Fermo ma
di cui si ipotizza un’origine da Ricina, quindi da una comunità prossima a
Trea1668. Nel resto del Piceno il gentilizio è noto ad Hadria1669, a Truentum1670
e a Septempeda1671. Anche il cognome Fronto è altrimenti presente
nell’onomastica regionale1672.
L. Nevio Frontone esercitava il suo patronato non solo sulle associazioni
di Trea1673, cui a l. 4 si fa semplicemente riferimento ricordando non meglio
definiti collegia, ma anche sull’intera comunità locale1674, organizzata in forma
di municipium1675. Non è raro che nelle comunità dell’Italia romana un mede-
simo personaggio assuma contemporaneamente il patronato di un’associazione
di mestiere e della comunità stessa1676; qualche attestazione del fenomeno è
nota anche nel Piceno1677.
Il ruolo di dedicante è assunto dal collegium fabrum et centonariorum,
dunque apparentemente da un’unica associazione che riuniva i rappresentanti di
due differenti mestieri, per quanto, come si è visto, l’adesione a questi sodalizi
non implicasse automaticamente l’esercizio di una data arte ed i contatti tra fa-

1667 Cf. Duthoy, Profil social, cit., p. 146, n°237, che include L. Nevio nella categoria 4.0 della
sua prosopografia dei patroni, corrispondente ai membri della borghesia municipale per i quali
non sono note funzioni di carattere pubblico.
1668 CIL IX, 5753: L. Naevius L. l. Theomedes, Naevia L. l. Flora e L. Naevius Anteros, sex vir.
Sulla possibile origine ricinense vd. CIL IX, p. 508 e lemma a CIL IX, 5753; il documento è tut-
tavia attribuito a Firmum da Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 168.
1669 CIL IX, 5026: P. Naevius Primitivus e P. Naevius Severus.
1670 CIL IX, 5166: Nevia P. l. Crysarum.
1671 CIL IX, 5618: Naevia ((mulieris)) l. Salvia.
1672 Cf. CIL IX, 5015 da Hadria: C. Tullius C. f. Mai. Fronto, quaestor nella colonia del Piceno
meridionale.
1673 Cf. Clemente, Patronato, cit., p. 148, n°66; p. 173, n°66; Marengo in Suppl. It., n.s., 18, pp.
158; 160. L’iscrizione è brevemente ricordata anche da Delplace, Romanisation, cit., p. 80, a pro-
posito delle attestazioni di collegia di fabri e di centonarii nel Piceno e a p. 81, nota 315, a
proposito dei patroni delle associazioni professionali nella regio V.
1674 Duthoy, Profil social, cit., p. 146, n°237.
1675 Per le altre attestazioni del municipium di Trea vd. l’epigrafe AE 1911, 172, ripresa da ulti-
mo da Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 140-142; vd. inoltre CIL
IX, 5832 = ILS 6573 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 39, n°5 da Auximum, iscri-
zione posta dall’ordo e dalla plebs di Trea a M. Oppio Capitone Q. Tumudio Aninio Severo d i
Auximum, che fu tra l’altro patrono e curator del municipium di Trea.
1676 Vd. Clemente, Patronato, cit., pp. 187-188.
1677 Vd. infra, pp. 598-601.
480 Parte II. I documenti

bri e centonarii siano assai ben attestati, spesso proprio attraverso la scelta di
comuni patroni1678.
È interessante notare che, secondo il dettato dell’iscrizione, L. Nevio
Frontone venne onorato da un solo collegium, nonostante il personaggio fosse
patrono di più di un’associazione: si potrebbe pensare ad una banale errore del
lapicida, che incise collegior(um) per collegi a l. 4, o collegium per collegia a l.
4; tuttavia l’ipotesi non è assolutamente necessaria: in effetti non sarebbe
troppo sorprendente se l’iniziativa di onorare il patrono delle associazioni e del
municipium di Trea fosse stata condotta dai soli fabri e centonarii, che la do-
cumentazione epigrafica ha dimostrato essere certamente tra le forze sociali più
vivaci dell’Italia romana1679.
Immagine: Tav. LXII. Bejor, Trea, cit., fig. 36; Moscatelli, Trea, cit., p. 58,
fig. 56; Percossi Serenelli, Treia, cit., p. 97, fig. 40.

1678 Sui caratteri dei collegia dei fabri e dei centonarii vd. supra, pp. 240-244; 225-227,
rispettivamente a proposito dell’iscrizione Auximum 14 e a proposito dell’iscrizione Auximum
11.
1679 Per altri casi simili nel Piceno vd. la più volte citata Auximum 11, in cui il collegio dei cen-
tonari onora il patrono dell’associazione stessa e della colonia; Auximum 14, in cui è il sodalizio
dei fabbri ad assumere l’iniziativa riguardo al medesimo personaggio; Falerio 10, nella quale i
tre collegi principali di fabbri, centonari e dendrofori onorano il patrono della colonia T.
Cornasidio Sabino e il figlio di lui, T. Cornasidio Vesennio Clemente, patronus plebis et colle-
giorum. S. Antolini in Percossi Serenelli, Treia, cit., p. 98 preferisce pensare che, per ragioni sti-
listiche, il lapicida abbia scelto di omettere il sostantivo collegium prima di centonarior(um) e
che, dunque, le due associazioni professionali di Trea fossero distinte; di “(collegi) dedicanti”
parla anche Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 168, suggerendo implicitamente che si trattasse d i
due associazioni differenti.
Parte II. I documenti 481

Trea 5

Edizione di riferimento: G. Tucci, Inscriptiones in agro Maceratensi nuper


repertae neque iam vulgatae, «MDAI(R)», 26 (1911), p. 285, n°4 (= AE 1911,
173).
Altre edizioni: Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., p. 63, n°74; Suppl. It.,
n.s., 18, p. 177, n°7.
Bibliografia: Delplace, Romanisation, cit., p. 80; Marengo in Suppl. It., n.s.,
18, p. 163.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne rinvenuta nella demolizione della
torre campanaria del convento del SS. Crocefisso, che sorge nell’area un tempo
occupata dal centro urbano di Trea1680; del documento non si conosce
l’originaria collocazione, ma il luogo del suo reimpiego e i caratteri del testo,
che nomina un’associazione di mestiere, lasciano pensare che provenisse dal
centro stesso della cittadina picena.
Luogo di conservazione: dopo l’editio princeps non si hanno più notizie del
documento1681.
Tipo di supporto: frammento mutilo su tutti i lati; l’editio princeps non ri-
porta alcun altro dato sul tipo di supporto.
Collegio: collegium fabrum et centonariorum ?
Datazione: nessun elemento preciso di datazione emerge dal piccolo fram-
mento; poiché la documentazione relativa alle associazioni professionali nel Pi-
ceno si concentra tra la fine del I sec. d.C. e gli inizi del III sec. d.C. è estrema-
mente probabile che anche l’epigrafe di Trea vada inquadrata entro questi ter-
mini cronologici assai vaghi.
Testo: ------ / coll(egi---) fabr(um) / [et cent]on[arior(um)?] / ------.
Commento
Data l’eseguità del frammento e la mancanza di informazioni relative ad
esso, nulla si può dire del testo, tranne che si tratta di una probabile attestazione
di quel collegium fabrum et centonariorum già noto a Trea dall’iscrizione esa-
minata nella scheda precedente1682.
Immagine: Tav. LXIII.

1680 Cf. Tucci, Inscriptiones, cit., p. 285; Marengo in Suppl. It., n.s., 18, pp. 163; 177. Il docu-
mento è attribuito a Macerata - Ricina da Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., p. 63, n°74,
forse sulla base del titolo dell’articolo di G. Tucci (Inscriptiones in agro Maceratensi...) in cui
si ha l’editio princeps.
1681 Cf. Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 163.
1682 Cf. Delplace, Romanisation, cit., p. 80, che menziona il testo in oggetto a proposito delle at-
testazioni di fabri e centonarii nella regio V; cf. anche Marengo in Suppl. It., n.s., 18, p. 158.
482 Parte II. I documenti

Truentum

Truentum 1

Edizione di riferimento: CIL I2, 1916, con la correzione alla lettura di l. 1


proposta da L. Gasperini, «Picus», 19 (1999), p. 332.
Altre edizioni: CIL IX, 5279; ILS 7732; Warmington, Remains of Old Latin,
cit., IV, pp. 24-25, n°54; ILLRP 780; Diehl, Altlateinische Inschriften, cit., p.
71, n°664; Cancrini, Municipio truentino, cit., pp. 155-156, n°4; M. Donderer,
Die Architekten der späten römischen Republik und der Kaiserzeit. Epigraphi-
sche Zeugnisse, Erlangen 1996, pp. 200-201, n°A98; Buonocore - Firpo, Fonti
latine e greche, cit., p. 813, n°26.
Bibliografia: A. Alföldi, Constantinus … proverbio vulgari Trachala … no-
minatus, «Bonner Historia-Augusta-Colloquium 1970», Bonn 1972, p. 2 e
nota 10; Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit.,
p. 324; p. 346, n°504; Laffi, Asculum, cit., pp. 109-110, n°8 (lettera di G.
Gabrielli a T. Mommsen del 9 giugno 1879); pp. 110-112, n°9 (Mommsen a
Gabrielli del 25 giugno 1879); pp. 112-113, n°10 (Gabrielli a Mommsen del 12
agosto 1879); pp. 113-114, n°11 (Mommsen a Gabrielli del 23 dicembre 1879);
G. Paci, Acquaviva Picena (AP), «Picus», 2 (1982), p. 256; G. Nepi, Storia di
Acquaviva Picena, s.l. 1982, pp. 87; 151; CIL I2, 4, p. 1052; Kühnert, Plebs
urbana, cit., p. 49; S. Loggi, Monteprandone - Porto d’Ascoli. Storia di un ter-
ritorio, Centobuchi 1992, p. 28; M. Palestini, Contributo alla carta archeolo-
gica del territorio sambenedettese, «Archeologia nell’area del basso Tronto. S.
Benedetto del Tronto, 3 Ottobre 1993», a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli
1995 (Picus Supplementi IV), p. 194, n°28; Delplace, Romanisation, cit., p.
105, n°125; Donderer, Architekten, cit., p. 63, nota 225; L. Gasperini, «Picus»,
19 (1999), p. 332.
Luogo di ritrovamento: rinvenuta nel 1818 poco a nord di Monteprandone,
in località Solagne di Ragnola, nella proprietà della famiglia Sciarra; venne poi
donata dall’abate Sciarra al municipio di Ripatransone1683. Si discute riguardo la
comunità antica entro i cui confini era compresa la località di Solagne di Ra-
gnola, che si trova tra Truentum, Asculum e Cupra Maritima. I più recenti
studi, che qui seguo con riserva, tendono ad ascrivere l’area a Truentum. I con-
fini di questa comunità a nord toccavano l’ager di Cupra Maritima forse in cor-

1683 Cf. lemma a CIL IX, 5279; Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento,
cit., p. 346, n°504; Nepi, Acquaviva Picena, cit., pp. 87; 151; Paci, Acquaviva Picena, cit., p. 256;
Loggi, Monteprandone, cit., p. 28; Delplace, Romanisation, cit., p. 105, n°125 Palestini, Contri-
buto, cit., p. 194, n°28. L’iscrizione ed il suo ritrovamento nel territorio di Monteprandone sono
brevemente ricordati in una lettera inviata il 9 giugno 1879 dall’erudito ascolano Giulio
Gabrielli a T. Mommsen, ora pubblicata da Laffi, Asculum, cit., pp. 109-110. Sulla figura del
Gabrielli vd. Laffi, Asculum, cit., pp. 72-92.
Parte II. I documenti 483

rispondenza dell’Helvinus, l’odierno torrente Acquarossa, che per Plinio il


Vecchio divideva i Piceni dall’ager Praetuttianus1684, ad ovest arrivavano forse
fino al torrente Fiobbo, affluente di sinistra del Tronto; oltre, nell’area di Ca-
storano, iniziava il territorio di Asculum1685. Il territorio di Monteprandone,
che si trova a sud dell’Acquarossa e ad est del Fiobbo, dunque sarebbe apparte-
nuto all’ager di Truentum, come del resto aveva ritenuto probabile già T .
Mommsen nell’introduzione alla breve rubrica in cui raccolse le iscrizioni ritro-
vate inter Asculum et Cupram, richiamandosi esplicitamente all’epigrafe in og-
getto e a quella che sarà commentata nella scheda seguente, che ci attestano due
cittadini di Truentum a Monteprandone1686.
Luogo di conservazione: Ripatransone, Museo Civico Archeologico “Cesare
Cellini” (autopsia maggio 2001)1687.
Tipo di supporto: lastra in cui il campo epigrafico è delimitato da una semplice
linea, oggi spezzata in più frammenti; l’angolo inferiore destro risulta man-
cante, senza tuttavia che ciò abbia comportato la perdita di una parte del testo.
La superficie iscritta si presenta danneggiata, in particolare nella parte destra;
l’unica seria difficoltà di lettura si ha tuttavia per il patronimico del personag-
gio, alla fine di l. 1.
Datazione: le caratteristiche paleografiche, in particolare la P con occhiello
molto aperto e la N ancora leggermente inclinata, indurrebbero a proporre per
questo testo una datazione relativamente alta; d’altra parte la comparsa della
formula salve e soprattutto del cognomen per questo personaggio di nascita in-
genua difficilmente consentono di risalire oltre la fine del II sec. a.C.; credo

1684 Plin., Nat. Hist., III, 111; cf. Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 148.
1685 Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 148; per il confine sul torrente Fiobbo vd. anche A.R.
Staffa, Scavi a Martinsicuro località Case Feriozzi: la riscoperta dell’antica Truentum - Ca-
strum Truentinum, «Archeologia nell’area del basso Tronto. S. Benedetto del Tronto, 3 Ottobre
1993», a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Supplementi IV), pp. 132-134, sulla
base di una possibile sopravvivenza dei limiti della città antica nelle circoscrizioni di età alto-
medievale. Per l’attribuzione dell’area di Castorano al territorio di Asculum vd. supra, p. 162,
nota 245.
1686 T. Mommsen, CIL IX, p. 501: “Truenti nomen quod enuntiant tituli duo Monteprandonen-
ses, confirmat quod per se probabile est ad ipsa ostia utramque ripam Truentinorum fuisse”; cf.
anche Conta, Asculum, cit., p. 87; Delplace, Romanisation, cit., p. 105, n°125; N. Lucentini, Il
territorio di San Benedetto e aree limitrofe nella pre-protostoria, «Archeologia nell’area del
basso Tronto. S. Benedetto del Tronto, 3 Ottobre 1993», a cura di G. Paci, Villa Adriana - Tivoli
1995 (Picus Supplementi IV), pp. 17-48, p. 28. Vd. tuttavia A. Degrassi in CIL I2, 4, p. 1052 che
comprende piuttosto la regione di Monteprandone nell’ager di Cupra Maritima, ribaltando i l
ragionamento del Mommsen, forse non a torto: l’esplicita menzione di Truentum nelle due iscri-
zioni provenienti da Monteprandone avrebbe una funzione più definita se le due iscrizioni se-
polcrali si fossero trovate fuori dai confini di quella comunità. Cf. anche L. Gasperini, «Picus»,
19 (1999), p. 332, che ascrive l’epitafio di P. Buxurio all’ager Cuprensis. Una certa prudenza ri-
guardo i confini tra Asculum, Cupra Maritima e Truentum è espressa da Fortini, Cupra Mari-
tima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, cit., p.
83, nota 3, che tuttavia finisce coll’ascrivere a Truentum una tegola rinvenuta ad Acquaviva Pi-
cena, a nord di Monteprandone (p. 98).
1687 Cf. da ultimo Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 155.
484 Parte II. I documenti

dunque si possa ipotizzare una datazione dell’iscrizione di Truentum agli ultimi


anni di II sec. a.C. o, forse meglio, ai primi anni del secolo seguente1688.
Mestiere: architectus ?
Testo: P(ublius) Buxurius T(iti) f(ilius), / Truentines(is), quie(scit ?), / coi
nom<e>n ? Tracalo, / arte tecta. Salve.
l. 1: P. Buxurius [P.] f. CIL IX; P. Buxurius P. f. CIL I2, ILS, Warmington,
ILLRP, Diehl, Cancrini, Donderer1689.
l. 2: Truentines(is) per Truentinens(is).
ll. 2-3: QVIE/COINOMN ILS1690.
l. 3: coi per cui, secondo la lettura proposta dal Mommsen a CIL IX, 52791691;
tra le lettere finali L ed O si trova una sorta di parentesi uncinata molto aperta,
da cui probabilmente la correzione Trachalio riferita da H.G. Pflaum ad A.
Alföldi e da questi riportata in Constantinus, cit., p. 2, nota 10. L’autopsia del
maggio 2001 ha tuttavia confermato che non si tratta di un segno inciso ad
arte, ma solo di un danno accidentale della superficie scrittoria: l’incisione in-
fatti è meno profonda di quella delle altre lettere, come bene si nota
nell’eccellente fotografia pubblicata in CIL I2, 4, II. Tabulae, tav. 101, fig. 2
(mentre gli apografi riportati in CIL IX, p. 501 e in CIL I2, 2, p. 670 tendono a
dare l’erronea impressione di un segno inciso profondamente e ad arte). Credo
dunque che tale segno possa essere ignorato nella trascrizione1692. L in Tracalo
con un secondo tratto orizzontale mediano, in una sorta di F rovesciata1693.
l. 4: artetecta ILLRP, Cancrini, Donderer. L in salve nella stessa forma notata
alla linea precedente.
Interpunzione a punto semplice, utilizzata per dividere le parole, con qualche ir-
regolarità: se accettiamo la lettura del testo proposta dal Mommsen a CIL IX,
5279 manca in effetti a l. 2 tra TRVENTINES e QVIE e a l. 3 tra COI e
NOMN.

1688 Cf. Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 156: certamente di età repubblicana per gli arcai-
smi linguistici e paleografici; Donderer, Architekten, cit., p. 201: di età tardorepubblicana.
1689 Cf. tuttavia il lemma di CIL I2, 1916, ove si segnala che paenultima (scil. littera) in supe-
riore parte mutila potest esse et P et T. Accolgo nel testo la correzione proposta da L. Gasperini,
«Picus», 19 (1999), p. 332, nella recensione alla monografia di Donderer, Architekten, cit., sulla
base di una recente autopsia del monumento.
1690 Con segnalazione in apparato della lettura proposta da Mommsen in CIL IX, 5279.
1691 Ma vd. Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 156: coi per cuius. Non mi pare tuttavia che
quest’ultima interpretazione trovi riscontro nell’uso grammaticale né negli esiti fonetici ed or-
tografici attestati dall’epigrafia latina.
1692 La lezione Tracalo è confermata anche dal discreto numero di attestazioni del nome nella
forma Trachalus nel mondo romano, vd. infra, p. 490.
1693 Il segno è attestato per LL in legatura a Pompei (CIL IV, 1604; 1645); per F in CIL III, 6010,
46; per E in CIL XII, 5764 da Massilia. La ricerca di paralleli è complicata dal fatto che né il CIL
né molte altre pubblicazioni epigrafiche sembrano aver segnalato sistematicamente nei loro in-
dici le lettere di forma peculiare. Un saggio di ricerca in CIL I2, 4, fasc. II. Tabulae e in Degrassi,
Imagines, cit. non ha dato risultati positivi, mentre mi sono casualmente imbattuto in L di forma
simile in Letta - D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, cit., pp. 30-31, n°23 bis, con tav. X,
fig. 23 bis, ove la seconda barra orizzontale di L forma una legatura con la lettera seguente.
Parte II. I documenti 485

Commento
Il documento ci conserva l’epitafio di un cittadino di Truentum1694 che
pare aver esercitato la professione di architetto. Il testo presenta molteplici
aspetti di originalità, che in diversi punti ne rendono problematica l’interpreta-
zione1695.
L’onomastica del defunto è quantomeno insolita, sia nella sua formula-
zione, sia negli elementi che la compongono. Il gentilizio Buxurius, che sembra
qui attestato per la prima ed unica volta1696, è comunque una formazione plau-
sibile, che probabilmente trae origine da buxus, il nome latino dell’albero di
bosso; dal medesimo termine pare in effetti derivino il gentilizio Buxsius1697 e il
cognome Buxsus, già attestato a Cora in età repubblicana1698.
L’elemento che assolve alle funzioni di cognomen risulta separato dal re-
sto della formula onomastica dall’etnico Truentines(is), con la caduta di N, con-
sueta per gli aggettivi in -ensis nell’epigrafia repubblicana, e dall’espressione
quiescit. La stessa formula coi nom<e>n, seguita da dativo, con la quale il pre-
sunto cognome viene introdotto mi sembra del tutto inconsueta per la docu-
mentazione epigrafica, ma trova stretti confronti nella letteratura latina: in
Livio possiamo citare per esempio l’espressione Attius Clausus, cui postea
Appio Claudio fuit Romae nomen1699, o ancora, in riferimento ad un cognome,
Cn. Marcius … cui cognomen postea Coriolano fuit1700. Degno di nota anche la
forma coi per il pronome relativo in caso dativo cui, di cui non trovo altra at-
testazione negli indici grammaticali dei principali repertori di iscrizioni repub-

1694 Non ignoro l’alternanza Castrum Truentinum / Truentum per il nome della comunità nelle
fonti antiche, sulla quale si veda da ultimo Cancrini, Municipio truentino, cit., pp. 149-151; per
semplice comodità adotto qui la forma semplificata Truentum, che è anche quella attestata nei
due documenti locali che si esamineranno.
1695 Come riteneva lo stesso Mommsen che, pregando G. Gabrielli di insistere nelle sue ricerche
sul monumento e sulla sua provenienza, notava “Parmi finalmente averne trovata la spiegazione,
ma è difficilissima, ed ogni punto, ogni lettera travisata o sfigurata può cambiare il parere” (let-
tera di T. Mommsen a G. Gabrielli datata al 25 giugno 1879, ora pubblicata da Laffi, Asculum, cit.,
pp. 110-111); il Gabrielli riuscì in effetti a rintracciare la pietra, che era stata donata dall’abate
Sciarra al municipio di Ripatransone, e ad eseguirne un calco, che inviò al Mommsen insieme ad
una lettera datata al 12 agosto 1879 (ora pubblicata da Laffi, Asculum, cit., pp. 112-113); nella
risposta del 12 dicembre 1879 (Laffi, Asculum, cit., pp. 113-114) Mommsen, dopo aver avanzato
alcune delle ipotesi di interpretazione del testo che saranno riprese nell’edizione di CIL IX,
5279, annotava sconsolatamente “Ma lei vede ben che siamo sempre nel bujo”.
1696 Cf. Schulze, Eigennamen, cit., p. 214; E. Ihm, Buxurius, «TLL», II, col. 2263.
1697 CIL VIII, 26749 da Thugga, nell’Africa proconsolare: Buxius Victor.
1698 CIL I2, 1508 = CIL X, 6508: M. Aulius C. f. Buxsus; cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p.
334. Cf. anche la forma femminile Buxa, attestata in CIL III, 6500 = 11531 da Virunum, se si tratta
di un cognomen di origine latina, cf. i dubbi in Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 25.
1699 Liv., II, 16, 4.
1700 Ibid., 33, 5.
486 Parte II. I documenti

blicane1701, anche se il passaggio da U ad O è ben noto nelle iscrizioni di questa


età1702.
Fin qui l’interpretazione del Mommsen a CIL IX, 52791703, sostanzial-
mente seguita da tutti gli studiosi che si sono in seguito occupati dell’iscrizione
di Truentum. Devo tuttavia confessare che la strana inserzione dell’espressione
quie(scit) nella formula onomastica mi crea più di una perplessità, non solo per
la sua posizione, ma anche per la forma dell’abbreviazione, davvero inconsueta,
e per il fatto che nell’epigrafia sepolcrale di età repubblicana tale espressione
sembra rarissima1704.
Per questo motivo credo opportuno avanzare un tentativo di ricostru-
zione alternativa, anche se mi rendo conto che tale ipotesi, se può sciogliere al-
cune difficoltà, altre ne apre. Mi chiedo in effetti se alle ll. 2-3 non si possa leg-
gere qui (per cui) e<t> / co¢gÜnom<e>n Tracalo o piuttosto coinom<e>n (per
cognom<e>n) Tracalo. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di eliminare
l’imbarazzante quie(scit)1705 e di attribuire a Trachalus la definizione di co-
gnomen che pare più appropriata; suppone tuttavia l’omissione di T alla fine di
l. 2 e di un segno di interpunzione tra qui ed e<t>; tali difficoltà non sembrano
tuttavia insuperabili, se consideriamo che il lapicida anche a l. 3 senza dubbio
dimenticò di incidere una lettera e che pure nell’interpretazione mommseniana
dobbiamo presupporre l’omissione di un’interpunzione tra coi e nom<e>n. La
grafia qui per cui si può giustificare non solo sulla base del frequente passaggio
da C a Q nelle iscrizioni repubblicane, ma anche su qualche preciso riscontro
della forma qui per il pronome relativo in caso dativo, anche se gli esempi che
ho potuto rintracciare provengono effettivamente da orizzonti piuttosto lon-
tani dal Piceno di età repubblicana1706.
L’elemento maggiormente problematico in questa possibile ricostruzione
credo sia costituito dal riconoscimento del termine cognomen dietro la grafia
COINOMN a l. 3: se tale lettura fosse corretta, mi chiedo se I per G sia sola-
mente errore del lapicida o piuttosto non rifletta un fenomeno di palatalizza-
zione del suono gn simile a quello di cui si trova traccia in alcune epigrafi della

1701 Vd. CIL I2, 2, p. 783; ILLRP, II, p. 409.


1702 Vd. CIL I2, 2, pp. 814-815; ILLRP, II, p. 492.
1703 Enunciata già nella lettera che il grande studioso tedesco inviò il 12 dicembre 1879 a G.
Gabrielli, ora edita da Laffi, Asculum, cit., pp. 113-114.
1704 Negli indici di CIL I2, 2, p. 784 è segnalato solamente l’esempio di CIL I2, 1332 = CIL VI,
21696 = ILS 7967 da Roma, ove la formula, nel plurale quiescunt, appare tuttavia per esteso e i n
posizione assai più consueta.
1705 Una lezione che già imbarazzava il Mommsen, il quale, in una lettera datata al 23 dicembre
1879 (edita da Laffi, Asculum, cit., pp. 113-114), chiedeva a Giulio Gabrielli “Nel secondo verso
in fine vi sarebbe mai QVI E invece dello strano QVIE?”. Evidentemente lo studioso pensava già
ad una soluzione simile a quella che propongo nel testo; il Mommsen probabilmente la scartò
nella sua edizione a CIL IX, 5279 per il fatto che il calco dell’epigrafe non mostrava tra QVI ed E
alcun segno di interpunzione o spaziatura.
1706 Cf. CIL XIII, 1862, ll. 11-14 da Lugdunum: … et Iulia / Lucia, infas laboriosis/sima, qui
non licuit Ma/nibus suis patris oculos / tegere …; CIL VIII, 26517, ll. 13-14 da Thugga: … et
Firmi, qui / civitas ornamenta sufetis ob merita sua decrevit … .
Parte II. I documenti 487

regione dei Marsi, dunque a non troppa distanza da Truentum. Il primo dei do-
cumenti è una tabella bronzea opistografa, con foro che probabilmente doveva
servire per fissare l’iscrizione su di un oggetto, rinvenuta nell’area del Fu-
cino1707: nell’interpretazione corrente l’epigrafe tratterebbe dell’esecuzione di
una qualche opera, sulla quale verosimilmente la tabella era apposta, a cura di
due magistri vici; ciò che qui specialmente interessa è la menzione a l. 4 del lato
A di un seino, concordemente inteso, a partire dall’edizione del Lejeune, come
signum1708. Tale interpretazione è rafforzata dalla comparsa del termine in un
cippo, rinvenuto a Trasacco, sempre nell’area del Fucino, in cui alle prime quat-
tro linee possiamo leggere vecos Supna / Victorie seino≥ / dono dedet / lubs me-
reto: si tratta dunque del dono di una statua di Vittoria da parte del vicus di Su-
pinum1709. Tralasciando i numerosi problemi presentati dai due testi dei Marsi,
ciò che qui interessa rilevare è l’attestazione di un fenomeno fonetico di pala-
talizzazione1710 che forse potrebbe ritornare nell’iscrizione di Truentum in
esame. La distanza cronologica che separa l’epigrafe del Piceno dai due testi del
Fucino, datate su base paleografica alla fine del III sec. a.C.1711, insieme alle dif-
ferenze nei dialetti italici dell’area pretuzzia e della Marsica, invitano natural-
mente a considerare con ancora maggiore prudenza l’ipotesi che si è qui formu-
lata.

1707 Cf. AE 1953, 218 = ILLRP 303. L’iscrizione è ripresa da C. Letta, Dialetti italici minori.
Marso, «SE», 44 (1974), pp. 280-281, n°9; Letta - D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi,
cit., pp. 321-328, n°188.
1708 Cf. Letta - D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, cit., p. 322. Nella ricostruzione pro-
posta ibid., pp. 321-328, n°188 il termine ritornava anche nel lato B, che costituirebbe una prima
redazione del testo A, poi abbandonata ed in parte obliterata dal foro di fissaggio di cui si è
detto; il termine seino apparirebbe, secondo questa ricostruzione, nella parte di testo andata
perduta alla fine di l. 3.
1709 L’iscrizione è stata più volte ripresa: ricordiamo tra le altre le edizioni CIL IX, 3849; CIL I2,
388; ILS 3814; ILLRP 286; Letta, Marso, cit., pp. 278-279, n°5; Letta - D’Amato, Epigrafia della
regione dei Marsi, cit., pp. 192-201, n°128, ove bibliografia anteriore. La lettura dell’ultima let-
tera di l. 2 è per la verità incerta: la presenza di un tratto orizzontale ha indotto quasi tutti gli
editori a vedervi una Q, ma sul significato dell’enigmatico SEINQ non vi è accordo: mentre i l
Mommsen a CIL I, 188, seguito da Warmington, Remains of Old Latin, cit., IV, p. 72, nota 5 v i
vedeva un epiteto di Victoria da connettere con Sancus, e A. Ernout, Numina ignota, «Mélanges
d’archéologie, d’épigraphie et d’histoire offerts à Jérôme Carcopino», Paris 1966, pp. 313-315
ipotizzava un rapporto con la divinità gallica *Sinquas; C. Letta in Letta - D’Amato, Epigrafia
della regione dei Marsi, cit., p. 194 preferisce invece intendere come seiqn(om), grafia errata per
seinq(om) con anticipazione della nasale, da interpretare comunque come signum.
L’interpretazione proposta dallo studioso ha dato origine ad un vivace dibattito, che qui inte-
ressa solo marginalmente, vd. comunque la nota di A.L. P[rosdocimi] a Letta, Marso, cit., p. 278;
M.P. Marchese, «SE», 44 (1976), pp. 484-485; V. Pisani, Seconde postille “italiche”, «SE», 4 5
(1977), p. 346; M.P. Marchese, Marso seino (ex *seinq) = latino signum. Sulle palatalizzazioni
di -kn- -gn- nell’italico e nei dialetti italo-romanzi, «SE», 46 (1978), pp. 213-214; C. Letta, Una
nuova coppia di questori eponimi (qestur) da Supinum, «Athenaeum», n.s. 57 (1979), pp. 404-
405; A.L. Prosdocimi, Marso seino o seinq? Sul metodo epigrafico, «SE», 48 (1980), pp. 430-
437.
1710 Sul quale vd. particolarmente Marchese, Marso seino, cit., pp. 213-221; cf. anche Pisani,
Seconde postille, cit., p. 346.
1711 Cf. Letta - D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, cit., pp. 193; 321.
488 Parte II. I documenti

Sia che alle ll. 2-3 si debba intendere cui et / cognomen Tracalo, secondo
la ricostruzione che abbiamo qui delineato, sia che, seguendo il Mommsen, si
possa leggere cui nomen Tracalo, la formula con la quale il cognomen del per-
sonaggio viene introdotto risulta piuttosto insolita nelle iscrizioni in prosa e
pare tradire un certo imbarazzo del lapicida davanti ad un elemento onomastico
che faceva una delle sue prime apparizioni nella documentazione epigrafica: in
effetti, se la datazione alla prima metà del I sec. a.C. sopra proposta coglie nel
giusto, siamo in un’età in cui le attestazioni di cognomina per le persone che
non appartenevano all’ordine senatorio o alle classi dirigenti municipali, né
provenivano dai ranghi dei liberti, era ancora del tutto eccezionale nelle iscri-
zioni1712; forse non è un caso che un’espressione consimile ritorni a proposito
del signum, un elemento onomastico che doveva essere di uso comune nella vita
quotidiana, costituendo in effetti il nome con il quale una persona era nota e
veniva chiamata, ma che entra a maggior fatica nella formula onomastica re-
gistrata nelle iscrizioni: in testa ad un epitafio di Roma possiamo in effetti leg-
gere il nome del defunto nella forma M. Aur(elius) Sabinus, cui fuit et signum
Vagulus1713, che anticipa ed introduce formule più consuete e sincopate come
qui et o signo.
Il testo di Truentum mi pare insomma illustrare una fase
dell’introduzione del cognomen nella formula onomastica romana così come
veniva registrata sulla pietra: che tale introduzione sia avvenuta con una certa
gradualità, almeno in alcuni casi, mi sembra dimostrato anche dalla comparsa in
qualche documento di cognomina incisi a lettere di modulo minore rispetto al
resto dell’onomastica1714.
Il personaggio porta il raro cognome Trachalus, notato con la sorda al
posto dell’aspirata secondo una consuetudine ben attestata nell’epigrafia repub-
blicana1715. Nonostante le perplessità espresse a proposito1716 credo verosimile

1712 Sul tema vd. la bibliografia citata supra, p. 384, nota 1231.
1713 CIL VI, 13213.
1714 Un fenomeno di cui si ha esempio anche nella documentazione epigrafica picena, cf. supra,
pp. 415-416, l’iscrizione Interamnia 6; vd. anche alcuni esempi dal resto dell’Italia segnalati
supra, p. 416, nota 1392.
1715 Cf. per qualche esempio ILLRP II, p. 493. La correzione Trachalio, proposta da H.G. Pflaum
e registrata da Alföldi, Constantinus, cit., p. 2 e nota 10, pure possibile, non mi pare necessaria:
nei passi di Livio citati supra, p. 485, note 1699-1700, si nota come nella costruzione cui nomen
(o cognomen) … l’appellativo stesso possa essere in caso dativo, concordato con il pronome; i l
dativo Trachalo da Trachalus è dunque plausibile dal punto di vista grammaticale. In più la
forma Trachalus ha un discreto numero di attestazioni, sia letterarie, che epigrafiche (vd. infra,
p. 490), mentre Trachalio è noto solamente per uno dei personaggi del Rudens di Plauto, cf.
infra, nel testo. Né credo che la lettura di Pflaum possa trovare adeguato sostegno nel segno a
forma di parentesi uncinata aperta che si nota tra L e O: tale segno, debolmente inciso (se di inci-
sione si tratta, vd. supra, p. 484, in apparato), difficilmente può stare per la lettera I, notata
nell’iscrizione con un semplice tratto verticale.
1716 Vd. in particolare H. Solin, Beiträge zur Kenntnis der griechischen Personennamen in Rom,
Helsinki 1971 (Commentationes Humanarum Litterarum 48), p. 139, nota 1, che, ritiene oscura
l’origine linguistica del nome; dubbi anche in Alföldi, Constantinus, cit., p. 2. Le perplessità del
Solin mi sembrano nascere soprattutto dal passo di Pompeo Festo, citato infra, p. 489, nel quale
Parte II. I documenti 489

che il cognome tragga origine termine greco travchlo", “collo, gola”, noto an-
che nella forma dorica travcalo", che sembra essere stata l’unica produttiva
nell’onomastica; in un significato secondario, che tuttavia non è privo di im-
portanza per la nostra indagine, travchlo" designa una parte del mollusco che i
greci chiamavano porfuvra, dal quale si ricavava l’omonima sostanza colo-
rante1717. Il tramite tra lessico greco e antroponimia latina credo si possa indi-
viduare nel nome personale Travcalo", di cui si rintraccia almeno
un’attestazione nell’epigrafia greca di età preromana, per la precisione a Delfi,
a proposito di uno spartano che fece parte del collegio dei naopoioiv nella se-
conda metà del IV sec. d.C.1718
Sebbene a mio parere conservino una lontana ascendenza nel lessico greco
e nell’antroponimo Travcalo", non si può negare che le formazioni da
travchlo" É travcalo" penetrino precocemente nell’onomastica romana: in ef-
fetti già nel Rudens di Plauto il personaggio di uno schiavo porta il nome
Trachalio. È interessante notare come le attestazioni del nome nella forma
Trachalus rimandino insistentemente ad Ariminum: gli excerpta di Paolo
Diacono dal De verborum significatu di Pompeo Festo notano infatti che
Trachali appellantur muricum ac purpurae superiores partes. Unde Ariminen-
ses maritimi homines cognomen traxerunt Trachali1719. Il significato enunciato
da Pompeo Festo si ritrova già nel termine greco travchlo", come si è visto in
precedenza, non credo dunque legittimo sostenere, con A. Alföldi, che a Rimini
il termine avesse assunto un significato speciale1720. Rimane il fatto che il nome

il cognome Tracalo viene posto in connessione con alcuni molluschi ed è detto caratteristico d i
Ariminum. Anche in questo significato, che potremmo dire zoologico, il termine latino trachalus
trae comunque origine dal lessico greco, cf. i passi segnalati alla nota seguente.
1717 Cf. Arist., Hist. Anim., 547a: to; d ja[nqo" e[cousin ajna; mevson th'" mhvkwno" kai; tou' trachv l ou:
touvtwn d ej sj ti;n hJ suvmfusi" puknhv; Athen., III, 87e-f: eJyovmenoi de; to; kaq j eJautou;" kai; oiJ
travchloi tw'n porfurw'n eujqetou'si pro;" ta;" tw'n stomavcwn diaqevsei". mnhmoneuvei d j aujtw'n
Poseivdippo" ejn Lokrivsin ou{tw": w{ra peraivnein: ejgcevleia, karavbou", É kovgca" ejcivnou"
prosfavtou", mhkwvnia, É pivna", trachvlou", muva" (il frammento del poeta comico Posidippo è
ora in Posidipp., fr. 15 Kassel-Austin). Meno sicura l’interpretazione di un frammento del co-
mico Eubulo, in cui i Beoti sono motteggiati come divoratori di travchloi: Eubul., fr. 66 Kassel-
Austin = Athen., X, 417 d: su; me;n to; Qhvbh", wJ" levgei", pevdon lipwvn, ajndrw'n ajrivstwn ejsqivein di j
hJmevra" É o{lh" trachvlou" kai; koprw'na" plhsivon; i molluschi non dovevano in effetti essere u n
piatto caratteristico della regione, cf. il commento in R. Kassel - C. Austin, Poetae comici graeci
(PCG), V, Berolini - Novi Eboraci 1986, p. 227.
1718 Cf. FD III, 5, 20 = CID II, 32, l. 36; FD III, 5, 57 B = CID II, 95, l. 15 (in integrazione); FD III,
5, 58 = CID II, 97, l. 26; FD III, 5, 61 = CID II, 102, col. II B, l. 34; FD III, 5, 92 A, l. 25 = CID II,
120 A, l. 24 (in integrazione). Devo precisare che queste attestazioni, del resto già note allo
stesso Solin, Beiträge, cit., p. 139, nota 1, sono il solo il frutto di un rapido sondaggio nei prin-
cipali repertori onomastici e raccolte di iscrizioni greche: non escludo dunque che una ricerca
più sistematica possa portare al rinvenimento di altri esempi di questo nome nell’antroponimia
greca.
1719 Paul. Fest., p. 367 Müller.
1720 Alföldi, Constantinus, cit., p. 3: “Freilich würde kein Grieche an den oberen Teil des Kör-
pers e i n e r S c h n e c k e denken, wenn er das Wort travchlo" hörte; wenn dies bei den
Ariminensern dennoch der Fall war, wie Festus behauptet, so müßte dies einen speziellen, lokal
verwulzelten Grund haben”.
490 Parte II. I documenti

Trachalus godeva di una particolare popolarità nella città adriatica: lo conferma


una notizia riportata da Valerio Massimo, secondo la quale i due fratelli riminesi
Trachali ricorsero ad Augusto contro la decisione della madre Septicia di rispo-
sarsi ormai anziana e di cancellare i loro nomi dal proprio testamento1721. Sem-
pre da Ariminum veniva forse il console ordinario del 68 d.C. P. Galerius
Trachalus1722.
Le attestazioni epigrafiche nel mondo romano non sono molto numerose:
possiamo ricordare a Tusculum un P. Avidius Trachalus che fu prefetto e
tribuno di due coorti non meglio specificate1723, a Canne il veterano della III le-
gione Gallica C. Aemilius C. f. Trachalus1724, a Nicopolis, in Egitto, un legiona-
rio Q. Licinius Trachalus proveniente da Utica1725, un personaggio con nome
unico Trachalus deceduto a Cartagine1726, un C. Calpurnius Trachalus Dosides
da Leptis Magna1727.
Nell’iscrizione picena il cognomen Trachalus è portato da un cittadino
romano di nascita ingenua, come ingenui erano senza dubbio il senatore P .
Galerio, l’ufficiale equestre P. Avidio e i legionari C. Emilio e Q. Licinio. Esite-
rei dunque a definire Trachalus un grecanico nel pieno senso del termine, con le
note caratteristiche sociologiche che si attribuiscono a questo genere di cogno-
mina, anche se le formazioni da travchlo" É travcalo" occasionalmente ap-
paiono in connessione a personaggi di origine servile, come certamente il
Trachalio plautino e probabilmente il Trachalus di cui conosciamo l’epitafio
cartaginese.
Trachalus potrebbe essere uno dei tanti nomi che derivano da caratteristi-
che fisionomiche: in tal senso si potrebbe interpretare il soprannome di
Trachala che venne affibbiato all’imperatore Costantino, o almeno tale è
l’interpretazione che viene fornita dallo storico bizantino Giorgio Cedreno1728.

1721 Val. Max., VII, 7, 4.


1722 Sul personaggio vd. A. Kappelmacher, Galerius 8, «P.W.», VII, 1 (1910), coll. 599-600 e, per
l’ipotesi di un’origine riminese PIR2 G 30, Alföldi, Constantinus, cit., p. 3 e soprattutto A.
Donati, Ascesa al senato e rapporti con i territori d’origine. Italia: regio VIII (Aemilia), «Atti
del Colloquio Internazionale AIEGL su epigrafia e ordine senatorio. Roma, 14-20 maggio
1981», II, Roma 1982, p. 305, anche sulla base dell’iscrizione di P. Galerio Tracalo alla tribù
Aniensis e della diffusione del gentilizio Galerius nella zona.
1723 CIL XIV, 2616. Sul personaggio vd. Devijver, Prosopographia, cit., I, p. 163, n°A 263.
1724 AE 1945, 79, ora da consultare nell’edizione di M. Chelotti - R. Gaeta - V. Morizio - M.
Silvestrini, Le epigrafi romane di Canosa, I, Bari 1985, pp. 43-44, n°33. Sul personaggio vd.
anche Todisco, Veterani, cit., pp. 36-37.
1725 AE 1969-1970, 633, col. III, l. 10.
1726 CIL VIII, 24830. Cf. Alföldi, Constantinus, cit., p. 3, che considera il personaggio certa-
mente di condizione servile.
1727 IRT 677. Il personaggio era un liberto secondo Alföldi, Constantinus, cit., p. 3.
1728 Cedr., p. 472, l. 24 - p. 473, l. 1 Bekker. Questa tuttavia non è l’unica spiegazione che è stata
data, già in età antica, del curioso nomignolo: in Ps. Aur. Vict., Epit., XLI, 16 si giudicava infatti
Costantino irrisor potius quam blandus; unde proverbio vulgari Trachala … nominatus. Sta-
tus quaestionis sul controverso passo nel commento alla recente edizione Belles Lettres
dell’Epitome de Caesaribus a cura di M. Festy, Pseudo-Aurélius Victor. Abrégé des Césars, Paris
1999, pp. 193-194, nota 27; vd. in particolare Alföldi, Constantinus, cit., pp. 1-4 (seguito da V.
Parte II. I documenti 491

Il passo del De verborum significatu sopra ricordato, secondo il quale i Trachali


di Rimini avevano preso nome dal termine che designava la parte superiore del
murex e della purpura, suggerisce tuttavia un’interpretazione alternativa: il co-
gnome potrebbe essere collegato alla pesca e alla lavorazione dei molluschi che
fornivano le preziose sostanze coloranti per tessuti, tanto più che a Truentum
questo genere di attività è attestato dalla presenza di un purpurarius, come si
vedrà nella scheda seguente1729.
La forma arte tecta, che segue il cognome di P. Buxurio, a partire dal
Mommsen è stata riferita all’occupazione del personaggio e ritenuta maldestro
calco del greco ajrcitevktwn, forse attraverso la mediazione di una forma
ajrcitevkth"1730, anche se nelle iscrizioni latine il nome del mestiere compare
generalmente nella forma architectus1731.
La spiegazione proposta dal Mommsen non mi pare del tutto soddisfa-
cente, per diversi motivi: della presunta forma intermedia ajrcitevkth" non si
trova alcuna attestazione, mentre nella più antica letteratura latina è noto il
calco, perfettamente aderente all’originale greco, architecton1732; inoltre, nel
primo membro del termine composto il passaggio da ajrci- ad arte- mi pare in-
spiegabile su base fonetica, dovremmo dunque presupporre un fraintendimento
forse troppo grossolano anche per un lapicida piuttosto disattento come quello
di Truentum; infine è da notare la presenza di un segno di interpunzione tra arte

Neri, Le fonti della vita di Costantino nell’Epitome de Caesaribus, «RSA», 17-18 (1987-1988),
pp. 254-255; Id., Medius princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina
pagana, Bologna 1992, pp. 161-162) che, richiamandosi, al passo di Pompeo Festo, ipotizza che
col soprannome Trachala si accusasse Costantino di essere viscido quanto un mollusco. B.
Bleckmann, Die Chronik des Johannes Zonaras und eine pagane Quelle zur Geschichte
Konstantins, «Historia», 40 (1991), pp. 354-355, nota 49 ritiene piuttosto che l’Epitome de
Caesaribus avesse frainteso la propria fonte e che il soprannome Trachala alludesse
all’altezzosa rigidità del collo dell’imperatore, un atteggiamento che si ritrova nel figlio
Costanzo II, cf. Amm. Marc., XVI, 10, 10.
1729 Un’interpretazione alternativa, ma comunque collegata al passo di Pompeo Festo, è sugge-
rita da Alföldi, Constantinus, cit., p. 3, con richiamo ad un tipo della nota serie monetale fusa d i
Hadria nel quale appare una testa maschile che sporge da un murex: i Trachali sarebbero dunque
i maritimi homines della costa adriatica che si richiamano alla figura mitica di questo uomo-
mollusco; non è questa la sede per analizzare in dettaglio la spiegazione proposta dall’Alföldi,
mi limito dunque ad osservare come essa appaia più ingegnosa che documentabile con le fonti
attualmente a nostra disposizione. Sull’aes grave di Hadria vd. da ultimo Azzena, Atri, cit., pp.
10-13 (con una fotografia del tipo monetale richiamato da Alföldi a p. 12, fig. B; cf. anche fig. 5
tra le pagine 10 e 11) e Martella, L’ager Hatrianus, cit., p. 227 (cf. p. 239, fig. 16), con la biblio-
grafia ivi citata.
1730 Così Mommsen a CIL IX, 5279 (cf. già nella lettera inviata a G. Gabrielli il 12 dicembre
1879, edita da Laffi, Asculum, cit., pp. 113-114), seguito da E. Lommatzsch a CIL I2, 1916; H.
Dessau a ILS 7732; Warmington, Remains of Old Latin, cit., IV, p. 24, nota 3; Diehl, Altlateini-
sche Inschriften, cit., p. 71, n°664; Donderer, Architekten, cit., p. 63, nota 225; p. 201.
1731 Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 85; ora in Beiträge zur römischen Geschichte und
Archäologie, cit., p. 103; Albert, De opificibus Romanis, cit., p. 523; attestazioni tardoantiche
del termine in Von Petrikovits, Spezialisierung II, cit., p. 297.
1732 Cf. le attestazioni raccolte da K. Ausfeld, Architecton, «TLL», II, col. 464.
492 Parte II. I documenti

e tecta, il che lascia pensare che nel testo si debbano intendere due termini di-
stinti.
Mi chiedo dunque se non sia possibile ricorrere ad una interpretazione più
aderente al testo inciso: se volessimo mantenere il riferimento all’occupazione
di P. Buxurio Tracalo, potremmo per esempio intendere arte tectoria, sulla
scorta di un epitafio di Roma in cui appare come dedicante un Papirius Vitalis,
arte pictoria (CIL VI, 9792 = ILS 7674), o di un’iscrizione metrica da Sufetula,
nell’Africa Proconsolare, dedicata ad un tal Marcellus, medica nobilis arte (CIL
VIII, 241 = 11347 = ILS 7801). Questa soluzione, che non muterebbe sostan-
zialmente il contenuto dell’epigrafe, pur facendo di P. Buxurio un semplice
tector piuttosto che un architectus, implica comunque un deciso intervento sul
dettato dell’iscrizione.
Peraltro si deve notare come il testo, così come è inciso, dà senso, anche
se l’espressione risulta fortemente ellittica e di incerta interpretazione, soprat-
tutto in un’iscrizione di carattere funerario1733: è dunque possibile tradurre arte
tecta con “rivestita ad arte”1734, con riferimento ad un sostantivo femminile
indicante il monumento funebre, per esempio aedicula, un’allusione che per noi
risulta oscura, ma che forse doveva essere chiara al passante antico, che poteva
osservare l’iscrizione nel suo contesto monumentale?
Indicazioni sulla qualità e la fattura del monumento sepolcrale non man-
cano certo nell’epigrafia funebre latina, anche se l’accento è generalmente po-
sto sulla durevolezza del materiale impiegato, che assicurerà l’eterna memoria
del defunto1735: si può ricordare per esempio l’epitafio di Iulia [Mi]nucia da
Aquae Thibilitanae, in Numidia, nel quale il marito della defunta ricorda han[c]
tibi funes[t]am solidum de marm[o]re fecit1736, l’epigramma di una donna da
Aquileia cuius pro meritis pulcram de marmore sedem, / Valeriane, dolens co-
muni in pace parasti1737, o ancora i versi dedicati a Caecilia Sex. f. Iusta: pie
nunc blandae memoriae quiescit tute tecta Tiburtino, Lunense, Lesbio la-
pillo1738.

1733 Un carattere che sembra essere assicurato dalla formula salve, che in età repubblicana ho po-
tuto rintracciare solamente in testi di carattere funerario, cf. gli indici di CIL I2, 2, p. 785. Su
questa formula vd. G. Vergantini in Inscriptiones latinae liberae rei publicae, cit., pp. 348-349,
che sulla base dell’iscrizione sepolcrale di alcuni liberti degli Otacilii e delle ricerche condotte
nella già citata dissertazione Ricerche sul formulario delle iscrizioni sepolcrali di Roma, data
l’introduzione della formula di saluto nell’epigrafia di Roma alla prima metà del I sec. a.C.;
l’attestazione truentina potrebbe dunque essere all’incirca coeva ai primi esempi noti nella do-
cumentazione urbana. Nel Piceno salve ritorna, oltre che nell’iscrizione di Truentum, in un epita-
fio rinvenuto a Filottrano, CIL IX, 5819.
1734 Secondo un senso di ars che ritroviamo, per esempio, in Verg., Aen., I, 639: arte laboratae
vestes ostroque superbo.
1735 CF. H. Häusle, Das Denkmal als Garant des Nachruhms. Eine Studie zu einem Motiv in la-
teinischen Inschriften, München 1980, pp. 55-56 e nota 129, con altri esempi.
1736 CIL VIII, 18823 = CLE 1831 = ILAlg. II, 2, 4614.
1737 CIL V, 1710 = CLE 640.
1738 CIL VI, 13830 = CLE 497.
Parte II. I documenti 493

Non sono tuttavia in grado di indicare paralleli precisi per l’espressione


arte tecta, nel senso che si è proposto1739. Anche se questa appare a mio giudi-
zio la soluzione più immediata ed economica, credo dunque sia opportuno con-
siderarla solo come una delle diverse possibili spiegazioni, che almeno al mo-
mento non risulta maggiormente fondata rispetto alle ipotesi alternative che
sono state avanzate.
Non potendosi escludere con certezza che dietro l’inconsueto arte tecta si
celasse l’occupazione di architectus di P. Buxurio Tracalo1740, vale dunque la
pena soffermarsi brevemente sui caratteri di questa professione nel mondo ro-
mano1741.

1739 Gli interventi in opus tectorium dei curatori di associazioni a carattere funerario nei monu-
menta comuni sono in effetti pertinenti ad una tipologia monumentale diversa da quella della
tomba di P. Buxurio, che, a giudicare dell’iscrizione sepolcrale, doveva essere individuale; i l
formulario stesso in questo genere di epigrafi è molto differente da quello che troviamo
nell’epitafio di Truentum, cf. per esempio CIL VI, 34013 = ILS 7868: Mellax Veidianus, / de-
cur(io) iter(um), / parietes et camaras / scalariorum opere / tectorio expolitum / d(e) s(ua)
p(ecunia) d(ono) d(edit). / C(aio) Caesare, L(ucio) Paullo co(n)s(ulibus); CIL VI, 10332 = ILS
7889: L(ucius) Licinius L(uci) ((mulieris)) l(ibertus) Alexa curator socioru<m> / secundus. Is
monumentum ex pecunia / collata sociorum aedificavit arbitratu / suo, idemque tectoria perfe-
cit, et is trichiliniu (!) / sociorum ex sua pecunia opere tectorio / perpolit et amicis donum dedit
… . La sequenza arte tecta ritorna in un iscrizione dall’agora degli Italici di Delo, relativa alle
spese sostenute dai magistri, forse dei tre noti collegi degli Apolloniasti, Ermaisti e Posidonia-
sti, edita in CIL III, 7226 e ripresa in IDélos 1756 (con il breve commento di N.K. Rauh, Was the
agora of the Italians an établissement de sport?, «BCH», 116 (1992), pp. 313-314): nel lacu-
noso documento, che viene datato negli ultimi anni del II sec. a.C., dopo i nomi dei magistri,
possiamo leggere: [--- un]da coerav[erunt] / [l]udosque impe[nsa sua] / [fe]cerunt
o[r]nato[sque] / dederunt de [s]ua / [p]equnia [e]t arte / tectaque tradiderun[t]; è chiaro
dunque che nell’iscrizione di Delo, relativa da un lato all’esecuzione di ornamenti grazie alla pe-
cunia e all’ars dei magistri, dall’altro alla consegna di tecta da parte degli stessi, non è possi-
bile riconoscere un parallelo preciso dell’espressione arte tecta nell’iscrizione di Truentum.
1740 Così, oltre agli editori dell’epigrafe ricordati supra, p. 482, anche Mercando - Brecciaroli
Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit., p. 324, che, con qualche riserva, parlano di u n
p r o b a b i l e architectus; cf. anche Kühnert, Plebs urbana, cit., p. 49.
1741 Sugli architecti nel mondo romano vd. tra gli altri E. De Ruggiero, Architectus, «Diz. Ep.», I
(1895), pp. 643-647; Toynbee, Some Notes on Artists, cit., pp. 310-316; Calabi Limentani, La-
voro artistico, cit., pp. 14; 28; 77-78; Ead., Architetti 2, «EAA»; I, Roma 1958, pp. 573-578;
Treggiari, Roman Freedmen, cit., pp. 132-135; Visky, Geistige Arbeit, cit., pp. 95-103; G. Bodei
Giglioni, Lavori pubblici e occupazione nell’antichità classica, Bologna 1974, pp. 118-121; P.
Gros, Statut social et rôle culturel des architectes (période hellénistique et augustéenne, «Ar-
chitecture et société de l’archaïsme grec à la fin de la république romaine. Actes du Colloque
international organisé par le Centre national de la recherche scientifique et l’École française
de Rome (Rome 2-4 décembre 1980)», Paris - Rome 1983, pp. 425-450 (con le interessanti consi-
derazioni espresse da R. Martin nel suo intervento sulla relazione di P. Gros, pp. 450-452); W.
Müller, Architekten in der Welt der Antike, Zürich - München 1989, partic. pp. 116-117 sullo sta-
tuto sociale degli architetti; Eck, Magistrate, cit., pp. 177-217, partic. 186-193; Kühnert, Plebs
urbana, cit., pp. 49-50 e soprattutto la monografia di Donderer, Architekten, cit. (con le impor-
tanti recensioni di W. Eck, Auf der Suche nach Architekten in der römischen Welt, «JRA», 1 0
(1997), pp. 399-404; H. Solin, Analecta Epigraphica CLXVII. Architectus, «Arctos», 31 (1997),
pp. 135-142; O. Stoll, «MBAH», 16 (1997), 1, pp. 104-111; L. Gasperini, «Picus», 19 (1999), pp.
331-333), partic., pp. 71-76: lo statuto sociale degli architetti; pp. 81-312: catalogo delle atte-
stazioni epigrafiche degli architetti. Sugli architetti nella penisola iberica Gimeno Pascual, Arte-
494 Parte II. I documenti

Mi pare importante chiarire innanzitutto come le funzioni degli architecti


antichi coincidano solo parzialmente con quelle che sono proprie del mestiere di
architetto modernamente inteso: se oggi l’accento è posto in particolare sul
lavoro progettuale, con una forte componente artistica e creativa, dietro la de-
finizione di architectus a Roma si celano una pluralità di figure che, pur quasi
mai prescindendo da una robusta formazione teorica, sono anche e soprattutto
figure di tecnici, di ingegneri potremmo dire, se volessimo proporre un parallelo
con una professionalità moderna, che all’occorrenza possono e devono seguire
da vicino la corretta esecuzione dei lavori, avvicinandosi in questo agli odierni
capomastri.
Per questi aspetti eminentemente tecnici del proprio lavoro l’architectus
finisce per essere generalmente compreso nella vasta categoria degli artigiani;
tuttavia per la sua intrinseca utilità (e per la sua innegabile componente teorica,
potremmo aggiungere), il mestiere di architectus si eleva talvolta al di sopra di
altre artes, e viene parificato alla medicina nella celeberrima formulazione del
De officiis ciceroniano1742.
Non deve troppo sorprendere dunque se nella documentazione epigrafica
troviamo tra gli architecti un numero di ingenui, come P. Buxurio Tracalo, rela-
tivamente più alto rispetto a quanto accade per altri artifices. Limitandoci alle
attestazioni relative all’Italia romana ed escludendo gli architecti appartenenti
all’esercito, possiamo ricordare:
1. C. Postumius C. f. Pollio, architectus di CIL X, 6339 = ILS 7731 da Terra-
cina (età augustea)1743; il medesimo personaggio è noto anche da CIL X, 6126
da Formia, ma in quest’ultimo documento la filiazione viene omessa1744.
2. T. Safinius T. f. Fal. Pollio, arcitectus (!) di AE 1982, 173a = 1988, 292 da
Capua (tra l’età sillana e quella cesariana)1745.
3. T. Vettius Q. f. Ser., architectus di CIL X, 8093 = ILS 5539 da Grumentum
(43 a.C. sulla base della datazione consolare)1746.
4. P. Numisius P. f. Men., architectus di CIL X, 1443 e 1446 da Herculaneum
(età augustea?)1747.

sanos y tecnicos, cit., pp. 31-32; 34-35, nn. 37-38; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila -
González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 75-76.
1742 Cic., Off., I, 151, citato supra, p. 81, nota 337.
1743 Cf. Cf. Donderer, Architekten, cit., pp. 247-248, n°A134. Sul personaggio e su quello che è
stato chiamato, con formula modernizzante ma non priva di efficacia, il suo studio, vd. in parti-
colare Gros, Statut social, cit., pp. 436-438.
1744 Cf. Donderer, Architekten, cit., p. 248, n°A135.
1745 Cf. Donderer, Architekten, cit., p. 251, n°A138. Ho citato per esteso l’iscrizione supra, p.
436, n°19, a proposito del sagarius P. Confuleius Sabbio, al quale l’architetto Pollione costruì
l’abitazione.
1746 Cf. Donderer, Architekten, cit., pp. 268-269, n°A152. Architectus potrebbe qui teoricamente
essere un cognomen, ma il contesto rende questa ipotesi del tutto improbabile: T(itus) Vettius
Q(uinti) f(ilius) / Ser(gia tribu), architectus, / porticus de peq(unia) / pagan(orum) faciund(as)
coer(avit). / A(ulo) Hirtio, C(aio) Vibio / co(n)s(ulibus); è del resto plausibile che nel 43 a.C. u n
ingenuo fosse ancora privo di cognomen; così anche Solin, Architectus, cit., p. 137.
1747 Cf. Donderer, Architekten, cit., pp. 238-240, n°A127.
Parte II. I documenti 495

5. C. Acilius L. f., archit(ectus) di CIL XI, 2134 da Clusium (età augustea?)1748.


Il dato, in sé non del tutto probante, come tutte le statistiche ricavate dal
casuale campione epigrafico, va visto in parallelo con le considerazioni espresse
da Vitruvio nel suo De architectura, secondo il quale in passato era abitudine
valutare anche il genus di un architetto prima di affidargli un lavoro1749; in ef-
fetti, nota lo stesso Vitruvio in altro passaggio della sua opera, Roma non aveva
dato un numero di bravi architetti minore della Grecia, nei tempi andati come
nell’età stessa in cui l’autore viveva1750.
Non abbiamo molti elementi per scoprire che tipo di architectus fosse P .
Buxurio Tracalo (se veramente egli esercitò tale professione), né in quale punto
dell’ampia scala sociale coperta da questi artifices egli si collocasse: a giudicare
dalla modestia della sua iscrizione sepolcrale dovremmo concludere che le sue
funzioni e la sua fortuna non dovessero differire di molto da quelle di un altro
personaggio impegnato in attività edilizie e all’incirca coevo a P. Buxurio, quel
Filonico che aveva curato la costruzione di un complesso cultuale a Cluana1751,
nonostante quest’ultimo fosse un semplice schiavo. Si deve tuttavia ammettere
che in base ai dati in nostro possesso è difficile pervenire a conclusioni sicure ri-
guardo la condizione di P. Buxurio Tracalo, come del resto si deve riconoscere
che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, molti altri aspetti dell’iscrizione
di Truentum rimangono tuttora piuttosto oscuri.
Immagine: Tav. LXIV. CIL IX, p. 501 (apografo); CIL I2, 2, p. 670
(apografo); Nepi, Acquaviva Picena, cit., p. 140; CIL I2, 4, II. Tabulae, tav.
101, fig. 2; S. Benedetto del Tronto. Alla riscoperta storica del territorio, San
Benedetto del Tronto 1988, p. 46; Loggi, Monteprandone, cit., p. 28; Cancrini,
Municipio truentino, cit., p. 155, fig. 3.

1748 Cf. Donderer, Architekten, cit., pp. 186-187, n°A86. Anche in questo caso potremmo in teo-
ria trovarci davanti al cognomen Architectus: questa eventualità tuttavia è risolutamente esclusa
da Solin, Architectus, cit., p. 137. Dalla breve lista ho preferito escludere Sex. Veianius Sex. f.
Qui. Vitellianus, architectus di CIL VI, 2931* da Roma, una iscrizione ligoriana la cui autenti-
cità è difesa da Donderer, Architekten, cit., pp. 266-267, n°A151, ma sulla quale ribadisce i dubbi
Solin, Architectus, cit., pp. 137; 142; cf. anche Id., Ligoriana und Verwandtes. Zur Problematik
epigraphischer Fälschungen, «E fontibus haurire. Beiträge zur römischen Geschichte und z u
ihren Hilfswissenschaften (H. Chantraine zum 65. Geburtstag)», a cura di R. Günther - S.
Rebenich, Paderborn - München - Wien - Zürich 1994, p. 348.
1749 Vitruv., VI, praef,. 6: Itaque maiores primum a genere probatis operam tradebant
architectis.
1750 Id., VII, praef., 18: Cum ergo et antiqui nostri inveniantur non minus quam Graeci fuisse
magni architecti et nostra memoria satis multi.
1751 Cf. supra, pp. 256-258, nel commento all’iscrizione Cluana 1.
496 Parte II. I documenti

Truentum 2

Edizione di riferimento: CIL IX, 5276.


