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Basta, me ne vado in
montagna!
22 Settembre 2023
Desiderio di montagna
“C’è stata un’esplosione nella domanda di case da affittare anche solo per pochi
mesi, dopo la pandemia. C’è una pressione immobiliare importante che non
riesce a fermare lo spopolamento di alcuni territori, ma segna un cambiamento”,
commenta Chiloro. L’anno scorso Chiloro si è trasferito a Castiglione di Pepoli,
un piccolo comune nell’Appennino al confine con la Toscana, dove ha fatto
domanda per insegnare al liceo. Per errore il Ministero lo ha inserito in una scuola
di un altro paese.
Chiloro frequenta la montagna da anni. Con tre amici ha fondato il collettivo
Boschilla, un progetto di ricerca e produzione multimediale sulle aree interne e
le montagne. “Anni fa, abbiamo iniziato a fare lunghi viaggi a piedi attraversando
le montagne italiane. Così è nata l’idea di studiare come raccontarle”. Il collettivo
ha realizzato articoli, ricerche, video e audio documentari. Cinque anni fa ha dato
vita a una scuola di ecologia politica in montagna che si svolge ogni anno in
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autunno. “Volevamo far incontrare due mondi: quello dell’ecologia politica e
quello che studia l’Appennino e le aree interne”.
Boschilla ha avviato un’indagine etnografica su un campione di persone che si è
trasferito nell’Appennino bolognese negli ultimi dieci anni. Si tratta di giovani,
ma a parte questo il ‘desiderio di montagna’ è variegato, spiega Chiloro. “C’è chi
ha ereditato una casa, chi neanche conosceva la zona, chi ha vinto un bando della
Regione”. Dal 2020 la Regione finanzia contributi a fondo perduto per giovani
coppie che vogliono andare a vivere in montagna. “C’è una crisi del modello
urbano molto sentita: la maggior parte delle scelte di chi si sposta deriva da
questo” afferma Chiloro. “Si tratta di scelte radicali. Si rinuncia a impieghi più
redditizi per accrescere il proprio benessere. Questa è la principale motivazione
che stiamo riscontrando”.
Il turismo traina un’altra parte di domanda di case. “La promozione turistica
dell’Appennino bolognese, ormai un brand, è una novità degli ultimi anni”
spiega Chiloro. “Ma anche il turismo raccontato come slow, ovvero ‘lento’, ha
un impatto negativo, come tutti i processi che hanno a che fare con il capitale,
per quanto celati da retoriche sulla sostenibilità”. L’offerta di case infatti è scarsa.
“Alcune sono abbandonate e inabitabili, molte sono seconde case, e a questo si
aggiunge una nuova domanda di case per brevi periodi” spiega Fabio, che sta
collaborando alla ricerca etnografica. Con la crescita del turismo in montagna le
case disponibili sono diminuite. “La questione della casa è centrale nel
determinare le nuove traiettorie abitative, e anche in montagna c’è un problema
di accesso. Non è facile affittare o comprare, anche quando hai un lavoro
stabile”.
Se l’Appennino tosco-emiliano offre nuove possibilità, non tutti coloro che
vorrebbero spostarsi ci riescono, e il progetto dei neo-abitanti della montagna è
spesso complesso. “Chi si trasferisce mantiene relazioni stabili con la città, o
perché vi lavora, o perché produce prodotti agricoli che vende lì” sostiene Fabio.
Molti dei nuovi abitanti intervistati da Chiloro sono pendolari. “Il trasferimento
non è mai un ritiro totale”, spiega. La realtà contraddice la visione standardizzata,
tipica di un immaginario urbano contemporaneo, della montagna come luogo
separato e isolato. È un’idea falsa.
“Per secoli, se non per millenni, l’economia rurale, diversamente da quanto a
lungo si è immaginato, è stata caratterizzata dalla mobilità degli uomini entro un
raggio spaziale molto vario” scrive Piero Bevilacqua in Riabitare
l’Italia (Donzelli, 2018). Fino agli anni Trenta del Novecento questa mobilità ha
tenuto in piedi un “frammentato mosaico di economie in grado di sostenere e
addirittura far crescere la popolazione montana”. Gli uomini svolgevano diverse
attività, in diversi luoghi, in diversi periodi dell’anno. E la montagna, scrive
Bevilacqua, era solo una delle tessere del mosaico economico tenuto insieme
dalla capacità del lavoratore di trasferirsi “dalla montagna alle valli e alle
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pianure”. L’emigrazione temporanea era il motore di quelle economie. Questo
assetto è cambiato quando gli uomini non sono più tornati e l’emigrazione è
diventata permanente.