Altre edizioni: ILS 6564; Cancrini, Municipio truentino, cit., pp. 156-158,
n°5; Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 813, n°23.
Bibliografia: Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento,
cit., p. 346, n°304, Laffi, Asculum, cit., pp. 109-110, n°8 (lettera di G. Gabrielli
a T. Mommsen del 9 giugno 1879); pp. 110-112, n°9 (Mommsen a Gabrielli del
25 giugno 1879); Conta, Il territorio di Asculum, cit., pp. 50-51; P. Fortini,
Schede miscellanee, «Epigraphica», 52 (1990), pp. 138-139; A. Abramenko,
Ein neues Collegium der Augustalität, «ZPE», 85 (1991), p. 173; Id.,
Mittelschicht, cit., pp. 91; 256; Loggi, Monteprandone, cit., pp. 32-33;
Delplace, Romanisation, cit., p. 78; p. 105, n°125; Palestini, Contributo, cit.,
pp. 193-194; Paci, Medio-Adriatico occidentale, cit., p. 76; Vicari, Produzione,
cit., pp. 35; 80; 83; p. 102, n°160.
Luogo di ritrovamento: il cippo è stato rinvenuto, insieme ad un secondo
monumento che riportava il medesimo testo ma che risulta oggi perduto, nel
1833 in contrada Solagne di Ragnola1752, o meglio nella poco distante contrada
Bore1753, comunque dal territorio comunale di Monteprandone, come
l’iscrizione analizzata nella scheda precedente, alla quale si rimanda per la di-
scussione della pertinenza di questa località al territorio municipale di Truentum.
Luogo di conservazione: dopo che per lungo tempo se ne erano perse le
tracce, il monumento è stato rinvenuto da P. Fortini nel Deposito Comunale
per i Beni Culturali di Castel di Lama1754; ora si conserva a S. Benedetto del
Tronto, in attesa di trasferimento nel costituendo museo storico della città (non
visibile nel maggio 2002).
Tipo di supporto: cippo in travertino; la superficie scrittoria, priva di corni-
ciatura, si presenta oggi diffusamente scheggiata, in particolare sul lato sinistro,
ove ormai la prima lettera a l. 1 e a l. 2 risulta quasi scomparsa, e sul lato destro,
ove la parte superiore della S finale è notevolmente consunta.
Come ricordato, il testo era noto in due esemplari, secondo le ricerche eseguite
dall’ascolano Giulio Gabrielli: nell’altro esemplare, secondo il Gabrielli, a l. 3 si

1752 Così Mercando - Brecciaroli Taborelli - Paci, Forme di insediamento, cit., p. 346, n°504;
Delplace, Romanisation, cit., p. 105, n°125.
1753 Vd. lemma di CIL IX, 5276, che registra tra l’altro il rinvenimento in “contrada Ragnola, ca-
sino Giovanni Palermi” dato dall’erudito ascolano G. Gabrielli. La localizzazione precisa del
rinvenimento si ricava da una notizia dell’erudito locale V. De Paolis (citato in F. Mozzetti, Delle
officine porporarie in Truento e Castro Truentino, Teramo 1836, p. 8; cf. anche Palestini,
Contributo, cit., pp. 193-194), secondo il quale nella proprietà Palermi (poi Mignini) nel 1833
“si rinvennero delle mura che racchiudevano uno spazio di circa dieci palmi quadrati. Molti tra-
vertini tagliati in cubi ed in parallelepipedi erano sparsi qua e là e belli frammenti di cornici co-
rintie della medesima pietra annunziavano in quel luogo un elegante sepolcro”, cui verosimil-
mente erano pertinenti le due iscrizioni menzionanti C. Marcilius Eros. Cf. inoltre Loggi, Mon-
teprandone, cit., p. 32: nella proprietà Palermi - Mignini; Fortini, Schede miscellanee, cit., p.
158; Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 156.
1754 Fortini, Schede miscellanee, cit., p. 158.
Parte II. I documenti 497

trovava TRONTI, poi corretto in TRVENTI1755, un dato che faceva sospettare


al Mommsen che si trattasse di una copia moderna dell’epigrafe antica1756.
Mestiere: purpurarius.
Datazione: per l’estrema semplicità del formulario, con il nome del defunto al
nominativo (se l’iscrizione, come pare, è di carattere sepolcrale), e per le carat-
teristiche paleografiche l’epigrafe dovrebbe inquadrarsi ancora in età augustea o
negli anni immediatamente successivi.
Testo: C(aius) Marcilius / Eros, purpura(rius), / V vir Truenti.
l. 2: la S di Eros, probabilmente per errato calcolo degli spazi, è stata incisa in
modo da occupare il minor spazio possibile. Alla fine della linea, per il mede-
simo motivo, A nana e incisa leggermente al di sopra della linea di base delle al-
tre lettere.
l. 3: il numerale è sopralineato. Truenti(nus) Cancrini.
Interpunzione a forma di triangolo con il vertice rivolto verso l’alto; data la
consunzione della pietra, se ne osserva un solo chiaro esempio, a l. 3 tra vir e
Truenti.
Commento
La semplicissima iscrizione, con tutta probabilità di carattere sepolcrale,
ci ricorda un purpurarius C. Marcilio Eros, che rivestì anche la carica di V vir a
Truentum.
Il gentilizio del purpurarius è altrimenti sconosciuto nella regio V ed è
piuttosto raro in genere nella documentazione dell’Italia romana1757: tra le te-
stimonianze più risalenti della gens va senza dubbio annoverata un’iscrizione di
Aesernia dalla quale è noto un Q. Marcilius L. f. che ebbe la carica di II vir1758;
sarebbe suggestivo accostare questo personaggio al purpurarius del vicino Pi-
ceno, tuttavia la differenza dei prenomi invita alla prudenza. All’età repubbli-
cana appartengono anche il L. Marcilio che compare in un’iscrizione di Gizio
del 70 a.C. circa e che fu probabilmente legato di M. Antonio Cretico qualche
anno prima della redazione del testo1759, e il M. Marcilio che Cicerone, al
tempo del suo proconsolato in Cilicia, raccomandò al governatore d’Asia Q.
Minucio Termo, in quanto figlio di un apparitore ed interprete che si era guada-

1755 Cf. la lettera del Gabrielli al Mommsen in data 9 giugno 1879, ora pubblicata da Laffi, Ascu-
lum, cit., pp. 109-110.
1756 Cf. la lettera di T. Mommsen a G. Gabrielli datata al 25 giugno 1879 e ora pubblicata da
Laffi, Asculum, cit., pp. 110-112. Cf. anche lemma a CIL IX, 5276.
1757 Cf. Schulze, Eigennamen, cit., p. 188, nota 4.
1758 CIL I2, 1753 = CIL IX, 2662 = ILLRP 526; sul personaggio vd. Taylor, Voting Districts, cit.,
p. 232; A. Degrassi, Epigraphica III, «MAL», s. VIII, 13 (1967), p. 10, ora in Scritti vari di anti-
chità, III, Venezia - Trieste, pp. 100-101, che lo ritiene magistrato della colonia latina fondata nel
263 a.C.; Deniaux, Clientèles, cit., p. 526.
1759 IG V, 1, 1146 = SIG3 748, ll. 12; 16; l’interessante documento è ripreso da L. Migeotte,
L’emprunt public dans le cités grecques. Recueil des documents et analyse critique, Québec -
Paris 1984, pp. 90-96, n°24: ivi bibliografia anteriore e commento, principalmente dedicato agli
aspetti finanziari; lo studioso suggerisce (p. 94) di datare l’incarico di L. Marcilio al 74/3 a.C.
Sul personaggio in particolare vd. inoltre F. Münzer, Marcilius 1, «P.W.», XIV, 2 (1930), col.
1534; Broughton, Magistrates, cit., II, pp. 105; 113; Wiseman, New Men, cit., p. 240, n°247.
498 Parte II. I documenti

gnato la stima dello stesso Cicerone1760. Altre attestazioni di Marcilii si hanno a


Roma1761, nella tabula alimentaria di Velleia1762 e nell’ager Mediolanensis1763.
Il noto cognome Eros è invece altrimenti attestato nel Piceno, in parti-
colare a Falerio1764, a Firmum1765, ad Interamnia1766, in buona misura per per-
sonaggi di sicura o probabile origine servile, come del resto accade anche nella
documentazione urbana1767.
Venendo proprio alla condizione sociale del personaggio, in assenza di in-
dicazioni esplicite, il cognome grecanico e l’appartenenza di Eros ad un collegio
sacerdotale affine al sevirato e all’Augustalità, come si vedrà oltre, costitui-
scono due elementi, anche se non decisivi, a favore di una sua provenienza dai
ranghi dei liberti1768.
Venendo al mestiere esercitato da C. Marcilio Eros, il purpurarius1769 era
propriamente colui che produceva e vendeva la porpora1770, preziosa sostanza

1760 Cic., Fam., XIII, 54. Sul personaggio vd. F. Münzer, Marcilius 2, «P.W.», XIV, 2 (1930), col.
1535; Deniaux, Clientèles, cit., pp. 525-526 che a ragione giudica improbabile
un’identificazione del padre di M. Marcilio con il L. Marcilio dell’iscrizione di Gizio, avanzata
da Münzer, Marcilius 1, cit., col. 1354.
1761 CIL VI, 39089.
1762 CIL XI, 1147, VII, l. 3: L. Marcilius; l. 5: C. Marcilius; l. 6: Marcilius Pietas, cf. anche ll. 5-
6: fundus Marcilian[u]s.
1763 CIL V, 5642.
1764 CIL IX, 5448 da consultare ora nell’edizione di Gasperini, Spigolature (I-III), cit., pp. 54-
56; cf. anche Id., Cimeli epigrafici, cit., pp. 141-143 ( = Id., Antiche iscrizioni a Montegiorgio,
pp. 9-11, n°2): [- I]ulius Eros / [V ?]III vir August(alis).
1765 CIL IX, 5402: C. Modius Eros.
1766 CIL IX, 5088, iscrizione sepolcrale di L. Ampius L. f. Severus, del padre L. Ampius L. f. e della
madre Publicia Sex. f. Paulla, la cui esecuzione venne affidata all’arbitratus del liberto (L.
Ampius L. l.) Eros; CIL IX, 5104: Sp. Fadenus Eros, libertus; CIL IX, 5108: [L.] Lusius L. l. Eros.
1767 Solin, Die griechischen Personennamen, cit., I, pp. 328-335; III, p. 1361; Id., Sklavennamen,
cit., II, pp. 284-289.
1768 Così Abramenko, Mittelschicht, cit., p. 256. Sui V viri del Piceno e il loro statuto sociale vd.
infra, pp. 506-507. Vicari, Produzione, cit., p. 102 propone invece, in via ipotetica, l’ingenuitas
del personaggio.
1769 Sul mestiere di purpurarius vd. principalmente Marquardt, Privatleben, cit., pp. 512-514;
M. Besnier, Purpura, «DS», IV, 1 (1907), pp. 771-772; 776; Blümner, Technologie, cit., I, p. 235
e nota 10; pp. 247-248; Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 75-77; K. Schneider, Purpura,
«P.W.», XXIII, 2 (1959), coll. 2008-2009; R.J. Forbes, Studies in Ancient Technology, IV, Leiden
19642, p. 142; Treggiari, Roman Freedmen, cit., pp. 96-97; M. Reinhold, History of Purple as a
Status Symbol in Antiquity, Bruxelles 1970, p. 54 e nota 3; L. Virno Bugno, M. Burronio Sura e
l’industria della porpora ad Aquino, «RAL», 26 (1971), pp. 689-691; Schlippschuh, Händler,
cit., p. 53 (sui purpurarii dell’area renana e danubiana); Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p.
110 ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 125; cf. anche Id., Spe-
zialisierung II, cit., pp. 290; 303; Wisseman, Spezialisierung, cit., p. 122; H.W. Pleket, Urban
Elites and Business in the Greek Part of the Roman Empire, «Trade in the Ancient Economy», a
cura di P. Garnsey - K. Hopkins - C.R. Whittaker, London 1983, pp. 141-143; Id., Urban Elites
and the Economy, cit., p. 20; Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., p. 39; pp. 42-43, nn. 49-
51 (sui purpurarii nella penisola iberica); H.W. Pleket, Greek Epigraphy and Comparative An-
cient History: Two Case Studies, «EA», 12 (1988), pp. 33-34; G.L. Gregori, Purpurarii, «Epigra-
fia della produzione e della distribuzione. Actes de la VIIe rencontre franco-italienne sur
Parte II. I documenti 499

colorante ricavata da alcune specie di molluschi1771; altre sostanze, di origine


animale, vegetale e minerale, potevano fornire una tintura simile alla porpora,
per quanto meno pregiata e meno costosa1772. Per esteso il termine purpurarius
designava comunque anche i tintori e i commercianti di stoffe, in primo luogo
naturalmente purpuree, ma probabilmente anche di altri colori, come si evince
dal fatto che nella documentazione epigrafica i tintori generici, infectores1773,
offectores1774 e tinctores1775, e quelli specializzati nella produzione di tessuti di

l’épigraphie du monde romain organisée par l’Université de Roma - La Sapienza et l’Ecole


française de Rome, Rome 5-6 juin 1992», Rome 1994, pp. 739-743; Vicari, Economia, cit., p.
246; p. 254, n°11; p. 255, nn. 18 e 20 per i purpurarii della Cispadana; Id., Produzione, cit.,
passim e partic. pp. 21; 32; 37; 55; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román -
Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 88-89.
1770 Il fatto che a Roma venisse venduto anche il colorante, oltre che alle stoffe già tinte, mi pare
dimostrato da Suet., Ner., 32, 4: et cum (scil. Nero) interdixisset usum amethystini ac Tyrii colo-
ris summisissetque qui nundinarum die paucolas uncias venderet, praeclusit cunctos negotia-
tores; sebbene la natura e gli scopi del provvedimento di Nerone siano oggetto di discussione
(cf. Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 75-76; Reinhold, Purple, cit., p. 50; K.R. Bradley,
Suetonius’ Life of Nero. An Historical Commentary, Bruxelles 1978, p. 193) sembra indubitabile
che le pauculae unciae messe in vendita fossero precisamente piccole quantità delle porpore
ametistina e di Tiro, considerate tra le più preziose.
1771 Sulle specie utilizzate e sui procedimenti di estrazione della sostanza e di tintura delle
stoffe vd. principalmente Besnier, Purpura, cit., pp. 769-774; Blümner, Technologie, cit., I, pp.
233-247; I. Hammer-Jansen, Färbung, «P.W.» S. III (1918), coll. 465-468; Schneider, Purpura,
cit., coll. 2000-2007; Wilson, Clothing, cit., pp. 6-13; Forbes, Studies, cit., IV, pp. 114-122; 127-
139. Di particolare interesse gli impianti per la produzione di porpora di Delo, studiati da P.
Bruneau, Documents sur l’industrie délienne de la pourpre, «BCH», 93 (1969), pp. 759-791 (pp.
760-763: la documentazione epigrafica; pp. 764-791: la documentazione archeologica); Id., De-
liaca (II). 16. La fabrication de la pourpre à Délos, «BCH», 102 (1978), pp. 110-114.
1772 Cf. l’accurata descrizione delle sostanze coloranti diverse dalla porpora in Blümner, Te-
chnologie, cit., I, pp. 248-256 e in Forbes, Studies, cit., IV, pp. 102-110; cf. anche Hammer-
Jansen, Färbung, cit., coll. 468-470; Reinhold, Purple, cit., p. 53 e nota 1; Virno Bugno, M.
Burronio, cit., pp. 690-691.
1773 Gli infectores erano propriamente coloro che si occupavano della tintura delle stoffe ex
novo, secondo la definizione di Fest., p. 99 Lindsay, che li distingue dagli offectores: Infectores,
qui alienum colorem in lanam coinciunt. Offectores qui proprio colori novum officiunt; s u
questa distinzione, anche alla luce delle testimonianze archeologiche di Pompei, vd. W.O.
Moeller, Infectores and offectores at Pompeii, «Latomus», 32 (1973), pp. 368-369. Attestazioni
epigrafiche di infectores in E. De Ruggiero, Infectores, «Diz. Ep.», IV (1942), p. 53; E. Fleischer,
Infector, «TLL», VII, 1, coll. 1356-1357; Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 100, ora i n
Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., pp. 115-116; cf. anche Id., Speziali-
sierung II, cit., p. 300; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas,
Trabajo, cit., p. 87; Vicari, Produzione, cit., pp. 5; 21; 114. In genere sulle diverse denomina-
zioni di mestiere nel settore della tintura vd. J. Kolendo, Il tinctor tenuarius - tintore i n
un’iscrizione di Verona, «Archeologia», 37 (1986), pp. 37-40.
1774 Gli offectores si distinguevano dai precedenti per il fatto che si occupavano di rinfrescare i
colori di una stoffa già tinta, cf. Fest., p. 99 Lindsay, citato alla nota precedente. Attestazioni
epigrafiche di offectores in F. Oomes, Offector, «TLL», IX, 2, coll. 486-487; Von Petrikovits,
Spezialisierung, cit., p. 106, ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p.
121; cf. anche Id., Spezialisierung II, cit., p. 302; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González
Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 87; Vicari, Produzione, cit., p. 5; 114.
500 Parte II. I documenti

diverso colore, come per esempio i carinarii1776, corcotarii1777, flammarii1778 e


violarii1779, menzionati in un celebre passo dell’Aulularia di Plauto, sono piut-
tosto rari: è dunque possibile che di preferenza anche costoro si definissero pur-
purarii, un mestiere nel quale in qualche misura si doveva riversare il prestigio di
cui godeva la porpora stessa, a ragione definita uno status symbol del mondo an-
tico1780.
La denominazione latina del mestiere, come si è accennato, abbracciava
sia l’aspetto produttivo che quello della commercializzazione1781, al pari del re-
sto di quanto accade per molte altre attività artigianali. L’uso di termini più
precisi, come negotiator o mercator purpurarius, non è molto frequente
nell’epigrafia latina1782. La terminologia greca, come spesso accade, può essere

1775 Cf. Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 117, ora in Beiträge zur römischen Geschichte
und Archäologie, cit., p. 131, che segnala una sola attestazione epigrafica, CIL VI, 9936; cf. an-
che Id., Spezialisierung II, cit., p. 297. Aggiungi almeno il [tin]ctor tenuar[ius] dell’iscrizione
AE 1987, 453, da Verona.
1776 Specialisti della tintura di stoffe in colore noce, Plaut., Aul., 510, cf. Von Petrikovits, Spe-
zialisierung, cit., p. 89, ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 106.
Virno Bugno, M. Burronio, cit., p. 689, parla di cerinarii come di specialisti nella tintura d i
stoffe in colore giallo chiaro, senza giustificare questa correzione del testo: nei codici
dell’Aulularia si trova concordemente cariarii, tuttavia generalmente emendato in carinarii
dagli editori di Plauto.
1777 Specialisti della tintura di stoffe in colore arancio, Plaut., Aul., 521.
1778 Specialisti della tintura di stoffe in colore rosso acceso, Plaut., Aul., 510; cf. Von
Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 97, ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäo-
logie, cit., p. 113.
1779 Specialisti della tintura di stoffe in colore blu, cf. Plaut., Aul., 510; cf. Von Petrikovits, Spe-
zialisierung, cit., p. 119, ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 132.
Da rilevare come alcuni dei nomi di mestieri artigianali riportati in questo passo potrebbero es-
sere invenzioni plautine, con intento satirico, come ricordano Kolendo, Tinctor tenuarius, cit.,
p. 39 e Vicari, Produzione, cit., p. 5. Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 87, ora in Beiträge
zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 104 tra questi specialisti delle tintura d i
stoffe considera anche i blattiarii di C. Th., XIII, 4, 2 = C. Iust., X, 66, 1, che avrebbero preso i l
nome da un tipo di porpora di particolare pregio, detto blatta; tuttavia la glossa blatteari (id est
petalourgoiv) che ritroviamo nel Codice di Giustiniano induce a ritenere che questi artigiani
vadano identificati piuttosto con quegli orefici che lavoravano i metalli preziosi in sottilissime
foglie e che nella documentazione latina appaiono generalmente con il nome di brattiarii, cf. K.
Münscher, Brattiarius, «TLL», II, col. 2167; Kolendo, Tinctor tenuarius, cit., p. 38, nota 64; R.
Delmaire, Largesses sacrées et res privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe a u
VIe siècle, Rome 1989, p. 456.
1780 Così particolarmente Loane, Industry and Commerce, cit., p. 76; cf. anche Virno Bugno, M.
Burronio, cit., p. 689; Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 157. Sulla porpora come status
symbol vd. naturalmente Reinhold, Purple, cit., e la recente monografia di H. Blum, Purpur als
Statussymbol in der griechischen Welt, Bonn 1998, incentrata tuttavia sul mondo greco di età
classica ed ellenistica.
1781 Cf. Besnier, Purpura, cit., pp. 771; 776; Blümner, Technologie, cit., I, p. 235, nota 10; p.
247; Schneider, Purpura, cit., col. 2008; Von Petrikovits, Spezialisierung, cit., p. 110, ora i n
Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., p. 125.
1782 Cf. per esempio CIL VI, 33888 da Roma: [--- ne]gotias (!) pur[purarius]; AE 1972, 74 da
Aquinum: un mercator [pur]purarius da Placentia; AE 1982, 709 da Lugdunum: u n
Parte II. I documenti 501

più precisa, distinguendo per esempio il porfurobavfo", il tintore che utilizza la


porpora, dal porfuropwvlh", il commerciante che vende il colorante e le stoffe
purpuree; tuttavia anche nella documentazione in lingua ellenica non di rado si
incontrano termini di significato ambiguo, come per esempio porfura'",
porfureuv" o porfureuthv"1783. Sembra dunque legittimo ipotizzare che i pur-
purarii potessero occuparsi sia della produzione della porpora e della tintura
delle stoffe, come della vendita del colorante e delle vesti; non è nemmeno da
escludere che, almeno in alcuni casi, il medesimo purpurarius potesse occuparsi
di tutte le fasi del procedimento, dall’estrazione della porpora alla vendita dei
tessuti. Non è tuttavia possibile affermare se questo fosse anche il caso del no-
stro C. Marcilio Eros.
Le attestazioni del mestiere di purpurarius nella documentazione epigra-
fica dell’Italia romana sono piuttosto numerose1784; oltre all’iscrizione di
Truentum possiamo ricordare:
1. AE 1923, 59 da Roma: D(ecimus) Veturius D(ecimi) l(ibertus) Atticus, / pur-
pur(arius) de vico Iugar(io), / Veturia D(ecimi) l(iberta) Tryphera, / arbitratu.
2. Gregori, Purpurarii, cit., pp. 739-743 = AE 1994, 283 da Roma: L(ucius)
Benniu[s ---], / purpu[rar(ius)], / L(ucius) Ben[nius ---], / L(ucius) Be[nnius ---]
/ ------.
3. CIL I2, 1413 (cf. I2, 4, p. 980) = AE 1908, 102 = CIL VI, 37820 = ILS 9428
= ILLRP 809 da Roma: V(ivit) D(ecimus) Veturius D(ecimi) l(ibertus)
Diog(enes), / ((obitus)) D(ecimus) (vac.) (scil. Veturius) D(ecimi) l(ibertus)
Nicepor, v(ivit) Veturia D(ecimi) l(iberta) Fedra / de sua pecunia faciund(um)
coir(avit) / sibi et patrono et conlibert(o) et / liberto. Nicepor conlibertus vixit
mecum annos XX. / Purpurari a Marianeis vel Purpuraria Marianeis. / Viv(it)
D(ecimus) Veturius D(ecimi) ((mulieris)) l(ibertus) Philarcur(us) (!)1785.
4. CIL I2, 2991a = CIL VI, 32454 = 37169 da Roma: Ex pec(unia) dec(ima ?)
mag(istri) f(aciundum) c(uraverunt). / L(ucius) Modius L(uci) l(ibertus)
Philomusus, purp(urarius), / Sex(tus) Herennius Sex(ti) f(ilius) Pal(atina)
Rufus, / L(ucius) Bennius Q(uinti) l(ibertus) Mida, M(arcus) Aeficius M(arci)
l(ibertus) Menopo, Q(uintus) A<n?>tonius Q(uinti) l(ibertus) Phi¢lÜemo.
5. CIL VI, 9843 da Roma: T(itus) Livius T(iti) l(ibertus) Philoxenus,
purp(urarius), / Livia T(iti) l(iberta) Nice, l(iberta), / T(itus) Livius T(iti)

neg(otiator) purpurarius da Durocortorum; CIL III, 5824 = ILS 7598 da Augusta Vindelicorum:
negotiator artis purpurariae (su questo documento vd. Schlippschuh, Händler, cit., p. 53).
1783 Sulla terminologia dei mestieri legati alla porpora nella fonti documentarie in greco vd. J.
Robert - L. Robert, Bull. ép. 1970, 625; J.-P. Rey-Coquais, Inscriptions grecques et latines dé-
couvertes dans les fouilles de Tyr (1963-1974). I. Inscriptions de la nécropole, Paris 1977, pp.
158-160 e soprattutto H.-J. Drexhage, Der porfurovpwlh", die porfurovpwli" und der
kogcisthv" in den Papyri und Ostraka, «MBAH», 17 (1998), 2, pp. 94-99 che raccoglie in ap-
pendice anche la documentazione epigrafica rilevante; aggiornamento in Id., Nochmals zu den
Komposita mit -pwvlh" und -pravth" im hellenistischen Ägypten, «MBAH», 20 (2001), p. 6.
1784 Cf. la raccolta di M. Silvestrini in Grelle - Silvestrini, Lane apule, cit., p. 125; Vicari, Pro-
duzione, cit., p. 114.
1785 L’iscrizione è ora ripubblicata da I. Di Stefano Manzella, Le iscrizioni romane “ex Villa
Ceci” (Collezione Levi-Coen), «BMMP», 15 (1995), pp. 91-94, n°5.
502 Parte II. I documenti

l(ibertus) Diocles, l(ibertus), / Alexsander, l(ibertus), arbitratu L(uci) Aponi


((mulieris)) l(iberti) Gá / T(iti) Livi T(iti) l(iberti) Hermogenes (!), l(iberti).
6. CIL VI, 9844 (cf. p. 3471 = CIL X, 1952) da Roma: D(is) M(anibus).
L(ucio) Pl(---) Her/mippo, purp(urario)1786.
7. CIL VI, 9845 da Roma: L(ucius) Venonius / Hospes, / purpurarius.
8. CIL VI, 9846 da Roma: ------ / NN(umeriorum) l(ibert-) A[---], / Viciria
A(uli) l(iberta) +[---], / Viciria N(umeri) l(iberta) Ta[---], / Viciria N(umeri)
l(iberta) Nice, / Viciria A(uli) l(iberta) Creste, / purpurar(ia) vel purpurar(iae).
9. CIL VI, 9847 = 26217 = AE 1991, 264 da Roma: ------ / p[urp]urar[io] / a
[Tr]anstiberim, et / Sontiae [R]estitutae, / coniugi eius, et / libertis libertabus /
posterisque eius, / fecit / Attia Delphis / coniunx.
10. CIL VI, 9848 (cf. p. 3895) da Roma: [---]A P(ubli) Clodi Philonici,
Euraniae Mu[---] / purpurari de vico / ------?
11. CIL VI, 33888 = ICUR X, 27525 da Roma: ------ / [---]eius, ci[vis ? ---], / [-
-- ne]gotias (!) pur[purarius, ---] / [---] AV + [---] / ------?
12. AE 1972, 74 da Aquinum: [P(ublius) M]urrius PP(ubliorum) l(ibertus)
Zetus, / [Pla]centinus, mercator / [pur]purarius, hic situs est. / [Viator] consiste
et casus hominum cogita: / annorum natu(s) XXXV, arbitror fuissem / [quom]
plurimi fui et florebam maxume / [et ce]cidi longe ab domo et meis aman-
tib[us]. / P(ublius) Murrius PP(ubliorum) l(ibertus) Eros, /[con]libertus et so-
cius, vivus / hoc monumentum fecit ossaque [tran]stulit Placentiam1787.
13. CIL XIV, 2433 = ILS 7597 da Bovillae: L(ucio) Plutio L(uci) l(iberto)
Eroti, / purpurario de vico Tusco, / Plutia L(uci) l(iberta) Auge / fecit sibi et /
Veturiae CC(aiorum) l(ibertae) Atticae.
14. CIL XIV, 473 da Ostia: ------ / [-] Nonius / [Ste]phanus, / [pur]purar(ius), /
[---]a LL(uciorum) l(iberta) Damalis, l(iberta), / [---]ius LL(uciorum) l(ibertus)
/ [Phila]rgyrus, l(ibertus), / [libertis] libertabus / [poste]risq(ue) eorum.
15. CIL I2, 2947 = ILLRP 712 = AE 1958, 267 da Capua (105 a.C.): elenco dei
Mag(istri) che Castori et Polluci et Mercu[rio] Felici fornicem et / gradus supra
fornicem omnis et [cluac ?]as sequndum / fornicem faciend(um) coer(averunt)
eidemque lud[os fecer(unt)], P(ublio) Rutil(io), Cn(aeo) Mal(lio)
co(n)s(ulibus); a l. 12: P(ublius) Servius N(umeri) l(ibertus), purpur(arius).
16. CIL X, 3973 da Capua: C(ai) Minati) C(ai) l(iberti) Philodami, pur-
pur(ari). / Minatia C(ai) l(iberta) Fausta fecit sibi et patro(no). / O(ssa) s(ita)
h(ic) s(unt).
17. CIL I2, 3123 = AE 1967, 88 da Marcianise, tra Capua e Calatia: A(uli)
Oppei A(uli) l(iberti) Clauciae, / purpurarei (!) ossa heic (!) sita / sunt.

1786 In considerazione dell’esistenza di un L. Plutius L. l. Eros, purpurarius de vico Tusco (vd.


infra la testimonianza n°13) e del fatto che non di rado tra i rappresentanti di una stessa arte ri-
corrono i medesimi gentilizi, suggerirei, in via del tutto ipotetica, di integrare qui il gentilizio
in Pl(utius).
1787 Su questa iscrizione vd. particolarmente il commento di Virno Bugno, M. Burronio, cit., pp.
691-695; cf. anche Vicari, Produzione, cit., p. 33.
Parte II. I documenti 503

18. CIL X, 540 = InscrIt I, I, 26* da Salernum, ma probabilmente da attribuire


a Puteoli: [C]n(aeo) Haio Doryp[h]oro, purpurario, Augu[st](alis) / duplicia-
rio, vixit / annis XXXXVIIII, / m(ensibus) VI, diebus XXIX.
19. CIL XI, 2136 da Clusium: P(ublius) Vettius D(ecimi) l(ibertus) Antioc(hus),
/ purpurarius.
20. Suppl. It., n.s. 11, pp. 101-102, n°7 = AE 1993, 634 = CIL XI, 6604 da
Mevaniola: M(arcus) Satellius Q(uinti) [f(ilius)] / Stel(latina tribu) Marcellus,
[pu]/rpurarius, sex vi[r], / sibei (!) et Muronia[e -] l(ibertae) Primae vivos
fec[it].
21. CIL XI, 1069a da Parma: C(aius) Pupius C(ai) l(ibertus) Amicus, / purpu-
rarius, / vivos fecit / sibi et suis. / In f(ronte) p(edes) XII, in a(gro) p(edes) XX.
22. CIL V, 7620 da Pollentia: Vivit. / Q(uintus) Vari[s]idius Q(uinti) f(ilius)
Pol(lia tribu) / Naso, / purpura(rius). / P(edes) q(uadratos) XVI.
23. CIL V, 1044 (cf. p. 1025) = Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 724 da
Aquileia: M(arco) Pullio M(arci) l(iberto) Casto, / M(arco) Pulli[o] M(arci)
l(iberto) Fusco, / purpurario, / Pullia M(arci) l(iberta) Prima, / M(arcus)
Flavius Ianuarius, / M(arcus) Pullius ((mulieris)) l(ibertus) Hormus, purpu-
rar(ius)1788.
24. Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 723 da Aquileia: M(arcus) Luri[us ? --
-], / purpura[rius ---] / ------?1789
Come di consueto le testimonianze si concentrano soprattutto a Roma,
che ci ha restituito quasi la metà delle attestazioni epigrafiche di purpurarii a
noi note in Italia: ai nn. 1-11 si deve aggiungere anche il personaggio menzio-
nato nell’iscrizione n°13, rinvenuta a Bovillae ma relativa ad un purpurarius del
vicus Tuscus. Nella documentazione urbana un certo rilievo hanno i D. Veturii,
di condizione libertina, attestati dai documenti n°1, e soprattutto n°3, che ci fa
conoscere quattro personaggi, tutti apparentemente impegnati in questa
attività1790; da notare anche che una Veturia Attica, liberta di due Caii, appare
anche nell’iscrizione sepolcrale del mercante di porpora L. Pluzio Eros (n°13).

1788 Cf. su questo documento M. Verzár Bass, A proposito dell’allevamento nell’alto Adriatico,
«AAAd», 29 (1987), p. 278.
1789 A tali attestazioni è forse da aggiungere CIL XI, 645 = G. Rossini, Le antiche iscrizioni ro-
mane di Faenza e dei Faventini, Faenza 1938, p. 32, n°3 da Faventia, iscrizione oggi perduta, ma
nota da diverse trascrizioni, tra le quali è forse da preferirsi quella di G. Zaratino Castellini, valo-
rizzata da S. Panciera, Giovanni Zaratino Castellini e l’epigrafia faentina, «Studi Faentini i n
memoria di Mons. Giuseppe Rossini», Faenza 1966, p. 230, n°645: C(aius) Egn[atius ---] PVR;
se la lettura del Castellini a l. 2 è corretta (ma RVR o P.V.R. in altri eruditi che videro il monu-
mento, citati nel lemma a CIL XI, 645 e in Rossini, Antiche iscrizioni, cit., p. 32, n°3) con
Panciera potremmo supporre il ricordo del mestiere di purpurarius; naturalmente, come rileva l o
studioso, le lettere superstiti di l. 2 potrebbero anche essere relative al cognomen di C. Egnazio o
far parte della formula onomastica di un secondo personaggio; le diverse congetture sono
riprese da A. Donati, Prosopografia faventina, ibid., p. 75, da cui Vicari, Produzione, cit., p. 106,
n°237 riprende l’ipotesi di una menzione di mestiere.
1790 Cf. Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 76-77; Treggiari, Roman Freedmen, cit., pp. 96-
97; Pavis D’Escurac, Aristocratie sénatoriale, cit., p. 349 ricorda il caso dei Veturii impegnati
nell’industria della porpora come esemplificativo dell’uso che le famiglie senatorie facevano d i
loro schiavi e liberti come agenti commerciali; Vicari, Produzione, cit., p. 21. Sul dossier dei
504 Parte II. I documenti

Proprio riguardo la documentazione urbana si è notato un progressivo


esaurirsi delle testimonianze epigrafiche di purpurarii nel corso del I sec. d.C.,
che è stato messo in connessione con il passaggio dell’industria della porpora
sotto il controllo imperiale, a partire forse dall’età neroniana1791. Credo tutta-
via che i due problemi vadano tenuti distinti: non mi pare infatti che l’esistenza
di un monopolio della porpora da parte dell’imperatore, anche qualora la sua
esistenza fosse accertata già per la seconda metà del I sec. d.C., implichi neces-
sariamente un netto calo nelle attestazioni dei mestieri connessi. La circostanza
è mostrata dalla frequente comparsa di occupazioni legate alla lavorazione della
porpora in età tardoantica, quando si ammette comunemente l’esistenza di un
più stretto controllo dello stato sul settore1792: si veda per esempio la costitu-
zione nella quale Costanzo II si rivolge a diverse categorie di artigiani qui devo-
tioni nostrae deserviunt per confermare l’esenzione dai munera; tra di essi sono
esplicitamente nominati i purpurarii1793. Mi pare indubitabile che questi arti-
giani che lavoravano per Costanzo, se lo avessero voluto, avrebbero potuto de-
finirsi purpurarii anche nelle proprie iscrizioni sepolcrali; e ciò è quello che ac-
cade effettivamente nella necropoli paleobizantina di Tiro, sede di un impor-
tante fabbrica imperiale di porpora, necropoli nella quale le occupazioni legate
al settore assommano a circa un quinto dei mestieri attestati1794. Credo dunque
che la progressiva scomparsa dei purpurarii nell’epigrafia sepolcrale latina vada
piuttosto connessa all’esaurirsi della funzione caratterizzante del mestiere in ge-
nere, un fenomeno di cui si colgono i segni già nella seconda metà del I sec.
d.C.1795
Quanto all’esistenza di un controllo dell’imperatore sull’industria della
porpora, vorremmo sapere se esso sia da intendere in senso esclusivo o se po-
tesse convivere con un libero mercato, se si estendesse su tutte le fasi del lungo
procedimento che dall’estrazione del colorante conduceva sino alla vendita delle
stoffe tinte o solamente su alcune di queste fasi, se riguardasse ogni tipo di
tintura purpurea o solamente i generi più pregiati e costosi: quale era dunque il
rapporto fra lo stato e quei bafevi" dai quali si poteva acquistare un bel mantello

Veturii vd. ora S. Dixon, Familia Veturia. Toward a Lower-Class Economic Prosopography,
«Childhood, Class and Kin in the Roman World», a cura di S. Dixon, London - New York 2001,
pp. 115-127.
1791 Gregori, Purpurarii, cit., p. 742. L’esistenza di un controllo imperiale sull’industria della
porpora già in questa età è suggerita in particolare da un’epigrafe di Mileto che ci fa conoscere
uno schiavo imperiale, probabilmente di Nerone, che ebbe il titolo di ejpavnw tw'n porfurw'n; i l
testo è pubblicato e commentato da P. Herrmann, Milesischer Purpur, «MDAI(I)», 25 (1975), pp.
141-147 e ripreso in AE 1977, 800 e in P. Herrmann, Inschriften von Milet, II, Berlin - New York
1998, pp. 53-54, n°666.
1792 Cf. Reinhold, Purple, cit., pp. 62-70, che tuttavia insiste sul fatto che tale controllo non era
assoluto; vd. inoltre Delmaire, Largesses sacrées, cit., pp. 456-459.
1793 C. Iust., X, 48, 7: Negotiantes vestiarios, linteones, purpurarios et parthicarios, qui devo-
tione nostrae deserviunt, visum est secundum veterem consuetudinem ab omni munere immunes
esse.
1794 Rey-Coquais, Inscriptions de la nécropole, cit., pp. 158-160.
1795 Cf. infra, pp. 559-560.
Parte II. I documenti 505

di porpora per poche mine, secondo la testimonianza di Dione Crisostomo1796?


E quale controllo avrebbe potuto esercitare l’amministrazione imperiale su
quell’artigiano che lasciò in eredità al figlio tabernam purpurariam cum servis
institoribus et purpuris, secondo un caso proposto dal giurista di età severiana
Papiniano1797? Non è questa ovviamente la sede nella quale soffermarsi su questi
complessi interrogativi, l’impressione è comunque che il controllo pubblico sul
settore della porpora potesse convivere con l’iniziativa privata, soprattutto in
età altoimperiale, e che i ripetuti provvedimenti volti a limitare l’uso delle vesti
purpuree e forse la vendita stessa della sostanza colorante (emanati del resto a
partire da Cesare, dunque da un periodo anteriore a quello in cui sembrano
concentrarsi le testimonianze epigrafiche di purpurarii) non ebbero l’effetto di
cancellare completamente il mercato privato1798.
Per quanto concerne la condizione giuridica dei purpurarii in Italia, pre-
valgono di gran lunga i liberti, sia nell’epigrafia di Roma come nelle testimo-
nianze dal resto della penisola (nn. 1; 3, in riferimento forse a quattro perso-
naggi; 4; 5; 8; 12; 13; 15; 16; 17; 19; 21; 22, in riferimento a due perso-
naggi)1799; parimenti di nascita servile sarà stato almeno qualcuno dei numerosi
personaggi di incerto statuto (nn. 2; 6; 7; 9; 10; 11; 14; 18; 24), come forse lo
stesso C. Marcilio Eros. Nella documentazione extraurbana abbiamo tuttavia
almeno un paio di casi di purpurarii di nascita ingenua, M. Satellius Q. [f.] / Stel.
Marcellus da Mevaniola (n°20) e Q. Varisidius Q. f. Pol. Naso da Pollentia
(n°22).
La produzione e il commercio della porpora e delle stoffe purpuree, beni
di lusso e certamente molto costosi, almeno nei casi in cui veniva utilizzato il
colorante di prima qualità1800, potevano assicurare una notevole agiatezza eco-
nomica1801: a Roma i purpurarii possedevano botteghe in zone ben note per la
vendita di merci di lusso, come il vicus Tuscus (n°13), o comunque in aree cen-
trali, ben situate dal punto di vista commerciale, come il vicus Iugarius
(n°1)1802; alcuni di loro potevano contare sull’aiuto di liberti nella loro attività:

1796 Dio Chrys., LXVI, 4, in un passo in cui deplora l’eccessivo attaccamento agli onori:
Tosauvth d∆ ejsti;n hJ tou' tuvfou duvnami" w{ste para; me;n tw'n bafevwn ajgoravsei" duoi'n mnw'n h]
triw'n kalh;n porfuvran: dhmosiva/ d∆ eij ejqevloi" pollw'n pavnu talavntwn w[nio".
1797 Trasmessoci da Dig., XXXII, 91, 1.
1798 Cf. Suet., Iul., 43, 2: lecticarum usum, item conchyliatae vestis et margaritarum nisi certis
personis et aetatibus perque certos dies ademit; Dio, XLIX, 16, 1, in riferimento a provvedi-
menti presi da Ottaviano nel 36 a.C.: thvn te ejqsh'ta th;n aJlourgh' mhdevna a[llon e[xw tw'n
bouleutw'n tw'n ejn tai'" ajrcai'" o[ntwn ejnduvesqai ejkevleusen: h[dh gavr tine" kai; tw'n tucovntwn
aujth'/ ejcrw'nto. Per le risoluzioni adottate da Nerone vd. supra, p. 499, nota 1770.
1799 Come nota anche Gregori, Purpurarii, cit., p. 740.
1800 Sul prezzo della porpora si veda in particolare l’analisi di S. Mrozek, Le prix de la pourpre
dans l’histoire romaine, «Les “dévaluations” à Rome. Époque républicaine et impériale. 2
(Gdansk, 19-21 octobre 1978)», Rome 1980, pp. 235-243.
1801 Sul tema, in particolare nella documentazione in lingua greca, vd. Pleket, Urban Elites and
Business, cit., pp. 141-142; cf. Id., Urban Elites and the Economy, cit., p. 20; Id., Greek Epi-
graphy, cit., pp. 33-34.
1802 Incerta è invece la localizzazione dei monumenta Mariana presso i quali dovevano avere la
loro bottega i D. Veturii dell’iscrizione n°3; per lo stato della questione vd. Gregori, Purpurarii,
506 Parte II. I documenti

così certamente D. Veturio Diogene, nella cui iscrizione sepolcrale sono ricor-
dati anche i suoi liberti D. Veturio Nicepor e Veturia Fedra, nonché il liberto di
quest’ultima D. Veturio Filargiro (n°13), e forse anche i personaggi ricordati alle
iscrizioni nn. 9, 14, 16; altri si fecero rappresentare insieme agli oggetti carat-
teristici del loro mestiere in monumenti funebri di una qualche pretesa (nn. 20;
21)1803; altri ancora, infine, mostrano di avere i mezzi per acquistare un’area
sepolcrale di una certa estensione (nn. 21; 22).
Dalla prosperità economica poteva discendere anche un certo prestigio
sociale: il caso del porfuropwvlh" M. Aurelio Alessandro Moschiano, che fu
anche buleuta a Hierapolis di Frigia è forse eccezionale1804; nella documenta-
zione dell’Italia abbiamo tuttavia alcune testimonianze di purpurarii che conse-
guirono qualche carica, pur piuttosto modesta, come quella di magister (nn. 4;
15) oppure raggiunsero l’Augustalità e le funzioni affini (nn. 18; 20)1805.
In conclusione si può ricordare come nel Piceno l’industria della porpora
sia altrimenti attestata, anche se per Ancona, da un passo di Silio Italico1806;
nella stessa Truentum un labile indizio di un’attività di sfruttamento di questa
preziosa materia potrebbe essere dato dall’occorrenza del raro cognome
Trachalus, che forse traeva origine da una parte del mollusco dal quale si estra-
eva la tintura1807.
Abbiamo visto come in alcuni casi i purpurarii dell’Italia romana giunsero
a rivestire qualche carica. È questo anche il caso di C. Marcilio Eros: l’iscrizione
di Truentum ci restituisce in effetti un’interessante attestazione del quinquevi-
rato, istituzione nota in alcune città della penisola e che nel Piceno sembra al
momento concentrarsi nella parte meridionale della regione. I documenti rile-
vanti per la regio V sono i seguenti:
1. CIL IX, 5070 = ILS 6563a = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit.,
p. 772, n°19 da Interamnia: ------ / [---] T(iti) l(ibertus) Eleuthe[r- ---] / [---]
T(iti) l(ibertus) Pamphilus RVC[---] / [---?] V vir(i ?) / Licinia T(iti) l(iberta)
Eleutheris.
2. CIL IX, 5072 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 772, n°21
da Interamnia: T(itus) Licinius T(iti) l(ibertus) Dem(---), / V vir.
3. CIL IX, 5083 = Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 774, n°32
da Interamnia: ------ / [---?]lenus C(ai) l(ibertus) E[---] / [? ---] quinq(ue) vir [-
--] / ------.

cit., p. 741, nota 10; D. Palombi, Honos et Virtus, aedes Mariana, «Lexicon Topgraphicum Urbis
Romae», III, a cura di E. M. Steinby, Roma 1996, pp. 33-35; C. Reusser, Tropaea Marii, ibid., V,
Roma 1999, p. 91.
1803 Sui rilievi dei monumenti sepolcrali di Parma e di Mevaniola vd. in particolare Zimmer, Be-
rufsdarstellungen, cit., pp. 130-132, nn. 46-46a.
1804 Sul personaggio vd. Pleket, Urban Elites and Business, cit., pp. 141-142; cf. Id., Urban Eli-
tes and the Economy, cit., p. 20.
1805 Nella documentazione extraitalica vd., exempli gratia, T. Claudius Euphrates, negotiator
artis purpurariae e IIIIII vir Aug(ustalis) ad Augusta Vindelicorum (CIL III, 5824 = ILS 7598).
1806 Vd. supra, p. 72, nota 301. Cf. anche Conta, Il territorio di Asculum, cit., pp. 50-51, che a
questo proposito richiama brevemente anche l’iscrizione di Truentum in oggetto.
1807 Vd. supra, p. 489, nel commento all’iscrizione Truentum 1.
Parte II. I documenti 507

4. Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 786, n°105 da Interamnia:


A(ulus) Populonius / A(uli) l(ibertus), quinq(ue) vir.
5. EphEp VIII, 830 da Ricina: ------ / [---?] ++C / P(ubli) Egnati L(uci) [f(ili) --
-] / sui, quinq(ueviri) Au(gustalis), L(uci) Tusidi L(uci) f(ili) Vel(ina tribu)
Ca[mpestris ? ---], / Aug(ustalis), patron(i) mun[icipi ---?] / F++ [---]1808.
La forte presenza di liberti nel quinquevirato, evidente anche dal solo
esame della documentazione picena1809, lascia pensare che la funzione non fa-
cesse parte del cursus honorum municipale, riservato all’élite cittadina; nella
carica si dovrà probabilmente riconoscere piuttosto un sacerdozio legato al culto
imperiale, affine al sevirato o all’Augustalità1810, ben conosciuti per altre
località della regio V e non di rado rivestititi da personaggi di cui è nota
l’occupazione.
Immagine: Tav. LXV. Fortini, Schede miscellanee, cit., p. 158, fig. 5; S.
Benedetto del Tronto. Alla riscoperta storica del territorio, S. Benedetto del
Tronto 1988, p. 41; Loggi, Monteprandone, cit., p. 33; Cancrini, Municipio
truentino, cit., p. 156, fig. 4; De Marinis - Paci, Atlante, cit., p. 195, fig. 347.

1808 Studiata da Abramenko, Ein neues Collegium, cit., pp. 172-174 (= AE 1991, 620).
1809 Sono certamente ex-schiavi affrancati i V viri dei documenti 2-4; nell’iscrizione n°1 non
sappiamo con certezza quale dei personaggi rivestì la carica, comunque il documento è certa-
mente espressione dell’ambiente libertino. Del resto liberto era forse anche il purpurarius C.
Marcilius Eros dell’iscrizione di Truentum che si sta esaminando.
1810 Così soprattutto Abramenko, Ein neues Collegium, cit., pp. 173-174; Id., Mittelschicht, cit.,
p. 91; cf. anche, specificatamente su C. Marcilius Eros, E. Campanile - C. Letta, Studi sulle magi-
strature indigene e municipali in area italica, Pisa 1979, pp. 62-63; Cancrini, Municipio truen-
tino, cit., p. 158. Delplace, Romanisation, cit., p. 78 parla genericamente dei V viri come di inca-
ricati di funzioni di carattere amministrativo o finanziario. Vicari, Produzione, cit., p. 80 ritiene
invece che Eros fosse un magistrato municipale. Non mi pare trovare alcun sostegno l’ipotesi
enunciata da Fortini, Schede miscellanee, cit., p. 159 che C. Marcilio Eros fosse quinquennalis i n
un’associazione di purpurarii di Truentum.
508 Parte II. I documenti

Urbs Salvia

Urbs Salvia 1
Edizione di riferimento: G. Paci in N. Frapiccini, I materiali da ’Villa Ma-
gna’ - Urbisaglia (MC), «Antiqua frustula. Urbs Salvia. Materiali sporadici
dalla città e dal territorio. Abbazia di Fiastra, 4 ottobre - 31 dicembre 2002»,
Pollenza 2002, p. 114, n°6.
Bibliografia: P. Quiri, Lo scavo della villa romana in loc. Villa Magna, Urbi-
saglia (MC), «Antiqua Frustula», cit., p. 111.
Luogo di ritrovamento: il documento è stato rinvenuto in occasione delle in-
dagini della Soprintendenza Archeologica per le Marche nella località Villa Ma-
gna, poco a nord-est del centro urbano dell’antica Urbs Salvia1811. Il sito, che
ha sempre restituito notevolissime quantità di laterizi e di ceramica a seguito
delle attività di aratura, ha rivelato grazie alle recenti ricerche una grande villa
dotata sia di una pars urbana che di una pars rustica1812.
Luogo di conservazione: il testo è stato visto dallo scrivente nell’ottobre
2002, presso l’Abbazia di Fiastra, nell’allestimento della mostra Antiqua Fru-
stula.
Tipo di supporto: frammento di tegola, spezzata su tutti i lati, il che ha com-
portato una presumibile perdita di testo sia in alto che a destra. Nella parte su-
periore, al centro, un’ampia scheggiatura ha provocato la scomparsa di alcune
lettere alle prime tre linee del testo superstite1813.
Mestiere: architectus.
Datazione: in base alle caratteristiche paleografiche l’editore propone una da-
tazione al I-II sec. d.C.1814
Testo: ------? / +[---] / [- c. 4 -]+[---] / fe[ - c. 3 -]sti[---] / arcitecti [---]
/tratori[---] /ne.
Commento:
Il documento ci conserva un testo graffito prima della cottura della te-
gola. La natura e gli scopi dello scritto restano dubbi, a motivo della sua forte
lacunosità. L’unico termine identificabile con sicurezza allude ad un architectus,
figura che abbiamo già incontrato nel Piceno, sebbene in via ipotetica,
nell’iscrizione Truentum 11815.

1811 Cf. Paci in Frapiccini, Materiali, cit., p. 114.


1812 Un primo rapido resoconto sulle indagini condotte dalla Soprintendenza marchigiana sul
sito in Quiri, Scavo, cit., pp. 111-112.
1813 Cf. Paci in Frapiccini, Materiali, cit., p. 114.
1814 Paci, ibid.
1815 Alla quale si rimanda per un breve profilo della figura professionale degli architecti nel
mondo romano e per la bibliografia rilevante.
Parte II. I documenti 509

Proprio il ricordo di questo mestiere può forse dare qualche suggerimento


sulla natura del testo: in effetti, anche se tegole o mattoni potevano anche es-
sere utilizzati come supporti scrittori occasionali1816 ed accogliere, per esempio,
citazioni poetiche1817, acclamazioni1818, dediche votive1819 o addirittura epi-
tafi1820, è suggestivo pensare che la menzione di un architectus su un materiale
da costruzione come una tegola non sia solo incidentale, tanto più che questi
professionisti, come abbiamo visto, potevano assolvere anche i compiti che
oggi diremmo propri di un impresario edile o di un capomastro.
Se un architetto, in quanto tale, difficilmente può identificarsi come pro-
prietario della fornace, si potrebbe pensare che la nostra tegola graffita contras-
segnasse una partita di materiali edilizi destinati ad essere impiegati nella costru-
zione della grande villa urbisalviense o nel rifacimento di parte di essa, lavori
condotti sotto la supervisione di un architectus il cui nome è andato perduto
nelle prime linee dell’iscrizione. Se interpretato in questo senso, il documento
potrebbe forse trovare almeno un parallelo in un graffito inciso su laterizio
(mattone o, meno probabilmente, tegola) da Dyrrachium in cui possiamo leg-
gere L(ucius) Tutili/u(s) Rufus, / arc(hitectus)1821.
Resta inteso che si tratta di una semplice ipotesi di discussione, che non
pare accordarsi senza difficoltà con quanto rimane del testo: in particolare viene
da chiedersi cosa significhino le lettere TRATORI alla l. 5 del testo conservato:

1816 Sull’estrema varietà di testi che possono apparire incisi prima o dopo la cottura su mattoni
(e sulle difficoltà euristiche che nascono dalla mancanza di un corpus speciale dedicato a questa
tipologia di supporti) vd. A. Donati, Una problematica menzione degli Di Militares, «Epigra-
phica», 36 (1974), p. 350, con breve rassegna di alcuni documenti esemplificativi; utile anche la
sezione dedicata a graffiti su tegole e mattoni in S.S. Frere - R.S.O. Tomlin, The Roman Inscrip-
tions of Britain, II, Instrumentum domesticum, 5, Tile-stamps of the Classis Britannica; Impe-
rial, Procuratorial and Civic Tile-stamps; Stamps of Private Tilers; Inscriptions of Relief-pat-
terned Tiles and Graffiti on Tiles, Avon 1993, pp. 92-159. Nelle note seguenti si propongono
alcuni aggiornamenti, senza alcuna pretesa di completezza.
1817 Cf. per esempio G. Cresci Marrone, Un verso di Ovidio da una fornace romana nell’agro d i
Forum Vibi Caburrum, «Epigraphica», 58 (1996), pp. 75-82 (= AE 1996, 783); AE 1993, 1229,
da Untereschenz, nella provincia di Rezia, tegola che riporta una citazione virgiliana; RIB
2491.148 da Calleva, con breve citazione dal II libro dell’Eneide..
1818 Cf. per esempio D. Gáspár, Brick Inscriptions, CIL III, 11467, «XI Congresso Internazionale
di Epigrafia Greca e Latina. Roma, 18-24 settembre 1997. Atti», I, Roma 1999, pp. 579-582 (=
AE 1999, 1252) o la celeberrima acclamazione celebrante figulos bonos in un mattone da
Caesena (edita da ultimo in Suppl. It., n.s., 8, p. 107, n°9, con bibliografia anteriore), o ancora
RIB 2491.114 da Eboracum, con invocazione ad un ignoto collegio.
1819 Cf. le tegole votive dal santuario di Châteauneuf, nel territorio di Vienna, edite da C.
Mermet, Le sanctuaire gallo-romain de Châteauneuf (Savoie), «Gallia», 50 (1993), pp. 95-138,
partic. pp. 127-133 (= AE 1993, 1143-1157).
1820 Notevole per esempio la tegola funeraria, proveniente da località ignota del Trentino, da ul-
timo pubblicata in Suppl. It., n.s. 11, pp. 211-212, n°19; cf. anche l’epitafio cristiano su tegola
dal territorio di Vada Sabatia (ICI IX, 34); l’iscrizione sepolcrale di una Aurelia Custa conser-
vato nel municipio di Cagliari (Sotgiu, Epigrafia latina, cit., p. 628, n°E 40 = AE 1988, 638).
1821 AE 1994, 1566 = AE 1998, 1223.
510 Parte II. I documenti

un elemento onomastico1822 o piuttosto una funzione come quella di


administrator, ministrator o strator? Quest’ultimo sostantivo, si noti, viene dal
verbo sterno, che può essere utilizzato per esprimere l’azione della messa in
opera di tegole1823, sebbene il suo uso sia del tutto episodico rispetto al normale
tego. Vi sono dunque elementi sufficienti per supporre, pur con tutte le cautele
necessarie, che nel documento in esame, accanto ad un architetto, venisse ri-
cordato anche un operaio incaricato della posa in opera di una data partita di
tegole? Non ritengo che i dati in nostro possesso autorizzino a supporre un si-
gnificato di strator (se effettivamente uno strator era nominato nel testo) che a
mia conoscenza non è altrimenti attestato, ma credo che la molteplicità delle
prospettive che si aprono sia un segno del fatto che il graffito di Urbisaglia pre-
senta una ricchezza ed una complessità assai maggiore di quella in genere offerta
dai testi appartenenti alla medesima classe documentale.
Immagine: Tav. LXVI. Frapiccini, Materiali, cit., p. 115, fig. 3.

1822 Cf. il gentilizio Tratorius (Solin - Salomies, Repertorium, cit. p. 190) e il cognomen Strator
(ibid., p. 408).
1823 Cf. per esempio Vitruv., V. 10, 2: suspensurae caldariorum sunt faciendae, ut primum se-
squipedalibus tegulis solum sternatur inclinatum ad hypocausim e, in contesto non certo tec-
nico, Ovid., Fast., VI, 315-316: subpositum cineri panem focus ipse parabat, / strataque erat
tepido tegula quassa solo.
Parte II. I documenti 511

Urbs Salvia 2

Edizione di riferimento: Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 112-


114, n°78a.
Altre edizioni: G. Piergiacomi, Le ultime lapidi romane scoperte ad Urbisa-
glia, Macerata 1960, p. 27, n°1; Id., Pneuentiva, cit. p. 89, n°I; W. Eck, Die
Eroberung von Masada und eine neue Inschrift des L. Flavius Silva Nonius
Bassus, «ZATW», 60 (1969), pp. 282-289; W. Eck, Senatoren von Vespasian
bis Hadrian. Prosopographische Untersuchungen mit Einschluß der Jahres-
und Provinzialfasten der Statthalter, München 1970, pp. 93-111 (= AE 1969-
1970, 183); M. Buonocore, La datazione dell’anfiteatro di Larinum, «RAL»,
ser. VIII, 44 (1989), pp. 69-71 (ora in L’Abruzzo e il Molise, cit., I, pp. 421-
423); Fora, Munera gladiatoria, cit., p. 158, n°184; Marengo in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 112-115.
Bibliografia: W.C. McDermott, Flavius Silva and Salvius Liberalis, «CW»,
66 (1973), pp. 335-351, partic. pp. 336-338; W. Eck, Flavius 181, «P.W.», S.
XIV (1974), coll. 121-122; C.P. Jones, «AJPh», 95 (1974), pp. 89-90; G.W.
Houston, Vespasian’s Adlection of Men in senatum, «AJPh», 98 (1977), p. 42,
n°7; p. 45, nota 41; p. 53, n°8; p. 55, nota 104; p. 62; Gasperini - Paci, Ascesa
al senato, cit., pp. 232; 243-244; W. Eck, Jahres- und Provinzialfasten der se-
natorischen Statthalter von 69/70 bis 138/139, «Chiron», 12 (1982), p. 293; p.
294, nota 48; Delplace, Romanisation, cit., pp. 47; 72; Eck, Urbs Salvia und
seine führenden Familien, cit., pp. 87-99 (cf. trad. it. Urbs Salvia e le sue più
illustri famiglie, cit., pp. 57-70); M.F. Fenati, Lucio Flavio Silva Nonio Basso e
la città di Urbisaglia, Macerata 1995, passim e partic. pp. 169-170;
Andermahr, Totus in praediis, cit., p. 268, n°210; Delplace in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 14; 28.
Luogo di ritrovamento: il testo venne rinvenuto il 30 luglio 1957 presso le
mura esterne dell’anfiteatro di Urbs Salvia1824.
Luogo di conservazione: Urbisaglia, Museo Archeologico Statale (autopsia
maggio 2001).
Tipo di supporto: lastra ricomposta da numerosi frammenti con specchio epi-
grafico ribassato, delimitato da una cornice modanata; il lato sinistro, con una
considerevole porzione di testo, è andato perduto. La lacuna nella parte infe-
riore destra, con perdita di parte dell’ultima linea di testo e della porzione infe-
riore di alcune lettere della linea precedente1825, si integra grazie ad un frustulo,

1824 Le circostanze di ritrovamento del testo in oggetto e della seconda copia sono brevemente
ricordate da G. Annibaldi, Urbs Salvia, Urbisaglia (Picenum, Macerata), «FA», 12 (1957), p.
341, n°5413, ripreso in AE 1961, 140; cf. anche Fenati, Lucio Flavio Silva, cit., p. 169, nota 1.
1825 Vd. l’immagine pubblicata da Paci, Indagini recenti, cit., p. 243, fig. 12. Il danno deve es-
sersi prodotto solo in seguito alla scoperta del documento, dal momento che il primo editore
lesse il testo in questo punto senza alcuna difficoltà.
512 Parte II. I documenti

spezzato in quattro parti, che venne rinvenuto da C. Delplace nei depositi degli
scavi archeologici di Urbisaglia1826.
Mestiere: gladiatores.
Datazione: il termine post quem per la datazione dell’epigrafe è da fissare
nell’81 d.C., quando Flavio Silva fu console ordinario, e più precisamente dopo
il 13 settembre di quell’anno, data della morte di Tito, che appare nel testo
come divus1827.
Testo: [L(ucius) Flavius - f(ilius) Vel(ina tribu) Silv]a Nonius Bassus,
co(n)s(ul), / [pont(ifex), legat(us) Aug(usti) pro pr(aetore) provinciae Iud]aeae,
adlectus inter patricios / [ab divo Vespasiano et divo Tito censoribus, ab] i≥s dem
adlect(us) inter pr(aetorios), legat(us) leg(ionis) XXI Rapac(is), / [trib(unus)
pleb(is), quaest(or), trib(unus) mil(itum) leg(ionis) IIII Scithicae, III]vir
kapitalis, pr(aetor) quinq(uennalis) II, patron(us) colon(iae), suo et / [Ann ?-
c.20 - tt]ae matris suae, item / [- c.10 - millae] uxoris nomine, pec(unia) sua,
solo suo, / [amphiteatrum faciundum curavit et] parib(us) XXXX ordinar(iis)
dedicavit.
l. 2: T longa in adlectus.
l. 3: T longa in adlect(us) e in inter. leg(atus) AE, Buonocore, Fora. Il nume-
rale è sopralineato.
l. 4: Scythicae Marengo. vir{i} Eck, Senatoren, Buonocore, Fora; viri (sic) AE.
l. 5: [Anniae] Marengo. Il numerale è sopralineato.
l. 7: [faciendum] Eck, Senatoren, AE.
Segni di interpunzione a forma di coda di rondine o di triangolo, con il vertice
rivolto a destra, utilizzati regolarmente per dividere le parole, tranne che in fine
di riga e a l. 3 tra adlect(us), inter e pr(aetorios) (ma tra queste parole corrono
linee di frattura che potrebbero aver portato alla scomparsa dei segni di inter-
punzione) e tra legat(us) e leg(ionis), a l. 5 tra matris e suae (ove peraltro una
linea di frattura corre nel punto in cui ci attenderemo di trovare il segno).
Commento
Il celebre testo, di cui sono state ritrovate due copie (vd. scheda seguente),
ricorda la costruzione di un anfiteatro a Urbs Salvia, da parte di L. Flavio Silva
Nonio Basso, console ordinario dell’81 d.C.
Non è certo questa la sede opportuna per un riesame complessivo del te-
sto o della carriera dell’illustre personaggio, oggetto di numerosi contributi, in

1826 C. Delplace, La colonie augustéenne d’Urbs Salvia et son urbanisation au Ier siècle ap. J.-
C., «MEFRA», 95 (1983), pp. 778-780, nota 61 e fotografia a p. 779, fig. 9 (cf. anche la trad. it.
del contributo La colonia augustea di Urbs Salvia e la sua urbanizzazione nel I sec. d.C.,
«Studi su Urbisaglia romana», Villa Adriana - Tivoli 1995 (Picus Supplementi V), pp. 40-44 e
fotografia a p. 43, fig. 8). Su questo frammento vd. inoltre Eck, Urbs Salvia und seine führenden
Familien, cit., p. 98, nota 65 (cf. trad. it. Urbs Salvia e le sue più illustri famiglie, cit., p. 69, nota
65); Fenati, Lucio Flavio Silva, cit., p. 170, che si interrogavano sulla sua pertinenza ad una delle
copie già note dell’iscrizione di L. Flavio Silva o ad una nuova copia. Come gentilmente mi ha
confermato G. Paci, il frustulo si congiunge perfettamente con il testo principale ed è stato ora
integrato nell’epigrafe di L. Flavio Silva nell’allestimento del Museo Archeologico Statale d i
Urbisaglia.
1827 Kienast, Römische Kaisertabelle, cit., p. 111.
Parte II. I documenti 513

particolare dopo la scoperta della documentazione urbisalviense1828; mi limiterò


dunque a riprendere solamente gli aspetti direttamente concernenti la nostra in-
dagine.
L. Flavio Silva, originario della stessa Urbs Salvia, dove ricoprì la pretura
quinquennale in due occasioni e fu scelto come patrono della comunità1829, si
associò alla moglie e alla madre (i cui nomi sono purtroppo andati parzialmente
perduti) nell’edificare nella propria città natale un anfiteatro, a proprie spese e
su di un terreno di sua proprietà1830. La struttura venne inaugurata con un com-
battimento al quale parteciparono ben 40 coppie di gladiatori, un numero di as-
soluto rilievo per i munera organizzati nei municipi dell’Italia1831.
I gladiatori vengono definiti ordinarii, una specificazione non immedia-
tamente perspicua e piuttosto rara nella documentazione epigrafica1832.
L’esame di qualche passo letterario rilevante punta nella direzione già suggerita

1828 Sulla carriera di L. Flavio Silva Nonio Basso si veda principalmente M. Goldfinger, Flavius
181, «P.W.», VI, 2 (1909), col. 2617; PIR2 F 368; Eck, Senatoren, cit., pp. 98-111; McDermott,
Flavius Silva, cit., pp. 336-338; W. Eck, Flavius 181, «P.W.», S. XIV (1974), coll. 121-122; C.P.
Jones, «AJPh», 95 (1974), pp. 89-90; Houston, Vespasian’s Adlection, cit., p. 42, n°7; p. 45, nota
41; p. 53, n°8; p. 55, nota 104; p. 62; J. Nichols, Vespasian and the partes Flavianae,
Wiesbaden 1978 (Historia Einzelschriften 28), p. 171; Eck, Jahres- und Provinzialfasten, cit., p.
293; p. 294, nota 48; Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., pp. 232; 243-244; H. Cotton, The
Date of the Fall of Masada: the Evidence of the Masada Papyri, «ZPE», 78 (1989), pp. 157-162,
riguardo la datazione della più celebre impresa di L. Flavio Silva; Eck, Urbs Salvia und seine
führenden Familien, cit., pp. 87-99 (cf. trad. it. Urbs Salvia e le sue più illustri famiglie, cit., pp.
57-70); Delplace, Romanisation, cit., pp. 47; 72 e soprattutto la monografia di Fenati, Lucio
Flavio Silva, cit. L’azione di Flavio Silva a Urbs Salvia è brevemente ricordata anche da C.
Delplace, Les élites municipales et leur rôle dans le developpement politique et économique de
la région V Auguste, «Les élites municipales de l’Italie peninsulaire des Gracques à Néron. Ac-
tes de la table ronde de Clermont-Ferrand (28-30 novembre 1991)», a cura di M. Cébeillac-
Gervasoni, Naples - Rome 1996, p. 75.
1829 Per altri patroni che allestirono editiones di munera vd. Fora, Munera gladiatoria, cit., pp.
31-32.
1830 Sull’anfiteatro di Urbs Salvia si veda R.U. Inglieri, Urbisaglia - Indagini nell’anfiteatro,
«NSc», 63 (1938), pp. 127-129; Piergiacomi, Pneuentiva, cit. pp. 59-61; Golvin, Amphithéatre, p.
194, n°165; Delplace, Romanisation, cit., pp. 295-297; 325-326; Fenati, Lucio Flavio Silva, cit.,
pp. 138-140.
1831 Cf. Eck, Urbs Salvia und seine führenden Familien, cit., pp. 98-99 (trad. it. Urbs Salvia e le
sue più illustri famiglie, cit., p. 70). Nel catalogo proposto da Fora, Munera gladiatoria, cit., pp.
47-48 il numero di coppie maggiormente attestato è di 20; 40 coppie si ritrovano solamente i n
tre altri casi, tutti relativi a Pompei: CIL X, 1074d = ILS 5053, 4 = Sabbatini Tumolesi, Gladia-
torum paria, cit., pp. 18-23, n°1, della fine dell’età augustea, su finanziamento di A. Clodius A. f.
Men. Flaccus, II vir iure dicundo ter e quinquennalis (in questo caso le 40 coppie appaiono
suddivise in due gruppi, per motivi non chiariti, rispettivamente di 35 e 5 coppie); CIL IV, 9986
= Sabbatini Tumolesi, Gladiatorum paria, cit., pp. 61-62, datata a qualche anno prima del 7 9
d.C., essendo editor un non meglio noto [-] Acutius Antullus; Fora, Munera gladiatoria, cit., p.
135, n°109, datata a qualche anno prima del 79 d.C. Per il Piceno si confronti l’iscrizione Auxi-
mum 8, in cui i gladiatorum paria sono appena 6. Per altri casi di munera organizzati in occa-
sione dell’inaugurazione di un anfiteatro vd. Fora, Munera gladiatoria, cit., pp. 58-59.
1832 Quella di Urbs Salvia sembra l’unica attestazione del termine nei documenti raccolti nella
serie Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente romano.
514 Parte II. I documenti

da M. Buonocore, che proponeva di identificare i paria ordinaria dell’iscrizione


di L. Flavio con gladiatori professionisti1833.
L’espressione ritorna nella celebre lettera di Seneca a Lucilio sugli orrori
dell’anfiteatro, nella quale il filosofo racconta di come, capitato per caso ai gio-
chi verso l’ora di pranzo, si trovò davanti al raccapricciante spettacolo di com-
battenti privi di qualsiasi protezione che si massacravano a vicenda; interessa qui
in particolare il commento di Seneca: hoc plerique ordinariis paribus et po-
stulaticii praeferunt; i paria ordinaria dunque dovevano distinguersi dalla carne
da macello del meridianum spectaculum soprattutto per il fatto di essere rego-
larmente equipaggiati e dunque ben protetti dai colpi degli avversari1834.
Illuminante è anche un passaggio della Vita svetoniana di Caligola: tal-
volta l’imperatore, fatto allontanare l’ordinarius apparatus, ove con appara-
tus si intende l’insieme dei gladiatori che si battevano nell’anfiteatro, faceva in-
trodurre animali macilenti, gladiatori vilissimi e oppressi dall’età e addirittura
semplici padri di famiglia con qualche infermità fisica1835.
Infine si può ricordare un passo della biografia di Augusto redatta dallo
stesso Svetonio, anche se qui l’aggettivo ordinarius non si riferisce ai gladiatori
ma ai pugiles: l’imperatore, scrive Svetonio, amava molto i pugiles Latini, non
solo quelli legitimi atque ordinarii, ma anche i semplici popolani che si affron-
tavano a gruppi per la strada, in risse nelle quali non vi era alcuna traccia di
stile1836.
Dall’esame di questi passi emerge dunque come i gladiatori ordinarii do-
vessero essere i combattenti più vigorosi, meglio allenati ed equipaggiati di tutto
punto; la notazione nell’epigrafe di Urbs Salvia assicurava dunque che i giochi
finanziati da L. Flavio Silva erano stati di altissimo livello, anche se spesso le
preferenze del grande pubblico, allora come oggi, andavano agli spettacoli più
crudi, come si è visto dai brani dell’epistola di Seneca. In definitiva l’intento era
quello di sottolineare ancora di più lo sforzo economico sostenuto da Silva per
ingaggiare questi ottimi atleti, sforzo che del resto era già evidente dal numero
stesso dei combattenti.
Il caso di organizzatori di giochi che, per risparmiare sulle spese, si affida-
vano a gladiatori improvvisati non doveva in effetti essere raro, anche se questo

1833 Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 113, seguito da Fora, Munera gladiatoria, cit., p.
48. La documentazione rilevante è raccolta da U. Keudel, Ordinarius, «TLL», IX, 2, col. 933, ll.
21-30.
1834 Sen., Ep. ad Lucil., I, 7, 3-4; in genere su questa epistola senecana vd. da ultimo M.
Wistrand, Violence and Entertainment in Seneca the Younger, «Eranos», 88 (1990), pp. 31-46.
1835 Suet., Cal., 26, 8: Gladiatorio munere reductis interdum flagrantissimo sole velis emitti
quemquam vetabat, remotoque ordinario apparatu tabidas feras, vilissimos senioque confec-
tos gladiatores, proque paegniaris patres familiarum notos [in bonam partem] sed insignis
debilitate aliqua corporis subiciebat.
1836 Suet., Aug., 45, 5: Spectavit autem studiosissime pugiles et maxime Latinos, non legitimos
atque ordinarios modo, quos etiam committere cum Graecis solebat, sed et catervarios oppida-
nos inter angustias vicorum pugnantis temere ac sine arte.
Parte II. I documenti 515

comportamento era apertamente riprovato1837. Ci si può domandare se esistesse


un qualche motivo particolare per il quale nell’iscrizione di Urbs Salvia si sentì
l’esigenza di dissipare ogni dubbio sulla munificenza di L. Flavio Silva con
l’esplicito ricordo di paria ordinaria che, come si è detto, è inconsueto
nell’epigrafia dei giochi anfiteatrali. Un passo di Flavio Giuseppe credo consenta
di avanzare una congettura: pochi anni prima dell’inaugurazione dell’anfiteatro
di Urbs Salvia e precisamente nel 70 d.C., dopo la presa di Gerusalemme, Tito
aveva inviato in dono in diverse province molti prigionieri della guerra giudaica
perché morissero nei ludi; il futuro imperatore in persona offrì a Cesarea di
Filippo questo genere di spettacoli, nel corso dei quali molti di coloro che erano
stati catturati durante le operazioni militari degli anni precedenti trovarono la
morte, in parte uccisi da belve feroci, in parte trafitti dai loro stessi compagni in
combattimenti collettivi, kata; plhquvn, come probabilmente si conveniva per
chi, non avendo ricevuto un appropriato addestramento da gladiatore, non era
un’abile schermidore1838. Non è improbabile che, come Tito, anche L. Flavio
Silva avesse fatto molti prigionieri di guerra in Palestina anche se per la verità
mancano prove positive in questo senso1839; secondo un’ipotesi recentemente
suggerita da W. Eck la costruzione stessa dell’anfiteatro di Urbs Salvia potrebbe
essere spiegata anche per la disponibilità di questa manodopera a basso co-
sto1840. Qualcuno forse avrebbe potuto pensare che nei munera offerti da Silva
avevano combattuto dei semplici prigionieri ebrei, sfiniti dalla cattività e dai
lavori forzati, privi di qualsiasi addestramento e mandati a morire in un confuso

1837 Cf. Cic., Sest., 134, che accusò il suo avversario P. Vatinio di spacciare per gladiatori dei
semplici schiavi in prigionia: cum vero ne de venalibus quidem homines electos, sed ex ergastu-
lis emptos nominibus gladiatoriis ornarit, et sortito alios Samnitis, alios provocatores fecerit
…; vd. anche la divertente descrizione che il centonarius Echione, uno dei commensali d i
Trimalchione, fa dei deludenti giochi offerti da un magistrato cittadino in Petr., 45, 11-13: Et re-
vera quid ille nobis boni fecit? Dedit gladiatores sestertiarios iam decrepitos, quos si sufflas-
ses, cecidissent; iam meliores bestiarios vidi. Occidit de lucerna equites; putares eos gallos
gallinaceos; alter burdubasta, alter loripes, tertiarius mortuus pro mortuo, qui haberet nervia
praecisa. Unus alicuius flaturae fuit Thraex, qui et ipse ad dictata pugnavit. Ad summam,
omnes postea secti sunt; adeo de magna turba “Adhibete” acceperant; plane fugae merae.
“Munus tamen - inquit - tibi dedi”. Et ego tibi plodo. Computa, et tibi plus do quam accepi.
Manus manum lavat.
1838 Ios., Bell. Iud., VI, 418: pleivstou" d∆ eij" ta;" ejparciva" diedwrhvsato Tivto" fqarhsomevnou"
ejn toi'" qeavtroi" sidhvrw/ kai; qerivoi"; ibid., VII, 23-24: Tivto" d∆ ajpo; th'" ejpi; qalavtth/ Kaisareiva"
ajnazeuvsa" eij" th;n Filivppou kaloumevnhn Kaisavreian h|ke sucnovn t∆ ejn aujth'/ crovnon ejpevmeinhn
pantoiva" qewriva" ejpitelw'n: kai; polloi; tw'n aijcmalwvtwn ejntau'qa diefqavrhsan, oiJ me;n qerivoi"
parablhqevnte", oiJ de; kata; plhqu;n ajllhvloi" ajnagkazovmenoi crhvsasqai polemivoi"; su questi
due passi vd. Ville, Gladiature, cit., pp. 228-229. L’espressione kata; plhquvn richiama alla
mente in qualche modo quei popolani catervarii, che si battevano a schiere, in opposizione ai
pugiles ordinarii, di cui si è vista menzione in un passo della biografia svetoniana di Augusto,
cf. supra, p. 514, nota 1836.
1839 Cf. Fenati, Lucio Flavio Silva, cit., pp. 109-109. Certamente eventuali prigionieri non pote-
vano venire da Masada, i cui difensori, come è noto, preferirono suicidarsi piuttosto che cadere
nelle mani dei Romani.
1840 Eck, Urbs Salvia und seine führenden Familien, cit., pp. 98 (cf. trad. it. Urbs Salvia e le sue
più illustri famiglie, cit., pp. 69-70.
516 Parte II. I documenti

combattimento collettivo, come aveva fatto Tito qualche anno prima1841? In


tal caso le iscrizioni di Urbs Salvia erano destinate a rammentare a tutti che
Silva in realtà non si era affatto risparmiato per la sua patria, ma aveva
ingaggiato gladiatori di primordine.
Immagine: Tav. LXVII. Paci, Indagini recenti, cit., p. 243, fig. 12; Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 112, fig. 21.

1841 Il fatto che il dubbio si affacci tra gli studiosi moderni (cf. Fenati, Lucio Flavio Silva, cit., p.
108, nota 73, che, in riferimento alla questione se Silva avesse portato dei prigionieri dalla
Palestina, commenta: “Essa si pone quando ci si chiede da dove Silva abbia preso le 40 coppie d i
gladiatori con i quali ha inaugurato l’anfiteatro a Urbisaglia”) potrebbe dimostrare la legittimità
di un tale sospetto anche tra gli antichi.
Parte II. I documenti 517

Urbs Salvia 3

Edizione di riferimento: Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., pp. 112-


114, n°78b.
Altre edizioni: vd. scheda precedente; inoltre Piergiacomi, Ultime lapidi, cit.,
p. 27, n°2; Id., Pneuentiva, cit. p. 89, n°II; Fora, Munera gladiatoria, cit., p.
158, n°185.
Bibliografia: vd. scheda precedente.
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione venne ritrovata il 29 ottobre 1957
all’interno dell’anfiteatro di Urbs Salvia, nelle vicinanze di quello che sembra
essere il palco riservato alle autorità1842.
Luogo di conservazione: vd. scheda precedente (autopsia maggio 2001).
Tipo di supporto: vd. scheda precedente. Anche questa copia del testo, ricom-
posta da sei frammenti, è fortemente lacunosa sia nella parte sinistra come, per
le ultime due linee, nella parte destra. La frase [Urbi]salviensium plebei loca
DCL ex eis honor[ibus data], che chiameremo testo B, venne incisa sul margine
superiore della cornice.
Mestiere: gladiatores.
Datazione: qualche anno dopo l’81 d.C. (vd. scheda precedente).
Testo: [L(ucius) Flavius - f(ilius) V]el(ina tribu) Silva Nonius Bassus,
co(n)s(ul), ponflt(ifex), / [legat(us) Aug(usti) pro pr(aetore) p]r≥ovinc(iae)
Iudaeae, adlectus inter patricios / [ab divo Vespasiano et d]i≥vo Tito censoribus,
ab isdem adlect(us) inter pr(aetorios), legat(us) leg(ionis) XXI Rap(acis), /
[trib(unus) pleb(is), quaest(or), trib(unus) mi]l≥(itum) leg(ionis) IIII Scithicae,
III vir kapitalis, quinq(uennalis) II, patron(us) colon(iae), suo et / [Ann ? - c.20
- ]ttae matris suae, item / [- c.15 -]millae uxo[r]i≥s nomine, pecuni[a sua, solo
suo,] / [amphiteatrum faciundu]m≥ curavit et [pa]rib(us) [qua]drag(inta)
[ord(inariis) dedic(avit)]. // [Urbi]salviensium plebei loca DCL (vacat) ex eis
honor[ibus data] vel honor[is causa] vel honor[atis].
A, l. 2: [pr]ovinciae Eck, Senatoren, AE, Buonocore, Fora. IVDEAE
Piergiacomi, Ultime lapidi; JUDEAE Piergiacomi, Pneuentiva.
A, l. 3: [di]vo Eck, Senatoren, AE, Buonocore, Datazione; …VO Piergiacomi;
d≥i≥vo Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, Fora. I longa in isdem, che si può in-
tendere anche come doppia I in legatura: in tal caso si trascriverà îisdem; ab
iisdem adlectus Eck, Senatoren, AE; IISDEM Piergiacomi; iisdem Buonocore,
Datazione, Fora. T longae in adlect(us), inter e legat(us). Il numerale è sopra-
lineato.
A, l. 4: [mil(itum)] Eck, Senatoren, AE, Buonocore, Fora. Scithicâe Buonocore,
Epigrafia anfiteatrale; Scythicae Marengo. I numerali sono sopralineati.
A, l. 5: matris item Eck, Senatoren.
A, l. 6: uxoris Eck, Senatoren, AE, Buonocore, Datazione; VXORIS
Piergiacomi; uxo[ri]s Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, Fora.

1842 Per i riferimenti vd. supra, p. 511, nota 1824.


518 Parte II. I documenti

A, l. 7: [faciendu]m Eck, Senatoren, AE. CVRAVIT . TE..... Piergiacomi,


Pneuentiva. [parib(us)] Marengo. [qua]drag[inta ordinar. dedicavit] Eck, Se-
natoren.
B, l. 1: omessa in Eck, Senatoren, AE; Ex eis honor[ibus data Urbi]salviensium
plebei loca DCL Buonocore, Fora. Salviensium Marengo. Ex eis honor[---]
Marengo. Nel numerale la prima lettera è una sorta di D tagliata.
Segni di interpunzione a forma di coda di rondine o di triangolo, con il vertice
rivolto verso destra, utilizzati con una certa regolarità per dividere le parole,
tranne che in fine di riga, a l. 2 tra inter e patricios, a l. 3 tra d]i≥vo, Tito e cen-
soribus, tra ab e isdem, tra inter pr(aetorios), tra leg(ionis), XXI e Rap(acis), a
l. 4 tra II e patron(us), tra colon(iae), suo e et, a l. 6 tra [---]millae e uxo[r]i≥s,
tra nomine e pecuni[a].
Commento
Il testo dell’iscrizione riprende quello del documento precedente, con po-
che varianti, tra le quali da ricordare la forma semplificata nella quale viene ri-
cordata la massima magistratura di Urbs Salvia: quinquennalis qui, praetor
quinquennalis nell’iscrizione precedente.
Urbs Salvia 3 ci fornisce anche un’indicazione supplementare: in occa-
sione dell’inaugurazione dell’anfiteatro di Urbs Salvia Flavio Silva avrebbe fatto
assegnare ben 5150 loca alla plebe cittadina: si tratterebbe evidentemente non
tanto della costruzione di sedili, quanto dell’ingresso gratuito per 5150 cittadini
allo spettacolo1843. In effetti questa seconda copia dell’iscrizione doveva essere
collocata all’interno dell’anfiteatro, cosicché la disposizione presa da L. Flavio
Silva doveva essere visibile dalla prima recinzione1844.
Da valutare anche una ricostruzione alternativa della formula, che vi ve-
drebbe un’indicazione di carattere didascalico intesa a segnalare non un atto di

1843 Per la rilettura del numerale vd. Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit.,
pp. 114; 115. Per la clausola vd. McDermott, Flavius Silva, cit., p. 337; Buonocore, Epigrafia
anfiteatrale, cit., p. 113; cf. anche Delplace in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
14, nota 24, la quale, pur ricordando la possibilità che con l’espressione si intendesse ricordare
la costruzione di gradini supplementari nell’anfiteatro di Urbs Salvia, con posti riservati alla
plebe, ritiene tutto sommato maggiormente attendibile l’interpretazione che si è proposta nel
testo. Il migliore parallelo a questa clausola del testo urbisalviense è fornito da CIL II, 3364 =
ILS 5657 da Aurgi, nella Tarraconense, un documento che ci fa sapere come L. Manilio Gallo e L.
Manilio Alessandro ob honorem VI vir(atus) avessero fatto dono di 200 loca spectaculorum (a
testa, per un totale dunque di 400 posti) ai loro municipes; altre attestazioni di locus nelle
iscrizioni relative a luoghi di spettacolo in M. Raoss, Locus, «Diz. Ep.», IV (1964-1967), pp.
1478-1481 e in J. Kolendo, La répartition des places aux spectacles et la stratification sociale
dans l’Empire Roman. A propos des inscriptions sur les gradins des amphithéâtres et théâtres,
«Ktema», 6 (1981), pp. 301-315. In genere sulla divisione e l’assegnazione dei posti per gli
spettacoli vd., oltre alla bibliografia citata da Kolendo, Répartition, cit., p. 301, nota 1, Ville,
Gladiature, cit., pp. 430-439; M. A. Cavallaro, Spese e spettacoli. Aspetti economici - strutturali
degli spettacoli nella Roma giulio - claudia, Bonn 1984, pp. 207-208, nota 45; E. Rawson,
Discrimina ordinum: the lex Julia theatralis, «PBSR», 55 (1987), pp. 83-114, partic. pp. 94-98
per i posti riservati alla plebe.
1844 Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., p. 113.
Parte II. I documenti 519

munificenza, ma i posti assegnati alla plebe cittadina, tra i quali alcuni erano ri-
servati honor[is causa] o honor[atis]1845.
In conclusione è opportuno ricordare che, oltre alle due iscrizioni princi-
pali qui richiamate, un altro frustulo epigrafico da Urbs Salvia è stato messo in
rapporto con la costruzione e l’inaugurazione del locale anfiteatro da parte di L.
Flavio Silva, costituendo forse parte di una terza copia del testo che si è presen-
tato. Il frammento, già edito in CIL IX, 5536, ma accostato a Silva solo dopo la
scoperta dei testi maggiori, conserva probabilmente la parte finale del cursus
honorum inverso del personaggio, rivelando che egli aveva rivestito il tribunato
della plebe, e forse l’inizio del nome della madre di Silva1846.
Di una possibile quarta copia del testo di L. Flavio Silva si è parlato a
proposito del frammentino scoperto da C. Delplace nei depositi degli scavi ar-
cheologici di Urbisaglia; il frustulo è in realtà pertinente alla prima copia
dell’iscrizione di Silva, quella qui chiamata Urbs Salvia 21847.
La soluzione dei molti altri interrogativi ancora aperti su questi affasci-
nanti testi è affidata ad una pubblicazione pienamente soddisfacente dal punto di
vista scientifico delle iscrizioni di Silva, a lungo rimaste nei depositi del Museo
Archeologico Nazionale delle Marche in Ancona, senza che gli studiosi potes-
sero effettuarne un controllo autoptico.
Immagine: Tav. LXVIII. Fenati, Lucio Flavio Silva, cit., tavv. I-II.

1845 Secondo l’ipotesi formulata da Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit.,
p. 115.
1846 Il testo superstite è il seguente: ------ / ab div[o --- leg(atus) l(egionis) XXI] / Rap(acis),
trib(unus) pleb(is) [----] / ANN [---]; il merito di aver accostato a Silva il frustulo spetta a Eck,
Senatoren, cit., pp. 96-97; cf. anche Fabrini - Paci, Raccolta archeologica, cit., pp. 27-30, n°3 e
fig. a p. 27, con riedizione del testo; Eck, Urbs Salvia und seine führenden Familien, cit., p. 8 9
(cf. trad. it. Urbs Salvia e le sue più illustri famiglie, cit., pp. 59-60, con fig. 2); Fenati, Lucio
Flavio Silva, cit., pp. 17-18; 129-130; 170 e tav. III. Si tratta verosimilmente del medesimo
frammento brevemente ricordato negli addenda di Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., pp.
243-244.
1847 Vd. supra, p. 512, nota 1826.
520 Parte II. I documenti

Urbs Salvia 4

Edizione di riferimento: CIL IX, 5545.


Bibliografia: E. De Ruggiero, Grammaticus, «Diz. Ep.», III (1906), p. 565; J.
Christes, Sklaven und Freigelassene als Grammatiker und Philologen im anti-
ken Rom, Wiesbaden 1979, p. 153; S. Agusta-Boularot, Les references épigra-
phiques aux grammatici et grammatikoiv de l’Empire romain (Ier siècle av. J.-
C. - IVe ap. J.-C.), «MEFRA», 106 (1994), p. 678, n°18.
Luogo di ritrovamento: l’esatto luogo di ritrovamento dell’iscrizione non
viene registrato nel lemma del CIL.
Luogo di conservazione: segnalata da G. Paci nei depositi della Soprinten-
denza archeologica delle Marche ad Urbisaglia, è stata vanamente cercata ivi nel
maggio 2001.
Tipo di supporto: frammento lacunoso su tutti i lati. La prima linea del testo
conservato, ove si trova l’adprecatio ai Mani, costituiva effettivamente l’inizio
dell’iscrizione ed è possibile che il testo sia sostanzialmente integro anche a
sinistra, almeno secondo la suddivisione delle righe proposta da CIL; a destra
invece, sempre secondo questa ricostruzione, sembrano mancare 4-5 lettere.
Mestiere: grammaticus latinus.
Datazione: la comparsa dell’adprecatio ai Mani, suggerisce un termine post
quem intorno alla metà del I sec. d.C. Il fatto che l’invocazione alle divinità in-
fere appaia in forma estesa, o meglio, solo parzialmente abbreviata1848 e che il
nome del defunto sia in caso genitivo induce tuttavia a non scendere troppo nel
tempo, probabilmente non oltre la fine del I sec. d.C.1849
Testo: [D]is Ma[n(ibus)] vel Ma[nib(us)]. / L≥(uci) Lictor[i Cle]/mentis,
g≥[ram]/matici l≥[atini]. / Herede≥[s ---] / AN +[---] / CV[---].
l. 2: I longa in Lictor[i].
l. 6: an(nos) v(ixit) [---] Christes, Agusta-Boularot.
Commento
Il lacunoso documento ci conserva l’epitafio di un grammaticus latinus di
nome L. Lictorius Clemens. Il gentilizio Lictorius è altrimenti sconosciuto nella
regio V e assai raro in genere nella documentazione epigrafica dell’Italia ro-
mana, ove si segnala a Roma1850 e a Capena1851. Si tratta di un interessante
esempio di nomen derivato da una funzione amministrativa, una classe onoma-
stica alla quale appartengono, per esempio, anche Praeconius e Viatorius. Assai
meglio noto il cognome Clemens, che con ogni verosimiglianza si deve inte-

1848 Una formula abbreviata è da preferire per ragioni di simmetria del testo; resto incerto tra
l’abbreviazione Dis Man(ibus), suggerita da CIL, e Dis Manib(us) che ad Urbs Salvia è attestata
per esempio da CIL IX, 5553; 5556.
1849 Cf. Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., p. 678: al più presto nella seconda
metà del I sec. d.C.
1850 CIL VI, 10270: L. Lictorius Evangelus e il figlio L. Lictorius Speratus.
1851 CIL XI, 3895.
Parte II. I documenti 521

grare alle ll. 2-31852: nella stessa Urbs Salvia abbiamo due attestazioni1853; nel
resto del Piceno il cognome è presente ad Ancona1854, Asculum1855, Auxi-
m u m1856, Falerio1857, Interamnia1858, S. Vittore di Cingoli1859, Tolentinum1860.
La condizione sociale di L. Littorio Clemente non viene esplicitata nel
testo, almeno nelle sue attuali condizioni di conservazione1861. A giudicare dal
cognome, che non è certo tra i più diffusi fra i personaggi di nascita servile1862,
Clemente doveva essere un ingenuo1863.
Interessa qui in particolare l’occupazione di L. Littorio Clemente, quella
di grammaticus1864. Lo sviluppo della grammatica come disciplina autonoma,

1852 Teoricamente possibili, ma piuttosto improbabili per la loro scarsa frequenza in confronto a
Clemens i cognomi Timens e Ve(he)mens, cf. Solin - Salomies, Repertorium, cit., p. 445.
1853 Vd. CIL IX, 5540: M. Calvius Clemens, IIII vir, e la lacunosa CIL IX, 5546.
1854 CIL IX, 5931: Sex. Truttedius Clemens.
1855 Secondo l’ipotetica integrazione proposta per CIL IX, 5247: L. Telonius [Cleme]ns; cf. an-
che CIL IX, 5239: L. Saturius Clemes (!).
1856 CIL IX, 5864: C. Oppius Clemens; 5876: C. Iulius Clemen[s].
1857 Vd. supra, pp. 332-333, Falerio 10: T. Cornasidius Vesennius Clemens.
1858 Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit., p. 785, n°100: C. Acurius C. f. Quir. Clemens,
II vir.
1859 CIL IX, 5735: Q. Feronius Q. f. Vel. Clemens.
1860 Paci, Magister municipi, cit., pp. 511-512, n°4 (= AE 1980, 395), ora in Suppl. It., n.s. 11,
pp. 76-77, n°10: [---]ennius / Clemens.
1861 Non escluderei che l’indicazione del patronimico o del patronato si trovasse alla fine di l. 2,
anche se nella ricostruzione proposta dal CIL in questa posizione si doveva trovare solo l’inizio
del cognome del personaggio.
1862 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 263; Solin, Sklavennamen, cit., I, pp. 78-79.
1863 Così anche Christes, Sklaven und Freigelassene, cit., p. 153 e Agusta-Boularot, Références
épigraphiques, cit., p. 678.
1864 Sulla quale si vedano, tra gli altri, De Ruggiero, Grammaticus, cit., pp. 564-565; H.I.
Marrou, Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris 19652, partic. pp. 368-369; 400-411 (cf.
anche trad. it. Storia dell’educazione nell’antichità, Roma 19662, pp. 333-335; 363-373; M.L.
Clarke, Higher Education in the Ancient World, London 1971, pp. 11-28; S.F. Bonner, Education
in Ancient Rome from the Elder Cato to the Younger Pliny, London 1977, partic. pp. 47-64; 189-
249; A.D. Booth, The Appearance of the schola grammatici, «Hermes», 106 (1978), pp. 117-125;
Christes, Sklaven und Freigelassene, cit.; M.A. Manacorda, Scuola e insegnanti, «Oralità. Scrit-
tura. Spettacolo», a cura di M. Vegetti, Torino 1983, pp. 198-207; R.A. Kaster, Guardians o f
Language. The Grammarian and Society in Late Antiquity, Berkeley - New York - Los Angeles -
London 1988 (con la lunga recensione di J. Vanderspoel, Prosopography and the Grammarian
in Late Antiquity, «AHB», 4 (1990), pp. 95-100); W.V. Harris, Ancient Literacy, Cambridge
(Mass.) - London 1989, pp. 233-248 (cf. anche trad. it. Lettura e istruzione nel mondo antico,
Bari - Roma 1991, pp. 261-279); T. Viljamaa, Suetonius on Roman Teachers of Grammar,
«ANRW», II, 33, 5, Berlin - New York 1991, pp. 3826-3851; Agusta-Boularot, Références
épigraphiques, cit., pp. 653-746; R. Cribiore, Writing, Teaching, and Students in Graeco-Roman
Egypt, Atlanta 1996, pp. 20-24; 167-169, con una lista di grammatikoiv noti nella documenta-
zione papiracea; R. Frasca, Educazione e formazione a Roma. Storia, testi, immagini, Bari 1996,
pp. 280-291; 517-531; C. Moussy, L’étude et l’enseignement de la grammaire à Rome: otium et
negotium, «Les loisirs et l’héritage de la culture classique. Actes du XIIIe Congrès de
l’Association Guillaume Budé (Dijon, 27-31 août 1993)», a cura di J.-M. André - J. Dangel - P.
Demont, Bruxelles 1996, pp. 258-267; W.M. Bloomer, Latinity and Literary Society in Rome,
522 Parte II. I documenti

coltivata da professionisti che da questa attività traevano di che vivere, è un


processo graduale a Roma, indubbiamente legato alla pratica
dell’insegnamento1865. Nei non pochi grammatici attestati dalla documenta-
zione epigrafica sono dunque da riconoscere non tanto degli eruditi che studia-
vano per diletto personale, quanto piuttosto degli insegnanti1866.
In base ad uno schema incontestato fino a qualche decennio fa,
l’istruzione a Roma si svolgeva in tre fasi ben distinte, secondo un modello edu-
cativo che veniva dalla Grecia: un insegnamento elementare nel quale i bambini
apprendevano a leggere, a scrivere e a far di conto e che era impartito da do-
centi che nella documentazione latina potevano assumere in titolo di litterato-
res, magistri ludi o paedagogi, l’insegnamento secondario, incentrato sullo stu-
dio della grammatica nel senso più ampio del termine e affidato appunto alle
cure del grammaticus, infine l’insegnamento superiore, impartito dal rhetor.
A partire dalla fine degli anni ’70 il tradizionale schema in tre livelli è
stato sottoposto ad una stringente critica, in particolare dalle ricerche di A.D.
Booth che, sebbene si fondino in qualche caso su di una certa forzatura delle te-
stimonianze, hanno avuto il merito di riaprire il dibattito sul tema e di condurre
dunque ad una visione meno rigida delle diverse fasi dell’educazione romana, ri-
conoscendo in particolare come un teorico percorso attraverso l’istruzione
elementare, secondaria e superiore nella prassi potesse svolgersi secondo modelli
differenti, che variavano a seconda dei tempi, dei luoghi e dei contesti so-
ciali1867.

Philadelphia 1997, pp. 67-72; K. Vössing, Schule und Bildung im Nordafrika der Römischen
Kaiserzeit, Bruxelles 1997, passim (vd. in particolare l’indice 2: Lehrer in Africa, con rimandi
alle pagine dedicate ai diversi grammatici); Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González
Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., pp. 55-58, partic. 58; Rieß, Stadtrömische Lehrer, cit.,
pp. 163-207 (dedicato a tutti i lavoratori nel settore dell’insegnamento attivi a Roma; sui
grammatici vd. partic. pp. 179-180; 182-183).
1865 Su questo aspetto vd. principalmente Moussy, Étude, cit., pp. 258-263.
1866 Una recente raccolta delle attestazioni di grammatici e grammatikoiv nella documentazione
epigrafica greca e latina in Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 653-746, alla
quale si aggiunga ora l’iscrizione di un [g]rammaticus graecus da Grumentum, il cui nome è
andato perduto, pubblicata da M. Munzi, Un grammatico greco a Grumentum. Società e cultura
in un centro della Lucania, «ArchClass», 45 (1993), pp. 375-387 (= AE 1993, 546). Cf. in prece-
denza De Ruggiero, Grammaticus, cit., pp. 564-565; Christes, Sklaven und Freigelassene, cit.,
pp. 147-153, con le considerazioni di sintesi alle pp. 161-164 (limitato ai grammatici di condi-
zione servile e libertina dell’Italia romana). Il quadro è utilmente completato da alcuni studi re-
gionali: per la penisola iberica si veda il contributo di F.H. Stanley Jr., Roman education: Ob-
servations on the Iberian experience, «REA», 93 (1991), pp. 299-320, partic. pp. 309-313, con la
prosopografia degli insegnanti attestati nell’epigrafia della regione; per l’Africa L. Zerbini,
Tecnica ed artigianato nell’epigrafia africana: grammatici, retori, magistri, «L’Africa ro-
mana. Atti dell’XI convegno di studio. Cartagine, 15-18 dicembre 1994», I, a cura di A. Mastino,
Ozieri 1996, pp. 155-162; per Roma Rieß, Stadtrömische Lehrer, cit., pp. 201-203.
1867 Per la critica al modello educativo in tre livelli vd. essenzialmente A.D. Booth, Elementary
and Secondary Education in the Roman Empire, «Florilegium», 1 (1979), pp. 1-14; per una po-
sizione più sfumata vd. R.A. Kaster, Notes on “Primary” and “Secondary” Schools in Late An-
tiquity, «TAPhA», 113 (1983), pp. 323-346; Rieß, Stadtrömische Lehrer, cit., p. 169, nota 26 e
soprattutto K. Vössing, Augustins Schullaufbahn und das sog. dreistufige Bildungssystem,
«L’Africa romana. Atti del IX convegno di studio. Nuoro, 13-15 dicembre 1991», II, a cura di A.
Parte II. I documenti 523

Come conseguenza di questa revisione critica è venuta meno anche la


netta separazione dei compiti tra litteratores, grammatici e rhetores. Risalta in
particolare il dinamismo dei grammatici stessi: secondo una classica definizione
di Quintiliano, era loro compito precipuo insegnare agli allievi una corretta
espressione orale e scritta e iniziarli ad una lettura con commento grammaticale
ed erudito delle maggiori opere della letteratura classica greca e latina1868; ma i
grammatici, pure occupando saldamente la fase centrale dell’educazione scola-
stica, non di rado appaiono impegnarsi anche dell’istruzione primaria o, di con-
verso, dell’istruzione superiore. Del resto, in assenza di un rigido controllo dello
stato sugli insegnanti, non c’è da sorprendersi se tra i titoli di litterator, gram-
maticus, rhetor si verifichino talvolta ampie sovrapposizioni, in particolare
nella documentazione epigrafica, in cui la scelta di utilizzare tali denominazioni
spettava agli stessi diretti interessati o ai loro congiunti: così, per esempio, non
è improbabile che a Roma un buon numero di maestri che si occupavano preva-
lentemente, o almeno in parte, dell’istruzione primaria si definissero col titolo
di grammaticus piuttosto che con quello, meno prestigioso, di litterator1869.
In considerazione dell’ampia gamma di funzioni che un grammaticus po-
teva occupare nell’educazione romana è difficile precisare i compiti assolti ad
Urbs Salvia da L. Littorio Clemente. Se tuttavia per un momento ci atteniamo
al criterio puramente nominalistico, il documento in esame induce ad attenuare
almeno in parte il giudizio secondo il quale la ricerca dei grammatici
nell’impero romano conduce inevitabilmente a centri di importanza regio-
nale1870: il fatto che non conosciamo un numero maggiore di insegnanti con

Mastino, Sassari 1992, pp. 881-899, le cui argomentazioni sono riprese in Id., Schule und
Bildung, cit., pp. 563-574: lo studioso, pur ammettendo la permeabilità delle tre fasi ed il fatto
che il medesimo insegnante potesse seguire i propri allievi in più di un livello dell’istruzione,
riconosce tuttora una qualche validità al vecchio modello tripartito.
1868 Quintil., Inst. Orat., I, 4, 1-5; cf. partic. 2-3: Haec igitur professio, cum brevissime in duas
partis dividatur, recte loquendi scientiam et poetarum enarrationem, plus habet in recessu
quam fronte promittit. Nam et scribendi ratio coniuncta cum loquendo est, et enarrationem
praecedit emendata lectio, et mixtum his omnibus iudicium est. Sui contenuti dell’insegnamento
del grammatico, oltre alla bibliografia di carattere generale citata supra, p. 521, nota 1864, vd. T.
Morgan, Literate Education in the Hellenistic and Roman Worlds, Cambridge 1998, partic. pp.
152-189.
1869 Cf. Huttunen, Social Strata, cit., p. 117, sulla base dello scarso numero di attestazioni epi-
grafiche di litteratores e praeceptores nell’Urbe. Per l’uso sinonimico dei termini litterator e
grammaticus nella letteratura antica vd. partic. E.W. Bower, Some Technical Terms in Roman
Education, «Hermes», 89 (1961), pp. 462-477; A.D. Booth, Litterator, «Hermes», 109 (1981),
pp. 371-378; cf. anche Kaster, Notes, cit., pp. 329-331.
1870 Così Kaster, Guardians of Language, cit., p. 20, nota 26; p. 106, seguito da Cribiore, Wri-
ting, cit., p. 21; la studiosa tuttavia (p. 58 e nota 10) ammette che alcuni esercizi scolastici d i
particolare complessità rinvenuti a Karanis e Theadelphia lasciano pensare all’esistenza di u n
insegnamento secondario anche in questi semplici villaggi; cf. anche Agusta-Boularot, Référen-
ces épigraphiques, cit., p. 727. Nella discussione di questo problema non credo si possa invo-
care l’epistola di Antonino Pio, sulla quale vd. infra, p. 528: contrariamente a quanto si trova
talvolta nella dottrina scientifica il provvedimento non riguardava in assoluto il numero mas-
simo di grammatici che potevano esercitare la propria professione rispettivamente nelle grandi,
medie e piccole città, ma solamente il numero massimo di insegnanti che avevano diritto
all’immunità dai munera municipali nelle diverse comunità; nessun limite veniva dato riguardo
524 Parte II. I documenti

questo titolo in comunità di modeste dimensioni come Urbs Salvia deve essere
almeno in parte da imputare alla casualità dei rinvenimenti epigrafici. È altresì
vero che la presenza nella comunità del Piceno di un insegnante (e di un inse-
gnamento che, almeno in teoria, poteva anche essere di livello avanzato) pare
inquadrarsi nella seconda metà del I secolo e sembra dunque all’incirca contem-
poranea all’ascesa di due grandi figure urbisalviensi, L. Flavio Silva Nonio Basso,
console dell’81 d.C. e C. Salvio Liberale Nonio Basso, console in età domizianea
e celebre uomo di cultura, a giudicare dalla sua fama di oratore1871: è possibile
che l’attività del grammaticus L. Littorio Clemente fosse in qualche modo
legata alle famiglie di questi importanti personaggi1872, verosimilmente impa-
rentati tra di loro, e che la situazione scolastica di Urbs Salvia abbia potuto
trarre vantaggio, forse solo temporaneamente, da questa contingenza? Tali in-
terrogativi aprono prospettive di un certo interesse, ma almeno per momento
rimangono senza risposta per mancanza di informazioni.
Se l’iscrizione di Urbs Salvia a questo proposito è muta, essa tuttavia ap-
porta forse una precisazione sui contenuti dell’insegnamento di L. Littorio
Clemente, che ricorda la sua specializzazione di grammaticus latinus se effetti-
vamente in quanto rimane della lettera alla fine di l. 4 si può riconoscere una
L1873. Come accennato, l’istruzione nel mondo romano presenta una partizione
che attraversa tutti i livelli dell’educazione e rispecchia il diffuso bilinguismo
delle élites culturali dell’impero, trovando parziale riflesso anche nella docu-
mentazione epigrafica relativa agli insegnanti. Le iscrizioni infatti, accanto a
numerosi grammatici nude dicti, ricordano talvolta le specializzazioni di
grammaticus graecus1874 o di grammaticus latinus1875, come nel caso di

ai grammatici non immunes. Lo stesso si può dire per la misura richiamata dal grammatico di Os-
sirinco Lolliano in una petizione a Valeriano e Gallieno (P.Coll.Youtie II, 66 = P.Oxy XLVII,
3366, A, ll. 12-14; cf. anche C, ll. 50-54, su questa testimonianza vd. anche infra, pp. 528-529),
sia che Lolliano si riferisse al provvedimento di Antonino Pio, sia che egli si richiamasse ad u n
decreto diverso: l’insegnante di Ossirinco ricorda infatti che era fissato un numero di gramma-
tici pubblici, stipendiati dalla comunità, ma ciò ovviamente non impediva ad altri insegnanti d i
esercitare la propria professione privatamente, riscuotendo il salario direttamente dai genitori
degli allievi: oiJ qeoi; provgonoi uJmw'n w{risan kata; mevgeqo" tw'n É povlewn kai; posovthta dhmosivwn
grammatik≥ªw'ºn≥, É prostavxante" kai; suntavxei≥"≥ aujtoi'" divdosqai ….
1871 Su L. Flavio Silva vd. la bibliografia citata supra, p. 513, nota 1828; su C. Salvio Liberale
vd. principalmente PIR S 105; E. Groag, Salvius 15, «P.W», I A, 2 (1920), coll. 2026-2029;
McDermott, Flavius Silva, cit., pp. 338-345; Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 233;
Delplace, Evergétisme, cit., pp. 101-106; Eck, Urbs Salvia und seine führenden Familien, cit., pp.
99-106 (cf. trad. it. Urbs Salvia e le sue più illustri famiglie, cit., pp. 71-80).
1872 Un possibile parallelo si potrebbe avere a Grumentum, se coglie nel segno l’ipotesi avan-
zata da Munzi, Grammatico greco, cit., pp. 381-382 di una connessione tra l’insegnamento di u n
grammaticus graecus che ivi trovò sepoltura e la famiglia senatoria dei Bruttii Praesentes, che
nel territorio grumentino avevano dei possedimenti.
1873 Così nella trascrizione proposta da CIL IX, 5545. Nella fotografia cortesemente fornitami da
G. Paci i resti della lettera non sembrano più visibili.
1874 Cf. Q. Gargilius Lysander di CIL VI, 9453 (sul quale Christes, Sklaven und Freigelassene,
cit., p. 151; Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 673-674, n°14) e M. Mettius
Epaphroditus di CIL VI, 9454 (Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., p. 674, n°15),
entrambi da Roma; Ti. Claudius Laco di CIL X, 3961 da Capua (Christes, Sklaven und Freige-
Parte II. I documenti 525

Clemente. Non è tuttavia del tutto chiaro se dietro alla denominazione di


grammaticus latinus vi fosse una motivazione precisa, come per esempio
l’esigenza per i docenti di latino di distinguersi dai loro colleghi che insegnavano
il greco nella medesima località1876 o di segnalare la propria specializzazione a
fronte dei grammatici nude dicti, che forse impartivano ai loro allievi anche i
rudimenti della lingua greca1877.
Venendo alle condizioni sociali ed economiche dei grammatici, nella dot-
trina scientifica sulla storia dell’educazione a Roma a lungo è prevalsa la con-
vinzione che, accanto a pochi insegnanti ricchissimi e famosi, come per esem-
pio M. Verrio Flacco, cui Augusto aveva affidato l’educazione dei nipoti con
uno stipendio annuo di 100.000 sesterzi1878, o il celebre Q. Remmio Palemone,
che arrivava a guadagnare 400.000 sesterzi all’anno1879, la maggioranza dei

lassene, cit., p. 153; Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., p. 677, n°17); l’anonimo
personaggio di Munzi, Grammatico greco, cit., pp. 375-387 (= AE 1993, 546) da Grumentum;
Domitius Isquilinus, magister grammaticus graecus di CIL II, 2236 = CIL II2, 7, 336 = ILS 7766
da Corduba (Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., p. 683, n°26); Aemilius Epictetus
sive Hedonius di CIL XIII, 3702 da Augusta Treverorum (Agusta-Boularot, Références épigra-
phiques, cit., p. 684, n°27); C. Gordius Maximianus, artis grammaticae graecae peritissimus d i
CIL III, 12702 da Doclea, in Dalmazia (Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 696-
697, n°38). Analisi della documentazione epigrafica sui grammatici greci in Agusta-Boularot,
Références épigraphiques, cit., pp. 729-731.
1875 Cf. Q. Spedioleius Cerialis di CIL VI, 9455 da Roma (Agusta-Boularot, Références épigra-
phiques, cit., p. 675, n°16); Q. Tuticanius Q. [-] Eros di CIL V, 3433 (Agusta-Boularot, Référen-
ces épigraphiques, cit., pp. 678-679, n°20); P. Atilius P. f. Ouf. Septicianus di CIL V, 5278 = ILS
6729 da Comum (Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 679-680, n°21); L.
Terentius Iulianus di AE 1978, 503, sempre da Treviri (Agusta-Boularot, Références épigraphi-
ques, cit., pp. 685-687, n°28); L. Memmius Probus, grammaticus latinus originario di Clunia ma
attivo a Tritium secondo l’iscrizione CIL II, 2892 (sul documento vd. bibliografia citata infra, p.
528, nota 1895). Vd. anche i grammatikoi; ÔRwmaikoiv ∆Aqhnavdh" Dioskourivdou di IG XIV, 2434
da Marsiglia (Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 689-690, n°30) e Oujalevrio"
Oujalerivou di CIL III, 406 da Thyatira; cf. forse anche il caso di [-] Volusius Iunior,
g[rammaticus ?] latinus di CIL VIII, 21107 da Caesarea. Analisi della documentazione epigra-
fica sui grammatici latini in Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 731-732.
1876 Non credo che la presenza grammatici latini in aree latinofone si spieghi semplicemente
con la vitalità nella zona delle lingue autoctone, risalenti all’età preromana, come ipotizza
Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., p. 731; né mi pare accettabile il quadro della
distribuzione geografica delle testimonianze sulla quale la studiosa fonda il proprio ragiona-
mento: “ils [ scil. i grammatici latini] se trouvent principalement dans les grand villes du Nord
de la péninsule italique (Côme, Vérone, Urbino) et des provinces occidentales (Clunia, Trèves)”:
dietro la Urbino qui menzionata dovrebbe celarsi in realtà Urbs Salvia, che non può dirsi una
grand ville, né si trova nell’Italia settentrionale.
1877 Tale possibilità è decisamente esclusa da Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit.,
pp. 733-734, senza tuttavia altro argomento che l’assenza di grammatici utriusque linguae nella
documentazione epigrafica. Più prudenti Bonner, Education, cit., p. 57 e Christes, Sklaven und
Freigelassene, cit., p. 162.
1878 Suet., Gramm., 17, partic. 2, che si consulterà nella recente edizione curata da R.A. Kaster, C.
Suetonius Tranquillus. De Grammaticis et Rhetoribus, Oxford 1995, con il commento alle pp.
190-196 (ivi bibliografia sul personaggio).
1879 Suet., Gramm., 23, partic. 5; cf. Kaster, C. Suetonius Tranquillus, cit., pp. 228-242 (con la
bibliografia ivi citata).
526 Parte II. I documenti

grammatici avesse umili origini, conducesse una vita oscura e si dibattesse in


difficoltà economiche1880. Questa visione, che nasce soprattutto dallo studio dei
dati della tradizione letteraria, in primis del De grammaticis di Svetonio e della
Commemoratio professorum Burdigalensium di Ausonio, può in certa misura
essere sfumata e corretta sulle base delle testimonianze epigrafiche e papira-
cee1881. La condizione sociale dei grammatici noti dalle iscrizioni in effetti non
sempre è oscura, in particolare nei municipi dell’Italia romana: accanto a
schiavi e liberti, troviamo qui anche qualche insegnante di nascita ingenua1882:
così certamente a Beneventum il grammaticus M. Rutilius Aelianus, che entrò
addirittura a far parte dell’ordo dei decurioni1883; a Comum il grammaticus la-
tinus P. Atilius P. f. Ouf. Septicianus, dopo aver messo a disposizione della co-
munità la sue ricchezze, venne insignito degli ornamenta decurionalia1884,
come a Verona il suo collega Q. Tuticanius Eros, che rivestì anche la funzione di
VI vir Claudialis1885; nel IV sec. d.C. il magister studiorum e grammaticus
latinus L. Terenzio Giuliano, noto dall’epitafio rinvenuto a Treviri, raggiunse
addirittura il perfettissimato1886.
Per quanto concerne gli stipendi dei grammatici, le poche notizie sparse
nella documentazione, riflettendo situazioni assai diverse per luogo, per periodo
e per carattere della fonte stessa, finiscono inevitabilmente per dare
un’impressione di forte disparità, dagli altissimi guadagni di un Verrio Flacco o di
un Remmio Palemone, alla miseria in cui si dibatte l’insegnante della Satira VII
di Giovenale. Del resto è probabile che questa impressione corrisponda almeno
in parte a quanto accadeva nella realtà, con forti differenze nel trattamento
economico dei diversi docenti, a seconda delle loro specifiche capacità
professionali e della concorrenza che potevano incontrare1887.

1880 Basti il rimando al classico Marrou, Histoire de l’éducation, cit., p. 401; trad. it. Storia
dell’educazione, cit., p. 364.
1881 Cf. a questo proposito soprattutto Christes, Sklaven und Freigelassene, cit., pp. 192-201;
Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 715-719; Cribiore, Writing, cit., pp. 21-22.
Sulla condizione sociale dei grammatici in età tardoantica Kaster, Guardians of Language, cit.,
pp. 99-134, in particolare per l’analisi dei dati ricavabili da Ausonio (pp. 100-106).
1882 Oltre ai casi ricordati di seguito nel testo, Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit.,
p. 676 suppone un’origine ingenua per alcuni personaggi con duo o tria nomina che non indi-
carono il patronimico o il patronato; cf. anche Christes, Sklaven und Freigelassene, cit., p. 147,
nota 2; pp. 161-162.
1883 CIL IX, 1654 = ILS 6497; cf. Christes, Sklaven und Freigelassene, cit., p. 152; Agusta-
Boularot, Références épigraphiques, cit., p. 678, n°19.
1884 CIL V, 5278 = ILS 6729: P(ubli) Atili / P(ubli) f(ili) Ouf(entina tribu) / Septiciani, / gram-
mat(ici) latini, / cui ord(o) Comens(ium) / ornamenta / decuri(ionalia) decrevit, / qui universam
/ substantiam / suam ad rem publ(icam), / pertinere voluit; cf. Agusta-Boularot, Références épi-
graphiques, cit., pp. 679-680, n°21.
1885 CIL V, 3433; cf. Christes, Sklaven und Freigelassene, cit., p. 152; Agusta-Boularot, Réfé-
rences épigraphiques, cit., pp. 678-679, n°20.
1886 AE 1978, 503; sul personaggio vd. Kaster, Guardians of Language, cit., p. 303, n°87;
Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 685-687, n°28.
1887 La documentazione sulle entrate dei grammatici è passata in rassegna in particolare da
Bonner, Education, cit., pp. 146-162; Christes, Sklaven und Freigelassene, cit., pp. 197-199;
Parte II. I documenti 527

Alcune testimonianze hanno un particolare rilievo, consentendoci almeno


di confrontare in modo omogeneo le remunerazioni dei grammatici con quelle
degli insegnanti di diverso grado: in particolare l’editto di Diocleziano fissava a
200 denarii mensili il salario massimo che un grammaticus graecus sive latinus
poteva esigere da ognuno dei suoi allievi1888, contro i 50 denarii di paedagogi e
magistri institutores litterarum, nei quali saranno da identificare gli insegnanti
elementari1889 e i 250 denarii del docente superiore, qui chiamato orator sive
sofista1890. La forbice dei salari tra grammatici e rhetores sembra essersi
ampliata nei decenni seguenti, secondo una costituzione di Valentiniano,
Valente e Graziano del 376 d.C., indirizzata al prefetto del pretorio delle Gallie,
ma forse concernente la sola dioecesis Gallica; tale provvedimento stabiliva in
12 annonae la paga di un grammaticus nelle città della prefettura gallica (au-
mentata a 20 annonae per un grammaticus latinus nella capitale Treviri),
mentre era di 24 annonae (30 a Treviri) per un retore1891.
Questi dati suggeriscono che le condizioni economiche dei grammatici,
seppure non così favorevoli come quelle degli insegnanti di retorica, non doves-
sero in genere essere tra le peggiori. Vi è poi da considerare che, oltre al regolare
stipendio, i grammatici potevano godere di un evidente vantaggio economico
con l’esenzione da diversi munera. Provvedimenti in questo senso, limitandoci
al periodo altoimperiale, si trovano forse già nella legislazione di Vespasiano,
sebbene in questo caso il riferimento ai grammatici non sia del tutto certo1892, e

Kaster, Guardians of Language, cit., pp. 114-123; cf. anche Rieß, Stadtrömische Lehrer, cit., pp.
168; 172-173.
1888 Edictum de pretiis, 7, 70.
1889 Edictum de pretiis, 7, 66.
1890 Edictum de pretiis, 7, 71.
1891 C. Th., XIII, 3, 11, con il commento di S.F. Bonner, The Edict of Gratian on the Remunera-
tion of Teachers, «AJPh», 86 (1965), pp. 113-137; R.A. Kaster, A Reconsideration of “Gratian
School Law”, «Hermes», 112 (1984), pp. 100-114; Id., Guardians of Language, cit., pp. 116-
117.
1892 Il problema nasce da una lacunosa iscrizione in cui si conserva una costituzione d i
Vespasiano del 74 d.C. in greco, e un provvedimento di Domiziano del 93-94 d.C., in latino; i l
documento venne pubblicato per la prima volta da R. Herzog, Urkunden zur Hochschulpolitik
der römischen Kaiser, «SPAW», 32 (1935), pp. 967-1019, partic. pp. 970-971, e da qui ripreso
da FIRA2 I, pp. 420-422, n°73 (provvedimento di Vespasiano) e pp. 427-428, n°77
(provvedimento di Domiziano); McCrum - Woodhead, Select Documents, cit., pp. 135-136,
n°458, infine nuovamente pubblicato da J.H. Oliver, Greek Constitutions of Early Roman
Emperors from Inscriptions and Papyri, Philadelphia 1989, pp. 119-123, n°38 (senza le prime 9
linee del testo greco e senza la costituzione in latino): l’esplicito riferimento ai grammatikoiv
che si trova alla l. 7 del testo stampato da Herzog in realtà fa parte di un preambolo redatto dallo
studioso stesso semplicemente exempli gratia, che ha ingenerato qualche confusione; nel testo
conservato, a l. 7 viene utilizzato il termine paideuthv", che trova rispondenza nella parola latina
praeceptor a l. 3 della costituzione domizianea, intesa forse a colpire l’avidità di medici ed
insegnanti con la revoca delle immunità concesse da Vespasiano: che dietro questi termini
generici potessero celarsi anche i grammatici potrebbe essere dimostrato da un frammento del
giurista Arcadio Carisio in Dig., L, 4, 18, 30: Magistris, qui civilium munerum vacationem
habent, item grammaticis et oratoribus et medicis et philosophis, ne hospitem reciperent, a
principibus fuisse immunitatem indultam et divus Vespasianus et divus Hadrianus
528 Parte II. I documenti

certamente in quella di Adriano1893. La materia venne regolamentata da


Antonino Pio che, verosimilmente per reprimere gli abusi che si erano verifi-
cati, stabilì che l’immunitas potesse essere concessa ad un numero massimo di
cinque grammatici, per le città di maggiori dimensioni, metropoli delle pro-
vince, quattro per le medie, quelle che erano sede di tribunali, tre nelle comunità
più piccole1894.
Gli insegnanti potevano essere pagati direttamente dai genitori degli
alunni, ma anche essere stipendiati dalla comunità, come apprendiamo tra
l’altro da una nota iscrizione da Tritium, nella Tarraconense, epitafio del
grammaticus latinus L. Memmius Probus di Clunia, cui la res publica Tritien-
sium corrispose, quando aveva appena 25 anni, un salario di 1.100 sesterzi (o di
1.100 denarii, secondo una correzione proposta per questo testo, noto solo da
trascrizione)1895. Il sistema tuttavia doveva presentare evidentemente degli in-
convenienti, sia per i genitori degli alunni, che non avrebbero potuto esercitare
un efficace controllo sugli insegnanti, come puntualizzava Plinio nella celebre
lettera concernente la creazione di una scuola a Comum1896, ma anche per i
grammatici stessi: nelle petizioni che Lolliano, dhmovsio" grammatikov" di Ossi-
rinco, intendeva inviare agli imperatori Valeriano e Gallieno, l’insegnante la-
mentava in effetti di ricevere solo irregolarmente dalla comunità il suo stipen-

rescripserunt. Su questo problema vd. partic. I. Hadot, Arts libéraux et philosophie dans l a
pensée antique, Paris 1984, pp. 223-224; 231-233; cf. anche, per un inquadramento della misura
nella politica culturale di Vespasiano, P. Desideri, Dione di Prusa. Un intellettuale greco
nell’impero romano, Messina - Firenze 1978, pp. 61-67, partic. pp. 65-67; Rieß, Stadtrömische
Lehrer, cit., pp. 175-176. Si noti che il termine paideuthv" appare già in un’iscrizione di Efeso d i
età triumvirale concernente la concessione di immunità ad alcune categorie di intellettuali:
l’interessante testo, che ci fa conoscere un possibile modello per la legislazione dell’età
altoimperiale, è edito da D. Knibbe, Quandocumque quis trium virorum rei publicae
constituendae …. Ein neuer Text aus Ephesos, «ZPE», 44 (1981), pp. 1-10 e ripreso da K.
Bringmann, Edikt der Triumvirn oder Senatsbeschluss? Zu einem Neufund aus Ephesos, «EA», 2
(1983), pp. 47-76 (= SEG XXXI, 952).
1893 Cf. Dig., XXVII, 1, 6, 8; cf. anche Dig., L, 4, 18, 30, citato alla nota precedente.
1894 La misura di Antonino Pio concerneva in particolare il koinovn dell’Asia, ma secondo il giu-
rista Modestino, grazie alle cui Excusationes, poi rifluite in Dig., XXVII, 1, 6, 2, il provvedimen-
to è a noi noto, poteva riguardare l’intero impero. Sul provvedimento di Antonino Pio vd. partic.
Hadot, Arts libéraux, cit., pp. 226-230. Per le immunità concesse agli insegnanti nel periodo tar-
doantico agli insegnanti vd. Kaster, Guardians of Language, cit., pp. 224-226; Coppola, Lavoro
intellettuale, cit., pp. 289-300.
1895 L’epigrafe, originariamente pubblicata in CIL II, 2892, è stata oggetto di revisione da parte
di U. Espinosa Ruiz, Das Gehalt eines grammaticus in westlichen Teil des römischen Reiches:
eine epigraphische Revision, «ZPE», 68 (1987), pp. 241-246, che ha suggerito di leggere la cifra
in denarii piuttosto che in sesterzi; sul documento vd. inoltre Stanley, Roman Education, cit., p.
307; Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., pp. 681-682, n°23; p. 714; A.T. Fear, A
Latin Master from Roman Spain, «G&R», 43 (1995), pp. 57-69; Rodríguez Neila in Rodríguez
Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit., p. 58; Rieß, Stadtrömische Lehrer, cit.,
p. 172.
1896 Plin., Ep., IV, 13, partic. 6-8; il passo non si riferisce obbligatoriamente ad un grammaticus
(Plinio in effetti parla genericamente di praeceptores), ma è comunque indicativo delle modalità
con le quali potevano essere pagati gli insegnanti dell’Italia romana in un momento non lontano
da quello in dovette vivere il grammaticus di Urbs Salvia L. Littorio Clemente.
Parte II. I documenti 529

dio di 500 dracme attiche e quelle poche volte che ciò accadeva la sua paga con-
sisteva in merci avariate1897.
La parte conclusiva dell’iscrizione sepolcrale di L. Littorio Clemente è
fortemente lacunosa: vi si riconosce senza dubbio il ricordo degli heredes che
curarono l’erezione del sepolcro di Clemente; alla linee seguenti si potevano
trovare i nomi dei personaggi ed eventualmente l’indicazione del rapporto che
avevano con il defunto, oltre naturalmente ad una formula di dedica1898.
Immagine: Tav. LXIX.

1897 P.Coll.Youtie II, 66, con il prezioso commento di P.J. Parsons; il documento è riedito come
P.Oxy XLVII, 3366. Su questo interessante papiro e sulla figura di Lolliano vd. Kaster, Guar-
dians of Language, cit., pp. 115-116; 304-305, n°90; Agusta-Boularot, Références épigraphi-
ques, cit., pp. 706-709, n°48; p. 714; Cribiore, Writing, cit., p. 168. Nel richiamarsi alle misure
dei divini predecessori degli imperatori regnanti, secondo le quali si era fissato un numero d i
grammatici pubblici e si era ordinato di pagare loro un salario (P.Oxy XLVII, 3366, A, ll. 12-14,
citato supra, p. 524, nota 1870), Lolliano forse alludeva ad un provvedimento di cui abbiamo
notizia dall’Historia Augusta, nella Vita di Alessandro Severo? In Hist. Aug., Alex. Sev., 44, 4
leggiamo in effetti: Rhetoribus, grammaticis, medicis, haruspicibus, mathematicis, mechanicis,
architectis salaria instituit et auditoria decrevit et discipulos cum annonis pauperum filios
modo ingenuos dari iussit; non è tuttavia chiaro se l’iniziativa di Alessandro Severo concernes-
se solamente la città di Roma o anche le altre comunità dell’impero e se, in quest’ultima even-
tualità, lo stipendio degli insegnanti dovesse essere sostenuto dalle finanze locali, come è nel
caso di Lolliano; scettici sul valore di quest’ultima testimonianza Parsons nel commento a
P.Coll.Youtie II, 66, pp. 445-446, e Harris, Literacy and Epigraphy, cit., pp. 98-99, nota 52.
1898 Non mi convince invece la restituzione di l. 6 an(nos) v(ixit), proposta da Christes, Sklaven
und Freigelassene, cit., p. 153 e seguita da Agusta-Boularot, Références épigraphiques, cit., p.
678: in effetti essa non corrisponde a quanto si conserva tuttora nella pietra alle ll. 6-7, ove pos-
siamo leggere AN +[---] / CV[---]; inoltre questa integrazione mal si accorda con il formulario
dell’epigrafia sepolcrale in genere e in particolare quello di Urbs Salvia, dove solitamente com-
pare la formula vixit annis vel annos, seguita dalla cifra degli anni di vita, cf. per esempio CIL
IX, 5539; 5548 5549; 5550; 5552 = G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp. 81-82, n°11,
ripresa qui come Urbs Salvia 6; CIL IX, 5553; 5557 = CIL I2, 1924.
530 Parte II. I documenti

Urbs Salvia 5

Edizione di riferimento: G. Paci, Nuove iscrizioni romane da Senigallia Ur-


bisaglia e Petritoli, «Picus», 2 (1982), pp. 48-55, n°2 (= AE 1985, 346).
Luogo di ritrovamento: l’iscrizione faceva parte della piccola raccolta epi-
grafica ed archeologica della famiglia Giustiniani-Bandini, conservata nella
omonima villa nei pressi dell’Abbazia di Fiastra; non si ha nessun elemento spe-
cifico sul luogo di rinvenimento dell’iscrizione in oggetto, ma il fatto che le
provenienze documentate dei pezzi della raccolta rimandino invariabilmente a
località circostanti l’Abbazia induce a ritenere che anche l’epigrafe provenisse
dal territorio di Urbs Salvia; nella stessa direzione punta la qualità della pie-
tra1899.
Luogo di conservazione: segnalata a Tolentino, nel Museo Civico1900, si
trova ora a Fiastra, nella sala delle Oliere (autopsia maggio 2002).
Tipo di monumento: stele in calcare compatto dei Sibillini, con decorazione a
timpano, al centro del quale si trova un fiore a cinque petali; ai lati palmette
acroteriali1901. Del monumento si conserva solo all’incirca la metà superiore. Si
conserva il testo delle prime 5 linee, testo che peraltro venne cancellato, per
ragioni che non si riesce al momento a comprendere; l’erasione, che ha rispar-
miato l’ultima lettera di l. 2 e le ultime tre della linea seguente, non ha pregiudi-
cato tuttavia la lettura del testo, che G. Paci ha potuto offrire con una certa si-
curezza.
Mestiere: lusor folliculator.
Datazione: le caratteristiche paleografiche e di lavorazione della pietra, quanto
l’assenza dell’adprecatio agli dei Mani, inducono G. Paci a datare il documento
alla prima età imperiale, probabilmente nel periodo degli imperatori della
dinastia giulio-claudia1902. La comparsa dell’espressione hic iacet nel formulario
potrebbe confermare questa collocazione cronologica, come si vedrà nel
commento al testo.
Testo: P(ublius) Petronius / ((mulieris)) l(ibertus) Primus, / lúsor folliculator, /
hic iacet. / Venusta et sibi / ------.
l. 1: T longa.
l. 3: T longa. La seconda O di folliculator è di dimensioni minori, probabil-
mente per ragioni di spazio: la lettera seguente raggiunge infatti il limite dello
specchio epigrafico.
l. 5: le due T e le due I sono longae.
L’interpunzione, utilizzata con regolarità per separare le diverse parole, è in
forma di piccoli triangoli, con il vertice rivolto verso il basso.

1899 Paci, Nuove iscrizioni, cit., pp. 49-50 e nota 32.


1900 Paci, Nuove iscrizioni, cit., p. 49, nota 31.
1901 Il monumento presenta significative analogie con una tipologia monumentale ben attestata
nell’umbra Camerinum, come ha notato Paci, Da Colfiorito al Catria, cit., p. 27, nota 43, che
avanza un paragone in particolare con la stele di T. Vetilius Sinon, Suppl. It., n.s. 6, p. 68, n°2.
1902 Paci, Nuove iscrizioni, cit., p. 55.
Parte II. I documenti 531

Commento
Si tratta dell’iscrizione sepolcrale posta ad un liberto di una donna della
gens Petronia, finora sconosciuta ad Urbs Salvia, ma ben attestata nella regio
V1903, da parte di una tal Venusta; costei, che appare associata a P. Petronio
Primo nella tomba, a giudicare dalla sua formula onomastica potrebbe essere
stata una schiava, probabilmente la moglie di Petronio Primo: l’indicazione
della parentela fra i due, insieme forse ad un verbo come per esempio fecit, si
sarà eventualmente trovata nelle linee perdute dell’epitafio.
Per la verità il nostro testo non sembra per il momento trovare precise
corrispondenze di formulario nel piccolo dossier delle iscrizioni sepolcrali di
Urbs Salvia, in particolare per quanto concerne la formula hic iacet, che al
momento pare anzi ignota nell’epigrafia del Piceno; espressioni consimili sono
tuttavia abbastanza ben attestate nell’epigrafia sepolcrale della regio V, pur pre-
scindendo dalle numerose attestazioni in epitafi cristiani1904: in particolare si
pensa alle formule hic adquiescit1905, hic cubat1906, hic quiescit1907, hic requie-
scit1908. Ad un primo esame pare che le formule di questo tipo, oltre a compa-
rire di frequente nell’epigrafia cristiana, siano caratteristiche delle iscrizioni se-
polcrali pagane della prima età imperiale: in questo senso depongono la com-
parsa del nome del defunto al nominativo e l’assenza dell’adprecatio ai Mani

1903 Ad Ancona possediamo l’iscrizione onoraria posta dai decurioni a Petronia Sabina, figlia
del patrono della colonia L. Petronius Sabinus (CIL IX, 5898); per quanto concerne l’iscrizione
di Asculum dello scriba quinquennalicius Q. Petronius Q. f. Rufus vd. supra, pp. 153-161, Ascu-
lum 4; nel medesimo centro da segnalare anche CIL IX, 5226, epitafio di un C. Petronius
Etruscus e CIL IX, 6078, 89, in cui il gentilizio compare su di una tegula; ad Auximum si segnala
un C. Petronius C. f. Ve[---] in CIL IX, 5878 ed un Petronius Nico[---] in CIL IX, 5883 = Prosperi
Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 77, n°26; a Cupra Maritima un tal P. Petronius Proculus
diede sepoltura a Cossinia Fortunata; nella stessa località il nome del centurione C. Petronius
Aper appare in iscrizioni dell’instrumentum, cf. Fortini, Laterizi bollati, cit., pp. 116-117, nn.
9d-9e; il nomen è particolarmente ben attestato a Falerio dove, a parte il legatus P. Petronius
Achilles che compare in CIL IX, 5420, la celebre iscrizione concernente le controversie tra Fale-
rionesi e Firmani, possiamo richiamare AE 1960, 256, che attesta il II vir [-] Petronius T. f. Rufus
(su questa iscrizione si veda ora Malavolta, Osservazioni, cit., pp. 469-471 (= AE 1980, 400), i l
C. Petronius Crescens di CIL IX, 5465 e la Petronia Florida di CIL IX, 5477; dal territorio d i
Firmum proviene CIL IX, 5416, in cui il gentilizio è portato da una donna; ad Hadria CIL IX,
5033 ci fa conoscere un C. Petronius C. l. Antiochus ed un C. Petronius Quartio; ad Interamnia
CIL IX, 5113 ricorda Petronia P. l. Prima e Petronia Spectata; AE 1982, 247 da Rambona attesta
un L. Petronius L. f. Vel. Sulpicianus, la moglie Petronia Rufina ed il figlio Petronius La[---
]anus; a S. Apollinare di Monteroberto CIL IX, 6390, 2 attesta un T. Petronius Iustus; una lacu-
nosa iscrizione di Tolentinum, edita ora in Suppl. It., n.s., pp. 81-82, n°16 registra infine il nome
di Ti. Petronius Ti. f. Vel. [---].
1904 Per i quali si rimanda alle voci corrispondenti dell’indice dei vocaboli in ICI X, pp. 103-
111.
1905 CIL IX, 5331 da Cupra Maritima.
1906 CIL IX, 5332, sempre da Cupra Maritima.
1907 CIL IX, 5875 da Auximum.
1908 CIL IX, 5386 da Firmum; 5464 e 5519 da Falerio; 5524 da Petriolo.
532 Parte II. I documenti

che generalmente si osserva nei testi in questione1909; tale rilievo del resto si
accorderebbe con la datazione proposta per l’epitafio di P. Petronio Primo. Per
l’espressione et sibi fecit, che potrebbe essere integrata nelle ultime linee, si
veda, tra le altre, CIL IX, 5571, dalla vicina Tolentinum. Il verbo comunque
non doveva necessariamente comparire, cf. per esempio CIL IX, 6367 dalla
stessa Urbs Salvia: D(is) M(anibus). / Salviae C(ai) l(ibertae) / Primitivae /
Perses coniugi / bene merenti et sibi.
Di P. Petronio Primo si ricorda un curioso particolare biografico, il fatto
che egli fu lusor folliculator. Se il termine lusor è ben noto, anche nella docu-
mentazione epigrafica1910, folliculator sembra presentarsi qui per la prima volta
nel lessico latino: G. Paci vi riconosce un nome d’agente derivato dal termine
folliculus, a sua volta diminutivo di follis, con riferimento ad una palla da gioco,
costituita da un involucro di pelle gonfiato1911. Petronio Primo sarebbe dunque
stato un giocatore di palla.
Ad Urbs Salvia il nostro lusor folliculator potrebbe aver eseguito i suoi
esercizi nelle terme1912 o nel campus locale1913, luoghi dove sappiamo che co-
munemente si giocava a palla.
Resta da comprendere il motivo per il quale P. Petronio Primo, o la sua
compagna Venusta, ritennero opportuno ricordare questa singolare occupazione
nell’epitafio. La modesta estrazione sociale del personaggio mi fa sospettare
che per lui il folliculus non fosse un passatempo ma un modo per guadagnarsi da
vivere1914. Certo il gioco della palla era a Roma uno svago popolarissimo, che
contava tra i suoi appassionati anche diversi uomini illustri1915, ma accanto ad
essi vi dovevano essere anche alcuni professionisti, se così possiamo chiamarli;
un esame di alcuni documenti concernenti lusores, pilicrepi (che eseguivano i
loro esercizi con la palla chiamata pila) e pilarii (verosimilmente dei giocolieri

1909 Non però in CIL IX, 5875 da Auximum, nella cui lacunosa l. 1 doveva trovarsi la dedica D[is
Manibus], forse non abbreviata.
1910 Le testimonianze sono raccolte e studiate da M. Malavolta, Lusor, «Diz. Ep.», IV (1981), pp.
2227-2229.
1911 Paci, Nuove iscrizioni, cit., pp. 53-54, con la bibliografia ivi citata; si veda inoltre A. Mau,
Follis 2, «P.W.», VI, 2 (1909), col. 2829.
1912 La cui esistenza è attestata da un’iscrizione edita da G. Paci, Nota sulle iscrizioni musive d i
San Severino e di Urbisaglia, «Atti del XIII convegno di studi maceratesi: Mogliano, 12-13 no-
vembre 1977», Macerata 1980, pp. 55-58 (= AE 1979, 202) e ora ripresa da Marengo in Cancrini -
Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., pp. 115-117.
1913 Ce ne conserva memoria ancora un documento epigrafico, CIL IX, 5541, sul quale si veda la
bibliografia citata supra, p. 421, nota 1419.
1914 Così anche J.-P. Thuillier, Le sport dans la Rome antique, Paris 1996, p. 91.
1915 Sui giochi con la palla nel mondo romano vd. tra gli altri A. Mau, Ballspiel, «P.W.», II, 2
(1896), coll. 2832-2834; G. Lafaye, Pila, «DS», IV, Paris 1907, pp. 475-478; H.A. Harris, Sport i n
Greece and Rome, London 1972, pp. 75-111; Thuillier, Sport, cit., pp. 87-94; R.W. Fortuin, Der
Sport im Augusteischen Rom. Philologische und Sporthistorische Untersuchungen (mit einer
Sammlung, Übersetzung und Kommentierung der antiken Zeugnisse zum Sport in Rom),
Stuttgart 1996, p. 430 (Index III: Sportlernamen und Sportfachbegriffe, s.v. Ballspiel, con ri-
mandi ai numerosi passi rilevanti nella monografia); R. Hurschmann, Ballspiele, «Der neue
Pauly», II (1997), coll. 426-427.
Parte II. I documenti 533

che eseguivano esercizi di abilità con la stessa pila1916) lo può confermare. Di


particolare interesse l’iscrizione CIL VI, 8997 (= ILS 8997), iscrizione sepol-
crale di un P. Aelius Aug. l. Secundus, evidentemente un liberto di Adriano, che
si dice pilarius omnium eminentissimus; un altro giocoliere di condizione liber-
tina ci è noto da CIL XII, 1322 da Narbo Martius, epitafio di un tal P.
[G]allonius P. l. Capito. Un manifesto elettorale da Pompei ci dimostra inoltre
che i pilicrepi locali erano sentiti come un gruppo in qualche modo coeso: ven-
nero infatti invitati a dare il loro voto ad A. Vettio Firmo, candidato
all’edilità1917: si trattava forse di una compagnia di giocatori di professione?
Non possiamo affermarlo con certezza. Di ambigua interpretazione anche
l’epigrafe metrica da Roma di un tal Ursus1918 che, dopo essersi detto togatus,
forse alludendo alla sua cittadinanza romana, ricorda le sue fortunate esibizioni,
insieme ai compagni lusores, con una palla di vetro; Ursus ammette che, nono-
stante per la sua straordinaria abilità avesse superato tutti i suoi predecessori, era
stato più volte battuto dal suo patronus Vero, tre volte console, personaggio nel
quale si deve probabilmente riconoscere il praefectus urbi del 126 d.C. M. Annio
Vero: pur tralasciando il problema del contenuto delle esibizioni di Ursus (se egli
utilizzava una palla di vetro si potrebbe pensare ad una sorta di giocoliere, ma il
fatto che fosse stato superato più volte da Annio Vero lascia intendere che
l’esercizio avesse un qualche contenuto agonistico), il vero problema è quello di
comprendere qui il senso del termine patronus e di intendere se il personaggio si
esercitasse con la pila vitrea come semplice svago, insieme a M. Annio Vero, di
cui egli era cliente, e ad una brigata di amici1919, o se egli, liberto di M. Annio
Vero, trovasse in qualche modo di che vivere grazie a questa sua abilità, magari
lasciandosi battere a bella posta dal suo potente patrono …1920. Si deve tuttavia
riconoscere che, almeno per il momento, molti aspetti della bizzarra iscrizione
di Ursus rimangono oscuri. Piuttosto si può forse richiamare a proposito
dell’epigrafe di Urbs Salvia la testimonianza di CIL VI, 4886 (= ILS 5225) da
Roma1921, iscrizione funebre di un lusor, mutus, argutus, imitator / Ti(beri)
Caesaris Augusti, qui / primum invenit causidicos imitari, il cui nome è andato
perduto, anche se costui non era un giocatore nel senso moderno del termine,
ma piuttosto un mimo che faceva parte della familia servile di Tiberio.

1916 Cf. a questo proposito G. Lafaye, Pilarius, «DS», IV, Paris 1907, pp. 478-479; K. Schneider,
Pilarius, «P.W.», XX, 2 (1950), coll. 1320-1322.
1917 Vd. CIL IV, 1147 (= ILS 6431d; nella documentazione pompeiana pilicrepi sono ricordati
anche in CIL IV, 1905 e 1926.
1918 Vd. CIL VI, 9797 = 33815a = CLE 29 = ILS 5173; l’iscrizione è brevemente commentata i n
particolare da E. Galletier, Étude sur la poesie funéraire romaine d’après les inscriptions, Paris
1922, p. 172. Ma vd. anche su questo strano documento E. Champlin, The Glass Ball Game,
«ZPE», 60 (1985), pp. 159-163, che interpreta il gioco della palla come metafora del gioco poli-
tico, e, da ultimo, M.G. Schmidt, Ursus togatus (CIL VI 9797), «ZPE», 126 (1999), pp. 240-242,
con bibliografia anteriore.
1919 Come ipotizza Malavolta, Lusor, cit., pp. 2227-2228.
1920 Così Galletier, Étude, cit., p. 172; Thuillier, Sport, cit., p. 91.
1921 Con il commento e la bibliografia citata da Malavolta, Lusor, cit., p. 2227.
534 Parte II. I documenti

A parte l’incerto caso di Ursus, gli epitafi di lusores, pilicrepi e pilarii a


noi noti si riferiscono dunque sempre a personaggi di condizione libertina o ser-
vile e niente nel contenuto delle iscrizioni autorizza a ritenere che costoro a-
vessero voluto semplicemente ricordare un loro passatempo; a mio parere dob-
biamo quindi concludere che essi, come il lusor folliculator di Urbs Salvia, aves-
sero messo a frutto la loro abilità sportiva o di giocolieri per guadagnarsi di che
vivere.
Immagine: Tavv. LXX-LXXI. Paci, Nuove iscrizioni, cit., p. 50, fig. 2; p. 52,
fig. 3 (fac-simile).
Parte II. I documenti 535

Urbs Salvia 6

Edizione di riferimento: G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp. 81-


82, n°11.
Altre edizioni: CIL IX, 5552.
Luogo di ritrovamento: nessuna informazione si ha sul preciso luogo di ritro-
vamento dell’iscrizione.
Luogo di conservazione: Perduta. Una copia moderna, in parte esemplificata
sull’originale, si trova a Macerata, nel lapidario del Palazzo comunale (autopsia
maggio 2001)1922.
Mestiere: nutrix.
Datazione: la perdita del monumento ed il fatto che la prima parte
dell’iscrizione sepolcrale non sia nota nemmeno in trascrizione lascia un solo
elemento indicativo per stabilire la cronologia, l’indicazione della durata della
vita in anni, mesi e giorni; questo elemento, che nell’epigrafia sepolcrale di
Urbs Salvia appare sempre in epitafi con adprecatio ai Mani1923, suggerisce una
datazione al più presto verso la fine del I sec. d.C. o, meglio, nel II sec. d.C.
Testo: ------ / vixit / ann(is) XV, / m(ensibus) II, die/bus XXVI. / P(ublius)
Mult(asius) / Felix / et Mul/tasia / Felici/tas nu/trix b(ene) m(erenti).
Commento
Si tratta della mutila iscrizione sepolcrale posta ad un defunto o ad una de-
funta di giovane età, a cura di colei che forse era stata la sua balia e di un tale P.
Multasius Felix.
Il nome del titolare del sepolcro è andato perduto nelle prime linee
dell’iscrizione. Si conserva invece l’indicazione della durata della sua vita,
espressa in giorni, mesi ed anni, secondo un formulario altrimenti attestato
nell’epigrafia funeraria di Urbs Salvia1924.
I due dedicanti portano il medesimo gentilizio, Multasius, che compare in
forma abbreviata a l. 5, facilmente integrabile anche per il lettore antico grazie
al fatto che veniva riportato per esteso poche linee sotto. Il nomen Multasius è
altrimenti sconosciuto nella documentazione epigrafica del Piceno e comunque
piuttosto raro in genere1925: in Italia se ne segnalano attestazioni solamente a
Roma e a Grumentum1926.

1922 Cf. G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., p. 81; Id., Problemi di ricognizione, cit., p.
471, nota 5. Nella copia maceratese il testo venne così integrato: D(is) M(anibus). Mul/tasiae
f(iliae) kariss(imae) q(ui) / vixit / ann(is) XV, / m(ensibus) II, die/bus XXVI. P(ublius) Mult(asius)
/ Felix / et Mul/tasia / Felici/tas nu/trix b(ene) m(erenti). Immagine della copia in Gasperini et
alii, Lapidario, cit., tav. XIII.
1923 Vd. gli esempi citati alla nota seguente.
1924 Cf. per esempio CIL IX, 5539; 5548; 5553 (con la sola indicazione degli anni e mesi d i
vita).
1925 Vd. Schulze, Eigennamen, cit., p. 362.
1926 Vd. rispettivamente CIL VI, 22625: C. Multasius C. l. Dionysius e C. Multasius C. l.
Philod[amus]; CIL X, 257: Multasia Aequitas.
536 Parte II. I documenti

Ben noto invece il cognome del primo dei due dedicanti, Felix1927, certa-
mente tra i cognomina latini maggiormente attestati per gli individui di nascita
servile1928; sembra dunque ragionevole ipotizzare che P. Multasio Felice fosse
un liberto. La posizione di quest’ultimo personaggio nei confronti del titolare
del sepolcro non è chiarita da quanto ci rimane del testo: una delle ipotesi più
probabili è che si trattasse del padre1929.
La seconda dedicante, Multasia Felicitas, porta il medesimo, raro, gentili-
zio di colui che abbiamo ipotizzato essere il padre del defunto, una circostanza
che dischiude diverse ipotesi sul rapporto esistente tra i due personaggi: essi po-
trebbero essere legati da parentela o, più probabilmente, di patronato; si po-
trebbe in effetti pensare che i due fossero colliberti e forse compagni di vita o,
meglio, che Felicitas fosse stata affrancata da Felix, forse a ricompensa del buon
servizio prestato come nutrix1930, secondo una vicenda spesso doveva essere
stata ripercorsa dalle balie del mondo romano, come meglio si vedrà più avanti
esaminando la documentazione epigrafica dell’Italia. Il cognome delle donna in
effetti ha una discreta diffusione tra schiave e liberte, in particolare nella
documentazione urbana1931; nel Piceno Felicitas è attestato per altre due donne
di incerta condizione giuridica1932.
Multasia Felicitas è l’unica donna nota dalle iscrizioni del Piceno per aver
esercitato il mestiere di nutrix1933, un’occupazione ben rappresentata nella do-

1927 Per le attestazioni nella regio V vd. supra, p. 325, nota 960.
1928 Cf. supra, p. 262, nota 680.
1929 Così G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., p. 81.
1930 Come sostiene G. Paci in Gasperini et alii, Lapidario, cit., p. 81.
1931 Cf. Kajanto, Latin cognomina, cit., p. 273; Solin Sklavennamen, cit., I, pp. 169-170: interes-
sante notare nella documentazione urbana come questo cognomen sembri particolarmente i n
voga a partire dalla fine del I sec. d.C., un elemento che potrebbe confermare la datazione
dell’epitafio di Urbs Salvia.
1932 Vd. CIL IX, 5871 da Auximum: Caecilia Felicitas; CIL IX, 5475 da Falerio come nome
unico.
1933 Sulle nutrices nel mondo romano vd. G. Herzog-Hauser, Nutrix, «PW.», XVII, 2 (1937), coll.
1491-1500; Maxey, Occupations, cit., pp. 53-55; Huttunen, Social Strata, cit., p. 115; Treggiari,
Jobs for Women, cit., pp. 88-89; Maurin, Labor matronalis, cit., p. 145; Kampen, Image and Sta-
tus, cit., pp. 109-110; J.-P. Neraudau, Être enfant à Rome, Paris 1984, pp. 280-286; Pelletier, La
femme, cit., pp. 63-64; K.R. Bradley, Wet-Nursing at Rome: a Study in Social Relations, «The
Family in Ancient Rome. New Perspectives», a cura di B. Rawson, Ithaca 1986, pp. 201-228; R.
Saller, Slavery and the Roman Family, «Classical Slavery», a cura di M.I. Finley, London 1987,
pp. 79-81; Günther, Frauenarbeit, cit., pp. 78-100; S. Dixon, The Roman Mother, London - Sid-
ney 1988, partic. pp. 120-129; 145-146; Jackson, Doctors and Diseases, cit., pp. 102-103;
Evans, War, Women and Children, cit., pp. 127-130; N. Petrucci in Inscriptiones Latinae Liberae
Rei Publicae, cit., pp. 302-303; H. Schulze, Ammen und Pädagogen. Sklaverinnen und Sklaven i n
der antiken Kunst und Gesellschaft, Mainz 1998, partic. pp. 13-19 che introducono al tema
specifico dell’opera, dedicata alle rappresentazioni iconografiche degli educatori nel mondo
antico. Preziosi particolari, riguardanti in primo luogo il trattamento economico delle nutrici,
vengono dai contratti di baliatico (e dalle ricevute di salario rilasciate dalle balie) trasmessici
dai papiri: la raccolta più aggiornata di questi documenti è quella di M. Manca Masciandri - O.
Montevecchi, I contratti di baliatico, Milano 1984, con un’utile introduzione alla problematica
alle pp. 3-31; un aspetto particolare di questa documentazione è studiato da K.R. Bradley, Sexual
Parte II. I documenti 537

cumentazione epigrafica1934: rimandando per le numerose nutrices di Roma a


recenti saggi in cui sono raccolti i testi rilevanti1935, credo sia utile raccogliere
qui i documenti relativi alle balie nel resto dell’Italia romana, che potranno
contribuire a chiarire il senso dell’epigrafe di Urbs Salvia. Nel repertorio sono
comprese pure le assae nutrices, anche se queste erano più propriamente delle
baliasciutte1936.
1. CIL XIV, 2336 dall’ager Albanus: D(is) M(anibus) / L(uci) Casperi L(uci)
f(ili) Pal(atina tribu) Fauni. / L(ucius) Casperius Abascantus / et Casperia
Aeliane, / parentes, filio piissimo, / item Abascantus <L(ucio) Casperio> L(uci)
Casperi Candidi Aeliani f<i>l(io ?) Pal(atina tribu) Extricato / et Casperiae
Aeline (!) fil(iae) eius, / suae coniugi karissimae, et / L(ucio) Casperio L(uci)
f(ilius) Pal(atina tribu) Fab(ia tribu) Latino, / f(ilio) sanctissimo et pientissimo,
/ vix(it) an(nis) XIIX, m(ensibus) III, d(iebus) VIIII, et / Casp(eriae) Zotice
l(ibertae) et nutrici fil(i) / et Prosdecte vern(ae) f(ecit).
2. CIL XIV, 2183 da Aricia: Calpurniae Lupu/lae benemeren/ti. Val(erius)
Victorinu<s> / nutrici fecit.
3. AE 1987, 242 da Formiae: [---]ius P(ubli) l(ibertus) [Pl]otus, Munatia
L(uci) et Octaviae l(iberta) / [---]be, nutrix. Segue un carme sepolcrale in onore
della defunta, di nome Prisca.
4. CIL X, 6006 = ILS 1066 da Minturnae: L(ucio) Burbuleio L(uci) f(ilio)
Quir(ina tribu) / Optato Ligariano, / co(n)s(uli), sodal(i) Aug(ustali), leg(ato)
imperat(oris) Antonini Aug(usti) Pii pro pr(aetore) prov(inciae) / Syriae, in quo
honor(e) decessit, leg(ato) eiusdem et divi Hadriani pro pr(aetore) /

Regulations in Wet-Nursing Contracts from Roman Egypt, «Klio», 62 (1980), pp. 321-325. In
genere sulle nutrices dell’Italia romana vd. anche Dyson, Community and Society, cit., p. 189,
con breve cenno al documento di Urbs Salvia. Per un confronto con le nutrici dell’Atene clas-
sica, in particolare attraverso la documentazione epigrafica, Kosmopoulou, Working Women, cit.,
pp. 285-292.
1934 Si deve notare come il termine nutrix non designi solamente un mestiere, ed un mestiere
comunque sui generis, come si vedrà, ma possa essere applicato ad una qualsiasi donna che al-
latti ed accudisca un bambino, senza che questa sua attività si qualifichi come strettamente pro-
fessionale, come per esempio la madre o un’altra parente del fanciullo stesso: così per esempio
ad Aeclanum Cn. Ennius Dexter ricorda in CIL IX, 1154 Cantria P. f. Paulla, donna appartenente
ad una famiglia notabile, in quanto sacerdos Augustae, come mater et nutrix; i medesimi epiteti
ritornano per Ragonia Eutychia di Ostia (CIL XIV, 1539) e per Halicia Severa di Forum Novum,
in Sabina (CIL IX, 4864); nell’epitafio veronese CIL V, 3710 Caravasia Faustina ricorda l’avia
Postumia Paulina come propria nutrix. Un’interpretazione simile si deve forse dare anche a pro-
posito dell’attestazione del termine in un’epigrafe di Parma, da ultimo edita in Suppl. It., n.s. 11,
pp. 141-142, n°2, nella quale alle ll. 8-9 viene menzionata una tal Livia Benigna, uxsor et nutrix,
cui seguono i resti di una lettera; l’editrice della sezione parmense dei Supplementa Italica, M.G.
Arrigoni Bertini, suggerisce in effetti le integrazioni nutrix m≥[aterque] o nutrix n≥[ atorum].
1935 Vd. principalmente Treggiari, Jobs for Women, cit., pp. 88-89; Kampen, Image and Status,
cit., p. 109, nota 6; Bradley, Wet-Nursing, partic., tav. 8.1 a pp. 204-206; Günther, Frauenarbeit,
cit., pp. 78-100; Eichenauer, Untersuchungen, cit., pp. 275-282; Evans, War, Women and Chil-
dren, cit., pp. 213-215; in questi contributi si troverà uno spoglio esaustivo dei materiali pub-
blicati in CIL VI. Tra i materiali pubblicati in data posteriore rimando exempli gratia ad AE
1988, 75; N. Petrucci in Inscriptiones Latinae Liberae Rei Publicae, cit., pp. 302-303 = AE 1991,
125.
1936 Cf. Bradley, Wet-Nursing, cit., p. 202; p. 222, nota 6.
538 Parte II. I documenti

prov(inciae) Cappad(ociae), cur(atori) oper(um) locor(um)q(ue)


publ(icorum), praef(ecto) aerar(i) Saturn(i), proco(n)s(uli) Sicil(iae), logiste /
Syriae, leg(ato) leg(ionis) XVI Fl(aviae) F(irmae), cur(atori) rei p(ublicae) /
Narbon(ensium) item Anconitanor(um) item / Tarricin(ensium), curat(ori)
viar(um) Clodiae Cassiae / Ciminae, pr(aetori), aed(ili) pl(ebis), q(uaestori)
Ponti et Bithyn(iae), / trib(uno) laticl(avio) leg(ionis) IX Hispan(ae), III vir(o)
kapit(ali), / patr(ono) col(oniae). / Rasinia Pietas, nutr(ix) filiar(um) eius /
s(ua) p(ecunia) p(ublice). L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
5. CIL I2, 45 dal tempio di Diana Nemorense: Diana mereto, / noutrix Paperia.
6. CIL XIV, 486 da Ostia: Musa, verna / Caisaris, vix(it) an(nis) / XXII,
Praesens / Pepli f(ilius) nutrici / suae sanctissimae.
7. CIL XIV, 952a da Ostia: ------ / mesi[bus ---], / ab Egr[ilia ---], / nut[rice ---]
/ ------.
8. CIL XIV, 1510 da Ostia: [Dis M]anibus. / [---] Primigenio / [---]a Callicore /
[---] carissimo / [--- fec]it et / [---]que suorum, / [---]ebe, nutrici Hypatiani.
9. AE 1985, 166 da Ostia: [---]RA[.]A[---] / [--- A]ntiochi [---] / [---] Adriano
[---] / [---]o nutrici [---] / [--- e]t suis lib[ertis ---] / [---]te [---].
10. CIL XIV, 3721 = InscrIt IV, I, 262 da Tibur: D(is) M(anibus). / [Aeli]ae
Germanae, divi / [Had]riani nutrici, et Aelio / [---]no, filio eius. Inscripserunt /
[Aeli]a Hermione, Aeli Felicis, / [alu]mni eorum coniunx, / et fil(ii) eorum, sibi
libertis liberta/[busq]e posterisque eorum1937.
11. CIL XIV, 2716 da Tusculum: C(aio) Iulio Eroti, / Myrsini, / Ammiae, nu-
trici, / Iuliae Elpine, / Arescu[sae], / ------.
12. CIL XIV, 2752 da Tusculum: Tyche, / nutrici1938.
13. AE 1989, 135 rinvenuta in reimpiego a Ninfa, nel territorio di Ulubrae, ma
di provenienza non accertata con sicurezza1939: Claudiae / Frequenti, feminae /
simpliciss(imae), vix(it) an(nos) LX. / Honoratus publicus / sod(alium)
Aug(ustalium) nutrici suae / b(ene) m(erenti).
14. CIL X, 2185 da Puteoli: D(is) M(anibus). Caeciliae / Eupraesiae. Sabina
nutrici su/ae b(ene) m(erenti) f(ecit).
15. CIL X, 2669 da Puteoli: Lucceia Herophil(e), / Balbi l(iberti) nutrixs (!), /
P(ublius) Carpinarius P(ubli) l(ibertus) Hilarus.
16. CIL X, 3112 da Puteoli: D(is) M(anibus). / Victoria que / vixit annos / V et
menses II, d(ies) XX. Servea Mar/cellina, nu/trix, ben(e merenti) fecit.
17. CIL IX, 1278 da Aeclanum: Memoriae / Lucceio patr/o{i}no. Adv<e>nta ? /
nu(trix ?) b(ene) m(erenti) f(ecit).
18. AE 1980, 326 da Brundisium: Birria Cognit[a], / P(ubli) Birri Galli
nut(rix), / v(ixit) a(nnos) LX h(ic) s(ita).