“La realtà contraddice la visione
standardizzata, tipica di un immaginario
urbano contemporaneo, della montagna
come luogo separato e isolato. È un’idea
falsa”.
Ma ancora oggi, scrive Giuseppe Dematteis in un altro saggio nello stesso
volume, “specialmente in quei due terzi dell’Italia dove montagna e città sono
molto vicine tra loro, è sempre più difficile pensarle come due realtà separate e
contrapposte. Di fatto non c’è più una distinzione tra ‘cittadini’ e ‘montanari’
perché tra queste due figure astratte si è ormai venuta formando una continuità
di figure concrete intermedie”: l’escursionista, il villeggiante, il telelavoratore bi-
residente, “senza contare il lavoratore e lo studente pendolare che passano buona
parte del loro tempo in città”.
Secondo la ricercatrice Giulia Sonzogno, che ha intervistato circa mille giovani
nelle aree interne italiane, la maggior parte di loro vorrebbe restare. Lo studio
ricorda come in un mondo sempre più connesso e mobile “gli atteggiamenti di
permanenza/migrazione sono processi estremamente sfumati e dinamici”. La
migrazione non è una decisione una tantum, le persone vivono sempre più spesso
tra aree. Inoltre, sebbene il lavoro resti centrale, fattori non economici giocano
un ruolo fondamentale nelle scelte di vita e di migrazione dei giovani.
“Bisogna ragionare sulla creazione di una relazione virtuosa tra città e
montagna, questi spazi non sono mai del tutto ‘montagna’ e mai totalmente
‘città’, perché continuamente si creano spazi di collegamento. La montagna ha
bisogno di vivere in relazione agli spazi urbani, anche per come questi stanno
cambiando, allungandosi verso spazi rurali. È l’idea della ‘metromontagna’”
commenta Chiloro. “Certo, quella del rapporto tra città e montagna è una
questione scivolosa”. Il rischio è che anche l’alta montagna diventi uno spazio
verso cui la città semplicemente si espande, anche solo simbolicamente.
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Tra i borghi del passato e i paesi del futuro
La retorica dei borghi, esplosa durante il lockdown, è un esempio di quella logica
urbano-centrica, speculativa e coloniale che minaccia le aree interne e montane.
Come spesso succede, il significato della parola ‘borgo’ ha subìto una
metamorfosi. Usata dapprima in un contesto di riscoperta delle aree interne e
montane, la parola è diventata in anni recenti il sinonimo di contesti territoriali
idealizzati, che rischiano di essere trasformati per rispondere al canone estetico
di una cartolina turistica. Con la crisi di identità delle città, il ‘borgo’ è assurto a
modello e paradigma dell’autenticità, del piccolo, del tipico e del pittoresco. È il
‘borgo-merce’.
Di fatto i ‘borghi’ in Italia sono pochissimi. Semmai esistono i paesi, evidenziano
gli autori dei saggi contenuti in Contro i borghi (Donzelli, 2022), paesi che
scompaiono dalla scena con la “musealizzazione patrimonialista” dei ‘borghi’, e
la “calcificazione della comunità locale”, rappresentata come “priva di conflitti e
differenze sociali e culturali”, scrive Antonio De Rossi. Ma, tanto per cominciare,
ci ricorda Rossano Pazzagli, borgo è ‘borghese’ e paese è ‘popolare’. Se il
‘borgo’ è espressione di un immaginario turistico in cui l’abitare si è ridotto a
fatto individuale, isolato e autosufficiente, il paese è prima di tutto una comunità,
scrive Pazzagli. L’abitare, nota Arturo Lanzani, è un fatto corale, a partire dalla
disposizione degli edifici. È la nostalgia di una dimensione dell’abitare corale,
connessa e interdipendente, che muove i processi di stereotipizzazione del
‘borgo’ e di romanticizzazione della marginalità, per dirla con Pier Luigi Sacco.
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di trasformazione radicale, spiega uno dei fondatori, l’antropologo Raffaele
Spadano.
Il comune ha attivato una borsa di studio per sostenere MIM e i suoi disegni di
attivazione della comunità. È un lavoro lento e complesso. Con Ritornanti al
Futuro, MIM ha avviato ragionamenti su temi – come quello del fatalismo,
“perché è questo l’atteggiamento che trovi appena arrivi in un paese”, spiega
Spadano – e percorsi come quello dell’appalto partecipato, per immaginare il
futuro di spazi ed edifici oggetto di ricostruzione. È nata una radio di comunità,
si sono mossi i primi passi per la creazione di una comunità energetica. Ritornanti
al Futuro si è chiuso con un rito di passaggio: il Gran Galà di Gagliano Aterno
che ha sancito un cambio di sguardo, racconta Spadano.