1937 Pubblicata come urbana anche in CIL VI, 10909 e come tale considerata da Bradley, Wet-
Nursing, cit., p. 205 e da Günther, Frauenarbeit, cit., p. 88; dovrebbe tuttavia venire da Tibur,
anche se effettivamente per qualche tempo venne conservata a Roma, in casa Vescovali, cf. lemmi
a CIL XIV, 3721 e a InscrIt IV, I, 262.
1938 L’identità del testo e del supporto monumentale, un’urna cineraria, induce a sospettare che
anche questo documento sia stato ripubblicato tra i testi urbani, come CIL VI, 38999.
1939 Vd. il commento al testo in H. Solin, Urnen und Inschriften. Erwägungen zu einem neuen
Corpus römischer Urnen, «Tyche», 4 (1989), pp. 151-152.
Parte II. I documenti 539

19. CIL IX, 347 = Chelotti et alii, Le epigrafi romane di Canosa, cit., I, p. 92-
93, n°56 da Canusium: A(ulo) Dasimio A(uli) l(iberto) Sodalae, / Aug(ustalis),
/ Muciae Maximae, / Sex(to) Mucio Maximo, Aug(ustalis), / Albiae C(ai)
l(ibertae) Certae, matri, / Clodiae Iucundae, nutrici, / ex testamento Muciae
Maximae.
20. CIL IX, 226 da Uria: Aste Cae/saris n(ostri) / ser(va) vix(it) / ann(is) LV, /
fec(it) Silva/nus nutri/ci / b(ene) m(erenti). / H(ic) s(ita) e(st).
21. CIL X, 30 da Locri: D(is) M(anibus). / Ediste, nutrix dominorum su/orum,
vixit annis XXXV, men(sibus) III. / Caerellius Felicio, maritus, / coiugi pientis-
simae et [---]/ciplinae integrissi[---] / cuius et labori et C[---] / [---] et experienti
[---] / [------] / [------].
22. CIL IX, 3009 da Anxanum: [---]ata lib(erta) / [---]iae. / [---] felicis cerne
viator / [---]s cara superstibus / [---] dedit uberis anxia lactem / [---]ratus ho-
nore dedit / [--- nu]trici fecit alumnus / [---] Manibus huncinerem (!).
23. CIL IX, 6334 da Corfinium: Suntla / Sabdia, nutr(ix).
24. CIL IX, 3730 da Marruvium: L(ucio) Laberio P(ubli) l(iberto) / Lupo,
v(ixit) an(nis) XXX, / Pompulla Nemaesis, nutrix, p(osuit).
25. CIL IX, 3040 da Teate Marrucinorum: Vibsaniae (!) Severae, / Vibsanius
Vales (!), / avunculus, et Vibsania (!) Capriola, nutrix, / b(ene) m(erenti)
f(ecerunt).
26. CIL XI, 4433 da Ameria: ------ / qui vix(it) a/n(nis) XVI, m(ense) I, / d(ie) I.
Alli / Castus et / Priscilla / filio dul/cissim(o), / et Alli Pri/manus et / Polytimus /
fratri et / Hermion/e, nutri/x, b(ene) m(erenti) f(ecerunt).
27. CIL XI, 4604 da Carsulae: ------ / Calvediae / Q(uinti) l(ibertae) / Primae, /
nutrici. / Q(uintus) Calvedius Tuendus, / Q(uintus) Calvedius Commodus.
28. AE 1914, 276 = CIL XI, 7856 da Carsulae: L(ucius) Sentius L(uci) ((mu-
lieris)) lib(ertus) Lucrio, sibi et Pontiae L(uci) f(iliae) Proculae, ux(ori), et
L(ucio) Sentio L(uci) f(ilio) Pietati, vix(it) ann(is) XVII, m(ensibus) IX, die(bus)
VII, / et Speratae libert(ae), nutrici fili. Segue un carme sepolcrale dedicato al
giovane L. Sentius Pietas.
29. AE 1989, 213, ascritta a Nursiae, ma probabilmente di origine urbana, cf. R.
Cordella - N. Criniti, Nuove iscrizioni latine di Norcia, Cascia e Valnerina,
Spoleto 1988, pp. 195-196: Calpurniae / Philiae, assae nutrici / Torquati fili, /
[Cal]purnius Thybris / [con]iugi b(ene) m(erenti).
30. CIL XI, 6345 = Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum I, cit., pp. 244-245,
n°56 da Pisaurum: D(is) M(anibus). Mariae / Marcellinae, nutrici (!) suae, / et
Caedi Rufini, / conlactanei. / C(aius) Tadius Sabi/nus, mil(es) coh(ortis) II
pr(aetoriae), / bene merentib(us).
31. CIL XI, 5793 da Sentinum: D(is) M(anibus). / Veneriae, / nutrici b(ene)
m(erenti), / conservae, / Adiectus / posuit. / H(ic) s(ita) e(st).
32. CIL XI, 4991 = CLE 1845 = Cordella - Criniti, Nuove iscrizioni, cit., pp.
186-187 dall’Abbazia di S. Pietro in Valle, nel territorio di Spoletium, ma pro-
veniente dalla vicina Sabina: ------ / Chreste nutric[i fecimus] / hunc tumulum. /
Occidit haec Liby[cis comitans], / nos grandis a[b oris] / per freta per terr[as
sedula] / dum sequ[itur]./ Corpus habet tellu[s et pallida] / membra, sed illinc /
------.
540 Parte II. I documenti

33. AE 1996, 657a da Suasa: Perverisse mi(hi) V / nutrici X / Ioli [---] / sce[---
]i [---].
34. CIL XI, 1986 da Perusia: Flora, / Cestiae nutrix.
35. CIL XI, 2609 da Populonia: D(is) M(anibus). / Cornel[---], / vixit m[enses]
/ IIII, Tyce, [nut]/rix pien[tissi]/ma mere[nti f]/ecit.
36. CIL XI, 1524a = InscrIt VII, I, 115 da Castelnovo della Misericordia, nel
territorio del Portus Pisanus: [Q(uintus) Attius ?] Q(uinti) f(ilius) Gal(eria
tribu) / [---] f(ilio), patri, et / [---], f(iliae), Fulvillae, / [uxori ?, q(uae) v(ixit)]
ann(os) XXIX / [---] L(uci) f(iliae) Maxumae, / [nutrici ?] Q(uinti) Atti [---].
37. Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 719 da Aquileia: Galgestiae / ((mu-
lieris)) l(ibertae) Aptae, / nutrici / Tertullae.
38. CIL V, 3950 dal Pagus Arusnatium: Clodiae, / vernae / nutrici.
39. AE 1972, 203 = InscrIt X, V, 163 da Brixia: L(ucius) Nutrius C(ai) f(ilius)
Gallus / sibi et Cominiae / Secundae, nutrici / suae, et C(aio) Nutrio C(ai) f(ilio)
/ Gallo, mil(iti) leg(ionis) VII Hisp(anae), / et Secundo lib(erto) et / Primigenio
lib(erto) et Tertio / et Venustae t(estamento) f(ieri) i(ussit).
40. CIL V, 1990 (cf. p. 1066) da Opitergium: Carmin[---] / C(ai) f(iliai)
Mina+[---] / et Stact[e] / nutrici [---].
41. CIL V, 6827 = InscrIt. XI, I, 36 da Issogne, nel territorio di Augusta Prae-
toria: D(is) M(anibus). / Cassiae / Priscae. / Cassius / Karicus / nutrici / bene
me/renti1940.
42. CIL V, 5492 da Lentate: Diristae nutriciaes (!) / qui vixit annos XXVII.
Compito primario della nutrix era di allattare i bambini, ma le sue funzioni
non si esaurivano qui. Le balie dovevano accudire i lattanti loro affidati in ogni
bisogno e di fatto erano le prime educatrici dei fanciulli romani, prima ancora
che questi venissero affidati ai maestri elementari: per questo motivo
Quintiliano sottolineava che le nutrices dovevano essere scelte tra le ragazze
con una buona dizione, da loro infatti i bambini avrebbero sentito le prime pa-
role e loro avrebbero cercato di imitare iniziando a parlare1941. Ovviamente
questo non era l’unico requisito che si richiedeva ad una nutrix: nel leggere il
capitolo dei Gynecologica di Sorano di Efeso dedicato alla scelta della balia si
rimane colpiti dalla puntigliosità con la quale si enumerano le svariate caratteri-
stiche fisiche e morali che queste ragazze dovevano avere1942; e non si trattava
solo di teoria: alcuni dei precetti di Sorano trovano puntuale conferma nei con-
tratti di baliatico dell’Egitto romano, come per esempio la proibizione di avere
rapporti sessuali o di rimanere incinta nel periodo di allattamento1943.

1940 Erroneamente riedita come CIL V, 7277 tra le iscrizioni di Segusio.


1941 Quintil., Inst. Orat., I, 1, 4-5. Sui compiti delle nutrices vd. soprattutto Herzog-Hauser,
Nutrix, coll. 1493-1498, partic. 1495-1497 per il mondo romano, e Maxey, Occupations, cit., pp.
54-55. Per un confronto con l’Atene classica Kosmopoulou, Working Women, cit., 285-286.
1942 Sor., II, 8; su questo passo vd. Jackson, Doctors and Diseases, cit., p. 103; Evans, War, Wo-
men and Children, cit., p. 128 e il commento curato da P. Burguière - D. Gourevitch - Y. Malinas,
Soranos d’Éphèse. Maladies des femmes, II, Paris 1990, pp. 94-97 nella recente edizione d i
Sorano pubblicata nella Collection des Universités de France.
1943 Cf. Bradley, Sexual Regulations, cit., pp. 321-325; Evans, War, Women and Children, cit.,
pp. 128-129.
Parte II. I documenti 541

L’uso di affidare a balie i propri figli per l’allattamento era diffuso nel
mondo romano, in particolare tra le famiglie aristocratiche, ma non solo in
quelle: non è raro in effetti trovare lattanti di condizione servile assegnati alle
cure di una nutrix: tra le attestazioni raccolte per l’Italia romana spicca il caso
dello schiavo pubblico dei sodales Augustales di Ulubrae, Onorato, che curò
l’epitafio della sua vecchia nutrice Claudia Frequente (n°13); di condizione ser-
vile, almeno a giudicare dalla loro formula onomastica potrebbero essere stati
anche gli alumni Victoria (n°17) e Silvanus (n°20)1944. In molti casi si doveva
trattare di bambini esposti dai genitori e raccolti da chi intendeva tenerli come
schiavi, una pratica esplicitamente attestata dai contratti di baliatico dell’Egitto
romano1945.
Se in questi frangenti la scelta era obbligata, il ricorso ad una nutrix do-
veva talvolta imporsi anche per bambini che non erano stati abbandonati: oltre
a ragioni di prestigio, particolarmente sentite dalla donne di condizione sociale
elevata1946, vi erano casi in cui la madre non aveva latte sufficiente o era tem-
poraneamente troppo debole per allattare il neonato o ancora, come purtroppo
spesso accedeva, era morta per le conseguenze del parto.
Dall’estrema delicatezza dei compiti delle balie discende la valutazione
sociale del loro mestiere a Roma, che presenta diverse sfaccettature. A chi con-
trapponeva l’idealizzato modello educativo della Roma arcaica alla realtà assai
diversa del suo presente, la nutrix appare come un’estranea, spesso straniera e di
dubbia reputazione, che si insinua tra genitori e figli, rubandone l’affetto e ter-
rorizzando i bambini con le sue sciocche favole1947.
D’altra parte tra le nutrici e i bambini loro affidati sembrano spesso es-
sersi creati dei rapporti di sincero affetto che a volte si prolungarono nel
tempo: gli episodi classici, sempre richiamati a questo proposito, sono quelli
delle balie di Nerone Egloge e Alexandria che, insieme alla concubina Atte, cu-
rarono la sepoltura delle imperatore nel 68 d.C. e dell’agellum donato da Plinio
alla sua vecchia balia1948.

1944 Per i pupilli di condizione servile nella documentazione epigrafica di Roma vd. Treggiari,
Jobs for Women, cit., pp. 88-89; Bradley, Wet-Nursing, cit., pp. 203-213.
1945 Vd. Manca Masciandri - Montevecchi, I contratti di baliatico, cit., pp. 11-12, con rimandi
alla documentazione rilevante.
1946 Vd. partic. Iuven., 6, 352-354 in cui l’aristocratica decaduta Ogulnia, per dar sfoggio d i
grandeur e per poter assistere ai giochi, nolleggia un abito, una scorta, una lettiga e, appunto,
una nutrice; cf. Maxey, Occupations, cit., p. 54.
1947 La migliore testimonianza di questo atteggiamento si trova in Tac., Dial., 28-29; commenti
a questo e ad altri passi da cui emerge un atteggiamento di diffidenza, quando non di aperta
condanna, nei confronti delle balie in Neraudau, Être enfant, cit., pp. 281-283; Saller, Slavery,
cit., pp. 79-81; Dixon, Roman Mother, cit., pp. 120-125 e soprattutto in F. Mencacci, La balia
cattiva: alcune osservazioni sul ruolo della nutrice nel mondo antico, «Vicende e figure fem-
minili in Grecia e a Roma. Atti del convegno. Pesaro 28-30 aprile 1994», a cura di R. Raffaelli,
Ancona 1995, pp. 227-237.
1948 Vd. rispettivamente Suet., Ner., 50, 2 e Plin., Ep., VI, 3. Sul lato positivo del ritratto della
nutrix romana vd. particolarmente Maxey, Occupations, cit., p. 54; Bradley, Wet-Nursing, cit.,
pp. 220-221; Neraudau, Être enfant, cit., pp. 284-285. Per un confronto con la situazione
dell’Atene classica Kosmopoulou, Working Women, cit., p. 286; 290-291.
542 Parte II. I documenti

L’affetto che legava le balie ai loro pupilli è peraltro dimostrato chiara-


mente anche dalla documentazione epigrafica, in particolare ove le nutrices ap-
paiono come dedicanti nelle iscrizioni sepolcrali dei loro alumni, come forse è il
caso nell’iscrizione di Urbs Salvia e come in alcuni dei testi sopra elencati1949. I
medesimi sentimenti sono mostrati dai numerosi epitafi posti alle balie dai
pupilli stessi o dai loro familiari1950.
Certamente dalla documentazione epigrafica si ha l’impressione che le
nutrices fossero strettamente integrate nella famiglia presso la quale prestavano
servizio1951: gli stessi aggettivi che talvolta le qualificano sono i medesimi che
compaiono per i consanguinei, come in particolare bene merens1952, ma anche
sanctissima (n°6) e simplicissima (n°13). Nel medesimo senso depongono
espressioni di tenerezza, come mamma o mammula, che talvolta si incontrano
nelle epigrafi urbane a proposito delle nutrici1953.
Il ricordo dell’alumnus non è infrequente anche negli epitafi di nutrices
dedicati dai congiunti di queste ultime, nei quali dunque tale elemento non è im-
mediatamente funzionale alla comprensione della genesi dell’iscrizione; in questi
testi si può dunque presumere che il pupillo fosse menzionato per accrescere il
prestigio della balia, sottolineando il suo rapporto, anche affettivo, con un
personaggio di fama1954: così per esempio nel caso di Rasinia Pietas, balia delle
figlie di L. Burbuleius Optatus Ligarianus, che pose una dedica a questo impor-
tante personaggio, console suffeto in età adrianea (n°4)1955 o in quello di Aelia
Germana, che era stata addirittura nutrix del futuro imperatore Adriano (n°10);
lo stesso formulario ritorna nelle epigrafi n°18 per Birria Cognita, P. Birri Galli

1949 Vd. i nn. 16; 26; 35. Dubbi i casi delle testimonianze nn. 3; 7; 24; 25, nei quali il genere d i
relazione esistente tra la balia e il defunto non viene specificato, né l’indicazione dell’età del
decesso permette di verificare se si trattasse di un bambino o di giovane.
1950 Cf. per esempio le iscrizioni nn. 2; 6; 13; 14; 20; 27; 30; 39; 41. Si vedano a questo propo-
sito anche i testi n°1, in cui la balia Casperia Zotice riceve sepoltura nella medesima area che
aveva accolto il corpo del suo alumnus L. Casperius Faustus, a cura dei genitori del fanciullo,
n°19, nel quale Mucia Maxima prevede per disposizione testamentaria di riservare un posto nella
propria area sepolcrale a colei che verosimilmente era stata la sua balia, Clodia Iucunda, e n°28,
ove L. Sentius Lucrio provvede all’area sepolcrale per i membri della sua famiglia e per la nutrix
del figlio.
1951 Cf. Günther, Frauenarbeit, cit., pp. 86; 96, che nota nella documentazione urbana relativa
alle nutrices come il ruolo dei parenti di sangue delle balie sia assai più limitato rispetto a
quello esercitato dagli alumni e dei loro genitori. Il graffito recentemente pubblicato da G.
Lepore, Due graffiti parietali dalla domus dei Coiedii di Suasa, «Ocnus», 4 (1996), pp. 113-
124, partic. pp. 117-118 (cf. supra, p. 540, il n°33), in cui un’anonima nutrix riceve 10 oggetti
non meglio specificati, lascia l’impressione che la balia fosse una persona di famiglia nelle do-
mus dell’aristocrazia municipale.
1952 Cf. nn. 13; 14; 20; 30; 31, iscrizione posta da un conservus, forse legato alla nutrix da u n
rapporto di tipo coniugale; 41.
1953 Vd. per esempio CIL VI, 18032: mamma idem nutrix; CIL VI, 16450 = ILS 8532: nutrix et
mammul(a). Cf. l’epiteto cresthv nelle iscrizioni delle nutrici dell’Atene classica, Kosmopoulou,
Working Women, cit., pp. 290-291
1954 Cf. particolarmente Günther, Frauenarbeit, cit., p. 83, che rileva come in questi casi il nome
di mestiere, seguito dal nome del pupillo in genitivo, divenisse una sorta di titolo onorario.
1955 Sul personaggio vd. W. Henze, Burbuleius 2, «P.W.», III, 1 (1897), col. 1060; PIR2 B 174.
Parte II. I documenti 543

nutrix, n°21 per Ediste, nutrix dominorum suorum, n°34 per Flora, Cestiae
nutrix, n°37 per Galgestia Apta, nutrix Tertullae: se a noi i nomi di questi
alumni ormai non dicono molto, le cose dovevano stare diversamente al tempo
in cui gli epitafi vennero incisi, quando questi riferimenti a persone di una certa
notorietà locale dovevano essere immediatamente comprensibile ai più.
Per quanto concerne la condizione sociale delle nutrices, il mestiere di ba-
lia era considerato da Dione Crisostomo come umile ma onesto, in teoria non
indegno di una donna di nascita ingenua1956. Effettivamente nei contratti di ba-
liatico abbiamo qualche esempio di nutrici di libera condizione1957. Il quadro of-
ferto dalla raccolta di attestazioni epigrafiche dell’Italia romana è tuttavia a
prima vista differente: l’unico personaggio di nascita ingenua è [---] L. f.
Maxuma dell’iscrizione n°36, la cui funzione di nutrix è peraltro solo congettu-
rale, pur se verosimile1958.
Nella documentazione epigrafica dell’Italia romana1959 le nutrici che indi-
cano esplicitamente la propria condizione giuridica sono in prevalenza li-
berte1960. Molti tuttavia i casi incerti di donne con gentilizio che omisero di ri-
cordare il patronimico o il patronato1961: alcune tra queste balie hanno il mede-
simo nomen del loro pupillo e si può presumere che fossero state affrancate
dalla stessa famiglia presso la quale prestavano il loro servizio: così in partico-
lare la già ricordata Elia Germana, nutrix di Adriano e senza dubbio liberta impe-
riale (n°10)1962. Non si può escludere che in qualche altro caso ci troviamo da-
vanti a balie di nascita ingenua.
In qualcuna delle attestazioni la nutrix presenta un nome unico, possibile
indizio di condizione servile1963; schiave imperiali erano certamente la verna
Caesaris Musa del testo n°6 e Aste, Caesaris nostri serva dell’epigrafe n°20;
serviva in una familia privata di Locri invece la balia Ediste dell’epitafio n°21 e
probabilmente Veneria, definita conserva dal dedicante della sua iscrizione se-
polcrale (n°31), nonché la Clodia dell’epitafio n°38, se qui il termine verna non
ha un valore cognominale.

1956 Dio Chrys., VII, 114.


1957 Le testimonianze sono raccolte da Bradley, Sexual Regulations, cit., pp. 321-322, nota 4.
1958 Cf. anche la situazione a Roma, ove nessuna delle nutrices note da iscrizioni presenta il pa-
tronimico, vd. Günther, Frauenarbeit, cit., p. 79.
1959 Ma il quadro si ripropone sostanzialmente nei medesimi termini anche nella città di Roma,
cf. soprattutto Bradley, Wet-Nursing, cit., p. 203.
1960 Vd. nn. 1; 3; 17; 27; 28; 37.
1961 Vd. nn. 2; 4; 10; 13-16; 18; 19; 23-25; 27; 29; 30; 39; 41.
1962 Vd. anche le balie attestate dalle iscrizioni nn. 18; 25; 41. Una casistica simile è offerta
dalle iscrizioni relative a nutrices a Roma, cf. Kampen, Image and Status, cit., p. 109.
1963 Vd. la Paperia dell’epigrafe repubblicana n°5, anche se in questo caso l’elemento onoma-
stico pare piuttosto un gentilizio e comunque ci troviamo davanti ad un’iscrizione votiva, una
classe di documenti nella quale non di rado si incontrano formule onomastiche semplificate; cf.
anche le iscrizioni nn. 11; 12; 26; 32; 34; 35; 40; 42. Nell’Atene classica la maggior parte delle
nutrici sembra essere stata di condizione servile, sebbene non manchino liberte, straniere e qual-
che cittadina, cf. Kosmopoulou, Working Women, cit., pp. 286; 290-291.
544 Parte II. I documenti

L’esame della casistica parallela dunque conferma sostanzialmente


l’attendibilità della ricostruzione sopra proposta per i rapporti delineati dalla la-
cunosa iscrizione urbisalviense: Multasia Felicitas era stata con ogni probabilità
balia dell’anonimo defunto, affrancata da quel Multasius Felix nel quale si deve
riconoscere verosimilmente il padre del giovane titolare dell’epitafio. Le ragioni
che indussero Felicitas a rimanere presso la famiglia dei Multasii ben oltre l’età
di svezzamento del pupillo, morto all’età di 15 anni, possono solo essere ipo-
tizzate: forse la ragazza si occupò di allevare anche altri bambini della famiglia,
o forse ancora finì per occupare nella famiglia quel ruolo femminile che la
madre del defunto, la cui assenza nell’epitafio sembra indicare una morte pre-
matura, aveva lasciato libero.
Immagine: Tavv. LXXII-LXXIII. Immagine di una copia moderna, in parte e-
semplificata sull’originale, in Gasperini et alii, Lapidario, cit., tav. XIII.
Parte II. I documenti 545

Urbs Salvia 7

Edizione di riferimento: S.M. Marengo, Quattuorviri a Urbs Salvia: un pro-


blema aperto, «Picus», 10 (1990), pp. 199-209 (= AE 1993, 595).
Altre edizioni: Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., p. 68, n°83.
Bibliografia: Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., p. 21.
Luogo di ritrovamento: non si ha nessuna indicazione sulla precisa prove-
nienza dell’iscrizione; la località di conservazione lascia pensare che si tratti di
un documento pertinente ad Urbs Salvia.
Luogo di conservazione: ad Urbisaglia, nell’abitazione del parroco di S.
Lorenzo, in via Roma 2 (autopsia maggio 2001)1964.
Tipo di supporto: frammento di pietra locale di forma quadrangolare, mutilo su
tutti i lati1965.
Collegio: collegium fabrum ?
Datazione: la paleografia e l’uso della sigla b(ene) m(erenti) orientano
l’editrice a proporre una datazione tra I e II sec. d.C.1966
Testo: ------ / IIII vir[---] / [---] quaes[t---] / [---] fabr(um) [---] / [--- coniu]gi
b(ene) m(erenti) [---] / [--- et] sibi [---].
l. 5: la seconda I di sibi è longa.
Commento
Quanto rimane della lacunosa iscrizione lascia chiaramente intendere che
ci troviamo di fronte ad un epitafio. Riguardo alla struttura del testo, l’editrice
S.M. Marengo ha giustamente notato come siano possibili due soluzioni. Nella
prima, il nome del defunto era seguito dal suo cursus honorum, che si svilup-
pava nelle ll. 1-3 del testo conservato, poi dal ricordo del nome della dedicante,
moglie del defunto (ll. 3-4)1967, cui seguiva la consueta formula coniugi b(ene)
m(erenti)1968 e infine un’espressione con la quale si indicava che la dedicante
aveva predisposto anche per sé stessa un sepolcro nell’area1969.
Nella seconda ipotesi, che parrebbe meglio adattarsi a quanto rimane del
testo, l’iscrizione sepolcrale sarebbe relativa ad una donna, il cui nome doveva
comparire in evidenza all’inizio del testo; seguivano il nome del marito, che ne

1964 Marengo, Quattuorviri, cit., p. 199.


1965 Marengo, Quattuorviri, cit., p. 199.
1966 Marengo, Quattuorviri, cit., p. 199, nota 1.
1967 Ad Urbs Salvia questo tipo di struttura si ritrova in CIL IX, 5538 (ripresa da G. Paci i n
Gasperini et alii, Lapidario, cit., pp. 71-72, n°4: L(ucio) Annio L(uci) l(iberto) / Capriolo, / IIII
viro / Annia ((mulieris)) l(iberta) / Antiochis / colliberto / cum filia b(ene) m(erenti); 5540:
D(is) M(anibus). / M(arco) Calvio / Clementi, / IIII vir(o) Urbisal(viensium) / M(arcus) Calvius /
Sabinus patrono / b(ene) m(erenti) et / Calviae Iucun/dissimae, uxori / karissimae. Colpisce che
in entrambi i casi, come nel testo che stiamo esaminando, si faccia menzione di un quattuorviro.
1968 Ad Urbs Salvia attestata in CIL IX, 6366; 6367.
1969 Cf. CIL IX, 6367: D(is) M(anibus). / Salviae C(ai) l(ibertae) / Primitivae / Perses coniugi /
bene merenti et sibi; vd. inoltre supra, p. 532.
546 Parte II. I documenti

curò la sepoltura, con le cariche da lui rivestite e poi gli elementi formulari già
menzionati1970.
Lo stesso cursus honorum del personaggio maschile crea non pochi pro-
blemi, in particolare per l’attestazione del quattuorvirato, peraltro già noto ad
Urbs Salvia1971, dal momento che la comunità picena sembra essere stata piut-
tosto amministrata da praetores1972. L’accurata indagine condotta da S.M.
Marengo ha portato la studiosa ad ipotizzare che i IIII viri di Urbs Salvia non
fossero i magistrati supremi cittadini, ma facessero parte di un organismo colle-
giale assimilabile agli Augustales o ai seviri1973, il che non stupirebbe troppo
nella regio V, che ci restituito non poche attestazioni di collegi legati al culto
imperiale che si allontanano dallo schema più consueto per quanto concerneva
il numero dei loro membri1974; si tratta di un’interessante ipotesi di lavoro, che
si auspica possa essere verificata in base a nuovi elementi.
La soluzione dell’enigma legato al quattuorvirato ad Urbs Salvia potrebbe
portare a chiarire la natura la natura del riferimento che più interessa in questa
sede: a l. 4 in effetti rimangono solamente le lettere FABR, variamente inter-
pretabili. Se effettivamente il nostro IIII vir era semplicemente membro di un
collegio religioso assimilabile all’Augustalità, dunque un esponente di quelli che
sono stati definiti i ceti medi delle comunità italiche, non farebbe difficoltà una
sua appartenenza all’associazione di mestiere dei fabri, per il momento scono-

1970 Lo schema si ripete ad Urbs Salvia in CIL IX, 5534: D(is) [M(anibus) s(acrum). / Ataliae
C(ai) f(iliae) / Sabinae / M(arcus) Molletius M(arci) f(ilius) / Cor(nelia tribu) Valens, aed(ilis),
/ uxori sanctissim(ae) / et C(aius) Publicius Florus / et Terentia / Moderata [parent]es / filiae
piissimae; vixit an(nis) XXIIII, / m(ensibus) V, dieb(us) XVIIII.
1971 La documentazione è raccolta e studiata da Marengo, Quattuorviri, cit., pp. 204-206. I quat-
tuorviri sono ritenuti magistrati supremi di Urbs Salvia, almeno in una fase dell’evoluzione
istituzionale della città U. Laffi, Sull’organizzazione amministrativa dell’Italia dopo la guerra
sociale, «Akten des VI. Internationalen Kongresses für griechische und lateinische Epigraphik
(München 1972)», München 1973, p. 48, nota 53 (ora in Studi di storia romana e di diritto,
Roma 2001, pp. 126-127, nota 53); Delplace, La colonie augustéenne, cit., pp. 766-767; 776-
778 (cf. anche la trad. it. del contributo, con modifiche minime: La colonia augustea, cit., pp.
28-29; 39-40).
1972 Come attestano le epigrafi di L. Flavio Silva Nonio Basso, vd. supra, p. 512, Urbs Salvia 2
e p. 517, Urbs Salvia 3.
1973 Marengo, Quattuorviri, cit., pp. 200-209; l’ipotesi è ora ripresa da Delplace, «Culte impé-
rial», cit., p. 425.
1974 Per le discusse attestazioni di IIII viri Augustales di CIL IX, 5655, da Trea, e di 5561, da
Rambona, si rimanda alla discussione e alla bibliografia di Marengo, Quattuorviri, cit., p. 208 e
nota 26; cf. anche Delplace, «Culte impérial», cit., p. 425, a proposito del documento di Trea. Per
quanto riguarda i V viri si rimanda a quanto scritto supra, pp. 506-507. VIII viri sono attestati a
Falerio (CIL IX, 5447; 5451) e a Firmum (CIL IX, 5367; 5371-5374); nelle stesse due località
sono presenti anche VIII viri Augustales (cf. CIL IX, 5446: VIII vir Augustalis Firmi et Fa-
lerione); a Falerio vd. CIL IX, 5422 ( = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo,
cit., pp. 87-89); 5448; cf. anche il frustulo CIL IX, 5158 da Truentum, nel quale altro non rimane
che la menzione di un VIII vir, che potrebbe essere anche un magistrato municipale della stessa
Truentum o della vicina Interamnia, cf. Campanile - Letta, Studi sulle magistrature indigene,
cit., p. 46; Delplace, Romanisation, cit., p. 233; sull’ottovirato come collegio legato al culto im-
periale nel Piceno si veda Abramenko, Mittelschicht, cit., pp. 38-39; 90 e nota 35; Delplace, Ro-
manisation, cit., pp. 232-233.
Parte II. I documenti 547

sciuta a Urbs Salvia, forse nella posizione di quaestor collegi, come ipotizza la
Marengo1975: in effetti i casi di Augustales, o simili, che ebbero contemporane-
amente un qualche ruolo direttivo nelle associazioni di mestiere sono ben
noti1976; un esempio si ha nella stessa regio V, a Ricina, ove forse si fa men-
zione di un personaggio che fu VI vir Augustalis e magister del locale collegium
fabrum; l’epigrafe è peraltro assai lacunosa e le restituzioni proposte devono
essere considerate come del tutto ipotetiche1977. Per quanto concerne più speci-
ficamente i quaestores delle associazioni di mestiere, il pur non numeroso cor-
pus di testimonianze relative ci restituisce almeno tre esempi di funzionari che
furono anche membri dei sodalizi religiosi che si occupavano del culto imperiale:
i primi due casi ci riportano a Comum, dove conosciamo un tal L. Apicius
Bruttidius Soterichus, che fu VI vir urb(anus) e quaestor nella centuria centona-
riorum dolabrariorum scalariorum (CIL V, 5446) e un T. Tadius T. f. Ouf.
Catianus, VI vir urb(anus) e quaestor collegi centonariorum (CIL V, 5447
dall’ager comensis)1978; a Lugdunum è invece noto L. Sabinius Cassianus, che
divenne Augustalis e quaestor corporis dendrophorum (CIL XIII, 2026).
Se al contrario si ritiene che il quattuorvirato fosse una magistratura mu-
nicipale di Urbs Salvia, sembra più difficile pensare che il notabile che lo rivestì
potesse aver contemporaneamente detenuto una qualche carica nell’associazio-
ne professionale dei fabri, anche se per la verità qualche sporadico esempio in
questo senso è noto1979. Sembra dunque più probabile che il nostro anonimo
personaggio, se veramente intraprese una carriera municipale che lo portò alla
questura e al quattuorvirato, abbia assunto il patronato del locale collegio dei
fabri1980.
Non è tuttavia da escludere che a l. 4 si trovasse il ricordo dell’ufficio di
praefectus fabrum, dietro il quale si possono celare due funzioni nettamente dif-
ferenziate: da un lato un incarico nello stato maggiore di un comandante dotato
di imperium, dall’altro un posto di carattere civile legato alle associazioni dei
fabri, le cui funzioni specifiche ci sfuggono, ma che tuttavia era forse stretta-

1975 Marengo, Quattuorviri, cit., p. 200; cf. Mennella - Apicella, Corporazioni, cit., p. 21.
1976 Cf. Waltzing, Étude, cit., I, p. 398 e soprattutto gli indici dei magistri che erano anche seviri
Augustales (IV, p. 356); nessun indice in Royden, Magistates, cit., aiuta a rintracciare rapida-
mente i magistri che ebbero l’augustalità o un sacerdozio assimilabile (la trattazione concer-
nente gli Augustales a pp. 22-23 è piuttosto un rapido inquadramento generale del problema,
senza riferimenti specifici al rapporto tra la carica e i collegia professionali). Si veda, di con-
verso, anche la discussione dei rapporti con le associazioni di mestiere nei contributi dedicati
all’augustalità, in particolare Abramenko, Mittelschicht, cit., pp. 134-142.
1977 Vd. supra, pp. 449-450, nel commento all’iscrizione Ricina 3.
1978 Sui due testi vd. ora Boscolo, Due iscrizioni, cit., pp. 91-105.
1979 Cf. CIL XIV, 409 = ILS 6146 da Ostia, nella quale Cn. Sentius Cn. f. Cn. n. Ter. Felix, che fu
tra l’altro II vir e quaestor iuvenum ad Ostia, appare anche come quinquennalis del corpus cura-
torum navium marinarum, nonché membro onorario di diverse associazioni di mestiere; CIL IX,
3923, epitafio di L. Marculeius Saturninus, che ad Alba Fucens giunse alla questura e al duovi-
rato iure dicundo, rivestendo al tempo stesso la carica di quinquennalis nel locale collegium dei
fabri tignuarii.
1980 Per i magistrati municipali del Piceno scelti come patroni dalle associazioni di mestiere vd.
infra, pp. 598-601.
548 Parte II. I documenti

mente connesso con il servizio di spegnimento degli incendi assolto dal colle-
gium. Non sempre è agevole distinguere a quale delle due funzioni si alluda di
volta in volta nei singoli documenti, in particolare ove si tratti, come nel caso
in esame, di testi lacunosi1981. Le attestazioni rilevanti nel Piceno sono le se-
guenti:
1. CIL I2, 1911 = IX, 5191 = ILLRP 549 da Asculum (età triumvirale - augu-
stea): T(itus) Satanus T(iti) f(ilius) / Sabinus, duovir quinto (!) / et duovir /
c(oloniae) A(sculanorum) P(icentium), praef(ectus) fab(rum)1982.
2. CIL I2, 1912 = IX, 5195 da Asculum: ------ / [---]nus duovir / [---]r cur(ator)
agr(orum), [--- praefect]us fabrum1983.
3. CIL IX, 5831 = ILS 6572 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 164-167 da Auximum (età di Antonino Pio): M(arco)
Oppio Capitoni / Q(uinto) Tamudio Q(uinti) fil(io) / T(iti) n(epoti) T(iti)
pr(o)n(epoti) Vel(ina tribu) Milasio Aninio Severo, / equo publ(ico), iudici se-
lect(o) ex V decur(iis), praef(ecto) fabr(um), pont(ifici), q(uin)q(uennalis) II,

1981 In genere sulla praefectura fabrum si veda principalmente H.C. Maué, Der praefectus fa-
brum, Halle 1887; A. Bloch, Le praefectus fabrum, «MB», 7 (1903), pp. 106-131; 9 (1905), pp.
352-378; Liebenam, Fabri, cit., pp. 14-18; E. Kornemann, Fabri, «P.W.», VI, 2 (1909), coll. 1920-
1924; Sablayrolles, Praefecti fabrum, cit., pp. 239-247, le cui conclusioni mi sembrano troppo
nette per essere accettate; S. Demougin, L’ordre équestre sous les Julio-Claudiens, Rome 1988,
pp. 682-684 e nota 15; M. Cerva, La praefectura fabrum. Un’introduzione, «Les Élites munici-
pales de l’Italie péninsulaire de la mort de César à la mort de Domitien entre continuité et rup-
ture. Classes sociales dirigeants et pouvoir central», a cura di M. Cébeillac-Gervasoni, Rome
2000, pp. 177-196, con ulteriore bibliografia a pp. 177-178, nota 1; M. Verzár Bass, Il praefectus
fabrum e il problema dell’edilizia pubblica, ibid., pp. 197-224; particolare attenzione hanno
ricevuto i praefecti fabrum militari, cf. E. Sander, Der praefectus fabrum und die Le-
gionsfabriken, «BJ», 162 (1962), pp. 139-160; B. Dobson, The praefectus fabrum in the Early
Principate, «Britain and Rome. Essays Presented to E. Birley on his Sixtieth Birthday», a cura d i
M.G. Jarrett - B. Dobson, Kendal 1966, pp. 61-84, ora in D.J. Breeze - B. Dobson, Roman Officers
and Frontiers, Stuttgart 1993, pp. 218-241; G. Guadagno, C. Cornelius Gallus praefectus fa-
brum nelle nuove iscrizioni dell’obelisco Vaticano, «Opuscula Romana», 29 (1968), pp. 21-26,
partic. 23-25; D.B. Saddington, Praefecti fabrum of the Julio-Claudian Period, «Römische Ge-
schichte, Altertumskunde und Epigraphik. Festschrift für A. Betz zur Vollendung seines 80. Le-
bensjahres», a cura di E. Weber - G. Dobesch, Wien 1985, pp. 529-546; K.E. Welch, The Office o f
Praefectus Fabrum in the Late Republic, «Chiron», 25 (1995), pp. 131-145, con gli importanti
rilievi di E. Badian, Notes on a Recent List of Praefecti Fabrum under the Republic, «Chiron»,
27 (1997), pp. 1-19. Sul ruolo dei praefecti nei collegia vd. Waltzing, Étude, cit., II, pp. 352-
355; IV, pp. 416-418, con una lista prosopografica; Dobson, Praefectus fabrum, cit., pp. 67-68;
Ausbüttel, Untersuchungen, cit., pp. 72-73. Cf. anche Sablayrolles, Praefecti fabrum, cit., pp.
239-247; Cerva, Praefectura fabrum, cit., pp. 191-194; Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 85-87.
1982 Su questo testo vd. anche CIL I2, 4, p. 1052 e S. Demougin, Attilio Degrassi et les inscrip-
tions républicaines: à propos de ILLRP 549, «Epigrafia. Actes du colloque international
d’épigraphie latine en mémoire de A. Degrassi pour le centenaire de sa naissance. Rome, 27-28
mai 1988», Rome - Paris 1991, pp. 225-249, partic. 236-239 per quanto concerne la carica d i
praefectus fabrum; Paci, Note di epigrafia ascolana II, cit., pp. 16-23; S.M. Marengo, T. Satanus
Sabinus, duovir et duovir C.A.P., «Picus», 23 (2003), pp. 219-226, alla quale si deve la brillante
proposta di scioglimento dell’enigmatica sigla C.A.P. Sul personaggio S. Demougin,
Prosopographie des chevaliers romains julio-claudiens (43 av. J.-C. - 70 ap. J.-C.), Rome 1992,
pp. 43-44, n°30; Delplace, Romanisation, cit., p. 52.
1983 Cf. CIL I2, 4, p. 1052; Demougin, Degrassi, cit., p. 226; Ead., Prosopographie, cit., p. 43.
Parte II. I documenti 549

q(uaestori) IIII, p(atrono) c(oloniae) et p(atrono) c(oloniae) Aesis / et mu-


nic(ipi) Numanat(ium), idem / quinq(uennalis). / Coloni ob merita eius, / in
cuius dedic(atione) cenam col(onis) ded(it). / L(ocus) d(atus) d(ecreto)
d(ecurionum)1984.
4. CIL IX, 5832 = ILS 6573 = Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p.
39, n°5 da Auximum: M(arco) Oppio Capitoni / Q(uinto) Tamudio Q(uinti)
f(ilio) T(iti) n(epoti) / T(iti) pr(o)n(epoti) Vel(ina tribu) Aninio Severo, / equo
publ(ico), iudici select(o) / ex V decur(iis), trib(uno) leg(ionis) VIII /
Aug(ustae), praef(ecto) fabr(um), patrono / col(oniae) Auxim(i) et col(oniae)
Aesis / et munic(ipi) Numanat(ium). / Ordo et plebs Treiens(es) / patrono mu-
nicipi, / curatori dato ab / imp(eratore) Antonino Aug(usto). / L(ocus) d(atus)
d(ecreto) d(ecurionum).
5. CIL IX, 5845 = ILS 3775 = Marengo in Cancrini - Delplace - Marengo,
Evergetismo, cit., pp. 178-180 da Auximum (prima metà del I sec. d.C.): ------?
/ [---]+us, tr(ibunus) mil(itum), praef(ectus) fabr(um), pr(aetor), / [rei
p(ublicae) reliquit ((sestertium)) ((quinquaginta milia)) et fundum
Hermedianum / [et praedia duo] Herenniana ex quo reditu quot / [annis ---]
daretur hostiaque Fidi Augustae inmol[aretur]1985.
6. CIL IX, 5441 da Falerio (età augustea): Q(uinto) Allio Q(uinti) f(ilio) Vel(ina
tribu) / Rufo, / II vir(o) quinq(uennali) ite[r(um)], / flamini August[i], / tribuno
milit[um], / praefecto fabr[um], / praefecto c[oh(ortis)] vel c[lassis] / ------1986.
7. CIL IX, 5445 = ILS 6570 da Falerio: M(arco) Fabio M(arci) f(ilio) V[el(ina
tribu)] / Maximo, aedi/litate remissa, / II vir(o), praef(ecto) fabr(um). / Pleps
patr(ono) col(oniae) / r(ei) p(ublicae) r(emissum) ?
8. CIL IX, 5452 da Falerio: L(ucio) Veianio C(ai) f(ilio) Mamullae, / equo pu-
blic(o), praefect(o) fabr(um), / duo vir(o) iterum, quinq(uennalis), /
d(ecurionum) c(onsulto) publice.
9. AE 1903, 344 da Falerio: ------ / [pr]aef(ect-) fabr(um) / [---]anorum,
prae[f(ect-) / Q vigilum p[---] / [---]oni [---].
10. CIL IX, 5567 da Tolentinum: L(ucius) Quinctius L(uci) f(ilius) Vel(ina
tribu) / Babilianus, praef(ectus) / [f]abr(um) bis, iudex dec(uria) prima, /
Quinctia L(uci) l(iberta) Iconium, / uxor. / Monumentum factum et /
[prob]atum est arbitratu / [---] f(ili) Quir(ina tribu) Torquati.
11. CIL IX, 5645 = ILS 937 da Trea (età tiberiana): M’(anio) Vibio M’(ani)
f(ilio) / Vel(ina tribu) Balbino, / tr(ibuno mil(itum), pr(aefecto) fabr(um),
pr(aefecto) / eq(uitum), q(uaestori), aed(ili) pl(ebis), praet(ori) / aerari,

1984 Sul personaggio vd. Devijver, Prosopographia, cit., II, pp. 618-619; IV, p. 1669; V, p.
2191, O 21.
1985 L’iscrizione è analizzata da Paci, Schede, cit., pp. 164-165. Sull’anonimo personaggio vd.
Devijver, Prosopographia, cit., II, p. 961; V, p. 2311, n°169.
1986 Sul personaggio vd. Devijver, Prosopographia, cit., I, p. 95; V, p. 1997, A 110; Demougin,
Prosopographie, cit., p. 134, n°135; Delplace, Romanisation, cit., p. 46.
550 Parte II. I documenti

leg(ato) divi Aug(usti) et / Ti(beri) Caesaris Aug(usti), proco(n)s(uli) pro-


vinc(iae) / Narbonensis1987.
Per nessuno dei praefecti fabrum del Piceno si può supporre con certezza
una funzione nelle associazioni di mestiere; al contrario, in diversi casi
l’associazione con cariche caratteristiche del cursus honorum equestre, di cui la
praefectura fabrum “militare” era tappa importante (nn. 3-4; 10), l’assunzione
di altri incarichi nell’esercito, come il tribunato militare (nn. 5-6; 11) e la stessa
cronologia alta della testimonianza, in un’età nella quale i collegi di mestiere
non sembrano ancora aver un ruolo rilevante nelle comunità dell’Italia romana
(nn. 1; 2) costituiscono altrettanti elementi in favore della carica militare.
Qualche dubbio può sussistere a proposito della natura dell’incarico rivestito da
M. Fabius Maximus (n°7) e da L. Veianius Mamulla (n°8), personaggi che, per
quanto ci è noto, intrapresero solamente una carriera politica a livello locale.
Un chiarimento decisivo sulla natura delle testimonianze della regio V potrà del
resto venire solo da un riesame complessivo di tutta la documentazione concer-
nente questa discussa carica.
Immagine: Tav. LXXIV. Marengo, Quattuorviri, cit., p. 201, fig. 1.

1987 L’iscrizione è ripresa da Bejor, Trea, cit., pp. 118-119, n°2 e da Moscatelli, Trea, cit., p. 6 0
ed è studiata da Paci, Schede, cit., pp. 176-177. Sul personaggio vd. PIR V 377; R. Hanslik,
Vibius 24, «P.W.», VIII A, 2 (1958), col. 1967; Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., p. 234;
Devijver, Prosopographia, cit., I, p. 861; IV, pp. 1770-1771; V, p. 2280, V 91; Demougin, Pro-
sopographie, cit., pp. 106-107, n°105; Delplace, Romanisation, cit., p. 53. A queste attestazioni
Demougin, Degrassi, cit., p. 238, nota 78, n°C 12, aggiunge anche il M. Minicius di AE 1960,
258 di Falerio, nella quale peraltro non si fa esplicito riferimento alla praefectura fabrum:
M(arco) Minicio T(iti) f(ilio), / quinq(uennali) iteru[m] / a popul(o), praef(ecto), / equo pu-
blico.
Parte III: Conclusioni

In questa parte conclusiva si cercheranno di sintetizzare i dati emersi


dall’analisi dei materiali condotta nella Parte II. Tali risultati verranno confrontati
con quanto si è detto nella Parte I a proposito delle testimonianze epigrafiche sulle
occupazioni nel mondo romano in genere1 e con il sommario quadro delle attività
economiche nella regio V che è stato parimenti delineato nella sezione introdutti-
va2.
I dati verranno inoltre raffrontati con quelli emersi da altre indagini sui me-
stieri attestati nell’epigrafia di una regione o di una località3, anche se il paragone
non sempre può essere preciso, in ragione del fatto che i materiali analizzati non
sempre sono omogenei, né i criteri di indagine sono ovviamente i medesimi.
È inoltre bene chiarire fin da ora come un raffronto statistico tra i dati relativi
al Piceno e quelli pertinenti ad altre aree è quasi sempre a stento proponibile, non
solo per le ragioni di disomogeneità sopra ricordate, ma soprattutto per l’esiguità
stessa del campione in nostro possesso: per quanto riguarda la regio V, appena 71
iscrizioni forniscono testimonianze del mestiere di una persona o di un gruppo di
persone; inoltre questi 71 documenti ci fanno conoscere appena 45 attestazioni in-
dividuali di persone che ricordarono la propria occupazione4; anche aggiungendo i
9 personaggi che forse furono membri o magistrati un’associazione professionale 5
arriviamo ad un totale di 54 casi per gli oltre quattro secoli in cui si distribuiscono
le testimonianze6: non c’è bisogno di avventurosi calcoli sulla popolazione attiva
del Piceno7 per rendersi conto che la proporzione dei casi a noi noti risulta infinite-
simale.
Tuttavia è altrettanto difficile, in sede di sintesi, sottrarsi alla tentazione di
rilevare addensamenti e lacune nelle testimonianze e di confrontare tali fenomeni
con quanto sappiamo per altre realtà del mondo antico, tentando di pervenire attra-
verso questa via ad un modello di interpretazione dei dati. Parimenti ineludibile è la
tendenza, nel riepilogo di una ricerca, a fondarsi su alcune acquisizioni come se
esse fossero certe, mentre invece spesso sono solamente il risultato di una ricostru-
zione ipotetica; nella trattazione che seguirà si segnaleranno comunque i dati più

1 Vd. supra, pp. 79-103.


2 Vd. supra, pp. 35-78.
3 Cf. i contributi segnalati supra, pp. 21-22, note 46-52.
4 Vd. infra, p. 563, note 29-30.
5 Vd. infra, p. 563, nota 31; in particolare sui membri delle associazioni di mestiere vd. infra, pp.
596-597; sui magistrati dei collegia professionali vd. infra, pp. 597-598.
6 Per la distribuzione cronologica delle testimonianze vd. infra, pp. 555-562.
7 D’altra parte, anche in aree assai meglio documentate per quanto concerne l’aspetto demografico ri-
spetto alla regio V, difficilmente si giunge a risultati che non diano semplicemente un ordine di gran-
dezza, cf. per esempio le ricerche di P. Van Minnen, Urban Craftsmen in Roman Egypt, «MBAH», 6
(1987), 2, pp. 35-40 riguardo il numero di artigiani nelle città dell’Egitto romano.
552 Parte III. Conclusioni

problematici, restando sottinteso il rimando al commento dei singoli documenti,


ove si troverà l’analisi della questione e la giustificazione dell’ipotesi ritenuta più
convincente. In ogni caso la prudenza necessaria per chi si avvicina ad un soggetto
come quello della presente ricerca, che ancora presenta molti lati oscuri, impone
almeno di riconoscere ogni conclusione cui si potrà pervenire come provvisoria e
suscettibile di revisioni e correzioni, sulla base dell’edizione di nuovi materiali o
del ripensamento di documenti già editi.
Per farsi un’idea della labilità di ogni sintesi sul soggetto è sufficiente ri-
chiamare brevemente le importanti novità apportate dalla documentazione epigra-
fica del Piceno edita dopo la pubblicazione del IX volume del Corpus Inscriptio-
num Latinarum: tali iscrizioni ci hanno fatto conoscere per la prima volta nella re-
gio V le occupazioni di expertus fori o foro (Asculum 3, con tutti i dubbi legati
all’interpretazione di questo testo), tesserarius (Falerio 8), argentarius (Firmum 2)
e lusor folliculator (Urbs Salvia 5); quest’ultima iscrizione anzi ci restituisce
l’unica attestazione del mondo romano di un giocoliere che si esercitava con il fol-
lis, mentre il documento fermano, che si data tra la fine del II e gli inizi del I sec.
a.C., costituisce una delle prime testimonianze epigrafiche sugli argentarii a noi
note. Di grande rilievo per la loro antichità anche l’iscrizione Cluana 1, relativa ad
un intervento urbanistico eseguito negli ultimi anni del II sec. a.C. dallo schiavo
Pilonicus, che pur non dichiarando esplicitamente la propria occupazione, andrà
probabilmente identificato con uno structor o con un architectus, e il graffito Po-
tentia 1, con il ricordo di un faber. Oltre ai documenti che hanno portato a novità
assolute nel magro dossier epigrafico delle occupazioni della regio V, da ricordare
le nuove attestazioni di attività già note, come quelle delle iscrizioni Asculum 2 ed
Auximum 4, relative a dispensatores, Cingulum 1, che ci ha fatto conoscere un
nuovo scriba, addetto al servizio presso gli edili curuli di Roma, la problematica
Trea 3, con la menzione di un nuovo dissignator. L’eccezionale scoperta urbisal-
viense delle iscrizioni di L. Flavio Silva Nonio Basso ci ha fatto tra l’altro sapere
dell’ingaggio di 40 coppie di gladiatori, cifra di assoluto rilievo per i municipi
dell’Italia romana, in occasione dell’inaugurazione dell’anfiteatro della cittadina
picena (Urbs Salvia 2 e Urbs Salvia 3). Da Urbs Salvia proviene anche la singolare
testimonianza di un graffito su tegola relativa ad un nuovo architectus (Urbs Salvia
1). Per quanto concerne le associazioni di mestiere nuovi dati, per quanto spesso di
dubbia interpretazione, ci vengono dalle epigrafi Ricina 3, nella quale forse si può
riconoscere la menzione di un magister collegii fabrum, Trea 5, nella quale vero-
similmente si trova una nuova attestazione dell’associazione di fabri e centonarii
che era già nota per questo municipium del Piceno settentrionale, e Urbs Salvia 7,
che si ipotizza relativa ad un quaestor del collegio dei fabbri.
Il fervore delle ricerche sul Piceno in età romana cui si assiste negli ultimi
anni ci assicura che il futuro sarà altrettanto fecondo di novità anche per quanto
concerne le nostre conoscenze sulle occupazioni umane nella regione e invita a
considerare la sintesi che qui si proporrà solamente come una messa a punto prov-
visoria.
Parte III. Conclusioni 553

1. La distribuzione delle testimonianze

1.1 La distribuzione geografica delle testimonianze


Nel considerare la distribuzione geografica delle testimonianze può essere
conveniente suddividere la regio V in tre aree, corrispondenti al Piceno meridio-
nale, centrale e settentrionale8.
L’area meridionale, corrispondente all’ager Praetuttianus, ha restituito so-
lamente 10 testimonianze, tra le quali spiccano le 7 iscrizioni di Interamnia9, che
tra le comunità dell’area è quella che ci restituito il numero maggiore di epigrafi in
genere; colpisce tuttavia anche il fatto che le due testimonianze relative al territorio
di Truentum vengano entrambe dall’area dell’odierno comune di Monteprandone,
in posizione piuttosto eccentrica rispetto al centro urbano e a poca distanza l’una
dall’altra. Una sola attestazione per il momento è nota per l’antichissima colonia
latina di Hadria, nessuna per Castrum Novum.
Nel Piceno centrale il numero di attestazioni sale a 28, un fenomeno in parte
spiegabile pensando che in alcune comunità di quest’area la soluzione di continuità
tra insediamento antico e insediamento moderno ha in qualche misura favorito la
conservazione della documentazione epigrafica: così per esempio a Falerio, dalla
quale provengono ben 11 delle iscrizioni del dossier, oppure Urbs Salvia, che ci ha
restituito 7 documenti (tra i quali le due iscrizioni di L. Flavio Silva Nonio Basso,
che conservano sostanzialmente il medesimo testo); ma si deve anche rilevare che
in quest’area si trovano due dei centri più importanti dell’intera regio V, Asculum e
Firmum, dai quali provengono rispettivamente 5 e 4 epigrafi relative alle occupa-
zioni umane. Una testimonianza isolata viene anche da Cupra Maritima.
L’area della regio V dalla quale viene il maggior numero di documenti è
quella settentrionale, un fenomeno che da un lato trova ragione nella straordinaria
messe di documenti di Auximum, ben 15 in totale, tra i quali spiccano le numerose
iscrizioni su basi onorarie rinvenute nel foro della città in occasione dei lavori che
interessarono l’area nel XV sec. 10, dall’altro nella densità di municipi presenti, più
forte in questa area che nel resto della regione: tra queste numerose comunità i do-
cumenti si distribuiscono abbastanza equamente, con 5 attestazioni a Trea, 3 ad
Ancona e a Ricina, 2 a Cluana, 1 a Cingulum, a Cupra Montana, a Potentia, a
Septempeda e a Tolentinum. Per il momento nessuna testimonianza relativa ad oc-
cupazioni umane ci è nota per Pausulae e Numana nonché per il municipio, forse
da identificare con la Planina di Plinio il Vecchio, che verosimilmente sorgeva nel
territorio di S. Vittore di Cingoli.

8 Sull’esempio della suddivisione adottata da Gasperini - Paci, Ascesa al senato, cit., pp. 211-218.
9 Tuttavia due di esse, Interamnia 6 e 7, ci conservano due copie del medesimo testo.
10 Provengono dall’area del foro le iscrizioni di carattere onorario Auximum 2, Auximum 5, Auximum
11, Auximum 12, Auximum 13, Auximum 14 e forse Auximum 1. Dal foro verrebbe anche la sepolcrale
Auximum 9, secondo la tradizione erudita registrata nel lemma di CIL IX, 5861, ma dato il carattere
del testo è improbabile che questa fosse la sua primitiva localizzazione.
554 Parte III. Conclusioni

La menzione del mestiere è considerato un fenomeno tipico dei centri urbani,


in particolare di quelli di grandi dimensioni11. Per verificare la validità di questo
assunto per il Piceno vale dunque la pena soffermarsi brevemente sui luoghi di rin-
venimento precisi dei nostri documenti. Le nostre informazioni sul soggetto,
quand’anche le possediamo, purtroppo sono talora piuttosto vaghe, talaltra si riferi-
scono al luogo del reimpiego dell’iscrizione e non al sito in cui era originariamente
collocata. Quanto conosciamo credo peraltro sia sufficiente per formulare qualche
considerazione di un certo interesse.
Nell’indagine è opportuno distinguere le diverse classi di epigrafi. Iniziando
dalle iscrizioni di carattere sepolcrale, si deve constatare una netta prevalenza dei
documenti provenienti in genere dall’area dei centri urbani12, o più precisamente
dalle necropoli che sorgevano alle porte di essi13: si conferma dunque anche per la
regio V come gli spazi urbani fossero i più propizi al ricordo individuale della pro-
pria occupazione.
Questa affermazione non deve tuttavia essere intesa in senso esclusivo: in-
vitano alla prudenza in questo senso gli epitafi, pur non molto numerosi, rinvenuti
ad una notevole distanza dai centri urbani delle colonie e dei municipi del Piceno,
in località che dovevano essere sede di un villaggio o di un semplice insediamento
rustico; posso ricordare a questo proposito il lacunoso epitafio Asculum 3, relativo
ad un expertus fori o foro (?), rinvenuto a Rosara, a circa 3,5 km. in linea d’aria da
Ascoli, l’iscrizione sepolcrale Asculum 5, relativa allo scriba T. Sentius Men(---),
ritrovata a Castorano, a circa 13 km. dalla medesima località, Auximum 10, epitafio
dello scriba L. Feronio Rufo da Contrada Cesa, pochi chilometri a nord del centro
di Osimo, Cingulum 1, iscrizione sepolcrale dello scriba P. Stazio Optato, prove-
niente da Piana dei Saraceni, 3 km. circa a sud di Cingoli, Falerio 9, relativa alla
sepoltura del verna di un vilicus chiamato Apollonio, da Massa Fermana, a circa 6
km. a nord di Falerio, Firmum 4, epitafio dell’argentarius P. Oppio rinvenuto in
reimpiego a Villa Murri di Porto S. Elpidio, che si trova circa a 10 km. a nord-est
di Firmum, l’iscrizione su sarcofago del mercante di marmi Aurelio Andronico In-
teramnia 1 da Campovalano di Campli, a circa 7 km. in linea d’aria da Teramo,
sulla cui originaria provenienza sussistono peraltro alcuni dubbi14, Trea 3, ancora
oggi visibile a circa 6 km. a sud ovest del centro urbano della città antica, infine i
due documenti relativi a Truentum, che sono stati ritrovati nel comune di Monte-
prandone, a circa 7 km. da Martinsicuro, ove ora si localizza il sito di Truentum; le
due iscrizioni si riferiscono rispettivamente ad un possibile architectus (Truentum
1) e ad un purpurarius (Truentum 2). Con tutta la cautela necessaria riguardo a dati
che, come si accennava, sono spesso tutt’altro che sicuri, si può dunque ipotizzare

11 Vd. supra, pp. 96-97.


12 Cf. Ancona 3 (in reimpiego); Asculum 2 (in reimpiego), Auximum 3, Auximum 9 (sulla localizza-
zione di questa epigrafe vd. supra, p. 553, nota 10), Auximum 15 (in reimpiego), Cupra Maritima 1,
Cupra Montana 1, Falerio 3, Falerio 4, Interamnia 2, Interamnia 4.
13 Cf. forse Ancona 2, Asculum 4, Auximum 6, Firmum 3, Interamnia 3, Trea 2.
14 Vd. supra, pp. 393-394, dove si esamina la possibilità che il monumento sia in realtà di prove-
nienza urbana.
Parte III. Conclusioni 555

che l’uso di indicare la propria occupazione sia penetrato in quella che, riprendendo
la formulazione di un convegno di studi di qualche anno fa, possiamo chiamare
l’epigrafia del villaggio15. Colpisce il fatto che, accanto ad occupazioni per-
fettamente normali in un contesto rurale, come quella di vilicus16, appaiano ben tre
attestazioni di un mestiere tipicamente urbano come quello di scriba, che certo non
poteva essere esercitato nel luogo in cui venne rinvenuta l’iscrizione sepolcrale17.
La spiegazione del fenomeno andrà certamente individuata nel fatto che questi fun-
zionari possedevano dei fondi rustici, presso le cui villae essi fecero erigere il pro-
prio monumento sepolcrale: a ben vedere, dunque, dovremmo più propriamente
parlare di una presenza delle occupazioni nell’epigrafia del villaggio e della villa.
Le epigrafi appartenenti alle rimanenti classi, ove possediamo informazioni
sul luogo del loro rinvenimento, sembrano provenire sempre dai centri urbani,
come del resto è logico per le iscrizioni relative a monumenti onorari, collocati in
luoghi ad alta frequentazione, dove potevano avere la massima visibilità18 e per i
documenti che ricordano l’erezione o il restauro di un qualche edificio, dal mo-
mento che la maggior parte degli interventi edilizi riguardava ovviamente i centri
urbani19: fa eccezione l’epigrafe Cluana 2, che forse riferiva del rifacimento di un
foro del vicus Cluentensis in cui espletavano la loro attività dei non meglio specifi-
cati lavoratori il cui nome terminava con [---]rii; questa interpretazione è tuttavia
solo una delle diverse possibili per il lacunoso documento.

1.2. La distribuzione cronologica delle testimonianze


Le testimonianze in nostro possesso si distribuiscono, in modo assai ine-
guale, tra il II sec. a.C., nel quale si data il graffito Potentia 1, relativo ad un faber,
e l’età costantiniana, nella quale si dovrebbe inquadrare l’epitafio del mercante di
marmi Aurelio Andronico di Nicomedia (Interamnia 1). Lasciando da parte i do-
cumenti per i quali, in assenza di dati significativi, non si è in grado di avanzare
un’ipotesi di datazione sufficientemente definita20, si propone qui di seguito una
tabella riassuntiva della distribuzione cronologica delle testimonianze:

15 L’interpretazione dei dati del Piceno è in qualche misura complicata dal fatto che il fenomeno delle
attestazioni di mestieri nell’epigrafia dei villaggi non pare aver ricevuto una sufficiente attenzione
nella dottrina scientifica: manca dunque la possibilità di un confronto; cf. tuttavia, seppure per un’area
geografica molto distante dalla regio V, G. Tate, Les métiers dans le villages de la Syrie du Nord,
«Ktema», 16 (1991), pp. 73-80, che rileva un buon numero di occupazioni, in particolare collegate
alle costruzioni.
16 Cf. per esempio il buon numero di mestieri legati all’agricoltura o allo sfruttamento dei boschi
nell’ampio territorio rurale di Mediolanum in Calderini, Arti e mestieri, cit., pp. 536-537.
17 Eclatante in particolare il caso di P. Stazio Optato di Cingulum 1: il personaggio era stato scriba
degli edili curuli e dunque aveva esercitato la sua professione a Roma.
18 Per le iscrizioni di carattere onorario dal foro di Auximum vd. supra, p. 553, nota 10. Sembrano
provenire dai centri urbani anche Falerio 10 e Trea 4.
19 Cf. Asculum 1 (in reimpiego), Cluana 1, Falerio 6, Falerio 7, Falerio 8, Interamnia 6 (in reim-
piego), Tolentinum 1 (in reimpiego), Urbs Salvia 2, Urbs Salvia 3. Per quanto concerne le iscrizioni
sacre, vengono dalle aree urbane Ancona 1 e Auximum 2 (dall’area del foro).
20 Si tratta delle seguenti iscrizioni: Ancona 1, Falerio 6, Interamnia 4, Ricina 3, Trea 5 e Urbs Sal-
via 1.
556 Parte III. Conclusioni

Dalla fine del II sec. a.C. alla fine del I sec. a.C.:
1. Potentia 1, poco dopo il 184 a.C.
2. Cluana 1, fine del II sec. a.C.
3. Firmum 2, fine del II sec. - inizi del I sec. a.C.
4. Truentum 1, fine del II sec. - inizi del I sec. a.C.
5. Interamnia 6, seconda metà del I sec. a.C.
6. Interamnia 7, seconda metà del I sec. a.C.

Dalla fine del I sec. a.C. alla fine del I sec. d.C.:
1. Truentum 2, età augustea o negli anni immediatamente successivi
2. Asculum 3, età augustea o negli anni immediatamente successivi
3. Falerio 9, fine I sec. a.C. - inizi I sec. d.C.
4. Trea 1, fine I sec. a.C. - inizi I sec. d.C.
5. Asculum 4, età tiberiana
6. Auximum 6, entro i primi decenni del I sec. d.C.
7. Hadria 1, entro i primi decenni del I sec. d.C.
8. Interamnia 3, entro i primi decenni del I sec. d.C.
9. Trea 3, entro i primi decenni del I sec. d.C. (?)
10. Ancona 3, entro la metà del I sec. d.C.
11. Asculum 5, entro la metà del I sec. d.C.
12. Cingulum 1, entro la metà del I sec. d.C.
13. Cupra Montana 1, entro la metà del I sec. d.C. (?)
14. Falerio 1, entro la metà del I sec. d.C.
15. Falerio 2, entro la metà del I sec. d.C.
16. Falerio 3, entro la metà del I sec. d.C.
17. Falerio 4, entro la metà del I sec. d.C.
18. Firmum 3, entro la metà del I sec. d.C.
19. Interamnia 2, entro la metà del I sec. d.C.
20. Ricina 1, entro la metà del I sec. d.C.
21. Septempeda 1, entro la metà del I sec. d.C.
22. Urbs Salvia 5, età giulio-claudia
23. Auximum 7, intorno alla metà del I sec. d.C.
24. Auximum 10, intorno alla metà del I sec. d.C.
25. Asculum 2, seconda metà del I sec. d.C.
26. Auximum 4, seconda metà del I sec. d.C.
27. Auximum 8, seconda metà del I sec. d.C.
28. Auximum 9, seconda metà del I sec. d.C.
29. Auximum 15, seconda metà del I sec. d.C.
30. Firmum 1, seconda metà del I sec. d.C.
31. Urbs Salvia 4, seconda metà del I sec. d.C.
32. Falerio 11, seconda metà del I sec. d.C. - inizi II sec. d.C.
33. Urbs Salvia 2, poco dopo l’81 d.C.
34. Urbs Salvia 3, poco dopo l’81 d.C.
35. Falerio 5, 82 d.C.
36. Interamnia 5, entro il I sec. d.C. (?)
Parte III. Conclusioni 557

Dalla fine del I sec. d.C. alla fine del II sec. d.C.:
1. Trea 4, seconda metà del I sec. d.C. - prima metà del II sec. d.C.
2. Tolentinum 1, fine I sec. d.C. - inizi II sec. d.C.
3. Trea 2, fine I sec. d.C. - inizi II sec. d.C.
4. Urbs Salvia 7, fine I sec. d.C. - inizi II sec. d.C.
5. Urbs Salvia 6, fine I sec. d.C. o, meglio, II sec. d.C.
6. Cupra Maritima 1, II sec. d.C.
7. Firmum 4, II sec. d.C.
8. Ancona 2, prima metà del II sec. d.C.
9. Ricina 2, prima metà del II sec. d.C.
10. Falerio 7, 119-138 d.C.
11. Auximum 12, 137 d.C.
12. Auximum 11, secondo quarto del II sec. d.C.
13. Auximum 14, secondo quarto del II sec. d.C.
14. Auximum 1, intorno alla metà del II sec. d.C.
15. Auximum 2, 159 d.C.
16. Asculum 1, 172 d.C.
17. Auximum 5, fine del II sec. d.C.
18. Auximum 13, fine del II sec. d.C.
19. Falerio 10, seconda metà del II sec. d.C. - inizi del III sec. d.C.

Dalla fine del II sec. d.C. in poi:


1. Auximum 3, fine II sec. d.C. - inizi III sec. d.C.
2. Cluana 2, dopo il 200 d.C.
3. Falerio 8, fine III sec. d.C. - inizi IV sec. d.C.
4. Interamnia 1, età costantiniana.

Nel circa 700 anni di storia del Piceno romano la grande maggioranza delle
attestazioni epigrafiche delle occupazioni umane si concentra nei 200 anni che
vanno dalla fine del I sec. a.C. e la fine del II sec. d.C., un dato che non sorprende
affatto dal momento che il periodo coincide con quello della massima fioritura
della cultura epigrafica, almeno nell’Italia romana.
Colpisce piuttosto la prevalenza delle attestazioni nella prima fase di questo
ampio periodo, quella che va dalla fine del I sec. a.C. agli ultimi anni del secolo se-
guente.
Un’analisi scorporata del materiale per classi di appartenenza delle diverse
epigrafi contribuisce a precisare il quadro e consentirà di individuare alcune fasi
meglio definite.
È opportuno iniziare dalle iscrizioni funerarie, che forniscono il maggiore
apporto al dossier delle testimonianze.
558 Parte III. Conclusioni

Firmum 2 Epitafio di un argentarius Fine II sec. a.C. -


inizi I sec. a.C.
Asculum 3 Epitafio di un expertus fori o Età augustea o anni
foro (?) immediatamente
successivi
Truentum 1 Epitafio di un architectus ? Fine II sec. a.C. -
inizi I sec. a.C.
Truentum 2 Epitafio di un purpurarius Fine I sec. a.C. -
inizi I sec. d.C.
Falerio 9 Epitafio del verna di un vili- Fine I sec. a.C. -
cus inizi I sec. d.C.
Trea 1 Epitafio di un colonus Fine I sec. a.C. -
inizi I sec. d.C.
Asculum 4 Epitafio di uno scriba quin- Età tiberiana
quennalicius (?)
Auximum 6 Epitafio di un faber tignua- Entro i primi de-
rius cenni del I sec. d.C.
Hadria 1 Epitafio di uno scriba Entro i primi de-
cenni del I sec. d.C.
Interamnia 3 Epitafio di un tubicen Entro i primi de-
cenni del I sec. d.C.
Trea 3 Epitafio di un dissignator Entro i primi de-
cenni del I sec. d.C.
(?)
Ancona 3 Epitafio di un unguentarius Entro la metà del I
sec. d.C.
Asculum 5 Epitafio di uno scriba Entro la metà del I
sec. d.C.
Cingulum 1 Epitafio di uno scriba aedi- Entro la metà del I
lium curulium sexprimus sec. d.C.
Cupra Montana 1 Epitafio posto da un adiutor Entro la metà del I
tabularii (?) sec. d.C. (?)
Falerio 1 Epitafio posto da un colonus Entro la metà del I
sec. d.C.
Falerio 2 Epitafio di un dissignator Entro la metà del I
sec. d.C.
Falerio 3 Epitafio di un medicus Entro la metà del I
sec. d.C.
Falerio 4 Epitafio di un medicus Entro la metà del I
sec. d.C.
Firmum 3 Epitafio di un gypsarius Entro la metà del I
sec. d.C.
Interamnia 2 Epitafio di un tabularius Entro la metà del I
sec. d.C.
Ricina 1 Epitafio di un sagarius Entro la metà del I
sec. d.C.
Parte III. Conclusioni 559

Septempeda 1 Epitafio posto da un colonus


Entro la metà del I
sec. d.C.
Urbs Salvia 5 Epitafio di un lusor follicu- Età giulio-claudia
lator
Auximum 10 Epitafio di uno scriba Intorno alla metà
del I sec. d.C.
Asculum 2 Epitafio di un probabile di- Seconda metà del I
spensator, postogli da un ar- sec. d.C.
carius (o vicarius) dispensa-
toris, poi dispensator
Auximum 9 Epitafio di una medica Seconda metà del I
sec. d.C.
Auximum 15 Epitafio di un giovane, posto Seconda metà del I
per decreto dell’associazione sec. d.C.
dei fabri
Firmum 1 Epitafio di un actor Seconda metà del I
sec. d.C.
Urbs Salvia 4 Epitafio di un grammaticus Seconda metà del I
latinus sec. d.C.
Falerio 11 Epitafio di un magister colle- Seconda metà del I
gii fabrum II et quaestor II e sec. d.C. - inizi II
magister et quaestor sodalici sec. d.C.
fullonum
Trea 2 Epitafio di un colonus (?) Fine I sec. d.C. -
inizi II sec. d.C.
Urbs Salvia 7 Epitafio di un quaestor colle- Fine I sec. d.C. -
gii fabrum (?) inizi II sec. d.C.
Ancona 2 Epitafio di un praeco postogli Prima metà del II
da un secunda rudis e dagli sec. d.C.
officiales di una compagnia di
gladiatori
Ricina 2 Epitafio di un m a g i s t e r Prima metà del II
collegii fabrum sec. d.C.
Urbs Salvia 6 Epitafio posto da una nutrix II sec. d.C.
Cupra Maritima 1 Epitafio di un negotiator ole- II sec. d.C.
arius
Auximum 3 Epitafio posto da un actor ali- Fine II sec. d.C. -
mentorum alla moglie inizi III sec. d.C.
Interamnia 1 Epitafio di un liqevnporo" Età costantiniana

I documenti si concentrano in larga misura prima della metà del I sec. d.C.:
in questo periodo si addensano quasi tutte le attestazioni dei mestieri dell’artigia-
nato e del commercio su piccola scala (purpurarii, fabri tignuarii, unguentarii, sa-
garii, gypsarii). Qualche elemento in più sull’incidenza del fenomeno si potrebbe
avere solo confrontando i dati relativi alle iscrizioni funebri che ricordano un me-
stiere con la distribuzione cronologica di tutte le sepolcrali picene, compito che ov-
viamente eccede i limiti della presente ricerca. L’impressione che deriva dall’aver
560 Parte III. Conclusioni

frequentato per qualche tempo l'epigrafia della regio V è che una proporzione
considerevole degli epitafi della regione risalga ai circa 100 anni che vanno dalla
fine dell’età repubblicana alla fine del periodo giulio-claudio 21, ma che effet-
tivamente in questo periodo le probabilità di incontrare il ricordo di un mestiere
siano più alte. Il rarefarsi delle menzioni del mestiere negli epitafi del Piceno dopo
la fine dell’età giulio-claudia conferma una tendenza già osservata a proposito dei
documenti di Roma e dell’Italia romana22 e riscontrabile pure in aree geografiche
diverse, anche se con scansioni cronologiche leggermente differenti23.
Non credo che le cause del fenomeno vadano individuate in un cambiamento
della struttura economica e sociale della regione intervenuto alla fine del I sec.
d.C., che difficilmente può aver comportato un declino così netto di attività pro-
duttive e commerciali di carattere tanto diversificato. Ritengo piuttosto che le ra-
gioni vadano ricercate nel tramonto di un clima culturale (e della sua manifesta-
zione nel costume epigrafico) di età augustea e del primo periodo giulio-claudio, un
clima nel quale il ricordo individuale del mestiere era riconosciuto come elemento
importante per la definizione di un’identità personale. Forse non è un caso che la
più nota espressione letteraria di questo mondo di persone, spesso di umili origini,
che grazie alla propria professione hanno saputo conquistarsi in qualche misura
un’agiatezza economica, la Cena di Trimalchione, si inquadri nella tarda età giulio
- claudia e assuma forme parodistiche che già denunciano la crisi del modello.
Degna di nota, in questa prospettiva, è anche la quasi totale assenza di men-
zioni del lavoro nell’epigrafia sepolcrale cristiana, che in altre località del mondo
antico, come per esempio la Sicilia 24 o Tiro25, restituisce invece una importante
messe di informazioni
Diverso il quadro cronologico che viene offerto dalle iscrizioni che accom-
pagnavano un qualche monumento onorario:

Auximum 7 Menziona l’ingaggio di gla- Intorno alla metà


diatores del I sec. d.C.
Auximum 8 Menziona l’ingaggio di gla- Seconda metà del I
diatores sec. d.C.
Trea 4 In onore di un patrono Seconda metà del I
dell’associazione dei fabri e sec. d.C. - prima
dei centonarii metà del II sec. d.C.

21 Cf. Paci, Iscrizioni di età repubblicana, cit., pp. 203-204, che rileva come il fiorire dell’epigrafia
sepolcrale in area medioadriatica coincida con il momento delle colonizzazioni triumvirali ed augu-
stee della seconda metà del I sec. a.C.
22 Cf. Andreau, Vie financière, cit., p. 302.
23 Per esempio nella penisola iberica, secondo le ricerche di Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos,
cit., pp. 62-63, 21 delle 44 attestazioni individuali di artigiani si datano tra la fine dell’età repubbli-
cana e il I sec. d.C.
24 Rizzo, Menzione del lavoro, cit., pp. 41-45.
25 Rey-Coquais, Fortune et rang social, cit., pp. 281-292.
Parte III. Conclusioni 561

Firmum 4 In onore di una patrona delle II sec. d.C.


associazioni dei fabri e dei
centonarii
Auximum 11 In onore di un patrono Secondo quarto del
dell’associazione dei cento- II sec. d.C.
narii
Auximum 14 In onore di un patrono Secondo quarto del
dell’associazione dei fabri II sec. d.C.
Auximum 1 In onore del patrono da parte Intorno alla metà
di un accensus consulis del II sec. d.C.
Auximum 12 In onore di un patrono 137 d.C.
dell’associazione dei cento-
narii
Auximum 5 In onore di un exceptor, po- Fine del II sec. d.C.
stagli dal padre, procurator
Auximum 13 In onore di un patrono Fine del II sec. d.C.
dell’associazione dei cento-
narii
Falerio 10 In onore di un patrono delle Seconda metà del II
associazioni dei fabri, dei sec. d.C. - inizi del
centonarii e dei dendrophori III sec. d.C.

Le iscrizioni di carattere onorario, che registrano quasi sempre attestazioni


collettive di occupazioni, essenzialmente l’ingaggio di compagnie di gladiatori e le
iniziative assunte da associazioni di mestiere, si inquadrano tra la metà del I sec.
d.C. e gli inizi del III sec. d.C., dunque in una fase posteriore a quella in cui si assi-
ste alla fioritura dell’epigrafia sepolcrale della gente di mestiere nel Piceno, se-
condo una scansione cronologica che trova paralleli in altre aree, come per esempio
in Spagna26.
Passiamo ora alle epigrafi che ricordano la costruzione di opere pubbliche e
di monumenti privati.
Cluana 1 Ricorda la costruzione di un Fine del II sec. a.C.
compitum, di una crepido e
della copertura di un sacello
ai Lares, con l’intervento di
uno structor o architectus
Interamnia 6 Ricorda la costruzione di una Seconda metà del I
strada attraverso il campus, su sec. a.C.
finanziamento dei socii campi
Interamnia 7 Copia del testo precedente Seconda metà del I
sec. a.C.

26 Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., p. 63.


562 Parte III. Conclusioni

Tolentinum 1 Ricorda la costruzione di una Fine I sec. d.C. -


schola per l’associazione dei inizi II sec. d.C.
fabri tignuarii
Urbs Salvia 2 Ricorda la costruzione di un Poco dopo l’81 d.C.
anfiteatro e l’ingaggio di gla-
diatori per l’inaugurazione
dell’edificio
Urbs Salvia 3 Copia del testo precedente Poco dopo l’81 d.C.
Falerio 7 Ricorda la costruzione di una 119-138 d.C.
strada attraverso il Foro pe-
cuario su finanziamento dei
possessores, dei negotiantes e
dei collegia attivi nel mede-
simo Foro
Asculum 1 Ricorda la costruzione di un 172 d.C.
tempio alla Fortuna Redux e
l’erezione di una statua alla
divinità su intervento di un
dispensator arcae summarum
Cluana 2 Ricorda il rifacimento di Dopo il 200 d.C.
un’opera, forse collegata ad
un gruppo di lavoratori
Falerio 8 Ricorda l’esecuzione di un Fine III sec. d.C. -
mosaico, con l’intervento di inizi IV sec. d.C.
un tesserarius

Le non numerose iscrizioni relative ad opere pubbliche, pur distribuendosi


lungo l’intero arco cronologico preso in esame, compaiono con significativa tem-
pestività, in connessione con il progresso della romanizzazione avviatosi con
l’impianto di colonie latine e romane nella regione27.
Infine è da notare come il numero di attestazioni relative alle epigrafi di ca-
rattere sacro sia troppo scarso per trarne una qualsiasi conclusione28:

Auximum 4 Dedica di un dispensator ai Seconda metà del I


Lares Familiares sec. d.C.
Auximum 2 Dedica di un accensus consu- 159 d.C.
lis ad Esculapio ed Hygia

27 Cf. quanto osserva G. Paci, Le iscrizioni di età repubblicana in area medioadriatica, «Le Marche.
Archeologia. Storia. Territorio», 1991-1993, p. 203.
28 La situazione non muta di molto se considerassimo in questa classe anche l’epigrafe Asculum 1 del
172 d.C., che dal punto di vista formale è una dedica alla Fortuna Redux, ma che ho preferito inclu-
dere qui nella sezione relativa alla costruzione di opere pubbliche e di monumenti privati, privilegian-
do il dato del contenuto.
Parte III. Conclusioni 563

2. La gente di mestiere del Piceno


2.1. Attestazioni individuali e attestazioni collettive
Le attestazioni delle occupazioni umane nella documentazione della regio V
non si pongono tutte sul medesimo piano, e ciò indipendentemente dalla classe di
iscrizioni nelle quali si ritrovano.
Un nutrito gruppo di testimonianze ha un carattere puramente individuale, si
riferisce cioè al mestiere esercitato da un singolo personaggio: questo tipo di atte-
stazioni si ritrova in 44 delle 71 iscrizioni comprese nel dossier29, che si riferiscono
a 45 personaggi differenti30 e ci ricordano almeno 31 occupazioni diverse, senza
tener conto delle specializzazioni: accensus, actor (con la specializzazione di actor
alimentorum), adiutor tabularii, arcarius o vicarius dispensatoris, architectus, ar-
gentarius, colonus, dispensator (con la specializzazione di dispensator arcae sum-
marum), dissignator, exceptor, expertus fori o foro (?), faber (con la specializza-
zione di faber tignuarius), grammaticus latinus, gypsarius, lusor folliculator, medi-
cus (anche nella forma greca iJatrov"), liqevnporo", negotiator olearius, nutrix,
praeco, procurator, purpurarius, sagarius, secunda rudis, scriba (con le specializ-
zazioni di scriba aedilium curulium sexprimus e di scriba quinquennalicius), struc-
tor (?), tabularius, tesserarius, tubicen, unguentarius, vilicus.
Altri 6 documenti ci fanno conoscere membri di associazioni di mestiere o
magistrati delle stesse31, in particolare di centonarii, fabri e fullones, in riferimento
ad almeno 9 persone differenti32. La partecipazione ad un’associazione professio-
nale non significa tuttavia automaticamente esercizio di quel dato mestiere, queste
attestazioni dunque devono essere distinte da quelle individuali.
In 21 iscrizioni infine troviamo una denominazione collettiva di
un’occupazione, nella maggior parte dei casi in riferimento ad un’associazione pro-
fessionale33: le occupazioni ricordate sono almeno 9: centonarii, dendrophori, dis-

29 Ancona 1, Ancona 2, Ancona 3, Asculum 1, Asculum 2, Asculum 3, Asculum 4, Asculum 5, Auxi-


mum 1, Auximum 2, Auximum 3, Auximum 4, Auximum 6, Auximum 9, Auximum 10, Cingulum 1,
Cluana 1, Cupra Maritima 1, Cupra Montana 1, Falerio 1, Falerio 2 (che ha un duplice carattere, in-
dividuale, facendoci conoscere un singolo dissignator, e collettivo, attestando l’esistenza di
un’associazione di dissignatores che curò la sepoltura del collega), Falerio 3, Falerio 4, Falerio 8,
Falerio 9, Firmum 1, Firmum 2, Firmum 3, Hadria 1, Interamnia 1, Interamnia 2, Interamnia 3, Po-
tentia 1, Ricina 1, Septempeda 1, Trea 1, Trea 2, Trea 3, Truentum 1, Truentum 2,Urbs Salvia 1, Urbs
Salvia 4, Urbs Salvia 5, Urbs Salvia 6.
30 In Ancona 2 ritroviamo due attestazioni individuali distinte, quella del defunto, il praeco Ti.
Claudio Celere, e quella del dedicante, il secunda rudis Berillo; così in Asculum 2, con il defunto M.
Valerio Verna, probabile dispensator, e il dedicante Ianuario, arcarius o vicarius dispensatoris, poi
dispensator. Due iscrizioni, Auximum 1 e Auximum 2, si riferiscono al medesimo personaggio, C.
Oppio Leonas.
31 Auximum 15, Falerio 11, Interamnia 4, Ricina 2, Ricina 3, Urbs Salvia 7.
32 Per i dettagli vd. infra, pp. 596-598
33 Auximum 7, Auximum 8, Auximum 11, Auximum 12, Auximum 13, Auximum 14, Cluana 2, Falerio
2 (che ha un duplice carattere, vd. supra, nota 29), Falerio 5, Falerio 6, Falerio 7, Falerio 10, Fir-
mum 4, Interamnia 5, Interamnia 6, Interamnia 7 (copia del testo precedente), Tolentinum 1, Trea 4,
Trea 5, Urbs Salvia 2, Urbs Salvia 3.
564 Parte III. Conclusioni

signatores, fabri, fabri tignuarii, gladiatores, possessores, negotiantes, socii campi


(se effettivamente di un’associazione con caratteri professionali si trattava, il che
non è affatto scontato), cui forse è da aggiungere un possibile gruppo di lavoratori
del cui nome ci rimangono solo le lettere finali nell’iscrizione Cluana 2.

2.2. La condizione giuridica dei lavoratori


Uno degli elementi sui quali la dottrina scientifica ha maggiormente appun-
tato il proprio interesse è dato dalla condizione giuridica delle persone che ricor-
dano il proprio mestiere nelle iscrizioni34. Il dato relativo alle attestazioni indivi-
duali di un’occupazione nel Piceno può essere riassunto nelle seguenti tabelle, in
cui vengono riportati, in ordine, il nome del personaggio, il mestiere esercitato e
l’epigrafe in cui il personaggio è attestato, con la sua datazione. Le attestazioni
sono ordinate per classe di occupazione, secondo lo schema che verrà illustrato in
seguito35.

Ingenui
P. Buxurius P. f. architectus (?)
Truentum 1 (fine II sec.
Trachalus (?) a.C. - inizio I sec. a.C.)
C. [---]nnaeus C. f. dissignator Trea 3 (entro i primi de-
[.]ol[---] cenni del I sec. d.C. ?)
Q. Petronius Q. f. scriba quinquen- Asculum 4 (età tiberiana)
Rufus nalicius (?)
L. Feronius L. f. Vel. scriba Auximum 10 (intorno alla
Ru[fus] metà del I sec. d.C.
P. Statius Q. f. Ani. scriba aedilium Cingulum 1 (entro la metà
Optatus curulium sexpri- del I sec. d.C.)
mus
Sex. Publicius Sex. f. scriba Hadria 1 (entro i primi de-
Mae. cenni del I sec. d.C.)
[C.] Caesius [- f.] Vel. tubicen (?) Interamnia 3 (entro i primi
decenni del I sec. d.C.)

Mi pare significativo che, lasciando da parte i casi dell’architectus e del tu-


bicen che, come si è visto, destano alcune perplessità, i personaggi di sicura nascita
libera compresi nel dossier di testimonianze esercitino un unico mestiere, quello di
scriba.
Il concentrarsi delle testimonianze prima della metà del I sec. d.C. è imputa-
bile principalmente al fatto che nel periodo seguente l’indicazione del patronimico
(e del patronato) scompare progressivamente dalla formula onomastica, così come
essa è registrata nella documentazione epigrafica; non credo dunque che il dato

34 Specifico sul tema Agnati, Correlazioni, cit., pp. 601-624, ma si può dire che in ogni ricerca sulle
occupazioni nel mondo romano l’interrogativo trova largo spazio.
35 Vd. infra, pp. 574-576.
Parte III. Conclusioni 565

possa essere usato per trarre conclusioni riguardo un’evoluzione nella composi-
zione sociale delle classi lavoratrici.

Liberti
Q. Sertorius Q. l. colonus Trea 1 (fine del I sec. a.C.
Antiochus - inizi del I sec. d.C.)
C. Plotius C. l. faber tignuarius Auximum 6 (entro i primi
Alexander decenni del I sec. d.C.)
[---]us L. l. [---] gypsarius Firmum 3 (entro la metà
del I sec. d.C.)
M. Valerius col. l. dispensator (?) Asculum 2 (seconda metà
Verna36 del I sec. d.C.)
P. Oppius C. l. argentarius Firmum 2 (fine del II sec.
a.C. - inizi del I sec. a.C.)
C. Oppius C. l. Leonas accensus Auximum 1 e Auximum 2
(intorno alla metà del II
sec. d.C.)
L. Aurelius Aug. l. exceptor Auximum 5 (fine del II sec.
Marcianus d.C.)
Marcus Aug. l. procurator Auximum 5 (fine del II sec.
d.C.)
P. Petronius ((mulie- lusor folliculator Urbs Salvia 5 (età giulio-
ris)) l. Primus claudia)
Iulia Q. l. Sabina medica Auximum 9 (seconda metà
del I sec. d.C.)
Q. Tullienus Q. l. medicus Falerio 4 (entro la metà
Phania del I sec. d.C.)
T. [---]ntuleius T. l. H[- expertus fori o Asculum 3 (età augustea o
--] foro (?) anni immediatamente suc-
cessivi)

Rispetto a quanto si è visto per gli ingenui, si può notare come gli schiavi af-
francati compaiano in tutte le classi occupazionali, dai mestieri della produzione
(colonus, faber tignuarius, gypsarius), alle occupazioni legate al denaro (argenta-
rius), ai servizi (accensus, exceptor, procurator) e gli spettacoli (lusor folliculator),
per finire con le arti liberali, rappresentate da due medici e, forse, da un personag-
gio impegnato nel settore giuridico, per quanto l’espressione expertus fori o foro
susciti non poche perplessità.
Come spesso accade nei repertori prosopografici fondati sulla documenta-
zione epigrafica, anche tra la gente di mestiere del Piceno troviamo un nutrito
gruppo di personaggi con duo o tria nomina che non indicano esplicitamente la
loro condizione attraverso il ricordo del patronimico o del patronato.

36 Ma vd. infra, p. 567, per la possibilità che Verna fosse ancora uno schiavo nel momento in cui
esercitava la sua funzione.
566 Parte III. Conclusioni

Q. Lucilius Charinus sagarius Ricina 1 (entro la metà del


I sec. d.C.)
C. Marcilius Eros purpurarius Truentum 2 (età augustea o
anni i m m ediatamente
seguenti)
T. Asinius Severus unguentarius Ancona 3 (entro la metà
del I sec. d.C.)
Aurelius Andronicus liqevnporo" Interamnia 1 (età costanti-
niana)
P. Sentius Felix negotiator olea- Cupra Maritima 1 (II sec.
rius d.C.)
T. Sentius Men(---) scriba Asculum 5 (entro la metà
del I sec. d.C.)
[---]arius Liber[---]? adiutor tabularii Cupra Montana 1 (entro la
metà del I sec. d.C.?)
Multasia Felicitas nutrix Urbs Salvia 6 (fine I sec.
d.C. o II sec. d.C.)
Ti. Claudius Celer praeco Ancona 2 (prima metà del
II sec. d.C.)
Q. Tullienus Mario dissignator Falerio 2
(entro la metà del I sec.
d.C.)
L. Lictorius Clemens grammaticus lati- Urbs Salvia 4
nus (seconda metà del I sec.
d.C.)

La comparsa di cognomina grecanici, come quelli di Q. Lucilius Charinus


dell’iscrizione Ricina 1 e di C. Marcilius Eros di Truentum 2, può essere un indizio
a favore della condizione libertina dei loro detentori, da valutare comunque con
estrema prudenza. Lo stesso potrebbe dirsi di P. Sentius Felix, negotiator olearius
attestato dall’iscrizione Cupra Maritima 1, e di Q. Tullienus Mario di Falerio 2:
entrambi in effetti portano cognomina latini fortemente diffusi tra gli individui di
nascita servile; una discreta diffusione tra schiave e liberte ha anche il cognome
Felicitas, portato dalla nutrice dell’iscrizione Urbs Salvia 6.
Il contesto dell’iscrizione Ancona 2, nella quale il defunto praeco Ti.
Claudio Celere porta il medesimo nomen del proprietario della lacinia di gladiatori
per la quale lavorava, Claudio Saturnino, consente di ipotizzare che Celere fosse
stato affrancato dallo stesso Saturnino.
Tali indizi talvolta trovano conferma nell’appartenenza del personaggio ad
uno dei collegi sacerdotali dedicati al culto imperiale che, come è noto, costitui-
vano un importante riconoscimento sociale per i liberti, anche se non erano riser-
vati esclusivamente a costoro: tra le persone di incerto statuto sopra menzionate
ebbero tali sacerdozi Q. Lucilius Charinus di Ricina 1, che era nel collegio dei VI
viri di Mediolanum (città nella quale, peraltro, gli ingenui sono piuttosto numerosi
tra seviri ed Augustali), Q. Marcilius Eros di Truentum 2, che fu V vir nella stessa
Truentum, e infine P. Sentius Felix, che rivestì la funzione di Augustalis a Ravenna.
Parte III. Conclusioni 567

Se per i personaggi appena ricordati gli elementi in nostro possesso paiono


deporre piuttosto a favore di una loro nascita servile, per quanto concerne invece
l’unguentarius T. Asinius Severus di Ancona 3 e il grammaticus latinus L. Lictorius
Clemens di Urbs Salvia 4 i cognomi latini di questi personaggi, non particolarmen-
te diffusi nell’ambiente servile, lasciano aperta una concreta possibilità che si tratti
di individui di nascita ingenua.
I criteri di valutazione ovviamente mutano nel caso di Aurelio Andronico, il
cui cognome greco è naturalmente spiegato dal fatto che il personaggio era origina-
rio di Nicomedia e comunque visse in un periodo, tra la fine del III secolo e gli
inizi del secolo seguente, in cui i cognomina grecanici non costituiscono affatto un
elemento probante per stabilire la condizione giuridica dei loro detentori; l’ipotesi
più probabile è che Andronico fosse un ingenuo, discendente di un peregrino che
aveva ottenuto la cittadinanza al momento della promulgazione della Constitutio
Antoniniana, come mostra il gentilizio Aurelius.
Le considerazioni che precedono si fondano essenzialmente sui caratteri dei
cognomi delle persone prive dell’indicazione di statuto: dunque davanti allo scriba
dell’iscrizione Asculum 5 e all’adiutor tabularii di Cupra Montana, di cui non co-
nosciamo il cognomen completo, ogni possibilità di analisi sembra preclusa.

Schiavi, sicuri o molto probabili


Pilonicus Octavi L. structor (?) o ar- Cluana 1 (fine del II sec. a.C.)
ser. chitectus (?)
Karus dispensator Ancona 1 (incerta datazione)
Rufus dispensator arcae Asculum 1 (172 d.C.)
summarum
Ianuarius arcarius (o vica- Asculum 2 (seconda metà del I
rius) dispensato- sec. d.C.)
ris, poi dispensa-
tor
[---]eus dispensator Auximum 4 (seconda metà del
I sec. d.C.)
Restutus actor alimento- Auximum 3 (fine del II sec.
rum d.C. - inizi del III sec. d.C.)
Polybius Aug. tabularius Interamnia 2 (entro la metà del
I sec. d.C.)

Nel caso degli schiavi colpisce indubbiamente il concentrarsi delle testimo-


nianze riguardo i mestieri dell’amministrazione privata e, più spesso, pubblica.
Agli esempi sopra ricordati è probabilmente da aggiungere quello di M. Valerius
col. l. Verna dell’iscrizione Asculum 2 (seconda metà del I sec. d.C.): si suppone
che Verna avesse rivestito la funzione di dispensator nei servizi amministrativi
della colonia di Ascoli, avendo alle sue dipendenze quel Ianuarius che fu tra i de-
dicanti della sua iscrizione sepolcrale; Verna, al momento della sua morte, era un
liberto pubblico di Asculum, ma non è detto che questa fosse la sua condizione so-
ciale anche quando era dispensator: al contrario la casistica della regio V e quanto
sappiamo in genere sulla condizione giuridica dei dispensatores mi induce a so-
spettare che Verna sia stato affrancato solo dopo aver deposto il suo incarico.
568 Parte III. Conclusioni

Insieme a questi casi di personaggi di sicura o assai probabile condizione


servile, vale la pena di ricordare anche la gente di mestiere che nei documenti presi
in esame viene ricordata con un nome unico:

Optatus colonus Falerio 1 (entro la metà del I


sec. d.C.)
[---]us colonus Septempeda 1 (entro la metà
del I sec. d.C.)
Apollonius vilicus Falerio 9 (fine del I sec. a.C. -
inizio del I sec. d.C.)
Sosia faber Potentia 1 (poco dopo il 184
a.C.)
Felix tesserarius Falerio 8 (fine del III sec.
d.C. - inizi del IV sec. d.C.)
Philumenus actor Firmum 1 (seconda metà del I
sec. d.C.)
Beryllus secunda rudis Ancona 2 (prima metà del II
sec. d.C.)

La condizione sociale dei personaggi qui ricordati rimane sostanzialmente


incerta: in qualche caso, come per esempio per Apollonius o per Philumenus, le in-
formazioni in nostro possesso sullo statuto delle persone che in genere esercitavano
il mestiere di vilicus e di actor avvalorano l’ipotesi che, anche nei casi del Piceno,
ci troviamo davanti a degli schiavi; il medesimo discorso potrebbe essere fatto an-
che per Sosia, la cui probabile condizione servile trova numerosi confronti nella
documentazione relativa ai fabri nude dicti dell’Italia romana. Nel caso di Felix,
invece, il periodo al quale appartiene l’iscrizione, in cui la tradizionale formula
onomastica con i tria nomina si è dissolta e, specialmente tra la gente comune, il
nome unico si impone a prescindere dallo statuto giuridico del suo detentore, con-
siglia di astenersi da qualsiasi conclusione.
Da ricordare infine come tra la gente di mestiere del Piceno sia noto sola-
mente un peregrino, il medico Asclepiade di Pergamo, di cui l’iscrizione Falerio 3
ci ha tramandato l’epitafio.
A conclusione di questa analisi della condizione giuridica dei lavoratori atte-
stati nelle iscrizioni del Piceno, si può osservare che anche nella nostra regione,
come in altre aree del mondo antico 37, sembrano prevalere i liberti, anche se in mi-
sura minore che altrove. Quest’ultimo fenomeno può essere almeno parzialmente
spiegato con la forte incidenza nella documentazione della regio V dei mestieri di
servizio che erano spesso appannaggio, ai livelli più alti, come per esempio per la
funzione di scriba, degli ingenui, ai livelli inferiori dei servi.

37 Cf. per la penisola iberica Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., pp. 75-76; H. Schulze-Oben,
Freigelassene in den Städten des römischen Hispanien. Juristische, wirtschaftliche und soziale Stel-
lung nach dem Zeugnis der Inschriften, Bonn 1989, pp. 87-116.
Parte III. Conclusioni 569

2.3. Le relazioni delle gente di mestiere


La cerchia di relazioni rispecchiata dalle iscrizioni esaminate, e in massima
misura dalle sepolcrali, in alcuni casi allude all’importanza che il mestiere aveva
nel determinare la vita sociale di un personaggio:
1. Ti. Claudius Celer, praeco, ricevette sepoltura dal secunda rudis e dagli officia-
les della sua stessa compagnia di gladiatori (Ancona 1).
2. M. Valerius col. l. Verna, probabile dispensator, ricevette sepoltura, oltre che
dalla moglie Vibia Primilla, da colui che verosimilmente era stato il suo aiutante,
Ianuarius; i due dedicanti provvidero anche alla sepoltura per sé e per i propri di-
scendenti (Asculum 2).
3. T. [---]ntuleius T. l. H[---], expertus fori o foro (?), la cui sepoltura venne affi-
data per testamento a T. Pontius So[---] (Asculum 3).
4. Q. Tullienus Mario, dissignator, viene sepolto a cura dei suoi colleghi, i socii
dissignatores (Falerio 2).
5. Q. Lucilius Charinus, sagarius probabilmente originario di Mediolanum, curò
l’iscrizione funebre per sé e per l’amicus Q. Sulpicius Celadus, in un’area sepol-
crale di 168 piedi quadrati (Ricina 1). L’importanza che gli aspetti economici ave-
vano nelle relazioni di amicitia induce a prendere in considerazione a questo pro-
posito l’iscrizione di Ricina, anche se in via ipotetica.
I rapporti di lavoro tendono dunque a sostituire le relazioni familiari nel caso
il cui il mestiere costringa a frequenti spostamenti, come dovette accadere per il
praeco della compagnia gladiatoria (n°1) e per il mercante milanese di saga (n°4),
allontanando il lavoratore dal suo luogo d’origine e dai suoi affetti. In un caso, tut-
tavia, quello di M. Valerio Verna (n°3), un probabile compagno di lavoro si af-
fianca alla moglie del defunto per prestargli degne onoranze. In un altro, quello del
dissignator Q. Tullieno Marione (n°3), è un associazione dei suoi compagni di la-
voro a curare la sepoltura, assolvendo a quello che probabilmente era il suo com-
pito principale. Non conosciamo invece l’esatta natura dei legami esistenti tra T. [--
-]ntuleius T. l. H[---] e il T. Pontius So[---] che ne curò la sepoltura, in base alle
volontà testamentarie.
Nella maggioranza di casi tuttavia le iscrizioni sepolcrali ci fanno conoscere
i nuclei familiari dei lavoratori:
1. T. Asinius Severus, unguentarius, insieme alla moglie Vecilia Leva (?) eresse da
vivo il proprio sepolcro (Ancona 3).
2. M. Valerius col. l. Verna, probabile dispensator, ricevette sepoltura, oltre che da
colui che probabilmente era stato il suo aiutante, Ianuario, dalla moglie Vibia
Primilla; i due dedicanti provvidero anche alla sepoltura per sé e per i propri di-
scendenti (Asculum 2).
3. T. Sentius Men(---), scriba, è contitolare del sepolcro insieme alla moglie
Gorgonia Alete (?) e a T. Sentius Chresimus, probabile figlio della coppia (Asculum
5).
4. Restutus, actor alimentorum (?), cura l’iscrizione sepolcrale della moglie
Octavia Prisca, morta all’età di 28 anni, 5 mesi e 23 giorni (Auximum 2).
5. Iulia Q. l. Sabina, medica, riceve sepoltura dal marito, e forse colliberto, Q.
Iulius Atimetus (Auximum 9).
6. L. Feronius L. f. Vel. Rufus, scriba, riceve sepoltura dal padre L. Feronius
Amphius e dalla madre Ammea Iocunda (Auximum 10).
570 Parte III. Conclusioni

7. P. Sentius Felix, negotiator olearius, riceve sepoltura dalla moglie Sextilia


Adiecta (Cupra Maritima 1).
8. [---]arius Liber[---] (?), adiutor tabularii, pone sepoltura alla madre e forse a un
altro uomo (Cupra Montana 1).
9. T. Sillius T. l. Priscus, magister collegii fabrum II et quaestor II, magister et
quaestor sodalicii fullonum, insieme alla moglie Claudia Ti. l., mater sodalicii
fullonum, ricevette sepoltura dai figli T. Sillius Karus e Ti. Claudius Philippus, ma-
gistri et quaestores collegii fabrum (Falerio 11).
10. Philumenus, actor, ricevette sepoltura dai figli (Firmum 1).
11. Sex. Publicius Sex. f. Mae., scriba, è sepolto insieme alla moglie e probabile li-
berta Publicia Sex. l. Callipolis (Hadria 1).
12. Aujrhvlio" ∆Androvneiko", liqevnporo", curò la sepoltura per sé e per la moglie
Aijboutiva Fortou'na (Interamnia 1).
13. C. Publilius Longinus, magister collegii fabrum, ricevette sepoltura dal padre [-
] Publilius Longinus e dalla madre Annia Publ[---] (Ricina 2).
14. Anonimo, quaestor collegii fabrum (?), secondo la più probabile interpreta-
zione di questo lacunoso testo curò la sepoltura per sé e per la moglie (Urbs Salvia
7).
La vita sociale di coloro che indicano il proprio mestiere nel Piceno, così
come emerge dalle iscrizioni sepolcrali, non sembra differire nella maggior parte
dei casi da quella del resto della popolazione: indipendentemente dalla loro condi-
zione di ingenui (nn. 6; 11), liberti (nn. 2; 5; 9) o di schiavi (n°4; 9, sebbene la loro
condizione servile sia solo ipotetica), la famiglia appare anche per la gente di me-
stiere del Piceno la cellula fondamentale della vita sociale. Degni di nota piuttosto i
buoni matrimoni, con donne di condizione ingenua o libertina, del probabile di-
spensator M. Valerio Verna, liberto al momento della sua morte, ma verosimil-
mente schiavo quando esercitava il suo mestiere (n°2), e dell’actor alimentorum
Restutus, che pure era probabilmente di condizione servile. Non credo sia un caso
se entrambi i personaggi erano impiegati nel servizi pubblici, dal momento che i
lavoratori di questo settore sembrano godere di un particolare prestigio sociale
nella regio V38.
Altre iscrizioni alludono ad un rapporto fra patrono e cliente o fra colliberti:
1. C. Oppius C. l. Leonas, accensus consulis, cura l’iscrizione relativa ad un mo-
numento in onore del suo patrono C. Oppius Bassus C. f. Vel. Sabinus Iulius Nepos
M’. Vibius Sollemnis Severus, presso il quale aveva prestato la propria funzione
(Auximum 1).
2. [C.] Caesius [- f.] Vel., tubicen, viene sepolto insieme ai suoi probabili liberti C.
Caesius C. l. Phil[---] e C. Caesius C. l. Ho[---], secondo l’arbitrato del suo liberto
C. Caesius C. l. Ho[---], con ogni probabilità da identificare con il personaggio già
menzionato (Interamnia 3).
3. Q. Sertorius Q. l. Antiochus, colonus, ricevette sepoltura secondo le proprie di-
sposizioni testamentarie dal suo liberto Balbus, dalla probabile colliberta e forse
sua compagna di vita Sertoria Q. l. Europa e infine dalla sorella di Balbus, Nonia

38 Vd. infra, pp. 588-590.


Parte III. Conclusioni 571

Helena, liberta di un L. Nonio Asprenate, in un’area sepolcrale che misurava 224


piedi quadrati (Trea 1).
L’esistenza di un rapporto fra liberto e patrono coinvolgente anche l’aspetto
del lavoro si scorge nella documentazione del Piceno solamente nel caso di C.
Oppio Leonas e di C. Oppio Basso, che non solo era il patrono di Leonas, ma era
anche il console presso il quale questi servì come accenso. Le nostre iscrizioni sono
dunque quasi completamente mute riguardo un tema di particolare interesse nelle
storia economica e sociale del mondo romano, il grado di dipendenza dei liberti che
esercitavano un mestiere nei confronti dei loro ex padroni39.
Altri documenti ancora illustrano forse i rapporti tra uno schiavo e il proprio
padrone:
1. Optatus, colonus, curò la sepoltura di C. Marius Sedatus (Falerio 1).
2. [---]us, colonus, verosimilmente curò la sepoltura di [---]a ((mulieris)) l.
[---]ritio (Septempeda 1).
3. P. Petronius P. l. Primus, lusor folliculator, ricevette sepoltura da parte di una
Venusta, che a giudicare dalla sua formula onomastica dovrebbe essere una
schiava, forse dello stesso Primo; la donna, che potrebbe anche essere stata la com-
pagna di vita del lusor folliculator, curò il sepolcro anche per sé stessa (Urbs Salvia
5).
In altri casi, per la lacunosità del documento o per la mancanza di esplicite
indicazioni, non siamo in grado di precisare con certezza quali rapporti esistessero
tra il lavoratore e gli altri personaggi che sono menzionati nell’iscrizione:
1. Q. Petronius Q. f. Rufus, scriba quinquennalicius (?), viene sepolto insieme ad
altri tre personaggi, M[---] Repentina, Cominia Quarta e C. Tampius Cliens
(Asculum 4).
2. Apollonius, vilicus, forse curò la sepoltura del verna Sermo, morto all’età di 6
anni (Falerio 9).
3. [-] Tuscilius [---], colonus, è ricordato in un’iscrizione sepolcrale insieme ad una
donna [---]ilia (Trea 2).
4. L. Lictorius Clemens, grammaticus latinus, ricevette sepoltura dagli heredes, i
cui nomi sono andati perduti (Urbs Salvia 4).
5. Multasia Felicitas, nutrix, diede sepoltura ad un ragazzo (o ad una ragazza)
morto all’età di 15 anni, 2 mesi e 26 giorni, verosimilmente suo pupillo; l’erezione
dell’epitafio venne curata anche da un P. Multasius Felix (Urbs Salvia 6).

Abbiamo infine qualche iscrizione funebre in cui il defunto che indica il


proprio mestiere è l’unico personaggio menzionato40: la datazione immancabil-
mente alta di questi documenti induce a cercare le ragioni del fenomeno nelle con-

39 Tema indagato, tra gli altri, da Schulze-Oben, Freigelassene, cit., pp. 96-99 per la documentazione
della penisola iberica.
40 Cf. Auximum 6 (entro i primi decenni del I sec. d.C.); Cingulum 1 (entro la metà del I sec. d.C.);
Falerio 3 (entro la prima metà del I sec. d.C.); Falerio 4 (entro la metà del I sec. d.C.); Firmum 2 (tra
la fine del II sec. a.C. e gli inizi del secolo seguente); Truentum 1 (tra la fine del II sec. a.C. e gli inizi
del secolo seguente); Truentum 2 (di età augustea o degli anni immediatamente seguenti).
572 Parte III. Conclusioni

suetudini del formulario delle sepolcrali di quel periodo piuttosto che nelle rela-
zioni sociali dei lavoratori.

2.4. Stranieri e indigeni


Per almeno quattro delle persone che dichiarano la propria occupazione
nell’epigrafia della regio V si può ipotizzare un’origine extrapicena: il sagarius Q.
Lucilio Carino che fu VI vir a Mediolanum (Ricina 1), il mercante di marmi
Aurelio Andronico, che si dichiara esplicitamente originario di Nicomedia (Inte-
ramnia 1), il negotiator olearius P. Senzio Felice, che rivestì a Ravenna la funzione
di Augustalis (Cupra Maritima 1), infine il medico Asclepiade, del quale cono-
sciamo l’etnico Pergamhvno" (Falerio 3). Gli unici due documenti in lingua greca
del dossier, gli epitafi di Andronico e di Asclepiade, si riferiscono dunque a stra-
nieri.
Le professioni attestate, commercianti e medici, sono in effetti tra quelle che
più spesso spingevano agli spostamenti, ma credo sia interessante notare come tra i
non molti allogeni attestati dalle iscrizioni del Piceno, coloro che ricordano la pro-
pria occupazione sembrino comunque rappresentare una quota molto significativa.
Anche sulla base dei dati relativi ad aree geografiche diverse41, credo dun-
que non sia illegittimo ipotizzare che, nel caso in cui una persona mancasse di quei
riferimenti familiari che rappresentavano il miglior mezzo per la sua identificazione
nella comunità, l’indicazione del mestiere potesse rappresentare un elemento per la
costruzione di un’identità di importanza maggiore che per gli indigeni.

2.5. La gente di mestiere e i sacerdozi legati al culto imperiale


La gente di mestiere del Piceno non sembra aver rivestito altre cariche pub-
bliche se non i sacerdozi connessi al culto imperiale, che del resto potevano rappre-
sentare già un importante traguardo per le persone di modesta estrazione sociale

41 Cf. nella penisola iberica RIT 394, iscrizione sepolcrale da Tarraco di Agathocules (!), verna
Vienensis (!) (cf. Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., p. 18, n°14); il probabile aurifex Iulius
Statutus di RIT 447, per il suo signum Carnuntius, potrebbe aver avuto un qualche rapporto con Car-
nuntum secondo Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., pp. 16-17, n°10; anche il caelator ana-
glyptarius attestato dall’iscrizione CIL II, 2243 = CIL II2, 7, 337 doveva essere un allogeno: secondo
l’interpretazione di questo testo noto solo da tradizione, proposta in CIL II, 2243, doveva trattarsi di
un C. Valerius [Diaph]ane[s?], [na]tione Tu[---]; in CIL II 2, 7, 337 A.U. Stylow suggerisce in via
ipotetica di interpretare C(aius) Valerius Anemption, Tuccit(anus). Per gli stranieri nelle iscrizioni re-
lative alle arti liberali della penisola Iberica vd. inoltre Crespo Ortiz de Zarate - Sagredo San
Eustaquio, Profesiones, cit., pp. 66-67. La frequenza con la quale i commercianti indicano il proprio
luogo d’origine è notata da H. Pavis D’Escurac, Origo et résidence dans le monde du commerce sous
le Haut-Empire, «Ktema», 13 (1988) [1992], pp. 58-59; cf. a questo proposito anche i numerosi
esempi dalle aree del Reno e dell’alto e medio Danubio raccolti da H. Von Petrikovits, Römischer
Handel am Rhein und an der oberen und mittleren Donau, «Untersuchungen zu Handel und Verkehr
der vor- und frühgeschichtlichen Zeit in Mittel- und Nordeuropa», a cura di K. Düvel - H. Jankuhn -
H. Siems - D. Timpe, Göttingen 1985, pp. 324-325; ora in Beiträge zur römischen Geschichte und
Archäologie, cit., pp. 301-302. Mansuelli, Monuments, cit., p. 62 ricorda invece che le raffigurazioni
di scene di mestiere nella Cisalpina si riferiscono di frequente ad allogeni.
Parte III. Conclusioni 573

che in genere abbiamo incontrato nel dossier di testimonianze. I dati si possono


riassumere nel quadro seguente:
1. Q. Petronius Q. f. Rufus, scriba quinquennalicius (?) e sexvir ad Asculum
(Asculum 4, di età tiberiana).
2. T. Sentius Men(---), scriba e VI vir ad Asculum (Asculum 5, entro la metà del I
sec. d.C.).
3. C. Oppius C. l. Leonas, accensus consulis e VI vir et Augustalis ad Auximum
(Auximum 1, intorno alla metà del II sec. d.C. e Auximum 2, del 159 d.C.).
4. P. Sentius Felix, negotiator olearius a Cupra Maritima ed Augustalis a Ravenna
(Cupra Maritima 1, del II sec. d.C.).
5. Q. Lucilius Charinus, sagarius a Ricina e VI vir a Mediolanum (Ricina 1, entro
la metà del I sec. d.C.).
6. [---]ius [---]asus (?), magister collegii fabrum (?) e VI vir Augustalis (?) a Ricina
(Ricina 3, di incerta datazione).
7. C. Marcilius Eros, purpurarius e V vir a Truentum (Truentum 2, della fine del I
sec. a.C. o degli inizi del secolo seguente).
8. Anonimo, quaestor collegii fabrum (?) e IIII vir ad Urbs Salvia, se questa carica
è effettivamente assimilabile all’Augustalità e ai sacerdozi affini (Urbs Salvia 7,
della fine del I sec. d.C. o degli inizi del secolo seguente).
L’Augustalità e le cariche affini vennero dunque rivestite sia da liberi (n°1)
come da liberti (n°3 e forse i nn. 4 e 5, la cui funzione venne peraltro esercitata al
di fuori della regione, nonché il n°7). Le professioni esercitate riguardano la produ-
zione e la vendita di un bene di lusso come la porpora (n°7) ed un’attività commer-
ciale di largo respiro, tra la Cisalpina e il Piceno, nel settore tessile (n° 4); ma inte-
ressano anche, e in proporzione significativa, le occupazioni di servizio (nn. 1-3).
In due casi i sacerdozi connessi al culto imperiale sono correlati alle magistrature
esercitate nell’ambito di collegi professionali (nn. 6 e 8, se l’interpretazione che si è
proposta per questi due lacunosi documenti è corretta)42. L’Augustalità e le fun-
zioni affini appaiono dunque nel Piceno invariabilmente per personaggi che hanno
già acquisito posizioni di un certo rilievo grazie alla loro attività professionale43.

2.6. Il mondo religioso della gente di mestiere


I documenti che ci possono dare qualche informazione sul mondo religioso
della gente di mestiere nel Piceno sono appena quattro:
1. L’iscrizione votiva posta a Vertumnus Augustus dal dispensator Karus (Ancona
1, di incerta datazione).

42 Altri casi in Duthoy, Fonction, cit., pp. 145-146.


43 Per un confronto vd. le considerazioni generali di Duthoy, Fonction, cit., pp. 141-145: gli
*Augustales erano soprattutto commercianti ed artigiani; i mestieri di servizio vengono al terzo posto;
cf. anche F. Tassaux, Sévirat et promotion sociale en Italie nord-orientale, «Les Élites municipales de
l’Italie péninsulaire de la mort de César à la mort de Domitien entre continuité et rupture. Classes
sociales dirigeants et pouvoir central», a cura di M. Cébeillac-Gervasoni, Rome 2000, pp. 404-406: le
fortune economiche degli Augustali del territorio preso in esame appaiono legate essenzialmente al
commercio, in minor misura alla manifattura e alle attività bancarie; assenti, al momento, relazioni
con i servizi amministrativi. che nel Piceno hanno invece un ruolo rilevante.
574 Parte III. Conclusioni

2. L’iscrizione nella quale il dispensator arcae summarum di Asculum Rufus ri-


corda il suo decisivo intervento finanziario nell’erezione di un tempio e di una sta-
tua della Fortuna Redux (Asculum 1, del 172 d.C.). La dedica, per la sua datazione,
è verosimilmente da riconnettere con gli auspici per un felice ritorno
dell’imperatore Marco Aurelio dalla campagna contro i Marcomanni.
3. La dedica ad Esculapio ed Hygia da parte dell’accensus C. Oppius C. l. Leonas
(Auximum 2, del 159 d.C.).
4. L’iscrizione votiva posta dal dispensator [---]eus ai Lares Familiares (Auximum
4, della seconda metà del I sec. d.C.).
Le informazioni in nostro possesso sono dunque troppo frammentarie per
trarre una qualsiasi conclusione organica. Mi limito dunque ad osservare come i
culti della gente di mestiere del Piceno non sembrino al momento presentare tratti
peculiari o comunque direttamente connessi all’attività svolta.
Una parte importante ha la devozione nei confronti della famiglia imperiale, i
cui segni si hanno nella dedica di un tempio e di una statua alla Fortuna Redux,
probabilmente per il felice ritorno di Marco Aurelio dalle sue campagne sul Danu-
bio, nell’epiteto Augustus assegnato a Vertumnus, divinità del resto non tutto estra-
nea al mondo del lavoro44, ma anche nel nome Augusta, col quale il collegio dei
fabri tignuarii di Tolentino aveva battezzato la schola, sede dell’associazione (To-
lentinum 1, datata tra fine del I sec. d.C. e gli inizi del II sec. d.C.).
Da notare anche il ruolo rilevante dei dispensatores, che per cultura e possi-
bilità economiche sembrano essere gli unici, tra la gente di mestiere del Piceno, in
grado di lasciare tracce abbastanza consistenti della loro religiosità.

3. Le occupazioni attestate nell’epigrafia del Piceno


3.1. I grandi settori di attività nell’epigrafia del Piceno
Può essere comodo raggruppare le diverse occupazioni attestate
nell’epigrafia del Piceno secondo grandi settori di attività. Si seguirà qui sostan-
zialmente la dettagliata articolazione suggerita da E. Frézouls per la sua analisi dei
nomi dei mestieri nelle iscrizioni della Gallia e della Germania45, secondo lo
schema che segue:
Nomi generici
A. La produzione
1. I mestieri della terra
2. I mestieri del legno
3. I mestieri della pietra e della costruzione
4. I mestieri del metallo
5. I mestieri dell’argilla e del vetro
6. I mestieri della pelle e del cuoio
7. I mestieri del settore tessile
B. Il commercio, i trasporti, le finanze

44 Vd. supra, p. 110.


45 Frézouls, Noms de métiers, cit., partic. pp. 55-65.
Parte III. Conclusioni 575

1. Il commercio al dettaglio
2. Il commercio all’ingrosso
3. I trasporti
4. I mestieri del denaro
C. I servizi
1. I servizi pubblici
2. I servizi privati
3. Altri servizi di carattere ambiguo, ivi compresi gli spettacoli.
D. Le arti liberali
1. La sanità
2. L’insegnamento
3. La cultura
4. Il diritto
Questo schema, pur risultando in alcune classificazioni piuttosto arbitrario,
come del resto ogni altra suddivisione che si potrebbe proporre, mi pare adatto a
descrivere anche la situazione del Piceno, con alcune cautele.
In particolare nella sezione B il Frézouls ha distinto i grandi commercianti
all’ingrosso, sostanzialmente i personaggi connotati dal nome di mestiere negotia-
tor o negotians, seguito eventualmente dall’indicazione della merce trattata, dai
venditori al dettaglio, distinti da nomi di mestiere generici, come mercator, propola
o forensis o da termini relativi ad occupazioni che allo studioso parvero slegate
dall’aspetto produttivo, come per esempio frumentarius, lanio, olearius, seplasia-
rius, turarius, unguentarius. Tale distinzione, che si fonda sostanzialmente sulla
accettazione di una terminologia antica che non sempre venne utilizzata in modo
coerente, risulta a mio avviso un poco artificiosa: la scala delle attività commerciali
non è in effetti immediatamente desumibile dall’uso di termini come mercator e
negotiator; inoltre, se è vero che i mestieri legati all’alimentazione consistono es-
senzialmente in un’attività di tipo commerciale, ciò non vale del tutto per i mestieri
che potremmo dire della farmacopea: alcuni dei seplasiarii, turarii e unguentarii a
noi noti dalla documentazione epigrafica senza dubbio preparavano essi stessi i
prodotti che avrebbero venduto. Del resto molti degli artigiani che E. Frézouls in-
clude nel suo gruppo A si occupavano sia dell’aspetto della produzione come delle
vendita delle merci46: un caso esemplificativo nella documentazione picena è of-
ferto dal sagarius Q. Lucilius Charinus, che, seguendo alla lettera lo schema del
Frézouls, dovremmo schedare sotto la voce A. 7, I mestieri del settore tessile. In
realtà l’analisi dell’iscrizione Ricina 1 ci ha portato ad ipotizzare che il personag-
gio, che rivestì la carica di VI vir a Mediolanum, fosse originario della grande città
della Cisalpina e qui avesse la principale base dei suoi affari e che la sua presenza a

46 Su questo punto vd. Loane, Industry and Commerce, cit., pp. 63-65; Huttunen, Social Strata, cit.,
p. 119; A. Händel, Zur Interpretation von Inschriften mit Berufsbezeichnungen von Handwerken und
Händlern im Rom der Prinzipatszeit, «Klio», 67 (1985), pp. 500-501; Von Petrikovits, Spezialisie-
rung, cit., pp. 69-70; ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit., pp. 69-70; Id.,
Römischer Handel, cit., pp. 299-300; ora in Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, cit.,
pp. 283-284; Rodríguez Neila in Rodríguez Neila - González Román - Mangas - Orejas, Trabajo, cit.,
p. 11.
576 Parte III. Conclusioni

Ricina fosse presumibilmente dovuta a ragioni commerciali: Q. Lucilio Carino era


dunque probabilmente un mercante, oltre che forse un produttore di saga, e nulla
vieta di pensare che egli conducesse un’attività in grande stile. Nell’assegnare i di-
versi personaggi alle due categorie di commercianti ho preferito dunque una valu-
tazione fondata sul contesto piuttosto che sul nome di mestiere. Nel caso di occu-
pazioni che implichino sia un aspetto produttivo, sia un aspetto di commercializza-
zione, ho ritenuto opportuno ricordare i relativi personaggi tanto nella sezione A,
La produzione, sotto la voce corrispondente, quanto sotto la sezione B, Il commer-
cio, i trasporti, le finanze.
Per quanto riguarda la sezione C, il Frézouls ha schedato sistematicamente
sotto la voce 3 Altri servizi di carattere ambiguo, ivi compresi gli spettacoli, tutti le
occupazioni che possono essere pertinenti sia al settore pubblico, sia al settore pri-
vato, come actor, scriba o tabularius, per citare solo alcuni dei mestieri che sono
noti anche nella documentazione del Piceno; dal contesto tuttavia è spesso possibile
ipotizzare, con maggiore o minore sicurezza, se quella data funzione venne
esercitata alle dipendenze di un privato oppure per conto della res publica, a livello
locale o a livello centrale. Sforzandomi di ricondurre i mestieri di servizio ad una di
queste due categorie, ho incluso sotto la voce 3 solamente le occupazioni legate
allo spettacolo.
L’analisi che segue riguarda essenzialmente le attestazioni individuali di me-
stieri; tuttavia verranno ricordate anche le associazioni professionali, incluse nella
categoria che meglio sembra corrispondere alla loro denominazione: con ciò tutta-
via non si intende affermare che tra professione esercitata e collegio di mestiere di
appartenenza esistesse sempre una perfetta corrispondenza.

A. La produzione
Mentre fino a questo momento non conosciamo alcun esempio nel Piceno di
nomi generici di lavoratori, come per esempio artifex o opifex47, le attività produt-
tive sono rappresentate da 18 iscrizioni, relative a 11 mestieri diversi: architec-
tus48, colonus, faber (e la specializzazione di faber tignuarius), gypsarius, posses-
sor, purpurarius, sagarius, structor49, tesserarius, unguentarius e vilicus.

1. I mestieri della terra


Sono rappresentati da quattro attestazioni individuali di coloni: Optatus, un
possibile servus quasi colonus dell’iscrizione Falerio 1, datata entro la prima metà
del I sec. d.C., un altro personaggio verosimilmente con nome unico della coeva
Septempeda 1, il liberto Q. Sertorius Antiochus, il cui epitafio metrico ci è traman-
dato dall’epigrafe Trea 1, inquadrabile tra la fine del I sec. a.C. e gli inizi del secolo

47 Debolmente attestati in altre aree, cf. in Spagna Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., pp. 7-
10, con due casi del termine artifex.
48 Due delle attestazioni di questo mestiere sono tuttavia incerte, vd. supra, pp. 256-258 e 485-495, il
commento alle iscrizioni Cluana 1 e Truentum 1.
49 Attestazione incerta, vd. supra, pp. 256-258, il commento all’iscrizione Cluana 1.
Parte III. Conclusioni 577

seguente, infine dal personaggio, forse un Tuscilius, menzionato nella lacunosa


Trea 2, della fine del I sec. d.C. o degli inizi del secolo seguente.
Un unico fattore, il vilicus Apollonius, è per il momento noto nella docu-
mentazione epigrafica della regio V, grazie all’iscrizione Falerio 9, che risale al pe-
riodo compreso tra la fine del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C.: si tratta solo di
una casualità o il fatto dipende, almeno in qualche misura, dalla scarsa diffusione
nel Piceno di quell’organizzazione della proprietà, vaste tenute di un proprietario
assenteista, coltivate principalmente da manodopera servile, cui la figura del vilicus
è legata prevalentemente, anche se non esclusivamente50? Al momento non è facile
rispondere a questo interrogativo, si può tuttavia notare come anche da altri indici
pare di poter concludere che nel Piceno prevalesse, almeno nel periodo tardorepub-
blicano e altoimperiale, la piccola proprietà terriera e come nella regio V sia nota
un’unica attestazione di un mestiere che in alcuni casi può essere avvicinato a
quello del vilicus, cioè quello di actor; era questi in effetti un sovrintendente inca-
ricato in particolare dell’amministrazione finanziaria di beni di diversa natura, tra i
quali anche le tenute agricole51.
Il quadro è utilmente completato dalle attestazioni di possessores, sempre
menzionati in quanto collettività e tutti, curiosamente, in iscrizioni di Falerio, a
cominciare dalla celeberrima epigrafe dell’82 d.C. in cui si registrava la decisione
di Domiziano a proposito della controversia confinaria tra Firmani e Falerionesi; i
possessores circa forum appaiono poi tra coloro i quali contribuirono al finanzia-
mento di una nuova strada selciata che collegava il Foro pecuario al Capitolium
(Falerio 7), anche se in questo caso non è affatto certo che si tratti di proprietari di
fondi agricoli, quanto piuttosto dei titolari dei terreni circostanti il Foro pecuario,
non necessariamente destinato a coltura. I possessores tornano infine in
un’iscrizione, Falerio 6, di dubbia interpretazione a causa della lacunosità del testo,
ma che probabilmente riguardava ancora una volta l’esecuzione di una qualche
opera pubblica e che forse ha un qualche rapporto con la strada selciata ricordata
nella già menzionata Falerio 7.

2. I mestieri del legno


Una sola attestazione individuale, quella del faber tignuarius C. Plotius C. l.
Alexander dell’iscrizione Auximum 6, databile entro i primi decenni del I sec. d.C.,
riguarda la lavorazione del legname, anche se a dire il vero il termine tignuarius,
nel corso del tempo, andò a designare i lavoratori dell’edilizia in genere, qualunque
fosse il materiale impiegato per la costruzione52. Il liberto C. Plozio Alessandro

50 Ad una spiegazione simile perviene E. Buchi, Assetto agrario, risorse e attività economiche, «Il
Veneto nell’età romana. I. Storiografia, organizzazione del territorio, economia e religione», a cura
di E. Buchi, Verona 1987, p. 111 per l’area del Veneto, notando lo scarso numero di attestazioni epi-
grafiche di vilici ed actores nella regione.
51 Si tratta dell’actor Philumenus, noto dall’iscrizione Firmum 1, probabilmente della seconda metà
del I sec. d.C. Per la verità non conosciamo con certezza la branca dell’amministrazione in cui questo
actor era impegnato: l’ipotesi che si trattasse di un sovrintendente di una proprietà agricola è solo una
delle tante possibili.
52 Vd. supra, pp. 201-202.
578 Parte III. Conclusioni

andrà dunque accostato ai lavoratori ricordati alla voce seguente. Ricordo che nella
regio V, ed in particolare a Tolentinum, è noto anche un collegium fabrum tignua-
riorum (Tolentinum 1, fine I sec. d.C. - inizi II sec. d.C.).
Secondo l’orientamento dominante nella dottrina scientifica, in questa cate-
goria occupazionale dovrebbero essere inclusi anche i dendrophori, il cui collegium
è noto nella regione a Falerio (Falerio 10, seconda metà del II sec. d.C. - inizi del
III sec. d.C.). Si è visto tuttavia come i caratteri professionali di questa associazione
siano piuttosto evanescenti 53.

3. I mestieri della pietra e della costruzione


Sei attestazioni in totale per questa classe occupazionale 54, di cui una tutta-
via suscita diverse perplessità: si tratta dell’iscrizione Truentum 1, databile tra la fi-
ne del II e gli inizi del I sec. a.C., nella quale si è voluto riconoscere la menzione di
un architetto di nome P. Buxurius P. f. Tracalus; nel commento al testo si è messo
in evidenza come in realtà il ricordo di questa occupazione, che qui apparirebbe
nelle forma assolutamente inconsueta di arte tecta, sia tutt’altro che certo. Meno
dubbi sussistono riguardo l’attività di Pilonicus, schiavo di un L. Ottavio, che curò
a Cluana i lavori nell’area di un sacello dedicato ai Lari Compitali secondo l’iscri-
zione Cluana 1, della fine del II sec. a.C.; il documento non indica esplicitamente
alcun nome di mestiere, ma dal tipo di attività svolta si può desumere che Filonico
dovesse essere un architetto o piuttosto uno structor. Certamente architectus era
invece il personaggio, il cui nome è andato perduto, ricordato nel graffito Urbs
Salvia 1.
Si occupava piuttosto della decorazione il gypsarius di condizione libertina
che conosciamo grazie all’iscrizione sepolcrale Firmum 3, che dovrebbe inqua-
drarsi entro la metà del I sec. d.C.
Tra le ultime testimonianze del dossier, in ordine cronologico, da ricordare
l’iscrizione musiva Falerio 8, che ci conserva la “firma” del tesserarius Felix; il
documento risale in effetti alla fine del III sec. d.C. o agli inizi del secolo seguente.
In questa categoria di occupazioni, o nelle categorie rispettivamente prece-
dente e seguente, andranno inclusi almeno alcuni dei membri dei diversi collegia
fabrum, attestati in regione, in particolare ad Auximum, Falerio, Firmum, Ricina,
Trea e, forse, Urbs Salvia55 ed il faber Sosia del graffito Potentia 1. Il faber nude
dictus in effetti è l’artigiano che lavora ogni materiale duro, come la pietra, il legno
o il metallo56. Si deve tuttavia ribadire che le associazioni dei fabri non erano
esclusivamente riservate a questi artigiani e che i loro fini, almeno a giudicare dalla
documentazione in nostro possesso, non erano eminentemente professionali.

53 Vd. supra, pp. 342-344.


54 Sulla quale vd. anche Frézouls, Apport de l’épigraphie, cit., pp. 35-44.
55 Vd. infra, pp. 593-594.
56 Cf. supra, p. 201.
Parte III. Conclusioni 579

4. I mestieri del metallo


Nessuna attestazione nel Piceno per questa categoria di occupazioni, pure
abbastanza ben nota in altre aree57.

5. I mestieri dell’argilla e del vetro


Nemmeno per questo genere di mestieri ci è al momento nota alcuna attesta-
zione dalla regio V, un fatto che potrebbe sorprendere, dal momento che la produ-
zione ceramica è indubbiamente una delle attività meglio conosciute della regione,
soprattutto per quanto concerne la produzione di anfore58. La scarsa visibilità dei
lavoratori del settore fittile è tuttavia un fenomeno ben noto nell’epigrafia lapidaria
di tutte le regioni del mondo antico59, spiegabile da un lato per scarsa considera-
zione sociale di cui questi mestieri godevano, dall’altro dalle condizioni di miseria
in cui la maggior parte degli lavoratori del settore viveva60.

6. I mestieri della pelle e del cuoio


Nemmeno in questo settore occupazionale è nota alcuna menzione nel Pi-
ceno; del resto si tratta di mestieri in genere poco conosciuti e debolmente atte-
stati61.

7. I mestieri del settore tessile


Questo settore di attività, in genere ben attestato nella documentazione epi-
grafica 62, è presente nel Piceno con soli due esempi: il purpurarius C. Marcilio

57 Per esempio nella penisola iberica, dove questo settore occupazionale è il secondo per numero di
attestazioni, dopo il settore tessile, cf. Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., pp. 65-67: il dato
del resto non desta sorpresa, in considerazione dell’importanza delle miniere di metalli in questa re-
gione.
58 Vd. supra, pp. 50-72.
59 Cf. Frézouls, Noms de métiers, cit., pp. 42; 57, che per l’insieme delle province della Gallia e della
Germania ha rintracciato solamente 7 attestazioni di mestieri legati alla lavorazione dell’argilla. Un
solo figulus in tutta la documentazione della penisola iberica, cf. Gimeno Pascual, Artesanos y tecni-
cos, cit., pp. 67-68.
60 Frézouls, Noms de métiers, cit., p. 57.
61 Cf. Frézouls, Noms de métiers, cit., p. 57, che ha riunito per la Gallia e la Germania solamente 9
attestazioni, relative a 6 mestieri diversi: pellio, lorarius, loricarius, capistrarius, solearius e sutor.
Nella penisola iberica un solo mestiere, quello di sutor, è noto per questa classe di occupazioni, con
quattro attestazioni, cf. Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., p. 69. A Mediolanum, oltre ad una
attestazione di un sutor caligarius, si può ricordare un comparator mercis sutoriae, cf. Calderini, Arti
e mestieri, cit., pp. 529-530.
62 È il primo per numero di attestazioni tra i settori artigianali nella Traspadana, e in particolare a
Mediolanum, secondo Calderini, Arti e mestieri, cit., pp. 523-528, come anche nella penisola iberica
in generale, secondo le ricerche di Gimeno Pascual, Artesanos y tecnicos, cit., pp. 68-69, e nel con-
ventus Bracaraugustanus in particolare, cf. Martínez, Los diferentes artes y ofícios, cit., pp. 155-156;
in Gallia e Germania è secondo solo ai mestieri legati alla lavorazione del legno per Frézouls, Noms
de métiers, cit., pp. 57-58. I mestieri del settore tessile sono particolarmente ben rappresentati anche
nella necropoli cristiana di Tiro, in evidente connessione con l’importanza che in questa località aveva
l’industria della porpora, cf. Rey-Coquais, Fortune et rang social, cit., p. 282.
580 Parte III. Conclusioni

Eros dell’iscrizione Truentum 2, databile in età augustea o negli anni immediata-


mente successivi, e il sagarius Q. Lucilio Carino, noto dall’epitafio Ricina 1, che
va collocato entro la metà del I sec. d.C. Va tuttavia precisato, a proposito di
quest’ultimo caso, che l’attività svolta da Carino a Ricina era con ogni probabilità
di tipo commerciale e che dunque la sua presenza nella cittadina del Piceno non
implica necessariamente una produzione di saga nella regio V. L’attività di C.
Marcilio Eros trova invece riscontro a livello regionale in un cenno di Silio Italico,
pure piuttosto vago63.
In questa categoria di occupazioni si inquadreranno anche i lavoratori riuniti
nel sodalicium fullonum di Falerio, attestato dall’iscrizione Falerio 11, della se-
conda metà del I sec. d.C. - inizi II sec. d.C. Meno scontato l’inserimento nel set-
tore tessile delle numerose attestazioni del collegio dei centonarii, presenti in re-
gione ad Auximum, Falerio, Firmum, Interamnia e Trea64: se dal punto di vista
etimologico i centonari sono indubbiamente legati alla confezione e forse alla ven-
dita dei centones, panni creati cucendo insieme pezzi di stoffa diversi, nel periodo
al quale risalgano le attestazioni della regio V, tra la seconda metà del I sec. d.C. e
gli inizi del III sec. d.C., l’associazione comprendeva anche lavoratori impegnati in
settori occupazionali diversi da quello tessile65.

8. I mestieri della farmacopea


In questa nuova categoria, non compresa nello schema proposto da E.
Frézouls, includeremo l’unguentarius T. Asinio Severo dell’iscrizione Ancona 3,
della prima metà del I sec. d.C., che è ragionevole supporre preparasse almeno al-
cuni degli unguenta che avrebbe poi venduto.

B. Il commercio, i trasporti, le finanze


Per questo ampio settore di occupazioni possediamo 11 iscrizioni, relative a
9 mestieri differenti: arcarius, argentarius, dispensator, liqevnporo", negotians,
negotiator olearius, purpurarius, sagarius, unguentarius. Per quanto concerne gli
ultimi tre mestieri citati si ha una sovrapposizione con la categoria precedente, re-
lativa alle attività delle produzione, che trova giustificazione nel fatto che nel
mondo antico gli artigiani frequentemente si occupavano anche della vendita dei
loro prodotti.

1. Il commercio al dettaglio
La categoria è rappresentata da due artigiani - piccoli commercianti che ab-
biamo già incontrato nell’esame dei mestieri della produzione, il purpurarius C.
Marcilius Eros dell’iscrizione Truentum 2 e l’unguentarius T. Asinio Severo
dell’epigrafe Ancona 3.