La vecchia scuola elementare, danneggiata dal sisma, sarà demolita. Qui sarà
costruito un Centro operativo comunale: un centro di servizi per tutta la valle,
connesso con gli altri spazi pubblici del paese. Alla progettazione hanno
partecipato anche Antonio De Rossi, professore di Progettazione architettonica e
urbana e direttore dell’Istituto di Architettura Montana del Politecnico di Torino,
e Laura Mascino, che è stata docente di Progettazione urbanistica al Politecnico
di Milano e che si occupa di edilizia sociale e welfare. Entrambi fanno parte del
gruppo promotore dell’associazione Riabitare l’Italia, nata a partire dalla
progettazione dell’omonimo libro. Nel 2021 il sindaco Luca Santilli aveva
contattato De Rossi dopo aver letto una sua intervista. De Rossi e Mascino sono
infatti coinvolti in percorsi di rigenerazione in diverse regioni, dove la
trasformazione dello spazio fisico, materiale, contemporaneo perché abitato, è
parte attiva di processi sociali ed economici.
Oggi la ricostruzione a Gagliano è a buon punto ed è partito un altro progetto di
MIM: la scuola di neopopolamento, che tutti chiamano semplicemente ‘Neo’. Da
due anni il paese seleziona ragazzi che partecipano a un bando per una residenza
di sei mesi. I ragazzi scelgono un’attività e partecipano ai corsi tenuti da formatori
su vari temi. “Neo è anche un modo per integrare gli arrivi nel paese, per gestire
gli equilibri” spiega Spadano. Il processo di costruzione del futuro è delicato e
non privo di conflitti. Uno di questi riguarda proprio le case.
“Quando abbiamo presentato il progetto Neo in una grande assemblea pubblica,
il paese si è messo in discussione”, racconta Spadano. “Chi diceva ‘non lo
possiamo stravolgere’, chi diceva ‘non possiamo lasciarlo morire’. Ma insomma
i ragazzi, i neo-abitanti, si presentano. E la comunità gaglianese chiede loro se
trascorsi i sei mesi vorrebbero restare, lavorare e fare figli a Gagliano. I ragazzi
di solito rispondono ‘sì certo, ma le case e le terre le avete voi’”. Solo un terzo
delle case a Gagliano è abitato, ma di case in affitto non se ne trovano. I ragazzi
di Neo hanno convinto un proprietario a locare una casa. “Non abita a Gagliano,
non ha piacere a venirci, e come tutti vorrebbe vendere” racconta Spadano.
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Allo scadere del primo contratto di affitto, il proprietario ha aumentato il canone.
A nulla sono valsi gli appelli dei ragazzi, che hanno iniziato a mappare le case in
paese. “La domanda di casa c’è ma la situazione non si sblocca. Faremo una
campagna per chiedere tre o quattro case in affitto a prezzi calmierati da mettere
a disposizione dei neo-abitanti. Anche perché, intanto, i paesi affianco ce le
offrono gratis”. Secondo Spadano l’arrivo di nuovi abitanti, giovani con un alto
livello di istruzione, non piace a tutti perché rompe vecchi equilibri di potere
fondati, anche, su assetti proprietari. “I giovani portano nuove economie, ma
anche nuovi modelli culturali che scalfiscono le vecchie rendite”.
Oltre la retorica sui borghi-cartolina per pochi, in Italia il futuro è schiacciato da
patrimoni e rendite ereditarie, anche quando le case hanno perso valore, anche
quando sono vuote.
Certo, a volte quando arrivano i giovani mobili e istruiti, espulsi dalle città
turistificate, le case si rivalutano. Ma i neo-abitanti hanno le idee chiare.
Oltre la dicotomia urbana turisti/residenti, sperimentano le condizioni di un
abitare mobile, impermanente, che mette in discussione la proprietà per rimettere
al centro l’accesso alle case. Nelle montagne, qua e là, si fa politica, si cercano
nuovi linguaggi, futuri possibili, e le condizioni per una nuova abitabilità dei
luoghi.
Sarah Gainsforth è una giornalista e ricercatrice indipendente. Il suo ultimo libro è Abitare
stanca (Effequ, 2022).
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