63 Vd. supra, p. 72, nota 301.


64 Vd. infra, pp. 591-592.
65 Cf. supra, p. 227.
Parte III. Conclusioni 581

2. Il commercio all’ingrosso
Oltre al già citato Q. Lucilio Carino, che probabilmente gestiva un traffico
commerciale di saga ad ampio raggio tra Mediolanum e la regio V, conosciamo al-
tri due mercanti inquadrabili in questa categoria; significativamente si tratta di
stranieri, così come lo stesso Carino era probabilmente originario di Mediolanum:
il negotiator olearius P. Senzio Felice, Augustale di Ravenna e verosimilmente
originario di quella città, attestato dal suo epitafio Cupra Maritima 1, del II sec.
d.C., e il liqevnporo" Aurelio Andronico di Nicomedia, di cui conosciamo l’iscri-
zione sepolcrale su sarcofago di età costantiniana (Interamnia 1). Negotiantes come
collettività sono ricordati nell’iscrizione Falerio 7 tra coloro che contribuirono al
finanziamento per la costruzione di una strada selciata.

3. I trasporti
Nessuna attestazione nel Piceno per questa classe occupazionale, altrove ben
nota, soprattutto per quanto concerne i trasporti via acqua66.

4. I mestieri del denaro


Si tratta di una categoria ben attestata nella documentazione picena. In primo
luogo si deve ricordare l’argentarius P. Oppio, di condizione libertina, il cui epita-
fio Firmum 1, della fine del II sec. a.C. o degli inizi del secolo seguente, costituisce
in assoluto una delle prime notizie sul mestiere da fonte epigrafica.
Spiccano tuttavia in questa classe soprattutto i dispensatores, che con 4 o
forse 5 attestazioni rappresentano insieme ai coloni il mestiere meglio noto dalla
documentazione epigrafica picena. Tra i dispensatores della regio V ricordiamo
Caro, conosciuto dall’iscrizione votiva Ancona 1, di incerta datazione, che potrebbe
aver prestato i propri servizi presso un privato o presso una qualche pubblica
amministrazione. [---]eus ricorda nell’epigrafe Auximum 4, della seconda metà del
I sec. d.C., un qualche dono ai Lares Familiares, divinità particolarmente venerate
dai membri di condizione servile e libertina delle familiae legate ad una qualche
grande casata; per questo motivo si è supposto che il nostro personaggio fosse al
servizio di un privato. Era invece impiegato della municipalità il dispensator arcae
summarum Rufo, che nell’iscrizione Asculum 1 registra il proprio contributo
all’erezione di un tempio alla Fortuna Redux, con una statua della divinità, e la di-
stribuzione di una consistente sportula in denaro in occasione della dedica
dell’edificio, avvenuta nel 172 d.C. Anche Ianuarius, che fu prima arcarius, o
forse vicarius, del dispensator ed in seguito venne promosso alla funzione stessa di
dispensator, era alle dipendenze dei servizi pubblici di Asculum nella seconda metà
del I sec. d.C.: l’esame dell’iscrizione Asculum 2, in cui Ianuario appare come cu-
ratore della sepoltura di un tal M. Valerius Verna, liberto della colonia di Ascoli, ha

66 Cf. per esempio per la Transpadana Calderini, Arti e mestieri, cit., pp. 531-532; Frézouls, Noms de
métiers, cit., pp. 47-48; 61, che sulle 97 attestazioni nelle province della Gallia e della Germania in
questa categoria di occupazioni ne ha potute rintracciare solamente 5 relative ai trasporti via terra.
582 Parte III. Conclusioni

portato ad ipotizzare che il defunto fosse lo stesso dispensator alle cui dipendenze
Ianuario aveva lavorato.

C. I servizi e gli spettacoli


Con 22 iscrizioni, relative a 14 mestieri differenti (accensus, actor, adiutor
tabularii, dissignator, exceptor, gladiator, lusor folliculator, nutrix, praeco, procu-
rator, scriba, secunda rudis, tabularius, tubicen), questo settore di occupazione è il
meglio noto nell’epigrafia della regio V.

1. I servizi pubblici
All’interno del settore è la categoria con il maggior numero di attestazioni:
ricordiamo innanzitutto C. Oppius C. l. Leonas, liberto e accensus del console C.
Oppius Bassus C. f. Vel. Sabinus Iulius Nepos M’. Vibius Sollemnis Severus di Au-
ximum, che intorno alla metà del II sec. d.C. dedicò una statua al suo influente pa-
trono (Auximum 1) e pose una dedica ad Esculapio ed Hygia, accompagnata da una
distribuzione di sportulae che interessò i decurioni, gli Augustali e i coloni di
Osimo (Auximum 2).
Era invece un impiegato dell’amministrazione municipale della stessa Auxi-
mum, ed in particolare dell’ufficio che si occupava dell’istituzione alimentaria, il
probabile schiavo Restutus, actor alimentorum noto dal suo epitafio che dovrebbe
risalire agli ultimi anni del II sec. o agli inizi del III sec. d.C. (Auximum 3).
Alle dipendenze dell’amministrazione imperiale agivano con ogni probabi-
lità i due Augusti liberti L. Aurelio Marciano, che svolse la funzione di exceptor,
dunque di stenografo, e il padre Marcus che era procurator, forse con l’incarico di
amministrare alcuni dei beni del patrimonio imperiale nel Piceno; i due personaggi
sono noti dall’iscrizione Auximum 5, della fine del II sec. d.C., che registra gli
onori tributati a Marciano per decreto del consiglio municipale di Osimo; il padre
di Marciano decise di accollarsi l’onere finanziario dell’erezione del monumento,
verosimilmente una statua, e in occasione della dedica procedette ad una distribu-
zione di una somma di denaro ai decurioni e ai coloni locali.
Ben rappresentati in questa categoria sono soprattutto gli scribi67: di L .
Feronius L. f. Vel. Ru[fus], attestato nella sua iscrizione sepolcrale Auximum 10,
inquadrabile verso la metà del I sec. d.C., non siamo in grado di affermare se egli
lavorasse nel settore pubblico o piuttosto come segretario di un privato; la prima
delle due ipotesi appare tuttavia preferibile, in considerazione dello statuto ingenuo
di L. Feronio Rufo: tra gli scribae delle pubbliche amministrazioni in effetti si in-
contrano in genere individui di nascita libera, mentre tra i segretari privati sono as-
sai più frequenti gli schiavi. È quanto si può ipotizzare anche per Sex. Publicius
Sex. f. Mae., scriba ricordato nella sua iscrizione sepolcrale Hadria 1, da datare
entro i primi decenni del I sec. d.C., e per T. Sentius Men(---) dell’epitafio Asculum
5, all’incirca coevo, anche se in quest’ultimo caso l’incertezza riguardo la condi-

67 Un fenomeno che trova confronto per esempio a Roma, ove, secondo le ricerche di Huttunen, So-
cial Strata, cit., pp. 83-85, l’occupazione di scriba è quella che più spesso veniva menzionata negli
epitafi, in rapporto al numero totale di questi impiegati, che era abbastanza limitato.
Parte III. Conclusioni 583

zione giuridica del personaggio rende meno fondata la supposizione di una sua at-
tività nel settore pubblico. Alle dipendenze dei II viri quinquennales di Ascoli do-
veva essere un altro ingenuo, Q. Petronius Q. f. Rufus, se lo scioglimento scriba
quin(quennalium) o, meglio, quin(quennalicius) che ho proposto nel commento
all’epigrafe coglie nel segno; il personaggio è conosciuto grazie all’epitafio Ascu-
lum 4, di età tiberiana, a giudicare dal rilievo che accompagna l’iscrizione sepol-
crale. Conosciamo infine uno scriba addetto al servizio presso gli edili curuli di
Roma, P. Statius Q. f. Ani. Optatus , che anzi, nella sua qualità di sex primus, era
stato alla testa della decuria di apparitores che coadiuvavano questi magistrati;
Stazio Optato, per qualche motivo che ci sfugge, venne a stabilirsi nel Piceno, e qui
trovò la morte, come ricorda la sua iscrizione sepolcrale Cingulum 1, da porre entro
la prima metà del I sec. d.C.
Il tabularius Polybius, probabile servus Augusti, proprio per questo motivo
doveva verosimilmente essere un contabile impegnato in uno degli uffici dell’am-
ministrazione finanziaria imperiale attivi nei municipi dell’Italia romana; la lacuno-
sità del testo Interamnia 2, che ci ha conservato il ricordo di questo impiegato e che
dovrebbe risalire alla prima metà del I sec. d.C., non consente tuttavia certezze a
proposito. Vale la pena ricordare qui anche l’assistente di un tabularius, l’adiutor
tabularii menzionato nella frammentaria iscrizione sepolcrale Cupra Montana 1,
forse databile entro la metà del I sec. d.C.: il personaggio, a giudicare da quanto
rimane della sua formula onomastica, dovrebbe essere un ingenuo o piuttosto un
liberto, con un gentilizio che non sembra imperiale: per questo motivo ho supposto
che il defunto di Cupra Montana dovesse essere alle dipendenze dell’amministra-
zione locale piuttosto che dell’imperatore, i cui tabularii e adiutores sono sempre
schiavi e liberti degli Augusti, o di un qualche privato, che nella maggior parte dei
casi si avvaleva di contabili di condizione servile.

2. I servizi privati
Oltre ai personaggi già incontrati nella sezione precedente per i quali, come
si è detto, si può talvolta ipotizzare una funzione nell’amministrazione privata di
qualche grande casata (particolarmente incerto il caso dello scriba T. Sentius Men(-
--) dell’iscrizione Asculum 5), era impiegata in questo settore la nutrix Multasia
Felicitas, che conosciamo grazie all’epitafio di un giovane o di una giovane, pro-
babilmente il suo pupillo, che dovrebbe risalire alla fine del I sec. d.C. o, meglio, al
secolo seguente.
L’inclusione in questa categoria può essere supposta con ragionevolezza an-
che per l’actor Philumenus, a noi noto per il suo laconico epitafio Firmum 1, data-
bile probabilmente alla seconda metà del I sec. d.C.; la condizione presumibilmente
servile di questo agente in effetti lascia pensare che egli fosse al servizio di qualche
privato cittadino di Firmum, e che venisse impiegato nell’amministrazione di una
tenuta agricola.

3. Gli spettacoli
In questa categoria spiccano le 4 iscrizioni relative a gladiatores, che per la
verità si discostano per alcuni aspetti dal resto della documentazione esaminata: le
attestazioni sono in effetti sempre collettive ed indirette, dando notizia degli spetta-
coli gladiatori celebrati a spese di qualche illustre personaggio, come gli anonimi
584 Parte III. Conclusioni

delle iscrizioni Auximum 7, databile intorno alla metà del I sec. d.C., e Auximum 8,
un poco posteriore alla precedente, o come L. Flavio Silva Nonio Basso, che per
inaugurare l’anfiteatro di Urbs Salvia ingaggiò 40 coppie di gladiatori (Urbs Salvia
2 e Urbs Salvia 3, di poco posteriori al consolato di Flavio Silva nell’81 d.C.).
Attestazioni individuali si hanno solamente per due figure che potremmo dire
di contorno nei giochi dell’anfiteatro, il praeco, ovvero l’araldo, Ti. Claudio
Celere, la cui iscrizione sepolcrale Ancona 2 venne posta nella prima metà del II
sec. d.C. dall’arbitro in seconda (secunda rudis) Berillo, insieme ad altri membri
non combattenti, denominati officiales, della sezione della familia gladiatoria di
proprietà di un tal Claudio Saturnino.
Ai margini della scena agivano anche i dissignatores Q. Tullienus Mario, che
trovò sepoltura a Falerio entro la prima metà del I sec. d.C. a cura dei membri di
un’associazione di compagni che esercitavano il medesimo mestiere (Falerio 2), e
C. O[---]nnaeus C. f. [.]ol[---] dell’iscrizione sepolcrale Trea 3; tra i compiti del
dissignator vi era in effetti quello di accompagnare gli spettatori al loro posto a se-
dere in teatro e forse anche negli altri luoghi deputati agli spettacoli; una seconda e
più mesta funzione del dissignator era quella di ordinatore dei cortei funebri.
Egli stesso uomo di spettacolo doveva essere invece il lusor folliculator P.
Petronius ((mulieris)) l. Primus, un giocatore di palla la cui singolare specialità è
ricordata per la prima volta nel mondo romano dalla sua iscrizione funebre Urbs
Salvia 5, datata all’età giulio-claudia.
Alcuni dubbi sussistono invece riguardo il tubicen di Interamnia 3, epitafio
che sembra potersi inquadrare entro i primi decenni del I secolo della nostra era,
[C.] Caesius [- f.] Vel.: la tuba in effetti era strumento caratteristico della vita mi-
litare e le attestazioni epigrafiche di tubicines “civili”, che prendevano parte a
spettacoli e giochi, sono rarissime; è dunque preferibile pensare che C. Cesio fosse
un militare in servizio in qualche reparto dell’esercito romano che l’iscrizione te-
ramana, peraltro lacunosa, non ricorda.

D. Le arti liberali
Questo settore di occupazioni è ricordato in appena 5 documenti, 3 dei quali
relativi a medici, uno ad un grammaticus latinus, uno ancora, peraltro assai dubbio,
relativo ad un personaggio forse impegnato nel settore giuridico.

1. La sanità
Nel Piceno sono noti tre medici, il pergameno Asclepiade, di cui possediamo
l’epitafio su urna cineraria della prima metà del I sec. d.C. (Falerio 3), il liberto Q.
Tullieno Fania, che trovò la morte sempre a Falerio, più o meno negli stessi anni di
Asclepiade (Falerio 4) , e infine una donna di condizione libertina, Giulia Sabina, il
cui epitafio Auximum 9 dovrebbe datarsi piuttosto alla seconda metà del I secolo
della nostra era.

2. L’insegnamento
Nella regio V questa categoria è rappresentata da un solo personaggio, il
grammaticus latinus L. Littorio Clemente, che trovò la morte ad Urbs Salvia nella
seconda metà del I sec. d.C.
Parte III. Conclusioni 585

3. La cultura
Nessuna attestazione si ha nel Piceno per questa categoria di occupazioni,
nella quale possono per esempio rientrare poeti e filosofi.

4. Il diritto
Una sola attestazione per questo settore occupazionale nell’iscrizione Ascu-
lum 3: peraltro si è visto come in questo lacunoso documento la lettura expertus
fori o foro, proposta in via ipotetica, desti non poche perplessità, e la stessa inter-
pretazione della formula, qualora la lettura fosse corretta, sia discutibile.

Il quadro delle attestazioni dei mestieri nel Piceno può essere riassunto come
segue68:
A. La produzione: 18
1. I mestieri della terra: 8
colonus: 4
vilicus: 1
possessor: 3
2. I mestieri del legno: 1
faber tignuarius: 1
3. I mestieri della costruzione: 6
architectus: 2
faber: 1
gypsarius: 1
structor (?) o architectus (?): 1
tesserarius: 1
4. I mestieri del metallo: 0
5. I mestieri dell’argilla e del vetro: 0
6. I mestieri della pelle e del cuoio: 0
7. I mestieri del settore tessile: 2
purpurarius: 1
sagarius: 1
8. I mestieri della farmacopea:1
unguentarius: 1
B. Il commercio, le finanze, i trasporti: 11
1. Il commercio al dettaglio: 2
purpurarius: 1
unguentarius: 1
2. Il commercio all’ingrosso: 4
liqevnporo": 1
negotians: 1

68 Le cifre si riferiscono al numero di iscrizioni relative ai diversi mestieri e classi occupazionali e


non alle singole attestazioni: i totali dunque non sempre corrispondono, dal momento che alcune
iscrizioni ci attestano più di un mestiere. In questa tabella riassuntiva inoltre non si è tenuto conto
delle menzioni di collegi professionali.
586 Parte III. Conclusioni

negotiator olearius: 1
sagarius: 1
3. I trasporti: 0
4. I mestieri del denaro: 5
arcarius o vicarius dispensatoris: 1
argentarius: 1
dispensator: 4
C. I servizi: 22
1. I servizi pubblici: 11
accensus: 1
actor alimentorum (?): 1
adiutor tabularii: 1
exceptor: 1
procurator: 1
scriba: 5 (?)69
tabularius: 1
2. I servizi privati: 2
actor: 1
nutrix: 1
3. Gli spettacoli: 9
dissignator: 2
gladiator: 4
lusor folliculator: 1
praeco: 1
secunda rudis: 1
tubicen (?): 1
D. Le arti liberali: 5
1. La sanità: 3
medicus: 3
2. L’insegnamento: 1
grammaticus latinus: 1
3. La cultura: 0
4. Il diritto: 1
expertus fori o foro (?): 1

Anche se il campione a nostra disposizione è ben lontano dall’essere soddi-


sfacente, non si può fare a meno di notare che il quadro che emerge dalle attesta-
zioni di mestieri nell’epigrafia lapidaria si discosta in diversi punti da quello
dell’economia picena che si è delineato nella Parte I, principalmente sulla base
della documentazione letteraria, archeologica e dell’analisi dell’instrumentum
iscritto.

69 Alcuni degli scribi attestati nella regio V, potrebbero essere stati impiegati presso privati, anche se
questa soluzione nel complesso appare meno probabile, tranne forse che nel caso di T. Sentius Men(---
) dell’iscrizione Asculum 5.
Parte III. Conclusioni 587

Le attività meglio note nella regio V da queste fonti sono quelle agricole, in
particolare la coltura dell’olivo e della vite, e la produzione fittile, indubbiamente
legata all’esportazione dei frutti delle tenute picene. Nelle iscrizioni lapidarie della
regio V i mestieri della terra sono relativamente ben noti, in particolare con quattro
possibili attestazioni di coloni, soprattutto se si tiene conto che questa classe di oc-
cupazioni è ovunque fortemente sottorappresentata; stupisce tuttavia che nei me-
stieri del commercio si conosca un solo negotiator olearius e che, almeno per il
momento, nessuna notizia si abbia di mercanti di vino, come scarsissime siano pure
le notizie riguardo negotiatores e negotiantes generici. Il silenzio nella regio V in-
torno ad una classe di occupazioni che pure per prestigio e possibilità economiche
dovrebbe in teoria trovare largo spazio nella documentazione epigrafica70 è solo
frutto del caso? O piuttosto non dovremo cercare i mercanti del vino piceno so-
prattutto nei luoghi di esportazione, forse celati dietro denominazioni non del tutto
perspicue come quella di navicularii maris Hadriatici, una delle principali associa-
zioni professionali di Ostia, che aveva precise connessioni con il commercio vina-
rio71? Al momento dare una risposta definitiva a questi interrogativi mi pare im-
possibile; mi limito quindi a constatare come anche un silenzio nella nostra docu-
mentazione possa costituire uno spunto di ricerca.
L’assenza di dati sulla produzione fittile è altrettanto deludente, ma è almeno
comprensibile e del tutto in linea con quanto sappiamo per altre regioni del mondo
antico.
Grande rilievo sembrano piuttosto avere nella regione picena i mestieri del
servizio e dello spettacolo e, all’interno di questa categoria, le occupazioni relative
ai servizi pubblici: lasciando da parte le attestazioni relative al mondo dei giochi
gladiatori, che nella maggior parte dei casi si possono considerare atipiche in
quanto non incentrate sul lavoratore stesso, colpisce la frequenza con la quale ap-
paiono gli scribi, élite degli apparitores nei servizi amministrativi del mondo ro-
mano. È evidente che per possibilità economiche e per prestigio questa classe di la-
voratori aveva maggiori opportunità e maggiori ragioni di lasciare ricordo di sé
nella documentazione epigrafica rispetto, per esempio, agli artigiani la cui ricchez-
za e la cui valutazione sociale, soprattutto, erano generalmente più modeste72.

70 Vd. per esempio i dati relativi alla documentazione epigrafica nelle province della Gallia e della
Germania in Frézouls, Noms de métiers, cit., pp. 59-60; nel complesso il settore delle attività com-
merciali e finanziarie è quello che ha restituito il maggior numero di attestazioni in quest’area, cf.
ibid., p. 62. Diversa tuttavia la situazione nella documentazione epigrafica urbana, cf. Huttunen, So-
cial Strata, cit., pp. 124-128.
71 Vd. supra, pp. 77-78.
72 Sulla prevalenza dei mestieri di servizio nelle iscrizioni di Roma vd. Huttunen, Social Strata, cit.,
p. 49; p. 71, tabella 11; p. 108; Joshel, Work, cit., pp. 69-76. La discrepanza che si nota tra i due studi
riguardo al peso relativo tra servizi pubblici e servizi privati credo dipenda almeno in parte dal fatto
che, mentre Pertti Huttunen comprese gli addetti alla casata imperiale tra i primi, Sandra R. Joshel ha
preferito includerli tra i lavoratori del settore privato: un esempio di come il confronto con materiali
analizzati attraverso criteri di indagine differenti possa condurre a conclusioni fuorvianti.
588 Parte III. Conclusioni

Tra le arti liberali, il cui peso complessivo è assai debole, si deve notare il ri-
lievo della medicina, del resto consueto anche per altre regioni del mondo ro-
mano73.
Da quanto si è detto credo emerga chiaramente come le attestazioni epigrafi-
che delle occupazioni umane anche nel Piceno diano in sostanza un’immagine for-
temente deformata delle attività economiche regionali e soprattutto della loro rela-
tiva importanza: si deve dunque ribadire che questa classe di documenti deve essere
usata solo con molta cautela, che non sempre si ritrova anche nelle più recente
dottrina scientifica, nella ricostruzione della storia economica di una regione del
mondo antico, e soprattutto in stretta connessione con ogni altra notizia che ci può
essere fornita da fonti di tipo diverso.
Per concludere questa sezione dedicata ai singoli mestieri si può rilevare che
la documentazione del Piceno, pur non molto numerosa, ci restituisce forse tre spe-
cializzazioni altrimenti ignote nel mondo romano: nel settore degli spettacoli il lu-
sor folliculator di Urbs Salvia 5, nel settore dei servizi pubblici l’actor ali(mento-
rum) di Auximum 3 e lo scriba quin(quennalicius) di Asculum 4, sempre ammesso
che gli scioglimenti proposti per le abbreviazioni siano corretti. Un unicum sarebbe
anche la funzione di expertus fori o foro di Asculum 3, ma la lettura, come più volte
ribadito, è assai dubbia.

3.2. Occupazioni private, occupazioni relative alla res publica


La classificazione sopra delineata, fondata su categorie prevalentemente mo-
derne (produzione, commercio e finanza, servizi, arti liberali) può essere utile per
indagare la struttura economica della regione, ma può far perdere di vista alcuni
aspetti di storia sociale, disperdendo in categorie separate mestieri che in realtà
avevano alcuni tratti comuni per gli antichi: così per esempio l’architettura, che dal
punto di vista funzionale va indubbiamente inclusa tra le occupazioni relative alle
costruzioni, era talvolta accostata nella riflessione antica alle arti liberali, come la
medicina e l’insegnamento.
Il caso più interessante è tuttavia dato dai mestieri collegabili alla res pu-
blica, che nello schema precedente ritroviamo sia sotto la voce B, Il commercio, le
finanze, i trasporti, nella categoria 4, I mestieri del denaro, quanto, e principal-
mente, sotto la voce C, I servizi, nella categoria 1, I servizi pubblici. Mi pare dun-
que opportuno riunire e riprendere brevemente la documentazione rilevante.
Lavoravano alle dipendenze dell’amministrazione locale:
1. Rufus, servus coloniae di Asculum e ivi dispensator arcae summarum, che ri-
corda la dedica a sue spese di una statua della Fortuna Redux, il suo contributo de-
cisivo nel finanziamento di un tempio dedicato alla medesima divinità e la distribu-
zione di una sportula pari a 20 sesterzi a ciascuno dei membri di un collegium non
meglio noto, in occasione dell’inaugurazione del tempio nel 172 d.C. (Asculum 1).

73 Per la prevalenza dei medici tra gli esponenti delle arti liberali in Spagna vd. Schulze-Oben, Frei-
gelassene, cit., pp. 94-96; per la Sicilia Rizzo, Menzione del lavoro, cit., pp. 62-64, nn. 20-26 rintrac-
cia sette attestazioni, di cui solo una in lingua latina.
Parte III. Conclusioni 589

2. Ianuarius, servus coloniae di Asculum e ivi arcarius o vicarius dispensatoris,


poi dispensator; è ricordato come dedicante dell’iscrizione sepolcrale di M .
Valerius col. l. Verna, che verosimilmente era dispensator ai tempi in cui Ianuario
era il suo assistente (Asculum 2, della seconda metà del I sec. d.C.).
3. M. Valerius col. l. Verna, liberto della colonia di Asculum dove, come si è detto,
egli rivestì verosimilmente la funzione di dispensator, avendo tra i suoi subordinati
quel Ianuarius che fu uno dei dedicanti della sua iscrizione sepolcrale (Asculum 2,
della seconda metà del I sec. d.C.).
4. Q. Petronius Q. f. Rufus, scriba quinquennalicius (?) ad Asculum, ovvero proba-
bilmente segretario addetto al servizio presso i II viri quinquennales, attestato da
una semplice iscrizione sepolcrale di età tiberiana (Asculum 4).
5. L. Feronius L. f. Vel. Ru[fus], scriba, che ritengo verosimilmente impiegato in
un’amministrazione pubblica, in considerazione del suo statuto di ingenuo, forse
nella stessa amministrazione locale di Auximum, dove egli trovò la morte. Il perso-
naggio è noto dall’epitafio postogli dal padre e dalla madre, databile verso la metà
del I sec. d.C. (Auximum 10).
6. Restutus, verosimilmente schiavo ed actor alimentorum ad Auximum, se lo scio-
glimento dell’abbreviazione ali. che si è proposto coglie nel segno. È attestato
come dedicante dell’iscrizione sepolcrale della moglie Ottavia Prisca (Auximum 3,
della fine del II sec. d.C. o degli inizi del III sec. d.C.).
6. [---]arius Liber[---] (?), adiutor tabularii, probabilmente al servizio dell’ammi-
nistrazione locale di Cupra Montana, località dalla quale proviene la lacunosa i-
scrizione, verosimilmente di carattere sepolcrale, che ci fa conoscere il personaggio
(Cupra Montana 1, databile forse entro la metà del I sec. d.C.).
7. Sex. Publicius Sex. f. Mae., scriba, sembra verosimile che fosse un impiegato di
Hadria, ove la sua liberta e forse compagna di vita Publicia Sex. l. Callipolis gli
pose un’iscrizione funebre (Hadria 1, databile entro i primi decenni del I sec. d.C.).
Erano invece alle dipendenze dell’amministrazione centrale:
8. C. Oppius C. l. Leonas, accensus e liberto del console C. Oppius Bassus C. f.
Vel. Sabinus Iulius Nepos M’. Vibius Sollemnis Severus di Auximum; è ricordato
come dedicante di una statua in onore del patrono e per aver pagato, al momento
dell’erezione del monumento, una cena ai coloni di Osimo (Auximum 1) e per una
dedica ad Esculapio ed Hygia, con contemporanea distribuzione di sportulae ai de-
curioni, agli Augustali e ai coloni di Osimo (Auximum 2, datata al 159 d.C.).
9. P. Statius Q. f. Ani. Optatus, scriba aedilium curulium sex primus, si stabilì a
Cingulum, dalla quale proviene la sua semplice iscrizione sepolcrale (Cingulum 1,
databile entro la metà del I sec. d.C.).
10. L. Aurelius Aug. l. Marcianus, exceptor nell’amministrazione imperiale, a giu-
dicare dal fatto che si tratta di un Augusti libertus; venne onorato ad Auximum su
decisione dell’ordine dei decurioni, anche se fu il padre Marco a finanziare il mo-
numento onorario, con ogni probabilità una statua (Auximum 5 della fine del II sec.
d.C.).
11. Marcus Aug. l., procurator verosimilmente impiegato nell’amministrazione
imperiale, padre del personaggio precedente.
12. Polybius Aug. (servus), tabularius nell’amministrazione imperiale, è noto da
una lacunosa iscrizione sepolcrale da Interamnia (Interamnia 2, anteriore alla metà
del I sec. d.C.).
590 Parte III. Conclusioni

Il rilievo che nella documentazione epigrafica della V regione assumono i


mestieri collegati alla res publica appare considerevolmente superiore al peso che il
settore pubblico doveva avere nell’occupazione del Piceno. Ma non è solo il nu-
mero delle attestazioni a colpire, ma talvolta anche la loro qualità, che denuncia il
prestigio sociale di cui potevano godere questi impiegati pubblici in particolare
nella seconda metà del II sec. d.C., a giudicare dalla documentazione del Piceno:
esemplificativi in questo senso i casi del servus coloniae Rufo (n°1), del liberto C.
Oppio Leonas (n°8) e dei due liberti imperiali Marciano (n°10) e Marco (n°11) che
appaiono nei nostri documenti in ruoli più consoni a notabili municipali che a per-
sone di modestissima estrazione quali essi erano in realtà.
Evidentemente per i lavoratori impegnati nel servizio pubblico dovevano esi-
stere maggiori ragioni ed opportunità per ricordare il proprio mestiere rispetto ad
altre categorie occupazionali. Non è privo di importanza a questo proposito il fatto
che una parte significativa delle testimonianze risalgano ad un periodo posteriore
alla metà del I sec. d.C., quando la menzione del proprio mestiere declina netta-
mente per i lavoratori del settore artigianale. Credo che sotto un certo punto di vista
questi servitori dello stato, per modesti che fossero, si sentissero e fossero sentiti
come più vicini ai funzionari dei servizi amministrativi e ai soldati che militavano
nell’esercito romano (se non proprio a coloro che detenevano ca riche politiche, che
si distinguevano per assolvere la propria funzione gratuitamente), piuttosto che agli
artigiani e ai commercianti che lavoravano in proprio o alle dipendenze di un qual-
che privato.
Per inciso devo notare come il forte rilievo dei mestieri legati all’amministra-
zione statale e municipale confermi, anche nel Piceno, l’influenza di un’ideologia
che faceva del servizio per la res publica la forma più alta di occupazione; del resto
il buon numero di attestazioni di un altro mestiere che occupa talvolta una posizio-
ne di prestigio nelle classificazioni delle attività umane, quello di medico, ribadisce
la difficoltà cui si va incontro contrapponendo nettamente, a questo proposito, un
sistema di valori delle classi alte ad un’ideologia dei lavoratori74.

3.3. Le occupazioni femminili


Tra le 44 iscrizioni che ci fanno conoscere occupazioni individuali, sola-
mente due riguardano donne: Auximum 9, epitafio della medica Iulia Q. l. Sabina,
che si colloca nella seconda metà del I sec. d.C., e Urbs Salvia 6, della fine del I
sec. d.C. o del II sec. d.C., in cui la nutrix Multasia Felicitas cura la sepoltura di un
defunto il cui nome è andato perduto, ma che andrà forse identificato con un pu-
pillo della donna. Si potrà poi forse supporre che Vecilia Leva (?) aiutasse il marito,
l’unguentarius T. Asinio Severo, nella bottega: se così era, il fatto che la donna
omise di ricordare la propria occupazione nell’epitafio Ancona 3, di cui ella era
contitolare e che si data entro la metà del I sec. d.C., confermerebbe che per le
donne l’indicazione del mestiere non costituiva un elemento di costruzione della
propria identità tanto forte quanto per gli uomini. Il fatto che le occupazioni fem-

74 Su questo punto vd. supra, pp. 90-95.


Parte III. Conclusioni 591

minili siano assai meno attestate rispetto a quelle maschili non è del resto una ca-
ratteristica peculiare della documentazione epigrafica del Piceno75.
La scarsezza dei dati altro non consente di aggiungere altro sulle occupazioni
femminili nel Piceno, se non che i due mestieri attestati, quello di medica e quello
di nutrix, sono tra i meglio noti per le donne nel mondo romano: la prima era
un’occupazione prestigiosa, che aveva maggiori possibilità di essere ricordata ri-
spetto ad altre anche tra gli uomini, mentre la seconda non descriveva solo un’atti-
vità economica ma illustrava anche una relazione d’affetto, quella tra la balia e il
suo pupillo, con una funzione non dissimile da quella assunta da altri termini che si
riferivano a legami di parentela o di amicizia: quest’ultima valenza semantica del
termine nutrix credo possa rendere conto dell’insolita frequenza con la quale il me-
stiere si incontra nell’epigrafia sepolcrale del mondo romano (sia che la nutrix fos-
se la destinataria dell’epitafio, sia che essa fosse la dedicante), in un’epigrafia cioè
in cui la descrizione dei rapporti interpersonali ha un largo spazio76.
Si deve tuttavia ricordare come due donne nella regio V ebbero un ruolo di
rilievo nelle associazioni professionali: la liberta Claudia, mater del sodalicium dei
fullones nell’iscrizione Falerio 11 della seconda metà del I sec. d.C. o degli inizi
del II sec. d.C.77 e Alliena T. f. Berenice, patrona dei collegia fabrum et centona-
riorum nell’epigrafe Firmum 4 del II sec. d.C.78

4. Le associazioni di mestiere

4.1. Le associazioni di mestiere del Piceno


I documenti concernenti le associazioni di mestiere nell’epigrafia del Piceno
sono complessivamente 21. Se ne propone qui di seguito un quadro riassuntivo.

Socii campi
L’associazione, sui cui caratteri professionali si ha più di un dubbio, viene
ricordata in due epigrafi di Interamnia, copie del medesimo testo:
Interamnia 6 e 7 Finanziano la costruzione di una Seconda metà del
strada che attraversava il locale I sec. a.C.
campus

Collegium centonariorum
È una delle associazioni meglio attestate nella regio V. In particolare collegia
di centonarii sono attestati ad Auximum dalle iscrizioni:

75 Cf. la bibliografia indicata supra, p. 94, nota 383.


76 Così anche Günther, Frauenarbeit, cit., pp. 97-98.
77 Vd. infra, p. 597.
78 Vd. infra, p. 599, n°5.
592 Parte III. Conclusioni

Auximum 11 Dedicano un monumento in Secondo quarto


onore del patrono del collegio e del II sec. d.C.
della colonia, ob eximium in mu-
nicipes suos amorem
Auximum 12 Dedicano un monumento in 137 d.C.
onore del patrono, ob merita eius
Auximum 13 Vengono menzionati nell’iscri- Fine del II sec.
zione che ricorda gli onori tribu- d.C.
tati ad un loro patrono da una li-
berta

A Falerio dall’iscrizione:
Falerio 10 Insieme ai fabri e ai d e n d r o - Seconda metà del
phori, dedicano un monumento II sec. d.C. - inizi
al patrono della colonia, in onore del III sec. d.C.
del figlio, patrono della plebs e
delle tre associazioni

A Firmum dall’iscrizione:
Firmum 4 Vengono menzionati nell’iscri- II sec. d.C.
zione relativa al monumento in
onore della patrona dell’associa-
zione, comune anche ai fabri

Ad Interamnia dalle iscrizioni:


Interamnia 4 Epitafio di un membro dell’asso- Datazione incerta
ciazione?
Interamnia 5 Iscrizione che indicava i limiti Entro il I sec. d.C.
dell’area sepolcrale riservata ai (?)
membri del collegium

A Trea dalle iscrizioni:


Trea 4 Insieme ai fabri dedicano un Seconda metà del
monumento al patrono delle due I sec. d.C. - prima
associazioni e del municipium metà del II sec.
d.C.
Trea 5 Frammento che menziona il col- Datazione incerta
legio insieme a quello dei fabri

Collegium dendrophorum
Questa associazione viene ricordata in un’unica iscrizione, da Falerio:
Falerio 10 Insieme ai fabri e ai d e n d r o - Seconda metà del
phori, dedicano un monumento II sec. d.C. - inizi
al patrono della colonia, in onore del III sec. d.C.
del figlio, patrono della plebs e
delle tre associazioni
Parte III. Conclusioni 593

Socii dissignatores
Socii dissignatores vengono ricordati in un’epigrafe di Falerio:
Falerio 2 Curano la sepoltura di un loro Entro la metà del
collega I sec. d.C.

Collegium fabrum
È l’associazione professionale meglio nota nella regio V, con 10 attestazioni.
Il collegio è attestato a Auximum:
Auximum 15 Intervengono per decreto nelle Seconda metà del
onoranze funebri prestate al gio- I sec. d.C.
vane N. Fresidio Successo
Auximum 14 Dedicano un monumento in Secondo quarto
onore del patrono del collegio e del II sec. d.C.
della colonia, ob eximium in mu-
nicipes suos amorem

A Falerio dalle iscrizioni:


Falerio 11 Vengono ricordati nell’epitafio Seconda metà del
di T. Sillius T. l. Priscus, che fu I sec. d.C. - inizi
magister e quaestor per due volte del II sec. d.C.
nell’associazione; tra i dedicanti
dell’iscrizione anche i figli di
Prisco, che furono a loro volta
magistri e quaestores del colle-
gio79
Falerio 10 Insieme ai centonarii e ai den- Seconda metà del
drophori, dedicano un monu- II sec. d.C. - inizi
mento al patrono della colonia, in del III sec. d.C.
onore del figlio, patrono della
plebs e delle tre associazioni

A Firmum dall’iscrizione:
Firmum 4 Vengono menzionati nell’iscri- II sec. d.C.
zione relativa al monumento in
onore della patrona dell’associa-
zione, comune anche ai centona-
rii

A Ricina dalle iscrizioni:


Ricina 2 Epitafio di un magister Prima metà del II
dell’associazione sec. d.C.

79 Se le due cariche non si riferiscono solamente ad uno dei due figli di T. Sillio Prisco, Ti. Claudio
Filippo, cf. supra, p. 360.
594 Parte III. Conclusioni

Ricina 3 Iscrizione di incerto carattere, Datazione incerta


relativa ad un possibile magister
dell’associazione

A Trea dalle iscrizioni:


Trea 4 Insieme ai centonarii dedicano Seconda metà del
un monumento al patrono delle I sec. d.C. - prima
due associazioni e del munici- metà del II sec.
pium d.C.
Trea 5 Frammento che menziona il col- Datazione incerta
legio insieme a quello dei cento-
narii

Ad Urbs Salvia dall’iscrizione:


Urbs Salvia 7 Iscrizione funeraria di un possi- Fine I sec. d.C. -
bile quaestor dell’associazione inizio II sec. d.C.

Collegium fabrum tignuariorum


L’associazione è nota unicamente nella regio V da un’epigrafe di Tolenti-
num:
Tolentinum 1 È ricordata la costruzione di una Fine I sec. d.C. -
schola Augusta , sede dell’asso- inizi II sec. d.C.
ciazione

Sodalicium fullonum
L’associazione è ricordata nel Piceno unicamente in un’iscrizione di Falerio:
Falerio 11 Vengono ricordati nell’epitafio Seconda metà del
di T. Sillius T. l. Priscus, che fu I sec. d.C. - inizi
magister e quaestor nell’associa- del II sec. d.C.
zione; tra i dedicanti dell’iscri-
zione anche la moglie di Prisco,
che fu mater del sodalizio

Nel considerare le associazioni di mestiere del Piceno si devono anche ricor-


dare i collegia non meglio specificati che parteciparono al finanziamento per la co-
struzione di una strada selciata che collegava a Falerio il Foro pecuario al centro
della cittadina di cui abbiamo notizia nell’iscrizione Falerio 7, databile tra il 119 e
il 138 d.C.; il possibile carattere professionale di tali collegia può trovare sostegno
nel fatto che le loro sedi si trovavano nei pressi di un’area a vocazione economica
come quella del Foro pecuario.
Un altro gruppo di lavoratori, non sappiamo se formalmente costituito in as-
sociazione, potrebbe essere attestato nell’epigrafe Cluana 2, posteriore al 200 d.C.,
un lacunoso documento in cui forse si fa menzione del rifacimento di un forum in
cui operavano dei non meglio specificati lavoratori il cui nome terminava con [---
]rii; questa tuttavia è solo una delle tante ipotesi di ricostruzione di un testo che ri-
mane assai problematico.
Parte III. Conclusioni 595

Proprio quest’ultima potrebbe essere la più tarda tra le testimonianze relative


ad un’associazione di lavoratori del Piceno, mentre la prima attestazione risalirebbe
alla seconda metà del I sec. a.C., ammesso e non concesso che i socii campi di In-
teramnia 6-7 avessero una qualche caratterizzazione professionale. La maggioranza
dei documenti si concentra tuttavia tra la seconda metà del I sec. d.C. e la fine del II
sec. d.C.80
Le pur relativamente numerose attestazioni di collegia di mestiere nell’epi-
grafia del Piceno ci lasciano solamente intuire quale peso politico ed economico
dovessero avere tali associazioni anche nella vita di questa regione, peso che è de-
ducibile in base alle testimonianze più numerose ed esplicite provenienti da altre
aree dell’Impero81, anche se i momenti di scontro di cui furono talvolta protagoni-
ste le associazioni di mestiere nascono da tensioni economiche, politiche e sociali
che sembrano estranee alla regio V di età imperiale.
Le testimonianze epigrafiche dalla quali risulta un ruolo attivo delle associa-
zioni non offrono per la verità elementi particolarmente originali rispetto al quadro
generale noto per l’Italia e le province occidentali in genere, ma sono comunque
prova della vivace presenza dei collegia di mestiere nella vita sociale e, anche se in
misura minore, nella vita economica delle città della regio V.
La maggior parte dei documenti illustra come le associazioni professionali
abbiano dato un contributo importante nel disegnare un paesaggio urbano in cui le
aspirazioni alla dignitas dei notabili cittadini trovano espressione anche visiva. I
monumenti onorari eretti da collegia secondo i documenti Auximum 11, Auximum
12, Auximum 14, Falerio 10, Trea 4, riguardano sempre patroni delle associazioni
stesse, ma non è raro che costoro siano al contempo patroni dell’intera comunità: in
questo caso i collegia professionali, assumendo l’iniziativa, si rivelano come la
parte più attiva e meglio organizzata della plebe cittadina.
L’attività delle associazioni non si esaurisce tuttavia nella celebrazione dei
loro protettori, ma si esplica anche nella cura di opere che potevano risultare di

80 Periodo entro il quale si possono datare Auximum 15, Falerio 11, Trea 4, Tolentinum 1, Urbs
Salvia 7, Firmum 4, Falerio 7, Auximum 11, Auximum 14, Auximum 12, Falerio 10, Auximum 13. La
distribuzione cronologica delle testimonianze della regio V pare corrispondere sostanzialmente al
quadro generale del mondo romano, mostrando al più un certo anticipo (cf. per un confronto con le
testimonianze delle associazioni impegnate nel servizio di spegnimento degli incendi, la cui massima
frequenza si inquadra fra il II sec. d.C. e gli inizi del secolo seguente, Lafer, Omnes collegiati, cit., pp.
75-83)
81 A questo proposito si veda particolarmente la penetrante analisi di L. Cracco Ruggini, Le associa-
zioni professionali nel mondo romano-bizantino, «Settimane di studio del Centro italiano di studi
sull’alto medioevo. XVIII. Artigianato e tecnica nella società dell’alto medioevo occidentale. 2-8
aprile 1970», I, Spoleto 1971, pp. 59-193, partic. pp. 78-111 per l’età del Principato, che è quella che
maggiormente interessa la documentazione dalla regio V. Sul medesimo soggetto si veda inoltre R.
MacMullen, Enemies of the Roman Order. Treason, Unrest, and Alienation in the Empire, Cambridge
(Mass.) - London 1967, pp. 173-178; L. Cracco Ruggini, La vita associativa nelle città dell’Oriente
greco: tradizioni locali e influenze romane, «Assimilation et résistance à la culture gréco-romaine
dans le monde ancien. Travaux du VIe Congrès International d’Études Classiques (Madrid, Septem-
bre 1974)», a cura di D.M. Pippidi, Bucuresti - Paris 1976, pp. 463-491; Van Minnen, Urban
Craftsmen, cit., pp. 48-56; 60-72.
596 Parte III. Conclusioni

pubblica utilità, anche se in primo luogo connesse ai fini del sodalizio: così ad Inte-
ramnia, ove i socii campi finanziano la costruzione di una strada che attraversava
lo stesso campus e, presumibilmente, collegava l’area al resto della città (Interam-
nia 6-7); così anche a Falerio, ove non meglio precisati collegia che hanno sede nei
pressi del Foro pecuario contribuiscono insieme ai possessores e ai negotiantes alla
costruzione in età adrianea di una via di collegamento tra lo stesso Foro pecua rio e
il centro cittadino (Falerio 7).
Infine anche l’epigrafia picena documenta bene quella che probabilmente era
una delle funzioni fondamentali delle associazioni nel mondo romano, la cura di
una degna sepoltura per i propri membri, come dimostrano i documenti Falerio 2 e,
forse, Auximum 15 e Interamnia 4, ma anche, seppure indirettamente, l’iscrizione
Interamnia 5, tabella che indicava i limiti di un’area sepolcrale di considerevole
ampiezza, riservata ai membri del locale collegio dei fabri.
Da non dimenticare infine una funzione forse più nascosta dei collegia, ma
non per questo meno importante: in queste piccole res publicae, la cui organizza-
zione è modellata su quella della comunità cittadina, persone che nella regio V ap-
paiono sostanzialmente escluse dalla vita pubblica recuperano la loro dimensione
politica, intesa in senso lato, e possono soddisfare la loro aspirazione agli hono-
res82.

4.2. Membri delle associazioni di mestiere


Solo tre documenti ci fanno conoscere possibili membri delle associazioni di
mestiere, che pure dovevano raccogliere una parte rilevante della popolazione delle
comunità del Piceno romano. A Falerio Q. Tullienus Mario, la cui sepol tura venne
curata dai socii dissignatores doveva senza dubbio far parte del sodalizio, dal mo-
mento che indica esplicitamente la propria professione di dissignator (Falerio 2
databile entro la metà del I sec. d.C.).
Ad Auximum il locale collegio dei fabri intervenne per decreto nelle ono-
ranze funebri tributate a N. Fresidio Successo, deceduto all’età di 14 anni; i princi-
pali dedicanti dell’iscrizione sepolcrale sono tuttavia i genitori del giovane, N.
Fresidio Florentino e Fresidia Successa; l’intervento dell’associazione dei fabbri si
può forse spiegare pensando che Florentino, e forse lo stesso Successo, nonostante
la sua giovane età, fossero membri del collegium (Auximum 15 della seconda metà
del I sec. d.C.).
Ad Interamnia conosciamo infine un’iscrizione di incerta datazione, nella
quale si nomina un personaggio di cui non rimane che il cognomen Primus, [ex
colle]gio [centon]ariorum o [de colle]gio [centon]ariorum (Interamnia 4); il for-
mulario pare ricalcare quello degli epitafi di membri di associazioni di carattere
privato o professionale; del resto sappiamo che ad Interamnia i centonarii posse-
devano un’area sepolcrale riservata ai membri dell’associazione (Interamnia 5).

82 Su questa funzione delle associazioni di mestiere vd. la bibliografia citata supra, p. 102, nota 411.
Sui magistrati delle associazioni professionali nella regio V (nessuno dei quali sembra aver intrapreso
una carriera nella comunità municipale) vd. infra, pp. 597-598.
Parte III. Conclusioni 597

A proposito delle poche attestazioni di membri di associazioni di mestiere


nel Piceno si può notare come esse siano tutte relative all’ambito funerario, come si
è detto, in effetti la cura di una degna sepoltura per i propri associati era una delle
principali funzioni assicurate dagli stessi collegia professionali.
È anche interessante notare come almeno due di queste iscrizioni siano, in
ordine di tempo, tra le prime testimonianze relative alle associazioni professionali
nel Piceno.

4.3. Magistrati delle associazioni di mestiere


Siamo un poco meglio informati riguardo i magistrati delle associazioni di
mestiere nel Piceno. I dati possono essere riassunti secondo il seguente quadro:
T. Sillius T. l. Priscus Magister collegii fa- Falerio 11
brum II et quaestor II, (seconda metà del I
magister et quaestor sec. d.C. - inizio del II
sodalicii fullonum sec. d.C.)
Ti. Claudius Philippus, Magister et quaestor Falerio 11
figlio del personaggio collegii fabrum (seconda metà del I
precedente sec. d.C. - inizio del II
sec. d.C.)
T. Sillius Karus, figlio Magister et quaestor Falerio 11
del personaggio prece- collegii fabrum (?) (seconda metà del I
dente sec. d.C. - inizio del II
sec. d.C.)
C. Publilius Longinus Magister collegii fa- Ricina 2 (prima metà
brum del II sec. d.C.)
[---]ius [---]asus ? Magister collegii fa- Ricina 3
brum (?) (datazione incerta)
Anonimo Quaestor collegii fa- Urbs Salvia 7
brum (?) (fine del I sec. d.C. -
inizi del II sec. d.C.)
Le testimonianze per il momento riguardano unicamente la meglio nota delle
associazioni professionali del Piceno, quella dei fabbri, a parte il caso dei fullones,
testimoniato dall’epigrafe Falerio 11, un testo per alcuni aspetti eccezionale. Pro-
prio grazie a questo documento possiamo intravvedere il peso che le tradizioni fa-
miliari potevano avere nella scelta del personale direttivo delle associazioni di me-
stiere: i figli di T. Sillio Caro, che per due volte era stato magister e questore del
collegio dei fabbri, ricoprirono a loro volta i medesimi incarichi, anche se il testo
dell’iscrizione non consente di escludere la possibilità che le cariche fossero state
rivestite da uno solo dei due figli, Ti. Claudio Filippo. Da sottolineare anche il fatto
che la moglie di Prisco, la liberta Claudia, era mater del sodalicium dei fullones, di
cui il marito era stato a sua volta magister e quaestor; riguardo al ruolo delle ma-
tres nelle associazioni di mestiere, ricordiamo come il documento di Falerio costi-
tuisca la migliore testimonianza del fatto che esse provenivano dal medesimo am-
biente sociale che esprimeva i magistrati dell’associazione.
Tra gli altri dati di portata generale che l’interessantissima iscrizione falerio-
nese ci fa conoscere, ricordiamo la possibilità di iterazione delle cariche direttive in
un’associazione e l’accesso ad esse consentito anche ai liberti.
598 Parte III. Conclusioni

La suprema carica dell’associazione dei fabri è nota anche a Ricina, ma i due


esempi non apportano elementi di particolare interesse; la seconda attestazione ri-
cinense, anzi, è assai dubbia e potrebbe ugualmente riferirsi ad un altro magistrato
del collegio, come per esempio un questore, se non addirittura ad un patrono.
Molte incertezze permangono anche a proposito della menzione di un que-
store del collegio dei fabbri nell’iscrizione Urbs Salvia 7, a causa dello stato fram-
mentario del testo.

4.4. Patroni delle associazioni di mestiere


Nel Piceno sono note sette iscrizioni relative a sei patroni di associazioni di
mestiere83. I dati possono essere riassunti come segue:
1. Q. Plotius Maximus Col. Trebellius Pelidianus, patrono dei collegi dei centona-
rii (Auximum 11) e dei fabri (Auximum 14) e al contempo patronus dell’intera co-
munità ad Auximum nel secondo quarto del II sec. d.C. Il personaggio era un cava-
liere equo publico, che intraprese una carriera nelle milizie equestri, rivestendo in
successione le cariche di tribunus legionis II Traianae Fortis, tribunus cohortis
XXXII Voluntariorum e infine tribunus legionis VI Victricis; dopo l’esperienza
nell’esercito Pelidiano intraprese una carriera nel settore dell’amministrazione im-
periale, divenendo procurator Augusti pro magistro XX hereditatium, poi praefec-
tus vehiculorum. Ad Osimo il personaggio fu pontifex e praetor quinquennalis,
massima carica della colonia. Viene ricordato in due iscrizioni gemelle su basi ono-
rarie, postegli l’una dal collegium centonariorum (Auximum 11), l’altra dal colle-
gium fabrum (Auximum 14), su di un terreno pubblico, in base alla decisione del
locale consiglio dei decurioni, ob eximium in municipes suos amorem.
2. C. Oppius C. f. Vel. Bassus, patrono del collegium centonariorum ad Auximum e
parimenti patrono della colonia; viene ricordato nell’iscrizione su base onoraria
Auximum 12 (137 d.C.), dedicatagli dal collegium centonariorum Auximatium, ob

83 A proposito del patronato dei collegi di mestiere nel Piceno merita almeno un breve cenno anche
una frammentaria epigrafe di Tolentinum nella quale si è vista la possibile menzione di un patronus
collegi: il documento in questione, una lastra in marmo grigio rinvenuta casualmente nel corso di la-
vori presso alcuni locali attigui alla cattedrale di Tolentino, venne pubblicato per la prima volta da
Paci, Magister municipi, cit., pp. 506-509, n°2 ( = AE 1980, 393), che propose in forma dubitativa la
seguente lettura: L(uci-) Qui≥n ≥[ct---] / Kaesoni[---] / p(---) c(---) / ------ ?. Tra le ipotesi di sciogli-
mento dell’ultima linea lo studioso ricordava un’allusione ad un patronus collegi, coloniae o, meno
probabilmente, civitatis (cf. anche Delplace, Romanisation, cit., p. 81, nota 315). Lo stesso
Gianfranco Paci tuttavia, in occasione della revisione del materiale epigrafico tolentinate in Suppl. It.,
n.s., 11, p. 73, n°6 ( = AE 1993, 601) legge all’ultima linea del testo conservataci d ≥(---) c(---), sugge-
rendo gli scioglimenti d(ecurionum) c(onsensu) o d(ecreto) c(onscriptorum), o ancora, ammesso che
la sigla si componesse di tre lettere, le più consuete espressioni d(e) c(onscriptorum) [s(ententia)] (at-
testata nel Piceno ad Interamnia da CIL IX, 5067 = ILS 5666) o d(e) c(onscriptorum) [d(ecreto)]. Al
di là delle difficoltà interpretative legate alla soluzione della sigla, la seconda lettura appare giustifica-
ta dai resti della prima lettera di l. 3 ancora visibili sulla pietra, il cui sviluppo è certamente più ap-
propriato per una D che per una P (vd. la fotografia pubblicata in Paci, Magister municipi, cit., tav. II,
fig. 1 e quella, di minori dimensioni, di Suppl. It., n.s. 11, p. 73), come conferma anche un sommario
esame della paleografia di alcune epigrafi all’incirca coeve di quella in oggetto (datata al I sec. d.C.):
si veda a titolo d’esempio l’epitafio di Ti. Petronius Ti. f. (Paci, Magister municipi, cit., pp. 515-516 e
tav. IV, fig. 1 = Suppl. It., n.s. 11, p. 81-82, n°16).
Parte III. Conclusioni 599

merita eius. Il personaggio era di estrazione militare, avendo servito nella XIII e
nella XIV coorte urbana, poi nella II coorte pretoria, con i gradi di tesserarius, op-
tio e signifer; fu in seguito beneficiarius dei prefetti del pretorio e fu quindi richia-
mato in servizio (evocatus) nell’ufficio incaricato della redazione degli atti dei pro-
cedimenti giudiziari (ab actis fori); nella sua patria di Auximum C. Oppio Basso,
che probabilmente era imparentato, quantunque solo alla lontana, con la locale fa-
miglia senatoria degli Oppii, fu praetor.
3. T. Salenus T. f. Vel. Sedatus, patrono del collegium centonariorum ad Auximum,
viene onorato dalla liberta Mansueta nell’iscrizione Auximum 13, della fine del II
sec. d.C. Anch’egli aveva servito nelle coorti urbane, per la precisione nella cohors
XIV urbana, e come il personaggio precedente aveva intrapreso una carriera politi-
ca a livello locale, giungendo alle cariche di quaestor e di praetor quinquennalis.
4. T. Cornasidius Vesennius Clemens, patronus collegiorum e plebis a Falerio
nell’iscrizione Falerio 11, inquadrabile nella seconda metà del II sec. d.C. o agli
inizi del III sec. d.C., è ricordato per aver ceduto l’onore di una statua che gli era
stata decretata dalle tre associazioni dei fabri, centonarii e dendrophori al defunto
padre T. Cornasidius T. f. Fab. Sabinus, un personaggio che aveva intrapreso una
brillante carriera equestre e che era stato patronus coloniae a Falerio, oltre che
quaestor pecuniae publicae e II vir quinquennalis.
5. Alliena T. f. Berenice, patrona dei collegia fabrum et centonariorum a Firmum,
viene ricordata nell’iscrizione funeraria che le venne posta dal marito e dal figlio
(entrambi di nome C. Vettius Polus) nel II sec. d.C. (Firmum 4).
6. L. Naevius L. f. Vel. Fronto, patronus collegiorum e municipi a Trea, venne ono-
rato dalle locali associazioni dei fabri e dei centonarii tra la seconda metà del I sec.
d.C. e la prima metà del secolo seguente (Trea 4).
A proposito del patronato delle associazioni di mestiere nel Piceno si può
notare come il fenomeno al momento riguardi solamente i tre grandi collegi dei fa-
bri, dei centonarii e dei dendrophori, secondo una tendenza che è riscontrabile in
genere nella documentazione epigrafica dell’Italia84. Anche la cronologia delle at-
testazioni, tra la fine del I sec. d.C. e gli inizi III sec. d.C., con una forte concentra-
zione nel II sec. d.C., non differisce dalle tendenze generali del fenomeno.
I personaggi scelti dalle associazioni come propri patroni sembrano apparte-
nere tutti al ceto dei notabili cittadini, che effettivamente costituisce il settore della
società che ha dato il maggior numero di patroni ai collegi dell’Italia85: rivestirono
cariche locali Q. Plozio Pelidiano (n°1), C. Oppio Basso (n° 2) e T. Saleno Sedato
(n°3); ebbero il patronato sull’intera comunità municipale, oltre ai già citati
Pelidiano e Basso, anche T. Cornasidio Vesennio Clemente (n°4) e L. Nevio
Frontone (n°6); alcuni di essi avevano intrapreso una carriera militare, modesta,
come il veterano della XIV coorte urbana T. Saleno Sedato (n°3), o più brillante,
come quella di C. Oppio Basso; altri, segnatamente Q. Plozio Pelidiano, erano ap-

84 Vd. Clemente, Patronato, cit., p. 183.


85 Cf. Clemente, Patronato, cit., pp. 186-188; cf. inoltre, per le associazioni impegnate nel servizio di
spegnimento degli incendi, Lafer, Omnes collegiati, cit., pp. 96-98.
600 Parte III. Conclusioni

prodati alle cariche amministrative proprie dell’ordine equestre86; tutti comunque


sembrano conservare un forte attaccamento alle comunità in cui agivano i collegia
professionali che li scelsero come patroni.
Un caso a sé è rappresentato dall’unica patrona, Alliena Berenice (n°5), la
cui iscrizione funeraria non si sofferma sulle ragioni che spinsero le associazioni
dei fabbri e dei centonari di Trea ad assegnarle il prestigioso incarico. Si può forse
supporre un’intermediazione del marito C. Vettius Polus, così come non è impro-
babile che nella scelta di T. Cornasidio Vesennio Clemente come proprio patrono i
collegia di Falerio avessero tenuto del conto del fatto che questi era figlio di quel
T. Cornasidio Sabino che aveva percorso i gradi della carriera equestre sino alla
procuratela della Dacia Apulensis. Ragioni familiari si celano forse anche dietro il
patronato sui centonarii di Auximum di C. Oppio Basso, probabilmente imparentato
con la più importante famiglia senatoria della città87.
Per nessuno dei patroni delle associazioni professionali del Piceno è docu-
mentato un qualche rapporto di altra natura con il collegio, come l’esercizio di un
mestiere affine o di qualche carica all’interno dell’associazione, un fenomeno che è
attestato soprattutto in Gallia ma talvolta anche in Italia, in particolare ad Ostia88: il
legame esistente tra i patroni e i collegia professionali del Piceno sembra dunque
prescindere dall’aspetto economico, ma questa potrebbe essere solo un’impressione
dettata dal carattere particolare dei dati in nostro possesso. Del resto riguardo alla
natura di tali legami i nostri documenti epigrafici tacciono o sono estremamente
generici, limitandosi a ricordare la dedica ob merita eius (n°2) oppure, con espres-
sione meno banale ma altrettanto vaga ob eximium in municipes suos amorem
(n°1)89.
Riguardo ai benefici che i notabili cittadini potevano trarre dal patronato
delle associazioni professionali la documentazione picena ci consente solo di evi-
denziare il prestigio che questa posizione poteva assicurare loro: non solo i collegi
di mestiere contribuiscono in modo decisivo a perpetuare la memoria delle aristo-
crazie cittadine con l’erezione di monumenti onorari (nn. 1, 2, 4, 6), ma il patroci-
nio dei collegia risulta motivo di orgoglio anche nei documenti che non traggono
origine dall’iniziativa delle associazioni stesse, come nel caso dell’iscrizione Auxi-

86 Sui patroni di associazioni appartenenti all’ordine equestre nell’Italia romana vd. Clemente, Pa-
tronato, cit., pp. 185-186, che nota la stretta connessione esistente tra i patroni e le località nelle quali
agivano i collegia, sia per legami di nascita, ma anche per contatti allacciati in seguito ad una carica
esercitata in quella determinata regione.
87 Per altri esempi in cui le relazioni familiari giocano un ruolo importante nella scelta di un patrono
vd. Clemente, Patronato, cit., p. 190 e quanto si è scritto a proposito delle patronae di associazioni
supra, pp. 381-382.
88 Cf. Clemente, Patronato, cit., pp. 189-190; 200-201; Lafer, Omnes collegiati, cit., p. 97. Ho prefe-
rito non considerare a questo proposito il caso di Claudia, mater del sodalicium dei fullones, che era
moglie di un magister e quaestor del medesimo sodalizio: in effetti sono meno certo di Clemente, Pa-
tronato, cit., p. 189 che le matres possano essere assimilate completamente alle patronae; ho scelto
dunque di ricordare il caso di Claudia a proposito dei magistrati delle associazioni di mestiere, vd. su-
pra, p. 597.
89 Sui possibili atti in cui si poteva sostanziare l’amor di un notabile nei confronti della collettività
che lo aveva scelto come patrono vd. tuttavia supra, p. 228.
Parte III. Conclusioni 601

mum 13, posta dalla liberta Mansueta a T. Saleno Sedato (n°3) o nell’epigrafe fune-
raria Firmum 4 di Alliena Berenice (n°5).
Quali interessi più concreti si celassero dietro queste indubitabili manifesta-
zioni di orgoglio può essere solo oggetto di speculazioni: mi limito a ricordare
come i tre personaggi ricordati per primi nella breve prosopografia dei patroni di
collegia della regio V abbiano intrapreso una carriera di successo a livello locale,
cui forse non fu estraneo l’appoggio politico delle associazioni di mestiere. Con
questo non voglio naturalmente affermare che il sostegno dei collegi professionali
fosse sempre un elemento indispensabile per una brillante scalata alle cariche pub-
bliche locali: in fondo per la maggior parte dei magistrati municipali del Piceno
non è documentato alcun rapporto con i collegi di mestiere; ma comunque si do-
veva trattare di un elemento importante.

5. Prospettive

Il quadro che emerge dai 71 documenti che menzionano le occupazioni


umane nel Piceno a prima vista sembra fatto soprattutto di silenzi, a partire dalla
quantità stessa dei documenti, assolutamente insufficiente per dare un’idea del peso
relativo che i diversi settori economici avevano nella regione e sostanzialmente
muta su alcune delle attività che pure da altre fonti sappiamo ebbero una notevole
importanza.
Le delusioni tuttavia non si fermano ai numeri: è la stessa qualità dei docu-
menti a risultare estremamente povera. In nessuna delle iscrizioni troviamo qual-
cosa di più che la mera menzione dell’occupazione, non un aggettivo, non un solo
cenno a ciò che le persone pensavano e volevano che si pensasse del loro lavoro.
Diversi interrogativi che lo storico dell’economia antica potrebbe porre alla
documentazione rimangono senza risposta, per esempio riguardo le forme di orga-
nizzazione del lavoro e il grado di dipendenza dei liberti dai loro patroni nell’eser-
cizio del mestiere.
Le implicazioni che l’esercizio di un dato mestiere potevano avere nell’asce-
sa sociale di un personaggio o della sua famiglia rimangono celate: come si è visto,
nessuno dei lavoratori o dei membri di associazioni professionali del Piceno sem-
bra aver conseguito traguardi più prestigiosi dell’Augustalità e delle funzioni affini;
né la scarsità della documentazione ci consente di verificare se i loro figli ebbero
miglior fortuna.
Se è doveroso rilevare i problemi che rimangono comunque aperti, credo sia
anche opportuno richiamare alcune prospettive che sono emerse dall’analisi delle
occupazioni nell’epigrafia del Piceno e che credo possa essere interessante appro-
fondire, sia per quanto concerne in genere il problema della menzione del mestiere
nella documentazione epigrafica del mondo romano, sia riguardo la storia sociale
ed economica della regio V.
In un’ottica generale, sarà in primo luogo interessante verificare se la scan-
sione cronologica della documentazione che ho creduto di individuare, con un con-
centrarsi delle testimonianze individuali dei mestieri dell’artigianato e del piccolo
commercio in età augustea e giulio-claudia ed un fiorire dell’epigrafia delle asso-
ciazioni professionali in età flavia e soprattutto antonina, trovi effettiva rispondenza
602 Parte III. Conclusioni

anche in altre aree geografiche e abbia aggancio in un generale mutamento del


clima culturale, inteso in senso lato, dell’Impero.
Un secondo confronto potrà essere condotto sul peso relativo, da un lato,
delle occupazioni di servizio, in particolare quelle collegate all’amministrazione
della cosa pubblica che nella regio V è assai forte, dall’altro dei mestieri intellet-
tuali, della produzione e del commercio, senza dubbio sottorappresentati nel Piceno
rispetto alla loro reale importanza.
Proseguendo l’indagine sulle categorie per le quali l’indicazione del mestiere
rappresentava un elemento di particolare importanza nella definizione della propria
identità, andrà controllata l’incidenza degli stranieri nell’epigrafia delle occupa-
zioni, a partire da quelle grandi città dell’Italia romana dove più forte era la pre-
senza dell’elemento allogeno, come Roma stessa, Ostia, Aquileia, ma anche in
quelle comunità minori della penisola dove lo straniero difficilmente avrebbe po-
tuto trovare ad accoglierlo una colonia di connazionali e nelle quali l’esigenza di
trovare strumenti alternativi di integrazione doveva essere più stringente.
Sarà infine interessante studiare la distribuzione geografica delle testimo-
nianze all’interno del territorio municipale, tra centro urbano e ager, per verificare
se anche in altre aree si colgono i segni di quella timida penetrazione del ricordo
del mestiere nell’epigrafia del villaggio (e della villa) che abbiamo notato per il Pi-
ceno. L’indagine sui territori meno intensamente urbanizzati della Cisalpina credo
potrà offrire qualche spunto di interesse.
In una prospettiva di studi locali, ritengo che l’indagine condotta sul mondo
del lavoro nelle iscrizioni lapidarie potrà essere utilmente completata da uno studio
sistematico dell’altra epigrafia, quella dell’instrumentum domesticum, qui sola-
mente abbozzato nella parte introduttiva, ma che promette interessanti risultati per
la ricostruzione della storia economica della regio V.
Per quanto concerne il filone della storia sociale, il ceto che mi pare presen-
tare i tratti più vicini a quelli mostrati dalla gente di mestiere è probabilmente
quello che si riunisce nei collegi di Augustales e affini, che nella regio V sono ben
radicati e presentano caratteristiche di notevole originalità: un’indagine su queste
funzioni credo potrà offrire utili elementi di confronto con i dati emersi nella pre-
sente indagine.
Del resto, come si ricordava nelle pagine introduttive, il cammino verso una
migliore comprensione delle strutture sociali ed economiche del Piceno in età ro-
mana è ancora lungo; da parte mia, spero di aver almeno contribuito ad illustrare
quel breve tratto di percorso che è fiancheggiato dai monumenti della gente di me-
stiere e delle associazioni professionali: le ambizioni di questo lavoro, come quelle
dei suoi oscuri eroi, erano in fondo contenute.
Appendice

I medici nella documentazione epigrafica


dell’Italia romana
Non pare inutile proporre una lista del personale medico attestato nelle iscri-
zioni dell’Italia romana, dal momento che l’ultima raccolta prosopografica com-
plessiva risale alle ricerche del Gummerus, agli inizi degli anni ’30. Sottolineo che
si tratta di un elenco preliminare, ricavato dalle liste già esistenti1 e da uno spoglio
dei principali corpora epigrafici dell’Italia, che non ambisce all’assoluta comple-
tezza. Sono esclusi i medici militari, che dal punto di vista di un’indagine sull’ori-
gine sociale costituiscono un caso da analizzare a parte, e i medici attestati nell’epi-
grafia di Roma, per i quali possiamo contare sulla recente prosopografia compilata
da J. Korpela2. Il catalogo è ordinato per regiones dell’Italia augustea, in ordine
alfabetico località per località.

Regio I: Latium
1. Onesimus, medic(us) di CIL X, 6638 da Antium (fasti di un collegio di schiavi e
liberti di Claudio), B, l. 12.
2. Aga[t]hopus ON[.]M medic(us); ibid., C, 3, l. 28.
3. [---] divae Augustae l(ibertus), med(icus), ibid., C, 3, l. 323.
4. M. Nonius M. l. M[---], medicus di AE 1971, 96 da Casinum4.
5. [---]zon, medic(a) di AE 1974, 192 da Collatia5.
6. T. (?) Claudius Ti. f. Fabullus (?), medicus di AE 1994, 374a da Ficulea6.

1 Cf. in particolare Gummerus, Ärztestand, cit.; Nutton, Roman Oculists, cit., 16-29; Ead., Archiatri
and the Medical Profession in Antiquity, «PBSR», 45 (1977), pp. 191-226; Rowland, Some New me-
dici, cit., pp. 174-179; Rémy, Nouvelles inscriptions (1973-1983), cit., pp. 261-264; Id., Nouvelles in-
scriptions (1983-1996), cit., pp. 277-283; Evans, War, Women and Children, cit., pp. 212-213;
Buonopane, Medicae, cit., pp. 129-130.
2 Korpela, Medizinalpersonal, cit. Cf. anche, per la documentazione epigrafica cristiana Bisconti,
Mestieri, cit., pp. 235-237.
3 Sui tre medici attestati da CIL X, 6638 cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 62, n°223.
4 Cf. V. Nutton, Five Inscriptions of Doctors, «PBSR», 37 (1969), p. 97; Rowland, Some New medici,
cit., p. 178, n°433.
5 Buonopane, Medicae, cit., p. 130, n°11.
6 Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., p. 278, n°452. Il testo dell’iscrizione presenta qual-
che anomalia, probabilmente dovuta al fatto che il documento è noto solamente dalla trascrizione in
una denuncia del 28 novembre 1935 ai carabinieri di Ponte Mammolo per la sparizione di diversi re-
perti, tra i quali l’epigrafe in oggetto, cf. L. Quilici - S. Quilici Gigli, Ficulea, Roma 1993, p. 383,
604 Appendice

7. Cn. Helvius Cn. l. Iola, medicus ocularius di CIL X, 6124 da Formiae7.


8. D. Caecilius DD. l. Nicia, medicus di CIL XIV, 4710 = ILS 5395 da Ostia8.
9. L. Caesennius Crescens, medicus di CIL XIV, 468 da Ostia9.
10. ÔUgei'no", eijhthvr di IG XIV, 942 + IG XIV, 2053 = SEG XXX, 1179 da
Ostia10.
11. Onesimus, medicus di CIL XIV, 471 da Ostia11.
12. T. Stavtiªlio"º ejxeleuvªqero"º, ijatrov" di V. Nutton, Five inscriptions of Doc-
tors, «PBSR», 37 (1969), pp. 96-97 da Ostia.
13. K. Mavrkio" Dhªmhvtrio"º, ajrciatrov" di H. Thylander, Inscriptions du port
d’Ostie, Lund 1952, p. 123, n° A 158 da Portus12.
14. P. Aelius Pius Curtianus, medicus di CIL XIV, 3030 = ILS 7788 da Praene-
ste13.
15. C. Barbius Cleon, medicus di AE 1961, 242 = Suppl. It., n.s. 6, p. 27, n°10 da
Setia14.
16. C. Licinius Asclepia[de]s, medicus di CIL X, 6471 = AE 1992, 261 da Setia15.
17. [-] Quinctius Theoxenus, medicus di CIL X, 6469 da Setia16.
18. L. Licinius L. l. Eros, medic(us) di AE 1986, 134 da Terracina17.
19. T. Allius, medicus di CIL XIV, 3550 da Tibur18.
20. C. Aufestius ((mulieris)) l. Soter, medicus di CIL XIV, 3710 = InscrIt IV, I, 247
da Tibur19.
21. Ti. Claudius Aelius Sabinianus, medicus di CIL XIV, 3641 = InscrIt IV, I, 178
da Tibur20.
22. Hilarus Arbias, medicus di InscrIt IV, I, 248 add., tabella defixionis rinvenuta a
Tibur.

nota 1224; la trascrizione riportata è la seguente: T. CLAVDIVS / TI. F. FABVLLO / MEDICO. De-
stano perplessità in particolare il praenomen Titus, invece dello scontato Tiberius, trattandosi di un
Claudius, e il gentilizio Claudius in nominativo, non concordato con il cognome e l’indicazione del
mestiere, che appaiono in caso dativo.
7 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 62, n°220; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 20, n°19.
8 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 51, n°182.
9 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 50, n°174.
10 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 52, n°183.
11 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 50, n°175.
12 Nutton, Archiatri, cit., p. 225, n°91; sul documento cf. anche H. Hommel, Euripides in Ostia,
«Epigraphica», 19 (1957), pp. 109-164; Id., Das Datum der Munatier-Grabstätte in Portus Traiani
und die hederae distinguentes, «ZPE», 5 (1970), pp. 293-303.
13 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 50, n°177.
14 Cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 178, n°430.
15 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 62, n°222; Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., pp.
278-279, n°453.
16 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 62, n°221.
17 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., p. 279, n°454.
18 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 51, n°178.
19 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 51, n°180.
20 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 51, n°179.
Appendice 605

23. Clodius Tertius, medicus di CIL XIV, 2652 = CIL VI, 9574 da Tusculum.
24. A. Clodius Metrodorus, m<e>dicus, ibid.21.
25. T. Flavius Aug. l. Hermes, med(icus) di AE 1925, 92 = Suppl. It., n.s. 2, pp. 66-
70, n°43 da Velitrae22.

Regio I: Campania
26. Iulia Sophia Isidori Ti. Caesaris Augusti l. liberta, medic(a) di AE 1972, 83 da
Anacapri23.
27. Soter Aug. lib. medicus di EphEp VIII, 386 dalla zona del lago d’Averno24.
28. L. Pactumeius Menodorus, medicus di EphEp VIII, 548 da Cales25.
29. M. Satrius Scipio, medicus di EphEp VIII, 486 = AE 1987, 253k da Capua 26.
30. Scantia Redempta, antistis disciplin[ae in] medicina di CIL X, 3980 = ILS
7805 da Capua27.
31. Urbicus, arc(h)iater di AE 1989, 165 da Capua.
32. L. Valerius L. l. Nicephorus, medicus di CIL X, 3962 da Puteoli28.
33. Apollinaris, medicus Titi Imp(eratoris) di AE 1937, 175 da Herculaneum29.
34. D. Servilius D. l. Apollon, medicus di CIL X, 1497 = IG XIV, 809 da Neapo-
lis30.
35. Stefanus, archiater di CIL X, 1381 da Nola31.
36. [---]ntius L. l. [---], medicus di AE 1975, 242 da Paestum32.
37. Mªevºnippo", ijatro;" ÔUpalpi'no" di IG XIV, 892 = IGR I, 411 da Pithe-
cussa33.
38. [-] Apon(ius) ((mulieris)) l. Dio, med(icus) di CIL X, 3955 = AE 1987, 253d da
Puteoli34.
39. Callystus, medicus di CIL X, 1546 da Puteoli35.

21 Sui due medici di CIL XIV, 2652 cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 50, n°176.
22 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 52, n°185.
23 Cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 179, n°437; Evans, War, Women and Children, cit., p. 213;
Flemming, Medicine, cit., pp. 386-387, n°12; Buonopane, Medicae, cit., p. 130, n°13.
24 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 62, n°224.
25 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 62, n°226.
26 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 62, n°225.
27 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 61, n°218; Evans, War, Women and Children, cit., p. 212;
Buonopane, Medicae, cit., p. 130, n°12.
28 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 61, n°217.
29 Cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 176, n°413.
30 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 58, n°207.
31 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 58, n°206; Nutton, Archiatri, cit., p. 225, n°83.
32 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1973-1983), cit., p. 263, n°442.
33 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 63, n°229.
34 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., pp. 60-61, n°216; Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit.,
p. 278, n°450.
35 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 59, n°208.
606 Appendice

40. Pannychus, medicus di CIL X, 1929 da Puteoli36.


41. Q. Passen[ius ---], archiat[er] di CIL X, 2858 = IG XIV, 852 da Puteoli37.
42. Ti. Claudius Diogenis f. Quir. Diogenes, medicus clinicus di AE 1951, 201 =
InscrIt I, I, 23 da Salernum38.
43. P. Novius Philosop[hus], medicus di CIL X, 4918 = S. Capini, Molise. Reper-
torio delle iscrizioni latine, VII, Venafrum, Campobasso 1999, pp. 101-102, n° 96
da Venafrum39.

Regio II: Apulia et Calabria


44. [-] Fulvius Soteric[us], medicus di M. Kajava - H. Solin, Le iscrizioni aliene
del Museo Irpino, «Epigraphica», 59 (1997), pp. 346-348, n°33 da Aeclanum.
45. [L.] Fulvius L. l. Herophilus, medicus, padre del precedente, ibid.
46. G. Savlouio" ∆Attikianov", ajrciatro;" povlew" di IG XIV, 689 = IGR I, 461 da
Aeclanum40.
47. M. Casineius Paetus, medicus di CIL IX, 1714 da Beneventum41.
48. A. Clodius A. f., medicus di CIL IX, 1715 da Beneventum, se il termine medicus
non ha qui la funzione di cognome42.
49. L. Staius Rut(ilius) Manilius, archiater di CIL IX, 1655 = ILS 6496 da Bene-
ventum43.
50. Anonimo, medicus di AE 1969/70, 170 da Beneventum44.
51. Sex. Cerrinius ((mulieris)) l. Chresimus, medicus di CIL IX, 740 da Larinum45.
52. D. Graec(---) D. l. Prax(---), med(icus) di CIL I2, 1713 = CIL IX, 743 da Lari-
num46.
53. P. Vedius P. l. Carpus, medicus di CIL IX, 827 da Luceria47.
54. [---]rcius C(ai) l(ibertus) [---] Cleon, medi[cus] di AE 1985, 297 = SEG
XXXIII, 759 da Spinazzola, nei pressi di Bari48.
55. Q. Baebius ((mulieris)) l. Cladus, medicus di CIL IX, 467 da Venusia49.

36 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 59, n°209.


37 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 59, n°210; Nutton, Archiatri, cit., p. 225, n°84.
38 Cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 177, n°419.
39 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 61, n°219.
40 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 63, n°228; Nutton, Archiatri, cit., p. 224, n°81.
41 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 56, n°194.
42 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 56, n°195.
43 Gummerus, Ärztestand, cit., p. 55, n°193; Nutton, Archiatri, cit., p. 225, n°82. Vd. an che sul me-
desimo personaggio AE 1914, 164, sempre da Benevento, testimonianza registrata da Gummerus,
Ärztestand, cit., p. 63, n°231.
44 Cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 178, n°432. A Beneventum è anche da ricordare CIL IX,
1618 = ILS 6507, che ci testimonia l’esistenza di un collegium medicor(um).
45 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 54, n°189.
46 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 54, n°190.
47 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 55, n°191.
48 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., p. 279, n°455.
49 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 54, n°187.
Appendice 607

56. C. Egnatius Entimus, medicus di CIL IX, 470 da Venusia50.


57. Fausti'no", ajrciatrov" di CIL IX, 6213 = D. Noy, Jewish Inscriptions of
Western Empire, I, Cambridge 1993, pp. 100-103, n°76 da Venusia51.
58. [C. Mar]cius? C.l. Cleon, medi[cus] di Suppl. It., n.s., 20, pp. 157-158, n°46 da
Venusia.
59. Anonimo, medicus di SEG XXX, 1226 da Venusia.

Regio III: Lucania et Bruttii


60. L. Manneius Q. <f.> o <l.> Menecrates, Fuvsei de; Menekravth" Dhmhtrivou
Trallianov", fusiko;" oijnodovth" di CIL I2, 1684 = CIL X, 388 = IG XIV, 666 =
IGR I, 473 = ILS 7791 = InscrIt III, I, 108 dall’ager inter Atinam et Volceios 52.

Regio IV: Samnium


61. C. Marius Ialysus, medicus di CIL IX, 2680 da Aesernia53; il suo sevirato Au-
gustale può essere un indizio a favore della condizione libertina.
62. M. Viccius M. l. Demetrius, medicus di CIL IX, 2369a da Allifae54.
63. C. Iulius C. l. Menestratus, medic(us) di CIL IX, 3388 da Aufinum55.
64. Epitectio, medi(cus) Eutyche[tis] di Suppl. It., n.s. 3, p. 157, n°19 = AE 1984,
318 da Corfinium.
65. T. Peticius L. f., chirurgus di CIL IX, 3895 da Lucus, se il termine chirurgus
non ha qui la funzione di cognome56.
66. T. Vettulenus T. l. Serapio, medicus di CIL IX, 4553 da Nursia57.
67. C. Iulius Sabinianus di AE 1992, 341 da Pinna; con ogni verosimiglianza di
nascita ingenua, dal momento che era figlio di un C. Iulius Sabinus e di una Sollia
Fortunata 58.
68. P. Florius Lalus, medicus di CIL IX, 2607 da Terventum; il personaggio deve
ritenersi di condizione libertina, dal momento che ricevette sepoltura dall’anonimo
patrono 59.

50 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 54, n°188.


51 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 57, n°204; Nutton, Archiatri, cit., p. 224, n°80; vd. anche SEG
XXXVI, 946.
52 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 57, n°205, con le considerazioni di Solin, Zu lukanischen In-
schriften, cit., pp. 35-36, n°108.
53 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 56, n°198.
54 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 56, n°196.
55 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 56, n°199.
56 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 56, n°200. A favore di Chirurgus come cognomen Letta -
D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, cit., pp. 282-283, n°171.
57 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 57, n°201.
58 Cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 178, n°431; Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996),
cit., p. 279, n°456.
59 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 56, n°197.
608 Appendice

Regio V: Picenum
69. Iulia Q. l. Sabina, medica della nostra iscrizione Auximum 9.
70. ∆Asklhpiadh" Pergamhno", ijatrov" della nostra iscrizione Falerio 3.
71. Q. Tullienus Q. l. Phanias, medicus della nostra iscrizione Falerio 4.

Regio VI: Umbria


72. Hippocrates Zeuxidis l., medicus di CIL XI, 4423 da Ameria60.
73. P. Decimius P. l. Eros Merula di CIL XI, 5400 = ILS 7812 da Asisium61.
74. C. Quintius, medicus di CIL XI, 5412 da Asisium, se il termine medicus non ha
qui la funzione di cognome62.
75. C. Seienus C. l. Acantus, medicus ocularius di CIL XI, 5441 da Asisium63.
76. Q. Golius Q. l. Nicomedes, medicus ocularius di CIL XI, 6232 = R. Bernardelli
Calavalle, Le iscrizioni romane del Museo civico di Fano, Fano 1983, pp. 74-77,
n°22 da Fanum Fortunae64.
77. Sex. Pedius Sex. lib. Secundus, medicus di CIL XI, 6137 da Forum Sempro-
nii 65.
78. L. Sabinus L. l. Primigenius, medicus di CIL XI, 5836 = ILS 7794 da Igu-
vium66.
79. L. Scetasius Tiberinus, medicus di CIL XI, 5837 da Iguvium.
80. Octavia Artemisia, medica di CIL XI, 6394 = Cresci Marrone - Mennella, Pi-
saurum I, cit., pp. 330-331, n°109 da Pisaurum67.
81. [-] Titius Gemell(us), med(icus) di CIL XI, 6506 da Sarsina 68.
82. L. Vafrius Nicephorus, medicus di CIL XI, 6536 da Sarsina 69.
83. Q. Anneus Theubulus, medicus di CIL XI, 4847 da Spoletium70.
84. Coelius Benedictus medicus di ICI VI, 101 = AE 1989, 288 da Vettona71.

Regio VII: Etruria


85. Diodotus Tauri fil., medicus, Tyanensis ex Cappadocia di AE 1989, 307
dall’ager Caeretanus72.

60 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 66, n°244.


61 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 66, n°247; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 20, n°21; Kudlien,
Stellung des Arztes, cit., p. 123-124.
62 Gummerus, Ärztestand, cit., p. 67, n°248.
63 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 67, n°249; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 20, n°22.
64 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 68, n°252; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 20, n°23; Kudlien,
Stellung des Arztes, cit., pp. 124-125.
65 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 68, n°251.
66 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 67, n°250.
67 Cf. Buonopane, Medicae, cit., p. 130, n°15.
68 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 68, n°253; Kudlien, Stellung des Arztes, cit., p. 132.
69 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 69, n°254.
70 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 66, n°245.
71 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., p. 279, n°457.
72 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., p. 280, n°459.
Appendice 609

86. C. Calpurnius Asclaepiades (!) Prusa ad Olympum, medicus di CIL XI, 3943 =
ILS 7789 da Capena73.
87. C. Titius C. l. Eros, medicus di CIL XI, 3946 da Capena74.
88. L. Cornelius Latinus, medicus di CIL XI, 7434 da Ferentum75.
89. P. Statius Calotychus, medicus di CIL XI, 7051 da Florentia 76.
90. Cn. Tullius Cn. l. Aesus, medicus di CIL XI, 1619 da Florentia 77.
91. L. Tettius Glycon, medicus di CIL XI, 1355 da Luna (elenco dei membri del
collegio dei fabri tignuarii), frammento A, col. 2, l. 10.
92. L. Tettius Apollonius, medicus, ibid., col. 2, l. 1178.
93. L. Achonius L. f., medicus di CIL XI, 1979-1980 da Perusia, se il termine me-
dicus non ha la funzione di cognome79.
94. A. Messius A. l. Diogenes, medic[us] di CIL XI, 2605 da Populonia80.
95. Aelius A[---], [me]dicus di ICI I, 7 = AE 1985, 386 da Volsinii81.

Regio VIII: Aemilia


96. M. Latinius M. l. Hermes, medicus ocularius di CIL XI, 742 = ILS 7807 da Bo-
nonia82.
97. P. [Sa]lvius o [He]lvius P. l. Dicaeus, med(icus) di CIL XI, 6837 da Bono-
nia83.
98. [---] Pal. Lysimachus, medicus di AE 1979, 249 da Forum Cornelii84.
99. C. Tatius C. l. Bodorix, medicus di CIL XI, 867 da Mutina85.

Regio IX: Liguria


100. Acron[---], medicus di CIL V, 7043 = InscrIt IX, I, 27 da Augusta Bagienno-
rum86.

73 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 66, n°242.


74 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 66, n°243.
75 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 69, n°257.
76 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 69, n°256.
77 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 65, n°236.
78 Sui due medici di CIL XI, 1355 cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 64, n°235.
79 Gummerus, Ärztestand, cit., p. 65, nn. 237-238.
80 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 65, n°239. L’iscrizione era nota al Corpus Inscriptionum Lati-
narum solo da tradizione; tuttavia un frammento del testo venne rinvenuto nel 1921 e ricongiunto ad
un altro frustulo, conservato allora nella raccolta Desideri di Populonia, cf. A. Minto, Populonia. II.
Scavi governativi eseguiti nella primavera del 1921, «NSc», 46 (1921), pp. 334-335; la scoperta, re-
gistrata in AE 1922, 98, ha portato ad una sostanziale conferma del testo stampato in CIL XI, 2605.
81 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., p. 280, n°458.
82 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 64, n°233; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 20, n°20.
83 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 69, n°255.
84 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1973-1983), cit., p. 263, n°445.
85 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 64, n°234; Buonopane, Ceti medi, cit., p. 82.
86 Attibuita da CIL V, 7043 (seguito da Gummerus, Ärztestand, cit., p. 74, n°283) ad Augusta Tauri-
norum, l’iscrizione deve piuttosto essere ascritta ad Augusta Bagiennorum secondo A. Ferrua, lemma
a InscrIt IX, I, 27; cf. Buonopane, Ceti medi, cit., p. 84.
610 Appendice

101. Gnai'o" Oujevrgio" Pavri" Kavtlou ajpeleuvqero", ijatrov" di IG XIV, 2276 da


una tabella defixionis da Bordighera, ma forse di origine urbana e proveniente dal
mercato antiquario87.

Regio X: Venetia et Histria


102. P. Aelius Philetianus, medicus di CIL V, 2181 da Altinum88.
103. T. Arius Soterici l. Celadus, medicus di Gummerus, Ärztestand, cit., p. 76,
n°288 da Aquilieia.
104. A. Barbius Zmaragdus, medic(us) di Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I,
676 da Aquileia89.
105. Hagius Ai s(ervi), medicus di Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 70 = AE
1992, 713 da Aquileia90.
106. [---] Helpidia[nus], medicus di CIL V, 1033 = Brusin, Inscriptiones Aqui-
leiae, cit., I, 708 da Aquileia91.
107. [Iu]liu[s ---] [me]dicus? di Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 709 da
Aquileia92.
108. P. (Iulius) P. l. Dio, medicus ocularius di CIL V, 8320 = Brusin, Inscriptiones
Aquileiae, cit., I, 72 da Aquileia93.
109. P. Iulius [---] Protus, medi[cus] di Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 71
da Aquileia94.
110. Ph[o]ebianus ser(vus), medicus di CIL V, 869 = Brusin, Inscriptiones Aqui-
leiae, cit., I, 490 da Aquileia95.
111. Sevrgio"/ ÔEstivaio", ijatrov" di IG XIV, 2343 = CIL V, 868 lemma = IGR I,
482 = Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 491 da Aquileia96.
112. Anonimo, [me]dicus (?) di Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit., I, 707 da
Aquileia.
113. P. Numitorius Asclepiades, medicus ocular(ius) di CIL V, 3940 dal pagus
Arusnatium97.

87 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 75, n°286. Sulla probabile origine aliena della tabella vd.
Buonopane, Ceti medi, cit., p. 79, su segnalazione di G. Mennella.
88 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°267.
89 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 77, n°292.
90 Cf. Rémy, Nouvelles inscriptions (1983-1996), cit., p. 280, n°460; Buonopane, Ceti medi, cit., p.
81.
91 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°264.
92 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 76, n°290; la testimonianza è espunta da Buonopane, Ceti medi,
cit., p. 79 e nota 20, dal momento che le integrazioni alternative sono numerose.
93 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 75, n°284; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 19, n°6; Kudlien,
Stellung des Arztes, cit., p. 132-133.
94 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 77, n°291; Kudlien, Stellung des Arztes, cit., p. 133.
95 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 71, n°263; Buonopane, Ceti medi, cit., p. 81.
96 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 75, n°287; cf. anche Buonopane, Ceti medi, cit., pp. 81-82, che
pare ritenerlo, almeno ipoteticamente, di condizione servile.
97 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 73, n°274; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 18, n°5; Kudlien,
Stellung des Arztes, cit., p. 122; Buonopane, Ceti medi, cit., pp. 84-85.
Appendice 611

114. M’. Rufrius M’. l. Faustus, medicus di CIL V, 2530 da Ateste98.


115. Marcius, medicus di CIL V, 2545 da Ateste99.
116. Thiophiles, medicus di CIL V, 4510 = InscrIt X, V, 306 da Brixia100.
117. Fl(avius) Aristo, archiater di CIL V, 8741 = ILS 7797 da Concordia101.
118. D. Sempronius Hilarus, medicus di CIL V, 1909 da Concordia102.
119. D. Sempronius Iucundus, medicus Ariminiensis di CIL V, 1910 = ILS 7792 da
Concordia103.
120. P. Pupius P. l. Mentor, medicus di CIL V, 2396 da Ferrara 104.
121. P. Carmi[nius] Sosthe[nes?], medic[us] di CIL V, 2857 da Patavium105.
122. A. Atius Caius, archiater di CIL V, 87 = InscrIt X, I, 161 da Pola106.
123. P. Coesius Ortesi[a]nus, medicus di CIL V, 89 = InscrIt X, I, 164 da Pola107.
124. L. Alfius L. l. Isochrysus, medicus di CIL V, 562 da Tergeste108.
125. Sentia Elis, medica di CIL V, 3461 da Verona, verosimilmente liberta, dal
momento che era contubernalis di C. Cornelius Meliboeus109.
126. Carivno", iJhtro;" Korivnqio" di CIG III, 6758 = T. Ritti, Iscrizioni e rilievi
greci nel Museo Maffeiano di Verona, Roma 1981, p. 150, n°85 da Verona (?)110.
127. Q. Clodius Q. l. Niger, medicus ocular(ius) di CIL V, 3156 da Vicetia 111.

98 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°269; Kudlien, Stellung des Arztes, cit., p. 125;
Buonopane, Ceti medi, cit., p. 84.
99 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°270.
100 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 73, n°276; Gregori, Brescia romana, cit., I, p. 240, n° C, 244;
II, p. 247; Buonopane, Ceti medi, cit., p. 82.
101 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 75, n°285; Nutton, Archiatri, cit., p. 226, n°92.
102 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°265; Buonopane, Ceti medi, cit., p. 84.
103 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°266; Buonopane, Ceti medi, cit., pp. 82; 84.
104 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°268; Kudlien, Stellung des Arztes, cit., p. 125;
Buonopane, Ceti medi, cit., p. 84. Per la lettura del cognome vd. ora Suppl. It., n.s. 17, p. 148.
105 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 72, n°271, Buonopane, Ceti medi, cit., p. 84; Id., Medicae, cit.,
p. 130, n°16.
106 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 71, n°260; Nutton, Archiatri, cit., p. 226, n°93.
107 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 71, n°261.
108 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 71, n°262.
109 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 73, n°273; Evans, War, Women and Children, cit., p. 212, che
la ritiene di condizione servile; Flemming, Medicine, cit., p. 386, n°11; Buonopane, Ceti medi, cit., p.
83.
110 Conservata al Lapidario Maffeiano, l’epigrafe è ritenuta pertinente al territorio veronese da
Buonopane, Ceti medi, cit., p. 80 e nota 31, sulla base del materiale utilizzato; cf. già Ritti, Iscrizioni,
cit., p. 150, che considerava probabile la pertinenza del monumento all’Italia settentrionale.
111 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., pp. 72-73, n°272; Nutton, Roman Oculists, cit., p. 18, n°4;
Kudlien, Stellung des Arztes, cit., p. 122; Buonopane, Ceti medi, cit., p. 84.
612 Appendice

Regio XI: Transpadana112


128. L. Atilius L. l. Philetus, medi(cus ?) di CIL V, 5277 da Comum113.
129. C. Plinius Valerianus, medicus di CIL V, 5317 = ILS 7787 da Comum114.
130. Dioskovro", ijhtrov", h\n d jajpo; pavtrh" Aijguvptou zaqevh", hJ de; povli" to;
Gevra" di M. Guarducci, Epigrafia greca, IV, Roma 1978, pp. 505-508 da Medio-
lanum 115.
131. M. Petronius Heras, medicus (?) di CIL V, 6064 da Mediolanum 116.
132. [-] Valerius Saturninus, medicus di CIL V, 5920 da Mediolanum 117.
133. Anonimo, medicus di CIL V, 6437 da Ticinum118.

112 Espungerei dal catalogo il possibile anonimo medico di un graffito su scodella in cui appariva la
parola medici, rinvenuto ad Almese, nella valle della Dora Riparia, pochi chilometri ad ovest di Tori-
no: anche lasciando da parte i dubbi interpretativi sul laconico testo, pubblicato da E. Ferrero, Almese
- Tombe di età romana, «NSc», 23 (1898), p. 130, n°5 e preso in esame da Buonopane, Ceti medi, cit.,
p. 80 e nota 34, la località sembra in effetti esser stata ricompresa in età romana nella provincia delle
Alpi Cozie, cf. Tabula Imperii Romani, Foglio L 32 (Milano). Mediolanum, Roma 1966, p. 27. Si
deve piuttosto qui ricordare che da Augusta Taurinorum proviene l’iscrizione CIL V, 6970, che ci at-
testa l’esistenza di un’associazione locale di medici devoti ad Esculapio ed Hygia.
113 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 73, n°277. L’abbreviazione è tuttavia sciolta, in via ipotetica,
Medi(iolanensis) da Reali, Il contributo, cit., p. 98; La congettura è seguita da Buonopane, Ceti medi,
cit., p. 79 e nota 16, che ha espunto Atilio Fileto dalla sua raccolta di testimonianze di medici della
Cisalpina.
114 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 74, n°278.
115 Cf. Rowland, Some New medici, cit., p. 176, n°417.
116 HERASMIDICVS nei manoscritti che ci hanno tramandato questa iscrizione; la correzione, pro-
posta da Gruterus, è ripresa con prudenza da CIL; cf. anche Gummerus, Ärztestand, cit., p. 74, n°280.
117 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 74, n°279.
118 Cf. Gummerus, Ärztestand, cit., p. 74, n°281.
Bibliografia
I contributi sono schedati in ordine alfabetico, secondo il cognome dell’autore, poi
secondo la prima parola del titolo. Le abbreviazioni delle riviste sono generalmente quelle
impiegate da L’Année Philologique, tranne che per «Classical Weekly», qui scritto per
esteso e non con la sigla «CW», che potrebbe ingenerare confusione con la rivista «Classi-
cal World». Nella bibliografia non compaiono gli articoli di enciclopedie.

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con l’aggiunta di una Premessa e la soppressione dell’ Appendice: Epigrafi di Cluana, pp.
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AE
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1975, 351 = Asculum 5
1981, 307 = Ricina 3
1985, 346 = Urbs Salvia 5
1990, 304 = Cluana 1
1990, 308 = Cluana 2
1990, 312 = Cingulum 1
1993, 595 = Urbs Salvia 7
1996, 586 = Septempeda 1
1997, 479 = Firmum 2

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p. 771, n°14 = Interamnia 3
p. 773, n°25 = Interamnia 7
p. 773, n°26 = Interamnia 4
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pp. 104-106, FAL 9 = Falerio 8
pp. 112-115, VRB 4 = Urbs Salvia 2-3
pp. 126-128, TOL 2 = Tolentinum 1
pp. 154-156, CLV 1 = Cluana 1
pp. 156-157, CLV 2 = Cluana 2
pp. 157-160, AVX 1 = Auximum 2
pp. 160-162, AVX 2 = Auximum 5
pp. 167-170, AVX 5 = Auximum 1
pp. 176-178, AVX 8 = Auximum 13
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CIG
6456b = Interamnia 1

CIL I2
1905 = Interamnia 6
1906 = Interamnia 7
1916 = Truentum 1

CIL IX
5018 = Hadria 1
5064 = Interamnia 2
5065 = Interamnia 3
5076 = Interamnia 7
5077 = Interamnia 4
5084 = Interamnia 5
5177 = Asculum 1
5190 = Asculum 4
5276 = Truentum 2
5278 = Asculum 5
5279 = Truentum 1
5307 = Cupra Maritima 1
5368 = Firmum 4
5377 = Firmum 1
5378 = Firmum 3
5420 = Falerio 5
5435 = Falerio 6
5438 = Falerio 7
5439 = Falerio 10
5450 = Falerio 11
5460 = Falerio 9
5461 = Falerio 2
5462 = Falerio 4
5462b = Falerio 3
5484 = Falerio 1
5545 = Urbs Salvia 4
5552 = Urbs Salvia 6
5568 = Tolentinum 1
5630 = Septempeda 1
5653 = Trea 4
5654 = Trea 2
5659 = Trea 1
5706 = Cupra Montana 1
674 Tavole di concordanza

5752 = Ricina 1
5754 = Ricina 2
5804 = Cluana 2
5823 = Auximum 2
5828 = Auximum 5
5833 = Auximum 1
5835 = Auximum 14
5836 = Auximum 11
5839 = Auximum 12
5843 = Auximum 13
5847 = Auximum 15
5854 = Auximum 8
5855 = Auximum 7
5858 = Auximum 10
5859 = Auximum 3
5861 = Auximum 9
5862 = Auximum 6
5892 = Ancona 1
5905 = Ancona 3
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pp. 150-151, n°d12 = Auximum 14
p. 151, n°d13 = Auximum 11
pp. 151-152, n°d16 = Auximum 5
p. 152, n°d18 = Auximum 13
p. 153, n°d23 = Auximum 6
pp. 153-154, n°e2 = Auximum 2
p. 154, n°e3 = Auximum 4
p. 155, n° f1 = Auximum 7
p. 155, n° f2 = Auximum 8
p. 156, n°h1 = Auximum 3
p. 156, n°h2 = Auximum 9
p. 158, n°h6 = Auximum 15
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pp. 167-168, n°35 = Auximum 13
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676 Tavole di concordanza

ICI X
3 = Interamnia 1

IG XIV
2247 = Interamnia 1
2261 = Falerio 3

ILLRP
619 = Interamnia 6
780 = Truentum 1

ILS
1059 = Auximum 1
1368 = Falerio 10
1415 = Auximum 14
2084 = Auximum 12
5064 = Auximum 8
5128 = Ancona 2
5368 = Falerio 7
5393 = Interamnia 7
5393a = Interamnia 6
5450 = Asculum 1
6048 = Auximum 2
6564 = Truentum 2
6565 = Asculum 2
7248 = Falerio 11
7256 = Tolentinum 1
7582 = Ricina 1
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p. 419, n°1607 = Falerio 2
1
p. 419, n°1606 = Tolentinum 1
p. 420, n°1608 = Trea 4

1
Per un errore di stampa nel testo del Waltzing è stato assegnato all’iscrizione tolentinate CIL
IX, 5568 (qui Tolentinum 1) il medesimo numero di serie 1606, che già contraddistingue
l’epigrafe di Falerio CIL IX, 5450 (qui Falerio 11). Il testo di Tolentinum in realtà è riportato da
Waltzing, Étude, cit., III, p. 419 tra il n°1607 e il n°1608.
Tavole di concordanza 679

p. 420, n°1609 = Ricina 2


p. 420, n°1610 = Auximum 11 e Auximum 14
p. 421, n°1611 = Auximum 12
p. 421, n°1612 = Auximum 13
p. 421, n°1613 = Auximum 15
pp. 421-422, n°1614 = Ancona 2

E.H. Warmington, Remains of Old Latin, IV, Archaic Inscriptions, London - Cam-
bridge (Mass.) 1940
pp. 24-25, n°54 = Truentum 1
pp. 196-197, n°67 = Interamnia 7

«ZATW»
60 (1969), pp. 282-289 = Urbs Salvia 2 e Urbs Salvia 3

«ZPE»
54 (1984), p. 196, n°6a = Interamnia 7
54 (1984), p. 196, n°6b = Interamnia 6
Indici

1. Nomi di mestiere
a cubiculo: ..................................172, nota 284 calculator: ...................................... 21, nota 44
a memoria: ..................................172, nota 284 caligarius: .................................................. 280
a rationibus: ...............................172, nota 284 capistrarius: ................................. 579, nota 61
ab epistulis: .................................172, nota 284 carbonarius: ............................................... 260
accensus: 32; 166; 168-173; 176; 177; 253; carinarius: .................................................. 500
561; 562; 563; 565; 570; 571; 573; 574; causidicus: ...................................... 20, nota 41
582; 586; 589 cellarius: .................................. 409, nota 1364
actor (vd. anche voce seguente): 18, nota 28; centonarius: .... 225; 227; 260; 515, nota 1837
185-189; 361-364; 559; 563; 568; 570; ceraula: .................................... 403, nota 1327
576; 577; 582; 583; 586 chirurgus: ................................................... 607
actor alimentorum: 185; 187-189; 282; 361; choraula: .................................. 403, nota 1327
559; 563; 567; 569; 570; 582; 586; 588; coactor: ...................................................... 371
589 coactor argentarius: .................................. 371
adiutor tabularii: 273; 274; 276-282; 397; colonus: 97; 283; 284-288; 452; 454; 466;
398, nota 1299; 558; 563; 566; 567; 570; 469-470; 474-475; 558; 559; 563; 565;
582; 583; 586; 589 568; 570; 571; 576-577; 581; 585; 587
administrator: .............................................510 colorator: .............19, nota 32; 409, nota 1364
albarius: ......................................................375 comparator mercis sutoriae: ....... 579, nota 61
alimentarius: ...............................................188 corcotarius: ................................................ 500
apparitor: 19, nota 37; 27, nota 71; 98; 100, cornicen: ............................................ 403; 404
nota 400; 112; 156; 157; 158; 159; 160; curio: .......................................................... 115
168-169; 172; 173, note 287-288; 251; diffusor olearius: 20, nota 39; 263; 266-269;
254; 266; 267; 269; 404; 583; 587 271
arcarius (vd. anche voce seguente): 188; 279; dispensator (vd. anche voce seguente): 31;
397; 580 33; 34, 97; 98; 107-109; 110; 123-125;
arcarius (dispensatoris): 31; 124; 138; 139; 138; 139; 142; 145; 146; 147; 190-192;
142-146; 559; 563; 567; 581; 586; 589 328, nota 972; 397; 552; 559; 562; 563;
archiater: ..................................... 98; 605; 611 565; 567; 569; 570; 573; 574; 580; 581-
architectus: 20, nota 40; 34; 90; 93, nota 380; 582; 586; 589
99; 437; 484; 485; 491-495; 508-509; 510; dispensator arcae summarum: 123-125; 127;
552; 554; 558; 561; 563; 564; 567; 576; 135; 562; 563; 567; 574; 581; 588
578; 585 dissignator: 84; 289; 290-293; 302; 476; 477;
argentarius: 85; 313, nota 880; 365; 366-372; 552; 558; 563; 564; 566; 569; 582; 584;
552; 554; 558; 563; 565; 580; 581; 586 586; 596
argentarius coactor: ...................................371 doctor: .......................................... 117, nota 56
artifex: .......................... 96; 300, nota 833; 576 doctor secutorum: ........................ 116, nota 49
artis grammaticae graecae peritissimus: 525, doctus: ................................................. 150-151
nota 1874 dolabrarius: ............................................... 243
assa nutrix: .........................................537; 539 domnifunda: ............................................... 304
aurifex: ..........................................572, nota 41 domnipraedius: .......................................... 304
aurarius: .........................................19, nota 31 erosalpistes: ........... 403; 405, note 1338-1339
bestiarius: .................................515, nota 1837 eruditus: .............................................. 150-151
blattiarius: ................................500, nota 1779 exceptor: 33, 193; 194-195; 561; 563; 565;
brattiarius: ................................500, nota 1779 582; 586; 589
caelator anaglyptarius: ................572, nota 41
682 Indice dei nomi di mestiere

expertus fori o foro?: 149; 150; 552; 554; lusor folliculator: 24; 424; 530; 532-534;
558; 563; 565; 569; 585; 586; 588 552; 559; 563; 565; 571; 582; 584; 586;
faber: 34; 96; 201; 240; 242; 300, nota 833; 588
427; 428-432; 552; 555; 563; 568; 576; mango: .......................................... 99, nota 400
578; 585 margaritarius: ...............................................91
faber argentarius: ....................366, nota 1141 magister: ................ 20, nota 42; 143; 145; 146
faber balneator: ........................432, nota 1461 magister ludi: ............................................. 522
faber lapidarius: .........................................280 magister grammaticus graecus: 5 2 5 , nota
faber tignuarius: 97; 200; 201-204; 224; 260; 1874
457; 558; 559; 563; 565; 576; 577; 585 magister institutor litterarum: ................... 527
faenerator: ................................369, nota 1152 magister studiorum: ................................... 526
fictor: ............................................98, nota 394 marmararius: ............................................. 391
figlinator: ......................................98, nota 394 medicus: 20, nota 43; 86-88; 90; 91-92, 93,
figulus: ..........................................98, nota 394 nota 380; 97; 98; 99; 296-299; 300-302;
flammarius: .................................................500 527, nota 1892; 558; 563; 565; 584; 586;
forensis: ......................................................575 588, nota 73; 590; 603-612
frumentarius: ..............................................575 medicus clinicus: ........................................ 606
fullo: ............................300, nota 833; 349-351 medicus clinicus chirurgus ocularius: ...... 301
gallus: .......................................515, nota 1837 medicus ocularius: .... 604; 608; 609; 610; 611
gerulus: .......................................................251 medica: 211; 213-218; 559; 565; 569; 590;
gladiator: 31; 33; 84, 85, nota 346; 111; 112; 591; 603; 605; 608
113; 114; 116: 117; 205; 207; 209; 210; mensor: ............................................... 144; 145
512; 513-516; 517; 552; 559; 560; 561; mercator: 20, nota 39; 88-89; 90-91; 96; 269;
562; 564; 582; 583-584; 586 270, nota 708; 575
grammaticus: ..................20, nota 42; 521-529 mercator bovarius: .................. 423, nota 1429
grammaticus graecus: 522, nota 1866; 524; mercator frumentarius: ............................. 269
527 mercator olearius: 263; 268, nota 703; 269;
grammaticus latinus: 520; 524-525; 526; 527; 270; 271
528; 559; 563; 566; 567; 571; 584; 586 mercator purpurarius: ....................... 500; 502
gymnicus: ..................................403, nota 1327 mercator sagarius: .....................434; 435; 439
gypsarius: 373; 374-375; 558; 559; 563; 565; ministrator: ................................................ 510
576; 578; 585 murmillo: ...................................... 117, nota 56
gypsoplastes: ................... 374, nota 1173; 375 musivarius: ................................................. 272
iatromea: .....................................214, nota 458 myropola: ..................................... 119, nota 60
infector: .......................................................499 nauta: ...............................270; 443, nota 1501
institor: ...........18, nota 28; 314, nota 893; 505 navicularius: 78; 313, nota 880; 314, nota
insularius: .................................409, nota 1364 896
iuris peritus: ...............................................151 navicularius lignarius: ...................... 343; 344
lanarius: ......................................................260 negotians: 308; 310; 311; 312, nota 876; 313-
lanista: ................................... 84; 99, nota 400 316; 562; 564; 575; 580; 581; 585; 587;
lanio: ...........................................................575 596
leno: ..............................................99, nota 400 negotians boarius: ..................... 313, nota 880
libitinarius: .................................................290 negotians calcariarius: .............................. 313
librarius: .....................................157, nota 217 negotians conforaneus: ............. 313, nota 880
lictor: 157, nota 217; 159; 169; 170; 172, negotians coriariorum: .............................. 313
note 283-284; 173, nota 288; 252 negotians ferrarius: ................................... 313
lignarius: ..................202; 343; 344, nota 1041 negotians lagonarius: ................................ 313
linteo: ........................................504, nota 1793 negotians lanarius: .................................... 313
liticen: .........................................................404 negotians lintiarius: ................................... 313
litterator: .............................................522; 523 negotians materiarius: ............................... 313
lorarius: ........................................579, nota 61 negotians perticarius: ......................... 313-314
loricarius: .....................................579, nota 61 negotians pigmentarius: ............................ 314
lucernarius: ..................................98, nota 394 negotians pullarius: ................................... 314
lusor: ...................................................532; 533 negotians purpurarius: ...................... 314; 502
Indice dei nomi di mestiere 683

negotians salsamentarius: .........................314 pilicrepus: .......................................... 532; 533


negotians salsarius: ....................................314 pistor: ............................................. 85; 86, 122
negotians seplasiarius: ..............................314 plasta gypsarius: ..............374; 375, nota 1181
negotians siricarius: ...................................314 plasta imaginarius: .................................... 374
negotians vascularius: ...............313, nota 880 plastes: ..................................... 374, nota 1173
negotians vestiarius: ....... 314; 504, nota 1793 poeta: .......................................... 156, nota 210
negotians vinariarius: ................................314 pomarius: ..................................... 116, nota 55
negotians vinarius: ...... 78; 314; 315, nota 905 possessor: 24-25; 34; 97, nota 393; 303; 304-
negotians vini Supernatis et Ariminensis: 78; 306; 307-308; 310; 312, nota 876; 313;
313, nota 880; 371 562; 564; 576; 577; 585; 596
negotiator: 20, nota 39; 25; 34; 99; 269; 270, praeceptor: 523, nota 1869; 527, nota 1892;
nota 708; 315-316; 369-370; 499, nota 528, nota 1896
1770; 575; 587 praeco: 31; 84; 111-115; 116; 169; 170; 172,
negotiator argentarius: ............367, nota 1142 nota 283; 251; 290; 292; 293; 404; 411,
negotiator artis lapidariae: ........................390 nota 1376; 559; 563; 566; 569; 582; 584;
negotiator artis purpurariae: ...506, nota 1805 586
negotiator cretarius: ....................98, nota 394 primus palus: ............................... 117, nota 56
negotiator lentiarius et castrensiarius: 443, procurator: 172, nota 284; 193; 194; 195;
nota 1501 196-198; 362, nota 1126; 363; 561; 563;
negotiator lignarius: ..................................344 565; 582; 586; 589
negotiator marmorarius: ....................388; 390 propola: ...................................................... 575
negotiator olearius: 261; 263; 267-268, nota provocator: ................................... 117, nota 56
703; 270-271; 443, nota 1501; 559; 563; provocator spatharius: ................ 117, nota 56
566; 570; 572; 573; 580; 581; 586; 587 pugil: .......................................................... 514
negotiatrix olearia: ............................270; 271 pullarius: ............................................ 251; 153
negotiator purpurarius: .............................500 purpurarius: 491, 497; 498-506; 507, nota
negotiator sagarius: ..434; 437; 438; 439; 440 1809; 554; 558; 559; 563; 566; 573; 576;
negotiator sagarius et pellarius: ...............438 579; 580; 585
negotiator vascularius argentarius: 442, nota pythaula: .................................. 403, nota 1327
1501 retiarius: ....................................... 117, nota 56
negotiator vinarius: ...266; 315, nota 905; 371 rhetor: .................... 20, nota 42; 522; 523; 527
nomenclator: .........................21 e nota 44; 291 sagarius: 31, 433; 434-441; 494, nota 1745;
notarius: ..............................................194; 195 558; 559; 563; 566; 569; 572; 573; 575-
nummularius: .............86; 367; 368, nota 1150 576; 580; 581; 585; 586
nutrix: 31; 535; 536-544; 559; 563; 566; 571; salpista: ...................................................... 403
582; 583; 586; 590; 591 samnis: ..................................... 515, nota 1837
obstetrix: .....................................................214 scriba (vd. anche voce seguente): 93; 97; 98;
offector: ............................ 351, nota 1070; 499 99; 125, nota 83; 146; 153; 155-160; 162;
officialis (di una familia gladiatoria): 115; 163; 164; 169; 170; 173, nota 288; 219;
116; 559; 569; 584 293; 356; 384-386; 552; 554; 555; 558;
olearius: 20, nota 39; 263-265; 267; 271; 272; 559; 563; 564; 566; 567; 569; 570; 571;
575 573; 576; 582; 583; 586; 587; 589
olivarius: .....................................................272 scriba aedilium curulium: 250; 251-254; 558;
opifex: ...................................................96; 576 563; 564; 583; 589
orator: ...................................................88; 527 secunda rudis: 31; 113, nota 35; 115; 116;
ostiarius: ...................................409, nota 1364 559; 563; 568; 569; 582; 584; 586
paedagogus: ........................................522; 527 secutor: ......................................... 117, nota 56
pantomimus: .............................403, nota 1327 seplasiarius: ............................................... 575
parthicarius: .............................504, nota 1793 signarius: .................................... 202, nota 423
pellio: ............................................579, nota 61 silentiarius: .............................. 409, nota 1364
peritus: ................................................ 150-151 sofista: ........................................................ 527
pharmacopola: ...........................................121 solearius: ...................................... 579, nota 61
philosophus: ................. 88; 92; 527, nota 1892 statuarius: ....................................... 19, nota 36
pilarius: ...............................................532; 534 stragularius: ................................... 19, nota 32
684 Indice dei nomi di mestiere

strator: ........................................................510 [---]rius: 34, nota 93; 259-260; 555; 562;


structor: 34, nota 93; 256; 257; 552; 561; 564; 594
563; 567; 576; 578; 585
summa rudis: ............... 113, nota 33; 115; 116 ajkkh`sso": ................................. 171, nota 281
summarum: ................................ 125; 146; 191 ajrciatrov": .................................299; 606; 607
sutor: .............................................579, nota 61 ajrcitevktwn: .............................................. 491
sutor caligarius: ...........................579, nota 61 ajrciatrivnh: ............................................... 215
tabernarius: ................................315, nota 906 bafeuv": ................... 350; 351, nota 1070; 504
tabularius: 93; 276-282; 395; 397-398; 558; bohqo;" taboularivwn: 276, nota 733; 278,
563; 567; 576; 582; 583; 586; 589 nota 737
tector: ..........................................................375 gnafeuv": .................................. 351, nota 1070
tegularius: .....................................98, nota 394 grammatikov": 20, nota 42; 520, nota 1864;
tessellarius: .................................................324 522, nota 1866; 527, nota 1892; 528
tessellator: ..................................................324 grammatikov" ∆Rwmaikov": ........ 525, nota 1875
tesserarius: 34, nota 93; 320; 321; 323-325; guyemplavsth": ......................................... 375
552; 562; 563; 568; 576; 578; 585 guywthv": .................................................... 375
thraex: ................ 117, nota 56; 515, nota 1837 dhmovsio": ................................................... 279
thurarius: ......................................119, nota 61 e[mpeiro": ................................................... 151
tibicen: ......................................404, nota 1335 ejmpeirovtato" novmwn: ............................... 151
tinctor: ........................................................499
ejpistavth" sekoutovrwn: ........... 116, nota 49
tinctor tenuarius: ......................500, nota 1775
ijatrivnh: ..................................... 215, nota 459
tubicen: 93; 400; 401-405; 407; 558; 563;
ijatrovmaia: ................................. 214, nota 458
564; 570; 582; 584; 586
tubocantius: ............403; 405, note 1338-1339 ijatrov": 86; 92; 295; 296-299; 563; 568; 572;
turarius: ......................................................575 604; 605; 608; 610; 611; 612
unguentarius: 31; 85; 118-122; 558; 559; iJerosalpigkthv": ...................................... 403
563; 566; 567; 569; 575; 576; 580; 585; khvrux: ........................................................ 112
590 liqevmporo": 31; 93; 388; 389-391; 393; 554;
utriclarius: ......................................20, nota 38 555; 559; 563; 566; 570; 572; 580; 581;
vascularius: ..................................98, nota 394 585
viator: 169; 170; 172, note 283-284; 173, notavrio": ................................... 195, nota 385
nota 288; 251; 252; 266 oijkonovmo": ................................. 328, nota 972
vicarius (arcarii): ...................... 144; 145; 146 paideuthv": ........................527-528, nota 1892
vicarius (dispensatoris): 31; 124; 138; 139; petalourgov": .......................... 500, nota 1779
142; 147; 559; 563; 567; 581; 586; 589 pluneuv": ................................... 351, nota 1070
vilicus (vd. anche voci seguenti): 18, nota 28; porfura`": ................................................. 501
32; 97; 287; 288, nota 772; 326-329; 362- porfureuv": ................................................ 501
363; 554; 555; 558; 563; 568; 571; 576; porfureuthv": ........................................... 501
577; 585 porfurobavfo": ........................................ 501
vilicus aerarii: ............................................146 porfuropwvlh": ................................ 501; 506
vilicus ab alimentis : ...................................188 praivkwn: .................................................... 113
vilicus arcarius: ..................................144; 145 salpigkthv": ...................................... 113; 402
vilicus summarum: .....................................146 sekoundarouvdh": ...................................... 113
vinarius: ......................................................260 soummarouvdh": .......................................... 113
violarius: .....................................................500 taboulavrio": ............................. 278, nota 737
vitor: ................................................19, nota 30 fusiko;" oijnodovth": .................................. 607
2. Associazioni di mestiere

collegium non meglio specificato di Asculum collegium dendrophorum: 225, nota 514; 317;
1: ...........................124; 128; 131; 134; 588 331; 333; 337-345; 450, nota 1536; 561;
collegia quae attingunt eidem foro a Falerio: 563; 578; 592; 593; 599
25; 34; 308; 310; 311, 312, nota 876; 316- corpus dendrophorum: .............................. 547
317; 423; 562; 594; 596
diffusores olearii: ............................... 266; 267
anularii: ......................................................412
dissignatores: ............................................. 293
apparitores: ................................................411 socii dissignatores: 248; 289; 293-294; 563-
564; 569; 584; 593; 596
conlegium aquae: .......................................352
fabri: .......................... 226; 342; 344; 345; 354
argentarii: ...................................................371 collegium fabrum: 32; 103; 129; 200-201;
225; 239; 240-244; 245; 247-249; 279;
bubularii 294; 317; 331; 333; 337-338; 346; 348;
collegium bubulariorum: ...........317, nota 916 353; 356; 357; 360; 376; 378; 379; 380;
381; 382; 383; 408-409; 409, nota 1364;
socii campi: 34, nota 93; 415; 423-424; 425; 445; 446; 448; 449-450; 451, nota 1537;
561; 564; 591; 595; 596 457; 458; 478-480; 481; 545; 546-550;
552; 559; 560; 561; 563; 564; 570; 573;
cantores 578; 591; 592; 593-594; 596; 597; 598;
societas cantorum Graecorum: .........291; 293 599; 600
cultores fabri: ........................... 412, nota 1384
carpentarii
sodales carpentarii: ....................................412 fabri navales
corpus fabrum navalium: .......................... 356
centonarii: ........ 243; 244; 342; 344; 345; 457
collegium centonariorum: 31, nota 81; 32; fabri tignuarii: 48, nota 160; 129; 202; 203,
200-201; 222; 223; 225-227; 230-233; nota 427; 344; 562
234-236; 240; 248; 294; 317; 331; 333; collegium fabrorum tignuariorum: 34, nota
337-338; 356; 357; 376; 378; 379; 380; 93; 409, nota 1362; 456; 457-459; 463;
382; 383; 410; 451, nota 1537; 458, nota 464; 547, nota 1979; 564; 574; 578; 594;
1566; 478-480; 481; 547; 552; 560; 561; 609
563; 580; 591-592; 593; 594; 596; 598; corpus fabrorum tignariorum itemque artifi-
599; 600 cum tectorum: ....................................... 411
centuria centonariorum dolabrariorum
scalariorum: ..................................226; 547 fontani: ..................................... 353, nota 1079
classis fontanorum: .................................... 352
coronarii collegium fontanorum: ....................... 351-352
socii coronarii: 294, nota 807; 411, nota
1378; 412 fullones
corpus fullonum: .......................... 128, nota 98
curatores navium marinarum sodalicium fullonum: 103; 317; 346; 348-354;
corpus curatorum navium marinarum: 547, 559; 563; 570; 580; 591; 594; 597; 600,
nota 1979 nota 88

dendrophori: 48, nota 160; 108; 243; 356; harenarii


358; 412; 413, nota 1384; 457; 458, nota collegium harenariorum: ........... 314, nota 885
1566
iatriae: ........................................ 213, nota 456
686 Indice delle associazioni di mestiere

iumentarii negotiatores vinarii ab Urbe: .............. 78; 371


collegium iumentariorum: .......413, nota 1384 collegium negotiatorum eborariorum et
citrariorum: ..313, nota 879; 315, nota 905
lanarii carminatores
sodalicium lanariorum carminatorumque: olearii
................................................................411 corpus oleariorum: ....................264; 267; 271

lanarii purgatores picarii


collegiati gentiles lanariorum purgatorum: socii picarii: ............................... 294, nota 807
................................................................412
propolae
laniones socii propoli: .............................. 294, nota 807
collegium lanium: .......................317, nota 916
restiones
lotores collegium restionum: .......411, nota 1378; 412
collegium lotorum: .....................................352
gentiles Artoriani lotores: ..........................352 saccarii: .............................................. 411; 412

medici: ........................................612, nota 112 sagarii


collegium medicorum: ..................606, nota 44 collegium sagariorum: ....435, nota 1474; 439

mensuratores salinatores
socii mensuratores: ....................294, nota 807 socii salinatores: ........................ 294, nota 807

mercatores scabillarii
conlegium mercatorum pequariorum: .......316 collegium scabillariorum: ......................... 294
socii scabillarii: ......................................... 294
mimae
sociae mimae: 294, note 806-807; 411, nota scaenici
1378; 412 scaenici Asiaticiani: ................. 411, nota 1378

nautae: ......................................458, nota 1566 scribae: ....................................................... 156


collegium nautarum: ..........................380; 382 scribae poetae: ........................... 172, nota 283
corpus nautarum: .....270-271; 443, nota 1501
sectores serrarii
navicularii collegium sectorum serrarium: 4 1 1 , nota
corpus maris Hadriatici: .............................. 78 1378
navicularii maris Hadriatici: 20, nota 38; 77;
587 suarii
corpus (o collegium) suariorum: 317, nota
negotiantes 916
collegium negotiantium: ............313, nota 879
collegium negotiantium cellarum vinariarum: cultores Urae fontis: .......................... 352; 353
................................................313, nota 879
collegium negotiantium eborariorum et ci- vestiarii: ..................................................... 412
trariorum: ..... 313, nota 879; 315, nota 905
collegium vinariorum importatorum negoti- viatores: .................................... 458, nota 1566
antium: ..................................313, nota 879
corpus negotiantium: 313, nota 879; 314, [---]rii: .................................... 34, nota 93; 594
nota 892
negotiantes vinarii: ....................313, nota 879 liqoxovoi
suvnodo" Neikomhdevwn liqovxown: ........... 391
negotiatores: .............................458, nota 1566
3. Fonti letterarie

Ael. Herod., De pros. cath., III, 1, p. 289, l. Cic., Fam., XIII, 43, 1: ............ 369, nota 1152
37: ............................................47, nota 152 Cic., Fam., XIII, 44: ................ 369, nota 1152
Cic., Fam., XIII, 73, 1: ............ 369, nota 1152
Alex. Trall., II, 217 Puschmann : .44, nota 140 Cic., Fam., XIV, 1, 5: .............. 443, nota 1503
Alex. Trall., II, 269 Puschmann: ..44, nota 140 Cic., Fin., V, 7: ............................ 87, nota 356
Alex. Trall., II, 325 Puschmann: ..43, nota 129 Cic., Har. resp., 26: ..................... 115, nota 44
Alex. Trall., II, 327 Puschmann: ..43, nota 129 Cic., Off., I, 150: .......................... 121, nota 73
Alex. Trall., II, 421 Puschmann: 43, note 129- Cic., Off., I, 150-151: ....... 81, nota 337; 88-90
130 Cic., Off., I, 151: ................87; 494, nota 1742
Cic., Off., III, 58-60: ................ 368, nota 1146
Amm., XVI, 10, 10: ..................491, nota 1728 Cic., Phil., III, 15: ...................... 183, nota 337
Cic., Pro Caecina, 10: ............. 368, nota 1148
Anth. Gr., VI, 257: ........................44, nota 136 Cic., Q. fr., I, 1, 13: .................... 169, nota 269
Anth. Gr., IX, 232: ........................44, nota 137 Cic., Rep., II, 39: ........................ 201, nota 417
Cic., Sest., 134: ........................ 515, nota 1837
Apic., IV, 2: ..................................38, nota 105 Cic., 1 Verr., 71: ........................ 169, nota 269
Cic., 2 Verr., II, 122: .................... 84, nota 342
Arist., Hist. Anim., 547a: ..........489, nota 1717 Cic., 2 Verr., II, 133-136: .......... 173, nota 289
Cic., 2 Verr., III, 154: ................ 173, nota 288
Athen., I, 26f: ................................43, nota 132 Cic., 2 Verr., V, 165: ............... 368, nota 1147
Athen., I, 33a: ...............................44, nota 141
Athen., III, 87e-f: ......................489, nota 1717 Claud. Don., Aen., VIII, 365: 470-471, nota
Athen., X, 417d: .......................489, nota 1717 1626

August., Conf., VI, 14: ...............183, nota 332 Colum., I, 7, 4: ........................... 288, nota 772
Colum., I, 7, 6-7: ...................... 363, nota 1127
Auson., Ep., 1, 1-2: .......................39, nota 109 Colum., I, 8, 1-2: ........................ 329, nota 977
Colum., I, 8, 9: ......................... 434, nota 1472
Caes., B.C., I, 29, 2: .....................73, nota 305 Colum., II, 3, 2: ............................ 41, nota 121
Caes., B.C., II, 10, 6: ..................225, nota 516 Colum., III, 2, 25-26: ................... 42, nota 125
Colum., V, 5, 16: .......................... 42, nota 125
Cato, Agr., 59: ..........................434, nota 1472 Colum., VII, 5, 3: ......................... 111, nota 25
Cato, Orig., II, fr. 14 Chassignet: 41, nota 120 Colum., X, 308-310: .................... 110, nota 19

Cassiod., Var., VII, 5, 5: 374, nota 1173; 375, Dio, XLIX, 16, 1: ..................... 505, nota 1798
nota 1178 Dio, LVII, 18, 3-4: ................... 402, nota 1321
Cassiod., Var., XII, 12, 3: ............43, nota 130 Dio, LX, 13, 4: ............................. 115, nota 43
Dio, LXXX, 7, 1: ......................... 86, nota 351
Catull., 114-115: .............................35, nota 97
Dio Chrys., VII, 114: ............... 543, nota 1956
Cedr., p. 472, l. 24 - p. 473, l. 1: 4 9 0 , nota Dio Chrys., LXVI, 4: ............... 505, nota 1796
1728
Dioscor., V, 6, 7: .......................... 44, nota 139
Cic., Att., I, 6: ............................443, nota 1503 Dioscor., V, 6, 8: ....43, nota 135; 47, nota 152
Cic., Att., VIII, 12 C, 2: ............473, nota 1638 Dioscor., V, 6, 11: ..43, nota 135; 47, nota 152
Cic., Att., XIII, 46, 3: ....................121, nota 73
Cic., Att., IV, 3, 2: ......................291, nota 793 Don., Ter. Ad., 87, 1: ................. 290, nota 785
Cic., Brut., 257: ......... 201, nota 417; nota 419
Cic., Cluent., 40: .... 75, nota 315; 121, nota 72 Ennod., Epist., III, 24, 5: ........... 323, nota 949
Cic., Fam., VI, 18, 1: ....................84, nota 343
688 Indice delle fonti letterarie

Etymologicum Magnum, 811, 36-37 Gaisford: Ios., C. Ap., II, 252: ................. 375, nota 1178
..............................................375, nota 1177
Isid., Orig., IX, 33: .................... 328, nota 972
Eubul., fr. 66 Kassel-Austin: ...489, nota 1717 Isid., Orig., XIX, 19, 1-2: .......................... 202
Isid., Orig., XIX, 24, 13: ......... 434, nota 1470
Eutr., V, 3, 2: ................................59, nota 222 Isid., Sent., III, col. 696A Migne: 323, nota
949
Expositio totius mundi: ................46, nota 149 Isid., Sent., III, col. 726B Migne: 323, nota
949
Fest., p. 99 Lindsay: ....... 499, note 1773-1774
Fest., p. 482 Lindsay: ...............405, nota 1336 Itin. Ant. Aug., 497, 2: ................. 73, nota 306

Firm., Err., 6, 4: ........................374, nota 1173 Iuven., 3, 236-238: ..................... 311, nota 872
Iuven., 4, 37-41: ........................... 48, nota 159
Frontin., Aq., II, 100, 1-3: 169, nota 270; 171, Iuven., 6, 352-354: ................... 541, nota 1946
nota 280 Iuven., 10, 221: ............................ 88, nota 361
Iuven., 11, 73-76: ......................... 40, nota 113
Fronto, Amic., II, 7, 4, p. 182 Van den Hout:
................................................160, nota 236 Liv., II, 16, 4: ........................... 485, nota 1699
Fronto, M. Caes., II, 2, p. 25 Van de Hout: Liv., II, 33, 5: ........................... 485, nota 1700
..................................................115, nota 46 Liv., X, 3, 5: ............................................... 246
Liv., XXI, 63, 3-4: ....................... 83, nota 340
Galen., Ad Glauc. de med. meth., XI, p. 87, l. Liv., XXII, 9, 3-5: ........................ 38, nota 102
7: ..............................................44, nota 138 Liv., XXX, 39, 7: ....................... 252, nota 640
Galen., De antidotis, XIV, p. 167, l. 10: 44,
nota 138 Lyd., Mens., IV, 59: ................. 339, nota 1019
Galen., De methodo medendi, X, p. 485, l. 2:
..................................................44, nota 138 Macrob., Sat., III, 13, 12: ............ 38, nota 105
Galen., De sanitate tuenda, VI, p. 275, l. 16:
..................................................44, nota 138 Marcell., Med., 29, 5: ................. 218, nota 479
Galen., De sanitate tuenda, VI, p. 334, l. 14:
..................................................44, nota 138 Mart., I, 30: .................................. 88, nota 361
Galen., De sanitate tuenda, VI, p. 335, l. 4: Mart., I, 43, 8: ........39, nota 109; 55, nota 194
..................................................44, nota 138 Mart., I, 47: .................................. 88, nota 361
Mart., III, 59: ............................ 350, nota 1068
Greg. M., Epist., XI, 4: ...............323, nota 949 Mart., IV, 46, 12-13: 39, nota 109; 55, nota
Greg. M., Moral., XVIII, 42 Adriaen: 323, 197
nota 949 Mart., IV, 88, 7: .....39, nota 109; 55, nota 196
Greg. M., Moral., XXII, 414 Adriaen: 323, Mart., V, 8: ................................. 291, nota 791
nota 949 Mart., V, 9: ................................... 88, nota 361
Mart., V, 14: ............................... 291, nota 791
Hieron., Epist., 121, 6: ...............328, nota 972 Mart., V, 23: ............................... 291, nota 791
Mart., V, 25: ............................... 291, nota 791
Hist. Aug., Alex Sev., 44, 4: .....529, nota 1897 Mart., V, 27: ............................... 291, nota 791
Hist. Aug., Car., 19, 2: .............403, nota 1327 Mart., V, 78, 19-20: ..................... 39, nota 109
Hist. Aug., Gall., 12, 4: ................115, nota 47 Mart., VI, 9: ................................ 291, nota 791
Mart., VI, 53: ............................... 88, nota 361
Hor., Epist., I, 7, 2-6: ..................290, nota 786 Mart., VI, 93, 1-2: .................... 350, nota 1068
Hor., Sat., II, 3, 224-230: .............119, nota 60 Mart., VIII, 74: ............................. 88, nota 361
Hor., Sat., II, 3, 272-273: .............40, nota 113 Mart., IX, 54, 1: ........................... 39, nota 109
Hor., Sat., II, 4, 70-71: .................40, nota 114 Mart., IX, 96: ............................... 88, nota 361
Mart., X, 77: ................................. 88, nota 361
Ios., Bell. Iud., VI, 418: ............515, nota 1838 Mart., XI, 32: ........................... 470, nota 1626
Ios., Bell. Iud., VII, 23-24: .......515, nota 1838 Mart., XI, 52, 11: ......................... 39, nota 109
Indice delle fonti letterarie 689

Mart., XI, 60: ..............................215, nota 460 Plin., Nat. Hist., XXV, 9-10: ..... 214, nota 457
Mart., XI, 71: ..............................215, nota 460 Plin., Nat. Hist., XXIX, 14: ......... 87, nota 353
Mart., XIII, 35: .............................47, nota 156 Plin., Nat. Hist., XXIX, 16: ......... 87, nota 354
Mart., XIII, 36: ...... 39, nota 109; 55, nota 197 Plin., Nat. Hist., XXIX, 17: 297, nota 820;
Mart., XIII, 47: .............................38, nota 105 299, nota 826
Plin., Nat. Hist., XXIX, 17-18: .... 87, nota 357
Non., II, p. 130, ll. 24-26 Lindsay: 225, nota Plin., Nat. Hist., XXXV, 161: ..... 50, nota 165
515
Plin., Ep., I, 21: ........................ 443, nota 1504
Not. dig. occ.: ...........................441, nota 1492 Plin., Ep., III, 19, 2: ................. 364, nota 1131
Plin., Ep., IV, 13: ..................... 528, nota 1896
Ovid., Fast., VI, 315-316: ........510, nota 1823 Plin., Ep., V, 4: ......................... 473, nota 1637
Ovid., Met., X, 103-105: ..........339, nota 1018 Plin., Ep., V, 13: ....................... 473, nota 1637
Plin., Ep., VI, 3: ....................... 541, nota 1948
Pallad., XII, 22, 3: ........................39, nota 110 Plin., Ep., VII, 18, 2: .................................. 187
Plin., Ep., VIII, 16, 5: .............. 443, nota 1504
Paneg., IX, 13, 1 Mynors: ............115, nota 46 Plin., Ep., X, 33: ......................... 241, nota 581
Plin., Ep., X, 34: ......................... 241, nota 582
Paul. Aeg., III, 39, 2: ....................43, nota 129 Plin., Ep., X, 41, 2: ................... 391, nota 1258
Plin., Paneg., 54, 4: .................... 241, nota 581
Paul Fest., p. 367 Müller: .........489, nota 1719
Plut., Luc., 17, 1: .......................... 53, nota 182
Petr., 45, 11-13: ........................515, nota 1837 Plut., Luc., 24, 1: .......................... 53, nota 182
Plut., Luc., 30, 3-4: ...................... 53, nota 182
Plaut., Amph., 365: ...................428, nota 1442 Plut., Luc., 35, 1: .......................... 53, nota 182
Plaut., Aul., 510: ..500, note 1776; 1778; 1779 Plut., Num., 17, 1-4: ................. 350, nota 1069
Plaut., Aul., 511: .......................500, nota 1777 Plut., Pomp., 4, 1: ........................ 48, nota 158
Plaut., Curc., 679-685: .............368, nota 1145
Plaut., Most., 1160-1161: .............127, nota 91 Pol., III, 87, 1-2: ........................... 38, nota 101
Plaut., Persa, 431-436: .............368, nota 1145 Pol., III, 87, 4: .............................. 72, nota 304
Plaut., Persa, 441-443: .............368, nota 1145 Pol., III, 88, 1-2: ........................... 41, nota 119
Plaut., Poen., 19-20: ...................291, nota 790 Pol., III, 88, 3: .............................. 47, nota 152
Plaut., Pseud., 781-782: ...........350, nota 1068
Plaut., Trin., 402-411: ..................119, nota 60 Porph. a Hor., Epist., I, 20, 1: ...... 110, nota 18
Porph. a Hor., Epist., II, 2, 199: 4 7 0 , nota
Plin., Nat. Hist., III, 110: 42, nota 126; 43, 1626
nota 127
Plin., Nat. Hist., III, 111: 73, nota 306; 483, Posid., F. 90 Edelstein - Kidd = F. 447
nota 1684 Theiler: .................................... 82, nota 338
Plin., Nat. Hist., X, 146: ...............47, nota 157
Plin., Nat. Hist., XIV, 12: ...........134, nota 128 Posidipp., fr. 15 Kassel-Austin: 4 8 9 , nota
Plin., Nat. Hist., XIV, 32-33: .......42, nota 125 1717
Plin., Nat. Hist., XIV, 37: .............41, nota 123
Plin., Nat. Hist., XIV, 39: .............42, nota 124 Propert., IV, 2, 5: ......................... 110, nota 20
Plin., Nat. Hist., XIV, 60: .............46, nota 150
Plin., Nat. Hist., XIV, 67: ...... 42; 44, nota 142 Ps. Ascon., p. 253 Stangl: .......... 312, nota 877
Plin., Nat. Hist., XIV, 75: .............43, nota 134 Ps. Ascon., p. 255 Stangl: ............ 110, nota 18
Plin., Nat. Hist., XIV, 84: .............42, nota 125
Plin., Nat. Hist., XV, 16-17: ........39, nota 108 Ps. Aur. Vict., Epit., XLI, 16: .. 490, nota 1728
Plin., Nat. Hist., XV, 55: ..............40, nota 112
Plin., Nat. Hist., XVIII, 36-37: ....52, nota 178 Ps. Cic., Epistula ad Octavianum, 9: 368, no-
Plin., Nat. Hist., XVIII, 106: ........38, nota 105 ta 1150
Plin., Nat. Hist., XVIII, 198: ........49, nota 161
Plin., Nat. Hist., XIX, 1, 9: ......438, nota 1482 Quintil., Inst. Orat., I, 1, 4-5: .. 540, nota 1941
690 Indice delle fonti letterarie

Quintil., Inst. Orat., I, 4, 1-5: ...523, nota 1868 Suet., Dom., 13, 3: ....................... 115, nota 45
Quintil., Inst. Orat., VII, 4, 39: ....88, nota 360 Suet., Gramm., 17: ................... 525, nota 1878
Sall., Cat., 4, 1: .............................89, nota 364 Suet., Gramm., 23: ................... 525, nota 1879
Sall., Hist., I, 55, 17: .................382, nota 1220 Suet., Iul., 42, 2: ......................... 297, nota 822
Suet., Iul., 43, 2: ....................... 505, nota 1798
Schol. Hor., Epist., I, 7, 6: 290, nota 785; 291, Suet., Nero, 32, 4: ...................................... 499
nota 789 Suet., Nero, 50, 2: .................... 541, nota 1948

Scrib. Larg., 120: ........................218, nota 479 Tac., Dial., 28-29: .................... 541, nota 1947

Sen., Apoc., 12, 1: .....................403, nota 1325 Ter., Andr., 28: ......................... 428, nota 1442
Sen., Ben., IV, 13, 1: ....................87, nota 359 Ter., Hec., 415t: ....................... 428, nota 1442
Sen., Ben., VI, 15, 6: ..................307, nota 860 Ter., Hec., 427: ........................ 428, nota 1442
Sen., Ben., V, 16, 1-5: ..................91, nota 373
Sen., Ben., VI, 38, 4: ..................290, nota 787 Tert., Spect., 10, 2: ..................... 290, nota 787
Sen., Ep. ad Lucil., I, 7, 4: ........514, nota 1834
Sen., Ep. ad Lucil., 88, 2: .............83, nota 339 Val. Max., VII, 7, 4: ................................... 490
Sen., Ep. ad Lucil., 88, 18: ...........121, nota 73
Sen., Ep. ad Lucil., 88, 21-23: .....82, nota 338 Varro, Ling., V, 167: ................ 434, nota 1470
Sen., Ep. ad Lucil., 95, 9: .............87, nota 358 Varro, Ling., V, 178: .................. 312, nota 877
Varro, Ling., VI, 14: ................ 403, nota 1324
Serv. auct., Georg., I, 146: .......471, nota 1626 Varro, Ling., VI, 88: .................. 170, nota 276
Varro, Ling., VI, 88-89: ............. 170, nota 275
Sil. It., VI, 648-649: .....................40, nota 111 Varro, Ling., VIII, 83: ................ 140, nota 146
Sil. It., VIII, 430: ..........................74, nota 307 Varro, Rust., I, 2, 7: ..................... 41, nota 120
Sil. It., XV, 436-437: ....................72, nota 301 Varro, Rust., I, 2, 14: ................. 327, nota 969
Sil. It., XV, 568-569: ....................43, nota 133 Varro, Rust., I, 16, 4: ................. 300, nota 833

Sisenna, HRR, I, fr. 107: ............225, nota 515 Veg., Mil., IV, 14: ...................... 225, nota 517
Veg., Mil., IV, 15: ...................... 225, nota 517
Sor., II, 8: ..................................540, nota 1942 Veg., Mil., IV, 17-18: ................ 225, nota 517

Steph. Byz., s.v. Praitetiva: .......47, nota 152 Verg., Aen., V, 244-246: ............. 115, nota 46

Strab., V, 2, 10: .............................39, nota 106 Vir. ill., 51, 4: ............................... 113, nota 42
Strab., V, 4, 2: 38, note 103-104; 43, nota
131; 73, nota 306; 74, nota 309; nota 311 Vitruv., I, 7, 1: .......................... 419, nota 1410
Vitruv., II, 7, 1-2: ......................... 49, nota 163
Suet., Aug., 2, 5: ...........................85, nota 348 Vitruv., II, 9, 14: .......................... 49, nota 162
Suet., Aug., 3, 1: 85, nota 349; 368, nota 1150 Vitruv., II, 9, 16: .......................... 49, nota 162
Suet., Aug., 4, 3-4: 86, nota 350; 122, nota 75; Vitruv., II, 9, 17 - 10, 2: ............... 48, nota 161
368, nota 1150 Vitruv., V, 10, 2: ...................... 510, nota 1823
Suet., Aug., 45, 5: .....................514, nota 1836 Vitruv, VI, praef., 6: ................ 495, nota 1749
Suet., Aug., 70, 4: .....................368, nota 1150 Vitruv., VII, praef., 18: ............ 495, nota 1750
Suet., Cal., 26, 8: ......................514, nota 1835 Vitruv., VII, 1, 3-4: .................... 323, nota 951
Suet., Claud., 21, 5: ......................114, nota 42
Suet., Dom., 9, 7: ........................304, nota 848 Zonar., 1651 Tittmann: ............ 375, nota 1176
4. Fonti epigrafiche

I seguenti indici delle fonti epigrafiche devono intendersi come selettivi: si sono omessi da
un lato i documenti cui si è fatto solo un riferimento cursorio, dall'altro i riferimenti alle diverse
edizioni delle epigrafi che sono state oggetto delle schede della Parte II. I Documenti, per le quali si
rimanda alle Tavole di concordanza, alle pp. 671-679.
I riferimenti, oltre che alle comuni raccolte epigrafiche, citate secondo le consuete sigle,
possono essere a documenti editi in articoli da riviste, ed in tal caso saranno schedati sotto il titolo del
periodico, oppure a iscrizioni pubblicate in monografie o miscellanee di studi, ed in tal caso andranno
cercati sotto il cognome dell'autore del contributo (o del curatore della miscellanea); per gli
scioglimenti delle abbreviazioni di monografie e miscellanee di studi si rimanda alla bibliografia di
pp. 613-669.

«AA» 1933, 113: ................................................... 145


57 (1942), col. 310: ........................27, nota 70 1937, 175: ................................................... 605
1938, 53: ..................................... 187, nota 353
AE 1940, 17: ....................................... 126, nota 87
1893, 98: .....................................................351 1940, 200: ..................................... 53, nota 184
1894, 148: ...................................183, nota 336 1941, 14: ..................................................... 279
1897, 87: .....................................265, nota 693 1945, 51: ..................................................... 437
1899, 132: ...................................265, nota 693 1946, 186: ...............27, nota 70; 155, nota 209
1900, 136: .................................409, nota 1362 1947, 64: ..................................................... 437
1903, 337: ...................................336, nota 999 1951, 94: ................................... 451, nota 1537
1903, 344: ...................................................549 1951, 201: ................................................... 606
1904, 186: ...................................172, nota 286 1951, 260: ................................. 473, nota 1642
1907, 175: .................................404, nota 1330 1952, 73: ..................................................... 281
1908, 102: ...................................................501 1953, 218: ................................. 487, nota 1707
1909, 55: .....................................................191 1956, 77: ..................................................... 378
1909, 215: ...................................................352 1958, 177: ................................................... 378
1911, 22: .....................................................341 1958, 267: ................................................... 502
1911, 184: ...................................................462 1960, 257: ................................... 333, nota 988
1911, 205: ...................................................279 1960, 258: ................................. 550, nota 1987
1912, 92: .....................................................352 1961, 201: ................................. 340, nota 1021
1912, 144: .................................417, nota 1396 1961, 242: ................................................... 604
1912, 221: .................................409, nota 1362 1962, 232: ................................. 458, nota 1566
1913, 210: ...................................................286 1966, 539: ................................. 471, nota 1627
1914, 138: .................................409, nota 1364 1967, 88: ..................................................... 502
1914, 164: .....................................606, nota 43 1967, 320: ................................................... 281
1914, 276: ...................................................539 1967, 549: ..................................... 115, nota 47
1915, 44: .....................................................353 1969/70, 170: ............................................. 606
1922, 89: .......................................126, nota 85 1971, 85: ..................................................... 462
1922, 122: ...................................197, nota 398 1971, 96: ..................................................... 603
1923, 59: .....................................................501 1971, 199: ................................................... 125
1925, 44: .....................................................252 1971, 531: ................................................... 187
1925, 45 bis: ...............................................265 1972, 74: ..................................................... 502
1925, 92: .....................................................605 1972, 83: ..................................................... 605
1926, 168: .................................391, nota 1260 1972, 101: ................................................... 429
1927, 115: ...................................................339 1972, 163: ................................... 318, nota 924
1927, 129: ...................................................412 1972, 203: ................................................... 540
1931, 39: .....................................279, nota 739 1972, 759: ................................................... 363
1931, 96: .....................................................412 1973, 71: ..................................................... 270
1933, 110: ...................................248, nota 619 1974, 192: ................................................... 603
692 Indice delle fonti epigrafiche

1975, 142: ...................................317, nota 922 1991, 264: ................................................... 502


1975, 242: ...................................................605 1991, 297: ..................................... 92, nota 376
1975, 351: ...................................131, nota 117 1991, 620: ................................. 507, nota 1808
1975, 354: .................................459, nota 1567 1991, 1617: ............................... 391, nota 1260
1977, 265b: .................................................356 1992, 261: ................................................... 604
1977, 800: .................................504, nota 1791 1992, 386: ................................... 323, nota 948
1978, 194: ...................................................144 1992, 341: ................................................... 607
1978, 217: ...................................................144 1992, 561: ................................................... 292
1978, 250: ...................................................437 1992, 709: ................................................... 430
1978, 291: .................................459, nota 1567 1992, 713: ................................................... 610
1978, 503: .................................526, nota 1886 1993, 131: ................................... 226, nota 519
1979, 249: ...................................................609 1993, 473: ................................... 134, nota 127
1980, 83: .....................................................263 1993, 601: ..................................... 598, nota 83
1980, 98: .....................................................266 1993, 634: ................................................... 503
1980, 247: ...................................................191 1994, 193: ................................................... 266
1980, 326: ...................................................538 1994, 194: ................................................... 266
1980, 392: .................................463, nota 1589 1994, 283: ................................................... 501
1980, 393: .....................................598, nota 83 1994, 374a: ................................................. 603
1980, 433-434: ..............................109, nota 16 1994, 426e: ................................. 134, nota 127
1981, 300: ........133, nota 122; 347, nota 1053 1994, 562: ................................................... 186
1982, 138: ...................................................292 1994, 575: ................................. 401, nota 1314
1982, 173a: .........................................436; 494 1994, 1134: ................................. 308, nota 861
1982, 359: ...................................................437 1994, 1566: ............................... 509, nota 1821
1983, 213: .................................409, nota 1362 1995, 228: ................................................... 436
1983, 862: ...................................................353 1995, 1021: ................................. 334, nota 994
1983, 813: ...................................................325 1996, 302: ................................................... 203
1984, 106: .......................... 292; 293, nota 799 1996, 416: ................................. 442, nota 1501
1984, 178: ...................................318, nota 923 1996, 424b: ................................. 134, nota 127
1984, 186: ...................................197, nota 399 1996, 450: ................................................... 437
1984, 318: ...................................................607 1996, 657a: ................................................. 540
1984, 526: ...................................................267 1997, 475: ................................... 141, nota 151
1985, 135: ...................................................538 1998, 418: ............................141-142, nota 151
1985, 166: ...................................................538 1998, 1223: ............................... 509, nota 1821
1985, 297: ...................................................606
1985, 348: .................................453, nota 1544 «AFLM»
1985, 386: ...................................................609 5-6 (1972-1973), pp. 66-68, n°2: 472, nota
1986, 134: ...................................................604 1636
1987, 226-227: ............................................264 5-6 (1972-1973), pp. 71-72, n°4: 545, nota
1987, 242: ...................................................537 1967
1987, 253d: .................................................605 5-6 (1972-1973), pp. 77-79, n°9: .. 36, nota 98
1987, 253k: .................................................605 10 (1977), pp. 57-87: ............... 459, nota 1567
1987, 335: ...................................................429
1987, 443: ...................................................412 AIJ
1987, 832: ...................................................325 180: ............................................................. 279
1987, 771: ...................................................281
1988, 292: ...........................................436; 494 «AION ArchStAnt»
1989, 165: ...................................................605 n.s. 3 (1996), pp. 161-168, n°12: 134, nota
1989, 213: ...................................................539 127
1989, 288: ...................................................608
1989, 307: ...........................................297; 608 Allamani-Souri, Monomakikav mnhmeiva, cit.
1989, 502: .................................403, nota 1330 pp. 36-37, n°A6: ........................... 113, nota 32
1990, 51: .....................................................191
1990, 297: ...................................................154 «AN»
1991, 130: ...................................213, nota 456 63 (1992), coll. 10-15: ............. 430, nota 1456
Indice delle fonti epigrafiche 693

F. Arias Vilas - P. Le Roux - A Tranoy, pp. 99-101, n°68: ......................... 117, nota 56
Inscriptions romaines de la province de Lugo, pp. 102-103, n°70: ....................... 117, nota 56
Paris 1979 pp. 103-104, n°71: ....................... 117, nota 56
pp. 53-54, n°28: ..........................................280
Buonocore, Iscrizioni greche e latine, cit.
«ASPR» pp. 47-49, n°13: ......................................... 379
n.s. 7 (1955-1956), pp. 333-335: ...............437
M. Buonocore, Schiavi e liberti dei Volusi
«BCH» Saturnini, Roma 1984
17 (1893), pp. 533-534, n°39: ......113, nota 30 p. 63, n°5: ................................................... 278
20 (1896), p. 443: .......................265, nota 693
23 (1899), pp. 73-74: ..................265, nota 693 Buonocore - Firpo, Fonti latine e greche, cit.
28 (1904), pp. 78-79, n°1: ..........136, nota 134 p. 769, n°1: ............................... 416, nota 1395
p. 772, n°19: .....................397, nota 1292; 506
Bejor, Trea, cit. p. 772, n°21: ............................................... 506
p. 121, n°6: ..................................................421 p. 774, n°32: ............................................... 506
p. 774, n°34: ............................. 459, nota 1568
Bernardelli Calavalle, Fano, cit. p. 775, n°37: ............................. 396, nota 1287
pp. 74-77, n°22: ..........................................608 p. 775, n°41: ............................. 396, nota 1286
p. 785, n°101: ........................... 417, nota 1396
Blanc-Bijon - Carre - Hesnard - Tchernia, p. 785, n°102: ........................... 417, nota 1396
Recueil, II, cit. p. 786, n°105: ............................................. 507
p. 251, n°1285: .........................p. 67, nota 266 p. 815, n°34: ............................. 460, nota 1570

«BMMP» Caillet, Évergétisme, cit.


15 (1995), pp. 91-94, n°5: ........501, nota 1785 pp. 372-373, n°1: ....................................... 322

Bruns, Fontes Caldelli - Ricci, Monumentum familiae


pp. 283-284, n°105: ....................131, nota 118 Statiliorum, cit.
pp. 284-285, n°106: ....................132, nota 120 p. 94, n°111: ............................................... 202
p. 94, n°112: ............................................... 202
Brusin, Inscriptiones Aquileiae, cit. p. 110, n°282: ............................................. 277
I, 70: ............................................................610 p. 110, n°289: ............................................. 203
I, 71: ............................................................610 p. 115, n°330: ............................................. 277
I, 72: ............................................................610 p. 118, n°360: ............................................. 203
I, 202: ..........................................................412 p. 136, n°10: ............................................... 278
I, 301: ..........................................................352 p. 138, n°22a: ............................................. 203
I, 490: ..........................................................610 p. 138, n°22b: ............................................. 203
I, 491: ..........................................................610 p. 138, n°22c: ............................................. 203
I, 556: ..........................................................186 p. 138, n°22d: ............................................. 203
I, 676: ..........................................................610
I, 687: ..........................................................412 Callender, Roman amphorae, cit.
I, 707: ..........................................................610 p. 81, n°180: ................................. 56, nota 207
I, 708: ..........................................................610 p. 265, n°1790: ............................. 61, nota 230
I, 709: ..........................................................610
I, 719: ..........................................................540 Camodeca, Tabulae Pompeianae
I, 723: ..........................................................503 Sulpiciorum, cit.
I, 724: ..........................................................503 pp. 146-147, n°56: ..................................... 143
II, 2747: .......................................243, nota 590 pp. 224-225, n°114: ................................... 143
II, 2873: .......................................................379
Cancrini, Municipio truentino, cit.
Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, III, cit. p. 169, n°15: ................................. 70, nota 292
pp. 18-26, n°2: ........................ 83-84, nota 341
p. 99, n°67: ....................................117, nota 56
694 Indice delle fonti epigrafiche

Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, I2, 1529: .................................... 422, nota 1420
cit. I2, 1533: ...................................... 312, nota 875
pp. 49-52: ..................................460, nota 1570 I2, 1684: ...................................................... 607
pp. 59-61: ..................................459, nota 1568 I2, 1713: ...................................................... 606
pp. 68-71: ....................................................459 I2, 1762: ...................................................... 192
pp. 83-85: ..................................460, nota 1570 I2, 1824: ...................................................... 429
pp. 85-87: ..................................459, nota 1567 I2, 1911: ...................................................... 548
pp. 94-97: ......................................126, nota 85 I2, 1912: ................................91, nota 371; 548
pp. 102-103: ..................................126, nota 85 I2, 1917: .................................. 36, nota 98; 420
pp. 138-139: ................................................421 I2, 2108: ...................................................... 351
pp. 146-147: ................................................459 I2, 2197: ...................................... 312, nota 875
pp. 148-150: ................................................129 I2, 2299: ........................................ 69, nota 279
pp. 151-153: ..............................472, nota 1636 I2, 2335: ........................................ 51, nota 171
pp. 163-164: ................................233, nota 546 I2, 2519: ...................................................... 291
pp. 164-167: ....................... 174, nota 292; 548 I2, 2640: ...................................... 253, nota 647
pp. 170-173: ....... 174, nota 293; 232, nota 543 I2, 2947: ...................................................... 502
pp. 173-175: ....................... 174, nota 295; 459 I2, 2991a: .................................................... 501
pp. 178-180: ..................... 460, nota 1570; 549 I2, 3003: ...................................................... 263
pp. 186-187: ........................................ 212-213 I2, 3076: ...................................... 257, nota 658
I2, 3123: ...................................................... 502
Capini, Venafrum, cit. I2, 3296: .................................... 417, nota 1396
pp. 83-84, n°62: ............................128, nota 96 II, 497: ........................................ 217, nota 473
p. 92, n°79: ..................................186, nota 348 II, 1180: ...................................... 308, nota 862
pp. 101-102: ................................................606 II, 1480: ...................................................... 279
II, 1481: ...................................................... 266
Cerulli Irelli, Teramo, cit. II, 1956: .................................... 462, nota 1585
p. 14, n°11: ................................417, nota 1396 II, 2243: ........................................ 572, nota 41
p. 68, n°1: ..................................416, nota 1395 II, 2892: .................................... 528, nota 1895
II, 3229: ...................................................... 357
Chelotti, et alii, Le epigrafi romane di II, 3270: .................................... 462, nota 1584
Canosa, cit. II, 3364: .................................... 518, nota 1843
I, pp. 92-93, n°56: .......................................539 II, 5164: .............................................. 108; 125
II, 5210: ...................................................... 278
Chioffi, Caro, cit. II, 5812: ...................................................... 380
pp. 106-107, n°1: ........................312, nota 875 II2, 5, 1176: ................................................ 279
p. 107, n°2: ..................................312, nota 875 II2, 5, 1180: ................................................ 266
p. 107, n°3: ..................................312, nota 875 II2, 7, 337: .................................... 572, nota 41
p. 109, n°5: ..................................312, nota 875 II2, 7, 345: .................................................. 293
III, 763: ..................................... 340, nota 1022
CIG III, 870: ....................................................... 357
III, 6758: .....................................................611 III, 1174: ................................... 458, nota 1566
III, 1207: ..................................................... 357
CIL III, 1505: ................................... 409, nota 1362
I2, 45: ...........................................................538 III, 1507: ................................... 409, nota 1364
I2, 208: .........................................257, nota 661 III, 1955: ..................................... 146, nota 171
I2, 388: .......................................487, nota 1709 III, 2936: ..................................................... 270
I2, 685: .........................................................428 III, 3285: ..................................................... 183
I2, 705: .........................................................265 III, 3438: ..................................................... 242
I2, 756: .........................................131, nota 118 III, 3851: ..................................................... 279
I2, 765: .......................................416, nota 1395 III, 3921: ....................................... 125, nota 81
I2, 1217: .....................................470, nota 1622 III, 4797: ..................................................... 146
I2, 1353: .....................................369, nota 1151 III, 4798: ..................................................... 146
I2, 1413: .......................................................501 III, 5532: ....................................... 125, nota 81
I2, 1455: .......................................................351 III, 5622: ..................................................... 363
Indice delle fonti epigrafiche 695

III, 5659: ...................................458, nota 1566 V, 4411: ...................................................... 357


III, 6772: .....................................................146 V, 4416: .................................... 451, nota 1537
III, 7226: ...................................493, nota 1739 V, 4418: .................................... 450, nota 1536
III, 7505: .....................................................358 V, 4432: ...................................................... 379
III, 7532: .....................................................358 V, 4502: ........................................ 117, nota 56
III, 8261: .......................................120, nota 68 V, 4503: ...................................................... 144
III, 8833: .....................................................357 V, 4508: ...................................................... 325
III, 10408: ...................................................279 V, 4510: ...................................................... 611
III, 12135: ...................................................146 V, 4593: .................................... 471, nota 1627
III, 14203, 6: ...............................265, nota 693 V, 5277: ...................................................... 612
IV, 597: .......................................................292 V, 5278: .................................... 526, nota 1884
IV, 753: .......................................................437 V, 5295: ...................................................... 380
IV, 768: .......................................................292 V, 5317: ...................................................... 612
IV, 1147: ...................................533, nota 1917 V, 5318: ...................................................... 186
IV, 3130: .....................................................121 V, 5446: ..............................226, nota 521; 547
IV, 4256: .....................................................429 V, 5447: ...................................................... 547
V, 800*: ......................................................192 V, 5492: ...................................................... 540
V, 81: .....340, nota 1026; 412; 413, nota 1384 V, 5658: .................................... 451, nota 1537
V, 83: ..........................................................125 V, 5869: ...................................................... 380
V, 87: ..........................................................611 V, 5918: ...................................................... 438
V, 89: ..........................................................611 V, 5920: ...................................................... 612
V, 97: ..........................................................431 V, 5924: ...................................................... 293
V, 116: ..........................................54, nota 190 V, 5925: ...................................................... 438
V, 562: ........................................................611 V, 5926: ...................................................... 438
V, 801: ........................................................352 V, 5928: ...................................................... 438
V, 868 lemma: ............................................610 V, 5929: ...................................................... 438
V, 869: ........................................................610 V, 5932: .................................... 443, nota 1501
V, 908: ........................................243, nota 590 V, 6064: ...................................................... 612
V, 1030: ......................................................430 V, 6100: ...................................................... 444
V, 1033: ......................................................610 V, 6437: ...................................................... 612
V, 1044: ......................................................503 V, 6773: ...................................................... 439
V, 1710: ....................................492, nota 1737 V, 6827: ...................................................... 540
V, 1829: ......................................133, nota 125 V, 6970: ...................................................... 612
V, 1909: ......................................................611 V, 7043: ...................................................... 609
V, 1910: ......................................................611 V, 7044: ...................................... 324, nota 955
V, 1990: ......................................................540 V, 7277: .................................... 540, nota 1940
V, 2181: ......................................................610 V, 7487: ...................................................... 430
V, 2328: ......................................................430 V, 7525: ...................................................... 164
V, 2396: ......................................................611 V, 7620: ...................................................... 503
V, 2530: ......................................................611 V, 8142: ...................................... 171, nota 278
V, 2545: ......................................................611 V, 8190: ...................................................... 286
V, 2857: ......................................................611 V, 8207: ...................................... 177, nota 306
V, 3156: ......................................................611 V, 8308: ...................................................... 412
V, 3306: ......................................................431 V, 8320: ...................................................... 610
V, 3387: ......................................243, nota 589 V, 8313: ...................................... 312, nota 875
V, 3433: ....................................526, nota 1885 V, 8664: ...................................................... 461
V, 3459: ........................................112, nota 26 V, 8741: ...................................................... 611
V, 3461: ......................................................611 V, 8804: ...................................................... 430
V, 3710: ....................................537, nota 1934 V, 8850: ...................................................... 279
V, 3858: ......................................................145 VI, 2931*: ................................ 495, nota 1748
V, 3940: ......................................................610 VI, 19: ......................................... 177, nota 306
V, 3950: ......................................................540 VI, 70: ......................................... 277, nota 736
V, 4216: ......................................................204 VI, 198: ...................................................... 181
V, 4225: ......................................................431 VI, 200: ...................................... 182, nota 327
696 Indice delle fonti epigrafiche

VI, 266: .......................................................351 VI, 7405: .................................................... 428


VI, 267: .......................................................351 VI, 7659: ...................................... 117, nota 56
VI, 268: .......................................................352 VI, 7971: .................................................... 435
VI, 339: .......................................................435 VI, 8517: .................................................... 146
VI, 349: .........................................128, nota 98 VI, 8580: .................................................... 282
VI, 350: .......................................................462 VI, 8796: .................................................... 355
VI, 641: .......................................................339 VI, 8846: .................................................... 292
VI, 816: .....................................458, nota 1566 VI, 8997: .................................................... 533
VI, 826: .......................................132, nota 120 VI, 9021: .................................... 277, nota 736
VI, 956: .......................................................435 VI, 9081: .................................... 324, nota 956
VI, 1069a: .................................403, nota 1330 VI, 9144: .................................................... 412
VI, 1074: .....................................................291 VI, 9181-9182: ......................... 371, nota 1163
VI, 1101: ...................................371, nota 1167 VI, 9276: .................................................... 285
VI, 1620: .....................................................269 VI, 9373: .................................................... 292
VI, 1625b: ...................................................270 VI, 9385: .................................................... 428
VI, 1343: .......................................126, nota 87 VI, 9386: .................................................... 428
VI, 1838: .....................................................252 VI, 9387: .................................................... 428
VI, 1841: .....................................253, nota 647 VI, 9388: .................................................... 428
VI, 1885: .....................................................266 VI, 9389: .................................................... 428
VI, 1887: .....................................172, nota 284 VI, 9407: .................................................... 249
VI, 1934: .....................................172, nota 284 VI, 9409: .................................................... 203
VI, 1935: .....................................................269 VI, 9410: .................................................... 203
VI, 1936: ...................................458, nota 1566 VI, 9411: .................................................... 203
VI, 1947: ...................................411, nota 1376 VI, 9412: .................................................... 203
VI, 1955: .....................................................291 VI, 9413: .................................................... 203
VI, 1960: .....................................171, nota 278 VI, 9414: .................................................... 203
VI, 2192: .....................................................249 VI, 9415: .................................................... 203
VI, 2223: .....................................................292 VI, 9422: .................................................... 352
VI, 2489: ...................................471, nota 1629 VI, 9428: .................................................... 351
VI, 3633: .......................................53, nota 186 VI, 9462a: ................................................... 428
VI, 3674: .....................................................263 VI, 9545: ...................................... 91, nota 371
VI, 3860: .....................................226, nota 519 VI, 9574: .................................................... 605
VI, 3969: .....................................................428 VI, 9659: .................................. 443, nota 1506
VI, 4414: .......................... 411, nota 1378; 412 VI, 9675: .................................................... 435
VI, 4416: ...................................411, nota 1378 VI, 9682: ...................................... 78, nota 327
VI, 4417: .....................................................412 VI, 9716: .................................................... 263
VI, 4443: .....................................................428 VI, 9717: .................................................... 264
VI, 4446: .....................................................428 VI, 9718: .................................................... 264
VI, 4886: .....................................................533 VI, 9719: .................................................... 264
VI, 6216: ...................................409, nota 1364 VI, 9797: .................................. 533, nota 1918
VI, 6217: ...................................409, nota 1364 VI, 9843: .................................................... 501
VI, 6218: ...................................409, nota 1363 VI, 9844: .................................................... 502
VI, 6219: ...................................409, nota 1363 VI, 9845: .................................................... 502
VI, 6283: .....................................................428 VI, 9846: .................................................... 502
VI, 6284: .....................................................428 VI, 9847: .................................................... 502
VI, 6285: .....................................................428 VI, 9848: .................................................... 502
VI, 6358: .....................................................277 VI, 9856: ..........................411, nota 1378; 412
VI, 6359: .....................................................277 VI, 9864: .................................................... 435
VI, 6363: .....................................................202 VI, 9865: .................................................... 435
VI, 6364: .....................................................202 VI, 9866: .................................................... 436
VI, 6365: .....................................................203 VI, 9867: .................................................... 436
VI, 6365a: ...................................................203 VI, 9868: .................................................... 436
VI, 7013: .....................................277, nota 736 VI, 9869: .................................................... 436
VI, 7374: .....................................................278 VI, 9870: .................................................... 436
Indice delle fonti epigrafiche 697

VI, 9871: .....................................................436 VI, 38999: ................................ 538, nota 1937


VI, 9872: .....................................................436 VII, 11: ..................................... 458, nota 1566
VI, 9888: ...................................411, nota 1378 VIII, 972: ...................................... 128, nota 94
VI, 9922: .....................................................278 VIII, 973: ...................................... 128, nota 94
VI, 9923: .....................................277, nota 736 VIII, 1641: .................................. 183, nota 337
VI, 9924: .....................................................278 VIII, 5361: .................................................. 278
VI, 9925: .....................................................278 VIII, 7037: .................................... 127, nota 88
VI, 9926: .....................................277, nota 736 VIII, 7077: .................................................. 281
VI, 10109: ........................ 411, nota 1378; 412 VIII, 7156: ................................ 368, nota 1149
VI, 10130: .................................403, nota 1328 VIII, 9052: .................................................. 160
VI, 10149: .................................403, nota 1329 VIII, 11824: .................................... 32, nota 85
VI, 10168: .....................................117, nota 56 VIII, 12575: ................................................ 353
VI, 10169: .....................................117, nota 56 VIII, 17468: ................................................ 278
VI, 10183: .....................................117, nota 56 VIII, 18823: .............................. 492, nota 1736
VI, 10214: ...................................................181 VIII, 21665: ................................ 318, nota 925
VI, 10234: ...................................................355 VIII, 23399: .................................. 126, nota 98
VI, 10263: .................................409, nota 1362 VIII, 24519: ................................................ 358
VI, 10298: ........................ 352; 354, nota 1086 VIII, 26517: .............................. 486, nota 1706
VI, 10332: .................................493, nota 1739 IX, *513: .................................... 142, nota 151
VI, 10346: ...................................................378 IX, 60: ........................................... 91, nota 370
VI, 10909: .................................538, nota 1937 IX, 226: ...................................................... 539
VI, 13402: ...................................................428 IX, 347: ...................................................... 539
VI, 13830: .................................492, nota 1738 IX, 465: ........................................ 117, nota 56
VI, 23616: .................................369, nota 1151 IX, 466: ........................................ 117, nota 56
VI, 26217: ...................................................502 IX, 467: ...................................................... 606
VI, 29722: ...................................................266 IX, 470: ...................................................... 607
VI, 29756: ...................................................355 IX, 531: ...................................................... 292
VI, 30105: .................................470, nota 1622 IX, 699: ...................................................... 144
VI, 30387: ...................................132, nota 120 IX, 740: ...................................................... 606
VI, 30741: ...................................................435 IX, 743: ...................................................... 606
VI, 30851: ...................................................263 IX, 827: ...................................................... 606
VI, 30973: ...................................................339 IX, 1143: .................................... 312, nota 875
VI, 31352: ...................................................203 IX, 1154: .................................. 537, nota 1934
VI, 31807: ...................................................186 IX, 1276: .................................................... 538
VI, 32276: ...................................253, nota 647 IX, 1578: .................................................... 378
VI, 32279: ...................................253, nota 647 IX, 1618: ..............................461; 606, nota 44
VI, 32280: ...................................253, nota 647 IX, 1654: .................................. 526, nota 1883
VI, 32454: ...................................................501 IX, 1655: .................................................... 606
VI, 33807: ...................................................428 IX, 1664: .................................................... 279
VI, 33814: .................................443, nota 1506 IX, 1712: .................................................... 120
VI, 33815a: ...............................533, nota 1918 IX, 1714: .................................................... 606
VI, 33837: .......................... 225, nota 519; 227 IX, 1715: .................................................... 606
VI, 33886: .................................390, nota 1253 IX, 2244: .................................................... 144
VI, 33888: ...................................................502 IX, 2252: .................................... 174, nota 296
VI, 33906: ...................................................436 IX, 2368a: ................................................... 607
VI, 34013: .................................493, nota 1739 IX, 2399: .................................................... 437
VI, 35335: ...................................246, nota 600 IX, 2472: .................................................... 188
VI, 36808: ...................................................191 IX, 2481: .................................. 409, nota 1362
VI, 37169: ...................................................501 IX, 2606: .................................................... 144
VI, 37378: ...................................................436 IX, 2607: .................................................... 607
VI, 37402: ...................................................436 IX, 2680: .................................................... 607
VI, 37774: ...................................................436 IX, 2687: .................................................... 356
VI, 37805a: ...................................92, nota 379 IX, 2827: .................................... 187, nota 354
VI, 37820: ...................................................501 IX, 2996: .................................................... 192
698 Indice delle fonti epigrafiche

IX, 3009: .....................................................539 IX, 5376: ..........................130; 460, nota 1570


IX, 3040: .....................................................539 IX, 5404: .................................... 147, nota 175
IX, 3388: .....................................................607 IX, 5411: ........................................ 28, nota 77
IX, 3424: .....................................................191 IX, 5428: ...................................... 126, nota 85
IX, 3513: .....................................131, nota 118 IX, 5441: .................................................... 549
IX, 3571: .....................................................363 IX, 5445: ..........................337, nota 1012; 549
IX, 3579: .....................................................363 IX, 5452: .................................................... 549
IX, 3730: .....................................................539 IX, 5472: .................................. 347, nota 1054
IX, 3773: .....................................................144 IX, 5491: .................................... 147, nota 175
IX, 3842: .....................................................462 IX, 5498: .................................... 326, nota 963
IX, 3845: .....................................................144 IX, 5527: .................................................... 383
IX, 3849: ...................................487, nota 1709 IX, 5534: .................................. 546, nota 1970
IX, 3857: .....................................192, nota 373 IX, 5536: .................................................... 519
IX, 3895: .....................................................607 IX, 5538: .................................. 545, nota 1967
IX, 3923: ...................................547, nota 1979 IX, 5540: .................................. 545, nota 1967
IX, 4109: .....................................................144 IX, 5541: ..............................69, nota 277; 421
IX, 4110: .....................................................144 IX, 5566: ...................................... 127, nota 89
IX, 4111: .....................................................144 IX, 5567: .................................................... 549
IX, 4112: .....................................................144 IX, 5572: .................................. 463, nota 1587
IX, 4127: .......................................114, nota 39 IX, 5645: .................................................... 549
IX, 4553: .....................................................607 IX, 5656: .................................................... 421
IX, 4680: ...................................371, nota 1165 IX, 5700: .................................................... 282
IX, 4796: ............ 91, nota 371; 443, nota 1505 IX, 5708: .................................................... 459
IX, 4864: ...................................537, nota 1934 IX, 5740: .................................................... 129
IX, 4894: .....................................................378 IX, 5746: ................................ 36, nota 98; 472
IX, 5020: .............................................139; 385 IX, 5825: .................................................... 189
IX, 5052: ...................................416, nota 1395 IX, 5829: .................................... 233, nota 546
IX, 5058: ...................................406, nota 1344 IX, 5830: .................................................... 174
IX, 5070: .......................... 397, nota 1292; 506 IX, 5831: .....................................173-174; 548
IX, 5071: .....................................199, nota 405 IX, 5832: .................................................... 549
IX, 5072: .....................................................506 IX, 5840: ............................174; 232, nota 543
IX, 5074-5075: .........................460, nota 1570 IX, 5841: ............................................ 174; 459
IX, 5083: .....................................................506 IX, 5845: ... 60, nota 227; 460, nota 1570; 549
IX, 5085: .....................................................459 IX, 5849: ............................................. 188-189
IX, 5088: ........396, nota 1287; 406, nota 1345 IX, 5850: .................................... 211, nota 453
IX, 5092: ...................................396, nota 1286 IX, 5853: .......................................................64
IX, 5110: ...................................406, nota 1345 IX, 5854: .................................... 224, nota 507
IX, 5112: .........................................29, nota 77 IX, 5856: .................................................... 175
IX, 5151: .......................................112, nota 28 IX, 5860: .................................... 133, nota 122
IX, 5189: ............................ 130, nota 109; 237 IX, 5871: .................................... 246, nota 598
IX, 5191: .....................................................548 IX, 5873: .................................... 211, nota 453
IX, 5192: .....................................142, nota 151 IX, 5879: .................................... 211, nota 453
IX, 5195: .....................................................548 IX, 5880: .................................... 211, nota 453
IX, 5196: .....................................................459 IX, 5893: ............................................. 212-213
IX, 5204: .....................................................154 IX, 5894: ...................................... 73, nota 306
IX, 5205: .....................................................154 IX, 6078, 47: ................................ 70, nota 285
IX, 5207: .....................................327, nota 968 IX, 6078, 52 a-b: .......................... 69, nota 279
IX, 5209: .....................................................154 IX, 6078, 52 c: ............................. 69, nota 279
IX, 5224: .....................................................154 IX, 6078, 124: .............................. 70, nota 286
IX, 5282: .....................................................162 IX, 6078, 168: ...............................................71
IX, 5283: ..................................... 162; 163-164 IX, 6078, 204: ...............................................62
IX, 5305: .....................................................420 IX, 6080, 4: .................................. 56, nota 206
IX, 5357: ...................................337, nota 1008 IX, 6080, 5: .................................. 56, nota 206
IX, 5374: .........................................29, nota 77 IX, 6080, 21: ..........52, nota 180; 54, nota 190
Indice delle fonti epigrafiche 699

IX, 6080, 35: .................................61, nota 230 X, 3962: ...................................................... 605


IX, 6081, 55: .................................71, nota 295 X, 3969: ........................................ 92, nota 378
IX, 6062, 61: .................................66, nota 263 X, 3973: ...................................................... 502
IX, 6083, 11: ...............................................144 X, 3980: ..............................217, nota 474; 605
IX, 6083, 46: ...............................................144 X, 4892: ........................................ 128, nota 96
IX, 6083, 51: ...............................................144 X, 4894: ........................................ 128, nota 96
IX, 6213: .....................................................607 X, 4904: .............................................. 186; 189
IX, 6334: .....................................................539 X, 4916: ...................................................... 429
IX, 6367: .......................... 532; 545, nota 1969 X, 4918: ................................92, nota 378; 606
IX, 6376: .....................................................129 X, 5074: ...................................... 312, nota 875
IX, 6377: .....................................200, nota 413 X, 5429: ...................................................... 292
IX, 6384: .....................................224, nota 508 X, 5807: .................................... 422, nota 1420
IX, 6389: .......................................51, nota 171 X, 5850: ...................................... 312, nota 875
IX, 6415: .....................................141, nota 149 X, 6006: ...................................................... 537
X, 30: ..........................................................539 X, 6081: ...................................... 197, nota 398
X, 107: ........................................................461 X, 6104: ..............172, nota 285; 173, nota 290
X, 141: ........................................141, nota 147 X, 6124: ...................................................... 604
X, 388: ........................................................607 X, 6339: ...................................................... 494
X, 410: ............................... 143; 145, nota 162 X, 6469: ...................................................... 604
X, 476: ........................................183, nota 335 X, 6471: ...................................................... 604
X, 486: ........................................................143 X, 6638: ...................................................... 603
X, 540: ........................................................503 X, 7238: ........................................ 127, nota 93
X, 773: ........................................................191 X, 7294: ........................................ 127, nota 93
X, 797: ........................................335, nota 998 X, 7297: ........................................ 117, nota 56
X, 813: ........................................................353 X, 7364: ........................................ 117, nota 56
X, 816: ........................................................462 X, 7552: ...................................... 170, nota 273
X, 1381: ......................................................605 X, 7845: ...................................... 159, nota 232
X, 1443: ......................................................494 X, 7951: ...................................... 280, nota 739
X, 1446: ......................................................494 X, 8067, 12: ................................................ 191
X, 1495: ......................................................143 X, 8068, 3-4: .............................. 191, nota 372
X, 1497: ......................................................605 X, 8093: ...................................................... 494
X, 1546: ......................................................605 X, 8263: ...................................................... 436
X, 1588: ....................................409, nota 1362 XI, 46: ......................................... 262, nota 679
X, 1725: ......................................253, nota 647 XI, 645: .................................... 503, nota 1789
X, 1747: ....................................409, nota 1362 XI, 742: ...................................................... 609
X, 1872: ......................................................437 XI, 867: ...................................................... 609
X, 1923: ......................................................203 XI, 944: ...................................... 132, nota 120
X, 1929: ......................................................606 XI, 1031: .................................................... 411
X, 1934: ......................................................264 XI, 1066: .................................................... 125
X, 1952: ......................................................502 XI, 1069a: ................................................... 503
X, 2185: ......................................................538 XI, 1070: ...................................... 117, nota 56
X, 2669: ......................................................538 XI, 1355: .................................................... 609
X, 2858: ......................................................606 XI, 1355b: .................................................. 356
X, 3112: ......................................................538 XI, 1500: .................................................... 204
X, 3418: ......................................................429 XI, 1524a: ................................................... 540
X, 3699: .........339, nota 1020; 340, nota 1025 XI, 1619: .................................................... 609
X, 3764: ....................................340, nota 1024 XI, 1979-1980: ........................................... 609
X, 3782: ......................................................428 XI, 1986: .................................................... 540
X, 3906: ......................................................159 XI, 2067: .................................................... 430
X, 3935: ......................................................605 XI, 2134: .................................................... 495
X, 3938: ..............................................143; 279 XI, 2136: .................................................... 503
X, 3939: ......................................................159 XI, 2605: .................................................... 609
X, 3940: ......................................................143 XI, 2609: .................................................... 540
X, 3942: ......................................................143 XI, 2702: ..........................379; 381, nota 1215
700 Indice delle fonti epigrafiche

XI, 2724: .....................................................430 XII, 524: ..................................... 159, nota 230


XI, 2710a: ...................................................279 XII, 670: ..................................................... 312
XI, 2714: .....................................................186 XII, 714, a, 1: ............................. 266, nota 696
XI, 3156: ...................................371, nota 1164 XII, 1283: ................................................... 279
XI, 3612: .....................................198, nota 401 XII, 1322: ................................................... 533
XI, 3720: .....................................197, nota 400 XII, 1385: ................................................... 325
XI, 3780: .....................................................144 XII, 1929: ................................. 411, nota 1378
XI, 3943: ......92, nota 375; 297, nota 821; 609 XII, 2250: ................................................... 187
XI, 3946: .....................................................609 XII, 3076: ................................................... 352
XI, 4382: .....................................................144 XII, 4333: ................................... 132, nota 120
XI, 4423: .....................................................608 XII, 4479: ................................. 374, nota 1174
XI, 4433: .....................................................539 XII, 4499: ................................................... 265
XI, 4596: .....................................................292 XII, 4517: ..................................... 92, nota 378
XI, 4604: .....................................................539 XIII, 1734: ................................ 411, nota 1380
XI, 4771: .....................................................351 XIII, 1862: ................................ 486, nota 1706
XI, 4789: .....................................................460 XIII, 1996: ........................270; 443, nota 1501
XI, 4847: .....................................................608 XIII, 2019: .................................. 217, nota 471
XI, 4991: .....................................................539 XIII, 2026: .................................................. 547
XI, 5400: .............................................301; 608 XIII, 2653: .................................................. 293
XI, 5412: .....................................................608 XIII, 3202: .................................................. 353
XI, 5438: .....................................................429 XIII, 4208: .................................................. 281
XI, 5439: ...................................430, nota 1451 XIII, 4301: .................................................. 312
XI, 5441: .....................................................608 XIII, 5096: ................................ 458, nota 1566
XI, 5745: .....................................................461 XIII, 5970: .................................... 126, nota 87
XI, 5748: .....................................................356 XIII, 6308: ................................ 458, nota 1566
XI, 5749: .....................................................379 XIII, 6676: .................................. 187, nota 354
XI, 5793: .....................................................539 XIII, 6775: .................................. 187, nota 354
XI, 5836: .............................. 92, nota 374; 608 XIII, 7587: ................................ 458, nota 1566
XI, 5837: .....................................................608 XIII, 8244: .................................................. 357
XI, 5954a: ...................................................178 XIII, 8344: ................................ 409, nota 1362
XI, 5961: .....................................308, nota 863 XIII, 8345: .................................................. 351
XI, 5965: ............................. 178, note 308-309 XIII, 8352: ................................ 390, nota 1254
XI, 6073: .....................................................188 XIV, 37: ...................................................... 356
XI, 6136: ...................................413, nota 1384 XIV, 45: .................................... 458, nota 1566
XI, 6137: .....................................................608 XIV, 52: ...................................... 197, nota 393
XI, 6232: .....................................................608 XIV, 69: ...................................................... 356
XI, 6239: .....................................................272 XIV, 246: ...................................... 128, nota 98
XI, 6310: .....................................................379 XIV, 255: ............................................ 143; 279
XI, 6335: .......................... 379; 381, nota 1216 XIV, 256: .................................................... 356
XI, 6345: .....................................................539 XIV, 353: .................................................... 253
XI, 6377: .............................................207; 461 XIV, 409: 264; 371, nota 1166; 547, nota
XI, 6394: .....................................................608 1979
XI, 6481: .....................................................461 XIV, 468: .................................................... 604
XI, 6506: .....................................................608 XIV, 471: .................................................... 604
XI, 6536: .....................................................608 XIV, 473: .................................................... 502
XI, 6604: .....................................................503 XIV, 486: .................................................... 538
XI, 6837: .....................................................609 XIV, 952a: .................................................. 538
XI, 6838: .....................................................280 XIV, 1510: ................................................. 538
XI, 6842: .....................................101, nota 405 XIV, 1539: ............................... 537, nota 1934
XI, 7051: .....................................................609 XIV, 2045: ................................. 197, nota 397
XI, 7092: .....................................................192 XIV, 2112: ................................................. 356
XI, 7434: .....................................................609 XIV, 2156: ......................................... 143; 352
XI, 7555: .....................................................253 XIV, 2183: ................................................. 537
XI, 7856: .....................................................539 XIV, 2215: ................................. 133, nota 126
Indice delle fonti epigrafiche 701

XIV, 2336: ..................................................537 «Daidalos»


XIV, 2414: ..................................................143 3 (2001), pp. 100-102: ............................... 429
XIV, 2433: ..................................................502
XIV, 2608: ..................................197, nota 396 De Marchi, Milano, cit.
XIV, 2652: ..................................................605 pp. 27-29, n°25: ......................................... 438
XIV, 2716: ..................................................538
XIV, 2752: ..................................................538 Edictuum de pretiis
XIV, 2770: ..................................................143 2, 1: ............................................... 46, nota 149
XIV, 2886: ................................371, nota 1165 7, 29-30: ................................... 374, nota 1175
XIV, 3015: ..................................................207 7, 54-63: ................................... 350, nota 1063
XIV, 3030: ..................................................604 7, 66: ......................................... 527, nota 1889
XIV, 3550: ..................................................604 7, 70: ......................................... 527, nota 1888
XIV, 3625: ..................................................253 7, 71: ......................................... 527, nota 1890
XIV, 3641: ..................................................604 22, 1-26: ................................... 350, nota 1063
XIV, 3710: ..................................................604
XIV, 3721: ..................................................538 EphEp
XIV, 3949: ..................................253, nota 647 VIII, 210: .................................. 460, nota 1570
XIV, 4573: ..................................................352 VIII, 237: .................................. 347, nota 1053
XIV, 4642: ..................................................253 VIII, 279: .................................................... 159
XIV, 4710: ..................................................604 VIII, 386: .................................................... 605
XV, 3410: .....................................56, nota 207 VIII, 486: .................................................... 605
VIII, 548: .................................................... 605
Cipriano - Carre, Production et typologie, cit. VIII, 830: .................................................... 507
p. 89: .............................................67, nota 266 IX, 593: ...................................... 336, nota 999

CLE «Epigraphica»
29: .............................................533, nota 1918 54 (1992), pp. 63-88: ................. 292, nota 796
68: .............................................470, nota 1622 55 (1993), pp. 67-68: ................. 226, nota 519
497: ...........................................492, nota 1737 58 (1996), pp. 225-229: ............................. 192
640: ...........................................492, nota 1737 59 (1997), pp. 346-348, n°33: ................... 606
991: ...........................................471, nota 1629
1042: .........................................471, nota 1627 Fabrini - Paci, Raccolta archeologica, cit.,
1560: .............................................127, nota 89 pp. 27-30, n°3: ......................... 519, nota 1846
1831: .........................................492, nota 1736 pp. 31-34, n°4: ........................................... 421
1845: ...........................................................539
Fasti Praenestini (InscrIt XIII, 2, p. 123)
Cordella - Criniti, Nuove iscrizioni, cit. Martius 23: ............................... 403, nota 1324
pp. 186-187: ................................................539
pp. 195-196: ................................................539 Ferrandini Troisi, Donne, cit.
pp. 17-18: ................................... 217, nota 472
Courtney, Musa lapidaria, cit. pp. 21-22: ...........215, nota 464; 218, nota 475
p. 84, n°68: ....................................92, nota 378
p. 126, n°128: ...............................91, nota 371 FIRA2
I, pp. 420-422, n°73: ................ 527, nota 1892
«CRAI» I, pp. 427-428, n°77: ................ 527, nota 1892
1966, pp. 134-137: .......................115, nota 47 III, pp. 225-227, n°72: ............... 131, nota 118
III, pp., 227-229, n°73: .............. 132, nota 120
Cresci Marrone - Mennella, Pisaurum I, cit.
pp. 164-169, n°21: ......................................379 Firatli, Stèles funèraires, cit.
pp. 221-227, n°46: ........... 379; 381, nota 1216 p. 177: ......................................... 215, nota 465
pp. 244-245, n°56: ......................................539
pp. 303-306, n°88: ........... 207; 461, nota 1574 Fora, Epigrafia anfiteatrale, IV, cit.
pp. 330-331, n°109: ....................................608 pp. 51-53, n°19: ......................................... 207
702 Indice delle fonti epigrafiche

Forni, Assisi, cit. p. 58, n°38: ................................... 117, nota 56


p. 53, n°85: ................................430, nota 1451 pp. 61-62, n°42: ........................... 117, nota 56
p. 79, n°170: ...............................................429 pp. 64-65, n°46: ........................... 117, nota 56
p. 67, n°49: ................................... 112, nota 26
Fortini, Approfondimenti, cit.
p. 74, n°8: ......................................71, nota 293 Gregori, Purpurarii, cit.
pp. 739-743: ............................................... 501
Fortini, Cupra Maritima: aspetti di vita
economica attraverso la documentazione M. Guarducci, Epigrafia greca, IV, Roma
storica ed archeologica, cit. 1978
pp. 126-127, n°11: ..........................62, nota 11 pp. 505-508: ............................................... 612
pp. 132-133, n°3: ..........................70, nota 287
p. 133, n°4: ....................................70, nota 288 «Habis»
32 (2001), pp. 353-374: ............................. 267
Fortini, Laterizi bollati, cit. 32 (2001), pp. 375-386: ............................. 264
p. 112, n°2: ....................................68, nota 274
pp. 128-130, n°13: ........................66, nota 263 Herrmann, Milet, cit.
p. 130, n°14: .................................66, nota 263 pp. 53-54, n°666: ..................... 504, nota 1791

Franchi De Bellis, Cippi prenestini, cit. ICI


pp. 138-139, n°87, 1: ..................257, nota 661 I, 7: .............................................................. 609
VI, 101: ...................................................... 608
«Gallia» X, 22: ............................................ 127, nota 89
52 (1995), pp. 348-358: ..............334, nota 994 X, 30: .......................................... 318, nota 926

Galsterer, Köln, cit. ICUR


p. 38, n°134: ...............................................357 I, 2223: ....................................................... 428
p. 78, n°325: .............................390, nota 1254 III, 6699: ..................................................... 264
p. 78, n°326: .............................344, nota 1041 V, 13800: ...................................... 92, nota 379
X, 27157: .................................................... 428
L. Gasperini, Aletrium I. I documenti X, 27525: .................................................... 502
epigrafici, Alatri 1965
pp. 16-19, n°1: ..........................422, nota 1420 IDélos
1712: ........................................... 265, nota 693
Gentili, Auximum, cit. 1756: ......................................... 493, nota 1739
p. 148, n°d 2: ..............................224, nota 507
p. 148, n°d 3: ..............................224, nota 508 IDR
III, 2, 417: ................................. 409, nota 1362
Gentili, Osimo nell'antichità, cit. III, 2, 423: ................................. 409, nota 1364
p. 157, n°3: ..................................224, nota 507
p. 161, n°15: ...............................246, nota 598 IG
pp. 161-162, n°18: ......................133, nota 122 II-III2, 1668, l. 77: ...................... 136, nota 135
p. 173, n°66: .................................64, nota 250 XIV, 402: .................................... 179, nota 310
p. 177, n°75: ...............................224, nota 508 XIV, 403: .................................. 392, nota 1267
XIV, 666: .................................................... 607
Gounaropoulou - Hatzopoulos, Inscriptiones XIV, 689: .................................................... 606
Macedoniae inferioris, cit. XIV, 809: .................................................... 605
p. 342, n°383: ...............................113, nota 32 XIV, 852: .................................................... 606
XIV, 892: .................................................... 605
Granino Cecere, D. Caecilius Abascantus, cit. XIV, 942: .................................................... 604
pp. 705-719: ................................266, nota 697 XIV, 1413: ............................... 392, nota 1264
XIV, 1700: ............................... 392, nota 1267
Gregori, Epigrafia anfiteatrale, II, cit. XIV, 1751: ................................. 215, nota 463
pp. 28-29, n°9: ................. 207; 461, nota 1574 XIV, 2053: ................................................. 604
Indice delle fonti epigrafiche 703

XIV, 2276: ..................................................610 551: ............................................. 312, nota 875


XIV, 2343: ..................................................610 577: ............................................................. 420
710: ............................................................. 428
IGBulg. 712: ............................................................. 502
II, 674: .......................................391, nota 1259 771: ............................................................. 291
797: ............................................... 91, nota 371
IGLS 809: ............................................................. 501
IV, 1261: .....................................134, nota 130 814: ............................................. 253, nota 647
1171: ............................................. 69, nota 279
IGR
I, 411: ..........................................................605 ILN
I, 461: ..........................................................606 III, 35: ......................................... 159, nota 230
I, 473: ..........................................................607
I, 482: ..........................................................610 ILS
I, 487: ........................................392, nota 1267 112: ............................................. 132, nota 120
I, 614: ........................................340, nota 1023 456: ............................................................. 291
937: ............................................................. 549
IGUR 1066: ........................................................... 537
II, 1, 367: ...................................392, nota 1264 1289: ............................................. 127, nota 89
II, 1, 413: ...................................389, nota 1251 1340: ........................................................... 270
II, 1, 675: .....................................215, nota 463 1342: ........................................................... 269
IV, 1692: ...................................392, nota 1264 1506: ........................................................... 146
1579: ........................................... 197, nota 396
IK 1580: ........................................... 197, nota 400
11, 1, 23: ...................................389, nota 1251 1660: ........................................................... 146
18, 400: .........................................113, nota 30 1661: ........................................................... 146
23, 414: .........................................113, nota 31 1700: ........................................................... 355
31, 15: .......................................392, nota 1266 1881: ........................................... 253, nota 647
1882: ........................................... 253, nota 647
ILAlg. 1886: ........................................................... 253
I, 463: ..........................................................278 1944: ........................................... 172, nota 284
II, 1, 624: .......................................127, nota 88 1945: ...................172, nota 285; 173, nota 290
II, 1, 803: .....................................................281 2311: ........................................................... 358
II, 1, 820: ...................................368, nota 1149 2727: ........................................................... 252
II, 2, 4614: ................................492, nota 1736 2733: ............................................. 120, nota 68
2748: ........................................................... 253
ILCV 3082: ........................................................... 379
98a: ................................................127, nota 89 3127: ........................................................... 351
3384: ........................................................... 357
ILJug 3602: ........................................................... 192
III, 2799: .....................................................279 3603: ........................................................... 191
3775: .......... 60, nota 227; 460, nota 1570; 549
ILLRP 3814: ......................................... 487, nota 1709
107b: ...........................................................351 4061: ........................................................... 357
107c: ............................................257, nota 658 4069: ........................................................... 358
152: ...........................................416, nota 1395 4114: ........................................................... 356
196: .............................................................192 4172: ......................................... 340, nota 1026
240: .............................................................351 4423: ........................................... 133, nota 126
303: ...........................................487, nota 1707 4501: ........................................... 318, nota 925
344: .............................................265, nota 693 4906: ........................................... 131, nota 118
487a: ............................................312, nota 875 4909: ........................................... 132, nota 120
508: .............................................131, nota 118 4914: ........................................... 132, nota 120
528: ...........................................422, nota 1420 5004: ........................................... 335, nota 998
549: .............................................................548 5083: ............................................. 117, nota 56
704 Indice delle fonti epigrafiche

5083a: ............................................117, nota 56 7220: ........................................................... 356


5093: .............................................117, nota 56 7221: ........................................................... 379
5108a: ............................................117, nota 56 7242: ...................................225, nota 519; 227
5109: .............................................117, nota 56 7246: ........................................... 243, nota 590
5113: .............................................117, nota 56 7277: ............................................. 78, nota 327
5118: .............................................117, nota 56 7290: ........................................................... 411
5124: .............................................117, nota 56 7308: ........................................................... 357
5126: .............................................117, nota 56 7403: ........................................................... 278
5167: ...........................................................181 7404: ........................................................... 277
5173: .........................................533, nota 1918 7453: ........................................................... 285
5183: .............................................117, nota 56 7489: ........................................................... 269
5225: ...........................................................533 7490: ........................................................... 266
5250: .........................................403, nota 1329 7519: ......................................... 443, nota 1506
5348: .........................................422, nota 1420 7538: ......................................... 390, nota 1254
5366: ...........................................312, nota 875 7542: ...................91, nota 371; 443, nota 1505
5367: ...........................................312, nota 875 7577: ........................................................... 435
5391: ...........................................................420 7578: ........................................................... 438
5395: ...........................................................604 7579: ........................................................... 438
5404: .........................................416, nota 1395 7580: ........................................................... 438
5534: .............................................127, nota 88 7584: ........................................................... 436
5539: ...........................................................494 7585: ........................................................... 436
5580: ...........................................308, nota 863 7597: ........................................................... 502
5652: .............................................126, nota 85 7602: ............................................. 91, nota 371
5657: .........................................518, nota 1843 7676: ........................................................... 280
5675: ...................................... 36, nota 98; 472 7731: ........................................................... 494
5982: ...........................................187, nota 354 7763: ............................................. 92, nota 378
6049: ...........................................182, nota 327 7787: ........................................................... 612
6052: ...........................................................181 7788: ........................................................... 604
6112: ...........................................183, nota 335 7789: ............ 92, nota 375; 297, nota 821; 609
6146: 78, nota 328; 264; 371, nota 1166; 547, 7791: ........................................................... 607
nota 1979 7792: ........................................................... 611
6153: ...........................................................279 7794: .....................................92, nota 374; 608
6315: ...........................................................159 7797: ........................................................... 611
6317: ...........................................................279 7802: ........................................... 217, nota 473
6431d: .......................................533, nota 1917 7805: ...................................217, nota 474; 605
6468: ...........................................................461 7807: ........................................................... 609
6496: ...........................................................606 7812: ........................................................... 608
6497: .........................................526, nota 1883 7868: ......................................... 493, nota 1739
6507: .............................................606, nota 44 7889: ......................................... 493, nota 1739
6554: ...........................................................378 8879: ........................................... 336, nota 999
6563: ...........................................199, nota 405 8997: ........................................................... 533
6563a: ............................... 397, nota 1292; 506 9421: ........................................................... 352
6570: ...........................................................549 9428: ........................................................... 501
6572: ...........................................................548
6573: ...........................................................549 IMS
6724: ...........................................................357 III, 2, 23: ....................................... 120, nota 68
6729: .........................................526, nota 1884
6730: ...........................................................380 Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, cit.
6818: ...........................................183, nota 337 pp. 312-313, n°54: ..................... 213, nota 456
7031: .........................................443, nota 1501
7213: ...........................................................355 InscrIt
7215: .........................................460, nota 1570 I, I, 26*: ...................................................... 503
7217: ................................ 379; 381, nota 1215 I, I, 23: ........................................................ 606
7218: ................................ 379; 381, nota 1216 III, I, 108: ................................................... 607
Indice delle fonti epigrafiche 705

III, I, 266-267: ..........................422, nota 1421 Lex coloniae Genetivae (Crawford, Roman
IV, I, 156: ....................................................253 Statutes, cit., pp. 393-454)
IV, I, 178: ....................................................604 LXII: ...................157, nota 216; 173, nota 288
IV, I, 214: ....................................................292 LXII, ll. 11-15: 157, nota 217; 404, nota 1335
IV, I, 247: ....................................................604 LXII, ll. 18-20: ........................... 160, nota 235
IV, I, 248 add.: ............................................604 LXII, ll. 22-28: ........................... 157, nota 218
IV, I, 262: ....................................................538 LXII, ll. 32 ss.: .....98, nota 396; 158, nota 219
VII, I, 67: ....................................................204 LXIII, ll. 5-8: .............................. 158, nota 220
VII, I, 115: ..................................................540
IX, I, 27: ......................................................609 Lex Irnitana (Lamberti, Tabulae Irnitanae,
X, I, 104: .....................................................125 cit.)
X, I, 114: .....................................171, nota 278 LXX: ........................................... 186, nota 346
X, I, 155: 340, nota 1026; 412; 413, nota LXXII, ll. 14-16: ........................ 140, nota 147
1384 LXXIII: ...................................... 157, nota 215
X, I, 161: .....................................................611
X, I, 164: .....................................................611 MAMA
X, I, 172: .....................................................431 VI, 260: ........................................ 53, nota 184
X, I, 200: .......................................54, nota 190 VII, 566: ..................................... 215, nota 465
X, I, 592a, col. II, l. 2: ................................286
X, I, 592b, l. 13: ..........................................286 Marengo, Laterizi, cit.
X, II, 222: ....................................................286 pp. 183-188: ................................. 68, nota 275
X, II, 229: ....................................................286
X, V, 22: .....................................................204 Mc Crum - Woodhead, Select Documents, cit.
X, V, 33: .....................................................431 pp. 135-136, n°458
X, V, 163: ...................................................540
X, V, 204: ...................................................357 «MDAI(I)»
X, V, 209: .................................451, nota 1537 25 (1975), pp. 141-147: ........... 504, nota 1791
X, V, 211: .................................450, nota 1536
X, V, 225: ...................................................379 Miranda, Napoli, cit.,
X, V, 295: .....................................117, nota 56 I, pp. 66-72, n°44: ...................... 136, nota 133
X, V, 296: ...................................................144 I, pp. 122-125, n°84: .................. 159, nota 229
X, V, 303: ...................................................325
X, V, 306: ...................................................611 Moscatelli, Trea, cit.
X, V, 391: .................................471, nota 1627 p. 59: ........................................................... 421
XI, I, 36: ......................................................540
D. Noy, Jewish Inscriptions of Western
I. Perg. Europe, Cambridge 1993-1995
431: ...............................................53, nota 183 1, pp. 100-103, n°76: ................................. 607
2, pp. 457-459, n°577: ........................ 355-356
IRT
264: ...........................................391, nota 1260 «NSc»
564: .............................................335, nota 997 13 (1888), p. 725: ..................... 347, nota 1053
16 (1891), p. 197: ....................... 333, nota 989
IScM 21 (1896), p. 322: ....................... 141, nota 129
II, 83: .........................................340, nota 1023 23 (1898), p. 130, n°5: ............... 612, nota 112
46 (1921), pp. 189-191: ............... 126, nota 85
Kern, Magnesia am Maeander, cit. 46 (1921), pp. 334-335: ............... 609, nota 80
pp. 1001-102, n°113: ....................92, nota 377 67 (1942), pp. 133-134: ........... 347, nota 1053
83 (1958), pp. 73-74, n°2: ......... 333, nota 988
Letta - D'Amato, Epigrafia della regione dei
Marsi, cit. Oliver, Greek Constitutions, cit.
pp. 192-201, n°128: ..................487, nota 1709 pp. 119-123, n°38: ................... 527, nota 1892
pp. 282-283, n°171: ....................................607
pp. 321-328, n°188: ..................487, nota 1707
706 Indice delle fonti epigrafiche

Paci, Magister municipi, cit. «RAL»


pp. 480-501: ..............................463, nota 1589 s. VIII, 27 (1972), p. 195, n°12: 131, nota 117
pp. 506-509, n°2: ..........................598, nota 83 s. VIII, 27 (1972), p. 198, n°2: 459, nota 1567

Pais, Suppl. It. «REG»


181: .............................................................379 13 (1900), p. 497, n°6: ................. 113, nota 31
442: .............................................................430
1136: ...........................................................379 Res gestae Divi Augusti
20: ................................................. 126, nota 87
Panciera, Olearii, cit.
p. 237: .........................................263, nota 685 RIB
p. 242: .........................................266, nota 698 91: ............................................. 458, nota 1566
355: ............................................................. 325
«PBSR»
37 (1969), pp. 96-97: ..................................604 RIT
394: ............................................... 572, nota 41
Peek, Griechische Versinschriften, cit. 447: ............................................... 572, nota 41
2040: .................. 215, nota 464; 218, nota 475
T. Ritti, Iscrizioni e rilievi greci nel Museo
Pleket, Epigraphica II, cit. Maffeiano di Verona, Roma 1981
pp. 27-28, n°12: ..........................217, nota 472 p. 150, n°85: ............................................... 611
pp. 32-33, n°20: . 215, nota 464; 218, nota 475
RIU
«Picus» II, 428: ........................................................ 325
3 (1983), pp. 151-160, n°1: ......453, nota 1544 III, 898: ....................................... 248, nota 619
5 (1985), pp. 7-50: ......................304, nota 848
5 (1985), p. 156, n°2: .................................154 Robert, Gladiateurs, cit.
5 (1985), pp. 220-223: ..............421, nota 1417 p. 212, n°249: ............................... 113, nota 31
6 (1986), pp. 39-42: ......................109, nota 15 pp. 228-229, n°294: ..................... 113, nota 30
8 (1988), pp. 241-243: ................200, nota 413
12-13 (1992-1993), pp. 16-32: .401, nota 1314 Roda, Vercelli, cit.
16-17 (1996-1997), pp. 233-236: 141, nota pp. 170-171, n°101: ................................... 439
151
16-17 (1996-1997), pp. 242-243: .51, nota 172 G. Rossini, Le antiche iscrizioni romane di
19 (1999), pp. 15-19: ..................141, nota 151 Faenza e dei Faventini, Faenza 1938
19 (1999), pp. 19-25: ..................141, nota 149 p. 32, n°3: ................................. 503, nota 1769
20 (2000), pp. 305-308: ................68, nota 273 pp. 65-67, n°37: ......................................... 437
22 (2002), pp. 115-130: ................77, nota 324
23 (2003), pp. 280-287: ................67, nota 267 Sabbatini Tumolesi, Epigrafia anfiteatrale, I,
cit.
Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit. pp. 62-63, n°59: ........................... 117, nota 56
p. 39, n°5: ....................................................549 pp. 73-74, n°79: ........................... 117, nota 56
p. 59, n°15: ..................................211, nota 453 pp. 75-76, n°83: ........................... 117, nota 56
p. 61, n°16: ..................................211, nota 453 p. 77, n°86: ................................... 117, nota 56
p. 63, n°17: ..................................211, nota 453
p. 65, n°18: ..................................211, nota 453 Sartori, Guida, cit.
p. 77, n°24: ..................................246, nota 598 p. 94, n°C10: .............................................. 438
p. 81, n°31: ..................................................189
p. 87, n°39: ....................................60, nota 227 ‹a£el Kos, National Museum of Slovenia, cit.
pp. 208-210, n°48: ..................................... 279
«QUCC»
39 (1991), 3, pp. 123-127: ...........92, nota 376 «SCO»
41 (1991), p. 341: ....................... 182, nota 330
Indice delle fonti epigrafiche 707

«SE» 20, pp. 153-154, n°42: ............................... 286


44 (1974), pp. 278-279, n°5: ....487, nota 1709 20, pp. 157-158, n°46: ............................... 607
44 (1974), pp. 280-281, n°9: ....487, nota 1707 20, p. 244, n°177: ....................................... 429

SEG Susini, Lapidario, cit.


IV, 106: .....................................389, nota 1251 pp. 10-14, n°4: ........................... 101, nota 405
XXIV, 328: ...................................116, nota 49 pp. 167-168, n°III: ..................................... 437
XXX, 1179: ................................................604
XXX, 1226: ................................................607 Tabula Heracleensis (Crawford, Roman
XXXIII, 759: ..............................................606 Statutes, I, cit., pp. 355-391)
XXXVI, 595: ................................113, nota 32 ll. 94-96: ....................................... 84, nota 343
XXXVI, 946: ................................607, nota 51 ll. 112-113: ................................... 84, nota 344
XLII, 870: ...................................179, nota 311
TAM
SIG3 II, 595: ........................................ 217, nota 472
807: ...............................................92, nota 377 IV, 1, 179: ................................ 392, nota 1265
IV, 1, 260: ................................ 391, nota 1262
Sokolowski, Lois sacrées. Supplement, cit.
pp. 206-207, n°123: ....................135, nota 130 «Taras»
6 (1986), pp. 123-128: ............................... 437
H. Solin, Epigraphische Untersuchungen in
Rom und Umgebung, Helsinki 1975 Thylander, Ostie, cit.,
pp. 27-28, n°51: ..........................................263 p. 123, n°A 158: ......................................... 604
pp. 162-163, n°A 222: ............... 215, nota 462
«SPAW» pp. 408-418, n°B 344: ............................... 356
32 (1935), pp. 967-1019
Vidman, Sylloge, cit.
«StudRomagn» pp. 241-242, n°524: ..................... 133, nota 26
9 (1958), pp. 183-184, n°7: ........................437
Vorbeck, Militärinschriften, cit.
Suppl. It., n.s. p. 112, n°321: ........................... 404, nota 1330
2, pp. 66-70, n°43: ......................................605
3, p. 157, n°19: ...........................................607 Waltzing, Étude, cit., III
4, pp. 166-168, n°33: ..................318, nota 923 p. 117, n°392: ............................................. 437
4, pp. 169-170, n°35: ..................318, nota 924 p. 179, n°650: ............................................. 435
4, pp. 178-180, n°43: ................404, nota 1332 p. 195, n°719: ............................................. 435
4, pp. 182-183, n°46: ................404, nota 1332
6, p. 27, n°10: .............................................604 «ZPE»
9, pp. 90-92, n°35: ......................323, nota 948 62 (1986), pp. 239-240: ........... 429, nota 1450
11, pp. 71-72, n°5: ....................464, nota 1589 65 (1986), pp. 284-285, n°36: ... 270, nota 709
11, p. 73, n°6: ...............................598, nota 83 68 (1987), pp. 241-246: ........... 528, nota 1895
11, pp. 101-102, n°7: ..................................503 100 (1994), pp. 431-434, n°1: ... 308, nota 861
11, pp. 141-142, n°2: ................537, nota 1934 113 (1996), pp. 82-84: ............... 179, nota 310
13, p. 215, n°4: .........................453, nota 1544
5. Fonti papiracee

«CE», 55 (1980), pp. 179-188, n°1: 45, nota P. Oxy XLVII, 3366: 524, nota 1870; 529,
145 nota 1897
P. Oxy LVI, 3867: ..................... 279, nota 737
O. Mich. 250: ................................................ 45
P. Coll. Youtie II, 66: 524, nota 1870; 529,
P. Eleph. Wagner 110: ................................. 45 nota 1897
P. Panop. Beatty I, 1, col. 7, l. 182: 151, nota
P. Iand. VI, 99: ........................................44-45 191

P. Oxy XII, 1586: .......................214, nota 459 SB XII, 10918: ........................................ 44-45
SB XVI, 1, 12380: ....................... 45, nota 145
6. Fonti giuridiche
C. Iust., X, 48, 7: ......................504, nota 1793 Dig., XXVII, 1, 6, 8: ................ 528, nota 1893
C. Iust., X, 66, 1: 202, nota 423; 500, nota Dig., XXVIII, 6, 30: ................ 428, nota 1442
1779 Dig., XXXII, 91, 1: .................. 505, nota 1797
Dig., XXXIII, 7, 12, 3: 287, nota 767; 288,
C. Th., IX, 30, 5: ...........................47, nota 154 nota 772
C. Th., XIII, 4, 2: 202, nota 423; 500, nota Dig., XXXIII, 7, 12, 18: ............ 225, nota 518
1779 Dig., XXXIII, 8, 2, 9: .............. 422, nota 1422
C. Th., XIV, 8, 1: 341, nota 1030; 344, nota Dig., XXXVIII, 1, 25: ................ 302, nota 838
1043 Dig., XXXVIII, 1, 26: ................ 302, nota 839
C. Th., XVI, 10, 20, 2: ..............341, nota 1030 Dig., XXXVIII, 1, 27: ................ 301, nota 837
Dig., XL, 7, 14 pr.: ..................... 287, nota 769
Dig., IX, 2, 9, 4: ........................422, nota 1422 Dig., XLVII, 22, 1, 1: .............. 348, nota 1058
Dig., XIV, 3, 16: .........................327, nota 970 Dig., L, 2, 12: ............................... 85, nota 345
Dig., XV, 3, 16: ..........................287, nota 769 Dig., L, 4, 18, 30: ............527, note 1892-1893
Dig., XVII, 2, 70: .......................................294 Dig., L, 16, 235, 1: ..................................... 202
Dig., XXVII, 1, 6, 2: ................528, nota 1894
Indice delle Tavole
Tavola I: Ancona 1, da CIL IX, 5892.
Tavola II: Ancona 2, da Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., tav. XXVI, figg. 2-
3.
Tavola III: Ancona 3, da CIL IX, 5905.
Tavola IV: Asculum 1, da Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p. 64,
fig. 4.
Tavola V: Asculum 2, da Paci, Note di epigrafia ascolana, cit., p. 13, fig. 2.
Tavola VI: Asculum 3, da Paci, Note di epigrafia ascolana II, cit., p. 39, fig. 13.
Tavola VII: Asculum 4, da Frenz, Römische Grabreliefs, cit., tav. 64, 1.
Tavola VIII: Asculum 5, da CIL IX, 5278.
Tavola IX: Auximum 1, da Gentili, Osimo, cit., p. 186, tav. 72b.
Tavola X: Auximum 2, da Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 52.
Tavola XI: Auximum 3, da Gentili, Osimo, cit., p. 230, tav. 116 b.
Tavola XII: Auximum 4, da Gentili, Osimo, cit., p. 224, tav. 110b.
Tavola XIII: Auximum 5, da Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
162, fig. 45.
Tavola XIV: Auximum 6, foto dell’autore.
Tavola XV: Auximum 7, da Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., tav. VI, fig. 4.
Tavola XVI: Auximum 8, da Buonocore, Epigrafia anfiteatrale, cit., tav. VI, fig. 5.
Tavola XVII: Auximum 9, da Gentili, Osimo, cit., p. 223, tav. 109b.
Tavola XVIII: Auximum 10, da Prosperi Valenti, Un esemplare inedito, cit., p. 78.
Tavola XIX: Auximum 11, da Gentili, Osimo, cit., p. 192, tav. 78b.
Tavola XX: Auximum 12, da Gentili, Osimo, cit., p. 233, tav. 119b.
Tavola XXI: Auximum 13, da Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
177, fig. 51.
Tavola XXII: Auximum 14, da Gentili, Osimo, cit., p. 235, tav. 121b.
Tavola XXIII: Auximum 15, foto dell’autore.
Tavola XXIV: Cingulum 1, da Suppl. It., n.s., 6, p. 50.
Tavola XXV: Cluana 1, da Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 26, figg. 2-3.
Tavola XXVI: Cluana 2, da Gasperini, Spigolature (V), cit., p. 52, fig. 14.
Tavola XXVII: Cupra Maritima 1, foto dell’autore.
Tavola XXVIII: Cupra Montana 1, da CIL IX, 5706.
Tavola XXIX, fig. 1: Falerio 1, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
199.
Tavola XXIX, fig. 2: Falerio 1, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
200.
Tavola XXX: Falerio 2, foto dell’autore.
Tavola XXXI, fig. 1: Falerio 3, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
157.
Tavola XXXI, fig. 2: Falerio 3, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
2315.
714 Indice delle tavole

Tavola XXXII: Falerio 4, da CIL IX, 5462.


Tavola XXXIII: Falerio 5, da CIL IX, 5420.
Tavola XXXIV: Falerio 6, da CIL IX, 5435.
Tavola XXXV: Falerio 7, da Walser, Inschrift-Kunst, cit., p. 121.
Tavola XXXVI: Falerio 8, da Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit., p.
105, fig. 17.
Tavola XXXVII: Falerio 9, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
2317.
Tavola XXXVIII: Falerio 10, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 93.
239.
Tavola XXXIX: Falerio 11, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
190.
Tavola XL: Firmum 1, da CIL IX, 5377.
Tavola XLI: Firmum 2, da Paci, Da Porto S. Elpidio, cit., p. 248, fig. 1.
Tavola XLII: Firmum 3, da CIL IX, 5378.
Tavola XLIII: Firmum 4, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81. 59.
Tavola XLIV: Hadria 1, da CIL IX, 5018.
Tavola XLV: Interamnia 1, foto dell’autore.
Tavola XLVI: Interamnia 2, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 79.
3707.
Tavola XLVII: Interamnia 3, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 79.
3702.
Tavola XLVIII: Interamnia 4, da CIL IX, 5077.
Tavola XLIX: Interamnia 5, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 79.
3720.
Tavola L: Interamnia 6, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 79. 3724.
Tavola LI: Interamnia 6, lato destro, neg. Deutsches Archäologisches Institut -
Rom 79. 3681.
Tavola LII: Interamnia 7, da CIL I2, 1906.
Tavola LIII: Potentia 1, da Paci, Nuove iscrizioni romane da Potentia, cit., p. 213,
fig. 33.
Tavola LIV: Ricina 1, da CIL IX, 5752.
Tavola LV: Ricina 2, da CIL IX, 5754.
Tavola LVI: Ricina 3, da Di Giacomo, Iscrizioni, cit., tav. VI, fig. 1.
Tavola LVII: Septempeda 1, da Suppl. It., n.s. 13, p. 224.
Tavola LVIII: Tolentinum 1, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
559.
Tavola LIX: Trea 1, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81. 288.
Tavola LX: Trea 2, da Moscatelli, Trea, cit., p. 45, fig. 30.
Tavola LXI: Trea 3, da Moscatelli, Trea, cit., p. 41, fig. 24.
Tavola LXII: Trea 4, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81. 608.
Tavola LXIII: Trea 5, da AE 1911, 173.
Tavola LXIV: Truentum 1, da CIL I2, 4, II. Tabulae, tav. 101, fig. 2.
Tavola LXV: Truentum 2, da Cancrini, Municipio truentino, cit., p. 156, fig. 4.
Indice delle tavole 715

Tavola LXVI: Urbs Salvia 1, da Frapiccini, Materiali, cit., p. 115, fig. 3.


Tavola LXVII: Urbs Salvia 2, da Cancrini - Delplace - Marengo, Evergetismo, cit.,
p. 112, fig. 21.
Tavola LXVIII: Urbs Salvia 3, da Fenati, Lucio Flavio Silva, cit., tavv. I-II.
Tavola LXIX: Urbs Salvia 4, da CIL IX, 5545.
Tavola LXX: Urbs Salvia 5, da Paci, Nuove iscrizioni, cit., p. 50, fig. 2 (fotogra-
fia).
Tavola LXXI: Urbs Salvia 5, da Paci, Nuove iscrizioni, cit., p. 52, fig. 3 (fac-
simile).
Tavola LXXII: Urbs Salvia 6, da CIL IX, 5552.
Tavola LXXIII: Urbs Salvia 6, neg. Deutsches Archäologisches Institut - Rom 81.
421 (copia moderna).
Tavola LXXIV: Urbs Salvia 7, da Marengo, Quattuorviri, cit., p. 201, fig. 1.
Tavole

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